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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 2 marzo 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni X e XI,
   premesso che:
    il 6 novembre 2014 veniva siglato dal Ministero dello sviluppo economico, la regione siciliana, il comune di Gela, l'Eni, la raffineria di Gela, Versalis spa, Syndial spa, Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec Uil, Ugl Chimici e Cgil, Cisl, Uil, Ugl territoriali, Confindustria Centro Sicilia, un protocollo d'intesa per l'area di Gela;
    con il citato protocollo d'intesa tenuto conto del progressivo e strutturale peggioramento dello scenario dovuto alla riduzione dei consumi petroliferi a causa della crisi economica e della crescente efficienza energetica, si sanciva la necessità di rivedere il modello industriale del sito di Gela avviando un piano di riconversione per favorire il reimpiego dei lavoratori interessati;
    con il protocollo d'intesa l'Eni si impegnava a predispone un programma di sviluppo industriale con investimenti complessivi di circa 2,2 miliardi di euro;
    tra gli obiettivi del protocollo d'intesa ci sono: a) lo sviluppo di attività basate su tecnologie innovative nell'ambito green; b) l'avvio di nuove attività di esplorazione e produzione di idrocarburi sul territorio della regione Sicilia; c) garantire l'occupazione in coerenza con il processo di riconversione dell'area industriale di Gela e favorire lo sviluppo di imprese locali operanti nel settore dell'energia e della green chemistry; d) iniziative di semplificazione dei procedimenti amministrativi al fine di assicurare il rispetto dei tempi procedurali minimi;
    a circa 15 mesi dalla stipula del protocollo d'intesa al petrolchimico di Gela si assiste al completo disinteresse delle istituzioni e di fatto non si è avviata la sua attuazione lasciando un intero territorio nella situazione di incertezza e di difficoltà in cui si trova Gela;
    non si può consentire che un'intera filiera venga dismessa, gettando nella disperazione lavoratori di molte categorie produttive tra diretto e indotto e un'intera città;
    è necessario e improcrastinabile che il Governo si faccia garante, con tutte le iniziative e gli atti di propria competenza, dell'attuazione del protocollo d'intesa sulla riconversione della raffineria, anche tenendo contro degli atti ad esso collegati che riguardano l'indotto, e che contestualmente accompagni il processo con un adeguato stanziamento per gli ammortizzatori sociali e metta in campo per Gela provvedimenti che sostengano la città in questa difficile e travagliata fase di transizione fino alla completa attuazione del citato protocollo;
    lavoratori dell'indotto, a dimostrazione della drammaticità della situazione e di mancanza di garanzie concrete, hanno manifestato con forza, anche con il blocco delle vie di accesso alla città, in difesa della raffineria Eni e di oltre duemila posti di lavoro;
    i sindacati, nel rilanciare la «Vertenza Gela», si sono dichiarati «estremamente insoddisfatti» dell'accordo sugli ammortizzatori sociali raggiunto a Roma, dal governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, e dal sindaco, Domenico Messinese, con esponenti del Ministero dello sviluppo economico e di quello del lavoro e delle politiche sociali; infatti, rappresentano un intervento assolutamente insufficiente i tre mesi di cassa integrazione in deroga «strappati» al Governo, a fronte di articolate richieste che erano state avanzate e della sollecitazione ad avviare misure straordinarie, quali ad esempio un decreto-legge per l'Eni di Gela come è stato fatto per l'Ilva di Taranto, allo scopo di far fronte a una situazione di crisi straordinaria;
    ritardi da parte del Governo si sono registrati nel rilascio delle autorizzazioni ministeriali che hanno paralizzato alcune iniziative, causando il blocco delle imprese dell'indotto e le conseguenti proteste dei lavoratori rimasti senza reddito e senza strumenti di sostegno;
    l'Eni da parte sua ha confermato la validità dei propri impegni e ha annunciato l'inizio della costruzione dei nuovi impianti entro l'inizio della primavera 2016, ed allo scopo di accelerare l’iter delle autorizzazioni di cantierizzazione, al Ministero dello sviluppo economico si è svolta una conferenza di servizi con rappresentanti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il 18 febbraio;
    la «vertenza Gela» per la sua importanza e per le ricadute in termini occupazionali, sociali ed economici deve entrare nell'agenda delle priorità da affrontare da parte del Governo per dare attuazione completa al protocollo d'intesa siglato il 6 novembre 2014 e in attesa di ciò per attivare le necessarie forme di sostegno al reddito per i lavoratori interessati,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per prevedere l'esenzione dal contributo addizionale posto a carico delle aziende richiedenti la cassa integrazione guadagni in deroga, ricadenti nelle aree di crisi complessa;
   ad assumere iniziative per prevedere il prolungamento delle misure di sostegno al reddito (cassa integrazione guadagni straordinaria, cassa integrazione guadagni ordinaria, contratti di solidarietà, mobilità ex 223 del 1991, mobilità in deroga) in corso di fruizione o già fruite dai lavoratori dell'indotto per la durata degli interventi di riconversione, di cui al protocollo d'intesa del 6 novembre 2014, fino al reimpiego dei lavoratori e con pagamento immediato;
   ad assumere le iniziative di competenza per l'adozione di un piano di prepensionamento per i lavoratori che hanno svolto lavori usuranti e ad alto rischio per la salute (malattie correlate alla presenza di amianto);
   ad assumere ogni iniziativa di competenza per autorizzare l'utilizzo delle risorse per finanziarie misure di politica passiva, ivi compresa la possibilità di disporre degli stanziamenti statali per la cassa integrazione in deroga 2016;
   ad attivare immediatamente le risorse dei fondi europei per la globalizzazione già previste nel protocollo d'intesa del 6 novembre 2014;
   ad assumere iniziative a valere sul fondo per le politiche attive;
   ad assumere iniziative per istituire la zona franca urbana, compresa la zona industriale per vecchie e nuove attività;
   ad attivarsi, per le parti di competenza, per l'accelerazione dei tirocini formativi previsti dal programma «garanzia giovani»;
   ad assumere iniziative per incentivare le «botteghe scuole» per la creazione di nuove opportunità lavorative artigianali, velocizzando e attuando tutte le iniziative di competenza per l'avvio delle bonifiche in tutto il territorio di Gela.
(7-00937) «Ricciatti, Martelli, Airaudo, Ferrara, Placido, Palazzotto, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Melilla, Nicchi, Paglia, Pannarale, Pellegrino, Piras, Quaranta, Sannicandro, Scotto, Zaratti, Zaccagnini».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    lo spettacolo viaggiante è regolato dalla legge n. 337 del 1968, la quale riconosce, all'articolo 1, la funzione sociale di tale attività ed impegna lo Stato a promuovere e consolidare lo sviluppo del suddetto settore. Il riconoscimento della funzione sociale di questa sana e popolare forma di divertimento sancisce la valenza di un'attività di aggregazione sociale che raggiunge anche località prive di luoghi di spettacolo e divertimento;
    l'attuale formulazione del codice della strada causa serie difficoltà agli operatori degli spettacoli viaggianti, soprattutto quando si trovano ad effettuare i loro continui e consueti spostamenti da una città ad un'altra. Alcune modifiche al codice hanno, infatti, ristretto i limiti dimensionali dei mezzi, portandoli dai precedenti 2,70 metri di larghezza agli attuali 2,50 metri. Lo stesso vale per la lunghezza, in quanto si è passati dai precedenti 23 metri agli attuali 18. Ne consegue che molti dei mezzi di cui si servono gli operatori del settore oggi sono classificati, ai sensi del codice della strada, come trasporti eccezionali;
    dal 1986 tali mezzi sono stati dotati di un documento sostitutivo (DGM243), specificatamente previsto dal regolamento di esecuzione del nuovo codice della strada, che, a seguito di visita e prova, concedeva loro la circolazione sulla «intera rete nazionale»;
    dal novembre 2014, però, una parte del parco automezzi dello spettacolo viaggiante non può più accedere alle autostrade e strade principali a seguito di una risposta fornita dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ad un quesito posto dall'Associazione italiana società autostrade e trafori sull'ammissibilità alla circolazione di mezzi in dotazione allo spettacolo viaggiante, muniti di detto documento sostitutivo della carta di circolazione;
    nello specifico, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti facendo riferimento al punto 7, lettera a), dell'articolo 175 del codice della strada, il quale stabilisce che sulle carreggiate, sulle rampe, sugli svincoli, sulle aree di servizio o di parcheggio e in ogni altra pertinenza autostradale è vietato trainare veicoli che non siano rimorchi, ha di fatto escluso la possibilità per i mezzi utilizzati nei spettacoli viaggianti di poter circolare sulle autostrade e strade principali;
    nel momento in cui ai veicoli, dopo visita, prova e punzonatura sul telaio o sugli organi di traino, è stato rilasciato il documento sostitutivo della carta di circolazione, con il modello DGM243, tali veicoli non possono essere quelli di cui all'articolo 175, comma 7, lettera a) del codice della strada, in quanto equiparati, di fatto, ai rimorchi. Non a caso tali mezzi hanno sempre circolato sulla rete stradale ed autostradale negli ultimi trent'anni ottenendo i permessi, qualora eccezionali per massa o sagoma;
    come stabilito dall'articolo 80 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e alla luce della classificazione di trasporti eccezionali, gli operatori degli spettacoli dei viaggianti sono tenuti con cadenza annuale a sottoporre i loro mezzi a revisione, pur considerando che la loro percorrenza annua è molto bassa (al massimo 1500 chilometri annui) e che lo è altrettanto la loro velocità di trasferimento;
    il regolamento (UE) n. 165/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 febbraio 2014, relativo ai tachigrafi nel settore dei trasporti su strada, che abroga il regolamento (CEE) n. 3821/85 del Consiglio relativo all'apparecchio di controllo nel settore dei trasporti su strada e modifica il regolamento (CE) n. 561/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'armonizzazione di alcune disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada, prevede, nelle premesse, che «(3) Determinati veicoli sono soggetti a un'esenzione dalle disposizioni del regolamento (CE) n. 561/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio. Per garantire la coerenza, dovrebbe essere possibile esonerare tali veicoli anche dall'ambito di applicazione del presente regolamento» e «(4) (omissis) Al fine di garantire la coerenza tra le esenzioni pertinenti stabilite dal regolamento (CE) n. 561/2006 e per ridurre gli oneri amministrativi che gravano sulle imprese di trasporto rispettando al contempo gli obiettivi di tale regolamento, è opportuno rivedere alcune massime distanze consentite stabilite in tali esenzioni»;
    il regolamento citato prevede, all'articolo 3, paragrafo 2, che «Gli Stati membri possono esonerare dall'applicazione del presente regolamento i veicoli di cui all'articolo 13, paragrafi 1 e 3, del regolamento (CE) n. 561/2006»;
    il regolamento (CE) n. 561/2006, prevede, all'articolo 13, paragrafo 1, che «Purché ciò non pregiudichi gli obiettivi indicati all'articolo 1, ogni Stato Membro può concedere deroghe alle disposizioni degli articoli da 5 a 9 e subordinarle a condizioni individuali, per il suo territorio o, con l'accordo degli Stati interessati, per il territorio di altri Stati membri, applicabili ai trasporti effettuati impiegando:» omissis «j) veicoli speciali che trasportano materiale per circhi o parchi di divertimenti;»;
    da qualche tempo le motorizzazioni civili chiedono che la revisione di tali veicoli venga eseguita presso le sedi delle stesse, anziché sul luogo dove sono installate le attrazioni, come prevederebbe la circolare emanata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in data 12 febbraio 2013, registro n. 3842,

impegna il Governo:

   ad assumere le opportune iniziative normative per modificare il codice della strada, prevedendo che i veicoli adibiti esclusivamente a spettacoli viaggianti siano esclusi dall'articolo 10, che reca la disciplina in materia di veicoli eccezionali e trasporti in condizioni di eccezionalità, e introducendo un'apposita regolamentazione della circolazione di tali veicoli, da adottare su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con il Ministro dell'interno e con la Conferenza Stato, regioni e province autonome;
   ad assumere le opportune iniziative normative per modificare l'articolo 80 del codice della strada, in materia di revisioni, al fine di prevedere che la revisione dei veicoli adibiti esclusivamente a spettacoli viaggianti deve essere effettuata ogni due anni, nel rispetto delle specifiche decorrenze previste dalle direttive comunitarie vigenti in materia;
   ad assumere iniziative per esonerare dall'utilizzo di cronotachigrafi, per le ragioni di cui in premessa, i veicoli speciali che trasportano materiale per circhi o parchi di divertimenti;
   a ribadire, tramite una circolare interpretativa indirizzata alla motorizzazione civile, che i veicoli speciali che trasportano materiale per circhi o parchi di divertimenti siano in diritto di far revisionare tali veicoli nel luogo in cui si trovano, così come previsto dalla lettera del Ministero dei trasporti e della navigazione, IV direzione centrale – divisione 43, del 5 marzo 1998.
(7-00936) «Bergamini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   il cosiddetto rimpasto di Governo effettuato la settimana scorsa ha confermato la mancanza di un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con la delega per le sostanze stupefacenti;
   tale decisione, purtroppo, non tiene conto di numerosi appuntamenti istituzionali che hanno a che fare con le sostanze proibite e che devono esser gestiti con scelte politiche chiare, tempestive e, in discontinuità con quanto detto e fatto in passato;
   a metà marzo 2016 si terrà l'ultimo appuntamento della Commissione droghe dell'ONU che dovrà preparare la sessione speciale dell'Assemblea generale (UNGASS) sugli stupefacenti prevista dal 19 al 21 aprile di quest'anno;
   la sesta conferenza nazionale sulle droghe, che non viene convocata dal 2009, deve fare il punto sulle leggi e politiche in materia di sostanze e dipendenze nel nostro Paese;
   nel novembre 2015 si è avviato l'iter parlamentare, per una proposta di legalizzazione della cannabis e suoi derivati;
   più analiticamente si segnala il fatto che da circa due anni è iniziato il processo negoziale dell'UNGASS che porterà al Palazzo di Vetro ad aprile 2016, malgrado più volte si sia cercato di sollecitare l'attenzione dell'Esecutivo, a oggi non è chiaro chi rappresenterà il Governo all'ONU, quale sarà la sua posizione e quali saranno le priorità circa temi da proporre o sostenere in quella occasione;
   nel novembre 2015, nel rispondere ad alcune interrogazioni parlamentari, il Governo confermava d'aver accantonato i fondi per la convocazione della conferenza nazionale senza però aver individuato un luogo, una data e un formato per la tenuta dell'appuntamento previsto dalla legge;
   pur esprimendo un plauso per l'iniziativa, si segnala che quando si arriverà a votare emendamenti e articoli sarà necessario che il Governo esprima il proprio parere in merito alle soluzioni di regolamentazione legale proposte;
   dopo l'immane lavoro necessario per la relazione al Parlamento dell'anno scorso, per il 2016 sarebbe auspicabile non solo la composizione di un documento più coerente e di più agevole lettura, ma anche cogliere l'occasione della pubblicazione del testo per suscitare un dibattito istituzionale e pubblico e non relegare sugli scaffali il prezioso lavoro di Ministeri, istituzioni ed esperti –:
   se sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa e, nell'eventualità positiva, ferma restando la posizione dell'Unione europea, quale iniziative e proposte intenda assumere il Governo relativamente al processo negoziale in atto sulla preparazione dei documenti finali della Sessione Speciale dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite (UNGASS) sulle droghe, che si svolgerà dal 19 al 21 aprile 2016, con particolare riferimento alla necessità di garantire un «dibattito inclusivo e aperto» – come più volte affermato dagli Stati membri dell'Unione europea;
   se non si ritenga utile adoperarsi affinché l'Assemblea generale dell'ONU di New York possa completare ad aprile 2016, e quindi adottare, le bozze di documenti preparati dalla Commissione droghe delle Nazioni unite di Vienna, temi più volte evocati, anche dal nostro Paese, nel processo preparatorio, ma al momento non inclusi in modo soddisfacente nel documento, noto anche come «Zero Draft» che sarà discusso a Vienna, per arricchire il testo con chiari riferimenti alle ripercussioni dell'attuale sistema del controllo delle droghe su: diritti umani, ivi compresa la pena di morte; salute ovvero riduzione dei rischi e dei danni; sovraffollamento carcerario; accesso alle medicine essenziali.
(2-01298) «Bechis, Schirò, Brignone, Artini, Pastorino, Civati, Matarrelli, Segoni, Baldassarre, Andrea Maestri, Cristian Iannuzzi, Furnari, Fava, Nicchi, Kronbichler, Scotto, Turco, Labriola, Currò, Rostellato, Locatelli, Di Lello, Pastorelli, Martelli, Sbrollini, Malpezzi, Prodani, Barbanti, Prataviera, Caon, Rizzetto, Marcon, Pannarale, Argentin, Zaccagnini, Marzano, Gregori, Pisicchio».

Interrogazione a risposta orale:


   VEZZALI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   è una dolorosa vicenda quella che si trascina da oltre due anni e mezzo, riguardante 26 famiglie italiane e 32 bambini della Repubblica democratica del Congo (RDC);
   secondo il dipartimento per l'emigrazione della Repubblica democratica del Congo, tra il 2009 e il 2013 sono stati adottati da famiglie straniere, provenienti da 15 diversi paesi, 1.006 bambini congolesi;
   le autorità della Repubblica democratica del Congo sono state spinte a interrompere le procedure di adozione a seguito di notizie che lasciavano intendere che i minori potessero essere vittima di traffici illeciti o addirittura venduti dalle famiglie adottive;
   da qui, la decisione di applicare restrizioni nelle procedure di adozione internazionale e seguire l'orientamento di Russia e Cina per tutelare i loro bambini orfani;
   nel 2013 furono convocati gli ambasciatori di Italia, Stati Uniti, Francia, Canada, Belgio e Gran Bretagna per informarli della decisione di «sospendere temporaneamente» le adozioni in attesa dei risultati di una inchiesta avviata dal governo per far luce sugli illeciti;
   l'allora Ministro degli affari esteri italiano assicurò che le adozioni relative alle 26 coppie italiane e i 32 bambini congolesi approvate dal Governo della Repubblica democratica del Congo erano definitive e che le coppie erano già legalmente i genitori dei bambini;
   la sospensione delle adozioni, però, impedì a queste famiglie di lasciare la Repubblica democratica del Congo, mentre i loro visti stavano per scadere, ma non bloccò le coppie francesi che rientrarono in patria con i loro figli;
   le associazioni che seguono le coppie nel lungo percorso burocratico che porta all'adozione internazionale assicurano che in questi tre anni (dal 2013, quando ha avuto inizio il blocco temporaneo) i minori hanno intrattenuto contatti quasi quotidiani con i loro genitori via skype;
   in Italia ci sono circa 120 famiglie che, seguite da enti e associazioni, aspettano lo sblocco della situazione; finora una trentina di coppie sono riuscite nell'impresa di partire dal Congo con i loro figli, una decina sono rientrati in Italia a novembre 2015, ma le autorità della Repubblica democratica del Congo hanno oltre 900 pratiche da esaminare e per questo i tempi si allungano;
   a seguito di tentativi che negli anni non hanno prodotto i risultati sperati, in questi giorni sembra che le autorità della Repubblica democratica del Congo abbiano deciso di far partire 150 bambini, la maggior parte dei quali adottati da coppie americane; almeno 8 di questi bambini (qualche voce parla di 5) sono adottati da coppie italiane e dovrebbero riuscire a lasciare il Congo, ma nessuno è in grado di precisare la tempistica del rientro –:
   se il Governo non ritenga opportuno adoperarsi, in assenza di garanzie da parte delle autorità della Repubblica democratica del Congo, in merito alla sospensione del blocco delle procedure di adozione, perché a queste famiglie sia almeno consentito di avere la possibilità di trascorrere un periodo di vacanza in Italia con i loro bambini, che hanno bisogno di affetto e che vivono in orfanotrofi poverissimi;
   se il Governo non intenda adottare le iniziative di competenza per onorare le aspettative di queste famiglie e giungere a una conclusione di questa dolorosa vicenda che si trascina da troppo tempo. (3-02075)

Interrogazione a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   PAGLIA e GIANCARLO GIORDANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi tempi la stampa ha resi noti i primi risvolti della bufera abbattutasi sul calcio italiano nel maggio del 2015 e della requisitoria avanzata, nell'ambito del secondo filone del processo federale scaturito dall'inchiesta « Dirty soccer» della procura di Catanzaro legato alla presunta esistenza di un'organizzazione delinquenziale specializzata in scommesse illecite su partite di calcio dei campionati di serie B, LegaPro e Campionato nazionale dilettanti, dalla procura della Federcalcio;
   dalla suddetta inchiesta, che ha preso avvio grazie ad una vasta operazione della polizia di Stato che all'alba del 19 maggio 2015 ha eseguito gli ordini emessi dai magistrati della direzione distrettuale antimafia presso la procura di Catanzaro, è emersa una fitta rete di giocatori, manager, allenatori, dirigenti ed imprenditori delle società calcistiche della serie «D» dilettantistica, della Lega Pro (ex serie «C») e di serie «B» che truccava le partite del campionato italiano, e sui quali pende l'accusa di associazione per delinquere finalizzata alla frode calcistica e con l'aggravante di aver favorito le organizzazioni mafiose;
   il questore di Catanzaro dottor Giuseppe Racca, città da dove è partita la ragnatela delinquenziale, ha reso noto che la scoperta di una stabile organizzazione criminale dedita al calcio scommesse dimostra che l'attività delinquenziale legata al settore è sempre attiva e fiorente non solo in Italia dove è stata scoperta una stabile organizzazione criminale che grazie a calciatori, dirigenti e tesserati e non, ha messo in atto condotte finalizzate ad alterare i risultati di varie partite;
   nell'ambito della stessa inchiesta, oltre ai suddetti protagonisti sportivi, sono stati arrestati anche dieci scommettitori di nazionalità straniera, come maltesi, kazaki, russi, cinesi e serbi, a dimostrazione di come il fenomeno delle scommesse sportive illecite abbia assunto una veste internazionale e la ramificazione della criminalità organizzata abbia raggiunte) non solo i settori malavitosi tradizionali ma anche quelli dello sport dilettantistico;
   questi «finanziatori» stranieri alimentano le casse delle organizzazioni delinquenziali fornendo denaro ai criminali italiani che a loro volta lo usano in primis per «corrompere» i calciatori in modo da ottenere partite combinate su cui scommettere e realizzare ingenti guadagni, ricorrendo, non poche volte, alle minacce, ivi compresa quella, estrema, del sequestro di persona, qualora non si fosse rispettata l'indicazione del gruppo organizzato;
   la Federcalcio (FIGC), parte lesa nel relativo processo, a mezzo del suo presidente Carlo Tavecchio ha dichiarato che: «Quando le scommesse sono state allargate alla serie «D» io dissi, pur non essendo consultato, che era un gravissimo errore e oggi i risultati li vedono tutti... cinque-sei anni fa la scommessa era un reato. Il giorno in cui si è entrati nell'ottica che la scommessa non è reato porta a far sì che ognuno si debba prendere le proprie responsabilità», palesando una evidente posizione di contrarietà rispetto a chi ha invece insistito perché il mondo rischioso del calcio scommesse invadesse anche il delicato settore del calcio dilettantistico;
   quattro anni or sono, nonostante il mondo del calcio professionistico fosse ciclicamente investito da scandali, il Governo italiano pro tempore, attraverso il Ministero competente, ha deciso, nonostante il parere contrario della Federazione italiana gioco calcio, di estendere la pratica del gioco delle scommesse al settore dilettantistico, determinando il coinvolgimento di un mondo già di per sé esposto agli interessi delle organizzazioni criminali nazionali e internazionali;
   infatti, il settore non professionistico della serie «D» e di quelle minori è un ambito non interessato dai grandi flussi finanziari che investono le categorie superiori, dove le società sportive calcistiche operano tra forti difficoltà economiche e gestionali riservando ai calciatori ingaggi incerti e modesti che non offrono alcuna sicurezza di stabilità reddituale;
   per queste ragioni le organizzazioni criminali italiane hanno posto la loro attenzione su questo settore del calcio, esposto a forti condizionamenti, realizzando un sistema di collaborazione con le mafie internazionali, in particolare dell'Est europeo e asiatico, dove il sistema delle scommesse « on line» è totalmente fuori controllo e può, di conseguenza, canalizzare gli eventi calcistici che si possono più agevolmente manipolare, trasformando l'incontro di calcio di una serie minore in un evento catalizzatore di scommesse dall'incomparabile budget finanziario;
   da quando si è diffuso questo fenomeno di scommesse illegali, il calcio dilettantistico ha praticamente smesso di svolgere la sua meritoria funzione di leva, trasformandosi di fatto in uno strumento di capitalizzazione dell'economia mafiosa internazionale e penalizzando fortemente la diffusione di una sana cultura e pratica sportiva, al punto che obiettivo dei presidenti non è più tanto quello di investire sul conseguimento di traguardi agonistici, quanto quello di strutturare un «capitale» funzionale a dinamiche di pura imprenditoria finanziaria;
   i bassi budget di partecipazione ai rispettivi campionati rendono le società sportive «minori» oggettivamente più esposte al ricatto ed ai condizionamenti della criminalità organizzata detentrice di ingenti risorse finanziarie –:
   se non ritenga urgente ed ineludibile, alla luce di quanto premesso, assumere iniziative per modificare la normativa che ha esteso il gioco delle scommesse al settore dilettantistico del calcio italiano e rivedere la disciplina delle modalità di concessione e di funzionamento delle agenzie delle scommesse, in particolare di quelle « on line». (5-07988)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CIPRINI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI e GALLINELLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   i corpi di polizia provinciale sono contraddistinti da professionalità specializzate nell'ambito della tutela del territorio extraurbano e rurale e nella lotta ai crimini ambientali, al fenomeno del maltrattamento degli animali, del bracconaggio ed in genere contro lo sfruttamento criminale dell'ambiente e degli animali;
   secondo i dati riportati dal SOSE (Soluzioni per il sistema economico, società per azioni del Ministero dell'economia e delle finanze) il personale della polizia provinciale, quantificabile in circa 2.700 unità, è responsabile dell'accertamento di circa un terzo dei reati ambientali nel nostro Paese;
   con l'approvazione della legge n. 56 del 2014 in materia di riordino delle funzioni provinciali, della legge n. 190 del 2014 ed il decreto-legge n. 78 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2015 in materia di disposizioni urgenti in materia di enti territoriali, si rischia di produrre la grave dispersione di un patrimonio di conoscenze e di professionalità costituito dai suddetti corpi di polizia, da decenni, notoriamente impegnati nell'applicazione di numerose leggi statali e regionali in materia di tutela delle risorse naturali, del demanio fluviale e lacuale, di vigilanza sull'esercizio della caccia e della pesca con prevenzione del bracconaggio, di controllo sull'impatto della fauna selvatica nei processi produttivi e sociali, di vigilanza sulle aree protette, di controllo dell'uso del suolo e comunque di controllo del territorio più in generale;
   con la circolare n. 1 del 2015 del 29 gennaio 2015 sono state adottate le «Linee guida in materia di attuazione delle disposizioni in materia di personale e di altri profili connessi al riordino delle funzioni delle province e delle città metropolitane. Articolo 1, commi da 418 a 430, della legge 23 dicembre 2014, n. 190»;
   il provvedimento si è reso necessario per dare attuazione alle disposizioni in materia di personale, in relazione al riordino delle funzioni delle province e delle città metropolitane, nonché per fornire chiarimenti in merito ad altri profili di raccordo tra le disposizioni di cui alla legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015) e quanto previsto dalla legge 7 aprile 2014, n. 56;
   con il decreto-legge n. 78 del 2015, convertito dalla legge n. 125 del 2015, gran parte delle regioni a statuto ordinario e delle province hanno provveduto a individuare il personale di polizia provinciale necessario alle funzioni fondamentali residue e quello cui le regioni avrebbero riaffidato le funzioni di vigilanza sulle materie oggetto di riordino, inserendo nel cosiddetto portale generale mobilità solo il personale residuato da tali processi (articolo 5, commi 2 e 3);
   purtroppo, molte province hanno colto l'occasione per individuare i propri esuberi nel personale di polizia provinciale, posizionandolo in blocco su portale; in particolare, nelle province di Perugia e Terni è accaduto che gli esuberi sono costituiti dall'intero contingente delle due polizie provinciali;
   il comma 423 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014 ha previsto l'adozione di un decreto relativo alle procedure di mobilità entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della medesima legge; tuttavia, il decreto è stato emanato solo il 14 settembre 2015;
   il comma 428 della legge n. 190 del 2014 ha fissato il termine del 31 dicembre del 2016 per la procedura di mobilità di ricollocamento del personale con la previsione della attivazione delle procedure previste dall'articolo 33, comma 7 e 8, del decreto legislativo n. 165 del 2001 per il personale non ricollocato e/o assorbito;
   è accaduto invece che la tempistica stabilita dal decreto ministeriale 14 settembre 2015 non è stata rispettata e l'attivazione del portale è stato realizzato con ritardo nonostante la circolare n. 1 del 2015 avesse disposto la rilevazione dei posti disponibili entro marzo 2015; le domande di mobilità sono state inserite anche oltre il 31 ottobre 2015 e l'offerta di posti si è conclusa solo in data 12 febbraio 2016, cosicché il personale di polizia provinciale inserito ha dovuto prendere decisioni fondamentali, quali un'eventuale disponibilità al cambio di profilo o meno, senza poter conoscere l'effettiva offerta disponibile sul territorio;
   secondo i dati diffusi da ItaliaOggi del 19 febbraio 2016, è emerso «come le amministrazioni pubbliche abbiano tenuto nascoste le proprie disponibilità di posti: le circa 2.500 posizioni offerte sono una frazione esigua delle assunzioni effettuate negli anni precedenti per concorso o per mobilità. Non si può che concludere, dunque, che le disponibilità effettive, cioè i posti vacanti realmente presso le amministrazioni siano di gran lunga superiori a quelli indicati nel portale: questo perché non è stato esplicitato da nessuno l'obbligo di evidenziare le vacanze effettive d'organico, né tanto meno nessuno ha potuto o voluto controllare nel merito l'adempimento»;
   infatti, un'offerta di 2.500 posti a fronte di 1.957 unità di personale da ricollocare (confrontata con le assunzioni effettuate complessivamente nel 2014 dalla pubblica amministrazione, stimate in circa 14.000), è insufficiente a garantire un buon « matching» tra domanda e offerta – posto che ad oggi non è dato di verificare la distribuzione geografica e soprattutto la corrispondenza dei requisiti professionali dei dipendenti provinciali ai posti messi a disposizione da parte delle amministrazioni; «è probabile infatti che la gran parte dei posti disponibili sia per i dipendenti inquadrati nella categoria C (gli istruttori), mentre nelle province moltissimi funzionari di categoria D ed esecutori di categoria B si sono ritrovati in sovrannumero. Se così fosse, per molti dipendenti non vi sarebbe proprio alcuna possibilità di ricollocazione» (ItaliaOggi del 19 febbraio 2016);
   dunque il pericolo della presentazione di molte domande su pochi posti è elevatissimo, con la conseguenza di mancate ricollocazioni volontarie e la necessità di ricollocazioni d'imperio decise dal dipartimento della funzione pubblica, ai sensi dell'articolo 9 del decreto ministeriale del 14 settembre 2015;
   infine il portale della mobilità – tra le informazioni disponibili in relazione ai profili inseriti – non prevede criteri curricolari misurabili (quali ad esempio anni di esperienza, titoli di studio e professionali), con particolare riferimento alle casistiche di cambio di profilo, al fine di individuare un nuovo profilo di assegnazione;
   particolarmente criticata è la situazione nella regione Umbria: le province di Perugia, e Terni (94 addetti di Perugia e 15 di Terni) hanno inserito l'intero contingente di polizia provinciale sul portale della mobilità generale. A causa di un «corto circuito» tra provincia e regione, ora il personale della polizia provinciale di Perugia e Terni corre il rischio di una mobilità nazionale e di subire una dequalificazione professionale – stante la scarsa disponibilità di posti nella polizia municipale – e addirittura la perdita del posto di lavoro; ciò comporterebbe anche gravi ripercussioni sullo svolgimento dei controlli ambientali e in materia itticovenatoria, tradizionalmente assicurati da personale specializzato e qualificato, in un territorio – quale quello umbro – dalle numerose criticità ambientali e costellato di siti di bonifica anche di interesse nazionale;
   addirittura i 94 dipendenti della polizia provinciale hanno occupato la sala del consiglio provinciale di Perugia (La Nazione del 24 febbraio 2016);
   tale situazione, nel complesso, sta generando da più tempo un clima di incertezza e sconforto tra tutti gli operatori della polizia provinciale, ed in particolare della provincia di Perugia e di Terni, che svolgono un servizio fondamentale a favore della collettività e del territorio –:
   quali siano i motivi per cui non sono stati rispettati la tempistica e i termini previsti dalla legge n. 190 del 2014 e dal decreto ministeriale del 14 settembre 2015 e se il Governo intenda assumere iniziative per prorogare il termine del 31 dicembre 2016 al fine di evitare che il personale di polizia provinciale residuo possa incorrere nella procedura prevista dalla legge per il personale in eccedenza o in soprannumero;
   quali iniziative, anche di natura normativa, intenda assumere il Governo per superare le criticità esposte in premessa ed, in particolare, per una riconsiderazione della previsione del ricollocamento d'imperio di cui all'articolo 9 del decreto ministeriale del 14 settembre 2015, favorendo una più corretta e opportuna collocazione del personale di polizia provinciale in base alle reali capacità assunzionali delle pubbliche amministrazioni locali e regionali con l'utilizzo delle risorse previste nei rispettivi piani triennali delle assunzioni e che tenga conto ai fini della mobilità anche di criteri curricolari misurabili;
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo, nei limiti delle proprie competenze, per risolvere la ricollocazione dei dipendenti della polizia provinciale di Perugia e di Terni che sono stati inseriti nel portale della mobilità e versano in una situazione di precarietà e di incertezza anche favorendo l'apertura di un tavolo di confronto tra regione Umbria e tutte istituzione locali che eviti la perdita del posto di lavoro e la dequalificazione professionale o addirittura la frammentazione e scomparsa del corpo di polizia provinciale, con l'effetto di gravi ripercussioni sullo svolgimento dei controlli ambientali e in materia ittico-venatoria nel territorio umbro. (5-07970)

Interrogazione a risposta scritta:


   PINNA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i requisiti per l'adozione, internazionale e nazionale, sono previsti dall'articolo 6 della legge n. 184 del 1983, come modificata dalla legge n. 149 del 2001 e dal decreto legislativo del 28 dicembre 2013, n. 154. La disposizione sopracitata prevede la sussistenza di diversi requisiti, alcuni dei quali possono essere verificati formalmente, come il rispetto di determinati limiti di età e la stabilità del rapporto fra i coniugi, mentre altri richiedono una valutazione più complessa;
   infatti, in base al suddetto articolo 6 gli aspiranti genitori adottivi «devono essere affettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendano adottare». Per la verifica di questi requisiti, al fine di accertare e dichiarare l'idoneità della coppia che ha fatto domanda di disponibilità all'adozione, occorre una valutazione approfondita del rapporto di coppia, che viene espletata dai tribunali per i minorenni e realizzata tramite i servizi socio-assistenziali degli enti locali, anche in collaborazione con i servizi delle aziende sanitarie locali;
   i servizi sociali hanno il compito di valutare le potenzialità genitoriali raccogliendo informazioni sull'ambiente familiare, sulle motivazioni della domanda, sulle attitudini nonché sulla situazione personale, economica e sociale dei coniugi. Tali valutazioni vengono trasmesse al tribunale all'interno di una relazione conclusiva. Al termine del percorso il tribunale può stabilire che la coppia è idonea all'adozione, che non è idonea o, ancora, può disporre ulteriori approfondimenti rinviando nuovamente i coniugi ai servizi socio-assistenziali;
   i tribunali dei minorenni hanno totale potere decisionale sull'idoneità delle coppie, facoltà che peraltro applicano spesso con eccessiva discrezionalità introducendo, in taluni casi, ulteriori limiti oltre a quelli già previsti dalla legge;
   nell'ottavo rapporto di aggiornamento (2014-2015) sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, redatto da un gruppo di lavoro composto da 90 soggetti del terzo settore e coordinato da Save the Children Italia, viene fatto presente che la banca dati nazionale dei minori adottabili e delle coppie disponibili all'adozione (istituita ai sensi dell'articolo 40 della legge 28 marzo 2001, n. 149 ed attivata dal decreto 15 febbraio 2013 del Ministero della giustizia) non è operativa in tutti i tribunali per i minorenni presenti sul territorio nazionale. Da ciò deriva, come affermato nell'ottavo dossier, «da difficoltà nel garantire a ogni bambino adottabile la scelta di una famiglia, con ritardi negli abbinamenti e scarse opportunità per i bambini “speciali”, ovvero di più difficile adozione. Ma soprattutto in questo modo non si è in grado di quantificare l'effettiva situazione e quantità dei minorenni che pur essendo adottabili non vengono adottati»;
   un'ulteriore problematicità si rileva per quanto concerne le adozioni internazionali da Paesi che non hanno ratificato la Convenzione de L'Aja del 1993 e in cui, nella maggior parte dei casi, il principio di sussidiarietà dell'adozione (desumibile dal combinato disposto degli articoli 7, 8, 9, 20, 21 della Convenzione sui diritti dell'infanzia approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1989, inserita nell'ordinamento italiano con legge n. 176 del 1991) e le altre tutele preventive e protettive dei diritti dell'infanzia vengono applicati in minor misura. Un recente e autorevole studio « The best interests of the child in intercountry adoption», pubblicato da UNICEF nel 2014, indica che tale fenomeno è in crescita e riguarda il 78 per cento delle adozioni in Belgio, il 72 per cento di quelle in Francia e il 54 per cento in Italia;
   considerando i dati degli anni dal 2010 al 2014, si rileva che nel nostro Paese le adozioni nazionali si attestano stabilmente intorno ai 1.000 bambini a fronte di circa 10 mila domande di disponibilità. Sul fronte delle adozioni internazionali si registra un calo costante nel tempo: dal 2010 al 2014 le domande di disponibilità sono passate da 6.092 a 3.857 e le adozioni di minori stranieri da 3.217 a 1.969, una diminuzione di quasi il 40 per cento. Le cause sono spesso da ricercare nella complessità delle storie dei bambini adottabili, nei tempi lunghi e incerti della procedura adottiva e, soprattutto relativamente all'adozione internazionale, negli alti costi;
   infine, come testimoniato dalle coppie che hanno scelto di intraprendere questo percorso, per gli aspiranti genitori ai problemi da sempre presenti (quali gli alti costi, gli anni di attesa e le difficoltà burocratiche) oggi si aggiunge un nuovo ostacolo: la mancanza di fiducia e di certezze. In definitiva, il sistema organico di politiche per l'infanzia su cui il nostro Paese si era impegnato con la ratifica della Convenzione de L'Aja del 1993 non è stato ancora pienamente realizzato –:
   se ritengano opportuno avviare delle politiche sociali volte alla promozione delle adozioni nazionali e, internazionali, rendendo più semplice e confortevole il percorso delle coppie che scelgano di adottare un minore e diffondendo la «cultura dell'adozione»;
   se valutino positivamente l'opportunità di avviare un percorso di snellimento per quanto concerne le procedure relative alle adozioni, al fine di consentire la riduzione degli adempimenti burocratici e degli oneri economici a carico degli aspiranti genitori, anche attraverso una revisione dell'attuale normativa;
   quali iniziative intendano mettere in atto per assicurare la piena operatività della banca dati nazionale dei minori adottabili e delle coppie disponibili all'adozione, attivata dal decreto 15 febbraio 2013 del Ministero della giustizia, al fine di agevolare l'abbinamento dei bambini e delle coppie su tutto il territorio nazionale, sempre valorizzando il principio dell'interesse superiore del bambino;
   quali iniziative intendano mettere in atto per diffondere le buone pratiche dei tribunali per i minorenni che si distinguono per efficienza e celerità, per promuovere una maggiore collaborazione tra tribunali attraverso protocolli operativi e per garantire l'applicazione uniforme della legge su tutto il territorio nazionale;
   se intendano adottare particolari iniziative a sostegno delle adozioni complesse, con riferimento ai minori di età superiore a dodici anni o con handicap accertato, ai sensi dell'articolo 4 della legge 5 febbraio 1992 n. 104;
   quali iniziative intendano adottare al fine di garantire un follow-up sistematico sul benessere dei bambini adottati durante gli anni precedenti e sulle cause e le conseguenze di eventuali interruzioni dell'adozione;
   quali accorgimenti intendano adottare per garantire l'operatività della Commissione per le adozioni internazionali al fine di consentire all'organo di esercitare un ruolo maggiormente incisivo soprattutto nella vigilanza e nel controllo delle agenzie private di adozione e delle procedure di adozione;
   se ritengano opportuno potenziare il ruolo di collettore di informazioni della Commissione per le adozioni internazionali relativamente alle procedure, ai costi, agli enti autorizzati per Paese di provenienza dei bambini, anche attraverso l'aggiornamento costante e una migliore organizzazione dei contenuti del sito internet istituzionale, in modo da renderla punto di riferimento principale per le famiglie;
   se ritengano opportuno adoperarsi presso le opportune sedi istituzionali internazionali affinché il principio di sussidiarietà dell'adozione internazionale e le altre tutele preventive e protettive dei diritti dell'infanzia siano applicate pienamente nei Paesi che ad oggi non hanno ratificato la Convenzione de L'Aja, essendo in crescita le adozioni di minori provenienti da suddetti Paesi da parte di coniugi italiani. (4-12315)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CENNI e DALLAI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo del 28 febbraio 2002, in attuazione dell'articolo 114, comma 14, della legge n. 388 del 2000, è stato istituito il Parco museo delle miniere dell'Amiata;
   il Parco museo delle miniere dell'Amiata ha come finalità la messa in sicurezza, il recupero dei manufatti e la tutela ambientale dei siti minerari oltre alla conservazione degli archivi, alla promozione degli studi, alla raccolta delle testimonianze e alla valorizzazione ai fini turistici del territorio del Parco;
   l'articolo 3 del citato decreto ministeriale affida la gestione del Parco ad un consorzio costituito dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, dalla regione Toscana, dalla provincia di Grosseto, dalla provincia di Siena, dalla comunità montana Amiata grossetano, dalla comunità montana Amiata senese e dai comuni interessati;
   l'articolo 8 del citato decreto ministeriale prevede la costituzione del Comitato di gestione provvisoria del Parco museo delle miniere dell'Amiata, nelle more dell'approvazione dello statuto e del riconoscimento della personalità giuridica di diritto pubblico del consorzio cui è affidata la gestione del Parco;
   l'articolo 6, comma 3, del citato decreto ministeriale stabilisce che lo statuto (predisposto da una commissione composta dai rappresentanti delle amministrazione statali e locali interessate) debba essere approvato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, della regione Toscana e degli enti territoriali facenti parte del consorzio;
   con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 3 giugno 2002, è stato costituito il comitato di gestione provvisoria del Parco museo delle miniere dell'Amiata;
   il 24 ottobre 2011 il comitato di gestione provvisoria del Parco museo delle miniere dell'Amiata ha quindi approvato la bozza di statuto, da sottoporre alle valutazioni delle amministrazioni vigilanti;
   in data 22 maggio 2014 la regione Toscana ha trasmesso un testo condiviso di statuto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, testo già approvato dalle amministrazioni interessate;
    Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il 5 giugno 2015, ha trasmesso tale schema di statuto al Consiglio di Stato, ai fini dell'acquisizione di un parere;
   il 17 settembre 2015 il Consiglio di Stato ha ritenuto di sospendere il proprio parere, volendo acquisire preventivamente anche gli avvisi del Ministero dell'economia e delle finanze, nonché del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   i suddetti pareri del Ministero dell'economia e delle finanze, nonché del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo sono pervenuti al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare rispettivamente il 24 novembre 2015 ed il 20 novembre 2014. Tali pareri sono stati successivamente trasmessi al Consiglio di Stato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'11 dicembre 2015;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha recentemente prorogato per la durata di 8 mesi, dal 1 gennaio al 31 agosto 2016, l'attuale comitato di gestione provvisoria del Parco in attesa che venga approvato definitivamente lo statuto e venga Costituito il consorzio del parco museo delle miniere dell'Amiata;
   il comitato di gestione provvisoria, nonostante dovesse rimanere in carica per un «periodo non superiore a centottanta giorni» (come definito dall'articolo 8, comma 2, del citato decreto ministeriale del 28 febbraio 2002), è stato prorogato per oltre 14 anni;
   tale situazione, che rischia di causare ulteriori incertezze circa la programmazione delle attività del Parco e della gestione e ricerca delle risorse economiche necessarie, sta creando perplessità anche tra le stesse amministrazioni locali: l'amministrazione provinciale di Siena ha infatti inviato il 10 dicembre 2015 una nota al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in cui rifiutava di designare un proprio rappresentante per il rinnovo del comitato di gestione provvisorio, essendo propensa «ad effettuare la propria designazione solamente per la costituzione di un comitato di gestione definitivo»;
   in una nota successiva, inviata il 1o marzo 2015 al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, l'amministrazione provinciale di Siena, ribadendo la scelta di non designare il proprio rappresentante «per una gestione provvisoria» che si protraeva «da ben 13 anni», specificava come il parere facoltativo sullo statuto stesso, richiesto dal dicastero al Consiglio di Stato, avesse causato altri ritardi sulla stesura definitiva del documento;
   il parere del Consiglio di Stato, non contemplato dal decreto ministeriale del 28 febbraio 2002, appare essere l'ultimo dei fattori che hanno «rallentato» l'iter di approvazione dello statuto –:
   quando verrà approvato lo statuto del Parco museo delle miniere dell'Amiata, se l’iter di approvazione sia stato conforme alla normativa vigente (sia per quanto riguarda la tempistica, sia per gli organismi coinvolti) e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda mettere in campo al fine di assicurare finalmente a tale ente il comitato di gestione definitivo. (5-07963)


   ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, VIGNAROLI, DAGA, MICILLO e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il settore delle fonti energetiche (FER) ha dei lati critici, legati in parte agli incentivi (i più elevati al mondo) che drogano il mercato e allontanano dalla sostenibilità che era l'intento iniziale di tale pratica. Al giorno d'oggi vengono incentivati impianti di ogni tipo anche se non rispettano le normative italiane degli specifici settori, gli impianti ricevono gli incentivi anche se non hanno neppure i certificati di fine lavori e di sicurezza, anche se non hanno una filiera tracciata di gestione dei reflui;
   dall'audizione del 16 dicembre 2015 del presidente di Gestore servizi energetici (Gse) in commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite nel ciclo dei rifiuti si è appreso che il 64 per cento degli impianti non fotovoltaici controllati dal Gse (300) non erano in regola dal punto di vista dell'accesso agli incentivi, per una cifra di 400 milioni di euro sulla vita degli impianti;
   il Ministro dell'ambiente Galletti nell'audizione del 20 maggio 2015, nella stessa commissione ha chiarito che i digestati post digestione, di matrici costituite da rifiuti o non specificamente consentite per lo spandimento sono rifiuti speciali, non possono essere sparsi al suolo, per gli ovvi rischi per il suolo stesso e le falde acquifere (già compromesse in buona parte del territorio nazionale). Proprio gli incentivi stanno determinando un turismo inaccettabile di rifiuti e sottoprodotti opinabili, tale da creare preoccupanti effetti discorsivi nei riguardi della stessa sovranità alimentare, che è indebolita dagli incentivi che permettono l'erogazione di risorse economiche 10 volte maggiori rispetto al prezzo di mercato dell'energia, atte al sostentamento degli impianti che utilizzano matrici vegetali da sempre cibo per esseri umani e animali, come il mais o altri insilati;
   le storture speculative nel campo delle matrici organiche utilizzate come matrici per la combustione stanno interessando taluni settori alimentari rinomati per la grande qualità alimentare come, ad esempio, il siero di latte, noto per il pregio che conferisce nei riguardi del prosciutto di Parma;
   sempre più impianti a biogas chiedono il cambio di matrice da mais a siero di latte, meno costoso da ottenere, ma che viene sottratto al nutrimento suino. Da normativa nazionale, il digestato da questi impianti non potrebbe essere sparso al suolo. È la Lombardia che, in questo caso, diviene eccezione, visto che in questa regione si ha regolarmente l'uso dello spandimento al suolo di questo genere di digestato; è il caso dell'impianto di Buscoldo di Curtatone (MN), gestito dall'azienda Bosmina srl, acquistata da Unicredit leasing di Bologna, che ha ottenuto, come modifica non sostanziale dalla provincia di Mantova, l'autorizzazione alla digestione del siero di latte;
   un caso ancora più eclatante è quello degli impianti che trattano sottoprodotti di origine animale (SOA) «grassi», assurti agli onori delle cronache con una puntata davvero discutibile di «Report» a fine 2015; è evidente che sia l'aspetto normativo economico e ambientale, che la mancata conoscenza di informazioni scientifiche, che indicano sostanziali criticità sulle procedure di trattamento (articolo sul tema del dottor Roberto Monfredini, medico veterinario pubblicato sul dossier di «Medicina Democratica», del giugno 2015, alle pagine 44-51), sottendono a una scarsa considerazione di taluni aspetti deviando concettualmente l'opinione dei cittadini;
   nella pratica alcuni impianti ottengono gli incentivi alla produzione di energia rinnovabile bruciando, con motori endotermici, pericolosi sottoprodotti di origine animale, che da ora chiameremo SOA, di categoria 1 che comprendono anche carcasse di animali sequestrati, materiale a rischio di BSE (La BSE – bovine spongiform encephalopathy – è una malattia neurologica cronica degenerativa, appartenente al gruppo delle encefalopatie spongiformi trasmissibili, causata da un prione – proteina patogena PrPsc), o altri sottoprodotti non a rischio di BSE che costituiscono il nutrimento abituale di cani e gatti (categoria 3);
   nell'Unione europea si stimano circa 20 milioni di tonnellate di SOA che ogni anno l'Italia rischia di importare grazie agli incentivi, creando un rischio ambientale esiziale. L'Envi (Comittee on the Environment, Public Health and Food Safety dell'Unione europea) si era già espresso contariamente a tale pratica. I SOA di categoria 1 possono essere considerati «artefatti di grassi», con composizione variabile in relazione alla materia prima in ingresso, che possono essere avviati a inceneritori veri e propri;
   va ricordata pertanto, la vicenda dell'impianto Inalca di Castelvetro, in provincia di Modena. In data 22 maggio 2012, la provincia di Modena respinse il progetto di cogenerazione di SOA di categoria 1, presentato dalla ditta per inosservanza dei regolamenti dell'Unione europea, per la nota 20201/2009 dell'Istituto superiore di sanità (ISS) e per le osservazioni del dottor Roberto Monfredini. In data 18 giugno 2012 venne approvato il «rendering» da parte dell'impianto, cioè il trattamento dei SOA senza cogenerazione. In data 12 luglio 2012 l'Iss espresse un parere (nota 25825) che sostituisce il precedente, dichiarando adeguate le garanzie sanitarie dell'impianto (secondo i regolamenti europei la temperatura a cui sottoporre i SOA avrebbe dovuto essere 1100o). Sulla base del decreto-legge n. 83 del 2012 gli incentivi alle FER vengono estesi anche ai SOA di categoria 1 (non alla categoria 2), purché soddisfino la qualifica di sottoprodotti secondo l'articolo 184-2-bis del decreto-legge n. 152 del 2006, condizione di non facile applicazione per la natura confinante fra rifiuto e sottoprodotto. Le note del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare alle province di Bergamo e Modena (PG 2012 0221794), del 21 settembre 2012 e successive, fino all'11 febbraio 2013, segnalano che tali SOA debbono essere considerati rifiuti, a meno che non vengano sottoposti alla temperature di 1100o in una caldaia per 0,2 secondi o a 850o per 2 secondi per ottenere una accettabile riduzione dei rischi di BSE (essendo materiale specifico a rischio). I motori endotermici proposti garantiscono una temperatura intorno ai 500o, di gran lunga inferiore a quella di sicurezza per la BSE. Tale temperatura è ricercata per la riduzione delle emissioni di NOx o di fuliggine se si utilizza il gasolio;
   tra le criticità, vi è anche quella della formazione di diossine; nell'impianto Inalca per esempio, con l'utilizzo di 31.000 t di SOA sarebbero necessarie 270 t circa di acido cloridrico e soda caustica, con la possibilità che importanti quantità di cloro finiscano in combustione insieme al materiale organico (la ricetta migliore per produrre diossine). A quasi 40 anni dall'incidente di Seveso manca ancora una normativa adeguata che garantisca la tutela da diossine e altri interferenti endocrini. La commissione veterinaria europea (nota 7015 della direzione sanità e salute alimentare europea – SANCO), consentì la modifica del regolamento (CE) n. 142 del 2011, prevedendo l'utilizzo in motori endotermici ma solo se era assicurata la natura di sottoprodotto e non rifiuto e se venivano rispettati i criteri di temperatura, approvando successivamente il regolamento (CE) n. 592 del 2014. Ma in questo regolamento vennero previste importanti misure cautelative, oltre alla temperatura di 850o C per 2 secondi a cui sottoporre i SOA di categoria 1, si stabiliva la necessità di un post-combustore a fonti fossili per trattare i fumi del cogeneratore a 1100oC, procedura che raffredderebbe eventuali entusiasmi meramente incentivo-acquisitori. Sono previsti anche controlli automatici delle temperature e delle emissioni;
   l'analisi delle categorie di SOA è esplicativa in merito alle criticità della categoria 1 (animali o parti di ’animali a rischio infettivo eccetera) e dell'utilizzo virtuoso della categoria 3 (utilizzo come mangimi per animali da affazione, come compost o fertilizzanti);
   nel luglio 2015, nella risposta congiunta a una interrogazione del parlamentare europeo (IT E-007261/2015 e E-008715/15) da parte del commissario Vytenis Andriukaitis, a nome della Commissione europea, si dichiarò che «Il trattamento dei materiali di categoria 1 ad una temperatura di 133o C per almeno 20 minuti ad una pressione di almeno 3 bar per trasformarli in grassi fusi, cui fa seguito nel caso di grassi di ruminanti una purificazione aggiuntiva a 0,15 per cento in peso delle impurità insolubili, riduce, secondo l'EFSA, il rischio di BSE nei grassi fusi rendendolo trascurabile. Nel suo parere concernente il processo oleochimico (1) l'EFSA ha valutato il rischio di TSE derivante dai grassi fusi prodotti come descritto sopra allorché sono sottoposti a un trattamento termico a 200oC per 20 minuti e alla pressione corrispondente. I prodotti derivati dai grassi fusi che abbiano subito il trattamento di cui sopra possono essere dichiarati come un punto finale nella catena di fabbricazione al di là del quale i prodotti non sono più soggetti a controlli veterinari, se destinati ad usi diversi da quelli nella filiera degli alimenti o dei mangimi o nei cosmetici, nei prodotti medicinali o nei fertilizzanti. La Commissione non ravvisa pertanto la necessità di un'ulteriore valutazione dell'EFSA sull'uso dei grassi fusi come combustibile in motori fissi a combustione interna se i grassi fusi da usarsi come combustibile sono stati trattati come descritto nel primo paragrafo e se le condizioni di combustione sono pari o superiori a quelle menzionate sopra. L'uso di grassi fusi per la combustione in motori fissi a combustione interna deve avvenire nel rispetto della legislazione dell'Unione in materia di protezione dell'ambiente. Per controllare le emissioni, comprese le diossine, è richiesta una temperatura di 1100oC o di 850oC mantenuta per un tempo determinato, a meno che l'autorità competente responsabile per l'ambiente non abbia autorizzato parametri di processo alternativi»;
   la nota del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 4 dicembre 2015 ha determinato come i grassi animali non possano essere utilizzati come combustibili, bensì come rifiuti, sancendo di fatto l'illiceità degli stabilimenti che effettuino «rendering» con cogeneratore; ma, in realtà, tale procedura, dopo il chiarimento del Ministero, appare, secondo gli interroganti, di dubbia legittimità già con le note ministeriali del febbraio 2012;
   è in atto, dopo numerose sollecitazioni degli operatori del settore, un'analisi della normativa per tentare di inserire i prodotti greggi o raffinati costituiti prevalentemente da gliceridi di origine animale nell'allegato X, parte II, sezione 4, paragrafo 1, alla parte quinta del decreto legislativo n. 152 del 2006. Il Consiglio di Stato, sezione consultiva per gli atti normativi, nell'adunanza di sezione del 19 novembre 2015 (Numero Affare 01911/2015) ha affrontato il tema per quanto di sua competenza, per conto dell'ufficio legislativo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, esprimendo un parere positivo con condizioni;
   si segnalano alcuni passaggi nel testo: «...in particolare, si intende inserire, con un unico articolo, nell'elenco di cui all'Allegato X i “prodotti greggi o raffinati costituiti prevalentemente da gliceridi di origine animale” e i relativi prodotti derivati, qualificati dalle norme regolamentari europee come sottoprodotti di origine animale,...». Le norme europee in realtà identificano i SOA, sottoprodotti di origine animale, e le norme sanitarie e ambientali, in base anche alla loro pericolosità e alla destinazione e li differenziano in rifiuti e sottoprodotti. Un secondo passaggio: «A tal proposito, anche in questa sede occorre rimarcare che la normativa comunitaria di riferimento (i richiamati Regolamento 2009/1069 e Regolamento attuativo 2011/142) è diretta a disciplinare, solo sotto il profilo sanitario, l'utilizzazione, inclusa la combustione, dei sottoprodotti di origine animale e relativi derivati, categoria nel cui ambito ricadono i grassi di origine animale di cui si discute. Tale disciplina non attiene, però, agli aspetti ambientali»;
   in tale interpretazione non viene citato, diversamente dal precedente parere della funzione pubblica, il regolamento (UE) n. 592 del 2014 che modifica il regolamento (UE) n. 142 del 2011, pubblicato il 15 luglio 2014, che ha modificato il regolamento (UE) n. 142 del 2011, inserendo la post combustione dei fumi, fissando le temperature di 850 e 1.100 gradi con i relativi tempi di passaggio, al fine di non causare la produzione di diossine; quindi la bozza 7015/2012 MK UE, che è stata modificata in sede di Unione europea dall'Envi, producendo il regolamento (UE) n. 592 del 2014, attiene alle norme in materia ambientale e non si comprende, per gli interroganti, per quale motivo il parere sopra richiamato non ne faccia riferimento. I grassi di origine animale non ricadono tutti nei sottoprodotti, quindi generalizzare in questo contesto è per gli interroganti errato, in quanto la categoria 1 è destinata allo smaltimento, considerato rifiuto dall'articolo 184-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006 e quindi non può essere inserito in tale contesto;
   ma non solo, il regolamento (UE) n. 592 del 2014 ha trasferito i grassi animali trattati in motore endotermico dall'allegato IV del regolamento (UE) n. 142 del 2011, trasformazione, all'allegato III del regolamento (UE) n. 142 del 2011, smaltimento, di fatto identificandoli come rifiuti quindi obbligati a sottostare alle norme di smaltimento, e non possono essere mai qualificati come prodotti o sottoprodotti, come da nota del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 4 dicembre 2015 che afferma che i grassi animali non possono andare alla combustione;
   un altro passo del parere riguarda in particolare «come sono stati affrontati i profili di compatibilità ambientale e di quale tipologia di controlli si prevede di effettuare, al fine di evitare che la combustione anche di questa tipologia di sottoprodotti non si riverberi negativamente sui contesti ambientali interessati, a volte già gravemente compromessi»;
   la normativa di cui al regolamento (UE) n. 592 del 2014, appare chiara, come è stato anche evidenziato da un membro della Commissione europea che ha rilevato che se si vogliono incenerire i grassi animali occorre rispettare, per tutelare l'ambiente, le temperature volte alla riduzione delle diossine, già presenti nel regolamento (UE) n. 142 del 2011, nel quale non si specifica la tipologia dei grassi in base alla categoria, ma i grassi in senso totale;
   i regolamenti n. 1069 del 2009, n. 142 del 2011 e n. 592 del 2014, a fini di tutela sanitaria e della salute pubblica, prevedono una serie di criteri e condizioni di esercizio degli impianti che sono obbligatori in tutti i casi di combustione di materiali di origine animale;
   se occorre il rispetto di tali regolamenti, escluso la cat. 1 che è destinato in qualità di rifiuto all'incenerimento in termovalorizzatori o caldaie a 1.100 gradi, con la post combustione è possibile attuare il rispetto del parere europeo, in merito a cat. 3, che afferma che il regolamento (UE) n. 592 del 2014 deve essere rispettato per non avere diossine in uscita dai camini, quindi con la post combustione a metano, usando in pratica fonti fossili per incenerire i fumi di fonti rinnovabili, utilizzando un quantitativo di energia superiore di tre volte alla energia prodotta, per avere un 15 per cento di grassi e un 85 per cento di rifiuto che va smaltito in inceneritori a caldaia;
   in base alle precisazioni della stessa Unione europea il cat. 1 non è incluso nei sottoprodotti, nelle fonti rinnovabili, nelle biomasse ma solo nei rifiuti, come da articolo 184-bis del decreto-legge n. 152 del 2006, non può entrare nel novero degli incentivi del GSE, viene trasportato con certificazione sanitaria NERA destinata allo smaltimento, colorato con GHT in alcuni casi per il rischio di frode (incenerimento lontano dal luogo di trasformazione). Diversa è invece la destinazione del cat. 3 come petfood, sottoprodotto che diventa alimento per cani, in questo caso la destinazione lo identifica: «Preso atto di ciò e soprattutto, quindi, delle assicurazioni fornite dall'Amministrazione in relazione al non aggravio in termini di impatto ambientale, del tutto recessiva pare alla Sezione l'ulteriore argomentazione, pure dedotta, anche se – invero – non di caratura “tecnica”, secondo cui consentire il diverso utilizzo (come combustibile) di tali materiali, che – deve sottolinearsi anche in questa sede – possono essere oggi destinati alla combustione solo in quanto rifiuti, permette di sottrarli all'oneroso, dispendioso ed impattante circuito dello smaltimento e trattamento dei rifiuti medesimi (con evidenti vantaggi a partire dagli operatori del settore)»;
   va ribadito che dal cat. 1 trattato ricavo un 85 per cento di «ciccioli» che sono destinati all'inceneritore e solo un 15 per cento è destinato alla trasformazione in grasso che viene utilizzato per il motore a combustione interna (MCI), senza alcun vantaggio economico di tutto questo, l'inceneritore a caldaia continuerà a ricevere i ciccioli per incenerirli e smaltirli a 1.100 gradi come da norma trattamento rifiuti;
   ma non solo, il fatto che l'Unione europea con il regolamento (UE) n. 592 del 2014 non abbia ritenuto di fare approvare tale metodica nuova con l'applicazione dell'articolo 20 del regolamento (UE) n. 1069 del 2009 ha creato di fatto per gli interroganti un precedente anomalo, in quanto il MCI non ha variazioni della caldaia a 1.100 gradi; la metodica legata a queste pressioni non è supportata da approvazione EFSA, e questo rende l'utilizzo del MCI una incognita, in quanto, proprio l'Efsa è la struttura deputata all'approvazione o bocciatura di nuova metodica, come per il regolamento (UE) n. 749 del 2009-2011 che ha modificato il regolamento (UE) n. 142 del 2011, nel quale tre metodiche con il cat. 1 sono state bocciate in quanto le temperature anche di 350 gradi e le pressioni anche di 12 bar non erano sufficienti a garantire la sicurezza per la salute pubblica;
   quindi, in questo caso, è stata inserita nel regolamento (UE) n. 142 del 2011 una metodologia per la prima volta non esplicata dettagliatamente come per le altre 4 presenti, (resta un forte dubbio su questo aspetto oggetto di interrogazioni in sede di Unione europea) ma che può avere ripercussioni negative su tutto l'ambiente, in quanto il MCI può presentarsi sotto diverse forme anche di piccola taglia ed essere disseminato ovunque superando le maglie delle AIA o ora delle AUA ed il prodotto grasso potrebbe anche arrivare da altre regioni o Stati, creando un mercato del grasso da energia;
   è risaputo che la metodica in questione è data da motori a 750 giri al minuto e 500 gradi di temperatura, quindi la temperatura ideale per la produzione di diossine, inoltre, lavorando con fosfolipidi gli stessi corrodono i motori con le ricadute emissive imprecisate e, a tal precauzione, il Ministro dell'Unione europea ha risposto il luglio 2015 chiarendo che occorre rispettare il regolamento (UE) n. 592 del 2014, cioè la post combustione dei fumi per tutelare la salute dei cittadini, con il rispetto di temperature e tempi di passaggio, cosa solo accennata in questo parere del Consiglio di Stato;
   dal sito del Ministero della salute si apprende che, al giugno 2015, erano attivi in Italia, per il trattamento dei SOA, 70 impianti di incenerimento, 53 impianti di combustione grassi in caldaie, 29 impianti di compostaggio, 86 impianti per la produzione di fertilizzanti, 119 impianti di trasformazione, 11 impianti oleochimici, 90 impianti di produzione dei mangimi per animali da compagnia, 410 impianti per produzioni diverse da quelle di mangimi, 171 impianti per usi ”specifici” (alimentazione per animali da pelliccia, animali selvatici, zoo, canili, gattili);
   dopo la nota del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (4 dicembre 2015) non è pervenuta alcuna notizia di sospensione dell'attività degli impianti di combustione dei grassi in caldaie, né sono stati emessi comunicati di smentita da parte di organi di comunicazione (come Report) che avevano affrontato il tema; per cui potrebbe essere in corso per gli interroganti una diffusa attività illecita e pericolosa per l'ambiente e la salute;
   non è nota l'evoluzione della normativa e se siano state assunte iniziative per l'eventuale modifica dell'allegato X del decreto-legge n. 152 del 2006 –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente delle criticità evidenziata in premessa;
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non ritengano necessario assumere iniziative normative per garantire la tutela ambientale e sanitaria obbligando all'utilizzo del post-combustore, in caso di combustione con MCI di grassi animali e di adeguate temperature, in caso di utilizzo di materiale a rischio per BSE o altre patologie trasmissibili;
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non intendano assumere iniziative normative per garantire il monitoraggio e la riduzione delle emissioni di diossine e degli altri interferenti endocrini in tutti i casi dove è palese tale generazione, come nella combustione di sostanze organiche miste a cloro;
   se il Ministro dello sviluppo economico non intenda adoperarsi per far cessare le storture legate agli incentivi che risultano agli interroganti essere i più elevati al mondo per fonti energetiche opinabili che, a giudizio degli interroganti, stanno rischiando di determinare una filiera patologica e speculativa che potrà portare enormi quantità di rifiuti in Italia, e per vincolare l'incentivo alla tutela ambientale, al recupero di materia, alla valutazione delle condizioni ambientali preesistenti;
   se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative per quanto di competenza, mirate ad affermare la sovranità alimentare per la specie umana, per gli animali d'affezione e/o allevati. (5-07965)


   PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha chiesto un parere dell'Avvocatura dello Stato sulla regolarità delle procedure di approvazione del piano del Parco dell'arcipelago di La Maddalena;
   lo strumento di pianificazione era stato approvato il 30 ottobre dal Consiglio del Parco;
   il piano regola la gestione delle aree a terra e a mare dell'arcipelago;
   la regione Sardegna avrebbe iniziato l'esame nel mese di gennaio 2016;
   la regione deve esprimersi sul piano entro tre mesi;
   la regione, che a giudizio dell'interrogante ha supinamente accettato questo «stop» illogico e irrazionale del Ministero, ha bloccato con modalità di dubbia legittimità l'approvazione del piano del Parco;
   nel piano approvato è previsto il livello massimo di tutela sull'isola di Budelli, vincolo introdotto nel 2014 e poi cancellato dalla votazione del consiglio direttivo qualche settimana prima;
   la votazione è avvenuta regolarmente, tra l'altro con la presenza sia dei rappresentanti statali che regionali che hanno votato a favore dei vincoli integrali nell'isola di Budelli;
   l'assenza del piano del Parco aveva finito di fatto, vergognosamente, per favorire la scalata di un magnate alla proprietà dell'isola di Budelli;
   l'ente parco aveva legittimamente esercitato il diritto di prelazione avallato dal Tar della Sardegna, ma ribaltato da una sentenza del tutto non condivisibile del Consiglio di Stato;
   venute meno le possibili azioni speculative del magnate, vista la riserva integrale sull'isola di Budelli, lo stesso comunicava di rinunciare all'acquisto;
   senza il piano il parco non potrebbe esercitare il diritto di prelazione e verrebbe escluso dall'acquisizione del bene;
   i quotidiani sardi hanno riportato la notizia di una inchiesta della procura di Tempio sull'intera vicenda;
   occorre, ad avviso dell'interrogante, conoscere le date esatte con le quali il Ministero abbia messo in atto il blocco dell'approvazione del piano al fine di valutare se lo stesso non sia avvenuto prima della decisione del magnate di rinunciare all'acquisto dell'isola;
   è evidente che se tale parere, già di per sé fuori luogo e irragionevole vista la presenza dei rappresentanti statali alla votazione, fosse stato chiesto prima della rinuncia del magnate, lo stesso blocco assumerebbe secondo l'interrogante ben altra valenza, anche sul versante giudiziario;
   non sfuggirà che il piano presentato dal magnate prevedeva, con modalità fortemente dubbia sul piano della legittimità, rilevanti aumenti volumetrici e aree interdette, e il tentativo di rimetterlo in gioco con lo «stop» al piano ed eventualmente la cancellazione del vincolo integrale rappresenterebbe chiarissimamente un tentativo di agevolare e favorire l'interesse privato a scapito di quello pubblico –:
   se non ritenga di dover con urgenza dare il «via libera», per quanto di competenza, al piano del parco dell'arcipelago di La Maddalena;
   se non ritenga di dover far conoscere le ragioni e le date della trasmissione degli atti dell'Avvocatura di Stato.
(5-07967)

Interrogazione a risposta scritta:


   SPESSOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 19 gennaio 2016 di concerto con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, è stata decretata la compatibilità ambientale del progetto Aeroporto internazionale di Venezia Tessera-master plan 2021 presentato da Enac, subordinatamente al rispetto delle prescrizioni elencate nel suddetto decreto;
   la commissione ministeriale per la valutazione dell'impatto ambientale (V.I.A.), nonostante le numerose osservazioni al masterplan inviate da soggetti pubblici e privati, tra cui le osservazioni del Comitato di cittadini di tessera e di Campalto contro gli inquinamenti acustico, atmosferico ed ambientale da traffico aeroportuale, ha ritenuto di accogliere tutte le argomentazioni del gestire aeroportuale Save, rigettando quelle critiche dei suddetti soggetti pubblici e privati;
   desta perplessità nella interrogante la quasi totale condivisione da parte della commissione tecnica di VIA delle proposte di Enac e di Save, in particolare in merito alla mancata previsione di un aumento del traffico veicolare (e dell'inquinamento dell'aria), nonostante si preveda di portare il numero annuale dei passeggeri dagli attuali 8 milioni agli 11/12 milioni nel 2021 e di incrementare del 32 per cento il numero dei voli dello scalo veneziano;
   tali perplessità sembrano peraltro confermate dalla previsione, contenuta nel masterplan 2021, dell'avvio di lavori per la costruzione di nuovi parcheggi all'interno del sedime aeroportuale di Tessera, per un totale di circa 3 mila posti auto aggiuntivi rispetto a quelli attuali;
   per quanto riguarda le necessarie opere di mitigazione del rumore e le altre opere di compensazione ambientale, la commissione ministeriale, accogliendo la proposta del gestore aeroportuale SAVE, ha sancito che dette opere si faranno solo successivamente a numerose rilevazioni fonometriche, ripetute nel tempo, e che si procederà solo con «opere passive», attraverso la sistemazione in alcuni edifici di controfinestre o di finestre insonorizzate;
   si rileva inoltre come la commissione ministeriale di VIA abbia raccomandato a SAVE di effettuare interventi specifici di riqualificazione e di insonorizzazione esclusivamente per l'edificio di una scuola materna parrocchiale che si trova a circa 1300 metri dalla pista di decollo (maggior fonte emissiva di rumore aereo) ed a 30 metri dalla strada statale 14 Triestina, talché – come affermato anche nel masterplan – la stessa scuola risulta più esposta al rumore delle auto che a quello degli aerei;
   gli ultimi dati di ricerca sanitaria, nazionali e internazionali, convergono nell'indicare che le persone che risiedono nell'intorno di un aeroporto sono maggiormente esposte a disturbi che riguardano soprattutto il sistema cardiocircolatorio (alterazioni vascolari causate da ipertensione, infarti, ictus e altro), i polmoni (tra cui asma, patologie polmonari croniche e cancro polmonare), il sistema immunitario (rischio di tumore al seno in continua crescita nelle donne) e l'apparato psichico (ansia, depressione, disturbi del sonno, somatizzazioni) e evidenziano la maggiore mortalità neonatale (si vedano le indagini epidemiologiche sui residenti vicino agli aeroporti di Ciampino e di Malpensa o lo studio del Censis del 2014);
   se il Ministro possa chiarire i motivi per cui non ha ritenuto opportuno prevedere nel decreto di compatibilità ambientale del progetto Aeroporto internazionale di Venezia Tessera –masterplan 2021 la messa in atto, a carico del gestore aeroportuale, delle necessarie opere di mitigazione del rumore aeronautico per gli edifici più esposti, fatta eccezione per la scuola materna parrocchiale di cui in premessa;
   se il Ministro possa chiarire i motivi per cui non è stata tenuta in considerazione la variabile relativa ad un eventuale inquinamento dell'aria prodotto dal maggior traffico veicolare su Tessera per l'entrata e l'uscita dall'aeroporto a seguito del previsto aumento dei passeggeri, nonostante i dati desunti dalle tabelle della relazione della commissione prevedano un aumento dei flussi di traffico leggero e pesante, sia entrante che uscente, relativamente al Marco Polo di giorno e alla strada statale 14 Triestina di notte. (4-12321)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VII Commissione:


   COSCIA, MALISANI, RAMPI, BONACCORSI, BLAZINA, ASCANI, MALPEZZI, CAROCCI, SGAMBATO, BOSSA, VENTRICELLI, PES, NARDUOLO, MANZI, COCCIA, CRIMÌ, DALLAI, GHIZZONI e D'OTTAVIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 giugno 2015 è stata depositata l'interrogazione a risposta in Commissione n. 5/05679 in cui si poneva l'attenzione sulla demolizione culturale dell'identità storica irachena che si concretizzava nella distruzione di alcuni importanti monumenti di arte islamica, cristiana e ebraica;
   si segnala che in fase di approvazione del decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, recante «Misure urgenti per il contrasto del terrorismo nonché sulla proroga delle missioni internazionali», è stato accolto un ordine del giorno, che ha impegnato il Governo ad affidare al personale dell'Arma dei carabinieri la responsabilità, sia nei teatri operativi in attività di tutela del patrimonio artistico e culturale, sia nel contrasto al traffico di opere d'arte per finanziare le azioni di matrice terroristica internazionale;
   il 16 febbraio 2016 è stata firmata l'intesa tra il Governo italiano e l'Unesco per la costituzione della task force italiana nell'ambito della coalizione globale Unesco « Unite for Heritage»;
   in tal senso, sono stati definiti gli elementi principali per l'istituzione di una forza che, sotto la guida delle Nazioni Unite, sia in grado di intervenire a difesa delle antichità e dei beni patrimonio dell'umanità;
   il progetto prevede la creazione di una task force formata da personale proveniente dal «Comando carabinieri per la tutela del patrimonio culturale», dagli istituti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, dall'Istituto superiore per la conservazione e il restauro, dall'Opificio delle pietre dure, dall'Istituto centrale per la documentazione e il catalogo, e infine dall'Istituto centrale per la conservazione e il restauro per il patrimonio archivistico e librario e che verrà integrata con docenti universitari che hanno già dato la loro disponibilità –:
   se intenda rendere noti i criteri e le modalità attraverso cui verranno selezionati i componenti della task force (studiosi, archeologi, restauratori, tecnici, docenti universitari), attingendo eventualmente tra coloro che abbiano avuto esperienze dirette nella ricerca e negli scavi delle aree considerate a rischio. (5-07974)


   BORGHESI e CAPARINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 agosto 2014, n. 171 (cosiddetta Riforma Franceschini) prevede una nuova organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. La riforma, secondo quanto dichiarato dal Ministro interrogato, avrebbe dovuto essere ispirata ai principi di economicità, appropriatezza e risparmio delle risorse pubbliche (spending review) e pensata per integrare i comparti cultura e turismo, semplificare l'amministrazione periferica, ammodernare la struttura centrale, rilanciare le politiche di innovazione e formazione, valorizzare le arti e l'architettura contemporanee e per dare maggiore autonomia ai musei statali italiani, finora grandemente limitati nelle loro potenzialità;
   il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha radicalmente modificato il sistema della tutela in Italia. Dopo una prima fase che ha visto la netta e innaturale separazione tra tutela e valorizzazione mediante la creazione di poli e musei autonomi e distinti dall'attività sul territorio il Ministero sembra procedere verso la costituzione di soprintendenze uniche miste che confluiranno in Uffici territoriali governativi;
   è indubbio che la riforma ha inciso particolarmente sul settore archeologia, snodo nevralgico quanto fondamentale per la tutela e la valorizzazione dell'immenso patrimonio culturale del Paese. Dopo 110 anni di esistenza vengono smantellate le Soprintendenze Archeologiche adottando un nuovo modello organizzativo del sistema di tutela del patrimonio culturale italiano che non prevede più l'esistenza, nelle diverse regioni, di soprintendenze specificamente dedicate all'archeologia, bensì unificate di «archeologia, belle arti e paesaggio», distribuite sul territorio su base inter-provinciale;
   con questa riforma si assiste al ritorno a una concezione antiquaria del museo, derivante dalla separazione del museo dal contesto territoriale di riferimento che privilegia un approccio estetico del bene piuttosto che la complessità dei contenuti storico-culturali di cui esso è documento;
   la riforma ha carattere centralistico che, di contro all'annunciata presenza più capillare sul territorio con la nascita di nuove sedi, accentra competenze come quelle in ambito di ricerca e scavi archeologici presso l'Istituto centrale dell'archeologia;
   la riforma induce alla perdita della specificità tecnico-scientifica della tutela, con l'accorpamento degli uffici sotto un dirigente non specialista chiamato a svolgere una funzione di coordinamento amministrativo;
   le procedure di tutela da decenni si sono sviluppate separatamente nei diversi settori di competenza tecnica (archeologia, architettura e arti) esaltandone le peculiarità. Demandare le decisioni strategiche in questa materia a dirigenti – anche se coadiuvati da funzionari specialisti – che non abbiano una specifica padronanza della disciplina archeologica può comportare il rischio di una sottovalutazione delle problematiche di conservazione, con conseguente impatto sui tempi e i costi degli interventi di archeologia preventiva;
   la frammentazione delle funzioni di tutela tra più uffici territoriali di dimensioni ridotte, rischia di privilegiare un atteggiamento che non consente una visione di carattere generale delle problematiche storiche;
   in contrasto con il princìpio ispiratore di economicità e appropriatezza della riforma, la creazione delle nuove soprintendenze uniche comporterà la previsione di nuovi costi, dovendosi individuare in molti casi nuove sedi, oppure adeguare quelle esistenti e trasferire strutture, depositi, archivi e personale;
   questi nuovi orientamenti organizzativi svalutano il carattere tecnico-specialistico delle soprintendenze e ne riducono la portata territoriale alla dimensione provinciale e non più regionale;
   il territorio è il vero museo e le opere nei musei raccontano la storia dei territori da cui provengono. Separare i musei dal territorio vuol dire non tenere conto della straordinaria specificità del nostro Paese e applicare un modello che concentra nei musei collezioni che in genere non hanno un rapporto con il territorio;
   il materiale archeologico (in maggioranza proveniente da scavi non completamente studiati né ancora catalogati) non inventariato, non necessariamente è conservato solo nei musei e non sempre è distribuito per province; quindi, a seguito di questa riforma, alcuni uffici si troveranno a detenere materiale proveniente da altri territori, con tutte le responsabilità e le spese connesse per la gestione degli stessi;
   lo spostamento del personale dalla sede di attuale appartenenza costituirà un problema cruciale e richiederà probabilmente tempi lunghi; il rischio è che nelle regioni di maggiore estensione alcuni ruoli (specie archeologi e restauratori specializzati, ma anche quadri intermedi, ormai in grave insufficienza ovunque) rimangano carenti in alcune sedi e sovrabbondanti in altre;
   il dibattito accesosi nel nostro Paese su questa riforma dimostra che è necessario un suo ripensamento –:
   se intenda riconsiderare la possibilità di un’«opzione» regionale, rispetto alla dimensione interprovinciale, in quanto la riforma, da un lato, frammenta le funzioni di tutela tra più uffici territoriali di dimensioni ridotte, di fatto perdendo la visione di carattere generale delle problematiche storiche, e, dall'altro, avendo un carattere fortemente centralistico, sottoponendo le soprintendenze ai prefetti e accentra competenze, come quelle in ambito di ricerca e scavi archeologici, presso l'Istituto centrale dell'archeologia a Roma. (5-07975)


   PANNARALE, GIANCARLO GIORDANO e CARLO GALLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con decreto direttoriale 6 dicembre 2013 il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha avviato una procedura concorsuale pubblica per la selezione di cinquecento giovani laureati da formare, per la durata di dodici mesi, nelle attività di inventariazione e di digitalizzazione del vasto patrimonio culturale italiano, presso gli istituti e i luoghi della cultura statali;
   il programma, denominato «500 giovani per la cultura», previsto dal cosiddetto decreto «valore cultura» e per il quale è stata stanziata la somma di 2,5 milioni di euro, prevedeva un anno di formazione retribuita all'interno dei poli museali e archivistici dello Stato per giovani laureati in diverse discipline a fronte di un impegno settimanale di 30 ore e una retribuzione complessiva pari a 5.000 euro. Prevista anche un'attività di formazione pari a 600 ore di lezione;
   alla suddetta selezione hanno partecipato giovani di età inferiore ai 35 anni, in possesso di laurea (triennale o quadriennale) negli ambiti umanistico, tecnico e gestionale con una votazione minima di 100/110 o di diploma rilasciato dalle scuole di archivistica, paleografia e diplomatica;
   la riforma del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, varata nel 2014, ma entrata nel vivo solo nel mese di gennaio 2016, ha gettato nel caos organizzativo gli uffici che insieme alla cronica incomunicabilità burocratica tra Ministeri (in questo caso lo stesso Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ed il Ministero dell'economia e delle finanze) ed al «balletto» delle competenze hanno comportato il mancato pagamento ai 500 giovani delle spettanze relative ai mesi di gennaio e febbraio 2016. Di più: la confusione è stata tale che le ritenute fiscali fino ad oggi applicate loro sono risultate errate e pertanto gli interessati, nonostante siano creditori della pubblica amministrazione dovranno restituire quanto indebitamente corrisposto;
   una recente circolare della direzione per l'educazione e ricerca del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha individuato nei segretariati regionali e negli istituti dotati di autonomia i centri di spesa, ma questi ultimi hanno già risposto di non disporre né di fondi né di capitoli di spesa atti a pagare gli stipendi;
   fonti sindacali prevedono che tale stallo potrebbe protrarsi fino al mese di giugno 2016 –:
   come intenda riparare ed in quali tempi a questa incresciosa situazione che ha coinvolto chi ha deciso di dedicare la propria vita e la propria passione al patrimonio culturale. (5-07976)


   LUIGI GALLO, VACCA, SIMONE VALENTE, D'UVA, BRESCIA, DI BENEDETTO e MARZANA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 7 ottobre 2013, n. 112, è stato convertito con modificazioni, il decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, recante «disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo»;
   durante l'esame del testo, inter alia, è stato approvato un emendamento relativo all'articolo 6 del suddetto decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, che ha previsto l'inserimento, al comma 1, dopo le parole «i beni immobili di proprietà dello Stato», delle seguenti: «con particolare riferimento alle caserme dismesse e alle scuole militari inutilizzate,» in relazione alla possibilità di destinare beni immobili pubblici e di proprietà dello Stato, di cui al decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, ad ospitare studi di giovani artisti italiani e stranieri; come specificato nel comma successivo, tali beni immobili sono da locare o concedere dall'ente gestore che predispone un bando pubblico ai fini dell'assegnazione dei beni ai progetti maggiormente meritevoli, esclusivamente a cooperative di artisti ed associazioni di artisti residenti nel territorio italiano;
   in base all'articolo 6, comma 2, entro il 30 giugno di ogni anno, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, con proprio decreto, individua i sopra citati immobili, affinché possano essere «locati o concessi per un periodo non inferiore a dieci anni ad un canone mensile simbolico non superiore ad euro 150 con oneri di manutenzione ordinaria a carico del locatario o concessionario»;
   infine, ai sensi dell'articolo 6, comma 3, «con successivo decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto (decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91) di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono definite le modalità di utilizzo dei beni di cui al comma 1 per finalità artistiche nonché le modalità di sponsorizzazione dei beni individuati ai sensi del presente articolo, anche al fine di sostenere, in tutto o in parte, i costi connessi alla locazione, concessione, gestione e valorizzazione del bene stesso»;
   recenti notizie di stampa riportano, inoltre, dichiarazioni, in tal senso, dello stesso Presidente del Consiglio dei ministri «Ci sono caserme abbandonate o semi occupate che vanno restituite rapidamente alle comunità territoriali, anche con processi di valorizzazione urbanistica» –:
   al fine di incentivare e diffondere l'opera di giovani artisti residenti in Italia, con quali tempistiche e con quali modalità il Ministro interrogato intenda assumere iniziative volte a dare celere attuazione a quanto stabilito dall'articolo 6, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112. (5-07977)


   PALMIERI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in un mondo minacciato dal terrore, è più che mai importante valorizzare e promuovere il patrimonio culturale;
   in Italia – anche grazie ad un emendamento promosso dall'Intergruppo parlamentare per l'innovazione al decreto ArtBonus – è già consentito il fair use delle immagini del panorama italiano: è dunque possibile il libero utilizzo delle immagini di scorci, edifici, monumenti per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza culturale;
   esistono tuttavia ancora limiti alla libera pubblicazione su internet delle immagini dei monumenti che non rendono possibile scattare e pubblicare foto dei monumenti e del patrimonio culturale, artistico, paesaggistico e architettonico italiano senza dover chiedere permessi, come invece avviene nella maggior parte dei Paesi europei;
   il 22 giugno 2015 l'Intergruppo parlamentare per l'innovazione al decreto Artbonus ha posto questo tema all'attenzione del Governo durante un BarCamp svoltosi a Montecitorio, in collaborazione con la Camera e con Wikipedia. In quella occasione il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha dichiarato la disponibilità ad aprire un dialogo per arrivare ad una soluzione e da lì si è instaurato un proficuo confronto;
   le immagini dei monumenti italiani non possono essere pubblicate liberamente sull'enciclopedia digitale più letta al mondo; quelle oggi pubblicate (pochissime rispetto al totale dei monumenti presenti nel nostro Paese) hanno comportato un lavoro immane per ogni monumento: i volontari hanno dovuto scoprire l'autore, chi lo gestisce e poi chiedere autorizzazione per ciascuno individualmente;
   ogni anno Wikimedia Italia organizza il concorso fotografico internazionale Wiki Loves Monuments che ha come obiettivo la catalogazione fotografica del patrimonio culturale e artistico del nostro Paese: le fotografie rilasciate dagli utenti con licenza libera vengono caricate su Wikimedia Commons (che contiene oltre 29 milioni di immagini e video liberamente riutilizzabili) e le voci di Wikipedia vengono arricchite con immagini di qualità, con notevoli vantaggi anche in termini di marketing territoriale per gli enti che hanno in consegna i monumenti fotografati;
   in questo modo si genera risparmio economico nella promozione turistica con foto non coperte da diritti, e si aggiunge ampia visibilità offerta anche ai monumenti minori e alle cittadine di provincia;
   nel 2015 hanno collaborato 392 enti italiani che hanno «liberato» oltre 5.000 monumenti, per un totale di più di 12.000 nuove fotografie;
   a giugno 2016 l'Italia ospiterà l'annuale raduno mondiale della community di Wikipedia, a Esino Lario in provincia di Lecco, un paesino montano di circa 800 abitanti affacciato su panorami mozzafiato del Lago di Como; la sua candidatura è arrivata in finale contro Manila, 12 milioni di abitanti, e ha vinto. Una piccola realtà rurale e non una grande metropoli, per la prima volta è stata scelta per ospitare un evento mondiale dedicato all'innovazione, con l'intento di riportare ad una dimensione di piccola comunità una realtà grandissima come Wikipedia, fondata però anch'essa sul principio di comunità. Un ritorno alle origini, una ripartenza dal basso, come dal basso è generata la stessa enciclopedia scritta dalle persone;
   l'Italia ha di fronte a sé una grande opportunità per mettersi al passo con gli altri Paesi europei e compiere una scelta che porterebbe ad un grande beneficio culturale, oltre che economico;
   Peppino Impastato diceva «È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l'abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore». Occorre liberare la bellezza e regalare al nostro Paese la libertà di panorama –:
   se non ritenga il Ministro, al fine di valorizzare l'ingente patrimonio culturale del nostro Paese, tale non solo per dimensione ma soprattutto per qualità, e di promuoverlo e sostenerlo non lasciando il nostro Paese indietro, di dover adottare tutte le possibili iniziative finalizzate al riconoscimento della libertà di pubblicazione delle immagini dei siti culturali italiani su internet. (5-07978)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, PETRAROLI, COMINARDI, CIPRINI, LOMBARDI, FRUSONE, CHIMIENTI, DALL'OSSO, RIZZO, VIGNAROLI e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la città di Taranto, antica colonia magnogreca, presenta, sul suo territorio, architetture che testimoniano la sua importanza storica e culturale ed uno dei panorami architettonici più ricchi e vari d'Italia. Tra i tanti, meritano di essere citati la cattedrale di San Cataldo, la concattedrale Gran Madre di Dio, i resti del Tempio Dorico, i resti archeologici delle necropoli greco-romane e delle tombe a camera, la cripta del Redentore, i palazzi appartenuti alle famiglie nobili ed alle personalità illustri della città, tra i quali palazzo Pantaleo e palazzo d'Ayala Valva, la chiesa di San Domenico Maggiore, i palazzi del Borgo Umbertino, la chiesa di San Francesco da Paola, le chiese e i palazzi signorili della città vecchia, la torre del Gallo, il castello aragonese o Castel Sant'Angelo, la fortezza de Laclos, i palazzi e installazioni in stile liberty e neoclassico, il ponte girevole o ponte di San Francesco di Paola. Numerose anche sono le cripte, i monasteri, i santuari e le edicole votive. Diversi anche i musei presenti tra i quali l'ipogeo spartano «De Beaumont Bonelli Bellacicco» e il museo archeologico nazionale di Taranto (Marta), ritenuto uno dei musei più importanti d'Italia;
   con il decreto-legge n. 66 del 2014, si è sancita la riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (Mibact), iniziata con le politiche di spending review. In base ai tagli operati, attuati negli anni 2012 e 2013, ogni Ministero si è dotato di un nuovo regolamento di organizzazione che recepisse le riduzioni di pianta organica. Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, in funzione dei diversi tagli annunciati, ha ridisegnato anche l'organizzazione delle soprintendenze distribuite nell'intera penisola;
   in data 24 gennaio 2016, veniva pubblicato sul sito del quotidiano La Repubblica di Bari, la notizia riguardante la decisione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, di spostare a Lecce la soprintendenza archeologica di Taranto;
   nel dettaglio, in una nota del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, veniva ridisegnata la geografia delle nuove soprintendenze, accorpandole per competenze, spostando quelle delle province di Brindisi, Lecce e Taranto, nell'unica sede di Lecce;
   vista l'importanza storico-culturale della città di Taranto, la notizia ha sollevato più di una polemica da parte delle istituzioni locali e degli addetti ai lavori del posto, come quella espressa dall'archeologa Raffaella Cassano che, pur non entrando nel merito dell'accorpamento di competenze, ha considerato del tutto inopportuna la chiusura della sede della soprintendenza archeologica di Taranto;
   per definizione della Cassano, la soprintendenza tarantina è considerata un'istituzione culturale con una storia antichissima iniziata alla fine dell'Ottocento con l'arrivo a Taranto, nel 1880, dell'archeologo Luigi Viola e poi proseguita con straordinari funzionari come Quintino Quagliati e Ciro Drago. È dal loro lavoro che è nato il museo archeologico e l'attenzione all'archeologia della città. La stessa Cassano dichiara che non è possibile disperdere un patrimonio vivo come la soprintendenza, ancor più in una città come Taranto che avrebbe invece bisogno di un irrobustimento delle sue istituzioni culturali;
   dello stesso avviso sono gli interroganti, che considerano inopportuna la scelta del Ministero di cancellare la soprintendenza archeologica di Taranto, seppure la spending review abbia imposto condizioni di austerità anche per il dicastero dei beni culturali. Per le molteplici attrazioni di importanza storico-culturale, per le numerose competenze archeologiche, per l'importanza socioeconomica del territorio tarantino e per la tradizione secolare della soprintendenza, quest'ultima andrebbe necessariamente conservata nella sua sede originaria –:
   in funzione dell'importanza storica ed archeologica della città di Taranto e di tutto quanto esposto in premessa, se il Ministro interrogato non ritenga necessario assumere iniziative volte a garantire il ripristino della sede della soprintendenza archeologica nella città di Taranto.
(5-07966)

Interrogazione a risposta scritta:


   BERRETTA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nell'esercizio dei poteri di attività consultiva di cui all'articolo 22 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, nell'adunanza del 3 febbraio 2016, si è occupata delle distorsioni della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato derivanti dalle complessive modalità di affidamento delle vie di accesso alle zone sommitali dell'Etna da parte delle amministrazioni dei comuni di Castiglione di Sicilia, Linguaglossa e Nicolosi;
   risulta che la società STAR S.r.l. gestisce le vie di accesso alle zone sommitali dell'Etna del versante nord, ricadenti nei Comuni di Castiglione di Sicilia e Linguaglossa, in virtù di affidamenti diretti assai risalenti nel tempo e prorogati per lunghi periodi (risalenti, rispettivamente, al 1998 e al 1970, quest'ultimo prorogato nel 1999 e nel 2013) e che soltanto nel 2014 e 2015, i suddetti enti pubblici abbiano indetto «avvisi esplorativi» per affidare in concessione la pista rotabile, sulla quale realizzare un'attività di trasporto turistico a pagamento;
   i suddetti «avvisi esplorativi» non prevedono «alcuna procedura concorsuale, para concorsuale o di gara» e sono finalizzati «all'individuazione del maggior numero di soggetti economici potenzialmente interessati, senza che da ciò scaturisca alcun vincolo per gli Enti», così come specificato negli stessi. Inoltre, essi individuano requisiti di partecipazione alquanto restrittivi in termini di fatturato, comportando la riduzione della platea dei soggetti potenzialmente idonei;
   la società Funivia dell'Etna s.p.a. gestisce le vie di accesso del versante sud, impianti di proprietà comunale, in virtù di una concessione rilasciata dal comune di Nicolosi nel 1991 alla società SITAS s.p.a., successivamente incorporata da un'altra società, che ha contestualmente assunto l'attuale denominazione di Funivia dell'Etna s.p.a.;
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato osserva che «la gestione delle vie di accesso alle zone sommitali dell'Etna da parte delle società Funivia e Star, riconducibili al medesimo soggetto privato, appare contraria ai principi posti a tutela della concorrenza, con riguardo all'assenza di procedure selettive ovvero in ragione di requisiti di partecipazione alle procedure di affidamento ingiustificatamente restrittivi»;
   l'Autorità ha espresso precise ed inequivocabili indicazioni affinché gli enti pubblici competenti rivedano le complessive modalità di affidamento e gestione delle vie di accesso ai versanti Nord e Sud dell'Etna, rispettando le regole di concorrenza e libero mercato e le norme in materia di assegnazione dei servizi, fine di superare «affidamenti inerziali agli operatori storici», finora non preceduti da adeguate valutazioni economiche comparative;
   il 21 giugno 2013 l'Unesco ha inserito l'Etna nel patrimonio mondiale dell'umanità, definendolo come uno dei vulcani «più emblematici e attivi del mondo»;
   l'Etna rappresenta una grande attrazione, ma ha enormi potenzialità dal punto di vista ambientale, turistico ed economico che rimangono, purtroppo, inespresse;
   la liberalizzazione dei servizi di gestione delle aree sommitali del vulcano si palesa imprescindibile e necessaria, oltre ad essere naturalmente finalizzata a garantire una piena ed adeguata fruizione dell'Etna –:
   se non ritengano opportuno assumere ogni iniziativa di competenza in relazione a quanto esposto in premessa, al fine di rimuovere qualunque ostacolo che impedisca la piena fruizione delle aree sommitali dell'Etna e di contribuire, anche per questa via, allo sviluppo del settore turistico/ricettivo dell'area interessata. (4-12330)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   Pasquale Cinelli, militare del reggimento paracadutisti Tuscania, fiore all'occhiello dell'esercito italiano, è l'ennesima vittima dell'uranio impoverito, come riconosciuto anche dal tribunale di Firenze;
   a ucciderlo è stato, infatti, un terribile tumore, provocato dalla contaminazione con l'uranio impoverito durante numerose missioni internazionali: Somalia, Libano, Bosnia Herzegovina, Albania negli anni 80 e 90;
   solo nel gennaio 2016, dopo quindici anni di battaglie dolorose nelle aule di tribunale, nonché di ingenti spese legali, i giudici hanno condannato lo Stato a risarcire la famiglia del militare con ottocentomila euro;
   nel corso di questi lunghi anni, la moglie di Cinelli ha sempre sostenuto che: «la battaglia per mio marito e mia figlia che è rimasta senza padre da bambina è perché gli sia riconosciuta una giustizia giusta. E perché i militari non siano considerati numeri, quando vanno in missione di pace devono essere tutelati dallo Stato. Invece è ancora un crescendo di questi casi: sono migliaia i militari morti. Negli ultimi venti giorni altri quattro giovani dell'aeronautica, anche loro erano stati nei Balcani»;
   la sentenza del 12 gennaio 2016, che avrebbe potuto costituire un'occasione per ribadire come i militari debbano essere tutelati dallo Stato, rischia, però, di non avere alcun valore perché l'Avvocatura dello Stato poche settimane dopo la sentenza di primo grado ha presentato ricorso in appello;
   sono comprensibili l'amarezza e la rabbia della moglie: «quei soldi non rappresentano una vincita fortunata, ma sono un atto di giustizia nei confronti di mio marito. È stato un pugno nello stomaco sapere che la sentenza è stata impugnata dall'Avvocatura dello Stato. Mio marito è stato un servitore dello Stato. Il giorno dell'addio il feretro era avvolto nel Tricolore. Non è il simbolo dello Stato ? Eppure ora sono arrabbiata ed amareggiata. Quel denaro non ha per noi un valore economico, ma rappresenta senso di giustizia, un atto dovuto per il significato della vita di un servitore dello Stato. Il mio avvocato, Angelo Fiore Tartaglia, mi ha spiegato che sarebbe potuto accadere. Io speravo che non succedesse»;
   a parere dell'interrogante, si è di fronte a una vicenda paradossale perché lo Stato dovrebbe tutelare coloro che servono la Nazione e sostenere le famiglie colpite da queste tragedie, che, oltre al lutto, sono costrette ad affrontare anni di lotta nelle aule di Tribunale e ingenti spese legali;
   con la morte del maresciallo della Folgore Mario Mele, deceduto pochi giorni fa, le vittime dell'uranio impoverito sono diventate 328, mentre ad oggi i militari malati di cancro sarebbero circa 3.800;
   tutti i militari hanno un passato in comune, anche se non condiviso, scandito da anni di servizio trascorsi in missione all'estero alla fine degli anni Novanta, in quei territori dei Balcani e del Medio Oriente devastati dalle guerre;
   sono già più di trenta le sentenze a carico del Ministero della difesa, la maggior parte definitive, che danno ragione a militari ammalati o ai loro familiari –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare per fare chiarezza su quanto accaduto ai familiari di Pasquale Cinelli, nonché quali urgenti iniziative intenda assumere in materia di prevenzione delle patologie tumorali connesse all'esposizione all'uranio impoverito dei nostri militari. (4-12317)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa e – da ultimo – dalla denuncia fatta dalla Confedilizia, si evince che i comuni stanno aumentando in maniera consistente la tassa sui rifiuti;
   gli aumenti sono tali che tra un comune ed un altro vi è un incremento anche di dieci volte;
   nella determinazione delle imposte, inoltre, gli enti locali si muovono senza alcun coordinamento, distorcendo i coefficienti che determinano il costo del servizio;
   negli ultimi 5 anni si calcola che vi sia stata una crescita esponenziale del tributo citato (+55 per cento) tale da far sborsare oltre 3 miliardi di euro in più ai contribuenti –:
   se non ritenga opportuno avviare un monitoraggio della situazione e sull'abnorme differenza esistente, tra comune e comune, nella determinazione della tassa rifiuti, attivando, altresì, un tavolo di confronto fra le diverse componenti interessate al controllo della spesa e alla gestione dei rifiuti. (5-07989)


   GINATO, PELILLO e GIACOBBE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i buoni fruttiferi postali (BFP) rappresentano una forma di risparmio, offrendo ai sottoscrittori la possibilità di disinvestire in qualsiasi istante con la totale garanzia del capitale investito maggiorato degli interessi nel frattempo maturati. Sono emessi dalla Cassa depositi e prestiti, garantiti dallo Stato italiano e sono sottoscrivibili e rimborsabili presso tutti gli uffici postali;
   il potere di modificare il tasso di interesse previsto anche con riferimento a serie di buoni postali già emesse, oltre che a quelle di nuova emissione, era conferito al Ministro del tesoro dall'articolo 173 del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156, (poi abrogato dal decreto legislativo 30 luglio 1999 n. 284); in particolare, la norma prevedeva la possibilità di modificare i tassi d'interesse sia per i buoni di nuova serie, emessi dalla data di entrata in vigore del decreto stesso, sia per quelli relativi a serie emesse in precedenza; lo stesso articolo 173 prevedeva inoltre che gli interessi dovevano essere corrisposti sulla base della tabella riportata a tergo dei buoni e che tale tabella, in caso di successiva variazione dei tassi, dovesse essere integrata con quella messa a disposizione dei titolari dei buoni stessi presso gli uffici postali;
   con decreto ministeriale del 13 giugno 1986 furono istituiti una nuova serie di buoni postali con lettera «Q» stabilendo che tutti i buoni fruttiferi postali delle serie precedenti (serie L, M, N, O) fossero convertiti in serie «Q» tale attribuzione rappresentava un declassamento delle serie precedenti, presentando tassi d'interesse molto più bassi rispetto a quelli sottoscritti al momento dell'acquisto;
   con riferimento ad un buono postale fruttifero trentennale del valore di lire 500.000, serio O, la somma da corrispondersi alla scadenza naturale del 31 dicembre 2014 doveva essere pari a lire 17.329,651, oggi euro 8.950,02, ma il sottoscrittore al momento della riscossione, ha appreso che la somma liquidata sarebbe stata notevolmente inferiore rispetto a quanto indicato sulla tabella posta sul retro del titolo stesso, pari a 4.166,03;
   sul retro del buono postale venivano specificate le somme rimborsabili secondo una dettagliata tabella riportante l'indicazione degli anni e dei relativi bimestri e del saggio di interesse applicabile; sul buono non veniva riportato alcun riferimento ad alcuna disposizione normativa che potesse prevedere un mutamento unilaterale dei saggi d'interesse convenuti e/o delle somme rimborsabili;
   nella liquidazione dell'importo, Poste Italiane SpA riteneva applicabile il combinato disposto di cui all'articolo 173 del decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973 (Testo Unico in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni) e all'articolo 6 del decreto del Ministero del tesoro n. 148 del 1986, provvedendo pertanto a rimborsare agli intestatari una somma complessivamente inferiore rispetto a quanto reso noto all'acquirente al momento dell'acquisto del buono postale;
   nella causa civile promossa con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, l'avvocato difensore di Poste, davanti al giudice adito, preliminarmente ha sollevato una serie di eccezioni pregiudizievoli di rito («difetti di forma del giudizio» che attendono ai requisiti necessari della domanda e che sono indispensabili per la continuazione del processo) e, nel merito, in via subordinata, una serie di mere argomentazioni difensive, dirette, genericamente, a contestare la fondatezza della pretesa del risparmiatore, onde ottenere la dichiarazione di nullità del decreto ingiuntivo, in quanto «infondato, ingiusto ed illegittimo»;
   la sentenza del 29 settembre 2015 pubblicata dal giudice di pace di Savona ha accolto il ricorso di circa venti possessori di buoni investiti dalla diminuzione dei saggi di interesse. Le eccezioni di rito avanzate dall'avvocato della società Poste Italiane sono state superate dal giudice di pace;
   il giudice ha adeguatamente motivato in sentenza che la controversia non verte su leggi relative a prestiti pubblici o su leggi sul debito pubblico, ma riguarda le problematiche di interpretazione e applicazione dell'articolo 173 decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973 (così come integrato dall'articolo 6 del decreto ministeriale n. 148 del 13 giugno 1986), che è una norma facente parte del «Testo Unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni» che non detta una normativa in materia postale di titoli del debito pubblico, ma regola la materia dei buoni postali fruttiferi emessi da Poste italiane (che non sono titoli di Stato);
   si rivela la natura contrattuale e privatistica del rapporto instaurato, chiaramente riconosciuta, precedentemente, dalle, sezioni unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 13979/2007 sostenendo, che tra i sottoscrittori dei buoni e Poste italiane si instauri un rapporto di natura contrattuale e privatistica che fa sì che alla fattispecie in esame si applichino le norme di diritto privato;
   inoltre, dalla stessa sentenza, si legge che il Tribunale di Napoli, nell'ordinanza del 16 luglio 1999, ha censurato l'articolo 173 del decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973 e successive modifiche, nella parte in cui consentiva l'estensione dell'intervenuta variazione del saggio di interesse anche alla serie di buoni postali fruttiferi precedentemente emessi, senza che tale variazione fosse comunicata al domicilio del titolare dei buoni per consentirgli il tempestivo esercizio di diritto di recesso;
   ad avviso del Tribunale di Napoli, l'articolo 173 del decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973, diversamente regolando la materia, ingenerava una ingiustificata disparità di trattamento fra gli utenti di analoghi servizi, determinando uno scoraggiamento del risparmio postale privo di garanzie di trasparenza e chiarezza apprestate per il risparmio ed investimento presso istituti di credito;
   le disposizioni contenute nei capi V e VI del titolo I del libro III del decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973 (compreso anche l'articolo 173), sono state abrogate dall'articolo 7, comma 3, del decreto legislativo n. 284 del 1999, il quale prevede che «i rapporti già in essere (...) continuano ad essere regolati dalle norme anteriori», apparentemente consentendo il protrarsi della già denunciata disparità di trattamento in danno della tutela del risparmio e dei diritti fondamentali dell'individuo, penalizzando altresì il risparmiatore di ieri rispetto a quello di oggi, ancorché entrambi siano fruitori dei medesimi servizi di risparmio postale;
   l'applicazione, invocata da Poste italiane, del combinato disposto degli articoli 173 decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973 e articolo 6 del decreto ministeriale del Tesoro n. 148 del 1986, oltre a determinare una disparità di trattamento tra risparmiatori, più volte stigmatizzata dalla giurisprudenza, sotto il profilo della legittimità costituzionale, comporta anche una violazione del principio di irretroattività della legge sancito dall'articolo 11 delle preleggi;
   in risposta ad una interrogazione svolta in Commissione finanza, il Sottosegretario Zanetti, ha sottolineato che la possibilità degli interessati «di essere portati tempestivamente e capillarmente a conoscenza della generalità dei risparmiatori» sarebbe stata «soddisfatta attraverso il regime di pubblicità legale degli atti normativi (pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale)»; questo appare, di fatto, insufficiente, in particolare alla luce della discussione in corso sulla trasparenza nel rapporto tra chi propone investimenti e i risparmiatori;
   come ritenuto dalla Corte di Cassazione, il risparmiatore deve essere tutelato nel caso in cui, pur vigendo determinati tassi di interesse, i buoni postali fruttiferi emessi a suo favore siano stati rilasciati con l'apposizione a tergo di una tabella di tassi di interesse più favorevoli ma già superati al momento dell'emissione del buono stesso a maggior ragione dovrà essere tutelato il sottoscrittore, che abbia acquistato un buono postale fruttifero corredato di una tabella per la liquidazione dei tassi di interesse corrispondenti a quella prevista dalla normativa che lo ha istituito, senza essere stato contrattualmente informato della possibilità di successiva variazione i tassi, anche in senso peggiorativo e che a seguito dell'intervento di una normativa di rango secondario (decreto ministeriale n. 148 del 1986) si veda decurtato di molto il rendimento del buono, in contrasto con le condizioni contrattuali sottoscritte al momento della emissione del buono stesso e senza ricevere alcuna comunicazione –:
   se intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per ripristinare la certezza giuridica del calcolo degli interessi dei buoni fruttiferi postali, secondo le legittime aspettative dei sottoscrittori, a tal fine intervenendo presso Poste italiane spa, così evitando il proliferare di contenziosi in sede giurisdizionale con inevitabili costi aggiuntivi e dilatazione dei pagamenti. (5-07990)


   PESCO, ALBERTI e VILLAROSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dal bilancio della Banca popolare di Vicenza del 2015 si evince che – nonostante le difficoltà finanziarie dell'istituto di credito e la connessa riduzione del valore nominale delle azioni – i compensi per gli amministratori sono aumentati del 9 per cento rispetto al precedente bilancio, mentre, le retribuzioni complessive dei dirigenti strategici sono state maggiori del 52 per cento rispetto al 2014;
   la procura della Repubblica di Vicenza sta indagando sulla gestione della banca ed in particolar modo le fattispecie di reato riscontrate risulterebbero «associazione a delinquere, falso in bilancio, aggiotaggio ed ostacolo agli organi di vigilanza»; il Procuratore di Vicenza Antonino Cappelleri ha dichiarato di trovarsi di fronte una struttura gerarchica e ben organizzata preposta al compimento di un numero indefinito di reati: lo stesso Cappelleri dichiara di aver individuato almeno 500 casi di possibili truffe perpetrate ai danni degli azionisti ai quali si aggiungerebbero altri 100 casi denunciati presso la procura di Udine; un'indagine parallela è stata avviata presso la procura di Prato, in questo caso sono state indagate 7 persone con ipotesi di reato che vanno dalla truffa all'estorsione;
   per il 5 marzo 2016 è stata convocata l'assemblea degli azionisti con all'ordine del giorno la trasformazione della società in società per azioni e le valutazioni di una possibile quotazione in borsa;
   a giudizio degli interroganti è paradossale che, nonostante i poco rassicuranti dati di bilancio, si sia proceduto a considerevoli aumenti dei compensi e delle retribuzioni per di più a soggetti attualmente indagati dalla procura della Repubblica per diverse fattispecie di reato; altresì, in considerazione della gestione poco trasparente ed al vaglio delle procura della Repubblica, sarebbe opportuno assumere iniziative volte a procrastinare la convocazione dell'assemblea prevista del 5 marzo al fine di consentire alle autorità di vigilanza di fare piena chiarezza sulla vicenda o quantomeno di fornire elementi di valutazione utili ai futuri investitori;
   da fonti stampa si apprende «Tutto o Niente. O meglio: l'approvazione integrale della cura a base di trasformazione in Spa, aumento e quotazione oppure la Banca centrale europea potrebbe decidere un intervento straordinario. Una sorta di commissariamento, vista l'insussistenza dei requisiti minimi di capitale da parte della banca e soprattutto l'impossibilità di raggiungerli a breve, seguendo la strada predisposta dal consiglio di amministrazione. Così come aveva fatto a dicembre con Veneto Banca, anche per la Popolare di Vicenza la Banca centrale europea ha messo nero su bianco quale sia il bivio a cui si troveranno i soci attesi sabato all'assemblea straordinaria. Secondo quanto risulta a Il Sole 24 Ore, nella lettera datata 24 febbraio e firmata dal capo della vigilanza Danièle Nouy di cui si è fatto cenno ieri durante la riunione del Consiglio di amministrazione, Francoforte ha fatto presente che senza un via libera all'intero piano di rilancio si riserverà di intervenire nella misura più opportuna» (Il Sole 24 Ore, 2 marzo 2016): il capo della vigilanza BCE, Daniele Nouy, avrebbe inviato in data 24 febbraio una lettera non riservata al Consiglio di amministrazione della Banca Popolare di Vicenza, al fine di portarla a conoscenza dei soci durante l'assemblea straordinaria del 5 marzo; il contenuto della missiva è riassumibile nella minaccia di ritorsioni da parte della Banca centrale europea qualora l'assemblea dei soci non deliberasse il piano predisposto dal corrente Consiglio di amministrazione, ovvero trasformazione della banca in società per azioni, aumento di capitale e quotazione in borsa: in altre parole, cambio di proprietari; a detta degli interroganti, la BCE, autorità indipendente preposta a esercitare le proprie prerogative e competenze con le più ampie autonomie, ha il dovere di rispettare e far rispettare le norme vigenti, senza alcuna discrezionalità; nel caso della Banca Popolare di Vicenza diverse sono le denunce, gli esposti, e la gestione poco trasparente ed in particolar modo il mancato commissariamento da parte di Banca d'Italia;
   con il decreto cosiddetto «salva banche» la Banca d'Italia, ad avviso degli interroganti con la complicità del Governo e della Commissione europea, tramite l'antecedente svalutazione d'ufficio delle sofferenze bancarie delle 4 banche disposte in risoluzione al 17,6 per cento del relativo valore nominale, ha dimostrato la portata dei poteri delle istituzioni di vigilanza nel sancire quali banche hanno la possibilità di continuare a svolgere la propria attività e selezionando un «gruppo di finanzieri» attraverso uno strumento molto più incisivo e convincente della « moral suasion» svolta dagli organi di vigilanza negli ultimi anni;
   dopo anni di scandali che hanno portato il valore delle azioni dalla Banca popolare di Vicenza da 62 euro a 6 euro, la Banca centrale europea continua ad usare i propri poteri «discrezionali» tanto da ammettere «l'insussistenza dei requisiti minimi di capitale» ed ha dichiarato di essere disposta a utilizzare gli strumenti già ora in suo possesso, nel caso l'assemblea straordinaria, nella piena facoltà dei propri diritti sanciti dalla Costituzione italiana e dall'ordinamento giuridico nazionale, optasse per soluzioni diverse da quelle indicate dallo stesso consiglio di amministrazione che ha portato l'istituto vicentino alle condizioni odierne –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali siano i suoi orientamenti, per quanto di competenza, in ordine al caso specifico e a quelli analoghi che dovessero presentarsi, alla luce del fatto che il 5 marzo 2016 è prevista una assemblea degli azionisti che potrebbe portare alla trasformazione dell'istituto in società per azioni e che è necessario consentire all'autorità giudiziaria e alla autorità di vigilanza quantomeno di concludere. (5-07991)


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio di Stato, con sentenza del 29 febbraio 2016, ha respinto il ricorso presentato dal Governo contro le sentenze del Tar del Lazio del febbraio 2015, che avevano, a loro volta, respinto «una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale», disponendo che le provvidenze economiche previste per la disabilità non dovessero essere conteggiate come reddito, al contrario di quanto previsto dal nuovo sistema di calcolo Isee;
   nella citata sentenza del Consiglio di Stato si legge: «Deve il Collegio condividere l'affermazione degli appellanti incidentali quando dicono che ricomprendere tra i redditi i trattamenti indennitari percepiti dai disabili significa allora considerare la disabilità alla stregua di una fonte di reddito – come se fosse un lavoro o un patrimonio – ed i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni, non un sostegno al disabile, ma una “remunerazione” del suo stato di invalidità oltremodo irragionevole, oltre che in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione»; e ancora: «Non è allora chi non veda che l'indennità di accompagnamento e tutte le forme risarcitorie servono non a remunerare alcunché, né certo all'accumulo del patrimonio personale, bensì a compensare un'oggettiva ed ontologica (cioè indipendente da ogni eventuale o ulteriore prestazione assistenziale attiva) situazione d'inabilità che provoca in sé e per sé disagi e diminuzione di capacità reddituale. Tali indennità o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com’è in uno svantaggio, al fine di pervenire in una posizione uguale rispetto a chi non soffre di quest'ultimo ed a ristabilire una parità morale e competitiva. Essi non determinano infatti una “migliore” situazione economica del disabile rispetto al non disabile, al più mirando a colmare tale situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale, prima o anche in assenza di essa»;
   a proposito di eventuali danni provocati nel frattempo ai cittadini disabili, quali non sono state concesse le prestazioni richieste, in forza del nuovo calcolo Isee, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti, dopo la citata sentenza del Consiglio di Stato, ha dichiarato che «Non sono previsti risarcimenti, nel senso che la sentenza richiede di modificare il regolamento e noi lo faremo»;
   alcuni rappresentanti dell'Associazione mutilati e invalidi civili hanno dichiarato che il concetto di reddito, come fissato dal Consiglio di Stato, potrebbe avere un rilievo al di là del semplice indicatore Isee, portando conseguenze anche in merito ad altre situazioni previste dall'ordinamento in termini di agevolazioni diverse per i disabili –:
   se il Governo sia in grado di fornire una previsione, che comprenda le ricadute economiche per il bilancio dello Stato e degli enti locali, delle conseguenze della citata sentenza del Consiglio di Stato, anche sullo strumento dell'Isee nel suo insieme. (5-07992)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ELVIRA SAVINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   come è noto da qualche anno, soggetti finanziari internazionali, come alcune banche di affari americane le quali, per importanza e per capacità economiche, sono da sole in grado di pilotare ed alterare gli equilibri dei mercati azionari, hanno intrecciato a vario titolo relazioni non sempre chiare con soggetti istituzionali e con alcuni Ministeri che meriterebbero di essere esplicitate per venir fuori da quella opacità che da sempre li caratterizza;
   in particolare, nei primi giorni di quest'anno alcuni organi di stampa italiani hanno avuto modo di leggere report che la società JP Morgan ha fatto circolare tra i propri clienti internazionali all'interno dei quali, neanche troppo velatamente, venivano espresse valutazioni sull'economia italiana in generale e sullo stato economico-patrimoniale delle principali banche italiane;
   sostanzialmente la JP Morgan riferisce in uno dei passaggi dei citati report che la situazione economica italiana e le mancate riforme continuano a mettere pressione sulle banche in quanto le stesse dovrebbero destinare ulteriori risorse a garanzia degli NPL (non performing loans), così facendo limitando in maniera sensibile non solo le loro prospettive di guadagno ma negando altresì la possibilità che i loro titoli possano essere appetibili per i mercati azionari;
   oltre all'analisi attualizzata all'oggi, anche le previsioni formulate sul Paese Italia, non appaiono essere tra le più lusinghiere, tant’è che in un altro passaggio l'Italia viene anche criticata rispetto ad altri partner dell'Unione europea fino ad essere considerata come l'unico Paese senza concrete prospettive di ripresa. Da qui il suddetto giudizio finale: « avoid italian banks, banche italiane da evitare»;
   quanto innanzi riferito, non dovrebbe destare alcuna sorpresa essendo le analisi svolte dalla banca, la normale attività che istituti come la JP Morgan svolgono in favore dei loro clienti, se non fosse che, come noto, la stessa JP Morgan è un autorevole consulente del Ministero dell'economia e delle finanze. Nello specifico, oltre al fatto che la JP Morgan è da qualche anno nella lista dei cosiddetti «specialisti in titoli di Stato», i quali, in pratica, hanno il compito di gestire il debito pubblico organizzando aste, collocamenti e garantendo una percentuale di acquisti dei vari BTP e Bot, all'istituto di credito americano è stata anche commissionata la quantificazione, l'analisi e la valutazione di quei crediti non performanti che il Governo sta pensando di convogliare all'interno di una cosiddetta bad bank per alleggerire i bilanci delle principali banche italiane;
   prescindendo, quindi, da ogni valutazione politica circa la necessità di creazione della suddetta bad bank e della sua organizzazione, del suo controllo della sua gestione è pacifico secondo l'interrogante che la banca d'affari americana paia essere in un profondo conflitto di interessi, in quanto da un lato percepisce lauti compensi pubblici per analizzare le condizioni di quella grande fetta di credito rappresentata dagli NPL e, dall'altro, utilizza, ad avviso dell'interrogante in maniera strumentale, informazioni classificate e riservate a cui ha accesso con l'effetto di influenzare ed in qualche modo boicottare quelle stesse banche che è stata chiamata ad analizzare –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato affinché possa conoscere dettagliatamente il contenuto dei report innanzi riferiti e delle valutazioni sul sistema bancario italiano in essi contenute;
   quale sia l'oggetto del contratto di consulenza che lega il Ministero dell'economia e delle finanze alla JP Morgan e quali siano i compensi percepiti dalla stessa per l'opera prestata nonché la durata del contratto;
   se sia prevista all'interno del contratto una clausola di riservatezza e segretezza relativa a tutte le informazioni ricevute per l'espletamento dell'incarico;
   se alla luce di quello che appare all'interrogante un palese conflitto di interesse il Ministro intenda risolvere il detto contratto di consulenza e se, in tale ipotesi, l'Italia possa essere vincolata al pagamento di penali;
   se il Ministro abbia valutato la possibilità di chiedere un ristoro dei danni, anche di immagine, occorsi al Paese ed al suo sistema bancario, alla JP Morgan.
(4-12313)


   BRESCIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con la delibera 78 del 2011 del Comitato interministeriale per la programmazione economica pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 17 del 21 gennaio 2012 venivano assegnate all'università del Salento risorse finalizzate all'attuazione degli interventi previsti dal piano nazionale per il Sud (PNS), una strategia approvata dal Consiglio dei ministri il 26 novembre 2010 con lo scopo di favorire lo sviluppo e la valorizzazione delle attività di ricerca e di innovazione realizzate nel Mezzogiorno;
   nello specifico, gli interventi inseriti nel piano nazionale per il Sud relativi all'università del Salento prevedevano la realizzazione di una biblioteca e il potenziamento sia del campus scientifico e tecnologico extraurbano che del campus scientifico urbano diffuso mediante opere straordinarie di ammodernamento e adeguamento delle strutture esistenti dal punto di vista energetico e impiantistico e attraverso la realizzazione di nuovi edifici;
   a seguito della delibera n. 1133 della giunta della regione Puglia del 26 maggio 2015, pubblicata sul bollettino ufficiale n. 88 del 23 giugno 2015 e avente come oggetto «fondo sviluppo e coesione 2007 – 2013. Riprogrammazione interventi ai sensi della delibera CIPE n. 21/2014, delibera CIPE del 20 febbraio 2015 e delibera di giunta regionale n. 2120/2014», si ritenuto necessario rimodulare gli importi degli interventi previsti dal piano nazionale per il Sud, sicché il finanziamento originario è notevolmente diminuito;
   alla luce della delibera sopracitata, della relazione «Adeguamento analisi costi-benefici del piano delle Opere (CIPE n. 78/2011), di cui al parere del NVVIP regione Puglia n. 291 del 9 dicembre 2013, ai sensi della delibera n. 94 del 2014 del consiglio di amministrazione dell'università del Salento» e della relazione dell'ufficio programmazione e bilancio «Spazi di Ateneo – analisi della spesa», durante la seduta del 30 settembre 2015 del consiglio di dipartimento di matematica e fisica «Ennio Giorgi» dell'UniSalento veniva disposta la costituzione di un gruppo di lavoro per la preparazione di un documento comune, indirizzato agli organi di Governo e relativo alla posizione del dipartimento in merito ai prospettati interventi di esecuzione del PNS;
   tale documento è stato approvato mediante delibera n. 94 del 2015 nel corso della seduta del 20 ottobre 2015 del Consiglio di dipartimento, avendo tenuto conto del documento «analisi dei fabbisogni di spazi per l'Università del Salento», redatto dal Centro interuniversitario TESIS del dipartimento di architettura dell'università degli Studi di Firenze, oltre che della delibera n. 1133 della giunta regionale e delle due relazioni menzionate nel paragrafo precedente;
   il documento redatto dal gruppo di lavoro pone all'attenzione degli organi di Governo le problematiche che l'attuazione del piano nazionale per il Sud comporterebbe in virtù della difficile situazione economica dell'università del Salento che deve attualmente far fronte numerosi tagli delle risorse finanziarie e ministeriali dovuti al passaggio al meccanismo del costo standard, alla diminuzione degli iscritti e ad alcuni risultati negativi nella valutazione della qualità della ricerca;
   secondo il gruppo di lavoro, gli interventi nell'ambito edilizio contemplati dal piano nazionale per il Sud costituiscono un capitolo importante per l'intero assetto finanziario dell'ateneo e devono quindi necessariamente essere inquadrati all'interno di una strategia unica che tenga conto di tutti gli aspetti che incidono sui bilanci dell'università, tra cui l'offerta formativa, i servizi agli studenti, il turnover del personale docente e tecnico-amministrativo;
   analizzando nello specifico gli interventi edilizi previsti dal piano nazionale per il Sud, il gruppo di lavoro ha constatato che le opere di manutenzione degli immobili esistenti sono insufficienti rispetto alle reali necessità del patrimonio edilizio di circa 130.000 metri quadri dell'ateneo. Difatti, edifici come il Principe Umberto e il Cordacci Pisanelli sono esclusi dalle opere di ammodernamento, mentre la ristrutturazione di palazzo Fiorini si limita alla sostituzione degli infissi, tralasciando quella degli impianti di riscaldamento e aria condizionata;
   per quanto riguarda la realizzazione di nuovi edifici universitari, il documento redatto dal gruppo di lavoro evidenzia la necessità di considerare non soltanto i costi di realizzazione ma anche quelli di futura gestione da parte dell'Università. Sebbene, infatti, i costi di realizzazione siano totalmente coperti dalla delibera del CIPE, è necessario tenere presente che le procedure di erogazione per l'avanzamento dei lavori sono soggette al patto di stabilità e che, tenuto conto della già precaria situazione economica di UniSalento, sarebbe opportuno stabilire una pianificazione temporale articolata degli interventi, onde evitare ulteriori problemi economici all'ateneo;
   oltre a ciò, anche la gestione ordinaria dei nuovi edifici previsti dal piano nazionale per il Sud comporterebbe un costo insostenibile se si considerano le risorse attualmente a disposizione di UniSalento e quelle prevedibili per i prossimi anni. Secondo quanto riportato nel documento, i costi di gestione ordinaria dei nuovi edifici provocheranno una riduzione di risorse che saranno sottratte alla ricerca – con conseguente rischio per l'attivazione di futuri corsi di dottorato di ricerca – e al turnover del personale docente e tecnico-amministrativo che, se non sostituito almeno parzialmente a seguito dei pensionamenti, potrebbe portare alla chiusura di corsi di studio e dipartimenti;
   sempre in merito alla costruzione di nuovi edifici universitari, il gruppo di lavoro scrive nel documento: «La scelta del CdA di procedere alla costruzione di nuovi edifici sembra difficilmente comprensibile. Infatti, deve essere segnalato innanzitutto come esso si fondi su analisi di necessità che non appaiono di certo prioritarie e indifferibili nello sviluppo dell'Ateneo quando non addirittura mal definite [...]. Va inoltre ricordato che uno studio commissionato al dipartimento di Architettura dell'Università di Firenze [...] sembra mostrare come al momento la situazione degli spazi sia già oggi squilibrata, presentando un esubero di cubatura rispetto alle necessità legate al numero di persone frequentanti l'università, studenti, docenti e personale tecnico-amministrativo»;
   alla luce di quanto finora esposto, il gruppo di lavoro conclude la sua relazione chiedendo agli organi di Governo di considerare una rimodulazione degli interventi dei piano nazionale per il Sud da realizzare nell'università del Salento, magari rinunciando proprio alla costruzione di nuovi edifici –:
   se si intendano verificare, per quanto di competenza, i fatti esposti in premessa;
   se si intendano avviare accertamenti, per quanto di competenza, in particolare attraverso i servizi di finanza pubblica ai sensi dell'articolo 60, comma 5, del decreto legislativo n. 165 del 2001, al fine di appurare il sussistere delle condizioni finanziarie necessarie all'università del Salento per far fronte ai costi di gestione ordinaria dei nuovi edifici previsti dal Piano nazionale per il Sud. (4-12314)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   SIMONETTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   stando a quanto ha riportato la stampa locale, il presidente del tribunale di Biella, Claudia Ramella, ha più volte pubblicamente denunciato il fatto che l'ufficio del giudice di pace cittadino è rimasto privo di magistrati;
   a determinare la vacanza d'organico è stato l'accoglimento delle richieste di trasferimento inoltrate dagli ultimi due magistrati che vi erano stati assegnati;
   la circostanza è destinata a ripercuotersi negativamente sull'amministrazione della giustizia a Biella, accrescendo il carico gravante su istanze concorrenti e comunque rallentando l'iter di alcuni provvedimenti di natura giudiziaria, come ha evidenziato il presidente della sezione locale dell'Ordine degli avvocati, Domenico Duso;
   le cause civili pendenti presso l'ufficio sono state in effetti bloccate a tempo indeterminato;
   a nulla sarebbero valse anche le ripetute segnalazioni alla corte d'appello e al Consiglio superiore della magistratura;
   la sezione biellese dell'Ordine degli avvocati sta altresì considerando di segnalare il problema alla prefettura territorialmente competente ed allo stesso Ministero dell'interno, in ragione delle conseguenze che il blocco delle attività del giudice di pace ha anche sul mantenimento dell'ordine pubblico –:
   se e in quali tempi il Governo intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per consentire l'immediata integrazione degli organici spettanti all'ufficio del giudice di pace di Biella. (4-12318)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   in data 31 dicembre 2015 sono stati firmati, di concerto tra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministro dell'economia e delle finanze, i decreti interministeriali per l'adeguamento delle tariffe di pedaggio autostradale;
   in Abruzzo gli aumenti hanno riguardato la concessionaria che gestisce entrambi i tratti autostradali della regione, A24 e A25, con un aumento pari al 3,45 per cento, corrispondente ad una maggiorazione, rispetto alla media nazionale, del 2,59 per cento a fronte di un aumento riconosciuto ad Autostrade per l'Italia pari all'1,09 per cento;
   l'aumento concesso a Strada dei Parchi spa è, in ordine di aumenti, secondo solo a quello concesso a SATAP Tronco A4, spa gestore della Milano-Torino, pari al 6,50 per cento, mentre la gran parte delle altre concessionarie italiane (20 su 27) non hanno subito aumenti;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha comunicato che per la società Strada dei Parchi l'incremento deriva dalla necessità di riconoscimento della spesa per l'adeguamento della tratta Roma-Lunghezza (pari a chilometri 7,2 a fronte di un totale di 281,4 chilometri in concessione) e per il recupero di compressioni tariffarie operate negli anni precedenti, necessarie ad escludere incrementi eccessivi futuri;
   nell'arco temporale 2009-2015 gli aumenti di Strada dei Parchi sono stati pari al 39,43 per cento, a fronte di un aumento dell'inflazione del 9,00 per cento (fonte «Relazione relativa alla vigilanza sulle concessioni autostradali per l'anno 2014» – Ministero delle infrastrutture e dei trasporti) a cui si va ad aggiungere l'ulteriore 3,45 per cento del 2016, arrivando così ad una percentuale del 42,88 per cento;
   sulla tratta Roma-L'Aquila il costo del pedaggio è aumentato complessivamente del 187 per cento negli ultimi 13 anni, tanto da costare più del gasolio (fonte «il Tempo» del 2 gennaio 2016);
   secondo la «relazione relativa alla vigilanza sulle concessioni autostradali per l'anno 2014» del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (come si evince dalle tabelle relative) al 2014 Strada dei Parchi, rispetto ad altre infrastrutture autostradali in concessione, presentava: un numero di rilevatori di nebbia e un numero di rilevatori di ghiaccio pari a zero, una percentuale di stalli per veicoli pesanti in aree di servizio notevolmente inferiore al numero degli stalli di altre autostrade di montagna prese in esame (Autostrada del Brennero, Autostrada dei Fiori, Autocamionale della Cisa, Autostrada Torino-Savona), una percentuale di punti di rifornimento di benzina/gasolio nettamente inferiore rispetto alle altre prese in esame (tra cui l'annosa assenza di distributori di carburante nel lungo tratto compreso tra i caselli Pescara e Magliano dei Marsi);
   sempre secondo la «relazione relativa alla vigilanza sulle concessioni autostradali per l'anno 2014» del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, da un punto di vista ambientale Strada dei Parchi risulta non aver prodotto affatto energia da impianti fotovoltaici, diversamente da quanto avviene con Autostrada del Brennero, Autostrada dei Fiori, Autocamionale della Cisa, Autostrada Torino-Savona, con notevoli risparmi sulle emissioni di CO2;
   da un punto di vista della certificazione di qualità Strada dei Parchi nel 2014 non risultava averne conseguita alcuna, a differenza di Autostrada del Brennero (ISO 9001, ISO 14001, OHSAS 18001), Autostrada dei Fiori e Autocamionale della Cisa (ISO 9001) –:
   se non ritenga il Governo di dover assumere iniziative affinché Strada dei Parchi raggiunga gli standard qualitativi, di sicurezza e di salvaguardia dell'ambiente almeno pari ad altri concessionari di tratti autostradali montani, assicurando, per quanto riguarda i servizi che nelle aree di rifornimento di carburante sia presente anche il gas metano;
   se non ritengano necessario assumere iniziative per porre in atto una moratoria triennale o, almeno, quinquennale, che blocchi le richieste di aumento dei pedaggi autostradali e, per quanto riguarda gli aumenti già in essere, valutare l'introduzione di meccanismi compensativi che sterilizzino gli aumenti intervenuti per il 2016 per coloro che utilizzano i tratti dell'A24 e dell'A25 per motivi professionali (autotrasportatori, pendolari e altri).
(2-01299) «Melilla».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale 275 collega Maglie con l'estremità meridionale del Salento innestandosi con la strada statale n. 16 presso Maglie – Nociglia – Lucugnano – Alessano – Montesardo e con la ex strada statale n. 173 presso S. Maria di Leuca;
   per la strada statale 275 l'Anas ha presentato un progetto che prevede l'adeguamento dell'itinerario Maglie S. Maria di Leuca, composto dalla strada statale 16 (dal chilometro 981+700 al chilometro 985+386) e dalla strada statale 275 (dal chilometro 0+000 al chilometro 37+000), alla categoria B del decreto ministeriale 5 novembre 2001 – strada extraurbana principale con due corsie per senso di marcia e con spartitraffico centrale. Lo sviluppo complessivo è di circa 40 chilometri. Si prevede l'adeguamento in sede delle attuali strade statali q16 e strada statale 275 per il tratto da Maglie a Montesano Talentino (circa 18 chilometri) e la prosecuzione in nuova sede per il tratto successivo fino a S. Maria di Leuca;
   il suddetto progetto presentato dall'Anas è contestato dalla popolazione locale soprattutto nella parte relativa alla prosecuzione in nuova sede per il tratto da Montesano Talentino fino a S. Maria di Leuca;
   tuttavia, sul tratto stradale attualmente esistente tra Maglie e Montesano Talentino, vi è un incrocio semaforico corrispondente all'incrocio della strada statale 275 con la strada provinciale 172 all'altezza del centro commerciale di Surano. Tale impianto semaforico crea negli orari di maggior flusso veicolare lunghissime code;
   da anni la popolazione locale chiede che l'incrocio semaforico sia sostituito da una rotonda. Ultimamente è anche stata avviata una petizione on-line, in quanto ad avviso dell'interrogante l'attuale situazione è insostenibile e con l'arrivo della stagione turistica diventa intollerabile per cui, a fronte di innumerevoli rotatorie che vengono realizzate nel Salento, i proponenti della petizione si domandano per quale motivo non venga realizzata una rotatoria in questa intersezione stradale;
   la rotatoria o rotonda è un tipo di intersezione a raso (cioè senza cavalcavia) fra due o più strade. Assolve alla funzione di moderazione e snellimento del traffico;
   generalmente il confronto fra un incrocio semaforico di questo tipo e una rotatoria con precedenza ai veicoli che la percorrono, presenta diversi vantaggi attribuibili alla rotatoria come una maggior sicurezza per la notevole riduzione dei punti di conflitto, una maggiore capacità di smaltire il traffico con snellimento nella circolazione, tempi di attesa ridotti con eliminazione totale dei tempi morti di sicurezza, normalmente dati da un semaforo, un minor inquinamento acustico e chimico per la ridotta e più costante velocità e per l'abbattimento degli ingorghi interni all'anello e l'eliminazione delle lunghe attese ai semafori che ne controllavano gli accessi, a cui si aggiunge una possibilità di inversione del senso di marcia, una riduzione e moderazione del traffico e minori costi gestionali e di sorveglianza;
   ad avviso dell'interrogante, al fine di eliminare ovvero ridurre le interferenze al traffico veicolare nella suddetta intersezione a raso, è possibile progettare la realizzazione di una rotatoria per regolamentare l'innesto della strada provinciale 172 sulla strada statale 275, prestando particolare attenzione a dimensionare i raggi di ingresso e di uscita dalla rotatoria per facilitare le manovre –:
   se il Ministro condivida la proposta espressa dalla cittadinanza in merito alla realizzazione della rotatoria ovvero abbia intenzione di assumere iniziative affinché l'Anas proceda alla progettazione nel minor tempo possibile, previo studio di fattibilità, di una rotatoria nel tratto stradale espresso in premessa e quindi in corrispondenza dell'intersezione a raso tra la strada statale 272 e la strada provinciale 175. (5-07962)


   LUIGI GALLO, SIMONE VALENTE, VACCA, D'UVA e MANLIO DI STEFANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Organizzazione marittima internazionale (Imo) è un'Agenzia delle Nazioni Unite, istituita a seguito dell'adozione della convenzione internazionale marittima di Ginevra del 1948, che ha lo scopo principale di sostenere la cooperazione marittima tra i Paesi membri e di garantire la sicurezza della navigazione e la protezione dell'ambiente marino, promuovendo l'elaborazione e l'adozione di convenzioni ed accordi su materie relative alla navigazione ed al trasporto via mare dei passeggeri e delle merci, nonché le garanzie del trattamento degli equipaggi;
   nel 1978, l'Imo di cui fa parte anche il nostro Paese, ha adottato la convenzione internazionale STCW78 sulle norme relative agli «Standard di Addestramento, Certificazione e Tenuta della Guardia», che è stata resa esecutiva in Italia con la legge 21 novembre 1985, n. 739;
   il codice STCW78 è stato successivamente modificato e integrato fino a giungere all'edizione del 2010, stabilita durante l'incontro svoltosi a Manila, nelle Filippine, e racchiude tutte le norme relative alla formazione minima obbligatoria che ogni marittimo, cittadino di un Paese membro dell'Imo, deve conseguire per poter svolgere la professione a bordo di navi e per ottenere il rilascio di certificati di competenza Imo STCW; il codice delinea altresì le modalità delle prove d'esame, i programmi, le esperienze di navigazione ed i corsi di sicurezza obbligatori da frequentare, le condizioni di validità dei certificati di competenza IMO STCW, le condizioni e le modalità del loro rinnovo;
   la STCW stabilisce, dunque, tutti i requisiti fondamentali affinché un marittimo sia abile ed idoneo a esercitare la propria professione, obbligando i Paesi firmatari (quindi anche l'Italia, si ribadisce) ad emettere un certificato, detto «Certificato IMO», che aggiunge uno « status di internazionalità» alla qualifica di ciascun marittimo, dandogli pertanto la possibilità di lavorare anche su navi/entità straniere;
   il certificato IMO ha una validità di 5 anni e si rinnova ogni volta, mantenendo i requisiti richiesti dalla normativa STCW e, in Italia, in sede di rinnovo, viene adottato quanto specificato dal decreto legislativo 12 maggio 2015, n. 71, che ha sostituito il precedente decreto legislativo 7 luglio 2011, n. 136;
   nonostante il succitato decreto legislativo 12 maggio 2015, n. 71, faccia esplicito riferimento alla normativa STCW, nella manifestazione di protesta tenutasi il 3 febbraio 2016 presso il piazzale Candi a Porto Santo Stefano (Grosseto), che ha visto l'intervento di dodici associazioni marittime in base a quanto riportato da diverse fonti apparse on line tra il 6 e il 13 febbraio 2016 (www.youtube.com, www.iltirreno.gelocal.it, www.lastampa.it), è stato espresso a gran voce il malcontento e la preoccupazione di migliaia di marittimi per la possibile emanazione di un decreto attuativo che, in base a quanto dichiarato dagli stessi, parrebbe «cambiare rotta» su diversi punti rispetto alla normativa internazionale di riferimento, creando i presupposti per una più difficoltosa e gravosa procedura di rinnovo dei certificati Imo, per i marittimi italiani, specie se paragonata a quella dei colleghi di altri Paesi della Comunità europea;
   nello specifico, in base a quanto si evince dalla video-registrazione della succitata manifestazione, alla data del 1o gennaio 2017, a circa 60.000 marittimi scadrà il proprio certificato Imo, in base a quanto disposto dall'articolo 6, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2015, n. 210 che prevede la proroga di 10 mesi per il rinnovo dei certificati rispetto a quanto sancito dall'articolo 11 del decreto legislativo 12 maggio 2015, n. 71 e, ad oggi non è ancora chiaro, in Italia, quali saranno le precise modalità di rinnovo dello stesso, creando incertezza e confusione, nonché legittima preoccupazione; in base a quanto asserito da Massimo Costanzo, delegato del Collegio nazionale capitani e macchinisti, un nuovo decreto attuativo, che risolverebbe allo stato attuale, in fase di redazione e ultimazione, prevedrebbe che le procedure di rinnovo debbano essere presentate a partire dal terzo mese precedente alla scadenza del certificato; si porrebbero in tal modo le basi di una situazione di collasso amministrativo con una paralisi degli uffici che si ritroverebbero a dover smaltire un numero di pratiche di rinnovo eccedente alle proprie possibilità, mentre, invece, i marittimi che possono definirsi in regola con le nuove norme internazionali potrebbero provvedere al rinnovo anche prima dei tre mesi, per rendere più fluido ed omogeneo lo smaltimento delle pratiche da parte degli uffici amministrativi di competenza;
   oltracciò, è stata posta la questione generale del dovere di tutelare il lavoro, le professionalità perseguite e i certificati acquisiti dai nostri marittimi, i quali, attraverso i propri delegati alla manifestazione, hanno reclamato, in virtù delle disposizioni internazionali, che sia ritenuto valido, ai fini del rinnovo del proprio certificato, un servizio di navigazione di dodici mesi su qualunque unità, compreso il diporto privato, e che le diverse possibili funzioni assunte in tale periodo, ad esempio quella di comandante come quella di primo ufficiale, abbiano la stessa valenza;
   come se tutto ciò non bastasse, sulla base di quanto affermato da Luigi Scotto, coordinatore di lavoratori del mare, il decreto, che per adesso non è stato ancora firmato, porterebbe anche alla divisione della carriera del diporto da quella mercantile, anche se solo quella mercantile è riconosciuta a livello internazionale dall'Imo, e questo significherebbe che chi ha avuto esperienza lavorativa solo nel diporto si vedrebbe tolto il titolo mercantile, unica certificazione Imo posseduta, creando i presupposti per la perdita di occasioni lavorative, che già risultano molto ridotte a causa del periodo di crisi generale in cui versa il nostro Paese;
   va inoltre considerato che, come riportato su un articolo apparso on line sul sito www.lastampa.it il giorno 23 dicembre 2015, l'armatore Vincenzo Onorato ha asserito che «al momento, sulle rotte nazionali, non è possibile imbarcare personale extracomunitario, ma la Confitarma sta facendo pressioni per ottenere una norma che liberalizzi tutto», consentendo quindi l'assunzione con «contratti da fame a seicento dollari al mese»;
   in effetti, lo stesso Maurizio Amato, presidente dell'associazione marittimi Argentario, trova alquanto contraddittorio il fatto che la scuola nautica italiana non sia ritenuta adeguata alla formazione dei marittimi, i quali sono costretti a seguire ulteriori corsi a pagamento, mentre un titolo inglese risulti accettato tout court nel nostro Paese, in cui i requisiti richiesti per ottenerlo, tuttavia, sono maggiormente onerosi rispetto agli altri Paesi della Comunità europea;
   una siffatta situazione pare configurarsi, per gli interroganti, come un circolo vizioso in cui non sembrano essere poste le basi perché i marittimi italiani possano contare su opportunità lavorative imprescindibili per riuscire a stare al passo con la normativa in merito al rinnovo dei loro Certificati Imo, obbligatori, a loro volta, per continuare a svolgere il proprio lavoro;
   il coordinamento marittimi, formatosi in seguito alla summenzionata manifestazione, richiede che si instauri un rapporto diretto tra il Ministro interrogato e la realtà lavorativa del settore, instaurando, nel più breve tempo possibile, tavoli tecnici per un confronto proficuo sui contenuti, affinché non venga approvato un decreto che, a detta di Luigi Scotto, «se entrasse in vigore toglierebbe la facoltà di lavorare ai marittimi, oltre a scalfire diritti sacrosanti sanciti dalla Costituzione» –:
   se i Ministri interrogati non ritengano doverosa ed appropriata una urgente iniziativa volta al conseguimento di un utile confronto con le categorie dei lavoratori marittimi, prima dell'emanazione di eventuali decreti attuativi previsti dal decreto legislativo 12 maggio 2015, n. 71, considerata la necessità di prestare attenzione all'attuale evoluzione del mercato del lavoro, da un punto di vista sia generale che specifico;
   se e come intenda intervenire per salvaguardare i diritti di tutti i marittimi italiani, affinché non si ritrovino, loro malgrado, in una condizione di svantaggio rispetto ai colleghi stranieri. (5-07993)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 29 febbraio 2016 un commando di almeno 15 persone ha preso d'assalto a Sassari il deposito della società di sicurezza Mondialpol con un bottino di oltre 10 milioni di euro;
   nel corso dell'assalto è stato svuotato il caveau dell'istituto di vigilanza a Caniga;
   i malviventi hanno sparato decine e decine di colpi quando nella serata del 29 febbraio intorno alle 20 hanno assaltato la sede della Mondialpol Sardegna di Caniga, alla periferia di Sassari;
   per superare il muro di cinta dell'istituto di vigilanza che si occupa prevalentemente di trasporto di grosse quantità di denaro, e raggiungere la sala dove ci sono le casse di conteggio e l'ingresso del caveau, i malviventi hanno utilizzato un enorme escavatore rubato;
   la banda, composta da una quindicina di banditi, era organizzata con modalità militari e l'assalto è stato studiato nei minimi dettagli;
   il commando era certamente a conoscenza che nella sede della Mondialpol sarebbe dovuta transitare un'enorme quantità di denaro;
   nelle immagini delle telecamere di sorveglianza è stato registrato l'arrivo di un vero e proprio convoglio dei rapinatori con a capo un autoarticolato che trasportava l'escavatore usato per demolire il muro esterno;
   una parte dei malviventi ha sfondato con l'escavatore il muro, mentre i complici armati di kalashnikov e fucili a pompa hanno sparato decine di colpi contro la facciata della Mondialpol;
   dopo aver sfondato, sempre con l'escavatore, la parete dell'edificio una parte della banda ha fatto irruzione all'interno;
   i criminali hanno messo le mani sul denaro ed è iniziata la corsa contro il tempo per caricarne il più possibile su un furgone;
   il 2 gennaio 2016 un commando analogo aveva fallito l'assalto ad un portavalori sulla statale 131 a pochi chilometri da Nuoro;
   altre gravissime rapine sono state messe a segno anche nel cagliaritano con bottini milionari;
   nessuno degli autori è stato assicurato alla giustizia;
   è fin troppo evidente che il dispiegamento così rilevante di uomini e mezzi lascia presagire l'esistenza di una vera e propria organizzazione criminale senza precedenti in Sardegna;
   è evidente che l'assenza di uomini e mezzi delle forze dell'ordine costituisce il più rilevante humus per lo sviluppo di queste realtà criminali;
   risultano insufficienti i mezzi di contrasto e prevenzione a questi fenomeni criminali sempre più preoccupanti e gravi –:
   se non ritenga di dover intervenire con urgenza per il rafforzamento dei presidi di sicurezza in Sardegna;
   di quali elementi disponga circa la matrice degli episodi criminosi, con particolare riferimento alla circostanza se tali commando siano di estrazione criminale esterna alla Sardegna e abbiano ramificazioni con ben più organizzate criminalità esterne;
   se e quanti uomini fossero effettivamente in servizio la sera del 29 febbraio 2016 e quante pattuglie presidiassero l'area di Sassari e quali fossero i tempi d'intervento in quell'area;
   in che tempi siano stati attivati i posti di blocco e se siano state richiamate in servizio altre unità considerata l'insufficienza di quelle in servizio;
   se sia stato allertato qualche mezzo aereo dotato di strumenti per volo notturno. (5-07968)


   LOSACCO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da tempo il territorio di Mariotto frazione del comune di Bitonto fa registrare numerosi episodi di rapine e furti con la popolazione esasperata;
   il 26 settembre 2015 è stato assaltato lo sportello bancomat della Banca Popolare di Puglia e Basilicata;
   il 12 gennaio 2016 è stato assaltato lo sportello postamat del locale ufficio postale;
   da ultimo il 17 febbraio 2016 è stato nuovamente preso di mira lo sportello Atm della Banca Popolare di Puglia e Basilicata con i malviventi che non sono riusciti a portare via il contante;
   si registrano numerose denunce per furti in appartamento ed anche nelle campagne dove le razzie riguardano anche pali, porte di ferro, infissi, recinzioni oltre che a derrate alimentari, mezzi agricoli e altro;
   è evidente il senso di insicurezza che si è ingenerato nelle popolazioni locali;
   è di questi giorni l'annuncio di un rafforzamento da parte del Ministero dell'interno degli organici delle forze dell'ordine di stanza a Bari;
   si tratta di un primo segnale importante a cui ne devono seguire altri finalizzati a ripristinare un effettivo controllo del territorio –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro, in sede di Comitato per la sicurezza e l'ordine pubblico, al fine di verificare le criticità segnalate per il territorio della frazione di Mariotto, di potenziare il pattugliamento e il coordinamento delle forze di polizia e di rafforzare i sistemi di videosorveglianza e video-allarme, contrastando i fenomeni criminosi. (5-07969)


   FRUSONE, TOFALO, CORDA, BASILIO, RIZZO, PAOLO BERNINI, NUTI, CECCONI, COZZOLINO, DADONE, D'AMBROSIO, DIENI e TONINELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da diversi organi di stampa, tra i quali la Rivista Marittima del gennaio 2016 (pagine 105/107), il 6 dicembre 2015, il vice cancelliere della Germania, Sigmar Gabriel, «ha esortato l'Arabia Saudita a smettere di sostenere i radicali religiosi in Germania ed altrove». L'insolita critica segue di pochi giorni un rapporto di agenzia di intelligence esterna della Germania, che ha puntato il dito sulla politica di assistenza «umanitaria» e «caritatevole» di organismi pubblici e privati sauditi in favore di persone e organismi sospettati di vicinanza con gli elementi radicali;
   oggetto della critica del Governo tedesco è il rischio legato al proliferare di moschee di rito wahabita finanziate in tutto il mondo dall'Arabia Saudita in Germania (e altrove). Tali moschee hanno funzionato di supporto al salafismo, tanto che le stesse agenzie d’intelligence tedesche (BND, BFV e MAD) riportano come il numero dei salafiti in Germania sia salito dai 5.500 persone del 2013 a oltre 7.900 della fine del 2015;
   il salafismo rischia di essere il «brodo di cultura» di posizioni integraliste e fondamentalistiche sul quale Daesh attinge sia per il reclutamento di foreign fighter verso Siria ed Iraq, sia per attacchi terroristici come avvenuto a Parigi il 13 novembre 2015 costati la vita a 130 persone;
   grave inquietudine ha suscitano la pubblicazione nella prima settimana di dicembre di un documento della Bundesnachrichtendienst (BND), l’intelligence esterna tedesca, nel quale si individua nell'attivismo del principe saudita Mohammed bin Salman, 30 anni, figlio del re Salman, una delle cause dell'attuale tensione internazionale in diverse aree del mondo islamico;
   Mohammed bin Salman è infatti stato recentemente designato vice principe ereditario e ministro della difesa, rivestendo dunque un ruolo chiave nelle scelte politiche del regime saudita;
   espressione concreta di queste posizioni estremistiche di Mohammed bin Salman è il coinvolgimento crescente dei sauditi nella sanguinosa guerra in Yemen e la reiterata dichiarazione di voler inviare in Siria truppe di terra;
   l'opinione sulla pericolosità di Mohammed bin Salman non è solo della BND; è utile ricordare come già nel settembre 2015 – secondo quanto riportato dalla Rivista Marittima nel numero sopra citato, anche negli Usa, era stato pubblicato un saggio allertando sulla sfrenata ambizione del principe e sulla sua reputazione di arroganza e spregiudicatezza –:
   quali iniziative di competenza siano state assunte dal Governo  per monitorare il flusso di denaro dall'Arabia Saudita agli istituti religiosi di rito wahabita in Italia e se il prosperare degli stessi abbia comportato una crescita della presenza salafita nel nostro Paese;
   quale relazione sia stata riscontrata tra il diffondersi del salafismo in Italia e il reclutamento da parte di organizzazioni fondamentalistiche dei foreign fighter nel nostro Paese. (5-07973)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COCCIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il parco Collina della pace sorge, oggi, nel cuore della borgata Finocchio, situata in via Casilina, all'altezza del chilometro 18.00, dove circa 100 anni fa vi era un'antica azienda agricola: sono rimasti i due casali (la casa patronale con la stalla, la rimessa degli attrezzi) e circa 13.000 metri quadri di terra. Alla fine degli anni ’60 il costruttore Francisci, dopo aver lottizzato quasi tutti gli appezzamenti, decide di costruire un mega palazzo a diversi piani nella parte confinante con la via Casilina, agendo, a giudizio dell'interrogante senza rispettare la normativa vigente;
   negli anni ’90, la Collina, con i casali e lo scheletro, vengono acquistati da esponenti della cosiddetta Banda della Magliana;
   nel febbraio 2001, l'area viene confiscata al cassiere della banda, Enrico Nicoletti, che lì aveva costruito abusivamente un palazzo di sei piani per destinarlo ad albergo e trasferita in custodia al Ministero delle Finanze;
   nell'aprile del 2002, sulla base delle richieste degli abitanti e delle associazioni di quartiere, il comune di Roma chiede il trasferimento della proprietà dell'area per realizzare un progetto di riqualificazione e si stabilisce di programmare sul territorio degli incontri tra istituzioni e cittadini per dare vita ad un percorso partecipato in merito al progetto relativo alla riqualificazione della suddetta area;
   nel settembre 2002, il comune di Roma entra in possesso dell'area, in base alla legge n. 109 del 7 marzo 1996, che disciplina la gestione e la destinazione dei beni confiscati e la loro destinazione per scopi sociali;
   nel novembre 2002, il comitato di quartiere Casilina 18 chiede ai cittadini di proporre alle istituzioni una bozza di progetto, con un sondaggio che viene distribuito in tre scuole del territorio: primaria Carlo Urbani di 750 alunni, materna e primaria P.M.Kolbe di 855 alunni, media D.Savio di 655 alunni;
   un mese dopo sono resi noti i risultati del sondaggio in cui si evidenzia l'esigenza della cittadinanza di veder realizzata una biblioteca, con relativa sala convegni, come segno di cambiamento etico, sociale e civile del territorio. Inoltre, vengono lasciati al dipartimento circa 200 disegni dei ragazzi delle medie relativi alla progettazione del parco. Si crea un vero e proprio laboratorio e l'intervento viene finanziato, con voce nel bilancio del dipartimento politiche per lo sviluppo ed il recupero delle periferie;
   il nuovo PRG stabilisce che il progetto di riqualificazione della Collina della pace si inserisca concretamente nel sistema di spazi e servizi pubblici previsti per la centralità locale;
   su tali aree pubbliche, dunque, sulla base del processo partecipativo sviluppato è stato redatto il progetto preliminare generale, approvato con deliberazione del consiglio comunale n. 73 del 13 aprile 2005 per la riqualificazione della collina della Pace;
   il progetto preliminare prevedeva l'articolazione dell'intervento per lotti funzionali successivi, di cui il primo relativo alla bonifica, il secondo alla sistemazione della collina e il terzo e ultimo intervento al recupero dei due casali esistenti a fini culturali e di servizio: biblioteca, centro culturale e centro associativo;
   i progetti del primo e del secondo lotto sono stati realizzati; occorre, dunque, procedere alla realizzazione del III e ultimo lotto funzionale del progetto;
   il progetto definitivo del III lotto si inserisce all'interno di un programma di riqualificazione urbana paesaggistica e ambientale di ampio respiro e ne costituisce uno dei momenti qualificanti poiché si propone di trasformare e recuperare il casale agricolo ed il relativo manufatto di servizio, i quali si trovano oggi in situazioni di assoluto degrado, per realizzare una biblioteca multimediale e una struttura di uso pubblico;
   nel frattempo, il 17 dicembre 2007, viene inaugurato, insieme al presidente di Libera Don Luigi Ciotti, il parco Collina della pace, dedicato alla memoria di Peppino Impastato;
   il 19 dicembre 2007, con deliberazione n. 583, la giunta comunale approva il progetto definitivo del III lotto relativo all'intervento «collina Pace», con il recupero di due casali a fini culturali e di servizio e per la realizzazione di una biblioteca, un centro culturale e associativo;
   tuttavia, da quel momento cominciano una serie di problemi: il primo, nel 2009, quando il VI municipio tenta di disattendere il progetto costruito dalle associazioni del territorio per realizzare un centro d'aggregazione giovanile;
   tale modifica del progetto originario non va in porto, infatti, il 12 ottobre 2009, il consiglio straordinario del VI municipio ha approvato all'unanimità la mozione che stabilisce il ripristino del progetto condiviso con i cittadini e il recupero del finanziamento (pari a euro 1.400.000);
   nel 2011, cominciano i lavori dei casali circondati dai 13.000 metri quadrati di verde pubblico;
   con estreme difficoltà si procede ai lavori previsti dal piano per il progetto di riqualificazione del III lotto e finalmente, nel marzo 2015, si arriva alla dichiarazione ufficiale di Paola Gaglianone, presidente di istituzioni biblioteche di Roma, che stabilisce l'assegnazione del casale (ex stalla) e dell'edificio padronale (villa rossa) adibiti a biblioteca;
   tuttavia, il 18 febbraio 2016, il consiglio municipale vota un ordine del giorno per trasferire il centro anziani Pierino Emili di Finocchio, già esistente e ristrutturato per un'area di 150 metri quadri, all'interno dei casali della Collina della pace nonostante la delibera comunale n. 583 del 19 dicembre 2007 sancisse che, all'interno dei casali, sarebbe nato un centro polifunzionale aperto a tutti e che uno degli elementi qualificanti del progetto sarebbe stato costituito dalla partecipazione e dal coinvolgimento dei cittadini nella scelta per il recupero di tale ambito del territorio –:
   quali iniziative urgenti intenda mettere in campo, per il tramite del commissario straordinario per la gestione di Roma capitale, per fare in modo che l'impegno per la destinazione d'uso, ai sensi della legge n. 109 del 1996, di un bene confiscato alle criminalità quale è il terzo lotto della collina della Pace, deliberato in data 19 dicembre 2007 dalla giunta comunale del comune di Roma, non venga disatteso. (4-12324)


   MARCO DI STEFANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella regione del Molise in provincia di Campobasso insiste il piccolo comune di Castelmauro che conta circa 1500 abitanti, di cui solo 900 effettivamente residenti;
   le vie di accesso al predetto comune risultano tutte interrotte da frane e l'unica non franata è in totale dissesto;
   pertanto si tratta di un piccolo insediamento difficile da raggiungere, tanto da definirsi quasi isolato dal resto del territorio;
   la popolazione dello stesso è formata per la maggior parte da cittadini con un età media intorno ai 55 anni;
   la maggior parte di essi vive di pensione, tanto che il reddito pro-capite risulta essere il più basso di tutta la provincia;
   il tasso di disoccupazione risulta altissimo;
   nel predetto comune vivono già 70 stranieri di cui 58 extracomunitari;
   tra l'altro, in seno al paese esiste uno stabile, individuato dalla prefettura di Campobasso, dove sono allocate da molto tempo delle famiglie extracomunitarie;
   le predette famiglie, tutte attualmente in possesso di un regolare contratto di affitto, si sono ben integrate con il tessuto del territorio;
   attualmente, la prefettura di Campobasso risulta abbia intenzione di allocare nel predetto piccolo comune altri 28 profughi di età media 25 anni;
   al di là della poca capacità di un piccolo paese come questo di accogliere rispetto anche e soprattutto all'inserimento lavorativo, altri immigrati, risulterebbe all'interrogante che le famiglie extracomunitarie precedentemente allocate siano state sfrattate per poter riutilizzare la struttura per accogliere i nuovi immigrati (ricavandone un profitto maggiore rispetto all'attuale) –:
   se risponde a realtà che la prefettura di Campobasso abbia intenzione di aumentare il contingente di extracomunitari da allocare nel comune in questione;
   qualora ciò fosse vero, quali criteri siano stati seguiti nella predetta scelta;
   se risponda a realtà che lo stabile ove erano allocate le famiglie di cui in premessa sia stato sgomberato per poterlo riutilizzare a nuovo alloggio per il nuovo contingente di migranti. (4-12326)


   DIENI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Tiberio Bentivoglio, imprenditore di Reggio Calabria, è assurto a simbolo della lotta contro la ’ndrangheta, rappresentando un esempio per chi decide di ribellarsi contro i soprusi imposti date mafie;
   il calvario dell'imprenditore inizia da quando decide di non pagare il pizzo, denunciando i suoi estorsori: da quel momento inizia una serie di atti intimidatori che culminano in una serie di reati contro l'attività dell'imprenditore, nel frattempo posto sotto scorta;
   li ricostruisce il settimanale L'Espresso in un articolo di Giovanni Tizian del 29 febbraio 2016: «nel 1992 il primo messaggio mafioso: il furto nel negozio. Dopo sei anni, un altro furto e un primo attentato. Nei sette anni successivi un secondo attentato e un incendio. Nel 2008 il capannone viene dato alle fiamme. A febbraio 2011 gli sparano mentre sta andando in campagna, alle sei di mattina. L'altra notte l'ultimo avvertimento: il deposito distrutto dalle fiamme»;
   purtroppo, nonostante il coraggio dimostrato dall'imprenditore, la sua attività è stata posta a repentaglio anche dallo Stato che, attraverso Equitalia, ha sommato le proprie pretese a quelle delle banche e degli altri creditori, portando la Sanitaria di Bentivoglio sull'orlo del fallimento;
   tutto ciò si è sommato al drastico calo della clientela, intimorita dalle minacce che gravavano sull'esercizio;
   l'unico aspetto positivo è la concessione di un bene confiscato alla mafia ove trasferire la propria attività, posta sotto sigillo per il debito con Equitalia, derivante dal mancato pagamento dei contributi Inps per i suoi dipendenti, scelta che l'imprenditore ha fatto per non procedere a licenziamenti;
   nella vicenda di Bentivoglio colpisce soprattutto la colpevole assenza, se non addirittura l'ostilità delle istituzioni, le mancanze della magistratura, la scarsa sensibilità da parte dell'ente di riscossione;
   si riscontra anche la scarsa efficacia, sia dal punto di vista temporale che da quello economico, della legge 23 febbraio 1999, n. 44, nata con l'intento di proteggere le vittime delle richieste estorsive e dell'usura, che prevede tra l'altro l'istituzione di un fondo per i risarcimenti, ma che ad oggi si è dimostrata per il signor Bentivoglio praticamente inutile;
   Bentivoglio ha inoltre beneficiato di una scorta concessa dal Ministero dell'interno, ma essa non può tutelarlo dai danni arrecati dalla ’ndrangheta al suo patrimonio;
   il 28 febbraio 2016, come già accennato, un incendio doloso ha distrutto il deposito della sua sanitaria Sant'Elia, un negozio per la vendita di articoli per la prima infanzia;
   poco prima della mezzanotte i due locali adibiti a deposito sono stati cosparsi di liquido infiammabile e incendiati: a riprova della natura dolosa dell'evento è il fatto, che dopo che le fiamme sono state domate, il sopralluogo degli agenti della polizia scientifica che ha individuato i resti di una tanica di benzina;
   è tempo, a parere dell'interrogante, di fornire a Tiberio Bentivoglio di un supporto effettivo da parte delle istituzioni –:
   quali urgenti misure di competenza si intendano assumere per garantire la sicurezza dell'imprenditore Tiberio Bentivoglio e delle sue attività e quali iniziative, anche normative, intendano adottare al fine di consentire una migliore tutela per i cittadini che si ribellano alle estorsioni di carattere mafioso, denunciandole allo Stato. (4-12327)


   NESCI, DIENI e NUTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 28 e il 29 febbraio scorso, il testimone di giustizia Tiberio Bentivoglio, imprenditore reggino noto per la sua battaglia ultraventennale contro il racket, ha subito l'ennesima intimidazione;
   un incendio di vaste proporzioni ha completamente distrutto il deposito della sua «Sanitaria Sant'Elia», negozio di articoli per gravidanza e prima infanzia, che da anni continua a tenere aperto nonostante le minacce dei clan ‘ndranghetisti;
   secondo quanto riportato dalle cronache locali e nazionali, l'allarme è scattato attorno alle 23,30, ma nonostante l'immediato intervento dei vigili del fuoco, le fiamme hanno completamente divorato l'intero contenuto dei due locali;
   non ci sarebbe alcun dubbio sulla natura dolosa dell'incendio, dato che, quando le fiamme sono state domate, gli uomini della Scientifica hanno trovato fra le macerie i resti di una tanica, presumibilmente utilizzata per trasportare il liquido infiammabile usato poi per appiccare il fuoco;
   preme sottolineare che Bentivoglio è stato il primo, a Reggio Calabria, ad opporsi al pizzo, ed è da questa presa di posizione pubblica che i clan hanno cominciato a bersagliarlo con una sequela impressionante di minacce e intimidazioni;
   a riprova di quanto detto, basti ricordare quanto accaduto nel febbraio 2011, quando qualcuno — tuttora senza nome né volto — sparò contro l'imprenditore sei colpi di pistola. Solo per una fortunata coincidenza il proiettile che lo avrebbe raggiunto alla schiena è stato deviato dal marsupio che indossava, mentre uno gli ha devastato il polpaccio e gli altri quattro si sono persi nel vuoto;
   da allora, Bentivoglio ha una scorta di terzo livello, quella assegnata ai soggetti «ad alto rischio»;
   preme tuttavia sottolineare che nel corso degli anni Bentivoglio ha anche dovuto lottare contro le istituzioni pubbliche per tenere in vita la propria attività;
   come scrive la giornalista Alessia Candito su La Repubblica, «nonostante la legge preveda un risarcimento per le vittime dei clan, quanto avuto dallo Stato nel corso degli anni — e sempre con estremo ritardo — non è mai stato sufficiente per ripagare danni, furti e incendi subiti [...]. I debiti si sono accumulati, i fornitori hanno iniziato a negargli l'invio di merce a credito e anche le banche hanno iniziato a fare passi indietro, dicendo no a prestiti e fidi. Solo la rete di solidarietà che negli anni si è strutturata attorno all'imprenditore ha fatto sì che non rinunciasse alla sua ventennale battaglia»;
   al riguardo preme sottolineare la surreale circostanza secondo cui, come raccontato su L'Espresso da Giovanni Tizian, «la mattina dopo l'incendio è venuto l'ufficiale giudiziario a mettere i sigilli al negozio, “mi stanno sfrattando perché non riesco a pagare”, racconta Bentivoglio a L'Espresso»;
   in un precedente articolo de L'Espresso, ancora Tizian raccontava come, «sommerso dai debiti, con un fatturato crollato negli ultimi nove anni del 75 per cento (cioè 2 milioni e mezzo di euro in meno) e un conseguente danno per mancato guadagno che si aggira ad oltre 800 mila euro, l'imprenditore è sull'orlo del crac e dirà addio al suo negozio»;
   come se non bastasse, tra settembre e ottobre 2014 Equitalia gli ha inviato l'avviso di vendita all'asta della sua abitazione, già ipotecata da oltre un anno per 991 mila euro: «L'ipoteca di Equitalia — racconta ancora Tizian — era arrivata perché da nove anni non paga più i contributi all'Inps dei propri dipendenti (ora rimasti in due, prima erano in cinque) ai quali fino all'anno scorso riusciva a versare mala pena gli assegni con gli stipendi»;
   come se non bastasse, per il danno erariale relativo ai contributi Inps, sua moglie (la loro è un'azienda familiare) ha subito due condanne in primo grado dal tribunale di Reggio Calabria per appropriazione indebita;
   a tale situazione si aggiunge il «pressing» delle banche, che dopo l'ipoteca sull'abitazione hanno ritirato gli affidamenti: «non concedono più alcuna forma di credito, mutui e prestiti a Bentivoglio. Sono stati ridotti i carnet degli assegni a lui destinati perché sui suoi conti correnti non c’è abbastanza denaro per pagare i fornitori del negozio (circa 150). Il risultato è che le banche, come da legge, hanno inoltrato gli assegni scoperti ai notai — il cosiddetto “protesto” — e per l'imprenditore si prospettano nuove sanzioni amministrative (che comunque non riuscirà a pagare)»;
   all'interrogante preme sottolineare che la legge n. 44 del 2009 stabilisce che (articolo 1) «ai soggetti danneggiati da attività estorsive è elargita una somma di denaro a titolo di contributo al ristoro del danno patrimoniale subito»;
   ciononostante, secondo quanto denunciato dallo stesso Bentivoglio, «per l'attentato al negozio del 2003 ho ricevuto 3.400 euro a fronte di 120 mila euro di danni. Per l'incendio del 2005 ho avuto circa 300 mila euro in tre anni, e per l'incendio al capannone del 2008 circa 400 mila euro, tanto quanto il valore della merce bruciata, ma sempre dopo tre anni»;
   si precisa, ancora, che nonostante la normativa stabilisca che lo Stato ripaghi la vittima entro 60 giorni dal fatto (articolo 13 della succitata legge), «in realtà la media di attesa è molto più lunga. Intanto, ogni volta che ho subito un agguato, in attesa di ricevere quei soldi sono rimasto anni ed anni con il mio negozio e il deposito distrutti» –:
   se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intendano assumere per fare luce sull'inquietante episodio di cui è stato vittima Tiberio Bentivoglio;
   quali siano le misure attualmente previste per garantire l'incolumità all'imprenditore e ai suoi familiari e se non ravvisino la necessità di un ulteriore potenziamento delle medesime;
   se non ritengano urgente assumere iniziative per dar seguito, nei tempi e nei modi previsti dalla legge, all'elargizione dei fondi anti-racket spettanti allo stesso imprenditore. (4-12328)


   ROSTAN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 22 settembre 2014 il comune di Messina ha presentato istanza di rimodulazione del piano di riequilibrio pluriennale avanzato ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 243-bis del Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (Tuel);
   in data 29 dicembre 2014 la commissione per la finanza e gli organici degli enti locali presso il Ministero dell'interno, chiamata ad esprimere il proprio parere in merito, ai sensi dell'articolo 243-quater, con propria nota acquisita al protocollo 300602 del 29 dicembre 2014, ha formulato vari rilievi al piano di riequilibrio di cui sopra;
   a seguito di riscontro dell'amministrazione comunale, la predetta commissione ha chiesto, con propria nota del 9 ottobre 2015 protocollo 0117317, ulteriori chiarimenti, nota quest'ultima che non risulta, a tutt'oggi, essere stata riscontrata dall'amministrazione;
   la Corte dei Conti della regione Sicilia, con propria comunicazione del 22 giugno 2015, protocollo 149549, relativa al consuntivo 2013, ha espresso gravi perplessità in ordine alla regolarità del conto consuntivo stesso e, rinviando ogni più approfondita valutazione sul piano di riequilibrio all'atteso parere della commissione interministeriale di cui sub b), ha vietato, nel contempo, al comune, ai sensi di cui all'articolo 188, comma 1-quater del Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di assumere impegni finanziari eccedenti l'ordinaria amministrazione; inoltre, con propria nota del 26 gennaio 2016, relativa alla verifica effettuata, ai sensi dell'articolo 148 del Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, sulla legittimità e regolarità della gestione, la stessa sezione regionale della Corte dei Conti, dopo avere rilevato numerosi profili di criticità nell'attività del comune di Messina, ha disposto l'inoltro della propria deliberazione, per le valutazioni di competenza, alla procura regionale della Code dei Conti;
   con provvedimento del Giudice dell'udienza preliminare di Messina in seguito all'udienza del 3 febbraio 2016, sono stati rinviati a giudizio funzionari ed amministratori del comune di Messina per falso in relazione agli atti finanziari esitati dal comune di Messina tra il 2009 ed il 2011;
   non risulta alla interrogante che ad oggi, siano state rispettate le prescrizioni di cui alla nota sub b) della commissione presso il Ministero dell'interno, in relazione, tra l'altro, alla stipula degli atti di transazione con i creditori, ed alla stessa quantificazione dei crediti che sono stati riportati nel piano di riequilibrio senza la contabilizzazione degli interessi sugli stessi maturati ai sensi della vigente normativa nazionale (decreto legislativo n. 231 del 2002) e comunitaria (Direttiva 2011/07) e che risultano, perciò, data la vetustà di alcuni di detti crediti, notevolmente inferiori a quelli realmente esistenti;
   non risulta che il comune di Messina, in aperta violazione degli articoli 191 e 193 del Tuel, abbia mai proceduto al riallineamento dei propri crediti, facendo così in modo che le passività esistenti, debiti fuori bilancio e passività pregresse, rimanessero occultate, perplessità questa manifestata dalla stessa sezione regionale della Corte dei Conti nella citata nota al conto consuntivo 2014;
   a tutt'oggi, non risulta presentato al consiglio per l'approvazione neppure il bilancio preventivo 2015 (duemilaquindici);
   infine, l'attuale situazione di incertezza fa si che si continui a produrre, oltre a grave danno erariale, anche per il mero maturare degli interessi sui crediti a norma della citata normativa nazionale e comunitaria, anche la concreta possibilità di sanzioni in sede comunitaria (non sembra inopportuno ricordare che l'Italia è stata recentemente oggetto di procedura di infrazione comunitaria per i ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione) –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tali criticità e quali siano le ragioni per le quali la predetta commissione Ministeriale, non abbia ad oggi, nonostante siano abbondantemente decorsi i termini di legge di cui all'articolo 243-quater, comma 1, del Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali e, nonostante non siano state, per quinto sopradetto, rispettate le prescrizioni dalla stessa ammissione impartite al comune di Messina, ancora espresso il parere di competenza sul piano di riequilibrio, di fatto favorendo il permanere di una situazione di incertezza potenzialmente foriera di gravi danni oltreché per il comune di Messina, anche per lo Stato italiano nei suoi rapporti con le istituzioni comunitarie. (4-12329)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAPELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il bando di concorso per titoli ed esami finalizzato al reclutamento del personale docente per i posti comuni dell'organico dell'autonomia della scuola secondaria di primo e secondo grado, pubblicato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il 23 febbraio 2016, indice «su base regionale, concorsi per titoli ed esami finalizzati alla copertura di n. 16.147 posti comuni nelle scuole secondarie di primo grado e di n. 17.232 posti comuni di insegnamento nelle scuole secondarie di secondo grado che si prevede risulteranno vacanti e disponibili per il triennio 2016/2017, 2017/2018, 2018/2019 per ciascuna classe di concorso (...)» (articolo 1, comma 1);
   l'avviso relativo al calendario delle prove sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana — 4a serie speciale — concorsi ed esami del 12 aprile 2016;
   già da oggi, però, risulta esaminando il bando citato, che molte prove si svolgeranno in regioni diverse da quelle di residenza dei candidati;
   il criterio scelto per quanto esposto qui sopra sembra essere quello dell'appartenenza ad una regione limitrofa a quella in cui si svolgeranno le prove;
   purtroppo, però, tra i candidati costretti a spostarsi sono compresi anche quelli residenti nella regione Sardegna;
   per evidenti e ben noti motivi geografici non si può certo parlare di regioni limitrofe rispetto alla Sardegna;
   ne consegue che i candidati sardi saranno costretti a lunghe e costose trasferte per sostenere la prova d'esame, con evidenti disagi legati alle difficoltà nei trasporti, ai costi, alle prenotazioni e all'assenza di continuità, o dovranno rinunciare non potendo coprire i costi stessi;
   non si comprende perché si sia deciso di far sostenere ai candidati sardi la prova fuori dalla regione di appartenenza, prova che si terrà presumibilmente in piena estate, con la conseguente difficoltà per i candidati di trovare aerei liberi da e per la Sardegna;
   la prova scritta è computer based. Ci si chiede come sia possibile che manchi in tutta la Sardegna un laboratorio d'informatica adatto in modo da poter far svolgere la prova ai candidati sardi nella loro regione –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato per impedire una evidente, ennesima, penalizzazione per i cittadini sardi, costretti, per poter svolgere le prove concorsuali ad affrontare disagi ed esborsi economici inaccettabili e non previsti per nessun altro cittadino. (4-12319)


   IACONO, ALBANELLA, ALBINI, AMATO, PICCIONE, SCUVERA, BERRETTA, SENALDI, ZOGGIA, VICO, CARNEVALI, ROCCHI e GANDOLFI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da 2000 gli istituti musicali ex pareggiati (IMP), a seguito dell'entrata in vigore della legge 21 dicembre 1999, n. 508, sono stati trasformati in istituti superiori di studi musicali, al pari dei conservatori di musica statali;
   la legge n. 508 del 1999, inoltre, ha attribuito agli istituti superiori di studi musicali personalità giuridica e autonomia statutaria, didattica, scientifica oltre che amministrativa, finanziaria e contabile, riconoscendo, pertanto, agli istituti ex pareggiati il ruolo di sedi primarie di alta formazione, di specializzazione, produzione e ricerca nel settore artistico e musicale;
   pertanto, con la suddetta norma gli istituti musicali ex pareggiati rientrano, a pieno titolo, nel novero delle istituzioni di cui all'articolo 33, sesto comma, della Costituzione italiana;
   così come disposto dai regolamenti attuativi della legge n. 508 del 1999, entro l'anno 2010 tutti gli ex IMP si sono dotati di un nuovo statuto e di tutti gli organi di governo previsti nel decreto del Presidente della Repubblica n.132 del 2003 ed hanno portato a compimento il processo di trasformazione dell'ordinamento didattico regolamentato nel decreto del Presidente della Repubblica n. 212 del 2005;
   con i sopra citati adeguamenti, da parte degli istituti musicali ex pareggiati, si è di fatto prodotta sul piano giuridico ed organizzativo una equiparazione ai conservatori statali italiani;
   sulla base di quanto sopra affermato gli ex istituti pareggiati sono confluiti nell'unica tipologia degli istituti superiori di studi musicali riconosciuti appieno nel circuito universitario europeo;
   ad oggi permane un'unica differenza tra gli ex conservatori statali e gli ex istituti musicali pareggiati, ovvero quella di essere finanziati da enti diversi, in quanto, i conservatori sono finanziati direttamente dallo Stato, mentre gli istituti musicali ex pareggiati, anche se hanno modificato la loro natura ed il loro status giuridico, continuano ad essere finanziati esclusivamente dagli enti locali;
   in vero, la legge n. 508 del 1999 prevede la possibilità di una statizzazione degli ex IMP ed alcuni passi sono stati fatti di recente in questa direzione;
   infatti, il tavolo tecnico nazionale, istituito dal precedente Governo, ha definito la predisposizione di un piano nazionale di riordino dell'alta formazione che preveda e regolamenti la statizzazione degli ex IMP;
   a tutt'oggi non si capisce per quale motivo la suddetta statizzazione prevista da una norma dello Stato non sia stata, di fatto, completata cagionando il rischio di chiusura per decine di istituti;
   inoltre, come più volte fatto rilevare, dalla interrogante, in altri atti parlamentari, la sentenza del 21 gennaio 2014 emessa dal TAR del Lazio ha sancito l'effettiva statizzazione dell'istituto musicale provinciale di Teramo e costituisce un precedente giuridico che non solo rafforza quanto previsto dalle norme dello Stato ma che va nella piena direzione della statizzazione;
   da quanto, fin qui, affermato si evince che non vi sono più le ragioni per non garantire il pieno diritto alla statizzazione anche per gli altri istituti musicali presenti in tutto il territorio nazionale, a cominciare dall'istituto «Toscanini» di Ribera e dagli istituti musicali di Catania e Caltanissetta;
   la situazione finanziaria nella quale versano oggi gli enti locali italiani e l'evoluzione del panorama normativo che li riguarda, rendono impossibile immaginare che detti enti possano continuare a sostenerne l'onere finanziario, ponendo in prospettiva immediata un problema di sopravvivenza;
   inoltre, la trasformazione delle province in liberi consorzi, in alcune regioni, come ad esempio la Sicilia non si è ancora conclusa e tale mancanza non rende possibile l'erogazione del finanziamento necessario a continuare a garantire strutture di altissima qualità formativa come gli istituti musicali;
   la chiusura degli ex istituti musicali pareggiati costituirebbe la perdita di un pezzo importante del patrimonio musicale e culturale italiano, principale elemento di identità dell'Italia riconosciuti nel mondo, un grave danno per tutti i giovani che saranno privati di una preziosa opportunità formativa nel loro territorio;
   attualmente gli istituti musicali ex pareggiati in attesa di statizzazione sono, sul territorio nazionale, ben diciotto;
   una loro chiusura rappresenterebbe una vera e propria negazione del diritto allo studio per migliaia di studenti che hanno investito sul loro futuro e sulla loro formazione culturale ed artistica –:
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative per portare a compimento l’iter per la statizzazione degli istituti musicali ex pareggiati e se  non intenda procedere – stanziando ulteriore risorse – alla definizione di quanto disposto dalla normativa vigente, dando seguito al pronunciamento del TAR del Lazio con la sentenza del 21 gennaio 2014. (4-12320)


   VARGIU, GALGANO, MATARRESE, VEZZALI e D'AGOSTINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'editorialista del Corriere della Sera e professore universitario, Angelo Panebianco è stato oggetto di due distinti episodi di violenza da parte di un gruppo di contestatori che ha cercato di impedirgli di svolgere la propria lezione, presso la facoltà di scienze politiche dell'università di Bologna;
   il dissenso dei contestatori sarebbe stato generato proprio da un editoriale pubblicato dal Corriere della Sera, nel contesto del quale Panebianco aveva espresso le sue valutazioni sul ruolo dell'Italia nell'attuale crisi libica;
   tali considerazioni sono state considerate espressione di cultura «guerrafondaia» e hanno scatenato la violenza dei dissenzienti;
   la reazione più orgogliosa in difesa del professor Panebianco sembrerebbe essere stata quella dei suoi stessi studenti, che avrebbero isolato i violenti, allontanandoli dalle aule universitarie;
   le manifestazioni violente del dissenso sono totalmente estranee alla cultura liberale, di cui Panebianco è sempre stato fiero e dialogante testimone, ma anche alle leggi dello Stato italiano che ha le proprie radici fondanti nella certezza della garanzia e della tutela della libertà di espressione;
   la garanzia di libertà di espressione e la difesa del diritto di opinione, che vale per ciascun cittadino italiano, appare ancora più rilevante per chi esercita ruoli comunicativi e didattici, come il professor Panebianco;
   la difesa dei valori fondanti di libertà e di tolleranza della diversità, propri della cultura liberale e della democrazia italiana, non può avvenire con deroghe e omissioni da parte delle Istituzioni che diventerebbero, inevitabilmente, vischiose complicità con i violenti;
   per quanto consta all'interrogante, sembra che uno dei collettivi studenteschi responsabili della inaudita violenza contro il professor Panebianco occupi abusivamente da lungo tempo un locale di proprietà dell'Ateneo, senza che le autorità accademiche ne abbiano denunciato l'occupazione –:
   quali iniziative di competenza intendano porre in essere per garantire la libertà di espressione e il diritto di opinione che, nel caso del professor Panebianco, sono stati violati per ben due volte consecutive, con grave lesione delle libertà individuali, ma più ancora, secondo gli interroganti, con un inquietante messaggio di inerzia da parte delle istituzioni, che non sono riuscite ancora a garantire un'adeguata tutela di Panebianco e la doverosa punizione dei violenti;
   se risponda al vero la notizia secondo cui gli artefici della violenza godrebbero dell'uso abusivo di locali «occupati» dell'università di Bologna, senza che vi sia alcuna significativa reazione da parte delle autorità accademiche. (4-12331)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIPRINI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO e LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 7 marzo 2016 sarà trascorso un anno dall'entrata in vigore del decreto legislativo n. 23 del 2015 che ha introdotto il contratto a tutele crescenti per i dipendenti assunti a partire dal 7 marzo 2015;
   è noto che il contratto a tutele crescenti, lungi dall'innalzare le tutele del dipendente, ha abrogato l'articolo 18 della legge n. 300 del 1970 (cosiddetto statuto dei lavoratori) eliminando il diritto del lavoratore illegittimamente licenziato dal datore di lavoro di ottenere la reintegra sul posto di lavoro e ancorando la tutela contro il licenziamento ad un mero indennizzo economico;
   le disposizioni sui licenziamenti facevano supporre, e prospettavano, un robusto intervento di politiche attive del lavoro, per realizzare quel circolo virtuoso di cosiddetta flexsecurity che avrebbe consentito alla persona che perde il lavoro di essere coperta economicamente da un forte e moderno ammortizzatore sociale, nel mentre veniva presa in carico da un efficace sistema di politiche attive che la traghettasse verso un'altra occupazione;
   ad una maggiore flessibilità in uscita dal posto di lavoro (ovvero licenziamenti più facili) avrebbe dovuto, nelle intenzioni della riforma, corrispondere la creazione di strumenti efficienti e rapidi a tutela del dipendente espulso dal mondo del lavoro affinché gli fosse consentito il reperimento di una nuova occupazione;
   il decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, in tema di riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive è entrato in vigore il 24 settembre 2015 e ha previsto l'istituzione di una rete nazionale dei servizi per le politiche del lavoro, coordinata dalla nuova Agenzia nazionale per le politiche attive del Lavoro (ANPAL); in essa confluiranno le strutture regionali per le politiche attive del lavoro, l'INPS, l'INAIL, le agenzie per il lavoro (insieme gli altri soggetti autorizzati all'attività di intermediazione, gli enti di formazione, Italia Lavoro, l'ISFOL, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, le università e gli altri istituti di scuola secondaria di secondo grado);
   all'Anpal sarà assegnata l'istituzione di un albo nazionale dei soggetti accreditati a svolgere funzioni in materia di politiche attive del lavoro, di un Sistema informativo delle politiche del lavoro e il fascicolo elettronico del lavoratore, in cui vengono iscritte le agenzie per il lavoro e le agenzie che intendono operare nel territorio delle regioni che non abbiano istituito un proprio regime di accreditamento;
   anche il post lavoro viene trattato dal decreto e per i lavoratori che debbono inserirsi o reinserirsi nel mercato del lavoro il decreto prevede che il Ministero del lavoro stipuli con ogni regione e con le province autonome una convenzione per la gestione dei servizi, prevedendo, in via transitoria, che i compiti, le funzioni e gli obblighi in materia di politiche attive del lavoro siano attribuiti a soggetti pubblici o privati accreditati, anche al fine di svolgere, nei confronti dei disoccupati e dei soggetti a rischio di disoccupazione, attività di orientamento, ausilio, avviamento alla formazione e accompagnamento al lavoro;
   i lavoratori a rischio di disoccupazione verranno assegnati ad una classe di profilazione (ovvero saranno definiti all'interno di un target specifico), allo scopo di valutarne il livello di occupabilità e saranno convocati dai centri per l'impiego per la stipula del patto di servizio personalizzato, che in questo caso dovrà inoltre riportare la disponibilità del richiedente a partecipare a iniziative di carattere formativo, di riqualificazione o di politica attiva e ad accettare congrue offerte di lavoro;
   la novità è la nascita dell'assegno di ricollocazione, a favore dei soggetti disoccupati, percettori della nuova prestazione di assicurazione sociale per l'impiego (NASpi), la cui disoccupazione ecceda i quattro mesi. La somma, graduata in funzione del profilo di occupabilità, sarà spendibile presso centri per l'impiego o presso i soggetti accreditati a svolgere funzioni e compiti in materia di politiche attive del lavoro;
   tuttavia, molte norme del suddetto decreto in materia di politiche attive del lavoro sono a tutt'oggi rimaste ancora sulla carta, nonostante l'entrata in vigore del contratto a tutele crescenti e, cioè, licenziamenti più facili già dal 7 marzo 2015;
   la realtà dei fatti è altra: come rivela Francesco Nespoli (bollettino Adapt del 14 gennaio 2016) il Job act «nella sua foga riformista mette il carro della flessibilità davanti ai buoi della sicurezza, creando il rischio che la prima si manifesti molto prima che la seconda possa contenerne gli effetti negativi»;
   il ritardo nella creazione di idonee misure di politica attiva del lavoro e del tanto conclamato ricollocamento assistito, anche tramite i centri per l'impiego, sta creando un vuoto che porta ad un sostanziale abbandono del disoccupato o del dipendente espulso dal mondo del lavoro che non trova nessuna delle misure previste;
   eppure il Presidente del Consiglio durante la conferenza stampa del 20 febbraio 2015, annunciando l'avvento della rivoluzione copernicana dei contratti e la fine della precarietà, affermava: «Nessuno sarà più lasciato solo»;
   in un articolo apparso su IlSole24Ore del 6 dicembre 2015 si chiede: «Siete entrati oggi in un Centro pubblico per l'impiego ? Chi, purtroppo, ha perso il lavoro e lo ha fatto non ha ancora trovato le novità annunciate dal Job act, e cioè meno file agli sportelli e un moderno sistema di accompagnamento attivo alla ricerca di un'altra occupazione, anche grazie al contributo di imprese e agenzie private per il lavoro. Fatta eccezione per pochissime realtà territoriali che da anni sperimentano politiche attive all'avanguardia, come per esempio regione Lombardia con la Dote unica lavoro, da Nord e a Sud Italia le misure contenute nel decreto legislativo n. 150, in vigore dallo scorso 24 settembre, sono finora rimaste sulla carta (mentre sono partite sia le tutele crescenti sia il riordino degli ammortizzatori e dei sussidi)»;
   inadeguate appaiono, a parere degli interroganti, sia le misure organizzative che le risorse messe a disposizione dei servizi pubblici per l'impiego: il decreto n. 150 del 2015 riconosce agli stessi un peso specifico rilevante, visto che è attraverso tali centri che si avvia la procedura di politica attiva;
   nel 2014, stando ai dati dell'Inps, hanno usufruito delle misure pubbliche che aiutano a trovare un'occupazione 936.640 persone: il 5,2 per cento in meno rispetto al 2013 e il 21 per cento in meno rispetto al 2010;
   come riportato da IlFattoQuotidiano del 30 novembre 2015 e rilevato da Giovanni Alleva, presidente dell'Istat, in audizione al Senato: «Nel 2013, l'Italia ha speso lo 0,03 per cento del Pil in servizi per il lavoro rispetto allo 0,36 per cento della Germania, allo 0,25 per cento della Francia (dato al 2012) e allo 0,08 per cento della Spagna (dato al 2012). In termini di spesa per disoccupato e forze lavoro potenziali, si va dai circa 2.800 euro pro-capite spesi dalla Germania, ai 1.500 della Francia, ai 122 della Spagna e gli 84 dell'Italia (dati 2012)»;
   il rapporto tra disoccupati e operatori è in Italia di un addetto ai front office per ogni 254 utenti: in Germania di 1 a 26; in Gran Bretagna il rapporto tra operatori e utenti, è di uno ogni 20 disoccupati; in Francia di 1 a 65 (Commissione europea: PES Performance measurement system e PES fiches 2014);
   il problema del personale addetto ai servizi pubblici per l'impiego (tra l'altro, interessato anche dalla «riforma Delrio») non è solo quantitativo: è il grado di istruzione dei dipendenti, davvero modesto: dal rapporto di monitoraggio del dicembre 2013 emerge che delle persone che dovrebbero prendersi in carico i disoccupati e portarli, con competenza e professionalità, a trovare un nuovo lavoro, solo una su quattro ha la laurea. La stragrande maggioranza (57,1 per cento) si ferma al diploma, e un numero impressionante (15,8 per cento) ha solamente la licenza media. Dal punto di vista dell'inquadramento contrattuale l'88,2 per cento dei dipendenti dei centri per l'impiego è inserito con un contratto a tempo indeterminato; un dato però molto variegato da regione a regione: si va dalla Sicilia, dove il 99,6 per cento degli impiegati ha il posto fisso, al Molise dove questa tipologia contrattuale riguarda appena il 61,7 per cento del personale;
   inoltre, il recente disegno di legge sul lavoro autonomo ha previsto la creazione di uno sportello anche per i lavoratori autonomi così ampliando la platea degli utenti che si rivolgeranno ai centri per l'impiego;
   a ciò si aggiunga l'incertezza normativa e contrattuale che sta vivendo il personale destinato ai servizi pubblici interessati dalla cosiddetta riforma Delrio: recentemente ad esempio, i dipendenti dei servizi per l'impiego della provincia di Perugia convocati in assemblea dalla rappresentanza sindacale unitaria hanno posto in evidenza il disagio riscontrato nelle attività quotidiane rivolte a centinaia di dipendenti;
   critica è anche la sostenibilità economica: il 30 luglio 2015 è stato siglato tra Governo e regioni un accordo quadro sulla gestione della fase transitoria connessa all'attuazione del decreto legislativo in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive del lavoro; l'accordo, oltre a sancire la ripartizione delle competenze in materia di politiche attive del lavoro tra Governo, regioni e istituenda Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL), allo scopo di garantire la continuità di funzionamento dei centri per l'impiego, Governo e regioni si impegnano a reperire le risorse necessarie per coprire i costi del personale a tempo indeterminato nel periodo 2015-2016, nella proporzione di due terzi a carico del Governo e di un terzo a carico delle regioni prevedendo una verifica alla data del 30 giugno 2016 sullo stato di attuazione dell'accordo;
   secondo Alessandro Rosina, professore di demografia e statistica sociale all'università Cattolica di Milano, coordinatore dell'indagine rapporto giovani, «L'asse portante delle politiche attive sono i servizi per l'impiego. Ma il problema è che in Italia sono caratterizzati da bassa copertura del territorio, bassa qualità e scarsi investimenti» (IlFattoQuotidiano del 30 novembre 2015);
   nel Regno Unito i dipendenti dei centri per l'impiego sono 70 mila e si spendono per questi servizi più di 5 miliardi di euro all'anno;
   è evidente, a parere degli interroganti, il gap tra le risorse umane, funzionali, organizzative e finanziarie stanziate per i servizi e centri per l'impiego e gli obiettivi prefissi dalla riforma che a tutt'oggi non assicura adeguate politiche attive per il disoccupato o il lavoratore espulso dal mercato del lavoro e l'urgenza di intervenire –:
   come intenda il Governo in tempi celeri e certi attuare e gestire efficaci servizi pubblici per il lavoro e di politiche attive in presenza di stanziamenti, risorse finanziarie ed investimenti — anche di natura tecnologica — assai risicati e incerti e di personale deputato ai servizi per l'impiego ad oggi insufficiente e scarsamente formato ai nuovi compiti di ricollocazione di lavoratori disoccupati o espulsi dal mondo del lavoro con la neoistituita Anpal, che andrebbe a svolgere le molteplice funzioni e gli adempimenti fino ad oggi svolti dalle strutture regionali per le politiche attive del lavoro e numerosi enti con l'effetto di indebolire le strutture pubbliche deputate ai servizi per l'impiego a tutto vantaggio delle agenzie private per il lavoro. (5-07959)


   GIAMPAOLO GALLI, BARUFFI, CAUSI, COLANINNO, DELL'ARINGA, CINZIA MARIA FONTANA, GIACOBBE, GNECCHI, INCERTI, PATRIZIA MAESTRI, MARCHI, MISIANI, PARRINI, PETRINI, SIMONI, TABACCI e TINAGLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge 24 dicembre 2007, n. 247, all'articolo 1, comma 67, secondo periodo, ha istituito, dal 1o gennaio 2008, nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, un fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello, con dotazione finanziaria pari a 650 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008-2010;
   ai sensi dei commi 67 e 68 del richiamato articolo 1, è concesso, nel limite delle risorse del predetto fondo, a domanda delle imprese, uno sgravio contributivo, relativo alla quota di retribuzione imponibile di cui all'articolo 12, terzo comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153, costituita dalle erogazioni previste dai contratti collettivi aziendali e territoriali, ovvero di secondo livello, delle quali siano incerti la corresponsione o l'ammontare e la cui struttura sia correlata dal contratto collettivo medesimo alla misurazione di incrementi di produttività, qualità e altri elementi di competitività assunti come indicatori dell'andamento economico dell'impresa e dei suoi risultati;
   a fronte della conferma dello strumento tramite legge di stabilità per il biennio 2011-2012, tale agevolazione fiscale, ai sensi dell'articolo 4 della legge 28 giugno 2012, n. 92, è stata resa strutturale a decorrere dal 2012, assicurando la dotazione annuale di 650 milioni di euro;
   successive misure – l'articolo 1, commi 249 e 254, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, l'articolo 4, comma 1, lettera a), del decreto-legge 21 maggio 2013, n. 54, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 2013, n. 85, l'articolo 15, comma 3, lettera c), del decreto-legge 31 agosto 2013, 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124 – hanno però gradualmente ridotto la dotazione annuale del fondo e, in particolare, destinato interamente ad altre finalità lo stanziamento per l'anno di competenza 2013;
   il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, all'articolo 10, comma 2, ha quindi introdotto, a decorrere dall'anno 2014, un nuovo meccanismo di copertura dello strumento, stabilendo che le risorse del richiamato fondo fossero riferite allo sgravio contributivo da riconoscere con riferimento alle quote di retribuzione corrisposte nell'anno precedente;
   lo stanziamento previsto per il 2015, nel limite complessivo annuo di 391 milioni di euro, come individuato dal decreto ministeriale 8 aprile 2015 a seguito dei diversi interventi di riduzione delle risorse del fondo (da ultimo all'articolo 1, comma 313, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, legge di stabilità per il 2015) ha dunque finanziato la decontribuzione sui premi erogati nel 2014 e lo stanziamento per il 2016, da individuare nell'anno in corso, dovrebbe finanziare la decontribuzione sui premi erogati nel 2015;
   la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità per il 2016) ha introdotto, all'articolo 1, comma 182, a regime e a decorrere dal periodo d'imposta 2016, la detassazione del salario di produttività, con imposta del 10 per cento sostitutiva di IRPEF e addizionali sui premi di risultato di ammontare variabile, la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione;
   la parziale copertura degli oneri recati da tale nuovo strumento è garantita, ai sensi dell'articolo 1, comma 191, della citata legge 28 dicembre 2015, n. 208, dalle risorse del fondo per gli sgravi contributivi per 334,7 milioni di euro nel 2016, 325,8 milioni di euro nel 2017, 320,4 milioni di euro nel 2018, 344 milioni di euro nel 2019, 329 milioni di euro nel 2020, 310 milioni di euro nel 2021 e 293 milioni di euro a decorrere dal 2022;
   lo stanziamento relativo al fondo per gli sgravi contributivi è stato, in tal modo, interamente destinato al nuovo strumento della detassazione di cui alla legge di stabilità per il 2016 –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo al fine di rispondere alle legittime aspettative delle aziende riguardo all'ammissione allo sgravio contributivo previsto ai sensi dell'articolo 1, commi 67 e 68, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, con particolare riferimento alle somme corrisposte nel 2015. (5-07960)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIPRINI, TRIPIEDI, COMINARDI, CHIMIENTI, LOMBARDI e DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la società «InterContinental Hotel Italia S.r.l.» gestisce, per conto della società Delaville s.r.l., giusto contratto di management stipulato tra le due società nel settembre 2006, un'attività alberghiera in Roma, presso la via Sistina, n. 69, denominata «Hotel Intercontinental Delaville Roma»;
   la società Delaville s.r.l., quindi, è titolare dell'attività aziendale svolta nel predetto albergo, in forza di contratto di affitto dell'immobile dove è ubicato l'albergo, stipulato con la società Reale Immobili S.p.A., proprietaria del predetto fabbricato;
   l'hotel Intercontinental Delaville Roma rappresenta una realtà aziendale di notevole rilievo nell'ambito dell'attività ricettive/turistiche della Capitale. Infatti, oltre alla posizione geografica in cui esso insiste (sopra piazza di Spagna), può vantare, forte delle 5 stelle riconosciute, un'alta competenza e grande professionalità dei lavoratori che operano all'interno della struttura;
   in data 31 dicembre 2013 è scaduto il contratto di affitto dell'immobile in cui viene esercitata l'attività alberghiera in questione, senza che, nonostante i ripetuti incontri tra le rispettive rappresentanze delle società interessate, si sia trovato un accordo;
   in particolare, emerge che probabilmente i motivi del disaccordo possano essere riconducibili alla mancanza di un'intesa per la ristrutturazione del fabbricato di proprietà della società Reale immobili s.p.a. abbisognoso di un'opera di importante restauro;
   alla luce del mancato accordo, la società Delaville s.r.l. ha dovuto avviare la procedura di chiusura dell'attività per restituire il fabbricato alla Reale immobili s.p.a. libero da persone e sgombero da mobili ed attrezzature, come previsto dal contratto di affitto;
   pertanto, in data 11 gennaio 2016 è stato, in applicazione degli articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991, comunicato da parte della società Delaville s.r.l. alla direzione regionale formazione e politiche del lavoro, all'agenzia Lazio lavoro e a tutte le rappresentanze sindacali interessate, la propria intenzione di procedere ad una riduzione collettiva di tutto il personale assunto nell'albergo in questione;
   ad avviso degli interroganti la chiusura del complesso aziendale ivi descritto, ove non venga assicurata, eventualmente con altra azienda, la continuità dell'attività aziendale, comporterebbe, quindi, il necessario licenziamento collettivo di tutti lavoratori attualmente occupati, ora pari a n. 132 persone. Si capisce perfettamente, in considerazione dell'importante numero di persone occupate nell'albergo, che, ove non si riesca a trovare in tempi stretti e ragionevoli un accordo per il rinnovo del contratto di affitto e/o una soluzione per la continuità aziendale, andrebbero persi tutti i posti di lavoro indicati, con dispersione di un patrimonio economico e di conoscenze di notevole rilievo;
   l'impatto sociale in considerazione del numero di persone occupate — alcune da più di 30 anni — assumerebbe proporzioni preoccupanti, sia in termini di posti di lavoro persi che in riferimento al patrimonio di conoscenze e di esperienze che sono in grado di offrire i suddetti lavoratori;
   alla luce delle argomentazioni affrontate, sarebbe necessario favorire un tavolo di trattativa tra le parti interessate allo scopo di addivenire alla risoluzione della problematica, nel rispetto del superiore interesse dei lavoratori a mantenere la propria occupazione –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione descritta;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro al fine di favorire un proficuo incontro tra i soggetti interessati, soprattutto allo scopo di garantire la conservazione dei posti di lavoro di tutti i dipendenti dell'hotel Intercontinental Delaville Roma coinvolti;
   se non ritenga doveroso, nell'ipotesi vi siano i presupposti, assumere ogni iniziativa di competenza per assicurare la continuità aziendale dei lavoratori dell'hotel, anche con altro soggetto giuridico eventualmente subentrante nella medesima posizione giuridica dell'attuale affittuario dell'hotel Intercontinental Delaville Roma. (4-12316)


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Brioni di Penne (Pescara) ha annunciato 400 esuberi sul totale dei suoi 1250 dipendenti distribuiti nei 3 stabilimenti dell'area vestina;
   si tratta di una crisi annunciata e su cui mesi fa l'interrogante aveva chiesto con un'interrogazione specifica un intervento del Governo che affiancasse il lavoro che stava svolgendo con le parti sociali la regione Abruzzo;
   a tale interrogazione il Governo non ha dato risposta; esso non ha affrontato per tempo il problema chiamando la proprietà francese a discutere dei suoi problemi di mercato al fine di dare eventualmente un contributo nel merito delle questioni;
   sindacati dei lavoratori, comune di Penne e regione Abruzzo sono stati lasciati soli nel confronto con questa multinazionale francese che ha raccolto una delle realtà più importanti dell'alta moda sartoriale italiana che ha vestito tanti Capi di Stato e personaggi del mondo del cinema negli anni passati;
   investimenti sbagliati, scelte industriali diverse dalla sua tradizione artigianale, mercati saltati come quello russo a seguito di eventi politici internazionali, improvvisazioni manageriali hanno determinato una grave crisi produttiva della Brioni che ora dovrebbe essere pagata dalle lavoratrici e dai lavoratori con ben 400 esuberi, una mazzata insostenibile per l'economia pescarese ed abruzzese attraversata da profonde crisi industriali –:
   quali iniziative intendano assumere per affrontare questa crisi industriale, di concerto con le istituzioni abruzzesi, attivando un tavolo di confronto nazionale con la proprietà e le organizzazioni sindacali per individuare percorsi non traumatici dal punto di vista occupazionale e un futuro produttivo di rilancio all'altezza della storia di una grande azienda come la Brioni. (4-12322)


   TAGLIALATELA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di luglio del 2009 fu sottoscritta, presso la prefettura di Napoli, una intesa interistituzionale tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la regione Campania, la provincia e il comune di Napoli, attraverso la quale venivano stanziati 20 milioni di euro: 10 milioni finanziati dal Governo ed altri 10 stanziati dalla regione;
   l'intesa aveva quale obiettivo quello di realizzare azioni dirette all'avviamento al lavoro della platea di disoccupati di lunga durata) già destinatari in passato di interventi per la riqualificazione delle proprie competenze attraverso i progetti Isola e Bros;
   la totale assenza di progetti avviati da parte della regione Campania ha determinato la circostanza per cui la gran parte dei fondi (12,5 milioni di euro) siano stati spesi e trasformati in sostegno al reddito per gli ex corsisti e per il rilascio del libretto formativo che, comunque, non rispondeva ai criteri definiti in sede di intesa interistituzionale;
   successivamente, la giunta regionale della Campania, con proprio atto deliberativo, ha previsto, nel piano regionale straordinario per il lavoro, una misura dedicata ai cosiddetti «precari Bros», con una copertura finanziaria di 10 milioni di euro di fondi regionali;
   la misura di cui trattasi fu recepita nel bando «Più sviluppo più lavoro» ed in particolare della linea di intervento 1, esplicitamente dedicata a questo bacino, in quanto riconosciuto dalle convenzioni del 26 giugno 2006 e del 14 aprile 2008 (tra Ministero del lavoro e delle politiche sociali, regione Campania, provincia e comune di Napoli), ai sensi della deliberazione della giunta regionale n. 342 del 29 febbraio 2008;
   il comune di Napoli e la provincia di Napoli, a seguito di un confronto, hanno elaborato linee di intervento per avviare progetti occupazionali per i lavoratori Bros che, nel frattempo, hanno ottenuto di poter avere una qualificazione nel settore ambientale, attraverso work experience effettuate in collaborazione con imprese operanti nel settore ambientale;
   il percorso di definizione dei progetti fu sospeso per la decisione della precedente amministrazione regionale di puntare esclusivamente sul bando «Più sviluppo più lavoro» per la collocazione dei lavoratori del progetto Bros;
   oggi, il comune di Napoli, alimentando notevoli aspettative, ha ripreso in considerazione quei progetti, focalizzando la propria attenzione in particolare sul settore della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti speciali per avviare al lavoro la platea dei soggetti coinvolti nel progetto Bros;
   tale scelta presuppone la possibilità effettiva di poter utilizzare le risorse residue della predetta intesa interistituzionale del luglio 2009, pari a circa 7,5 milioni di euro non ancora trasferiti alla regione Campania, fondi finalizzati al sostegno all'occupazione di coloro che sono inseriti nel progetto Bros;
   se siano ancora effettivamente disponibili i fondi statali di cui in premessa che risulterebbero non ancora trasferiti alla regione Campania e finalizzati all'occupazione dei soggetti interessati dal progetto Bros, il cui trasferimento fu sancito dalla già citata intesa interistituzionale del luglio 2009. (4-12323)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   CALABRÒ. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il servizio di continuità assistenziale (ex guardia medica) è parte integrante del sistema sanitario nazionale e garantisce la continuità dell'assistenza medica al termine dell'orario di servizio dei medici di famiglia e dei pediatri;
   esso costituisce un servizio pubblico a basso impatto economico, strategico e indispensabile per l'intera collettività capace di garantire assistenza sanitaria continuativa in realtà geografiche eterogene per territorio e densità di popolazione e assume le caratteristiche di filtro tra cittadino e strutture territoriali di I e II livello garantendo il mantenimento dello stato di salute del cittadino;
   le modalità di erogazione al servizio, i compiti e gli orari sono normati dall'Accordo collettivo nazionale del 29 luglio 2009 e dall'Accordo integrativo regionale per la continuità assistenziale D.A. 6 ottobre 2010 del Garante ufficiale della regione siciliana n. 45 del 15 ottobre 2010);
   nonostante la regolamentazione dell'accordo integrativo aziendale e dell'Accordo collettivo nazionale attualmente si è dinanzi ad un sistema che non tutela adeguatamente il personale di continuità assistenziale;
   i numerosi casi di violenza ed aggressione rendono il servizio di guardia medica un lavoro molto pericoloso, al punto che gli addetti sono costretti a chiedere provvedimenti urgenti al Ministro dell'interno per tutelare l'incolumità del medico di continuità assistenziale durante il servizio;
   i medici del servizio di continuità assistenziale (ex guardia medica) spesso sono sottoposti a turni sfiancanti ed a lavoro usurante, ricevono una paga del tutto insufficiente, non si vedono riconosciute ferie e periodi di malattia, sono continuamente esposti al rischio di aggressione, non si vedono riconosciuti i diritti previdenziali e prestano il loro servizio in sedi non conformi al decreto legislativo n. 81 del 2008 –:
   quali iniziative urgenti intendano assumere allo scopo di assicurare la sicurezza nei luoghi di lavoro normati dal decreto legislativo n. 81 del 2008 e dall'Accordo collettivo nazionale del 2009, agli articoli 8 e 8-bis;
   se non sia opportuno, per quanto di competenza, promuovere l'apertura di un tavolo di confronto allo scopo di individuare i provvedimenti necessari per garantire una maggiore tutela dei diritti previdenziali dei medici del servizio di continuità assistenziale. (3-02076)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XII Commissione:


   FUCCI e BORGHESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi della disposizione contenuta nell'articolo 15, comma 13, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, volto a razionalizzare la spesa sanitaria si prevede, su tutto il territorio nazionale, la riduzione dei posti letto all'interno dei presidi ospedalieri;
   ai sensi del decreto ministeriale 70 del 2015 dettante il regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera, spetta alle regioni adottare il provvedimento generale di programmazione di riduzione della dotazione dei posti letto ospedalieri accreditati ed effettivamente a carico del servizio sanitario regionale, ad un livello non superiore a 3,7 posti letto per mille abitanti;
   la programmazione relativa alla provincia BAT presenta, in proporzione, un numero di posti letto (pubblico/privato) inferiore sia rispetto alle altre province pugliesi, sia rispetto allo standard regionale massimo programmabile (popolazione pesata con correttivo della mobilità) che per la Puglia è pari al 3,59 per mille abitanti, essendo la BAT pari a circa il 2.2 per mille abitanti;
   dall'anno 2011 sono chiusi gli ospedali di Minervino Murge e di Spinazzola e, a seguito dei successivi Piani di rientro/riordino, sono stati chiusi o riconvertiti anche gli ospedali di Canosa di Puglia e di Trani con la cancellazione di reparti, posti letto e servizi, a danno dei residenti bisognevoli di cure sanitarie;
   l'accorpamento e la rimodulazione di reparti o, addirittura, di ospedali rischia di avere un impatto negativo sul livello essenziale delle prestazioni causando l'impossibilità per i cittadini di usufruire dei servizi della sanità pubblica;
   proprio per far fronte a queste esigenze, la giunta regionale con delibera n. 1725 del 2012, approvava: «(omissis) la realizzazione del nuovo Ospedale nella ASL BT, denominato – nuovo Ospedale di Andria – a servizio dei Comuni dei distretti sociosanitari di Andria, di Canosa e, in parte, di Trani e Corato»;
   ad oggi mancano ancora i finanziamenti per la costruzione del nuovo e tanto necessario ospedale di Andria –:
   quali iniziative, nel rispetto delle competenze delle regioni e degli enti locali in materia di gestione sanitaria ma al tempo stesso nell'ottica di garantire un'uniforme applicazione del regolamento ministeriale e il rispetto dei livelli essenziali di assistenza su tutto il territorio nazionale, reputi opportuno promuovere in merito a quanto esposto in premessa. (5-07979)


   NIZZI e FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 2, del decreto del Ministro della salute 2 aprile 2015, n. 70, stabilisce che la programmazione regionale del fabbisogno della rete dei posti letto ospedaliera per acuti è redatta dalla regione entro tre mesi dall'entrata in vigore del medesimo decreto, la quale provvede ad adottare un «provvedimento generale di programmazione», che abbia valenza per l'intero sistema sanitario regionale sia pubblico che privato;
   la regione Abruzzo ha adottato una delibera, la n. 4 del 2016 con la quale ha stabilito il trasferimento di posti letto dall'ex Villa Pini d'Abruzzo (Casa di Cura Santa Camilla S.p.a) alla Casa di Cura Privata «Villa Serena» e Synergo s.r.l. Casa di Cura, ad avviso degli interroganti in contrasto con l'articolo 1 del decreto n. 70 del 2015, ma anche delle delibera regionale n. 45 del 2010, citata nel decreto n. 4 del 2016, che stabilisce che il fabbisogno di posti letto è fissato per singola Asl sia per il pubblico che per il privato; invece questo trasferimento è avvenuto tra Asl diverse;
   la delibera n. 4 del 2016 e in ulteriore contrasto con il decreto ministeriale n. 70 del 2015 il quale, al punto 2.5 dell'allegato 1 stabilisce che le strutture abbiano un numero di posti letto non inferiore a 60 per acuti e che, per le strutture che non raggiungano tale numero, si favoriscano i processi di fusione attraverso la costituzione di un unico soggetto giuridico, da realizzarsi entro il 30 settembre 2016; la regione Abruzzo, con tale decreto, anziché procedere in tal senso ha diviso tra diversi soggetti giuridici (Casa di Cura Privata «Villa Serena» e Synergo s.r.l. Casa di Cura), la struttura ex Villa Pini d'Abruzzo (Casa di Cura Santa Camilla S.p.a);
   con la delibera regionale n. 4 del 2016 viene disposta solo la cessione dei posti dell'ex Villa Pini d'Abruzzo e nulla viene disposto in merito al passaggio di posti letto alla casa di cura privata Pierangeli dalla casa di cura privata «Spatocco», la quale non rispettando più i parametri dettati dal decreto n. 70 del 2015, al 31 dicembre 2016 dovrà essere chiusa, favorendo presumibilmente il trasferimento di tutti i restanti posti letto alla casa di cura privata Pierangeli, ancora una volta tra Asl diverse;
   il decreto ministeriale n. 70 del 2015 prevede, inoltre, che il 25 per cento dei posti letto siano destinati al day hospital; anche tale disposizione, a giudizio degli interroganti, è stata disattesa dalla delibera regionale n. 4 del 2016 –:
   se la delibera regionale n. 4 del 2016 sia stata trasmessa al tavolo di monitoraggio e in che data e quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo al fine di sanare quelle che appaiono agli interroganti palesi difformità del decreto n. 70 del 2015 rispetto alla normativa vigente come richiamato in premessa. (5-07980)


   LENZI, BOLOGNESI, DE MARIA, FABBRI e ZAMPA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione medica dell'Ordine dei medici di Bologna ha sospeso per 4 mesi un medico e per 6 mesi altri tre medici (ed altri 5 medici sono in attesa di sentenza) «accusati» di avere redatto procedure e istruzioni operative per regolamentare l'intervento di infermieri sulle ambulanze del 118, attribuendo al personale infermieristico compiti di diagnosi, prescrizione e somministrazione di terapie soggette a controllo del medico, dunque per avere incaricato gli infermieri di svolgere atti che la legge, a giudizio del presidente dell'Ordine, attribuisce solo ed esclusivamente ai medici;
   a far scattare l’«indagine» dell'Ordine dei medici è stato il sindacato Snami, che contro i regolamenti redatti dai colleghi medici aveva presentato sia un esposto all'Ordine dei medici che alla procura della Repubblica. A sostegno dei medici autori di quei regolamenti si sono schierati gli infermieri del Collegio Ipasvi di Bologna, che in una nota di commento alla sentenza, sottolineano come la condanna arrivi «dopo mesi di dibattiti e comunicati con i quali Simeu, Aniarti, FNC Ipasvi, Collegio di Bologna, Collegi dell'Emilia Romagna, regione Emilia Romagna evidenziavano la correttezza dei protocolli infermieristici utilizzati, basati su linee guida condivise in tutto il mondo e sulle competenze avanzate acquisite dagli infermieri che operano nell'area dell'emergenza attraverso percorsi formativi accreditati e certificati; le attività svolte, in scienza e coscienza, dagli infermieri del 118 trovano giustificazione nei bisogni dei cittadini che assistono con modalità riconosciute come le più appropriate sul piano clinico (linee guida di accreditate società scientifiche) e organizzativo (presa in carico integrate e multiprofessionale)»;
   secondo il presidente Pizza l'azione dell'Ordine dei medici non è una difesa della casta medica e del suo campo di azione ma ribadisce la necessità che le attribuzioni di nuove competenze agli infermieri siano stabilite per legge, mettendo gli infermieri nelle condizioni di compiere in sicurezza questi atti e di rispondervi in termini di responsabilità; a giudizio dell'interrogante la contemporanea sospensione, sia pure esecutivamente rinviata al giudizio della Cceps, la Commissione per gli esercenti le professioni sanitarie, dei vertici aziendali responsabili del delicato servizio dell'emergenza-urgenza per un periodo di tempo così lungo provoca in potenza seri danni all’ operatività e mette a rischio la salute, oltre ad apparire uno strumento incongruo per risolvere problematiche organizzative e attinenti al rapporto tra professioni –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della questione sopraesposta e se non ritenga necessario intervenire, nei limiti delle proprie competenze e, nel rispetto di quelle regionali, per dare attuazione al comma 566 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2015 e, in particolare per l'area dell'emergenza, e quali siano i suoi orientamenti in relazione al fatto che l'Ordine dei medici entri così pesantemente con la propria commissione disciplinare sulle competenze organizzative aziendali, a giudizio degli interroganti sostanzialmente commissariando il servizio sanitario. (5-07981)


   COLONNESE, GRILLO, BARONI, SILVIA GIORDANO, MANTERO, LOREFICE, DI VITA e DALL'OSSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia vanta il triste primato di essere il Paese europeo con maggiori parti cesarei: degli oltre 491.00 parti che avvengono ogni anno, più di 154.000 sono portati a termine con il taglio cesareo. Recenti stime dimostrano che questa pratica presenta un fattore di rischio di mortalità della madre da 2 a 4 volte superiore rispetto a quello naturale; ciononostante, i parti effettuati mediante taglio cesareo risultano in costante aumento nel nostro Paese;
   nel 2011 nessuna regione italiana sembra rispettare i parametri dell'Organizzazione mondiale della sanità, che prevede il limite massimo della percentuale dei cesarei rispetto alla totalità dei parti non superiore al 20 per cento. Quando il numero di cesarei supera il 20 per cento significa che, all'interno del sistema sanitario, vi sono dei problemi o delle inefficienze;
   la regione con più alto tasso di parti cesarei è la Campania che nel 2011 registrava una percentuale di cesarei del 62,41, seguita da Sicilia con 50,6 per cento e Puglia 46,12. Si evidenzia che la Campania ha innalzato la sua percentuale di parti cesarei a partire dal 1992, coincidente all'anno vengono introdotti i ROD (raggruppamenti omogenei di diagnosi) con i decreti legislativi 30 dicembre 1992, n. 502 e 7 dicembre 1993, n. 517. Le province che effettuano più parti cesarei sono Napoli (65,16 su 100 parti totali) e Salerno (65,84 su 100 parti totali);
   nel 2013 in Campania il tasso di parti cesarei era di 61,45, in Sicilia di 44,84 per cento e in Puglia 44,59. Non si sono evidenziati rilevanti miglioramenti rispetto alla situazione presente in Italia nel 2011;
   in Lombardia nel 2005, mediante un'educazione al parto molto accurata, una buona assistenza ostetrica e un reparto di patologia neonatale adiacente alla sala parto, si sono ottenuti buoni risultati portando la media dei cesarei alle medie europee. Ciò è stato possibile anche modificando il Diagnosis related group, il tariffario che stabilisce i rimborsi alla struttura sanitaria da parte del sistema sanitario nazionale. La modifica ha concesso di «pagare» il parto cesareo quanto quello spontaneo (mentre normalmente in Italia il primo è assai più oneroso rispetto al secondo);
   nel nostro Paese la percentuale di parti cesarei è più che triplicata da poco più dell'11,2 per cento nel 1980 a circa il 37,57 per cento nel 2011;
   diversi studi hanno evidenziato possibili comportamenti opportunistici da parte delle aziende sanitarie che possono ottenere, a parità di risultato clinico, rimborsi più elevati mediante l'uso di protocolli alternativi;
   si potrebbe, infatti, ipotizzare il reato di truffa nei confronti dello Stato quando una struttura ospedaliera o convenzionata pratica un parto cesareo non necessario, guadagnando 2.457 euro invece dei 1.139 del parto naturale;
   sarebbe opportuno trovare il sistema di diminuire la frequenza dei parti effettuati con taglio cesareo e ridurre le forti differenze regionali attualmente esistenti;
   il Ministero della salute ha fissato le linee guida per l'umanizzazione del parto e per un maggiore impegno verso il parto fisiologico e, nella speranza di contenere in tal modo l'eccessivo ricorso ai parti effettuati medianti taglio cesareo, ha definito il «Taglio cesareo: una scelta appropriata e consapevole»;
   tuttavia, queste raccomandazioni non bastano, è necessario, piuttosto, un riordinamento complessivo del sistema, un approccio integrato in cui le misure di programmazione sanitaria a livello nazionale e regionale sappiano coniugarsi con l'implementazione di iniziative di educazione e di protocolli clinico-organizzativi a livello locale –:
   come intenda realizzare, per quanto di competenza, l'approccio integrato fra misure di programmazione sanitaria a livello nazionale e regionale di cui in premessa, finalizzato a contenere l'eccessivo ricorso ai parti chirurgici limitandoli ai soli casi in cui si riscontri una oggettiva necessità di intervenire per salvaguardare la salute del bambino e/o della madre, assumendo iniziative per equiparare il costo del parto cesareo con quello del parto spontaneo e introdurre misure volte a sanzionare o penalizzare gli istituti sanitari che ricorrono eccessivamente al taglio cesareo. (5-07982)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLLETTI e NESCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 7 maggio 2014 la signora Caterina Viscomi, nel dare alla luce il suo primogenito, è entrata in coma presso l'ospedale Pugliese-Ciaccio di Catanzaro e da allora non si è più ripresa;
   secondo la consulenza tecnica di parte disposta dal pubblico ministero ed affidata ai professori Albarello e Pietropaoli, l'anestesista, dottoressa Loredana Mazzei, è stata ritenuta responsabile di un grave errore sanitario avendo assunto durante il parto cesareo un comportamento contrassegnato di imperizia e negligenza;
   alcuni mesi dopo, la Mazzei è deceduta. Esistono prove documentali che attestano come la Mazzei, da diversi anni, presentasse un quadro clinico contrassegnato da comportamenti ispirati a un misticismo esasperato, al punto che il dottor Fabrizio Gennari, primario dell'ospedale Pediatrico «Bambino Gesù» di Roma che aveva stipulato un rapporto di collaborazione con l'ospedale Pugliese-Ciaccio di Catanzaro, aveva chiesto al dottor Mario Verre, primario del reparto di rianimazione del Pugliese-Ciaccio, che la Mazzei venisse con urgenza, sollevata dall'incarico. Agli atti è emerso che nel 2012 era stato aperto un procedimento disciplinare nei confronti della Mazzei, procedimento che per motivi non chiariti è stato archiviato da Verre;
   il pubblico ministero ha chiesto al giudice delle indagini preliminari l'archiviazione del procedimento in seguito all'intervenuto decesso della Mazzei, in quanto unica responsabile di quanto accaduto. Tuttavia, il marito della signora Caterina Viscomi, il signor Paolo Lagonia, ha presentato istanza di opposizione corredata da una memoria integrativa rispetto alla richiesta di archiviazione, per due ordini di motivi. In primo luogo, l'evento si è verificato all'interno di una sala operatoria nella quale erano presenti altri quattro soggetti professionisti, tenuti a svolgere attività medico-chirurgica in équipe, cioè attività contraddistinta da costante collaborazione e interazione per il raggiungimento di un obiettivo comune (vita e integrità psicofisica della paziente). Ebbene, tali soggetti, pur potenzialmente indagabili per comportamenti anche omissivi costituenti reato, hanno rilasciato dichiarazioni che evidenziano circostanze non riscontrate nelle cartelle cliniche, a loro discarico e ad esclusivo sfavore della Mazzei, come se ella fosse stata l'unico soggetto ad avere accesso al monitor di sala operatoria e soprattutto l'unico soggetto a dover vigilare sull'andamento dell'operazione (fatto questo incontrovertibilmente negato sia dalle linee guida per la sicurezza in sala operatoria che da una copiosa e univoca giurisprudenza di legittimità). In secondo luogo, non si è adeguatamente approfondito il comportamento tenuto dai vertici dell'azienda sanitaria, nonché dal primario della rianimazione, Verre (diretto superiore della Mazzei) risultando palese che a causa delle problematiche comportamentali della Mazzei, inibirle di operare in area di emergenza già dal 2012 avrebbe dovuto rappresentare un obbligo inderogabile per il responsabile del servizio. Il contegno omissivo di Verre nonché degli altri chiamati a sospendere la Mazzei, ponendosi come antecedente causale ai fatti succeduti, si appalesa quantomeno fonte di responsabilità autonoma e correlata agli eventi, che di certo non può passare inosservata;
   in data 11 gennaio 2016, il giudice per le indagini preliminari, con ordinanza, ha rigettato la richiesta di archiviazione invitando il pubblico ministero ad un adeguato approfondimento delle indagini che dovrà avvenire entro il termine di 6 mesi;
   in data 20 gennaio 2016 il Ministero della salute – direzione ministeriale programmazione sanitaria, livelli essenziali di assistenza e principi etici del sistema – ha chiesto all'assessorato calabrese una relazione sulla vicenda accaduta a Caterina Viscomi, segnalando l'urgenza di acquisire ogni utile elemento informativo sul caso e chiedendo alla regione di verificare quanto accaduto e comunicare con sollecitudine gli esiti delle verifiche –:
   se il Ministro abbia già disposto o intenda promuovere, per quanto di competenza, un'ispezione presso l'Ospedale Pugliese-Ciaccio di Catanzaro per verificare perché non venne mai sospesa o licenziata la dottoressa Mazzei e se vi siano stati altri casi in cui il suo comportamento abbia provocato danni o decessi ai pazienti del medesimo ospedale.
(5-07964)

Interrogazione a risposta scritta:


   MICILLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 28 febbraio 2016 la testata on line internapoli.it, particolarmente seguita a Napoli e provincia, informava, mediante un comunicato stampa a firma della sigla sindacale Cobas, che, presso l'Ospedale «Antonio Cardarelli» di Napoli, la sera precedente, fosse stato distribuito per cena, un secondo piatto confezionato a base di «fesa di tacchino» riportante quale data di scadenza il 16 febbraio 2016;
   l'episodio ha suscitato preoccupazione e malcontento fra pazienti e familiari che hanno prontamente reclamato presso la direzione ospedaliera che ha provveduto a sostituire il cibo precedentemente distribuito;
   l'articolo 32 della Costituzione italiana prevede che «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività»;
   la carta europea dei diritti del malato, realizzata nel 2002 su iniziativa di Active Citizenship Network (www.activecitizenship.net), in collaborazione con 12 organizzazioni civiche dei Paesi dell'Unione, europea, di cui Cittadinanzattiva (www.cittadinanzattiva.it) per l'Italia, proclama 14 diritti dei cittadini che mirano a garantire la protezione della salute umana assicurando l'elevata qualità dei servizi erogati dai diversi sistemi sanitari nazionali in Europa; tra l'altro si prevede che «ad ogni individuo devono essere garantiti i seguenti diritti: ad accedere a servizi sanitari di alta qualità» e «ad essere sottoposto a trattamenti sanitari che garantiscano elevati standard di sicurezza»;
   l'alimentazione è alla base del benessere fisico e psichico di un individuo ed è indispensabile al suo sostentamento, indi mantenimento;
   i cibi somministrati devono essere dunque di qualità indiscutibile, sottoposti ad esami periodici per scongiurare che possano provenire da ambienti non idonei alla loro preparazione e/o conservazione o, peggio essere portatori di infezioni o batteri letali o nocivi per i pazienti in cura;
   se le criticità esposte risultassero confermate, sarebbe grave trattandosi di un luogo preposto alle cure dei soggetti ricoverati –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e, nel caso, quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare a tutela e salvaguardia della salute dei pazienti ospitati nel nosocomio partenopeo;
   se non ritenga opportuno promuovere una visita ispettiva in loco da parte del nucleo antisofisticazioni e sanità dell'Arma dei carabinieri, per attivare i controlli del caso e verificare eventuali irregolarità, all'interno della mensa ospedaliera o di chi è responsabile della somministrazione dei pasti giornalieri, accertando se la citata mensa interna o esterna sia conforme alla normativa vigente e quale sia lo stato di conservazione dei cibi nella stessa. (4-12325)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
X Commissione:


   RICCIATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Isa Yachts è una società attiva dal 2001, con sede ad Ancona, specializzata nella produzione di yacht di lusso fra i 30 e 100 metri, che impiega 102 dipendenti, attualmente in cassa integrazione;
   l'azienda, anche a causa della congiuntura economica negativa che ha interessato il comparto della nautica, ha avuto una drastica riduzione delle commesse nel corso degli ultimi anni, mettendo in discussione la stessa continuità aziendale;
   Isa Yachts è attualmente in stato di concordato preventivo. Dall'avvio della procedura concorsuale sono arrivate 19 richieste di interesse, tuttavia, allo stato attuale, nessuna di queste si è concretizzata e non ci sono garanzie sulla volontà di rilanciare la produzione aziendale nel suo complesso; piuttosto – come hanno osservato sia il sindaco di Ancona Mancinelli, che la Fiom – la sensazione è che i soggetti interessati attendano il fallimento della società per poter rilevare alcuni pezzi della Isa Yachts, senza farsi carico dei lavoratori (Il Resto del Carlino, 9 febbraio 2016);
   al fine di scoraggiare tale prospettiva, il sindaco di Ancona ha annunciato, in un incontro tenutosi in data 8 febbraio 2016 presso la sede del comune con lavoratori e delegati sindacali della Cgil, che in caso di vendita-spezzatino conseguente all'eventuale fallimento, il comune di Ancona, in qualità di componente del comitato portuale, non garantirà le concessioni demaniali delle banchine (Il Corriere Adriatico, 9 febbraio 2016);
   l'eventuale fallimento di Isa Yachts comporterà la perdita di 102 posti di lavoro, in un territorio come quello di Ancona già segnato in modo evidente dalla crisi economica del settore nautico, oltre alla perdita di una pregiata realtà produttiva;
   la vertenza Isa Yachts oltre ad avere grande rilievo per la città di Ancona, ha rilevanza anche in ordine alla più generale politica industriale per il rilancio di un settore fondamentale per l'Italia, come la nautica –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e la continuità produttiva di Isa Yachts. (5-07983)


   GALGANO e BOMBASSEI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'11 giugno 2013 la Commissione europea ha presentato il piano d'azione per l'industria europea dell'acciaio «EU Steel Action plan», con l'obiettivo di aiutare il settore a fronteggiare le sfide derivanti dalle conseguenze della crisi economica e a porre le basi per riconquistare competitività grazie all'innovazione e agli stimoli a favore della crescita e dell'occupazione;
   la diminuzione della domanda europea di acciaio registrata negli ultimi anni (-27 per cento rispetto ai livelli precedenti la crisi) è uno degli elementi più negativi, assieme all'aumento della disoccupazione in questo settore. L'industria siderurgica europea è colpita dagli effetti simultanei della bassa domanda e della sovrapproduzione dell'acciaio a livello mondiale; allo stesso tempo, essa si confronta con gli alti prezzi dell'energia e la necessità di investimento per adeguarsi alla green economy, che costringe a concepire prodotti innovativi in maniera sostenibile;
   l'Europa è ancora il secondo produttore mondiale di acciaio, e secondo l'Ocse la domanda globale aumenterà a 2,3 miliardi nel 2025, con una richiesta proveniente per la maggior parte dalle economie emergenti. Con una forza lavoro di 360mila persone, ricavi per circa 170 miliardi e una presenza indispensabile per i settori dell'indotto, l'industria siderurgica è un elemento strategico per l'intera produzione europea;
   l'acciaio è strettamente connesso a molti altri settori industriali a valle (veicoli, costruzioni, elettronica, meccanica ed elettromeccanica) ed ha anche una notevole dimensione transfrontaliera: nell'Unione europea, si contano circa 500 siti di produzione, distribuiti in 23 Stati membri. Inoltre, l'acciaio, con la Comunità europea del carbone e dell'acciaio, ha anche dato i natali al progetto europeo;
   il piano d'azione si fonda su sei pilastri essenziali: il miglioramento del quadro normativo, il rilancio della domanda, un migliore accesso a materie prime e mercati, politiche in materia di energia e clima, più innovazione, difesa dell'occupazione e formazione;
   tale piano prevede, infatti, misure mirate a mettere in atto un quadro normativo adeguato, a sostenere l'occupazione nel settore, a facilitare la ristrutturazione per garantire che i lavoratori altamente qualificati vengano trattenuti in Europa, a rilanciare la domanda di acciaio, a migliorare l'accesso ai mercati esteri e garantire condizioni di parità nella concorrenza, a ridurre i costi dell'energia, a promuovere l'innovazione, a garantire efficienza energetica e processi produttivi sostenibili;
   per la prima volta dal piano Davignon del 1977, il piano d'azione sull'acciaio si propone di supportare la domanda sia interna che estera di acciaio prodotto nell'Unione europea, grazie ad interventi che permettano alle imprese siderurgiche europee di avere un giusto accesso ai mercati dei Paesi terzi, senza essere vittime di pratiche commerciali ingiuste;
   i fondi per il piano d'azione verrebbero da tre fonti principali: fondi europei, contributi degli Stati membri e fondi della Banca europea degli investimenti;
   dopo la presentazione del piano, la Commissione europea ha proposto l'istituzione di un gruppo di alto livello per controllare l'attuazione del medesimo e fare il punto dei progressi compiuti nei successivi dodici mesi;
   a dicembre 2014, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione per chiedere il rilancio dell'Unione europea «Steel Action plan» e la prosecuzione del confronto attraverso il gruppo di alto livello;
   le industrie europee operanti nel settore si trovano a fronteggiare la concorrenza mondiale dei Paesi più produttivi, capitanati dalla Cina, da cui arriva il 50 per cento dell'acciaio del pianeta e la cui sovraccapacità sta destando preoccupazione vista la contrazione della domanda;
   il 13 febbraio 2016 la Commissione europea ha annunciato l'apertura di tre nuove indagini anti-dumping nel settore dell'acciaio, sui tubi senza saldatura, le lamiere da treno e l'acciaio piatto laminato a caldo prodotti in Cina. Inoltre, Bruxelles ha anche imposto dazi su prodotti piatti laminati a freddo prodotti in Cina e Russia; che vanno dal 13,8 per cento al 16 per cento per le società cinesi e dal 19,8 per cento al 26,2 per cento per le imprese russe;
   con questi nuovi interventi la Commissione europea è arrivata a 37 misure di difesa anti-dumping in essere contro una serie di prodotti siderurgici, mentre sono nove le indagini in corso in questo campo;
   diversi ministri europei hanno segnalato il rischio imminente di collasso del settore europeo dell'acciaio a fronte del « dumping» da parte della Cina che metterebbe in vendita all'estero l'acciaio a prezzi inferiori a quelli praticati sul mercato interno;
   a lanciare l'allarme, in una lettera comune indirizzata alla Commissione europea e al Consiglio d'Europa, sono stati i Ministri tedesco Sigmar Gabriel, francese Emmanuel Macron, italiano Federica Guidi, polacco Mateusz Morawiecki, britannico Sajid Javid, belga Kris Peeters e lussemburghese Etienne Schneider, che hanno richiamato l'Unione europea ad «utilizzare tutti i mezzi disponibili e agire con forza per rispondere a questa nuova sfida». Fra le misure da adottare, i ministri hanno citato «strumenti di difesa commerciale nel quadro del commercio mondiale (Omc)» e altri strumenti per «modernizzare l'industria siderurgica europea», come ad esempio il sostegno all'innovazione;
   nel frattempo, Cecilia Malmstrom, la commissaria europea del commercio, ha chiesto da diversi giorni al suo omologo cinese l'adozione di misure per ridurre le capacità di produzione del settore;
   la Cina ha risposto auspicando che la Commissione europea rispetti l'organizzazione mondiale del commercio e utilizzi strumenti leciti. «Le esportazioni cinesi di acciaio – ha fatto sapere il Ministero cinese degli esteri – sono aumentate l'anno scorso del 19,9 per cento e hanno salvato moltissime nostre aziende a rischio chiusura a causa del calo della domanda interna. La sovrapproduzione – ha sottolineato la Cina – è un problema globale per l'acciaio e può essere risolto solo con il dialogo e la cooperazione»;
   intanto, il 15 febbraio 2016, a Bruxelles, migliaia di operai metalmeccanici e di imprenditori hanno preso parte alla manifestazione anti-dumping, organizzata da Aegis Europe, lobby industriale europea che riunisce circa 30 associazioni dell'Unione europea di vari settori, e da Eurofer per chiedere alla Commissione europea di introdurre i dazi per proteggere il mercato dalle vendite sottocosto che arrivano dalla Cina e negare alla stessa la concessione dello «status di economia di mercato» (MES), prevista dopo quindici anni di presenza all'interno dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto), di cui Pechino fa parte dal 2001, in quanto porterebbe a un'automatica sospensione delle misure anti-dumping adottate nei confronti del Paese per contrastare la vendita di merci cinesi a prezzi inferiori di quelli di produzione del mercato interno dell'Unione europea –:
   quale sia lo stato di attuazione del piano d'azione per l'industria europea dell'acciaio approvato nel 2014 e quali iniziative il Governo stia adottando o intenda adottare, anche in sede europea, per fare in modo che questo venga effettivamente applicato e portato avanti, considerato il fatto che il settore siderurgico riveste un ruolo strategico per l'economia europea, essendo strettamente connesso a molti altri settori industriali, e visto che, secondo i dati forniti dalla Commissione europea, la chiusura degli impianti nel settore siderurgico ha già causato la perdita di 60mila posti di lavoro dal 2007 a oggi e un calo della produzione passata da 210 a 166 milioni di tonnellate. (5-07984)


   CRIPPA, DA VILLA, FANTINATI, VALLASCAS, DELLA VALLE e CANCELLERI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Piaggio Aero Industries Spa è un'industria aeronautica nata nel 1998 specializzata nel settore civile degli executive (jet di lusso) diventando leader a livello internazionale;
   si apprende che i vertici della Piaggio Aereo, avrebbero deciso la cassa integrazione di oltre 200 lavoratori impiegati nella business unit motori, quella maggiormente produttiva che genera ordini e quella sicuramente più strategica;
   sarebbero a rischio sospensione le attività di manutenzione dei motori per il Ministero della difesa e i principali clienti motoristici mondiali come la P&W, Rolls Royce, Honeywell;
   la scelta di mettere in cassa integrazione oltre 200 lavoratori sarebbe imputabile alla necessità di ridurre i costi di personale conseguente alla crisi di liquidità dell'azienda che, nonostante le smentite di qualcuno, oggi rischia di creare forti danni alla tenuta occupazionale e in generale allo sviluppo del piano industriale. Nel mese di marzo l'azienda rischia di non avere i soldi per pagare gli stipendi;
   negli ultimi anni la proprietà ha investito in particolar modo sulla progettazione e produzione di aerei militari a pilotaggio remoto (droni di sorveglianza aerea, pattugliamento terrestre, costiero e marittimo), in particolare il «P.1HH HammerHead». Al riguardo la Piaggio aereo ha ottenuto il contributo ai sensi dell'articolo 3 della legge 24 dicembre 1985, n. 808, in materia di partecipazione di imprese nazionali a programmi industriali aeronautici ed è quindi rientrata tra i progetti approvati dal comitato per lo sviluppo dell'industria aeronautica il 15 luglio 2015; sarebbe opportuno sapere a quanto ammonta il finanziamento concesso ad essa fino ad oggi, dei complessivi 780 milioni di euro stanziati;
   si ricorda che la Piaggio Aero spa è stata destinataria di contributi pluriennali ai sensi della legge 24 dicembre 1985, n. 808, a fronte di cinque programmi aeronautici di R&S approvati negli anni 2008 e 2009, poi adeguati per il proseguimento delle attività con i costi riguardanti gli anni 2010 e 2011. Le agevolazioni concesse nel periodo ammontano a circa 90 milioni di euro;
   proprio in virtù dei finanziamenti pubblici suddetti il Governo può esercitare su Piaggio Aereospace i poteri speciali nei settori della difesa e della sicurezza nazionale (ai sensi dell'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56) –:
   a quanto ammonti il finanziamento concesso dal Comitato per lo sviluppo dell'industria aeronautica il 15 luglio 2015 alla Piaggio e quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare per garantire i livelli occupazionali e il piano industriale dell'azienda in modo tale che possano essere rispettati gli impegni presi con le istituzioni e le organizzazioni sindacali, e al fine di evitare la cessione di tutta la società o di parti di essa nonché la vendita delle tecnologie senza l'assenso dei Ministeri coinvolti, visto il livello strategico delle attività svolte da Piaggio Aerospace e in considerazione delle risorse fin qui messe in campo dallo Stato in termini di contributi alle aziende aeronautiche. (5-07985)


   ALLASIA, BUSIN e FEDRIGA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   fonti accreditate di stampa e associazioni di categoria affermano che il Ministero dello sviluppo economico avrebbe licenziato uno schema di decreto del Presidente della Repubblica, in attuazione della direttiva 2014/33/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, contenente nuove disposizioni in tema di sicurezza sugli ascensori;
   stando a quanto denuncia Confedelizia, la nuova normativa imporrebbe nuovi e maggiori adempimenti in merito ai controlli, con il pretesto di aumentare i livelli di sicurezza, tale da annullare gli effetti dell'abolizione della Tasi sulla prima casa;
   sembra infatti che con lo schema di decreto del Presidente della Repubblica si imponga una verifica straordinaria per gli ascensori installati prima del 1999 che non è assolutamente prevista dalla direttiva 2014/33/Ue, prevedendo una serie di misure di sicurezza che il soggetto verificatore ha la facoltà di prescrivere, con considerevole aumento dei costi di manutenzione per i proprietari, in considerazione del fatto che in Italia, almeno il 60 per cento degli ascensori in servizio è in funzione da più di 20 anni e quasi il 40 per cento da oltre 30 anni;
   più in particolare, gli organi di stampa riportano che dovranno essere eseguiti controlli: «sulla precisione di fermata e il livellamento tra cabina e piano; sulla presenza dell'illuminazione nel locale macchine; sulla presenza ed efficacia dei dispositivi di richiusura delle porte di piano con cabina fuori dalla zona di sbloccaggio; sulla presenza di porte di cabina; sul rischio di schiacciamento per porte motorizzate; sulla presenza del dispositivo di comunicazione bidirezionale in caso di intrappolamento in cabina; sull'illuminazione della cabina»;
   Confedilizia, dal canto suo, ha già denunciato la non sussistenza della necessità di introdurre ulteriori test di sicurezza, dato che la normativa già vigente prevede: la verifica di paracadute,  !imitatore di velocità, dispositivi di sicurezza, funi, catene e attacchi, isolamento impianto elettrico e collegamenti con la terra da parte di ditta specializzata da operarsi ogni sei mesi; la verifica da parte dell'Asl, dell'Arpa o di un organismo di certificazione autorizzato dal Ministero dello sviluppo economico e notificato alla Commissione europea da farsi ogni due anni; l'immediata sospensione dell'uso dell'impianto qualora il manutentore ravvisasse un qualsiasi pericolo, fino alla riparazione;
   ad oggi, quindi, i controlli previsti per gli ascensori sembrano già prevedere un ampio rispetto di standard dei livelli di sicurezza tanto che, come fa anche presente l'organizzazione dei proprietari di casa, la percentuale di incidenti è bassissima, a fronte di un traffico giornaliero che si aggira tra 30 e i 40 milioni di passeggeri su un patrimonio di oltre 900 mila impianti che ogni giorno effettuano quasi cento milioni di corse;
   dunque, simili dati sono tali da non poter giustificare per gli interroganti l'introduzione di quella che Confedilizia definisce una spesa tanto ingente da annullare «in un colpo solo, gli effetti dell'abolizione della Tasi sull'abitazione principale, imponendo esborsi pari al doppio del gettito della Tasi stessa», seppur sia difficile fare delle stime perché queste dipenderanno dal numero di inquilini che si ripartiranno le spese di controlli e dallo stesso ascensore;
   se il Ministro interrogato sia al corrente dei fatti esposti in premessa e se voglia effettuare, se non l'abbia già fatto, una stima dell'impatto della norma in corso di definizione, sui contribuenti, con particolare riferimento agli eventuali e maggiori oneri che potrebbero derivare dall'ottemperanza ai nuovi adempimenti. (5-07986)


   BENAMATI, TARANTO, BASSO, SENALDI, BARGERO e SCUVERA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 6 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, reca misure per favorire la digitalizzazione e la connettività delle piccole e medie imprese;
   in particolare il comma 1 dell'articolo 6 stabilisce che, nell'ambito di apposito programma operativo nazionale della prossima programmazione 2014-2020 dei fondi strutturali comunitari, ovvero nell'ambito della collegata pianificazione degli interventi nazionali finanziati dal Fondo per lo sviluppo e la coesione e dal Fondo di rotazione, di cui all'articolo 5 della legge n. 183 del 1987, siano adottati interventi per il finanziamento a fondo perduto a piccole e medie imprese, tramite voucher di importo non superiore a 10.000 euro, per l'acquisto di software, hardware o servizi;
   tali servizi sono finalizzati al miglioramento dell'efficienza aziendale, alla modernizzazione dell'organizzazione del lavoro, allo sviluppo di soluzioni di e-commerce, alla realizzazione di una connettività a banda larga e ultralarga, alla formazione qualificata nel campo dell'ICT del personale delle suddette piccole e medie imprese, al collegamento alla rete internet mediante la tecnologia satellitare;
   i commi 2 e 3 intervengono sulle modalità attuative dell'erogazione del contributo; in particolare, il comma 2 demanda ad apposito decreto ministeriale l'individuazione dell'ammontare dell'intervento, nella misura massima complessiva di 100 milioni di euro, a valere sulla proposta nazionale relativa alla programmazione 2014-2020 dei fondi strutturali comunitari o sulla collegata pianificazione, da ripartire, a cura del Cipe, tra le regioni in misura proporzionale al numero delle imprese registrate presso le camere di commercio operanti nelle singole regioni; il comma 3 demanda ad altro decreto interministeriale la definizione dello schema standard di bando e delle modalità di erogazione dei predetti contributi;
   i citati commi da 1 a 3 hanno carattere programmatico, in quanto subordinati all'individuazione esatta dell'importo da destinare alla misura nell'ambito del pertinente programma operativo nazionale 2014-2020;
   in attuazione di quanto disposto, il Ministero dello sviluppo economico ha emanato il decreto ministeriale 23 settembre 2014, secondo il quale, a norma dell'articolo 3, comma 1, sono individuate le risorse finanziarie;
   in particolare, le agevolazioni sono concesse a valere sulle risorse già individuate dal citato articolo 6, comma 2, del decreto-legge n. 145 del 2013, determinate nell'ammontare, con successivo decreto ministeriale, previsto dal medesimo articolo 6, comma 2, sulla base del regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione del 18 dicembre 2013, relativo all'applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea agli aiuti «de minimis»;
   la Commissione europea ha approvato il 23 giugno 2015, e successivamente modificato il 23 novembre 2015, il programma operativo nazionale (PON) imprese e competitività 2014-2020 presentato dal nostro Paese, realizzandosi così una condizione fondamentale per la determinazione da parte del Ministero dell'economia e delle finanze della dotazione complessiva per il finanziamento dei voucher;
   per l'anno 2016 non risulta essere stato determinato l'ammontare necessario a concedere le citate agevolazioni –:
   quali siano i tempi previsti per la piena operatività delle misure a sostegno della digitalizzazione delle micro, piccole e medie imprese, di cui all'articolo 6 del decreto-legge n. 145 del 2013, e quali iniziative si ritenga eventualmente utile assumere per garantirne la piena efficacia. (5-07987)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ALBANELLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, all'articolo 10, prevede una delega legislativa per la riforma dell'organizzazione, delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, anche mediante la modifica e riordino delle disposizioni legislative che attualmente regolano la materia;
   l'articolo 10, lettera h), della legge delega dispone «l'introduzione di una disciplina transitoria che assicuri la sostenibilità finanziaria, anche con riguardo ai progetti in corso per la promozione dell'attività economica all'estero, e il mantenimento dei livelli occupazionali e che contempli poteri sostitutivi per garantire la completa attuazione del processo di riforma, anche mediante la nomina di commissari in caso di inadempienza da parte delle camere di commercio»;
   dalla bozza in circolazione, il testo del decreto delegato prevedrebbe una riduzione del 15 per cento del personale (che poi diventerebbe del 25 per cento per le camere di commercio accorpate) determinando un esubero complessivo di circa 1000 unità su circa 7000 unità impiegate direttamente dalle camere di commercio in tutta Italia;
   così strutturato, il provvedimento penalizzerebbe tutto il sistema delle camere di commercio e metterebbe a rischio il mantenimento dei livelli occupazionali –:
   se corrisponda al vero quanto descritto in premessa e se il Governo non intenda chiarire tale situazione, garantendo i livelli occupazionali dei lavoratori delle carriere di commercio, così come previsto dalla legge delega. (5-07961)


   PELUFFO e FIANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Radio Lombardia è autorizzata a trasmettere ed operare con la frequenza 100.300 Mhz dal centro trasmittente di Valcava località Caprino Bergamasco (Bergamo);
   da anni Radio Lombardia denuncia interferenze provocate dalla frequenza 100.400 Mhz;
   nel 1994 con decreto n. 8/CD/7149/R/903980 il Ministero delle telecomunicazioni dava parere negativo alla richiesta di concessione per le trasmissioni a Radio Studia 5;
   il 19 giugno 1998, Radio Studio Cinque ha ceduto a Radio Amica la frequenza 100.400;
   in una comunicazione successiva inviata a Radio Amica srl (ora Publicitè Ciblè B4 SARL e GRT srl), prot. ITL/III/148 DIM/6772 del 2004, l'ispettorato territoriale della Lombardia – Ministero delle comunicazioni, affermava che l'impianto in questione è stato ceduto da un soggetto operante in regime di sospensiva (Radio studio cinque – 903980); e che, considerato che alla data della sua cessione in favore della Radio Amica (904838), l'impianto era in stato di conclamate interferenze, quindi non è applicabile quanto previsto ai sensi dell'articolo 1, comma 7, della legge n. 122 del 1998. Nella stessa nota si evidenzia che l'esercizio di trasmissione di Radio Amica è da considerarsi illegittimo;
   si aggiunge, infine, che la posizione di Radio Studio 5 esula dalla situazione prevista dal comma 13 dell'articolo 1 della legge n. 650 del 1996, richiamata dal comma 7 dell'articolo 1 della legge n. 122 del 1998, perché i trasferimenti sono consentiti tra emittenti concessionarie, che, hanno ottenuto il decreto di concessione, che come espresso in precedenza, invece a Radio Studio Cinque era stato negato;
   questi impianti senza concessione creano turbativa come sopra descritto;
   il tribunale amministrativo regionale Lazio con sentenza definitiva n. 00517/2010 del 19 gennaio 2010, rigettava il ricorso presentato dallo stesso titolare di Radio Studio Cinque contro il diniego di concessione del Ministero dello sviluppo economico –:
   quali siano i motivi per i quali nonostante il provvedimento di rigetto da parte del tribunale amministrativo regionale del Lazio, Radio Amica ha la facoltà di trasmettere con l'impianto 100.400 frequenza da Campo dei Fiori (Varese) e se risultino rispettati i dettati dell'articolo 2, comma 12, della legge n. 122 del 1998;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tale situazione e quali iniziative intenda intraprendere al fine di garantire le radio che hanno regolare concessione come Radio Lombardia. (5-07971)


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, DALL'OSSO, PETRAROLI, RIZZO, FRUSONE, VIGNAROLI, SIMONE VALENTE e LOMBARDI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   agli interroganti, sono giunte segnalazioni di lavoratori della Albertini Cesare Spa, ex Form ed ex Simi, riguardo alla loro difficile situazione lavorativa all'interno dell'azienda;
   la SIMI, azienda metalmeccanica con sede a Cormano (MI), con bilanci in attivo è stata acquistata nell'anno 2005 dal Gruppo Form. Successiva all'acquisizione, l'azienda di produzione di pressofusi in alluminio per i maggiori costruttori del settore automobilistico europeo, si è ampliata aggiungendo al sito di Cormano quelli di Villasanta (MB) e Quero (BL), occupando un totale di circa 700 addetti;
   con il nuovo acquirente, nel giro di pochi anni, i bilanci sono arrivati ad un accumulo negativo di circa 160 milioni di euro. Per diversi dei lavoratori dell'azienda si sono aperte le procedure di cassa integrazione e di mobilità. Successivamente la Form ha dichiarato il fallimento, entrando in amministrazione straordinaria seguita dalla vendita all'asta della società;
   in data 1o novembre 2013, l'azienda è stata acquisita dalla Albertini Cesare Spa, aggiungendo agli esistenti siti quello di Turate (Como). Nell'immediato è stato stipulato un accordo sindacale che ha garantito ai lavoratori la cassa integrazione straordinaria e nessun licenziamento per un arco temporale stabilito di 2 anni, con successiva proroga a settembre 2016;
   con l'acquisizione della fallita Form, la Albertini è passata da un guadagno in bilancio di circa 10 milioni di euro a circa 100 milioni di euro l'anno. Ciò in conseguenza anche del fatto che il sito di Cormano risultava essere in comodato d'uso, gli operai dello stesso stabilimento in cassa integrazione al 70 per cento e quelli di Villasanta e Quero al 20 per cento;
   ad oggi, i sindacati hanno dichiarato l'esubero di 220 dipendenti in tutto il gruppo, oltre agli 85 che hanno rassegnato le proprie dimissioni dal 1o novembre 2013 sino al momento del deposito di detto atto parlamentare;
   è notizia diffusa tra i lavoratori del gruppo, che l'azienda voglia licenziare i dipendenti con buone uscite irrisorie;
   molti dei lavoratori della Albertini hanno denunciato la mancanza, in questi anni di crisi, dei promessi corsi di formazione e dell'assenza di un piano di ricollocamento degli stessi dipendenti presso altre aziende –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della vicenda indicata in premessa;
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non intendano istituire, qualora non l'abbiano già previsto, un tavolo istituzionale di confronto, coinvolgendo la società Albertini Cesare Spa e le rappresentanze sindacali, al fine di poter garantire la continuità aziendale e il mantenimento dei livelli occupazionali e produttivi;
   nel caso non si raggiunga un esito positivo della vicenda e si giunga quindi ai licenziamenti dei lavoratori della sopraindicata azienda, se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non possano prevedere un piano di ricollocamento per i dipendenti stessi. (5-07972)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Palese e Pisicchio n. 1-01171, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Latronico.

  La mozione Sbrollini e altri n. 1-01174, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Piccione Antezza, Amoddio, Mura.

  La mozione Zampa e altri n. 1-01182, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bruno Bossio.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Fabbri n. 4-10996, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Giuseppe Guerini, Carnevali.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Fabbri n. 5-06895, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Giuseppe Guerini, Carnevali.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Fabbri n. 5-07686, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Giuseppe Guerini, Carnevali.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Fabbri e altri n. 5-07698, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Giuseppe Guerini, Carnevali, Patrizia Maestri.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Fabbri e altri n. 5-07765, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carnevali.

  L'interrogazione a risposta Commissione D'Ottavio e altri n. 5-07883, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sgambato.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Fabbri e altri n. 5-07920, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Giuseppe Guerini, Carnevali, Patrizia Maestri.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Marzana n. 7-00520, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 329 dell'11 novembre 2014.

   La VII Commissione,
   premesso che:
    i tecnici della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (Copaff), ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 216 del 2010, hanno approvato in data 23 dicembre 2013 la Nota Metodologica «Determinazione dei fabbisogni standard per i comuni, «FC03U», Funzioni di Istruzione pubblica»;
    la presente nota metodologica è stata realizzata dai tecnici del Progetto SOSE (soluzioni per il sistema economico spa) con la collaborazione scientifica dell'Istituto per la finanza e l'economia locale (IFEL), ai sensi dall'articolo 5 del decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, riguardante le «Disposizioni in materia di determinazione dei Costi e dei Fabbisogni Standard di Province, Città metropolitane e Comuni», pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 17 dicembre 2010;
    predetto decreto legislativo ha, come descritto nell'articolo 1, la finalità di disciplinare la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard per province e comuni al fine di assicurare un graduale e definitivo superamento del criterio della spesa storica nei meccanismi di allocazione delle risorse tra i diversi enti;
    nello specifico, la presente nota metodologica si riferisce alle funzioni di istruzione pubblica analizzate con il questionario FC03U-Funzioni di istruzione pubblica predisposto per i comuni e le unioni di comuni;
    in data 23 luglio 2013 il Consiglio dei ministri ha approvato in via definitiva un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e in via preliminare due schemi di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri relativi all'attuazione del decreto legislativo n. 216 del 26 novembre 2010, «Disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province» per l'adozione delle note metodologiche e dei fabbisogni standard per ciascun comune delle regioni a statuto ordinario relativi alle funzioni di istruzione pubblica, nel settore sociale e sul servizio degli asili nido e altri campi;
    due schemi di decreto verranno, quindi, sottoposti all'esame della Conferenza Stato-città e autonomie locali ed alle Commissioni parlamentari competenti, secondo quanto prescritto dall'articolo 6 del decreto legislativo n. 216 del 2010;
    sebbene, a pagina 43 della suddetta Nota Metodologica si legge: «(...) Da ultimo, è importante sottolineare che, in assenza di specifiche indicazioni relative ai livelli essenziali delle prestazioni, per il calcolo dei Fabbisogni Standard delle Funzioni di pubblica istruzione, in sede di prima applicazione della metodologia, sono stati utilizzati i valori storici delle variabili di output utilizzate per la stima»;
    gli output, in questione, altro non sono se non i servizi che i comuni garantiscono ai cittadini: quando vengono offerti vengono considerati un fabbisogno della popolazione, quando vengono offerti in misura ridotta o non vengono offerti per nulla, si considera che quella popolazione non ne abbia di bisogno, ma ciò non corrisponde al vero, semplicemente i comuni non avevano le risorse necessarie per garantirli;
    in pratica servizi come gli asili nido, il tempo pieno e la mensa scolastica, non essendo considerati servizi essenziali non hanno una diffusione omogenea su tutto il territorio nazionale ma vengono garantiti e finanziati soltanto dove già esistono, dunque al centro-nord;
    servizi importanti ma accessori come i campi estivi, oppure l'accoglienza e la vigilanza dei bambini prima e dopo l'orario scolastico, solo perché storicamente offerti da determinati comuni (principalmente del centro-nord), sono considerati «fabbisogno standard» e quindi da finanziare a carico di tutta la collettività;
    il criterio adottato rimane quello della «spesa storica» ai danni del «fabbisogno effettivo», penalizzando le regioni del sud quanto alla ripartizione dei fondi e alla distribuzione di servizi fondamentali;
    a dimostrazione della totale disomogeneità dei servizi scolastici garantiti sul territorio nazionale, si consideri che al sud ad esempio la copertura del tempo pieno, è appena del 14 per cento (con un minimo in Campania del 9 per cento), contro una media del centro-nord del 47 per cento (con una punta massima del 57 per cento nel Lazio); relativamente ai pasti assicurati agli studenti, il Mezzogiorno garantisce un servizio pari ad appena il 42 per cento di quello del centro-nord. La distanza diventa ancora più evidente sui cosiddetti servizi «pre e post scuola», che al Centro-nord sono un'opportunità della quale si avvalgono oltre 5 bambini su 100, mentre nel Mezzogiorno si scende a 0,93 per cento, ovvero neppure 1 bambino su 100 ne usufruisce;
    il riparto di questi servizi deve essere stabilito seguendo altri parametri, quali il fenomeno della dispersione scolastica: in Italia il 17,6 per cento degli alunni a rischio abbandono ha un'età inferiore ai 14 anni, il 43 per cento un'età compresa tra i 14 e i 16 anni, il 34 per cento un'età compresa tra i 16 e i 18 anni; il Sud Italia detiene di gran lunga il maggior numero di alunni che lasciano la scuola prematuramente, con punte del 35 per cento nella sola Sardegna e Sicilia, con province come Caltanissetta dove gli abbandoni superano il 40 per cento di dispersione al termine del quinquennio delle superiori 2009-2010/2013-2014; questi dati si dimezzano nelle regioni del nord Italia, confermando che il «rischio abbandono» è maggiormente diffuso nelle aree più depresse dove si vive un particolare disagio economico e sociale;
    emblematico il caso emerso nell'ambito di un'indagine contro l'evasione scolastica avviata dal comando provinciale di Catania che ha portato alla denuncia di 232 genitori di 136 alunni di due scuole dell'obbligo per inosservanza continuata dell'obbligo di istruzione di minorenni: i genitori identificati, di un età media tra i 30 ed i 45 anni, sono generalmente operai, ambulanti, braccianti agricoli, disoccupati e il loro livello di istruzione non va oltre il diploma di scuola media inferiore;
    appare chiaro che il disagio economico e culturale incide significativamente sul fenomeno della dispersione scolastica, quindi per migliorare il livello di istruzione e garantire in maniera ottimale i servizi scolastici è fondamentale tenere in considerazione l'uso di parametri oggettivi per l'allocazione delle risorse quali il reddito medio disponibile pro capite aggiustato e il livello di dispersione scolastica del territorio in esame;
    di fronte ad una situazione così disomogenea, il Governo in base alle regole del federalismo fiscale, avrebbe dovuto determinare il «livello essenziale delle prestazioni» (LEP) così da garantire un livello di servizi standard su tutto il territorio;
    la «determinazione dei fabbisogni standard per i comuni», secondo l'articolo 1 del decreto legislativo n. 216 del 2010, dovrebbe assicurare un graduale e definitivo superamento del criterio della spesa storica nei meccanismi di allocazione delle risorse tra i diversi enti;
    invece l'aver assegnato, con una forzatura, alla «spesa storica» il valore di «fabbisogno standard» significa firmare una ripartizione delle risorse lontana dal comune senso di giustizia e di corretta allocazione di risorse, mortificando sempre di più le regioni del Mezzogiorno,

impegna il Governo:

   a determinare il «livello essenziale delle prestazioni» (LEP) nell'ambito descritto nella premessa in maniera da garantire la quantificazione del fabbisogno di ciascuna regione sulla base del fabbisogno effettivo, superando il parametro della «spesa storica»;
   ad adottare una ottica strutturale ed organica attraverso la definizione dei livelli essenziali di prestazioni concernenti i diritti sociali e civili, nell'ambito dell'istruzione e dei servizi sociali annessi, che utilizzi parametri oggettivi quali il reddito medio disponibile pro capite aggiustato e i livelli di dispersione scolastica, al fine di una riqualificazione della spesa e di un progressivo riequilibrio territoriale nell'utilizzo delle risorse per l'individuazione e l'erogazione dei servizi scolastici;
   ad assumere iniziative per garantire, su tutto il territorio nazionale, comprese le province autonome e le regioni a statuto speciale – in attuazione degli articoli 119, terzo e quinto comma, e 120, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui prevedono la necessità di una perequazione economica, interventi finanziari speciali per rimuovere gli squilibri economici e sociali nonché un potere sostitutivo del Governo quando lo richieda la tutela dei livelli minimi delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali – l'effettivo godimento del diritto all'istruzione pubblica come definito dai fabbisogni standard secondo le metodologie di cui alla nota FC03U, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 10 giugno 2015, anche attraverso l'istituzione di un fondo finalizzato ad assicurare il raggiungimento dei livelli minimi essenziali dei servizi di istruzione e di asilo nido a cui possono attingere prioritariamente i comuni in cui sono assenti, in parte o totalmente, tali servizi;
    ad integrare il sito istituzionale OpenCivitas che riporta informazioni sui fabbisogni standard e sulle prestazioni degli enti locali con le informazioni riferite al comparto dell'istruzione, relativamente ai comuni delle regioni a statuto speciale e delle province autonome.
(7-00520)
«Marzana, Luigi Gallo, Simone Valente, Brescia, D'Uva, Vacca, Di Benedetto, Chimienti».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Tripiedi n. 5-07918, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 577 del 25 febbraio 2016.

   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, DALL'OSSO, LOMBARDI, BUSTO, DE ROSA, MANNINO e DAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il fiume Ticino attraversa la Valle del Ticino che comprende il Parco del Ticino e del lago Maggiore, primo parco regionale d'Italia fondato nel 1974 a difesa del fiume, dei numerosi ambienti naturali della Valle, dall'industrializzazione e l'urbanizzazione sempre più invasiva. Al centro della Pianura Padana, ultimo grande scrigno di biodiversità tra campagne e grandi città, è tutelato dall'UNESCO;
   l'acqua del fiume Ticino, necessaria per mantenere in vita lo stesso fiume e gli adiacenti boschi, alimenta anche il sistema dei Navigli Lombardi, la Darsena di Milano, il Canale Villoresi, le risaie Lomelline e buona parte del sistema agricolo e produttivo della provincia di Pavia, Milano, Varese e Monza Brianza;
   nel mese di gennaio 2016, è stata lanciata una petizione sul sito – change.org – riguardante la questione della sospensione del provvedimento sperimentale di regolazione del lago maggiore a +1,50 metri sopra lo zero idrometrico;
   la petizione riportava la lettera indirizzata a regione Lombardia e all'assessore all'ambiente, Energia e Sviluppo Sostenibile, Claudia Maria Terzi, al Gabinetto della Giunta Regionale Regione Piemonte, alla Federazione Svizzera Ufficio Federale dell'Ambiente (UFAM), al Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Gianluca Galletti, al Presidente Commissione Ambiente della Camera dei deputati, Ermete Realacci e al Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Maurizio Martina;
   nella lettera, veniva richiesto al Ministero dell'ambiente il mantenimento del livello di Deflusso Minimo Vitale (DMV) ad almeno 24 metri cubi al secondo e il ripristino della regolazione del lago Maggiore ad almeno +1,50 metri sopra lo zero idrometrico. Il DMV, nato in via sperimentale nel 2010, si basava sulla garanzia di una quantità minima di acqua da far fluire lungo il fiume Ticino, che del lago Maggiore è emissario, per assicurare la sopravvivenza naturale e produttiva delle realtà che insistono sul corso dell'acqua. Nell'anno 2012, il DMV e la riserva idrica costituita con la regolazione del lago Maggiore a +1,50 metri, hanno salvato la regione dalla siccità e, a parere di chi ha redatto la lettera e del Parco Lombardo della Valle del Ticino, garantirebbe tuttora una riserva idrica adeguata;
   con la sospensione del provvedimento in oggetto, anche il Ticino, che dal lago Maggiore recepisce l'acqua necessaria per la sua sopravvivenza, è entrato in sofferenza. Fauna, flora, attività produttive e campi coltivati sono infatti ad enorme rischio di sopravvivenza;
   il Ministero dell'ambiente ha inviato un'ordinanza al Consorzio del Ticino, l'ente regolatore delle acque, nella quale si impone di «operare la regolazione dei livelli del lago Maggiore mantenendo la regolazione estiva entro il limite di +1,0 metri rispetto allo zero idrometrico di Sesto Calende». Dopo numerose proteste, tale ordinanza è stata modificata innalzando provvisoriamente il livello idrometrico sino a +1.25 metri sino a settembre 2015, e riportato poi a +1.00 metro fino al 15 ottobre 2015, sperperando inutilmente acqua nel periodo più piovoso;
   in un link indicato all'interno della petizione, veniva riportata una lettera datata 16 giugno 2014 del consorzio del Parco del Ticino e del lago Maggiore, e del Parco Lombardo della Valle del Ticino, inviata al Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, e per conoscenza al Consorzio del Ticino, all'Autorità di Bacino del Fiume Po, alle Regioni Lombardia e Piemonte. In detta lettera, i consorzi esprimevano la ferma opposizione verso la richiesta formulata dal Ministero dell'ambiente in data 14 giugno 2014, di sospendere il programma di sperimentazione in corso dal 2010, che aveva portato notevoli benefici agli utenti sia di valle che di monte dell'area del Bacino idrografico del Ticino. Tale programma era stato approvato dalle Regioni Lombardia e Piemonte;
   i consorzi in oggetto, esprimevano la propria incomprensione nei confronti dell'interruzione dell'applicazione di un modello di gestione che aveva permesso di avere la quantità necessaria per garantire le utenze irrigue ed industriali nel rispetto dell'ambiente fluviale. Veniva poi ricordato come nel 2012, mentre il resto d'Italia aveva vissuto momenti di scarsità di risorse idriche con la conseguente crisi delle attività produttive, per tutta l'area del Ticino il nuovo modello di gestione avesse garantito abbondanza nelle reti di canali e nel Ticino, nessuna perdita di produzione né agricola né industriale (come quella dell'energia elettrica), nessun danno all'ambiente e alla biodiversità in un'area tutelata come Riserva della Biosfera MAB-UNESCO, portate dell'acqua in alveo che hanno permesso l'uso sociale del fiume (come la balneazione, la pesca sportiva e navigazione per tutto l'anno);
   veniva inoltre ricordato che la disposizione in oggetto risultava essere del tutto immotivata perché non sostenuta da alcun riscontro tecnico ma nata, a dire del consorzio, da una nota burocratica della Confederazione Svizzera che non esprimeva contrarietà al programma sperimentale ma chiedeva semplicemente che venisse assicurato al riguardo un costante e tempestivo scambio di informazioni all'interno di un meccanismo di consultazione reciproca, da inserire nel quadro del dialogo ambientale Italia-Svizzera;
   in data 14 febbraio 2016, sempre sul sito change.org, in un aggiornamento alla petizione veniva specificato che il 10 febbraio c.a., si era tenuto un incontro dell'Autorità di Bacino del Fiume Po in Regione Lombardia, a seguito del quale nessuna decisione era stata presa dal Ministero dell'ambiente. Il Consorzio del Ticino aveva mostrato delle simulazioni che, di fatto, avevano dato ragione all'Ente Parco. Nelle immagini proiettate era stato dimostrato che, a parità di precipitazioni, se il lago Maggiore fosse stato mantenuto a +1,50 metri sopra lo zero idrometrico, la crisi idrica dell'agosto 2015 sarebbe arrivata con 10 giorni di ritardo e quella di dicembre 2015, almeno 25 giorni dopo;
   nella nota, veniva fatto notare che se all'apparenza potevano sembrare pochi i giorni di differenza, non risultava essere affatto così. Infatti, in agosto il fabbisogno idrico risulta essere enorme e 10 giorni in più possono garantire o condannare la stagione agricola e la sopravvivenza del fiume Ticino. Per il periodo invernale, una regolazione corretta del lago Maggiore avrebbe, ad esempio, evitato l'asciutta anticipata dei canali e dei navigli e una riserva idrica sufficiente a rifornire il Ticino per molti giorni, nonostante l'assenza di precipitazioni;
   nonostante quanto ulteriormente emerso al tavolo sulla crisi idrica di regione Lombardia del 24 febbraio 2016, ossia una condivisione generale per portare il livello del lago Maggiore a +1,50 metri appena il meteo lo renderà possibile, condivisione trasmessa tramite lettera inviata all'Autorità di bacino e al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a firma degli assessori Beccalossi e Terzi, ad oggi non risulta essere stata presa nessuna decisione in tal senso;
   a detta dei compilanti la nota in oggetto, dell'Ente Parco e dello stesso Consorzio del Ticino, per poter sperare di riempire adeguatamente il lago Maggiore con sufficiente acqua per fronteggiare l'estate, risulta indispensabile prendere una decisione entro marzo c.a., per non perdere le precipitazioni e i disgeli primaverili;
   a giudizio degli interroganti e a completamento di quanto esposto in premessa, oltre al mancato ripristino della regolazione del lago Maggiore a +1,50 metri sopra lo zero idrometrico, il Ministro dell'ambiente non ha tenuto in considerazione la situazione di siccità che attanaglia con sempre più frequenza il nostro Paese, Valle del Ticino compresa, mettendo a repentaglio in primis tutta la biosfera autoctona e la fauna ittica. Non ha altresì tenuto in considerazione i danni ambientali ed economici a cui inevitabilmente porterà la sua decisione di non ripristinare la riserva idrica, danni economici che dovrà sopportare la collettività e coloro i quali hanno attività economiche legate in forma diretta alle acque del Ticino e dei suoi corsi d'acqua collegati –:
   quali siano le motivazioni che hanno spinto il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a sospendere il sopraindicato provvedimento di regolazione idrica del lago Maggiore;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga di ripristinare, nell'immediato, il provvedimento in esame, al fine di ristabilire il corretto e necessario livello idrometrico del lago Maggiore, atto a garantire la sopravvivenza del fiume Ticino e di tutti i fiumi e corsi d'acqua ad esso collegati, oltre che a garantire una sufficiente riserva idrica con finalità irrigue ed industriali. (5-07918)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Colonnese n. 5-04075 del 19 novembre 2014;
   interpellanza urgente Pinna n. 2-01228 del 19 gennaio 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Ricciatti n. 5-07754 del 10 febbraio 2016;
   interpellanza Bechis n. 2-01278 del 16 febbraio 2016.

Ritiro di una firma da una mozione.

  Mozione Zampa e altri n. 1-01182, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o marzo 2016: è stata ritirata la firma del deputato Bergamini.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Peluffo e Fiano n. 4-10422 del 21 settembre 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07971.

ERRATA CORRIGE

  L'interrogazione a risposta in Commissione Tripiedi e altri n. 5-07937 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 578 del 26 febbraio 2016. Alla pagina 34754, seconda colonna, alla prima riga, sostituire le parole: «27 novembre 2011» con le parole: «27 novembre 2015».

  La risoluzione in Commissione Di Vita e altri n. 7-00883 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 546 del 13 gennaio 2016. Alla pagina 32422, seconda colonna, alla riga diciannovesima, deve leggersi: «a predisporre una sezione all'interno» e non come stampato.