Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 1 marzo 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il 2 giugno 2016 ricorrerà il settantesimo anniversario della Repubblica Italiana e, contestualmente, il settantesimo anniversario del voto alle donne in Italia;
    fino al 1946 le italiane non potevano partecipare né attivamente, né passivamente alle elezioni politiche;
    al termine del primo conflitto mondiale nel 1918 il suffragio fu esteso a tutti i cittadini maschi che avessero compiuto il ventunesimo anno di età e a coloro che avessero prestato servizio nell'esercito mobilitato;
    le donne italiane dovettero aspettare ancora e più precisamente il 31 gennaio 1945 quando, con il Paese ancora diviso, il Consiglio dei ministri emanò un decreto legislativo luogotenenziale, pubblicato il 1o febbraio, che sancì il suffragio universale e che riconosceva il diritto di voto alle donne, con grave ritardo rispetto ad altri paesi: in Nuova Zelanda le donne votavano sin dal 1893, in Finlandia dal 1907, in Norvegia dal 1913, nel Regno Unito dal 1917; prima dell'Italia avevano riconosciuto questo diritto, fra gli altri paesi, anche Turchia, Mongolia, Filippine, Pakistan, Cuba e Thailandia;
    nel decreto non era tuttavia prevista l'eleggibilità delle donne, che sarà sancita solo dal decreto n. 74 del 10 marzo 1946: «Norme per l'elezione dei deputati all'Assemblea costituente»;
    in attesa del referendum istituzionale del 2 giugno 1946, nell'aprile 1945, si era costituita la Consulta, che ebbe come principale compito quello di elaborare una legge elettorale per l'Assemblea costituente. La Consulta fu il primo organismo politico nazionale in cui entrarono 13 donne, invitate direttamente dai partiti;
    la prima volta che le donne poterono esercitare il loro diritto elettorale, attivo e passivo fu in occasione delle elezioni amministrative: dal 10 marzo al mese di aprile del 1946 le donne votarono in 5 turni: la partecipazione alle urne fu altissima, ne furono elette duemila nei consigli comunali;
    il 2 giugno 1946 finalmente tutte le donne italiane poterono recarsi alle urne ed essere elette in elezioni politiche: ventuno furono le elette nella Costituente duemila nei consigli comunali; sui banchi dell'Assemblea costituente sedettero le ventuno «prime parlamentari», a ragione denominate «Madri Costituenti»: nove della DC, nove del PCI, due del PSIUP ed una del partito dell'Uomo qualunque. Cinque di loro entreranno nella «commissione dei 75», incaricata di scrivere la Carta costituzionale: Maria Federici, Angela Gotelli, Tina Merlin, Teresa Noce e Nilde Jotti; solo più di trent'anni dopo, proprio Nilde Jotti fu la prima donna a ricoprire la carica di Presidente della Camera dei deputati, una delle cinque più alte cariche dello Stato mai ricoperte da una donna prima, occupando lo scranno più alto di Montecitorio per tre legislature, dal 1979 al 1992;
    è importante ricordare qui che la prima donna della Consulta a parlare in un'assemblea democratica fu Angela Guidi Cingolani, che condivideva con altre elette trascorsi di prigione e di confino. Tutte le Madri lottarono e furono attente alle speranze delle italiane, per non deludere le migliaia di donne partigiane, staffette, donne antifasciste che in mille modi avevano contribuito alla Liberazione: così ricorda la storica giornata del 2 giugno Tina Anselmi «E le italiane, fin dalle prime elezioni, parteciparono in numero maggiore degli uomini, spazzando via le tante paure di chi temeva che fosse rischioso dare a noi il diritto di voto perché non eravamo sufficientemente emancipate. Non eravamo pronte. Il tempo delle donne è stato sempre un enigma per gli uomini. E tuttora vedo con dispiacere che per noi gli esami non sono ancora finiti. Come se essere maschio fosse un lasciapassare per la consapevolezza democratica !»;
    la scrittrice e saggista Maria Bellonci (ideatrice del premio Strega), così descrive quel giorno: «Anche per me, come per tutti gli scrittori, e come per tutti quelli che sono avvezzi a mettere continuamente se stessi al paragone delle cose, gli avvenimenti più importanti di quest'anno 1946 sono fatti interiori; ma è un fatto interiore – e come – quello del 2 giugno quando di sera, in una cabina di legno povero e con in mano un lapis e due schede, mi trovai all'improvviso di fronte a me, cittadino. Confesso che mi mancò il cuore e mi venne l'impulso di fuggire. Non che non avessi un'idea sicura, anzi; ma mi parvero da rivedere tutte le ragioni che mi avevano portato a quest'idea, alla quale mi pareva quasi di non aver diritto perché non abbastanza ragionata, coscienziosa, pura. Mi parve di essere solo in quel momento immessa in una corrente limpida di verità; e il gesto che stavo per fare, e che avrebbe avuto una conseguenza diretta mi sgomentava. Fu un momento di smarrimento: lo risolsi accettandolo, riconoscendolo; e la mia idea ritornò mia, come rassicurandomi.», e ancora, la giornalista Anna Garofalo «Le schede che ci arrivano a casa e ci invitano a compiere il nostro dovere hanno un'autorità silenziosa e perentoria. Le rigiriamo tra le mani e ci sembrano più preziose della tessera del pane Stringiamo le schede come biglietti d'amore. Si vedono molti sgabelli pieghevoli infilati al braccio di, donne timorose di stancarsi nelle lunghe file davanti ai seggi. E molte tasche gonfie per il pacchetto della colazione. Le conversazioni che nascono tra uomo e donna hanno un tono diverso, alla pari»;
    il primo successo delle Madri della Consulta fu quello di ottenere che il premio della Repubblica, di tremila lire, fosse esteso anche alle vedove di guerra e alle mogli dei prigionieri: tra le Madri Costituenti, che è bene ricordare, nove erano comuniste, tra cui cinque dell'UDI (Adele Bej, Nadia Gallico Spano, Nilde Jotti, Teresa Mattei, Angiola Minella, Rita Montagnana, Teresa Noce, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi), nove democratiche cristiane (Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter Jervolino, Maria Federici, Angela Gotelli, Angela Guidi Cingolani, Maria Nicotra, Vittoria Titomanlio), Due socialiste (Angelina Merlin e Bianca Bianchi) e una della lista «Uomo Qualunque» (Ottavia Penna Buscemi); tutte le Madri, con il loro impegno e le loro capacità, segnarono l'ingresso delle donne nel più alto livello delle istituzioni rappresentative; quattordici di loro erano laureate e molte insegnanti, c'era qualche giornalista-pubblicista, una sindacalista e una casalinga; quattordici erano sposate e con figli. Molte avevano preso parte alla Resistenza, pagando spesso personalmente e a caro prezzo le loro scelte, come Adele Bei (condannata nel 1934 dal Tribunale speciale a diciotto anni di carcere per attività antifascista), Teresa Noce (detta Estella, che dopo aver scontato un anno e mezzo di carcere, perché antifascista, fu deportata in un campo di concentramento nazista in Germania dove rimase fino alla fine della guerra) e Rita Montagnana (che aveva passato la maggior parte della sua vita in esilio);
    i settanta anni di storia intercorsi da quella data sono stati densi di trasformazioni: non a caso in riferimento ai profondi cambiamenti culturali e di stile di vita che hanno attraversato la società e la famiglia nella seconda metà del secolo scorso si è parlato di rivoluzione femminile, una rivoluzione che ha interessato tutto il mondo occidentale;
    da allora iniziava un percorso di autonomia delle donne che negli anni ha prodotto anche significative modifiche della legislazione: tale cammino di emancipazione ha potuto compiersi nel solco dei principi della Costituzione italiana, basti pensare all'importanza dell'articolo 3, che stabilisce l'uguaglianza morale e giuridica tra uomo e donna, dell'articolo 37, con il quale viene sancita la parità nel lavoro e l'accesso agli uffici pubblici e alla cariche elettive (si veda anche l'articolo 51), anche se, per poter entrare nella magistratura e nella carriera diplomatica, le donne dovranno attendere il 1963; nel 1950, fu approvata la legge sulla «tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri», e l'anno successivo venne nominata la prima donna al governo, Angela Cingolani, divenuta sottosegretaria all'industria e al commercio, mentre la prima donna ministro fu Tina Anselmi nel 1976;
    furono anni in cui vennero approvate leggi fondamentali e innovative in vari ambiti, tra le quali quelle sul diritto di famiglia e quella sulla dignità femminile, come l'abolizione della case di prostituzione nel 1956, firmata da Lina Merlin, primo esempio di mobilitazione parlamentare trasversale;
    con un accordo interconfederale nel 1960 furono eliminate le tabelle remunerative differenti per uomini e donne, sancendo la parità formale e sostanziale delle donne e degli uomini nel mondo del lavoro; è del 1970 la legge sul divorzio, confermata dal referendum del 1974;
    nel 1975 viene riformato il diritto di famiglia, garantendo parità tra i coniugi e la comunione dei beni, nel 1977 viene approvata la legge di parità, integrata poi nel 1991 dalla legge 125 sulle pari opportunità;
    nel frattempo, vengono abrogati il delitto d'onore e le norme penali sull'adulterio femminile, nel 1978 viene approvata la legge n. 194 sull'interruzione di gravidanza che resisterà al referendum abrogativo del 1981;
    dagli anni Novanta, con alterne fortune, si è discusso della necessità di prevedere quote obbligate di candidature maschili e femminili: la legge costituzionale n. 1 del 2003 ha stabilito che le leggi regionali promuovono la parità di accesso tra uomini e donne alle cariche elettive e l'articolo 51 della Costituzione è stato riformato introducendo le pari opportunità in modo da dare copertura costituzionale ai provvedimenti che vogliono attuare tale principio in una legge elettorale;
    l'articolo 117, settimo comma, della Costituzione, come modificato in seguito alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione» stabilisce che: «Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive» e, insieme al combinato disposto degli articoli 3 e 51, definisce criteri per favorire la piena inclusione delle donne nella vita politica, sociale ed economica del Paese. A questo si aggiungano le più recenti pronunce della Corte costituzionale, e, tra queste, le sentenze n. 49 del 2003 e n. 4 del 2010, che hanno chiarito come le norme rivolte alle regioni «stabiliscano come doverosa l'azione promozionale per la parità di accesso alle consultazioni». Finora, il principio delle pari opportunità tra uomo e donna nelle competizioni elettorali è stato considerato in numerosi statuti regionali;
    la legge n. 120 del 12 luglio 2011 ha introdotto misure per il riequilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle società pubbliche e private e da allora il tema è recentemente diventato attuale anche all'interno delle istituzioni, in modo particolare nelle assemblee elettive;
    la legge 23 novembre 2012, n. 215, ha introdotto, nelle elezioni dei consigli comunali dei comuni con più di cinquemila abitanti, sia la doppia preferenza di genere sia una «quota di lista», per la quale nelle liste dei candidati nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore a due terzi: questo particolare strumento permette di porre l'accento sull'elemento principale, il riconoscimento del merito, spesso ostacolato da stereotipi di genere;
    la legge n. 65 del 22 aprile 2014 ha modificato l'articolo 14, primo comma, della legge 24 gennaio 1979, n. 18, in relazione alla promozione dell'equilibrio di genere nella rappresentanza politica alle elezioni per il Parlamento europeo introducendo la cosiddetta «tripla preferenza di genere»: nel caso in cui l'elettore decida di esprimere più di una preferenza, la scelta deve comprendere candidati di entrambi i generi, pena l'annullamento della seconda e terza preferenza;
    il Global gender gap index, registra l'indice sul divario di genere stilato annualmente dal World Economic Forum di Ginevra, e nel 2015 ha rilevato un passo in avanti da parte dell'Italia in relazione alle donne elette alla Camera e al Senato. Nel 2013 sono passate al 31 per cento (dal 22 per cento della precedente legislatura) e l'Italia ha guadagnato 9 posizioni nella classifica, eppure le pari opportunità nel nostro Paese rimangono un miraggio: si è ancora ancora al 71esimo posto su 136 Paesi, al primo c’è per il quinto anno l'Islanda, seguita da Finlandia, Norvegia, Svezia e Filippine;
    in altri termini, nel nostro Paese fa ancora molta meno differenza essere uomo o donna, in termini di possibilità economiche e di carriera politica o dirigenziale;
    in generale, l'Italia si colloca più in basso dei Paesi Scandinavi per tutti i quattro sotto-indici che compongo il Global Gender Gap Report: su 136 Paesi, è al 65 posto per quanto riguarda la scolarizzazione, 72esima per la salute, 44esima per l'accesso al potere politico e al 97esimo per la partecipazione alla vita economica. Il problema viene soprattutto dal mondo del lavoro: il posizionamento generale dell'Italia può essere spiegato principalmente con il basso risultato nella classifica della partecipazione e opportunità economiche. Solo il 51 per cento delle donne lavora, contro al 74 per cento degli uomini. Ma l'elemento chiave è la disparità salariale: una italiana in media guadagna 0,47 centesimi per ogni euro guadagnato da un uomo;
    la posizione dell'Italia nella classifica che misura l'eguaglianza salariale percepita è molto bassa: 124esima su 136 Paesi, al di sotto della media mondiale, la percezione misurata dall'indice, per altro, è quella dei dirigenti d'azienda;
    il fattore determinante più importante per la competitività di un Paese è il talento umano: le donne costituiscono la metà del talento potenziale; se i Governi ricoprono un ruolo importante nel sostenere le politiche giuste (congedo di paternità, asili, e altro), sta anche alle aziende creare posti di lavoro, con processi di reclutamento innovativi, nuovi percorsi per le carriere e politiche salariali trasparenti, che permettano ai migliori talenti di svilupparsi;
    aumentare la presenza delle donne nei luoghi di lavoro è importante, ma non basta se non porta anche a nuove politiche di conciliazione e a un modo nuovo di lavorare da cui possano trarre beneficio tutti, anche gli uomini;
    i numeri di per sé non garantiscono la parità e ciò si evince anche dall'analisi nel dettaglio della situazione politica: in Parlamento siedono più senatrici e deputate (l'Italia si colloca al 28esimo posto della classifica), ma non sono aumentate significativamente le donne in «posizione ministeriali» (qui il nostro Paese si colloca solo 60 esimo, e migliora soltanto di una posizione rispetto al 2013), nei luoghi cioè in cui si decidono le priorità del Paese;
    la data del 2 giugno 2016 costituisce, dunque, non solo un anniversario per il Paese e per il diritto al voto acquisito dalle donne, in termini di elettorato attivo e passivo, ma anche l'occasione per dare forte e rinvigorito impulso alla parità di genere sostanziale e non solo normativa tra uomini e donne, attraverso la messa in campo di azioni realmente volte a eliminare qualunque diseguaglianza a qualunque livello: sociale, lavorativo, politico, culturale;
    la forza della partecipazione politica delle donne alla nuova democrazia e alla elaborazione della Costituzione italiana non nasceva dal nulla: interpretava le lunghe lotte dei decenni precedenti culminate nella partecipazione attiva alla lotta di Liberazione, vero spartiacque del cambiamento della storia italiana, europea, mondiale;
    attraverso questi eventi di portata storica le donne portarono nella cultura politica, sociale e civile del paese un contributo inedito, destinato a rimanere per sempre. Una cultura permanente ma in divenire: i limiti rilevati sulla partecipazione al percorso decisionale e istituzionale dimostrano che si tratta di una conquista lungi dall'essere conclusa;
    la storia delle donne nel novecento è stata portata all'attenzione del mondo dalle conferenze mondiali dell'ONU che hanno indicato le donne come il primo soggetto per i cambiamenti del mondo nel segno dello sviluppo, dell'uguaglianza, della pace;
    la Repubblica italiana è responsabile della continuità ideale politica e programmatica del ruolo svolto dalle donne nella vita dell'Italia e dei passaggi cruciali che hanno determinato, e determineranno questi cambiamenti,

impegna il Governo

   a promuovere nel corso del 2016, iniziative di ampio respiro, di carattere nazionale e locale, per ricordare le figure delle ventuno Madri Costituenti, anche attraverso la realizzazione di programmi televisivi e radiofonici;
   a promuovere in tutte le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado momenti dedicati alla commemorazione delle ventuno donne costituenti, ricordandone l'impegno e il ruolo svolto nella stesura della Carta Costituzionale italiana, e ad assumere iniziative per istituire, in ogni scuola di ordine e grado, programmi educativi destinati al riconoscimento e alla valorizzazione delle donne nella storia, nella filosofia, nella scienza e nelle altre discipline umanistiche e scientifiche;
   a promuovere e a rafforzare la tutela dei diritti delle donne e il loro empowerment in tutti i settori, affrontando le cause strutturali della discriminazione basata sul genere, a promuovere le condizioni che favoriscono la trasformazione nelle relazioni di genere per renderle egualitarie, ad assumere iniziative per garantire alle donne l'effettiva partecipazione e la possibilità di assumere la leadership a tutti i livelli decisionali, politici, economici e sociali, comprese la gestione della riduzione del rischio di catastrofi, la prevenzione e la mediazione dei conflitti e la costruzione dei processi di pace, e a favorire il contributo specifico e unico delle donne nei tavoli di mediazione internazionale che affrontano le gravi crisi politiche e umanitarie in varie aree del globo.
(1-01182) «Zampa, Locatelli, Bergamini, Martelli, Binetti, Santerini, Vezzali, Gribaudo, Pollastrini, Sereni, Cenni, Pes, Blazina, Carloni, Carocci, Gnecchi, La Marca, Patrizia Maestri, Malisani, Murer, Piazzoni, Iacono, Fabbri, Valiante, Fedi, Bargero, Patriarca, Tentori, Carella, Arlotti, Carnevali, Fragomeli, Dell'Aringa, Paola Boldrini, Venittelli, Grassi, Casati, Marzano, Giovanna Sanna, Cani, Albanella, Giuditta Pini, Realacci, Zoggia, Argentin, Malpezzi, Roberta Agostini, Romanini, Marantelli, Campana, Tidei, D'Incecco, Sbrollini, Albini, Paolo Rossi, Cinzia Maria Fontana, Basso, Marchi, Lattuca, Braga, Paris, Rubinato, Rossomando, Ventricelli, Rigoni, Carra, Gasparini, Rocchi, Mongiello, Tullo, Capone, Narduolo, Manzi, Piccione, Ghizzoni, Rotta, Di Salvo, Miotto, Cova, Giacobbe, Casellato, Cimbro, Preziosi, Carrozza, Schirò, Lenzi, Bolognesi, Taricco, Ferranti, Speranza, Lacquaniti, Morani, Ribaudo, Fontanelli, Antezza, Nicchi, Costantino, Duranti, Ricciatti, Pannarale, Pellegrino, Gregori, Galgano, Iori, Carlo Galli».


   La Camera,
   premesso che:
    come risulta da alcune indiscrezioni, recentemente rilasciate dallo stesso commissario Hogan, sembra confermata la revisione di medio termine della politica agricola comune (PAC) prevista per il 2017;
    si tratta di un passaggio molto importante in quanto occasione per superare alcune criticità, semplificare ulteriormente le procedure e calibrare ancora meglio le scelte politiche rispetto alle reali esigenze degli agricoltori europei;
    i regolamenti comunitari approvati nel dicembre 2013, nel definire gli elementi chiave della PAC 2014-2020, hanno demandato agli Stati membri una serie di scelte riguardanti l'applicazione nazionale della riforma;
    l'Italia ha optato per la «regione unica» e la «convergenza interna» basata sul modello irlandese con soglie 30/60; ha stabilito in 250 euro, 300 a partire dal 2017, l'importo minimo per beneficiare del pagamento diretto, ha destinato ai giovani agricoltori l'1 per cento del plafond ed attivato il regime dei piccoli agricoltori al quale hanno aderito circa 550 mila soggetti;
    con riferimento alla suddivisone delle risorse tra pagamento base e aiuto accoppiato, nell'ambito dei margini consentiti da Bruxelles, il nostro Paese ha scelto di destinare al primo il 58 per cento del plafond generale e al secondo l'11 per cento;
    gli aiuti accoppiati valgono in media, per il settennio, 418 milioni di euro l'anno e sono così suddivisi: 210 milioni per la zootecnia bovina, 15 milioni per la zootecnia ovicaprina e 4 milioni per il settore bufalino; per quanto riguarda i seminativi, la ripartizione è la seguente: 10 milioni alla soia (per le regioni del nord), 30 milioni alle proteaginose e al frumento duro (per le regioni del centro) e 55,4 milioni per colture proteiche e frumento duro (per le regioni del sud e isole). Al settore del riso sono destinati 22,6 milioni, allo zucchero 17,1 milioni e al pomodoro da industria 11,2 milioni. All'olivicoltura vanno 70 milioni, divisi tra un premio base di 78 euro/ha per le regioni olivicole con almeno il 25 per cento della SAU (totale 43,8 milioni) e un contributo di 70 euro/ha per terreni con pendenze superiori al 7,5 per cento (totale 13,2 milioni), mentre su tutto il territorio nazionale vengono distribuiti 130 euro/ha per un totale di 13 milioni di euro;
    sarebbe opportuno che un premio specifico fosse assegnato al capo caprino, attualmente previsto solo per agnelli e capretti Igp, e al capo bovino e bufalino a condizione che siano alimentati senza Ogm, restrizione questa funzionale alla promozione di un piano proteico nazionale e quindi allo sviluppo di una filiera interna capace di soddisfare le esigenze del settore zootecnico italiano;
    in considerazione della crescente importanza che rivestono i programmi di benessere animale, per garantire il quale sempre più aziende adeguano i propri standard strutturali e gestionali, sarebbe opportuno attribuire un premio specifico al capo bovino di età inferiore a 12 mesi esclusivamente per gli allevamenti impegnati in progetti di miglioramento del benessere animale;
    particolare attenzione va riservata al comparto delle attività agro-silvo pastorali che mal si relazionano con logiche di mercato tendenti a rincorrere il prezzo più basso e che, pertanto, sarebbe auspicabile un contributo specifico ad una attività economica che diversamente è destinata a scomparire, con gravi conseguenze anche dal punto di vista della tutela del paesaggio rurale;
    come noto, tra le altre misure, la Pac prevede strumenti di aggregazione quali le organizzazioni professionali (OP) e le organizzazioni interprofessionali (OI) che risultano indispensabili, considerato il mercato globale, ad accrescere la competitività e la forza delle aziende e sarebbe pertanto opportuno che il pagamento base, oltre alle condizionalità ambientali, fosse in qualche modo assegnato in relazione alla capacità delle aziende di svolgere attività di produzione di beni e servizi agricoli in una logica integrata;
    l'agricoltura di montagna è un presidio fondamentale per la sopravvivenza di molti territori rurali ed è attività strategica nella lotta al dissesto idrogeologico con un valore complessivo che si attesta intorno ai 30 miliardi di euro e che coinvolge più di 2,5 milioni di aziende agricole, di cui 280 mila italiane,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per aumentare fino a 400 euro l'importo minimo per beneficiare del pagamento diretto come previsto dall'articolo 10 del regolamento 1307/2010;
   ad assumere iniziative per aumentare di due punti percentuali il plafond per l'aiuto accoppiato, destinando le maggiori somme a disposizione: all'aumento del premio già previsto per il capo ovino e all'assegnazione di un premio specifico al capo caprino e di uno al capo bovino e/o bufalino, per i quali si dimostri la somministrazione di una alimentazione Ogm free, nonché di un premio specifico al vitello di età inferiore ai 12 mesi solo se allevato in aziende che risultino significativamente impegnate nel miglioramento delle condizioni di benessere animale, anche attraverso programmi di prevenzione delle malattie e limitato ricorso a trattamenti antibiotici;
   a promuovere, in accordo con le regioni, misure specifiche, all'interno dei programmi di sviluppo rurale volte al mantenimento delle culture arboree di pregio paesaggistico;
   a prevedere ogni utile azione a sostegno della costituzione di organizzazioni interprofessionali e organizzazioni professionali e ad intervenire presso le competenti sedi comunitarie affinché si valuti, per la programmazione della politica agricola comune oltre il 2020, sia l'opportunità di promuovere aiuti diretti incentivanti l'aggregazione, che sostegni specifici per le aree agricole di montagna, in virtù della loro importanza strategica a presidio del territorio.
(1-01183) «Gallinella, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Parentela, D'Incà».

Risoluzione in Commissione:


   La XI Commissione,
   premesso che:
    con il decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 145, lo Stato Italiano ha attuato la direttiva 2002/73/CE in materia di parità di trattamento tra uomini e donne, per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione ed alla promozione professionale e alle condizioni di lavoro. In particolare, è stato disposto che costituisce discriminazione diretta «qualsiasi atto, patto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e comunque il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un'altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga»;
    inoltre, con la sentenza della Corte di giustizia europea Sez./ II, n. C-356/09 del 18 novembre 2010 afferma chiaramente il principio di parità uomo-donna sull'età pensionabile; la Corte dichiara che «l'articolo 3, n. 1, lettera c), della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 settembre 2002, 2002/73/CE, deve essere interpretato nel senso che una normativa nazionale la quale, per promuovere l'inserimento professionale di persone più giovani, consente ad un datore di lavoro di licenziare gli impiegati che abbiano maturato il diritto alla pensione di vecchiaia, laddove tale diritto è maturato dalle donne ad un'età inferiore di cinque anni rispetto a quella in cui tale diritto è maturato per gli uomini, costituisce una discriminazione diretta fondata sul sesso vietata da tale direttiva»;
   considerato che la legge n. 243 del 2004, articolo 1, comma 9, ha previsto per le lavoratrici un regime sperimentale, cosiddetto, «opzione donna», riconoscendo la possibilità di accedere al trattamento pensionistico, «in presenza di un'anzianità contributiva pari o superiore a trentacinque anni e di un'età pari o superiore a 57 anni per le lavoratrici dipendenti e a 58 anni per le lavoratrici autonome, nei confronti delle lavoratrici che optano per una liquidazione del trattamento medesimo secondo le regole di calcolo del sistema contributivo previste dal decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 180»;
   pertanto, con l’«opzione donna» si riconosce il diritto alle lavoratrici di andare in pensione con requisiti più favorevoli, accettando che la pensione sia calcolata con il sistema contributivo, anziché retributivo;
   si ritiene, dunque, necessario promuovere idonei provvedimenti affinché il regime sperimentale in questione venga esteso ed applicato anche agli uomini. Ciò al fine di eliminare la discriminazione che caratterizza l'istituto in questione non prevedendo la medesima possibilità per gli uomini di optare per una pensione calcolata in base al regime contributivo, accedendo al trattamento in anticipo rispetto ai criteri ordinari previsti in materia;
   tra l'altro, vista quella che appare all'interrogante una norma palesemente di dubbia legittimità che attua una evidente discriminazione tra uomini e donne, i lavoratori in possesso dei requisiti previsti dall'articolo 1, comma 9 della legge n. 243 del 2004, già sarebbero legittimati a presentare istanza per il diritto alla pensione di anzianità anticipata,

impegna il Governo

ad adottare iniziative normative affinché sia esteso anche agli uomini il regime sperimentale previsto all'articolo 1, comma 9, della legge n. 243 del 2004.
(7-00935) «Rizzetto».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, commi 974-978, della legge n. 208 del 2015 (stabilità 2016), istituisce il programma straordinario per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia. Il comma 975, recita testualmente: «Ai fini della predisposizione del Programma, entro il 1o marzo 2016 gli enti interessati trasmettono i progetti di cui al comma 974 alla Presidenza del Consiglio dei ministri, secondo le modalità e la procedura stabilite con apposito bando, approvato, entro il 31 gennaio 2016, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281». Il comma successivo, 976, prevede la costituzione, composizione e modalità di funzionamento, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di un nucleo per la valutazione dei progetti di riqualificazione. Per l'attuazione del programma straordinario è istituito un fondo di 500 milioni di euro (comma 978);
   alla interrogante, ad oggi, non risulta emanato alcun bando e separano solo 11 giorni dal lo marzo, data entro la quale gli enti interessati dovrebbero trasmettere i progetti alla Presidenza del Consiglio dei ministri;
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 ottobre 2015 recante «Interventi per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate», pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 249 del 26 ottobre 2015 il Governo, dando attuazione all'articolo 1, comma 431 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità per il 2015), ha provveduto all'approvazione di un bando con il quale sono definite le modalità e la procedura per la presentazione, da parte dei comuni, di progetti di interventi diretti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale, nonché al miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale ed ambientale. La dotazione del Fondo per l'attuazione del piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate è di 44 milioni di euro per il 2015 e di 75 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017, per complessivi euro 194 milioni di euro. Anche per questo tipo d interventi, le tempistiche dettate dal Governo sono state ad avviso degli interpellanti improprie e disattese –:
   in quali tempi il Presidente del Consiglio intenda emanare il bando previsto al comma 975 dell'articolo 1 della legge n. 208 del 2015 e se non ritenga di assumere iniziative per dilazionare i tempi ristretti della presentazione delle proposte, che, data la complessità degli interventi, renderebbero inevitabilmente di scarsa qualità e scarsa partecipazione il citato programma.
(2-01293) «Mannino, Busto, Daga, De Rosa, Micillo, Terzoni, Zolezzi, Agostinelli, Alberti, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   la recente, incredibile, sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha condannato la Repubblica Italiana per aver «abusato del segreto di Stato» relativamente ad una vicenda su una presunta « extraordinary rendition» a danno di Hassan Mustafa Osama Nasr, meglio noto come «Abu Omar», ex Iman radicale della moschea abusiva di Milano e noto terrorista sul quale in Italia pende, mai scontata, una pena di 6 anni a seguito di una condanna per associazione a delinquere con finalità di atti di terrorismo internazionale;
   le pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo sono impugnabili;
   singolarmente, Abu Omar al momento vive indisturbato in Egitto, dove non è infastidito nemmeno dal regime militare di Al Sisi;
   in un momento storico dove è fondamentale la lotta al terrorismo internazionale, tutta la vicenda risulta grottesca, se non ridicola, ed è compito di uno Stato di diritto degno di tal nome accertare compiutamente le verità e le responsabilità relativamente alla vicenda Abu Omar;
   particolare importanza rivestono le dichiarazioni del Generale Nicolò Pollari, all'epoca dei fatti direttore del SISMI, il quale, oltre aver sempre ribadito con forza la completa estraneità degli imputati del Sismi nel caso Abu Omar, ha recentemente auspicato, al fine dell'emersione della verità dei fatti, la rimozione del segreto di Stato sul caso stesso, nonostante per l'applicazione del segreto di Stato lo stesso Pollari ed i suoi colleghi del SISMI i siano stati poi assolti dalle accuse di rapimento a danno dello stesso Abu Omar;
   ulteriore rilevanza assumono inoltre, alla luce delle recenti parole di Pollari, le dichiarazioni scritte dal giornalista Gabriele Polo, ex direttore de « il Manifesto» ed ex collega di Giuliana Sgrena, liberata in Iraq dallo «007» Nicola Calipari, poi ucciso in un posto di blocco americano durante l'operazione. Polo, nel suo libro «Il mese più lungo», la cui prefazione è curata dalla vedova dello stesso Calipari, parlando del caso Abu Omar fa delle rivelazioni inedite ed al tempo stesso clamorose: a pagina 41 infatti, parlando dei timori di Nicola Calipari riguardo a uomini della sua struttura, Polo scrive: «Tutti affidabili, oppure nel caso di Abu Omar la partecipazione di alcuni dei suoi non si è limitata a pedinamenti e rapporti ?» lasciando intendere che vi fossero soggetti, diversi da quelli indagati e condannati (poi assolti proprio per il segreto di stato) coinvolti nel caso Abu Omar;
   è indicativo che un imputato assolto per l'applicazione del segreto di Stato, quale il generale Pollari risulterebbe, richieda la rimozione del segreto medesimo al fine di ristabilire la piena verità dei fatti;
   su tutta la vicenda aleggia l'ombra, mai rimossa, di una fantomatica – quanto plausibile – inchiesta interna all'ex SISMI, attuale AISE, da parte del prefetto Paolo Scarpis e dell'attuale direttore Alberto Manenti circa il coinvolgimento della divisione operativa del SISMI;
   secondo fonti giornalistiche personaggi interni ai servizi italiani diversi da quelli diretti dal generale Pollari ebbero effettivamente un ruolo attivo della vicenda Abu Omar e richiesero espressamente, in un periodo molto antecedente la presunta extraordinary rendition, quegli accertamenti che lo stesso Polo (grazie alle dichiarazioni dell'eroe Nicola Calipari) indica posti in essere da altri e non dagli imputati;
   pertanto gli indizi sul caso portano a credere che vi siano state responsabilità diverse da quelle all'epoca investigate dalla magistratura milanese e che tali responsabilità possano essere appurate solo attraverso la rimozione del segreto di Stato;
   sono già stati fatti appelli alla rimozione del segreto di Stato da parte di autorevoli parlamentari dell'attuale maggioranza –:
   se non ritenga urgente e doverosa la rimozione del segreto di Stato su tutta la vicenda relativa ad Abu Omar per eliminare pregiudizi, ombre e sospetti sui servizi italiani che quotidianamente garantiscono democrazia e sicurezza a tutti;
   se il Governo non ritenga di dover impugnare la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo;
   qualora ricorso non abbia successo, con quali modalità il Governo pensi di ottemperare al pagamento della cifra che la Corte europea dei diritti dell'uomo impone al nostro Paese, considerato che in Italia Abu Omar sarebbe soggetto ad un'ordinanza di arresto per attività terroristica e che la vigente normativa antiriciclaggio impone il blocco dei beni di chi è dichiarato terrorista o fiancheggiatore.
(2-01296) «Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   l'Italia, secondo una recente analisi prodotta dall'organizzazione «Transparency International», risulta essere tra i 28 Paesi dell'Unione europea al penultimo posto in tema di corruzione percepita, e, a livello mondiale, è al 61esimo posto, al pari di Paesi come Lesotho, Senegal, Sudafrica e Montenegro;
   secondo l'interpellante, la corruzione risulta essere uno dei principali, se non il principale, ostacolo alla ripresa e allo sviluppo del nostro Paese: in assenza di una seria politica di contrasto non sarà dunque possibile per l'Italia poter guardare ad un futuro di crescita e sostenibilità economica e sociale;
   l'Autorità nazionale anticorruzione, sin dalla sua nascita è stata via via investita di sempre maggiori compiti, tra i quali, ad esempio, la vigilanza sui grandi appalti, sui più importanti eventi nazionali, quali EXPO 2015, Mose, gli eventi legati al Giubileo, le norme contenute nel nuovo codice degli appalti sino agli arbitraggi per risarcire i correntisti truffati dalle banche;
   a fronte di un tale imponente e crescente carico di lavoro, tuttavia, l'Autorità non ha visto crescere similmente le risorse necessarie per poter svolgere efficientemente le funzioni affidategli, anzi, al pari delle altre autorità indipendenti, l'ANAC ha dovuto subire rilevanti tagli di spesa, come ad esempio nel corso del 2015 quando il bilancio è stato tagliato del 25 per cento passando da 62,9 a 47,2 milioni di euro;
   tale situazione è ben sintetizzata da un comunicato dell'ANAC del 28 gennaio 2016 dal titolo «Nota di aggiornamento al piano di riordino dell'Autorità nazionale anticorruzione», ove si può leggere che «Non può non evidenziarsi che il bilancio dell'Autorità sconta una rigidità della spesa tale da non consentire per il futuro, a quadro normativo vigente, ulteriori norme di contenimento oltre quelle finora adottate se non a prezzo di una ridotta funzionalità dell'Anac che, nella circostanza, non sarebbe tra l'altro coerente con l'implementazione delle funzioni (...) la quale, anzi, indurrebbe ad una nuova riflessione nelle sedi opportune sul mantenimento degli obiettivi di contenimento della spesa»;
   in particolare, per poter svolgere in maniera efficiente propri compiti, l'ANAC avrebbe bisogno di almeno 350 dipendenti, mentre attualmente può far conto solo su 302;
   ciò risulta essere particolarmente paradossale, in quanto l'ANAC avrebbe già tra le proprie disponibilità di cassa circa 50 milioni di euro che tuttavia non può impiegare, in quanto ciò è vietato dalle norme volute dal presente Governo in materia di limiti di spesa di bilancio;
   secondo l'interpellante, una siffatta politica non farebbe altro che paralizzare le funzionalità dell'ANAC rendendo impossibile lo svolgimento dei compiti assegnatele, nonostante gli annunci fatti nel corso degli ultimi mesi da parte di esponenti di Governo sul ruolo centrale che l'autorità dovrebbe assumere nella lotta alla corruzione in Italia –:
   quali iniziative di competenza, anche normative intenda intraprendere al fine di evitare la paralisi funzionale dell'Autorità nazionale anticorruzione, con particolare riguardo all'impiego risorse finanziarie necessarie ad assumere le unità di personale per l'espletamento dei propri compiti.
(2-01295) «Nuti, Cozzolino, D'Ambrosio».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TINO IANNUZZI, FANUCCI, TARTAGLIONE, SGAMBATO, FAMIGLIETTI, IMPEGNO, OLIVERIO, COVELLO, RIBAUDO, IACONO, PALLADINO e CUOMO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   gli incentivi previsti dal decreto legislativo n. 185 del 2000, (titolo Il, relativo all'autoimpiego) si sono dimostrati una misura particolarmente utile ed efficace, soprattutto con riferimento al finanziamento ed alla gestione dei fondi per l'imprenditoria giovanile, erogati attraverso Invitalia;
   le diverse e numerosissime domande di ammissione a finanziamento, presentate nel corso degli anni, sono state adeguatamente ed accuratamente vagliate e selezionate dagli organismi competenti; tale misura ha favorito il costante e significativo ampliamento nel Mezzogiorno della base produttiva con importanti e positive ricadute occupazionali, nonché lo sviluppo di una nuova imprenditorialità nelle aree economicamente svantaggiate del Paese;
   essa ha costituito il principale strumento di sostegno alla realizzazione 3d al concreto e positivo avvio di tante piccole attività imprenditoriali da parte di persone disoccupate, ovvero in cerca di prima occupazione, per lo più giovani e donne; gli incentivi in parola hanno permesso l'occupazione stabile di più e 220.000 persone e la nascita di circa 120.000 aziende, che hanno dimostrato di saper reggere la sfida del mercato e della competizione;
   rilevanti, altresì, sono stati gli effetti positivi e, per così dire, moltiplicativi nei tanti settori produttivi nell'indotto;
   si sono anche favorite la affermazione e la crescita di tanti giovani professionisti (commercialisti, tributaristi consulenti fiscali e del lavoro), impegnati nella concreta utilizzazione di tali agevolazioni da parte di numerosissime micro-imprese; a tutt'oggi non è stato previsto il rifinanziamento delle agevolazioni di cui al Titolo Il del decreto legislativo n. 185 del 2000, relative all'autoimpiego ed alla micro-imprenditorialità giovanile; ne derivano per il Mezzogiorno gravi pesanti ed ingiustificati danni, con la paralisi di una misura che ha prodotto una molteplicità di effetti positivi, sul piano economico, produttivo ed occupazionale e che deve essere con urgenza rifinanziata;
   infatti dal marzo 2015 le richieste di ammissione all'incentivo sono state inopinatamente bloccate per esaurimento dei fondi disponibili, con grave nocumento per i numerosissimi giovani che hanno presentato da tempo richieste ed hanno, quindi, sostenuto spese rilevanti per i progetti già predisposti;
   in risposta ad una precedente interrogazione del primo firmatario del presente atto n. 5-05247 del 1o aprile 2015, il Ministero dello sviluppo economico, nella seduta della IX Commissione del 29 settembre 2015, ha affermato che il «Ministero per lo Sviluppo Economico, per quanto di sua competenza, si sta adoperando (...) anche richiedendo ulteriori risorse (...) allo scopo di rispondere ad una crescente domanda di operatività dello strumento»;
   nel corso della discussione alla Camera dei deputati della legge di stabilità per l'anno 2016, in Commissione bilancio nella seduta del 10 dicembre 2015, il viceministro all'economia e alle finanze Enrico Morando invitò i presentatori a ritirare l'emendamento 11.72 (Iannuzzi ed altri) diretto a rifinanziare tale misura;
   questo invito al ritiro da parte del Viceministro venne «motivato dal fatto che non ci sono le condizioni per disporre immediatamente l'intervento ivi indicato a sostegno dell'auto impiego». In quella stessa i occasione il Viceministro ebbe a ricordare «che tale misura ha dato comunque risultati positivi», ragion per cui «si possa rinnovare attraverso specifici piani approvati in sede di CIPE» la medesima misura»;
   in sede, poi, di discussione in Aula della medesima legge di stabilità per l'anno 2016, nella seduta del 19 dicembre 2015, il Governo ha accolto l'ordine del giorno n. 9/03 214/A/319 (sottoscritto da 35 deputati) volto ad impegnare il Governo a rifinanziare la misura di sostegno all'autoimpiego ed alla piccola imprenditorialità giovanile;
   ad oggi, tuttavia, il CIPE non ha ancora deliberato il rifinanziamento di tale utilissimo e prezioso incentivo, nonostante tutti gli atti parlamentari e le dichiarazioni in tal senso che si sono susseguiti nei mesi scorsi –:
   quali iniziative il Governo intenda assumerei con tempestività, per il rifinanziamento, attraverso specifica deliberazione del CIPE, delle agevolazioni previste dal decreto legislativo n. 185 del 2000 (Titolo II) ed in particolare, delle misure per «la microimpresa» e per l'autoimpiego necessarie ed urgenti in una fase di così pesante e dura crisi economica e di drammatica disoccupazione giovanile. (5-07951)

Interrogazione a risposta scritta:


   GALLINELLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come evidenziato nell'anno 2010 in occasione di una indagine sul fenomeno della prostituzione realizzata dalla Commissione affari sociali della Camera, nel nostro Paese si contano circa 70 mila prostitute, oltre 9 milioni di clienti ed un giro di affari da almeno 5 miliardi di euro/anno; tali dati non recenti, ancorché ad oggi i più aggiornati, risultano confermati da un rapporto pubblicato nel marzo 2014 dall'Associazione Papa Giovanni XXIII di don Benzi;
   il fenomeno della prostituzione nasconde, molteplici aspetti: si va dalla «prostituzione per scelta», quella dei cosiddetti sex workers, che chiedono il riconoscimento dei propri diritti di lavoratori e di cui tuttavia non si hanno stime ufficiali relativamente alla loro consistenza, al traffico delle donne migranti con le penose conseguenze che tutti conoscono: lo sfruttamento, la violenza, il ricatto della clandestinità;
   la prostituzione, nel corso dei decenni, è infatti profondamente mutata e, inevitabilmente, è andata ad intersecarsi con altri aspetti della società, primo tra tutti quello dell'immigrazione. Oggi oltre al metà delle prostitute presenti sul territorio italiano sono straniere e, nella maggior parte dei casi, la loro attività viene gestita da organizzazioni criminali;
   individuare la strada giusta per affrontare questo fenomeno sociale non è facile tuttavia è evidente che nel nostro Paese la prostituzione non è proibita e non è regolamentata; l'unica regola è che non venga esercitata in luogo chiuso. Sono proibiti e puniti lo sfruttamento e il favoreggiamento della prostituzione;
   certamente non esiste un modello ideale, ma quello italiano non è certo risolutivo né per mettere fine al traffico illecito né per contenere gli alti costi, sociali, umani ed economici della prostituzione. Le soluzioni che gli altri Stati europei hanno individuato vanno dal proibizionismo introdotto nel Nord Europa alla regolamentazione per legge della Germania, Regno Unito e Olanda;
   ciascuno di questi Paesi, seppur con formule diverse, e senza purtroppo risolvere completamente i problemi dello sfruttamento e delle pessime condizioni in cui spesso vivono le prostitute, ha formalmente riconosciuto la prostituzione al pari di una qualsiasi professione e l'ha normata entro precisi ambiti al fine di renderla, in qualche modo, maggiormente controllabile;
   su questo tema è intervenuto anche il Parlamento europeo con la risoluzione Honeyball (2014) volta a promuovere il modello svedese che punisce e punta a responsabilizzare i clienti e che segna una rivoluzione culturale nell'approccio alla prostituzione, giudicata come una forma di violenza nei confronti delle donne, segno di una disparità di genere –:
   se il Governo non ritenga necessario attivare urgentemente una indagine governativa con l'obiettivo di monitorare la situazione del fenomeno della prostituzione e quali iniziative intenda adottare al fine di evitare, nel prioritario interesse delle persone che la esercitano, che la criminalità organizzata gestisca tale attività. (4-12300)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende dal comunicato ufficiale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale il Governo italiano ha ceduto il mare al nord della Sardegna, sino a 40 miglia sul lato est e oltre 200 miglia su quello ovest, e una porzione rilevante sul piano qualitativo della Liguria, in cambio della tutela della linea retta di confine sull'arcipelago toscano;
   non si tratta di un'indiscrezione ma di un documento ufficiale del ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale che ha solennemente affermato: «Nel corso dei negoziati che hanno portato alla firma dell'Accordo, la parte italiana ha ottenuto di mantenere immutata la definizione di linea retta di base per l'arcipelago toscano, già fissata dall'Italia per la delimitazione del mare territoriale nel 1977»;
   si tratta di un'ammissione gravissima e che costituisce secondo l'interrogante un atto lesivo dell'interesse economico della Sardegna e non solo;
   nel documento ufficiale è anche scritto che «per il mare territoriale tra Corsica e Sardegna, è stato completamente salvaguardato l'accordo del 1986, inclusa la zona di pesca congiunta»;
   si tratta di un'affermazione del tutto priva di fondamento;
   nell'accordo di Caen è scritto in modo esplicito che tale accordo, quello richiamato del 1986, sarà abrogato integralmente;
   le aree di pesca comune riguardano invece un solo minuscolo spazio sul lato ovest, ma nessuno spazio comune ad est, nella parte più importante e rilevante;
   tutto questo costituisce un atto grave visto che il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale dichiara palesemente fatti privi di fondamento e afferma che la Sardegna è stata sostanzialmente scambiata con la Toscana;
   deve essere revocato l'accordo tra Italia e Francia;
   oggi più che mai quell'intesa deve essere cancellata proprio per la gravità dei suoi contenuti;
   appare evidente non solo il danno economico ma anche quello morale per la cessione di sovranità e di diritti, non solo della Sardegna e del popolo sardo;
   non esistendo nessuna possibile comparazione tra quanto ceduto e quanto ricevuto in quello che la Farnesina definisce negoziato appare evidente che il danno è tale da far derivare un gravissimo nocumento all'interesse nazionale;
   si tratta di un accordo che va senz'altro revocato;
   si tratta di una lesione grave alla Sardegna e una cessione gratuita di sovranità davvero inaccettabile;
   nell'ambito dell'accordo è disciplinata anche la parte relativa ai possibili giacimenti di idrocarburi, gas e petrolio, in quelle porzioni di mare cedute alla Francia;
   è evidente che tale disciplina non è casuale essendoci sull'area ovest soprattutto un grande interesse da parte di soggetti interessati alla ricerca di idrocarburi;
   in tal senso il Governo avrebbe in animo attraverso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concedere una nuova proroga nella procedura di richiesta di autorizzazione per la prospezione petrolifera per i norvegesi della Tgs Nopec;
   si tratterebbe dell'ennesimo «assalto» a petrolio e gas nei mari di Sardegna;
   ci sarebbero studi nella disponibilità dello stesso ministero dello sviluppo economico per 1,4 trilioni di metri cubi di gas e 0,42 bilioni di barili di petrolio;
   lo studio dichiarato dalla stessa TGS Nopec dichiara la possibile presenza un 1,4 «Trilioni» di metri cubi di gas, mezzo bilione di barili di petrolio, 2,23 milioni di barili di gas naturale in forma liquida;
   sarebbe questo il «malloppo» che le compagnie petrolifere stanno cercando di accaparrarsi nei mari di Sardegna;
   un dato di raffronto lascia comprendere l'interesse: la terra possiede giacimenti accertati di gas pari a 179 trilioni di metri cubi;
   un report riservato in mano al ministero dello sviluppo economico direbbe chiaramente che in quella fascia «provenzale» c’è petrolio e gas;
   i norvegesi della TGS Nopec stanno tentando in tutti i modi e alle spalle potrebbero avere colossi come l'Eni, pronti a fare razzia di ogni goccia di petrolio e gas nel mediterraneo ma non solo;
   a dare manforte a questo progetto, secondo l'interrogante, c’è il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che anziché respingere la vergognosa richiesta di perlustrazione a colpi di bombe sismiche a cavallo con il Santuario dei Cetacei ha prima concesso una proroga di termini e poi prende altro tempo e valuta l'ulteriore proroga da concedere ai norvegesi;
   tutto sembrerebbe lasciar intendere, ad avviso dell'interrogante, che questa volta il Governo sia intervenuto direttamente sull'organo tecnico per arrivare all'autorizzazione alle bombe sismiche nei mari di Sardegna;
   i cercatori di gas e petrolio hanno chiesto una nuova proroga per continuare a sperare nel permesso di devastare l'intera area a suon di devastanti bombe sismiche;
   la nuova documentazione presentata dalla TGS lascia intendere che quel piano del ministero lo conoscono perfettamente e quindi vogliono l'autorizzazione;
   proprio per questo motivo sarebbero in atto veri e propri contatti tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e quello dello sviluppo economico combattuti tra la precedente «bocciatura» dei texani e la nuova richiesta dei norvegesi della TGS Nopec, la società geofisica che opera per i grandi gruppi petroliferi che restano per adesso dietro le quinte della guerra del petrolio in mare;
   una società, la TGS, che sembra avere stretti contatti con il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare visto il tergiversare della commissione di valutazione di impatto ambientale sulla richiesta di autorizzazione a perlustrare con i devastanti air gun lo specchio acqueo davanti alla costa tra Alghero e Oristano;
   la presentazione di nuovi documenti da parte dei norvegesi è, però, la conferma del nuovo «assalto» ai mari di Sardegna con tanto di nave sismica messa agli atti nella risposta al ministero;
   per questo è stata scelta la nave sismica R/V Akademik Shatskiy pronta ad operare in quel tratto di mare al confine del Santuario dei cetacei;
   si tratta di un piano messo in piedi nei minimi dettagli, visto che il ministero dello sviluppo economico ha individuato quell'area in base a studi ritenuti strategici e sottoposti a regimi di riservatezza;
   in realtà si tratta di un'acquisizione di dati da un server americano che dispone di informazioni dettagliate sulla fascia provenzale dove è stata inserita anche la Sardegna;
   ad avviso dell'interrogante dietro questa operazione si nasconde una grande multinazionale del petrolio;
   l'insistenza nel piano della Tgs e anche quella che l'interrogante giudica arroganza con la quale essa risponde al ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare lascia presumere una copertura a più alto livello;
   essi considerano l'autorizzazione ambientale alla stregua di un atto dovuto;
   è evidente che tutto questo non può in alcun modo essere accettato e soprattutto risulta grave che il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non compia sino in fondo il suo dovere di controllore di una partita così delicata;
   quell'area detta zona E neve essere stralciata dai piani del ministero dello sviluppo economico ed è vergognoso che la regione stia a guardare;
   è evidente che quella clausola di «riparto» inserita nell'accordo di Caen per quanto riguarda le risorse energetiche possa costituire anche un elemento funzionale a spostare l’iter concessorio alla Francia anche in virtù del prossimo referendum in Italia sul tema delle concessioni a mare di ricerca di petrolio e gas –:
   se non si intendano assumere iniziative per rimettere in discussione l'accordo di Caen o si intenda assumere iniziative per procedere alla sua ratifica e con quali tempistiche;
   se non si intendano correggere le affermazioni, ad avviso dell'interrogante gravi e prive di fondamento, contenute nel comunicato, con particolare riferimento all'accordo del 1986 che non solo non sarà in vigore ma secondo quanto previsto nell'accordo verrà abrogato;
   se non si intenda valutare il danno economico causato da tale accordo o altrimenti esplicitare i vantaggi per lo Stato italiano;
   se non si intenda far conoscere la valutazione della comparazione tra quanto ceduto e quanto ottenuto, al fine di valutare il danno all'interesse nazionale;
   se non si intenda valutare la possibilità per quanto di competenza, di segnalare alle autorità giudiziarie eventuali reati commessi da chiunque abbia, con affari di Stato in territorio estero, provocato nocumento all'interesse nazionale;
   se non si intenda stralciare quell'area di prospezione geologica in mare dai piani del Governo;
   se non si intenda comunicare la mancata ulteriore proroga sulle procedure di valutazione di impatto ambientale relative al progetto della Nopec Tgs;
   se le vicende relative a tale area incidano, direttamente o indirettamente, sulle cessioni fatte al governo francese in relazione all'accordo sottoscritto a Caen il 21 marzo 2015;
   se esistano studi del Governo che attestano e in che quantità presenze di idrocarburi in quelle aree di mare, con particolare riferimento a quelle ricadenti nei confini sottoscritti a Caen;
   se con il Governo francese si sia discusso e negoziato anche su questi aspetti;
   se l'Eni abbia interessi diretti o indiretti nell'area di prospezione petrolifera ricadente nel trattato sottoscritto a Caen.
(2-01291) «Pili».

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata:


   FAENZI, ABRIGNANI, BORGHESE, D'ALESSANDRO, GALATI, MERLO, MOTTOLA, PARISI e FRANCESCO SAVERIO ROMANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   per sette anni, dal 2007 al 2014, la Nuova Solmine (azienda chimica situata nella piana del Casone a Scarlino, in provincia di Grosseto) ha emesso in atmosfera valori di anidride carbonica solforosa e ossidi di azoto in quantità doppia rispetto alla soglia consentita, senza adeguare gli impianti di produzione, come più volte richiesto dalle autorità competenti;
   al riguardo, l'indagine avviata dalla procura di Grosseto (a seguito delle segnalazioni degli ispettori dell'Ispra e delle associazioni ambientaliste locali), conclusasi la scorsa settimana con un avviso di garanzia nei riguardi di un dirigente della citata azienda, ha confermato il mancato rispetto dei parametri di legge in relazione alle emissioni nell'aria, i cui effetti all'integrità dell'ambiente e alla salute della comunità locale di Scarlino e di Follonica, secondo quanto sostengono le autorità sanitarie locali e i comitati ambientalisti, risultano essere di particolare gravità;
   tenuto conto del periodo considerevole con il quale la Nuova Solmine ha operato al di fuori del quadro regolatorio in tema di gestione delle procedure di autorizzazione, di controllo ambientale e del conseguente rilascio in atmosfera di sostanze inquinanti in quantità elevata, altamente pericolose per la salute delle popolazioni residenti, occorre conoscere, a giudizio degli interroganti, quali siano le reali condizioni dell'area interessata alla luce delle recenti decisioni della magistratura di Grosseto –:
   se sia a conoscenza della situazione esistente nell'area industriale della piana del Casone di Scarlino in cui si trova l'azienda chimica citata in premessa e se, a tal fine, disponga di informazioni in merito alle conseguenze epidemiologiche sulla salute della popolazione residente e sugli effetti diretti e indiretti sulla salute dei cittadini di Scarlino e di Follonica, derivanti dai livelli di emissione di sostanze inquinanti nell'aria circostante e quali iniziative urgenti e necessarie, di conseguenza, il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine di tutelare la comunità locale interessata, in relazione alla situazione ambientale e sanitaria in precedenza descritta. (3-02071)


   GRIMOLDI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 4 febbraio 2016 la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ha espresso parere favorevole, con osservazioni e con l'avviso contrario delle regioni Lombardia e Campania, allo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri «Individuazione della capacità complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani e assimilabili in esercizio o autorizzati a livello nazionale, nonché individuazione del fabbisogno residuo da coprire mediante la realizzazione di impianti di incenerimento con recupero di rifiuti urbani e assimilabili» predisposto ai fini dell'attuazione dell'articolo 35, comma 1, del decreto-legge n. 133 del 2014 (cosiddetto decreto sblocca Italia) convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014;
   ai sensi del decreto-legge n. 133 del 2014, gli impianti individuati da tale decreto del Presidente del Consiglio dei ministri costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, sono riclassificati da inceneritori ad impianti di recupero energia con funzionamento fino a saturazione del carico termico e possono accogliere rifiuti provenienti anche da fuori regione, a discapito di qualsiasi programmazione regionale;
   in questo modo decadono i principi di autosufficienza e di prossimità tra il luogo di produzione e lo smaltimento dei rifiuti e aumentano pesantemente gli impatti e i rischi ambientali derivanti dal trasporto dei rifiuti da e verso gli stessi impianti di incenerimento, confermando una direzione opposta ai principi delle direttive comunitarie che mirano a conseguire la minimizzazione degli effetti ambientali negativi derivanti dalla gestione dei rifiuti;
   la strategia del Governo addirittura disincentiva e deresponsabilizza soprattutto quelle regioni che in tema di autosufficienza sono inadempienti, incidendo pesantemente su regioni che sono già «virtuose» e autosufficienti nella gestione dei propri rifiuti;
   la regione Lombardia è la regione più «virtuosa» e più colpita dalle nuove norme, poiché, secondo lo stesso schema del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, a fronte di un fabbisogno di incenerimento pari a 1.771.269 tonnellate all'anno, presenta una capacità di incenerimento complessiva pari a 2.350.200 tonnellate all'anno con una sovracapacità di incenerimento per 578.931 tonnellate all'anno, garantita da una sostanziale saturazione impiantistica che conta 13 inceneritori;
   secondo la strategia del Governo, gli impianti con capacità inutilizzata, tra cui quello di Brescia, quello di Cremona e altri impianti lombardi, dovranno smaltire i rifiuti in eccesso sul territorio nazionale fino a quanto non verranno costruite le nuove strutture che dovranno garantire il progressivo riequilibrio socioeconomico fra le macroaree del territorio nazionale, Nord, Centro e Sud, come definite dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
   tale linea politica del Governo è confermata dal decreto-legge n. 185 del 2015, recante «Misure urgenti per interventi nel territorio», convertito, con modificazioni, dalla legge n. 9 del 2016, che, all'articolo 2, nell'ambito degli interventi straordinari per la regione Campania disposti per dare esecuzione alle sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea del 4 marzo 2010 e del 16 luglio 2015, prevede lo smaltimento dei rifiuti regionali secondo un piano finanziato con 150 milioni di euro da parte dello Stato, per l'anno 2015, non escludendone lo smaltimento anche in regioni diverse;
   inoltre, la legge n. 208 del 2015, legge di stabilità per il 2016, finanzia con 150 milioni per ciascuno degli anni 2016 e 1017, interventi per la «Terra dei fuochi» della regione Campania, da individuare con successivo decreto ministeriale;
   il Ministro interrogato in un comunicato Ansa del 15 ottobre 2015, ha annunciato lo stanziamento di 150 milioni di euro l'anno per tre anni per intervenire proprio sulla problematica dei rifiuti, in particolare della «Terra dei fuochi»; secondo il Ministro interrogato si è trattato di un segnale importante che il Governo ha dato alla regione Campania; il comunicato riporta, inoltre, che con i fondi verrà avviato, tra l'altro, il piano di rimozione dei 5 milioni di ecoballe ancora stoccati sul territorio;
   infatti, in merito alla gestione dei rifiuti campani, il quotidiano online Cremona oggi del 28 febbraio 2016, considera la settimana in corso decisiva per conoscere i vincitori del primo bando di gara internazionale, suddivisa in 8 lotti, bandita dalla regione Campania per lo smaltimento di quasi 800 mila tonnellate di ecoballe in deposito nei diversi siti della regione Campania;
   il primo bando, scaduto il 18 febbraio 2016, prevede un importo di 118 milioni di euro, come prima tranche dei 450 milioni messi a disposizione dal Governo per la rimozione, trasporto, smaltimento e recupero energetico dei rifiuti imballati e accatastati nell'area della regione Campania, parte dei quali provenienti dalla «Terra dei fuochi»;
   la partecipazione al bando dell'A2A, in particolare per lo smaltimento del lotto 2, a Giugliano (Napoli), sito Masseria del Re, per lo smaltimento di 100 mila tonnellate di rifiuti e per un valore di appalto di 15 milioni di euro, in concomitanza all'annunciata firma dei contratti per l'acquisto da parte di A2A del 51 per cento della Lgh, proprietaria dell'inceneritore di San Rocco di Cremona, ha creato lo sconcerto tra i cittadini lombardi; il timore è quello dello smaltimento dei rifiuti campani negli impianti della regione Lombardia, in particolare in quello di Brescia, o come ecoballe, o trasformati in combustibile solido secondario (css), al fine di facilitarne lo smaltimento fuori regione nell'ambito del territorio italiano, qualora si verificasse l'indisponibilità dei Paesi esteri ad accogliere i rifiuti; in questo modo verrebbe scavalcato l'obbligo dello smaltimento dei rifiuti urbani nell'ambito del territorio regionale e disatteso il principio di prossimità nello smaltimento dei rifiuti;
   la pianura padana, a causa della concentrazione degli insediamenti industriali e dell'esteso inurbamento del territorio, ma anche per ragioni climatiche e di morfologia territoriale e soprattutto per la palese insufficienza della rete stradale che crea gravi congestionamenti del traffico, rappresenta la parte del territorio italiano più esposto all'inquinamento da particolato primario e secondario; gli ultimi provvedimenti normativi del Governo sopra citati non vanno nella direzione giusta, verso una riduzione delle emissioni ma, anzi, inevitabilmente, comporteranno l'incremento delle fonti di emissione di ossidi di azoto e polveri sottili e ultra sottili proprio nelle regioni del Nord che sono le più fornite di impianti di incenerimento di rifiuti –:
   se rientri nei programmi del Governo la limitazione dello smaltimento dei rifiuti campani, e soprattutto di quelli solidi urbani, nell'ambito del territorio regionale, anche in considerazione dell'ammontare delle risorse statali autorizzate dagli ultimi provvedimenti normativi, e se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative volte a rivedere l'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014 e ritirare lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di attuazione in corso di emanazione, rispettando la pianificazione regionale ed evitando di far pagare alle regioni virtuose, prima di tutte alla Lombardia, le annose e disastrose situazioni creatisi in altre regioni in materia di rifiuti. (3-02072)


   MATARRESE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati pubblicati dal sito del dipartimento delle politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri e in particolare dalla banca dati EUR-Infra, sull'elenco generale delle 89 procedure di infrazione alla normativa dell'Unione europea riguardanti l'Italia, 18 riguardano materia ambientale;
   relativamente alla procedura d'infrazione ambientale 2003/2077, a seguito della sentenza ex articolo 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea pronunciata dalla Corte di giustizia il 2 dicembre 2014, nella causa C-196/13, l'Italia è stata condannata al pagamento di ingenti sanzioni pecuniarie per non aver dato esecuzione alla pronuncia della Corte del 2007 (causa C-135/05) con la quale era stata accertata la violazione, generale e persistente, degli obblighi previsti dalle direttive europee in materia di gestione dei rifiuti con riferimento alle discariche funzionanti illegalmente e senza controllo sul territorio italiano (alcune contenenti anche rifiuti pericolosi);
   secondo quanto si evince dai dati del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, resi noti a dicembre 2014 nel corso dell'audizione in sede di Commissioni congiunte politiche dell'Unione europea e ambiente in materia di «Stato delle bonifiche delle discariche illegali chiuse e relative procedure di infrazione», nello specifico sono state imposte una sanzione forfettaria una tantum che ammonta a 40 milioni di euro e una penalità semestrale determinata in 42 milioni e 800 mila euro, fino all'esecuzione completa della sentenza. La Corte di giustizia ha, inoltre, riconosciuto all'Italia la possibilità di applicare la penalità in forma decrescente ovvero in maniera proporzionale alla risoluzione delle problematicità riscontrate nei siti oggetto di contestazione. La sentenza precisa anche che tale determinazione nasce dall'esigenza, fissata dalla Corte, che la Commissione europea possa valutare lo stato di avanzamento dei provvedimenti di esecuzione della sentenza;
   recenti fonti di stampa riferiscono quanto segue: «Considerato che il 2 giugno 2015, alla scadenza del primo semestre, erano state messe a norma solo 15 discariche irregolari su un totale di 198 sparse su tutto il territorio nazionale, il nostro Paese ha dovuto sborsare altri 39 milioni e 800 mila euro. Adesso che anche il secondo semestre è scaduto, il 2 dicembre 2015, si attende di sapere quale sia l'ammontare della nuova sanzione comminata che, plausibilmente, dovrebbe aggirarsi intorno a un importo simile a quella di luglio 2015, visto che sul fronte delle bonifiche poco o nulla di nuovo è stato fatto (...)»;
   secondo quanto si evince dal documento pubblicato sul sito della Commissione europea, denominato «Sentenza del 2 dicembre 2014 nella causa C-196/13 – Discariche coperte dalla sentenza – Situazione allo scadere del secondo semestre successivo alla sentenza (3 giugno 2015-2 dicembre 2015)», pare che le discariche attualmente attive sul territorio italiano siano pari a 155;
   secondo quanto si evince dagli organi di informazione, pare che «la Ragioneria generale dello Stato abbia mandato una segnalazione di danno erariale alla procura della Corte dei conti del Lazio per le centinaia di milioni di euro che lo Stato è costretto a sborsare per non essersi adeguato alle regole dell'Unione europea in materia di rifiuti (...)»;
   le somme delle sanzioni pagate dallo Stato italiano sono oggetto del diritto di rivalsa da parte del Ministero dell'economia e delle finanze nei confronti delle regioni, secondo gli importi a ciascuno spettanti computando le discariche di pertinenza secondo quanto disposto dall'articolo 43 della legge n. 234 del 2012;
   in particolare, e secondo quanto si evince da fonti di stampa, la situazione relativa alle discariche abusive, sommata al problema della gestione dei rifiuti, sarebbe rilevante anche e soprattutto in Puglia, tanto che gli organi di informazione paventano il rischio di «commissariamento di tutto il sistema regionale dei rifiuti e la possibile richiesta dello stato di emergenza»;
   secondo fonti di stampa si sarebbe tenuto di recente, presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, un tavolo tecnico tra la regione Puglia e la direzione generale per i rifiuti e l'inquinamento, nel corso del quale si sarebbe discusso del complesso delle 12 discariche abusive pugliesi ancora attive e rilevanti ai fini della predetta procedura di infrazione comunitaria 2003/2077, che costringerebbero la regione a pagare una sanzione pari a diverse centinaia di migliaia di euro al mese fino alla soluzione delle problematiche –:
   quale sia il numero delle discariche abusive ad oggi ancora attive in Italia e per quali di esse siano previsti interventi di bonifica programmati ed adeguatamente finanziati, quale sia lo stato di avanzamento relativo al piano straordinario di bonifica e quali iniziative di carattere strutturale il Ministro interrogato intenda adottare al fine di limitare le inadempienze delle regioni in merito alle procedure di bonifica e di accelerare le procedure stesse, con particolare riferimento a quelle relative alle discariche abusive della regione Puglia. (3-02073)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta orale:


   FEDRIGA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 16 febbraio 2016, in Commissione cultura Senato, ha avuto luogo l'audizione informale del commissario governativo uscente, ex legge n. 112 del 2013, Pier Francesco Pinelli, sulla situazione degli otto teatri lirici interessati dalla citata legge e sulle quote di fondi pubblici erogati ai medesimi dalla direzione spettacolo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo a sostegno delle fondazioni lirico-sinfoniche sottoposte ad un percorso di risanamento;
   la citata normativa, infatti, condiziona l'erogazione dei contributi ad un piano di risanamento pluriennale che consenta di diminuire i costi operativi dei teatri lirici e aumentare le loro entrate da biglietteria e sponsorizzazioni in modo da riportare in equilibrio i loro conti;
   dal documento si apprende — con poca sorpresa per l'interrogante, ma tanta ripugnanza — che sui 146,2 milioni di euro assegnati fino ad ora per gli enti lirici sottoposti a un percorso di risanamento, la maggior quota è stata devoluta al Maggio musicale fiorentino, pari a 33,4 milioni di euro, contro i 29,3 al San Carlo di Napoli, i 25 dell'Opera di Roma, i 16,9 del comunale di Bologna, i 16,1 del Carlo Felice di Genova, i 12,9 del Verdi di Trieste, gli 8 del Massimo di Palermo e i 4,5 del Petruzzelli di Bari;
   non solo l'ente di Firenze risulta in testa per aiuti di Stato, ma addirittura permane ultimo nella classifica per i risultati del proprio piano di risanamento;
   stante al documento del commissario, relativo all'anno 2015, mentre l'Opera di Roma «eccelle nell'ampliamento dell'offerta, nell'incremento dei ricavi da botteghino e nell'attrazione di sponsorizzazioni e contributi privati», e altrettanto il Giuseppe Verdi di Trieste che «prosegue il percorso di risanamento previsto specie in relazione al controllo dei costi, aspetto in cui la Fondazione eccelle», come pure il Massimo di Palermo che consegue «risultati in linea con il piano» ed il Petruzzelli di Bari che «ha nei bassi costi strutturali di gestione il proprio punto di forza», non può dirsi altrettanto del Maggio musicale fiorentino che «ha costi elevati (spettacoli, teatro, marketing, management), ricavi da sponsor inferiori alle attese, non ha impostato una gestione ordinaria efficace e conseguirà nel 2015 una perdita operativa e di cassa importante nonostante un risultato netto positivo per partite contabili»;
   il documento del Commissario spiega poi nel dettaglio quanto è accaduto nel 2015, fornendo molte cifre: con riguardo al margine operativo lordo dei vari teatri lirici, in cinque casi è positivo (Napoli, Roma, Trieste, Bari e Palermo), in tre negativo (Genova, Firenze e Bologna) ed in un solo caso — quello di Napoli — il risultato nel 2015 (di 450 mila euro) è meglio delle promesse del piano di risanamento. In due casi — Bari e Genova — il risultato reale è identico alle promesse fatte l'anno precedente, mentre gli altri cinque teatri lirici hanno avuto risultati inferiori alle promesse, qualcuno di pochissimo (Trieste, Palermo e Roma), altre di molto (Bologna e Firenze), con il Maggio musicale fiorentino risultante il peggiore in assoluto per distanza fra risultato atteso e risultato conseguito (doveva andare in attivo di 2,76 milioni di euro, chiude in passivo per 1,54 milioni con una differenza di 4,30 milioni di euro);
   la questione è stata riportata anche a mezzo stampa il 21 febbraio 2016 dal quotidiano Libero, in un articolo a firma Bechis, che denuncia «Questo mare che a Firenze c’è fra il dire e il fare appare in ogni voce: i costi totali secondo promesse avrebbero dovuto ammontare a 30 milioni di euro, e invece sono stati 34 milioni. I costi del personale dovevano essere di 18 milioni di euro, sono stati di 20 milioni, e così via per tutte le voci. Il Maggio musicale fiorentino insomma ricorda molto da vicino i conti dello Stato nell'era Renzi: grandissime promesse, risultati scarsini»;
   tutta la vicenda denota, a giudizio dell'interrogante, un evidente conflitto, di interessi nell'operato del Governo –:
   come spieghi il Governo i fatti di cui in premessa, con specifico riguardo alla maggiore erogazione all'ente musicale fiorentino, posto che ad avviso dell'interrogante nei riguardi del predetto ente c’è stato un trattamento di favore, e di contro un trattamento discriminatorio nei confronti degli altri sette teatri lirici, in contrasto con il dettame di legge che prevede il rapporto «contributi-virtuosità di comportamento-risanamento». (3-02065)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FASSINA e GREGORI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende da fonti stampa, da circa due mesi, i giovani ricercati e laureati partecipanti al progetto formativo attivato presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, denominato «500 giovani per la cultura» non ricevono più il contributo mensile previsto per i loro tirocini formativi;
   il blocco dei pagamenti deriverebbe da un vulnus decisionale derivante dall'entrata in vigore dei decreti legislativi legati alla riforma della pubblica amministrazione, in particolare la riorganizzazione delle competenze e delle funzioni legate al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e del rapporto tra quest'ultimo e il Ministero dell'economia e delle finanze;
   la confusione è stata tale che le ritenute finora applicate non erano quelle giuste, cosicché i partecipanti al progetto formativo in questione sono stati chiamati a restituire la differenza agli enti pubblici preposti, ovvero i centri di spesa. Con una recente circolare della direzione generale educazione e ricerca del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, si prevede che i centri di spesa da ora in poi saranno i segretariati regionali e gli istituti dotati di autonomia. Ma questi ultimi sarebbero mancanti di fondi, non avrebbero capitoli di spesa specifici ne conteggi aggiornati;
   i tirocinanti del progetto formativo «500 giovani per la cultura» sono, per la maggior parte, studenti altamente specializzati, dottorandi e ricercatori con molti anni di esperienza alle spalle, che vengono utilizzati per portare avanti compiti di ricerca fondamentali per il mantenimento del sistema culturale italiano –:
   quali iniziative, anche normative, i Ministri interrogati intendano assumere al fine di garantire la corretta e continua erogazione dei contributi mensili previsti per il progetto formativo denominato «500 giovani per la cultura» e se s'intenda al riguardo adottare iniziative per addivenire ad una sistemazione urgente e definitiva dei soggetti erogatori e gestori del progetto. (4-12301)


   COLONNESE, LUIGI GALLO, BRESCIA, DI BENEDETTO, D'UVA, MARZANA, VACCA, SIMONE VALENTE, SIBILIA, FICO e MICILLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Flagellazione di Cristo è un dipinto a olio su tela (286x213 cm) realizzato tra il 1607 ed il 1608 dal pittore Michelangelo Merisi (o Amerighi), noto come il Caravaggio (Milano, 29 settembre 1571 – Porto Ercole, 18 luglio 1610);
   alla fine del 1606, Caravaggio giunse a Napoli, nei Quartieri Spagnoli, dove rimase per circa un anno. La fama del pittore era ben nota a tutti nella città. I Colonna lo raccomandarono a un ramo collaterale della famiglia residente a Napoli: i Carafa-Colonna. Qui il Merisi visse un periodo felice e prolifico per quanto riguarda le commissioni. Dei molti dipinti eseguiti durante il primo periodo napoletano, solo due sono ancora nella città. Il primo è il suggestivo Sette opere di Misericordia (1606-1607), uno dei lavori più importanti del Caravaggio. L'altro dipinto rimasto a Napoli fu quello eseguito tra il 1607 e il 1608, direttamente per la chiesa di San Domenico Maggiore, poi spostato al museo di Capodimonte, ovvero una seconda versione appunto della Flagellazione di Cristo;
   non si è spenta ancora l'eco della polemica sulla scelta di rinunciare allo spostamento a Roma de Le Sette opere della Misericordia, realizzata dal Caravaggio per la cappella del Pio Monte di Misericordia e protetta da un vincolo di inamovibilità risalente al 1612 immediatamente successivo alla morte dell'artista. Sembrava essere tutto pronto, infatti, per il trasferimento dell'opera a Roma, dove doveva essere esposta nelle scuderie del Quirinale per una mostra temporanea: la Sovrintendenza partenopea aveva fatto sapere di non essere contraria al trasloco, sia pure momentaneo, dell'opera nella Capitale. Questa decisione aveva scatenato veri e propri fermenti di rivolta tra le associazioni civiche che già lo scorso anno si opposero, con una rumorosa manifestazione di protesta, allo «scippo» della tela a favore dell'Expo di Milano. La tela è rimasta al suo posto ma l'attenzione si è spostata verso l'altra tela del Merisi, «La Flagellazione di Cristo» custodita presso il Museo di Capodimonte e di proprietà del Fondo edifici di culto che fa capo al Ministero dell'interno. Il quadro era esposto anni fa a San Domenico Maggiore ma, dopo due tentativi di furto non andati a segno, venne considerato più prudente spostarlo a Capodimonte. Dietro richiesta della regione Lombardia, presieduta dall'ex Ministro dell'interno Roberto Maroni, la tela dovrebbe andare alla Villa Reale di Monza con l'autorizzazione dell'attuale ministro dell'interno e l'avallo del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. Dal 16 marzo al 17 aprile «La flagellazione di Cristo» dovrebbe essere infatti trasferita alla Villa reale di Monza in una mostra per un progetto ideato e organizzato dal Consorzio con il Cittadino;
   oggi la Villa Reale è di proprietà congiunta del comune di Monza, della regione Lombardia e del demanio dello Stato ed è stata qualche anno fa al centro di polemiche per l'aggiudicazione del bando di gara per il restauro che prevedeva anche la gestione del palazzo oltre alle pertinenze (parco e giardini) per almeno un ventennio al prezzo di irrisorio di circa 30.000 euro l'anno. Villa Reale di Monza, edificio realizzato a partire dal 1769 dall'architetto Giuseppe Piermarini per conto dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria, da anni era abbandonato al degrado. La società privata «Nuova Villa Reale Monza spa», che ha vinto il bando di regione Lombardia, grazie a un accordo di project financing avrà in gestione l'edificio storico per i prossimi 22 anni in cambio del finanziamento di uno parte dell'opera;
   entrambe le tele, si sono rivelate cardine per la pittura in Italia Meridionale e per la pittura italiana in generale: presentano una composizione più drammatica e concitata rispetto alle pitture romane, rinunciando a un fulcro centrale dell'azione. Questo aspetto sarà di grande stimolo per la pittura barocca partenopea successiva e il passaggio del Merisi in città, infatti, darà luogo alla nascita di molti esponenti caravaggeschi tra i pittori locali;
   la sala 78 del Museo di Capodimonte è ad appannaggio esclusivo della «Flagellazione di Cristo» di Caravaggio, opera che inaugura la grande stagione del Seicento napoletano: l'artista è stato attivo a Napoli tra il 1606 e il 1607 e tra il 1609 e 1610 contribuendo a trasformare radicalmente la pittura sacra del capoluogo che fino a quel momento era fatta di santi, angeli, corone, in una invece più semplice, essenziale e cupa, che si rispecchia anche nei vicoli della città, una realtà fino ad allora ignorata, gettando, soprattutto a partire dal secondo decennio del XVII secolo, le basi per il naturalismo napoletano;
   l'articolo 66 del codice dei beni culturali dice che può essere autorizzata l'uscita temporanea dal territorio della Repubblica delle opere dei musei italiani solo per manifestazioni, mostre o esposizioni d'arte di alto interesse culturale. Non possono comunque essere spostati i beni che costituiscono il fondo principale di una determinata ed organica sezione di un museo: e non c’è dubbio che questo sia il caso della Flagellazione, che per quanto proprietà del Fondo edifici di culto è indubbiamente parte del fondo principale di Capodimonte;
   agli interroganti sarebbero giunte segnalazioni circa lo svolgimento di festeggiamenti nel parco e nelle sale del museo di Capodimonte: l'affitto a privati del patrimonio storico e artistico della nazione è totalmente deregolato e ogni direttore fa come meglio crede. Il Salone delle Feste di Capodimonte lo si fitta per 25.000 euro, mentre «le manifestazioni che prevedono il lancio commerciale di un prodotto nel museo sono soggette a trattativa riservata»;
   ove tali circostanze trovassero conferma, ciò denoterebbe, ad avviso degli interroganti, una gestione non condivisibile e adeguata di beni pubblici di inestimabile valore storico e culturale come il museo di Capodimonte stesso oppure le opere da esso custodite;
   nella fattispecie sarebbe possibile sostenere il progetto della mostra di Caravaggio a Monza partecipando al bando per la sponsorizzazione di eventi aperto dal Consorzio Villa reale e parco per l'esposizione de «La Flagellazione di Cristo», che dovrebbe essere allestita nel salone delle feste della reggia a partire dal 16 marzo, camere di commercio di Monza e Brianza hanno già aderito al bando finanziando parte dell'importante allestimento –:
   se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   quale sia l'accordo economico stipulato e con quale soggetto, visto che la società privata «Nuova Villa Reale Monza Spa» gestisce di fatto l'immobile Villa Reale di Monza a cui l'importante opera d'arte è destinata;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative per evitare che beni parte del patrimonio artistico e culturale dell'Italia quali la reggia di Capodimonte e le opere in esso custodite siano utilizzate in modo che agli interroganti appare incongruo e se non intendano pertanto tutelare la storia e la cultura del nostro Paese ed evitare al contempo un accesso ai beni in questione poco confacente alla natura di inestimabile valore degli stessi;
   se non ritengano che l'opera in questione sia imprescindibile dal luogo che la custodisce, non solo in relazione al polo museale, e che sia parte integrante del patrimonio partenopeo avendo contribuito a trasformare radicalmente la pittura sacra del capoluogo in una più semplice, essenziale e cupa, che si rispecchia anche nei vicoli della città, gettando, soprattutto a partire dal secondo decennio del XVII secolo, le basi per il naturalismo napoletano;
   se non ritengano opportuno, con una giusta campagna pubblicitaria, di informazione e di sensibilizzazione, far riconoscere l'opera come parte integrante e imprescindibile del patrimonio artistico e culturale della città di Napoli spingendo gli amanti dell'arte a godere di questa opera nell'unica cornice che le è consona e che riesce in pieno a garantirne la fruizione totale perché inserita nel contesto geografico che l'ha generata;
   se non intendano assumere iniziative normative, per regolamentare ed eventualmente vietare l'affitto a privati del patrimonio storico e artistico della nazione che attualmente è, a giudizio degli interroganti, è totalmente deregolato al fine di evitare che singoli soggetti possano arbitrariamente decidere per quanto attiene il patrimonio storico, artistico e culturale comune. (4-12307)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRUSONE, RIZZO e LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   G.I. è un sottufficiale della Marina militare;
   dopo aver partecipato alle elezioni amministrative nel comune di Assemini (Catania) nel 2013, viene eletto consigliere comunale con nomina il 15 maggio 2014;
   l'interessato aveva una pianificazione di massima che recitava: «terzo trimestre 2013 Bordo sede La Spezia, due anni più tre anni terra La Spezia»;
   il 4 agosto 2013 s'imbarcava su Nave Vieste, con sede a La Spezia;
   ad agosto 2014, presentava la domanda, in base al decreto legislativo n. 267 del 2000, articolo 78, comma 6, per richiedere il trasferimento nella sede di Cagliari per mandato politico, con parere favorevole del Comando che evidenziava le difficoltà a garantire i diritti a partecipare ai consigli/commissioni comunali vista la condizione di imbarcato; la stessa veniva assunta a protocollo in data 30 settembre 2014;
   il 9 dicembre 2014, la domanda veniva respinta, motivandola con l'impossibilità di trovare nell'immediato un possibile sostituto; ciò nonostante, in conformità al decreto legislativo n. 267 del 2000, articolo 78, comma 6, la Direzione per l'impiego del personale militare della Marina, dichiarava che avrebbe tenuto in considerazione l'aspirazione dell'interessato ad essere impiegato nelle sede di Cagliari, con criterio di priorità;
   in risposta al diniego, l'interessato presentava delle osservazioni e chiedeva di essere trasferito, al termine dei due anni di imbarco previsti, nella sede di Cagliari;
   a febbraio 2015, viene data risposta all'istanza, a quanto pare, senza tenere in considerazione le osservazioni avanzate in merito al trasferimento per motivi politici;
   in data 29 giugno 2015 arriva a bordo di Nave Vieste il sostituto del 2o Capo G.I., un Capo di 1a Classe, il quale assume l'incarico dello stesso, facendo decadere, di fatto, i motivi ostativi al trasferimento rappresentati nella comunicazione di dicembre 2014; inoltre, si conclude il periodo d'imbarco pianificato;
   ad agosto 2015 arrivava, per il sottufficiale G.I., un cambio di pianificazione che non lo trasferiva nella sede di Cagliari, bordo o terra, come faceva intendere la lettera del 9 dicembre 2014 con la frase «Si assicura che l'aspirazione dell'interessato ad essere impiegato nella sede di Cagliari sarà tenuta in considerazione con criterio di priorità al fine di poter essere soddisfatta alla prima favorevole occasione», ma recitava «Altra Unità Stessa Sede due anni più uno a Terra»;
   il 2 agosto 2015 G.I. chiedeva quindi a Maripers quali azioni fossero state poste in essere al fine di assicurargli il rientro nella sede di Cagliari, alla luce del cambio di pianificazione e dei PP.TT. a bordo e a terra, per la sua categoria e specialità, presenti nella sede di Cagliari;
   il 18 settembre 2015, Maripers rispondeva che le vacanze organiche presenti a bordo delle unità navali basate nella sede di La Spezia avevano priorità rispetto a quelle eventualmente presenti in qualsiasi altro ente/comando a terra, ivi incluse quelle di Cagliari. Nonostante ciò, si riconosceva il carattere di priorità attribuito all'istanza di trasferimento del sottufficiale e si ripeteva un'altra volta che la stessa sarebbe stata accolta alla prima favorevole occasione;
   il 21 settembre 2015 al 2o Capo G.I. arrivava la comunicazione di trasferimento a bordo della nave Bergamini per il giorno 27 settembre 2015 per sostituire un Capo di 1a classe;
   la nave Bergamini è una Fremm varata nel 2013;
   al 2o Capo G.I. risultavano, nel periodo settembre/ottobre 2015, in ogni modo dopo il ricevimento dell'istanza da parte dell'amministrazione della marina militare del 30 settembre 2014 e sino al 31 dicembre 2015, trasferimenti di sottufficiali della sua stessa categoria e specialità nella sede di Cagliari, sia in accoglimento domanda, che d'autorità;
   visto quanto accaduto, l'interessato chiedeva di conferire con la commissione itinerante di Maripers; istanza che veniva respinta con messaggio telegrafico del 18 settembre 2015, in quanto non ritenuta meritevole di accoglimento;
   i diritti dei cittadini e dei militari a partecipare alla vita politica sono stati ampiamente riconosciuti dal decreto legislativo n. 267 del 2000, articolo 78, comma 6 e per i militari nello specifico anche dal decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010 e dalla Circolare prot. M–D–GMIL1 II 5 1 0187903 del 18 aprile 2012 di PERSOMIL –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero;
   se il Ministro interrogato non reputi necessario, per quanto di sua competenza, verificare se tali atti risultino veritieri, se risultino isolati e se non reputi necessario sensibilizzare le Forze Armate sull'importanza di garantire il diritto dei militari a partecipare alla vita politica invece di ostacolarlo; e se non ritenga opportuno di assumere le iniziative di competenza per risolvere le situazioni che di fatto limitano la libertà dei militari, i quali ad avviso degli interroganti non possono far valere i propri diritti politici: diritti che le istituzioni hanno concesso a tutti i cittadini attraverso la legge e che si dovrebbero riconoscere, in riferimento alla succitata circolare del 18 aprile 2012;
   se non ritenga utile e necessario assumere iniziative per istituire un organo super partes e di controllo che possa monitorare e garantire l'esercizio del mandato dei militari in servizio permanente eletti a cariche pubbliche, al quale i militari possano rappresentare le diverse problematiche senza doversi rivolgere al Tar o quant'altro;
   se non ritenga opportuno chiarire il «peso» del diritto, riconosciuto al militare dalla circolare del 2012 a partecipare alla vita politica, considerato che nella fattispecie, non si tutela adeguatamente, a giudizio degli interroganti, il personale militare da trasferimenti su unità navali che per periodi più o meno lunghi sia impegnato in attività di vario genere distanti dalla terra ferma. (5-07953)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta immediata:


   FASSINA, ZARATTI, ZACCAGNINI, MARCON, MELILLA, SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARTELLI, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI e SANNICANDRO. Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 78 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, recante «disposizioni urgenti per Roma capitale», ha previsto il subentro dello Stato, per il tramite di un commissario straordinario – quale organo di governo – nella gestione delle passività del comune di Roma, risalenti fino alla data del 28 aprile 2008, con l'impegno a ripianarle senza oneri aggiuntivi a carico dello Stato;
   tali passività risalenti fino alla data del 28 aprile 2008 sono state quantificate in 16,97 miliardi di euro quale debito accertato e 5,49 miliardi di euro quale debito in attesa di accertamento definitivo a fronte di un credito accertato, ma largamente inesigibile, di 5,62 miliardi di euro e un credito in attesa di accertamento definitivo di 0,08 miliardi di euro;
   l'ultima «Relazione concernente la rendicontazione delle attività svolte dalla gestione commissariale per il piano di rientro del debito pregresso di Roma capitale», di cui all'articolo 14, comma 13-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, introdotto dall'articolo 13, comma 1, del decreto legislativo 18 aprile 2012, n. 61, presentata dall'ex commissario straordinario Varazzani, trasmessa alla Presidenza della Camera dei deputati il 7 maggio 2015, alla tabella 6, «Riepilogo contratti di servizio (rectius finanziamento) a valere sul contributo statale ex legge 122/2010 e contributi residui», pagina 41, indica alla data del 2 dicembre 2014 l'aggiudicazione della gara per il secondo contratto di servizio – tranche attualizzazione;
   tale contratto di servizio stima il finanziamento complessivo in 5,02 miliardi di euro per il 2016 a fronte di un contributo assorbito stimato in 7,68 miliardi euro, finanziamento ottenuto da Cassa depositi e prestiti ad un tasso pari a euribor 6 mesi + 200bp;
   non si rinvengono le condizioni di convenienza di tale contratto di servizio dato che l'anticipazione dovrebbe essere «tirata» interamente nel 2016, quando il flusso dei pagamenti previsto non supera i 900 milioni di euro, ampiamente coperti dalla disponibilità già in cassa della gestione commissariale in oggetto o dovuta dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   le caratteristiche e la data di attivazione del finanziamento in oggetto implicano extra costi per le finanze pubbliche in circa 500 milioni di euro rispetto ad un finanziamento strettamente calibrato sui flussi di pagamento;
   tra il 13 giugno 2007 e il 22 febbraio 2008 il comune di Roma ha sottoscritto 9 contratti derivati per i quali non vi è una valutazione disponibile sulle caratteristiche della stipula e della chiusura, né vi sono notizie sull'ammontare sottostante al derivato sottoscritto;
   parte dei contratti derivati sottoscritti sono stati chiusi anticipatamente dal commissario straordinario Varazzani a un costo di circa 220 milioni di euro a fronte di un mark to market per l'intero insieme di derivati stimato in 147 milioni di euro;
   secondo accurate notizie riportate dalla stampa e non smentite, l'attuale commissario straordinario per il piano di rientro del debito pregresso di Roma capitale, dottoressa Silvia Scozzese, ha presentato al Governo una relazione dai contenuti estremamente preoccupanti, in riferimento in particolare a un debito residuo di circa 13,4 miliardi di euro a carico della suddetta gestione commissariale;
   la conoscenza di tale relazione è strettamente necessaria, ad avviso degli interroganti, anche affinché il Parlamento possa valutare, nell'ambito delle sue attribuzioni costituzionali, l'opportunità di istituire una commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione delle passività del comune di Roma risalenti fino alla data del 28 aprile 2008 –:
   se il Governo non consideri necessario verificare l'effettivo «tiraggio» della seconda tranche di attualizzazione dei contratti di finanziamento relativi al debito di Roma capitale e, qualora il tiraggio non fosse ancora avvenuto, intervenire in autotutela per bloccarlo al fine di evitare eventuali rischi di danno erariale, ponendo altresì in essere ogni atto di competenza finalizzato a trasmettere urgentemente copia al Parlamento della relazione predisposta dal commissario governativo dottoressa Silvia Scozzese. (3-02074)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VEZZALI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia ha 4.000 chilometri di spiagge idonee alla balneazione, 900 dei quali occupati da stabilimenti per un totale di 25.000 concessioni demaniali che coprono un'area di circa 18 milioni di metri quadri;
   sono 30.000 le imprese coinvolte che, indotto compreso, danno lavoro a circa 600.000 lavoratori;
   il fatturato di queste aziende è pari a 2 miliardi di euro; le regioni incassano da queste imprese 105 milioni di euro;
   il numero degli stabilimenti balneari è notevolmente cresciuto dal 2001 (5.368) al 2015 (18.000), consentendo agli operatori di diversificare l'offerta turistica e di contenere, grazie alla concorrenza, il costo dei servizi alla clientela;
   la «direttiva Bolkestein» 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno ritiene incompatibili i due decreti con i quali il Governo italiano ha prorogato le concessioni demaniali in atto, dal 2009 al 2012 e fino al 2020, perché violano i principi di concorrenza e di trattamento fra operatori economici, visto che le concessioni non sono state assegnate a mezzo di gare;
   nel 2008 l'Italia per chiudere una procedura di infrazione aveva promesso un riordino del settore;
   nel 2012 erano stati presentati diversi ricorsi al TAR da parte di operatori (in Sardegna e in Lombardia) che non si erano visti rinnovare le concessioni, poiché le amministrazioni locali avevano ritenuto di procedere con delle gare;
   i tribunali amministrativi avevano sollevato la questione della compatibilità fra norme nazionali e quelle comunitarie;
   è difficile conciliare gli interessi dei concessionari che hanno fatto investimenti e che gestiscono queste aree demaniali, in non pochi casi da generazioni, e garantire regole di concorrenza nel mercato come vorrebbe l'Europa, soprattutto perché, in questo settore potenzialmente in espansione, gli interessi in campo sono importanti –:
   se non ritengano di assumere iniziative per:
    a) negoziare con l'Europa una più lunga fase transitoria nell'applicazione delle direttive che consenta a chi oggi ha in gestione aree demaniali di ammortizzare gli investimenti fatti, visto che la stagione balneare è prossima;
    b) studiare con urgenza una soluzione per consentire la sopravvivenza delle imprese che operano nel settore turistico e tutelare i 600.000 posti di lavoro che queste attività assicurano a imprese familiari, stagionali e ai giovani;
    c) verificare la possibilità di subordinare il rinnovo delle concessioni a investimenti certi a tutela del territorio, per lo sviluppo di parchi marini e, soprattutto, per fronteggiare l'erosione costiera con progetti in co-finanziamento pubblico-privato. (5-07944)


   ALBERTI e PESCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Cerved è il più grande information provider in Italia e una delle principali agenzie di rating in Europa;
   il rapporto Cerved PMI 2015 analizza il complesso di società di capitali non finanziarie che soddisfano i requisiti di dipendenti, fatturato e attivo definiti dalla Commissione europea;
   secondo il rapporto, in Italia, 137.046 società soddisfano i requisiti di piccole e medie imprese, tra le quali 113.387 aziende rientrano nella definizione di «piccola impresa» e 23.659 in quella di «media impresa»;
   «Le PMI realizzano un volume d'affari pari a 838 miliardi di euro, un valore aggiunto di 189 miliardi di euro (pari al 12 per cento del Pil) e hanno contratto debiti finanziari per 255 miliardi di euro. Rispetto al complesso delle società non finanziarie, pesano per il 36 per cento in termini di fatturato, per il 41 per cento in termini di valore aggiunto, per il 30 per cento in termini di debiti finanziari»;
   «Una delle incognite che grava sulla ripresa del sistema economico italiano, in particolare su quella delle piccole e medie imprese, è costituita dall'elevato stock di crediti deteriorati (o N PL) e di sofferenze accumulato dalle banche italiane»;
   «In base alle stime e alle previsioni di Cerved, che si basano su una moderata ripresa dell'economia italiana, con i tempi attuali della giustizia lo stock di sofferenze lorde continuerebbe a crescere in termini assoluti fino al 2020, raggiungendo i 216 miliardi, iniziando a diminuire in rapporto agli impieghi nel 2018. Il Governo è però recentemente intervenuto con un pacchetto di misure (legge 6 agosto 2015, n. 132) che mirano ad accorciare la durata dei fallimenti, ad aumentare il successo del concordato preventivo, a velocizzare le procedure esecutive sui beni mobili e immobili. Gli impatti, secondo un ristretto gruppo di banche e operatori del mercato dei NPL ai quali Cerved e Abi hanno sottoposto un questionario, potrebbero essere significativi: in base alle aspettative, le norme potrebbero portare a una riduzione del 28 per cento dei tempi dei fallimenti e del 20 per cento di quelli delle aste immobiliari, portando a un calo dei tempi medi di estinzione delle sofferenze da 7,3 anni, stimati in base alle osservazioni di Cerved, a 6 anni. Con queste tempistiche, lo stock di sofferenze è atteso raggiungere un picco nel 2018, per poi diminuire fino a raggiungere 197 miliardi alla fine del 2020. In altri termini, anche con ipotesi di moderata ripresa del quadro economico e di successo della riforma, le sofferenze rimarrebbero al 2020 su valori simili a quelli attuali senza interventi aggiuntivi» (Rapporto Cerved PMI 2015);
   durante l'audizione di Cerved del 3 febbraio 2016 è emerso che circa il 50 per cento delle sofferenze bancarie sono coperte da garanzia reale, cioè sono crediti garantiti da ipoteche su beni immobili; Cerved specifica inoltre che la maggior parte di queste ipoteche non riguardano immobili residenziali che sono circa il 10 per cento bensì immobili produttivi che sono quelli per cui vi saranno maggiori difficoltà di collocamento in questa fase di stallo dell'economia italiana. Il collocamento sul mercato di oltre 100 miliardi di euro di sofferenze significa quindi un potenziale collocamento sul mercato immobiliare di 50 miliardi di euro di immobili;
   è emerso inoltre come l'insolvenza di un prestito verso le piccole e medie imprese, a parità di bilancio, sia oggi due o tre volte più probabile dei livelli pre-crisi, aumentando il rischio per gli enti creditizi che sarebbero ora più restii a finanziare le realtà produttive;
   i programmi LTRO e TLTRO della BCE avevano come obiettivo quello di rilanciare il credito verso l'economia reale e tale obiettivo, ad avviso degli interroganti, è stato mancato quasi totalmente –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato;
   se le stime fatte siano attendibili e se il mercato sarebbe in grado di riassorbire una tale quantità di immobili;
   se ritengano realistiche le stime fatte dal Cerved quando parla di una riduzione del 20 per cento dei tempi medi delle aste fallimentari, a seguito dell'approvazione della legge 6 agosto 2015, n. 132;
   quali siano ad avviso del Governo, gli scenari futuri scaturenti dall'applicazione della legge 6 agosto 2015, n. 132;
   come la legge stia incidendo fino ad ora e quali effetti produrranno le norme contenute nella stessa;
   quali iniziative, anche normative, il Governo intenda intraprendere al fine di incentivare il credito disponibile per le piccole e medie imprese. (5-07947)

Interrogazione a risposta scritta:


   VALLASCAS. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, la sezione misure di prevenzione del tribunale di Catania ha disposto la nomina di un amministratore giudiziario e il sequestro delle azioni delle società del gruppo Tecnis (Artemis spa, Cogip holding e Tecnis spa), al termine di un'indagine condotta dal Ros dei carabinieri in relazione a presunte infiltrazioni mafiose nelle società del gruppo;
   in particolare, secondo quanto hanno riportato autorevoli quotidiani nazionali, i militari del raggruppamento operativo speciale avrebbero documentato «l'asservimento del gruppo imprenditoriale alla cosca mafiosa di Catania alla quale sono state garantite ingenti risorse economiche ed è stata consentita l'infiltrazione del redditizio settore degli appalti pubblici»;
   il 22 ottobre 2015 i vertici dell'azienda sono stati arrestati nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti Anas, mentre nel successivo mese di novembre il prefetto di Catania ha adottato una misura interdittiva antimafia nei confronti dell'azienda;
   il gruppo Tecnis risulterebbe essere la principale impresa di costruzioni del sud d'Italia con centinaia di commesse e cantieri distribuiti in diverse regioni;
   la notizia dei provvedimenti assunti dall'autorità giudiziaria desta una legittima inquietudine, da una parte, per il presunto coinvolgimento in vicende legate ad attività di mafia di un'importante impresa di costruzioni che opera nel settore delle opere pubbliche, dall'altra, per il futuro dei cantieri condotti dall'azienda;
   in particolare, la Tecnis spa si è aggiudicata in questi anni l'appalto per la realizzazione del 5o e del 6o lotto (circa 17 chilometri) della strada Sassari-Olbia, tra i comuni di Monti e Berchidda;
   in quel tratto i lavori non sarebbero mai iniziati sia perché la Tecnis spa è subentrata a seguito di un ricorso sia per le sopraggiunte vicende giudiziarie che avevano portato all'arresto dei vertici del gruppo;
   è il caso di rilevare che la Sassari-Olbia è un'opera di grande rilevanza per la Sardegna, dove si registra un grave ritardo infrastrutturale e viario che negli anni ha accentuato fenomeni come l'isolamento e lo spopolamento delle zone interne;
   la necessità di realizzare un'opera viaria di collegamento tra i due principali centri del nord Sardegna, rispondente ad adeguati standard di qualità e sicurezza, è emersa negli anni soprattutto a seguito dello stato di pericolosità e del sottodimensionamento del vecchio tracciato;
   i lavori per la realizzazione dell'opera, appaltati dall'Anas, hanno subito negli anni numerosi ritardi, oltre a un preoccupante aumento dei costi;
   le vicende giudiziarie della Tecnis rischiano di ritardare ulteriormente la conclusione di un'opera particolarmente attesa dai cittadini della Sardegna, per le implicazioni che avrà sulla qualità della vita, sulla sicurezza e sulle opportunità di crescita delle economie locali –:
   quali iniziative di competenza intendano adottare per evitare che un'opera di grande rilevanza per la Sardegna possa subire dei ritardi per effetto delle vicende giudiziarie in cui è coinvolta un'impresa d'appalto;
   se non intendano verificare se la stazione appaltante, l'Anas, abbia seguito tutte le procedure necessarie per verificare la regolarità della documentazione prodotta dalla Tecnis spa in fase di gara;
   quali iniziative di competenza intendano adottare per prevenire situazioni di illegalità negli appalti pubblici e garantire la massima trasparenza e la regolarità delle procedure previste. (4-12305)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato nell'ultima relazione della struttura di vigilanza sulle concessionarie autostradali (SVCA) del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT), intitolata «Relazione sulle attività 2013», la rete autostradale italiana (la cui estensione complessiva è pari a 7.447 chilometri, di cui 6.784 chilometri in esercizio e 663 chilometri in programmazione o esecuzione) è affidata in concessione a società con diversi concedenti: 1) il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, subentrato ad Anas s.p.a. in tale ruolo a far data dal 1o ottobre 2012. Al Ministero, che opera attraverso la SVCA istituita con decreto ministeriale n. 341 del 1o ottobre 2012, fa capo la maggior parte della rete in concessione. La rete autostradale a pedaggio data in concessione dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (che si sviluppa per 5.830 chilometri ed è tutta in esercizio) è gestita da 24 società (i rapporti concessori in essere sono però 25, dato che SATAP S.p.A. risulta titolare della concessione per la A21 Torino-Piacenza e la A4 Torino-Milano); 2) l'Anas s.p.a., società pubblica sottoposta alla vigilanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che gestisce alcune tratte direttamente, mentre per altre svolge il ruolo di concedente in via indiretta, partecipando al 50 per cento al capitale sociale in società regionali; alcune società regionali che svolgono il ruolo di concedente di infrastrutture poste esclusivamente nel territorio della regione cui fanno riferimento. In proposito si evidenzia, peraltro, segnala la norma contenuta nell'articolo 5-bis del decreto-legge n. 133 del 2014, che consente al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di subentrare alla regione Emilia-Romagna nelle funzioni di concedente (e conseguentemente in tutti i rapporti attivi e passivi derivanti dalla concessione di costruzione e gestione) dell'asse autostradale denominato «Autostrada Cispadana», previo parere del CIPE;
   per quanto riguarda la rete data in concessione dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nel «primo rapporto annuale al Parlamento» dell'Autorità di regolazione dei trasporti del luglio 2014 veniva riportata una tabella che riportava lo stato delle concessioni autostradali e indicava le date di scadenza delle medesime;
   nel commentare la tabella l'Autorità di regolazione dei trasporti ricordava l'approvazione ex lege delle convenzioni uniche sottoscritte nel 2007, operata dalla legge n. 101 del 2008 (di conversione del decreto-legge n. 59 del 2008), nonché delle convenzioni stipulate tra il 2009 ed il 2010, operata dalla legge n. 191 del 2009 (legge finanziaria 2010);
   dall'elenco delle concessionarie italiane attualmente in vigore si può notare «come la durata delle concessioni sia solitamente molto lunga e la scadenza in molti casi ancora lontana. Inoltre, fino alla fine degli anni ’90 tutte le concessioni sono state periodicamente prorogate (generalmente senza bando di gara), giustificando i rinnovi con la necessità di effettuare nuovi investimenti e, quindi, di permettere il recupero del capitale necessario». Le uniche eccezioni sono rappresentate dalle seguenti concessioni scadute: 1) A21 Piacenza-Cremona-Brescia, già gestita dalla Società concessionaria Centro Padane; 2) A3 Napoli-Salerno, già gestita dalla Società concessionaria Autostrade Meridionali; 3) A22 Modena-Brennero, già gestita dalla Società concessionaria Autostrada del Brennero;
   con riferimento a tali concessioni, nel secondo rapporto annuale, presentato nel luglio 2015, l'Autorità di regolazione dei trasporti sottolinea (a pagina 48) che «il Gruppo Gavio si è recentemente aggiudicato la gara per la concessione dell'autostrada Piacenza-Cremona-Brescia (tratta A21) in attesa dell'aggiudicazione definitiva spettante al Ministero delle infrastrutture. Inoltre, è in corso di svolgimento la gara per l'affidamento della concessione relativa all'Autostrada A3 Napoli-Pompei-Salerno»;
   per quanto riguarda l'A22, è stato recentemente siglato il protocollo d'intesa tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e le amministrazioni pubbliche socie di Autostrada del Brennero s.p.a. che prevede il rinnovo trentennale della concessione ad una società interamente partecipata dalle amministrazioni pubbliche territoriali e locali contraenti;
   come noto sulla materia delle concessioni è intervenuto, nel corso dell'attuale legislatura, l'articolo 5 del decreto-legge n. 133 del 2014 (cosiddetto decreto sblocca Italia) che – al fine di assicurare gli investimenti necessari per gli interventi di potenziamento e adeguamento delle autostrade nazionali, nonché per assicurare tariffe e condizioni di accesso più favorevoli per gli utenti – ha previsto l'avvio, da parte dei concessionari di tratte autostradali nazionali, di una procedura di modifica del rapporto concessorio, articolata in due fasi e secondo una tempistica predeterminata. La procedura, come modificata sulla base delle proroghe di termini operate dall'articolo 8, comma 10, del decreto-legge n. 192 del 2014, prevede che: 1) entro il 30 giugno 2015, il concessionario sottopone al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti le modifiche del rapporto concessorio in essere finalizzate a procedure di aggiornamento o revisione anche mediante l'unificazione di tratte interconnesse, contigue o tra loro complementari, ai fini della loro gestione unitaria. Entro la medesima data il concessionario sottopone al medesimo Ministro un nuovo piano economico-finanziario (PEF) corredato di idonee garanzie e di asseverazione da parte di soggetti autorizzati; 2) entro il 31 dicembre 2015 deve intervenire la stipulazione di un atto aggiuntivo o di un'apposita convenzione unitaria;
   l'attuazione delle disposizioni citate è tuttavia subordinata al rilascio del preventivo assenso da parte dei competenti organi dell'Unione europea. Sotto tale profilo si evidenzia che nel rispondere all'interrogazione parlamentare E-005234 la rappresentante della Commissione europea, in data 29 giugno 2015, ha dichiarato che «L'Italia non ha notificato, ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, la disposizione generale che autorizza la modifica delle concessioni autostradali, né alcuna applicazione specifica di tale disposizione. Tuttavia, la Commissione è in contatto con le autorità italiane ed è disposta a valutare la compatibilità di eventuali modifiche alle concessioni in corso con le norme in materia di aiuti di Stato e di appalti pubblici. Qualora dovesse concludere che tali modifiche non sono compatibili con il diritto dell'Unione, la Commissione adotterà le misure opportune per assicurarsi che venga rispettato»;
   successivamente sulle modalità di affidamento delle concessioni autostradali sono intervenuti i criteri dettati dalle lettere lll) e mmm) dell'articolo 1 della recente legge che delega il Governo a recepire le direttive europee in materia di appalti pubblici e di concessioni, nonché a riordinare la normativa vigente (legge n. 11 del 2016). In particolare, la lettera lll) prevede l'avvio delle procedure ad evidenza pubblica per l'affidamento delle nuove concessioni autostradali non meno di 24 mesi prima della scadenza di quelle in essere. Si prevede, inoltre, una revisione del sistema delle concessioni autostradali, con particolare riferimento all'introduzione di un divieto di clausole e disposizioni di proroga, in conformità alla nuova disciplina generale dei contratti di concessione dettata dalla direttiva 2014/23/UE. Inoltre la lettera mmm) prevede l'introduzione di una disciplina transitoria per l'affidamento delle concessioni autostradali che, alla data di entrata in vigore del decreto legislativo di recepimento delle direttive, siano scadute o prossime alla scadenza, al fine di assicurare il massimo rispetto del principio dell'evidenza pubblica. Si prevede che, nei casi di concessione in cui l'amministrazione aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore esercita sul concessionario un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi (concessioni in house), sia assicurato il massimo rispetto dei principi desumibili dall'articolo 17 della direttiva 2014/23/UE, che regolano le concessioni tra enti nell'ambito del settore pubblico;
   nonostante i principi recentemente introdotti dalla citata legge che delega il Governo a recepire le direttive europee in materia di appalti pubblici e di concessioni, nonché a riordinare la normativa vigente, continua a risultare vigente nell'ambito del nostro ordinamento giuridico l'articolo 143 del decreto legislativo n. 163 del 2006 che, oltre a prevedere al comma 6 che «La concessione ha di regola durata non superiore a trenta anni», stabilisce all'ultimo periodo del comma 8 del medesimo articolo che «Al fine di assicurare il rientro del capitale investito e l'equilibrio economico finanziario del Piano Economico Finanziario, per le nuove concessioni di importo superiore ad un miliardo di euro, la durata può essere stabilita fino a cinquanta anni»;
   dal 1o gennaio 2016 sono entrati in vigore gli adeguamenti delle tariffe di pedaggio autostradale; sono stati firmati i decreti interministeriali di concerto tra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministro dell'economia e delle finanze. Quest'anno, in particolare, per tutte le società per le quali è in fase di aggiornamento il relativo, piano economico finanziario, gli aumenti tariffari sono stati provvisoriamente sospesi, posticipandone l'eventuale adeguamento all'approvazione dei suddetti piani. L'aumento medio attualmente riconosciuto, calcolato sui veicoli-chilometro che si prevede saranno percorsi sull'intera rete autostradale nel 2016, risulta pari allo 0,86 per cento;
   nel dettaglio, i decreti interministeriali hanno riconosciuto i seguenti adeguamenti: Asti-Cuneo S.p.A. 0,00 per cento, ATIVA S.p.A. 0,03 per cento; Autostrade per l'Italia S.p.A. 1,09 per cento; Autostrada del Brennero S.p.A. 0,00 per cento; Autovie Venete S.p.A. 0,00 per cento; Brescia-Padova S.p.A. 0,00 per cento; Consorzio Autostrade Siciliane 0,00 per cento; CAV S.p.A. 0,00 per cento; Centro Padane S.p.A. 0,00 per cento, Autocamionale della Cisa S.p.A. 0,00 per cento, Autostrada dei Fiori S.p.A. 0,00 per cento, Milano Serravalle Milano Tangenziali S.p.A. 0,00 per cento; Tangenziale di Napoli S.p.A. 0,00 per cento; RAV S.p.A. 0,00 per cento; SALT S.p.A. 0,00 per cento; SAT S.p.A. 0,00 per cento; Autostrade Meridionali (SAM) S.p.A. 0,00 per cento, SATAP Tronco A4 S.p.A. 6,50 per cento, SATAP Tronco A21 S.p.A. 0,00 per cento; SAV S.p.A. 0,00 per cento; SITAF S.p.A. 0,00 per cento; Torino-Savona S.p.A. 0,00 per cento; Strada dei Parchi S.p.A. 3,45 per cento; Bre.be.mi. 0,00 per cento, TEEM 2,10 per cento e Pedemontana Lombarda 1,00 per cento;
   l'aumento maggiore interessa Satap tronco A4 (Torino-Milano) +6,5 per cento. Seguono Strada dei Parchi +3,45 per cento, Tangenziale Est Spa +2,10 per cento, Autostrade per l'Italia +1,09 per cento, Pedemontana Lombarda +1 per cento e Ativa +0,03 per cento;
   l'aumento ingiustificato e sistematico dei pedaggi, come ben noto, incide in maniera fortemente negativa sulle situazione di pendolarismo giornaliero per lavoro, studio o per cure sanitarie specialistiche sulla rete autostradale italiana;
   non esistono di fatto strumenti per rendere trasparenti all'utenza i meccanismi di adeguamento delle tariffe autostradali e vincolarli agli investimenti effettivamente realizzati su ogni singola arteria;
   è inaccettabile, che a fronte delle innumerevoli polemiche che hanno accompagnato in questi ultimi mesi l'approvazione del cosiddetto «decreto sblocca Italia» e il lavoro profuso dal Parlamento attraverso l'approvazione della recente legge n. 11 del 2016 di recepimento delle direttive europee in materia di appalti pubblici e di concessioni, risulti ancora vigente nell'ambito del nostro ordinamento giuridico una disposizione che consente addirittura la possibilità di prorogare la durata di una concessione autostradale da 30 fino a 50 anni al fine di assicurare il rientro del capitale investito e l'equilibrio economico finanziario del piano economico finanziario, qualora si tratti di nuove concessioni di importo superiore ad un miliardo di euro (articolo 143 del decreto legislativo n. 163 del 2006) –:
   se, quali e quante siano le concessioni autostradali potenzialmente ricadenti nell'ambito applicativo di tale disposizione;
   quali urgenti iniziative si intendano assumere per calmierare l'entrata in vigore dal 1o gennaio 2016 dei recenti adeguamenti tariffari di pedaggio autostradale citati in premessa e rendere trasparenti all'utenza i meccanismi di adeguamento delle tariffe autostradali, vincolandoli agli investimenti effettivamente realizzati su ogni singola arteria;
   se il Governo abbia assunto recentemente apposite iniziative affinché le società concessionarie, anche tramite adeguamento delle relative concessioni, applichino ai pendolari sconti e agevolazioni, anche progressivi almeno entro i 100 chilometri di percorrenza per le situazioni di pendolarismo giornaliero per lavoro, per studio o per cure sanitarie specialistiche.
(2-01292) «Scotto, Pellegrino, Zaratti, Franco Bordo, Fassina, Melilla, Airaudo, Fava, Placido, Gregori, Ricciatti, D'Attorre, Ferrara, Marcon, Carlo Galli, Duranti, Piras, Folino, Fratoianni, Quaranta, Zaccagnini, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Sannicandro, Martelli».

Interrogazione a risposta orale:


   LATRONICO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale 407 Basentana è un'importante strada statale italiana, il cui tracciato segue il corso del fiume Basento da Potenza a Metaponto e compone l'itinerario della strada europea E847, dorsale nord-sud che unisce Sicignano degli Alburni alla Tavole Palatine di Metaponto, attraversando interamente la Basilicata;
   la tratta ha un'estensione di 100 chilometri e si presenta a due carreggiate, con due corsie per ogni senso di marcia con spartitraffico solo nel tratto ricadente nella provincia di Potenza, mentre lo stesso è assente lungo il tratto della provincia di Matera, in particolare tra Calciano e Metaponto. L'itinerario è caratterizzato da curve molto pericolose, numerose gallerie e restringimenti di carreggiata e ciò limita fortemente i livelli di sicurezza e la velocità di marcia;
   l'arteria stradale strada statale 407 è una delle strade più pericolose della Lucania, sulla quale si verifica una media di 0,20 incidenti per chilometro (secondo i dati Istat) e negli ultimi tempi si sono registrati una serie di incidenti, alcuni purtroppo molto gravi, dovuti alle condizioni dell'infrastruttura stradale. L'ultimo in ordine di tempo nella giornata di venerdì 26 febbraio 2016 quando nei pressi del comune di Salandra (provincia di Matera) si è verificato l'ennesimo scontro frontale dove hanno perso la vita tre persone ponendo in maniera ineludibile il tema della sicurezza;
   risulta evidente come le condizioni di dissesto e la mancanza di manutenzione incidono pesantemente sull'incidentalità di questa arteria, come si può evincere dagli innumerevoli appelli dei cittadini che la percorrono ogni giorno;
   sul sito dell'Anas sono presenti quattro interventi di manutenzione straordinaria sulla strada statale 407: dal chilometro 13,763 al chilometro 13,763 ci sono lavori di messa in sicurezza per il ripristino strutturale degli impalcati dei viadotti «Mecca», «Coronati», «Gianni»; dal chilometro 19.902 al chilometro 20.488 lavori di ammodernamento degli impianti antincendio «Galleria Albano» per interventi di mitigazione del rischio — primo stralcio; dal chilometro 20,072 al chilometro 28,972, lavori di ammodernamento degli impianti antincendio in galleria «Carvotto» — primo stralcio; dal chilometro 64,566 al chilometro 65,264 lavori per il ripristino lungo la strada statale 407 Basentana della «Galleria Alvaro» primo stralcio;
   la strada in questione, oltre ad essere ad unica carreggiata a doppio senso di marcia che mal sopporta l'enorme mole di traffico soprattutto nei giorni feriali per via dei mezzi pesanti che la percorrono, è in pessime condizioni strutturali: fondo stradale sconnesso, avvallamenti, asfalto rattoppato, deterioramento della segnaletica stradale, mancanza di adeguata illuminazione nelle gallerie. Il dissesto e la conseguente pericolosità aumentano quando le condizioni meteorologiche si fanno avverse ed in particolare in caso di pioggia, che rende invisibile all'automobilista lo stato reale dell'asfalto;
   in considerazione della rilevanza strategica dell'arteria strada statale 407 e dell'incremento del traffico legato anche al richiamo turistico della città di Matera, capitale europea della cultura 2019, si rendono necessari interventi di manutenzione straordinaria che la mettano in sicurezza per evitare ulteriori perdite di vite umane –:
   quali iniziative il Ministro intenda assumere con la massima sollecitudine al fine di verificare quanto riportato in premessa e quali interventi intenda porre in essere per garantire la messa in sicurezza della strada statale Basentana e l'incolumità dei pendolari che la percorrono ogni giorno. (3-02064)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 26 febbraio 2016 nel pomeriggio si è registrato un gravissimo incidente lungo la strada statale 407 nei pressi dell'hotel «La Salitella» in territorio di Salandra;
   ad essere coinvolte sono state due autovetture e nello scontro sono decedute tre persone, Pierangela Bitonto di anni 37 e la mamma Antonietta Luongo di anni 62 entrambe di Ferrandina che viaggiavano su una Seat Ibiza, e Vincenzo Marano di Eboli a bordo dell'Audi A 3 sulla quale viaggiava anche un'altra persona, una ragazza, ricoverata presso l'ospedale San Carlo di Potenza;
   nella ricostruzione delle dinamiche dell'incidente sono state utili le immagini registrate dalle telecamere di sicurezza dell'hotel;
   dalle immagini emergerebbe che è stata l'Audi A3 ad invadere la corsia opposta dove transitavano le due donne di Ferrandina;
   la strada statale 407 Basentana è un'arteria importante e strategica per tutto il sistema viario meridionale in quanto collega la A3 alla strada statale 106 ionica;
   tuttavia, suddetta superstrada presenta la necessità di essere messa in sicurezza e di essere adeguata anche nella sua classificazione nel codice della strada;
   purtroppo, non è la prima volta che si registrano lungo questa arteria, incidenti così gravi;
   il tratto compreso tra Calciano e Metaponto in entrambe le direzioni è privo di spartitraffico centrale tant’è che la carreggiata risulta delimitata dalla doppia striscia continua;
   la presenza inoltre di alcuni svincoli a raso e l'assenza di una corsia di emergenza ne complicano ancor di più il quadro dal punto di vista della sicurezza –:
   quali iniziative intenda adottare con urgenza il Governo affinché l'Anas doti anche il tratto citato in premessa di spartitraffico centrale nonché di corsia di emergenza al fine di migliorare gli standard di sicurezza di una delle arterie più importanti di tutto il Mezzogiorno.
(5-07945)

Interrogazione a risposta scritta:


   CAUSIN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la crocieristica è un settore strategico per l'economia italiana, alla quale contribuisce con un impatto economico diretto di oltre 4,5 miliardi di euro e con la generazione di 103.000 posti di lavoro (fonte: 2015 CLIA Europe Economic Contribution Report);
   la città di Venezia è una delle principali destinazioni crocieristiche del mondo e svolge un ruolo trainante per tutte i porti crocieristici dell'Adriatico, portando decine di migliaia di turisti a Bari, Ravenna, Ancona, Chioggia, e altre città;
   negli ultimi due anni, il traffico totale nell'Adriatico ha visto una riduzione di oltre 560 mila movimenti passeggeri nei porti crocieristici. In termini economici, si tratta di una perdita di circa 113 milioni di euro;
   la crocieristica è un settore che si basa sull'accurata pianificazione a lungo termine e l'attuale situazione di incertezza relativa l'accesso delle navi a Venezia, che perdura da ormai due anni, sta spingendo la crocieristica ad abbandonare la città lagunare e conseguentemente l'intero Mar Adriatico;
   secondo quanto riporta un lancio dell'ANSA del 4 novembre 2015, MSC Crociere ha deciso la riduzione del 40 per cento della propria presenza in termini di capacità di passeggeri nel 2016 nella città della laguna;
   nel corso degli ultimi mesi, le principali istituzioni locali hanno finalmente trovato un accordo su di un progetto alternativo di rotta di accesso alla città di Venezia (il cosiddetto «Tresse Nuovo») che garantirebbe la sopravvivenza della crocieristica tutelando anche l'enorme patrimonio ambientale e culturale della laguna;
   la documentazione necessaria è stata trasmessa al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in data 3 novembre 2015;
   secondo quanto riporta il Corriere del Veneto del 13 febbraio 2016, il progetto è ora stato inviato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti alla Commissione preposta alla Valutazione di impatto ambientale;
   della procedura, di cui è responsabile il dottor Carlo Di Gianfrancesco, si sta ora occupando la divisione II della direzione generale per le valutazioni e le autorizzazioni ambientali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere per garantire tempi certi per l’iter di valutazione del progetto a fronte dell'urgenza della situazione che sta mettendo a repentaglio la sopravvivenza della crocieristica a Venezia e nell'intero Adriatico;
   se non sia opportuno convocare il Comitato interministeriale per la salvaguardia di Venezia e della sua laguna per affrontare risolutivamente la questione all'origine, considerando che la sopravvivenza della crocieristica nel Mar Adriatico e il conseguente sviluppo del potenziale turistico italiano costituiscono una priorità strategica per la ripresa economica italiana. (4-12298)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ANZALDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Chiara Insidioso Monda è una ragazza romana di diciannove anni aggredita brutalmente e ridotta in fin di vita dal fidanzato due anni fa;
   il caso è recentemente balzato alle cronache nazionali per la riduzione a 16 anni della condanna del fidanzato autore delle violenze in sede di appello dopo che in primo grado la condanna era stata di 20 anni;
   il padre della ragazza con grande dignità in una intervista rilasciata al Corriere della Sera del giorno 25 novembre 2015, data in cui ricorre la giornata internazionale contro la violenza di genere, ha fatto presente le gravi difficoltà per assicurare alla ragazza adeguate cure a casa dopo due anni di ospedale;
   avere una giusta assistenza e un diritto per Chiara e la sua famiglia e le istituzioni sono chiamate a dare risposte adeguate;
   Giovanni Tamburino, commissario dell'Ater di Roma ha reso noto che l'ente ha la possibilità di assegnare una casa, ma ad oggi il Campidoglio risulterebbe inadempiente al fine di consentire l'effettiva assegnazione alla Insidioso;
   tra pochi giorni Chiara sarà dimessa dalla struttura sanitaria che la sta ospitando e potrebbe finire in una casa di cura non in grado di fronteggiare la sua condizione e pregiudicare il percorso di recupero faticosamente intrapreso –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e se non ritenga opportuno intervenire, per il tramite del Commissario straordinario di Roma Capitale, per rendere disponibile un immobile dell'Ater e assicurare a Chiara Insidioso una soluzione adeguata, considerato anche il calvario vissuto da lei e dalla sua famiglia. (5-07946)


   FABBRI, CHAOUKI e BENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con atto di sindacato ispettivo n. 4-10996, ancora in corso, l'interrogante il 6 novembre 2015 poneva all'attenzione del Governo la questione relativa alla revoca, per mancanza di reddito, della carta di soggiorno ad un cittadino srilankese, ad opera della questura di Milano. Revoca, oggetto di ricorso da parte dell'interessato, considerata illegittima dal Tar della Lombardia (decreto prot. n. 13198/2014 Imm. del 3 dicembre 2014 notificato il 26 marzo 2015), dal momento che sia le norme europee che il testo unico sull'immigrazione, recano che la carta può essere revocata quando lo straniero risulta pericoloso per l'ordine pubblico e la sicurezza dello Stato, e non invece a fronte della mera mancanza di redditi;
   dopo l'episodio succitato, il Ministero dell'interno e in particolare la direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere, con una nota indirizzata alla Commissione Europea del 20 novembre 2015, a cura del prefetto Giovanni Pinto scriveva che era stata data la «massima considerazione» a quella sentenza e che la questura di Milano aveva «provveduto a diffondere a tutte le strutture territorialmente presenti nella circoscrizione di Milano precise disposizioni», trattandosi di singoli casi registrati a Milano. La direzione, sempre a detta del prefetto Pinto in quella stessa nota, ha ritenuto superflua la diffusione di una circolare che interessasse tutte le strutture territoriali, a livello nazionale, in quanto la criticità in analisi è risultata circoscritta alla sola area provinciale di Milano;
   sembra però che le medesime criticità siano state sollevate anche in altre città: a Roma, a Bologna, a Modena, e altre –:
   quanti siano stati nel 2015 i casi di revoca «ingiustificata» dei permessi di soggiorno e se non reputi di conseguenza doveroso agire in autotutela richiamando le persone interessate dal provvedimento al fine di restituire loro la documentazione revocata senza oneri a carico;
   se non ritenga urgente emanare una circolare che dia informazioni uniformi su tutto il territorio nazionale circa la corretta interpretazione e applicazione delle norme in materia. (5-07948)


   MARTELLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i carabinieri del Ros hanno fermato a Mestre, su disposizione della procura di Venezia Ajhan Veapi, un cittadino macedone domiciliato a Tiezzo di Azzano Decimo (Pordenone), indagato per arruolamento con finalità di terrorismo, anche internazionale;
   secondo l'accusa l'uomo avrebbe reclutato aspiranti mujaheddin che un imam bosniaco avrebbe successivamente indottrinato, radicalizzato, arruolato nell'Isis e avviato versa il Medio Oriente;
   l'indagine sarebbe iniziata alla fine del 2013 dopo la partenza per la Siria di Ismar Mesinovic, bosniaco, nato nel 1977 e morto il 15 gennaio 2014;
   l'uomo aveva lasciato l'Italia portando con sé il figlio di due anni. Con lui era partito anche un connazionale che svolge ancora oggi attività di supporto logistico alle azioni belliche dello Stato islamico e nell'ambito della stessa indagine, i carabinieri del Ros avevano individuato un marocchino residente nel Bellunese, Anass Jaffar (classe 1988), considerato il primo responsabile del percorso di indottrinamento e radicalizzazione di Mesinovic;
   secondo gli inquirenti, Veapi si occupava di selezionare sul terreno e a reclutare gli aspiranti mujaheddin in Italia e, poiché Veapi si apprestava a partire per la Serbia e successivamente per la Germania, la procura di Venezia ha emesso il provvedimento di fermo;
   nel maggio del 2015 era stato espulso dall'Italia e dai Paesi dell'area Schengen Arslan Osmanoski, che era in contatto con Veapi e viveva con uno stile di vita radicale improntato ai dettami del salafismo;
   proprio nel maggio 2015 sul sito internet del settimanale L'Espresso era apparso un articolo a firma del giornalista Piero Messina in cui Venezia citando fonti dei servizi segreti risultava un covo dove nascondersi di terroristi islamici, al punto da far inserire il capoluogo veneto nella lista degli «alert» del Viminale nonché possibile obiettivo;
   in merito l'interrogante aveva già presentato uno specifico atto di sindacato ispettivo tuttora senza risposta –:
   anche alla luce dell'attività dei Ros che vedono Venezia sede di reclutamento di foreign fighter, quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo al fine di potenziare le misure di sicurezza per la città con riferimento al rischio di terrorismo internazionale. (5-07952)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GINEFRA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con avvisi pubblici del 28 gennaio 2016 e del 9 febbraio 2016 sono stati pubblicati i bandi per l'affidamento del centro accoglienza richiedenti asilo (C.A.R.A.) di Bari Palese e per quello del centro di identificazione e di espulsione (CIE) di Bari Palese;
   la CGIL, in un quesito rivolto in data 28 febbraio 2016 all'A.N.A.C. a firma di Domenico Fitto per segreteria FP BARI, di Maria Luigia Bucci segretario della CGIL BARI e di Giuseppe Catucci per il dipartimento legalità e sicurezza, si è detta fortemente preoccupata «per quanto riguarda gli aspetti occupazionali che il più delle volte non vengono garantiti da appalti che di loro portano già il fatto di essere condizionati dalla prerogativa del massimo ribasso agita essenzialmente sul costo del lavoro»;
   con l'approvazione del decreto legislativo per l'attuazione delle direttive europee, in data 14 gennaio 2016, il Governo si è impegnato a formulare un testo unico denominato «codice degli appalti», la cui elaborazione è stata affidata al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e all'ANAC;
   nel caso di specie, la C.G.I.L. ha denunciato che «l'aver ignorato alcuni temi tipici dell'affidamento dei servizi, ovvero relativi alla tipologia di contratto collettivo di lavoro da applicare e alla clausola sociale, necessaria questa alla stabilità occupazionale ed alla salvaguardia delle opportune professionalità nei cambi di appalti di concessione, è per noi motivo di costante preoccupazione e per queste ragioni invitiamo l'Autorità dell'ANAC a volersi esprimere nel merito sulle criticità da noi osservate»;
   entrambi gli avvisi di cui sopra sono in fase di espletamento e risulterebbero carenti della cosiddetta «clausola sociale», mentre i due servizi sono attualmente affidati in regime di proroga;
   l'assenza di tale clausola sta generando grave allarme sociale per la probabile perdita del posto di lavoro degli interessati su tali appalti che da diversi anni (150 lavoratori circa per il CARA e circa 30 per il CIE) risultano occupati e sta producendo due vertenze sindacali nei confronti della stazione appaltante (prefettura di Bari);
   i testi de quo delle due gare oggetto del quesito all'A.N.A.C. – scrive la CGIL – verte sulla parte relativa allo «Schema di capitolato di appalto per la gestione dei centri di accoglienza per immigrati». Lo schema riporta testualmente all'articolo 5, pagina 7: «L'Ente gestore garantisce, altresì, l'osservanza delle disposizioni in tema di trattamento giuridico ed economico del personale, dettate dai rispettivi CC.CC.N.L. anche per quel che eventualmente riguarda la posizione del personale impiegato dalla ditta cessante l'appalto in corso. La Prefettura-U.T.G. si riserva il diritto di motivata richiesta all'Ente gestore, di sostituzione del personale ritenuto non idoneo o inadatto, senza che ciò possa costituire motivo di maggiori oneri»;
   la lettura del testo in questione – denuncia il Sindacato – rivelerebbe «un contenuto vago rispetto alla clausola sociale di salvaguardia. Essa sarebbe appena accennata ma, a nostro avviso, la locuzione “eventualmente” toglie anche quelle poche certezze»;
   i lavoratori, per mezzo della CGIL, hanno evidenziato le forti preoccupazioni originate dall'attuale raddoppio del numero degli ospiti, passando da 700 a 1500 circa nel CARA (si vedano le emergenze immigrazione), insieme all'assenza di certezze sul loro futuro occupazionale;
   la legge delega n. 11 del 2016 del 28 gennaio impone che gli avvisi pubblici relativi a lavori per servizi e forniture debbano contenere la clausola sociale e, secondo la delega al Governo per la scrittura del nuovo codice degli appalti, questo avrebbe lo scopo di prevenire sprechi e corruzione;
   secondo il sindacato l'assenza della clausola sociale consentirebbe all'aggiudicatario delle due gare d'appalto di non assorbire/assumere i lavoratori che sarebbero disoccupati, status che peserebbe ulteriormente dal momento che una parte di essi appartiene a categorie svantaggiate. In tal caso poi accederebbero al NASPI (ammortizzatori sociali);
   con il decreto «Proroga termini» recentemente convertito in legge è stata prevista la proroga al 31 dicembre 2016 della «NASPI» per quelle aziende che rispettano la clausola sociale;
   l'esperienza e le diverse qualifiche professionali dei lavoratori fino ad oggi impiegati (mediatori culturali, interpreti, assistenti sociali, ed altri operatori) in strutture come il CARA ed il CIE sono fondamentali sia nell'interesse degli ospiti che dell'intera comunità ospitante;
   i controlli dell'ANAC concepiti per la verifica della legittimità non solo dello svolgimento formale delle gare e del loro iter, ma anche del contenuto delle stesse –:
   se sia al corrente di quanto riporatato in premessa;
   se abbia avuto modo, precedentemente alla stesura e alla pubblicazione dei bandi di gara, di interpellare l'ANAC;
   se non ritenga che, a fronte della professionalità e dell'esigenza della continuità delle prestazioni fornite nei centri baresi, nonché alla luce del nuovo orientamento normativo, sia opportuno che venga valutata negativamente ogni forma di discrezionalità nell'applicazione della clausola sociale. (4-12297)


   D'INCÀ, BRUGNEROTTO e PETRAROLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 26 della legge n. 208 del 2015 dispone che: «Al fine di contenere il livello complessivo della pressione tributaria, in coerenza con gli equilibri generali di finanza pubblica, per l'anno 2016 è sospesa l'efficacia delle leggi regionali e delle deliberazioni degli enti locali nella parte in cui prevedono aumenti dei tributi e delle addizionali attribuiti alle regioni e agli enti locali con legge dello Stato rispetto ai livelli di aliquote o tariffe applicabili per l'anno 2015.»;
   scopo della norma citata è quello di mantenere invariato, nel 2016, il livello complessivo di pressione tributaria, attraverso un congelamento generalizzato dei tributi degli enti territoriali rispetto alle aliquote in vigore nel 2015, ottenuto rendendo inefficaci eventuali leggi regionali o deliberazioni degli enti locali, nella parte in cui prevedono variazioni in aumento;
   secondo una interpretazione fornita dalla Corte dei Conti nella sua delibera n. 35/2016/PAR, Camera di consiglio del 9 febbraio 2016, il blocco è applicabile a tutte le forme di variazione in aumento dei tributi a livello locale, sia che le stesse si configurino come incremento di aliquote di tributi già esistenti nel 2015, sia che consistano nell'istituzione di nuove fonti impositive. Entrambe le predette opzioni fiscali (variazione in aumento delle aliquote e previsione di nuovi tributi) incidono, infatti, sulla pressione tributaria, elevandola;
   alcuni comuni italiani hanno istituito nel 2015 la tassa di soggiorno e approvato il bilancio preventivo inserendovi tra le voci di entrata anche gli introiti da essa derivanti, ma, applicandosi a partire dal 2016 e quindi soltanto dopo l'entrata in vigore della legge finanziaria la tassa è da ritenersi sospesa in virtù della citata norma;
   nella maggioranza dei casi la decisione di istituire la nuova tassa è stata presa dalle amministrazioni comunali per fare fronte ai tagli dei trasferimenti decisi dal Governo –:
   se non intenda assumere iniziative volte a rivedere quanto stabilito dall'articolo 1, comma 26, della legge n. 208 del 2015 che appare agli interroganti di dubbia costituzionalità perché pregiudica retroattivamente la capacità programmatica e di bilancio, riconosciuta ai comuni dall'articolo 119 della Costituzione. (4-12309)


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da diverse settimane, il comune di Licata, in provincia di Agrigento, è interessato da una serie di furti di cavi della corrente elettrica, i cui riflessi stanno causando gravissimi danni all'intera economia del territorio, oltre che alla sicurezza e all'ordine pubblico della comunità siciliana interessata, rimasta senza luce per intere giornate;
   il fenomeno criminale dei furti di rame che, secondo quanto riportato da numerosi quotidiani locali, risulterebbe essere pari a oltre venticinque chilometri di cavi rubati, si verifica in particolare nelle ore notturne, nelle aree abitative e quelle ad alta intensità produttiva, commerciale ed agricola, provocando fortissime ripercussioni sulle normali condizioni di vita dei cittadini;
   l'interrogante evidenzia, al riguardo, come in considerazione del perdurarsi del suindicato fenomeno, i cittadini di Licata per mantenere alto il livello di attenzione, hanno costituito il «Comitato spontaneo senza luce, contro i furti di rame per l'ordine e la sicurezza», al fine di sollecitare le autorità locali, preposte alla tutela dei beni e della sicurezza del cittadino, affinché adottino rapide misure per avviare azioni repressive anticrimine;
   le iniziative avviate dalla comunità locale, attraverso numerose manifestazioni di protesta e le denunce rivolte alle autorità di sicurezza e a quelle politiche locali, tuttavia, non sembrano, a quanto consta all'interrogante, aver sortito effetti positivi, in considerazione che i furti di rame, avvengono oramai con cadenza giornaliera, privando gran parte del territorio interessato dell'uso dell'energia elettrica, addirittura in certi casi per oltre novanta giorni;
   numerose contrade licatesi, (Vallatazza, Safarello, Casalicchio, Caterlippe, Scalilli Montegrande) secondo quanto pubblicato dagli organi d'informazione locale, all'interno delle quali operano oltre trecento aziende di piccola e media dimensione, si sono attrezzate in forma autonoma, attraverso l'installazione di gruppi elettrogeni, per proseguire la propria attività agricola e artigianale, sostenendo; a proprio carico, ingenti oneri, anche peraltro a seguito delle informazioni ricevute, secondo le quali i tempi di ripristino delle linee elettriche, non si preannunciano brevi;
   l'interrogante evidenzia inoltre, considerando il livello crescente di preoccupazione e di difficoltà da parte della comunità licatese, nel proseguire in condizioni di normalità, (i cui effetti negativi e penalizzanti per l'economia locale, rischiano di aggravare ulteriormente le già precarie condizioni socioeconomiche generali dell'area coinvolta), come sia necessarie, introdurre il principio della cosiddetta «sicurezza partecipata», intesa come un insieme di iniziative con cui i soggetti pubblici e privati ha o la possibilità d'intervento a fianco delle forze di polizia, concetto peraltro già previsto dall'Osservatorio nazionale sui furti di rame, istituito presso il dipartimento della pubblica sicurezza (direzione centrale della polizia criminale) del Ministero dell'interno;
   a fronte di tali iniziative, a giudizio dell'interrogante, risulta altresì urgente e necessario affiancare, all'operato delle forze dell'ordine, anche l'intervento militare dell'esercito, come peraltro richiesto dalla comunità licatese, al fine di vigilare, con maggiore attenzione, l'intera area interessata, dagli ingenti furti di rame, in danno della rete di illuminazione pubblica e delle aziende private, che rischiano di arrestare in modo definitivo lo sviluppo dell'intera economia agrigentina nel breve termine;
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati intendano intraprendere al fine di potenziare i livelli di presidio e sicurezza, nel territorio di Licata interessato da diversi mesi dai furti di rame;
   se, in considerazione dei livelli allarmanti del fenomeno criminale in precedenza richiamato che, come riportato in premessa, risulta essere crescente e inarrestabile, i Ministri interrogati, non ritengano opportuno di valutare l'opportunità di affiancare all'operato delle forze dell'ordine, anche quello delle Forze armate, per fronteggiare il numero dei furti, considerato che i risultati raggiunti sono evidentemente insoddisfacenti. (4-12312)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   ANDREA MAESTRI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 27 febbraio 2016, la trasmissione Tagadà in onda su La7, ha portato all'attenzione nazionale il grave rischio per la città di Ravenna, nota in tutto il mondo per i suoi mosaici, di perdere la tradizione dell'arte e della decorazione musiva, e con essa, parte della propria identità artistica e culturale;
   nel 1959 fu istituito l'Istituto statale d'arte per i mosaico «G. Severini», per formare mosaicisti che fossero contemporaneamente tecnici del restauro e artisti del mosaico. Erano presenti due corsi specifici, uno riguardante l'arte del mosaico, formato da un triennio di studio e due anni di specializzazione, e uno sperimentale di arte e restauro del mosaico di durata quinquennale. Entrambe i corsi erano propedeutici all'ingresso in Accademia, e ciò rendeva gli studenti ravennati tra i più preparati al mondo in questa antica arte;
   la «riforma Gelmini» dall'anno scolastico 2010/2011, ha cancellato gli istituti d'arte con le relative sezioni di arti applicative e l'istituto statale d'arte per il mosaico «G. Severini» è confluito nel Nuovo Liceo Artistico Nervi-Severini;
   in seguito alla «riforma Gelmini», il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non ha istituito un indirizzo per il mosaico che è confluito nella generica dicitura di arti figurative. Gli indirizzi di arti figurative però, possiedono delle specificità, definite dalla riforma curvature come ad esempio arte della scultura, arte del grafico-pittorico, arte del plastico-pittorico, mentre non esiste la specifica curvatura per il mosaico. La conseguenza è che il diploma non comprenderà più il termine «mosaico» e l'esperienza pluriennale degli allievi potrà figurare solo attraverso una certificazione prodotta dalla scuola;
   è bene ricordare a questo proposito che le curvature sono ambiti di approfondimento che rispondono alle esigenze formative degli studenti secondo le loro attitudini. Ogni studente che opta per una curvatura, una volta scelto l'indirizzo arti figurative, fa parte di una classe costituita da ragazzi che hanno effettuato la stessa scelta. Alle curvature è dedicata una quota oraria delle discipline d'indirizzo che viene gestita dai docenti lungo l'anno scolastico. I docenti dell'indirizzo arti figurative che insegnano in una sezione con curvatura possiedono specifiche competenze relative all'approfondimento;
   il dirigente, i docenti e gli allievi del liceo artistico Nervi-Severini di Ravenna hanno espresso in varie occasioni con i rappresentanti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca le loro giuste preoccupazioni sul rischio che, l'insegnamento del linguaggio musivo con la confluenza in un generico indirizzo di arti figurative e senza curvatura specifica, perda la sua specificità e, negli anni, possa compromettere definitivamente la tradizione dell'arte e della decorazione musiva della città di Ravenna, favorendo altre località internazionali potenzialmente interessate a tale percorso scolastico –:
   se il Governo sia a conoscenza dei reali rischi di scomparsa di specificità per l'insegnamento dell'arte del mosaico, causati dalla «riforma Gelmini» (e se non ritenga opportuno attivate le iniziative di competenza per il riconoscimento dell'indirizzo di mosaico con la sua integrazione fra le curvature di «Arti figurative».
(4-12299)


   ANDREA MAESTRI, BRIGNONE, CIVATI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il 23 febbraio 2016 a Ravenna, nei locali dell'istituto tecnico geometri ITG «C. Morigia» – ITAS «L. Perdisa», si è svolta l'assemblea del personale amministrativo tecnico ausiliario (ata), indetta unitariamente dai sindacati provinciali, come avvenuto anche in altre città d'Italia;
   nell'assemblea sono state affrontate ed esaminate tutte le problematiche relative alle insostenibili condizioni di lavoro del personale ata, costretto quotidianamente a scontrarsi con difficoltà che ostacolano la funzionalità e il buon andamento delle scuole, nonché la dignità degli stessi lavoratori e lavoratrici;
   il personale ata, nel sistema pubblico di istruzione, svolge funzioni importanti e decisive per una piena e completa funzionalità delle scuole, nell'esercizio di un'autonomia riconosciuta e tutelata dalla Costituzione: funzioni che nella legge, ad avviso degli interroganti, risultano ignorate o ampiamente sottovalutate;
   il settore ata sopporta da tempo le conseguenze di interventi legislativi che ne hanno sempre più aggravato le condizioni di lavoro, o leggi che ne hanno ignorato le problematiche, come la legge n. 107 del 2015, la cosiddetta «Buona Scuola», o la legge di stabilità 2016, negando così il giusto riconoscimento ai lavoratori: organici insufficienti, risorse contrattuali sottratte, percorsi di valorizzazione professionale bloccati fanno da sfondo a una condizione lavorativa che sconta quotidianamente anche i pesanti limiti di funzionalità e organizzazione del sistema;
   dopo oltre un anno di pressioni e di mobilitazioni, il 22 febbraio 2016 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha emanato la nota n. 5083 con la quale l'amministrazione comunica la riattivazione della funzione relativa al flusso telematico che consentirà, finalmente, l'invio delle nuove «posizioni economiche» del personale ata con decorrenza economica dal 1o gennaio 2015;
   lo sblocco delle posizioni economiche è solo uno dei punti contenuti nella nota «vertenza» del 9 febbraio 2016 aperta dai sindacati di categoria, per sollecitare l'amministrazione al rispetto degli impegni, assunti nell'incontro del 22 ottobre 2015 svoltosi al termine della manifestazione nazionale del personale ata a Roma davanti al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, i quali, a tutt'oggi, risultano disattesi;
   i sindacati FLC Cgil, CISL Scuola, UIL Scuola, SNALS-Confsal e GILDA-Unams, annunciando una nuova fase di mobilitazione, rivendicano un rinnovo contrattuale non più rinviabile per l'intero comparto scuola e reclamano, oltre allo sblocco delle posizioni economiche già ottenuto, diversi interventi che rappresentano per l'area del personale ata un carattere di assoluta e specifica urgenza: un dignitoso rinnovo del contratto collettivo nazionale del lavoro; l'eliminazione dell'articolo 1, comma 332, della legge di stabilità 2015 che vieta il conferimento delle supplenze del personale Ata in caso di assenze brevi; l'assunzione immediata su tutti i posti vacanti e disponibili su ogni profilo e contestuale sblocco del turn over; l'istituzione dell'organico funzionale; la proroga dei contratti a tempo determinato al 31 agosto per tutti i profili professionali –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative urgenti ritenga opportuno porre in essere al fine di rispettare gli impegni assunti nei riguardi del personale amministrativo tecnico ausiliario;
   quali iniziative, eventualmente anche di natura normativa, intenda adottare per rispondere alle legittime richieste di tale personale, posto che le criticità suddette di fatto limitano funzionalità e organizzazione del sistema scolastico nel suo insieme. (4-12303)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LOREFICE, BARONI, COLONNESE, SILVIA GIORDANO, DI VITA, GRILLO e MANTERO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'articolo 34 della Costituzione «La scuola è aperta a tutti». Al dovere statale di istituire, su tutto il territorio nazionale, scuole di ogni ordine e grado, fa fronte il diritto civico dei cittadini di accedere liberamente al sistema scolastico. Lo stesso diritto fondamentale ed inalienabile della persona è sancito anche dall'articolo 26 della dichiarazione universale dei diritti umani dell'Onu;
   al fine di garantire il diritto all'istruzione a tutti i cittadini, anche a quelli impossibilitati fisicamente o psichicamente l'articolo 12, comma 2, della «Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate», Legge 5 febbraio 1992, n. 104, statuisce che «È garantito il diritto all'educazione e all'istruzione della persona handicappata nelle sezioni di scuola materna, nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie»;
   l'articolo 28, comma 1, della Legge 30 marzo 1971, n. 118, introducendo la normativa per la frequenza scolastica stabilisce che ai soggetti disabili viene assicurato il trasporto gratuito dalla propria abitazione alla sede della scuola e viceversa;
   nonostante le previsioni normative gli studenti disabili dell'ex provincia di Ragusa, oggi Libero Consorzio, non hanno potuto frequentare quasi 2 mesi di scuola all'inizio dell'attuale anno scolastico a causa della mancata disponibilità di fondi a garanzia del trasporto scolastico;
   una volta ripartito il servizio di trasporto scolastico nel mese di novembre 2015, ad inizio anno 2016 sembravano ripresentarsi le prime avvisaglie di disservizio, per cui il mese scorso il governatore siciliano Crocetta ha garantito uno stanziamento straordinario per l'emergenza e soprattutto per assicurare i servizi essenziali, a cominciare da quello per l'assistenza specialistica e il trasporto degli alunni disabili; lo stesso commissario Dario Cartabellotta aveva assicurato «Crocetta si occuperà del «caso Ragusa e penserà a risolverlo»;
   oggi si sta assistendo nuovamente ad una eclatante violazione del diritto all'istruzione dei ragazzi disabili delle scuole medie superiori; secondo una nota diramata dall'ufficio stampa del consorzio, infatti, «Dal Parlamento siciliano non sono arrivate per il Libero Consorzio Comunale di Ragusa le notizie attese per il mantenimento dei servizi per gli studenti disabili, sotto forma del contributo straordinario di 2,3 milioni di euro per chiudere il bilancio 2015, così al dirigente del 1o settore Raffaele Falconieri non è rimasto altro che avvisare le cooperative sociali e gli istituti scolastici che i servizi di assistenza specialistica e di trasporto a favore degli studenti disabili compresi quelli per l'assistenza mediante ricovero di soggetti non vedenti, sono sospesi»;
   tutto ciò sta accadendo a qualche giorno di distanza dall'approvazione di un emendamento all'articolo 9 della legge finanziaria siciliana a prima firma Zafarana con il quale vengono stanziati 4 milioni di euro per garantire agli alunni disabili siciliani i servizi e il trasporto gratuito «per la frequenza degli asili nido, della scuola di ogni ordine e grado e dei centri educativo-riabilitativi a carattere ambulatoriale e diurno» –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intendano assumere per porre fine a questa grave disuguaglianza sociale e garantire il diritto costituzionale all'istruzione a tutti i ragazzi, trovando una soluzione definitiva al problema che si genera con cadenza annuale all'apertura dell'anno scolastico e che continua a riproporsi nel corso dell'anno;
   se non ritengano opportuno assumere le iniziative di competenza, al fine di garantire quella giustizia sociale sancita dall'articolo 3 della Costituzione per il raggiungimento della quale la Repubblica dovrebbe attivarsi a rimuovere tutti gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando la libertà e l'uguaglianza, ostacolino il pieno sviluppo della persona. (5-07950)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRANCO BORDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dello svolgimento della gara per l'assegnazione del servizio di gestione delle reti di distribuzione del gas i lavoratori del comparto gas del gruppo ACSM-AGAM di Como potrebbero trovarsi in una situazione di oggettiva difficoltà;
   dal 1o aprile 2016, 34 lavoratori del gruppo ACSM-AGAM di Como dovranno passare alla dipendenza della società «21 Rete Gas», che si è aggiudicata la gara del servizio di gestione delle reti di distribuzione del gas bandita dai comuni di Como e San Fermo della Battaglia;
   alcuni di questi lavoratori saranno costretti a sostenere gli oneri relativi alla ricongiunzione onerosa delle prestazioni previdenziali per il passaggio dall'Inpdap all'Inps, con importi che possono raggiungere le decine di migliaia di euro;
   altro rischio corso dai lavoratori in questione è quello di essere assunti con le norme previste dal cosiddetto « Job Act» per i nuovi assunti («contratto a tutele crescenti») con conseguente perdita di tutele, in particolare quelle previste dall'articolo 18 dello statuto dei lavoratori;
   si tratta di una problematica che non investe solo i lavoratori che passeranno alla dipendenza della società «21 Rete Gas» di Corno, in quanto nei prossimi mesi saranno avviate le gare per l'assegnazione del servizio di gestione delle reti di distribuzione del gas nei vari ambiti territoriali in cui è stato suddiviso il territorio nazionale, sulla base delle disposizioni previste dal decreto legislativo n. 164 del 2000, che coinvolgeranno una gran parte dei 40.000 lavoratori del comparto del gas –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se non ritenga necessario ed improcrastinabile avviare le iniziative di competenza, anche di carattere normativo, che intervengano a garanzia e a tutela dei lavoratori interessati dalle gare per l'assegnazione del servizio di gestione delle reti di distribuzione del gas, sia per quanto attiene alle ricongiunzioni previdenziali, sia per il mantenimento in capo ai lavoratori del comparto del gas, delle tutele di cui all'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, attraverso una apposita clausola sociale. (4-12302)


   SCOTTO, NICCHI, MARTELLI, GREGORI, AIRAUDO, PLACIDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MARCON, MELILLA, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZACCAGNINI e ZARATTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'11 febbraio 2015 il tribunale amministrativo regionale (Tar) del Lazio accolse, in parte, tre ricorsi presentati contro il decreto del Presidente del consiglio dei ministri n. 159 del 2013, recante il regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'indicatore della situazione economica equivalente (Isee), entrato in vigore dal 1o gennaio 2015;
   le tre sentenze della sezione prima del Tar del Lazio, la n. 2454/15, la n. 2458/15 e la n. 2459/15, di fatto modificavano parzialmente l'impianto per il calcolo dell'indicatore della situazione reddituale (Isr);
   il Tar, nello specifico, accolse soltanto il ricorso sull'illegittimità del regolamento dell'Isee, nella parte in cui considera come reddito disponibile anche i proventi legati alla disabilità (pensione e accompagnamento, con la sentenza n. 2458 del 2015. Inoltre, con la sentenza n. 2459 del 2015 ha ritenuto illegittima la franchigia prevista per i maggiorenni con disabilità e quella più alta per i minorenni con disabilità);
   riguardo al ricorso, conclusosi con la sentenza n. 2458, la prima sezione del Tribunale amministrativo regionale del Lazio accolse solo il sesto dei nove motivi formulati dai ricorrenti. Infatti, il Tar, richiamando i fondamentali principi della Costituzione, enunciati negli articoli 32 e 38, dichiarò che la pensione di invalidità e le indennità di accompagnamento non dovevano essere inseriti tra i redditi disponibili, in quanto, il loro inserimento costituirebbe una penalizzazione nei confronti delle fasce sociali più deboli;
   in data 29 febbraio 2016, il Consiglio di Stato si è pronunciato sul ricorso presentato dal Governo, a seguito delle sentenze del Tar del Lazio, che aveva accolto i ricorsi presentati dalle associazioni delle persone disabili contro il sistema di calcolo dell'Isee che sommava al reddito le pensioni e l'assegno di accompagnamento;
   il Consiglio di Stato nella sentenza depositata in data 29 febbraio 2016, afferma che il Collegio deve condividere l'affermazione degli appellanti incidentali quando dicono che ricomprendere tra i redditi i trattamenti indennitari percepiti dai disabili significa allora considerare la disabilità alla stregua di una fonte di reddito, come se fosse un lavoro o un patrimonio, e i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni non un sostegno al disabile, ma una «remunerazione» del suo stato di invalidità oltremodo irragionevole, oltre che in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione;
   in pratica, il Consiglio di Stato ha affermato che le provvidenze economiche previste per la disabilità non possono e non devono essere conteggiate come reddito;
   il gruppo di sinistra Italiana – Sinistra, ecologia e libertà giudicò grave il fatto che Governo e, in particolare, la Presidenza del Consiglio dei ministri e i Ministeri del lavoro e delle politiche sociali e dell'economia e delle finanze non avessero proceduto alle necessarie modifiche adeguando la normativa ai rilievi del tribunale amministrativo;
   il Governo, nella persona del sottosegretario all'economia Enrico Zanetti, comunicò alla Camera la decisione di presentare ricorso al Consiglio di Stato, affermando che «Sentiti gli uffici competenti dell'amministrazione finanziaria in merito alla richiesta di rafforzare le misure agevolative in favore dei soggetti disabili e delle loro famiglie, giova ribadire che qualsivoglia iniziativa normativa dovrà necessariamente tener conto degli effetti negativi sui saldi di finanza pubblica per i quali è opportuno reperire idonei mezzi di copertura finanziaria. Per questo motivo, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha manifestato di condividere la posizione espressa dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in ordine all'opportunità di proporre appello dinanzi al Consiglio di Stato, previa sospensione dell'esecutività delle sentenze impugnate»;
   il Consiglio di Stato alle affermazioni del Governo ha replicato affermando che era necessario ricordare che le «indennità o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com’è in uno svantaggio, al fine di pervenire ad una posizione uguale rispetto a chi non soffre di quest'ultimo ed a ristabilire una parità morale e competitiva. Essi non determinano, infatti, una “migliore” situazione economica del disabile rispetto al non disabile, al più mirando a colmare tal situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale, prima o anche in assenza di essa. Pertanto, la “capacità selettiva” dell'Isee, se deve scriminare correttamente le posizioni diverse e trattare egualmente quelle uguali, allora non può compiere l'artificio di definire reddito un'indennità o un risarcimento, ma deve considerarli per ciò che essi sono, perché posti a fronte di una condizione di disabilità grave e in sé non altrimenti rimediabile»;
   in merito al sistema delle franchigie, i giudici del Consiglio di Stato hanno sottolineato come non può compensare in modo soddisfacente l'inclusione nell'Isee di siffatte indennità compensative, per l'evidente ragione che tal sistema s'articola sì in un articolato insieme di benefici, ma con detrazioni a favore di beneficiari e di categorie di spese che sono i più svariati; da ciò deriva inoltre che, in pratica, i beneficiari ed i presupposti delle franchigie stesse sono diversi dai destinatari e dai presupposti delle indennità;
   il Consiglio di Stato, con la sentenza sopra richiamata, indica al Governo come procedere in quanto non convince il temuto vuoto normativo conseguente all'annullamento in parte del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, in quanto non occorre una novella all'articolo 5 del decreto-legge n. 201 del 2011 per tornare ad una definizione più realistica ed al contempo più precisa di «reddito disponibile», basta correggere l'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sopra richiamato e fare opera di coordinamento testuale, giacché non il predetto articolo 5, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011, ma solo quest'ultimo ha scelto di trattare le citate indennità come reddito –:
   se non ritenga improcrastinabile e necessario assumere iniziative normative per procedere immediatamente alla modifica del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013 in modo da ottemperare alle sentenze del Tar del Lazio, confermate dal Consiglio di Stato, in modo tale da evitare alle persone disabili l'esclusione dall'accesso a servizi sociali a causa del fatto che provvidenze economiche previste per la disabilità sono conteggiate come reddito;
   se non ritenga grave che su questioni delicate e che afferiscono alla qualità della vita dei cittadini e in particolare delle persone disabili si continui a rispondere che, qualsivoglia iniziativa normativa, deve necessariamente tener conto degli effetti negativi sui saldi di finanza pubblica, come se i diritti sociali debbano forzosamente piegarsi sempre e comunque alle compatibilità economiche. (4-12310)


   LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Titolo III dello statuto dei lavoratori contiene norme «promozionali» e di «sostegno» all'attività sindacale nei luoghi di lavoro, cioè prevede una serie di disposizioni che vanno oltre la tutela della libertà sindacale, in quanto non mirano esclusivamente a definire uno spazio di autotutela del soggetto titolare di tale libertà (vietando, quindi, a tutti gli altri soggetti di interferirvi), ma danno vita, in capo al soggetto tutelato, a pretese configurabili come veri e propri diritti soggettivi verso il datore di lavoro, sul quale gravano obblighi corrispondenti;
   tra queste disposizioni rientrano quelle relative al riconoscimento di permessi sindacali, cioè permessi (retribuiti e non) finalizzati allo svolgimento dell'attività propria dei rappresentanti sindacali;
   in particolare, la legge prevede il riconoscimento ai dirigenti delle rappresentanze sindacali unitarie di:
    a) permessi retribuiti (articolo 23) che consistono in ore retribuite per svolgere la propria attività sindacale, purché rientrino nel monte ore annuo. La determinazione del monte ore annuo è proporzionale alla dimensione dell'azienda;
    b) permessi non retribuiti (articolo 24) che la legge prevede possano essere utilizzati per la partecipazione a trattative sindacali, convegni o congressi. Tali permessi sono fruibili in misura non inferiore alle otto ore annue;
   fermi restando i giusti diritti che discendono dalla pur necessaria democratizzazione dei posti di lavoro, appare oramai necessario – anche alla luce del reiterarsi di abusi in relazione alla gestione delle ore di permesso sindacale – intervenire al fine di sottoporre ad opportuni controlli la congruità della gestione dei predetti permessi rispetto alle previsioni di legge;
   nello specifico, risultano all'interrogante talune criticità, segnalate dal sindacato USB, in seno all'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato s.p.a., in modo particolare l'USB lamenterebbe anomalie in relazione alla gestione delle ore per permessi sindacali; con particolare riguardo a quanto previsto dall'accordo tra la direzione aziendale e le delegazioni sindacali nazionali del 15 dicembre 2010, avente ad oggetto le «agibilità» sindacali, con cui sarebbe convenuto un monte ore superiore a quello previsto dal CCNL di riferimento –:
   se il Ministro, per quanto di competenza, intenda intervenire al fine di garantire il più corretto utilizzo del monte ore messo a disposizione delle associazioni sindacali con l'obiettivo di assicurare tanto le prerogative sindacali quanto l'ottimizzazione delle risorse disponibili;
   se sussistano, previo avvio delle più opportune attività di carattere ispettivo di competenza, incongruità in seno all'utilizzo del monte ore per permessi sindacali messo a disposizione delle associazioni sindacali in seno all'Istituto poligrafico e zecca dello Stato. (4-12311)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XIII Commissione:


   GALLINELLA, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO, PARENTELA e LOREFICE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   come noto, i cereali sono i vegetali più coltivati al mondo e i prodotti derivanti dalla loro trasformazione costituiscono da sempre gli alimenti «di base» per l'organismo umano. I cereali utilizzati prevalentemente nell'alimentazione umana sono: il frumento o grano ed il riso, mentre il granoturco o mais, l'avena, l'orzo, la segale ed il sorgo sono per lo più impiegati per alimentazione zootecnica. Il frumento è ampiamente ritenuto il cereale più importante per l'alimentazione umana e le specie più diffuse, quali il Triticum durum o grano duro e il Triticum aestivum o grano tenero, vengono utilizzate per la produzione di alimenti di consumo quotidiano quali pasta, il pane e gli altri prodotti da forno;
   relativamente al grano duro, la Borsa merci italiana dopo la sostanziale stabilità registrata nei mesi di ottobre e novembre 2015 ha evidenziato una nuova fase di ribassi dei prezzi all'ingrosso, dovuta allo squilibrio tra domanda, piuttosto contenuta, da parte dell'industria molitoria ed ampia disponibilità di prodotto sul mercato, disponibilità destinata ad aumentare se si considerano le attese per il 2016 derivanti dalla crescita delle semine;
   le quotazioni del duro fino, analizzate tramite il FINC (indicatore sintetico prezzi all'ingrosso), si sono attestate a dicembre sui 266 euro a tonnellata, in calo del 2,7 per cento rispetto a novembre; sempre pesante il divario rispetto alla scorsa annata, con i prezzi attuali più bassi di oltre il 30 per cento. I cali, peraltro, sono proseguiti anche nelle rilevazioni di apertura del 2016. Sebbene più contenuti rispetto al frumento, anche le quotazioni della semola hanno subito a dicembre dei ribassi, in particolare nella seconda parte del mese, chiudendo il 2015 sulla piazza di Bologna sui 474-480 euro a tonnellata ed accusando un calo rispetto allo scorso anno del 20 per cento circa;
   i dati mostrano che anche il mercato del frumento tenero nazionale è ancora bloccato, segnato da pochi scambi e dalla conseguente stabilità delle quotazioni dei frumenti panificabili. I prezzi del panificabile, analizzati tramite il FINC, sono rimasti fermi sulla soglia dei 185 euro a tonnellata, cedendo appena lo 0,1 per cento rispetto a novembre ma risultando più bassi del 6,9 per cento rispetto allo scorso anno. Sono invariate anche le quotazioni dei frumenti di forza, stabili sui 240-260 euro a tonnellata (CCIAA Milano) e praticamente in linea rispetto allo scorso anno. Vi è una sostanziale stabilità anche per il frumento tenero panificabile di provenienza comunitaria, attestato sui 192 euro a tonnellata (-1,4 per cento) ma in calo dell'8,9 per cento rispetto a dicembre 2014 (CCIAA Milano). Anche lo scenario mondiale al momento non presenta elementi di tensione sul fronte dei fondamentali della domanda e dell'offerta, con quest'ultima stimata dall'USDA nel suo report di dicembre, sul valore record di 735 milioni di tonnellate, a fronte di consumi, attesi poco sotto i 720 milioni di tonnellate e stock sui 230 milioni di tonnellate (+8,5 per cento). Anche sul mercato internazionale si riscontra un segnale di debolezza. Nello specifico, le quotazioni del frumento tenero sono rimaste per tutto dicembre sotto la soglia dei 500 cent dollaro/bushel, portandosi a fine mese sui 470 cent dollaro/bushel. Stessa situazione si registra nel mercato francese con valori del frumento duro sotto la soglia dei 270 euro a tonnellata (France AgriMer);
   l'organizzazione di filiera appare indispensabile quindi anche nel settore cerealicolo sia per affrontare le sfide del mercato globale che per negoziare con più forza con la parte industriale; attualmente l'aggregazione della produzione agricola viene realizzata infatti da intermediari, ovvero soggetti terzi rispetto agli agricoltori che hanno scarso interesse a valorizzare sia qualitativamente che economicamente le produzioni, i quali gestiscono le relazioni con il mercato finale e i rapporti con l'industria per le produzioni cerealicole destinate alla trasformazione –:
   se non ritenga urgente promuovere ogni strumento volto a favorire l'aggregazione nel settore cerealicolo, anche attraverso l'attivazione immediata di un tavolo di filiera e l'istituzione di una commissione unica nazionale per il mercato dei cereali. (5-07954)


   ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha reso noto che sono stati stanziati 21 milioni di euro nella legge di stabilità 2016 per il finanziamento del miglioramento genetico attraverso biotecnologie e nuove tecniche di ingegneria genetica;
   in un intervento apparso sul Corriere della Sera del 3 febbraio 2016, il Ministro interrogato è tornato a parlare della ricerca in agricoltura, con particolare riferimento al tema delle biotecnologie;
   alcuni passaggi del suo intervento appaiono, a parere dell'interrogante, particolarmente oscuri e meritano un confronto con il Parlamento;
   in particolare, il Ministro, ribadendo l'intenzione di focalizzare il piano per le biotecnologie sul genome editing, parla della necessità di andare oltre le sigle e abbandonare le barriere ideologiche;
   nei prossimi mesi l'Unione europea dovrà decidere se la normativa europea sugli ogm si applica anche alle nuove tecniche di genome editing (New Breeding Techniques – NBT);
   a tal riguardo, il Ministro, sempre nel suo intervento, parla di un confronto serrato in sede comunitaria affinché Bruxelles «classifichi finalmente queste tecnologie diversamente dai vecchi ogm transgenici» e sostiene che l'Italia sarebbe in prima linea in questa battaglia assieme all'Olanda;
   associazioni come Greenpeace continuano a ribadire con forza come per molte di queste tecniche non esistano informazioni sufficienti per un'adeguata valutazione dei rischi: escluderle dalla normativa attuale sugli ogm equivarrebbe a impedirne una corretta valutazione, tracciabilità ed etichettatura;
   peraltro, le variazioni accelerate, generate in laboratorio dall'ingegneria genetica, non sembrano essere in grado di soppiantare quello che fanno i contadini nei campi. In particolare, è evidente che se il genotipo è modificabile in laboratorio, per il fenotipo, a causa dell'instabilità dovuta ai cambiamenti climatici, è necessario un ritorno al campo dai contadini per stabilizzare e acclimatare le varietà elaborate tramite ingegneria genetica;
   in occasione del recente simposio della Fao sulle agro-biotecnologie non è stato presentato alcun prodotto, segno che si è ancora in fase progettuale. Nonostante questo, il Governo sembra essere intenzionato ad assumere iniziative per modificare la legislazione comunitaria paventando la mera esigenza di raggiungere strumenti di brevettabilità ai soli fini di commercializzazione;
   al tempo stesso, la deregulation delle nuove biotecnologie rischia di confermare le indiscrezioni che vogliono la questione al centro del negoziato in corso tra Usa e Unione europea sul Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti;
   vale anche la pena considerare che, all'interno della stessa Unione europea, è in atto uno scontro istituzionale tra Commissione europea e Parlamento europeo sul rispetto della normativa ogm;
   pur trattandosi di ogm transgenici e non «nuovi», il contrasto tra la Commissione e l'Assemblea di Strasburgo, che ha chiesto all'Esecutivo dell'Unione europea di ritirare tre autorizzazioni per l'utilizzo di soia geneticamente modificata resistente agli erbicidi in alimenti e mangimi, è assolutamente indicativo della mancanza di una posizione unitaria, che deve impedire pericolosi balzi in avanti da parte del Governo italiano. «Non possiamo sostenere l'attuale proposta della Commissione europea di autorizzare tre nuovi semi di soia ogm che sono resistenti ad alcuni erbicidi, come il glifosato: potrebbero incoraggiare l'uso di un pesticida che può causa il cancro e avere gravi effetti sulla salute» – ha commentato il portavoce dei socialisti per l'ambiente, il tedesco Matthias Groote, alimentando la diatriba a livello scientifico fra l'Autorità della sicurezza alimentare europea (Efsa), che lo ritiene «probabilmente non cancerogeno», e i ricercatori che sostengono invece uno studio dell'Oms che lo classifica invece come «probabilmente cancerogeno»;
   il Governo italiano sta assumendo una posizione decisa in sede di partecipazione comunitaria a tale politica di favore riguardo ai «nuovi ogm» senza aver prima adeguatamente informato il Parlamento; attese le risultanze dell'indagine conoscitiva in Senato e l'esigenza di rispettare il principio di precauzione, ciò rappresenta, ad avviso dell'interrogante, una grave mancanza di collaborazione istituzionale e una fuga in avanti rispetto alla volontà espressa ad oggi dal Parlamento –:
   tenuto conto che il Parlamento italiano si è espresso in modo contrario ed unanime contro la coltivazione di ogm, quali iniziative a carattere urgente il Ministro intenda assumere, così rispettando la posizione espressa dal Parlamento, al fine di riconsiderare la strategia italiana in sede comunitaria in materia di ogm, con particolare riguardo a: definizione e applicazione delle nuove tecniche di ingegneria genetica (Nbt), rispetto dei criteri di denominazione e trasparenza degli ogm, brevettabilità a fini commerciali di eventuali nuove tecniche. (5-07955)


   FEDRIGA, SIMONETTI e GUIDESI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da circa due anni, ovvero dal luglio del 2014, il Parco del Ticino, compreso tra le regioni Lombardia e Piemonte, è afflitto da un grave problema fitosanitario ovvero la presenza del coleottero da quarantena Popollia japonica. Insetto che, ad esempio, negli Stati Uniti provoca danni ingenti per l'agricoltura, stimabili in circa 450 milioni di dollari;
   l'insetto è incluso nella normativa fitosanitaria europea (direttiva 2002/89/ CE, parte A – allegato 2), che comprende gli organismi di quarantena di cui si deve evitare la diffusione in Europa;
   la Popollia japonica è un coleottero originario del Giappone, che infesta e distrugge tappeti erbosi, piante selvatiche, da frutto e ornamentali e la cui diffusione si sta ampliando. Il mancato contenimento di questo insetto potrebbe creare emergenze ai livelli di quella degli ulivi in Puglia causata dalla Xylella fastidiosa;
   il coleottero giapponese infesta più di 300 diverse specie vegetali tra cui piante da frutta, da giardino e numerosi tipi di piante coltivate. Tra quelle maggiormente colpite si trovano il mais, la soia, la vite ed il riso. Si pensi solamente che le province di Vercelli, Biella e Novara, e Pavia, da sole, producono il 92 per cento del riso nazionale e che la superficie coltivata in Piemonte è di 70 mila ettari con oltre mille le aziende sul territorio;
   la Popollia japonica, considerata la sua elevata polifagia, potrebbe rivelarsi la nuova minaccia alla agricoltura del nostro Paese causando danni alle produzioni agricole inestimabili. Questo insetto produce danni alle colture in quanto erode le foglie, i fiori e i frutti, mentre le sue larve si nutrono di radici, preferibilmente di graminacee, costituendo un ennesimo attacco all'ecosistema;
   in Italia esistono condizioni climatiche favorevoli allo sviluppo di questo coleottero, e se ne teme una massiccia diffusione. Nel territorio italiano, a differenza di quanto avviene in Giappone, non esistono infatti nemici naturali di questa specie che possano tenere le sue popolazioni sotto controllo;
   gli interroganti fanno rilevare che nell'area dove è stato rinvenuto il coleottero è presente l’hub internazionale di Malpensa nonché l'aeroporto militare di Cameri. L'eventuale e malaugurato ingresso dell'insetto nel sedime aeroportuale costringerebbe i servizi fitosanitari regionali ad applicare severe misure di contrasto, che avrebbero come conseguenza il rallentamento delle operazioni aeroportuali sia per il trasporto passeggeri che quello merci, con ulteriori danni economici difficilmente quantificabili;
   i servizi fitosanitari delle regioni Piemonte e Lombardia stanno predisponendo misure di lotta al coleottero, il cui importo è quantificabile in qualche milione di euro da qui ai prossimi 3 anni;
   per fronteggiare l'emergenza della Xylella fastidiosa, l'articolo 5 del decreto-legge n. 51 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 91 del 2015, autorizza le aziende agricole, non coperte da polizze assicurative agevolate, a richiedere contributi compensativi a carico del fondo di solidarietà nazionale in agricoltura qualora siano state colpite da infezioni di organismi nocivi ai vegetali, dando priorità di concessione per quelle colpite da organismi legati alla diffusione del batterio Xylella fastidiosa, del cinipide del castagno e della flavescenza dorata. La dotazione del fondo di solidarietà, a tale è scopo, è stata integrata –:
   quali iniziative intenda assumere, anche di carattere finanziario, come, ad esempio, quelle previste per l'emergenza della Xylella fastidiosa, al fine di fronteggiare l'emergenza della Popollia japonica, tenendo in debita considerazione le conseguenti ripercussioni sulle colture, nonché al fine di impedire che il batterio si possa diffondere anche in altre aree del nostro Paese. (5-07956)


   COVA, OLIVERIO, LUCIANO AGOSTINI, CAPOZZOLO, CARRA, CUOMO, DAL MORO, FALCONE, FIORIO, LAVAGNO, MARROCU, MONGIELLO, PALMA, PRINA, ROMANINI, SANI, TARICCO, TERROSI, VENITTELLI e ZANIN. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il settore dell'allevamento dei suini sta vivendo, negli ultimi anni, un periodo di grande difficoltà con continue chiusure di allevamenti;
   secondo i dati Istat, nel primi undici mesi del 2014, il numero di suini macellati è calato del 16,1 per cento, del 15,4 per cento se si considerano solo i suini grassi, ma il calo delle macellazioni è arrivato al 21,6 per cento in termini di peso vivo e al 20,5 per cento in termini di peso morto;
   una simile riduzione della produzione, pari a circa un quinto del totale, non deve passare inosservata, soprattutto in quanto le cause della crisi sono principalmente interne e sono riassumibili in uno scarso coordinamento dell'offerta e in meccanismi di governance della filiera del tutto inefficaci, nella mancata valorizzazione dei tagli di carne fresca e nella difficoltà dell'industria nazionale dei salumi a cogliere pienamente le opportunità che si aprono sui mercati internazionali, soprattutto per i problemi di natura sanitaria che continuano a penalizzare la filiera nazionale;
   in tale difficile contesto si inseriscono le problematiche di funzionamento delle commissioni uniche nazionali del settore suinicolo (CUN suini da macello, CUN tagli di carne suina; CUN grassi; CUN suinetti), che avrebbero lo scopo di monitorare, tutelare e rendere trasparente il mercato dei prodotti suinicoli, attività che non sta dando i risultati attesi;
   in particolare, il processo di definizione dei prezzi si basa, attualmente su un numero di operatori insufficiente e non è supportato da un'attività di rilevazione basata su una sufficiente ampiezza dei volumi trattati;
   il processo di formazione del prezzo, per funzionare, dovrebbe nascere dal dialogo tra il mondo degli allevatori e il resto della filiera; l'innovazione delle commissioni uniche nazionali doveva consistere proprio nell'analisi preventiva dei dati di mercato prima di formulare tendenze e prezzi, ma, ultimamente, i prezzi sono fissati in modo unilaterale da parte degli allevatori e non viene in genere rispettato, soprattutto da parte dei macellatori e dei trasformatori –:
   in considerazione dell'attuale malfunzionamento delle commissioni uniche nazionali, quali iniziative intenda assumere volte ad individuare uno strumento di determinazione del prezzo, basato su dati reali di domanda e offerta da parte del mercato, in grado di quantificare in modo esatto le produzioni di carne suina e le reali richieste, con il supporto della rilevazione dei prezzi su una base consistente di volumi trattati, al fine di evitare la penalizzazione della filiera interprofessionale del suino. (5-07957)


   RUSSO, CARFAGNA e CATANOSO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino è una varietà di pomodoro riconosciuta come prodotto ortofrutticolo italiano a denominazione di origine protetta dal 1996;
   la produzione del pomodoro San Marzano sostiene l'economia di ben 41 comuni delle province di Salerno, Napoli e Avellino;
   in Belgio vengono prodotti e venduti pomodori con l'irregolare denominazione «San Marzano»;
   la tutela del prodotto «San Marzano» rappresenta una battaglia di lungo corso per il nostro Paese, con interessamenti geografici che vanno dagli Stati Uniti fino alla Cina, quest'ultima produttrice dell'ormai nota «pummarola» cinese che viene utilizzata perfino nelle salse anche dall'industria del nord Europa;
   l'Unione europea, attraverso le parole di Phil Hogan, commissario europeo per l'agricoltura e lo sviluppo rurale, in risposta ad un'interrogazione presentata il 17 settembre 2015 dall'europarlamentare Maria Bizzotto, ha sostenuto che il pomodoro San Marzano sia una varietà che può essere coltivata al di fuori dell'aria geografica delimitata e che non sia ad appannaggio dei produttori italiani;
   di seguito le parole del commissario Hogan: «La denominazione “Pomodoro S. Marzano dell'Agro Sarnese-Nocerino” è stata registrata dal regolamento (CE) n. 1263/96 del 1o luglio 1996, modificato nel 2010. Il regolamento (UE) n. 1151/2012 tutela le denominazioni registrate nei casi di imitazione, usurpazione o evocazione o nei confronti di pratiche che potrebbero indurre in errore i consumatori per quanto riguarda la vera origine del prodotto. Tuttavia, la varietà di Pomodoro San Marzano menzionata nella denominazione composta in questione può essere coltivata fuori della zona geografica delimitata e non costituisce pertanto una prerogativa dei produttori italiani in questione. In base alle informazioni di cui dispone, la Commissione non può stabilire se le etichette di pomodori prodotti fuori dall'Italia, commercializzate in Belgio ed etichettate con il termine “San Marzano” costituiscano un'evocazione illecita della denominazione in oggetto o un utilizzo legittimo del nome della varietà in questione. Spetta principalmente alle autorità competenti degli Stati membri rilevare eventuali mancanze in occasione dei controlli effettuati»;
   in altre parole, il pomodoro San Marzano può essere coltivato al di fuori dell'area geografica delimitata e non è appannaggio dei produttori italiani;
   tali affermazioni non possono che creare grave preoccupazione: si tratta di un vero e proprio attacco al made in Italy, nonché all'economia italiana, se si tiene conto che il cibo italiano è raddoppiato all'estero negli ultimi 10 anni e il pomodoro ha fatto registrare un +88 per cento;
   è necessario promuovere l'estensione della denominazione di origine protetta al fresco, ed opporsi a tentativi di dequalificare la dop con proposte di una igp del San Marzano –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato, in particolare presso le competenti sedi comunitarie, affinché sia tutelata la produzione italiana del pomodoro San Marzano, un prodotto da sempre considerato una delle maggiori eccellenze agroalimentari italiane, anche promuovendo l'estensione della denominazione di origine protetta al fresco, e, più in generale, quali iniziative intenda assumere, a livello europeo e internazionale, affinché non vi siano più attacchi continui e diretti alle produzioni agroalimentari made in Italy. (5-07958)

Interrogazione a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la regione Marche con delibera della giunta regionale n. 1425 del 22 dicembre 2014, «Istituzione regime di aiuto in de minimis agricolo», ha definito criteri e modalità per la concessione di aiuti alle aziende agricole nel territorio regionale, stabilendo che sul regime « de minimis», il quale non può superare l'ammontare di quindicimila euro in tre anni per azienda, siano calcolati anche gli indennizzi per danni fauna selvatica;
   alcune regioni d'Italia, come ad esempio il Piemonte, hanno adottato, ed altre potrebbero farlo, misure simili alla sopraddetta delibera, con gravi conseguenze per le imprese agro-zootecniche che, pur subendo danneggiamenti da specie selvatiche, rischierebbero di non aver accesso o di veder sensibilmente ridotti i relativi indennizzi, con il rischio di riaprire superate conflittualità tra le attività agro-silvo-pastorali e la tutela di specie protette, come sta accadendo per il lupo;
   insieme alla citata deliberazione la regione Marche ha garantito una sanatoria fino al 31 dicembre 2014 per quanto riguarda gli indennizzi da fauna selvatica riconosciuti fino a quella data;
   dal 1o gennaio 2015 l'amministrazione regionale marchigiana non sta più erogando alcun risarcimento, così come il parco nazionale dei Monti Sibillini e quello del Gran Sasso Monti della Laga, per la mancata presentazione della domanda di indennizzo da parte delle aziende agro-zootecniche, perché le modalità per il calcolo del rispetto del regime de minimis sono difficilmente applicabili, anche a causa della mancata funzionalità del registro nazionale degli aiuti di Stato presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   è evidente che considerare i danni da fauna selvatica come aiuti di Stato è incomprensibile, dannoso e autolesionistico per l'economia delle aziende agro-zootecniche e per la stessa buona gestione e controllo delle specie faunistiche selvatiche e della tutela di quelle protette;
   va tenuto conto di quanto segnalato in una nota ufficiale da Coldiretti sulla disciplina generale dei risarcimenti per danni da fauna selvatica: «la previsione del regolamento (CE) della Commissione del 18 dicembre 2013, n. 1408 relativo all'applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea che regolamenta gli aiuti de minimis nel settore agricolo non sembra suscettibile di applicazione al caso dei danni da fauna selvatica perché fattispecie diversa da quelle identificate come aiuti di stato. Si tratta di erogazioni che non supportano alcuna attività economica in modo che possa verificarsi un'alterazione della libera concorrenza, costituendo un mero reintegro del reddito agricolo a causa di un danno subito» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della questione e quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intenda assumere per chiarire la materia, stante il fatto che, secondo quanto sopraddetto, il regime « de minimis» non va applicato agli indennizzi per danni da fauna selvatica. (4-12306)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della salute, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il provvedimento del g.i.p. del tribunale di Roma del 20 ottobre 2015 ha accertato la sussistenza di una situazione di grave irregolarità nella gestione dell'ospedale Israelitico di Roma e ha disposto misure cautelari personali di amministratori e dipendenti di quest'ultimo, nonché il sequestro preventivo di alcune somme dovute dalla regione Lazio all'ospedale;
   in data 9 novembre 2015 il Consiglio della comunità ebraica ha ritenuto opportuno, ai sensi dell'articolo 7, comma 7, dello statuto dell'Ente, nominare il professor Alfonso Celotto quale commissario straordinario dell'ospedale Israelitico, il quale, al fine di dimostrare l'assoluta cesura rispetto alla precedente gestione, come primo atto, nelle more del procedimento penale, ha disposto, in via cautelare, l'immediata sospensione dal servizio di tutti i dipendenti implicati nelle vicende penali connesse alle presunte irregolarità nei confronti del servizio sanitario regionale;
   l'articolo 3 del decreto-legge n. 179 del 2015 (oggi, articolo 1, comma 704, della legge di stabilità 2016, n. 208 del 2015), ha esteso l'applicazione dell'articolo 32 del decreto-legge n. 90 del 2014 alle strutture sanitarie che esercitano l'attività per conto del servizio sanitario nazionale, ai sensi del quale, in presenza di rilevate situazioni anomale e comunque sintomatiche di condotte illecite riconducibili all'impresa, il prefetto provvede alla nomina di uno o più amministratori, in numero non superiore a tre, in possesso dei dovuti requisiti di professionalità e onorabilità;
   il suddetto decreto-legge è entrato in vigore in data 13 novembre 2015 e sin dal 14 novembre 2015 si era in presenza di tutte le condizioni perché, attraverso la nomina dell'amministratore prefettizio, si potesse mettere in grado l'ospedale israelitico di riprendere immediatamente la propria attività in accreditamento presso il servizio sanitario regionale;
   in data 2 dicembre 2015, il prefetto di Roma nominava amministratore il dottor Massimo Russo, il quale tuttavia, in quanto magistrato ordinario esercente la funzione giudiziaria presso il tribunale di sorveglianza di Napoli, necessitava del nulla-osta del Consiglio superiore della magistratura per effettivamente insediarsi. Il plenum del Consiglio superiore della magistratura, inizialmente fissato per il 17 dicembre 2015, veniva rinviato dapprima al 13 gennaio 2016, quindi al 27 gennaio 2016, e il dottor Russo, lo stesso giorno della votazione, dopo aver ricevuto parere negativo dalla III Commissione, revocava il proprio assenso all'esercizio della funzione di amministratore dell'ospedale ai sensi del decreto-legge n. 90 del 2014, rinunciando definitivamente all'incarico. In altri termini, per ben due mesi, a causa della nomina di un amministratore che non poteva insediarsi, l'ospedale non ha potuto adempiere ad alcuna pratica in vista di un ripristino dell'accreditamento;
   in data 28 gennaio 2016, il prefetto nominava quale nuovo amministratore dell'ospedale il dottor Narciso Mostarda, dotato dei poteri necessari «al fine di portare a termine l'accordo contrattuale stipulato con la Regione o la ASL di competenza, di cui all'articolo 8-quinquies del d.lgs. n. 502/1992, regolante la prestazione di servizi sanitari per conto e a carico del SSN», il quale si insediava in data 4 febbraio 2016;
   risulta da notizie di stampa che a tutt'oggi l'ospedale non sia ancora accreditato al servizio sanitario nazionale e non abbia ricevuto i pagamenti dei crediti vantati dalla regione Lazio, malgrado la presenza di un «amministratore prefettizio», per cui si avvicina allo stato di insolvenza. Gli stipendi di febbraio degli oltre 1000 dipendenti – diretti e indiretti – sono stati pagati solo il 1o marzo, e nella misura del 60 per cento. Inoltre, la struttura ha debiti con i fornitori per diversi milioni di euro –:
   quali siano le ragioni per cui, ad oggi, il modello di cui all'articolo 32 del decreto-legge n. 90 del 2014 non abbia ancora prodotto il risultato di garantire la continuità e l'operatività dell'ospedale israelitico, primo caso di applicazione della norma a strutture sanitarie;
   quali interventi intendano adottare per consentire la sopravvivenza di una struttura che, nonostante dal momento dell'insediamento della gestione commissariale abbia sempre adempiuto, tempestivamente e nella massima trasparenza, a tutte le prescrizioni legislative, a causa di inspiegabili rallentamenti burocratici oggi si trova in una situazione di insolvenza tale da potersi prevedere una chiusura nei prossimi giorni.
(2-01297) «Brunetta».

Interrogazioni a risposta immediata:


   GIAMMANCO e OCCHIUTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le scellerate ed inadeguate decisioni intraprese dalla Regione siciliana incentivano ancora oggi la mobilità passiva dei pazienti siciliani troppo spesso costretti a rivolgersi alle strutture ospedaliere del nord del Paese;
   la maggior parte di essi necessitano di cure legate a delicatissime patologie congenite cardiache, sia in età pediatrica che in età adulta dopo i 18 anni, questi ultimi meglio conosciuti con la sigla internazionale «Guch»;
   grazie ad uno studio Eurocat, effettuato nel quinquennio 2000-2005, si sa che in Sicilia nascono circa 6,3 bambini su mille affetti da cardiopatie congenite non cromosomiche, un numero che posiziona la Sicilia all'ottavo posto per diffusione del disturbo fra tutte le regioni e i Paesi censiti in tutta Europa;
   in Sicilia ogni anno nascono circa 500 bambini con cardiopatie congenite di diversa entità, dalla più lieve alla più grave;
   in Sicilia da sempre si lamenta l'assenza di una struttura adeguata per i cardiopatici congeniti, in particolare si fa riferimento al fatto che non venga garantita la cosiddetta assistenza di terzo livello ovvero quella rivolta agli adulti dai 18 anni in poi;
   a partire dal 2010 sono stati pubblicati una serie di atti ufficiali utili alla riorganizzazione dell'assistenza cardiologica pediatrica siciliana, nello specifico in essi è stata prevista la realizzazione del centro di III livello a Palermo presso la costruenda struttura di assistenza pediatrica ora riconosciuta con il nome IS.M.E.P. (Istituto mediterraneo di eccellenza pediatrica);
   nel frattempo la cardiochirurgia pediatrica è stata localizzata temporaneamente presso il presidio ospedaliero San Vincenzo di Taormina, affidando la gestione delle attività cliniche in convenzione all'ospedale pediatrico «Bambino Gesù» di Roma, in attesa che le attività venissero appunto poi ritrasferite presso l'IS.M.E.P. dove i lavori di ristrutturazione e adeguamento sono bloccati a causa del fallimento della ditta appaltatrice;
   la convenzione tra il Bambino Gesù di Roma e il centro di cardiochirurgia pediatrica di Taormina era stata stipulata per limitare la mobilità extraregionale di pazienti siciliani presso le strutture nazionali;
   i risparmi derivanti da tale convenzione sono risultati essere esigui, considerando che la Sicilia ha speso oltre 220 milioni di euro all'anno per i rimborsi alle aziende sanitarie di altre regioni dove vanno a farsi curare i siciliani;
   la convenzione tra il Bambino Gesù di Roma e il centro di cardiochirurgia pediatrica di Taormina ha registrato un costo pari a circa 50 milioni di euro;
   il presidio ospedaliero San Vincenzo di Taormina è un ospedale territoriale privo di assistenza pediatrica specialistica; infatti, in poco tempo ha registrato tanti episodi di assistenza inadeguata o con problematiche di tipo organizzativo e gestionale;
   il comune di Taormina è difficilmente raggiungibile da molte altre zone della Sicilia, basti pensare all'esempio di Mazara del Vallo, città dalla quale per raggiungere Taormina si è costretti ad affrontare un viaggio di circa 800 chilometri (andata e ritorno);
   la pista di elisoccorso di Taormina non è abilitata all'atterraggio notturno, costringendo ad una deviazione su Catania o Messina per poi trasportare il paziente in ambulanza fino a Taormina con una significativa dilatazione delle tempistiche di soccorso;
   si sono registrati insufficienti relazioni tra la nuova gestione del centro cardio-chirurgico di Taormina e le altre realtà assistenziali cardiologiche pediatriche siciliane;
   la chiusura del reparto di Palermo e l'indisponibilità del reparto di Taormina, che solo negli ultimi mesi ha iniziato ad occuparsi degli adulti, hanno di fatto azzerato l'assistenza ai pazienti di III livello, ovvero gli adulti con cardiopatia congenita (i cosiddetti pazienti «Guch»), costringendo la maggior parte a recarsi fuori dalla Sicilia, soprattutto nei casi d'interventi di cateterismo cardiaco o di intervento cardiochirurgico;
   allo stato dei fatti è più opportuno spostare a Palermo l'attività cardiochirurgica pediatrica, in quanto l'area metropolitana di Palermo è la zona della Sicilia dove, statisticamente, si registra il maggior numero di parti all'anno (circa 14.000);
   considerando i dati epidemiologici, l'organizzazione sanitaria dei vari centri siciliani e le linee programmatiche, la sede più adatta per la realizzazione di un'assistenza di terzo livello di cardiologia e cardiochirurgia pediatrica è la città di Palermo;
   sarebbe opportuno affidare all'I.S.M.E.T.T. (Istituto mediterraneo per i trapianti e terapie ad alta specializzazione di Palermo) le importanti attività di cardiochirurgia pediatrica e l'assistenza di III livello agli adulti con cardiopatia congenita;
   l'ISMETT, per caratteristiche organizzative e per i numerosi risultati, comprovati ed apprezzati dalle più importanti organizzazioni scientifiche mondiali, può garantire un rapido inizio delle attività ed una programmazione che non resti solo sulla carta;
   l'ISMETT, costruito e reso operativo nel tempo record di poco più di tre anni, è già sede di un dipartimento di cardiochirurgia e vedrà ampliati i suoi spazi, in partnership con l'ospedale civico di Palermo, a partire dai prossimi mesi in funzione del progetto «Centro Cuore»;
   l'ISMETT anche nell'edizione 2015 del programma nazionale esiti (pne), realizzato da Agenas fin dal 2010 per conto del Ministero della salute, ha ottenuto un risultato di eccellenza, risultando ai vertici delle valutazioni fatte dall'Agenzia nazionale per quanto riguarda l'indicatore che valuta la mortalità per le principali procedure chirurgiche, in particolari quelle di tipo cardiochirurgico;
   l'ISMETT nel caso di sostituzione di valvole cardiache registra una mortalità a 30 giorni pari allo 0,93 per cento contro una media nazionale del 2,84 per cento;
   presso l'ISMETT potrebbero anche essere eseguiti trapianti cardiaci in età pediatrica attualmente non eseguibili in nessun ospedale siciliano, con conseguente investimento in Sicilia delle risorse attualmente spese in altre regioni italiane;
   dopo 6 anni si può constatare che la scelta di trasferire la cardiochirurgia pediatrica, seppur temporaneamente presso il presidio ospedaliero «San Vincenzo» di Taormina, la convenzione stipulata con l'ospedale «Bambino Gesù» ed il futuro trasferimento dell'attività all'IS.M.E.P non hanno soddisfatto le aspettative dei pazienti siciliani, che continuano ad optare per una mobilità presso altre strutture ospedaliere italiane e estere –:
   se, nell'ambito dell'attività di monitoraggio sull'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, sia stata esaminata la situazione della rete ospedaliera deputata alla cura delle patologie cardiache e quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere al fine di garantire, a tutela dei livelli essenziali delle prestazioni, un'adeguata assistenza alle migliaia di pazienti siciliani afflitti da patologie congenite cardiache, anche attraverso il sostegno ad una nuova organizzazione sanitaria dei diversi centri siciliani, che, in particolare, affidi all'ISMETT di Palermo la realizzazione di un'assistenza di terzo livello di cardiologia e cardiochirurgia pediatrica. (3-02067)


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la riduzione delle nascite in Italia sta diventando un dato preoccupante anche nella prospettiva dello sviluppo del Paese. I dati recenti mostrando un trend negativo che richiederebbe un urgente cambio di rotta nelle gestione delle politiche per a natalità e contestualmente di politiche per la famiglia;
   nel 2014 sono stati iscritti in anagrafe per nascita 514.308 bambini, quasi 20 mila in meno rispetto al 2012. Il dato conferma che è in atto una nuova fase di riduzione della natalità: oltre 62 mila nascite in meno a partire dal 2008. Ancora più marcata la diminuzione delle nascite da entrambi i genitori italiani (- 70 mila nell'ultimo quinquennio). I nati all'interno del matrimonio scendono per la prima volta sotto quota 400 mila: nel 2013 sono appena 380.863, quasi 83 mila in meno in 5 anni. I nati da genitori non coniugatisi mantengono intorno a 133 mila; tuttavia, a causa della forte diminuzione dei nati da coppie coniugate il loro peso relativo sale al 25,9 per cento;
   in lieve diminuzione per la prima volta anche i nati con almeno un genitore straniero (3.239 in meno rispetto al 2012), che ammontano a poco più di 104 mila nel 2013, pari al 20,2 per cento del totale dei nati a livello medio nazionale (il 28 per cento nel Nord e solo l'8 per cento nel Mezzogiorno). Diminuiscono in particolare i nati con entrambi i genitori stranieri, scesi a 77.705 unità nel 2013, 2.189 in meno rispetto al 2012. In leggera flessione anche la loro quota sul totale delle nascite, pari al 15 per cento nel 2013;
   abbastanza complesso anche il panorama sul piano delle adozioni: trentamila famiglie in attesa e 35 mila minori senza famiglia. Questi sono i dati italiani, per non parlare dell’iter adottivo. Nel nostro Paese non è facile: la burocrazia è complessa e manca un vero e proprio coordinamento generale;
   per contro, nonostante la legge n. 40 del 2004 escluda esplicitamente il ricorso alla pratica dell'utero in affitto, questo si sta diffondendo in modo evidente sia tra le coppie omosessuali che tra le coppie eterosessuali e a parere dell'interrogante pone problemi di rilevante interesse almeno sotto tre profili:
    a) è attualmente illegale, a norma della legge n. 40 del 2004, proprio per le sue implicazioni di strumentalizzazione del corpo femminile e dell'allontanamento precoce del bambino dalla madre;
    b) aggira le leggi sull'adozione che prevedono una valutazione molto attenta della coppia adottante e del nucleo familiare in cui il bambino sarà inserito;
    c) crea, nel caso delle coppie omosessuali, situazioni in cui l'omogenitorialità priva il bambino dell'esperienza naturale di avere un padre e una madre; cosa tanto più discutibile se si immagina una coppia omosessuale maschile, in cui tutto l'accudimento iniziale del bambino andrà delegato all'esterno della vita di coppia –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per rendere operativo il divieto del ricorso all'utero in affitto, in rispetto della legge n. 40 del 2004, e nello stesso tempo sostenere la maternità nei nuclei familiari di persone stabilmente sposate con incentivi concreti come previsto dal piano nazionale fertilità. (3-02068)


   GIGLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nella maternità surrogata si chiede a una donna di portare in grembo un bambino, per poi darlo via appena nato. Le si chiede anche di mutare il suo comportamento e di rischiare di diventare poi sterile; di accettare le eventuali patologie legate allo stato di gravidanza, potenzialmente anche molto pericolose e talora mortali. La donna deve mettere a disposizione il suo metabolismo per il desiderio di genitorialità di altre persone, dalle quali è usata come un contenitore e un'incubatrice;
   a tutto questo si aggiungono una serie di scandali che hanno segnato la storia della maternità surrogata fin dai primi anni del suo impiego commerciale alla fine degli anni ’70, trovando larga eco sugli organi di stampa;
   il primo risale addirittura al 1986, quando dopo la nascita di «Baby M», la madre surrogata cambiò idea e fece di tutto per tenersi la sua bambina, fino a che, in lacrime, essa non le fu tolta dall'autorità giudiziaria;
   nel 2014 è venuto alla luce il caso di un miliardario giapponese che, per ragioni ancora sconosciute, ha comprato la disponibilità di numerose donne delle bidonville thailandesi, mettendo al mondo grazie ad esse ben 16 bambini;
   di recente si è registrato il caso della madre surrogata americana morta per complicazioni legate alla gravidanza;
   grande scalpore ha fatto il caso del bambino venuto alla luce in Thailandia su commissione di una coppia statunitense che lo rifiutò dopo aver constatato che era affetto da sindrome di Down. Il bambino fu accolto nonostante tutto dalla poverissima madre, incapace di sopprimere la creatura che aveva portato in grembo, malgrado non ne fosse la madre biologica;
   sono state oggetto di inchieste giornalistiche anche alcune vere e proprie industrie asiatiche per la produzione di bambini, all'interno delle quali le donne, che per povertà avevano sottoscritto i contratti per affittare il loro utero, vivevano in un regime di tipo quasi reclusorio, giustificato dalla necessità di controlli sanitari, che includevano anche la soluzione abortiva in house in caso di prodotto difettoso;
   nell'insieme ne esce un quadro terrificante di sfruttamento e abuso;
   non stupisce che il settimanale satirico Charlie Hebdo, in una vignetta di successo, abbia descritto graficamente la maternità surrogata con l'immagine di due genitori che tenevano al laccio una schiava in evidente stato di gravidanza;
   nella vignetta sopra citata i due genitori erano evidentemente dello stesso sesso, ma la maternità surrogata è largamente diffusa purtroppo anche tra le coppie eterosessuali;
   nella maternità surrogata la vita umana è ridotta a oggetto di consumo;
   i sostenitori della pratica ne rivendicano peraltro il possibile uso altruistico: almeno nei casi in cui non vi è transazione di denaro non vi sarebbe sfruttamento, ma piuttosto generosità per un amico o un congiunto;
   purtroppo, come rilevato da una recente inchiesta ufficiale del Parlamento svedese, non vi sono prove che la legalizzazione della maternità surrogata «altruistica» legalising porterebbe a una chiara separazione da quella commerciale;
   piuttosto, l'esperienza internazionale dimostra il contrario. Sono proprio i cittadini di Stati in cui la maternità surrogata è ammessa e diffusa, per esempio, a costituire i maggiori acquirenti stranieri in India e Nepal, per evidenti ragioni di convenienza economica. L'inchiesta svedese, peraltro, mostra come forme di pagamento in nero si verifichino anche nello stesso Regno Unito;
   del resto ci si chiede, perché mai, se non per denaro, una donna dovrebbe sottoporsi a tutto lo stress e i rischi che necessariamente comporta la gravidanza;
   in realtà, nella cosiddetta gestazione altruistica, la donna va incontro alle stesse cose della maternità surrogata a fini commerciali, ricevendone in cambio solo un'aura di benemerenza morale, un compenso troppo basso e che può risultare attrattivo solo in quelle società in cui le donne sono apprezzate esclusivamente per la loro capacità di sacrificio e non già per i loro successi;
   in Italia la maternità surrogata è vietata dalla legge n. 40 del 2004 (articolo 12), tale divieto è rimasto in piedi malgrado tutte le modifiche apportate al testo originario della legge da interventi a giudizio dell'interrogante demolitivi della magistratura ordinaria e costituzionale;
   fortunatamente l'opposizione alla maternità surrogata sta crescendo in tutta Europa. Di recente il Parlamento europeo ne ha chiesto la messa al bando e due settimane fa la commissione d'inchiesta governativa svedese ha chiesto al Parlamento non solo di bandire la pratica dell'utero in affitto in patria, ma anche di adottare misure che impediscano ai cittadini svedesi di servirsi di essa in altri Paesi;
   anche dal punto di vista culturale l'opposizione a questa pratica di sfruttamento del corpo femminile sta crescendo;
   inizialmente diviso su questo tema, il movimento femminista lo sta ora mettendo in cima alla sua agenda;
   all'inizio di febbraio 2016 femministe e attivisti per i diritti umani provenienti da tutto il mondo si sono riuniti a Parigi, firmando solennemente una carta in cui si chiede la messa al bando internazionale della maternità surrogata;
   anche nell'ambito della cultura marxista stanno levandosi voci significative contro l'affitto dell'utero femminile, tra esse quelle di Mario Tronti, Giuseppe Vacca, Marco Rizzo, Diego Fusaro;
   malgrado ogni tentativo di far passare un messaggio da famiglia felice, nel quale si sono distinti personaggio come Elton John, resta giustamente nell'opinione pubblica l'idea odiosa di un'industria in cui sia possibile vendere e comprare bambini, di una società in cui i bambini siano prodotti dalle donne in difficoltà, soprattutto dei Paesi poveri, per soddisfare i desideri delle società più agiate;
   in un mondo occidentale in cui, anche per le difficoltà economiche che gravano sulle famiglie, è sempre più difficile fare figli, la madre perde il diritto anche ad essere chiamata mamma, costretta a sottoporsi totalmente alle esigenze del mercato, mentre, per chi può permetterselo, la «produzione» dei figli è appaltata in outsourcing, secondo criteri di convenienza industriale;
   resta tuttavia la sorpresa ed il disgusto nel constatare con quale facilità sia ignorata la Convenzione Onu sui diritti del bambino: ufficialmente nessun Paese permette la vendita di esseri umani, ma sembra che a nessuno importi della vendita di bambini, ammantata anzi di un alone di modernità e bellezza grazie al fatto che a servirsene sono soprattutto personaggi famosi, immortalati sui rotocalchi e nei telegiornali insieme ai neonati sottratti alle loro madri;
   è questo il caso anche di parlamentari italiani e di noti leader di formazioni politiche;
   India e Thailandia stanno portando avanti importanti azioni di contenimento di questo turpe commercio e non vogliono più che le loro donne vengano messe a lavorare in condizioni di sfruttamento nell'industria dei bambini;
   è tempo dunque che anche i Paesi occidentali, dai quali partono i ricchi compratori, si assumano le loro responsabilità ponendo in atto iniziative e leggi per scoraggiare la domanda;
   anche l'Italia è chiamata a fare la sua parte, essendo moralmente inaccettabile che il divieto di questa pratica possa essere aggirato grazie all'impossibilità di sanzionarlo se la maternità surrogata è eseguita all'estero;
   sta accadendo in questo campo quanto accade già per la vendita di gameti per la fecondazione eterologa – un'altra modalità di commercializzazione del corpo umano e di sfruttamento del corpo delle donne – per la quale il divieto previsto dalla legge italiana è aggirato da alcune regioni con l'acquisto da altri Paesi, nei quali stranamente – a differenza dell'Italia – le donatrici sembrano abbondare –:
   quale iniziative, anche di carattere normativo, il Governo intenda porre in atto con urgenza per far sì che il divieto previsto dalla legge n. 40 del 2004 possa essere perseguito anche se la maternità surrogata sia realizzata all'estero. (3-02069)


   BARONI, GRILLO, DI VITA, LOREFICE, COLONNESE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, TONINELLI, MANLIO DI STEFANO, COMINARDI, PESCO, SORIAL, CARINELLI, DE ROSA, TRIPIEDI, CASO e PETRAROLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di ottobre 2015 veniva arrestato Mario Mantovani, vicepresidente ed ex assessore alla salute della regione Lombardia;
   a distanza di quattro mesi viene arrestato Fabio Rizzi, medico, consigliere regionale lombardo della Lega Nord, presidente della III Commissione permanente – Sanità e politiche sociali – della regione Lombardia ed estensore della recente legge di riforma della sanità regionale;
   Fabio Rizzi, con altre ventuno persone indagate per reati gravissimi, è arrestato per associazione a delinquere, turbativa d'asta ed altre imputazioni; sono coinvolte società private accreditate con il sistema sanitario nazionale, con il coinvolgimento di ramificazioni estere, tra le quali Svizzera, Panama e Dubai;
   l'indagine riguarda un diffuso sistema di corruzione per la gestione di servizi odontoiatrici e vede al centro del sodalizio incriminato il gruppo imprenditoriale Odonto Quality, l'imprenditrice Paola Canegrati, il Rizzi e l'odontoiatra Mario Valentino Longo, da cui il nome «Smile»;
   un sistema corruttivo, che con il passare dei giorni, disvela anche intrecci internazionali. Il 26 febbraio 2016 è stato arrestato a Miami Stefano Lorusso, un agente immobiliare residente negli Stati Uniti, che risulta essere socio di Rizzi e Longo dell'americana More Than Lux Corp e sembrerebbe coinvolta finanche la gestione di un ospedale pediatrico in Brasile;
    ad avviso degli interroganti, il sistema della sanità lombarda, una regione non soggetta a piani di rientro, rivela la sua vera essenza: un sistema corrotto; sembrerebbe, altresì, doversi rimettere in discussione il «modello Lombardia»: «sono state complessivamente 141 le denunce arrivate sul tavolo della Corte dei conti della Lombardia per casi di malasanità. Un numero relativo all'esercizio finanziario 2014, che risulta quintuplicato rispetto a cinque anni fa»; così ha sottolineato il procuratore regionale della Corte dei conti, Antonio Caruso, nel corso della requisitoria pronunciata in occasione dell'udienza pubblica di parificazione del bilancio regionale 2014. Malpratices che secondo il magistrato contabile «inducono a ritenere prioritaria una sempre più penetrante azione di controllo, principalmente rivolta, oltre che all'efficienza delle strutture e all'efficacia degli interventi, anche alla trasparenza e all'imparzialità dell'azione amministrativa in ambito sanitario»;
   la spesa sanitaria, ha evidenziato tra l'altro Caruso, ha «assorbito» nel 2014 circa l'80,4 per cento delle spese correnti del bilancio regionale. È Finlombarda, società interamente controllata dalla regione Lombardia, a pagare i fornitori del sistema sanitario regionale per conto delle aziende ospedaliere lombarde. «Nel corso dell'esercizio 2014 – ha detto a questo proposito il magistrato – regione Lombardia ha provveduto ad alimentare il fondo gestito da Finlombarda per un importo pari a 3 miliardi e 120 milioni di euro. I pagamenti ai fornitori effettuati tramite il fondo sono stati pari a 3 miliardi e 131 milioni di euro, in costante aumento rispetto agli anni precedenti»;
   d'altronde, si legge su Il Fatto Quotidiano del 19 febbraio 2016, che «La commercialista Giovanna Ceribelli nel 2013 segnala all'autorità giudiziaria le “anomalie” sugli appalti all'ospedale di Desio-Vimercate dando avvio all'inchiesta sulla tangentopoli sanitaria. Insieme a un altro membro del collegio di vigilanza indagò anche dall'interno dell'azienda sanitaria, chiedendo poi al collegio di approvare una relazione-denuncia da trasmettere a Procura e Corte dei Conti. A gennaio del 2015 il presidente, indicato dal Ministero dell'economia e delle finanze, trasmette le relazioni senza sottoscriverle ma come verbali individuali. E così quello indicato dal Ministero della salute (...) ha scoperchiato con le sue mani il pentolone delle mazzette di “lady sorriso” ai politici di regione Lombardia. È un dato di cronaca, ormai, che fu una sua segnalazione a dare impulso alla “comunicazione di notizia di reato” del 17 dicembre 2013 che – dopo due anni di indagini – consentirà alla procura di Monza di arrestare 21 persone stroncando la “tangentopoli sanitaria”»;
   d'altro canto, qualche mese fa era stato annunciato un protocollo d'intesa tra Anac, Agenas e Ministero della salute, finalizzato all'implementazione di «modelli integrati di controllo interno per la gestione dei rischi collegati al governo delle aziende sanitarie, per garantire l'adozione di misure idonee a realizzare processi aziendali corretti, efficaci ed efficienti, anche con specifico riferimento al raggiungimento degli obiettivi di trasparenza e legalità e attraverso il recupero dei valori di integrità e di etica professionale ed aziendale»; a quanto pare, si è ben lungi dalla realizzazione degli intenti;
   la rete corruttiva emersa con l'indagine «Smile» nella sanità lombarda, dalle risultanze investigative, risulta intenzionata ad un'espansione di business malavitoso anche in altre regioni italiane, tra cui il Lazio –:
   se non intenda adottare ogni iniziativa di competenza in relazione ai fatti richiamati in premessa e quali strumenti di controllo abbia attivato al fine di arginare il fenomeno e scongiurarne la ripetizione a livello nazionale. (3-02070)

Interrogazione a risposta orale:


   VEZZALI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da organi di stampa si apprende che nelle Marche sono stati segnalati 4 nuovi casi di listeriosi, precisamente nella provincia di Macerata e di Ancona su soggetti di età compresa fra 52 e 80 anni affetti da patologie precedenti o immunodepresse;
   la listeria è un batterio molto diffuso nell'ambiente, ubiquitario e opportunista, tollerato entro limiti fissati dalle norme europee, anche negli alimenti; in condizioni normali l'infezione si cura con un antibiotico, mentre può rappresentare un rischio per persone debilitate o immunodepresse;
   l'agenzia sanitaria regionale, i dipartimenti di prevenzione dell'ASUR e gli Istituti zooprofilattici sperimentali di Umbria, Marche, Abruzzo e Molise stanno cercando le cause dei 17 casi di listeriosi umana registrati nel 2015 (8 casi segnalati nel 2014) nelle province di Pesaro Urbino, Ancona e Macerata (fra i quali si segnalano due decessi e un ricovero in rianimazione);
   gli accertamenti condotti in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità e il Ministero della salute hanno consentito di identificare lo specifico ceppo di listeria dei casi trattati dalle autorità sanitarie;
   il medesimo ceppo è riscontrato in un alimento a base di carne, una «coppa di testa» la cui produzione e commercializzazione è stata bloccata il 2 febbraio 2016;
   la regione Marche fa sapere che a causa dei lunghi tempi di incubazione della forma sistemica di malattia da 70 a 90 giorni e della complessità dell'identificazione dell'origine delle contaminazioni ambientali e alimentari, è possibile che, nonostante le misure già disposte, si verifichino altri casi;
   peraltro va detto che non c’è connessione fra il ceppo individuato nel salumificio della provincia di Ancona in cui è stata sospesa l'attività (e che ha già ritirato dalla rete di vendita tutti i prodotti) perché la data del lotto contaminato è posteriore alla data di insorgenza dei sintomi in un paziente;
   secondo quanto si legge, il batterio se entra in un'azienda alimentare può riuscire a sopravvivere per anni;
   la maggior parte dei casi di infezione avviene a seguito del consumo di alimenti contaminati, ma sono stati riferiti rari casi di trasmissione nosocomiale (in ospedale);
   la patologia colpisce soprattutto gli anziani, le gestanti, i neonati e gli adulti con sistema immunitario depresso; tuttavia, non è escluso che possano essere colpiti anche pazienti che non presentano questi fattori di rischio; in gravidanza questa infezione è particolarmente subdola, perché le gestanti avvertono sintomi, lievi, di tipo influenzale –:
   se non ritenga il numero dei casi registrati di qualche evidenza scientifica e tale da far pensare al diffondersi dell'infezione, o se il problema sia ancora riconducibile a un evento raro;
   se non ritenga necessario pubblicare un vademecum su come riconoscere i sintomi di questa infezione;
   se non ritenga di informare la popolazione almeno quella più vulnerabile (le gestanti hanno un rischio di contagio 13 volte superiore) attraverso i medici di base e le strutture sanitarie su come trattare gli alimenti prima di ingerirli e sulle precauzioni da prendere per evitare la listeria, visto che il batterio sopravvive in alimenti cotti (carne, formaggi molli, pesce) ma ci si può infettare anche con ortaggi e frutta;
   se non ritenga necessario incrementare i controlli nelle mense scolastiche e nelle strutture sociosanitarie per anziani, visto che, da quanto si sa, non c’è connessione diretta fra il batterio riscontrato nel salumificio e almeno uno dei casi trattati e ciò potrebbe significare che il pericolo non è scongiurato. (3-02063)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, NICCHI e GREGORI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal maggio 2015 sono stati riscontrati 17 casi umani di «listeriosi» (di cui 5 nel 2016) nelle province di Pesaro Urbino, Ancona e Macerata, contro un numero di 8 rilevati nell'anno 2014;
   due anziani di 77 e 78 anni affetti da patologie croniche sono deceduti, nel mese di agosto nelle province di Ancona e Macerata, dopo aver contratto un'infezione da Listeria monocytogenes;
   il 2 febbraio 2016, sono state esperite da parte dei servizi dei dipartimenti di prevenzione dell'ASUR Marche indagini epidemiologiche e attività di campionamento di alimenti, che hanno consentito di identificare lo stesso ceppo di Listeria monocytogenes in un campione di alimento a base di carne suina (coppa di testa) prodotto da un piccolo stabilimento della provincia di Ancona, il salumificio Monsano srl;
   sulla questione una nota del Ministero della salute ha dato conto della precauzionale sospensione delle attività produttive dello stabilimento e della vendita di tutte le tipologie alimentari da questo prodotte, da parte delle competenti autorità della regione Marche, avvisando i consumatori di astenersi dal consumo dei prodotti della ditta Salumificio Monsano srl di Monsano;
   successivamente la regione Marche ha diffuso una nota con la quale sottolineava che i due decessi registrati nei mesi agosto 2015, in provincia di Macerata e Ancona, «non sono direttamente collegati al consumo dell'alimento contaminato che è stato identificato dalle autorità sanitarie nel gennaio 2016» (Il Corriere Adriatico, 5 febbraio 2016);
   l'incremento di casi di listeriosi osservato a partire dal 2015 è da imputare — secondo una nota diffusa dalla regione Marche il 28 febbraio 2016 — prevalentemente ad un unico ceppo di Listeria, identificato con metodiche molecolari come «pulsotipo cluster»;
   nella nota stampa della regione Marche, ultima citata, viene inoltre comunicato che «In data 24 febbraio 2016 il Laboratorio Nazionale di Referenza per Listeria monocytogenes (l'Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell'Abruzzo e del Molise) ha concluso la prima parte delle analisi sui campioni ambientali e prodotti alimentari prelevati il 3 febbraio 2016 presso lo stabilimento “Salumificio Monsano srl”, confermando la presenza del ceppo di Listeria monocytogenes, caratterizzato da un medesimo profilo genetico (tramite metodica PGFE e sequenziamento totale del genoma batterico) di quello responsabile di alcuni casi umani». Mentre le analisi sui campioni di alimenti e quelle ambientali relative ad altri stabilimenti sono tutt'ora in corso. La nota ha avvertito inoltre che «a causa dei lunghi tempi di incubazione della forma sistemica di malattia e della complessità nella completa identificazione dell'origine delle contaminazioni ambientali ed alimentari è possibile che, nonostante le misure già disposte, si verifichino altri casi» –:
   se il Ministro interrogato non intenda adottare ulteriori iniziative di carattere preventivo e/o informativo, al fine di contenere la diffusione del batterio Listeria monocytogenes nelle Marche;
   quali informazioni il Ministro interrogato intenda fornire, anche al fine di fare dettagliatamente chiarezza sullo stato della diffusione delle infezioni da listeria e della efficienza dei meccanismi di monitoraggio. (5-07949)

Interrogazione a risposta scritta:


   ATTAGUILE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel 2016 appena iniziato non nasceranno più bambini a Petralia Sottana, Santo Stefano di Quisquina, Lipari e Mussomeli. Come annunciato nelle settimane scorse, hanno chiuso i battenti i punti nascita con meno di 500 parti ritenuti al di sotto degli standard di sicurezza. Il Ministero non ha concesso la deroga che aveva chiesto l'assessore Baldo Gucciardi. Solo i reparti di Licata e Bronte sono stati salvati in extremis dal Ministro interrogato. Un'accelerazione annunciata subito dopo il caso Nicole, la neonata morta nella clinica Gibiino di Catania, mentre si cercava un posto in rianimazione, e rimessa in discussione dal nuovo assessore che aveva provato a rivedere la rete varata dal suo predecessore;
   con una comunicazione del 31 dicembre 2015 il Ministero ha stabilito la chiusura definitiva del reparto di ostetricia e ginecologia dell'ospedale Madonna dell'Alto garantendo esclusivamente le emergenze giudicate tali dal personale medico che dalle ore 20 resterà in servizio con turni di reperibilità. Inoltre, dalla stessa ora il servizio del 118, sul territorio madonita, è garantito solo da tre ambulanze senza nessun medico e infermiere a bordo delle stesse;
   nonostante la chiusura annunciata, le proteste non mancano. Da più parti si ricorda che i diritti fondamentali dei cittadini non possono dipendere da pure esigenze di bilancio decise a tavolino che non tengono conto delle peculiarità geografiche e morfologiche dei territori, con particolare riguardo all'area madonita;
   risale a pochi giorni fa la notizia della morte di un bambino nell'isola di Lipari a causa di un distacco della placenta. Evento che sarebbe stato possibile evitare qualora il punto nascite di Lipari fosse ancora operativo e non fosse necessario il trasferimento all'ospedale di Milazzo;
   il Ministero ha salvato in extremis le strutture di Bronte e Licata che, da quanto si apprende, hanno numeri del tutto simili ai punti parto soppressi –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di intervenire, per quanto di competenza e di concerto con la regione siciliana, perché vengano rivisti i criteri di chiusura dei punti nascita al fine di tutelare i territori che per posizione geografica raggiungono meno agevolmente le strutture rimaste attive, al fine di impedire tragedie che sarebbero evitabili con una più razionale pianificazione che tenga conto delle reali esigenze dei cittadini;
   quali siano le ragioni che hanno indotto il Ministro interrogato a consentire, per quanto di competenza, il mantenimento dei punti parto citati in premessa in cui il numero di parti all'anno non si discosta da quello delle strutture che hanno subito la chiusura. (4-12304)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta immediata:


   MALPEZZI, COSCIA, ASCANI, BLAZINA, BONACCORSI, BOSSA, CAROCCI, COCCIA, CRIMÌ, DALLAI, D'OTTAVIO, GHIZZONI, MALISANI, MANZI, NARDUOLO, ORFINI, PES, PICCOLI NARDELLI, RAMPI, ROCCHI, SGAMBATO, VENTRICELLI, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   con il passaggio del personale soprannumerario delle province nei ruoli ata degli uffici di segreteria delle istituzioni scolastiche, il taglio di 2.020 posti – per effetto della conferma ad opera della legge 28 dicembre 2015, n. 208, di quanto già previsto dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190 – è destinato ad aumentare;
   infatti, la trasformazione delle province in «città metropolitane» ha condotto ad un ridimensionamento del personale impiegato, sulla base dei finanziamenti decurtati dal 30 al 50 per cento, e ciò ha causato la determinazione di personale soprannumerario che è da ricollocare nella pubblica amministrazione, uffici di segreteria inclusi;
   laddove non sia stato possibile effettuare il prepensionamento per il personale in esubero, infatti, si è ricorso al passaggio in altra amministrazione: il comma 425 della legge di stabilità per il 2015 ha previsto una ricognizione in tutta la pubblica amministrazione (con esclusione del personale non amministrativo dei comparti sicurezza, difesa e Corpo nazionale dei vigili del fuoco, del comparto scuola, Afam ed enti di ricerca) dei posti da destinare alla ricollocazione del personale soprannumerario delle province;
   alla luce dei dati pubblicati dal dipartimento funzione pubblica del 16 novembre 2015 si evince che il personale da ricollocare e che dovrebbe transitare negli uffici di segreteria delle istituzioni scolastiche è in numero di circa 500;
   sono state le stesse amministrazioni a comunicare il numero di posti disponibili;
   il personale ata ha visto, di conseguenza, attualmente bloccate le procedure di assunzione a tempo indeterminato sul turn over, in una fase in cui, invece, la stabilizzazione di personale ata sarebbe indispensabile per l'efficiente ed efficace gestione degli istituti scolastici in un momento delicato quale quello che stiamo oggi vivendo, legato all'attuazione della legge n. 107 del 2015, «La buona scuola»;
   a fronte di un incremento complessivo, tra il 2012 e il 2014, di quasi 90 mila alunni, alle scuole sono oggi assegnati circa 50 mila amministrativi, tecnici e ausiliari, a tempo indeterminato, in meno rispetto a soli quattro anni fa;
   appare evidente, con i numeri alla mano, la necessità di sbloccare le assunzioni del personale ata per garantire il turn over e almeno per le province in cui si è completata l'applicazione delle norme previste. Tutto ciò non impedirebbe di fatto il transito del personale soprannumerario dalle province verso gli uffici di segreteria in quanto numericamente inferiore rispetto ai posti di turn over del personale ata disponibili –:
   se non intenda intervenire, per quanto di competenza, per consentire al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca di procedere all'assunzione del personale ata necessario nelle province in cui è stata completata l'applicazione delle norme suddette. (3-02066)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   il 15 febbraio 2016 si è svolta a Bruxelles la conferenza di Alto livello sull'acciaio e le industrie energivore organizzata dalla Commissione europea, incentrata sulla situazione di grande sofferenza in cui versa il settore siderurgico e manufatturiero europeo a causa delle pratiche commerciali scorrette da parte di alcuni Paesi, in particole la Cina, che vendono i loro prodotti a prezzi troppo bassi per le imprese europee, inferiori a quelli praticati nel loro mercato nazionale (dumping);
   lo stesso giorno, nella città belga oltre cinquemila operatori del settore siderurgico e di altri settori esposti alla concorrenza sleale cinese, come il comparto del vetro e della ceramica, hanno manifestato contro la concessione dello status di economia di mercato alla Cina, che dovrebbe avvenire entro la fine del 2016, secondo il protocollo dell'Organizzazione mondiale del Commercio (OMC), e che comporterebbe la soppressione dei vigenti dazi per le esportazioni dei prodotti cinesi;
   la conferenza e la manifestazione seguono di pochi giorni la trasmissione alla Commissione europea di una lettera firmata congiuntamente dai Ministri competenti di 7 Paesi dell'Unione europea tra cui, in prima fila, l'Italia, con la quale sono state invocate maggiori misure per il settore siderurgico e manufatturiero europeo, «a rischio di collasso», sia mediante strumenti di difesa commerciale, sia mediante il sostegno all'innovazione e alla modernizzazione;
   per garantire la concorrenza leale, l'Unione Europea può imporre misure antidumping che consistono generalmente in dazi ad valorem, ossia una percentuale del valore dell'importazione del prodotto interessato, oppure in dazi specifici, ossia un valore fisso per una determinata quantità di merci, oppure ancora in un impegno da parte di un esportatore a rispettare i prezzi minimi all'importazione;
   le procedure per l'imposizione di misure antidumping nell'Unione europea sono disciplinate dal Regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di Paesi non membri della Comunità europea;
   l'organo competente per le attività di indagine sulle accuse di pratiche di dumping è la Commissione europea, che svolge inchieste sia su richiesta dei produttori comunitari sia di propria iniziativa;
   recentemente la Commissione europea ha formalmente chiesto alla Cina di ridurre le esportazioni della propria sovrapproduzione di acciaio verso l'Europa e ha annunciato l'apertura di tre nuove indagini antidumping nel settore dell'acciaio, nonché l'aumento dei dazi sui prodotti laminati a freddo provenienti dalla Cina (dal 13,8 per cento al 16,8 per cento) e dalla Russia (dal 19,8 per cento al 26,2 per cento);
   attualmente sono in vigore nell'Unione europea 37 dazi a tutela dell'acciaio, di cui 21 riguardano la Cina, sebbene recentemente l'OMC abbia deciso di invalidare alcune misure antidumping adottate dalla Commissione europea contro specifici prodotti in acciaio di provenienza cinese;
   l'Italia è da sempre in prima linea nella lotta alle pratiche commerciali sleali e in particolare nel settore dell'acciaio, di cui è il secondo produttore europeo;
   notevoli sforzi si stanno compiendo per il rilancio del gruppo Ilva, il cui stabilimento di Taranto costituisce il maggior complesso industriale per la lavorazione dell'acciaio in tutta Europa, e per tutelare migliaia di posti di lavoro;
   il settore siderurgico è stato oggetto del Consiglio competitività il 29 febbraio 2016 –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per sostenere il settore siderurgico e manufatturiero italiano contro le croniche pratiche commerciali sleali in questa delicata fase di ripresa, in particolare attraverso strumenti atti a stimolare la crescita e la modernizzazione;
   se e con quali ulteriori iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda continuare a promuovere, a livello europeo, la prosecuzione di tutte le misure antidumping attualmente in corso, nonché l'adozione di ogni altra azione utile al contrasto delle pratiche di concorrenza sleale incompatibili con le economie di mercato.
(2-01294) «Vico, Benamati, Ginefra, Basso, Bargero, Pelillo, Tullo, Boccia, Michele Bordo, Grassi, Cassano, Mongiello, Mariano, Capone, Massa, Losacco, Bini».

Interrogazione a risposta scritta:


   D'INCÀ e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con l'approvazione della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) sono state apportate alcune modifiche alla modalità di pagamento e all'importo del canone RAI per l'anno 2016 e i seguenti. Si stabilisce infatti che il canone RAI è un'imposta sulla detenzione di «uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive indipendentemente dalla qualità o dalla quantità del relativo utilizzo»;
   il servizio di trasmissione e diffusione dei segnali radiotelevisivi per il cliente RAI e la gestione e lo sviluppo delle infrastrutture e degli impianti di trasmissione è affidato alla società Rai Way, che ne è anche proprietaria. Essa è presente capillarmente su tutto il territorio nazionale disponendo di oltre 2300 siti dislocati su tutto il territorio italiano;
   a seguito dell'introduzione del digitale terrestre, avvenuto ormai da qualche anno, numerosi sindaci e amministratori di comuni italiani continuano a segnalare le costanti e crescenti difficoltà di accesso al servizio televisivo. Ciò si verifica principalmente nelle zone montane, alpine e appenniniche, aree in cui resta elevato il « digital divide» che ha la sua prima fonte nelle difficoltà di ricezione del segnale tv e radio e dove il passaggio al digitale terrestre ha di fatto reso inaccessibile il servizio a molte famiglie e utenti, che lamentano il fatto di dover continuare a pagare il canone senza riuscire a vedere le trasmissioni della tv nazionale ed in particolare quelli del servizio pubblico;
   per sopperire a tali disservizi negli ultimi anni numerosi enti territoriali — in primis, le comunità montane e le unioni montane si sono fatti carico degli oneri derivanti dall'acquisto e dalla gestione di impianti di diverse dimensioni e potenza al fine di assicurare la trasmissione del segnale anche nelle valli più interne;
   moltissimi comuni italiani stanno approvando in consiglio o in giunta un ordine del giorno nel quale sostengono la necessità di richiedere, ed ottenere, un migliore servizio di trasmissione televisiva, in vista dell'inserimento del canone sulla bolletta elettrica –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se i Ministri non intendano, nell'ambito delle proprie competenze, avviare un tavolo di monitoraggio nazionale che individui le aree alpine e appenniniche dove sussistono difficoltà di ricezione del segnale;
   se e quali iniziative intendano adottare affinché, in sede di rinnovo del contratto di servizio, sia tenuto conto della necessità di innalzare al limite massimo le percentuali di copertura del segnale della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, al fine di assicurare un adeguato servizio agli utenti su tutto il territorio nazionale;
   se intendano adottare iniziative normative per promuovere l'ampliamento delle infrastrutture televisive al fine di risolvere le problematiche di cui in premessa, anche mediante l'introduzione di un incentivo per la diffusione, nelle zone interessate, della tv via satellite e nello specifico dei servizi offerti da Tivùsat, consentendo a tal fine ai cittadini di richiedere l'installazione a prezzi calmierati dell'apparato necessario (parabola e decoder) per la ricezione dei canali televisivi gratuiti tramite il satellite. (4-12308)

Apposizione di una firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Sbrollini e altri n. 1-01174, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata: Gebhard, e contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato «Sbrollini, Di Salvo, Lenzi, Gebhard, Roberta Agostini, Gnecchi, Gribaudo, Iori, Miotto, Pollastrini, Zampa, Albanella, Amato, Carnevali, Casati, D'Incecco, Giacobbe, Patrizia Maestri, Piazzoni, Cinzia Maria Fontana, Damiano, Patriarca, Capone, Fabbri, Vico».

Apposizione di firme ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Scagliusi e Bonafede n. 7-00927, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Manlio Di Stefano, Di Battista, Sibilia, Sarti, Agostinelli, Colletti, Lupo, Lombardi, Grande, Tripiedi, Cominardi.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione De Lorenzis e altri n. 5-07787, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Scagliusi.

  L'interrogazione a risposta in Commissione De Lorenzis n. 5-07882, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Scagliusi.

  L'interrogazione a risposta scritta Stella Bianchi e altri n. 4-12277, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Marco Di Maio, Borghi, Manfredi, Bolognesi, Venittelli, Iori, Malpezzi, Causi, Ermini, Piccione, Pes, Rossomando, Carocci, Cinzia Maria Fontana, Paolo Rossi, Mariani, Bruno Bossio, Villecco Calipari, Rocchi, Miccoli.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Lupi n. 1-01124, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 555 del 26 gennaio 2016.

   La Camera,
   premesso che:
    il 27 novembre 2015, l'Istat ha pubblicato i dati sul monitoraggio delle nascite relativi all'anno 2014. Lo studio ha confermato la recente tendenza del nostro Paese al decremento demografico;
    in particolare, emerge dai dati una forte flessione negativa del tasso di natalità: l'anagrafe ha, infatti, registrato quasi 12.000 nuovi nati in meno rispetto al 2013 e all'incirca 74.000 in meno rispetto al 2008;
    secondo l'ente di ricerca, la media aggiornata di figli per donna è di 1,37 (ancora in diminuzione rispetto a 1,46 del 2010); tale media è di 1,29, se il campione è composto di sole donne italiane. La natalità si è abbassata significativamente anche per le cittadine straniere residenti; si è passati da una media di 2,65 del 2008 a una di 1,97 del 2014;
    tali cifre evidenziano la profonda trasformazione demografica e sociale in atto in Italia – analogamente, peraltro, a quanto accade anche nell'intero continente europeo – caratterizzata dall'accelerazione del processo di invecchiamento della popolazione e da profondi mutamenti della struttura delle famiglie. Parallelamente, gli attuali tassi di natalità non sono considerati sufficienti a garantire il ricambio generazionale. Difatti, se si prendono in esame le coppie di genitori italiani, le nascite sono quasi 86.000 in meno negli ultimi sei anni. Le donne italiane in età riproduttiva sono sempre meno e hanno una propensione ad avere figli sempre più bassa. Le ultime stime evidenziano un dato allarmante: la popolazione femminile in età feconda in soli tre anni è passata dal 45 al 43,6 per cento, perdendo mezzo punto percentuale all'anno (a questo ritmo la popolazione fertile scenderebbe a zero in 90 anni);
    la soluzione alla cosiddetta «questione demografica» non può nemmeno essere rinvenuta nei flussi migratori. Ciò è vero per l'Italia, come per l'intera Europa, o meglio questa sostituzione di popolazione è possibile e già viene prevista dai più attenti demografi, che però ne sottolineano il carattere e le conseguenze traumatiche, di vera e propria decadenza di una intera esperienza storica di civilizzazione;
    la sostituzione morbida immaginata dalle consolatorie utopie multiculturali non è possibile per i firmatari del presente atto di indirizzo perché se (e fino a quando) i flussi immigratori non superano determinate soglie dimensionali, anche gli immigrati rapidamente invertono la tendenza: in Italia, la popolazione immigrata è passata da livelli di fecondità largamente superiori alla soglia di ricambio generazionale, a livelli che ne permettono appena il ricambio e tendono ad abbassarsi ulteriormente. In assenza di politiche specifiche, infatti, le coppie straniere incontrano le stesse difficoltà che incontrano le coppie italiane ad avere figli e spesso le madri si trovano nella condizione di non poter scegliere la maternità senza rinunciare al lavoro. Inoltre, gli immigrati non possono essere considerati – in termini di capitale sociale – sostitutivi dei quasi 4,6 milioni di italiani residenti all'estero, una grande percentuale dei quali costituita da giovani talenti che si spostano perché altrove ci sono condizioni per ottenere maggiori gratificazioni;
   i rischi sociali ed economici di queste tendenze non sono ancora adeguatamente valutati dall'opinione pubblica e dalle stesse istituzioni politiche che hanno, finora, dedicato a questo tema un'attenzione molto parziale ed iniziative sporadiche;
    tralasciando l'essenziale ruolo di coesione sociale della famiglia, colpisce che tutto il dibattito, ormai pervasivo sulla crescita economica, sottovaluti clamorosamente il tema demografico. Eppure, analisi economiche, ormai consolidate, evidenziano come una popolazione giovane, in crescita nel numero, nella collocazione sociale e nel livello di coscienza di sé, sia un fattore essenziale per la riproduzione di quel capitale sociale qualificato richiesto dall'economia della conoscenza, ma sia anche la base necessaria di un adeguato livello di domanda di beni e servizi e quindi di tenuta e sviluppo del mercato. Al contrario, l'invecchiamento demografico rappresenta un vero e proprio freno ad una crescita duratura, sia dal lato del calo della produttività, che da quello dell'aumento della spesa pubblica incomprimibile: la crescita percentuale di anziani e pensionati, infatti, è destinata a pesare come un macigno sulle principali voci del bilancio pubblico. Si parla a questo proposito di «debito demografico», contratto dal Paese nei confronti delle generazioni future, soprattutto in termini di previdenza, spesa sanitaria e assistenza;
    a fronte di questi trend sociali appaiano sempre più scopertamente il ritardo culturale e la disinformazione di coloro che sottovalutano l'importanza dei temi valoriali legati alla famiglia e alla natalità;
    ma, rispetto a questi fenomeni profondi e di lunga durata, non va sottovalutato il ruolo dell'azione di Governo: in Italia, nella fase più recente, non sono mancati provvedimenti che vanno nella giusta direzione, ma fa ancora fatica a concretizzarsi un'iniziativa politica e legislativa ad ampio raggio per il riorientamento dell'intero welfare verso la famiglia e per la progressiva trasformazione dell'organizzazione del lavoro in direzione della conciliazione fra lavoro e famiglia;
    ma ciò che è essenziale, nel breve periodo, è incrementare immediatamente un insieme di misure di sostegno economico alla famiglia e alla natalità. Sebbene, infatti, negli ultimi anni l'azione del Governo si sia già orientata in questa direzione, le iniziative normative adottate sono state sporadiche e i loro effetti non omogenei su tutto il territorio nazionale;
    indagini socioeconomiche accurate dimostrano, infatti, che uno dei freni principali allo sviluppo del nucleo familiare è costituito proprio dalla mancanza di risorse economiche, indispensabili soprattutto nei primi anni di vita del bambino, quando l'offerta educativa e di relazione è decisiva per farne emergere le potenzialità;
    è senz'altro apprezzabile che nella legge di stabilità per il 2016 siano state inserite misure quali il rifinanziamento del «bonus bebé», ovvero di un contributo economico, operativo già dal 2015, che viene riconosciuto ai neogenitori che rispettano determinati requisiti reddituali e che viene erogato fino al terzo compleanno del bambino. Analogo apprezzamento deve riconoscersi alle previsioni del diritto alla «maternità Inps» per le neomamme; alle disposizioni riguardanti il riconoscimento del congedo parentale anche ai neopapà, allo scopo di coinvolgere entrambi i genitori nella cura dei figli, nonché a favorire la conciliazione del lavoro con il nuovo ruolo genitoriale; all'istituzione della carta della famiglia, destinata, su richiesta, alle famiglie con almeno 3 figli minori a carico, grazie alla quale si possono ottenere sconti per l'acquisto di beni e di servizi ovvero riduzioni tariffarie con i soggetti pubblici o privati che intendano aderire all'iniziativa;
    queste misure di sostegno economico non basteranno, da sole, ad aggredire le cause meno palesi di quel trend negativo che si è ricordato, che ha radici profonde e che richiederebbe un ripensamento delle politiche sociali, delle politiche per l'occupazione e, date le sue implicazioni culturali, anche della comunicazione radiotelevisiva e delle politiche educative;
    ma queste misure di sostegno economico, se costantemente sviluppate e arricchite, possono cominciare a incidere sulle decisioni di migliaia di persone e avere l'effetto di far percepire il senso di un salto di qualità nelle politica del Governo;
    un esempio virtuoso – sotto questo profilo – ci viene dalla Francia, che in pochi anni è riuscita a invertire il trend demografico avverso, dando vita ad un sistema organico nel quale le famiglie con più di un figlio ricevono sostanziosi contributi e quelle con un reddito più basso possono beneficiare anche di altre forme di sostegno, come contributi per l'alloggio, per i libri scolastici e addirittura per le vacanze. È previsto, inoltre, un contributo economico in favore della prima infanzia dal settimo mese di gravidanza fino al compimento del terzo anno di età;
    le famiglie italiane e i giovani che sono nell'età di dare vita a una nuova famiglia attendono un segnale in questa direzione, che sia, al tempo stesso, una risposta credibile del Governo alle concrete difficoltà che attendono chi intraprende la strada della costruzione di una famiglia e della genitorialità e un chiaro messaggio di favore da parte di uno Stato che si dimostri capace di attuare principi costituzionali fra i più condivisi dagli italiani;
    l'incoraggiamento attivo dello Stato – attraverso idonee misure – a dare vita a quella «società naturale fondata sul matrimonio» (articolo 29 della Costituzione), basata sulla genitorialità, cioè in grado di mantenere, istruire ed educare i figli (articolo 30 della Costituzione) non può essere contrapposto strumentalmente al riconoscimento di altri diritti;
    confondere questi piani è rischioso, mentre l'azione di allargare e portare su un livello superiore le politiche per la famiglia, coraggiosamente avviate dal Governo, permette di affrontare con lungimiranza un problema economico e sociale molto reale, nonché di venire incontro a bisogni concreti e largamente diffusi e di riavvicinare milioni di persone alle istituzioni;
    le misure di maggiore impatto dovrebbero affermare il principio che la parte del reddito che serve a mantenere i figli non deve essere tassata, riconoscendo una no tax area che copra il reddito di sussistenza della famiglia (principio affermato in Germania a livello costituzionale); in termini di provvedimenti di più immediata implementazione, si dovrebbe puntare all'elevazione degli attuali massimali per i figli a carico, riconoscendo una più accentuata progressione per le famiglie via via più numerose e riconoscendo una specifica detrazione aggiuntiva per i genitori a carico del contribuente, al fine di incentivare il sostegno dei genitori in difficoltà economiche o non autonomi da parte dei figli;
    avrebbe una notevole efficacia sulla fascia della prima infanzia una deduzione ai fini dell'Irpef per le spese sostenute per la cura e per la tutela della salute della puerpera e del bambino; analogamente, potrebbero essere adottate una serie di misure per la realizzazione dei piani relativi agli asili nido;
    parallelamente, occorrerebbe intervenire – tramite un meccanismo di credito di imposta – in favore delle imprese che assumono donne lavoratrici per evitare che le difficoltà della crisi si scarichino indirettamente proprio sulle donne lavoratrici che affrontano la difficile sfida della conciliazione della vita familiare e di quella lavorativa;
    ma, soprattutto, occorrerebbe dare alle famiglie e ai giovani italiani un forte segnale di fiducia e di speranza nel futuro e, questo, è uno dei modi più diretti ed efficaci per farlo oggi a disposizione del Governo,

impegna il Governo:

   a promuovere una politica trasversale di sostegno della famiglia, quale nucleo fondamentale della società, rispondendo – al tempo stesso – ad una grave emergenza economica e sociale e ad un'esigenza di attuazione della Costituzione;
   a riconoscere, quale priorità inderogabile nelle linee politico-programmatiche dell'azione di Governo, la prosecuzione della politica per l'accesso alla casa in affitto e in proprietà da parte delle giovani famiglie, nonché l'attuazione di interventi in materia di servizi socio-educativi per l'infanzia, rinforzando – in parallelo – le politiche attive di sostegno alla conciliazione di lavoro e doveri genitoriali;
   ad assumere iniziative per la revisione del regime fiscale della famiglia, che operi da efficace stimolo alla genitorialità e rappresenti un reale sostegno ai nuclei familiari con più figli e a quelli di nuova costituzione.
(1-01124)
(Nuova formulazione) «Lupi, Buttiglione, Alli, Binetti, Sammarco, Tancredi, Vignali, Bosco, D'Alia, Garofalo, Minardo, Calabrò».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Bruno Bossio n. 4-12249, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 577 del 25 febbraio 2016.

   BRUNO BOSSIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la trasparenza dell'azione amministrativa è condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali, e integra il diritto ad una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di un'amministrazione aperta al servizio del cittadino;
   il decreto legislativo n. 33 del 2013 ha predisposto un'articolata disciplina inerente agli obblighi incombenti sulle pubbliche amministrazioni di pubblicazione di dati, documenti e informazioni per i cittadini, ai quali è consentito altresì il libero accesso (cosiddetto accesso civico), senza addurre le motivazioni, limitatamente agli atti per i quali c’è obbligatorietà;
   le disposizioni del presente decreto integrano l'individuazione del livello essenziale delle prestazioni erogate dall'amministrazioni pubbliche a fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione, a norma dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione;
   l'effettività di tali disposizioni normative dipende dalla responsabilità dei dirigenti pubblici ai quali spetta dare impulso alla pubblicazione e al tempestivo aggiornamento dei dati;
   alla garanzia della trasparenza amministrativa si connettono ipotesi di responsabilità specifica dei dirigenti, oltre che di controllo ai fini della normativa anticorruzione;
   emerge la difficoltà di molti, dirigenti scolastici di provvedere tempestivamente all'aggiornamento dei siti (oggi sono contrassegnati con gov.it) per l'insufficienza delle risorse disponibili e per la mancanza di personale Ata (e/o anche docente) adeguatamente formato;
   specialmente per il comparto della scuola, le peculiarità lavorative non consentono omogeneità per l'accesso dei cittadini-genitori ad importanti dati ed informazioni;
   tali carenze informative si abbinano ad una non chiara definizione del quadro normativo della dirigenza scolastica, segnatamente per la valutazione delle performance di essa –:
   quali iniziative si intendano adottare per sostenere, con adeguate risorse, le istituzioni scolastiche nell'aggiornamento costante e puntuale dei siti istituzionali;
   quali iniziative il Governo abbia assunto o abbia intenzione di assumere per pervenire in tempi rapidi, anche in accordo con le organizzazioni sindacali, alla definizione di criteri chiari e trasparenti per la valutazione dei dirigenti scolastici e superare l'evidente attuale situazione di inerzia;
   quale sia lo stato della disciplina specifica della valutazione della dirigenza scolastica e, in particolare, se la direttiva del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 11 del 18 settembre 2014, sulle priorità strategiche del sistema nazionale di valutazione, sia stata implementata, segnatamente quanto al punto a 3), concernente la Valutazione della dirigenza scolastica e quanto ai connessi profili della trasparenza dell'azione amministrativa di questa;
   come, in ipotesi di carenza di impulso normativo, gli uffici scolastici regionali stiano procedendo ad adempiere l'obbligo di una valutazione differenziata dei dirigenti scolastici delle varie istituzioni, alla luce delle responsabilità ad essi incombenti in materia di trasparenza.
(4-12249)

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Bruno Bossio n. 4-12251, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 577 del 25 febbraio 2016.

   BRUNO BOSSIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nella direttiva del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 11 del 18 settembre 2014 recante priorità strategiche del sistema nazionale di valutazione per gli anni scolastici 2014/15, 2015/16, 2016/17, la sezione a 3), valutazione della dirigenza scolastica, si stabilisce che «...entro dicembre 2014, l'INVALSI definirà gli indicatori per la valutazione dei dirigenti scolastici, così come stabilito dall'articolo 3, lettera e), del regolamento»;
   tali indicatori – si legge ancora nella direttiva – dovranno essere inseriti nell'ambito di una proposta organica di valutazione della dirigenza scolastica che sarà oggetto di un confronto con le organizzazioni sindacali e le associazioni professionali da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   come previsto dal regolamento, il modello di valutazione della dirigenza scolastica dovrà prestare attenzione agli obbiettivi di miglioramento della scuola individuati nel rapporto di autovalutazione e alle aree di miglioramento amministrativo e gestionale nelle istituzioni scolastiche direttamente riconducibili all'operato del dirigente scolastico i fini della valutazione dei risultati della sua azione dirigenziale, secondo quanto previsto dall'articolo 25 del decreto legislativo n. 165 del 2001 e successive modificazioni, e dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro della dirigenza scolastica;
   i dirigenti scolastici rispondono in ordine ai risultati, valutati tenuto conto della specificità delle funzioni e sulla base delle verifiche effettuate da un nucleo di valutazioni istituito presso l'amministrazione scolastica regionale (articolo 25 del decreto legislativo n. 165 del 2001);
   l'articolo 74, comma 4, del decreto legislativo n. 150 del 2009 esclude la costituzione degli organismi di cui all'articolo 14 nell'ambito del sistema scolastico, ma non mette in discussione l'obbligatorietà della valutazione delle prestazioni della dirigenza scolastica, a mente della richiamata previsione generale di cui all'articolo 24 del decreto legislativo n. 165 del 2001;
   ad oggi non risulta implementato il percorso normativo segnato dalla richiamata direttiva ministeriale, mancando gli indicatori di valutazione delle performance dirigenziali e conseguentemente non risultando avviato alcun confronto sindacale;
   è interesse prioritario dei dirigenti scolastici avere un quadro chiaro di riferimento rispetto ai criteri per i quali saranno valutati, anche in ragione delle crescenti responsabilità che la recente riforma cosiddetta «buona scuola» assegna loro;
   quali iniziative il Ministro abbia assunto o abbia intenzione di assumere per pervenire in tempi rapidi, anche in accordo con le organizzazioni sindacali, alla definizione di criteri chiari e trasparenti per la valutazione dei dirigenti scolastici e superare l'evidente attuale situazione di inerzia;
   quali iniziative abbiano assunto finora gli uffici scolastici regionali per adempiere agli adempimenti di legge in ordine alla doverosità delle prestazioni dirigenziali, anche in considerazione del fatto che questa è strettamente connessa all'erogazione della retribuzione variabile e/o accessoria dei dirigenti medesimi, con inevitabili riflessi di ordine erariale;
   se l'erogazione retributiva in favore dei dirigenti medesimi sia avvenuta negli anni addietro in base al principio generale della differenziazione imposta dall'articolo 19 del decreto legislativo n. 150 del 2009, per tutte le amministrazioni pubbliche.
(4-12251)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Scotto n. 4-11908 del 2 febbraio 2016;
   interrogazione a risposta orale Binetti n. 3-02009 del 15 febbraio 2016;
   interpellanza Mannino n. 2-01279 del 19 febbraio 2016.