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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 3 marzo 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VII e XII,
   premesso che:
    a decorrere dall'anno 2000 è in vigore la legge n. 376 «Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping»;
    in Italia, l'Organizzazione nazionale anti doping (NADO) è affidata al Comitato olimpico nazionale italiano (Coni), ed è di fatto l'ente al quale compete la massima autorità e responsabilità in materia di attuazione e adozione del programma mondiale antidoping, incluse la gestione, la programmazione, la pianificazione dei controlli e le indagini;
    la World Anti-Doping Agency (WADA) è una fondazione – creata per volontà del Comitato olimpico internazionale (CIO) nel 1999 – per coordinare la lotta contro il doping nello sport. È la responsabile del codice mondiale anti-doping, adottato da circa seicento organizzazioni sportive nel mondo e vede la partecipazione delle federazioni sportive, internazionali, organizzazioni nazionali anti-doping, CIO ed il Comitato internazionale paralimpico. È l'ente controllore per l'anti-doping che delega la gestione alle singole nazioni e alle NADO;
    molti Stati, come in Italia, non possono o non vogliono essere legalmente vincolati da un documento non governativo come il codice mondiale anti-doping; pertanto, hanno deciso di riconoscere la Convenzione internazionale dell'UNESCO contro il doping nello sport e nel nostro Paese infatti il controllo è stato affidato al Coni;
    se è vero che in Italia la tutela sanitaria delle attività sportive riconosciute e la lotta contro il doping sono regolate dalla legge e da diverse altre normative (legge 14 dicembre 2000, n. 376, decreto 24 settembre 2003, decreto 30 aprile 2004), esiste un mondo parallelo fatto di sport amatoriali di discipline diverse praticato nelle palestre, ciclismo, podismo, fitness e pesistica. Si suppone che la grande massa dei praticanti amatoriali svolga attività sportiva solo per il divertimento e il benessere fisico, ma purtroppo anche tra gli sportivi amatoriali è praticata l'attività dopante al fine di migliorare le prestazioni fisiche, attività che mette a repentaglio la vita anche se si tratta di una semplice competizione amatoriale dove dovrebbe farla da padrone lo spirito sportivo. Di conseguenza, atleti professionisti e dilettanti sono accomunati dal desiderio di miglioramento delle prestazioni del proprio corpo per raggiungere gli obiettivi desiderati;
    la Conferenza mondiale sul doping nello sport svoltasi a novembre 2013, ha approvato il nuovo codice mondiale antidoping ed i relativi standard internazionali, la cui entrata in vigore risale al 1o gennaio 2015;
    a seguito della Conferenza mondiale sul doping dello sport, e i parametri in vigore dal 2015, la giunta nazionale del Coni, il 18 novembre 2014 con delibera n. 471 del 2014, ha approvato le nuove norme sportive antidoping;
    è importante ricordare l'indagine «Olimpia» condotta dai Nas-Ros dei carabinieri di Trento, su mandato della procura di Bolzano. A seguito dell'indagine, la procura antidoping ha chiesto il deferimento – con richiesta di squalifica – per ventisei atleti azzurri appartenenti alla Federazione atletica per elusi controlli e mancata reperibilità;
    il Coni-Nado infatti, nonostante fosse a conoscenza delle mancate segnalazioni di reperibilità da parte degli atleti, ha di fatto compiuto una gravissima violazione, poiché non ha mai segnalato quanto accadeva alla Wada. Ciò a dimostrazione del fallimento sulla politica dell'antidoping, mentre sia la medicalizzazione sia il consumo di farmaci dopanti sono in costante e drammatico aumento negli atleti;
    è necessario ricordare che l'impianto su cui è basato l'antidoping si fonda sul controllo a sorpresa eseguito sugli atleti. Per poter adempiere i controlli, è però necessario che gli atleti segnalino la propria reperibilità quotidianamente. Solo nel caso in cui un atleta dimentichi o ritardi l'invio della comunicazione concernente la sua reperibilità giornaliera in diciotto mesi, oppure se non si sottopponga al test senza giustificati motivi, è qualificato così come previsto dalla WADA;
    di fatto, il caso di Bolzano, a detta degli stessi inquirenti, non coinvolgerebbe solo la Fidal, ma diverse federazioni sportive;
    da ciò si può evincere che l'attuale presenza dell'agenzia antidoping presso il CONI risulta dar luogo a un sistema in cui c’è una sostanziale commistione «controllore/controllato», con cio violando non solo l'indipendenza dei controlli e degli accertamenti sugli atleti ma anche i principi etici che lo sport dovrebbe trasmettere;
    difatti, anche la stessa WADA raccomanda la costituzione di agenzie nazionali indipendenti rispetto al complesso sportivo. Nel mese di maggio 2016 presenterà un documento elaborato con il Cio e le federazioni internazionali al fine di trovare soluzioni sull'operatività di controlli autonomi in tutto il mondo ed in tutti gli sport, indipendenti dalle federazioni sportive;
    va ricordato che in Italia non vi è un sistema in grado valutare se le procedure messe in atto dal Ministero della salute e dalle forze di polizia giudiziaria consentano di affrontare correttamente il problema e di contrastare l'uso e il traffico di sostanze vietate per doping;
    in un convegno tenutosi al Ministero della salute, il presidente del Coni, Giovanni Malagò, ha parlato di «cambiamento epocale». Tale cambiamento deriverebbe da un futuro e prossimo accordo che dovrebbe consistere in una partnership tra Coni e Nas, i quali collaborerebbero per un'attività antidoping, fermo restando che rimarrebbero invariati organi e organismi, passando quindi ad avviso dei firmatari del presente atto dalla situazione attuale di «controllore/controllato» a quella di «partner del controllore»;
    risulta quindi necessaria l'istituzione immediata di un'agenzia indipendente che usufruirà dei fondi attualmente trasferiti su base annua al Coni e alla commissione di vigilanza per i controlli e il contrasto al doping,

impegnano il Governo:

   ad assumere iniziative per uniformare a livello nazionale i provvedimenti e le misure da assumere in materia anti-doping sul modello di quelli già esistenti in altri Paesi;
   ad assumere iniziative per costituire un'agenzia esterna indipendente dal Coni e dai Ministeri competenti in materia di antidoping, che abbia tra i principali obiettivi di garantire i controlli anti-doping utilizzando un sistema di controllo vincolante come previsto dalla legge n. 376 del 2000;
   ad assumere iniziative di competenza per la nomina di un commissario che gestisca la transizione dal Coni ad una agenzia terza;
   a promuovere tra le federazioni sportive e gli atleti mirate campagne di prevenzione e sensibilizzazione sui terribili rischi per la salute derivanti dal doping;
   ad assumere iniziative per mettere in atto, attraverso l'agenzia esterna da istituire, controlli annuali a campione nelle palestre amatoriali, al fine di prevenire il fenomeno della vendita e della somministrazione di sostanze dopanti;
   a promuovere iniziative, se del caso mediante accordi con le aziende sanitarie, al fine di consentire analisi del sangue gratuite, a tutela della salute, per i minori di anni 18 che praticano sport a livello dilettantistico e amatoriale e per prevenire il doping nei giovani e tra gli sportivi amatoriali.
(7-00940) «Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino».


   Le Commissioni VIII e IX,
   premesso che:
    il settore dei trasporti è una delle principali fonti di inquinamento atmosferico in Italia e in Europa e secondo i dati forniti dall'ISPRA nel rapporto 2014 «Trasporti: strumenti europei e nazionali per il risanamento della qualità dell'aria» rappresenta la sorgente principale di ossidi di azoto (NOx) e materiale particolato;
    in particolare, i contributi principali a livello nazionale all'inquinamento dell'aria derivano, per i macroinquinanti, dai trasporti stradali, che contribuiscono al 49 per cento delle emissioni di NOx, al 12 per cento di polveri sottili (PM10), al 22 per cento del monossido di carbonio e al 44 per cento del benzene;
    la maggior parte delle principali città italiane ha superato nell'anno 2015 la soglia limite di PM10 di 50 microgrammi per metro cubo e i dati relativi alle concentrazioni delle polveri sottili nel 2015 rivelano un peggioramento rispetto agli anni precedenti, con conseguenze emergenziali per la salute umana;
    particolarmente pericoloso è il particolato fine (PM2,5) – il sottoinsieme del PM10 che comprende tutte le particelle con un diametro inferiore ai 2,5 μm – la cui concentrazione massima di riferimento per la tutela della salute umana non deve superare secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, i 10 μg/m3, valore nettamente inferiore rispetto a quanto previsto dal decreto legislativo n. 155 del 2010, che recepisce la direttiva europea 2008/50/CE;
    la quasi totalità delle città italiane supera però il valore fissato dall'Organizzazione mondiale della sanità e preoccupanti appaiono in tal senso le stime dell'Agenzia ambientale europea – pubblicate nel report 2015 « Air Quality in Europe» – secondo la quale l'Italia per l'anno 2012 ha il triste primato legato alle morti per PM2,5 con circa 59.500 decessi;
    la tossicità del particolato è dovuta in primo luogo alle dimensioni delle particelle – soprattutto per il PM2,5 e le classi di dimensioni inferiori – dal momento che tali particelle, penetrando maggiormente nel tratto respiratorio (fino a bronchi e bronchioli), provocano effetti nocivi a livello cardiovascolare e polmonare e sono associate alla comparsa di patologie tumorali e all'aumento della mortalità;
    per cercare di ridurre le emissioni di gas di scarico prodotto dalla combustione, sia in Italia che in Europa, sono stati adottati i filtri antiparticolato o FAP, la cui installazione è divenuta obbligatoria per legge su tutti gli autoveicoli diesel;
    con i decreti interministeriali n. 39 del 25 gennaio 2008 (Disposizioni concernenti l'omologazione e le installazione di sistemi idonei alla riduzione della massa di particolato emesso da motori ad accensione spontanea destinata alla propulsione di veicoli) e l'analogo decreto n. 42 del 1o febbraio 2008, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha stabilito le regole per l'omologazione e il montaggio dei filtri antiparticolato (FAP) da installare sui veicoli già in circolazione per limitare le emissioni inquinanti;
    i sistemi FAP funzionano trattenendo al loro interno le particelle di particolato presenti nei gas di scarico, per poi trattarle chimicamente con delle sostanze che le «fissano» rendendole accumulabili. Successivamente, le particelle accumulate subiscono il processo di combustione e vengono emesse in atmosfera, dove si presentano con diametro estremamente inferiore e massa impercettibile. Queste particelle sono talmente sottili che nessun apparecchio di uso corrente è in grado di rilevarle ed è così che il particolato sembra sparire, mentre in realtà si trasforma in nano particolato, non rilevabile dagli strumenti misuratori normalmente impiegati a tal fine;
    il funzionamento dei suddetti filtri è stato oggetto di numerose indagini e di accreditati studi scientifici che ne hanno confermato i rischi per l'ambiente e la salute umana conseguenti al loro utilizzo; in particolare, il dottor Stefano Montanari del laboratorio Nanodiagnostics di Modena, esperto di nanopatologie, ha denunciato l'estrema pericolosità dei FAP per la qualità dell'aria e, conseguentemente, per la salute umana, oltre al rischio di provocare una distorsione della percezione dell'inquinamento, un aumento dei costi di gestione e una diminuzione delle prestazioni del veicolo;
    anche l'Istituto superiore di sanità ha confermato di recente i rischi per la salute dei cittadini legati al funzionamento dei filtri antiparticolato, i quali non abbassano le emissioni, ma si limitano a sminuzzare il PM10 producendo particelle inquinanti più sottili (PM2,5 o inferiori) e quindi più pericolose;
    particolare preoccupazione destano le parole del procuratore capo della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone che ha segnalato ai Ministri delle infrastrutture e dei trasporti, della salute e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un'applicazione scorretta nel rilascio delle omologhe dei filtri antiparticolato, senza che si procedesse ad alcuna verifica del corretto funzionamento dei suddetti sistemi nel lungo periodo;
    il procuratore Pignatone avrebbe dunque avvertito sin dall'8 luglio 2015 i Ministeri competenti della possibilità che auto diesel vendute come ecologiche inquinassero in realtà più delle altre per effetto di decreti legislativi applicati in modo scorretto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e per un generale disinteresse mostrato da parte dei dicasteri della salute e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
    la direzione generale per la motorizzazione, organo competente per le autorizzazioni, ha ritenuto che fosse sufficiente ai fini del rilascio delle omologhe una dichiarazione da parte del produttore del filtro inerente all'avvenuta esecuzione, o anche solo all'avvenuta programmazione, delle prove di durabilità, prescritte dai regolamenti ministeriali, senza verifiche circa la permanenza effettiva delle prestazioni rilevate, con serio pericolo per la salute e per l'ambiente;
    nonostante le numerose e gravissime carenze e omissioni ravvisabili nella procedura di omologazione e soprattutto nei controlli in merito all'efficacia e attendibilità dei filtri antiparticolato in uso, l'utilizzo degli stessi è stato incoraggiato attraverso l'erogazione di incentivi previsti a titolo di aiuti per la tutela dell'ambiente, anche sotto forma di esenzione dal pagamento della tassa di circolazione, per l'acquisto di autovetture con filtro antiparticolato e l'installazione del filtro in retrofit,

impegnano il Governo:

   ad intraprendere tutte le necessarie iniziative volte ad effettuare una verifica urgente sulla effettiva correttezza delle procedure ministeriali adottate negli ultimi anni dalle strutture competenti al rilascio dell'omologazione per i dispositivi antiparticolato, e ad un'eventuale revisione delle suddette procedure autorizzative tale da assicurare un reale funzionamento dei filtri antiparticolato nel lungo periodo;
   a valutare la possibilità di assumere iniziative per l'adozione di misure alternative diverse dai filtri, ma ugualmente idonee alla riduzione del particolato, per affrontare il rischio ambientale rappresentato dal particolato inferiore a 2,5 micrometri nel settore dei trasporti.
(7-00939) «Spessotto, Micillo, De Lorenzis, Liuzzi, Paolo Nicolò Romano, Nicola Bianchi, Carinelli, Terzoni, Daga, Zolezzi».


   La VIII Commissione,
   premesso che:
    la strada statale Basentana che congiunge il raccordo autostradale Sicignano-Potenza alla strada statale 106 Jonica rappresenta una delle principali arterie stradali dell'intero Mezzogiorno in quanto collega il Tirreno allo Jonio;
    la superstrada attraversa l'intera Basilicata e di fatto congiunge Salerno con Taranto;
    nonostante la sua strategicità per anni non è stata adeguatamente tenuta in sicurezza e il combinato disposto della peculiarità del tracciato, con numerosi viadotti e gallerie, e delle condizioni climatiche l'hanno resa fragile;
    il crollo del viadotto Calciano II nel marzo 2011 a causa della piena del fiume Basento fortunatamente senza vittime ha mostrato le criticità dell'intero manufatto viadotto ripristinato tre anni dopo;
    da allora l'intero percorso è costellato da una serie di cantieri che rendono il transito molto complicato per auto e mezzi pesanti;
    suddetta arteria purtroppo registra un numero rilevante di incidenti anche mortali;
    l'ultimo, gravissimo, in ordine di tempo è del 26 febbraio 2016 in territorio di Salandra, dove si sono registrate tre vittime in uno scontro frontale tra due autovetture;
    il tracciato nel tratto compreso tra gli svincoli di Calciano e Metaponto è privo di spartitraffico centrale se non per circa un chilometro nei pressi del nuovo svincolo di Bernalda;
    l'assenza di uno spartitraffico centrale rappresenta una criticità enorme così come l'assenza di una vera corsia di emergenza e la presenza di numerosi svincoli a raso;
    vanno considerate la strategicità dell'infrastruttura e la richiesta proveniente dalle istituzioni territoriali,

impegna il Governo

ad assumere iniziative affinché l'Anas predisponga in tempi rapidi un piano di ammodernamento della strada statale 407 Basentana nel tratto compreso tra Calciano e Metaponto in entrambi i sensi di marcia al fine di dotare suddetto tratto di uno spartitraffico centrale e di una corsia di emergenza nonché di adeguarne complessivamente tutti gli standard di sicurezza.
(7-00938) «Covello, Burtone, Anzaldi, Battaglia, Cardinale».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   ELVIRA SAVINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è noto che in questi giorni migliaia di profughi siriani sono ammassati in Grecia, al confine con la Macedonia, a seguito della chiusura e della militarizzazione delle frontiere imposte da quest'ultima;
   più di 25.000 sono le persone bloccate ai confini settentrionali della Grecia, le quali, si teme, si stiano già organizzando per percorrere la rotta adriatica in alternativa a quella balcanica: nei fatti si tratterebbe del medesimo flusso migratorio che colpì la Puglia negli anni Novanta con lo sbarco di circa 20.000 albanesi, le cui conseguenze sono rimaste impresse nella memoria di quanti hanno vissuto quel periodo storico;
   da informazioni raccolte quotidianamente dall’intelligence, si sta per assistere ad un'ondata migratoria di immani proporzioni che sicuramente, allo stato, non si è in grado di fronteggiare né in termini di sicurezza, né in termini di accoglienza;
   vi è inoltre il sospetto che sia già in corso l'organizzazione dei profughi per raggiungere via mare le coste pugliesi e che, considerato l'elevato numero di persone e l'impossibilità di alzare barriere in mare, sarà impossibile fermare tale fenomeno;
   ad essere compromesse saranno, inevitabilmente, la sicurezza sociale, con l'aumento della delinquenza e la già precaria situazione economica in cui si trova la Puglia, messa a dura prova anche dal recente caso Xylella;
   la Puglia vive di agricoltura e turismo e l'impatto economico di quest'ultimo, essendo un settore trasversale in grado di attivare ricchezza anche in altri settori dell'economia territoriale, quali la moda, il settore alimentare, i trasporti, i beni culturali, incide notevolmente sul prodotto interno lordo regionale;
   il turismo pugliese, soprattutto quello balneare, infatti, rappresenta la principale motivazione che spinge il turista a visitare la regione e se non saranno presi tutti gli opportuni provvedimenti, dopo quanto già accaduto per l'agricoltura a seguito del caso Xylella, gestito nel peggiore dei modi, la regione rischia un vero e proprio collasso che inevitabilmente si riverbererà in tutta l'Italia ed anche in Europa;
   è necessario chiedere al più presto gli aiuti di cui si avrà bisogno per fronteggiare l'allarme profughi, prima che le coste pugliesi diventino il nuovo punto di approdo per gli affari dei clan internazionali, cui seguirà una inevitabile e drastica riduzione del turismo nazionale ed internazionale, spaventato ed allontanato dalla cronaca degli eventi che i giornali, correttamente, non mancheranno di riportare;
   la Puglia potrebbe inoltre dare inconsapevolmente ospitalità, o fungere da base logistica, ai foreign fighter, i quali, approfittando dell'elevato ed imponente flusso migratorio, si potrebbero mescolare alla folla dei disperati per poter agire in assenza di controlli efficaci, visto che in situazioni di emergenza spesso prevale l'aspetto umanitario rispetto ai controlli e alla prevenzione dei crimini perpetrati dal terrorismo;
   l'Europa si trincera, mentre l'Italia viene lasciata sola a gestire e assorbire un flusso migratorio di enorme portata –:
   se il Governo, sulla base dalle evidenze fornite dall’intelligence, abbia provveduto a strutturare un piano di contenimento e di gestione della possibile ondata migratoria sulle coste salentine;
   se il Governo sia consapevole della reale minaccia di un'ondata migratoria e se la reputi di portata consistente, considerato anche il blocco totale delle frontiere deciso dalla Macedonia e da altri Paesi europei;
   se, nell'ipotesi in cui si avveri un'ondata migratoria di tale portata, il Governo abbia valutato l'opportunità di assumere iniziative per predisporre un apposito capitolo di spesa per far fronte ai costi straordinari derivanti dall'organizzazione e dalla gestione dell'emergenza;
   quale azione stia svolgendo il Governo presso le competenti sedi europee per richiedere il supporto reale, e non solo verbale, nell'eventualità si debba gestire una simile emergenza. (3-02078)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato in una recente relazione del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, la spesa per consulenti e collaboratori esterni a cui sono stati affidati incarichi nelle amministrazioni pubbliche sarebbe tornata a salire: nel 2014 l'aumento è stato del 61,32 per cento con dei compensi erogati, che sono passati da 737.879.446,55 a 1.190.319.167,47 euro, in controtendenza con la diminuzione della spesa degli anni precedenti;
   i dati arrivati dalle amministrazioni pubbliche che hanno collaborato con l'anagrafe delle prestazioni parlano di «quasi 600.000 incarichi conferiti a più di 300.000 soggetti incaricati», e ciò significherebbe che vi sarebbero più consulenti e collaboratori esterni, 176.855, che dipendenti pubblici, 155.839;
   anche se la situazione varia da settore a settore, nel «comparto “Regioni e autonomie locali”, il personale esterno cui è stato conferito un incarico è pari a più del doppio rispetto a quello relativo al personale dipendente»;
   per quanto riguarda i compensi per incarichi conferiti a consulenti e collaboratori esterni «hanno subito un considerevole aumento» soprattutto nelle amministrazioni appartenenti alla tipologia «Regioni e autonomie locali», dove nel 2014, rispetto all'anno prima, si è registrata una crescita del 113,28 per cento; poi nei comparti «Ricerca» (56,17 per cento), «Scuola» (55,20 per cento), «Università» (45,66 per cento), «Sanità» (33,19 per cento) e «Ministeri, Presidenza del Consiglio dei ministri, Agenzie fiscali» (32,11 per cento);
   il presidente della Corte dei Conti Raffaele Squitieri, durante il suo discorso tenuto in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario il 18 febbraio 2016, ha dichiarato di giudicare negativamente le operazioni di revisione della spesa pubblica attuate dal Governo, dicendo che la spending review sarebbe stata finora un «parziale insuccesso» e che sarebbe ricaduta solo sui cittadini, che si ritrovano oggi con meno servizi;
   secondo Squitieri infatti: «Il contributo al contenimento della spesa non è più solo riconducibile a effettivi interventi di razionalizzazione e di efficientamento di strutture e servizi, quanto piuttosto a operazioni assai meno mirate di contrazione, se non di soppressione, di prestazioni rese alla collettività» ed inoltre «Dai tagli operati è derivato un progressivo offuscamento delle caratteristiche dei servizi che il cittadino può e deve aspettarsi dall'intervento pubblico cui è chiamato a contribuire»;
   secondo la Corte dei Conti «le difficoltà incontrate dagli interventi successivi di “revisione della spesa” sono anche imputabili ad una non ottimale costruzione di basi conoscitive sui contenuti, sui meccanismi regolatori e sui vincoli che caratterizzano le diverse categorie di spesa oggetto dei propositi di taglio»;
   la Corte dei conti avrebbe criticato anche le società partecipate sottolineando alcuni dati critici: meno del 20 per cento dei comuni ha dichiarato di non possedere partecipazioni e soprattutto netta è la prevalenza degli affidamenti « in house», essendo risultato irrisorio il numero di servizi affidati con gara, ovvero meno di 100 a impresa terza e 400 a società mista su un totale di 26 mila –:
   se il Governo sia al corrente di quanto esposto in premessa circa l'inefficacia della spending review, la crescita delle spese della pubblica amministrazione per consulenti e collaboratori esterni e il relativo grido d'allarme lanciato dal Presidente della Corte dei conti su questo annoso problema;
   se il Governo non intenda chiarire le ragioni dell'aumento delle spese della pubblica amministrazione per le consulenze esterne, e, al contempo non intenda rispondere alle critiche mosse dalla Corte dei conti sul mezzo insuccesso della spending review e sulla ricaduta che i tagli avrebbero avuto sui servizi ai cittadini;
   quale sia l'orientamento del Governo in merito all'abnorme numero degli affidamenti « in house», senza gara, di cui in premessa e se non intenda approfondire le ragioni di questa sproporzione e i danni economici che ne possono derivare. (4-12332)


   COLONNESE, LUIGI GALLO e FICO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del 22 gennaio 2016, il Ministro del interno, attuando una norma del 1985, equipara la Deputazione della cappella del tesoro di San Gennaro, organismo laico che da secoli gestisce la cappella del Santo e custodisce il sangue prodigioso, a una fabbriceria e rinomina arbitrariamente gli 11 deputati attualmente in carica, assumendosi un ruolo che non gli compete;
   l'effetto del decreto potrebbe provocare la modifica dei criteri di nomina dell'organismo: la Fabbriceria è composta da 8 membri laici e 4 di nomina ecclesiastica. Ai discendenti delle famiglie nobili della città si affiancherebbero quattro membri di nomina della Curia di Napoli, facendo così perdere alla Deputazione il suo carattere secolare di laicità e di autonomia dalla diocesi;
   le reliquie del sangue sono custodite dalla Deputazione della Cappella del Tesoro di San Gennaro che apre la cassaforte solo in occasione del miracolo. Se la Curia facesse parte della Deputazione potrebbe gestirlo con più disinvoltura rompendo una consolidata tradizione;
   la Deputazione è presieduta dal sindaco di Napoli, elemento che rafforza l'appartenenza alla città – e non alla diocesi – della cappella dove sono custodite le ampolle contenenti il sangue di san Gennaro, accanto ad – opere d'arte di valore inestimabile ed a tutti i gioielli donati al patrono nel corso dei secoli;
   la Deputazione si costituì nel 1601, quando i nobili della città diedero esecuzione ad un voto del popolo napoletano formulato nel 1527: erigere una cappella in onore del patrono per lo scampato pericolo nell'eruzione del Vesuvio ed a protezione della città di Napoli. Da allora, malgrado calamità, guerre e rivoluzioni e numerosi tentativi degli arcivescovi di assumerne il controllo, non ha mai tradito quel mandato mantenendo sempre la sua autonomia;
   il delegato agli affari legali, Riccardo Imperiali, di Francavilla riferisce ai numerosi tentativi fatti per rinnovare il vecchio statuto, risalente al 1894, assieme ai rappresentanti della Curia di Napoli e, dopo essere arrivati alla stesura definitiva, l'attuale cardinale Crescenzio Sepe ha semplicemente preferito ignorare il documento perché non conteneva l'unica parte che, a giudizio degli interroganti, davvero lo interessava, cioè la nomina dei «suoi» rappresentanti all'interno della Deputazione;
   l'intera vicenda è stata svelata dal quotidiano « il Mattino» del 28 e 29 febbraio 2016 con gli articoli «San Gennaro, entra la Curia – Bufera sul decreto di Alfano», «Cinque secoli di lotte per l'investitura» e «Ex sindaci e studiosi: San Gennaro appartiene alla città», tutti a firma del giornalista Pietro Treccagnoli nei quali tra le altre cose si rappresenta lo sconcerto di Riccardo Imperiali di Francavilla, delegato per gli affari legali della Deputazione che afferma «Il decreto del ministero degli Interni equipara la Deputazione a una Fabbriceria e rinomina arbitrariamente gli undici deputati in carica» –:
   se sia a conoscenza di quanto, esposto in premessa;
   se si intenda immediatamente fare chiarezza, per quanto di competenza ed autonomamente, rispetto alla natura della deputazione rispetto a quella della fabbriceria; le deputazioni sono enti che provvedono al mantenimento dei beni dei luoghi sacri, riconosciuti come persone giuridiche e vigilati dallo Stato, composti anche da rappresentanti ecclesiastici;
   se il Ministro dell'interno intenda chiarire i motivi che hanno spinto ad adottare un decreto che modifica in modo unilaterale la composizione di un'istituzione storica e laica come la Deputazione, che è diversa per finalità e storia dalla Fabbriceria;
   come intendano intervenire concretamente, per quanto di competenza, al fine di tutelare l'indipendenza, l'autonomia, la tradizione, la storia di un'istituzione di Napoli connessa con il sentimento del popolo della città di Napoli con il suo Santo patrono San Gennaro. (4-12345)


   NUTI, D'UVA, LUIGI DI MAIO, MICILLO e SARTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la direzione distrettuale antimafia ha inviato 15 avvisi di conclusione di indagini preliminari per voto di scambio aggravato per 13 persone dalla componente mafiosa, tra i quali vi sarebbero Lorenza Orefice (Udc), attuale sindaco di Casavatore, comune alle porte di Napoli, e il suo sfidante al ballottaggio, Salvatore Silvestri, ora consigliere comunale del PD;
   dalle indagini emerge un quadro inquietante di inquinamento della camorra all'interno dell'amministrazione pubblica e della politica cittadina di Casavatore;
   secondo la direzione distrettuale antimafia i rappresentanti politici locali, del centrodestra e del centrosinistra, alle elezioni amministrative del maggio 2015 promettevano beni e altre utilità, ma erano anche pronti a passare a minacce o veri e propri atti di violenza se non riuscivano a convincere gli elettori a votarli;
   la violenza intimidatoria veniva garantita dalla componente mafiosa per il coinvolgimento nella vicenda di personaggi appartenenti alla famiglia del boss Ernesto Ferone collegata al clan scissionista degli Amato-Pagano;
   tra gli indagati risultano esservi anche figure di primo piano dell'amministrazione comunale di Casavatore come il comandante dei vigili urbani Antonio Piricelli, e il maresciallo della polizia locale Vincenzo Orefice;
   oltre al sindaco e al capo dell'opposizione figurano indagati per metodo mafioso anche i consiglieri comunali Ciro Minichini (Lista civica, Lista Rossi) e Salvatore Pollice (Lista civica, Casavatore Lavora), entrambi inizialmente sostenitori del candidato Silvestri poi passati alla minoranza, e Giuseppe Pranzile (Lista civica, Un'altra Casavatore), attualmente parte della maggioranza consiliare;
   coinvolti, inoltre, risultano esservi gli aspiranti consiglieri che avevano svolto la campagna elettorale per il candidato Salvatore Silvestri, poi risultati non eletti, Ciro Rossi, Barbara Cozzolino, Mauro Ramaglia, e l'aspirante consigliere Paolo Spinuso, anch'egli risultato non eletto, che aveva sostenuto invece il candidato sindaco Lorenza Orefice;
   come riportato su Napolitime.it «Il candidato Pd Salvatore Silvestri, che nella “galassia dem” è ritenuto vicino ai “Giovani Turchi” di Matteo Orfini, si sarebbe avvalso del supporto elettorale di Massimo Minichini, sottoposto a sorveglianza speciale in quanto appartenente al clan. Quest'ultimo, in particolare, “stazionava stabilmente davanti alla sede del comitato elettorale”»;
   oltre a Massimo Minichini, risultano destinatari di avviso Nadia Sarnataro, moglie di Mauro Ramaglia, Giuseppe Pellegrino, operaio addetto all'affissione di manifesti elettorali per conto di una società privata e Salvatore Ferone, nipote di un capo clan locale e collegato con gli scissionisti di Scampia;
   secondo quanto scritto nell'informativa dei carabinieri riportata dagli organi di stampa: «Emblematica è la circostanza, asseritamente nota al sindaco eletto e al candidato sindaco perdente, della presenza, all'interno delle liste elettorali, di soggetti pregiudicati per reati associativi, estorsione, traffico di stupefacenti, nonché per violazioni della disciplina sulle armi. Anche le frequentazioni – che in nessun modo possono essere ritenute occasionali, in un comune ad alta densità demografica qual è Casavatore – assumono un deciso valore indiziante, in presenza di dati fattuali indicativi dell'influenza delle cosche sulla gestione amministrativa del comune. Ciò soprattutto quando sfociano anche in rapporti amicali, come nel caso del sindaco che ha partecipato ad un incontro conviviale con esponenti di spicco della locale criminalità organizzata, del primo cittadino con un familiare di un esponente del gruppo Ferone, legato ad un locale capocosca attualmente detenuto, vedi Ferone Ernesto. La vicinanza del sindaco alla criminalità organizzata impedisce di imprimere al comune il necessario cambiamento, prendendo le distanze dagli ambienti controindicati. È infatti difficile adottare prudenziali scelte politico-amministrative contrastanti con gli interessi malavitosi, laddove anche per gli affari privati vengono richieste prestazioni di soggetti appartenenti o contigui al clan. È rilevante la circostanza in cui il sindaco ha candidato, quale consigliere comunale, Pranzile Giuseppe, suocero dell'attuale reggente del gruppo camorristico egemone sul territorio Ferone Salvatore, il quale è stato puntualmente eletto e nominato consigliere di maggioranza»;
   il comune di Casavatore fu commissariato nel dicembre del 2014 per le dimissioni dell'ex sindaco Salvatore Sannino (PD) a seguito delle dimissioni di 9 consiglieri comunali –:
   se non intenda valutare i presupposti per attivare la procedura di cui all'articolo 143 e seguenti del testo unico sugli enti locali, decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;
   quali iniziative urgenti di competenza intenda intraprendere per contrastare la criminalità organizzata e le infiltrazioni malavitose nella provincia di Napoli, con particolare riferimento al comune di Casavatore al fine di garantire in questi territori una vita democratica e civile;
   se non intenda adoperarsi al fine di potenziare le capacità d'organico e di risorse delle forze dell'ordine che si trovano direttamente impegnate, con attività di prevenzione e contrasto, alla lotta alla criminalità organizzata in provincia di Napoli. (4-12360)

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AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   BORGHESE e MERLO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi tempi si è registrato un grosso flusso di emigrazione che fa ricordare quello del secondo periodo postbellico. L'attuale congiuntura economica fa prevedere che il fenomeno, lungi dall'arrestarsi, tenderà ad intensificarsi con un numero di persone, specialmente giovani, che saranno spinte lasciare il nostro Paese per cercare oltre confine il lavoro che qui in Italia manca; infatti, sono sempre più i cittadini italiani che si recano all'estero per motivi di studio e lavoro;
   questi nuovi migranti spesso non sono informati adeguatamente sulle procedure per ricorrere alle prestazioni sanitarie di cui si possono avvalere, specialmente nei caso di stretto bisogno;
   chi pensa di recarsi inoltre all'estero espressamente per interventi sanitari non sempre è a conoscenza del fatto che per ottenere il rimborso delle spese sostenute deve essere preventivamente autorizzato dall'ASL di riferimento e che la procedura in taluni casi deve essere seguita dal medico curante del Paese di origine;
   inoltre, le scuole che organizzano corsi linguistici all'estero a volte provvedono, per i propri studenti italiani in viaggio per motivi scolastici, alla stipula di apposite assicurazioni e, nel contempo, richiedono adempimenti da esplicare alle Asl competenti, si tratta cioè dei previsti modelli per la «Copertura sanitaria» incorrendo in numerose difficoltà burocratiche;
   le normative di riferimento su questo settore spesso non sono troppo chiare per quelle persone che si trovano nella necessità di doverne usufruire; in linea generale ci si attiene all'applicazione della circolare numero 33, che è carente in diversi aspetti, risale al dicembre dell'anno 1989 e si applica con misure diverse nei vari Paesi dell'Unione europea e negli altri Stati sulla base di specifiche convenzioni; infatti, risalta il fatto che ogni prestazione sanitaria ha le sue regole di rimborso; oppure in tanti casi ci si avvale della direttiva 2011/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2011, concernente l'applicazione dei diritti, dei pazienti relativi all'assistenza sanitaria transfrontaliera, ignorando che la direttiva però non si utilizza ai servizi nel settore dell'assistenza di lunga durata e ai programmi di vaccinazione per infezioni;
   ad esempio, i cittadini di Paesi extra – Unione europea non possono utilizzare la tessera per ricevere cure mediche in Danimarca e i cittadini croati non possono usare la tessera in Svizzera;
   la tessera sanitaria non serve per le operazioni di salvataggio e il rimpatrio. Se si vuole richiedere il trasferimento gratuito nel Paese di provenienza in caso di grave incidente o grave infermità mentre ci si trova in un altro, Paese dell'Unione europea, si dovrà avere una copertura assicurativa specifica;
   la tessera non copre inoltre l'assistenza sanitaria personale o i costi paramedici delle cure programmate in un altro Paese dell'Unione europea –:
   se i Ministri interrogati non intendano amplificare il personale delle strutture consolari nel comparto dell'assistenza sociale, in modo che possano farsi i carico di un primo orientamento informativo in loco dei nuovi migranti, allestendo appositi sportelli all'interno degli uffici consolari in grado di poter dare informazioni più corrette per i cittadini italiani che si recano all'estero per motivi sia di studio che di lavoro, oltre a fornire sostegno in quelle situazione estreme che si verificano con i cosiddetti «viaggi della speranza», in quanto i nuovi flussi migratori non sono controllati a livello scientifico dagli organi competenti. (4-12341)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE ROSA, MANNINO, MICILLO, BUSTO, ZOLEZZI, TERZONI e DAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel luglio 2014 è stata avviata una procedura d'infrazione (n. 2014/2147) nei confronti dell'Italia per quanto concerne il PM10, con l'invio di una lettera di messa in mora, per non aver rispettato, tra il 2008 e il 2012, in 19 zone ed agglomerati, i valori limite giornalieri (50μ/m3 da non superare più di 35 volte in un anno civile) e annuali (40μ/m3) stabiliti nell'allegato XI, della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria;
   peraltro, l'articolo 22 della direttiva in questione ammette che — ove sussistano determinate circostanze le quali rendano particolarmente difficoltoso, per alcune zone, il rientro al di sotto del valori limite suindicati — possa richiedersi, alla Commissione, di «derogare» al rispetto di detti parametri. Tale deroga, tuttavia, era stata consentita dalla direttiva non oltre la data dell'11 giugno 2011 e a condizione, peraltro, che lo Stato richiedente la stessa approntasse un «piano di gestione dell'aria», con il quale illustrasse tutti gli accorgimenti che intendeva adottare per mettersi in regola, entro il tempo consentito, rispetto ai parametri stabiliti dal già citato allegato XI;
   si precisa che l'inottemperanza, da parte dell'Italia, alle norme sulle concentrazioni massime di PM10 (e altri inquinanti gassosi) nell'aria ha già costituito oggetto di una procedura di infrazione, precisamente la n. 2008/2194, archiviata il 20 giugno 2013 dietro promessa, da parte italiana, dell'adozione di un cospicuo pacchetto di misure volto a ripristinare il rispetto dei massimali previsti dalla direttiva 2008/50/CE –:
   se e quali iniziative il Governo intenda intraprendere al fine di conseguire il superamento della procedura d'infrazione riportata in premessa.
(5-07994)


   DE ROSA, MANNINO, MICILLO, BUSTO, ZOLEZZI, TERZONI e DAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 28 maggio 2015 la Commissione europea ha inviato all'Italia una lettera di messa in mora (procedura di infrazione n. 2015/2043) per non aver ottemperato agli obblighi previsti dalla direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria, con riferimento al mancato rispetto dei valori limite di biossido di azoto (NO2) in 15 zone e agglomerati localizzati nel territorio delle regioni Lazio, Liguria, Lombardia, Molise, Piemonte, Sicilia e Toscana;
   la Commissione contesta anche la mancata attuazione di misure appropriate per garantire la conformità ai pertinenti valori limite di NO2 (in particolare, per mantenere il periodo di superamento il più breve possibile);
   la Commissione ha infatti rilevato che, benché la legislazione italiana (decreto legislativo n. 155 del 2010) abbia recepito integralmente i limiti orari (pari a 200μ/m3) ed annuali (pari a 40μ/m3) relativi al biossido di azoto, in ampie aree del territorio nazionale tali limiti non risultano rispettati –:
   se e quali iniziative il Governo intenda intraprendere al fine di conseguire il superamento della procedura d'infrazione riportata in premessa. (5-07995)


   DE ROSA, MANNINO, MICILLO, BUSTO, ZOLEZZI, TERZONI e DAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Cave di Casorezzo s.r.l. esercita attività estrattiva di sabbia e ghiaia già dal luglio 1969 nell'area sita a cavallo tra i comuni di Busto Garolfo e Casorezzo;
   nel 1994 regione Lombardia, a seguito di un lungo processo partecipativo delle comunità interessate volto all'istituzione di un parco locale di interesse sovracomunale (Plis), riconosceva parte del territorio dei comuni di Arluno, Busto Garolfo, Canegrate, Casorezzo e Parabiago come «Parco del Roccolo». A questi comuni si aggiungeva nel 1997 anche Nerviano;
   nella perimetrazione del parco le aree di cava vennero ricomprese nel suo territorio e vennero normate nel programma pluriennale degli interventi, lo strumento di pianificazione ambientale e gestionale del parco. Il piano, approvato nel marzo del 2000, stabilisce le linee guida e gli interventi finalizzati a tutelare e riqualificare il territorio individuato;
   uno specifico articolo – il 3.9 – vieta espressamente l'attivazione nel parco di discariche di qualsiasi tipo, salvo quelle di inerti provenienti da scavi e demolizioni, aventi finalità di bonifica ripristino ambientale nell'abito di cava cessata;
   nello stesso anno, nacque in modo spontaneo il Comitato Cittadini Antidiscarica di Busto Garolfo e Casorezzo per contrastare l'autorizzazione ad una «discarica di II categoria, tipo B per rifiuti speciali non pericolosi» presso l'area delle Cave di Casorezzo;
   la regione Lombardia respinse il progetto nell'ottobre 2000 evidenziando l'eccessiva vicinanza alle abitazioni (300 metri), la vocazione agricola della zona, il tutto in un contesto geologico ed idrogeologico ad elevata vulnerabilità, stanti i componenti ghiaiosi e sabbiosi del terreno e soprattutto in relazione alla falda acquifera con i suoi bassi valori di soggiacenza. Inoltre essendo, l'area ricompresa nel Parco del Roccolo, il piano in atto vietava espressamente qualsiasi tipologia di discarica, eccetto quelle di inetti provenienti da scavi e demolizioni finalizzati al ripristino ambientale;
   il 5 luglio 2002 fu sottoscritta una convenzione tra i comuni di Busto Garolfo, Casorezzo, Parco del Roccolo e soc. Cave di Casorezzo s.r.l., recepita anche dalla provincia, al fine «di garantire la tutela ambientale, così come previsto dal Piano Pluriennale degli Interventi (PPI)», definendo altresì i volumi di scavo, una riduzione delle tariffe medie dei costi di conferimento degli inerti da scavi e demolizioni, unitamente agli interventi di ripristino per recuperare il territorio cavato in un contesto di pieno equilibrio ambientale, dettagliando le tipologie di rifiuti da utilizzare per le modellazione delle sponde;
   nel 2006 entrava in vigore il nuovo piano cave della provincia di Milano che in inquadrava l'area delle Cave di Casorezzo con la sigla ATEg11, prevedendo un volume di piano di escavazione per il decennio 2006-2016 di mc. 2.140.000 con destinazione finale programmata ad uso fruitivo di interesse sovracomunale;
   nel 2008 il Comitato antidiscarica fu chiamato a contrastare una nuova autorizzazione (la n. 335 del 2.10.2008): per la prima volta si ammettevano terre e rocce provenienti da siti contaminati, poiché si considerava questa modifica una variante non sostanziale della precedente autorizzazione,
   contro questa disposizione, al fine del suo annullamento, vennero presentati diversi ricorsi di cui uno straordinario al Presidente della Repubblica, che si è concluso con una verifica tecnica solo per il lotto 2 e con l'indicazione che le concentrazione contaminanti dei rifiuti devono essere inferiori a quelle della colonna B, tabella 1, allegato 5, parte IV del decreto legislativo 156 del 2006. L'ultima autorizzazione in ordine di tempo risale a luglio del 2012 e prevede una nuova variante che consente alla Società di smaltire nuovi rifiuti in aggiunta a quelli già autorizzati;
   l'Arpa Lombardia ha accertato che i conferimenti di materiale si sono interrotti nel 3 marzo 2005, non essendo stati utilizzati l'autorizzazione provinciale e il rinnovo ottenuto nel 2006. Per questo motivo l'Arpa Lombardia ha ritenuto di escludere ulteriori rinnovi dell'autorizzazione n. 335/2008;
   la società Ditta Cave di Casorezzo si è fusa nel 2010 nella Inerti Ecoter Sga s.r.l. e, nel settembre 2012, ha ceduto il ramo di azienda denominato «Cave di Casorezzo» alla SOLTER s.r.l.;
   già nel 2007 il parco del Roccolo è stato considerato area strategica e inserita fra le 35 aree prioritarie per la biodiversità nella pianura padana Lombarda;
   il 23 aprile 2015 la regione Lombardia confermava il rigetto dell'istanza di autorizzazione integrata ambientale (IPPC) presentata dalla ditta Solter s.r.l., con sede legale in via Roma, 75 nel Comune di Paderno Dugnano (Milano), ai sensi dell'articolo 29-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006 per l'installazione di discarica per rifiuti contenenti amianto di cui alla categoria 5.4 dell'allegato VIII alla parte seconda del medesimo decreto, da realizzarsi in via delle Cave nel comune di Busto Garolfo (Milano);
   nel giugno 2015, Solter presentava un nuovo progetto, sempre di «ripristino tramite riempimento» con materiali come da elenco allegato. Alla conferenza di servizi, la città metropolitana di Milano ha richiesto numerose integrazioni alla società proponente;
   le amministrazioni e i comitati hanno tempo fino al 16 marzo 2016 per presentare le osservazioni sulle integrazioni consegnate –:
   se il Governo non intenda promuovere l'intervento del nucleo operativo ecologico dei Carabinieri per valutare l'entità e la tipologia dei conferimenti avvenuti in discarica – sulla quale pende una diffida per sversamento di percolato in un campo adiacente coltivato – controllando l'effettiva quantità delle escavazioni, nel quadro delle iniziative volte ai ripristini (normati dalla Convenzione firmata nel 2002) ed alla definitiva chiusura delle attività, come riportato dalla Convenzione. (5-08003)


   MARTELLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   una ondata di maltempo ha interessato nell'ultimo week end di febbraio 2016 tutta la provincia di Venezia abbattendosi con particolare violenza lungo il litorale con raffiche di bora fino a 50 nodi e pioggia battente con 60 millilitri caduti in poche ore;
   purtroppo, le previsioni non hanno sbagliato e la mareggiata tanto temuta ha interessato il tratto di litorale compreso tra Jesolo ed Eraclea;
   il litorale jesolano si stima che abbia perso circa 20 mila metri cubi di sabbia, in una sola notte;
   il punto peggiore è in Pineta, dove il mare ha superato le torrette del salvataggio e le onde sono arrivate fino alla duna alzata dai consorzi per proteggere la spiaggia;
   purtroppo, la mancanza di protezioni strutturali continua a esporre la costa veneziana all'erosione e a breve sono attese altre precipitazioni che potrebbero ulteriormente aggravare la situazione;
   le conseguenze ambientali ed anche economiche per gli operatori turistici sono drammatiche –:
   se il Governo sia a conoscenza di tale situazione e quali iniziative di competenza intenda intraprendere, d'intesa con gli enti territoriali competenti, per affrontare il problema dell'erosione e sostenere gli operatori economici che periodicamente subiscono ingenti danni dalle avversità atmosferiche lungo il litorale. (5-08006)

Interrogazione a risposta scritta:


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il depuratore di Crotone da circa un anno è sostanzialmente «bloccato» e non depura nulla. La gravissima situazione finanziaria della società SOAKRO spa, oggi fallita, che gestiva l'ambito territoriale ottimale della provincia di Crotone (ATO 3), ha impedito una corretta gestione degli impianti di tutta la provincia;
   in aggiunta a tutto ciò occorre considerare che il dipartimento provinciale Arpacal di Crotone, per tutto il 2015, non ha effettuato nessun tipo di controllo, a causa di un depotenziamento della sede, causato dal trasferimento presso altre sedi del personale assunto su Crotone (15 unità);
   gli impianti di depurazione a fanghi attivi, come sono tutti quelli della provincia di Crotone, producono un eccesso di fanghi che devono essere rimossi dagli impianti. Questi fanghi sono rifiuti speciali, che devono essere smaltiti in discarica con costi che oscillano mediamente tra 120-150 euro/tonnellate oltre Iva. Solo l'impianto di Crotone produce circa 20 tonnellate di fanghi di supero al giorno (umidità 25 per cento), che dovrebbero essere rimossi, per assicurare un equilibrio tra carico inquinante in ingresso e un'attività biologica corretta. Questi fanghi se non sono rimossi «bloccano» un impianto;
   gli impianti di Crotone sono obsoleti e sottodimensionati. Senza scendere nei dettagli tecnici, si può sintetizzare la carenza del depuratore nei seguenti punti:
    a) gli impianti sono sottodimensionati per numero di abitanti equivalenti, ciò significa che teoricamente dovrebbero essere trattati liquami per 72.000 AE, mentre in realtà arriva un carico inquinante di almeno 87.360 AE;
    b) il carico inquinante unitario considerato negli anni ’80, quando sono stati fatti lavori di ammodernamento agli impianti, è notevolmente inferiore a quello reale che andrebbe considerato (BOD5 specifico applicato: 30 g/abitante * giorno – BOD5 specifico da normativa: 60 g/abitante * giorno);
    c) le vasche di denitrificazione del comparto biologico dovrebbero avere un volume di reazione pari a 3.830 metri cubi, mentre il volume delle vasche attuali è di 1.005 metri cubi; questo implica che la denitrificazione, per avvenire in queste condizioni, necessita di rapporti di riciclo elevati, cioè occorre far ritornare nell'impianto un volume grande di reflui, invece di farli uscire, con conseguente maggiorazione dei costi energetici;
    d) la produzione dei fanghi di supero giornaliera è il triplo di quella prevista, cioè 3.493 chilogrammi di sostanza secca invece di 1.264 chilogrammi, che con un grado di umidità di circa il 18 per cento, corrisponde a una produzione di rifiuti di circa 20 tonnellate/giorno, con un costo di 2.400 euro/giorno;
    e) gli impianti sono dotati di una linea di trattamento fanghi (digestione anaerobica) che avrebbe permesso una considerevole riduzione dei fanghi (35-40 per cento) e un loro recupero energetico, peccato non sia mai entrata in funzione;
    f) i fanghi prodotti in queste condizioni, dopo un semplice passaggio alla nastro pressa, non hanno nemmeno le caratteristiche per essere smaltiti in discarica tal quali, perché non hanno un contenuto di residuo secco di almeno il 25 per cento; ciò obbliga a considerare lo stoccaggio dei fanghi nei letti di essiccamento per consentire un abbattimento dell'umidità, oppure si dovrebbero ulteriormente trattare con un trattamento chimico fisico, ad esempio l'aggiunta di calce viva, e un ulteriore aumento dei costi;
   nelle scorse settimane tutti i reflui di Crotone by-passando il depuratore sono confluiti direttamente nel fiume Esaro. Non è che le cose siano cambiate di molto, perché con il depuratore «bloccato» sostanzialmente i reflui non subivano nessuna depurazione e venivano scaricati nel torrente Papaniciaro, il quale dopo poche centinaia di metri riversavano comunque nel fiume Esaro. L'impatto visivo è però notevole. Lo scarico fognario cittadino sotto gli occhi di tutti –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto denunciato in premessa, quale sia il loro orientamento e se non ritengano di dover promuovere una verifica del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente al fine di monitorare i livelli di inquinamento marini e torrentizi;
   se intendano promuovere per il tramite dell'Istituto superiore di sanità un'approfondita indagine epidemiologica per valutare e qualificare gli effetti dell'inquinamento del fiume Esaro sulla salute dei cittadini;
   se non si ritenga opportuno avviare dei controlli più stringenti sulla gestione degli impianti di depurazione sul territorio italiano, a fronte dei numerosi illeciti portati alla luce in questi anni dai carabinieri del NOE e dalle altre forze dell'ordine, ipotizzando anche un'iniziativa normativa volta al rafforzamento dei controlli, nell'ambito del sistema delle agenzie per la protezione dell'ambiente. (4-12338)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   D'UVA, VACCA, DI BENEDETTO, DAGA e LOMBARDI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 febbraio 2016 il quotidiano Il Messaggero pubblicava, sulla propria edizione cartacea, un articolo titolato «Genazzano, outlet su villa romana: scatta la protesta»;
   così come riportato dall'articolo, i cittadini e i comitati del comune di Genazzano (Roma) sono «sul piede di guerra contro la costruzione di un insediamento commerciale sui resti di una villa romana»;
   secondo quanto riferito dallo stesso quotidiano «la soprintendenza ha effettuato dei sondaggi archeologici su un'area molto parziale, mentre sul resto della particella i segni dell'esistenza di una villa sarebbero inconfutabili»;
   in data 27 novembre 2015 i cittadini del comune di Genazzano hanno inteso inviare una lettera di chiarimenti direttamente alla direttrice del museo archeologico di Palestrina, nonché alla soprintendenza archeologica competente, senza ottenere, tuttavia, alcun tipo di riscontro;
   dalla lettura del quotidiano emergono, inoltre, gli stessi contenuti del documento inviato alle autorità citate, all'interno del quale venivano riportati «riferimenti ben dettagliati che avrebbero richiesto, quanto meno, un'immediata verifica su quanto stava accadendo in località Madonnella Formalicchio, in quel terreno sottoposto (solo in parte) ad un sondaggio archeologico preventivo»;
   «dai reperti rinvenuti in loco», continua l'articolo riportando il contenuto della lettera, «ci siamo resi conto che il sottosuolo è ricco, archeologicamente parlando, di tesori inestimabili. Ci risulta che il sondaggio abbia interessato una porzione ridotta dell'area, a fronte dell'estensione della zona»;
   «il dubbio più grande», conclude il quotidiano, «sta nel fatto che la campagna di scavi avrebbe interessato solo la particella numero 95 del foglio 15, dove negli anni non si segnalano rinvenimenti, mentre sono state tralasciate le particelle numero 5, 7, 8 e 185 sulle quali il proprietario ha rinvenuto e consegnato al museo archeologico di Prenestina decine di reperti»;
   gli stessi cittadini dichiarano dalle pagine del giornale di essere «pronti ad andare oltre, chiedendo l'intervento del Ministro Franceschini»;
   dalla lettura dell'articolo, ad avviso degli interroganti, emerge con urgenza la possibilità che le autorità competenti dispongano un'accurata ed estesa verifica presso l'area di cui in premessa, facendo emergere, ove riscontrato, l'eventuale presenza di elementi dall'importantissimo valore archeologico presso il sito, a oggi destinato alla chiusura di un edificio commerciale, sottoponendo lo stesso alle necessarie tutele storico e artistiche previste dalla normativa in materia;
   ad avviso degli interroganti è necessario scongiurare la possibilità che i reperti archeologici eventualmente presenti nel sottosuolo possano andare perduti a causa di una inefficace verifica, anche in considerazione del differente grado di tutela offerto dall'ordinamento ai due possibili interessi, ovvero quello storico-culturale e quello edilizio-commerciale –:
   se intenda, nei limiti delle sue competenze, adoperarsi affinché sia disposta una celere ed accurata verifica archeologica presso il sito attualmente destinato alla costruzione di un insediamento commerciale presso il comune di Genazzano (Roma), con particolare riferimento alle particelle indicate in premessa. (4-12342)

DIFESA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VILLECCO CALIPARI, SCANU, D'ARIENZO, BOLOGNESI, PAOLA BOLDRINI, FUSILLI, MARANTELLI, SALVATORE PICCOLO, ROSTELLATO, STUMPO e ZANIN. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in occasione del 70o anniversario della Resistenza e della guerra di Liberazione, il Ministro della difesa ha riservato una particolare e lodevole attenzione a coloro che hanno partecipato e contribuito alla Resistenza ed alla guerra di Liberazione, deliberando una medaglia commemorativa denominata: «Medaglia della Liberazione»;
   per l'allestimento di detta medaglia, si è assunto a presupposto la visita compiuta, il 31 gennaio 2015, dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al Mausoleo delle Fosse Ardeatine, ispirandosi pertanto alla cancellata del predetto Monumento, opera dello scultore Mirko Basaldella;
   nel corso della cerimonia nazionale dell'aprile 2015, il Ministro della difesa, Roberta Pinotti, ha conferito la medaglia «alla memoria» ai labari delle associazioni nazionali partigiane di Anpi, Fivl, Anpc, Fiap, Anrp, Ancfargl, a ricordo dei caduti. Ha inoltre insignito del riconoscimento dieci partigiane e partigiani di ciascuna associazione, quali testimoni rappresentativi anche di tutti gli scomparsi successivamente alla Liberazione e prima del 25 aprile 2015;
   le associazioni sopra menzionate, con intensa e fattiva collaborazione, hanno dato luogo nei mesi scorsi in tutto il Paese, anche tramite le loro strutture presenti nelle province e nei comuni, a diffusi contatti con migliaia di partigiane e di partigiani, loro famiglie e loro amici per raccogliere le richieste di riconoscimento;
   il conferimento delle medaglie avviene nel corso di eventi locali decisi dai prefetti, in collaborazione con i sindaci e sentito il parere delle associazioni e ciò a seguito della collaborazione in atto tra Ministeri della difesa e dell'interno, l'ANCI e le associazioni partigiane;
   si tratta di una iniziativa che rende onore al valore storico degli atti che ha o dato luogo alla Resistenza e alla guerra di Liberazione e alle partigiane ed ai partigiani che ne sono stati protagonisti e che assume anche un significato educativo e in grado di mantenere viva la memoria di una pagina fondativa della storia della Repubblica –:
   quanti partigiane e partigiani siano stati segnalati al Ministero della difesa per il riconoscimento, oltre che la loro suddivisione per ciascuna associazione;
   quante medaglie siano state coniate e in quante province siano già state conferite o siano in via di conferimento;
   entro quale data saranno certamente coniate e conferite le restanti medaglie posto che ciò è ragionevole che avvenga con sollecitudine, come richiedono con insistenza innanzitutto le associazioni anche in considerazione dell'età avanzata dei richiedenti;
   se il Ministero della difesa, come richiedono l'ANPI e le altre associazioni, non ravvisi l'urgente necessità, di fornire indicazioni, affinché gli eventi locali per la consegna della Medaglia della Liberazione siano programmati sul piano nazionale e prevedano l'invito a partecipare, con l'espressione di adesioni motivate, oltre che di esponenti del Governo e dirigenti delle associazioni, anche di parlamentari, rappresentanti delle istituzioni locali e regionali, di sindacati ed espressioni della società civile. (5-08007)


   BASILIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il tragico incidente che, il 24 maggio 2012, ha causato la morte del Nocchiere Alessandro Nasta, mentre era a bordo della nave Amerigo Vespucci è noto a tutti, non solo per il clamore mediatico della vicenda, ma anche per una inchiesta della procura della Repubblica di Civitavecchia, che ha generato un processo penale, tuttora in corso presso il competente tribunale, con rinvio a giudizio degli imputati e udienza di apertura del dibattimento fissata per il 16 marzo 2016;
   l'interrogante, con l'atto di sindacato ispettivo n. 4-08896 presentato in data 22 aprile 2015 ancora senza risposta, ha esplicitamente chiesto al Ministro della difesa dettagli relativi al giudizio di idoneità al servizio del Nocchiere Nasta, al mancato sequestro della nave a seguito dell'incidente, al mancato utilizzo dei dispositivi anticaduta da parte della Marina militare;
   con la predetta interrogazione, si chiedeva al Ministro anche l'eventuale sospensione precauzionale dal servizio per i vertici della Marina militare rinviati a giudizio nell'ambito del processo penale attualmente pendente innanzi al tribunale di Civitavecchia;
   successivamente alla predetta interrogazione, attraverso formale richiesta di accesso ai documenti amministrativi, indirizzata all'ufficio rapporti con il Parlamento del Ministero della difesa, l'interrogante ha tentato di reperire ulteriori informazioni in relazione ai fatti di cui sopra, chiedendo la trasmissione dei documenti relativi alla Nave Scuola Amerigo Vespucci e dei processi verbali del consiglio di sicurezza e servizio di prevenzione e protezione;
   sia il predetto ufficio che la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi hanno esplicitamente negato la trasmissione dei documenti richiesti, affermando che l'esercizio del mandato parlamentare non rappresenta condizione di per sé sufficiente per motivare l'istanza e rinviando ogni ulteriore iniziativa al potere di sindacato ispettivo;
   i predetti quesiti, ancora di stringente attualità, necessitano pertanto di dettagliate e puntuali risposte da parte del Ministro interrogato;
   il processo penale che si celebra presso il tribunale di Civitavecchia e che conta numerosi imputati, tra cui esponenti al vertice della Marina militare, in caso di condanna degli stessi potrebbe comportare un notevole danno di immagine al prestigio ed al decoro della Marina e dell'intero comparto difesa;
   l'udienza di apertura del dibattimento è fissata per il 16 marzo 2016 ed, entro tale data, è possibile formalizzare la costituzione di parte civile nel processo penale –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in relazione a quanto esposto in premessa;
   se considerato il clamore, l'impatto mediatico e soprattutto il danno d'immagine al decoro ed al prestigio della Difesa nell'ipotesi di eventuale condanna degli imputati, si intenda valutare l'ipotesi della costituzione di parte civile del Ministero della difesa nel processo penale, entro l'udienza prevista per il 16 marzo 2016 presso il tribunale di Civitavecchia.
(5-08008)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FANTINATI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Monte Moscal di Affi, in provincia di Verona, nasconde il più grande bunker antiatomico d'Europa: il «West Star», attualmente proprietà del V Reparto infrastrutture dell'Esercito romano;
   realizzato negli anni della «guerra fredda», costituiva il comando delle forze operative terrestri della NATO nel sud Europa in caso di guerra, nonché la sala operativa della V APAF dell'Aeronautica della NATO per la difesa aerea, la cui sede si trovava e si trova presso l'Aeroporto Dal Molin di Vicenza;
   è una struttura di 13 mila metri quadrati suddivisi in due piani più l'interrato che conteneva cavi e sistemi di comunicazione. Poteva ospitare fino a 500 persone in oltre 110 stanze con tre ingressi ed una galleria di accesso;
   progettato per essere completamente autonomo in caso di attacco nucleare — con l'aria interna filtrata e mantenuta sotto pressione senza contatti con quella esterna, vasche per l'acqua potabile, infermerie, cucina, docce antiradiazioni, filtri antiatomici, un sistema antisismico — durante l'arco della sua operatività, il bunker è stato costantemente aggiornato e ammodernato;
   la base è rimasta attiva dal 1966 al 2007 quando fu ceduta dalla Nato al Ministero della difesa, ancora funzionante. L'uso militare del bunker, però, fu abbandonato nel 2010, dopo il sopralluogo dell'allora Ministro della difesa, che confermò la proposta dei vertici militari di dismettere la base. Dal 2010, dunque, «West Star» perse interesse per i militari, ma continuò ad essere video-sorvegliato e con gli impianti di aerazione funzionanti al minimo;
   con la cessione al Ministero della difesa, la custodia del sito antiatomico è stata affidata al 5o reparto infrastrutture (sezione distaccata di Verona);
   secondo notizie di stampa, il 10 giugno 2015, il «Comando infrastrutture nord» ha sollecitato l'Agenzia del demanio del Veneto a «rendere note le azioni eventualmente già intraprese in esito alla richiesta del comune di Affi, ovvero se sussistano elementi ostativi all'auspicata acquisizione da parte dell'amministrazione locale»;
   nel 2010, la finanziaria regionale autorizzava il Veneto a stipulare una convenzione con il Ministero della difesa per un progetto di valorizzazione turistica e culturale del rifugio antiatomico, per cui furono stanziati 100 mila euro l'anno per tre anni, fino al 2012, ipotizzando la creazione di un museo sulla «guerra fredda», per scongiurare, così, le voci che individuavano la struttura come sito per lo stoccaggio di scorie radioattive;
   non si conosce quale sia lo stato dei lavori che avrebbero dovuto valorizzare «West Star» trasformandolo in un centro d'interesse turistico-culturale;
   di recente, una pubblicazione a carattere locale, ha riferito di un'esplosione, avvenuta nel 2013, all'interno di «West Star»: «manca la luce dal 2013, quando, secondo fonti militari, scoppiarono dei grossi fusibili dell'impianto elettrico: l'esplosione fu accompagnata da una grande boato ed avvenne mentre all'interno si trovavano alcuni dipendenti della Difesa addetti al controllo, che pensarono ad un terremoto ed ebbero l'impressione che il monte Moscal stesse collassando. Persero persino l'orientamento e riuscirono ad uscire incolumi con le torce dei loro cellulari, ma presero un gran spavento. Da allora la base non ha più ricevuto la corrente elettrica ed è stata trasformata in “Infrastruttura Non Attiva” (Ina). Ma il bunker è ancora “sotto attacco”: nell'estate del 2015 ci sono stati degli atti di vandalismo al suo interno e così, da settembre, lo Stato Maggiore non rilascia più autorizzazioni per visite all'ex base Nato. Oggi, a distanza di otto anni dalla dismissione delle attività militari, non se ne conosce ancora il suo destino» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   considerando che si tratta di un sito di grande rilevanza storica, quali iniziative di competenza intendano adottare per riqualificare il rifugio anti-atomico a fini espositivi e renderlo una meta turistica visitabile. (4-12343)


   SCOTTO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Civitavecchia, e più precisamente nel comprensorio militare di S. Lucia, è ubicato il Centro tecnico logistico interforze (Ce.T.L.I) NBC, ente del Ministero della difesa, unico in Italia, con compiti di studio, verifiche ed applicazioni di carattere militare nei settori nucleare, biologico e chimico;
   fra i molteplici compiti di istituto dell'ente c’è quello di demilitarizzazione delle armi e degli aggressivi chimici ritrovati sul territorio nazionale e risalenti alla prima e seconda guerra mondiale;
   l'attività di distruzione di armi chimiche viene svolta in ottemperanza della legge n. 496 del 1995, con la quale lo Stato italiano ha ratificato la Convenzione internazionale del 31 gennaio 1993 di Parigi sulla proibizione dello sviluppo, immagazzinaggio ed uso di armi chimiche;
   l'attività di demilitarizzazione delle armi chimiche viene svolta con l'utilizzo di impianti industriali costruiti allo scopo, ognuno per il tipo di aggressivo da distruggere, situati nel medesimo sito;
   tale attività, svolta sotto il controllo degli ispettori internazionali dell'OPAC (Organizzazione per la proibizione armi chimiche), ha permesso di smaltire nel tempo ingenti quantitativi di sostanze, quali ad esempio yprite, adamsite, cloridina solforica, fosgene e proiettili a caricamento chimico;
   attualmente, restano da smaltire circa 15.000 – 20.000 proiettili a caricamento chimico, che rappresentano circa la metà del quantitativo dei proiettili ritrovato nel corso degli anni;
   i residui di tutta la lavorazione effettuata fino ad oggi, stoccati in monoliti di cemento ed attualmente accatastati a «cielo aperto» presso l'ente in un'area dedicata, rappresentano anch'essi un problema di primaria importanza;
   dopo la demilitarizzazione, infatti, restano dei residui chimici, fra i quali il più importante è l'arsenico;
   a seguito del contatto con gli agenti meteorici i contenitori rilasciano tale sostanza, che potrebbe inquinare il territorio circostante posto a monte dei centri abitati;
   in risposta ad un'interrogazione avente per oggetto la realizzazione di un impianto ossidatore termico presso il Ce.T.L.I. NBC, il Governo, il 20 marzo 2014, nel confermare la realizzazione dell'impianto, ha dichiarato che esso è necessario per superare il ritardo nello smaltimento degli aggressivi chimici, attualmente svolto tramite tecnologie meccaniche progettate negli anni ’80 – ’90 che impediscono di ottemperare pienamente agli impegni assunti con la Convenzione di Parigi;
   il territorio di Civitavecchia è già fortemente compromesso dal punto di vista ambientale per la presenza di impianti Enel, alimentati anche a carbone, del porto e di altri numerosi insediamenti industriali;
   a tal proposito si sono espressi più volte contro qualsiasi forma di combustione gli enti istituzionali di tutti i livelli, prendendo atto di una gravissima situazione epidemiologica;
   specificatamente per quanto attiene alla realizzazione dell'ossidatore termico, gli stessi enti istituzionali hanno manifestato la propria contrarietà;
   ci si riferisce, in particolare, al comune di Civitavecchia, alla provincia di Roma e alla regione Lazio;
   in tutti e tre i casi il voto fu unanime, a dimostrazione di come il tema sia trasversalmente sentito;
   il gruppo consiliare regionale del Lazio di Sinistra Italiana ha già presentato alla commissione regionale competente richiesta di audire le autorità militari –:
   se non ritenga opportuno interrompere immediatamente la costruzione dell'impianto in questione, considerata la totale e unanime contrarietà di tutte le istituzioni territoriali e della popolazione residente;
   se non ritenga necessaria un'immediata convocazione delle istituzioni del territorio di Civitavecchia e di Allumiere, della città metropolitana di Roma Capitale e della regione Lazio, considerato anche l'ingente stanziamento economico previsto e la mancata conoscenza di elementi tecnici dell'impatto che tale opera può avere su ambiente, sicurezza e salute delle popolazioni;
   se non ritenga improcrastinabile ed urgente assumere iniziative, per quanto di competenza, per la bonifica dell'area ove sono stoccati già da diversi anni i monoliti contenenti i residui delle lavorazioni, che rappresentano un pericolo gravissimo;
   se non ritenga opportuno valorizzare e rilanciare le altre molteplici attività del Ce.T.L.I. NBC, unico ente in Italia con competenze nucleari, batteriologiche e chimiche di rilevante importanza, dotato di laboratori e know how, e contemporaneamente prevedere la dismissione delle attività di demilitarizzazione. (4-12346)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   BALDASSARRE, ARTINI, BECHIS, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nella legge di stabilità 2016 è stato previsto un periodo di tempo pari a 60 giorni, già trascorsi, per l'emanazione della circolare dell'Agenzia delle entrate relativa al credito d'imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno previsto dalla legge stessa;
   la legge ha introdotto un credito d'imposta per l'acquisto di beni strumentali nuovi destinati a strutture produttive localizzate al Sud, calcolando un fabbisogno di 617 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017, 2018 e 2019;
   il credito d'imposta è differenziato in relazione alle dimensioni aziendali: 20 per cento per le piccole imprese, 15 per cento per le medie imprese, 10 per cento per le grandi imprese. Dà diritto al credito d'imposta l'acquisto, anche tramite leasing, di macchinari, impianti e attrezzature destinati a strutture produttive nuove o già esistenti;
   secondo fonti di stampi l'Agenzia delle entrate non potrebbe emettere la circolare per questioni connesse alla copertura finanziaria delle misure sopra richiamate;
   ciò rischia di incidere negativamente sulla portata della misura, che proprio nel 2016 dovrebbe dispiegare i suoi effetti più significativi –:
   se sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa e quali iniziative urgenti intenda assumere per risolvere le criticità sopra descritte concernenti le misure in materia di credito d'imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno. (4-12351)


   CARIELLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dalle molte informazioni diffuse a mezzo stampa, si apprende la notizia di un maxi pignoramento di Equitalia, notificato a settembre 2015, nei confronti della Materdomini SSD, chiamata a pagare una cifra superiore di sette milioni di euro, comprensivi di interessi di mora e compendi di riscossione dei tributi Iva non versati, pari a quasi sei milioni di euro;
   gli accertamenti in merito sarebbero partiti diversi anni fa, in seguito ad una operazione della Guardia di finanza;
   il presidente del Sodalizio Materdomini srl e della Materdomini SSD è stato chiamato a giudizio il 24 aprile 2013 dalla commissione giudicante nazionale su richiesta della procura federale per aver violato principio di lealtà e probità, quale tesserato Fipav e Presidente pro tempore;
   la stessa commissione giudicante nazionale aveva inflitto, a carico del tesserato Michele Miccolis, la sanzione di sospensione da ogni attività federale per mesi due e, a carico del sodalizio Materdomini srl, in persona del suo presidente pro tempore, la sanzione della multa di soli trecento euro per aver trasferito in modo illegale ad altra società sia attività, sia cartellini degli atleti, di fatto svuotando la vecchia società;
   in data 23 novembre 2015 il presidente Michele Miccolis si è dimesso dalla carica di vice-presidente del consiglio d'amministrazione della Lega pallavolo Serie A;
   i reati tributari connessi alle dichiarazioni fiscali e agli inadempimenti contabili e documentali sono disciplinati dal decreto legislativo n. 74 del 2000;
   il decreto-legge n. 138 del 2011 ha apportato numerose modifiche in materia di sanzioni penali tra cui:
    l'abbassamento delle soglie di punibilità;
    l'aumento di un terzo dei termini di prescrizione ordinaria;
    la limitazione all'accesso a istituti premiali o a circostanze attenuanti;
    la non applicazione dell'istituto della sospensione condizionale della pena (articolo 163 del codice penale) quando l'ammontare dell'imposta evasa è superiore contemporaneamente al 30 per cento del volume d'affari e a 3 milioni di euro;
   il decreto legislativo n. 242 del 23 luglio 1999, all'articolo 1, recita «Il Comitato olimpico nazionale italiano, di seguito denominato CONI, ha personalità giuridica di diritto pubblico, ha sede in Roma ed è posto sotto la vigilanza del Ministero per i beni e le attività culturali»;
   l'articolo 5, comma 5, lettera e-bis del decreto legislativo 242 del 1999 «stabilisce i criteri e le modalità di esercizio dei controlli da parte delle federazioni sportive nazionali sulle società sportive di cui all'articolo 12 della legge 23 marzo 1981, n. 91. Allo scopo di garantire il regolare svolgimento dei campionati sportivi il controllo sulle società di cui alla citata legge n. 91 del 1981 può essere svolto in via sostitutiva dal CONI in caso di verificata inadeguatezza dei controlli da parte della federazione sportiva nazionale»;
   l'articolo 10 della legge n. 91 del 1981 recita «...L'affiliazione può essere revocata dalla federazione sportiva nazionale per gravi infrazioni all'ordinamento sportivo» –:
   se il Governo sia venuto a conoscenza dei fatti in questione;
   se il Governo non intenda assumere iniziative volte ad una rigorosa verifica di tale evasione fiscale;
   se risultino altri casi come quello esposto in premessa e se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative normative volte a evitare che si producano situazioni analoghe. (4-12354)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dalle dichiarazioni ufficiali riguardanti i rilievi sulla contabilità operati ex articolo 239 del Tuel e le contestuali dimissioni dell'organo revisore del comune di Paladina risultano delle evidenti problematiche finanziarie in capo all'ente comunale;
   nell'atto si legge come, nel corso delle verifiche, siano state riscontrate diverse anomalie contabili e gestionali tali da pregiudicare gli equilibri di bilancio sia per quanto concerne la gestione corrente che la gestione dei residui, con particolari rilievi in merito ai debiti fuori bilancio: innanzitutto, l'esame dello stato di avanzamento degli accertamenti e degli impegni riguardanti la competenza dell'esercizio 2015 e il relativo stato delle riscossioni e dei pagamenti al 31 dicembre 2015 ha evidenziato possibili squilibri sulla gestione complessiva dell'ente;
   in particolare, con l'esame del revisore, tra le altre irregolarità, sono state riscontrate: la mancanza dei registri relativi alla tenuta dell'annotazione delle fatture dei corrispettivi IVA, delle liquidazioni trimestrali e delle dichiarazioni annuali; l'omissione della dichiarazione irap 2013 (l'ultima che risulta presentata è del 2013, quindi relativa al 2012); una non corretta fatturazione a causa della mancata applicazione dell'imposta ad alcune fatture; altre irregolarità suscettibili di creare presupposti per debiti fuori bilancio, quali le fatture dei consumi energia elettrica di competenza 2014 che non trovano copertura in bilancio ma che risultano già pagate con addebito automatico;
   inoltre, risultano alcune determine di impegno che non sono state caricate in contabilità, tra le quali quella relativa al supporto per l'armonizzazione contabile, e altri impegni di spesa non risultano caricati in bilancio;
   sembrerebbe quindi che non siano state rispettate molte delle procedure contabili ed amministrative, anche a causa del mancato impiego di personale adeguatamente formato, con considerevole pregiudizio dell'amministrazione finanziaria comunale;
   non sarebbero state poi rispettate le fasi di spesa che prevedono il caricamento degli impegni come prima operazione da espletare, secondo quanto stabilito dall'articolo 182 del Tuel, ed emergono situazioni di mancato rispetto del principio di competenza, a causa, ad esempio, del pagamento di fatture relative all'esercizio 2013 pagate su impegni di competenza 2014, e mandati di pagamenti emessi a favore di un creditore diverso da quello per il quale è stato preso l'impegno di spesa;
   il revisore dei conti ha inoltre denunciato, a causa della impossibilità di accesso alla relativa documentazione, la mancata verifica della conformità delle spese riguardante il personale oltre al mancato rispetto delle nuove regole contabili che prevedono la competenza potenziata con l'iscrizione in bilancio delle solo entrate certe liquide ed esigibili: non sembra dunque essere stata adeguatamente rispettata la normativa sulle imputazione delle spese e manca l'adeguamento al più recente piano dei conti introdotto con l'armonizzazione contabile di cui al decreto legislativo 118 del 2011 entrato in vigore nel gennaio 2015;
   ad una simile certificata condizione finanziaria, si aggiungono le irregolarità riscontrate per la convocazione della seduta del consiglio comunale dello stesso ente, svoltasi il 30 luglio del 2015, in cui, attraverso 6 delibere, si è cercato di sanare la disastrosa condizione di bilancio;
   le sei delibere riguardano, infatti: il riconoscimento dei debiti fuori bilancio e delle passività pregresse, la ricognizione sullo stato di attuazione dei programmi e riequilibrio di bilancio per il corretto esercizio finanziario, le variazioni delle aliquote relative all'IMU e dell'addizione comunale IRPEF, le variazioni delle dotazioni di competenza del bilancio di previsione 2015;
   la seduta del consiglio comunale in questione, però, non sembrerebbe essere stata convocata secondo la normativa di legge, poiché i consiglieri di minoranza non hanno avuto la possibilità di accedere a tutta la documentazione necessaria, tra cui anche i rilievi sulla contabilità dell'organo revisore, per comprendere la situazione di grave irregolarità del bilancio, come sopra esposta;
   nonostante le reiterate richieste di integrazione documentale, soltanto dopo la presentazione di un esposto al prefetto di Bergamo (del 10 agosto 2015), il sindaco di Paladina ha messo a disposizione della minoranza gli atti e i documenti contenenti le chiarificazioni necessarie in merito alla necessità delle delibere approvate nella seduta del 30 luglio, tra cui anche la nota a firma del revisore dei conti di cui sopra;
   il sindaco, dal canto suo, anche attraverso la nota di risposta all'esposto presentato prefetto in agosto 2015, sostiene che tutta la documentazione fosse disponibile alla data del consiglio comunale del 30 luglio;
   altresì, in data 26 novembre 2015, il consiglio comunale ha deliberato di modificare nel merito il contenuto della delibera del 30 luglio relativa ai debiti fuori bilancio e alle passività pregresse inserendo il dettaglio delle passività pregresse interamente omesse nella prima versione della delibera, facendo emergere, di fatto, un ulteriore debito fuori bilancio;
   tutto ciò, contrariamente a quanto invece attestato nella determina del sindaco, risalente al 6 ottobre 2016, contenente parere di regolarità contabile con cui si riconoscevano delle passività pregresse non previste nel bilancio di competenza, definibili quindi come debito fuori bilancio, che non sono state quindi incluse né nella versione originale né in quella modificata della delibera del 29 luglio 2015;
   nella suddetta determina, infatti, il capitolo di imputazione delle passività pregresse è appunto quello costituito con la variazione di bilancio per il riconoscimento del debito fuori bilancio;
   in un simile contesto, sembrerebbero essersi profilate diverse violazioni di diritto: innanzitutto degli articoli 43, comma 2, e 153, comma 6, del Tuel, dell'articolo 20, comma 3 dello statuto comunale e dell'articolo 39, comma 3, del regolamento del consiglio comunale e dell'articolo 37 del regolamento di contabilità, impedendo, di fatto, ai consiglieri di minoranza, di esercitare senza impedimento la propria prerogativa di mandato –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare in relazione alla situazione descritta in premessa, anche al fine di evitare che si possano verificare nuovi casi in cui vi sia quella che all'interrogante appare una violazione evidente dei regolamenti e delle normative vigenti da parte delle amministrazioni degli enti locali. (4-12357)


   CORDA, ALBERTI e PESCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 159 del 2015 ha stabilito che, a partire dai carichi affidati all'agente della riscossione dal 1o gennaio 2016, l'aggio è sostituito dagli «oneri di riscossione», che sono dovuti per il funzionamento del servizio nazionale di riscossione. In particolare, si prevede che, in caso di pagamento effettuato entro 60 giorni dalla notifica della cartella, tali oneri sono pari al 3 per cento delle somme riscosse, con un risparmio, quindi, dell'1,65 per cento rispetto al passato. Viceversa, in caso di pagamento effettuato dopo 60 giorni dalla data di notifica della cartella, gli «oneri di riscossione», interamente a carico del debitore, sono pari al 6 per cento dell'importo dovuto. Anche in questo caso c’è un risparmio significativo per il debitore, che ammonta a due punti percentuali (aggio 8 per cento – oneri di riscossione 6 per cento);
   la progressiva riduzione dell'ammontare del compenso o onere di riscossione (in poche parole, l'aggio esattoriale da sempre applicato) dal 9 per cento all'attuale 6 per cento, non risolve tuttavia il problema della sua illiceità, in quanto non commisurato ai costi effettivi di riscossione bensì parametrato in misura percentuale al credito iscritto a ruolo. Al riguardo, si evidenzia come l'addebito ai contribuenti dell'aggio in misura non parametrata ai costi effettivi di riscossione era vietato fin dalla legge delega fiscale di cui alla legge n. 825 del 1971 (articolo 10, comma 2, n. 10, che prevedeva l'obbligo d'incorporare gli aggi nelle aliquote dei tributi, con conseguente illegittimità costituzionale del decreto legislativo delegato n. 112 del 1999, articolo 17, per eccesso di delega). Inoltre, il principio della necessaria proporzionalità tra misura dell'aggio e costo effettivo di riscossione è stato sancito anche dalla Consulta con la sentenza n. 480 del 30 dicembre 1993 per quanto attiene alle esattorie siciliane (tuttavia, il principio è esattamente valido anche per il concessionario Equitalia, «mostro» che si continua a mantenere in vita anche nell'ultima riforma fiscale varata dal Governo in carica);
   l'illegittimità degli aggi applicati dal concessionario è stata di recente pronunciata anche in numerose sentenze delle commissioni tributarie di merito. Da ultimo, si evidenzia la decisione della commissione tributaria regionale della Lombardia che, dopo la sentenza della commissione tributaria Provinciale di Milano n. 4682/24/15 del 21 maggio 2015, ha pronunciato la sentenza 5454/29/15 con la quale ha dichiarato l'illegittimità dell'aggio esattoriale in quanto rappresenta un «aiuto di Stato», vietato dalle norme sancite in ambito comunitario: non è dunque dovuto e come tale può essere censurato direttamente dai giudici nazionali in applicazione del trattato sul funzionamento dell'Unione europea e del principio della prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno (con conseguente disapplicazione della norma interna che lo prevede);
   la sentenza della commissione tributaria di Milano può definirsi «rivoluzionaria» perché censura l'aggio esattoriale applicato da Equitalia, soprattutto sotto il profilo del diritto comunitario, affermando che la normativa italiana che prevede gli sproporzionati compensi, mascherandoli come «oneri di riscossione», è in aperta violazione dell'articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (a cui tutte le amministrazioni, i Governi, i Parlamenti nazionali degli Stati membri e i giudici dovrebbero uniformarsi), configurandosi nella specie un illegittimo aiuto di Stato;
   inoltre, la sentenza in commento ha stabilito altresì che l'aggio applicato in cartella esattoriale è assolutamente sproporzionato rispetto all'attività di recupero dei crediti, in particolar modo in riferimento ai costi effettivamente sostenuti per la redazione e spedizione della cartella di pagamento (nella fattispecie presa in esame dalla Commissione, le spese di riscossione ammontavano addirittura ad euro 300 mila per una cartella da 6 milioni di euro), in contrasto peraltro con i principi costituzionali di cui all'articolo 53;
   la decisione della Commissione tributaria regionale di Milano può altresì definirsi storica per il suo contenuto e, soprattutto, per le motivazioni poste a fondamento della decisione, che daranno senz'altro uno scossone al sistema tributario nazionale aprendo la strada a una marea di rimborsi per i contribuenti italiani. Rimborsi ai quali potrebbe essere tenuta la stessa Agenzia delle entrate che, quale titolare della potestà di riscossione (solo delegata al concessionario Equitalia) nonché azionista di maggioranza di Equitalia, ha il compito di controllare l'operato di Equitalia, ente monopolista per la riscossione dei tributi erariali in Italia, che rischia di essere costretta a restituire ai contribuenti italiani tanti soldi con un danno erariale di proporzioni clamorose. Si ritiene, infatti, che i costosi contenziosi causati da tale modus operandi danneggino l'erario data la probabile soccombenza nella maggior parte dei contenziosi e la pregiudizievole dannosità per le imprese ed i consumatori di tali procedure di riscossione;
   in un tal contesto, è legittimo chiedersi perché ancora oggi si continuino ad applicare compensi di riscossione non parametrati ai costi effettivi di riscossione bensì calcolati in misura percentuale al credito iscritto a ruolo;
   il presidente onorario aggiunto del Consiglio di Stato Giacchetti ha dichiarato: «nel 2013 e 2014, l'Agenzia ha bensì dichiarato al Governo esiti favorevoli in numero tale da superare il prescritto minimo del 59 per cento e da poter corrispondere i premi al personale; ma confrontando i dati forniti dall'Agenzia con quelli ufficiali pubblicati dal Ministero dell'economia e delle finanze in tema di contenzioso tributario è risultato che in realtà tali esiti erano rimasti largamente al di sotto del 59 per cento –:
   quali controlli il Ministro interrogato abbia disposto sull'operato di Agenzia delle entrate e di Equitalia al fine di evitare che questi enti svolgano quella che appare agli interroganti una vera attività persecutoria sui contribuenti chiedendo loro somme ultronee in contrasto con la normativa vigente;
   per quale motivo, nonostante la sentenza della Corte Costituzionale del 1993 succitata che aveva chiaramente spiegato che gli aggi di riscossione potessero essere costituzionali solo a condizione che remunerassero le spese effettivamente sostenute per la riscossione, gli oneri di riscossione costituiscano tutt'ora un profitto, a giudizio degli interroganti illegittimo, dell'esattore, in quanto commisurato al debito del contribuente e non alle spese effettive sostenute dall'esattore, in contrasto con l'articolo 53 della Costituzione e l'articolo 107 del Trattato TFUE;
   quali iniziative intenda assumere per evitare l'apertura di una procedura d'infrazione da parte della Commissione europea contro l'Italia ora che è chiaro l'illegittimo aiuto di Stato concesso ad una società per azioni come Equitalia;
   quali iniziative intenda adottare il Ministro per evitare che Equitalia continui a operare in contrasto con il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e per evitare il gravoso contenzioso che si troverà ad affrontare lo Stato italiano a causa del suddetto comportamento illegittimo ormai accertato in più sentenze;
   quali iniziative intenda intraprendere per riportare la legalità nella riscossione erariale svolta da Equitalia che, come visto, lucra con modalità illegittime sulla buona fede degli italiani esponendo l'Italia intera ad un danno erariale molto più elevato dell'evasione che dovrebbe combattere;
   se non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza per procedere al commissariamento dell'Agenzia delle entrate, dopo il caso dei dirigenti «fasulli», e dopo il caso lamentato dal presidente onorario aggiunto del Consiglio di Stato Giacchetti. (4-12362)

GIUSTIZIA

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   nell'anno 1990, con l'emanazione della legge 15 dicembre 1990 n. 395, il corpo di polizia penitenziaria, in seguito alla smilitarizzazione assume la nuova attuale denominazione;
   nel corpo di polizia penitenziaria confluiscono gli appartenenti e le dotazioni dell'ex corpo degli agenti di custodia comprese le ex-vigilatrici penitenziarie;
   i compiti istituzionali sono descritti nell'articolo 5 della legge 15 dicembre 1990, n. 395, che stabilisce che il corpo di polizia penitenziaria, sia amministrato dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia;
   il corpo di polizia penitenziaria svolge compiti di polizia giudiziaria, pubblica sicurezza, gestione delle persone sottoposte a provvedimenti di restrizione o limitazione della libertà personale. Espleta inoltre, attività di polizia stradale ai sensi dell'articolo 12 del codice della strada, partecipa al mantenimento dell'ordine pubblico, svolge attività di polizia giudiziaria e pubblica sicurezza anche al di fuori dell'ambiente penitenziario, al pari delle altre forze di polizia, svolge attività di tutela e scorta di personalità istituzionali (Ministro della giustizia, Sottosegretari di Stato e magistrati) del Ministero della giustizia. Di recente, in quanto forza di polizia a competenza generale, la polizia penitenziaria è entrata a far parte anche della D.I.A. (Direzione Investigativa Antimafia) e dell'Interpol;
   in, tale quadro attuale di polizia nazionale, la polizia penitenziaria è stata oggetto di progetti di modifica, ai, fini della sua crescita, in sede di «Stati generali dell'esecuzione penale», istituiti con decreto ministeriale 8 maggio 2015 (integrato dal decreto ministeriale 9 giugno 2015) e, in particolare, attraverso, il Tavolo 15. Dalla lettura di tale progetto, pubblicato sul sito ufficiale del Ministero della giustizia con relativi allegati ed integrazioni, si apprende che si tratta di un progetto che pone definitivamente fine al corpo di polizia penitenziaria quale forza di polizia nazionale che ai sensi dell'articolo 55 del codice di procedura penale, dell'articolo 16, comma 2 della legge 121 del 1981 e dell'articolo 19 della legge 183 del 2010 riveste le medesime funzioni di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza delle altre forze di polizia nazionali;
   il progetto 2 del tavolo 15 degli Stati generali prevede infatti la soppressione del corpo di polizia penitenziaria e la sua confluenza nel «Corpo di Giustizia dello Stato», unitamente alle altre variegate figure professionali del D.A.P. (educatori ed assistenti sociali). In tal modo viene soppresso un corpo di polizia dello Stato e nasce un calderone onnicomprensivo;
   dalla bozza collegata ai lavori del Tavolo 15 si evince la perdita delle funzioni generali di polizia giudiziaria: «L'alta specializzazione e la finalizzazione alle funzioni di giustizia... comporterà, correlativamente una incompatibilità con funzioni ed iniziative di polizia giudiziaria (comportando, tra l'altro, l'immediato scioglie lento del nucleo investigativo centrale e l'uscita della polizia penitenziaria dalla D.I.A.) un divieto assoluto di rapporti non autorizzati con i servizi di sicurezza (ergo l'impossibilità a concorrere all'attività di sicurezza delle altre forze di polizia, a differenza di queste ultime che invece potranno concorrere nell'espletamento delle funzioni del «Corpo di Giustizia»). Residueranno esclusivamente le funzioni di polizia giudiziaria per reati connessi allo svolgimento della funzione, attribuite dal codice di procedura penale e dalle leggi speciali (il che significa l'equiparazione delle funzioni di P.G. della polizia penitenziaria a quelle dell'attuale polizia locale, limitata nell'ambito penitenziario e durante il servizio»;
   oltre all'ovvio pregiudizio per lo Stato, che in tal modo si priverebbe di 39.000 unità (donne e uomini) di polizia penitenziaria, che attualmente, in quanto ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria) garantiscono, a costo zero la sicurezza generale dello Stato anche al di fuori dell'orario di servizio, si ledono i diritti del personale che d'imperio perderebbe lo status acquisito tramite pubblico concorso;
   peraltro il fatto di istituire un unico corpo, in cui far confluire quali ruoli tecnici, le altre figure non di polizia del D.A.P. (assistenti sociali ed educatori), comporterebbe ulteriori anacronistici costi per l'erario dello Stato, rivelandosi come una riforma non solo infondata in diritto ma anche inefficace ed anti economica, in violazione dell'articolo 97 della Costituzione;
   pertanto, posta l'opportunità di ampliamento delle funzioni di polizia extra-murarie della polizia penitenziaria nell'ottica di restituire al legittimo detentore della materia della esecuzione penale, non soltanto la totalità delle funzioni collegate all'esecuzione penale stessa, ma anche quelle di sicurezza collegate al Ministero della giustizia (tra queste la vigilanza dei palazzi di giustizia, le scorte a tutti i magistrati ed a tutti i collaboratori di giustizia –:
   si chiede se e quali iniziative il Governo intenda adottare per evitare il pregiudizio per la sicurezza del Paese e per 39.000 donne e uomini del corpo di polizia penitenziaria, posto che l'attuazione del disegno sul «Corpo di Giustizia» comporterà, a giudizio dell'interpellante, fondato ed inevitabile pregiudizio tanto all'uno, quanto agli altri, per le cessate funzioni generali di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza; in tal caso, con quali modalità verrà consentito il transito del personale richiedente di polizia penitenziaria in altre forze di polizia, analogamente a quanto avvenuto in occasione dello scioglimento degli ufficiali del disciolto Corpo degli agenti custodia nel 1990, e, da ultimo, con il Corpo forestale dello Stato, i cui appartenenti hanno ottenuto ex lege, il diritto di transitare in altra forza di polizia nonostante la permanenza delle stesse funzioni.
(2-01300) «Vito».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MURA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nonostante l'attenzione mostrata dal Ministro della giustizia, e nello specifico nonostante l'intesa con le organizzazioni sindacali in merito alle procedure di mobilità del personale (con la quale al punto 2 viene chiaramente stabilito «all'esito delle procedure di interpello di cui all'intesa indicata in oggetto, il personale appartenente alla seconda area professionale, già in posizione distacco presso gli UEPE, ma in eccedenza rispetto al numero delle unità del contingente spettante al Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità, potrà permanere nelle sedi di attuale distacco fino alla successiva stabilizzazione»), l'UEPE di Cagliari si trova continuamente depredato del personale assegnato;
   in particolare negli ultimi mesi sono stati assegnati dal Ministero le seguenti figure:
    2 assistenti amministrativi;
    1 funzionario dell'organizzazione e delle relazioni;
    1 funzionario contabile;
   il sopraelencato personale ha preso servizio presso questo UEPE per un solo giorno, ed è stato subito distaccato presso altre sedi dal provveditorato regionale della Sardegna;
   dal 1o marzo 2016 invece è stato revocato il distacco a due unità amministrative che prestavano servizio all'UEPE di Cagliari, una da 6 anni e l'altra da 13 anni, che non sono state sostituite da altre unità attualmente in organico dell'UEPE di Cagliari ma distaccate presso altre sedi;
   pertanto, attualmente l'ufficio si trova ad operare con sole 4 unità amministrative, in una situazione insopportabile visto il numero elevatissimo di procedimenti trattati (oltre 5 mila) se si considera che giornalmente vengono scaricate oltre 250 mail di atti giudiziari;
   in data 11 novembre 2014 l'UEPE di Cagliari veniva autorizzato dal provveditorato regionale della Sardegna ad avviare le pratiche per l'assunzione di un secondo centralinista non vedente. Pratica molto lunga e complessa che è stata inviata con tutta la documentazione necessaria al Ministero della giustizia — direzione generale del personale e della formazione in data 26 marzo 2015. Non avendo avuto alcun riscontro, nei giorni scorsi, sollecitando telefonicamente, si è appreso che l'unità individuata è stata assunta presso altra sede regionale senza che l'UEPE cagliaritano ne venisse informato, adducendo come motivazione che era già presente una unità non vedente –:
   se sia a conoscenza della situazione in cui versa l'ufficio esecuzione penale esterna di Cagliari;
   se e come intenda intervenire per consentire allo stesso di operare secondo criteri di efficienza ed efficacia;
   se e come intenda intervenire per consentire l'operatività dell'ufficio interdistrettuale di Cagliari, così come concepito ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 84 del 2015.
(5-08000)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DIENI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la notte tra il 25 ed il 26 febbraio 2016 moriva nel reparto di rianimazione dell'ospedale Pugliese-Ciaccio di Catanzaro Michele Rotella, imprenditore messinese recluso nel carcere di Siano dal mese di dicembre 2015 a seguito della condanna per concorso esterno in associazione mafiosa;
   Rotella, da quanto risulta da notizie apparse su il Quotidiano del Sud nell'articolo «Allarme epidemia nel carcere di Siano» del 2 marzo 2016, da circa una settimana accusava sintomi da enterite per i quali sarebbero stato somministrati antibiotici non mirati;
   la situazione sarebbe peggiorata sino al ricovero del 23 febbraio, data in cui sarebbe avvenuto il ricovero;
   sul certificato dei medici si rileva che il paziente si sarebbe trovato «in shock multi organo, con enterite da clostridium difficilis e una prognosi di imminente pericolo di vita»;
   il decesso si verifica effettivamente due giorni dopo;
   a seguito di questo decesso l'Associazione Yairaiha Onlus, che si occupa dei diritti dei detenuti, ha sensibilizzato le istituzioni circa un rischio reale che potrebbe trasformarsi in un vero allarme;
   il clostridium difficilis risulta essere un batterio molto pericoloso e resistente che, stando alle fonti mediche consultate, negli ultimi anni sta registrando «un aumento della frequenza, oltre che della gravità, delle Infezioni da Clostridium Difficile (ICD o CDI, Clostridium Difficile Infections, o CDAD, Clostridium Difficile Associated Disease) sia in ambiente intra che extra-ospedaliero, associate ad una elevata probabilità di recidiva dopo il trattamento;
   si tratta di un batterio, gram-positivo, anaerobio e sporigeno;
   le spore sono dotate di una membrana particolarmente resistente, sia alle escursioni termiche che all'attacco chimico dei comuni disinfettanti;
   le cause dell'incremento di incidenza e di severità delle CDI non sono del tutto chiare e sono tuttora oggetto di analisi;
   le diverse fonti mediche consultate invitano a non trascurare questo batterio ed il potenziale epidemiologico che esprime soprattutto in ambiti comunitari, considerando che se la persona infetta è la fonte primaria di veicolazione del batterio, l'ambiente è la fonte secondaria;
   queste considerazioni, ove venisse verificata la morte del Rotella a causa del suddetto batterio, dovrebbero indurre le autorità a valutare la necessità di un urgente intervento al fine di evitare la diffusione di un'epidemia all'interno del carcere di Siano dove era recluso il detenuto e dove presumibilmente ha contratto la malattia –:
   quali urgenti iniziative di competenza intendano assumere per garantire la sicurezza delle persone presenti nel Carcere di Siano;
   se non reputino opportuno dare impulso ad uno screening di tutta la popolazione detenuta e ad una opportuna disinfestazione della struttura al fine di tutelare la salute dei detenuti ristretti e del personale ivi operante. (4-12348)


   SORIAL, ALBERTI e COMINARDI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è di questi giorni la notizia di un'inchiesta per corruzione nel settore della sanità in Lombardia, nella quale un'ordinanza ha portato a 21 arresti, tra i quali spicca quello del vicesegretario della Lega Fabio Rizzi, braccio destro di Roberto Maroni;
   sembrerebbe sia stato scoperchiato il sistema di corruzione e collusioni che in Lombardia consentiva all'imprenditrice Paola Canegrati, nota alle cronache come «Lady Dentiera», l'imprenditrice brianzola che nell'arco di una quindicina d'anni è riuscita a mettere sulle cure odontoiatriche in Lombardia finanziate con i fondi della regione, di aggiudicarsi gare per servizi odontoiatrici ospedalieri, con la complicità di politici e manager sanitari: i politici avrebbero guadagnato sugli appalti veicolati agli amici, mentre i dirigenti ospedalieri si piegavano alle richieste, predisponendo opportunamente le gare e adoperandosi per nascondere le irregolarità;
   nelle migliaia di pagine degli atti dell'indagine, verrebbe ricostruita la trama degli affari di Rizzi, ora in carcere, e dei suoi sodali: un sistema di corruzione che avrebbe lucrato su protesi e materiali scadenti, corone definite nelle intercettazioni dagli stessi dirigenti sanitari che le compravano «fatte con il c...»;
   sembra che il sistema di corruzione fosse complesso e che la società che vendeva materiale scandente controllasse al 100 per cento anche quella che poi lo impiantava ai pazienti, in questo modo il cerchio si chiudeva e nessuno segnalava le anomalie;
   dagli atti d'indagine emergerebbe che Rizzi aveva costituito una holding in Lussemburgo insieme ai suoi più stretti collaboratori, come Mario Longo, suo braccio destro, che, insieme alla compagna aveva il 30 per cento della società lussemburghese, mentre a Rizzi e alla convivente era intestata una quota del 35 per cento;
   tra i sette soci della holding ci sarebbe anche il medico leghista Roberto Caronno;
   quello della sanità lombarda è un ambiente che da anni viene tristemente caratterizzato da un susseguirsi di scandali;
   secondo Giovanna Ceribelli, la commercialista che ha scoperchiato il sistema di appalti pilotati, «in alcuni centri queste società avevano in mano addirittura la cassa e non va assolutamente bene perché controllo io, soggetto pubblico, cosa viene fatto. Non le aziende che erogano le prestazioni per me. È un impegno civico, oltre che un dovere professionale. Sono soldi pubblici e quando si crea un indebito arricchimento nelle strutture sono buchi che poi pagano i cittadini in servizi scadenti, carenza di fondi per il personale etc. Ai colleghi dico allora: non abbiate paura, controllate e denunciate»;
   secondo una intercettazione del 5 febbraio 2015 di Paola Canegrati al telefono con il commercialista, parlando dei rapporti con i funzionari della pubblica amministrazione, la donna avrebbe detto «Mirco, c... sulle spalle c'ho trent'anni di marchette». Ancora più esplicita: «Ho fatto trent'anni di marciapiede, ho battuto tutti»;
   Paola Canegrati avrebbe negli anni espanso il suo business fuori dalla Lombardia, in Friuli, Piemonte e Liguria, e attraverso le intercettazioni sarebbero ora emersi i suoi piani per entrare nella sanità di Umbria, Abruzzo e Molise;
   nelle intercettazioni dell'inchiesta di cui sopra comparirebbe tra gli altri anche il nome di Mario Borghezio, il parlamentare europeo, relativamente all'inchiesta Smile per un affare che Rizzi vuole mandare in porto; infatti secondo le parole dello stesso Rizzi: «Rizzi si sta prodigando, anche grazie al parlamentare europeo Mario Borghezio, per far ottenere a Mauro Morlè, suo uomo di fiducia in Sardegna, un tesserino da lobbista e un incarico di consulente del gruppo parlamentare europeo della Lega per la Commissione Caccia e Pesca. Con il gruppo può andare e venire tutte le volte che vuole con vitto e alloggio assicurato»;
   sembra che nella riforma della sanità scritta proprio da Rizzi, si sia attuata una riduzione del 10 per cento degli emolumenti per i collegi sindacali giustificandola come riduzione di spesa, ma in questo modo, come sottolineato da Giovanna Ceribelli, si «indeboliscono gli organi di controllo dalla cui attività dipende la fortuna degli spregiudicati e la salute dei bilanci pubblici che devono essere protetti dai costi della corruzione»;
   il «Rapporto sullo stato di attuazione delle azioni adottate dalla sanità pubblica in materia di trasparenza ed integrità» in Italia del 2015, frutto della collaborazione tra Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali e Libera, illustra come il settore sanitario sia considerato uno dei più esposti al rischio di illegalità date le notevoli dimensioni della spesa, l'entità dei rapporti con i privati, la pervasività delle asimmetrie informative, l'incertezza e l'imprevedibilità della domanda, l'alta specializzazione dei prodotti acquistati e delle prestazioni fornite, la necessità di complessi sistemi di regolazione, e per questo necessiti di adeguati livelli di trasparenza;
   nel settore sanitario la corruzione produce effetti non solo sulle finanze pubbliche, ma anche e soprattutto sulla salute dei cittadini: peggiorando in modo significativo la qualità dei servizi e riducendone anche l'accesso, e, ovviamente colpendo la fiducia dei cittadini nel sistema di tutela della salute –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti illustrati in premessa;
   se il Governo non consideri urgente, visto il susseguirai di scandali in ambito sanitario, intervenire con opportune iniziative, per quanto di competenza, al fine di rendere più stringenti i controlli e più alti i livelli di trasparenza in modo da ridurre i rischi di illegalità in un ambito così delicato e cruciale come quello della sanità;
   se il Governo non ritenga doveroso intervenire immediatamente, nell'ambito delle proprie competenze, per il ritiro immediato e la conseguente sostituzione di tutti i materiali sanitari presenti ancora nelle cliniche provenienti da questi appalti «truccati» in modo da tutelare i cittadini che potrebbero ancora subire la frode di venire «curati» in maniera scadente;
   se, al contempo, il Governo non consideri necessario attuare una mappatura dei pazienti già curati con tali materiali per poter attuare una campagna di informazioni in proposito e un attento monitoraggio dei possibili danni di tali materiali sulla salute dei pazienti in questione;
   se il Governo intenda valutare se sussistano i presupposti per segnalare i fatti di cui in premessa alla Corte dei Conti per accertare l'eventuale danno erariale, e la relativa entità, causato delle condotte illecite sopra denunciate. (4-12358)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRUGNEROTTO e D'INCÀ. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel settembre 2013 Società Autostrade ha incaricato l'impresa di costruzioni «Carena spa» di eseguire i lavori per la realizzazione di un nuovo raccordo nella zona di Padova sud, in territorio di Albignasego, tra l'autostrada A4 e A13;
   i lavori, che secondo le previsioni dovevano terminare entro settembre 2015, hanno subito un arresto, sulle cui cause non vi è alcuna certezza, non essendoci stata nessuna risposta ufficiale né da parte di Autostrade per l'Italia né di Carena spa;
   come riportato dal Gazzettino di Padova del 1o marzo 2016 i residenti a margine dell'ingresso principale del cantiere dichiarano di non sapere cosa stia accadendo e qualcuno paventa la possibilità che dietro a questo «fermo» si nasconda qualcosa di grosso: sarebbe stato addirittura rinvenuto dell'amianto sotto tracciato del raccordo ed aggiungono: «Purtroppo nessuno ci dice niente, nemmeno gli operai. Vogliamo precise garanzie in merito ad eventuali danni ambientali; ne va della nostra salute»;
   come è noto, l'amianto è un materiale molto pericoloso perché può causare una serie di malattie estremamente gravi all'apparato respiratorio umano dall'esito fatale e che si possono manifestare fino a quarant'anni dopo l'avvenuta esposizione al materiale;
   la pericolosità dell'amianto, che ha la capacità di rilasciare fibre potenzialmente inalabili dall'uomo, è anche legata al suo stato di conservazione ed aumenta quando può disperdere le sue fibre nell'ambiente circostante per effetto di qualsiasi tipo di sollecitazione meccanica, eolica, da stress termico, dilatamento di acqua piovana, e altro –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti e quali siano i motivi dell'interruzione dei lavori presso il cantiere;
   se non considerino necessario assumere iniziative, nell'ambito delle proprie competenze e d'intesa con gli enti locali interessati, per attuare tutte le verifiche sull'eventuale presenza di agenti inquinanti, attivando contestualmente tutte le misure di sicurezza per la popolazione e l'ambiente in relazione al livello di pericolosità del sito. (4-12335)


   D'ARIENZO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Grandi Stazioni spa, società partecipata al 60 per cento da Ferrovie dello Stato italiane, ha deciso di non rinnovare il contratto per la gestione di due punti ristoro dati in concessione presso la stazione ferroviaria di Verona Porta Nuova e di bandire un bando di gara per individuare il prossimo gestore dei servizi di bar e ristorazione;
   presso i due punti ristoro sono ad oggi occupati 48 lavoratori per i quali l'azienda ora in appalto ha già avviato le conseguenti procedure di mobilità;
   in tema di affidamento di servizi il TAR Puglia, sez. Il, con sentenza del 1o dicembre 2014, n. 2986, ha stabilito che è legittima la clausola sociale che, nel caso di cambio di gestione, preveda l'impegno della ditta aggiudicataria di assorbire il personale alle dipendenze del precedente gestore al fine di assicurare la continuità del servizio e dell'occupazione lavorativa. La legittimità è finalizzata a tutelare i diritti dei lavoratori previsti dalla legge e dai contratti collettivi per l'ipotesi di subentro dell'appalto, senza peraltro violare i principi di pubblico concorso e di buon andamento;
   la clausola sociale è stata ritenuta corretta in particolare con riferimento ai lavoratori già occupati a tempo indeterminato con la precedente gestione, in questo modo non si creano nuovi diritti, ma si conservano quelli esistenti nel pieno rispetto dei principi generali in materia;
   il Consiglio di Stato ha asserito che «la cosiddetta clausola sociale va interpretata nel senso che l'appaltatore subentrante deve prioritariamente assumere gli stessi addetti che operavano alle dipendenze dell'appaltatore uscente, a condizione che il loro numero e la loro qualifica siano armonizzabili con l'organizzazione d'impresa prescelta dall'imprenditore subentrante» (Cons. Stato, sez. V, sentenza n. 3900/2009);
   l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (oggi ANAC) con il parere n. AG 19/13 e AG 20/13 del 13 marzo 2013, ha stabilito che «la clausola che per fini sociali, quali il mantenimento dei livelli occupazionale, richiami quale condizione particolare di esecuzione dell'appalto l'obbligo di utilizzare in via prioritaria i lavoratori del precedente appalto, a condizione che il numero e la qualifica degli stessi siano armonizzabili con l'organizzazione di impresa della ditta aggiudicataria e con le esigenze tecnico-organizzative previste per l'esecuzione del servizio, può ritenersi conforme ai principi del Trattato CE»;
   l'ANAC, con il parere n. 30/2014 del 6 giugno 2014, ha sottolineato l'inderogabile necessità che la clausola sociale non abbia incidenza sulla fase di gara, stante «l'impossibilità di costituire barriere all'ingresso, nella forma della richiesta di elementi di ammissibilità dell'offerta», pena la discriminazione o il pregiudizio di talune categorie di imprenditori. Nel parere, inoltre, si rileva che, in sede di gara, detta clausola non può comunque introdurre una prescrizione che: a) assurga a requisito di capacità economico-finanziaria o tecnico-organizzativa che il concorrente deve avere per partecipare alla gara; b) stabilisca un criterio di valutazione ad hoc della migliore offerta;
   emerge, quindi, che la clausola è legittima se opera sul piano di un'indicazione preferenziale, di modo che essa può spingersi fino a prevedere un obbligo di priorità nella riassunzione di personale da parte del nuovo gestore, purché non imponga automatismi tali da inficiare la libertà dell'imprenditore nell'organizzare la propria attività d'impresa;
   il diritto comunitario vigente richiede, da un punto di vista formale, l'inclusione delle clausole in esame nel bando di gara o nel capitolato, mentre da un punto di vista sostanziale, che esse non siano direttamente o indirettamente discriminatorie nei confronti dei concorrenti. Ne discende – quale fondamentale corollario – che le clausole inserite nei bandi debbono riguardare l'esecuzione del servizio, non potendosi assolutamente prospettare come «barriere all'ingresso», cioè quali elementi di ammissibilità dell'offerta;
   l'Autorità avalla la legittimità della clausola che richieda in via prioritaria l'assorbimento dei lavoratori impegnati nella gestione del servizio sotto la gestione del precedente appaltatore, evidenziando come essa non costituisca né un requisito di capacità economico-finanziaria né un criterio di valutazione della migliore offerta. Ne deriva che la condizione di occupare prioritariamente il personale già «inserito» nel precedente appalto è legittima ove non incida sulla libertà dell'imprenditore subentrante di decidere della propria organizzazione d'impresa e delle esigenze tecniche e di manodopera relative all'esecuzione dell'appalto. In tal modo, la «clausola sociale», inserita nel bando di gara o nel relativo capitolato, risulta conforme alla normativa comunitaria (e alla relativa giurisprudenza) e coerente con la lettura costituzionalmente orientata della libertà di iniziativa economica privata sancita dall'articolo 41 della Costituzione;
   il recente insegnamento proveniente dal Consiglio di Stato, per il quale l'esigenza del mantenimento dei livelli occupazionali non impedisce all'imprenditore di organizzare la propria attività nella maniera ritenuta maggiormente efficiente;
   il Consiglio di Stato ha segnalato la possibile elusione della clausola e, di conseguenza, ha, deciso che l'amministrazione appaltante dovrà comunque procedere all'effettiva verifica della non necessità d'impiego di parte o di tutto il precedente personale utilizzato, a seguito di un avvenuto mutamento del servizio, ad esempio da un punto di vista tecnico-organizzativo;
   è necessario tutelare i lavoratori oggi impegnati anche in ragione delle esperienze da loro maturate che, di fatto, possono solo favorire la prossima società di gestione dei punti ristoro –:
   se il Ministro, anche e non solo in virtù della giurisprudenza esposta, non ritenga doveroso assumere iniziative affinché la società Grandi Stazioni spa inserisca nel prossimo bando di appalto in questione la clausola sociale di salvaguardia a favore del personale attualmente impiegato. (4-12350)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LABRIOLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da un articolo del 22 febbraio 2016 pubblicato dal quotidiano online www.ilgiornale.it il 28 febbraio, si sarebbe dovuto aprire in Puglia a Taranto i   quarto hotspot (struttura allestita per identificare in modo rapido, registrare, fotosegnalare e raccogliere le impronte digitali degli immigrati). La struttura, ancora in allestimento, sorgerà presso il porto della città;
   si apprende che le rappresentanze sindacali della polizia abbiano dichiarato: «Nella zona scarico merci del porto sarà recintata un'area molto grande per accogliere i profughi che non dovranno sostare per più di 72 ore. La tendopoli allestita accoglierà non più di trecento-quattrocento migranti per volta. Ma non basta. Ad esclusione dei gommoni, ci sono imbarcazioni molto grandi che trasportano migranti ed arrivano ad accoglierne fino a millecento.»;
   inoltre, in una nota stampa di Autonomi di polizia e della Confederazione sindacale autonoma di polizia, si legge: «c’è una visione strategica della problematica limitata, poiché i fenomeni relativi all'immigrazione e alla sicurezza interna sono legati tra di loro. In diverse occasioni siamo già intervenuti ed abbiamo affermato che il risultato dei tagli lineari alle Forze dell'Ordine sarebbe stato sicuramente quello di avere un paese in cui la sicurezza dei cittadini non poteva essere garantita, considerato il trattamento che il Governo riserva ai tutori della legge e dell'ordinamento pubblico»;
   l'articolo riporta anche una dichiarazione, abbastanza preoccupante, di Enzo Pilò dell'associazione onlus Babele che assiste i profughi secondo cui: «Se dovessero chiudere le frontiere dalla Turchia, dovremo aspettarci un'ondata massiccia di immigrati in Italia. Il problema ci sarà se la questura non dovesse rispettare la legge applicando “respingimenti differiti” per chi non ottiene il diritto di richiesta di asilo (...) la legge prevede che ogni persona abbia diritto (soggettivo) a fare domanda di asilo, invece qualcuno pensa che sia la nazionalità un fattore discriminante per chiedere asilo; in questo modo, persone che arrivano dal Maghreb o dall'Africa Sub-sahariana vengono respinte con un foglio di via e immesse sul territorio senza documenti. Questo ovviamente crea una situazione tale per cui i migranti non avrebbero mai un contratto di lavoro regolare o un regolare contratto di casa e comunque in grave violazione della legge perché essendo un diritto soggettivo, le condizioni devono essere realizzate singolarmente. Le richieste dovrebbero essere valutate caso per caso proprio perché si tratta di un diritto soggettivo. O lasciati liberi sul nostro territorio con un foglio di via che si chiama respingimento differito. L’hotspot potrebbe essere a Taranto un pericolo perché noi avremo il territorio invaso da persone che non hanno la possibilità di regolarizzarsi e vivere in una condizione di riconoscimento del loro status (...)»;
   sempre Pilò avrebbe affermato: «con il respingimento differito si ha l'obbligo di allontanarsi dal territorio italiano entro una settimana dalla frontiera di Fiumicino e non è chiaro come un immigrato che scappa dalla fame e dalla guerra possa arrivare a Fiumicino e poter acquistare un biglietto aereo in poco tempo per tornare nel proprio Paese. Questa pratica messa in atto dalle questure negli ultimi mesi è una follia.»;
   per evitare l'applicazione dei «respingimenti differiti» il capo dipartimento delle libertà civili e dell'immigrazione del Ministero dell'interno, Mario Morcone, avrebbe, secondo quanto riportato dall'articolo, diramato una circolare con cui si avvisano le questure di essere soggette a denunce per tali respingimenti;
   un articolo pubblicato il 29 febbraio 2016 dal quotidiano online www.ilfattoquotidiano.it riporta che tra il 1o gennaio ed il 15 febbraio del 2015 in Italia siano avvenuti 7.800 sbarchi ovvero lo stesso numero registrato nello stesso periodo del 2016 con la differenza che per il 2015 le persone espulse e registrate come clandestine fossero 3.666 mentre nel 2016 risultino essere 5.254;
   è parere dell'interrogante che il sistema di accoglienza e identificazione degli hotspot debba essere organizzato seguendo delle strategie che permettano da un lato l'accoglienza ed identificazione degli immigrati e, dall'altra, realizzando sistemi di sorveglianza, il controllo e la sicurezza dei cittadini evitando che i clandestini vadano ad alimentare le file della delinquenza e dei fenomeni di sfruttamento della manodopera, quali il caporalato in agricoltura e nell'edilizia –:
   se esistano dei piani di intervento mirati concordati preventivamente con la questura di Taranto in vista dell'apertura dell’hotspot e quale sia la tempistica;
   quali strategie intenda adottare per un monitoraggio maggiore e più capillare degli immigrati che non abbiano i requisiti per la richiesta di asilo, a garanzia della sicurezza per cittadini residenti nelle zone interessate;
   come intenda attivarsi, presso le sedi europee, per coordinare eventuali azioni comuni in vista dell'aumento degli sbarchi e quali esse siano. (5-08002)


   CARLONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 13 gennaio 1527, con una donazione di circa mille ducati d'oro, diversi nobili locali si impegnarono davanti ad un notaio per la costruzione della cappella del tesoro di San Gennaro e del relativo reliquario, come atto dimostrante fervore di devozione (atto ADT/doc. A/13 disponibile presso la Cappella del Tesoro di San Gennaro);
   le bolle papali del 1605 (a firma di Papa Paolo V), 1635 (Papa Urbano VIII), 1646 (Papa Innocenzo X), 1661 (Papa Alessandro VII), hanno riconosciuto le peculiarità e la laicità della Cappella;
   il regio decreto del 23 gennaio 1811 pone la Deputazione sotto la presidenza del sindaco di Napoli;
   la presidenza del sindaco viene confermata anche nello statuto e regolamento interno della Cappella del Tesoro di San Gennaro, approvato il 7 giugno 1894 dal Re d'Italia Umberto I e controfirmato dal Ministro di grazia e giustizia e dei culti;
   lo statuto del 1894 risulta essere quello ancora vigente, la cui bozza di riforma, a quanto risulta all'interrogante, è stata inoltrata nel 2013 presso il Ministero dell'interno;
   l'articolo 2 del suddetto regolamento stabilisce come i deputati siano nominati dal Re su proposta della Deputazione stessa;
   l'articolo 7 del suddetto regolamento definisce la Deputazione di San Gennaro una istituzione sui generis, posta direttamente alle dipendenze del Ministero di grazia e giustizia e dei culti, confermando la non ecclesiasticità dell'ente, pertanto non assimilabile ad una qualsiasi Fabbriceria;
   il 15 agosto 1927, Papa Pio XI con apposita bolla papale « Neapolitanae Civitatis Gloria» ribadisce il diritto patronato della città di Napoli sulla Cappella, sottolineando come tale diritto non provenga da un privilegio apostolico, bensì da una fondazione e dotazione laicale sorta con i beni patrimoniali e di esclusiva provenienza laicale;
   il 22 gennaio 2016, con decreto a firma del Ministro Angelino Alfano, sono stati nominati undici deputati della Cappella del Tesoro di San Gennaro;
   le suddette nomine sono state accolte con stupore dalla città di Napoli, ed hanno avuto larga copertura mediatica, in particolare dal maggiore giornale cittadino, Il Mattino, in quanto nel preambolo la Deputazione viene equiparata ad una Fabbriceria;
   è stata organizzata per le ore 15:00 di sabato 5 marzo 2016, davanti il Duomo di Napoli, una protesta di circa 3000 cittadini napoletani contro tali nomine, interpretate come un attacco al fondamento laicale della Deputazione –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti illustrati e se non ritenga opportuno, al fine di chiarire i rapporti fra Ministero, Curia e Deputazione, ritirare il decreto, rasserenando così gli animi per un culto fortemente sentito in città e considerato molto identitario e al contempo, se non intenda impegnarsi per una rapida approvazione del nuovo statuto, raccogliendo la proposta già formulata dalla Deputazione nel 2013, e sgombrando così il campo da eventuali future incomprensioni, assicurando il carattere laicale della Deputazione, in linea con quanto stabilito a partire dal 1527.
(5-08005)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ANDREA MAESTRI, BRIGNONE, CIVATI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il reddito medio dichiarato dei lavoratori con permesso di soggiorno è di 12.880 euro annui, secondo i dati della Fondazione Leone Moressa, citati anche sul sito del CNEL ed aggiornati al 2011;
   dopo le modifiche del 2009, il decreto legislativo n. 286 del 1998 (cosiddetto Testo unico immigrazione) prevede, all'articolo 5, un contributo tra gli 80 ed i 200 euro per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno;
   dal contributo di cui sopra sono esentati solo i minori, chi entra in Italia per cure mediche, e i suoi accompagnatori, chi chiede un permesso per asilo, richiesta d'asilo, protezione sussidiaria o motivi umanitari, chi deve solo aggiornare o convertire un permesso ancora valido;
   la Corte europea di giustizia, con «sentenza del 2 settembre 2015, CGIL ed INCA contro Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Interno, Ministero dell'Economia e delle Finanze» ha statuito che la norma appena citata, prevedendo un contributo tra gli 80 ed i 200 euro per ogni permesso, è in contrasto con la direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini dei Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, in quanto il contributo previsto è sproporzionato rispetto alla finalità perseguita dalla direttiva stessa ed atto a creare un ostacolo all'esercizio dei diritti conferiti da quest'ultima –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti e quali iniziative intenda assumere per rispettare quanto statuito dalla Corte di giustizia europea con la sentenza di cui in premessa. (4-12334)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   una villa confiscata alla criminalità organizzata, situata nel territorio comunale di Cermenate — adibita a sede del Centro studi contro le mafie ed ora affidata al progetto San Francesco — risulta esposta ad una grave minaccia;
   stando ad intercettazioni ambientali acquisite dai carabinieri nel corso di alcune indagini, si è infatti appreso dell'esistenza di alcuni piani della criminalità organizzata che contemplerebbero la distruzione della villa di Cermenate quale rappresaglia per la confisca operata dallo Stato;
   le indagini condotte dai carabinieri che hanno condotto alla scoperta dei piani della criminalità organizzata per la villa di Cermenate si sono concluse con l'arresto di 27 persone, 11 delle quali accusate di essere affiliate alla locale della ’ndrangheta di Mariano;
   le infiltrazioni della grande criminalità organizzata in Lombardia sono da tempo note ed è quindi presumibile che ci siano pericolosi elementi a piede libero in grado di portare a compimento l'odiosa missione prefigurata contro la villa di Cermenate;
   la sicurezza della villa è quindi tuttora a rischio, in ragione del suo elevatissimo valore simbolico e della certa presenza nell'area di altre persone disposte ad attaccarla e distruggerla –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per proteggere la villa di Cermenate sottratta alla criminalità organizzata, adibita a presidio antimafia ed ora minacciata di devastazione dagli `ndranghetisti giunti nella provincia comasca. (4-12336)


   BORGHESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Carpenedolo, in provincia di Brescia, subisce da almeno un anno e mezzo un significativo incremento delle attività criminali;
   nella notte dell'8 febbraio 2016, ad esempio, stando a quanto ha riportato la stampa locale, è stato svaligiato dai ladri il negozio di abbigliamento «Papeete», malgrado l'immediata entrata in funzione degli allarmi ed il pronto intervento dei carabinieri, giunti dalla vicina Desenzano troppo tardi per cogliere i ladri in flagranza di reato;
   nel gennaio 2016, le forze dell'ordine sono intervenute a sgominare una banda di «baby spacciatori», interamente composta da giovani ragazzi, che vendevano droga in prossimità della scuola comunale, dell'oratorio ed altri punti di aggregazione;
   i giovani spacciatori sono risultati figli di immigrati apparentemente attivi nello stesso settore;
   nel mese di dicembre 2015, era stata invece la volta dell'AVIS, colpita più volte da furti realizzati contro un suo presepe colpito più volte, tuttora senza un colpevole ed un movente;
   sono stati altresì registrati nello scorso anno numerosi furti e persino rapine in tabaccheria, che hanno diffuso tra gli abitanti una diffusa sensazione d'insicurezza –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per migliorare le condizioni di sicurezza nel comune di Carpenedolo e se, in particolare, non ritenga opportuno incrementare le dotazioni delle forze dell'ordine stanziate nel territorio di quel comune.
(4-12349)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   D'OTTAVIO e NARDUOLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il concorso a cattedra istituito dalla legge n. 107 del 2015 prevede come requisito di accesso l'abilitazione all'insegnamento;
   mentre decine di migliaia di docenti abilitati sono in trepidante attesa dell'espletamento del concorso, sono state segnalate diverse pubblicità di corsi « on line» rivolte a quanti ancora non hanno potuto conseguire l'abilitazione e che «permetterebbero di conseguire all'estero l'abilitazione necessaria per la partecipazione al concorso» –:
   se sia a conoscenza di queste iniziative e del fatto che, a quanto consta agli interroganti, sarebbero pubblicizzate da enti di formazione professionale accreditati presso il Ministero;
   come la normativa che regola il riconoscimento delle abilitazioni professionali conseguite all'estero si applichi ai casi in esame;
   come il Ministro intenda intervenire per chiarire la situazione e prevenire eventuali attività illegittime;
   come il Ministro abbia svolto l'attività di monitoraggio e verifica degli enti accreditati, così come previsto dagli articoli 6 e 7 della direttiva n. 90 del 2003. (5-07998)


   SGAMBATO, MANZI, MALPEZZI, MALISANI, CUOMO, BLAZINA, BORGHI, D'OTTAVIO, BOSSA, ROCCHI, RAMPI, VENTRICELLI, DALLAI, MANFREDI, ASCANI, BONACCORSI, COVELLO e COCCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in una recente circolare del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (n. 674 del 3 febbraio 2016) inviata agli istituti scolastici dei territori, viene informato il personale dell'importanza della consulenza e del coinvolgimento del personale della polizia stradale nell'organizzazione delle visite di istruzione, al fine di rendere più sicuro il trasporto scolastico in occasione della partecipazione degli studenti ai viaggi di istruzione;
   in particolare, i docenti, i dirigenti scolastici e gli organizzatori vengono invitati a porre particolare attenzione, sia nella fase di organizzazione delle visite d'istruzione che durante il viaggio, su taluni aspetti relativi alle scelte delle aziende cui affidare il servizio di trasporto, verificando quindi l'idoneità e condotta del conducente, l'idoneità del veicolo e le altre misure di sicurezza;
   inoltre, la circolare fa riferimento ad un protocollo d'intesa siglato il 5 gennaio 2015 con il Ministero dell'interno e la polizia stradale la quale elaborato un vademecum nel quale si evidenziano alcuni aspetti fondamentali da non trascurare in occasione dell'organizzazione di un viaggio di istruzione che prevede l'uso di un mezzo di trasporto a noleggio con conducente;
   in realtà, ogni qualvolta si ritenga opportuno, in particolare prima di intraprendere il viaggio e/o durante lo stesso se la condotta del conducente o l'idoneità del veicolo non dovessero rispondere ai requisiti riassunti nel vademecum, dovrà essere cura e soprattutto responsabilità dei docenti accompagnatori, chiedere la collaborazione e l'intervento degli uffici della polizia stradale territorialmente competenti, tra l'altro già sensibilizzati a tal riguardo dalla propria direzione centrale;
   inoltre, per consentire alla polizia stradale di organizzare servizi di controllo, compatibilmente con le altre attività istituzionali e fatte salve eventuali emergenze, i dirigenti scolastici dovranno avere cura di inviare una comunicazione alla sezione della polizia stradale del capoluogo di provincia della località in cui avrà inizio viaggio;
   resta il fatto che, in presenza di evidenti situazioni che possono compromettere la sicurezza della circolazione e l'incolumità dei trasportati, in qualsiasi momento, l'intervento degli organi di polizia stradale deve essere richiesto tramite i tradizionali numeri di emergenza –:
   se i Ministri interrogati non ritengano utile e necessario intervenire affinché il ruolo dei dirigenti e dei docenti accompagnatori non sia gravato di ulteriori responsabilità e competenze al fine di salvaguardare il diritto dei ragazzi di partecipare a visite scolastiche e viaggi di gruppo, tenuto conto dell'importanza delle iniziative per la sicurezza degli studenti. (5-07999)


   MARZANA, D'UVA, VACCA, BRESCIA, LUIGI GALLO, CHIMIENTI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il comma 114 dell'articolo 1 della riforma della scuola dispone: «il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, bandisce, entro il 1o dicembre 2015, un concorso per titoli ed esami per l'assunzione a tempo indeterminato di personale docente per le istituzioni scolastiche ed educative statali ai sensi dell'articolo 400 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, come modificato dal comma 113 del suddetto articolo, per la copertura, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, di tutti i posti vacanti e disponibili nell'organico dell'autonomia, nonché per i posti che si rendano tali nel triennio»;
   i posti messi a bando nel concorso del 2016, che produrrà una graduatoria valida per il triennio scolastico 2016/2018, saranno 63.712 a fronte di una platea complessiva di docenti che potranno partecipare al concorso a cattedra che si aggira intorno alle 196.400 unità;
   da questa platea sono esclusi tutti quei docenti che sono in procinto di ottenere l'abilitazione all'insegnamento e la specializzazione nel sostegno, ovvero docenti abilitandi e specializzandi che stanno concludendo i corsi universitari e che conseguiranno il titolo tra pochi mesi e che da anni insegnano e sostengono la scuola con il lavoro;
   tra questi ci sono i docenti che stanno frequentando la III annualità dei PAS, percorsi abilitanti speciali, istituiti dal decreto ministeriale n. 81 del 25 marzo 2013 e attivati con decreto direttoriale n. 58 del 25 luglio 2013, in quanto alcune università hanno previsto lo scaglionamento in tre annualità del percorso, per cui molti docenti non hanno ancora ultimato il corso e rimarrebbero fuori dal concorso;
   si aggiungono gli specializzandi che stanno frequentando i corsi per le attività di sostegno, organizzati dagli atenei italiani attraverso un percorso articolato e specifico così come disciplinato dal decreto ministeriale n. 612 del 16 maggio 2014, che, all'articolo 2, comma 3, dispone: «I corsi sono istituiti ai sensi del decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 30 settembre 2011, recante i criteri e le modalità per lo svolgimento dei corsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno, ai sensi degli articoli 5 e 13 del decreto ministeriale n. 249 del 2010»;
   questi docenti hanno superato una rigorosa procedura selettiva per l'accesso al corso con riferimento all'anno accademico 2014/15 e, per contingenze non derivanti da loro responsabilità (bandi pubblicati in ritardo, selezioni da rifare più volte, inizio e calendarizzazione lezioni con tempi lunghi), si trovano ancora a frequentare il corso e per pochi mesi non otterranno l'abilitazione in tempo per partecipare al concorso, rimanendo esclusi da qualsivoglia possibilità di immissione in ruolo e di spendibilità del titolo;
   nonostante dunque abilitandi e specializzandi abbiano seguito lezioni, superato esami in itinere, speso più di 3 mila euro, in occasione del concorso a cattedra sono assimilati ai neolaureati;
   attualmente nella scuola italiana ci sono 240 mila studenti disabili e, anche dopo la riforma della scuola, con la quale si è proceduto all'immissione in ruolo di soli 6.446 nuovi docenti specializzati sul sostegno, sono solo 90 mila le cattedre di sostegno coperte da personale di ruolo su oltre 120 mila posti;
   tramite la nuova procedura concorsuale si assumeranno solamente 5.766 docenti di sostegno, peraltro nell'arco di tre anni, quando i docenti già specializzati sono 12.840, per cui su circa 25.000 posti di sostegno continueranno ad alternarsi docenti precari privi di titolo di specializzazione, con forte pregiudizio in termini di continuità didattica e metodologica e di fatto mettendo a rischio la realizzazione di un compiuto sistema di integrazione;
   tra l'altro, in Italia, per ottenere l'abilitazione come docente di sostegno è necessario acquisire la specializzazione per le attività di sostegno mediante appositi corsi universitari, della durata di circa un anno, previa selezione, strutturati con lezioni su contenuti pedagogici, didattici e psicologici, con ore di laboratorio e tirocinio ed esami in itinere e finali;
   purtroppo, recenti articoli di diverse testate giornalistiche denunciano la possibilità di una scorciatoia per procurarsi l'abilitazione fuori dall'Italia in modo rapido e decisamente meno impegnativo rispetto a quello previsto dalla legge e offerto dalle università italiane;
   infatti, molti docenti italiani optano per un corso di specializzazione sul sostegno di soli 15 giorni, in Romania, dopo il quale in applicazione della direttiva 2005/36/CE, recepita in Italia con il decreto legislativo n. 206 del 6 novembre 2007, presentano richiesta di riconoscimento del titolo di studio;
   i docenti che hanno acquisito la specializzazione per le vie brevi, non conformandosi alle disposizioni normative per la formazione previste in Italia, avranno il titolo per partecipare al concorso sul sostegno, mentre ai docenti che si stanno formando nelle università italiane verrà preclusa questa opportunità –:
   quali urgenti iniziative, anche di tipo normativo, intenda adottare il Ministro interrogato per garantire la partecipazione con riserva al concorso a cattedra 2016 per tutti quei docenti prossimi al conseguimento del titolo di abilitazione e di specializzazione al sostegno citati in premessa;
   se, in alternativa, non ritenga opportuno assumere iniziative per prevedere una fase transitoria nel periodo intercorrente tra il concorso 2016 e l'entrata in vigore del nuovo sistema di formazione e reclutamento dei docenti, al fine di valorizzare il percorso abilitante che hanno sostenuto e tutelare tutti quei docenti prossimi al conseguimento del titolo di abilitazione e di specializzazione;
   se il Ministro interrogato, a fronte dei 25 mila posti vacanti sul sostegno, non ritenga opportuno adottare iniziative per assumere in ruolo i docenti specializzati al fine di garantire la continuità e la qualità del percorso di educazione ed istruzione degli alunni affetti da disabilità;
   come intenda tutelare, in relazione alle candidature al concorso scuola, quei candidati che, a dispetto di chi abbia conseguito il titolo in Romania, hanno frequentato i corsi di specializzazione sul sostegno secondo i criteri previsti dalle leggi italiane. (5-08001)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MURA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la Sardegna è la regione italiana col più alto tasso di abbandono degli studi da parte dei ragazzi;
   il 25 per cento, secondo l'ultimo censimento Istat, praticamente uno su quattro dei studenti sardi delle superiori abbandona gli studi scolastici;
   il 15 per cento della dispersione complessiva è riferita alle assenze degli alunni sardi nelle scuole elementari e medie;
   si tratta di un fenomeno, quello relativo alla scuola dell'obbligo, conosciuto e facilmente rilevabile perché sono tanti i dirigenti che – soprattutto alle medie – sono costretti a fare la segnalazione agli assistenti sociali;
   uno studio di Save the Children mette in rilievo anche le gravissime carenze della preparazione scolastica degli studenti sardi;
   fra i quindicenni, uno su tre non arriva alla soglia minima di competenze in matematica e nella lettura, cioè nella capacità di comprensione e analisi dei testi;
   il fenomeno della dispersione scolastica riguarda sia le città che i piccoli comuni, specialmente quelli delle zone interne e montane, una situazione che si aggiunge al drammatico fenomeno dello spopolamento abitativo e del ridimensionamento dei servizi essenziali a favore della popolazione;
   il fenomeno riguarda tutta l'Italia, ma il divario aumenta in modo sensibile, al Sud e nelle isole, con la Sardegna che purtroppo vanta tristemente il record nazionale –:
   quali ulteriori iniziative oltre a quelle già attivate con «la buona scuola» e gli altri provvedimenti del Governo Renzi, intenda assumere per combattere, in particolare nel Sud Italia e in Sardegna, il fenomeno della dispersione scolastica;
   se non ritenga urgente assumere iniziative per investire ulteriori e maggiori risorse – economiche e umane – per far fronte a un'emergenza che rischia di aggravare ulteriormente le prospettive future dei giovani italiani, a partire da quelle occupazionali;
   quali iniziative intenda adottare per potenziare le attività di aiuto nei compiti, di aggregazione giovanile e socializzazione, con particolare attenzione alle fasce più deboli della popolazione e a quei contesti socio-economici in cui il fenomeno dell'abbandono scolastico rischia di consegnare i giovani nelle mani della criminalità organizzata. (4-12337)


   BRUGNEROTTO e D'INCÀ. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Gazzettino di Padova del 2 marzo 2016 riporta la notizia della denuncia di molti insegnanti precari su «l'ulteriore beffa dei corsi “fuori tempo massimo”. Infatti i termini per la domanda per partecipare al concorso statale che assegnerà le cattedre di ruolo per il prossimo anno scolastico scadono il 30 marzo, mentre i corsi abilitanti presso l'università di Padova terminano dopo, tra maggio e giugno»;
   il rischio concreto è che gli insegnanti che si sono iscritti ai corsi abilitanti sognando un posto fisso all'interno della scuola dovranno aspettare altri tre anni prima di poter partecipare a un nuovo concorso;
   si dà il caso che in altre Università italiane, ad esempio Napoli, Firenze e Trento, i corsi abilitanti Tfa (tirocinio formativo attivo) e Pas (Percorso abilitante speciale) siano stati intensificati proprio per rientrare nei termini;
   il bando emanato il 26 febbraio 2016 non ammette l'iscrizione con riserva, quindi il titolo, entro il 30 marzo, dev'essere già stato conseguito. Si tratterebbe di un danno ancor più grande per gli specializzandi nel sostegno agli alunni con disabilità che, già abilitati nella materia, plurititolati e con anni pregressi di insegnamento, si stanno formando ulteriormente –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti e se non ritenga di assumere urgentemente iniziative affinché presso tutte le università italiane, inclusa quella di Padova, i corsi abilitanti si concludano entro il termine previsto per la domanda di partecipazione al concorso, garantendo così a tutti i corsisti la possibilità di partecipare allo stesso. (4-12353)


   SCOTTO e PANNARALE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel 2001 l'Osservatorio vesuviano è stato inglobato nell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV), diventandone sezione di Napoli;
   all'epoca l'Osservatorio aveva 135 dipendenti, tutti con contratto a tempo indeterminato, mentre oggi ne conta 108, di cui 15 con contratto a tempo determinato;
   mentre l'organico nazionale complessivo dell'INGV è praticamente raddoppiato, la sezione napoletana è l'unica ad aver vissuto una diminuzione d'organico;
   tutto questo a fronte di una crescente importanza dei compiti istituzionali della sezione di Napoli, che si occupa del monitoraggio delle aree vulcaniche napoletane (Vesuvio, Campi Flegrei, Ischia);
   si tratta delle aree vulcaniche più ad alto rischio del mondo, le cui zone rosse e gialle ed i cui piani d'emergenza sono stati messi a punto o aggiornati in questi ultimi anni;
   dal settembre del 2013 la sezione di Napoli è diretta dal professor Giuseppe De Natale, uno dei vulcanologi più titolati d'Italia, membro dell’Academia Europaea e rappresentante italiano in seno all'Associazione internazionale per la vulcanologia;
   nei due anni e mezzo di sua direzione, l'Osservatorio ha avuto un enorme sviluppo infrastrutturale: ha costruito dal nulla un sistema di monitoraggio profondo (in pozzo) tra i più efficienti al mondo, ha sviluppato sistemi altamente innovativi di monitoraggio dei fondali vulcanici marini, ha sviluppato un sistema di monitoraggio di temperature profonde nell'area flegrea basate su sofisticate tecnologie in fibre ottiche;
   inoltre, in questo periodo è stata completamente ristrutturata la palazzina storica dell'Osservatorio situata sul Vesuvio, primo osservatorio vulcanologico al mondo fondato nel 1841 da Ferdinando II di Borbone;
   l'antica sede, che era in una situazione di degrado con grandi problemi anche statici, è stata perfettamente restaurata ed è oggi una prestigiosa sede museale per la storia della vulcanologia, oltre che un importante riferimento sul territorio per la divulgazione e l'informazione sul rischio vulcanico;
   in questi anni l'Osservatorio è diventato un riferimento assoluto per il territorio, ha riconquistato autorevolezza tra i comuni e con la regione Campania, il DPC nazionale, nonché le rappresentanze diplomatiche dei Paesi più importanti in Europa e nel mondo (USA, Francia, Germania, Giappone);
   la sezione napoletana ha ottenuto riconoscimenti prestigiosi dall'ambasciatore degli Stati Uniti d'America in Italia, che ha visitato la sede di monitoraggio e la sede storica il 9 gennaio 2016, e si appresta ad ospitare, il 3 maggio 2016, un importante evento di gemellaggio con l'Osservatorio vulcanologico del Sakurajima (Kagoshima, Giappone), al quale è prevista la partecipazione dell'Ambasciatore giapponese:
   nonostante questi importanti ed indubbi successi, l'Osservatorio vesuviano è stato proditoriamente e repentinamente commissariato, senza alcun preavviso ed alcuna notifica preliminare, basandosi su vaghe dichiarazioni di mancato «benessere organizzativo» non sostanziate e non notificate;
   il commissariamento è stato effettuato con un atto che, a giudizio degli interroganti, non trova alcun riscontro né giustificazione nei regolamenti dell'ente, scavalcando tutte le procedure che prevedono, in caso di valutazioni gravemente negative, un iter procedurale che inizia con un contraddittorio in cui il consiglio d'amministrazione discute con il direttore dei problemi riscontrati, prima di trarre alcuna conclusione;
   tutto questo avveniva il 17 febbraio 2016, in un periodo in cui sia l'attuale presidente dell'INGV sia il direttore dell'Osservatorio erano entrambi interessati alla selezione pubblica, aperta con bando dell'8 febbraio 2016, per il nuovo Presidente dell'INGV;
   tra i numerosi vizi formali e sostanziali dell'atto vi sarebbe, a giudizio degli interroganti, la nomina di un commissario al posto del direttore, figura che non trova riscontro né definizione nei regolamenti dell'ente;
   mancherebbe, inoltre, la revoca del direttore stesso, che come specificato avrebbe dovuto seguire ben altro iter a norma di regolamento;
   si è creato così uno stato di profonda confusione normativa per la moltiplicazione di figure direttive con ruoli indefiniti e/o confliggenti;
   tale situazione rischia di paralizzare completamente l'attività dell'Osservatorio, che svolge una funzione delicatissima e fondamentale non solo per la ricerca scientifica vulcanologica, ma soprattutto per la sicurezza e la salvaguardia di più di tre milioni di abitanti dell'area napoletana, ad altissimo rischio vulcanico –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere al fine di risolvere questa situazione ripristinando uno stato di regolarità all'interno della sezione napoletana dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e garantendo, così, il corretto funzionamento dell'Osservatorio vesuviano. (4-12355)

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LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   ogni anno in Italia si dimettono circa 1,4 milioni di lavoratori;
   con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto 15 dicembre 2015, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 26, comma 3, del decreto legislativo n. 151 del 2015, ha definito gli standard e le regole tecniche per la compilazione del modulo per le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro: il dipendente intenzionato a lasciare il proprio posto di lavoro dovrà compilare un modulo on-line, richiedere « usemame» e « password» per accedere al portale www.cliclalavoro.it oppure in alternativa rivolgersi ad uno dei soggetti abilitati alla identificazione dei lavoratori (patronati, enti bilaterali, organizzazioni sindacali, commissioni di certificazione);
   l'intento del Governo è quello di evitare la cosiddetta pratica delle «dimissioni in bianco»;
   al fine di debellare tale fenomeno la legge n. 92 del 2012 aveva previsto la possibilità da parte del dipendente di manifestare la propria volontà di dimettersi presentandosi direttamente presso il centro per l'impiego territorialmente competente o in alternativa poteva firmare una dichiarazione di conferma sulla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto al centro per l'impiego;
   in tal caso, se il dipendente non convalidava le dimissioni, il datore di lavoro, a tempo trenta giorni dalla data delle dimissioni, poteva inviare al lavoratore una lettera con la quale lo invita ad attivarsi e ad andare presso le sedi competenti per effettuare la convalida e il lavoratore entro sette giorni poteva:
    replicare al datore di lavoro contestando le dimissioni;
    dichiarare di ritirare le dimissioni offrendosi di continuare il rapporto di lavoro;
    convalidare le dimissioni;
    firmare la dichiarazione sulla ricevuta di trasmissione delle dimissioni al centro per l'impiego;
   se nel termine di sette giorni il lavoratore non effettuava nessuna delle attività di cui sopra allora il rapporto di lavoro si conclude validamente;
   come sottolineato dalla Fondazione Studi Consulenti del lavoro e come sollevato dall'interrogante in più occasioni, con l'avvio della nuova disciplina on line prevista per il 12 marzo 2016, scatta un pericolo che potrebbe essere molto costoso sia per dipendenti, sia per lo Stato che per le stesse aziende;
   i lavoratori (oltre il 50 per cento) che, non avendo né le capacità o essendo sprovvisti di pin o rete internet dovranno necessariamente rivolgersi ad uno dei soggetti abilitati patronati, enti bilaterali, organizzazioni sindacali, commissioni di certificazione e la pratica avrà sicuramente un costo: nel complesso si stima una spesa pari a 10,5 milioni di euro;
   un'altra dinamica abbastanza diffusa specialmente tra i lavoratori extracomunitari è l'abbandono improvviso il posto di lavoro. Le stime di questo fenomeno oscillano attorno al 5 per cento, quindi si parla di circa 70 mila rapporti di lavoro che la legge lascia nella completa incertezza, poiché senza la compilazione del modulo online le dimissioni non sono valide. In tal caso, il datore di lavoro dovrà procedere al licenziamento per giusta causa, operazione onerosa visto che in tal caso è dovuto il cosiddetto «ticket licenziamento» che (per una anzianità fino a 3 anni) può arrivare fino a 1.500 euro circa. Quindi, le aziende avrebbero un potenziale maggior costo di 105 milioni di euro l'anno;
   e non solo: il licenziamento comporta per il lavoratore il diritto alla cosiddetta indennità di disoccupazione (oggi denominata «Naspi») che su una retribuzione non superiore a 25 mila euro l'anno è di circa 21 mila euro. Ciò significa che lo Stato potrebbe essere chiamato a corrispondere a questi lavoratori una indennità (su due anni) di 1,47 miliardi di euro;
   la nuova procedura per le dimissioni online, nata per il contrasto al fenomeno delle dimissioni in bianco, costituisce un provvedimento che va nella direzione contraria alla semplificazione normativa e che comporta maggiori oneri burocratici e costi per le imprese –:
   se il Ministro interrogato non intenda assumere urgentemente, iniziative normative per definire in modo chiaro che, nel caso in cui il lavoratore non dovesse convalidare le dimissioni online, il datore possa inviare una raccomandata con la richiesta di conferma che diventa automatica nel caso di silenzio oltre i 7 giorni al fine di limitare l'esoso esborso da parte sia delle aziende che dello Stato;
   se non intenda assumere iniziative per rivedere tutto l'attuale sistema delle dimissioni, riportando in essere la normativa previgente di cui alla legge n. 92 del 2012 («legge Fornero»). (5-07996)


   ROCCHI, GIACOBBE, GNECCHI, CENNI, ALBINI, FOSSATI, CARROZZA, BENI e ANDREA ROMANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'area livornese e quella di Piombino sono state riconosciute come aree di crisi complessa da parte del Governo e sono attualmente in corso le procedure per dare attuazione ai piani di riconversione e ristrutturazione industriale;
   nei territori ricompresi nelle aree sopra richiamate si sono realizzate crisi aziendali che hanno prodotto centinaia di lavoratori in mobilità e nelle ultime settimane si stanno concludendo i periodi mobilità con centinaia di lavoratori che saranno privi a breve di ogni ammortizzatore sociale;
   il presidente della regione Toscana Enrico Rossi, in relazione al grave disagio sociale che si sta determinando, facendosi peraltro interprete di richieste delle organizzazioni sindacali livornesi e toscane, ha avuto modo di scrivere al Ministro interrogato chiedendo la possibilità che nelle aree di crisi complessa, in relazione alla possibilità concreta di portare avanti processi di reindustrializzazione, si potessero prevedere tempi più lunghi di copertura degli ammortizzatori sociali rispetto alla normativa ordinaria, in modo tale da evitare ricadute sociali pesanti sui lavoratori e traghettando questi lavoratori verso la realizzazione dei nuovi progetti industriali;
   la regione Toscana per ovviare alla situazione di assenza di protezione sociale nei confronti di centinaia di lavoratori ha attivato un primo intervento di lavori socialmente utili la cui disciplina è dettata dall'articolo 26 del decreto legislativo n. 150 del 2015, che permetterà ad oltre settecento lavoratori di poter avere un sostegno al reddito svolgendo una funzione di pubblica utilità sulla base di progetti presentati alle amministrazioni comunali;
   il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ha risposto alla richiesta del presidente Rossi facendo presente la disponibilità a sostenere limitatamente alle aree di crisi complessa interventi di lavori socialmente utili sulla base dell'esperienza Toscana –:
   in che tempi e modi si concretizzi tale disponibilità e quali risorse il Ministro interrogato intenda utilizzare per alleviare la situazione di grave disagio sociale che si sta determinando nelle aree di Piombino e di Livorno e nelle altre aree di crisi complessa del Paese. (5-07997)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   fino al 31 dicembre 2013, i lavoratori poligrafici posti in cassa integrazione straordinaria, dipendenti delle aziende in crisi, potevano usufruire della legge 5 agosto 1981, n. 416, recante «disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l'editoria» che consentiva di accedere al prepensionamento anticipato con 32 anni di contributi versati;
   la legge di riforma in materia di lavoro, del 28 giugno 2012, n. 921, cosiddetta «legge Fornero», successivamente ha modificato alcune disposizioni della suddetta legge, in particolare:
    a) l'articolo 3 del regolamento, alla lettera a), che modifica l'articolo 37, comma 1, lettera a), della legge 5 agosto 1981, n. 416, e successive modificazioni, stabilendo che le parole: «almeno 384 contributi mensili ovvero 1.664 contributi settimanali di cui, rispettivamente, alle tabelle A e B allegate al decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1968, n. 488», sono sostituite dalle seguenti: «almeno 35 anni di anzianità contributiva a decorrere dal 1o gennaio 2014, 36 anni di anzianità contributiva a decorrere dal 1o gennaio 2016 e 37 anni di anzianità contributiva a decorrere dal 1o gennaio 2018»;
   la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità per il 2016), con i commi da 295 a 297 dell'articolo 1, che recano norme in materia di trattamento pensionistici per i lavoratori poligrafici, ha previsto, al riguardo, che le disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze dei trattamenti pensionistici vigenti al 31 dicembre 2013, continuano ad applicarsi, ancorché maturino i requisiti per l'accesso al pensionamento successivamente alla predetta data, nei riguardi dei lavoratori poligrafici collocati in cassa integrazione guadagni straordinaria essendo finalizzata al prepensionamento, in forza di accordi di procedura sottoscritti tra il 1o settembre ed il 31 dicembre 2013;
   i suesposti commi, inoltre, evidenziano che i trattamenti pensionistici anticipati sono erogati, fino al limite di spesa annua di 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018, secondo l'ordine di sottoscrizione del relativo accordo presso l'ente competente;
   i destinatari del beneficio, pertanto, hanno diritto al prepensionamento, indipendentemente dal requisito anagrafico e in presenza delle altre condizioni di legge, sulla base dell'anzianità contributiva minima di 32 anni da far valere nell'assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti, aumentata di un periodo pari a 3 anni fino a un massimo di 35 anni;
   le disposizioni citate, che interessano direttamente la direzione centrale pensioni dell'Inps, sono contenute all'interno della circolare n. 8 del 20 gennaio 2016, che ha provveduto ad inviare ai diretti interessati, le prime indicazioni;
   l'interrogante evidenzia che, alla luce delle disposizioni previste all'interno della legge di stabilità 2016 ed in precedenza delle norme in materia di prepensionamento, indicate dalla cosiddetta «legge Fornero», esistono realtà aziendali, come quella delle Officine grafiche DeAgostini di Novara, i cui dipendenti con età di circa 50 anni, sono in una posizione ambigua e difficile dal punto di vista previdenziale e occupazionale, i cui riflessi negativi possono ripercuotersi gravemente sul tessuto socio-economico dell'area novarese;
   al riguardo, l'interrogante rileva come la medesima azienda (i cui lavoratori peraltro sono in forza di accordi sottoscritti in un periodo pre-Fornero marzo 2013) abbia cessato l'attività produttiva e conseguentemente, a giudizio dell'interrogante, risulta necessario porre in essere ogni iniziativa finalizzata a salvaguardare i lavoratori dal punto di vista previdenziale, affinché possano ricorrere al prepensionamento come previsto dalle disposizioni contenute all'interno della legge di stabilità 2016, in materia di trattamenti pensionistici per i lavoratori poligrafici –:
   se, in considerazione di quanto esposto in premessa, il Ministro interrogato non ritenga urgente ed opportuno assumere iniziative in relazione ai lavoratori delle Officine grafiche De Agostini, affinché gli attuali ammortizzatori sociali (cassa integrazione straordinaria con scadenza marzo 2017) siano prolungati nei confronti di coloro che hanno raggiunto i 50 anni di età, in modo che possano ricorrere al prepensionamento, in coerenza con quanto stabilito dalle recenti disposizioni previste dalla legge di stabilità 2016, intervenendo in deroga alla cosiddetta «legge Fornero» che ha parzialmente modificato la legge n. 416 del 1981.
(4-12344)


   LOMBARDI, COMINARDI, CIPRINI, TRIPIEDI, DALL'OSSO e CHIMIENTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la cessione di Alitalia da C.A.I. (Compagnia Aerea italiana srl) a S.A.I. (Società aerea italiana spa), che ha rilevato il marchio e gli asset operativi della ex compagnia di bandiera e si è resa azionista per consentire l'ingresso di Etihad Airways nel capitale, ha portato con sé il licenziamento di migliaia di dipendenti, tra cui anche soggetti appartenenti alle categorie protette, già impiegati in misura inferiore rispetto alle quote obbligatorie prescritte dalla legge n. 68 del 1999;
   in base a quanto emerso finora, nella stragrande maggioranza dei tribunali, nell'ambito dei centinaia di ricorsi presentati, la quasi totalità dei licenziamenti è stata definita illegittima, in quanto operata in spregio delle norme sui criteri di selezione, sulla tutela delle categorie protette e sul rispetto formale delle procedure;
   in tal modo, Alitalia-Sai, oltre a non rispettare le norme e a non ottemperare alle sentenze che impongono la reintegra dei lavoratori, manifesta secondo gli interroganti una particolare indifferenza rispetto alla funzione di integrazione sociale che svolge il lavoro per persone disabili, i quali così vengono lasciati a casa; il comparto aereo è in costante crescita economica e industriale, il che indurrebbe a pensare che l'operazione condotta dalla compagnia aerea abbia scaricato sulla collettività il prezzo delle ristrutturazioni aziendali, dato che, oltre ai licenziamenti, Alitalia ha posto in essere generose elargizioni di ammortizzatori sociali, a danno della spesa pubblica e del futuro di migliaia di lavoratori espulsi dalla produzione, talvolta riassunti con salari da fame e senza tutele o, addirittura, sostituiti da precari a più basso costo e senza diritti, condannati a 60 mesi di «stagionalità» prima di essere stabilizzati;
   con ordinanza del 15 gennaio 2016, il tribunale di Roma ha disposto la reintegra di cinque lavoratori, dichiarando la nullità del licenziamento intimato da Alitalia nel 2014, in quanto motivato dalla cessione di azienda e dunque vietato dall'articolo 2112 del codice civile e dall'articolo 4 della direttiva 2001/23/CE: il licenziamento di migliaia di lavoratori, infatti, non può essere giustificato con la necessità del buon esito di cessione dell'azienda, la quale, peraltro, dovrebbe avere come scopo proprio la salvaguardia dei rapporti di lavoro ceduti a un nuovo soggetto in grado di conservarli; l'accordo sindacale su cui si basano i licenziamenti è dunque illegittimo, in quanto contrario alla legge e al diritto dell'Unione europea;
   inoltre, Alitalia ha proceduto a nuove assunzioni con contratto a tempo indeterminato, a dimostrazione del fatto che gli esuberi non erano necessari: a giudizio degli interroganti sono stati licenziati i dipendenti più costosi e assunti dipendenti con condizioni lavorative inferiori e minori tutele;
   è chiaro che questo è stato realizzato, secondo gli interroganti, attraverso aggiramento delle norme che, però, la «riforma Fornero» e il Jobs Act, in molto casi, hanno permesso –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e dell'uso che Alitalia sta facendo degli strumenti messi a disposizione dal Jobs Act che, invece di dare luogo a nuovi posti di lavoro, determinano una preoccupante «guerra» tra licenziati, cassintegrati e nuovi assunti senza tutele di sorta;
   se, considerata l'ingente mole di ricorsi pendenti, il Ministro interrogato non reputi necessario intraprendere ogni iniziativa di competenza sul piano politico al fine di dirimere le controversie insorte, in accordo con le organizzazioni sindacali coinvolte nella vicenda;
   se non ritenga opportuno intervenire al fine di evitare che Alitalia Sai scarichi sulla collettività i costi della ristrutturazione aziendale, attraverso un'applicazione ad avviso degli interroganti, illegittima, della normativa finalizzata al sostegno del reddito dei lavoratori espulsi dal processo produttivo;
   se il Ministro non pensi che sia necessario assumere iniziative per contrastare in modo chiaro una prassi come quella testé descritta che si sta diffondendo in misura sempre maggiore e via via più preoccupante nell'ambito delle relazioni industriali. (4-12356)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   IBM Italia è una società del gruppo internazionale IBM avente sede legale a Segrate (MI) ed opera nel mercato informatico italiano offrendo prodotti e servizi informatici;
   il gruppo IBM Italia conta ad oggi circa seimila dipendenti distribuiti su varie sedi sul territorio nazionale. Negli ultimi 5 anni sono state effettuate decine e decine di acquisizioni di altre società, investimenti finanziari e assunzioni di personale in contemporanea a cessioni di rami di azienda, procedure di mobilità, nonché accompagnamenti alla pensione;
   infatti, molte attività di IBM sono state cedute ad altre aziende, spesso costituite appositamente, e, insieme a queste attività, sono stati ceduti anche i rapporti di lavoro. Il metodo spesso utilizzato è stato quello della cessione di ramo d'azienda, ma sono state anche effettuate, a quanto consta all'interrogante, varie forme di «pressione» per indurre i lavoratori a dare le proprie dimissioni e ad accettare le successive assunzioni da parte di aziende controllate da IBM medesima;
   con riferimento all'esercizio 2012, si registrava un utile prima delle imposte pari a 155 milioni di euro ed un fatturato superiore ai 2.300 milioni di euro, e riportava i principali indici di bilancio tutti di segno positivo;
   solo nel 2013 l'azienda IBM Italia ha aperto un procedimento di riduzione del personale ai sensi dell'articolo 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, che ha interessato 149 lavoratori dipendenti; in conseguenza di ciò, ha: a) adottato programmi di incentivazione all'esodo con risoluzione incentivata dei rapporti di lavoro con un'operazione che ha interessato circa 260 persone; b) concordato riduzioni salariali con il personale dirigenziale; c) risolto contratti di lavoro con personale ritenuto sovrabbondante colpendo circa 450 persone; d) operato un trasferimento collettivo accentrando nella sede di Segrate (Milano) tutte le posizioni amministrative e di supporto esistenti nelle 11 sedi territoriali e obbligando quindi un gran numero di dipendenti a rimettere il proprio incarico di lavoro; e) già operato diverse ed importanti operazioni riorganizzative e/o riduttive, in particolare: ha trasferito 896 dipendenti dalla sede di Vimercate (Monza e Brianza) a quella di Segrate (Milano);
   inoltre, occorre segnalare che negli ultimi anni sono comunque avvenute riduzione di personale, anche se nella forma degli incentivi «spontanei» alle dimissioni. Si apprende da fonti di stampa che nel 2014 almeno 400 dipendenti sarebbero ritenuti in eccesso da Ibm Italia su tutto il territorio nazionale;
   è opinione dell'interrogante che nella Ibm Italia si registri un utilizzo indiscriminato e ingiustificato di procedure di mobilità, in contemporanea ad acquisizione di società e fusioni strategiche;
   peraltro, contemporaneamente la cosiddetta corporate sta sempre più spostando attività dagli Stati Uniti e dall'Europa occidentale verso quella orientale, ove il costo del lavoro è più basso, al fine di aumentare i livelli di profitto. Tale politica, unitamente ad un calo nel revenue e signing italiano dovuto alle difficoltà del settore dell’information technology italiano, sta determinando da anni una pesante ripercussione negativa sui livelli occupazionali italiani: dal 2005 ad oggi si sono persi più di 3 mila posti di lavoro;
   la delocalizzazione di attività amministrative e gestionali fuori dal territorio nazionale, solo in parte di staff ma anche di «contatto con il cliente», ha conseguenze gravi per il tessuto industriale italiano ma anche per l'intera collettività, in quanto la perdita di lavoro in Italia coinvolge molte persone non in grado di maturare l'età pensionabile avendo un residuo lavorativo pari a 7-10 anni; comporta un onere importante a carico dello Stato italiano e quindi dei suoi cittadini, dal momento che dovrà pagare il contributo di mobilità a centinaia di persone per un periodo di tre anni; genera un onere per il contribuente, al quale corrisponde un maggior utile per Ibm;
   nel 2013 Ibm Italia ha attivato la procedura di mobilità negli enti di staff per circa 140 addetti nonostante l'utile del 2012 si attestava sui 155 milioni di euro;
   nel 2014 (ancora in presenza di un bilancio per il 2013 positivo) Ibm Italia ha avviato la procedura di mobilità per 290 addetti ai sensi della legge n. 223 del 1991 (una riduzione del 15 per cento rispetto alla forza lavoro complessiva dell'area di riferimento);
   in altre parole, IBM è una multinazionale in crescita a livello mondiale, che distribuisce profitti agli azionisti, ma che in Italia licenzia centinaia di persone ogni anno;
   le associazioni sindacali di categoria stanno da anni denunciando la mancanza di una strategia aziendale basata sulle caratteristiche del nostro Paese (a prevalenza di medie e piccole aziende); si tratta di una mancanza che, se non affrontata in tempi rapidi e in maniera efficace e risolutiva, porterebbe quindi nel prossimo futuro ad altri pesanti tagli in tutti i settori di Ibm Italia;
   con una comunicazione ai sindacati del 4 dicembre 2015 la Società Ibm Italia annuncia l'apertura di una procedura di cessione di ramo d'azienda riguardante 245 impiegati, 55 quadri e 6 dirigenti dei circa 6300. In una comunicazione inviata a 300 lavoratori IBM in data 22 dicembre 2015 si afferma che a seguito di una procedura cosiddetta «47» (di cui alla legge n. 428 del 1990) il rapporto di lavoro – dopo soli 10 giorni dalla comunicazione – prosegue senza soluzione di continuità alla società Ibm Servizi Tecnologici srl;
   dal 1o gennaio 2016, 300 impiegati e quadri IBM (settori SDC e sottoramo TSS Support Services) e 6 dirigenti vengono ceduti, alla Adecco, tramite diversi passaggi societari intermedi molto rapidi; ad oggi formalmente però Adecco ha solamente scritto una nota di «intenzione» di acquisto;
   la società, dove dal 1o gennaio 2016 risultano dipendenti i predetti 300 lavoratori Ibm, si chiama Ibm Servizi Tecnologici srl. Questa società viene costituita solo 20 giorni prima da IBM Italia (che ne detiene 100 per cento delle quote), il 10 dicembre 2015, con un capitale sociale versato di 10.000 euro e iscritta nel registro delle imprese di Milano l'11 dicembre 2015. Nello statuto non sono indicati i nomi dei soci, né dell'amministratore unico o del consiglio di amministrazione, la società appare all'interrogante creata ad hoc, con un capitale sociale minimo, poco prima della cessione dei 300 dipendenti, e costituisce quella che si potrebbe definire una «scatola vuota temporanea»;
   per quanto tale operazione appaia legittima, nella cessione da IBM ad Adecco si evidenziano diverse criticità: 1) passaggio a società creata ad hoc per la cessione (IBM Italia ha un capitale sociale di 347.256.998 euro, mentre IBM Servizi. Tecnologici srl ha un capitale sociale di soli 10.000 euro; inoltre la IBM Servizi Tecnologici srl viene creata in data 10 dicembre 2015;
   la mission aziendale è generica e non è stato presentato alla rappresentanza sindacale unitaria un piano industriale: dalla visura del 4 gennaio 2016, alla voce stato attività, risulta «impresa inattiva»; 2) creazione, a giudizio dell'interrogante, anomala del ramo d'azienda ai fini della cessione (il ramo SDC viene creato a marzo 2015 ovvero 10 mesi prima della cessione; molti dei lavoratori inseriti nel ramo SDC continuano ad eseguire le medesime attività dei colleghi di altre direzioni e alcuni eseguono solamente le attività di altre direzioni); 3) professionalità dei lavoratori troppo elevata per la cessione (le alte competenze e la maturata esperienza dei lavoratori non giustificano la motivazione data dall'azienda cedente, di non rappresentare il core della mission aziendale e dei futuri piani di sviluppo ed investimento. Nel passaggio da una società all'altra, peraltro, sono coinvolti anche lavoratori della VTS (società del gruppo IBM ed Unicredit) che si occupano di tematiche di sicurezza ed hanno in gestione nel loro portfolio progetti strategici fino al 2017, attività di rilevante importanza per l'attività principale di IBM); 4) assunzioni di lavoratori e acquisizioni di società in contemporanea alla cessione di ramo d'azienda (in contemporanea alla cessione di ramo d'azienda, risultano alcune posizioni aperte per l'assunzione di personale; inoltre continua la cassa integrazione a zero ore in GBS per 288 lavoratori dal 15 dicembre al 16 gennaio); 5) il numero dei lavoratori coinvolti è troppo esiguo, se considerato il piano di disinvestimento aziendale su un settore strategico (tale azione secondo l'interrogante fa presumere che per ridurre il numero di personale in Italia, secondo le direttive europee e statunitensi, si procederà a nuove cessioni di rami d'azienda per arrivare ad una riduzione maggiore di lavoratori); 6) grave situazione psicologica dei lavoratori oggetto di cessione (né la società cedente, né la società ce acquisisce i lavoratori sembrano porre la giusta attenzione allo stato psicologico dei lavoratori) preoccupati giustamente per il loro futuro e per la loro vita. Al momento del passaggio, non sarebbero state fornite informazioni sulla nuova sede di lavoro. Le utenze utilizzate per leggere la posta aziendale sarebbero state revocate da un giorno all'altro. I lavoratori dichiarano di essere stati abbandonati a sé stessi, senza informazioni né prospettive) –:
   se i Ministri interrogati non ritengano, per quanto di rispettiva competenza, di dover intervenire per impedire che l'utilizzo indiscriminato di strumenti normativi in materia di relazioni industriali (articolo 47 legge 29 dicembre 1990, n. 428 e articoli 4 e 24 legge 23 luglio 1991, n. 223) e, in particolare, delle nuove norme sulla riforma del mercato del lavoro che favoriscono una flessibilità in uscita possano produrre la perdita di posti di lavoro sul territorio nazionale, così come è avvenuto per l'Ibm Italia in riferimento alla sede di Roma;
   se l'alto numero di procedure di mobilità, cessioni di rami d'azienda e delocalizzazioni operate dalla Ibm Italia negli ultimi 5 anni non determinino un «processo di licenziamento collettivo ed un consistente onere finanziario a carico dello Stato, e quindi dei contribuenti, al fine non di correggere perdite di bilancio, ma di incrementare un utile già assolutamente rilevante;
   quali iniziative urgenti intendano intraprendere per salvaguardare i livelli occupazionali e le professionalità sia nel ramo italiano interessato dalla procedura di cessione, che negli altri settori dell'azienda, al fine di evitare che tale riduzione di organici possa protrarsi anche nei prossimi anni;
   quali iniziative il Governo intenda assumere per rilanciare, complessivamente e con efficacia, il settore italiano dell’information technology, che rappresenta oggi un volano irrinunciabile per lo sviluppo sociale, economico e produttivo italiano. (4-12359)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:


   BUSTO, PARENTELA, BENEDETTI, DAGA, DE ROSA, MICILLO, MANNINO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il glifosato è il principio attivo dei diserbanti chimici più venduti al mondo e ampiamente impiegati in ambito agricolo, ma anche nel trattamento degli spazi urbani e nel giardinaggio, nonostante le numerose evidenze scientifiche ne riconoscano i rischi per la salute e per l'ambiente;
   il glifosato è il pesticida che più di ogni altro determina il superamento degli standard di qualità ambientale nelle acque superficiali. Il rapporto nazionale pesticidi nelle acque dell'Ispra, edizione 2014, relativo ai dati 2011-2012, riporta che il glifosato sia una delle sostanze più vendute a livello nazionale e la sua presenza nelle acque viene confermata anche da dati internazionali. Il suo monitoraggio è tuttora effettuato solo in Lombardia, dove la sostanza è presente nel 31,8 per cento dei punti di monitoraggio delle acque superficiali e il suo metabolita, Ampa, nel 56,6 per cento, superando gli standard di qualità ambientali delle acque superficiali;
   uno studio pubblicato su The Lancet Oncology dopo tre anni di ricerche coordinate da 17 esperti in 11 Paesi, rivela una forte correlazione epidemiologica tra l'esposizione al glifosato e il linfoma non-Hodgkin. Ciò, in aggiunta ai già noti aumenti di ricorrenza di leucemie infantili, malattie neurodegenerative e Parkinson in testa. Dagli anni ’80, il glifosato è anche classificato come interferente endocrino, rivelando negli ultimi anni una serie di gravi pericoli, non ultimo una forte correlazione con l'insorgenza della celiachia (studi del MIT, 2013-2014);
   l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), facente parte della Organizzazione mondiale della sanità, a marzo ha pubblicato, in « IARC Monographs Volume 112: evaluation of five organophosphate insecticides and herbicides», una sintesi della valutazione di cancerogenicità di cinque pesticidi organofosforici, tra cui il glifosato. Il risultato dello studio ha inserito il diserbante nella classe 2A – che precede quella dei «cancerogeni certi» – come «probabilmente cancerogeno per gli esseri umani»;
   a seguito della nuova classificazione dell'Organizzazione mondiale della sanità, molti Governi, associazioni ambientaliste e cittadini hanno avviato, a livello mondiale, azioni-legislative e proteste per bandire immediatamente il glifosato o per limitarne l'uso con norme severe;
   le nazioni che attualmente risulta abbiano ottenuto il divieto di usare il glifosato sono: Colombia, Bermuda, Danimarca, Russia, Tasmania, Messico, Sri Lanka e, di recente, anche Olanda. Il divieto sarà operativo nel prossimo futuro anche: nelle Fiandre, dal 2015; in Francia dal 2016; nei Paesi Bassi dal 2017 e in Vallonia dal 2019;
   in Italia, allo stesso modo degli altri Paesi, diversi enti territoriali si stanno adoperando per intraprendere azioni legislative finalizzate a vietare l'uso del glifosato e di prodotti affini in ambito pubblico. Tra questi, la provincia autonoma di Bolzano, con una mozione del MoVimento 5 Stelle, e la regione Toscana, sono riuscite a vietarne l'utilizzo come diserbante finalizzato al decoro delle strade pubbliche;
   alcuni membri del gruppo del MoVimento 5 Stelle ha presentato, il 9 settembre 2013, una proposta di legge, a prima firma di Patrizia Terzoni, su «Limiti all'impiego di sostanze diserbanti chimiche», finalizzata alla tutela della salute umana, dell'ambiente naturale, dell'ambiente acquatico e delle acque potabili, della biodiversità, degli ecosistemi, delle attività agricole condotte con metodi biologici e naturali, e dei consumatori, nonché alla riduzione del rischio idrogeologico e alla promozione dell'uso di tecniche alternative all'impiego di prodotti chimici, di prodotti tossici e di soluzioni saline di qualsiasi genere nelle operazioni di gestione della vegetazione spontanea;
   il gruppo del MoVimento 5 Stelle, ha presentato il 22 gennaio 2015 alla Camera la mozione 1-00720 a prima firma di Silvia Benedetti, approvata dal Governo in data 27 ottobre 2015 e che impegna lo stesso a vietare il glifosato, rendendo obbligatoria l'indicazione in etichetta dell'identità e della quantità non solo dei princìpi attivi di questo agente tossico, ma anche di tutte le altre sostanze utilizzate nella composizione dei pesticidi presenti sul mercato, includendole gradualmente nei programmi di monitoraggio;
   il Governo, in sede di discussione alla Camera della citata mozione Benedetti si è altresì impegnato a «incentivare, agevolare e sostenere pure attività agricole alternative come quella biologica e quella integrata, con tecniche colturali che possono essere sempre più sostenibili in un quadro complesso anche in termini ambientali»;
   l'autorizzazione alla vendita di prodotti a base di glifosato è scaduta il 31 dicembre 2015 ed è in corso al livello europeo un processo di valutazione per una sua «ri-autorizzazione», che vede coinvolti lo Stato membro Rapporteur, la Commissione europea, l'Efsa e la Commissione europea, la quale dovrà valutare l'orientamento degli Stati Membri per la nuova autorizzazione della sostanza il 7 marzo 2016;
   in sede di valutazione del glifosato per una sua «ri-autorizzazione» l'istituto valutatore (BFR) dello Stato membro Rapporteur (Germania), dichiara che per la predisposizione del proprio parere (sostanzialmente difforme da quello dello Iarc) si sia affidato anche alla « glifosate task force» che si è basata su studi promossi dalle stesse ditte che producono e commercializzano il prodotto a base di glifosafo, dichiarando un parere favorevole alla commercializzazione del glifosato giudicato come «non cancerogeno»;
   risulta che la Global 2000 Umweltorganisation, un'organizzazione ambientale, riconosciuta dal Ministero federale dell'Austria, Ministero per la politica agraria e le foreste, l'ambiente, le acque abbia denunciato la Monsanto per aver adottato metodi per ottenere autorizzazioni e metodi commerciali non corretti, nonché per la manipolazione di studi scientifici e falsificazione degli esiti, nonché l'Istituto federale tedesco per la valutazione di rischi (BfR) per non essere sufficientemente indipendente da interessi economici da parte di società industriali ed infine l'Efsa, in considerazione del fatto che i propri dirigenti collaborano in maniera stretta con società industriali e hanno incarichi in grandi società commerciali e industriali non garantendone l'indipendenza;
   l'ordine del giorno della prossima riunione fissata per il 7 e l'8 marzo 2016 del «Standing Committee on Plants, Animals, Food and Feed», sezione fitosanitaria della Commissione europea, in cui sarà presente una rappresentanza italiana, prevede un punto dedicato alla valutazione dell'eventuale riapprovazione del glifosato –:
   se il Governo non ritenga che, visti gli impegni presi con l'approvazione della mozione n. 1-00720 e le evidenti indicazioni dei danni alla salute e in considerazione di una classificazione Iarc della cancerogenicità del glifosato, non sia opportuno assumere iniziative in sede europea per giungere all'espressione di un parere contrario in merito alla nuova autorizzazione dell'uso del glifosato;
   quali siano le iniziative che il Governo, in applicazione del principio di precauzione, intenda assumere per vietare definitivamente e in maniera permanente la produzione, la commercializzazione e l'impiego di tutti i prodotti a base di glifosato, nell'interesse primario della salute degli agricoltori, dei cittadini e della tutela dell'ambiente e delle acque;
   se non ritenga opportuno promuovere politiche di limitazione all'agricoltura intensiva comportante l'utilizzo del glifosato e di altri pesticidi, i quali contribuiscono ad aggravare l'inquinamento idrico da fonti puntuali e non puntuali, assumendo iniziative normative volte ad introdurre disposizioni più severe sui pesticidi e sui fitosanitari e incentivi mirati per i piccoli produttori locali, nonché incentivi finanziari all'agroecologia, considerato che la stessa, basandosi sul rispetto della biodiversità, sull'efficienza dei processi biologici e sulla diversificazione dei sistemi di produzione, rappresenta un modello alternativo all'agricoltura convenzionale, per la sostenibilità, l'assenza all'uso di fitofarmaci e la tutela dell'ambiente;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative normative volte a disincentivare l'impiego dei pesticidi di sintesi, favorendo invece l'utilizzo di mezzi manuali, fisici, meccanici e biologici, tenendo conto che l'uso dei fitofarmaci per l'esercizio dell'agricoltura integrata è necessariamente soggetto ai limiti di convivenza con i metodi di produzione biologica, nel rispetto del regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio del 28 giugno 2007, relativo alla «produzione biologica e etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento (CEE) n. 2092/91». (3-02079)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MASSIMILIANO BERNINI e LUPO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nell'espletamento della sua missione istituzionale, AGEA, si avvale anche di altri organismi a cui sono stati delegati particolari compiti, tra i quali i CAA (Centri di assistenza agricola);
   la società SIN S.r.l. è stata istituita il 29 novembre 2005, ai sensi della legge n. 231 del 2005, con il compito di gestire e sviluppare il sistema informativo agricolo nazionale (SIAN), quale sistema di servizi complesso ed interdisciplinare a supporto delle competenze istituzionali del comparto agricolo, agroalimentare, forestale e della pesca;
   la SIN è partecipata al 51 per cento dall'AGEA, Agenzia per le erogazioni in agricoltura, e al 49 per cento dai soci privati Agriconsulting spa, Agrifuturo, Almaviva s.p.a, Green Aus s.p.a. (già Auselda AED Group prima del cambio di denominazione sociale a seguito di cessione avvenuta nel novembre 2015), Cooprogetti, IBM Italia s.p.a., Telespazio s.p.a. (a seguito di fusione per incorporazione di ISAF s.r.l.) Sofiter s.p.a., scelti a seguito dell'apposita procedura di gara prevista dalla legge istitutiva;
   nella sua qualità di organismo di diritto pubblico, SIN s.r.l. coniuga la propria mission, finalizzata all'erogazione di servizi sempre più efficienti a favore della pubblica amministrazione, centrale e locale, delle imprese e dei cittadini con le capacità industriali di ricerca, innovazione e sviluppo, oltre che commerciali, messe a disposizione dal partner privato;
   la società Almaviva s.p.a. riporta sul proprio sito internet che l'operatività e lo sviluppo del SIAN – Sistema informativo agricolo nazionale – è assicurato da SIN s.p.a.;
   Almaviva s.p.a. in qualità di mandataria di un raggruppamento di imprese si è aggiudicata la «gara europea» per l'individuazione del socio privato di SIN s.p.a. per il periodo 2008 – 2016; in virtù della suddetta aggiudicazione RTI Almaviva è responsabile della gestione operativa del SIAN fino al 2016;
   di contro, va anche detto che Almaviva s.p.a., ossia la capogruppo del raggruppamento temporaneo d'imprese, partner di Agea, ha tra i suoi azionisti anche le principali organizzazioni agricole nazionali;
   le associazioni di categoria di cui al punto precedente detengono partecipazioni al capitale sociale di pari entità, 1.093.172 di azioni ordinarie cadauna, per un capitale investito pari a 1.093.172 euro ad organizzazione;
   il decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali del 27 marzo 2008 – Riforma dei centri autorizzati di assistenza agricola – all'articolo 8 «Requisiti soggettivi» dispone che gli amministratori, i sindaci, i dipendenti ed i collaboratori dei CAA e delle società di cui essi si avvalgono non devono intrattenere con enti pubblici rapporti di lavoro, anche a tempo determinato o parziale, e di consulenza;
   l'articolo 11, comma 3 del suddetto decreto, in tema «vigilanza» dispone che l'ente vigilante, o gli enti nel caso di più regioni, se rileva la perdita totale o parziale dei requisiti minimi di garanzia e funzionamento, redige contestazione da notificare al legale rappresentante del CAA o delle società di cui esso si avvale, assegnando un termine massimo di 60 giorni per provvedere e, in caso di mancata ottemperanza alle contestazioni nel suddetto termine, l'ente vigilante revoca l'autorizzazione al CAA. La regione o provincia autonoma che ha concesso l'autorizzazione al CAA esegue entro e non oltre 15 giorni, il provvedimento di revoca;
   tale procedura di revoca viene altresì attivata allorché, nello svolgimento dell'attività affidata, vengano commesse gravi e ripetute violazioni alle disposizioni previste dalla normativa comunitaria, nazionale e regionale e qualora non siano osservate le prescrizioni e gli obblighi posti dalle convenzioni di cui al citato decreto –:
   se non rilevi la sussistenza di un conflitto d'interessi ingenerato dal fatto che il soggetto controllore, SIN s.r.l., annoveri nella sua struttura societaria Almaviva s.p.a., che a sua volta include nei propri azionisti le associazioni di categoria delle aziende agricole, ovvero i soggetti da controllare;
   quali iniziative intenda adottare affinché non abbiano più a verificarsi simili conflitti d'interesse nell'ambito del futuro «sistema» per l'erogazione dei fondi comunitari per la politica agricola comune;
   se sussistano le condizioni per la revoca delle autorizzazioni ai sensi del decreto di cui in premessa. (5-08004)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   quattro medici bolognesi dei servizi di emergenza urgenza del 118 sono stati sospesi dall'Ordine, altri 5 risultano indagati per aver favorito l'abuso di professione medica da parte di infermieri. I medici del servizio di emergenza sostengono di aver rispettato le linee guida internazionali, rispettando le leggi e non mettendo a rischio il cittadino;
   in realtà, l'attenzione si sposta sulle procedure adottate in altre città per gli interventi in ambulanza, utilizzando l'auto infermieristica e permettendo al personale infermieristico di sedare/intubare il paziente e consentendogli di somministrare farmaci antiaritmici e stupefacenti prescrivibili solo dagli anestesisti;
   l'Omceo di Bologna ha dichiarato di non poter permettere che infermieri facciano diagnosi e somministrino terapie senza la preparazione dei medici;
   l'Ipasvi ha risposto che si tratta di competenze infermieristiche originate da linee guida internazionali e riprese in un documento sottoscritto dalla Società di medicina di emergenza urgenza Simeu con le società di categoria Aniaarti, Amietip e con Ipasvi;
   il documento in questione consente all'infermiere di somministrare farmaci, solo se ha una formazione sui trattamenti farmacologici, nell'ambito di protocolli emanati dal direttore della centrale operativa del 118, previo contatto con la centrale 118 e per trattamenti tempestivi: overdose da oppiacei, sindrome ipoglicemica, sindrome coronarica acuta, insufficienza respiratoria acuta;
   l'Omceo di Bologna sostiene invece che secondo la commissione dell'Ordine dei medici quelle regole impattano sull'articolo 3 del codice deontologico dei medici secondo cui gli atti medici non sono delegabili. Il decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1992 consente all'infermiere iniezioni e flebo e manovre di salvaguardia di funzioni vitali ma solo in presenza del medico;
   sono molti i medici del 118 che rimangono perplessi sulle conseguenze in tema di responsabilità di prescrizioni a distanza, senza vedere il malato;
   i medici Snami contestano il fatto che le regole d'ingaggio dell'infermiere differiscono da una centrale operativa all'altra; sostengono che si possa trattare di un percorso pericoloso, non validato giuridicamente, mentre sussiste il rischio che le responsabilità non siano correttamente attribuite;
   in ogni caso, la normativa in Italia attualmente non prevede che l'infermiere, qualunque sia il livello della sua competenza e l'esperienza maturata nel tempo possa compiere atti considerati esplicitamente come atti medici –:
   al di là del fatto concreto avvenuto a Bologna, se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative volte a chiarire se il personale infermieristico che abbia una laurea magistrale e abbia fatto specifiche esperienze formative e di tirocinio nell'area dell'emergenza, certificate da master di I e II livello, possa svolgere funzioni finora esclusivamente riservate al medico, anche se non specialista. (3-02077)

Interrogazione a risposta scritta:


   FRANCO BORDO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a Casalmaggiore (Cremona) è in funzione un punto nascite nell'ospedale Oglio Po;
   la struttura ha i requisiti necessari alla resa di questo servizio fondamentale per la popolazione del territorio, vale a dire che sono garantiti h24 la presenza del ginecologo, del pediatra, dell'ostetrica e, a corto raggio, è funzionante un servizio di terapia intensiva neonatale e subintensiva per le madri;
   a causa del mancato raggiungimento dei 500 parti annui, il punto nascite del presidio ospedaliero Oglio Po in Vicomoscagno, rientra tra i 98 a rischio di chiusura secondo il decreto del Ministro interrogato, malgrado possegga tutti gli altri requisiti;
   437 è l'ultimo dato verificato di parti presso la struttura, per cui poco sotto la soglia fissata dal Governo;
   la deroga di tre anni ottenuta dal presidio Oglio Po, secondo il decreto, non può essere superata;
   regione Lombardia ritiene opportuno che il punto nascite di Casalmaggiore debba continuare a prestare il suo servizio, tant’è che ha deliberato in data 29 febbraio 2016 la richiesta al Governo di un'ulteriore deroga per il mantenimento della struttura;
   recentemente, nel mese di dicembre 2015, nell'ambito di una cerimonia presso la Presidenza del Consiglio, l'Ospedale Oglio Po di Casalmaggiore è stato premiato con «due bollini rosa», distinguendosi per l'offerta di servizi di prevenzione, diagnosi e cura delle principali patologie femminili, con particolare attenzione alle esigenze delle donne;
   da circa un anno è attivo un Comitato di cittadini denominato «Comitato per la difesa e il rilancio dell'Ospedale di Vicomoscagno/Casalmaggiore» che ha raccolto ben 15 mila firme a sostegno dell'ospedale e del punto nascite;
   è evidente che la popolazione, in modo particolare quella femminile, che fa riferimento a questo presidio ospedaliero non può essere privata di un servizio essenziale ed il punto nascite in questione ha tutte le motivazioni e caratteristiche per godere di un'ulteriore deroga triennale –:
   quali iniziative di competenza intenda mettere in atto affinché venga mantenuto attivo ed operante il punto nascite dell'ospedale Oglio Po di Casalmaggiore.
(4-12347)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   CARRESCIA. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, recante «Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190», ha introdotto numerose fattispecie di incompatibilità tra gli incarichi dirigenziali presso le pubbliche amministrazioni e le cariche di indirizzo politico nelle amministrazioni statali, regionali e locali;
   in particolare l'articolo 1, comma 1, lettera j), definisce gli «incarichi dirigenziali interni», quelli «di funzione dirigenziale, comunque denominati, che comportano l'esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione, nonché gli incarichi di funzione dirigenziale nell'ambito degli uffici di diretta collaborazione, conferiti a dirigenti o ad altri dipendenti, ivi comprese le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, appartenenti ai ruoli dell'amministrazione che conferisce l'incarico ovvero al ruolo di altra pubblica amministrazione»;
   il successivo articolo 12 recita: «1. Gli incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico sono incompatibili con l'assunzione e il mantenimento, nel corso dell'incarico, della carica di componente dell'organo di indirizzo nella stessa amministrazione o nello stesso ente pubblico che ha conferito l'incarico, ovvero con l'assunzione e il mantenimento, nel corso dell'incarico, della carica di presidente e amministratore delegato nello stesso ente di diritto privato in controllo pubblico che ha conferito l'incarico.
  2. Gli incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico di livello nazionale, regionale e locale sono incompatibili con l'assunzione, nel corso dell'incarico, della carica di Presidente del Consiglio dei ministri, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e commissario straordinario del Governo di cui all'articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400, o di parlamentare.
  3. Gli incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico di livello regionale sono incompatibili:
   a) con la carica di componente della giunta o del consiglio della regione interessata;
   b) con la carica di componente della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione della medesima regione;
   c) con la carica di presidente e amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte della regione.

  4. Gli incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico di livello provinciale o comunale sono incompatibili:
   a) con la carica di componente della giunta o del consiglio della regione;
   b) con la carica di componente della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione, ricompresi nella stessa regione dell'amministrazione locale che ha conferito l'incarico;
   c) con la carica di componente di organi di indirizzo negli enti di diritto privato in controllo pubblico da parte della regione, nonché di province, comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di forme associative tra comuni aventi la medesima popolazione della stessa regione.»;
   tale definizione ha comportato numerose incertezze interpretative in particolare per quanto riguarda il significato da attribuire all'espressione «esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione», infatti si evidenzia che:
    a) nel materiale di documentazione messo a disposizione nel corso dell'iter dell'AC 0126 si rileva che gli incarichi di funzione dirigenziale, quindi non apicali, vengono in considerazione solo se comportano l'esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione;
    b) nel documento di sintesi sui possibili contenuti delle intese ex commi 60 e 61 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2012 della Conferenza delle regioni e delle province autonome, dell'Anci e dell'Upi (13/59/CR5/C1 dell'11 luglio 2013) è stato rilevato come non si attagli all'organizzazione regionale, o a quella degli enti locali «la distinzione tra incarichi amministrativi di vertice ed altri incarichi dirigenziali interni ed esterni»;
    c) nello stesso documento di sintesi si sottolinea inoltre che «Con riferimento poi alla trasposizione nell'ordinamento del SSN della definizione – di cui all'articolo 1 del decreto legislativo n. 39 – “di incarichi di funzione dirigenziale ... che comportano l'esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione ...”, dalla coordinata lettura delle disposizioni contenute negli articoli 15 e seguenti del decreto legislativo 502/1992 e successive modificazioni ed integrazioni e nei Contratti collettivi nazionali di lavoro per le aree della dirigenza del comparto sanità si può desumere che a tale categoria di incarichi sono ascrivibili: a) gli incarichi di responsabile di dipartimento; b) gli incarichi di responsabile di struttura complessa; c) gli incarichi di responsabile di struttura semplice dipartimentale; d) gli incarichi di responsabile struttura semplice solo se titolari di decisioni finali di natura provvedimentale. Restano escluse quindi tutte le altre tipologie di incarichi dirigenziali previsti dalla legge e/o dai Contratti collettivi nazionali di lavoro. Ciò perché tutte le categorie di incarichi sopra riportate, secondo l'ordinamento del SSN, sia pure in diversa misura, comportano necessariamente la gestione di risorse (umane, finanziarie e strumentali) e sono dotate di poteri tali da influire in processi decisionali circa l'allocazione e l'utilizzo delle suddette risorse loro assegnate tramite il processo aziendale di budget»;
    d) la Civit (oggi Autorità nazionale anticorruzione) con la delibera n. 58 del 15 luglio 2013 ha espresso il seguente parere in merito all'esistenza o meno delle condizioni di incompatibilità nell'ambito sanitario:
   «a) il decreto legislativo n. 39/2013 non trova applicazione al personale medico cosiddetto di non staff che non esercita tipiche funzioni dirigenziali (come nel caso di sole funzioni di natura professionale, anche di alta specializzazione, di consulenza, studio e ricerca nonché funzioni ispettive e di verifica);
   b) al contrario, i dirigenti di distretto, i direttori di dipartimento e di presidio e, in generale, i direttori di strutture complesse rientrano sicuramente nel campo di applicazione della disciplina in esame;
   c) il problema più delicato è rappresentato dai dirigenti di struttura semplice. (...) va, infatti, preliminarmente rilevato come nel quadro normativo delineato dalla legge n. 190/2012 e dai decreti di attuazione, l'articolo 41, comma 2 del decreto legislativo n. 33/2013 preveda espressamente che la disciplina in materia di trasparenza sia applicabile soltanto ai dirigenti di struttura complessa ma non anche a quelli che dirigono la struttura semplice. La Commissione ritiene che, nel silenzio del legislatore, tale netta distinzione non possa operare anche per quanto riguarda la materia dell'inconferibilità e dell'incompatibilità attesa la grande varietà dei compiti che possono essere affidati ai dirigenti di struttura semplice e le conseguenti implicazioni che ne possono derivare proprio in materia di incompatibilità. Alla luce di quanto osservato, per i dirigenti di strutture semplici non inserite in strutture complesse deve concludersi per la applicabilità della disciplina in esame. Per i dirigenti che dirigono strutture semplici inserite in strutture complesse la disciplina non è applicabile tranne il caso in cui, tenuto conto delle norme regolamentari e degli atti aziendali (articolo 3, comma 1-bis e articolo 15, decreto legislativo n. 502/1992), al dirigente di struttura semplice sia riconosciuta, anche se in misura minore, significativa autonomia gestionale e amministrativa»;
    e) il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha diramato ai direttori degli uffici scolastici regionali la nota del 19 febbraio 2014, prot. n. 516, con la quale si afferma che gli incarichi di dirigente scolastico rientrano nell'ambito di applicazione generale del regime delle incompatibilità, ad essi, tuttavia, non si applicano i divieti di cui ai commi 3 e 4 dell'articolo 12 del decreto legislativo n. 39 del 2013, poiché questi si riferiscono esclusivamente agli incarichi dirigenziali svolti presso le amministrazioni regionali e locali e gli enti da esse vigilati. Tale interpretazione non sembra corrispondere, a giudizio dell'interrogante, al tenore letterale delle disposizioni citate, ma è stata comunque condivisa dall'Anac e dal dipartimento della funzione pubblica che l'ha formalizzata con nota del 31 gennaio 2014 prot. n. 6294;
    f) di recente l'ANAC sembra aver mutato posizione in quanto, nell'orientamento n. 20 del 10 giugno 2015 ha affermato che «Sussiste l'incompatibilità, ai sensi dell'articolo 12, comma 3, lettera b) decreto legislativo n. 39/2013, tra la carica di assessore di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti e l'incarico dirigenziale interno in un ente pubblico di livello regionale, che comporta in via esclusiva l'esercizio delle competenze di amministrazione e gestione (caso relativo al rinnovo dell'incarico di dirigente di servizio in un ente pubblico di livello regionale nei confronti di colui che nel frattempo ha assunto una carica politica locale)»;
    g) la Corte Costituzionale ha invece adottato, nei confronti delle cause di ineleggibilità, incandidabilità e incompatibilità, un approccio restrittivo, condiviso dalla Corte di Cassazione e dal Consiglio di Stato, secondo il quale la regola è costituita dall'eleggibilità e l'ineleggibilità rappresenta l'eccezione, riconducendo il diritto di elettorato passivo nell'ambito dei diritti inviolabili; ne consegue per l'interrogante che le cause limitative di tale diritto devono essere tipizzate dal legislatore; ciò comporta anche l'obbligo di interpretare in senso restrittivo le norme che derogano al principio dell'elettorato passivo, essendo preclusa qualunque possibile interpretazione analogica o estensiva;
   in particolare, recentemente, il Consiglio di Stato, Sezione III, nella sentenza del 12 novembre 2014, n. 5583, riguardante la dirigenza medica, ha affermato quanto segue:
    le norme che impongono limiti ai diritti di elettorato attivo e passivo dei cittadini – e fra queste quelle in materia di incompatibilità – sono di stretta interpretazione;
    le caratteristiche essenziali della funzione dirigenziale, genericamente intesa, sono l'autonomia, la discrezionalità, la potestà provvedimentale e gestionale, la preposizione gerarchica, e l'inerente responsabilità;
    non si ravvisa una situazione di incompatibilità nella misura in cui un dirigente, pur se preposto ad una struttura complessa, goda di autonomia, discrezionalità, e altro, prevalentemente nella sfera professionale tecnica, mancando competenze provvedimentali e gestionali, se non in misura del tutto marginale e limitata al momento organizzativo interno;
   tale contrasto ermeneutico sta generando situazioni di forte diversità di trattamento nell'ambito delle autonomie locali e soprattutto pregiudica il regolare funzionamento degli organi politici degli enti locali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se ritenga di dover assumere iniziative normative per chiarire in modo esauriente la portata del decreto legislativo n. 39 del 2013, in particolare circa le cause di incompatibilità tra incarichi dirigenziali interni e esterni, soprattutto se afferenti alla sfera tecnica, con la carica di componente di organi di indirizzo di amministrazioni statali, regionali e locali.
(4-12361)

 * * *

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   SERENI, VERINI, ASCANI e GIULIETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 1o marzo 2016, alla vigilia dell'importante incontro in cui la Nestlé avrebbe presentato la proposta di piano industriale per lo stabilimento «Perugina» di San Sisto (Perugia), il Corriere della Sera riportava la notizia della volontà, da parte della multinazionale svizzera, di vendere due marchi storici quali le caramelle «Rossana» e la pasticceria «Ore Liete»;
   nel corso dell'incontro che si è tenuto il 2 marzo nella sede di Confindustria a Perugia, tra il management aziendale di Nestlé-Perugina e i rappresentanti dei lavoratori dello stabilimento dolciario di San Sisto (Perugia) l'azienda ha presentato un piano di sviluppo che punta a fare dello stabilimento di San Sisto un polo produttivo di eccellenza del cioccolato dichiarando però che non è nelle intenzioni dell'azienda fare investimenti su altre linee di produzione;
   la «Perugina» è una delle maggiori aziende regionali dell'Umbria, ma, dopo due anni di contratti di solidarietà, il blocco degli stagionali e il rischio, più volte minacciato, di oltre 200 esuberi se la produzione dello stabilimento di San Sisto non tornasse a pieno regime, la vendita di «Rossana» e «Ore Liete» potrebbe comportare un'ulteriore e drastica diminuzione della produzione con conseguente perdita di posti di lavoro;
   in questo ultimo anno, in attesa della presentazione da parte della Nestlé di un piano industriale, lavoratori e sindacati, temendo l'abbandono di alcuni marchi, hanno avanzato una proposta «alternativa» che prevede il rilancio di tutti i marchi Perugina a partire da quelli storici, nonché nuove produzioni come la riapertura della torrefazione del caffè, contrapponendosi alla nota strategia di Nestlé di concentrarsi solo sul cioccolato;
   già nella giornata del 1o marzo, in risposta alle indiscrezioni apparse sulla stampa nazionale è stata proclamata un'ora di sciopero a fine turno dalle rappresentanze sindacali unitarie dello stabilimento di San Sisto (Perugia) della Nestlé;
   i rappresentanti delle istituzioni umbre, in primis la presidente della regione e il sindaco di Perugia, si sono dichiarati sorpresi e preoccupati dalle anticipazioni della stampa dichiarando di voler assumere ogni utile iniziativa istituzionale volta al mantenimento della produzione industriale, dello sviluppo dei marchi e alla salvaguardia dell'occupazione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e se disponga di ulteriori elementi;
   se, pur prendendo atto positivamente della volontà dell'azienda di effettuare un importante investimento sul cioccolato, non ritenga che il mantenimento della diversificazione delle produzioni sia necessario al fine di garantire effettivamente il ruolo strategico dello stabilimento di San Sisto (Perugia);
   quali garanzie Nestlé intenda fornire rispetto al punto precedente e, più in generale, rispetto alla presenza in Italia nello scenario complessivo della propria produzione industriale. (4-12333)


   PAGLIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Italtel spa è una storica azienda italiana delle telecomunicazioni, oggi specializzata in progettazione, sviluppo e realizzazione su scala globale di prodotti e soluzioni per reti e servizi di telecomunicazione di nuova generazione, basati su protocollo IP;
   negli anni ’90 la società esce dall'orbita del controllo pubblico e viene progressivamente smembrata e ceduta, passando dagli oltre 30.000 dipendenti raggiunti negli anni ’70 ai 1.334 di fine 2014, di cui 200 all'estero;
   dagli anni 2000, utilizzando il leveraged buyout, Italtel s.p.a. è partecipata al 100 per cento da Italtel Group s.p.a., a sua volta detenuta da: CDRD Investment (Luxembourg) III Sarl (Gruppo Clayton, Dubilier & Rice) 48,77 per cento; Telecom Italia Finance S.A. (Gruppo Telecom Italia) 19,37 per cento; Cisco Systems International BV (Gruppo Cisco Systems) 18,40 per cento; Capita Trustees Limited 10,81 per cento; Cordusio Fiduciaria 2,65 per cento (azioni tipo «A» – ordinarie);
   a partire dal 2012 la società ha dovuto affrontare una complessa fase di ristrutturazione, che ha visto l'applicazione di incentivi alla mobilità volontaria, cassa integrazione straordinaria, contratti di solidarietà;
   da gennaio 2016 sono in vigore contratti di solidarietà e si è esaurita la cassa integrazione guadagni straordinaria;
   negli ultimi anni la società ha subito sensibili cali di fatturato, dovuti alla congiuntura ma soprattutto ai minori ordinativi del socio Telecom, e conseguentemente una forte tensione finanziaria, che ha portato ad accordi di ristrutturazione del debito;
   in particolare, il 27 marzo 2013 l'assemblea straordinaria degli azionisti ha deliberato l'emissione di strumenti finanziari partecipativi per oltre 153 milioni di euro, sottoscritti dai creditori in sostituzione di parte del debito Italtel e con finalità di ricapitalizzazione;
   fra i detentori di tali titoli, spiccano Unicredit s.p.a. con il 34,4 per cento, GE Capital con il 17,65 per cento, Cisco con il 32,67 per cento, BPM con il 9,46 per cento;
   a seguito di tale operazione, i detentori degli strumenti finanziari partecipativi si configurano di fatto come i controllori della società;
   il futuro della società passa per l'ingresso di «capitali pazienti» nella struttura finanziaria, che permettano di proiettarsi nello sviluppo di nuovi mercati;
   positiva potrebbe essere anche l'individuazione di un partner industriale che integri le attuali capacità produttive del gruppo, a condizione che esso sia inequivocabilmente orientato a mantenere in Italia la base produttiva;
   gli attuali detentori del capitale sociale non appaiono evidentemente in grado di garantire la continuità del loro impegno, trattandosi per oltre il 60 per cento di istituti di credito;
   per questo negli scorsi mesi si era guardato con interesse all'evoluzione di Cassa depositi e prestiti e dei suoi strumenti di investimento, vista l'asserita volontà di essere uno strumento al servizio dello sviluppo industriale del Paese, con particolare attenzione all'economia digitale;
   prima che si potesse sviluppare un ragionamento in quella direzione, è tuttavia stata presentata da Exprivia s.p.a. una manifestazione di interesse per l'acquisizione della quota di controllo di Italtel s.p.a., a partire dall'acquisizione degli strumenti partecipativi in mano alle banche;
   l'ipotesi è in linea con il piano industriale 2015-2020 presentato da Exprivia s.p.a. nel novembre 2015, dove si manifestava con decisione l'interesse a intensificare il processo di crescita;
   Exprivia s.p.a. nasce nel 2005 dalla fusione fra le preesistenti AlSoftw@re e Abaco Information Services e si occupa dello sviluppo e commercializzazione di soluzioni software per numerosi settori, con proiezione sui mercati internazionali;
   ha chiuso il 2014 con un fatturato di 147 milioni di euro e 1.800 dipendenti;
   Exprivia s.p.a. andrebbe quindi ad acquisire una società con un fatturato pari 2,7 volte il proprio, operante in un segmento produttivo contiguo ma non sovrapponibile;
   nei giorni scorsi, durante incontri con i lavoratori, da parte di manager Italtel è stato dichiarato che entro la metà di marzo 2016 Exprivia s.p.a. formalizzerà una proposta di acquisizione di quote capitale di Italtel s.p.a.;
   data l'importanza strategica attribuita da Governo e Parlamento alla digitalizzazione del Paese e allo sviluppo nel settore dell’Information technology, operazioni che coinvolgano importanti attori come Italtel s.p.a. e Exprivia s.p.a. non dovrebbero essere estranee all'attenzione del Ministero dello sviluppo economico –:
   se il Governo sia a conoscenza di un piano industriale di Exprivia s.p.a. correlato all'ipotesi di acquisizione di Italtel s.p.a. e di quali elementi disponga circa la sua adeguatezza allo sviluppo di entrambe le società;
   quale sia il quadro finanziario dell'operazione e, in particolare, se risulti che Exprivia s.p.a. intenda utilizzare la leva del debito, come appare probabile;
   se Exprivia s.p.a. abbia eventualmente fornito adeguate garanzie in relazione alla tenuta occupazionale complessiva;
   se, in caso di informazioni non ancora pervenute al Ministero dello sviluppo economico, si intenda operare per acquisirle rapidamente;
   se il Governo ritenga comunque ipotizzabile, qualora l'offerta di Exprivia non dovesse avere un esito positivo, l'intervento finanziario di Cassa depositi e prestiti, tramite il Fondo strategico Italiano o altro strumento, a tutela dello sviluppo del know how nazionale in un settore strategico. (4-12339)


  MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Solsonica s.p.a. è un importante produttore italiano facente parte del gruppo EEMS, spin-off di Texas Instruments, da sempre leader nel mercato dei semiconduttori;
   data 9 aprile 2010 si è tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico un incontro riguardante la EEMS Solsonica durante il quale «L'Azienda ha comunicato i recenti avvenimenti. La crisi che ha colpito il mercato del fotovoltaico a livello globale con l'uscita dal mercato di importanti operatori (tra cui clienti Solsonica). La difficoltà di operare in un settore in cui i margini si sono assottigliati, in particolare per quelle aziende che non integrano tutto il processo produttivo. Tutto ciò ha portato alla recente ristrutturazione del debito; allo stato attuale l'azienda ha quindi difficoltà nel sostenere nuovi progetti di sviluppo. È stato anche comunicato che la compagine azionaria è cambiata (con l'uscita del Fondo Palmira) e a tale fine per la fine di aprile si riunirà l'Assemblea dei Soci.»;
   il 30 luglio 2012 si è tenuta presso il Ministero dello sviluppo economico una riunione relativa alla società SOLSONICA, durante la quale i rappresentanti dell'azienda hanno illustrato le criticità della SOLSONICA, legate anche alle difficoltà che stava vivendo il settore nel suo complesso, e durante la quale si dichiarava che per far fronte allo scarico di lavoro l'azienda intendeva ricorrere allo strumento della cassa integrazione guadagni ordinaria impegnandosi nel corso del medesimo periodo ad elaborare un piano di rilancio che doveva essere discusso, anche in sede ministeriale, entro il mese di novembre 2012;
   secondo quanto riportato in un articolo de « Il Messaggero.it» del 20 maggio 2014, allo scopo di evitare il fallimento «Eems e Solsonica verso il concordato preventivo con riserva. È questa la decisione assunta a cascata dal cda della Eems e poi della controllata Solsonica lunedì sera a Milano e rimbalzata in città dalla cronaca de Il Messaggero»;
   in data 9 settembre 2014, presso il Ministero dello sviluppo economico, si è tenuto un incontro relativo alla situazione di Solsonica durante il quale il dottor Castano (responsabile dell'unità gestione vertenze del Ministero dello sviluppo economico), ha confermato l'impegno del Ministero ad interloquire con i soggetti interessati a compiere operazioni di salvataggio nei confronti della società Solsonica e ha comunicato di essere già entrato in contatto con due soggetti industriali interessati alla vicenda;
   con una nota del 21 novembre 2014 il Ministero dello sviluppo economico comunica che: «Con riferimento alla situazione della Società Solsonica s.p.a. di Rieti e alle voci che sono circolate nei giorni scorsi, il Ministero dello sviluppo economico precisa che sono stati individuati tre soggetti economici che hanno manifestato interesse all'eventuale acquisto della suddetta società. Il Ministero sottolinea inoltre che ad oggi nessuna società ha illustrato in modo compiuto i propri progetti industriali e pertanto si riserva di esprimere una valutazione — se richiesto dai soggetti interessati — solo nel momento in cui sarà messo in condizione di disporre dell'adeguata documentazione.»;
   il 14 ottobre 2015 – GALA s.p.a. («GALA») rende noto che il tribunale di Rieti «ha pubblicato in data odierna il decreto di omologa del concordato preventivo della società Solsonica s.p.a. («Solsonica»). Ai sensi dell'articolo 180 comma 3 della Legge Fallimentare, il tribunale, ha verificato la regolarità della procedura e l'esito della votazione ed ha omologato il concordato con decreto motivato non soggetto a gravame. L'esecuzione del piano di concordato, sotto la continua sorveglianza del Commissario Giudiziale, dovrà concludersi non oltre il 31 luglio 2016, e prevede da parte di GALA (o da società da questa designata) l'impegno a:
    perfezionare l'acquisto del ramo d'azienda Solsonica, attraverso il versamento secondo i termini e modalità previsti nell'offerta vincolante, di complessivi euro 2.725.000,00, che verrà corrisposto, al netto dei canoni già versati a titolo di affitto del ramo stesso e mediante accollo liberatorio del TFR accettato dai dipendenti trasferiti, con versamento di un acconto al momento dell'acquisto, che avverrà entro il 29 ottobre 2015, pari a euro 600.000,00 (tenuto conto dell'ammontare del TFR relativo ai dipendenti trasferiti e/o mediante versamento della differenza) e del relativo saldo finale entro il 31 luglio 2016 (sempre tramite accollo del TFR dei dipendenti trasferiti e/o mediante versamento della differenza);
    sottoscrivere e versare un aumento di capitale a pagamento deliberato dall'assemblea straordinaria di Solsonica, con esclusione del diritto di opzione ai sensi dell'articolo 2441, commi 5 e 6, codice civile, scindibile ai sensi dell'articolo 2439, comma 2, codice civile, fino all'ammontare massimo di euro 2.850.000,00, comprensivo di eventuale sovraprezzo e riservato all'esclusiva sottoscrizione di GALA (o di una o più società controllate e designate da quest'ultima), divenendo per tal via azionista unico di Solsonica.»;
   il giorno 11 febbraio 2016 si è tenuta una riunione riguardante la situazione di Solsonica s.p.a. durante la quale i rappresentanti di Galatech srl hanno comunicato che la cessione da Solsonica a Galatech è stata perfezionata in data 1o febbraio 2016, a seguito di un periodo di 6 mesi di affitto di ramo d'azienda. Hanno illustrato le prospettive e gli obiettivi aziendali sottolineando come i ritardi nel verificarsi delle condizioni sospensive per l'affitto del ramo d'azienda e per il successivo acquisto (e, segnatamente: il ritardo nell'autorizzazione della riduzione del canone di locazione dell'immobile di proprietà di EEMS e affittato a Solsonica e la mancata autorizzazione da parte del tribunale di Rieti a sottoscrivere un contratto di affitto del ramo d'azienda che rendesse certo il successivo acquisto) si sono riflesse sulle tempistiche dell'operazione e sull'avvio del piano di investimenti. I medesimi hanno comunque confermato che l'impegno di Gala Tech prosegue secondo quanto da essa pianificato nel pieno rispetto degli impegni previsti dall'accordo e che ad oggi le assunzioni hanno già fortemente ridotto il bacino dei lavoratori Solsonica;
   i rappresentanti aziendali hanno anche evidenziato che, con riferimento agli ammortizzatori disponibili al momento della presentazione dell'offerta vincolante di Gala e della sottoscrizione dell'accordo sindacale, la normativa di riferimento è cambiata restringendone l'applicazione, come a tutti noto e che tale evento è ovviamente indipendente ed esogeno;
   il dottor Calvetti ha chiarito che sarà importante, per il futuro sviluppo di Gala Tech e per l'incremento dei livelli occupazioni, che i prodotti di Gala Tech trovino un mercato di sbocco, posto che Gala non ha fino ad ora né richiesto né ottenuto alcun tipo di sovvenzione o finanziamento pubblico e che pertanto si può sostenere soltanto grazie a risorse proprie e allo sviluppo dell'attività. Le organizzazioni sindacali, pur prendendo positivamente atto della cessione avvenuta e dei passi avanti nella esecuzione del piano, hanno chiesto chiarimenti sulla tempistica delle assunzioni di tutti i lavoratori chiedendo che le medesime vengano completate da Gala Tech srl entro la fine della scadenza degli attuali ammortizzatori prevista per il 30 marzo 2016. Hanno quindi chiesto all'azienda acquirente di esaminare la possibilità di attivare ammortizzatori disponibili per permettere l'assunzione e quindi l'inserimento in Galatech di tutti i lavoratori del bacino (attualmente pari a 122 inclusi quelli già assunti dalla stessa). L'azienda si è riservata di fare una verifica al proprio interno e le parti hanno concordato che il confronto su questa tematica venga portato avanti con le organizzazioni sindacali a livello locale. Ha anche richiamato i termini dell'accordo che non costituiscono un vincolo bensì una «precedenza» nell'assunzione dal bacino Solsonica fino a giugno 2017. Il dottor Castano in conclusione ha proposto che, se la trattativa a livello locale non dovesse dare gli esiti sperati, darà la disponibilità a riaprire il tavolo di vertenza a livello nazionale, ricordando comunque che la trattativa si è conclusa con un accordo sottoscritto in data 10 aprile 2015 tra le aziende (Galatech e Solsonica) ed i sindacati presso la sede locale di Unindustria, su decisione delle stesse parti firmatarie;
   da quanto si apprende da organi di stampa, dopo la notizia secondo la quale 124 dipendenti della Solsonica s.p.a. su 154 verranno licenziati il 3 aprile perché finirà la cassa integrazione, il segretario della Fim-Cisl di Rieti ha richiesto «un intervento urgente da parte del Mise e la riconvocazione del tavolo annunciato dallo stesso ministero l'11 febbraio 2016» affermando che «Il mancato rispetto degli accordi da parte di Galatech espone 124 lavoratori al rischio concreto di perdere il posto il 3 aprile»;
   da una nota pubblica della società GALA Tech s.r.l. la società stessa specifica che l'accordo firmato con le organizzazioni sindacali preveda la «...graduale ripresa delle attività produttive dell'azienda affittata (Solsonica), che riguarderà i moduli fotovoltaici, oltre alla eventuale ripresa, successiva all'acquisizione e qualora ne sussistano le condizioni economiche delle attività relative alle celle subordinatamente alla realizzazione dei relativi investimenti. Al momento dell'affitto di azienda verrà effettuato il trasferimento di 10 dipendenti alla società cessionaria (Gala Tech s.r.l.) alle condizioni economiche di cui ai punti che seguono [...]. I restanti dipendenti rimarranno in carico alla società cedente (Solsonica) fatto salvo il diritto di precedenza in caso di assunzioni con professionalità compatibili alle esigenze della cessionaria, che permarrà fino al mese di giugno 2017, secondo le modalità che seguono. Fermo quanto previsto al punto che precede, la graduale ripresa delle attività produttive comporterà un altrettanto graduale necessità di incrementare l'organico della cessionaria. [...] il passaggio progressivo dei restanti dipendenti avverrà successivamente all'acquisizione dell'azienda ceduta, che avrà luogo al momento dell'omologa del concordato preventivo, presumibilmente entro il 31 dicembre 2015. In ogni caso, il trasferimento dei lavoratori avverrà se compatibile allo sviluppo del piano industriale e secondo le esigenze tecnico organizzative e produttive della società cessionaria»;
   la suddetta nota prosegue specificando che nel «testo dell'accordo sindacale sottoscritto dalle organizzazione sindacali, non vi è alcun obbligo di assunzione immediata di tutti i dipendenti, anzi è più volte precisato che il trasferimento avverrà solo se compatibile con sviluppo del piano industriale e secondo le esigenze tecnico organizzative e produttive della società. Occorre altresì precisare che attualmente Gala Tech s.r.l. occupa mediamente 70 dipendenti – 30 già a tempo indeterminato e i restanti a rotazione tra i dipendenti Solsonica per integrare le indennità previste dagli ammortizzatori sociali e non disperdere le competenze – ed ha in programma (come da accordi) un graduale incremento di organico, che sia compatibile con lo sviluppo commerciale e industriale della società»;
   le cause del malessere di aziende un tempo solide e di prestigio come la Solsonica sono da ricercare, oltre che nella crisi economico-finanziaria generale che sta colpendo il nostro Paese, anche nelle scelte fatte dell'Esecutivo nel cosiddetto decreto-legge competitività del 2014 che di fatto ha rimodulato retroattivamente le tariffe incentivanti al fotovoltaico –:
   se sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
   se intenda, al fine di salvaguardare i dipendenti a rischio di licenziamento e come dichiarato dal responsabile dell'unità gestione vertenze del Ministero dello sviluppo economico, riaprire il tavolo di vertenza a livello nazionale qualora la trattativa a livello locale non dovesse dare gli esiti sperati. (4-12340)


   VARGIU. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la salute è un diritto costituzionalmente riconosciuto;
   il complesso delle cure odontoiatriche erogate nel Paese ha subito una flessione negli anni della crisi economica. Secondo l'ISTAT, mentre la popolazione invecchia (ed è perciò più bisognosa di cure), in Italia si è invece ridotto il numero totale di trattamenti effettuati. In aggiunta, le persone che si sono sottoposte ad un solo tipo di trattamento nell'anno sono il 70,7 per cento, mentre erano il 49,3 per cento nel 2005;
   l'effetto recessivo economico, sempre secondo l'ISTAT ha avuto riverbero anche sul ricorso ai dentisti che esercitano la libera professione, che pure sono aumentati di numero. La percentuale delle cure odontoiatriche rese in attività libero professionale scende infatti dal 34,7 per cento del 2005 all'attuale 32,3 per cento;
   l'associazione nazionale dentisti italiani, in Commissione industria del Senato, ha chiesto con forza nuove regole che aumentino il livello di trasparenza e professionalità del mercato odontoiatrico gestito dalle società di capitali e norme più severe per combattere l'abusivismo professionale;
   negli ultimi anni si è assistito al proliferare di società che si occupano di servizi odontoiatrici spesso resi in franchising, con strutture territoriali che sembrano persino sfuggire all'obbligo della direzione sanitaria affidata a professionisti iscritti all'albo degli odontoiatri presso l'ordine dei medici. In taluni casi sarebbe stata addirittura segnalata l'attività anomala di addetti al settore commerciale che sarebbero delegati alla predisposizione di piani di trattamento e cura dei pazienti, con un'azione finalizzata a massimizzare l'utile ricavabile, incompatibile con gli interessi del paziente e con la credibilità della struttura odontoiatrica proponente;
   nelle strutture delle società odontoiatriche che operano in regime di franchising spesso lavorano professionisti odontoiatri con contratti al limite dello sfruttamento professionale, assolutamente inadeguati alle complessità delle prestazioni che devono comunque essere garantite;
   le «multinazionali dell'odontoiatria» hanno la possibilità, non accessibile agli studi medici professionali, di proporre aggressive attività promozionali che utilizzano le cosiddette «prestazioni civetta» con tariffe sottocosto, senza la possibilità che l'ordine professionale possa sanzionarle;
   le stesse «grandi società odontoiatriche» hanno ovviamente maggiori possibilità di superare le difficoltà burocratiche e di intreccio regolamentare che oggi rendono difficilissima l'apertura di uno studio professionale d'inizio tifa del singolo odontoiatra;
   è inoltre reale il rischio che, in caso di fallimento, le società che erogano prestazioni odontoiatriche (che talora sono società a responsabilità limitata con esiguo capitale sociale) possano essere incapienti e insolventi nei confronti dei propri assistiti e persino degli operatori che vi lavorano;
   le società che offrono servizi odontoiatrici non sono obbligate ad avere all'interno dei loro consigli di amministrazione figure iscritte all'ordine dei medici e degli odontoiatri per cui, qualora siano aggirate le responsabilità del direttore sanitario, cresce esponenzialmente il rischio di politiche societarie estranee alla deontologia medica, che siano invece puramente commerciali e orientate alla sola logica del profitto;
   il sito di informazione online il Fatto Quotidiano, il 24 giugno 2014, riportava la notizia secondo la quale la direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria avrebbe aperto un'inchiesta sull'ipotesi di riciclaggio di denaro attraverso una società srl affiliata al franchising «Vitaldent»;
   il 16 febbraio 2016, la Policia nacional spagnola ha arrestato il proprietario del marchio «Vitaldent» Ernesto Colman, il vicepresidente del Gruppo, Bartolomé Conde, ed altre 11 persone con pesanti accuse di reati fiscali e riciclaggio;
   il 17 febbraio il telegiornale satirico Striscia la Notizia ha mandato in onda un servizio sulla chiusura per fallimento di alcuni centri Vitaldent che hanno lasciato senza cure i pazienti che avevano anticipato ingenti somme di denaro;
   nelle stesse giornate di febbraio, i media nazionali si sono ampiamente occupati di un altro, clamoroso caso di possibile malaffare e corruzione che coinvolgerebbe la sanità lombarda e, in particolare, un'importante società che si occupa di servizi odontoiatrici –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
   se non ritengano opportuno intervenire, per quanto di competenza, affinché sia sempre e comunque garantita la piena rispondenza delle prestazione sanitarie e di quelle odontoiatriche in modo particolare, agli obblighi deontologici ed etici della professione medica, escludendo che tali attività diventino mere prestazioni commerciali, soggette all'unica regola del lucro;
   se non ritengano opportuno, nei limiti delle proprie competenze, adottare iniziative di verifica, anche tramite ispezioni della guardia di finanza, nei confronti delle società che si occupano di servizi odontoiatrici, al fine di verificare la piena aderenza della loro attività al vigente sistema regolatorio;
   se, anche alla luce delle distorsioni verificate, non ritengano opportuno adottare nuove iniziative, anche di carattere normativo, che abbiano l'obiettivo di garantire la libertà e la efficacia delle cure nel settore odontoiatrico, ripensando e ridimensionando il ruolo delle società di capitali, che sta mettendo in pericolo la trasparenza delle attività di settore e sta mettendo in discussione la qualità e l'appropriatezza delle cure odontoiatriche erogate ai pazienti italiani. (4-12352)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Rizzetto n. 5-06291, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Labriola.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Vallascas n. 5-07790, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Paolo Nicolò Romano, Frusone, D'Ambrosio, Cozzolino, Battelli.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Vallascas n. 5-07793, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Frusone, D'Ambrosio, Cozzolino, Paolo Nicolò Romano, Battelli.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Vallascas n. 5-07798, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Frusone, D'Ambrosio, Cozzolino, Paolo Nicolò Romano, Battelli.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Dell'Orco n. 5-07808, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Mannino.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Silvia Giordano e altri n. 5-07927, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Gallinella.

  L'interrogazione a risposta scritta Murer e altri n. 4-12267, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Patrizia Maestri.

  L'interrogazione a risposta scritta Vallascas n. 4-12305, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Nicola Bianchi, Frusone, D'Ambrosio, Cozzolino, Paolo Nicolò Romano, Battelli.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della interpellanza urgente Fedriga n. 2-01296, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 580 del 1o marzo 2016.

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   la recente, incredibile, sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha condannato la Repubblica Italiana per aver «abusato del segreto di Stato» relativamente ad una vicenda su una presunta «extraordinary rendition» a danno di Hassan Mustafa Osama Nasr, meglio noto come «Abu Omar», ex Iman radicale della moschea abusiva di Milano e noto terrorista sul quale in Italia pende, mai scontata, una pena di 6 anni a seguito di una condanna per associazione a delinquere con finalità di atti di terrorismo internazionale;
   le pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo sono impugnabili;
   singolarmente, Abu Omar al momento vive indisturbato in Egitto, dove non è infastidito nemmeno dal regime militare di Al Sisi;
   in un momento storico dove è fondamentale la lotta al terrorismo internazionale, tutta la vicenda risulta grottesca, ed è compito di uno Stato di diritto degno di tal nome accertare compiutamente le verità e le responsabilità relativamente alla vicenda Abu Omar;
   particolare importanza rivestono le dichiarazioni del Generale Nicolò Pollari, all'epoca dei fatti direttore del SISMI, il quale, oltre aver sempre ribadito con forza la completa estraneità degli imputati del Sismi nel caso Abu Omar, ha recentemente auspicato, al fine dell'emersione della verità dei fatti, la rimozione del segreto di Stato sul caso stesso, nonostante per l'applicazione del segreto di Stato lo stesso Pollari ed i suoi colleghi del SISMI i siano stati poi assolti dalle accuse di rapimento a danno dello stesso Abu Omar;
   è indicativo che un imputato assolto per l'applicazione del segreto di Stato, richieda la rimozione del segreto medesimo al fine di ristabilire la piena verità dei fatti;
   sono già stati fatti appelli alla rimozione del segreto di Stato da parte di autorevoli parlamentari dell'attuale maggioranza –:
   se non ritenga urgente e doverosa la rimozione del segreto di Stato su tutta la vicenda relativa ad Abu Omar per eliminare pregiudizi, ombre e sospetti sui servizi italiani che quotidianamente garantiscono democrazia e sicurezza a tutti;
   se il Governo non ritenga di dover impugnare la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo;
   qualora ricorso non abbia successo, con quali modalità il Governo pensi di ottemperare al pagamento della cifra che la Corte europea dei diritti dell'uomo impone al nostro Paese, considerato che in Italia Abu Omar sarebbe soggetto ad un'ordinanza di arresto per attività terroristica e che la vigente normativa antiriciclaggio impone il blocco dei beni di chi è dichiarato terrorista o fiancheggiatore.
(2-01296)
«Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione De Lorenzis n. 5-07815, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 571 del 17 febbraio 2016.

   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso dagli organi di stampa locale della città di Ancona delle trattative tra alcune imprese per eventuali proposte di acquisto della società Isa Group, specializzata in costruzioni navali, manutenzione e riparazione di navi da diporto del settore grandi navi di lusso. È noto che detta società è in situazione di crisi e sottoposta alle procedure fallimentari, con grave preoccupazione dei lavoratori, attualmente in cassa integrazione, delle organizzazioni sindacali e dei creditori della stessa;
   è altresì emerso che alcune società hanno avanzato proposte di acquisizione della Isa Group: la società Frittelli Maritime di Ancona che, in data 23 dicembre 2015, ha stipulato un accordo con la Isa Group nell'ottica dell'acquisizione della società, la costituenda società oggetto di conferimento del ramo di azienda della Isa Group srl che ha presentato offerta irrevocabile di concordato preventivo in continuità aziendale della Isa Group in data 2 novembre 2015 da parte del signor Alessio Caprari, anch'esso di Ancona e la società Wider di Ancona, anch'essa specializzata nel settore delle costruzioni delle navi da diporto del settore grandi navi lusso, che recentemente ha avanzato analoga proposta dì acquisizione della Isa Group. In particolare, la Frittelli Maritime e la Wider condizionano la proposta all'ottenimento delle concessioni demaniali delle aree e banchine pubbliche per un periodo di 50 anni, mentre la proposta del signor Caprari chiede l'ottenimento della concessione in essere alla Isa, che è in scadenza per il 31 dicembre 2017;
   attualmente, la concessione in essere alla Isa Group è stata approvata nel 2008, con durata quadriennale, successivamente prorogata per un anno e rinnovata per ulteriori quattro anni fino alla scadenza del 31 dicembre 2017;
   dalla deliberazione del 25 gennaio 2016 si è appreso che il comitato portuale ha esaminato la richiesta di concessione demaniale cinquantennale avanzata dalla Frittelli Maritime Group spa per l'area attualmente in concessione all'Isa Group srl, limitandosi alla sola valutazione di detta offerta senza dar luogo all'esame delle altre due pervenute sulla base della assunta necessità di garantire il mantenimento del collegamento funzionale tra la disponibilità delle strutture produttive private e la titolarità della concessione afferente le antistanti aree demaniali. Dalle notizie di stampa risulta in particolare che il comitato portuale ha ritenuto di poter esaminare soltanto la domanda dell'impresa Frittelli in quanto Frittelli e Isa hanno comunicato che l'offerta di acquisto di Frittelli è stata accettata dall'Isa, impedendo – nella tesi del comitato portuale – la valutazione di istanze di terzi, in carenza di accordi vincolanti con l'Isa;
   all'esito di tale valutazione, il comitato portuale ha adottato le seguenti determinazioni previste, a pena di decadenza automatica e immediata della concessione medesima:
    1. autorizzazione alla stipula di un atto formale di concessione demaniale trentennale a favore della Frittelli Maritime Group;
    2. rilascio della predetta concessione demaniale, a condizione che si proceda all'acquisto da parte della Frittelli Maritime Group dell'azienda di proprietà della Isa Group, previa omologazione o autorizzazione del giudice delegato dal tribunale della domanda di concordato preventivo;
    3. necessità di un esito favorevole della procedura denominata «informazioni Antimafia» nei confronti del futuro concessionario;
   tali determinazioni, a giudizio dell'interrogante, rischiano di porsi in contrasto sia con la normativa nazionale, di cui al codice della navigazione e al decreto-legge n. 400 del 1993, sia con gli orientamenti dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato: dal combinato disposto dei riferimenti emerge, invero, che, seppur legittimo il cosiddetto diritto di insistenza in favore del precedente concessionario, detto criterio deve rivestire carattere residuale e sussidiario in una situazione di completa equivalenza tra diverse offerte che pertanto abbisognano di essere tutte valutate e non semplicemente pretermesse. Inoltre, sulla preferenza in favore del concessionario già in essere, nell'ambito della procedura di attribuzione delle concessioni, ha espresso contrarietà anche la Commissione europea che, in circostanze similari, ha sottoposto l'Italia a procedura di infrazione per lesione della concorrenza e della libertà di stabilimento;
   allo stesso modo, ad avviso dell'interrogante, emergono dubbi in ordine alla legittimità di una concessione demaniale marittima tanto prolungata anche rispetto a ragioni di concorrenza. Al riguardo, la Corte costituzionale (con sentenza n. 180 del 2010 e successive conformi, sentenza n. 340 del 2010 e sentenza n. 180 del 2011) che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di talune normative regionali in materia atte a prevedere la possibilità di proroga della concessione, fino ad un massimo di 20 anni dalla data del rilascio, subordinatamente alla presentazione di un programma di investimenti per la valorizzazione del bene. La Corte ha ritenuto esserci un'ingiustificata compressione dell'assetto concorrenziale del mercato della gestione del demanio marittimo;
   dal sistema delineato nei termini riferiti, risulta, ad avviso dell'interrogante, che neanche il rinvio ad un programma di investimenti e ad un piano economico finanziario, in questo caso non documentati in fase istruttoria, sembrerebbero legittimare un prolungamento temporale così esteso della concessione. Del resto, non si ha, allo stato, alcuna forma di trasparenza su detti investimenti dato che, in sede di deliberazione del comitato portuale, né il presidente, né il segretario generale hanno illustrato il programma di investimenti che, a quanto consta all'interrogante, in base alle dichiarazioni rese in sede di commissione consiliare del Consiglio comunale di Ancona da parte del segretario generale dell'autorità portuale sarebbero state quantificate in circa 15 milioni di euro, quando, per l'intero investimento per la realizzazione delle banchine e dei moli, sono stati sostenuti costi, da parte della pubblica amministrazione, per circa 7 milioni di euro;
   si apprende altresì da fonti di stampa l'intenzione di consentire un ampliamento dell'oggetto della concessione non già più limitata alla produzione di yacht, ma concernente in termini più generali l'attività di produzione nautica;
   si apprende da fonti di stampa della presentazione di ulteriori offerte vincolanti alla Isa Group per l'acquisizione del cantiere in procedura di concordato preventivo: nello specifico, una nuova offerta da parte della Palumbo cantieri di Napoli ed un'altra offerta della Frittelli Maritime;
   sempre da fonti di stampa risulta la mancata presentazione di un'offerta vincolante da parte della Wider di Monteporzio, con sede anche ad Ancona, dovuta, secondo le dichiarazioni rese dalla stessa, anche al contesto ambientale e alla sensazione che talune istituzioni coinvolte coinvolte nel processo non fossero favorevoli all'offerta sottoposta – (tratto dall'articolo di Alessandra Camilletti dal titolo Il napoletano Palumbo sfida Rossi. Isa Yachts, al cantiere sono arrivate due offerte vincolanti. Si allontanano i licenziamenti pubblicato sul Corriere Adriatico del 24 febbraio 2016);
   ulteriori preoccupazioni sono state formulate dal segretario Fiom, Giuseppe Ciarrocchi, che ha dichiarato che la vertenza Isa – tra annunci e marce indietro, è stata segnata da molte sorprese, giochi strani e in parte incomprensibili. Una sorta di teatro dell'assurdo. È positivo che ci siano due offerte formalizzate, ma vogliamo conoscerne i dettagli – (tratto dall'articolo di Letizia Larici dal titolo  «Isa, il cantiere Palumbo sfida la Frittelli Maritime» pubblicato su Il Messaggero Ancona del 24 febbraio 2016) –:
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se sia conforme alla normativa vigente la deliberazione del comitato portuale di non procedere alla valutazione di ogni domanda pervenuta anche a fronte della disciplina richiamata e delle determinazioni in materia dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato e della Commissione europea e se non ritenga che possa profilarsi il rischio di una procedura di infrazione per lesione della concorrenza e della libertà di stabilimento;
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti intenda chiarire sulla base di quali presupposti possa essere adottato un provvedimento di concessione demaniale marittima della durata trentennale a fronte della giurisprudenza costituzionale citata, specificando se abbia già espresso parere al riguardo, verificando, nel caso specifico menzionato in premessa, la sussistenza di un programma di investimenti e un piano economico finanziario a fondamento che consenta una durata tanto prolungata del provvedimento concessorio;
   se risulti che l'autorità portuale di Ancona abbia rivolto un quesito al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in ordine alla durata della concessione, in un primo momento richiesta per 50 anni e poi accordata per un periodo di 30 anni, che è a giudizio dell'interrogante senza precedenti nella storia del porto di Ancona per analoghe concessioni;
   se il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ritenga che nell'ambito della vicenda di cui in premessa, siano state assunte idonee iniziative per la tutela dei lavoratori della Isa Group;
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per quanto di propria competenza, intenda porre in essere opportune iniziative al fine di vigilare, anche sulle istituzioni coinvolte, per garantire la regolarità e la trasparenza di ogni procedura in corso a tutela del sistema portuale.
(5-07815)

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Basilio n. 4-11520 del 19 dicembre 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08008.

ERRATA CORRIGE

  L'interrogazione a risposta in commissione Frusone e altri n. 5-07953 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 580 del 1o marzo 2016. Alla pagina 34837, prima colonna, alla riga ventesima, deve leggersi: «(Cagliari) nel 2013, viene eletto consigliere», e non come stampato.