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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 25 febbraio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    l'Autostrada pedemontana lombarda (A36), detta anche sistema viabilistico pedemontano, è un insieme di tratte autostradali in fase di cantierizzazione che si sviluppa attraverso le province di Varese, Como, Monza-Brianza, Milano e Bergamo, per un totale di 86,7 chilometri di autostrada e 70 chilometri di nuova viabilità provinciale e comunale, comprendente anche le nuove tangenziali di Como e Varese;
    ad oggi, solo la tratta A e la consequenziale B1 e le tangenziali di Como e Varese, sono state già realizzate ed inaugurate. L'80 per cento delle risorse pubbliche a disposizione per la realizzazione dell'opera, sono già state utilizzate per la realizzazione delle appena citate tratte;
    il costo totale del progetto approvato dal CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica), prevedeva una spesa iniziale di 4,115 miliardi di euro, di cui 1,3 miliardi di contributo statale, come confermato in un'intervista in data 18 aprile 2014 sul sito personale dell'allora Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Maurizio Lupi. Ad oggi, il costo è lievitato superando i 5 miliardi di euro, come riportato dal mensile «Altreconomia» in un articolo del 23 ottobre 2014, mentre il costo dell'opera già realizzata ammonta, per chilometro, a 40 milioni di euro circa. Allo stato attuale, mancano 3 miliardi di euro per completare le tratte mancanti B2, C e D, cifra che la società Pedemontana non riesce a reperire;
    il soggetto aggiudicatore, Concessioni autostrade lombarde spa (CAL), ha affidato la progettazione, realizzazione e gestione dell'autostrada A36 ad Autostrada pedemontana lombarda spa (APL), controllata per quasi l'80 per cento da Milano Serravalle – Milano tangenziali spa, a sua volta controllata per il 52 per cento da ASAM spa, holding delle partecipazioni societarie facenti capo a Finlombarda spa, controllata per oltre il 99,9 per cento da regione Lombardia;
    in data 1o agosto 2014, il CIPE ha deciso di riservare l'esenzione fiscale totale di ires, irap e iva dell'autostrada Pedemontana, fin dalle prime tratte completate, dall'anno 2016 al 2027, per un valore nominale di minori introiti per lo Stato di 800 milioni di euro pari, in valore attualizzato, ad una defiscalizzazione di 349 milioni di euro. Tali interventi sono stati necessari per l'attuale effettiva mancanza di fondi utili per il completamento dell'opera, denunciata in più occasioni anche dalla stessa società pedemontana lombarda spa;
    con l'opportunità di defiscalizzare l'opera che ad oggi risulta non essere interamente finanziata, è stato impostato un piano economico finanziario che permette di ridurre la ricapitalizzazione da 1,2 miliardi a 850 milioni di euro, garantendo la copertura per le sole tratte A e B1 sprovviste però delle compensazioni ambientali, previste per contratto, ma senza alcuna certezza di realizzazione per le restanti e non ancora iniziate tratte B2, C e D. Allo stato attuale, la defiscalizzazione prevista non è ancora stata confermata;
    la società concessionaria ha deciso di gestire la direzione dei lavori al suo interno, in conseguenza delle difficoltà finanziarie riscontrate e del recente annullamento del bando per l'affidamento dell'incarico di direzione lavori per il secondo lotto della Pedemontana, dove il concessionario ritiene di procedere per singole tratte in relazione alle disponibilità economiche;
    le ripetute aste per la cessione delle quote di provincia e comune di Milano della società Serravalle spa che detiene il 78,97 per cento di pedemontana lombarda, tutte andate deserte, mettono a rischio la realizzazione di Pedemontana stessa;
    vi è un minore interesse da parte degli istituti di credito a finanziare l'opera, in virtù della difficoltà a rientrare dai capitali investiti entro tempi certi;
    APL ha aggiudicato con gara d'appalto comunitaria la costruzione della tratta B1 di Pedemontana (concernente il collegamento Dalmine-Como-Varese-Valico del Gaggiolo) all'associazione temporanea d'impresa costituita tra l'austriaca Strabag AG e le italiane Grandi Lavori Fincosit spa e impresa costruzioni Maltauro spa (ATI appaltatrice), sottoscrivendo contratto per la realizzazione dell'opera al costo di euro 1.713.547.749,35 il 17 febbraio 2012;
    mentre la procura della Repubblica di Milano avviava un'indagine sulle modalità di aggiudicazione dell'appalto, i costi dell'opera aumentavano vertiginosamente. Già all'8 di luglio 2013 il responsabile unico del progetto veniva, infatti, avvisato del fatto che il valore delle riserve iscritte per i lavori (ossia i costi aggiuntivi computati dall'ATI appaltatrice alle spese impreviste e a quelle cagionate da ritardi a lui non imputabili) aveva superato l'importo del 10 per cento del costo previsto per la realizzazione dell'opera, sì che sarebbe stato possibile avviare senza ulteriore indugio la procedura di accordo bonario di cui all'articolo 240 del decreto legislativo n. 163 del 2006, mediante l'istituzione di un'apposita commissione;
    nonostante il costante aumento dei costi comunicati dall'associazione temporanea di imprese appaltatrice, APL deliberava l'istituzione della commissione di accordo bonario soltanto nel 2015 e ciò allorquando l'ammontare delle riserve – in base all'ultima relazione fornita con riferimento ai lavori eseguiti sino al settembre 2014 – sarebbe ormai giunto alla cifra di euro 1.959.995.657,16, sì che il costo complessivo dell'opera risulterebbe più che raddoppiato rispetto a quello previsto per l'aggiudicazione dell'appalto. Il tutto è stato fatto non considerando che, ai sensi del combinato disposto tra l'articolo 240, comma 8, del decreto legislativo n. 163 del 2006, l'articolo 241, comma 6, del medesimo provvedimento e l'articolo 55 del codice procedura civile la commissione per l'accordo bonario deve essere formata da tre componenti che non presentino cause d'incompatibilità quali quelle tipiche di chi abbia già avuto rapporti con i soggetti coinvolti nella procedura di accordo. La commissione di accordo bonario è stata nominata in ritardo e solo dopo sollecitazione di ANAC. Secondo quanto riportato da alcuni organi di stampa, i componenti della commissione suddetta non presentano i profili di imparzialità richiesti, avendo con le parti in causa legami molto fitti;
    la procura di Milano ha aperto un'inchiesta per corruzione a carico di ignoti. Il sospetto degli inquirenti è che dietro l'aggiudicazione dell'appalto a Strabag per la costruzione della Pedemontana ci sia il pagamento di alcune mazzette nell'aggiudicazione del lotto 2, la tratta che dovrebbe connettere Varese e Como fino al valico del Gaggiolo;
    il 4 maggio 2015, guardia di finanza si è presentata nella sede di Pedemontana ad Assago e tra i documenti richiesti e prelevati ci sono quelli relativi alla composizione e alla attività della commissione che dovrà trovare un accordo sugli extracosti;
    i cittadini dei comuni di Bovisio Masciago, Cesano Maderno, Seveso e Desio hanno rilevato, a loro dire, diversi profili di illegittimità del progetto definitivo della tratta B2 e hanno inoltrato al TAR due ricorsi contro la delibera di approvazione del CIPE (delibera del 6 novembre 2009, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 18 febbraio 2010), contestando che il progetto definitivo è stato modificato in sede di approvazione per la tratta B2, prevedendo la realizzazione del tracciato stradale fuori terra a differenza di quanto previsto dal progetto preliminare del marzo 2006 che prevedeva, invece, una soluzione in interrato, come altresì indicato da regione Lombardia con DGR VII/17643;
    tali modifiche non sono state assunte con il recepimento di prescrizioni o raccomandazioni impartite dal CIPE nel progetto preliminare, bensì derivano da scelte del collegio di vigilanza dell'accordo di programma, sottoscritto il 19 febbraio 2007;
    nel ricorso presentato si è evidenziata, inoltre, la violazione della normativa nazionale e comunitaria in materia di tutela ambientale e, in particolare, in relazione alla procedura di valutazione ambientale strategica (VAS) dei piani/programmi e a quella di valutazione d'impatto ambientale (VIA);
    il ricorso ha altresì evidenziato la più che discutibile approvazione della legge regionale n. 15 del 2008 denominata «Infrastrutture di interesse concorrente statale e regionale» che consente, «in deroga» alla legge regionale n. 60 del 1985, l'attraversamento dell'opera Pedemontana nel parco naturale del Bosco delle Querce. Gli stessi cittadini, inoltre, da sempre ritengono non sia opportuno eseguire lavori così invasivi per il territorio. La provincia di Monza e Brianza, interessata dal passaggio prossimo della mastodontica opera Pedemontana, risulta essere infatti quella con il più alto tasso di superficie urbanizzata d'Italia e il suo indice medio di consumo di suolo, calcolato come rapporto tra superficie urbanizzata e superficie totale, supera il 54 per cento;
    dall'inizio del concepimento dell'opera Pedemontana risalente agli anni ’50, il territorio interessato dal tracciato si è progressivamente deindustrializzato, l'inquinamento atmosferico è aumentato e il suolo si è rapidamente urbanizzato con la logica conseguenza che gli scenari di mobilità che è oggi possibile prevedere non coincidono con i valori considerati per giustificare la realizzazione di quest'opera infrastrutturale, anche in ragione di un mutamento dei trasporti merci internazionali e interregionali;
    il passaggio dell'autostrada Pedemontana, allo stato attuale ha devastato foreste secolari, molte delle quali quasi cancellandole dalle carte geografiche, come il bosco della Moronera a Lomazzo (CO), il Bosco del Battù a Lentate Sul Seveso (CO), e grandi superfici dei boschi delle valli dell'Olona e del Lura (VA). La tratta già realizzata è per il 30 per cento in gallerie naturali e artificiali e per il 41 per cento in trincea profonda. Ciò ha irrimediabilmente sconvolto l'idrologia della rete dei torrenti che dalla fascia prealpina convergono verso il milanese;
    oltre ai costi insostenibili e alla distruzione dell'ambiente, tra gli svariati problemi che l'opera sta arrecando alla collettività e ai quali le istituzioni e i responsabili della progettazione ed esecuzione di Pedemontana non hanno ancora saputo dare risposte, vi è anche quello inerente ai rischi generati dai possibili imminenti scavi dei terreni e del trattamento degli stessi a tutt'oggi contaminati dalla diossina del disastro dell'ICMESA di Seveso del 10 luglio 1976, nella non ancora costruita tratta B2;
    i comuni di Bovisio Masciago e Desio disposti sulla progettata ma non ancora costruita tratta C, così come i comuni di Barlassina, Meda, Seveso e Cesano Maderno disposti sulla progettata ma non ancora costruita tratta B2, sono tutti inclusi all'interno di aree classificate come contaminate a seguito del disastro dell'ICMESA;
    nella tratta B2, l'autostrada Pedemontana si spingerà all'interno del parco naturale del «Bosco delle Querce» di Seveso e Meda, anch'esso a tutt'oggi contaminato dalla diossina di Seveso, ambito di memoria creato sulle due enormi vasche di contenimento nelle quali venne riposto tutto ciò che di contaminato era presente nella zona A, compreso il terreno rimosso e i macchinari utilizzati per la demolizione e gli scavi;
    nel periodo di primavera e autunno 2008, Pedemontana spa, con la supervisione di regione Lombardia e di ARPA e in accordo con i comuni, ha effettuato campionamenti ed analisi a supporto del progetto definitivo. La prima ha evidenziato alcuni superamenti del limite industriale in 10 casi su 127 campioni, con una distribuzione prevalentemente superficiale degli inquinanti;
    nell'ottobre 2008, intorno ai punti di superamento, si è condotto l'approfondimento che ha confermato i precedenti risultati, portando ad affermare la necessità di una maggior attenzione nella movimentazione dei terreni in fase di cantierizzazione;
    nell'anno 2011 è stato pubblicato lo studio «Dioxin Exposure and Cancer Risk in the Seveso Women's Health Study» che, prima volta per un'indagine epidemiologica, evidenzia che l'esposizione a diossina nel passato è significativamente relazionata all'incidenza di ogni tipo di cancro;
    tali evidenze sono conseguenza del fatto che il tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD), più nota come «diossina Seveso», la più pericolosa tra le circa 200 diossine stabili conosciute, sia un inquinante organico persistente, ovvero una sostanza chimica altamente tossica molto resistente alla decomposizione, tuttora presente a pochi centimetri di distanza dal terreno calpestabile nel sottosuolo delle zone sopra indicate;
    il primo firmatario del presente atto di indirizzo in data 4 febbraio 2016, insieme al proprio collaboratore Corrado Fossati, al senatore Bruno Marton e al consigliere della regione Lombardia Gianmarco Corbetta, si sono trovati in un incontrato programmato con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Graziano Delrio, per discutere delle problematiche di Pedemontana lombarda. L'esito dell'incontro, riportato da diversi media, ha messo in evidenza che il Ministro non è più disposto a destinare fondi pubblici per il finanziamento dell'opera. Lo stesso Ministro ha dichiarato, riguardo alle nuove infrastrutture di recente costruzione o in fase di costruzione in Lombardia come le tratte B2, C e D non ancora realizzate, che non ne avrebbe autorizzata nemmeno una, dato che queste sono tutte basate su calcoli viabilistici errati;
    il Governo ha confermato nell'ultimo DEF (documento di economia e finanze), Pedemontana lombarda tra le opere infrastrutturali ritenute strategiche per il Paese. Per le opere considerate strategiche, vi sarebbero la possibilità di accedere ai previsti finanziamenti dalla Banca europea degli investimenti (BEI), più conosciuto come «piano Juncker». È necessario sottolineare, però, che tale piano non prevede prestiti ma garanzie che valgono solo se esiste la certezza che l'opera venga ripagata. Pedemontana lombarda, per i dati di percorrenza del tutto insufficienti e per via del suo default finanziario, non ha possibilità alcuna di poter assicurare tali garanzie;
    il recente dossier realizzato dallo studio META di Monza su un modello di simulazione del traffico commissionato dalle province di Como e di Monza e Brianza, con il coinvolgimento di dieci comuni, ha confermato un più che scarso transito dei veicoli sulle tratte esistenti. Infatti, nelle tratte A e B1 della lunghezza totale di 15 chilometri, la stima rilevata è di circa 18 mila veicoli/giorno, contro i 60 mila veicoli/giorno che erano previsti dalla società Pedemontana;
    il prosieguo dei lavori della Pedemontana prevede l'attraversamento della provincia di Monza e Brianza, che risulta essere la più edificata d'Italia. Lo stesso sito di Pedemontana lombarda, indica che l'opera che parte dalla provincia di Varese e attraversa quella di Como, Monza e Brianza e arriva in quella di Bergamo, passerà nella sua totalità in aree tra le più edificate d'Europa. A giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, appaiono del tutto inadeguati i progetti per le tratte B2 e C dei più che impattanti ed invasivi progetti di allargamento da due a tre corsie per senso di marcia della sede stradale, nonché la costruzione di un'imponente area di sosta e di quello che sarà il più grande svincolo autostradale d'Europa, proprio nella provincia più antropizzata d'Italia;
    allo stato attuale, tecnicamente vi è la possibilità di interrompere i lavori della Pedemontana, in considerazione del fatto che l'autostrada è già confluita, come da progetto, nella già esistente strada statale 35 dei Giovi, più conosciuta come superstrada Milano-Meda, attualmente in uno stato di incuria a causa della mancanza di manutenzione;
    allo stato attuale, su tutte le tratte realizzate, non è stata iniziata alcuna delle numerose compensazioni ambientali così come previste a progetto;
    a giudizio dei firmatari del presente atto d'indirizzo, i riscontri dei passaggi di auto inferiori di più di due terzi di quanto previsto, dimostrano, anche a livello pratico, l'effettiva inutilità di tale opera. La palese incapacità del Governo di risollevare il Paese dalla crisi economica ha diminuito i flussi di veicoli sulle strade nazionali, utilizzati perlopiù da lavoratori e dal trasporto di tipo commerciale. Ancor peggiore risulta essere l'incapacità da parte del Governo di progettare il futuro viabilistico del Paese che, invece di orientarsi verso importanti e serie politiche sulla viabilità tramite mezzi di trasporto collettivi e pubblici così come con successo viene fatto da anni nei Paesi che andrebbero presi ad esempio come quelli centro e nord europei, continua a voler progettare nuove opere autostradali inutili. Esempi eloquenti sono le recentemente inaugurate autostrade Brebemi e Teem, con flussi di percorrenza effettivi del tutto irrisori e ben al di sotto delle aspettative previste;
    ultima doverosa osservazione dei firmatari del presente atto d'indirizzo è quella sugli studi di settore riguardanti i reali benefici tra costi e ricavi dell'opera Pedemontana lombarda, che per il già citato eccessivo costo dell'opera, il devastante impatto ambientale e la più che bassa percorrenza di veicoli rilevata, li rendono fallimentari come fallimentare è da considerarsi l'opera stessa,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative urgenti affinché non venga più destinato alcun finanziamento pubblico all'opera Pedemontana lombarda, compresi i finanziamenti da parte del CIPE, della Cassa depositi e prestiti s.p.a. e del Fondo strategico italiano s.p.a., ad essa collegato e non venga applicato nessun genere di defiscalizzazione all'opera;
   in funzione della comprovata inutilità, dell'insostenibilità economica ed ambientale e delle numerose indagini aperte, tutte ampiamente spiegate in premessa, a porre in essere urgenti iniziative volte ad escludere dalle opere infrastrutturali ritenute strategiche per il Paese, l'autostrada Pedemontana lombarda, e a non far pervenire ad essa i previsti fondi della Banca europea degli investimenti, bloccando nell'immediato ed in maniera definitiva i lavori di proseguimento delle tratte B2, C e D;
   ad adottare, per quanto di competenza, urgenti iniziative volte a bloccare immediatamente ed in maniera definitiva il proseguimento dell'opera Pedemontana lombarda nel caso le analisi in corso di svolgimento sulla tratta B2 confermassero la presenza di diossina nei terreni;
   a porre in essere, per le sole tratte A e B1, e per le tangenziali di Como e Varese già ultimate, iniziative volte al completamento delle opere di compensazione ambientale, così come indicate a progetto;
   a porre in essere iniziative normative atte a sanzionare chi commetta errori sugli studi di settore riguardanti i reali benefici tra costi e ricavi delle grandi opere e i componenti le società che approvano tali progetti, al fine di evitare di far ricadere i costi economici degli errati calcoli sulla collettività;
   a porre in essere iniziative, per quanto di competenza, volte ad incentivare il trasporto pubblico locale, solo ove realmente necessario, congiuntamente alla creazione di una vera e propria cultura dell'utilizzo del mezzo di trasporto e, nel contempo, a porre in essere iniziative volte ad incentivare la riqualificazione dell'esistente superstrada ss35 Milano-Meda.
(1-01179) «Tripiedi, Luigi Di Maio, Di Battista, Sibilia, Fico, Cominardi, Ciprini, Chimienti, Dall'Osso, Lombardi, Carinelli, De Rosa, Caso, Pesco, Manlio Di Stefano, Petraroli, Toninelli, Busto, Zolezzi, Mannino, Corda, Daga, Terzoni, Micillo, Da Villa, Frusone, Nicola Bianchi, Paolo Nicolò Romano, Liuzzi, De Lorenzis, Spessotto, D'Uva, Alberti, Del Grosso, Marzana, Ferraresi, Sarti, Bonafede, Agostinelli, Brescia, L'Abbate, Businarolo, Spadoni, Nesci, Gagnarli, Castelli, Lupo, Villarosa, Di Benedetto, Gallinella, Parentela, Paolo Bernini, Rizzo, Massimiliano Bernini, Tofalo, Baroni, D'Ambrosio, Di Vita, Grillo, Lorefice, Mantero, Silvia Giordano, Colonnese, Cozzolino, Cancelleri, Cecconi, Vallascas, Nuti, Dieni, Crippa, Della Valle, Dell'Orco, Brugnerotto, Sorial, D'Incà, Pisano, Cariello, Luigi Gallo, Vacca».

Risoluzioni in Commissione:


   La VI e la X Commissione,
   premesso che:
    nell'ambito degli interventi contenuti all'interno della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità per il 2016), i commi 900 e 901 dell'articolo 1, prevedono l'estensione per i commercianti e i professionisti di accettare pagamenti anche mediante carte di credito, oltre che di debito, tranne nei casi di oggettiva impossibilità tecnica;
    al riguardo, le disposizioni in oggetto, stabiliscono che, per diffondere i Pos, che permettono i pagamenti con carte presso gli esercizi commerciali e negli studi professionali, a prescindere dagli importi delle transazioni, si prevedono sia disposizioni agevolative, (volte a contenere le commissioni interbancarie in conformità alla normativa europea), in particolare per i pagamenti di importo contenuto, che di carattere sanzionatorio, definite con decreto ministeriale;
    il predetto provvedimento attuativo, previsto dal Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto col Ministero dello sviluppo economico, sentita la Banca d'Italia, i cui termini per l'emanazione risultano tuttavia scaduti il 1o febbraio 2016, (finalizzato ad assicurare la corretta ed integrale applicazione del regolamento (UE) n. 751/2015 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2015, esercitando le opzioni di cui all'articolo 3 del regolamento stesso), interviene per regolare gli aspetti in dettaglio e le sanzioni per gli esercenti che non adempiono;
    al riguardo, le principali organizzazioni imprenditoriali, tra le quali la Confesercenti, richiamano l'attenzione proprio sul decreto attuativo, affinché consideri attentamente l'impatto effettivo della norma, nonché le difficoltà che dovranno affrontare le aziende, in particolare quelle di piccola e media dimensione, che compongono il commercio in forma diffusa e capillare nel territorio;
    a giudizio delle suesposte categorie produttive, se, da un lato, risulta infatti condivisibile favorire la diffusione della moneta elettronica, dall'altro, occorre evitare che si determinino nuovi e costosi obblighi che ricadono sull'anello debole della catena, composto da quel commercio tradizionale di piccole e medie imprese già alle prese con la crisi dei consumi e della domanda interna;
    la Confesercenti evidenzia a tal fine, come attualmente, considerato il livello attuale di diffusione dei pagamenti elettronici, sulle imprese del commercio, gravano in media oneri finanziari, pari a circa 2 mila euro all'anno e, conseguentemente, appare facilmente intuibile quanto costerebbe la capillare diffusione di tale strumento di pagamento, considerato che, neanche la riduzione dei rischi connessi alla detenzione del denaro contante è in grado di giustificare il costo chiamato a sopportare dagli esercenti;
    la necessità di evitare che l'obbligo di accettare micro pagamenti con bancomat e carta di credito, si traduca in rilevanti costi aggiuntivi sulle imprese, appare pertanto, a giudizio dei commercianti, in particolare per le categorie dei tabaccai o dei gestori di carburante, condivisibile ed opportuna;
    dal punto di vista statistico, occorre inoltre evidenziare, come nel nostro Paese, la base installata dei Pos (i dispositivi point of sales necessari per accertare i pagamenti effettuati con le carte di credito), nel 2014, ha raggiunto la cifra di 1,8 milioni di unità attive, (secondo quanto risulta dalla Banca d'Italia), con un incremento del 18 per cento (pari a 270 mila dispositivi) rispetto all'anno precedente;
    al riguardo, segnala la Confesercenti, il tasso d'incremento registrato tra il 2013 e il 2014 è risultato essere il più alto negli ultimi cinque anni, (superiore alle operazioni di transazione con le carte di credito) e, a tal fine, se il trend dovesse proseguire con lo stesso ritmo, il numero dei terminali attivi in Italia, supererà agevolmente la soglia dei 2 milioni di dispositivi installati;
    i suesposti dati numerici dimostrano, secondo quanto sostiene la medesima organizzazione che, in considerazione dei ritmi elevati della diffusione dei pagamenti elettronici, anche nel nostro Paese, non occorrono norme severe e di obbligatorietà ma, al contrario, risulta necessario introdurre un processo di costruzione in grado di condividere la libera adesione delle imprese e degli esercenti commerciali;
    a tal fine, uno dei fattori che tuttavia rappresenta un freno alla maggiore diffusione di tale forma di pagamento è l'elevato costo delle commissioni interbancarie applicate a carico dei possessori del Pos per ogni singola transazione per le carte di credito e per le carte di debito e le prepagate;
    se, da un lato, i progressi di riduzione degli oneri per le commissioni interbancarie risultano effettivamente riscontrabili, (attraverso il recepimento delle regole comunitarie relative alle commissioni interbancarie), dall'altro, il sistema bancario italiano non si è adeguato in maniera completa alle medesime disposizioni europee, considerato, fra l'altro, che l'abbassamento dei costi non è osservato da tutte le società che operano nei servizi finanziari legati alle carte di credito;
    il decreto ministeriale in precedenza richiamato, che ai firmatari del presente atto di indirizzo risulta di prossima emanazione, che conterrà le disposizioni applicative dei commi 900 e 901 della legge di stabilità per il 2016, al riguardo, attribuisce alla Banca d'Italia e all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, la verifica del rispetto degli obblighi posti dal regolamento (Ue) n. 751/2015 sulle commissioni interbancarie per le operazioni di pagamento basate su carta, al fine di rendere requisiti tecnici e commerciali uniformi nell'applicazione dei limiti delle commissioni interbancarie;
    la necessità di incentivare l'utilizzo di Pos riducendo le commissioni a carico degli esercenti era stata tuttavia già oggetto d'intervento del legislatore; il comma 9 dell'articolo 12 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha infatti previsto che le imprese che gestiscono i circuiti di pagamento e le associazioni delle imprese devono definire le regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento;
    il comma 10, del medesimo articolo 12, ha stabilito che, in caso di mancata definizione e applicazione delle misure di cui al predetto comma 9, le stesse fossero fissate con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, sentite la Banca d'Italia e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato; analogamente, il comma 5 dell'articolo 15 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ha previsto che il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, disciplinasse le modalità di attuazione della disposizione, anche con riferimento agli oneri a carico delle imprese ed al costo unitario del pagamento elettronico;
    gli esercenti e le imprese commerciali, tuttavia, evidenziano, nonostante l'introduzione delle disposizioni in precedenza richiamate (finalizzate a ridurre le commissioni a carico degli esercenti a proposito delle transazioni effettuate mediante moneta elettronica), come, attualmente, il sistema bancario e di intermediazione finanziaria, non sia completamente uniformato alla disciplina di regolazione dei costi, continuando ad applicare oneri interbancari che a volte possono incidere fino al 60 per cento del margine percepito;
    la somma degli oneri sul noleggio dei dispositivi elettronici del Pos che gravano sulla categoria delle imprese commerciali, (in particolare quelle a bassa marginalità reddituale) rende pertanto antieconomico possedere l'apparecchio (considerato fra l'altro i costi del noleggio, delle operazioni di accredito sul conto corrente bancario e il costo del collegamento dati, necessario per il funzionamento);
    ad avviso dei presentatori del presente atto di indirizzo se l'obiettivo delle disposizioni in precedenza richiamate e contenute nella legge di stabilità per il 2016, consiste nel favorire l'utilizzo della moneta elettronica, dall'altro, risulta indispensabile, ridurre fortemente i costi complessivi che gravano sulle imprese commerciali, come accade negli altri Paesi europei, valutando a tal fine l'opportunità di introdurre incentivi fiscali da riservare alle imprese e ai consumatori che utilizzano le carte di credito e di debito,

impegnano il Governo:

   ad assumere iniziative normative, in considerazione delle osservazioni richiamate in premessa, in particolare di quelle della Confesercenti, al fine di:
    a) implementare adeguati sistemi di vigilanza, peraltro già previsti dalla lettera b), comma 4-bis, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, e prevedere misure anche di tipo sanzionatorio nei riguardi degli istituti bancari e delle società d'intermediazione creditizia, nell'applicazione dei limiti delle commissioni interbancarie utilizzate per le transazioni elettroniche pepi pagamenti delle carte di credito o debito utilizzate tramite Pos;
    b) prevedere agevolazioni fiscali nei confronti delle imprese commerciali (in particolare per le categorie dei tabaccai e dei gestori di carburante), nonché dei consumatori che utilizzano dispositivi elettronici Pos, a partire dal 1o gennaio 2016, per i pagamenti effettuati con carta di credito o di debito;
   a vigilare affinché non si determini l'eventuale rischio che i costi per la dotazione dei Pos e per la gestione degli strumenti che ricevono pagamenti elettronici siano riversati a carico dei cittadini-consumatori.
(7-00930) «Abrignani, Francesco Saverio Romano, Borghese, D'Alessandro, Faenzi, Galati, Merlo, Mottola, Parisi».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    la tratta ferroviaria Alba-Asti è chiusa da quasi sei anni, precisamente dal 30 aprile 2010, a causa dell'inagibilità della galleria Ghersi per il cui ripristino e consolidamento la società Rete ferroviaria italiana (RFI) ha quantificato oneri per 12 milioni di euro. Secondo quanto descritto nell'analisi del dissesto e programmazione degli interventi presentato da RFI il 15 giugno 2010: «l'evoluzione del dissesto e le risultanze delle prime verifiche tecniche effettuate hanno evidenziato rilevanti problematiche di natura idrogeologica la cui risoluzione implica la necessità di realizzare un intervento manutentivo complesso, economicamente oneroso ed incompatibile con il mantenimento in esercizio della tratta Castagnole delle Lanze Alba durante l'esecuzione dei lavori»;
    in virtù della impossibilità di far fronte all'onerosità di tale ripristino e consolidamento della suddetta galleria la regione Piemonte, nel piano di riorganizzazione del trasporto pubblico ferroviario piemontese, ha inserito la linea Alba Asti tra le 12 linee ferroviarie (Alba-Asti; Alba-Alessandria; Asti-CasaleMortara; Cuneo-Mondovì; Cuneo-Saluzzo-Savigliano; Novi Ligure-Tortona; Alessandria-Ovada; Casale-Vercelli; Santhià-Arona; Pinerolo-Torre Pellice; Chivasso-Asti; Ceva-Ormea) da sopprimere e sostituire con collegamenti autobus a causa della loro non remuneratività;
    tale decisione ha scatenato forti lamentele dei rappresentanti istituzionali dei comuni interessati e degli esponenti del mondo dell'associazionismo – in primis il Movimento top al consumo di territorio, il Forum Salviamo il paesaggio e AFP Associazione ferrovie piemontesi in rappresentanza di oltre mille organizzazioni ambientaliste, agricole, delle professioni, della ricerca e della cultura – e comitati di cittadini e di pendolari che hanno chiesto in molteplici occasioni, anche con manifestazioni pubbliche e raccolte di firme, l'immediata riapertura di tale tratta ferroviaria da Alba ad Asti, rimarcandone l'utilità per studenti e lavoratori ma anche per i turisti, sempre più numerosi in seguito al riconoscimento delle colline del vino di Langhe-Roero e Monferrato quale patrimonio mondiale dell'umanità attribuito dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura (Unesco);
    infatti, nella riunione del Comitato del patrimonio mondiale dell'Unesco, che si è tenuto a Doha in Quatar dal 15 al 25 giugno 2014, i paesaggi vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato sono stati riconosciuti come parte integrante del patrimonio mondiale per l'eccezionale valore universale del paesaggio e della cultura vitivinicola piemontese. Pertanto, alle manifeste necessità trasportistiche dei residenti vi sono sempre più evidenti ragioni turistiche a rendere imprescindibile la disponibilità di una tratta ferroviaria locale e questo a maggior ragione se si tiene conto che nella presentazione della candidatura all'Unesco era indicato con chiarezza la presenza di una articolata linea ferroviaria in grado di agevolare la mobilità di residenti e turisti. Linea che inopinatamente è stata viceversa soppressa;
    anche la proposta di conversione della rete ferroviaria in una ciclovia è stata bocciata dalla cittadinanza poiché la linea, ancora armata è in buono stato di conservazione, è immediatamente attivabile con costi sicuramente minori della sua trasformazione in pista ciclabile. Inoltre, esistono già delle valide alternative ciclabili che collegano i territori interessati, in particolare lungo il fiume Tanaro, e in più è possibile realizzare eventualmente un tracciato ciclabile parallelo ai binari, dunque non sostitutivo, che avrebbe costi decisamente minori di una totale rimozione dei binari;
    nel 2015 l'assessorato ai trasporti della regione Piemonte e i sindaci della tratta Asti-Alba avevano convenuto sulla necessità di restituire la linea ferroviaria al territorio ipotizzando anche il transito di un treno speciale Torino-Asti-Castagnole delle Lanze per il periodo contemporaneo al semestre dell'Expo di Milano, progetto poi non avviato per probabile insussistenza finanziaria dell'ente regionale;
    il ripristino della galleria Ghersi comporta oneri non proibitivi, appena 12 milioni di euro, a fronte dei miliardi di euro previsti per progetti contestati quali l'AV/AC Milano-Genova – Terzo Valico dei Giovi la cui strategicità è stata compromessa dalla decisione della Commissione europea del 29 giugno 2015 di non inserirla più nella lista dei progetti del CEF – Connecting Europe Facilities e, quindi, non più finanziabile con risorse europee;
    nel novembre 2015 il nostro Paese ha acquistato quote di CO2 dalla Polonia per regolarizzare la sua posizione in merito ai livelli di emissione consentiti a dimostrazione del totale fallimento delle politiche di riduzione dell'anidride carbonica adottate dall'attuale Governo. Pertanto, incentivare il trasporto su ferro rappresenta l'unica reale risposta non solo ai problemi di mobilità e di congestione del traffico, che ormai attanagliano tutti i contesti urbani del nostro Paese, ma soprattutto per consentire il conseguimento degli impegni di riduzione delle emissioni di CO2 entro il 2030 imposti dall'Unione europea e dagli accordi internazionali;
    le amministrazioni locali e i residenti dei territori interessati reclamano il ritorno del servizio ferroviario della tratta Asti – Alba non solo per dare risposta al bisogno di mobilità di studenti e lavoratori ma anche per le molteplici prospettive economiche che si aprirebbero con lo sviluppo turistico, come insegnano i «trenini» panoramici della vicina Svizzera o del Trentino, di una delle zone più suggestive del Paese,

impegna il Governo

a mettere in campo ogni iniziativa di competenza, anche di carattere finanziario, per la immediata riattivazione della linea ferroviaria Asti-Alba e delle altre insistenti nel perimetro dei paesaggi vitivinicoli del Piemonte delle Langhe-Roero e Monferrato, patrimonio mondiale Unesco, quali l'altrettanto storica e strategica linea ferroviaria Alessandria – Nizza Monferrato – Castagnole delle Lanze – Alba.
(7-00929) «Paolo Nicolò Romano».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   il 17 febbraio 2016, la commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato ha presentato il rapporto sui Centri di identificazione ed espulsione (Cie), per tracciare un bilancio dei primi cinque mesi dall'adozione del nuovo sistema hotspot, in seguito all'adozione dell'Agenda europea sulla migrazione da parte della Commissione europea nel maggio 2015, in materia di identificazione, trattenimento ed espulsione dei cittadini stranieri e di approvazione in Italia del decreto legislativo n. 142 del 2015, in attuazione della direttiva 2013/33/UE sulle norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, in vigore dal 30 settembre 2015;
   nel suddetto rapporto sono descritti alcuni fatti e circostanze che si indicano;
   nel corso del 2015, con riferimento al trattenimento di persone straniere nei centri di identificazione e di espulsione in Italia, oltre all'aumento del numero dei Cie è subentrata quindi, una nuova misura di identificazione, le strutture denominate hotspot, nelle quali la Polizia italiana è supportata da funzionari delle agenzie europee Europol, Eurojust, Frontex ed Easo;
   gli hotspot sono aree attrezzate (in pratica centri di «smistamento»), collocati in prossimità dei luoghi dello sbarco (in Italia a gennaio 2016 sono stati dichiarati attivi quelli di Lampedusa, Trapani e Pozzallo), dove vengono effettuate alle persone sbarcate le operazioni di screening sanitario, preidentificazione, registrazione e foto-segnalamento per ingresso illegale. In seguito sono intervistate da funzionari degli uffici immigrazione e devono indicare la proprio volontà o meno di richiedere la protezione internazionale. Spesso, per mancanza di sufficienti informazioni, i migranti vengono trasferiti nei Cie senza aver avuto la possibilità di essere informati o di aver compreso realmente le procedure per la richiesta di asilo;
   la Commissione ha visitato il primo degli hotspot aperti nel nostro Paese, quello di Lampedusa, rilevando che tra il 1o settembre 2015 e il 13 gennaio 2016 sono arrivati sull'isola 4.597 cittadini stranieri: di questi ne sono stati registrati e identificati 3.234 (870 provenienti dall'Eritrea, 848 dalla Somalia, 711 dalla Nigeria, 535 dal Marocco, 235 dal Sudan, 222 dal Gambia, 133 dal Mali, 130 dalla Guinea, 129 dalla Siria, e in numero minore da altri paesi). Ma al programma di ricollocamento hanno avuto accesso solo 563 persone (circa il 12 per cento del totale), nella maggior parte eritrei, oltre che siriani e iracheni, come previsto dal piano europeo. Di queste, 279 sono già state trasferite nei Paesi di destinazione, 198 sono in attesa di partire e 86 hanno avviato la procedura i primi giorni di gennaio;
   solo 502 persone hanno chiesto asilo nel nostro Paese (il 10 per cento), quelli invece che non hanno voluto chiedere asilo in Italia, sono stati considerati migranti irregolari; 74 sono stati trasferiti nei Cie in tutta Italia, mentre 775 hanno ricevuto un provvedimento di respingimento differito, con l'ordine di lasciare il territorio nazionale entro 7 giorni (sono complessivamente più del 18 per cento del totale degli stranieri arrivati a Lampedusa). Le persone che ricevono un provvedimento di respingimento differito non ricevono nessuna informazione su cosa fare e non hanno neanche il diritto ad essere ospitati nel circuito d'accoglienza, quindi rimangono irregolarmente nel territorio italiano vivendo e lavorando illegalmente in condizioni estremamente precarie;
   molte persone rifiutano di farsi identificare perché non possono scegliere il Paese di destinazione, europeo in base all'esistenza di una rete familiare o una rete di conoscenze o di rapporti culturali, mentre invece, così come previsto dalle clausole discrezionali dello stesso regolamento di Dublino, questa scelta andrebbe privilegiata e diventerebbe un fattore incentivante per la partecipazione al programma;
   la Commissione ha rilevato irregolarità, soprattutto nella fase di pre-identificazione e di status, che si svolge con la semplice compilazione di un questionario formulato in maniera estremamente stringata e poco comprensibile, che non tiene conto di avere di fronte persone appena sbarcate, ancora sotto shock per i rischi corsi e soprattutto perché, nella maggior parte dei casi, si trova nell'impossibilità di comprendere anche solo una delle quattro lingue tradotte dai mediatori, dato che si tratta spesso di persone analfabete o poco alfabetizzate. Il poco tempo a disposizione, unitamente all'ingente mole di lavoro, portano a una cernita sommaria di chi può e chi non può fare ingresso in Europa e non permette di individuare subito lo « status» del migrante, poiché tutto il procedimento è basato su automatismi, più che su attente valutazioni che non tengono conto degli elementi soggettivi e della storia individuale della persona sbarcata;
   in questa fase, vengono distinte persone richiedenti asilo da altre richiedenti asilo con procedura di ricollocazione verso altri Paesi dell'Unione europea che si sono dichiarati disponibili ad accogliere richiedenti asilo sbarcati nel nostro territorio, e individuate persone da sottoporre ad interviste di approfondimento da parte di funzionari di Frontex ed Europol, al fine di acquisire informazioni utili per scopi investigativi e/o di intelligence;
   una volta trasferiti all'interno dei centri di identificazione ed espulsione, le persone trovano una situazione dove la tensione è altissima perché provocata dalla presenza all'interno di individui con storie, origine e provenienza che ne fanno ognuno un caso a sé stante. Questa composizione dipende, da una parte, dalla scarsa regolamentazione e progettualità propria dell'intero sistema dei centri e, dall'altra, dalla rigidità della normativa italiana in materia di immigrazione, per cui è sufficiente che uno straniero perda il lavoro o non gli venga rinnovato il permesso di soggiorno per più di 12 mesi per diventare irregolare ed essere «recluso» presso un Cie. Allo stato attuale sono sei i Cie funzionanti (Bari, Brindisi, Caltanissetta, Crotone, Roma, Torino) – uno in più rispetto all'anno scorso;
   nello specifico, nei centri di identificazione ed espulsione vengono trattenute tutte quelle persone sprovviste di un valido titolo di soggiorno in Italia: persone che non hanno mai avuto un documento regolare per la permanenza in Italia, persone che erano in possesso di un documento regolare e non sono riuscite a rinnovarlo, nati in Italia o giunti nel Paese minorenni, che a diciotto anni, non hanno potuto rinnovare il documento per la raggiunta maggiore età, apolidi, che non hanno fatto la richiesta perché gli sia riconosciuto quello status, richiedenti asilo che non hanno presentato la domanda al momento dell'arrivo in Italia, ex-detenuti;
   spesso si tratta di persone che, da molti anni, vivono insieme alle loro famiglie in Italia, Paese nel quale hanno sede i loro affetti e interessi, senza avere più alcun legame con i loro paesi di origine. La reclusione per queste persone si rivela inutile, poiché esiste una oggettiva difficoltà a identificare le stesse dopo tanti anni trascorsi lontano dal Paese d'origine, e diviene lesiva del diritto all'unità familiare dei migranti e dei loro congiunti;
   vi sono poi giovani di origini straniere nati e cresciuti in Italia: chi ha sempre avuto un permesso di soggiorno e al compimento dei diciotto anni non è riuscito a rinnovarlo, trovandosi così in una situazione di irregolarità e chi è nato in Italia ma non è mai stato regolare. Il passaggio alla maggiore età è un momento critico perché il permesso di soggiorno deve essere legato alla frequentazione di un corso di studi oppure alla firma di un contratto di lavoro. Non è raro il caso di chi, nonostante sia in Italia da molti anni e qui abbia portato avanti un percorso di formazione e di vita, per l'assenza di queste due condizioni, rischi di essere rimpatriato;
   la Commissione si sofferma sui casi di persone trattenute nei Cie che vivono in Italia da anni e che qui hanno avuto dei figli, a volte con partner italiani. Queste, situazioni possono essere sanate e definite in maniera più veloce, rispetto alle normali procedure attualmente previste, con un intervento del giudice di pace che non convalidi il trattenimento, in virtù della presenza di un figlio minore, dato che, sulle esigenze di sicurezza prevale il principio dell'unità familiare. Si eviterebbero così settimane o mesi di privazione della libertà e di attesa dovute attualmente ad una procedura lenta e farraginosa, che prevede l'inoltro di una domanda apposita al tribunale per i minorenni;
   ulteriori casi da considerare come anomalia del sistema sono quelli relativi alle persone di fatto inespellibili, ripetutamente recluse, ai fini dell'identificazione, e più volte ritenute inespellibili, come nel caso delle persone rom che non possono sanare la loro posizione giuridica. Una soluzione potrebbe essere quella del riconoscimento dell'apolidia – qualora vi fossero le condizioni per attuare la procedura. La richiesta di status di apolide, anche quando accessibile, non viene quasi mai attivata per mancanza di informazioni sulla procedura e accade così che ci siano persone che vengono trattenute anche sei, sette volte, mentre in altri rari casi vengono avviati procedimenti di regolarizzazione. In Italia manca infatti una normativa organica in materia che consenta alle persone apolidi di essere riconosciute e godere pertanto dei diritti, e di adempiere ai doveri, previsti a livello internazionale;
   dopo il contestato caso delle donne nigeriane rimpatriate dal Cie di Ponte Galeria, dalle parti di Roma, è necessario prestare la massima attenzione e rafforzare la capacità di accoglienza per le vittime di tratta di esseri umani, affinché venga loro assicurata un'immediata protezione e un allontanamento, già dal momento dello sbarco, dai loro sfruttatori che sono spesso a bordo degli stessi barconi. Nel corso del 2015, secondo le stime dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), si è verificato un incremento esponenziale di arrivi via mare di donne africane, provenienti in modo particolare dalla Nigeria, e alcune di loro sono state poi trattenute nei Cie italiani, senza poter avere accesso al circuito di protezione per le donne vittime di tratta;
   il Capo della polizia nel corso di un'audizione alla Camera il 20 gennaio 2016, ha informato che nel 2015 su un totale di 34.107 stranieri sottoposti a un provvedimento di espulsione dal territorio italiano, 15.979 sono stati effettivamente allontanati dal territorio italiano (circa il 46 per cento), mentre 18.128 non hanno mai lasciato il Paese e rimarranno in Italia senza alcun titolo di soggiorno, con scarse possibilità di regolarizzazione con il passare del tempo, e molte invece di essere di nuovo trattenuti. Per questo motivo, in Italia, sarebbe necessaria una procedura di regolarizzazione alternativa a quella della protezione internazionale, accessibile a chi è già presente sul territorio e permetterebbe ai lavoratori stranieri irregolari di inquadrare la loro posizione, senza ricorrere al tentativo di richiesta di protezione internazionale per ottenere un permesso di soggiorno;
   i motivi che ostacolano i rimpatri sono complessi e riguardano innanzitutto i costi altissimi, ma anche la necessità del «riconoscimento» dell'autorità consolare del Paese di provenienza e i limiti ben precisi per l'uso coercitivo delle misure fissati dalla direttiva 2008/115/CE. Attualmente, quindi, sono possibili solo verso quei Paesi con cui esiste un accordo di riammissione, l'Egitto, la Tunisia e la Nigeria. Sono state, poi, avviate forme di cooperazione operativa con i Paesi dai quali hanno origine i principali flussi di immigrazione irregolare: in particolare, con Gambia, Costa d'Avorio, Ghana, Senegal, Bangladesh e Pakistan. Anche il supporto di Frontex, nel 2015 ha portato al rimpatrio di solo 290 persone: di queste, 153 con voli organizzati in via bilaterale verso l'Egitto e la Tunisia, 137 verso la Nigeria, attraverso voli congiunti con gli altri Stati membri;
   la commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, con riferimento al rimpatrio coatto, identifica in alternativa il rimpatrio volontario assistito e la possibilità per il migrante di ricevere aiuto per ritornare in modo volontario e consapevole nel proprio Paese di origine, stabilendo un termine per lasciare volontariamente l'Italia (periodo che varia tra i 7 e i 30 giorni) e, per incentivare il ricorso alla procedura, introdurre la revoca del divieto di reingresso (attualmente dai 3 ai 5 anni) per gli stranieri irregolari che collaborino alla loro identificazione e al rimpatrio –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, se il Governo non ritenga opportuno adottare delle iniziative normative volte ad introdurre procedure di regolarizzazione per i lavoratori stranieri irregolari già presenti sul territorio e se, in alternativa al rimpatrio coatto, non ritenga necessario introdurre disposizioni con riferimento al migrante irregolare per favorire il rimpatrio volontario assistito e l'incentivo alla revoca del divieto di reingresso, come anche indicato dalla commissione di cui in premessa;
   in seguito all'approvazione della legge di ratifica dell'adesione alla Convenzione sulla riduzione dell'apolidia del 1961, se il Governo non intenda in tempi brevi assumere iniziative normative che rendano le procedure di riconoscimento dello status di apolidia più efficaci ed accessibili;
   alla luce dell'inefficacia e della sommarietà del sistema degli hotspot e delle direttrici principali del piano europeo, e della compatibilità con il programma di ricollocamento e l'attuazione dei rimpatri, se e quali iniziative intenda assumere per individuare forme di cooperazione con gli altri Paesi membri dell'Unione europea più rispettose dei diritti umani e coinvolgerli nella gestione e nell'assistenza dei migranti.
(2-01289) «Andrea Maestri».

Interrogazione a risposta orale:


   MARCON. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   con un emendamento del Governo, nella legge di stabilità, è stato istituito il fondo di 500 milioni di euro per le periferie;
   all'articolo 1, è stato previsto (commi 974 e seguenti) programma per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie che prevede tra le modalità di intervento il servizio civile;
   in particolare, il programma è finalizzato alla realizzazione di interventi urgenti per la rigenerazione delle aree urbane degradate, l'accrescimento della sicurezza territoriale, al potenziamento delle prestazioni urbane anche in termini di mobilità sostenibile, sviluppo di pratiche di inclusione sociale, come quelle del terzo settore e del servizio civile, all'adeguamento delle infrastrutture destinate ai servizi sociali e culturali, educativi e didattici, nonché alle attività culturali ed educative promosse da soggetti pubblici e privati. Il programma sarà predisposto sulla base dei progetti inviati alla Presidenza del Consiglio dei ministri entro il 1o marzo 2016, secondo le modalità stabilite con apposito bando, approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Tale decreto dovrà essere emanato — di concerto con i Ministeri dell'economia e delle finanze, delle infrastrutture e dei trasporti e dei beni e delle attività culturali e del turismo e sentita la Conferenza unificata — entro il 31 gennaio 2016. Tale decreto dovrà altresì disciplinare la costituzione di un «Nucleo per la valutazione dei progetti», la documentazione da inviare a corredo dei progetti e i criteri per la loro valutazione. Con uno o più decreto del Presidente del Consiglio dei ministri si provvede ad individuare i progetti, selezionati dal nucleo, da inserire nel programma, ai fini della stipula di convenzioni o accordi di programma (con gli enti promotori dei progetti medesimi) destinati a disciplinare le modalità e i tempi di realizzazione degli interventi. Per il finanziamento del programma viene prevista l'istituzione di un apposito fondo, con una dotazione di 500 milioni di euro per il 2016. Le disposizioni in esame ricalcano quelle dettate, per l'istituzione e il finanziamento del «Piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate», dai commi 431-434 della legge 190 del 2014 (legge di stabilità 2015). Per l'attuazione di tale piano, che non è limitato ai comuni maggiori ma aperto alla partecipazione di tutti i comuni, il comma 434 ha istituito un fondo denominato «Somme da trasferire alla Presidenza del Consiglio dei ministri per la costituzione del Fondo per l'attuazione del Piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate» con una dotazione di 50 milioni di euro per l'anno 2015 e di 75 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017. In attuazione di tali commi è stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 ottobre 2015 che disciplina le modalità di individuazione dei progetti e prevede l'istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di un Comitato per la valutazione dei progetti –:
   come il Governo intenda declinare il dispositivo di utilizzare il servizio civile per la realizzazione degli interventi per le periferie. (3-02054)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BASSO, GIACOBBE, CAROCCI, TULLO e VAZIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Piaggio Aerospace è un gruppo aeronautico attivo nella progettazione, costruzione e supporto di velivoli per aviazione d'affari e da pattugliamento, di sistemi a pilotaggio remoto e di motori aeronautici ad alta tecnologia, operante sia in ambito civile sia in ambito di difesa e sicurezza;
   Piaggio Aerospace, fondata nel 1884 a Genova Sestri Ponente è passata dalla produzione di materiale ferroviario degli albori alla costruzione e progettazione di aerei di ultima generazione, rappresentando oggi una delle più importanti realtà italiane nel settore delle costruzioni aeronautiche e un tassello fondamentale del tessuto produttivo ligure e nazionale;
   nel 1998 sono cambiati gli asset del Gruppo che sono passati dalla famiglia Piaggio ad un gruppo di imprenditori; successivamente acquistano capitale azionario la Mubadala Development, società di investimenti di Abu Dhabi (2006) e la Tata Limited, società britannica del gruppo Tata Group (2009);
   nel 2013 Mubadala Development Company ha partecipato a un aumento di capitale, incrementando il patrimonio netto a sostegno di un piano industriale incentrato sullo sviluppo delle attività core esistenti e sull'introduzione di nuovi programmi, arrivando a detenere il 100 per cento del capitale sociale di Piaggio Aerospace;
   il 15 aprile 2015 le rappresentanze sindacali unitarie degli stabilimenti di Villanova e Sestri Ponente, unitamente alle segreterie provinciali, sono state ricevute dal prefetto di Genova, per avere risposte alle preoccupazioni derivanti da un articolo di stampa che riportava notizie su documenti riguardanti il Piano Industriale della Società che gettavano ombre sull'accordo siglato al Ministero dello sviluppo economico, relativamente al sito di Sestri Ponente; il prefetto ha fornito rassicurazioni evidenziando che durante un incontro tra l'amministratore delegato della Piaggio, il Presidente del Consiglio dei ministri ed il Ministro della difesa in data 14 aprile 2015 erano state fornite garanzie da Piaggio Aerospace sulla validità e sulla prosecuzione degli impegni siglati al Ministero;
   il 29 settembre 2015, presso lo stabilimento di Villanova D'Albenga, è stato fornito ai sindacati un documento ufficiale da Piaggio Aerospace in cui si garantiva:
    che ricavi e utile erano in netto miglioramento;
    che il raggiungimento degli obiettivi del 2015 era fortemente legato alla capacità di mantenere i livelli di produzione degli ultimi 3 mesi, con particolare riferimento alla business unit velivoli e motori;
    che le criticità industriali legate al Ramp UP produttivo avrebbero potuto comportare lo slittamento di 35 milioni di euro di ricavi al 2016;
    che, anche nello scenario peggiore, il 2015 si sarebbe dovuto chiudere con un livello di ricavi superiore al piano industriale;
   successivamente a quell'incontro, i sindacati hanno più volte segnalato, a differenza di quanto documentato dall'azienda, difficoltà di cassa e la mancanza della riorganizzazione delle attività velivolistiche al fine di ottemperare ai contenuti dell'accordo siglato in sede ministeriale e poter dare risposte convincenti ai lavoratori attualmente in cassa integrazione come eccedenze strutturali Piaggio o in attesa di chiamata da LaerH;
   il 23 febbraio 2016, l'assessore allo sviluppo economico della regione Liguria Edoardo Rixi ha denunciato che Piaggio Aerospace si trova in una «grave situazione perché a marzo l'azienda non avrà i soldi per pagare gli stipendi ed è chiaro che questa situazione crea una pressione molto forte su Finmeccanica, che ha più volte ribadito di essere interessata al drone e non ad altre parti dell'azienda» chiedendo un intervento immediato del Governo a partire dal Ministro della difesa Pinotti e dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi;
   il 24 febbraio 2016, durante l'incontro urgente convocato presso l'Unione Industriali di Savona l'azienda ha chiesto di allargare l'utilizzo della cassa integrazione (che riguarderebbe 200 persone per cinque settimane, di cui tutte le 93 della Revisione Motori a zero ore, 35 del Service di Genova Sestri a rotazione, 30 dei Velivoli di cui 20 a Villanova a zero ore e 10 a Genova Sestri a rotazione), con la contrarietà delle parti sociali poiché in contrasto con i carichi di lavoro 2016 prospettati verbalmente dall'azienda –:
   quali iniziative di competenza intendano adottare per garantire che l'azienda mantenga gli impegni presi con le istituzioni e le organizzazioni sindacali, considerato il livello strategico delle attività svolte da Piaggio Aerospace per cui la Presidenza del Consiglio dei ministri ha già in passato (29 aprile 2014) esercitato i poteri speciali nei settori della difesa e della sicurezza nazionale di cui all'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, e in considerazione delle risorse fin qui messe in campo dallo Stato sia in termini di contributi alle aziende aeronautiche (legge n. 808 del 1985) sia in termini di ammortizzatori sociali. (5-07915)


   CRIVELLARI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   lo schema di decreto del Presidente del Consiglio riguardante l'articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 149, prevederebbe l'accorpamento di diciannove direzioni territoriali del lavoro e l'istituzione di quattro ispettorati interregionali in luogo delle attuali direzioni;
   in base al provvedimento citato la direzione territoriale del lavoro di Rovigo sarebbe accorpata a quella di Ferrara;
   la scelta di accorpare la direzione territoriale del lavoro di Rovigo a Ferrara, in Emilia Romagna, appare difficilmente comprensibile, anche perché interessa capoluoghi di provincia di due diverse realtà regionali –:
   quali siano i motivi che, all'interno del processo di razionalizzazione degli uffici dell'ispettorato del lavoro, indurrebbero ad accorpare – caso unico nel Veneto – proprio la sede provinciale di Rovigo, unificandola con Ferrara. (5-07925)


   TRIPIEDI, CARINELLI, PESCO, COMINARDI, CHIMIENTI, LOMBARDI, DALL'OSSO, CIPRINI, BUSTO, DE ROSA e ALBERTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   International Business Machines Corporation (IBM), è un'azienda statunitense tra le maggiori al mondo nel settore di produzione e commercializzazione di hardware e software, infrastrutture informatiche, computer di tutte le dimensioni, servizi informatici, servizi di hosting, servizi di cloud computing e consulenza in settori che spaziano dai mainframe alle nanotecnologie. Opera in 170 Paesi con un organico di oltre 400 mila dipendenti e in Italia, con sede legale a Segrate (MI), è presente dal 1927 con una consolidata tradizione di progetti, iniziative e partnership a supporto della crescita economica e dell'innovazione e conta, ad oggi, circa 6.300 dipendenti distribuiti su varie sedi distribuite sul territorio nazionale;
   negli ultimi 5 anni, IBM ha effettuato numerose acquisizioni di altre società, investimenti finanziari e assunzioni di personale, accompagnate da cessioni di rami di azienda e a procedure di mobilità e accompagnamenti alla pensione del personale. Inoltre, diverse attività di IBM sono state cedute ad altre aziende, spesso costituite appositamente e, insieme a queste attività, sono stati ceduti anche i rapporti di lavoro. Il metodo spesso utilizzato è stato quello della cessione di ramo d'azienda, ma sono state anche effettuate varie forme di pressioni per indurre i lavoratori a dare le proprie dimissioni e ad accettare le successive assunzioni da parte di aziende controllate da IBM medesima;
   nonostante IBM sia una multinazionale in crescita a livello mondiale che distribuisce profitti agli azionisti, in Italia licenzia centinaia di persone ogni anno;
   le associazioni sindacali di categoria, da anni denunciano la mancanza di una strategia aziendale adattata alle caratteristiche del nostro Paese, che se non affrontata in tempi rapidi e in maniera efficace e risolutiva, porterebbe nel prossimo futuro ad altri pesanti tagli in tutti i settori di IBM Italia;
   al termine dell'anno 2012, IBM Italia ha chiuso i bilanci dichiarando un utile pari a 155 milioni di euro ed un fatturato superiore ai 2.300 milioni di euro, riportando i principali indici di bilancio tutti con segno positivo;
   nell'anno 2013, ai sensi dell'articolo 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, IBM Italia ha aperto un procedimento di riduzione del personale che ha interessato 149 lavoratori dipendenti; ha adottato programmi di incentivazione all'esodo con risoluzione incentivata dei rapporti di lavoro per circa 260 lavoratori; ha concordato riduzioni salariali con il personale dirigenziale; ha risolto contratti di lavoro con personale ritenuto sovrabbondante colpendo circa 450 dipendenti; ha operato un trasferimento collettivo accentrando nella sede di Segrate tutte le posizioni amministrative e di supporto esistenti nelle 11 sedi territoriali, portando un gran numero di dipendenti a rimettere il proprio incarico di lavoro;
   nell'anno 2014, in presenza del bilancio 2013 in positivo, IBM Italia ha avviato la procedura di mobilità per 290 addetti, arrivando ad una riduzione del 15 per cento rispetto alla forza lavoro complessiva dell'area di riferimento;
   IBM Italia ha operato diverse ed importanti operazioni riorganizzative e/o riduttive, trasferendo 896 dipendenti dalla sede di Vimercate (MB) a quella di Segrate, continuando con la politica che negli ultimi anni ha portato ad una riduzione del personale dovuta agli incentivi «spontanei» alle dimissioni;
   nell'anno 2014, sarebbero almeno 400 i dipendenti complessivi ritenuti in eccesso da IBM Italia su tutto il territorio nazionale;
   in IBM si registra, ad avviso degli interroganti un utilizzo indiscriminato e ingiustificato di procedure di mobilità, in contemporanea ad acquisizione di società e fusioni strategiche. Nel contempo, la corporate, sta sempre più spostando attività dagli Usa e soprattutto dall'Europa dell'ovest verso l'Europa dell'est e verso il far east, al fine di aumentare i livelli di profittabilità. Tale politica, unitamente ad un calo nel revenue e signing italiano dovuto alle difficoltà del settore dell’information technology italiano, sta determinando da anni una pesante ripercussione negativa sui livelli occupazionali italiani. Dal 2005 ad oggi, infatti, si sono persi più di 3 mila posti di lavoro;
   anche le politiche aziendali di IBM Italia sono quelle di delocalizzazione, guidate dal minor costo del lavoro e quindi maggiori guadagni per l'azienda. La delocalizzazione di'attività amministrative e gestionali fuori dal territorio nazionale, riguardano in parte lo staff ma anche il settore a diretto contatto con il cliente;
   in data 4 dicembre 2015, la Società IBM Italia ha annunciato l'apertura di una procedura di cessione di ramo d'azienda riguardante 245 impiegati, 55 quadri e 6 dirigenti dei circa 6300 totali;
   in data 22 dicembre 2015 una comunicazione inviata a 300 lavoratori, IBM Italia ha dichiarato che, in conformità alla legge 428 del 1990, il rapporto di lavoro è proseguito senza soluzione di continuità dalla società IBM Servizi Tecnologici srl;
   dal 1o gennaio 2016, in virtù di un contratto di cessione d'azienda siglato il giorno precedente e con scadenza nel 2050, tramite rapidi passaggi societari intermedi, 300 impiegati e quadri IBM (settori SDC e sottoramo TSS Support Services) e 6 dirigenti sono stati ceduti alla società Adecco. Ad oggi, formalmente, la società Adecco ha rilasciato unicamente una nota di intenzione di acquisto dei dipendenti IBM;
   a quanto consta agli interroganti, la società IBM Servizi Tecnologici srl, è stata costituita 20 giorni prima del 1o gennaio 2016 da IBM Italia che è l'unica proprietaria della stessa, con capitale sociale versato di 10 mila euro depositato in data 10 dicembre 2015 e iscritta nel registro delle imprese di Milano l'11 dicembre 2015. Dallo statuto della nuova società, non sono noti i nomi né i soci ne dell'amministratore unico o del consiglio di amministrazione;
   come denunciato dai sindacati, con ogni probabilità IBM Servizi Tecnologici srl diverrà, a breve, Modis Italia srl che diverrà di proprietà di Adecco Italia spa, con il presumibile effetto di eliminare ogni responsabilità della casa madre IBM ed ogni rapporto con i lavoratori ceduti, ormai abbandonati a se stessi;
   IBM Servizi Tecnologici srl ha una mission aziendale generica dato che non è stato presentato alle Rappresentanze sindacali unitarie nessun piano industriale definito, come si evince anche dalla visura del 4 gennaio 2016, dove alla voce «stato attività», corrisponde la definizione «impresa inattiva»;
   a marzo 2015, 10 mesi prima della cessione di IBM Servizi Tecnologici srl ad Adecco, viene creato il ramo SDC con molti dei lavoratori inseriti nel ramo, che continuano ad eseguire le medesime attività dei colleghi di altre direzioni. Poco tempo prima della cessione, si è verificato il fatto che molti dei lavoratori ceduti venissero spostati in altri gruppi ad avviso degli interroganti con l'evidente scopo di isolarli e di permettere l'opportuna creazione del ramo SDC che sarebbe poi stato ceduto a breve;
   nel passaggio dalla società al ramo SDC poi ceduto, sono stati coinvolti anche lavoratori della VTS (società del gruppo IBM ed Unicredit) con alte professionalità, che si occupavano di tematiche di sicurezza e che avevano in gestione nel loro portfolio, progetti strategici fino al 2017;
   diversi lavoratori ceduti ad SDC, si occupano di aree strategiche per IBM pur non rispondendo al management dell'azienda, ma a quello di società del gruppo e non corrispondono per competenze ed attività nell'ambito delle risorse cedute ad Adecco;
   in contemporanea alla cessione di ramo d'azienda, risultano alcune posizioni aperte per l'assunzione di personale;
   è proseguita per 288 lavoratori, dal 15 dicembre 2015 al 16 gennaio 2016, la cassa integrazione a zero ore in GBS, azienda di consulenza di IBM;
   nonostante la preoccupazione dei sindacati europei dell'azienda, a fine 2015, IBM Italia ha creato la società CIC, che ad oggi ha assunto 70 neolaureati, con la prospettiva di arrivare a 200 dipendenti entro la fine del 2016;
   i sindacati temono che si procederà a nuove cessioni di rami d'azienda per arrivare ad una riduzione maggiore di lavoratori. Tale ipotesi ha trovato conferma da fonti dirigenziali interne all'azienda;
   né la società cedente né quella acquirente, sembrano porre la giusta attenzione allo stato psicologico dei lavoratori. Preoccupati per il loro futuro, sono stati abbandonati a sé stessi, senza informazioni e senza prospettive. Al momento dei diversi passaggi da un ramo d'azienda all'altro, non sono state fornite loro informazioni sulla nuova sede di lavoro e le utenze utilizzate per leggere la posta aziendale sono state revocate da un giorno all'altro;
   come affermano le diverse sigle sindacali dell'azienda, IBM rappresenta la «testa di ponte» di Confindustria per testare ed attuare operazioni industriali e finanziarie assolutamente azzardate, per le quali ogni volta vengono lesi i diritti dei lavoratori coinvolti –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intendano assumere i Ministri interrogati al fine di impedire l'utilizzo indiscriminato degli strumenti in materia di relazioni industriali e in particolare, delle nuove norme sulla riforma del mercato del lavoro che favoriscono la flessibilità in uscita, al fine di bloccare la perdita di posti di lavoro per i dipendenti IBM Italia;
   quali iniziative urgenti di competenza intendano intraprendere per salvaguardare i livelli occupazionali e le professionalità sia nel sopraindicato ramo italiano interessato dalle procedure di cessione, sia negli altri settori dell'azienda, al fine di evitare che tale riduzione di organici possa protrarsi anche nei prossimi anni;
   se e in quale misura l'alto numero di procedure di mobilità, cessioni di rami d'azienda e delocalizzazioni operate da IBM Italia negli ultimi 5 anni, abbia determinato onere finanziario, ad avviso degli interroganti consistente, a carico dello Stato, e quindi per i contribuenti;
   quali iniziative intendano assumere, per quanto di competenza, al fine di rilanciare con efficacia il settore italiano dell’information technology, che rappresenta ad oggi un'eccellenza ed un volano indispensabile per lo sviluppo sociale, economico e produttivo per l'intero paese. (5-07928)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   esistono potenziali e gravi conflitti d'interesse rilevanti che si intersecano tra la politica italiana e quella europea con esponenti che svolgono funzioni politiche dirette in Italia, segretari di partito, nazionali o regionali e nel contempo svolgono anche funzioni di parlamentari europei;
   potenziali conflitti di interesse continuano ad affliggere anche rappresentanti italiani in seno allo stesso Parlamento europeo con incarichi politici di rilievo in Italia e nel contempo, attraverso proprie società o con rilevanti partecipazioni di riferimento, gestiscono appalti miliardari della pubblica amministrazione;
   il rapporto di Friends of the Earth Europe, Corporate Europe Observatory e LobbyControl, dettaglia nove casi di deputati europei che hanno altri posti di lavoro mentre si tiene una carica pubblica e sono a rischio di potenziali conflitti di interesse;
   tutti e nove i deputati detengono posizioni in aziende o associazioni di imprese quella lobby, direttamente o indirettamente responsabili delle decisioni comunitarie in materia di fascicoli legislativi;
   i casi includono parlamentari provenienti da Polonia, Italia, Germania, Belgio, Francia, Regno Unito, Danimarca e Austria – alcune delle quali avevano già dato luogo a problemi nella scorsa legislatura;
   è inaccettabile che deputati europei siano poi titolari nel loro Paese di interessi diretti in settori di pertinenza e soggetti alle pressioni dell'Unione europea;
   tutto questo mina la fiducia del pubblico nel processo legislativo e l'integrità del Parlamento europeo;
   i deputati dovrebbero essere rappresentanti dell'elettorato e non del settore di riferimento della propria industria;
   gli autori del rapporto sottolineano che il codice esistente di condotta per i deputati, introdotto nel 2012, non è sufficientemente applicato e che i casi problematici derivanti continuano;
   Olivier Hoedeman del Corporate Europe Observatory, ha dichiarato: «Gli elettori meritano di meglio di un codice di condotta debole, che ha fatto molto poco per porre fine al problema di influenza indebita e potenziali conflitti di interesse. Il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz dovrebbe agire su questo ora e dimostrare ai cittadini che lui è seriamente affrontare questa minaccia per la democrazia»;
   Nina Katzemich di Lobby Control ha detto: «Tre anni dopo l'adozione del codice di condotta, ci sono ancora molti deputati in potenziale conflitto di interesse e dubbie dichiarazioni di interesse finanziario»;
   risulta indispensabile sviluppare una chiara definizione delle circostanze in cui le attività collaterali di deputati nazionali e conseguentemente anche europei costituiscono un conflitto di interessi;
   questo deve includere un divieto per i parlamentari ai vari livelli per esponenti politici che ricoprono le cariche di segretari nazionali o regionali di partito, che ricoprono anche in società, associazioni di categoria e altri gruppi che stanno cercando di influenzare la legislazione dell'Unione europea;
   tali valutazioni devono essere in capo ad organismi che includano esperti etici indipendenti, affinché possano indagare su qualsiasi potenziale conflitto di interesse in modo indipendente;
   il contenuto del rapporto pubblicato da Corporate Europe Observatory (Ceo), gruppo di ricerca che si occupa di monitorare l'influenza delle lobby sulle istituzioni europee e i possibili conflitti d'interessi di chi nelle istituzioni lavora è un esempio utile a comprendere il grado di trasparenza che deve essere alla base dell'analisi del conflitto d'interessi;
   il dossier europeo è frutto di un'indagine approfondita sui membri del Parlamento europeo e sui loro rapporti con il mondo dell'industria;
   nove sono i deputati che sono stati considerati in una situazione di potenziale conflitto d'interessi, fra questi, unico italiano e unico socialista, Renato Soru, europarlamentare Pd eletto nel maggio 2014, fondatore, presidente e amministratore delegato di Tiscali spa;
   dal report europeo emerge che all'interno del Parlamento europeo l'europarlamentare è membro sostituto della Commissione per l'industria, la ricerca e l'energia, che fra le proprie priorità ha quella di «costruire un vero mercato digitale europeo»;
   questa competenza «si sovrappone con gli interessi di Tiscali», scrive Ceo, specificando che anche l'attività politica di Soru a proposito del mercato unico digitale e dell'amministrazione di internet riguarda «questioni di diretto interesse commerciale della compagnia che presiede»;
   secondo il rapporto europeo l'eurodeputato italiano non aveva esplicitato nella sua «dichiarazione d'interessi finanziari» consegnata al Parlamento di essere membro dell’European internet forum (Eif), «che è stato criticato in quanto considerato uno strumento "invisibile ai radar" usato dalle lobby per promuovere gli interessi dell'industria»;
   il report sostiene che se «anche se non c’è nessuna prova chiara di un'attività lobbistica di Tiscali a livello europeo – continua il dossier – è problematico che tale europarlamentare sia presidente di una compagnia che abbia dei chiari interessi commerciali nel regolamentare aree nelle quali è attivo come eurodeputato;
   è palese che la Commissione europea è intervenuta reiteratamente, e lo stesso ha fatto il Parlamento europeo, sulla dotazione italiana di banda larga;
   il tema della banda larga, sia per la delicatezza del settore, sia per la rilevanza economica degli investimenti avrebbe meritato maggiore trasparenza, a partire dalla generazione di potenziali conflitti d'interessi;
   Tiscali, società dell'eurodeputato del Pd richiamato nel rapporto europeo si è infatti aggiudicata la gara per la fornitura di internet alla pubblica amministrazione con un ribasso dell'89 per cento rispetto alla base d'asta;
   né la Consob né il Ministero dell'economia e delle finanze hanno fornito chiarimenti sulla gara e sul potenziale conflitto d'interessi;
   nessuno ha indagato su un anomalo rialzo del titolo Tiscali, determinato dalle comunicazioni di informazioni price sensitive da parte di Consip;
   la gestione della gara sul sistema pubblico di connettività che va avanti da quasi due anni è il classico esempio di come in Italia non sia possibile portare innovazione nella pubblica amministrazione senza prima definire regole certe per gli operatori e senza intervenire seriamente sul conflitto di interessi che appaiono evidenti come in questo caso;
   l'assenza di regole serie in materia consente, infatti, alla società di un eurodeputato del Pd di aggiudicarsi una commessa pubblica così importante senza che nessuno intervenga quantomeno per verificare l'opportunità di tale aggiudicazione con un ribasso dell'89 per cento;
   Tiscali si era fatti aggiudicata la gara grazie a un'offerta con un ribasso vicino al 90 per cento rispetto alla base d'asta (2,4 miliardi di euro iva esclusa); il bando prevedeva l'affidamento della commessa a più operatori (non più di 4), con un'aggiudicazione al massimo ribasso per un servizio della durata di sette anni –:
   se intenda attivare tutte le iniziative di competenza al fine di valutare ed eventualmente segnalare agli organi competenti l'esistenza di un palese conflitto d'interessi relativamente al caso richiamato e alla materia oggetto dell'appalto stesso;
   se il Governo intenda attivarsi attraverso Ministro dell'economia e delle finanze perché fornisca chiarimenti sull'operato di Consip in relazione al conflitto d'interessi sull'affidamento di un appalto di tale rilevanza;
   se non ritenga di dover segnalare i potenziali conflitti d'interessi anche di parlamentari europei che abbiano interessi diretti in Italia in materie di pertinenza dello stesso Parlamento europeo;
   se non intenda assumere iniziative per prevedere norme in grado di disciplinare, qualora non siano adeguate quelle vigenti, il conflitto d'interesse a cavallo tra istituzioni europee e settori economici nel Paese di elezione. (5-07929)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TONINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in base ad apposita convenzione sottoscritta tra il comune di Crema e il Ministero dell'interno è stata prevista la realizzazione di una nuova caserma dei pompieri in via Macallè, nell'area posta tra il comune di Crema e la frazione di San Michele del comune di Ripalta Cremasca; detta convenzione prevede che il Ministero dell'interno sostenga il costo dell'intervento, corrispondendo un canone per 15 anni di 79 mila euro ogni 12 mesi, con un riscatto finale di 15 mila euro, con l'amministrazione comunale, che fungerà da stazione appaltante. Fonti di stampa (articolo intitolato «Vigili del Fuoco, entro metà 2016 Crema avrà la nuova caserma», sul quotidiano online Crema Oggi del 2 agosto 2015) hanno riferito che la nuova caserma sarebbe sorta entro la metà del 2016 –:
   quali siano i motivi per i quali non è stato autorizzato il pagamento del canone concordato in base alla convenzione di cui alla premessa e, conseguentemente, non siano stati avviati i lavori per la realizzazione della caserma in questione e quali iniziative intendano assumere al riguardo. (4-12241)


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il rapido sviluppo del settore dei «droni» ha richiesto l'introduzione di una regolazione per limitare i rischi per la sicurezza;
   questa regolazione è stata introdotta a diverse riprese: la prima entrata in vigore il 30 aprile 2014 ha avuto bisogno di immediate note-esplicative, ciascuna delle quali ha subito pure successive modifiche; la seconda il 16 luglio 2015, emendata già a distanza di pochi mesi il 21 dicembre 2015 e ancora incompleta di elementi informativi (le cosiddette linee guida) che le consentano l'operatività;
   di tal maniera l'Ente nazionale per l'aviazione civile è in ritardo sulle stesse scadenze che essa stessa si è data nel regolamento medesimo;
   tutto questo ha creato confusione scoraggiando le iniziative degli imprenditori con l'effetto di frenare, anziché incoraggiare, il promettente mercato proprio in questo momento di grande bisogno;
   il mercato dei droni attiva imprese spesso nuove al inondo aeronautico, trattandosi a volte di dispositivi volanti di bassissimo valore commerciale e limitate prestazioni. Tuttavia, non solo questa regolazione è stata fatta «a puntate», ma non è stata in grado di trovare regole semplici per gli oggetti volanti più semplici, né vi è stata un'adeguata azione informativa sulle regole attuali e sullo scenario futuro che permettessero a queste piccole e medie imprese di finalizzare i propri investimenti;
   il miglior modo per rendere competitive le imprese è quello di avere norme e disciplinari tecnici uniformi a livello internazionale, ma, nelle more, altri Stati si sono comportati diversamente, agevolando lo sviluppo del settore almeno per il segmento meno pericoloso, tra l'altro proprio il più richiesto, quello dei piccolissimi droni (<25kg);
   le regole introdotte sono, a giudizio dell'interrogante, in molti casi così sproporzionate che la pratica illegale è molto diffusa. Basta vedere il rapporto tra permessi di volo ENAC e droni venduti, oppure il rapporto tra numero di operatori riconosciuti da ENAC e numero di attestati di pilota rilasciati dalle scuole;
   nonostante il regolamento sui mezzi aerei a pilotaggio remoto si rivolga sia ai SAPR (sistemi aeromobili a pilotaggio remoto) sia agli aeromodelli, rimane in molti casi dubbio, in particolare per i SAPR, l'aspetto relativo alla concreta capacità del regolatore di far rispettare da parte del potenziale utilizzatore le previste procedure a monte delle attività volative, vista anche la complessità di poter concepire sistemi di registrazione e banche dati comprensivi di tutte le tipologie;
   se le forze dell'ordine volessero esercitare un'azione di controllo, questa è di fatto impossibile, giacché fintanto che il drone non cade non è possibile leggerne la targa, ancorché associata a qualcuno;
   intervenire d'anticipo ha le sue altre difficoltà perché il pilota può sempre dichiarare di usare il drone per uso ricreazionale. Persino comminare una multa è imbarazzante per il poliziotto, perché viene applicato un prontuario di infrazioni sproporzionato, in quanto realizzato per gli aeromobili classici di ben maggiore rischio e valore;
   negli Stati Uniti, ove non vi è ancora una normativa completa e strutturata, è obbligatoria la registrazione sul sito della FAA – a costo simbolico – di tutti i droni sia per uso professionale che ricreativo, quindi vi è sempre una rintracciabilità;
   l'Ente nazionale per l'aviazione civile, invece, ha assunto, per prima e senza una concertazione con altri Stati, una regolamentazione opprimente per il mercato italiano, atteso che la maggiore richiesta di droni è concentrata su dispositivi volanti di pochi chilogrammi, quindi a basso rischio certamente controllabile con regole più semplici come hanno fatto, ad esempio, Spagna, Svizzera e persino in America, il Canada e gli Stati Uniti, dove un recente emendamento propone di esentare da procedure autorizzative tutti i droni fino a 2 chilogrammi, salvo registrazione e semplici regole che ne inibiscono un uso improprio e pericoloso;
   a giudizio dell'interrogante, la decisione di considerare inoffensivo il drone dal peso inferiore ai 2 chilogrammi con la semplice dichiarazione del costruttore e previo accertamento da parte di ENAC, ovvero, da soggetto-autorizzato da quest'ultimo, degli aspetti progettuali e delle tecniche costruttive (si veda l'articolo n. 12, comma 1, del regolamento ENAC – emendamento 21 dicembre 2015) considerato che l'unico soggetto titolato a risolvere l'inoffensività del mezzo sia, di fatto, l'autoreferenzialità del costruttore stesso se non addirittura talvolta dell'importatore, risulta quantomeno inopportuna e superficiale;
   a giudizio dell'interrogante, tutto questo rigore nella normativa è eccessivo e controproducente se, poi, la maggior parte delle operazioni di volo risulta pressoché illegale ed incontrollabile, visto e considerato che l'ENAC non ha concertato con il Ministero dell'interno, prima dell'emissione del regolamento, un prontuario delle infrazioni congruo e proporzionato;
   non è stata prevista la registrazione di tutti i droni venduti, con associazione almeno al proprietario e si è preferito emettere una regolazione «a singhiozzo» e mai completa e non si è pensato invece di differire la stessa all'arrivo della regolamentazione europea impiegando, nelle more, regole semplicissime per i droni a basso rischio, con l'obbligo della registrazione generalizzata;
   a tutto si aggiunge il fatto che l'Enac non ha attivato tutte quelle azioni di informazione sollecitate dalla Commissione europea e tanto necessarie alla cittadinanza ma anche ai tanti attori della filiera che spesso non appartengono al mondo dell'aviazione –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo per risolvere le problematiche esposte in premesse.
(4-12244)


   NUTI e MANLIO DI STEFANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Calogero Giambalvo, attualmente consigliere del comune di Castelvetrano Selinunte, in provincia di Trapani, eletto nella Lista «Articolo 4», è stato arrestato, assieme ad altre 15 persone, a seguito dell'operazione condotta dai Carabinieri «Eden 2» avvenuta nel novembre 2014;
   il consigliere Calogero Giambalvo, dopo aver optato per il rito abbreviato, è stato prosciolto dalle accuse;
   tuttavia, scorrendo le intercettazioni riguardanti Calogero Giambalvo riportate dai media, da ultimo in un servizio televisivo de « Le Iene Show» andato in onda il 21 febbraio 2016, emerge come il sopra citato consigliere comunale abbia avuto relazioni più o meno intense con esponenti di spicco della criminalità organizzata di tipo mafioso, tra cui il latitante Matteo Messina Denaro, ritenuto l'attuale capo di Cosa Nostra e originario proprio di Castelvetrano;
   in particolare, in una conversazione intercettata con Francesco Martina, altro consigliere comunale di Castelvetrano, eletto nella Lista dell'Udc, Giambalvo descriveva un emozionante incontro avvenuto tra il 2009 e il 2010 nei pressi della contrada Zangara, nelle campagne di Castelvetrano: «Ero a Zangara a caccia, loro raccoglievano olive, ho preso una lepre che era quattro chili e sei, e l'avevo nel tascapane nella giacca che mi usciva metà di qua e metà di qua, prendi, mentre camminavo, lui [Matteo Messina Denaro, ndr] andava da mio zio Enzo. Mio zio gli ha detto, se vuoi andare a sparare vai a sparare, mio nipote sopra l'ho sentito sparare può darsi che qualche coniglio lo ha preso dice, acchianaci, minchia lui sale a piede da solo come un folle, io non lo avevo riconosciuto a primo acchito, era invecchiato, mi sono detto, ma questo perché minchia mi cammina appresso, poi ho fatto che mi sono nascosto nella spalliera nelle filara e mi sono buttato sotto le zucche, minchia lui salendo a me andava cercando, lui perché non mi ha visto più poi ma quando è arrivato mi ci sono alzato, abbiamo fatto mezz'ora di pianto tutti e due. Lillo come sei cresciuto ? Lillo, e io mezz'ora di pianto»;
   sempre scorrendo le conversazioni intercettate, il consigliere Giambalvo si lanciava in pesanti dichiarazione di fedeltà verso Matteo Messina Denaro: «Se io dovessi rischiare 30 anni di galera per nasconderlo rischierei ! La verità ti dico ! Ci fossero gli sbirri qua ? E dovessi rischiare a mettermelo in macchina e farlo scappare io rischierei. Perché io ci tengo a queste cose»;
   parimenti Giambalvo conosceva il padre di Matteo Messina Denaro, Francesco Messina Denaro, anch'egli boss mafioso e latitante fino alla morte avvenuta nel 1998, con il quale, stando alle intercettazioni, aveva incontri anche settimanali e persino durante il periodo di latitanza;
   la fedeltà verso la famiglia Messina Denaro da parte del consigliere Giambalvo è testimoniata più volte nelle intercettazione: in un'occasione Giambalvo, conversando con il proprio cognato, si disperava per una recente operazione antimafia che aveva portato all'arresto della sorella di Matteo Messina Denaro, mentre in un'altra occasione spiegava ad alcuni amici la partecipazione ad una «spedizione punitiva» ai danni di un pregiudicato, lasciato in fin di vita per aver rubato valori alla madre del latitante;
   Giambalvo, in una conversazione intercettata, si è spinto fino a minacciare di morte i figli di Lorenzo Cimarosa, mafioso parente dei Messina Denaro, che dopo l'arresto avrebbe deciso di collaborare con giustizia;
   secondo gli interroganti, la situazione all'interno del consiglio comunale di Castelvetrano risulta essere non completamente cristallina in merito alla situazione sopra esposta: infatti, nel servizio televisivo de « Le Iene Show» già menzionato, nonostante le intercettazioni e le situazioni descritte fossero già note da diverso tempo, si può notare come alcuni consiglieri comunali difendano veementemente Giambalvo all'interno del consesso comunale ed attaccano sia verbalmente che fisicamente la troupe televisiva de « Le Iene Show», invece di prendere le distanze dal contenuto delle intercettazioni e dallo stesso Giambalvo;
   inoltre, sul sito istituzionale del comune di Castelvetrano, nell'apposita sezione dedicata ai profili dei consiglieri comunali ove è inserita per ognuno di essi la documentazione prevista per legge, la pagina di Calogero Giambalvo risulta essere l'unica ove è completamente assente ogni forma di informazione;
   in particolare non è presente la dichiarazione di assenza di causa di incompatibilità o inconferibilità ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, il quale prevede che la presentazione di tali dichiarazioni sia condizione per l'acquisizione dell'efficacia dell'incarico e che le stesse debbano essere pubblicate nel sito web della pubblica amministrazione che ha conferito l'incarico, parimenti, sono assenti le informazioni prescritte ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, il quale prevede che le pubbliche amministrazioni pubblicano l'atto di nomina o di proclamazione, con l'indicazione della durata dell'incarico o del mandato elettivo; il curriculum; i compensi di qualsiasi natura connessi all'assunzione della carica; gli importi di viaggi di servizio e missioni pagati con fondi pubblici; i dati relativi all'assunzione di altre cariche, presso enti pubblici o privati, e i relativi compensi a qualsiasi titolo corrisposti; gli altri eventuali incarichi con oneri a carico della finanza pubblica e l'indicazione dei compensi spettanti; le dichiarazioni sulla situazione patrimoniale propria, e, previo loro consenso, anche del coniuge e dei parenti entro il secondo;
   è ormai nota la protezione e il favoreggiamento da parte delle istituzioni di cui gode Matteo Messina Denaro, come testimonia quanto finora descritto e come dichiarato dal pubblico ministero Teresa Principato, che da anni si occupa tra l'altro della cattura del latitante, la quale ha più volte parlato di un «pericoloso mix ancora “esistente ed insistente” tra borghesia mafiosa, massoneria deviata e politica» che ne garantirebbe la latitanza e della sua capacità molto elevata di infiltrazione nelle istituzioni;
   secondo gli interroganti, in una area come quella del comune di Castelvetrano, ove la presenza e l'attività di Cosa Nostra sono ben radicate e proficue, come confermano ad esempio le periodiche relazioni della direzione nazionale antimafia, i numerosi arresti per mafia avvenuti negli ultimi anni o le recenti confische per svariate centinaia di migliaia di euro, le istituzioni locali dovrebbero costituire un baluardo a difesa della legalità e dei principi democratici e opporsi con tutti i mezzi normativi a propria disposizioni per contrastare qualsiasi forma di infiltrazione da parte della criminalità –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative, ai sensi dell'articolo 143 del testo unico sugli enti locali al fine di accertare eventuali infiltrazioni mafiose all'interno del comune di Castelvetrano;
   quali azioni intenda intraprendere, per quanto di propria competenza, in merito alla situazione descritta in premessa, in particolare con riguardo alla rete di protezione di cui risulta godere Matteo Messina Denaro, anche con riferimento ai rappresentanti eletti nelle istituzioni locali. (4-12248)


   TONINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   si fa seguito all'interrogazione a risposta scritta n. 4-11422, annunciata nella seduta n. 537 del 16 dicembre 2015, e alla precedente interrogazione a risposta scritta 4-08199, annunciata nella seduta n. 383 del 27 febbraio 2015 alla Camera dei deputati. Mentre l'oggetto delle interrogazioni senza risposta, da ormai un anno è il medesimo, sempre più pressante è l'urgenza con la quale si ripropongono in questa sede le medesime questioni, per il pericolo grave e irreparabile che esse comportano rispetto alla salute dei cittadini e alla tutela dell'ambiente e del territorio;
   con atto protocollo 405 del 15 febbraio 2016 il sindaco di Bordolano ha infatti informato che in data 12 febbraio 2016 è stata ricevuta informativa con la quale il Ministero dello sviluppo economico ha autorizzato la Stogit ad eseguire prove di « commissioning» da parte dell'impianto della centrale che avranno luogo a partire di oggi per a durata massima di 15 giorni lavorativi. Tali prove – specifica l'avviso – riguardano il prelievo di gas dal giacimento, trattamento dello stesso e immissione nella rete di trasporto (assetto erogazione) – prelievo di gas dalla rete nazionale di trasporto ed immissione in giacimento (assetto giacimento);
   come evidenziato nelle interrogazioni di cui si è fatto menzione, il «Progetto stoccaggio metano Bordolano-Stogit 2008» prevede la realizzazione dell'impianto di stoccaggio di 1,2 miliardi di metri cubi di metano su un'area oggetto della concessione di coltivazione denominata «Bordolano stoccaggio» di 62,6 chilometri quadrati; la stessa area rientra in una concessione di coltivazione denominata «Cignone» con superficie complessiva di 135 chilometri quadrati. Queste concessioni ricadono in un territorio comprendente il Parco Oglio Nord, la provincia di Cremona con i comuni di Bordolano, Castelvisconti, Azzanello, Corte de’ Cortesi con Cignone, Casalmorano, Annicco, Soresina, Paderno Ponchielli, Casalbuttano, Olmeneta, Robecco d'Oglio e della provincia di Brescia con i comuni di Pontevico, Verolanuova, Verolavecchia, Quinzano d'Oglio, Borgo San Giacomo. A questi si aggiungono, a norma del provvedimento direttoriale n. 18804 del 8 agosto 2013 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nel raggio di 10 chilometri dagli impianti di Bordolano, i comuni di Genivolta (CR), Villachiara e San Paolo (BS), in un territorio abitato da circa 60.000 persone, in cui sono presenti importanti reti di infrastrutture viabilistiche e ferroviarie, numerose attività produttive industriali ed agricole di qualità e numerosi monumenti testimonianza importante della storia del territorio;
   la documentazione del «Progetto stoccaggio metano Bordolano-Stogit 2008», con le successive modifiche e integrazioni, è stata depositata solo alla regione Lombardia, alla provincia di Cremona, al comune di Bordolano, mentre il resto dei comuni citati, il Parco Oglio Nord e la provincia di Brescia subiscono gli effetti della sismicità indotta dalle attività di stoccaggio della centrale di Bordolano;
   il rapporto realizzato dall'ISP (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) sullo stato delle conoscenze riguardo a possibili relazioni tra attività antropiche e sismicità indotta in Italia e le «linee guida», del 24 novembre 2014, sul monitoraggio sismico dell'attività antropica predisposte dal gruppo di lavoro istituito dal Ministero dello sviluppo economico e recepite nello stesso decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, cosiddetto «sblocca Italia», hanno recentemente dimostrato la possibile correlazione tra attività di stoccaggio gas e sismicità indotta/innescata causando un possibile aumento rilevante del rischio sismico nelle aree interessate da questo tipo di interventi, aprendo la possibilità di applicazione dell'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225;
   la recente esperienza dell'analogo progetto spagnolo dell'impianto di stoccaggio del gas della piattaforma «Castor» dimostrato come un progetto di stoccaggio non adeguatamente valutato sia stato successivamente cancellato, con ingentissime perdite economiche che sono state imputate al bilancio nazionale spagnolo, nonostante il finanziamento del progetto «Castor» fosse effettuato tramite i project bond della Banca europea per gli investimenti (BEI), in seguito al rilievo del rapporto ufficiale dell'Istituto geografico nazionale spagnolo, da cui è stato confermato che i 540 terremoti avvenuti nel 2013 erano stati indotti dall'iniezione di gas nel giacimento;
   rispetto a quanto innanzi premesso, si ribadisce che, mentre il Ministro dello sviluppo economico ha autorizzato a eseguire le prove di « commissioning» e il prelievo di gas, risultano ancora mancanti i piani di emergenza esterna (del Comitato tecnico regionale-prefettura Cremona), l'elaborato rischi incidenti rilevanti-ERIR (del comune di Bordolano), la rete monitoraggio sismico indipendente, il gestore della rete, il personale relativo, nonché le modalità di attuazione degli obblighi informativi per cittadini, tutti elementi specificamente previsti per legge per procedere nel senso di cui al menzionato avviso: come nelle precedenti interrogazioni, si fa riferimento alle previsioni di cui al decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, che attua la direttiva europea nota come «Seveso II» (Direttiva 96/82/CE) e alla circolare interministeriale applicativa del 21 ottobre 2009, che ha esteso anche agli stoccaggi sotterranei di gas naturale, fino a quel momento esclusi dalla «legge Seveso»;
   si ribadisce quindi la sempre maggiore attualità del pericolo di cui si è detto, in assenza dell'assolvimento degli oneri imposti dalla legge per la sua prevenzione –:
   come il Governo intenda rispettare gli obblighi di legge il cui soddisfacimento è condizione necessaria per procedere alle operazioni di cui all'avviso in premessa e quali iniziative intenda adottare per far cessare le stesse, nonché per prevenire i pericoli da esse derivanti nel rispetto degli obblighi suddetti. (4-12254)


   GIANLUCA PINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 febbraio 2016 la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia a risarcire l'imam egiziano Abu Omar, oggetto il 17 febbraio 2003 di un'operazione di « rendition» condotta congiuntamente dai servizi italiani e dalla Central Intelligence Agency statunitense;
   a causa del comportamento tenuto nella circostanza dal nostro Paese, Abu Omar è stato trasferito contro la sua volontà in Egitto, dove sarebbe stato sottoposto a torture, delle quali secondo la Corte europea dei diritti dell'uomo la Repubblica italiana porterebbe la responsabilità;
   Abu Omar, imam radicale del centro islamico milanese di via Quaranta, è stato oggetto di indagini che hanno condotto alla sua condanna a sei anni di reclusione da parte della magistratura del nostro Paese per aver commesso il reato di associazione a delinquere con finalità di terrorismo internazionale;
   al nostro Paese la Corte europea dei diritti dell'uomo ha altresì rimproverato la decisione di apporre il segreto di Stato nel corso dei procedimenti giudiziari concernenti la rendition, condivisa da ben quattro Presidenti del Consiglio tra il 2007 ed il 2013 — Romano Prodi, Silvio Berlusconi, Mario Monti ed Enrico Letta — evidentemente a causa della sussistenza di gravi motivi attinenti alla sicurezza nazionale del nostro Paese;
   Abu Omar vive attualmente indisturbato in Egitto, dove non è infastidito neanche dal repressivo regime militare instaurato dal Presidente al Sisi;
   le pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo sono impugnabili –:
   se il Governo non ritenga di dover impugnare la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo;
   qualora il ricorso non abbia successo, con quali modalità il Governo ritenga di ottemperare il pagamento della cifra che la Corte europea dei diritti dell'uomo impone al nostro Paese, considerato che in Italia Abu Omar è soggetto a un'ordinanza di arresto per attività terroristica e che la vigente normativa antiriciclaggio impone il blocco dei beni a chi è dichiarato terrorista o fiancheggiatore. (4-12260)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   CUPERLO, LUCIANO AGOSTINI, ROBERTA AGOSTINI, ALBANELLA, ALBINI, AMATO, ARGENTIN, BARGERO, BARUFFI, BENI, BLAZINA, BORGHI, BOSSA, BRUNO BOSSIO, CARLONI, CAPODICASA, CAROCCI, CARRA, CARROZZA, CENNI, DE MARIA, GIANNI FARINA, FONTANELLI, FOSSATI, GANDOLFI, GASPARINI, GIACOBBE, GNECCHI, IACONO, BERLINGHIERI, LAFORGIA, PATRIZIA MAESTRI, MALISANI, MARCHETTI, MOGNATO, MONTRONI, MURER, POLLASTRINI, ROCCHI, ROMANINI, ROSTELLATO, GIOVANNA SANNA, TENTORI, TERROSI, TULLO, VERINI, ZAMPA, ZOGGIA, RICHETTI, BENAMATI, MIOTTO, LATTUCA, SCUVERA, ROSSOMANDO, CIMBRO, REALACCI, MARTELLA, GIORGIS, SGAMBATO, CRIVELLARI, TIDEI, GRIBAUDO, MAZZOLI e PRINA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale — Per sapere – premesso che:
   il cittadino italiano Giulio Regeni, è stato trovato privo di vita il 3 febbraio 2016 sul ciglio della strada che porta da Il Cairo ad Alessandria, in Egitto;
   l'esame autoptico ha accertato che la morte è sopravvenuta dopo prolungate torture;
   tali risultanze sono state riportate sui documenti trasmessi al Governo italiano dopo il primo esame del corpo;
   l'autopsia eseguita a Roma dall’équipe di medici legali guidata da professore Vittorio Fineschi ha purtroppo confermato che prima di perdere la vita il connazionale è stato sottoposto a torture;
   Giulio Regeni è scomparso il 25 gennaio 2016 e solo il 31 gennaio la notizia è stata resa nota dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
   per diversi giorni le autorità egiziane hanno negato di conoscere quale fosse la sorte del giovane italiano; e solo il 4 febbraio, il giorno successivo al ritrovamento – dopo forti insistenze da parte italiana – è stata data notizia della identificazione del corpo;
   una, squadra italiana di inquirenti, formata da sette uomini di polizia, carabinieri interpol è giunta al Il Cairo il 5 febbraio 2016;
   l'Egitto ha sottoscritto, tra gli altri, il Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite, la Convenzione ONU contro la tortura ed i trattamenti e le punizioni crudeli, inumane o degradanti, lo statuto della Corte penale internazionale;
   i rapporti del 2014 e del 2015 di Amnesty International sull'Egitto mettono in evidenza episodi di arresti illegali e ricorso alla tortura, documentando violenze di ogni tipo;
   in particolare, il rapporto del 2014 ha registrato 1.400 morti per uso sproporzionato della forza da parte dei reparti di sicurezza egiziani, tanto che nell'agosto del 2013 il Consiglio dell'Unione europea aveva decretato – tra i principali fautori l'allora ministro degli affari esteri Emma Bonino – la sospensione dell'esportazione verso l'Egitto di materiali utilizzabili ai fini di repressione interna;
   Giulio Regeni, originario di Fiumicello in provincia di Udine, come hanno testimoniato i genitori Claudio e Paola era un ragazzo curioso che amava viaggiare, sofisticato e di grande talento, serio e concentrato sul suo lavoro (intervista a « La Repubblica» 21 febbraio 2016);
   i suoi amici hanno riferito di un giovane allegro e aperto, motivato nelle sue attività da una forte passione;
   Giulio stava svolgendo un dottorato di ricerca presso il dipartimento di politica e studi internazionali della University of Cambridge e stava affrontando un viaggio di studi in Egitto –:
   se e in che modo le autorità egiziane abbiano collaborato al lavoro della squadra italiana di inquirenti inviata a Il Cairo;
   quale sia il livello di coordinamento che tale squadra ha potuto ottenere con gli inquirenti locali;
   quale sia lo stato delle indagini sulla vicenda della sparizione e della morte di Giulio Regeni;
   se il Governo stia valutando determinazioni da assumere nel caso in cui venissero accertate opacità, resistenze, mancanza di collaborazione da parte delle autorità di quel Paese in ordine ai rapporti commerciali dell'Italia con l'Egitto, in particolare rispetto alle attività dell'Eni sul giacimento supergiant Zohr, dal momento che non può esservi cooperazione economica senza il più rigoroso rispetto dei diritti fondamentali della persona e delle garanzie proprie di uno Stato di diritto;
   quali ulteriori iniziative intenda adottare il Governo perché sia fatta piena luce su questa drammatica vicenda;
   quali iniziative intenda adottare il Governo, anche d'intesa con i partner dell'Unione europea, perché la condotta delle autorità egiziane sia conforme agli atti ed alle convenzioni poste a tutela dei diritti umani che l'Egitto ha sottoscritto. (4-12240)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, DALL'OSSO, LOMBARDI, BUSTO, DE ROSA, MANNINO e DAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il fiume Ticino attraversa la Valle del Ticino che comprende il parco del Ticino e del lago Maggiore, primo parco regionale d'Italia fondato nel 1974 a difesa del fiume, dei numerosi ambienti naturali della Valle, dall'industrializzazione e l'urbanizzazione sempre più invasiva. Al centro della Pianura Padana, ultimo grande scrigno di biodiversità tra campagne e grandi città, è tutelato dall'UNESCO;
   l'acqua del fiume Ticino, necessaria per mantenere in vita lo stesso fiume e gli adiacenti boschi, alimenta anche il sistema dei Navigli Lombardi, la Darsena di Milano, il Canale Villoresi, le risaie Lomelline e buona parte del sistema agricolo e produttivo della provincia di Pavia, Milano, Varese e Monza Brianza;
   nel mese di gennaio 2016, è stata lanciata una petizione sul sito « change.org», riguardante la questione della sospensione del provvedimento denominato deflusso minimo vitale (DMV) delle acque dal lago Maggiore;
   la petizione riportava la lettera indirizzata a regione Lombardia e all'assessore all'ambiente, energia e sviluppo sostenibile, Claudia Maria Terzi, al gabinetto della giunta della regione Piemonte, alla Federazione Svizzera ufficio federale dell'ambiente (UFAM), al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Gianluca Galletti, al presidente della Commissione ambiente della Camera dei deputati e al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, Maurizio Martina;
   nella lettera, veniva richiesto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il ripristino immediato del DMV ad almeno 18 metri cubi al secondo e la regolazione del Lago Maggiore ad almeno 1,50 metri sopra lo zero idrometrico. Il DMV, nato in via sperimentale nel 2010, si basava sulla garanzia di una quantità minima di acqua da far fluire lungo il fiume Ticino, che del lago Maggiore è emissario, per assicurare la sopravvivenza naturale e produttiva delle realtà che insistono sul corso d'acqua. Nell'anno 2012, tale provvedimento ha salvato la regione dalla siccità e, a parere di chi ha redatto la lettera, garantirebbe tuttora una riserva idrica adeguata;
   con la sospensione del provvedimento in questione, anche il Ticino, che dal lago Maggiore recepisce l'acqua necessaria per la sua sopravvivenza, è entrato in sofferenza. Fauna, flora, attività produttive e campi coltivati sono infatti ad enorme rischio di sopravvivenza;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha inviato un'ordinanza al Consorzio del Ticino, l'ente regolatore delle acque, nella quale si impone di «operare la regolazione dei livelli del Lago Maggiore mantenendo la regolazione estiva entro il limite di +1,0 metri rispetto allo zero idrometrico di Sesto Calende». Ciò ha significato che se prima erano garantiti 18 metri cubi di acqua al secondo provenienti dal lago Maggiore all'interno del Ticino, dopo l'ordinanza il vincolo da rispettare è stato quello del livello del lago stesso, con la conseguenza di non assicurare più il flusso idrico necessario alla sopravvivenza del fiume;
   in un link indicato all'interno della petizione, veniva riportata una lettera datata 16 giugno 2014 del consorzio del Parco del Ticino e del lago Maggiore, e del parco lombardo della Valle del Ticino, inviata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e per conoscenza al Consorzio del Ticino, all'autorità di bacino del fiume Po, alle regioni Lombardia e Piemonte. In detta lettera, i consorzi esprimevano la ferma opposizione verso la richiesta formulata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 14 giugno 2014, di sospendere il programma di sperimentazione in corso al 2010, che aveva portato notevoli benefici agli utenti sia di valle che di monte dell'area del bacino idrografico del Ticino. Tale programma era stato approvato alle regioni Lombardia e Piemonte;
   i consorzi in questione esprimevano la propria incomprensione nei confronti dell'interruzione dell'applicazione di un modello di gestione che aveva permesso di avere la quantità necessaria per garantire le utenze irrigue ed industriali nel rispetto dell'ambiente fluviale. Veniva poi ricordato come nel 2012, mentre il resto d'Italia aveva vissuto momenti di scarsità di risorse idriche con la conseguente crisi delle attività produttive, per tutta l'area del Ticino il nuovo modello di gestione avesse garantito abbondanza nelle reti di canali e nel Ticino, nessuna perdita di produzione né agricola né industriale (come quella dell'energia elettrica), nessun danno all'ambiente e alla biodiversità in un'area tutelata come riserva della biosfera MAB-UNESCO, portate d'acqua in alveo che hanno permesso l'uso sociale del fiume (come la balneazione, la pesca sportiva e navigazione per tutto l'anno);
   veniva inoltre ricordato che la disposizione in questione risultava essere del tutto immotivata perché non sostenuta da alcun riscontro tecnico ma nata, a dire del consorzio, da una nota burocratica della Confederazione svizzera che non esprimeva contrarietà al programma sperimentale ma chiedeva semplicemente che venisse assicurato al riguardo un costante e tempestivo scambio di informazioni all'interno di un meccanismo di consultazione reciproca, da inserire nel quadro del dialogo ambientale Italia-Svizzera;
   in data 14 febbraio 2016, sempre sul sito « change.org», in un aggiornamento alla petizione veniva specificato che il 10 febbraio 2016, si era tenuto un incontro dell'autorità di bacino del Fiume Po in regione Lombardia, dove nessuna decisione era stata presa dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Lo stesso aveva mostrato delle simulazioni che, di fatto, avevano dato ragione all'Ente Parco. Nelle immagini proiettate era stato dimostrato che, a parità di precipitazioni, se il lago Maggiore fosse stato mantenuto a +1,50 metri sopra lo zero idrometrico, la crisi idrica dell'agosto 2015 sarebbe arrivata con 10 giorni di ritardo e quella di dicembre 2015, almeno 25 giorni dopo;
   nella nota, veniva fatto notare che se all'apparenza potevano sembrare pochi i giorni di differenza, non risultava essere affatto così. Infatti, in agosto il fabbisogno idrico risulta essere enorme e 10 giorni in più possono garantire o condannare la stagione agricola e la sopravvivenza del fiume Ticino. Per il periodo invernale, una regolazione corretta del lago Maggiore avrebbe, ad esempio, evitato l'asciutta anticipata dei canali e dei navigli e una riserva idrica sufficiente a rifornire il Ticino per molti giorni, nonostante l'assenza di precipitazioni;
   nonostante questi dati di fatto, evidenti anche al Ministero, nella riunione del 10 febbraio 2016, gli stessi rappresentanti del dicastero hanno preferito non prendere una decisione, mentre la deroga alla regolazione a +1,25 metri risulta essere in scadenza;
   a detta dei compilanti la nota, per poter sperare di riempire adeguatamente il lago Maggiore con sufficiente acqua per fronteggiare l'estate, risulta indispensabile prendere una decisione entro marzo 2016, per non perdere le precipitazioni e i disgeli primaverili;
   a giudizio degli interroganti e a completamento di quanto esposto, oltre al mancato ripristino del provvedimento di DMV, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ha tenuto in considerazione la situazione di siccità che attanaglia con sempre più frequenza il nostro Paese, Valle del Ticino compresa, mettendo a repentaglio in primis tutta la biosfera autoctona e la fauna ittica. Non ha altresì tenuto in considerazione i danni ambientali ed economici a cui inevitabilmente porterà la sua decisione di non ripristinare il DMV, danni economici che dovranno sopportare la collettività e coloro i quali hanno attività economiche legate in forma diretta alle acque del Ticino e dei suoi emissari –:
   quali siano le motivazioni che hanno spinto il Ministro interrogato a sospendere il sopraindicato provvedimento denominato deflusso minimo vitale (DMV) delle acque dal lago Maggiore;
   se il Ministro interrogato non ritenga di ripristinare nell'immediato, il provvedimento in questione, al fine di ristabilire il corretto e necessario livello idrometrico del fiume Ticino e di tutti i fiumi e corsi d'acqua ad esso collegati. (5-07918)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TAGLIALATELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   il Consorzio speciale per la bonifica di Arneo è stato costituito con il regio decreto 14 aprile 1927, n. 1742, e il territorio in cui opera è situato nella fascia centrale del Salento, interessando quasi cinquanta comuni ricadenti nelle province di Brindisi, Lecce e Taranto e una superficie di oltre duecentomila ettari;
   in questi giorni il Consorzio sta notificando a moltissimi proprietari di terreni e agricoltori ingiunzioni di pagamento a titolo di contributi di bonifica;
   è oramai pacifico in dottrina e giurisprudenza (Corte di cassazione, sezione tributaria n. 2241 del 6 febbraio 2015; Cassazione S.U. 6 febbraio 1984 n. 877, Cassazione 8 luglio 1993 n. 751 e Cassazione S.U. n. 8960 del 1996) il principio per cui il contributo alle opere eseguite dai consorzi di bonifica è dovuto solo in presenza dei seguenti presupposti: un perimetro di contribuenza ritualmente approvato, ossia quell'area posta all'interno del comprensorio che gode o godrà dei benefici derivanti dalle opere di bonifica realizzate o realizzande e che, sola, potrà essere sottoposta a contribuzione proprio in virtù del vantaggio concretamente ricevuto da ciascun immobile; un piano di classifica debitamente in vigore, che esprima la valutazione del singolo immobile determinando il quantum ciel tributo consortile previa commisurazione dello stesso – in termini di corrispondenza e proporzionalità – alla reale entità del beneficio specificamente arrecato dalle opere di bonifica ai singoli immobili; l'effettiva esecuzione eli opere di bonifica, generatrici di un vantaggio immediato e diretto per l'immobile onerato; la configurazione di un'utilità – derivante dalle opere di bonifica all'immobile soggetto a contribuzione – suscettibile di tradursi in un beneficio diretto e specifico di tipo fondiario, cioè tale da incidere strettamente su quell'immobile che si pretende di sottoporre al prelievo consortile; un incremento di valore dell'immobile «post bonifica» che risulti in manifesto rapporto causale con le opere di bonifica e relativa manutenzione;
   la quasi totalità dei cittadini interessati dalle ingiunzioni di pagamento ha lamentato che, in realtà, il Consorzio in questione non ha mai eseguito e non esegue opere di bonifica e miglioramento fondiario;
   l'onere di provare l'esistenza della pretesa contributiva è a carico dell'ente impositore e deve effettuarsi prima di procedere alla quantificazione e all'applicazione del contributo;
   in materia, la legge regionale 7 marzo 2003, n. 4, prevede che «I Consorzi di bonifica che hanno in vigore un piano di contribuenza approvato in data antecedente al 1o gennaio 2000 sono obbligati a riformulare i rispettivi piani rapportando gli oneri agli effettivi benefici derivanti dalle opere pubbliche di bonifica»;
   inoltre, l'articolo 3 della legge regionale 21 giugno 2011, n. 12, dispone che il piano annuale di riparto della spesa posta a carico dei contribuenti sia elaborato in base agli indici di «effettivo beneficio» definito dai nuovi piani di classifica e redatto sulla base di uno schema predisposto dal competente servizio regionale, imponendo al Consorzio l'indicazione specifica, nei propri avvisi, della «motivazione del tipo di beneficio»;
   di conseguenza, con riferimento alla pioggia di «solleciti di pagamento» per contributi pretesi dal Consorzio di bonifica dell'Arneo, la mera assenza di qualunque concreta indicazione in ordine alle opere effettivamente eseguite e di qualsivoglia congrua motivazione potrebbe già essere sufficiente a ritenerli illegittimi;
   con decreto del presidente della regione Puglia del 25 gennaio 2016, n. 31, preso atto della difficile situazione economica in cui versa il Consorzio di bonifica dell'Arneo, si è nuovamente prorogata la gestione commissariale;
   le ingiunzioni di pagamento emesse dal Consorzio rischiano di aggravare ulteriormente la difficile condizione economica di una zona già duramente colpita dalla crisi, dai ritardi nell'attuazione del Piano di sviluppo rurale e dalle conseguenze della diffusione del batterio della Xylella fastidiosa;
   al di là del caso specifico, sarebbe comunque opportuna un'iniziativa normativa da parte del Governo, in collaborazione con le regioni, volta a rivedere complessivamente la disciplina relativa ai contributi di bonifica –:
   se sia informato di quanto esposto in premessa, e se non ritenga di adottare, per quanto di competenza e con il coinvolgimento delle regioni, le opportune iniziative normative volte a chiarire in via definitiva i presupposti che legittimano la richiesta di pagamento da parte dei consorzi di bonifica. (4-12247)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il personale dipendente dell'assessorato regionale territorio e ambiente (ARTA) della regione siciliana – oggi servizio 3 «Assetto del territorio e difesa del suolo» – dall'inizio dell'attività ha subito una drastica riduzione del personale causata sia dalle difficoltà lavorative dei precari, sia dai numerosi trasferimenti del personale;
   nello specifico, la dotazione organica dell'assessorato regionale territorio e ambiente, da un numero di 70 unità selezionate con bando pubblicato sulla G.U.R.S. n. 4/2001 – alle quali si aggiungono 7 unità della Task Force del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per complessive 77 unità – è stata oggetto, nel tempo, di una progressiva e drammatica riduzione, come rilevabile dall'esame dell'organigramma del 30 aprile 2012, dal quale risultano n. 42 unità PAI (piano per l'assetto idrogeologico) più n. 7 unità task force del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per un totale di 49 unità, fino all'ultimo organigramma del 4 settembre 2015, da cui si rileva un'ulteriore perdita di 28 unità – tenuto conto, inoltre, di alcune unita di personale, indicate in organigramma con il codice PAI (perché con contratto finalizzato al PAI) che risultano dislocate ad altri servizi o unità operative deputate a funzioni che esulano dal PAI;
   ad oggi, la configurazione dell'organico di personale presso il servizio 3 assetto del territorio e difesa del suolo, finalizzato alle fondamentali mansioni di pianificazione e programmazione PAI e agli adempimenti derivanti dall'applicazione dell'articolo 63 del decreto legislativo n. 152 del 2006, si presenta come di seguito sintetizzata: servizio 3 «Assetto del territorio e difesa del Suolo», n. 7 unità, U.O. S3.1 «Pianificazione e programmazione PAI», n. 8 unità, U.O. S3.2 «Attuazione del PAI – Interventi infrastrutturali per la difesa del suolo», n. 6 unità, U.O. S3.4 adempimenti di competenza delle autorità di bacino ex articolo 63 del decreto legislativo n. 152 del 2006», n. 8 unità, per complessive 29 unità;
   la riduzione del personale in forza all'assessorato in parola e preposto a tali funzioni, contribuisce ad acuire i problemi inerenti alla carenza di mezzi e strumenti per procedere agli aggiornamenti del PAI per evitare che nuovamente possano profilarsi condizioni che hanno portato alle drammatiche vicende della alluvione che nel 2009 ha scosso la località di Giampilieri e la società civile tutta;
   a testimonianza di questo disastroso quadro, ai dirigenti responsabili del servizio e delle unità operative non è rimasto che scrivere lettere d'appello ai superiori, per evidenziare il peso della responsabilità conseguente allo svolgimento di tali mansioni con uffici sottodimensionati e non dotati delle competenze e delle risorse umane necessarie;
   nel marzo 2014 trentacinque lavoratori dell'assessorato regionale del territorio e dell'ambiente, sono stati sospesi dopo essere stati assunti con bando pubblico che prevedeva la stipula di contratti di collaborazione coordinata e continuativa che, nella fattispecie, sono stati prorogati di anno in anno fino alla sospensione definitiva;
   secondo quanto riportato dalla testata Meridionews, la sospensione sarebbe avvenuta «con decreto del Dirigente del dipartimento, Dott. Pirillo, che aveva riscontrato una serie di circostanze poco chiare: oltre a non percepire lo stipendio per oltre un anno, i lavoratori hanno ricevuto la busta paga, restando scoperti persino sul fronte dei versamenti previdenziali, assicurativi e contributivi a INAIL ed INPS»;
   per i co.co.co. sopra richiamati, l'articolo 12 della legge regionale 9 del 2015 pubblicato nella Gazzetta ufficiale della regione siciliana n. 20 del 15 maggio 2015 sotto il titolo «Procedure di conciliazione» ha previsto che l'assessorato regionale della autonomie locali e della funzione pubblica procedesse alla conciliazione ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile;
   sempre secondo Meridionews «nonostante i solleciti, le mail inviate all'assessorato al Territorio con gli elenchi dei lavoratori per cui far partire la conciliazione oltre ad alcune lettere di diffida e messa in mora inviate dai lavoratori alla Funzione Pubblica», si è assistito ad un «rimpallo» di competenze tra il dottor Pirillo, dirigente generale del dipartimento ambiente, e la dottoressa Giammanco, dirigente generale del dipartimento della funzione pubblica e del personale;
   il progetto Spin4Life, a causa dei lavoratori Aria sospesi – di cui dodici facevano parte dell'area di lavoro riconducibile al progetto – non potrà rispettare il cronoprogramma descritto e, conseguentemente, raggiungere gli obiettivi previsti; tale situazione ha determinato il rigetto della commissione di valutazione europea e, secondo quanto dichiarato alla testata Meridionews in data 17 novembre dal dirigente generale dottor Pirillo, la perdita delle risorse allocate, per un ammontare complessivo di 150 mila euro;
   il progressivo ridimensionamento del personale non consente di assolvere alle normali funzioni che il Servizio 3 dovrebbe garantire, considerata sia la imminente scadenza del piano di gestione del rischio di alluvioni, sia le difficoltà causate dagli ultimi accadimenti legati al dissesto idrogeologico che hanno, altresì, evidenziato problemi connessi ai mezzi e agli strumenti per procedere agli aggiornamenti del PAI –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali iniziative di competenza intenda promuovere per garantire l'attuazione degli interventi di contrasto al dissesto idrogeologico nella Regione Sicilia, in una situazione caratterizzata da una forte carenza di risorse dell'amministrazione regionale. (4-12257)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VEZZALI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   al fine di migliorare la qualità dell'offerta ricettiva del nostro Paese ed accrescere la competitività delle destinazioni turistiche, l'articolo 10 del decreto-legge n. 83 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2014, ha previsto, per il triennio 2014-2016, il riconoscimento di un credito d'imposta a favore delle imprese alberghiere esistenti alla data del 1o gennaio 2012 che effettuino interventi di ristrutturazione;
   il credito d'imposta è riconosciuto nella misura del 30 per cento delle spese sostenute e fino ad un massimo di 200.000 euro in 3 periodi di imposta, salvo esaurimento delle risorse finanziarie stanziate a tal fine (20 milioni di euro per l'anno 2015, 50 milioni di euro per ognuno degli anni dal 2016 al 2019);
   con decreto attuativo del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo del 7 maggio 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 138 del 17 giugno 2015, sono state definite le tipologie di strutture alberghiere ammesse al credito d'imposta, le tipologie di interventi agevolabili, le procedure per l'ammissione al beneficio, che dovrà comunque avvenire secondo l'ordine cronologico di presentazione delle domande, le soglie massime di spesa eleggibile e le procedure di recupero nei casi di utilizzo illegittimo dei crediti d'imposta;
   l'articolo 2, comma 1, lettera a) del suddetto decreto identifica i soggetti ammissibili al credito d'imposta e specifica che per «struttura alberghiera» si intende una struttura aperta al pubblico, a gestione unitaria, con servizi centralizzati che fornisce alloggio, eventualmente vitto ed altri servizi accessori, in camere situate in uno o più edifici. Tale struttura è composta da non meno di sette camere per il pernottamento degli ospiti. Sono strutture alberghiere gli alberghi, i villaggi albergo, le residenze turistico-alberghiere, gli alberghi diffusi, nonché quelle individuate come tali dalle specifiche normative regionali;
   le imprese che risultano avere i codici ATECO all'interno della classifica 55.2 non sono ammesse al riconoscimento del credito d'imposta, per cui non possono partecipare al riconoscimento del credito d'imposta i campeggi, i villaggi turistici; le aree di sosta, i parchi vacanza, i bed and breakfast, gli affittacamere per brevi soggiorni, le case e gli appartamenti per vacanze, così come chiarito nelle FAQ del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   il settore dell’open air, dei campeggi, e dei villaggi turistici ha registrato negli ultimi anni un costante aumento della domanda; l'offerta open air italiana ha registrato mediamente nelle ultime stagioni turistiche circa 8 milioni di ospiti ed oltre 60 milioni di presenze;
   l'offerta open air italiana è realizzata da 2.510 aziende turistico ricettive che mettono a disposizione degli ospiti una capacità complessiva di 1.358.000 posti letto, per un fatturato di circa 2,7 miliardi di euro;
   nell'ultima stagione dei circa 8 milioni di ospiti di campeggi e villaggi turistici il 4 per cento ha alloggiato in case mobili con una permanenza media di 4,5 giorni e nuclei di 4 persone;
   il turismo open air rappresenta una fetta significativa dell'afflusso di turisti stranieri nel nostro Paese in particolar modo olandesi, tedeschi, austriaci e francesi, che scelgono l'opportunità di trovarsi a stretto contatto con la natura con tutti i comfort di casa, lontani dal caos, dall'inquinamento e dallo stress anche nei periodi di maggiore affluenza delle strutture;
   milioni di italiani scelgono l'alternativa del turismo all'aria aperta per le loro vacanze, senza rinunciare alle comodità, perché condividono i valori della sostenibilità economica, ambientale e sociale ed uno stile di vita nuovo di vivere la vacanza;
   secondo i dati ISTAT, nel terzo trimestre 2015, gli arrivi negli esercizi ricettivi sono stati pari a 42,7 milioni di unità e le presenze a oltre 191,4 milioni, con aumenti, rispetto al terzo trimestre del 2014, rispettivamente del 3,1 per cento e del 2,7 per cento;
   l'industria turistica italiana è rappresentata non solo dagli esercizi alberghieri ma anche da una serie di esercizi complementari quali campeggi, villaggi turistici, ostelli per la gioventù, e altri esercizi ricettivi che incidono notevolmente sulla ricchezza complessiva del settore e sull'intera occupazione della filiera;
   le presenze negli esercizi extralberghieri nel periodo sopra indicato ammontano a circa 77,2 milioni, con un incremento del +2,4 per cento –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di assumere iniziative per:
    a) estendere il credito d'imposta, attraverso la modalità dal cosiddetto click day o attraverso altri strumenti identificati dal Governo, affinché anche alle imprese operanti nel turismo all'aria aperta venga assicurata l'opportunità di partecipare al bando;
    b) provvedere allo stanziamento delle ulteriori risorse necessarie all'erogazione del credito d'imposta ai contribuenti attualmente esclusi. (5-07914)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   FRUSONE e LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   durante la seconda guerra mondiale, la masseria Albaneta di Montecassino ebbe un ruolo cruciale nella battaglia, in quanto la zona venne prescelta come campo ideale per un tentativo di infiltrazione alle spalle delle linee difensive tedesche. Dalla Masseria Albaneta vi era infatti una stretta valle che conduceva direttamente all'obiettivo primario degli alleati, ossia l'Abbazia di Montecassino;
   la collina di Montecassino registrò la fase più cruenta della battaglia per il superamento della linea Gustav, che bloccava la via per Roma;
   quest'area, che da oltre 70 anni è territorio sacro per oltre venti popoli: anzitutto per i polacchi, che proprio qui hanno il cimitero dei caduti e altri monumenti che ricordano il sacrificio dei loro soldati, qualche mese fa, per il periodo natalizio si voleva allestire la zona con mercatini di natale, con il progetto di far nascere il «Villaggio di Babbo Natale»;
   a seguito di numerose proteste di ambientalisti, cittadini cassinati e della stessa ambasciata polacca, si è riuscito a far chiudere il villaggio; decisivo fu proprio l'incontro avvenuto tra l'ambasciatore Orlowski e l'Abbate di Montecassino Ogliari;
   in questi giorni la storica masseria Albaneta torna all'attenzione della cronaca, per l'organizzazione del «Battlefield Tour 2016» dell'Esercito Italiano. L'incontro sarebbe stato promosso dall'associazione «Albaneta Farm» con l'intento di iniziare un percorso di riscoperta e valorizzazione di un luogo storicamente e religiosamente importante;
   le tematiche dell'incontro riguardano l'analisi storico militare sulle battaglie avvenute sul territorio;
   da quanto riportato in un articolo de Il Messaggero la visita della delegazione di militari precede altre iniziative simili che dovrebbero vedere interessata la Soprintendenza ai beni culturali e storici;
   tali iniziative sono senza dubbio lodevoli, ma si collocano in un contesto particolare con una situazione in divenire con la presenza di interessi anche di un altro Stato sovrano;
   l'area privata dell'Albaneta, circa 260 ettari, secondo l'articolo succitato, sarebbe stata data in gestione all'associazione Albaneta Farm, con lo scopo di crearvi un'azienda agricola con diverse coltivazioni e produzione di birra artigianale –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero;
   se non si ritenga opportuno, alla luce delle vicende descritte in premessa, che hanno investito il sito dell'Albaneta, evitare che si possano mettere in atto iniziative che potrebbero nuovamente complicare la situazione e deteriorare i rapporti con la Polonia. (4-12238)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   alla tabella A, parte II, capoverso 31 del decreto del Presidente della Repubblica del 26 ottobre 1972, n. 633, sono ricompresi, fra i beni e servizi soggetti all'aliquota del 4 per cento, quelli relativi a «motoveicoli di cui all'articolo 53, comma 1, lettere b), c) ed f), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, nonché autoveicoli di cui all'articolo 54, comma 1, lettere a), c) ed f) dello stesso decreto, di cilindrata fino a 2000 centimetri cubici se con motore a benzina, e a 2800 centimetri cubici se con motore diesel anche prodotti in serie, adattati per la locomozione dei soggetti di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, con ridotte o impedite capacità motorie permanenti, ceduti ai detti soggetti o ai familiari di cui essi sono fiscalmente a carico»;
   la predetta agevolazione IVA, destinata a soggetti con disabilità, risulta quindi concessa solo per l'acquisto di veicoli con motore a benzina o diesel, mentre è esclusa per i veicoli a motore elettrico;
   tale differenziazione di trattamento non solo risulta illogica, laddove favorisce l'acquisto di veicoli caratterizzati da maggiori esternalità negative, ma si pone in contrasto con il processo di differenziazione delle fonti energetiche nel settore automotive necessario al fine di avvicinarsi agli obbiettivi fissati dal libro bianco sui trasporti dell'Unione europea COM(2011) 144 definitivo, che prevede di «dimezzare entro il 2030 nei trasporti urbani l'uso delle autovetture alimentate con carburanti tradizionali ed eliminarlo del tutto entro il 2050; conseguire nelle principali città un sistema di logistica urbana a zero emissioni di CO2 entro il 2030»;
   ai sensi dell'articolo 27, comma 1, della legge n. 104 del 1992, l'eventuale modifica degli strumenti di guida, quale «strumento protesico extratariffario», necessario al soggetto disabile per fare uso del veicolo, è posto, nella misura del 20 per cento, a carico dello Stato;
   come già segnalato più volte dall'ANGLAT, i costi per le modifiche di cui sopra, e quindi anche il relativo onere per lo Stato, sono tendenzialmente maggiori per le automobili con motore a combustione interna, in quanto non dotate di alcuni allestimenti, invece già presenti di serie nei veicoli elettrici (si pensi, per esempio, al cambio automatico), spesso necessari ai soggetti con disabilità –:
   se al Governo risulti che l'inclusione, nella tabella A, parte II, capoverso 31 del decreto del Presidente della Repubblica del 26 ottobre 1972, n. 633, anche degli autoveicoli a propulsione elettrica, tenuto conto anche dei prevedibili minori oneri ex articolo 27, comma 1, della legge n. 104 del 1992, determinerebbe maggiori oneri per lo Stato, e, in caso affermativo, quale sia la loro prevedibile entità;
   se il Governo reputi necessario, nel caso siano assunte iniziative per l'inclusione di tali veicoli nel capoverso citato, indicare anche dei limiti di potenza, di effetto equivalente a quelli previsti per i veicoli a combustione interna.
(2-01287) «Catalano, Pastorelli, Barbanti, Prodani, Rizzetto, Quintarelli».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GIACOBBE e GINATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i buoni fruttiferi postali (BFP) rappresentano una forma di risparmio, offrendo ai sottoscrittori la possibilità di disinvestire in qualsiasi istante con la totale garanzia del capitale investito maggiorato degli interessi nel frattempo maturati. Sono emessi dalla Cassa depositi e prestiti, garantiti dallo Stato italiano e sono sottoscrivibili e rimborsabili presso tutti gli uffici postali;
   il potere di modificare il tasso di interesse previsto anche con riferimento a serie di buoni postali già emesse, oltre che a quelle di nuova emissione, era conferito al Ministro del tesoro dall'articolo 173 del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156, (poi abrogato dal decreto legislativo 30 luglio 1999 n. 284); in particolare, la norma prevedeva la possibilità di modificare i tassi d'interesse sia per i buoni di nuova serie, emessi dalla data di entrata in vigore del decreto stesso, sia per quelli relativi a serie emesse in precedenza; lo stesso articolo 173 prevedeva inoltre che gli interessi dovevano essere corrisposti sulla base della tabella riportata a tergo dei buoni e che tale tabella, in caso di successiva variazione dei tassi, dovesse essere integrata con quella messa a disposizione dei titolari dei buoni stessi presso gli uffici postali;
   con decreto ministeriale del 13 giugno 1986, furono istituiti una nuova serie di buoni postali con lettera «Q» stabilendo che tutti i buoni fruttiferi postali delle serie precedenti (serie L,M,N, O) fossero convertiti in serie «Q» tale attribuzione rappresentava un declassamento delle serie precedenti, presentando tassi d'interesse molto più bassi rispetto a quelli sottoscritti al momento dell'acquisto;
   con riferimento ad un buono postale fruttifero trentennale del valore di lire 500.000, serio O, la somma da corrispondersi alla scadenza naturale del 31 dicembre 2014 doveva essere pari a lire 17.329,651, oggi euro 8.950,02, ma il sottoscrittore al momento della riscossione, ha appreso che la somma liquidata sarebbe stata notevolmente inferiore rispetto a quanto indicato sulla tabella posta sul retro del titolo stesso, pari a 4.166,03;
   sul retro del buono postale, venivano specificate le somme rimborsabili secondo una dettagliata tabella riportante l'indicazione degli anni e dei relativi bimestri e del saggio di interesse applicabile. Sul buono non veniva riportato alcun riferimento ad alcuna disposizione normativa che potesse prevedere un mutamento unilaterale dei saggi d'interesse convenuti e/o delle somme rimborsabili;
   nella liquidazione dell'importo, Poste Italiane (S.p.A riteneva applicabile il combinato disposto di cui all'articolo 173 del decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973 (Testo Unico in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni) e articolo 6 del decreto del Ministero del tesoro n. 148 del 1986, provvedendo pertanto a rimborsare agli intestatari una somma complessivamente inferiore rispetto a quanto reso noto all'acquirente al momento dell'acquisto del buono postale;
   nella causa civile promossa con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, l'avvocato difensore di Poste, davanti il giudice adito, preliminarmente ha sollevato una serie di eccezioni pregiudizievoli di rito («difetti di forma del giudizio» che attendono ai requisiti necessari della domanda e che sono indispensabili per la continuazione del processo) e nel merito, in via subordinata, una serie di mere argomentazioni difensive, dirette, genericamente, a contestare la fondatezza della pretesa del risparmiatore, onde ottenere la dichiarazione di nullità del decreto ingiuntivo, in quanto «infondato, ingiusto ed illegittimo»;
   la sentenza del 29 settembre 2015 pubblicata dal giudice di Pace di Savona ha accolto il ricorso di circa venti possessori di buoni investiti dalla diminuzione dei saggi di interesse. Le eccezioni di rito avanzate dall'avvocato della società Poste Italiane sono state superate dal giudice di pace;
   il giudice ha adeguatamente motivato in sentenza che la controversia non verte su leggi relative a prestiti pubblici o su leggi sul debito pubblico, ma semmai riguarda le problematiche di interpretazione e applicazione dell'articolo 173 decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973 (così come integrato dall'articolo 6 del decreto ministeriale n. 148 del 13 giugno 1986), che è una norma facente parte del «Testo Unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni» che non detta una normativa in materia postale di titoli del debito pubblico, ma regola la materia dei buoni postali fruttiferi emessi da Poste italiane (che non sono titoli di Stato);
   si rivela la natura contrattuale e privatistica del rapporto instaurato, chiaramente riconosciuta, precedentemente, dalle, sezioni unite della corte di Cassazione nella sentenza n.13979/2007 sostenendo, che tra i sottoscrittori dei buoni e Poste italiane si instauri un rapporto di natura contrattuale e privatistica che fa sì che alla fattispecie in esame si applichino le norme di diritto privato;
   inoltre, dalla stessa sentenza, si legge che il tribunale di Napoli, nell'ordinanza del 16 luglio 1999, ha censurato l'articolo 173 del decreto del Presidente della Repubblica n.156 del 1973 e successive modifiche, nella parte in cui consentiva l'estensione dell'intervenuta variazione del saggio di interesse anche alla serie di buoni postali fruttiferi precedentemente emessi, senza che tale variazione fosse comunicata al domicilio del titolare dei buoni per consentirgli il tempestivo esercizio di diritto di recesso;
   ad avviso del Tribunale di Napoli, l'articolo 173 del decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973, diversamente regolando la materia, ingenerava una ingiustificata disparità di trattamento fra gli utenti di analoghi servizi, determinando uno scoraggiamento del risparmio postale privo di garanzie di trasparenza e chiarezza apprestate per il risparmio ed investimento presso istituti di credito;
   l'abrogazione delle disposizioni contenute nei capi V e VI del titolo I del libro III del decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973 (compreso anche articolo 173), l'articolo 7, comma 3 del decreto legislativo n. 284 del 1999 prevede che «i rapporti già in essere (...) continuano ad essere regolati dalle norme anteriori», apparentemente consentendo il protrarsi della già denunciata disparità di trattamento in danno della tutela del risparmio e dei diritti fondamentali dell'individuo, penalizzando altresì il risparmiatore di ieri rispetto a quello di oggi, ancorché entrambi siano fruitori dei medesimi servizi di risparmio postale;
   l'applicazione di Poste italiane invocata dal combinato disposto di cui agli articoli 173 decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973 e articolo 6 del decreto ministeriale del Tesoro n. 148 del 1986, oltre a determinare una disparità di trattamento tra risparmiatori, più volte stigmatizzata dalla giurisprudenza, sotto il profilo della legittimità costituzionale, comporta anche una violazione del principio di irretroattività della legge sancito dall'articolo 11 delle preleggi;
   in risposta ad una interrogazione svolta in commissione, il sottosegretario Zanetti, ha sottolineato che la possibilità degli interessati «di essere portati tempestivamente e capillarmente a conoscenza della generalità dei risparmiatori» sarebbe stata «soddisfatta attraverso il regime di pubblicità legale degli atti normativi (pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale)»; questo appare, di fatto, insufficiente, in particolare alla luce della discussione in corso sulla trasparenza nel rapporto tra chi propone investimenti e i risparmiatori;
   come ritenuto dalla Corte di Cassazione, il risparmiatore deve essere tutelato nel caso in cui, pur vigendo determinati tassi di interesse, i buoni postali fruttiferi emessi a suo favore siano stati rilasciati con l'apposizione a tergo di una tabella di tassi di interesse più favorevoli ma già superati al momento dell'emissione del buono stesso a maggior ragione dovrà essere tutelato il sottoscrittore, che abbia acquistato un buono postale fruttifero corredato di una tabella per la liquidazione dei tassi di interesse corrispondenti a quella prevista dalla normativa che lo ha istituito, senza essere stato contrattualmente informato della possibilità di successiva variazione i tassi, anche in senso peggiorativo e che a seguito dell'intervento di una normativa di rango secondario (decreto ministeriale n. 148 del 1986) si veda decurtato di molto il rendimento del buono, in contrasto con le condizioni contrattuali sottoscritte al momento della emissione del buono stesso e senza ricevere alcuna comunicazione –:
   se il Ministro non intenda assumere iniziative, per quanto di propria competenza, per ripristinare la certezza giuridica del calcolo degli interessi dei buoni fruttiferi postali, secondo le legittime aspettative dei sottoscrittori, a tal fine intervenendo presso Poste italiane spa, così evitando il proliferare di contenziosi in sede giurisdizionale con inevitabili costi aggiuntivi e dilatazione dei pagamenti. (5-07923)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RABINO e DAMBRUOSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la nuova articolazione dei tribunali, attuata dal decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, e dal decreto legislativo 19 febbraio 2014, n. 14, coinvolge anche la struttura degli ordini territoriali dei dottori commercialisti e degli esperti contabili in quanto, ai sensi dell'articolo 7 del decreto legislativo 28 giugno 2005, n. 139, essi sono costituiti in relazione alle circoscrizioni dei tribunali e all'iscrizione all'albo di un determinato ordine territoriale;
   diversi ordini locali costituiti in corrispondenza di tribunali soppressi, hanno chiesto al consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili quale comportamento adottare a fronte delle richieste di iscrizione nell'Albo e nel registro del tirocinio di soggetti che hanno la residenza o il domicilio professionale in un comune ricompreso nel circondario di un ordine territoriale istituito in corrispondenza di un tribunale soppresso, ovvero in un comune attribuito al circondario di altro tribunale e conseguentemente ad altro ordine territoriale;
   in conseguenza di tali criticità, sia nel corso del 2013 che dai primi mesi del 2014, il dipartimento affari giustizia ha richiesto gli elementi chiarificatori ai fini del suindicato adeguamento e il consiglio regionale dell'ordine dei dottori commercialisti ha provveduto alla trasmissione dei dati richiesti;
   per i consigli territoriali forensi, che presentavano problematica analoga, corrispondendo il loro ambito di competenza a quello dei tribunali, l'amministrazione della giustizia ha già provveduto, fin dal 2014, chiarendo che sono soppressi ex lege gli ordini costituiti presso i 31 tribunali soppressi;
   alla luce dell'ingiustificata inerzia da parte del Ministero della giustizia in merito al riassetto degli ordini a seguito della nuova organizzazione dei tribunali, sta scatenandosi sulla stampa un inopportuno dibattito sulle prospettive di proroga dell'attuale consiglio nazionale in scadenza il 31 dicembre 2016, che rischia di trascinare la categoria in un clima di conflittualità pericolosamente simile a quello che alla fine del 2012 portò addirittura al commissariamento del consiglio da parte del Ministro della giustizia;
   l'individuazione, da parte del Ministero della giustizia, in qualità di amministrazione vigilante, dei criteri da adottare per risolvere le questioni relative agli ordini territoriali dei commercialisti interessati dalle soppressioni dei tribunali previste dal decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, appare tanto più urgente e necessaria in considerazione dell'approssimarsi delle elezioni per gli ordini territoriali dei commercialisti. Ciò sul rilievo che è interesse di tutta la categoria dei professionisti coinvolti, come già evidenziato dagli organi di stampa, scongiurare il rischio di proroghe dei consigli tuttora in carica, motivate dalla mancata adozione, da parte del Ministero della giustizia, in qualità di amministrazione vigilante, degli adempimenti di competenza, dovuti proprio all'esito di un provvedimento quale è quello sulla geografia giudiziaria, adottato proprio da codesta medesima amministrazione;
   alla luce del nuovo assetto territoriale degli ordini dei commercialisti, unitamente alla considerazione dell'avvenuto commissariamento, appare quindi estremamente opportuno, oltre che doveroso, garantire il pieno espletamento del diritto degli elettori e dei candidati ad esercitare il proprio voto nel rispetto dei principi della democraticità e trasparenza –:
   quali siano i motivi dell'inerzia, secondo gli interroganti ingiustificata, da parte del Ministero della giustizia in merito al riassetto degli ordini a seguito della nuova organizzazione dei tribunali, nonché all'individuazione, da parte della stessa amministrazione vigilante, dei criteri da adottare per risolvere le questioni relative agli ordini territoriali dei commercialisti interessati dalle soppressioni dei tribunali previste dal citato decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155. (5-07912)


   GADDA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il codice di procedura penale autorizza il sequestro preventivo quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati;
   possono essere oggetto di sequestro, anche beni deperibili e beni facilmente deteriorabili che richiedono una particolare cura e adeguata conservazione, o il cui valore si modifica nel tempo, fino ad azzerarsi;
   nel caso di dissequestro disposto dall'autorità procedente o di perdita di efficacia del sequestro medesimo per effetto della sentenza di proscioglimento, il valore dei beni sequestrati sovente è pregiudicato, posto che ciò di solito avviene tempo dopo l'esecuzione del provvedimento cautelare stesso; si pensi ai beni che sono deperiti o deteriorati, a prescindere dalla cura usata per la conservazione degli stessi;
   tale fatto si traduce in un pregiudizio, in un danno economico che può considerarsi ingiusto soprattutto se riferito a soggetti poi assolti al termine del procedimento penale;
   parrebbe corretto, a parere dell'interrogante, garantire a questi soggetti la tutela dei loro diritti senza alcuna limitazione;
   in relazione a tutto ciò lo Stato viene chiamato a dare conto dei danni subiti dai soggetti proprietari di questi beni, anche con possibili ricadute sulle finanze pubbliche;
   non si può dimenticare poi che, anche nel caso di condanna dei proprietari dei beni sequestrati, in conseguenza di una cattiva o inappropriata custodia degli stessi, il nocumento non è escluso, giacché tali beni potrebbero in ipotesi essere devoluti per scopi benefici –:
   quali siano le procedure utilizzate per la conservazione di beni facilmente deteriorabili e deperibili e che quindi possono subire pregiudizi dall'esecuzione di un sequestro preventivo;
   se esistano forme di risarcimento, ed in forza di quali procedure, per la perdita o il danneggiamento del bene sottoposto a sequestro preventivo, sia per il caso di dissequestro, sia per il caso di assoluzione e sia anche per il caso di condanna dei proprietari dei beni sequestrati;
   a quanto ammonti la spesa annua dell'amministrazione per far fronte, nei casi di cui sopra, ai danni subiti dai soggetti proprietari di beni sottoposti a sequestro preventivo ed alle procedure di relativa custodia. (5-07916)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo unico della legge n. 319 del 2 aprile 1958, così come modificato dall'articolo 10 della legge n. 533 dell'11 agosto 1973, prevede l'esonero da ogni spesa e tassa per i giudizi di lavoro;
   nello specifico la modifica apportata alla norma citata dall'articolo 10 della legge 11 agosto 1973 prevede l'esenzione per: «Gli atti, i documenti e i provvedimenti relativi alle cause per controversie individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego, gli atti relativi ai provvedimenti di conciliazione dinanzi agli uffici del lavoro e della massima occupazione o previsti da contratti o accordi collettivi di lavoro nonché alle cause per controversie di previdenza e assistenza obbligatorie sono esenti, senza limite di valore o di competenza, dall'imposta di bollo, di registro e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura. Sono allo stesso modo esenti gli atti e i documenti relativi alla esecuzione sia immobiliare che mobiliare delle sentenze ed ordinanze emesse negli stessi giudizi, nonché quelli riferentisi a recupero dei crediti per prestazioni di lavoro nelle procedure di fallimento, di concordato preventivo e di liquidazione coatta amministrativa. [...]»;
   l'articolo 12 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124, prevede la «Diffida accertativa per crediti patrimoniali, che consente al personale ispettivo delle Direzioni del lavoro, nell'ambito della propria attività di vigilanza, di diffidare il datore di lavoro a corrispondere gli importi dovuti ai lavoratori che dovessero risultare dagli accertamenti eseguiti;
   il comma 3 dell'articolo 12 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124, testé richiamato, prevede espressamente che: «Decorso inutilmente il termine di cui al comma 2 [30 giorni dalla notifica della diffida accertativa] o in caso di mancato raggiungimento dell'accordo, attestato da apposito verbale, il provvedimento di diffida di cui al comma 1 acquista, con provvedimento del direttore della Direzione provinciale del lavoro, valore di accertamento tecnico, con efficacia di titolo esecutivo»;
   sono emersi dubbi interpretativi in merito al regime delle spese da applicare in materia di notifiche degli atti di precetto fondate su diffide accertative della direzione territoriale del lavoro ex articolo 12 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124;
   tali dubbi sono stati formalizzati, attraverso la richiesta di pareri da parte dell'autorità giudiziaria al Ministero della giustizia (dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi direzione generale del personale e della formazione), in due distinte occasioni: nell'ottobre 2014 dalla corte di appello di Firenze (Rif. Prot. n. 6557-m–dg-IV.5.2 del 29 ottobre 2014) nel giugno 2015 dalla corte di appello di Ancona (Rif. Prot. n. 3105 del 30 giugno 2015);
   a tali richieste di parere, sulla corretta applicazione del regime di esenzione per i giudizi di lavoro, il dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi direzione generale del personale e della formazione del Ministero della giustizia ha chiarito, adottando una interpretazione restrittiva della legge n. 319 del 2 aprile 1958, così come modificata dall'articolo 10 della legge n. 533 dell'11 agosto 1973, che il dubbio interpretativo va risolto nel senso di una esclusione della diffida accertativa ex articolo 12 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124, dal regime di esonero previsto dalla 319/1958 e successive modifiche, in quanto pur vertente in materia di lavoro la diffida suddetta non è conseguente a provvedimento giurisdizionale (cfr. comunicazione Prot. VI-DOG/155/03-1/2015/CA, Roma 18 febbraio 2015, a firma del direttore generale del dipartimento);
   richiamando un precedente orientamento dello stesso Ministero, risalente a 1995 (cfr. nota prot. n. 5/702/03-1/PAC/sc del 3 aprile 1995 della direzione generale degli affari civili e delle libere professioni – Ufficio V) il Ministero della giustizia ha inteso escludere l'esenzione della spesa di esecuzione, inoltre, in quanto passibile di contestazione di danno erariale («dalla disposizione richiamata è assente qualsiasi riferimento alla fattispecie per la quale, con il quesito di cui trattasi, viene chiesta l'esenzione dalle spese di esecuzione con consequenziale onere a carico dell'erario delle stesse, il che configurerebbe l'ipotesi di un danno erariale ammettendosi un'interpretazione estensiva del dettato normativo in esame, finora mai seguita da questa Amministrazione centrale in quanto tale procedimento non è espressamente richiamato dalla norma» (cfr. comunicazione Prot. VI-DOG/540/03-1/2015/CA, Roma 30 luglio 2015, a firma del direttore generale del dipartimento);
   la Corte Costituzionale, con sentenza n. 227 del 2001, ha fornito, per converso, una interpretazione di carattere estensivo dell'articolo 10 della legge n. 533 dell'11 agosto 1973 – che ha modificato il previgente regime previsto dalla legge n. 319 del 2 aprile 1958 – nel senso di ritenere compresi nell'ambito dell'esenzione anche procedimenti non formalmente contemplati ma pur sempre finalizzati alla tutela del credito di lavoro, ciò in quanto "Una diversa lettura dell'articolo 10 rivelerebbe del resto una radicale incoerenza interna della norma, fonte di irragionevoli disparità di trattamento, e condurrebbe a negare l'esenzione a una serie di procedimenti non menzionati dal secondo comma, con evidente e irragionevole discriminazione rispetto a quelli esplicitamente esentati;
   in merito al richiamato orientamento giurisprudenziale della Consulta, la direzione generale del personale e dei servizi direzione generale del personale e della formazione ha chiarito che non rientra nelle proprie prerogative «recepire l'indirizzo giurisprudenziale emergente dalla sentenza della Corte costituzionale n. 227/2001 in data 4 luglio 2001» (cfr. comunicazione Prot. VI-DOG/540/03-1/2015/CA, Roma 30 luglio 2015) –:
   se il Ministro interrogato non intenda adottare iniziative, anche di carattere normativo, al fine di estendere l'esenzione ex articolo 10 della legge n. 533 dell'11 agosto 1973, anche alle diffide accertative ex articolo 12 del decreto legislativo 23 aprile 2004 n. 124. (4-12245)


   CANCELLERI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   considerati i principi fondamentali in materia di tutela del minore. Dalle convenzioni internazionali e comunitarie alle linee guida del Consiglio d'Europa del 2010;
   la recente acquisizione del diritto internazionale e comunitario, nonché degli ordinamenti statali, il passaggio da una visione arcaica, che vedeva il bambino come soggetto passivo di diritti e di potestà parentali, ad una concezione che riconosce la soggettività giuridica del minore, in quanto portatore di interessi, di bisogni e di desideri meritevoli di ascolto e di considerazione, oltre che nelle formazioni sociali in cui si forma e si esprime la sua personalità, anche in ambito giudiziale, nei procedimenti che incidono sulla sua vita;
   a livello comunitario, tali principi sono stati affermati dalla Convenzione di Strasburgo del 1996 (ratificata con legge 20 marzo 2003 n. 77) che prevede un vero e proprio diritto del minore all’«ascolto informato», con la specificazione dei noti criteri guida in materia di esaustività dell'ascolto. La Convenzione europea infatti afferma che al minore («purché considerato dalla legge nazionale come avente un sufficiente discernimento») debbono essere riconosciuti una serie di diritti di informazione e di rappresentanza;
   da ultimo, sono intervenute le linee guida del Consiglio di Europa per una giustizia a misura di minore del 17 novembre 2010, che attribuiscono primaria importanza alla partecipazione del minore, sia intesa come diritto di essere informato, che di essere ascoltato. In particolare, si dice: «Dovrebbe essere rispettato il diritto di ogni minore di essere informato sui suoi diritti, di disporre di idonee modalità per accedere alla giustizia, e di essere consultato e ascoltato nei procedimenti che lo coinvolgono o lo riguardano. In particolare, si dovrebbe dare il giusto riconoscimento alle opinioni del minore, tenendo conto del suo grado di maturità e delle sue eventuali difficoltà di comunicazione al fine di rendere significativa la sua partecipazione». Un'ulteriore affermazione di rilievo, connessa proprio alla centralità del minore nei procedimenti che lo riguardano, è quella relativa alla necessità di un approccio di tipo specialistico e multidisciplinare da parte degli organismi che si occupano di minori;
   s'impone dunque la costruzione di una giustizia a misura di minore, sia prima che durante il procedimento giudiziario;
   si segnala, infine, che è stato, da ultimo, costituito l'Osservatorio nazionale per l'infanzia e per l'adolescenza per gli anni 2014 — 2016, suddiviso in gruppi di lavoro, uno dei quali, relativo al sostegno della genitorialità, che è coordinato da un componente dell'ufficio legislativo del Ministero della giustizia;
   la circolare del capo del dipartimento n. 1 del 18 marzo 2013, recante «Modello di intervento e revisione dell'organizzazione e dell'operatività del Sistema dei Servili Minorili della Giustizia» e i relativi disciplinari prevedono che i direttori dei centri per la giustizia minorile, nelle more della ridefinizione delle dotazioni organiche, ove la situazione del personale sia insufficiente a coprire i ruoli professionali necessari, provvederanno per centri di prima accoglienza a:
    a) prevedere l'utilizzazione «a chiamata», all'atto di ingresso di minori nel Centro di prima accoglienza (Cpa) del personale polizia polizia penitenziaria e educativo in forza all'attiguo istituto penale minorile;
    b) prevedere l'utilizzazione «a chiamata», all'atto di ingresso di minori nel C.P.A. del personale educativo in forza all'attigua comunità;
    c) stipulare accordi con il provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria per l'eventuale impiego di personale di polizia penitenziaria di supporto nelle traduzioni e nei piantonamenti, nonché di personale femminile;
    d) ricorrere a enti del privato sociale per progetti educativi di supporto, anche di assistenza e vigilanza, solo dopo che siano state esperite tutte le possibilità organizzative sopra individuate;
    e) valorizzare e non disperdere la specificità professionale acquisita dal personale a disposizione nello svolgimento dei compiti istituzionali;

   i centri di prima accoglienza prestano servizio per minori di genere maschile e femminile, considerata la rilevanza del servizio Cpa, nell'ambito del sistema penale minorile e considerato al contempo il flusso di utenza di minori in alcuni Cpa;
   va tenuto conto dei flussi di utenza dell'ultimo triennio dei centri di prima accoglienza, da intendersi come criteri soglia di ciascuno per la differenziazione delle tipologie organizzative funzionali degli stessi, della struttura e della posizione logistica dei Cpa, in relazione alla vicinanza territoriale agli altri servizi minorili; della consistenza quali-quantitativa del personale, della prioritaria necessità di garantire una compiuta attuazione dei provvedimenti disposti dall'Autorità giudiziaria minorile;
   il Centro di prima accoglienza per minorenni di Caltanissetta ha registrato, negli ultimi anni, i più alti valori nazionali di presenze giornaliere, come dimostrato dall'esame dei dati desumibili dal sito internet del dipartimento, infatti, nell’«Analisi dei flussi di utenza dei servizi della giustizia minorile. Anno 2014» si legge, a pagina 64, che «i valori più alti si sono osservati nelle comunità di Caltanissetta e Catanzaro, con 7 presenze giornaliere»;
   il Cpa di Caltanissetta, grazie anche alla consolidata esperienza dei propri operatori nella programmazione di interventi alternativi alla detenzione, si è quotidianamente impegnata nel trattamento dei minorenni in essa collocati in esecuzione dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria, predisponendo, nell'interesse degli stessi, attività di studio e di lavoro, nonché progetti di tipo ricreativo;
   un'ipotetica chiusura/trasformazione della comunità maschile di Caltanissetta determinerebbe quindi il venir meno di un fondamentale presidio di questo distretto, caratterizzato da una criminalità che, soprattutto in ben individuati territori, assume caratteristiche di serio allarme sociale –:
   sulla base di quali criteri e indici verranno decise le chiusure trasformazioni o le trasformazioni dei centri di prima accoglienza per la giustizia minorile e se si intenda tenere in conto, come criterio fondamentale, quello dell'efficienza.
(4-12261)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanze:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   l'articolo 17-septies del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, prevede che, «al fine di garantire in tutto il territorio nazionale i livelli minimi uniformi di accessibilità del servizio di ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica (...) con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (...) è approvato il Piano nazionale infrastrutturale per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica»;
   il piano, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 280 del 2 dicembre 2014, fissa (pagina 19) i seguenti obbiettivi infrastrutturali: «2016 – 90000 punti di ricarica accessibili al pubblico», «2018 – 110000 punti di ricarica accessibili al pubblico», «2020 – 130000 punti di ricarica accessibili al pubblico»;
   non risultano agli interpellanti aggiornamenti del piano successivi alla sua emanazione;
   dal confronto con numerosi operatori del settore, risulta agli interpellanti che la predisposizione di punti di ricarica per veicoli elettrici, accessibili al pubblico, proceda con alcune difficoltà, in particolare a causa dei lunghi tempi di ritorno sull'investimento, e che il numero di punti di ricarica attivi sia ancora inferiore a quello previsto nel Piano per l'anno corrente;
   risulta, parimenti, che la diffusione delle infrastrutture di ricarica potrebbe sottoporre, soprattutto nelle eventuali fasi di picco, a un notevole stress le infrastrutture elettriche urbane, in particolare durante il periodo estivo, in contemporanea con l'aumento di richiesta derivante dall'uso dei condizionatori;
   d'altra parte, proprio presso le stazioni ferroviarie, tipici nodi di scambio intermodale, capillarmente diffusi sul territorio, sono disponibili linee elettriche dedicate alla trazione dei convogli ferroviari, non dipendenti dalla rete urbana;
   come si legge nella nota rilasciata da Ferrovie dello Stato italiane il 9 dicembre 2015, contestualmente alla firma del contratto per la cessione a Terna della rete elettrica ad alta tensione di proprietà di Rete ferroviaria italiana, «l'acquisizione della rete di RFI dà a Terna la piena disponibilità delle reti ad alta tensione così da poterne ottimizzare l'uso anche in vista di una maggiore diffusione delle fonti di energia rinnovabili che richiedono una forte capillarità sul territorio della rete alta tensione» –:
   se il Governo ritenga possibile che le linee elettriche per trazione ferroviaria possano essere utilizzate, dopo aver operato le necessarie derivazioni, al fine di alimentare stazioni di ricarica per veicoli elettrici poste in prossimità delle stazioni ferroviarie.
(2-01286) «Catalano, Galgano, Mucci, Quintarelli».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   con «sistema di riqualificazione elettrica» si definisce un sistema che consente di trasformare un veicolo con motore endotermico in un veicolo con esclusiva trazione elettrica e costituito almeno da un motopropulsore a monte degli organi di trasmissione, un pacco batterie e un'interfaccia con la rete per la ricarica dello stesso;
   l'articolo 17-terdecies del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, rubricato «norme per il sostegno e lo sviluppo della riqualificazione elettrica dei veicoli circolanti», prevede che «per le modifiche delle caratteristiche costruttive e funzionali dei veicoli in circolazione delle categorie internazionali L, M e N1, consistenti nella trasformazione degli stessi in veicoli il cui motore sia ad esclusiva trazione elettrica, si applica l'articolo 75, comma 3-bis, del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285»;
   in forza di tale richiamo, gli interventi di riqualificazione elettrica conformi a quanto previsto nel relativo decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, contenente «norme specifiche per l'approvazione nazionale dei sistemi, componenti ed entità tecniche, nonché le idonee procedure per la loro installazione quali elementi di sostituzione o di integrazione di parti dei veicoli» sono esentati dalla necessità di ottenere l'eventuale nulla osta della casa costruttrice del veicolo di cui all'articolo 236, secondo comma, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, salvo che sia diversamente disposto nei decreti medesimi»;
   dopo una lunga attesa, giustificata dalla complessità tecnica della materia e dalla necessità di sottoporre lo schema di decreto al controllo della Commissione europea, è recentemente entrato in vigore il decreto 1o dicembre 2015, n. 219, regolamento recante sistema di riqualificazione elettrica destinato ad equipaggiare autovetture M e N1;
   fino all'entrata in vigore di tale regolamento, l'impossibilità di riomologare in Italia i veicoli oggetto di riqualificazione elettrica costringeva i proprietari a trasferirli in altri Paesi dell'Unione europea, dove esistono soggetti privati autorizzati a omologare tali veicoli, e riportarli poi in Italia, il che limitava il ricorso a tale tecnologia a un piccolo mercato di appassionati e, dal lato dell'offerta, a strutture e procedure essenzialmente artigianali;
   oggi, invece, c’è la possibilità di completare le procedure burocratiche presso il più vicino CPA e di omologare kit di riqualificazione da produrre in serie consente uno sviluppo industriale del mercato;
   i significativi vantaggi in termini di costo rispetto ai veicoli elettrici nuovi consentono di controbilanciare uno dei maggiori limiti alla diffusione di veicoli a trazione elettrica, ossia l'elevato prezzo d'acquisto, così velocizzando quel processo di differenziazione delle fonti energetiche nel settore automotive necessario al fine di avvicinarsi agli obbiettivi fissati dal libro bianco sui trasporti dell'Unione europea COM(2011) 144 definitivo, che prevede di «dimezzare entro il 2030 nei trasporti urbani l'uso delle autovetture alimentate con carburanti tradizionali ed eliminarlo del tutto entro il 2050; conseguire nelle principali città un sistema di logistica urbana a zero emissioni di CO2 entro il 2030»;
   al fine di favorire l'avvio del mercato della riqualificazione elettrica dei veicoli ai sensi del citato articolo 17-terdecies, si potrebbe introdurre una detrazione IRPEF, modellata su quella prevista in materia di riqualificazione energetica immobiliare dall'articolo 14 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 90;
   alternativamente o cumulativamente, si potrebbe prevedere un'aliquota IVA agevolata del 10 per cento, sempre per gli interventi di riqualificazione elettrica dei veicoli effettuati ai sensi dell'articolo 17-terdecies citato –:
   quali maggiori oneri per lo Stato potrebbero derivare, rispettivamente, dalla previsione della detrazione IRPEF e dell'agevolazione IVA di cui in premessa;
   quale sia l'orientamento del Governo circa l'opportunità di introdurre delle agevolazioni alla riqualificazione elettrica dei veicoli effettuati ai sensi dell'articolo 17-terdecies del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134.
(2-01290) «Catalano, Galgano, Mucci, Pastorelli, Quintarelli».

Interrogazione a risposta orale:


   LATRONICO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale 658 Potenza-Melfi è un'arteria fondamentale per la Basilicata e l'intero Mezzogiorno data la presenza del polo industriale dell'automobile (lo stabilimento Fiat di Melfi con oltre 10 mila addetti). Costituisce l'asse di collegamento tra l'area del Vulture, l'area di Potenza e la direttrice tirrenica, da un lato e dall'altra la fascia adriatica e l'asse Bari-Napoli;
   la strada statale 658 è caratterizzata da elevati livelli di criticità a causa delle caratteristiche del tracciato: ha una sola carreggiata, e il manto stradale deteriorato, manca di segnaletica e di asfalto drenante e risulta essere totalmente inadeguata all'elevato volume di traffico pesante e pendolare circolante;
   il sistema infrastrutturale lucano presenta molte carenze sul piano viario, della sicurezza e della manutenzione, specie per quanto riguarda le principali arterie che collegano i principali punti di interesse della regione. Il collegamento viario è l'unico modo per spostarsi fuori e dentro una regione in cui non è neanche assicurata l'intermodalità tra gli esigui servizi di trasporto pubblico locale;
   secondo i dati dell'ANAS la regione Basilicata è interessata da 27 lavori in corso di cui 3 nuove costruzioni e 24 opere di manutenzione straordinaria per un importo totale di 144.728.006,00 euro (Iva esclusa);
   sulla strada statale 658 Potenza-Melfi dal chilometro 0.000 al chilometro 48.130 sono attualmente in corso 2 lavori di manutenzione straordinaria:
    1) nuovo itinerario Potenza-Melfi ci sono lavori di messa in sicurezza del tracciato stradale in tratti saltuari tra il chilometro 0,000 al chilometro 48.131 – 1o stralcio. L'impresa esecutrice dell'opera è la «A.T.I. TECNIS SPA – SINTEC SPA.» L'importo lavori principali è di 15.351.579,99 euro mentre l'importo totale è 19.074.157,74 euro (fonte stradeanas.it);
    2) dal chilometro 29.300 al chilometro 34,200 sono in corso i lavori di manutenzione straordinaria per la sostituzione dei corrimano, ammalorati sui parapetti in bordo in c.a. lungo i viadotti «Agromonte», «Strascinati», «Spaccatornesi» e «Scalzacani». L'impresa esecutrice dell'opera è D'Amato Mario. L'importo dei lavori principali ammonta a 169.145,70 euro, mentre l'importo totale è di 170.490,92 euro (fonte stradeanas.it);
   il Codacons, nei giorni scorsi, ha rilanciato i dati sulle opere incompiute in Italia che nel 2014 sono arrivate a quota 868 rispetto alle 692 del 2013 secondo l'ultimo dato disponibile all'anagrafe delle opere pubbliche del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Ponti mai utilizzati, dighe progettate negli anni ‘60 e lasciate in stato di abbandono, strade, e infrastrutture di interesse nazionale, iniziate e mai portate a termine con un costo di circa 4 miliardi euro. Tra queste figura anche il tratto stradale 658 Potenza-Melfi;
   secondo l'associazione dei consumatori, per il progetto definitivo di messa in sicurezza della strada statale 658 occorrono 5,4 milioni di euro per i lavori dell'Anas, compartimento della viabilità per la Basilicata, relativi al tracciato stradale che prevede la realizzazione di corsie aggiuntive riservate ai veicoli lenti e pesanti distribuite lungo l'arteria, in modo da agevolare le manovre di sorpasso ed assicurare maggiore sicurezza agli automobilisti;
   la pericolosità della Potenza-Melfi è aumentata in maniera sproporzionata negli ultimi anni e si è registrato un incremento dei sinistri anche con tragiche conseguenze a causa delle cattive condizioni dell'infrastruttura. Queste u1time si sono verificate su strade lucane nella maggior parte dei casi incomplete, che necessitano di lavori di manutenzione e/o di nuove costruzioni. È indispensabile intervenire per la messa in sicurezza anche al fine di rispettare gli obiettivi posti in sede europea sulla riduzione dell'incidentalità stradale e sull'abbattimento del numero dei morti sulle strade –:
   se il Ministro possa fornire informazioni in merito alla programmazione già finanziata e non attuata relativamente alla strada statale 658 Potenza-Melfi;
   quali iniziative intenda attivare nei confronti di Anas per la messa in sicurezza delle strade lucane, anche al fine di ridurne l'incidentalità e se siano, in particolare, effettivamente previsti investimenti per il potenziamento e lo sviluppo della rete viaria lucana. (3-02055)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MOGNATO e NACCARATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 marzo 2015 i firmatari del presente atto interrogavano il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in merito alla cosiddetta prassi del «nomadismo dei patentini» connessa all'ottenimento del certificato di formazione professionale (c.f.p.) ADR in Slovenia da parte di molti autisti residenti in Italia, causando in questo modo una situazione di potenziale svantaggio e concorrenza indebita nei confronti degli operatori che conseguono la certificazione in Italia (in particolare in Veneto e in Friuli Venezia Giulia), ove vengono adottati criteri di selettività molto rigidi;
   in data 2 luglio 2015, rispondendo all'interrogazione, il Governo affermava che «per quanto riguarda in particolare i certificati di formazione professionale conseguiti in Slovenia, è stata interessata la competente Autorità Slovena al fine di ottenere informazioni circa il corretto raggiungimento dei previsti livelli di preparazione, anche per i candidati di lingua italiana che conseguono tale certificato presso gli Enti sloveni»;
   il c.f.p. ADR – Agreement of Dangerous Goods abilita il possessore alla conduzione di mezzi adibiti al trasporto di beni pericolosi come carburanti, prodotti chimici, rifiuti, certificandone pertanto anche l'idoneità a gestire situazioni di potenziale pericolo, come un incidente stradale;
   nei giorni scorsi la stampa del Nordest ha dato conto della permanenza di tale fenomeno, in particolare evidenziando come in alcune località slovene sarebbe possibile ottenere il c.f.p. ADR in un fine settimana, mentre in Italia per il conferimento del medesimo titolo abilitante è prevista la frequenza continuativa ad un corso e il superamento di un esame molto selettivo –:
   se siano pervenute le informazioni attese da parte delle autorità slovene come indicato nella risposta all'interrogazione citata e quali iniziative il Ministro, nell'ambito delle proprie competenze, intenda adottare per scongiurare tale situazione di indebita concorrenza e potenziale criticità per la sicurezza del trasporto di merci pericolose. (5-07924)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LAFFRANCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il completamento della superstrada Rieti-Temi sembrava essere ad un punto di svolta quando, nel 2014, la conferenza di servizi di Anas-direzione generale dei lavori, raccolti tutti i pareri necessari aveva avallato la realizzazione degli ultimi 800 metri e, in particolare, aveva rilasciato il nulla osta per la costruzione del sistema di rotatorie e svincoli che avrebbero collegato la superstrada a Colli sul Velino sino all'intera dorsale dei comuni reatini confinanti con l'Umbria, per arrivare poi a Leonessa;
   la consegna prevista per la fine del 2015 nella zona ternana a tutt'oggi non si è ancora realizzata a causa non solo dei ritardi nell'esecuzione dei lavori, ma soprattutto per l'inchiesta che ha investito la Tecnis spa, la società di costruzioni edili impegnata nella realizzazione dell'ultimo tratto umbro della Rieti-Temi e nello specifico delle gallerie lungo la Salaria, tra Micigliano e Posta;
   la procura della Repubblica siciliana, su richiesta della direzione distrettuale che ha coordinato le indagini dei carabinieri dei Ros di Catania, il 23 febbraio 2016 ha disposto l'amministrazione giudiziaria e il sequestro delle quote e delle azioni della Tecnis spa. Al provvedimento si è abbinata la nomina di un amministratore giudiziario per sei mesi, ulteriormente rinnovabili, al fine di risanare e reimmettere nel mercato l'azienda, in modo che possa operare nel rispetto delle regole e al riparo da interventi della criminalità organizzata;
   a seguito del provvedimento sopra citato si deduce facilmente che almeno per un anno i lavori per il completamento della Rieti-Temi saranno bloccati e analoga situazione si vivrà a Micigliano, dove lo stesso ostacolo si verificò anche cinque anni fa, con l'impresa dell'epoca, la Safab, che fu raggiunta da un'interdittiva antimafia e a cui l'Anas applicò la risoluzione del contratto di appalto;
   a protestare per primi sono stati gli operai al lavoro nel cantiere al confine con l'Umbria che, supportati dalle organizzazioni sindacali ternane, già a ottobre avevano proclamato lo stato di agitazione. Stato di agitazione che lo scorso gennaio, nel cantiere di Micigliano sulla Salaria per Ascoli, si era subito trasformato in tre giorni di sciopero –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda che interessa il cantiere della superstrada Rieti-Terni e quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di giungere quanto prima al completamento dell'ultimo tratto stradale la cui ultimazione è di fondamentale importanza per il collegamento dell'intero territorio umbro, nonché di evitare eventuali ripercussioni occupazionali a discapito degli operai del cantiere in questione.
(4-12253)


   RIZZO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'invaso di Pietrarossa, progettato nel lontano 1988 e finanziato dall'ex Cassa per il Mezzogiorno, per un costo complessivo di 145 miliardi di lire, come opera strategica destinata a irrigare le campagne di mezza Sicilia oggi può annoverarsi tra le grandi «incompiute» siciliane;
   il serbatoio, progettato per una capacità totale d'invaso di 45 milioni di metri cubi, aveva la finalità di distribuire un volume utile di 35 milioni di metri cubi oltre che di incrementare la disponibilità idrica della diga di Ogliastro per soddisfare le necessità irrigue di vaste aree (circa 22.000 ettari) della Piana di Catania ricadenti tra le valli dei fiumi Margherito e Gornalunga e prevalentemente nei comuni di Aidone, Ramacca, Castel di ludica, Grammichele, Mineo, Palagonia, Scordia, Francofonte e Lentini;
   destinare all'uso irriguo i volumi regolati da tale sistema idrico, consentiva peraltro di liberare per l'uso potabile corrispondenti volumi di acque sotterranee, che in Sicilia vengono purtroppo, in larga misura, utilizzate in modo improprio per l'agricoltura; in data 8 maggio 1986, a seguito del voto n. 15 della delegazione speciale ex Casmez del Consiglio superiore lavori pubblici, il progetto della diga di Pietrarossa fu finanziato per un importo totale di lire 145.506.563.874 e affidato, quale ente appaltante, al Consorzio di bonifica di Caltagirone (oggi Consorzio di bonifica 7 Caltagirone) e appaltato al raggruppamento Lodigiani-Cogei (in seguito assorbito dall'Impregilo); i lavori di costruzione della diga sono iniziati il 16 febbraio 1989 e il 19 maggio 1993 sono stati sospesi a causa della necessità di eseguire interventi necessari alla sistemazione del pendio in frana, in sponda destra, indispensabili per la funzionalità dell'opera; il 15 maggio 1997 i lavori sono stati ripresi per poi essere nuovamente sospesi in data 20 ottobre 1997 a causa di un ordine di sospensione della Soprintendenza dei beni culturali di Enna per la presenza nell'area d'invaso di un sito archeologico oggetto di vincolo ai sensi della legge n. 1089 del 1939;
   alla data di sospensione dei lavori la diga era realizzata per circa il 95 per cento e mancano circa 6 metri al suo completamento;
   la mancata risoluzione, da parte del Governo regionale, del conflitto d'interessi che si è creato tra l'interesse archeologico e quello idrico non ha consentito di completare la diga e, quindi, di arrecare benefici alle popolazioni per le quali era stata finanziata, né ha consentito di poter fruire del sito archeologico che, trovandosi in prossimità dell'alveo, è sistematicamente sommerso di acqua durante le stagioni particolarmente piovose; uguale sorte subisce la viabilità a valle con conseguenti problemi di sicurezza pubblica; a tutto quanto sopra descritto, occorrerà aggiungere il danno all'erario che si è comunque già verificato, qualunque sia la decisione che sarà adottata; danno che è suscettibile di nuova lievitazione quanto più tardi interverrà detta decisione; ancora più rilevante è il pericolo incombente che può rivelarsi in parte grave in funzione dell'intensità degli eventi atmosferici e collegati alla possibilità degli organi di scarico di smaltire tutta l'acqua invasata; in tale scenario potrebbe non essere possibile escludere, con certezza, la tracimazione dell'opera che si rivelerebbe devastante per le popolazioni a valle, unitamente al danno ambientale che potrebbe verificarsi, in modo irreversibile, se non si risolve il citato conflitto d'interessi in modo da poter consentire l'adozione dei necessari provvedimenti;
   il completamento dell'invaso, al confine fra la provincia di Enna e il Calatino-Sud Simeto, è, infatti, fermo, benché in grado di garantire risorse fondamentali per l'utilizzo a fini irrigui in un territorio, come quello isolano, sempre più a rischio di desertificazione;
   l'opera, così come concepita, raggiungerebbe insieme alla traversa sul fiume Dittaino e alla Diga Ogliastro (Don Sturzo) una capacità complessiva di circa 150 milioni di metri cubi d'acqua, risolvendo definitivamente ogni problema di siccità in un'area di circa 22 mila ettari, compresa tra la Piana di Catania, l'area di Lentini e il Calatino-Sud Simeto;
   nel 1993, a seguito del rinvenimento di un insediamento risalente all'epoca romana, i lavori sono stati interrotti; dal 1997, dopo un breve periodo di ripresa di circa 10 mesi, i lavori sono fermi, sia sul fronte degli scavi archeologici sia su quello del completamento dell'invaso;
   con nota del 28 febbraio 2014 il direttore del consorzio di bonifica 7 Caltagirone e ingegnere responsabile della diga Don Sturzo e della Diga Pietrarossa, dottor Fabio Bizzini, comunicava alle prefetture di Catania ed Enna e alla presidenza della regione siciliana e all'assessorato regionale all'agricoltura come il consorzio, da 17 anni, abbia potuto operare esclusivamente per garantire la costanza delle condizioni di officiosità degli scarichi profondi che consentono al fiume Pietrarossa di attraversare lo sbarramento intubandosi nella galleria dello scarico di fondo e che l'enorme area dell'invaso, con un perimetro di decine di chilometri non recintato, poteva e può essere governata e vigilata solo con l'opera ’in funzione o con un cantiere regolarmente impiantato. L'abbandono del cantiere da parte dell'impresa e l'incompiutezza dell'opera determinano l'impossibilità di contrastare adeguatamente furti, danneggiamenti e accessi abusivi tutti regolarmente denunciati alle autorità competenti;
   la missiva rilevava inoltre che di fronte ad uno scenario idrologico eccezionale l'incompletezza dell'opera costituirebbe fonte di gravissimo pericolo per i territori a valle e che tale scenario non è evitabile con alcun intervento provvisorio ma solo con il completamento della diga;
   per il completamento dell'opera, già realizzata al 95 per cento, occorrerebbero ulteriori 50 milioni di euro per come risulta già agli atti del assessorato dell'agricoltura della regione siciliana;
   la direttiva dell'allora Presidente del Consiglio dei ministri D'Alema 4 agosto 1999 «Applicazione della procedura di valutazione d'impatto ambientale alle dighe di ritenuta» al fine di conseguire l'ottimale utilizzazione delle risorse idriche e superare ogni incertezza normativa in materia di valutazione dell'impatto ambientale ha inserito Diga Pietrarossa nell'elenco delle dighe per le quali, in considerazione dell'avanzatissimo stato dei lavori, la procedura di valutazione d'impatto ambientale non sia ipotizzabile; per le opere ricadenti nell'elenco, infatti, l'attivazione della procedura – che per sua natura si riferisce al momento progettuale – non potrebbe comunque assolvere lo scopo cui è diretta giacché l'impatto ambientale si è già determinato con l'inizio della fase realizzativa;
   assolutamente insufficienti sono i finanziamenti statali e regionali in materia di grandi dighe; gli ultimi contributi regionali al consorzio di bonifica 7 Caltagirone per la gestione delle dighe risalgono all'anno 2008 con il finanziamento delle perizie per la custodia e vigilanza nell'ambito delle risorse finanziarie assegnate ai sensi dell'articolo 87 della legge regionale n. 17 del 2004;
   da anni gli agricoltori, che vivono il dramma legato alla mancanza d'acqua, si battono per vedere ultimato il restante 5 per cento dell'invaso, opera considerata strategica non solo per lo sviluppo agricolo ma anche per le sue ricadute occupazionali. Il 95 per cento dell'opera, infatti, è stato realizzato con l'impiego medio di 200 unità di lavoratori da parte delle due ditte aggiudicatarie che si sono succedute negli anni;
   sono enormi i fondi pubblici spesi (oggi sarebbero 70 milioni di euro) per un'opera rimasta incompiuta da quasi 20 anni, nel disinteresse totale del Governo regionale sia per il completamento della diga che per il recupero e la valorizzazione dei reperti archeologici rinvenuti in località Casalgismondo –:
   se intenda farsi promotore di un tavolo di lavoro tra la direzione generale dighe del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti la regione e il Consorzio di bonifica 7 Caltagirone per definire rapidamente modalità e tempi utili al completamento dei lavori dell'invaso Pietrarossa e alla tutela dell'interesse archeologico in funzione delle decisioni del Governo della regione siciliana;
   come intenda sostenere finanziariamente, per quanto di competenza, la risoluzione del contenzioso pendente in carico ad oggi al Consorzio di bonifica 7 Caltagirone dovuto al mancato completamento dell'opera;
   come intenda recuperare le risorse finanziare necessarie al completamento dell'opera, attingendo anche ai fondi per le opere incompiute e per il dissesto idrogeologico. (4-12259)


   PAGANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio nisseno il contraente generale «Empedocle 2» sta realizzando, per il secondo lotto, il corridoio plurimodale tirrenico Nord Europa, itinerario Agrigento – Caltanissetta – A19, strada statale 640 di Porto Empedocle, ammodernamento e adeguamento alla categoria B del decreto ministeriale 5 novembre 2001;
   l'opera è costituita dal primo tratto dall'ammodernamento della strada statale 640 per un totale di 31 chilometri per il primo lotto e ricade nel territorio della provincia di Agrigento. Il secondo maxi lotto è compreso tra il chilometro 44 e lo svincolo di (mera per un totale di 28,2 chilometri, ricadendo nel territorio provinciale di Caltanissetta e, solo per l'ultimo tratto, in quello di Enna;
   l'esecuzione delle opere, sia a cielo aperto sia in galleria, ha prodotto e sta producendo svariati milioni di metri cubi di terre e rocce da scavo, per la cui gestione il decreto ministeriale n. 161 del 2012 prevede specifiche azioni;
   la società Empedocle nel progetto esecutivo aveva inserito, all'interno del piano di utilizzo delle terre, tutte le cave presenti in prossimità dell'ammodernamento stradale in cui conferire le terre e le rocce da scavo per i recuperi ambientali;
   per la realizzazione del primo lotto la società Empedocle 1 ha proposto direttamente i progetti, di recupero ambientale delle varie cave ai soggetti istituzionali competenti. Molti di questi progetti di recupero, come quelli relativi alle cave dei territori di Racalmuto (Cava Rocca Rossa) e Grotte (Cava Scintilia-Racalmare), furono inseriti nel progetto esecutivo dell'adeguamento della strada statale 640. In particolare, per la cava Rocca Rossa la Società Empedocle 1, con missiva del 15 gennaio 2010, prot. 00118/10/PR/ga, inviata alla società F.lli Mantia, esercente della cava «Rocca Rossa», comunicava che: «detto progetto è stato inserito nel progetto esecutivo dell'opera in oggetto e sottoposto alla positiva verifica di ottemperanza effettuata dalla Commissione speciale VIA/VAS in data 25 maggio 2009, comunicata alla regione siciliana – servizio VIA/VAS – Assessorato Territorio e Ambiente. Tuttavia, nessuno di questi progetti risulta all'interrogante essere stato portato a termine, né sono stati realizzati i terrazzamenti previsti per la piantumazione delle essenze arboree;
   il paesaggio rimanente è un accumulo di terre prive di una qualsiasi sistemazione, con mancanza di manto vegetale e di opere di canalizzazione delle acque piovane. Il tutto indurrebbe a ritenere che dette aree siano state utilizzate non per il recupero bensì come «discariche di terre», per cui avrebbero dovuto essere sottoposte alla normativa del decreto legislativo n. 152 del 2006 sui rifiuti;
   nel secondo lotto la società Empedocle 2 ha condotto la stessa indagine del primo lotto, ma la differenza sostanziale sta nel fatto che il contraente generale, pur avendo inserito nel progetto esecutivo le aree di cava degradate, a quanto risulta all'interrogante avrebbe sempre cercato di trovare altre aree, anche non degradate, che si trovassero quanto più vicino all'asse della costruenda arteria stradale. Di conseguenza, sarebbero state conferite le terre da scavo, durante la prima fase dei lavori, all'interno di cave esistenti, per poi abbandonarle al proprio destino senza di fatto mai portare a termine il recupero ambientale approvato dagli enti di competenza. Esempio lampante è l'ex cava Sabucina, area vincolata dal punto di vista archeologico, sita nel territorio di Caltanissetta, autorizzata per recupero ambientale dallo stesso comune in data 2 ottobre 2009 prot. No 58821 e supportata dai vari nulla osta sia dell'Ispettorato dipartimentale delle foreste di Caltanissetta, sia della Soprintendenza per i beni culturali prot. 2849 del 14 settembre 2009 Pos. BN9305-1;
   proprio per questa area la società Empedocle aveva stipulato il contratto no 530 in data 28 maggio 2014 con la Soc. Ecosystem s.r.l. di Caltanissetta, destinataria dell'autorizzazione del progetto di recupero ambientale, impegnandosi a conferire te terre e le rocce da scavo, al fine d mettere in atto quanto autorizzato in tale progetto;
   tale area ancora oggi può ricevere oltre 400.000 metri cubi per completare il progetto di recupero;
   purtuttavia, la società Empedocle 2, a giudizio dell'interrogante in palese contrasto con le disposizioni del piano di utilizzo delle terre inserito tra gli elaborati del progetto esecutivo, ad oggi sta abbancando terre e rocce da scavo in un'area sub-pianeggiante a destinazione agricola posta a qualche centinaio di metri dalla stazione Xirbi e dal Borgo Petilia, quando invece alla stessa distanza dai cantieri, si poteva continuare il ripristino nell'area degradata della ex cava Sabucina. Se l'abbancamento delle terre in detta area non fosse stato vantaggioso per il contraente generale, questi avrebbe potuto effettuarlo su di un'altra area posta in prossimità (a pochissimi chilometri lungo la stessa strada statale 122-bis al chilometro 12), ovvero, presso l'ex cava Cutucchiaro, già inserita nel piano di utilizzo delle terre dove era previsto un abbancamento di metri cubi 100.000, per riempire il fossato della vecchia attività estrattiva;
   tale sito era stato anch'esso inserito nel progetto esecutivo del raddoppio della strada statale 640, per il conferimento delle terre e rocce da scavo per il recupero ambientale. Il versante nord di tale cava è attualmente soggetto a fenomeni franosi a causa del mancato riempimento, creando un serio pericolo alla viabilità locale e all'incolumità delle persone, lungo la strada statale 122-bis. Proprio per questo sito, la società Empedocle 2 si era fatta proponente del progetto di recupero ambientale, inoltrandolo all'Ispettorato dipartimentale delle foreste di Caltanissetta in data 29 novembre 2013 (prot. 3106/13/MB/PP) al fine di ottenere il rilascio del nulla osta idrogeologico, per poi disinteressarsene, a quanto pare, con la motivazione che detto sito non era più d'interesse per la stessa società, ovvero per motivi economici;
   le terre che dovevano essere conferite nell'area di progetto erano quelle derivanti dall'esecuzione della galleria denominata «Bersaglio», posta tra la progressiva 18+460 e la progressiva 18+755 e dagli scavi provenienti dalla realizzazione dello svincolo «Caltanissetta Nord», tra la progressiva 25+820 e la progressiva 26+010. I volumi delle terre oggetto di sbancamento dovevano essere tali da realizzare per intero il progetto di recupero ambientale, senza ricorrere ad altri cantieri già presenti lungo il tracciato stradale. La mancata esecuzione del recupero ambientale, con abbancamento di terre all'interno del fossato, ha comportato l'innesco di frane nel versante, con la conseguenza che, in caso di piogge copiose, la strada statale 122-bis che confina con la ex cava, verrà interessata dal dissesto –:
   se il Governo, in virtù di quanto esposto in premessa e per quanto di competenza, intenda assumere iniziative per verificare lo stato di fatto e vigilare sulle scelte progettuali ancora da attuare, allo scopo di salvaguardare il territorio delle due province siciliane da eventuali danni ambientali, idrogeologici, paesaggistici ed economico-sociali;
   se risulti al Governo per quali ragioni il progetto esecutivo relativo al conferimento di terre e rocce da scavo di cui al decreto ministeriale n. 161 del 2012 sia stato sostituito con nuovi progetti;
   considerato che la seconda galleria porterà a giorno circa 1.000.000 metri cubi di materiale argilloso lavorato con acque e polimeri con caratteristiche prettamente fangose, quali siano i siti su cui verrà collocato tutto il fango prodotto dalla realizzazione di tale opera e se sia stato stimato l'impatto ambientale;
   visto che solo siti a conformazione morfologica tipicamente a «fossa» possono essere recettivi dei sopra menzionati fanghi, se le cave a fossa inserite nel progetto esecutivo della strada statale 640, possano essere, come previsto, oggetto di abbancamento, allo scopo di completare il recupero dell'area Sabucina ed iniziare il recupero nell'ex cava «Cuticchiaro».
(4-12262)


   MATARRESE, D'AGOSTINO, DAMBRUOSO, VARGIU e PIEPOLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'11 febbraio 2016 è stato presentato l'aggiornamento 2015 del contratto di programma 2012-2016 tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e rete ferroviaria italiana;
   nel corso della presentazione è stata delineata la strategia di investimenti sulla rete ferroviaria italiana che dovrebbe non solo soddisfare le esigenze degli utenti in termini di miglioramento dell'efficienza e della qualità dei trasporti ma anche raggiungere obiettivi relativi ad una serie di macro aree ben definite quali il trasporto pubblico locale, lo sviluppo dei corridoi TEN-T, il trasporto viaggiatori e merci, i collegamenti con gli aeroporti e i porti, lo sviluppo delle nuove tecnologie l'incremento della sicurezza;
   secondo quanto si evince dai documenti pubblicati da Rete ferroviaria, italiana gli obiettivi dell'aggiornamento 2015 al contratto di programma 2012-2016 saranno raggiunti tramite l'investimento di circa 9 miliardi di euro;
   per il trasporto pubblico locale sono previsti investimenti in ambito regionale per oltre 3,5 miliardi di euro con interventi per migliorare gli standard di sicurezza e la regolarità, con upgrad tecnologici, con un miglioramento della qualità offerta e con lo sviluppo di nuovi modelli di integrazione modale nel trasporto regionale e metropolitano;
   per quanto riguarda lo sviluppo dei corridoi europei TEN-T che attraversano l'Italia (Scandinavo-Mediterraneo, Baltico-Adriatico, Reno-Alpi e Mediterraneo) sono previsti investimenti pari a circa 5,4 miliardi di euro. Per questo capitolo gli interventi pianificati prevedono il potenziamento dei collegamenti ferroviari (nuove infrastrutture e tecnologie di ultima generazione), l'adeguamento della prestazione delle linee per sviluppare il traffico merci (peso assiale, sagome, lunghezza modulo), l'efficientamento dei collegamenti con i porti e il potenziamento dei collegamenti con gli aeroporti;
   in particolare, per quanto riguarda il trasporto pubblico locale sono previsti interventi di ammodernamento infrastrutturale e tecnologico delle linee ferroviarie regionali, di raddoppio delle linee a semplice binario e di velocizzazioni di linee convenzionali delle direttrici verticali di collegamento con il Sud Italia, interventi per migliorare l'accessibilità, il comfort e il sistema di informazione al pubblico nelle stazioni ferroviarie e lo sviluppo di elementi relativi alla mobilità sostenibile;
   per quanto riguarda, invece, lo sviluppo dei corridoi TEN-T, sono previste nuove risorse per circa 5,2 miliardi di euro di cui oltre 4,4 per completare gli interventi in corso per avviare i nuovi lotti costruttivi delle grandi opere sulle linee ferroviarie inserite nei corridoi che attraversano l'Italia. In particolare, le risorse saranno destinate alle nuove infrastrutture ferroviarie previste fra Brescia e Padova, asse orizzontale del sistema AV/AC italiano, al terzo valico e alla galleria di base del Brennero;
   dal documento pubblicato da Rete ferroviaria italiana, si evince che saranno potenziate le linee convenzionali che rientrano nei corridoi europei TEN-T ovvero Venezia-Trieste, asse orizzontale Torino-Padova, Bologna-Padova, Direttissima Firenze-Roma e Napoli-Salerno- Battipaglia-Reggio Calabria;
   le strategie delineate prevedono finanziamenti per circa 500 milioni di euro per i collegamenti con gli aeroporti Milano Malpensa, Roma Fiumicino, Venezia Marco Polo, Bergamo Orio al Serio, Genova e Catania Fontanarossa nonché il miglioramento della connessione con i principali porti italiani, i poli retroportuali e logistici e i raccordi ferroviari dei più importanti stabilimenti produttivi;
   per quanto riguarda lo sviluppo dell'area «tecnologie e sicurezza», l'aggiornamento 2015 del contratto di programma 2012-2016 prevede fondi per 1,7 miliardi di euro di cui 1,2 per la messa in sicurezza delle infrastrutture allo scopo di prevenire danni causati da fenomeni di dissesto idrogeologico e rischio sismico, per la soppressione dei passaggi a livello e per l'accessibilità alle stazioni nonché circa 500 milioni per l'upgrading tecnologico;
   da quanto si evince dagli organi di informazione e dall'elaborazione dei dati forniti da Rete ferroviaria italiana contenuta in un rapporto redatto dal quotidiano Il Mattino, però, sembrerebbe e gli interventi programmati per il Sud Italia siano minimi ed in particolare Il Mattino li definisce «meno di un decimo di quelli previsti nel resto della penisola» e in particolare evidenzia che sul totale dei fondi previsti solo 474 milioni di euro sarebbero destinati allo sviluppo di opere nel Sud Italia;
   secondo gli organi di stampa, le grandi opere assorbirebbero 4.469 milioni di euro suddivisi su quattro interventi tutti previsti nel Nord Italia: 1.500 milioni per l'alta velocità Brescia-Verona, 1.500 milioni per la tratta Verona-Vicenza, 869 milioni per il valico del Brennero e 600 milioni per quello dei Giovi;
   secondo il rapporto del Mattino, gli investimenti per migliorare l'accesso dei treni nelle aree metropolitane, con l'obiettivo di consentire l'ingresso e la partenza di un convoglio ogni tre minuti, senza più colli di bottiglia e sovrapposizioni tra linee ad alta velocità e linee pendolari, riguarderebbero solo «Roma (172 milioni), Firenze (70 milioni), Milano (45 milioni), Torino (30 milioni) e Bologna (30 milioni)» ovvero tutte le città metropolitane del Centro Nord escluse Genova e la lagunare Venezia. Nulla sarebbe invece programmato nelle sei città metropolitane del Mezzogiorno: Napoli, Bari, Reggio Calabria, Palermo, Messina e Catania;
   la disparità negli investimenti sarebbe evidente anche per i collegamenti ferroviari diretti con gli aeroporti e dal rapporto si evince che gli aeroporti interessati sarebbero solo Genova, Milano Malpensa, Bergamo, Venezia, Roma Fiumicino e Catania Fontanarossa;
   per quanto riguarda il trasporto regionale, il documento evidenzia «solo 100 milioni per interventi in Calabria, 100 milioni per la Sardegna e 96 milioni da ripartire tra Campania, Puglia, Calabria e Sicilia per un totale di 296 milioni», ma li paragona ai 415 milioni di euro investiti «solo» per la Pistoia-Lucca;
   per quanto riguarda la sicurezza, invece, sull'investimento totale di 1200 milioni di euro, «solo» alcuni interventi (260 milioni per fattori idrogeologici e 80 per rispettare norme antisismiche) sarebbero destinati alla messa in sicurezza delle linee ferroviarie del Mezzogiorno e della Liguria. Interventi, questi, che però non migliorano la qualità del servizio benché siano assolutamente necessari;
   per ciò che concerne la linea ferroviaria Salerno-Reggio Calabria è in programma un adeguamento della velocità a 200 chilometri orari, ma nell'aggiornamento del contratto di programma sarebbero previste solo alcune decine di milioni di euro per un adeguamento tecnologico tra Napoli e Battipaglia;
   allo scopo di intercettare il traffico merci del Mediterraneo (aumentati dopo il raddoppio del Canale di Suez) la strategia delineata da rete ferroviaria italiana sarebbe quella di integrare il sistema portuale con la rete ferroviaria favorendo in enti prioritari che riguardano i porti di Trieste nell'Adriatico e di Genova nel mar Ligure, cui si aggiunge «l'eliminazione di interferenze» con le linee ferroviarie che arrivano allo scalo portuale di Ravenna. Di contro, il documento elaborato dal Mattino evidenzia che non sarebbero previsti interventi per Gioia Tauro, per Napoli e per Taranto ovvero proprio per i porti meglio posizionati sulla linea Gibilterra-Suez;
   il 14 aprile 2015, il 29 settembre 2015 ed il 26 gennaio 2016 sono state discusse ed approvate tre distinte mozioni del gruppo parlamentare di Scelta Civica riguarda ti lo stato di crisi del Mezzogiorno d'Italia e sulle possibili soluzioni e la Camera dei deputati, nel prendere atto dell'importanza delle infrastrutture del Sud come elemento strategico per lo sviluppo dell'economia italiana, ha inteso indirizzare le politiche dell'Esecutivo verso l'adozione di misure volte al miglioramento delle infrastrutture stesse e alla graduale riduzione del divario esistente tra le regioni del Sud e quelle del Nord;
   secondo i documenti pubblicati da Rete ferroviaria italiana, la prossima legge di stabilità dovrà prevedere investimenti per ulteriori 8,2 miliardi di euro che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Rete ferroviaria italiana dovrebbero destinare a specifiche opere nell'elaborazione dell'aggiornamento 2016 del contratto di Programma 2012-2016 parte investimenti –:
   quali siano le linee politiche che il Governo intende adottare al fine del concreto sviluppo delle infrastrutture del Sud Italia e, con particolare, riferimento al citato ed ulteriore investimento di 8,2 miliardi di euro, quali siano le opere che intenda finanziare e porre in essere nel Mezzogiorno. (4-12264)

INTERNO

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI, RIZZETTO e MUCCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 20 febbraio 2016, alla presenza del capo della polizia e del direttore centrale delle specialità, è stato ufficialmente inaugurato a Trieste il nuovo «Centro Polifunzionale» della Polizia di Stato di San Sabba, intitolato all'Ispettore capo, medaglia d'oro al valore, Luigi Vitulli.
   il complesso, che ospita la nuova sede del compartimento della polizia stradale FVG, della sezione polizia Stradale di Trieste, del Commissariato di Polizia stradale polo San Sabba, dell'Ufficio sanitario provinciale, e di uffici della polizia di frontiera marittima dell'ufficio prevenzione generale della questura, è stata oggetto di due interrogazioni, senza risposta, dello scrivente – la n. 4-07672 del 26 gennaio 2015 e la n. 4-10561 del 30 settembre 2015 – nonché di alcune denunce della segreteria del SILP CGIL Trieste, che ha presentato un esposto alla procura della Repubblica, alla Corte dei Conti e all'Autorità Nazionale Anticorruzione, ancora senza esito, oltre ad alcuni interventi della segreteria della Federazione Uil Polizia.
   le criticità, ripetutamente segnalate, della nuova struttura riguardano principalmente l'assenza degli accessi dedicati ai disabili previsti per legge ed i problemi legati alla vigilanza dello stabile stesso e dell'intero comprensorio in cui è inserito.
   Il Criba (Centro regionale di informazione sulle barriere architettoniche) del Friuli Venezia Giulia, che opera nel contesto della consulta regionale delle associazioni dei disabili – secondo una «lettera aperta»; rivolta al prefetto Pansa e pubblicata il 20 febbraio 2016 dal Silp Cgil – ha documentato «le difficoltà di accesso all'immobile per i dipendenti e gli utenti disabili: l'unica entrata prevista alla nuova struttura dalla strada pubblica è costituita da una scalinata, mentre la via alternativa per accedere alla caserma, oltre ad essere carente di indicazioni, sembra un percorso ad ostacoli che conduce poi all'ingresso carraio dei mezzi di servizio e dove la strada raggiunge una pendenza insostenibile e un marciapiede non a norma per una persona con disabilità motoria. Inoltre è completamente assente la segnaletica tattilo-plantare per le persone con disabilità visiva. Oltre alla difficoltà di accesso, lo stesso ingresso alternativo è sostanzialmente raggiungibile solo da un disabile che possieda la macchina, risultando quindi assolutamente discriminatorio « ed impraticabile nelle giornate di vento»;
   sempre secondo la lettera aperta del Silp Cgil, «l'immobile, che è stato costruito dal Comune di Trieste con la supervisione del Provveditorato alle Opere Pubbliche, come tutti gli uffici dipendenti dalla Questura, non è ancora provvisto del Documento di Valutazione dei Rischi; con un Corpo di Guardia sistemato inutilmente all'incontrario – e sovradimensionato – con i controsoffitti che nei giorni di vento, se non si fa attenzione, volano via; ascensori che si bloccano, ecc. L'intera struttura che lo circonda è fatiscente e inquinata (da amianto e da idrocarburi), oltre che essere confortevole rifugio di colonie di topi (che si servivano anche in mensa»;
   per quanto concerne l'accesso veicolare pedonale al complesso, è affidato ad un solo operatore per turno in servizio al commissariato-polo di San Sabba, che presta servizio all'interno di un container privo di qualsiasi misura di protezione e chiaramente inadatto allo scopo.
   come riferisce la segreteria provinciale del Silp Cgil in un comunicato stampa, «dopo la consegna di un documento congiunto, in cui si segnalavano le disfunzioni delle opere realizzate e le priorità di intervento, ad iniziare dalla prestazione di un corpo di guardia dignitoso e funzionale e dall'approntamento delle misure a favore del pubblico disabile», e di un sopralluogo, a margine della cerimonia, il capo della Polizia ed il direttore, centrale delle specialità avrebbero manifestato il proprio personale impegno per dei provvedimenti risolutivi rispetto alle critiche situazioni presentate e personalmente rilevate –:
   se il Ministro interrogato intenda verificare la presenza del documento di valutazione dei rischi per tutte le strutture dipendenti dalla Questura di Trieste e fornire, in caso di assenza dello stesso le dovute motivazioni;
   se intenda comunicare i motivi per i quali, nonostante le numerose segnalazioni, non abbia dato corso ai dovuti interventi sia in relazione alla sicurezza, che all'accessibilità della struttura e del comprensorio di San Sabba.
   se intenda fornire le tempistiche degli interventi di cui il capo della polizia ed il direttore centrale si sono fatti carico in prima persona. (4-12263)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale n. 44 del 2008 costituisce la fonte normativa dalla quale dipendono i più consistenti finanziamenti destinati agli istituti privati di cultura per la loro attività di ricerca;
   il finanziamento avviene su base triennale e 122 istituti, sono stati inseriti nella prima tabella approvata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per il triennio 2011-13, a fronte della presentazione di accurate relazioni annuali sull'attività svolta, su quella programmata e sulle pubblicazioni; il tutto, accompagnato da analitiche rendicontazioni di spesa;
   le domande per il successivo triennio (2014-2016) sono state presentate nel novembre 2014, sulla base del bando emanato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, come per il triennio precedente, la misura del contributo oscilla, per ciascun istituto destinatario, da un minimo di 50 mila ad un massimo di 400 mila euro in tre anni;
   dal nuovo riparto triennale, che dopo essere stato licenziato dalla commissione ministeriale è stato trasmesso al Parlamento per essere sottoposto al previsto parere, sono rimaste escluse molte Fondazioni che, grazie alla qualificata attività che svolgono, rivestono grande prestigio;
   con riferimento alle procedure per l'assegnazione gli interpellanti rilevano quanto segue:
    a) la commissione ministeriale (istituita presso il Dipartimento per la formazione superiore e per la ricerca del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca) si è espressa con clamoroso ritardo, licenziando la relativa tabella al termine del triennio di riferimento (2014-16), con ciò aggravando la situazione di precarietà nella quale da tempo versano gli istituti di cultura privati;
    b) nel bando per il triennio 2014-16 sono state destinate risorse agli istituti per un totale di 3.000.000 di euro, contro i 4.448.934 euro stanziati nel 2011 e per gli anni a seguire;
    c) la differenza, solo apparente, è dovuta al mancato inserimento in tabella dell'Istituto di studi politici S. Pio V di Roma, per il quale è comunque previsto, in base alle legge 293/2003, uno stanziamento annuo di 1.500.000 euro, che grava sul medesimo capitolo 1679 relativo alle assegnazioni dei contributi a enti istituti e fondazioni;
    d) gli istituti e le fondazioni destinatarie del contributo erano, nella tabella del triennio 2011-13, complessivamente 122; nella tabella del triennio 2014-16 sono stati ridotti a 42;
   le motivazioni di tali scelte non sono argomentate nella «nota illustrativa» firmata dal presidente della commissione ministeriale, professoressa Maria Gabriella Signorini, che accompagna la tabella 2014-16 e che si limita a notificare che «il contributo assegnato è stato definito in base alla valutazione ottenuta dall'Ente nei diversi criteri stabiliti dal bando e adottati dalla Commissione»;
   il tutto cade in un contesto di progressiva contrazione – a volte di azzeramento – dei contributi pubblici storicamente destinati agli istituti privati ed alle fondazioni da parte del MIBACT e dagli enti locali (regioni, in primo luogo); a farne le spese sono soprattutto gli istituti meno visibili – e per ciò maggiormente bisognosi di sostegno – e più indipendenti, in quanto non direttamente collegati a formazioni politiche;
   sono attualmente in crisi conclamata o in grande difficoltà sia fondazioni che istituti di grande tradizione, istituzioni la cui meritoria e riconosciuta attività culturale meriterebbe un sostegno e un'attenzione maggiore da parte del Ministero –:
   sulla base di quali motivazioni e valutazioni vengano assegnati i contributi ai vari enti beneficiari (fondazioni, istituti ed organismi culturali);
   se non ritenga di dover assumere iniziative per rivedere il piano di riparto dei fondi destinati alle fondazioni storiche, ponendo rimedio all'esclusione di istituti culturali di forte tradizione storica altrimenti destinati ad estinzione.
(2-01288) «Melilla, Carlo Galli, Pannarale, Giancarlo Giordano».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FIORIO, GADDA, FERRARI, FIANO e LUCIANO AGOSTINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con decreto ministeriale n. 509 del 3 novembre 1999 è stato emanato il regolamento recante norme concernenti l'autonomia didattica degli atenei, con riferimento specifico alla introduzione del sistema dei crediti formativi universitari (CFU), le classi di corso di studio, la distinzione fra laurea di primo livello triennale e laurea di secondo livello specialistica;
   con decreto ministeriale n. 270 del 22 ottobre 2004 sono state dettate disposizioni concernenti i criteri generali per l'ordinamento degli studi universitari con riferimento alla articolazione dei corsi di studio in laurea di primo livello, laurea di secondo livello e lauree a ciclo unico;
   con decreto del Presidente della Repubblica n. 89 del 2009 è stato rivisto l'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione, mentre con decreto del Presidente della Repubblica n. 89 del 2010 è stato rivisto l'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei; con successivi regolamenti, sono stati riordinati gli istituti tecnici e gli istituti professionali;
   l'insieme delle norme sopra richiamate produce un effetto negativo sul livello di competenza dei docenti e sui « curricula» degli alunni delle scuole di ogni ordine e grado per quanto riguarda la storia antica, greca e romana, in quanto ne deriva una marginalizzazione della storia antica, con pesanti conseguenze nel processo di maturazione culturale e civica degli allievi nelle scuole italiane e con un oggettivo impoverimento di abilità e competenze atte a concorrere ad un adeguato processo formativo;
   i «curricula» previsti dall'ordinamento vigente stabiliscono che la storia antica venga presentata ai ragazzi della V classe elementare, che essa non sia più insegnata nella scuola secondaria di primo grado e sia invece insegnata nelle scuole secondarie di secondo grado, ivi compresi i licei, per un numero di ore spesso ulteriormente ridotto per la combinazione dell'insegnamento della storia antica con quello della geografia (geostoria);
   in assenza di un intervento normativo adeguato ed organico, nel volgere di una generazione, in Italia si conoscerà la storia greca e romana solo nei licei classici e per quanto presentato sommariamente in V elementare (per un totale di 6 ore di insegnamento) senza altre possibilità di approfondimento critico, con la conseguenza di cancellare il patrimonio storico delle fasi in cui si è formata la civiltà europea, dal mondo greco a quello romano e al momento dell'incontro fra Cristianesimo e impero romano;
   alla luce della normativa richiamata, il livello di intervento più urgente risulta essere quello della formazione e della competenza dei docenti, che può essere assicurato con una rideterminazione dei requisiti obbligatori per poter accedere all'abilitazione e al ruolo, secondo i vari percorsi definiti dalla normativa vigente (tirocinio formativo attivo – TFA e concorso nazionale);
   nella scuola primaria (elementare) è previsto l'insegnamento da parte di docenti laureati in scienze della formazione primaria (laurea magistrale a ciclo unico quinquennale) che di norma non hanno sostenuto, durante il percorso universitario, nessun esame di storia antica; la Consulta universitaria per la storia greca e romana, organo di rappresentanza dei docenti universitari di storia antica, ha proposto, con documento approvato dall'assemblea dell'8 luglio 2015, che venga fissato l'obbligo di almeno 6 crediti formativi universitari di storia antica (L-ANT/02: storia greca e L-ANT/03: storia romana) fra i 16 crediti formativi attualmente previsti per le discipline storiche nel loro insieme, e ciò in coerenza con il segmento cronologico oggetto dell'insegnamento della storia nel ciclo primario della formazione e della conseguente indispensabile preparazione da garantire agli insegnanti di questo ordine;
   nella scuola secondaria di I grado (scuola media inferiore) risulta, invece, necessaria una revisione dell'intero comparto relativo alle discipline storiche; la Consulta universitaria per la storia greca e romana ha chiesto che sia rivisto il criterio della continuità tra scuola primaria e secondaria di primo grado, con la conseguenza che lo studio della storia nella scuola secondaria di primo grado debba iniziare, in Europa e in Italia, dalla antichità classica e non dal medioevo;
   la Consulta universitaria per la storia greca e romana ritiene inoltre opportuno, per la classe concorsuale A-22 (ex 43/A – scuola media inferiore), passare da 12 a 24 crediti formativi riservati alle discipline storiche nel loro insieme, e prevedere, fra i 24 crediti formativi, un vincolo di 6 per le storie antiche (L-ANT/02: storia greca e L-ANT/03: storia romana), in ragione della necessità di fornire competenze relative al lessico politico ed istituzionale e ai valori di una civiltà che ha saputo esercitare il dialogo interculturale ed interreligioso (innesto del Cristianesimo nella civiltà romana) e della altrettanto pressante necessità di valorizzare i beni culturali antichi nella loro contestualizzazione storica –:
   se, per la scuola primaria, si intendano assumere iniziative per prevedere un maggior spazio temporale per l'insegnamento della storia antica, greca e romana, attraverso l'anticipazione alla quarta classe della sua trattazione e una più adeguata discussione sulla materia nei libri di testo;
   se, per la scuola primaria, si ritenga opportuno assumere iniziative per prevedere il vincolo di almeno 6 crediti formativi nei settori scientifico disciplinari L-ANT/02 (storia greca) e L-ANT/03 (storia romana) sui 16 previsti per la storia nella formazione degli insegnanti;
   se, per la scuola secondaria di primo grado (classe A-22 ex 43), si intendano assumere iniziative per prevedere il reinserimento dell'insegnamento della storia antica, greca e romana, nei programmi, in ragione del fatto che da essa provengono il lessico istituzionale, gli esempi di democrazia, di pratiche di buon governo e di attaccamento ai valori fondanti dell'Europa moderna;
   se non si ritenga di assumere iniziative per prevedere, per quanto concerne la formazione degli insegnanti di scuola secondaria di primo grado, il vincolo di almeno 12 crediti formativi da conseguire negli specifici settori scientifico-disciplinari L-ANT/02, storia greca, e L-ANT/03, storia romana. (5-07911)


   VACCA, COLLETTI, DEL GROSSO, MARZANA, BRESCIA, LUIGI GALLO, D'UVA, SIMONE VALENTE e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo notizie riportate dalla stampa locale abruzzese del 19 febbraio 2016, presso l'Istituto comprensivo Troiano Delfico della città di Montesilvano, in provincia di Pescara, da alcuni giorni i genitori di 45 bambini rifiutano di portare i propri figli, frequentanti la prima classe primaria, a scuola a causa di problemi legati ad una docente di scuola elementare;
   secondo quanto riportato dalla stampa, la docente in questione è una maestra della scuola elementare «Donnina Fanny Di Blasio»;
   da alcuni stralci dell'articolo del quotidiano il Centro, in particolare nel seguente spezzone, si può percepire la gravità della situazione: «“Da quando è iniziato l'anno”, raccontano le mamme che chiedono però l'anonimato, “ogni mattina è una guerra per trascinarli in classe. Piangono, urlano, mostrano stati ansiosi, si fanno la pipì addosso, tremano e singhiozzano. Hanno paura della maestra, non vogliono restare con lei. E quando accade, scappano a farsi consolare dalle altre maestre”. Una protesta “civile e dignitosa”, quella intrapresa da una quarantina di mamme che hanno già preparato due raccolte di firme, a ottobre e gennaio, avanzato un esposto ai carabinieri della locale stazione e presentato ricorso all'Ufficio scolastico provinciale»;
   il giorno 22 febbraio 2016 presso il comune di Montesilvano le mamme hanno avuto un incontro con il sindaco, l'assessore alla pubblica istruzione e il primo firmatario del presente atto nel quale hanno confermato quanto raccontato ai giornali nei giorni precedenti e hanno chiesto l'interessamento dei rappresentanti istituzionali incontrati, considerate l'urgenza e la delicatezza della vicenda;
   in un, articolo del quotidiano Il Centro del 22 febbraio 2016, come pure nell'incontro svoltosi lo stesso giorno presso il comune di Montesilvano, le mamme avrebbero denunciato «la totale chiusura delle autorità scolastiche, finora indifferenti ai problemi che denunciamo da mesi. Alle nostre rimostranze, l'unica risposta che abbiamo ottenuto è la seguente: siete una banda di mamme ansiose, mandate i vostri figli a scuola altrimenti vi denunciamo per inosservanza dell'obbligo di istruzione»;
   secondo gli interroganti è facilmente ipotizzabile una situazione che necessiti di un immediato approfondimento, attraverso tutti gli strumenti a disposizione degli istituti scolastici e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca anche per mezzo degli uffici periferici nella regione Abruzzo  –:
   se l'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo, e quindi il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e se sia già stata intrapresa una iniziativa ufficiale per approfondire e verificare tali fatti e, in caso affermativo, in quali azioni si sia concretizzata;
   quali siano state le eventuali iniziative intraprese dal dirigente scolastico per verificare, approfondire e risolvere la situazione riportata in premessa e per ristabilire un clima sereno e collaborativo all'interno della comunità scolastica.
(5-07922)


   SANTERINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il trattamento economico dei dirigenti scolastici è da tempo al centro di una controversa vicenda riguardante in particolare la retribuzione di posizione e di risultato, a carico del fondo unico nazionale (FUN), e ritenuta dagli interessati fortemente squilibrata, rispetto a quella riconosciuta ad altri comparti della dirigenza pubblica;
   nel recente incontro di aggiornamento presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con le associazioni sindacali di categoria e riguardante proprio il Fondo unico nazionale 2015/2016, la direzione generale del personale e delle risorse umane ha reso noto un rilievo del Ministero dell'economia e delle finanze, che ha contestato le modalità di calcolo del FUN in virtù del quale non ha proceduto alla certificazione indispensabile per l'avvio delle contrattazioni regionali;
   l'ufficio centrale del bilancio ha inoltre formulato un'ulteriore contestazione, come già accaduto nel 2013 sulla quantificazione del FUN 2012/2013, che metterebbe in discussione l'ammontare del FUN relativo all'anno scolastico 2011/2012, regolarmente certificato e utilizzato in tutte le regioni, e che comporterebbe la riduzione del FUN 15/16 della somma spesa in eccedenza per la retribuzione dei dirigenti nel 2011/12;
   a quanto è dato sapere sembra sia in atto un'interlocuzione nel merito tra Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e Ministero dell'economia e delle finanze, ma è chiaro che un'interpretazione restrittiva del Ministero dell'economia e delle finanze avrebbe conseguenze negative sulla retribuzione dei dirigenti, già oggetto nel corso degli anni di riduzioni stipendiali, in forza di quanto disposto dal decreto-legge n. 78 del 2010, cosiddetto «decreto Tremonti» e in contrasto con quanto invece stabilito dalla legge n. 107 del 2015, che all'articolo 1, comma 86, recita: «In ragione delle competenze attribuite ai dirigenti scolastici, a decorrere dall'anno scolastico 2015/2016 il Fondo unico nazionale per la retribuzione della posizione, fissa e variabile, e della retribuzione di risultato dei medesimi dirigenti è incrementato in misura pari a euro 12 milioni per l'anno 2015 e a euro 35 milioni annui a decorrere dall'anno 2016, al lordo degli oneri a carico dello Stato. Il Fondo è altresì incrementato di ulteriori 46 milioni di euro per l'anno 2016 e di 14 milioni di euro per l'anno 2017 da corrispondere a titolo di retribuzione di risultato una tantum» –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere per tenere fede agli impegni assunti nei confronti dei dirigenti scolastici con l'approvazione della legge n. 107 del 2015, al fine di garantire l'atteso ripristino delle relative retribuzioni, attraverso le risorse del fondo unico nazionale 2015/2016. (5-07926)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AGOSTINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le Conferenze riunite dei presidenti, dei direttori e degli studenti dei conservatori statali e non statali hanno presentato al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca una mozione votata all'unanimità con la quale hanno espresso preoccupazione per la situazione nella quale versa il sistema dei conservatori e, più in generale, l'intera formazione musicale nel nostro Paese;
   in particolare, si stigmatizza il blocco del processo di riforma avviato con la legge 508 approvata nell'ormai lontano 1999, ben 17 anni fa;
   si tratta di una condizione aggravata da una sempre più grave carenza di risorse pubbliche destinate alla formazione nel campo musicale;
   le conferenze denunciano «il persistere di un'assenza di progettualità politica e culturale che riguarda il sistema formativo in un contesto di una costante sottovalutazione di fatto del valore della musica nell'intero contesto culturale e sociale complessivo del paese»;
   a distanza di sedici anni — secondo le conferenze — mancano ancora «fondamentali passaggi normativi, come il decreto sul reclutamento del personale docente, la messa a ordinamento dei bienni, l'organo consultivo di sistema scaduto e non rinnovato da tre anni (CNAM)»;
   le stesse conferenze riunite hanno evidenziato «la necessità di essere riconosciute e considerate come dai decreti ministeriali istitutivi, quali organismi stabili di interlocuzione tra l'amministrazione e i conservatori, statali e non statali»;
   le conferenze hanno espresso, inoltre, l'esigenza di dare attuazione alla riforma «con significativi incrementi delle risorse a disposizione del sistema. Questo al fine anche di provvedere alla statalizzazione entro il 2016 dei conservatori non statali che stanno vivendo una condizione di gravissima crisi e rischiano la chiusura delle attività formative»;
   a giudizio dell'interrogante è necessario che il Governo dia un segnale positivo per il mondo della formazione musicale in Italia, indicando quali provvedimenti il Governo intenda adottare per dare una risposta alla ferma posizione assunta dall'intero mondo della formazione musicale del nostro Paese –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare, anche in seno al Consiglio dei Ministri, per tutelare la formazione musicale nel nostro Paese alla luce della ferma presa di posizione assunta dalle Conferenze riunite dei presidenti, dei direttori e degli studenti dei conservatori statali e non statali. (4-12235)


   BRUNO BOSSIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la trasparenza dell'azione amministrativa è condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali, e integra il diritto ad una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di un'amministrazione aperta al servizio del cittadino;
   il decreto legislativo n. 33 del 2013 ha predisposto un'articolata disciplina inerente agli obblighi incombenti sulle pubbliche amministrazioni di pubblicazione di dati, documenti e informazioni per i cittadini, ai quali è consentito altresì il libero accesso (cosiddetto accesso civico), senza addurre le motivazioni, limitatamente agli atti per i quali c’è obbligatorietà;
   le disposizioni del presente decreto integrano l'individuazione del livello essenziale delle prestazioni erogate dall'amministrazioni pubbliche a fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione, a norma dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione;
   l'effettività di tali disposizioni normative dipende dalla responsabilità dei dirigenti pubblici ai quali spetta dare impulso alla pubblicazione e al tempestivo aggiornamento dei dati;
   alla garanzia della trasparenza amministrativa si connettono ipotesi di responsabilità specifica dei dirigenti, oltre che di controllo ai fini della normativa anticorruzione;
   ciononostante, da una verifica fatta sui siti istituzionali, limitatamente alle istituzioni scolastiche, tali adempimenti sovente non vengono osservati con la necessaria tempestività;
   emerge la difficoltà di molti, dirigenti scolastici di provvedere tempestivamente all'aggiornamento dei siti (oggi sono contrassegnati con gov.it) per l'insufficienza delle risorse disponibili e per la mancanza di personale Ata (e/o anche docente) adeguatamente formato;
   inoltre, spesso gli atti pubblicati (in primis il piano della trasparenza) sono un mero adempimento burocratico a cui non corrisponde una tempestiva e agevole dimostrazione delle azioni previste;
   specialmente per il comparto della scuola, le peculiarità lavorative non consentono omogeneità per l'accesso dei cittadini-genitori ad importanti dati ed informazioni;
   tali carenze informative si abbinano ad una non chiara definizione del quadro normativo della dirigenza scolastica, segnatamente per la valutazione delle performance di essa, per la quale articolo 74 del decreto legislativo n. 150 del 2009 esclude la costituzione di organismi indipendenti di valutazione, ma non la sottrae comunque agli obblighi di sottoporsi comunque a valutazione –:
   quali iniziative si intendano adottare per sostenere, con adeguate risorse, le istituzioni scolastiche nell'aggiornamento costante e puntuale dei siti istituzionali;
   quali iniziative il Governo abbia assunto o abbia intenzione di assumere per pervenire in tempi rapidi, anche in accordo con le organizzazioni sindacali, alla definizione di criteri chiari e trasparenti per la valutazione dei dirigenti scolastici e superare l'evidente attuale situazione di inerzia;
   quali iniziative si intendano assumere in ordine all'adempimento in materia di trasparenza nelle istituzioni scolastiche, anche in collaborazione con l'Autorità anticorruzione definendo le eventuali sanzioni per le condotte dirigenziali che non rispettano gli obblighi di legge in materia di trasparenza e pubblicità degli atti;
   quale sia lo stato della disciplina specifica della valutazione della dirigenza scolastica, in particolare, se la direttiva del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 11 del 18 settembre 2014, sulle priorità strategiche del sistema nazionale di valutazione, sia stata implementata, segnatamente quanto al punto a 3), concernente la Valutazione della dirigenza scolastica e quanto ai connessi profili della trasparenza dell'azione amministrativa di questa;
   come, in ipotesi di carenza di impulso normativo, gli uffici scolastici regionali stiano procedendo ad adempiere l'obbligo di una valutazione differenziata dei dirigenti scolastici delle varie istituzioni, alla luce delle responsabilità ad essi incombenti in materia di trasparenza.
(4-12249)


   BRUNO BOSSIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nella direttiva del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 11 del 18 settembre 2014 recante priorità strategiche del sistema nazionale di valutazione per gli anni scolastici 2014/15, 2015/16, 2016/17, la sezione a 3), valutazione della dirigenza scolastica, si stabilisce che «...entro dicembre 2014, l'INVALSI definirà gli indicatori per la valutazione dei dirigenti scolastici, così come stabilito dall'articolo 3, lettera e), del regolamento»;
   tali indicatori – si legge ancora nella direttiva – dovranno essere inseriti nell'ambito di una proposta organica di valutazione della dirigenza scolastica che sarà oggetto di un confronto con le organizzazioni sindacali e le associazioni professionali da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   come previsto dal regolamento, il modello di valutazione della dirigenza scolastica dovrà prestare attenzione agli obbiettivi di miglioramento della scuola individuati nel rapporto di autovalutazione e alle aree di miglioramento amministrativo e gestionale nelle istituzioni scolastiche direttamente riconducibili all'operato del dirigente scolastico i fini della valutazione dei risultati della sua azione dirigenziale, secondo quanto previsto dall'articolo 25 del decreto legislativo n. 165 del 2001 e successive modificazioni, e dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro della dirigenza scolastica;
   i dirigenti scolastici rispondono in ordine ai risultati, valutati tenuto conto della specificità delle funzioni e sulla base delle verifiche effettuate da un nucleo di valutazioni istituito presso l'amministrazione scolastica regionale (articolo 25 del decreto legislativo n. 165 del 2001);
   l'articolo 74, comma 4, del decreto legislativo n. 150 del 2009 esclude la costituzione degli organismi di cui all'articolo 14 nell'ambito del sistema scolastico, ma non mette in discussione l'obbligatorietà della valutazione delle prestazioni della dirigenza scolastica, a mente della richiamata previsione generale di cui all'articolo 24 del decreto legislativo n. 165 del 2001;
   ad oggi non risulta implementato il percorso normativo segnato dalla richiamata direttiva ministeriale, mancando gli indicatori di valutazione delle performance dirigenziali e conseguentemente non risultando avviato alcun confronto sindacale;
   è interesse prioritario dei dirigenti scolastici avere un quadro chiaro di riferimento rispetto ai criteri per i quali saranno valutati, anche in ragione delle crescenti responsabilità che la recente riforma cosiddetta «buona scuola» assegna loro –:
   quali iniziative il Ministro abbia assunto o abbia intenzione di assumere per pervenire in tempi rapidi, anche in accordo con le organizzazioni sindacali, alla definizione di criteri chiari e trasparenti per la valutazione dei dirigenti scolastici e superare l'evidente attuale situazione di inerzia;
   quali iniziative abbiano assunto finora gli uffici scolastici regionali per adempiere agli adempimenti di legge in ordine alla doverosità delle prestazioni dirigenziali, anche in considerazione del fatto che questa è strettamente connessa all'erogazione della retribuzione variabile e/o accessoria dei dirigenti medesimi, con inevitabili riflessi di ordine erariale;
   se l'erogazione retributiva in favore dei dirigenti medesimi sia avvenuta negli anni addietro in base al principio generale della differenziazione imposta dall'articolo 19 del decreto legislativo n. 150 del 2009, per tutte le amministrazioni pubbliche, ivi incluse le istituzioni scolastiche, o piuttosto sia avvenuto in parti uguali, senza differenziazioni;
   quali iniziative di competenza si intendano assumere, in ipotesi di erogazioni differenziate delle retribuzioni variabili, per la verifica di eventuali violazioni del richiamato articolo 19 del decreto legislativo n. 150 del 2009. (4-12251)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Consorzio, interuniversitario per il calcolo automatico dell'Italia Nord orientale (Cineca) è un consorzio senza scopo di lucro formato da settanta università, quattro enti di ricerca nazionali e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, alla cui vigilanza è sottoposto;
   oltre al supporto al calcolo scientifico, il Consorzio è, per statuto, un centro per il trasferimento tecnologico verso le università e la pubblica amministrazione, con lo scopo di facilitare l'adozione di nuove tecnologie da parte delle stesse;
   il Consorzio occupa, ormai, circa settecento dipendenti nelle sedi di Bologna, Milano e Roma, e ha un fatturato di alcune decine di milioni di euro l'anno;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha affidato una serie di gestioni tecniche per lo svolgimento di concorsi, al Consorzio Cineca, e, tra gli altri, il Consorzio si è occupato dell'immissione in ruolo di cinquantamila docenti scolastici avvenuta nell'autunno 2015, e potrebbe essere incaricato anche del prossimo concorso per i docenti;
   allo stato, tuttavia, a quanto consta all'interrogante, l'assegnazione dell'organico potenziato mostra molte ombre, soprattutto con riferimento alle effettive necessità territoriali avanzate da parte degli uffici scolastici regionali;
   i compiti e le funzioni di spettanza della direzione Casis del Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca, in base al decreto del Presidente del consiglio dei ministri 11 febbraio 2014, n. 98, recante «Regolamento di organizzazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca», sono in realtà svolti da Cineca;
   a quanto consta all'interrogante il Cineca, pur non svolgendo attività didattiche ma di servizi, viene finanziato a valere sul Fondo per il funzionamento ordinario delle università; al contempo, presta i medesimi servizi agli atenei ad avviso dell'interrogante agendo, di fatto, come un ente privato;
   già nel novembre 2012 un quotidiano aveva riportato la notizia di presunte irregolarità nell'affidamento di finanziamenti ad aziende da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, definendole «pratiche rese possibili da una sistematica forzatura delle norme e dei ruoli nelle strutture deputate alla validazione dei progetti e al successivo controllo, in cambio di utilità diverse, dal semplice fare carriera all'ottenere danaro o consulenze dalle stesse imprese»;
   in data 13 novembre 2014, in occasione della polemica nata in seguito all'errore effettuato da Cineca nei test per l'accesso alle scuole di specializzazione medica, il quotidiano « Il Fatto» aveva pubblicato un articolo riguardante il consorzio, denunciandone inefficienze societarie e operative;
   secondo l'articolo «la vulnerabilità dei servizi erogati dal consorzio non è un fatto episodico», la quale, invece, era già stata rilevata anche dagli ispettori della Ragioneria generale dello Stato che, nella propria, relazione, aveva «inchiodato» la gestione della direzione ricerca del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con riferimento al potenziamento dell'infrastruttura informatica, realizzato per la gestione dei fondi comunitari per la ricerca, e che, nonostante fosse costato quattro milioni di euro, «non permetteva neppure di rilevare le duplicazioni dei richiedenti e dei progetti a valere su diverse linee di finanziamento, tanto che per evitare doppioni si è tornati a incrociare manualmente i dati su classici fogli di Excel»;
   inoltre, stando a quanto riportato dal quotidiano, gli ispettori del Ministero dell'economia e delle finanze, avrebbero in via generale evidenziato «la fragilità del supporto informatico che, a dispetto dell'impegno finanziario sostenuto dal MIUR, si dimostra inefficiente in quasi tutte le fasi fondamentali di esame dei progetti di ricerca»;
   infine, il quotidiano aveva stigmatizzato anche la controversa questione dell'ordinamento giuridico del consorzio, posto che i dubbi sul suo inquadramento quale società in house e, quindi, esente da gare per l'affidamento dei servizi e l'aggiudicazione di commesse e finanziamenti, che non è certa, sarebbe stata da tempo nel mirino dell'Autorità garante per la concorrenza del mercato, della Corte dei Conti e del Consiglio di Stato;
   con la deliberazione del 6 ottobre 2015, n. 7/2015/G, la Corte dei Conti è intervenuta in merito alla forma giuridica da riconoscere a Cineca e alla possibilità di effettuare in suo favore affidamenti diretti senza il ricorso a gare pubbliche di servizi informatici da parte di una delle università consorziate, citando la sentenza del Consiglio di Stato del 26 maggio 2015, n. 2660, che ha escluso tale possibilità;
   la direzione generale per i sistemi informativi del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dovrebbe, a breve, rinnovare il bando per le attività di informatica, per un valore presunto di circa trecento milioni di euro in quattro anni;
   tra l'altro, il capo della direzione generale dei sistemi informativi del Ministero è stato recentemente trasferito all'ufficio scolastico regionale della regione Marche, con due anni di anticipo rispetto alla scadenza del mandato;
   alla luce di quanto esposto, il Consorzio Cineca non sembra costituire un soggetto affidabile per la gestione dei servizi informatici e tantomeno per la realizzazione di concorsi –:
   in base a quali convenzioni o altre forme contrattuali il Cineca svolga la propria attività per il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   quali siano le motivazioni alla base del trasferimento del citato direttore generale per i sistemi informativi del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   se corrisponda al vero che il Cineca sia remunerato dalle università oltre a ricevere finanziamenti da parte dello Stato, e, come sia possibile che un organismo interamente controllato dallo Stato agisca sostanzialmente come un ente privato nei confronti dello stesso;
   in base a quali richieste degli uffici scolastici regionali sia stato definito l'organico potenziato di cui in premessa;
   se corrisponda al vero che il consorzio Cineca, nonostante la scarsa trasparenza rispetto alle sue attività a più riprese denunciata, sia candidato a gestire un mastodontico quanto delicatissimo concorso per assumere decine di migliaia di docenti, molti dei quali precari da oltre dieci anni;
   se risultano e quali siano le società in house che ricevono fondi europei senza bando e se con riferimento alle stesse esistano relazioni dei revisori dei conti che garantiscono il corretto utilizzo dei fondi o altre forme di controllo. (4-12265)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   l'articolo 1-ter del decreto-legge 5 ottobre 2004, n. 249, convertito dalla legge 3 dicembre 2004, n. 291, recante interventi urgenti in materia di politiche del lavoro e sociali, ha istituito presso l'Istituto nazionale di previdenza sociale (I.N.P.S.): «1. ... un Fondo speciale per il sostegno del reddito e dell'occupazione e della riconversione e riqualificazione professionale del personale del settore del trasporto aereo (FSTA), avente la finalità di favorire il mutamento ovvero il rinnovamento delle professionalità ovvero di realizzare politiche attive di sostegno del reddito e dell'occupazione dei lavoratori del settore, mediante:
    a) finanziamento di programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionale anche in concorso con gli appositi fondi nazionali, territoriali, regionali o comunitari;
    b) erogazione di specifici trattamenti a favore dei lavoratori interessati da riduzioni dell'orario di lavoro, ivi compresi i contratti di solidarietà di cui al citato decreto-legge n. 148 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 236 del 1993, da sospensioni temporanee dell'attività lavorativa o da processi di mobilità secondo modalità da concordare tra azienda ed organizzazioni sindacali.
   2. Il fondo speciale di cui al comma 1 è alimentato da un contributo sulle retribuzioni a carico dei datori di lavoro di tutto il settore del trasporto aereo pari allo 0,375 per cento e da un contributo a carico dei lavoratori pari allo 0,125 per cento. Il fondo è inoltre alimentato da contributi del sistema aeroportuale che gli operatori stessi converranno direttamente tra di loro per garantire la piena operatività del fondo e la stabilità del sistema stesso.
   3. I criteri e le modalità di gestione del fondo, le cui prestazioni sono erogate nei limiti delle risorse derivanti dall'attuazione del comma 2, sono definiti dagli operatori del settore del trasporto aereo con le organizzazioni sindacali nazionali e di categoria comparativamente più rappresentative»;

   per alimentare il suddetto fondo, come previsto dall'ultimo periodo del citato comma 2 dell'articolo 1-ter del decreto-legge n. 249 del 2004, dopo appena un mese, con l'articolo 6-quater del decreto-legge 31 gennaio 2005 n. 7 convertito con modificazioni dalla legge 31 marzo 2005, n. 43, Disposizioni urgenti per l'università e la ricerca, per i beni e le attività culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilità dei pubblici dipendenti, e per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse di concessione, nonché altre misure urgenti e successive modificazioni e integrazioni viene disposto l'aumento dell'addizionale comunale sui diritti d'imbarco (originariamente istituita dall'articolo 2, comma 11, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, legge finanziaria 2004) di euro 3,00 a passeggero. Si stabilisce inoltre che tale incremento sarà in vigore fino al 31 dicembre 2015;
   il fondo, come previsto al sopracitato comma 3 dell'articolo 1-ter del decreto-legge n. 249 del 2004, è regolato e gestito direttamente dagli operatori del settore del trasporto aereo. Con un accordo siglato il 28 luglio 2005 gli operatori definiscono i criteri di accesso e le modalità di gestione, tutti facenti capo ad un comitato amministratore composto da 16 esperti designati pariteticamente dalle associazioni datoriali e dalle organizzazioni sindacali/associazioni professionali comparativamente più rappresentative, con il compito di deliberare sugli aventi diritto, dirimere i ricorsi, predispone i bilanci annuali e vigilare sulla corretta applicazione degli accordi. Il Fondo, avvalendosi delle strutture dell'I.N.P.S., provvede pertanto in via ordinaria:
    a) a contribuire al finanziamento di programmi formativi di riconversione o di riqualificazione professionale, anche in concorso con gli appositi fondi nazionali, territoriali, regionali o comunitari;
    b) all'erogazione di specifici trattamenti, a favore dei lavoratori interessati da riduzioni dell'orario di lavoro, ivi compresi i contratti di solidarietà concessi ai sensi della legge n. 236 del 1993, o da sospensione temporanee dell'attività lavorativa o da processi di mobilità;
   in particolare, tali ultimi trattamenti saranno erogati:
    1) a favore dei lavoratori dipendenti dai vettori aerei o dalle società da questi derivanti a seguito di processi di riorganizzazione o trasformazioni societarie alle quali è stato esteso, con effetto dal 1o gennaio 2005, ai sensi dell'articolo 1-bis, della legge 3 dicembre 2004, n. 291, il trattamento di cassa integrazione straordinaria e di mobilità;
    2) a favore dei lavoratori dipendenti dalle altre imprese del settore del trasporto aereo non rientranti, in quanto prive di un collegamento societario con il vettore aereo, nel campo di applicazione del provvedimento di estensione di cui al citato articolo 1-bis, della legge 3 dicembre 2004, n. 291;
   con la sua istituzione tale fondo viene immediatamente fatto oggetto di numerose critiche, poiché, più che favorire la rioccupabilità dei lavoratori del comparto aereo attraverso il finanziamento di programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionale, si è caratterizzato per erogare prestazioni integrative alla cassa integrazione guadagni straordinaria, alla mobilità e ai contratti di solidarietà, considerate «eccessivamente favorevoli» se non veri e propri superprivilegi di casta. Infatti il fondo garantiva un trattamento economico complessivamente pari all'80 per cento della retribuzione riferita agli ultimi 12 mesi di lavoro, per di più elevata, ai sensi della legge 27 ottobre 2008, n. 166, Disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi crisi, ad una durata di 48 mesi di cassa integrazione guadagni straordinaria, rispetto ai 24 mesi ordinari, e a 36 mesi di mobilità rispetto ai 24 mesi ordinari per complessivi sette anni di trattamento. Prestazioni, pagate di fatto da un tributo quale l'addizionale comunale sui diritti d'imbarco, che ha ingenerato non poche perplessità nell'opinione pubblica;
   la legge 28 giugno 2012, n. 92, Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita, cosiddetta legge del lavoro «Fornero», all'articolo 3, comma 44, ha disposto la riconversione del suddetto «Fondo speciale per il sostegno del reddito e dell'occupazione e della riconversione e riqualificazione professionale del personale del settore del trasporto aereo» (FSTA), la cui operatività era garantita fino al 31 dicembre 2015, in «Fondo di solidarietà per il settore del trasporto aereo e del sistema aeroportuale» al fine di uniformarlo ai fondi di solidarietà bilaterali con la finalità di assicurare ai lavoratori una tutela in costanza di rapporto di lavoro nei casi di riduzione o sospensione dell'attività lavorativa per cause previste dalla normativa in materia di integrazione salariale ordinaria o straordinaria. Tali fondi di solidarietà bilaterali, istituiti sulla base di accordi e contratti collettivi stipulati dalle associazioni datoriali e sindacali maggiormente rappresentative sul territorio nazionale, sono finanziati esclusivamente tramite contributi a carico dei datori di lavoro e dei lavoratori, nella misura rispettiva di 2/3 e 1/3 e le cui aliquote sono fissate tramite lo stesso decreto che dispone l'istituzione presso l'INPS;
   sempre la soprarichiamata legge 28 giugno 2012, n. 92, all'articolo 2, comma 47, ha reso permanente e non più temporaneo l'incremento di tre euro dell'addizionale comunale sui diritti d'imbarco che, in vista della soppressione del FSTA e sua riconversione in Fondo di solidarietà bilaterale, dal 1o gennaio 2016 sono direttamente incamerate nella gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali dell'INPS per sostenere in sintesi le casse in perdita e gli «assegni sociali» che gravano sulla fiscalità generale;
   in contrasto con le disposizioni del Governo Monti, di cui Elsa Fornero è stata Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Governo Letta all'articolo 13, commi da 21 a 23, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, Destinazione Italia, ha, viceversa, prorogato la validità del FSTA di ulteriori tre anni (2016, 2017, 2018) rifinanziandolo mediante un ulteriore corrispondente incremento dell'addizionale comunale sui diritti di imbarco che è stato fissato recentemente con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, nella misura di euro 2,50 per l'anno 2016, euro 2,42 per l'anno 2017 e euro 2,34 per l'anno 2018 (decreto ministeriale 29 ottobre 2015, Definizione della misura dell'incremento dell'addizionale comunale sui diritti di imbarco da destinare all'INPS);
   pubblicato in Gazzetta ufficiale il 28 dicembre 2015 il tanto atteso decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sull'incremento dell'addizionale comunale sui diritti di imbarco le organizzazioni sindacali/associazioni professionali del comparto aereo attendono l'emanazione del decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che formalizzi la nascita del nuovo fondo di solidarietà per il settore del trasporto aereo e del sistema aeroportuale che rispecchia in parte, secondo gli accordi raggiunti tra parti sociali e Governo, le medesime prestazioni integrative/aggiuntive da riconoscere, almeno per i prossimi 3 anni, a coloro collocati in mobilità nel periodo 1o luglio 2014/30 giugno 2016. Decreto che tarda ad essere emanato pur con la Consistente disponibilità patrimoniale (residuo della attività degli anni passati) e una previsione di entrate nel 2016 assicurate dal recente provvedimento emanato dal Governo (2,50 euro a passeggero) che si aggira intorno ai 200 milioni di euro;
   come detto in premessa numerose sono le critiche piovute su un fondo regolato dagli stessi diretti interessati che, nato per favorire la ricollocazione del personale del comparto aereo, ha finito per favorire non poche situazioni di intollerabile privilegio, con prestazioni anche di 30 mila euro lordi mensili nei casi più eclatanti quando per la totalità dei lavoratori l'importo massimo riconosciuto è pari a euro 1.167,91 lordi al mese. Preme ricordare in merito la forte presa di posizione di Tito Boeri, presidente dell'Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS), che ha sostenuto pubblicamente che le prestazioni sociali erogate dal fondo, pari a circa 220 milioni di euro all'anno, rappresentano più del finanziamento annuo per la lotta alla povertà attraverso il sostegno di inclusione attiva (SIA) –:
   quali siano le ragioni che ostano all'adozione del decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali per la riconversione del «Fondo speciale per il sostegno del reddito e dell'occupazione e della riconversione e riqualificazione professionale del personale del settore del trasporto aereo» in «Fondo di solidarietà per il settore del trasporto aereo e del sistema aeroportuale»;
   quante delle ingenti somme erogate complessivamente, in tutti questi anni, dal FSTA siano state impiegate per il finanziamento di programmi formativi di riconversione o di riqualificazione professionale e quale sia stata la loro efficacia ai fini della ricollocazione professionale dei partecipanti;
   quanti ex lavoratori del comparto aereo, in particolare in esubero da Alitalia nel 2008 che hanno goduto per ben 7 anni di tali prestazioni integrative/aggiuntive, abbiano trovato effettiva ricollocazione e quanti, viceversa, continuino ancora a persistere in condizioni di non occupazione;
   quante somme siano annualmente erogate a copertura delle prestazioni integrative e se non si ritenga opportuno porre un limite accettabile agli assegni erogati così da evitare che per il privilegio di pochi si danneggi l'immagine di un'intera categoria professionale, nonché favorire l'utilizzo di tali risorse per un effettivo rilancio dell'occupazione nel settore del trasporto aereo.
(2-01285) «Paolo Nicolò Romano, Di Battista, Nicola Bianchi, Liuzzi, De Lorenzis, Spessotto, Carinelli, Dell'Orco».

Interrogazione a risposta scritta:


   NARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 18 gennaio 2016 la società Finder Pompe S.p.A. appartenente alla multinazionale statunitense Dover Corporation ha comunicato improvvisamente la chiusura dello stabilimento (ex Cerpelli) di Querceta (LU) e conseguentemente il licenziamento dei 30 lavoratori della fabbrica;
   da quanto si apprende, sono mancati il coinvolgimento e la comunicazione preventiva ai dipendenti, alle rappresentanze sindacali e alle istituzioni locali;
   la ditta Cerpelli ha svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo industriale del territorio versiliese e ancora oggi potrebbe dimostrarsi competitiva all'interno del mercato della produzione di pompe per applicazioni industriali, se supportata da un piano economico e di gestione serio e valido;
   la chiusura di uno stabilimento industriale non è solo una questione di natura economica ma anche sociale;
   il sindaco di Seravezza, Ettore Neri, in data 19 gennaio 2016 ha incontrato i lavoratori e la Fiom, in data 20 gennaio 2016 ha informato il residente della Regione Toscana Enrico Rossi della questione affinché si mobilitasse per impedire la chiusura dello stabilimento e ha inviato una lettera in merito al Prefetto di Lucca Dottoressa Giovanna Cagliostro –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e se non intenda convocare un tavolo di confronto istituzionale che coinvolga i rappresentanti dell'azienda, le organizzazioni sindacali e le istituzioni locali interessate al fine di scongiurare la chiusura della ditta Cerpelli di Querceta (LU). (4-12250)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AGOSTINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   stando ai dati recentemente diffusi dall'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare, i prezzi delle nocciole sono in netta diminuzione;
   il prezzo medio è crollato dagli oltre 4 euro al chilo della penultima settimana del 2015 ai 3,27 euro della prima ottava del mese di febbraio, perdendo il 36,2 per cento;
   lo stesso istituto ha rilevato i prezzi delle nocciole prodotte in Campania: ad Avellino la nocciola «San Giovanni» è stata venduta a 2 euro e 70 centesimi al chilo con un calo di valore del 6,9 per cento rispetto alla settimana precedente;
   lo stesso andamento è stato rilevato per la «cultivar tonda» che è stata venduta a 2 euro e 90 centesimi. Anche in questo caso il calo è significativo: 6,5 per cento rispetto alla settimana precedente;
   a giudizio dell'interrogante, saranno i produttori, già vessati dalla crisi, dal maltempo e dalle patologie del nocciolo, a pagare il prezzo di una concorrenza – specie quella turca – praticata al di fuori di qualsiasi regola. Regole che, invece, devono essere scrupolosamente rispettate dai produttori italiani;
   a giudizio dell'interrogante, è opportuno che il Governo si esprima su come intenda agire per garantire la sopravvivenza di una produzione che si è fin qui distinta per la peculiarità e l'alta qualità dei suoi prodotti;
   a giudizio dell'interrogante, si ha il dovere di supportare i produttori e gli operatori del settore italiani, che, nonostante tutto, si sforzano di andare avanti e di tenere in vita – specie al Sud – un settore importante dell'agricoltura italiana –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per evitare che il crollo del prezzo delle nocciole, registrato dall'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare, si ripercuota sulla corilicoltura italiana e, in particolare su quella meridionale, già duramente colpita dalla crisi. (4-12236)


   GALLINELLA, GAGNARLI, L'ABBATE, PARENTELA, LUPO e ALLASIA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il passaporto per gli animali della specie bovina/bufalina certifica l'avvenuta e corretta iscrizione dell'animale alla banca dati nazionale delle anagrafi zootecniche (BDN) e garantisce l'esattezza delle informazioni anagrafiche, di quelle relative all'allevamento di nascita, ai passaggi di proprietà e alle movimentazioni;
   come noto, dal 1o maggio 2015, con l'intento di snellire gli adempimenti a carico degli allevatori e in applicazione del regolamento (CE) 1760/2000 non è più in vigore l'obbligo di rilascio del passaporto per i bovini e i bufalini che nascono e si movimentano sul territorio italiano, essendo le informazioni recate dal documento già inserite nella banca dati nazionale;
   entro il mese di giugno 2016 sarà introdotto l'obbligo, per l'allevatore che movimenta i capi, di stampare direttamente dalla BDN/BDR e di tenere a bordo del mezzo di trasporto il modello IV, accedendo alla banca tramite password personale;
   pur condividendo la scelta di semplificare gli adempimenti burocratici e di de materializzare i documenti, appare tuttavia inevitabile l'insorgenza di problematiche applicative, posto che solo poche aziende, complice una scarsa capacità informatica, riescono autonomamente ad accedere alla BDN, che la maggior parte delle aziende si avvale della delega alle associazioni di categoria a cui afferiscono, ancorché questo determini spesso ritardi e costi aggiuntivi, che in molti casi le Asl non dispongono di sistemi software aggiornati con conseguenti intuibili limiti funzionali e di efficienza e che errori di iscrizione e di gestione dei dati possono determinare blocchi di taluni pagamenti diretti;
   le iniziative finora intraprese di formazione e informazione su tale innovazione e più in generale sulle nuove tecnologie informatiche necessarie all'esercizio delle attività imprenditoriali non risultano sufficienti –:
   se non si intenda intervenire, anche tramite investimenti specifici, al fine di superare le eventuali criticità esposte in premessa e se non si ritenga di dover promuovere, presso le associazioni di categoria, ogni utile azione di informazione/formazione finalizzata ad ottenere un maggiore e più agevole utilizzo da parte degli imprenditori agricoli delle suddette novità informatiche. (4-12239)


   NASTRI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il rapporto sui crimini agroalimentari in Italia predisposto dall'Eurispes Coldiretti e l'Osservatorio sulla criminalità nell'agricoltura e sul sistema agroalimentare reso noto la scorsa settimana ha evidenziato che il business delle agromafie nel 2015 ha superato i 16 miliardi di euro, in quanto alimentato da ogni tipologia di illeciti, dalle truffe alle estorsioni, dal riciclaggio, alle associazioni per delinquere di stampo mafioso e camorristico;
   il documento conferma al riguardo come il fenomeno legato alle agromafie sia dilagante in tutta Italia, con la Lombardia che rappresenta la quarta regione a livello nazionale per infiltrazioni criminali, e investe in modo marginale anche il Piemonte, dove si segnala l'1,3 per cento degli immobili confiscati alla criminalità organizzata nell'agroalimentare;
   la Coldiretti Piemonte a tal fine evidenzia come tale fenomeno fraudolento delle falsificazioni e della contraffazione nel settore agroalimentare, oltre a danneggiare fortemente il sistema delle imprese sane del comparto, provoca effetti estremamente gravi sui consumatori, compromettendo in maniera grave la qualità e la sicurezza dei prodotti con l'effetto di minare l'immagine ed il valore del made in Italy nel mondo;
   la necessità di giungere in tempi immediati a una sinergia tra le associazioni di categoria e le istituzioni a giudizio della Coldiretti regionale risulta indispensabile per restituire al diritto penale il compito di ristabilire l'ordine e garantire il libero svolgimento delle attività sul mercato agroalimentare, considerato come il fenomeno dell'associazionismo criminale abbia una penetrazione importante anche in Piemonte –:
   quali orientamenti i Ministri interrogati intendano esprimere con riferimento a quanto in premessa riportato;
   quali siano le condizioni attuali nella regione Piemonte, dal punto di vista della sicurezza dei prodotti agroalimentari, del numero di controlli e dei sequestri effettuati dalle forze dell'ordine, nonché dei procedimenti amministrativi e penali derivanti da illeciti fraudolenti nel settore agroalimentare, oltre a quanto è emerso dal rapporto sulle agromafie Eurispes, Coldiretti e Osservatorio sulla criminalità nell'agricoltura e sul sistema agroalimentare;
   quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, i Ministri interrogati intendano intraprendere al fine di potenziare il livello dei controlli, peraltro già efficienti, svolti dalle autorità nonché al fine di aggiornare le norme penali, anche alla luce degli interventi di depenalizzazione, che hanno contribuito a creare disordine in materia. (4-12242)


   NASTRI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il quarto rapporto Agromafie elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell'agricoltura sul sistema agroalimentare, presentato la scorsa settimana, ha rilevato un volume d'affari pari a 16 miliardi di euro proveniente dalle attività illecite;
   il documento evidenzia come i reati accertati si configurano in quelli tradizionali intesi quali: furti di attrezzature, abigeato, macellazioni clandestine, danneggiamento delle colture fino a riciclaggio, contraffazione, impiego di denaro, infiltrazioni nelle attività di intermediazione e trasporto;
   le conseguenze di tali condotte illecite determinano la lievitazione dei prezzi dal campo allo scaffale, fino a 4 volte in più per la frutta e la verdura, ma soprattutto la penalizzazione dell'imprenditoria agricola onesta e rischi per il mancato rispetto dei requisiti di sicurezza e la qualità dei prodotti;
   il suesposto rapporto rileva fra l'altro che, con i classici strumenti dell'estorsione e dell'intimidazione, la criminalità organizzata, impone la vendita di determinate marche e specifici prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della crisi economica, arriva a rilevare direttamente;
   gli effetti altamente negativi e fraudolenti di quanto suesposto, determinano, non soltanto, l'appropriazione di vasti comparti dell'agroalimentare e dei guadagni che ne derivano in maniera illecita, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale, con gravissime conseguenze sull'imprenditoria sana, ma compromettono in modo allarmante la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l'effetto indiretto di minare profondamente l'immagine dei prodotti italiani e il valore del marchio made in Italy;
   ulteriori profili di criticità negativi che destano, a giudizio dell'interrogante, preoccupazione sul negativo andamento del fenomeno, si rinvengono anche dall'elevato numero di terreni (circa 26.200) riconducibili a soggetti condannati in via definitiva per reati come l'associazione a delinquere di stampo mafioso e la contraffazione: i tempi legati al processo di sequestro, confisca e destinazione dei beni di provenienza mafiosa si presentano tra l'altro lunghi e confusi ed inoltre, risultano numerosi, i casi in cui i controlli rilevati per alcuni beni, anche confiscati definitivamente, di fatto, sono ancora nella disponibilità dei soggetti mafiosi;
   in ambito giudiziario, a giudizio dell'interrogante, gli strumenti normativi e d'intervento disponibili, in considerazione dei livelli estremamente allarmanti del fenomeno legato all'agromafie, risultano deboli e obsoleti, nonostante le recenti misure introdotte per il funzionamento dell'Agenzia dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata e le procedure mediante le quali utilizzare questi beni;
   il fenomeno criminale, come evidenzia il rapporto elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell'agricoltura sul sistema agroalimentare, che l'interrogante condivide pienamente, ha risvolti economici estremamente rilevanti e forti ripercussioni sul mercato «regolare», che si proiettano negativamente sui dati complessivi dell'agricoltura italiana;
   gli effetti sfavorevoli, peraltro noti da tempo, di natura socioeconomica ed occupazionale, si ripercuotono infatti sul sistema industriale agroalimentare, cagionando danni e pericoli per il consumatore, oltre alla perdita d'immagine e di credibilità per l'intero comparto agroalimentare italiano;
   l'innalzamento delle barriere protettive e delle misure di contrasto e sanzionatorie anche di tipo penale, a giudizio dell'interrogante, risulta pertanto urgente e necessario, al fine di fronteggiare il fenomeno della contraffazione dei prodotti agroalimentari; le organizzazioni criminali operano in maniera estremamente capillare sul territorio nazionale, come si evince dal documento in precedenza richiamato, anche a causa di un apparato debole e composto da regole frammentarie –:
   quali orientamenti i Ministri interrogati intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   quali iniziative urgenti e necessarie il Governo intenda porre in essere, al fine di riformare in materia dei reati agroalimentari e le disposizioni di vigilanza, controllo e repressione delle frodi in materia, considerate le notevoli difficoltà che la magistratura e le forze dell'ordine hanno riscontrato nel corso degli ultimi anni per garantire un'applicazione efficace delle norme attualmente in vigore;
   quali iniziative in sede comunitaria, i Ministri interrogati, per quanto di competenza, intendano intraprendere, al fine di migliorare il quadro regolatorio internazionale sull'obbligo di etichettatura dei prodotti alimentari, che, nonostante il sistema dei controlli del nostro Paese sia all'avanguardia, risulta ancora confuso e rallentato da resistenze di altri Governi, in particolare del nord-Europa. (4-12243)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da organi di informazione si apprende che «È risultato positivo al test effettuato con il kit “Agrastrip” il campione di grano duro messicano scaricato dalla nave Ecopride, battente bandiera panamense e proveniente da Cristobal»;
   il Presidente di Coldiretti Puglia ha dichiarato che «La nostra manifestazione intendeva accendere i riflettori sull'effettiva qualità del grano straniero, che dopo un lungo periodo di navigazione nelle navi sbarca in Puglia per produrre pasta e pane senza alcuna indicazione in etichetta della reale origine. Se il grano è contaminato da micotossine, risultano contaminati anche pane e pasta perché sono resistenti alle alte temperature. Non meno preoccupante la contaminazione da Deossinivalenolo (DON). I parametri europei relativi ai limiti di DON (1750 ppb) sui cereali utili all'alimentazione umana sono quasi “doppi” rispetto a quelli imposti in Canada (1000 ppb). In altre parole in Europa e, quindi, anche in Italia è commestibile e può essere somministrato anche ai bambini ciò che in Canada non va bene neppure per gli animali»;
   gli stessi organi di informazione riportano che «La stessa ESSA ritiene che l'assunzione alimentare per infanti (0-6 mesi) e bambini tra gli 1 ed i 3 anni, ma anche adolescenti e bambini in genere, possa essere motivo di preoccupazione, in quanto sono in una fase iniziale della vita (ed in ragione del peso corporeo relativamente basso)»;
   dichiara ancora il presidente Coldiretti Puglia: «Si tratta del risultato delle scelte poco lungimiranti fatte nel tempo da chi ha preferito fare acquisti speculativi sui mercati esteri di grano da “spacciare” come pasta o pane Made in Italy, per la mancanza dell'obbligo di indicare in etichetta la reale origine del grano impiegato. Un comportamento reso possibile dai ritardi nella legislazione comunitaria e nazionale che non obbliga ad indicare la provenienza del grano utilizzato in etichetta. È fatto con grano straniero un pacco di pasta su tre e circa la metà del pane in vendita in Italia ma i consumatori non lo possono sapere perché non è obbligatorio indicare la provenienza in etichetta. I prezzi del grano duro in Italia nel 2016 sono crollati del 31 per cento rispetto allo scorso su valori al di sotto dei costi di produzione che mettono a rischio il futuro del granaio Italia. In pericolo non c’è solo la produzione di grano ed il futuro di oltre trecentomila aziende agricole che lo coltivano ma anche un territorio di 2 milioni circa di ettari a rischio desertificazione e gli alti livelli qualitativi per i consumatori garantiti dalla produzione Made in Italy» –:
   quali iniziative si intendano intraprendere alla luce di quanto evidenziato. (4-12246)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FABBRI, LENZI, ROBERTA AGOSTINI, INCERTI, ZAMPA, GASPARINI, ZOGGIA e MURER. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   attualmente i figli di stranieri irregolari possono accedere alle strutture sanitarie solo per prestazioni urgenti ed essenziali, come le vaccinazioni o per patologie che, se non curate, provocano danni permanenti. Ciò perché non hanno diritto all'assistenza del pediatra di famiglia, il che significa, che manca la continuità delle cure e la prevenzione contrariamente a quanto previsto dall'articolo 4 della convenzione di New York (diritto del minore al miglior stato di salute possibile) e dall'articolo 2 della Costituzione (diritto fondamentale dell'individuo);
   la normativa italiana riconosce una serie di diritti fondamentali ai minori stranieri, indipendentemente dalla loro condizione di regolarità e quindi a prescindere dal possesso di un permesso di soggiorno (per i minori extracomunitari) o dall'iscrizione nell'elenco dei residenti (minori comunitari):
    a) il diritto alla difesa (articoli 24-113 Cost. – articolo 2 del testo unico 286 del 1998);
    b) il diritto di asilo (articolo 10, comma 3 Cost. – convenzione Ginevra del 1951);
    c) il diritto alla non discriminazione (articolo 3 Cost. – articolo 2 Conv. New York, articoli 43/44 del testo unico 286 del 1998;
    d) il diritto all'unità familiare (articoli 29-30 Cost. – articolo 8 CEDU – articoli 9-10 della convenzione di New York – articoli 28 e 30 del testo unico 286 del 1998;
    e) il diritto all'istruzione (articolo 34 Cost. – articolo 38, comma 1, del testo unico n. 286 del 1998);
    f) il diritto alla salute articolo 32 Cost. – articoli 34 e 35 del testo unico 286 del 1998;
   risultano rilevanti anche i seguenti principi:
    a) il principio di parità di trattamento tra minore straniero e minore italiano (Corte cost. 30 novembre 1989, n. 536 e Corte costituzionale 1o e 8 luglio 1986, n. 199);
    b) il principio di piena equiparazione del minore regolarmente inserito nella famiglia al minore affidato o adottato o sottoposto a tutela (articolo 29 testo unico – Corte cost. n. 198 del 2003);
    c) il principio del superiore interesse del fanciullo (articolo 3 della Convenzione di New York del 1989 ratifica con la legge 176 del 1991);
   l'articolo 32, comma 2, della Costituzione recita: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e intesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti»;
    il Parlamento europeo ha invitato gli Stati membri, con la risoluzione A7-0032/2011 dell'8 febbraio 2011, «ad assicurare che i gruppi più vulnerabili, compresi i migranti sprovvisti di documenti, abbiano diritto e possano di fatto beneficiare della parità di accesso al sistema sanitario» e «a garantire che tutte le donne in gravidanza e i bambini, indipendentemente dal loro status, abbiano diritto alla protezione sociale quale definita nella loro legislazione nazionale, e di fatto la ricevano»;
   molti medici in diverse strutture, ottemperando al «giuramento di Ippocrate», prestano comunque l'assistenza in una condizione di indeterminatezza che rischia di risultare in contrasto con le normative;
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999, ha delegato alle regioni italiane l'organizzazione dei servizi sanitari, ovvero la definizione dei destinatari e dei luoghi dove fornire l'assistenza sanitaria: le regioni individuano le modalità più opportune per garantire le cure essenziali e continuative, che possono essere erogate nell'ambito delle strutture della medicina del territorio o nei presidi sanitari accreditati, strutture in forma poliambulatoriale od ospedaliera, eventualmente in collaborazione con organismi di volontariato aventi esperienza specifica;
   nel nostro Paese alcune regioni come Emilia Romagna, Marche, Puglia, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Toscana, e provincia autonoma di Trento prevedono l'accesso dei minori irregolari anche all'assistenza pediatrica fornita dai pediatri di libera scelta;
   sul Corriere del Veneto del 13 febbraio 2016 è apparsa la notizia secondo cui la gigione Veneto, a differenza di altre regioni italiane che hanno deliberato il diritto all'iscrizione obbligatoria al Sistema sanitario nazionale per tutti i minori stranieri anche se i loro genitori non sono in regola con le norme di soggiorno (l'ultima adesione del marzo 2015 è quella del Piemonte), ha scelto di non farlo;
   secondo quanto dichiarato dalla ONG Emergency sulla stampa, a differenza della Lombardia e di altre regioni, il Veneto non rilascia la tessera per i minori che permette l'accesso al pediatra di base. Sebbene vengano garantiti l'ingresso al pronto soccorso e anche le vaccinazioni, viene negata loro invece la continuità nelle cure, specialmente laddove esistano patologie gravi o importanti;
   a parere degli interroganti questa procedura è miope, perché a prescindere dal diritto alle cure di tutti c’è anche la necessità di garantire la salute pubblica, a partire da quella dei bambini loro compagni di classe all'asilo o a scuola;
   sono in aumento nel nostro Paese i casi di assistenza sanitaria garantita da iniziative di volontariato e da organizzazioni non governative, strutture che si è abituati a vedere in azione in Paesi di guerra e di sottosviluppo –:
   se non reputi urgente assumere ogni iniziativa di competenza, anche normativa, affinché sia garantita l'assistenza pediatrica di base a tutti i minori stranieri presenti sul territorio nazionale, e l'erogazione di determinate prestazioni sanitarie per i figli di immigrati extracomunitari senza permesso di soggiorno, a prescindere dalla condizione e a tutela del bene comune della salute pubblica. (5-07920)


   SILVIA GIORDANO, L'ABBATE, COLONNESE, LOREFICE, BARONI, MANTERO, DI VITA e GRILLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la celiachia o malattia celiaca (MC) è un'intolleranza alimentare autoimmune permanente, scatenata in soggetti geneticamente predisposti dall'ingestione del glutine;
   secondo i dati del Mistero della salute attualmente si stima che la condizione celiaca interessi circa l'1 per cento della popolazione generale e sia più frequente tra le donne (3 volte più che negli uomini);
   la celiachia è stata riconosciuta come malattia sociale con l'approvazione della legge 4 luglio 2005, n. 123, «Norme per la protezione dei soggetti malati di celiachia», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 7 luglio 2005 n. 156;
   l'articolo 4 della legge 4 luglio 2005, n. 123, ha riconosciuto per i soggetti affetti da celiachia il diritto all'erogazione gratuita di prodotti dietoterapeutici senza glutine;
   il decreto-legge del 4 maggio 2006 ha stabilito le norme e fissato i tetti massimi di spesa a livello nazionale per l'erogazione dei prodotti senza glutine;
   attualmente al soggetto celiaco, sono concessi dei buoni per l'acquisto di prodotti alimentari, il cui valore varia in funzione del sesso e dell'età del cittadino; i buoni sono spendibili presso le farmacie-parafarmacie, ma diverse problematiche emergono in merito alla portabilità dei buoni e del loro utilizzo su tutto il territorio nazionale;
   l'utilizzo di buoni di acquisto al di fuori della regione di residenza è subordinato all'esistenza di accordi bilaterali tra le regioni interessate per poter ottenere i rimborsi, condizione che crea notevoli disagi ai soggetti interessati e alle loro famiglie;
   vi sono dei limiti circa la spendibilità dei buoni al di fuori sia della regione di residenza del soggetto che del circuito farmacie-parafarmacie;
   Caterina Pilo, direttore dell'Aic, l'Associazione italiana celiachia, ha affermato: «dal 2001 il Ministero della salute ha ampliato la possibilità di erogare i prodotti per celiaci anche al di fuori delle farmacie per cui le Asl possono attivare specifiche convenzioni con la Grande distribuzione organizzata, ma la possibilità di ritirare al supermercato i prodotti senza glutine tramite i “buoni” è diffusa solo in metà delle regioni italiane. In alcune, poi, c’è la possibilità di usufruire di “buoni” in piccoli tagli, per esempio da 10-20 euro, in altre ancora no: ci si può rifornire, quindi, solo in un'unica farmacia o presso lo stesso punto vendita. Un altro limite per chi soffre di celiachia è l'impossibilità di utilizzare i “buoni” anche in altre regioni diverse da quella di residenza o addirittura in un'altra Asl. In alcuni casi ci sono accordi tra Asl di regioni limitrofe per evitare disagi ai pazienti, per esempio quando si dovrebbero percorrere diversi chilometri per raggiungere il punto vendita della regione in cui si risiede, mentre è più vicino quello della regione con cui si confina, la legge n. 123 riconosce la celiachia una malattia sociale ma ancora esistono ostacoli nella vita di ogni giorno. Se un celiaco si sposta per motivi di studio, lavoro o per vacanza in altre regioni, deve portare con sé tutti i prodotti senza glutine di cui ha bisogno, visto che non può spendere i buoni in una regione diversa da quella di residenza» –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere al fine di garantire alle persone affette da celiachia il diritto di acquistare prodotti aglutinati su tutto il territorio nazionale, indipendentemente dalla provincia o/e regione di residenza del paziente, nell'ambito del tetto di spesa mensile stabilito dal servizio sanitario nazionale;
   se intenda intraprendere iniziative al fine di consentire l'erogazione di prodotti aglutinati mediante il buono mensile anche attraverso i canali della grande distribuzione organizzata, anche introducendo la possibilità di lettura del tetto di spesa mediante la tessera del servizio sanitario europeo. (5-07927)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ATTAGUILE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale 9 dicembre 2015 individua le condizioni di erogabilità e le indicazioni di appropriatezza prescrittiva per 203 prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale erogabili nell'ambito del servizio sanitario nazionale;
   fin dalle fase preparatorie il decreto è stato oggetto di forti critiche da parte delle associazioni di categoria dei medici che hanno proposto migliorie al fine di tutelare la professionalità del personale sanitario e la salute dei cittadini;
   i medici parlano di un «decreto sbagliato»; lo Stato si sostituisce al giudizio del professionista, assumendone le prerogative, a prescindere dal malato. Non è compito della politica definire i criteri dell'appropriatezza clinica invadendo l'autonomia e la responsabilità dei medici;
   le associazioni dei medici sono consapevoli che il problema della prescrizione di esami inutili esiste come effetto della medicina difensiva, ritengono paradossale addossare ai medici le inefficienze e l'aumento dei costi del sistema sanitario nazionale. Nonostante questo, ora i medici si trovano nella situazione paradossale di dover pagare per tutti;
   la soluzione proposta dal Ministro interrogato a parer loro, è inaccettabile perché mette i professionisti tra due fuochi: quello del rischio del contenzioso legale e quello delle sanzioni per la prescrizione di esami inutili;
   l'appropriatezza delle prescrizioni – secondo le associazioni intervenute sull'argomento – non si realizza per decreto toccando temi, come la garanzia dei livelli essenziali di assistenza (LEA), che è già condizionata pesantemente dai tagli alla sanità –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover adottare, per quanto di competenza, opportune iniziative al fine di evitare di scaricare il costo delle inappropriate prescrizioni sulle spalle del cittadino e di consentire ai medici di svolgere in modo compiuto il proprio lavoro.
(4-12255)


   NESCI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 26 del T.u.a. (Testo unico delle accise) prevede l'applicazione dell'aliquota per usi industriali, tra l'altro, agli impieghi di gas naturale per combustione in «tutte le attività industriali produttive di beni e servizi»;
   l'Agenzia delle dogane e dei monopoli si è sempre espressa nel senso di non ricomprendere le aziende ospedaliere pubbliche nel novero di tali attività, ritenendo, sulla base dei criteri desumibili dall'articolo 2195 del codice civile, in ciò confortata anche dall'indirizzo giurisprudenziale (Cass. Civ. n. 2514/2000 e Cass. Sez. lav. n. 15753/2009), non potersi prescindere, ai fini della qualificazione della nozione di impresa e di attività industriale, dalla ricorrenza del fine lucrativo;
   non a caso, infatti, sulla base di tale presupposto, con circolare n. 48/D/2002 è stato riconosciuto alle case di cura private il diritto ad usufruire dell'aliquota suddetta, in quanto qualificabili come imprese industriali;
   più recentemente, in diversi contesti giudiziari sorti nel merito e che hanno visto l'Agenzia soccombente (Cass. Sez. Trib. Civ. n. 24908/13, 24909/13, 24910/13), è emerso il diverso orientamento assunto dalla Corte di cassazione riguardo alla definizione di attività industriale, con particolare riferimento alle aziende ospedaliere comunque costituite, nell'ambito della quale «il perseguimento di un profitto inteso come perseguimento del cosiddetto lucro soggettivo non può essere più ritenuto requisito indefettibile [...] soprattutto dopo che anche a livello comunitario si è manifestata la tendenza a valorizzare gli aspetti incentrati sulla produzione di beni o servizi»;
   secondo quanto affermato ancora dalla predetta Corte, «ha carattere imprenditoriale l'attività economica, organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi ed esercitata in via esclusiva o prevalente, che sia ricollegabile ad un dato obiettivo inerente all'attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, rimanendo giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro, che riguarda il movente soggettivo che induce l'imprenditore ad esercitare la sua attività». Pertanto, «ai fini dell'industrialità dell'attività svolta è sufficiente l'idoneità, almeno tendenziale, dei ricavi a perseguire il pareggio di bilancio»;
   nel succitato dispositivo la stessa Corte conclude che «non può revocarsi in dubbio [...] che l'attività posta in essere dalle aziende ospedaliere [...] è a pieno titolo attività industriale»;
   alla luce di quanto sopra specificato, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli ha ritenuto opportuno, in vista dell'adeguamento dell'indirizzo amministrativo alle nuove tesi ribadite in diversi contesti dalla più recente giurisprudenza di legittimità, approfondire la valutazione del caso, sottoponendolo al parere dell'Avvocatura generale dello Stato;
   nella richiesta avanzata al predetto organo consultivo, è stato anche tracciato un quadro dell’excursus normativo che ha portato la giurisprudenza a ricomprendere l'attività ospedaliera, all'interno del sistema sanitario nazionale, tra le attività industriali produttive di servizi di assistenza sanitaria e ricettiva;
   come specificato nella lettera del 30 luglio 2014 (numero protocollo: 77415 RU), «con il d.lgs. n. 502/1992, le Unità sanitarie locali, istituite con legge 23/12/1978, n. 833, vengono per la prima volta concepite secondo un modello imprenditoriale di tipo privatistico, attraverso la loro trasformazione in Aziende sanitarie locali dotate di autonomia patrimoniale, contabile e tecnica, la cui organizzazione e il cui funzionamento sono disciplinati con atto aziendale di diritto privato: ciò comporta che la struttura organizzativa e il piano strategico dell'azienda sono adottati secondo norme del codice civile e non più sulla base di regole e modalità tipiche della pubblica amministrazione. Inoltre, grazie alla riforma introdotta dal d.lgs. n. 229/1999, alle aziende ospedaliere pubbliche è stata attribuita una piena autonomia imprenditoriale, con l'equiparazione del loro regime giuridico a quello delle aziende sanitarie locali; il fabbisogno sanitario è finanziato anche da entrate proprie delle aziende (ticket e ricavi derivanti dall'attività intramoenia dei dipendenti) e le stesse sono tenute al rispetto dei vincoli di bilancio»;
   come si specifica ancora nella suddetta lettera, avente per oggetto il «Trattamento fiscale del gas naturale impiegato presso le aziende ospedaliere», le anzidette argomentazioni sono state condivise dall'Avvocatura generale dello Stato, «che ha sostenuto l'applicabilità del regime fiscale previsto dall'articolo 26 del decreto legislativo n. 504/1995 per gli usi industriali al gas naturale impiegato per la combustione presso le aziende ospedaliere»;
   per quanto su delineato, dunque, l'Agenzia ha stabilito che «posta la natura imprenditoriale dell'attività svolta dalle aziende ospedaliere, sono ricompresi tra gli usi industriali di cui all'articolo 26 del decreto legislativo n. 504/1995 gli impieghi del gas naturale destinato alla combustione negli enti ospedalieri e in tutte le altre strutture operative delle aziende dei servizi sanitari regionali»;
   il passaggio dell'applicazione di accisa (da usi civili a usi industriali), per quanto riguarda le aziende sanitarie e ospedaliere calabresi, porterebbe a un risparmio considerevole rispetto al costo finale del gas;
   a parere dell'interrogante, la riduzione dell'accisa, per quanto riguarda soltanto le sole aziende sanitarie e ospedaliere calabresi, porterebbe a un risparmio complessivo di alcuni milioni di euro;
   al riguardo si precisa, ancora, che la legge n. 10 del 1991 stabilisce che tutte le amministrazioni pubbliche sono tenute a rivolgersi ad un unico interlocutore, attraverso il cosiddetto «servizio energia calore», sia per la fornitura del combustibile sia per la manutenzione degli impianti, compresa la loro riqualificazione;
   occorre precisare che a bandire le gare sul «servizio energia calore» è direttamente la Consip, secondo le modalità stabilite nella succitata legge n. 10 del 1991, confezionando peraltro ad hoc per le aziende sanitarie;
   nei documenti di bando della Consip, tuttavia, non viene riportato il prezzo del combustibile con l'ammontare dunque dell'accisa, ma soltanto la contabilizzazione in valore orario o la contabilizzazione in termie e tra gli obblighi del fornitore dei servizi non vi è quello di informare l'amministrazione dell'esistenza o meno di agevolazioni di qualche tipo;
   va da sé che in questo modo non sono evidenziate, nei tabellari del capitolato tecnico allegato ai bandi o nel bando stesso, le parti relative all'accisa che, dunque, restano offuscate;
   a parere dell'interrogante, il rischio è che in assenza di una corretta informazione preliminare o di un obbligo in capo alla società vincitrice degli appalti, non sia mai richiesta la riduzione di accisa per le aziende sanitarie, che dunque si troverebbero a pagare più del dovuto, qualora abbiano mantenuto nel conto complessivo del costo del gas, il valore dell'accisa per usi civili –:
   se siano a conoscenza di quanto suesposto;
   quali iniziative urgenti di competenza intendano assumere per verificare che le aziende sanitarie pubbliche, calabresi e non, non versino più del dovuto per il servizio di fornitura e gestione del gas naturale. (4-12256)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 28 del decreto-legge 24 giugno 2014 n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014 n. 114, così come richiamata dall'articolo 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, è intervenuto sulla rideterminazione del diritto annuale a carico delle imprese;
   lo stesso articolo 10 della citata legge 7 agosto 2015, n. 124 delega il Governo ad adottare entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge medesima un decreto legislativo per la riforma dell'organizzazione, delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, anche mediante la modifica della legge 29 dicembre 1993 n. 580, come modificata dal decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 23, e il conseguente riordino delle disposizioni che regolano la relativa materia rispettando principi e criteri direttivi previsti nella citata legge n. 124;
   ancora una volta si ravvede, nell'operato del Governo, il controsenso di attuare una riforma (in tal caso quella della pubblica amministrazione) su enti (in tal caso le camere di commercio) non gravanti sul bilancio dello Stato, ma che anzi versano annualmente una quota di risparmi alle casse statali e finanziano i Consorzi Fidi utili alle aziende del nostro Paese in questo drammatico contesto socioeconomico che ci caratterizza da diversi anni;
   è del tutto evidente che le modalità con cui l'attuale Governo vuole dar corso alla riforma si manifestano in tutta la loro drammacità; togliere fonti di finanziamento agevolato alle imprese, togliere gli interventi relativi alle strutture socioeconomiche dei territori per un risparmio sul diritto annuale a regime, al netto dell'effetto fiscale per le ditte individuali di circa 2,50 euro al mese e di circa 5 euro per le rimanenti non darà nessuna utilità ed in più causerà un esubero di personale iniziale stimato dal 15 per cento al 25 per cento;
   da notizie di stampa risulta la dichiarazione di stato d'agitazione indetta dal personale delle camere di commercio, circa 7000 in Italia, preoccupati per l'eventuale perdita del posto di lavoro;
   invero, il taglio dei dipendenti non costituirà un risparmio di spesa, posto che in quanto personale pubblico finirà obbligatoriamente ad incidere sulle casse dello Stato, dovendo essere trasferito ad altreamministrazioni;
   da notizia riportata solo dal quotidiano romano Il Tempo del giorno 3 febbraio 2016, risulterebbe la dura presa di posizione di PMI Italia, a nome del suo vice presidente, contro la riforma che sembrerebbe configurarsi come uno smantellamento delle camere di commercio con un danno alle piccole e medie imprese che in Italia rappresentano il 90 per cento del tessuto produttivo;
   i piccoli imprenditori hanno sempre trovato nel sistema delle camere del commercio supporto, sostegno e consulenza su tutta l'attività imprenditoriale ed, in modo particolare, nell'accesso al credito e nel settore dell'internazionalizzazione;
   la medesima notizia riporta, inoltre, il rinvio della riforma che verrebbe espunta dalla più ampia riforma della pubblica amministrazione;
   da un ulteriore comunicato stampa di Rete Imprese Italia sull'esito dell'incontro avuto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione avuto dai rispettivi presidenti delle associazioni Confesercenti, Confartigianato, Confcommercio, CNA e Casartigiani emerge la posizione contraria alla riforma e, nello specifico, al taglio del diritto annuale che pagano gli stessi imprenditori e che rappresentano le maggiori entrate per le camere di commercio e alla diminuzione del loro numero da 105 a non più di 60, con il rischio di produrre effetti negativi per le imprese ed il territorio;
   da un consulto delle audizioni svolte presso le commissioni parlamentari e da quanto dichiarato dal 90 per cento degli imprenditori italiani parrebbe emergere la «nullità» dell'intervento di riforma delle camere di commercio, e il danno per lo Stato Italiano, senza nessun beneficio per tutto il tessuto produttivo;
   piuttosto, secondo l'interrogante, la riforma dovrebbe essere improntata al rilancio e alla valorizzazione attraverso implementazioni di funzioni nei territori d'appartenenza, evitando duplicazione con altre amministrazioni pubbliche, trasferendo ad esse tutte le attività afferenti al fare impresa, configurando le camere di commercio quale vera e unica casa delle imprese, riconoscendo alle stesse ed ai loro dipendenti quella capacità fattuale di professionalità, efficienza ed efficacia che lo Stato ricerca nei suoi cittadini/imprenditori, nel contempo, eliminando tutti quegli attori che di fatto non possono rappresentare lo Stato e il pubblico interesse ed eventualmente rafforzando la percezione che la legge è uguale per tutti –:
   se il Governo, alla luce di quanto esposto in premessa ed in ragione del dissenso manifestato e che si sta manifestando sul riordino delle camere di commercio, non ritenga più opportuno bloccare l'attuale impianto di riforma e sostenere in maniera costruttiva il processo di autoriforma avviato dagli enti medesimi. (5-07921)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LATRONICO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la distribuzione dei prodotti carbolubrificanti, pur non rientrando più nel concetto di pubblico servizio e non essendo più soggetta alla definizione di tariffa per effetto delle modifiche legislative introdotte nel corso degli ultimi 20 anni che hanno liberalizzato sia l'attività di rivendita che il prezzo al pubblico dei carburanti, mantiene inalterata una delicata importanza strategica per il Paese oltreché una caratteristica di essenzialità del servizio in forza della sua stretta interdipendenza con il diritto costituzionalmente garantito alla mobilità dei cittadini;
   anche in considerazione di tale carattere essenziale per l'interesse collettivo nel suo complesso e per ciascun cittadino consumatore in particolare, il legislatore ha ritenuto di dover affidare al Ministero dello sviluppo economico il compito di mettere a disposizione dei cittadini un sistema di informazione elettronico – Osservatorio prezzi – volto a pubblicare a beneficio del consumatore il prezzo di ciascun prodotto praticato da ciascun impianto di distribuzione carburanti, rendendo obbligatorio per i gestori il suo aggiornamento certo e puntuale;
   al medesimo Ministero dello sviluppo economico sono stati assegnati, nella persona del cosiddetto «Mister Prezzi», compiti di sorveglianza circa l'andamento e la congruenza dei prezzi praticati al pubblico in particolare dei prodotti carburanti: attività che, nel tempo, ha comportato numerosi interventi diretti, anche e non solo in termini di moral situation, nei confronti delle compagnie petrolifere operanti in Italia;
   presso lo stesso Ministero debbono, ex lege, essere depositati, perché ne sia curata la loro pubblicizzazione, gli accordi collettivi di categoria tra le compagnie petrolifere e le associazioni dei gestori, con le quali intese, tra l'altro, risultano essere definiti, ai sensi e per gli effetti delle leggi speciali di settore (decreto legislativo 32 del 1998, articolo 1; legge n. 57 del 2001, articolo 19; legge n. 27 del 2012, articolo 17) i criteri per la determinazione dei prezzi nonché le condizioni economiche (cosiddetti per brevità «margini») da riconoscersi ai gestori a motivo dell'attività e del servizio prestato presso gli impianti;
   dalla «rilevazione dei prezzi praticati alla pompa», diffusa quotidianamente dalla storica pubblicazione di settore, « Staffetta Quotidiana», ed elaborata proprio sulla base dei dati raccolti e resi pubblici dall'Osservatorio prezzi del Ministero dello sviluppo economico, risulta – a titolo di esempio la rilevazione del giorno 18 febbraio 2016 – una abnorme e ictu oculi ingiustificata differenza tra il prezzo medio imposto al pubblico per la modalità di vendita in self service e quello per la modalità servita;
   in particolare, dai dati ministeriali emerge che presso gli impianti delle reti italiane, un consumatore che, per scelta o necessità, per fare rifornimento alla sua auto si rivolga ad un erogatore servito paga mediamente 8,8 centesimi di euro in più al litro per la benzina (1,461 contro 1,373) e 9,1 centesimi di euro in più al litro per il gasolio (1,276 contro 1,185) di quanto spenderebbe ad un erogatore self service, spesso peraltro posti entrambi nel medesimo impianto;
   è bene subito chiarire che si tratta di cifre per niente trascurabili sia per le tasche dei consumatori (oltre 5 euro su un pieno medio di un auto) sia se messe in relazione al «margine industriale lordo» che le compagnie petrolifere «denunciano» ed il Ministero dello sviluppo economico assume per le sue statistiche e pubblica: assunto il valore di 17,3 eurocent/lt, quale margine industriale lordo medio (IVA compresa) rilevato dal Ministero dello sviluppo economico, nel 2015, il sovraprezzo di 8,8 sulla benzina venduta in servito pesa per oltre il 50 per cento;
   allo stesso modo del sovraprezzo di 9,1 imposto sul gasolio venduto in servito, assunto quale margine industriale lordo medio rilevato nel 2015 il valore di 17,9 eurocent/lt (IVA compresa) per il medesimo prodotto;
   ancora più rilevante – e palesemente ingiustificato – è il suddetto sovraprezzo se si analizza – a mero titolo di esempio – quello imposto dall'Eni, azienda leader del mercato sia in termini di quota mercato (oltre 25 per cento) sia in termini di punti vendita (poco meno del 20 per cento) la stessa inoltre è saldamente sotto il controllo del Governo (30 per cento del pacchetto azionario di proprietà della Cassa depositi e prestiti; consiglio d'amministrazione nominato dal Ministero dell'economia e delle finanze, per quanto risulti nominalmente soggetto giuridico privato;
   secondo i dati dell'Osservatorio prezzi del Ministero dello sviluppo economico, pubblicati da Staffetta Quotidiana, gli impianti della rete a marchio Eni praticano mediamente un sovraprezzo medio di 12,2 eurocent/lt sulla benzina (1,492 contro 1,370; +3,4 cent oltre la media Italia) e di 12,4 eurocent/lt sul gasolio (1,319 contro 1,195; +3,3 cent oltre la media Italia);
   tuttavia, è del tutto agevole constatare da una verifica diretta sul territorio come risulti assai facile imbattersi in impianti a marchio Eni che arrivano a praticare, presso il medesimo punto vendita, fino a 20 eurocent/lt di sovraprezzo per lo stesso prodotto tra erogazione servita e in self service;
   in quale misura tutto questo sia tanto dannoso per i consumatori, quanto abnorme e del tutto ingiustificato anche sul piano più strettamente commerciale, lo si può facilmente evincere verificando, attraverso l'esame degli accordi collettivi per i gestori Eni depositati presso il Ministero dello sviluppo economico, come di norma solo 2 eurocent/lt (fino a un massimo di 3,2) del suddetto sovraprezzo – 12 cent medi con punte di 20 – venga riconosciuto dalla compagnia ai propri gestori per quella attività – il servizio – che sola potrebbe giustificare un delta prezzo tra vendite in self service e in servito;
   ne consegue che Eni, oltre al proprio «margine industriale» ragionevolmente incassato sul prezzo base relativo alle vendite in self service, aggiunge a proprio esclusivo beneficio e a giudizio dell'interrogante in assenza di alcuna ragionevole giustificazione – posto che la manodopera per l'erogazione dei carburanti in servito è un onere a carico del gestore, remunerata dal margine contrattualmente definito come sopra già quantificato – un incasso extra che va tra i 9 e i 18 cent/litro, fino a raddoppiare di fatto il proprio margine industriale medio esposto dal Ministero dello sviluppo economico;
   ragionamento omogeneo, con numeri che possono discostarsi da quelli di Eni in un intorno più o meno significativo, vale anche per i marchi delle altre compagnie petrolifere operanti in Italia –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda intraprendere affinché i prezzi dei carburanti, la cui distribuzione costituisce un servizio essenziale per la collettività e per garantire il diritto costituzionale alla mobilità dei cittadini, rispondano a criteri di equità e ragionevolezza;
   quali iniziative di competenza intenda assumere in relazione ai comportamenti adottati nell'imporre un sovraprezzo, a giudizio dell'interrogante tanto evidentemente abnormi quanto del tutto ingiustificati verso i consumatori che, per scelta o necessità, intendono rifornirsi, usufruendo del servizio all'atto dell'erogazione del carburante;
   quali iniziative di competenza intenda avviare nei confronti di Eni, partecipata dallo Stato, che, quale incontestata azienda leader del mercato, appare all'interrogante costituire punta estrema di un tale fenomeno, capace di condizionare il resto del mercato;
   per quali ragioni, essendo il Ministero dello sviluppo economico nel pieno e diretto possesso di tutte le informazioni, degli elementi documentali, e delle competenze, non risulti allo stato ancora adottata alcun tipo di iniziativa. (5-07913)


   BERLINGHIERI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   dopo un lungo iter di concertazione fu sottoscritto in data 26 giugno 2003 un accordo di programma, fra Ministero delle attività produttive, regione Lombardia e province di Brescia e Sondrio, Parco dell'Adamello e tutti i comuni interessati dal nuovo elettrodotto 380 kv, denominato «San Fiorano Robbia» di interconnessione con la Svizzera;
   l'accordo prevedeva oltre alla realizzazione dell'elettrodotto stesso l'avviamento di lavori, per alcune opere di «razionalizzazione» sul territorio. In particolare:
    a) l'interramento di oltre 100 chilometri di linee;
    b) la messa fuori servizio di quasi 700 chilometri di vecchie linee;
   tali interventi finalizzati alla riduzione della presenza degli impianti sul territorio, al contenimento del relativo impatto ambientale e alla ottimizzazione del sistema elettrico regionale relativo alla porzione di rete elettrica di trasmissione nazionale sita nell'area nord orientale del territorio della regione Lombardia sono stati concordati e stipulati nell'accordo sopra citato;
   i lavori dell'elettrodotto sono iniziati a maggio 2004 e si sono conclusi nel mese di dicembre dello stesso anno. Dal punto di vista tecnico la linea, realizzata dalla società Terna, è lunga 46 chilometri e si sviluppa interamente nella regione Lombardia, interessando, la provincia di Brescia, i comuni di Sellero, Cedegolo, Cevo, Berzo Demo, Sonico, Edolo, Malonno, Corteno Golgi, nonché la comunità montana della Valcamonica, il parco regionale dell'Adamello ed, in provincia di Sondrio, i comuni di Tovo di S. Agata, Lovero, Sernio, Tirano, Villa di Tirano, nonché la comunità montana Valtellina di Tirano;
   il 20 gennaio 2005, è stata inaugurata la linea elettrica di interconnessione Italia-Svizzera (S. Fiorano-Robbia);
   in ottemperanza di quanto previsto dall'articolo 1 del suddetto accordo di programma e dei relativi allegati, l'ente gestore, nel 2008, ha avviato i lavori previsti dalla complessa razionalizzazione della rete con l'obiettivo di ottimizzare il sistema di trasporto e ridurre fortemente l'impatto ambientale nelle aree della Vallecamonica e dell'intera provincia di Sondrio;
   tuttavia, nei prossimi mesi verrà conclusa, sia pur con ritardo giustificato dalla complessità ambientale dei luoghi, la fase A dell'allegato 4 dell'accordo di programma e nonostante le sollecitazioni degli enti locali, mentre ad oggi nulla risulta sia stato fatto per attivare la fase B del medesimo allegato 4 –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dello stallo sinora registratosi e se, ciascuno per la propria competenza, non ritengano di adoperarsi affinché vengano avviate le procedure necessarie alla realizzazione e al completamento delle suddette opere. (5-07917)


   BUSIN e FEDRIGA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   fonti accreditate di stampa e associazioni di categoria affermano che il Ministero dello sviluppo economico avrebbe «licenziato» uno schema di decreto del Presidente della Repubblica, in attuazione della direttiva 2014/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, contenente nuove disposizioni in tema di sicurezza sugli ascensori;
   stando a quanto denuncia Confedilizia, la nuova normativa imporrebbe nuovi e maggiori adempimenti in merito ai controlli, con il pretesto di aumentare i livelli di sicurezza, tale da annullare gli effetti dell'abolizione della TASI sulla prima casa;
   sembra infatti che con lo schema di decreto del Presidente della Repubblica si imponga una verifica straordinaria per gli ascensori installati prima del 1999 che non è assolutamente prevista dalla direttiva 2014/33/UE, prevedendo una serie di misure di sicurezza che il soggetto verificatore ha la facoltà di prescrivere, con considerevole aumento dei costi di manutenzione per i proprietari, in considerazione del fatto che in Italia, almeno il 60 per cento degli ascensori in servizio è in funzione da più di 20 anni e quasi il 40 per cento da oltre 30 anni;
   più in particolare, gli organi di stampa riportano che dovranno essere eseguiti controlli: «sulla precisione di fermata e il livellamento tra cabina e piano; sulla presenza dell'illuminazione nel locale macchine; sulla presenza ed efficacia dei dispositivi di richiusura delle porte di piano con cabina fuori dalla zona di sbloccaggio; sulla presenza di porte di cabina; sul rischio di schiacciamento per porte motorizzate; sulla presenza del dispositivo di comunicazione bidirezionale in caso di intrappolamento in cabina; sull'illuminazione della cabina»;
   Confedilizia, dal canto suo, ha già denunciato la non sussistenza della necessità di introdurre ulteriori test di sicurezza, dato che la normativa già vigente prevede: la verifica di paracadute, limitatore di velocità, dispositivi di sicurezza, funi, catene e attacchi, isolamento impianto elettrico e collegamenti con la terra da parte di ditta specializzata da operarsi ogni sei mesi; la verifica da parte dell'asl, dell'arpa o di un organismo di certificazione autorizzato dal Ministero dello sviluppo economico e notificato alla Commissione europea da farsi ogni due anni; l'immediata sospensione dell'uso dell'impianto qualora il manutentore ravvisasse un qualsiasi pericolo, fino alla riparazione;
   ad oggi quindi, i controlli per gli ascensori sembrano già prevedere un ampio rispetto di standard dei livelli di sicurezza tanto che, come fa anche presente l'Organizzazione dei proprietari di casa, la percentuale di incidenti è bassissima, a fronte di un traffico giornaliero che si aggira tra 30 e i 40 milioni di passeggeri su un patrimonio di oltre 900 mila impianti che ogni giorno effettuano quasi cento milioni di corse;
   dunque simili dati sono tali da non poter giustificare l'introduzione di quella che Confedilizia definisce una spesa tanto ingente da annullare «in un colpo solo gli effetti dell'abolizione della Tasi sull'abitazione principale, imponendo esborsi pari al doppio del gettito della Tasi stessa», benché sia difficile fare delle stime perché dipenderà dal numero di inquilini che si ripartiranno le spese di controlli e dallo stesso ascensore –:
   se il Governo sia al corrente dei fatti esposti in premessa e se intenda effettuare, se non l'abbia già fatto, una stima dell'impatto di una simile norma sui contribuenti, con particolare riferimento agli eventuali e maggiori oneri che potrebbero derivare dall'ottemperanza ai nuovi adempimenti. (5-07919)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il mancato rinnovo del regime di essenzialità per la Sardegna sta creando un vero effetto domino nell'area industriale di Ottana;
   di fatto, a rischio sono tutte le imprese esistenti e gli investimenti già effettuati;
   l'eventuale blocco della centrale elettrica, infatti, non rappresenta un problema a se stante, dato che certamente danneggerà in modo molto pesante anche su tutte le imprese legate alla centrale elettrica;
   si pregiudicherà, infatti, il riavvio di Ottana Polimeri e andranno in crisi imprese come Corstyerene che dipendono dalla produzione di vapore della centrale;
   inoltre, la fermata della centrale determinerà, a cascata anche la crisi del Consorzio industriale provinciale, le cui entrate dipendono per il 90 per cento da Ottana Energia, e fino ad un anno fa anche da Ottana Polimeri;
   la crisi del Consorzio sopra citato, a sua volta, avrà secondo l'interrogante gravi ripercussioni anche sulle imprese insediate nella zona, la cui l'Antica Fornace Villa di Chiesa, Eurozinc, Tirreno Gas, Denti & Company, che si servono dei servizi del Consorzio;
   vive sono le preoccupazioni per la sopravvivenza del Consorzio, che già ora versa in gravi difficoltà economiche, che si aggraverebbero con la fermata di Ottana Energia;
   la centrale elettrica, infatti, ha ruolo strategico per tutta l'area industriale e il mancato rinnovo dell'essenzialità, oltre a determinare la fermata della centrale, causerà la fine dell'intero insediamento che conta circa 430 addetti diretti (di cui già 90 in cassa integrazione), più indotto;
   le preoccupazioni per il mancato rinnovo del regime di essenzialità per la Sardegna erano già state sollevate con atti di sindacato ispettivo: si tratta, in particolare dell'Interrogazione risposta scritta n. 4/05841 (a firma Capelli), presentata il 7 agosto 2014 e dell'interpellanza urgente n. 2/01154 (a firma Capelli-Dellai), presentata il 6 novembre 2015;
   nei succitati atti di sindacato ispettivo si indicavano con chiarezza i rischi legati al mancato rinnovo del regime di essenzialità per la Sardegna, e le risposte del Governo non hanno fugato timori più che giustificati;
   oltre a compromettere il quadro esistente, il blocco della centrale con la conseguente crisi del Consorzio rischia di pregiudicare la possibilità di avviare i nuovi investimenti previsti e la nuova occupazione, spegnendo così ogni speranza per la ripartenza di un sito industriale che avrebbe, invece, ancora possibilità di rilancio;
   da una parte, infatti, tra investimenti previsti già avviati ed altri potenziali, le aziende hanno messo sul tavolo circa 117 milioni di euro per progetti di ampliamento e rilancio aziendale;
   inoltre, circa 20 milioni di euro sono già destinati ad interventi di riqualificazione industriale: banda larga, illuminazione pubblica, rete elettrica, videosorveglianza antincendio e altro;
   quindi, mentre da un lato si mettono in campo investimenti privati e risorse pubbliche per rilanciare le attività produttive e le infrastrutture, come previsto da tempo, dall'altro, il mancato rinnovo dell'essenzialità rischia di compromettere in modo irreversibile la tenuta dell'intero sito industriale;
   si ribadisce, infatti, che la centrale è strategica e se nei prossimi giorni si dovesse giungere al blocco di Ottana Energia si comprometterebbe l'intera area industriale. Appare, dunque, necessario il massimo impegno della politica per risolvere la questione relativa alla centrale elettrici;
   attorno al rilancio dell'area di Ottana ruotano tre iniziative strategiche strettamente collegate tra loro: 1) il riavvio della centrale elettrica: dopo la scadenza del regime di essenzialità dicembre 2015, oggi la centrale è ferma. L'azienda ha proposto il servizio di riaccensione per riattivare la rete elettrica regionale in caso di black-out. 2) fa realizzazione di un centro di stoccaggio di gas naturale liquido (GNL) a Oristano. L'iniziativa e di una joint venture internazionale e il progetto è propedeutico alla conversione della centrale in un impianto a gas più piccolo da 30 megawatt. Si garantirebbe così la produzione di energia a prezzi di mercato e la produzione di vapore e altre utilities per Ottana Polimeri e le altre aziende. Il progetto è in attesa delle autorizzazione da giugno 2015. Tra la realizzazione del centro di stoccaggio a Oristano e la conversione a gas della centrale si prevede un investimento di 100 milioni di euro. 3) il riavvio della filiera del polietilentereftalato (PET) per Ottana Polimeri ferma da oltre un anno, con la conseguente collocazione in essa (integrazione dei lavoratori. L'azienda sta lavorando per acquisire l'impianto Eni-Versalis di Sarroch (fermo da un anno) e riavviare la produzione di paraxilene, materia prima per il PET. Su questa partita si è in attesa di una risposta da parte di Eni-Versalis;
   si tratta di iniziative importanti ma che non avranno alcuno sbocco se la centrale elettrica di Ottana rimarrà inerte –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Governo per evitare che la fermata della centrale elettrica di Ottana diventi definitiva, con le evidenti conseguenze sopra citate e che inevitabilmente colpiranno un'area importante di una regione, la Sardegna, già in grave crisi economica e occupazionale. (4-12237)


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'inaspettata ripresa dei lavori sulla piattaforma galleggiante GSF «Key Manhattan», posizionata immediatamente davanti alla costa di Cesenatico, nei pressi del pozzo Morena 1, ha suscitato grande agitazione fra i cittadini, mettendo a rischio lo svolgimento di attività strettamente legate al territorio costiero, come quella turistica e della pesca;
   il pozzo per l'estrazione di gas metano Morena 1, situato a circa 7 chilometri dalla costa, è oggetto di concessione di coltivazione «A.C28.EA», rilasciata alla società ENI s.p.a., che ha iniziato la perforazione nel 1994, poi prorogata nel 1997, e in produzione fino al 2008, e chiusa da quell'anno a causa della risalita in superficie di sabbia dal giacimento;
   nonostante l'azienda si sia affrettata ad esplicitare che la ripresa dei lavori sia finalizzata ad un adeguamento tecnologico dell'impianto, che permetterebbe di limitare il trasporto di sabbia in superficie, consentendo così la produzione selettiva del solo gas metano, le preoccupazioni sono evidenti, in quanto si ritiene che dietro tale attività possano celarsi nuove perforazioni;
   un'eventuale ripresa dell'attività di perforazione lungo quel tratto di costa rischia, infatti, di aggravare la situazione legata al fenomeno della subsidenza, provocando un'ulteriore abbassamento della costa;
   oltre agli evidenti danni ambientali che deriverebbero dall'eventuale abbassamento della costa, il fenomeno erosivo avrebbe un forte impatto anche sulle attività turistiche e della pesca, le quali già oggi sono soggette a frequenti inondazioni e allagamenti, tali dar far ritenere, secondo alcuni, l'esistenza di una stretta correlazione tra attività estrattiva e lo stesso abbassamento del suolo;
   in seguito alle estrazioni del gas il suolo infatti potrebbe accelerare il suo inabissamento di 15-20 centimetri in vent'anni, che per una città come Cesenatico, dove il comparto balneare ricopre un ruolo centrale, sarebbe gravissimo;
   il perdurare delle suddette attività, peraltro riprese senza nessun tipo di preventiva informazione alla popolazione, ha poi un forte impatto visivo che certamente non aiuta, a ridosso dell'apertura della stagione estiva, ad attrarre turisti sul territorio, pregiudicando le possibilità di ripresa economica delle imprese turistiche ubicate proprio nel tratto di costa limitrofo all'impianto –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se le attività effettuate da ENI s.p.a. sul pozzo esplorativo Morena 1, siano rispondenti a quanto disposto dal decreto di attribuzione della concessione di coltivazione «A. C28 EA»;
   se intenda fornire indicazioni in merito alla durata temporale dei lavori svolti da ENI spa sul pozzo Morena 1 e se questi possano ritenersi propedeutici ad un'eventuale riattivazione del pozzo medesimo;
   se abbia proceduto ad un'eventuale stima dei danni, sia diretti che indiretti, che possano scaturire dall'eventuale ripresa dell'attività di sfruttamento del pozzo, sia in termini di impatto sul territorio, che sulle attività legate al turismo e alla pesca. (4-12252)


   CIRACÌ, FUCCI, MARTI, ALTIERI, LATRONICO e CHIARELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la salute è un diritto costituzionalmente riconosciuto;
   le cure odontoiatriche hanno subìto una flessione negli anni della crisi economica. Secondo l'ISTAT si è ridotto il numero di trattamenti effettuati: le persone che si sono sottoposte ad un solo tipo di trattamento nell'anno sono il 70,7 per cento (49,3 per cento nel 2005);
   è diminuito, sempre secondo l'ISTAT, il ricorso ai dentisti che esercitano la libera professione, infatti la percentuale passa dal 34,7 per cento nel 2005 al 32,3 per cento;
   l'Associazione nazionale dentisti italiani ha, in Commissione industria del Senato, chiesto nuove regole che aumentino il livello di trasparenza e professionalità del mercato odontoiatrico gestito dalle società di capitali e norme più severe per combattere l'abusivismo professionale;
   negli ultimi anni si è assistito al proliferare di società che si occupano di servizi odontoiatrici che attraverso il franchising aprono strutture sul territorio e che non presentano, in alcuni casi, dei direttori sanitari iscritti all'albo degli odontoiatri presso l'Ordine dei medici. Inoltre il direttore sanitario spesso lavora per diversi centri non garantendo, in tal modo, la sua presenza che dovrebbe essere costante; si è anche verificato che le società delegano ad addetti al settore commerciale la redazione di piani di trattamento e cura dei pazienti, in modo da massimizzare l'utile ricavabile;
   le catene odontoiatriche hanno la possibilità, al contrario degli studi professionali, di proporre aggressive attività promozionali utilizzando le cosiddette «prestazioni civetta» a tariffe sottocosto, senza la possibilità che l'Ordine professionale possa sanzionarle;
   le società che si occupano di servizi odontoiatrici in caso di fallimento potrebbero essere, essendo spesso «società a responsabilità limitata» con capitale sociale di 10.000 euro, insolventi nei confronti sia dei propri assistiti che degli operatori che vi lavorano, poiché il giro di affari di un centro odontoiatrico supera di gran lunga la quota di capitale sociale versata che deve essere usata naturalmente anche a forma garanzia;
   le società che offrono servizi odontoiatrici non sono obbligate ad avere all'interno dei loro consigli di amministrazione figure iscritte all'Ordine dei medici e degli odontoiatri e per tal motivo spesso perseguono politiche societarie puramente commerciali e orientate alla sola logica del profitto;
   il giornale on line «il Fatto Quotidiano», il 24 giugno 2014 riportava la notizia secondo la quale la direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, indagando sulla cosca Molé, avrebbe scoperto che la stessa riciclava denaro di provenienza illecita investendolo, fra le altre attività, anche in una clinica sanitaria odontoiatrica, attraverso la società Terni Uno Srl, affiliata al franchising «Vitaldent»;
   il 16 febbraio 2016, la Policia nacional spagnola ha arrestato il proprietario del marchio «Vitaldent» Ernesto Colman, il vice presidente del Gruppo, Bartolomé Conde, ed altre 11 persone con pesanti accuse di reati fiscali e riciclaggio;
   il 17 febbraio il telegiornale satirico Striscia la Notizia ha mandato in onda un servizio sulla chiusura per fallimento di alcuni centri Vitaldent che hanno lasciato senza cure i pazienti che avevano anticipato ingenti somme di denaro;
   sempre in data 16 febbraio si è appreso che al centro dell'indagine sulla sanità lombarda denominata dagli inquirenti «SMILE» vi è l'attività corruttiva di un'importante società che si occupa di servizi odontoiatrici;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quali siano i loro orientamenti, per quanto di competenza;
   se intendano, per quanto di competenza, assumere iniziative per attivare controlli più stringenti nei confronti delle società che si occupano di servizi odontoiatrici;
   quali iniziative, anche di carattere normativo, intendano assumere al fine di migliorare il mercato odontoiatrico dominato dalle società di capitali che sta mettendo in pericolo il sistema professionale che da decenni rappresenta un punto di riferimento per i cittadini italiani.
(4-12258)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Sbrollini e altri n. 1-01174, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vico.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Picchi e altri n. 5-07863, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Valentini.

ERRATA CORRIGE

  Risoluzione in Commissione Di Vita e altri n. 7-00883 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 546 del 13 gennaio 2016. Alla pagina 32422, seconda colonna, alla riga trentaquattresima, deve leggersi: «n. 119 del 2013 siano erogati senza ritardi;» e non come stampato.

  Interpellanza Pesco e altri n. 2-01284 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 576 del 24 febbraio 2016. Alla pagina 34586, seconda colonna, dopo la riga quarantatreesima, si deve inserire il seguente testo: «e tuttora permettono il verificarsi di casi come quello del dottor Pironti, del dottor Sora, del procuratore Rossi, evidentemente coinvolti nelle vicende espresse, e rimasti comunque a svolgere i loro ruoli professionali.».