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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 24 febbraio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni II e III,
   premesso che:
    nel nostro Paese aumenta il numero di casi di sottrazione del figlio minore a opera di un genitore, il quale decide, illegittimamente, di allontanarsi e di portare via con sé il figlio, in un luogo sconosciuto o all'estero, al fine di impedirgli qualsiasi rapporto con l'altro genitore;
    le sottrazioni dei figli minori avvengono in situazioni e con modalità diverse. Sono poste in essere immediatamente prima di richiedere la separazione o di interrompere la convivenza, oppure dopo il provvedimento giudiziale di affidamento dei figli, a opera del genitore affidatario che intende recidere definitivamente il legame del figlio con l'altro genitore o del non affidatario che non riconosce il provvedimento;
    benché assumano sempre più rilevanza i casi in cui il genitore sottraente ha una diversa nazionalità di origine e, comunque, decide di portare con sé il figlio all'estero, appaiono altrettanto preoccupanti i casi in cui il genitore, di origine italiana, sottrae il figlio e, pur permanendo nel territorio dello Stato, riesce a far perdere qualsiasi traccia all'altro genitore;
    la convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980, ratificata dall'Italia con la legge n. 64 del 15 gennaio 1994, sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori ha come fine di assicurare l'immediato rientro dei minori illecitamente trasferiti o trattenuti in qualsiasi Stato contraente e di garantire che i diritti di affidamento e di visita previsti in uno Stato contraente siano effettivamente rispettati negli altri Stati contraenti;
    con l'espressione «sottrazione internazionale di minori» si indica la situazione in cui un minore viene illecitamente condotto all'estero da chi non esercita la potestà esclusiva, senza alcuna autorizzazione, oppure non viene ricondotto nel Paese di residenza abituale a seguito di un soggiorno all'estero;
    la sottrazione internazionale di minori viene comunemente definita «attiva» quando il minore viene illecitamente condotto dall'Italia all'estero o non è ricondotto in Italia — quale Paese di residenza abituale — a seguito di un soggiorno all'estero e «passiva» quando un minore viene illecitamente condotto dall'estero in Italia, o è qui trattenuto;
    alla sezione statistiche sul sito del Ministero della giustizia, si legge che i casi pervenuti relativi alla citata Convenzione (sottrazione internazionale di minori — rimpatrio e diritto di visita — relativi al 2014) sono 240, comprensivi di casi «attivi» e casi «passivi»;
    la sottrazione e il trattenimento all'estero di minore costituisce ipotesi di reato in base all'articolo 574-bis del codice penale, ove non si ravvisi altro, più grave reato (come prevede, ad esempio, l'articolo 605 del codice penale); tuttavia, il sequestro di minore, come figura autonoma di reato, dovrebbe prevedere, invece, una pena elevata e più congrua che si differenzi dalle attuali sanzioni irrisorie previste per i reati ai quali tale condotta è ascritta;
    in tal senso, sono state depositate sia alla Camera dei deputati (C. 1739) sia al Senato (S. 611 e S. 1867) proposte volte non solo ad abrogare il citato articolo 574-bis ma anche a introdurre un articolo 605-bis che preveda il reato del «sequestro di persona di età minore di dodici anni», tenuto conto della rilevante diffusione di questo odioso reato, sanzionato in modo non adeguato dal codice vigente, che prevede una pena inferiore a quella sancita per il furto aggravato di un bene materiale;
    in data 2 febbraio 2005 alla Camera dei deputati fu depositata la mozione n. 1-00421, modificata il successivo 9 febbraio e approvata nella stessa data con la quale si impegnava il Governo:
     «a promuovere iniziative e soluzioni normative che riconoscano il minore quale vittima della sottrazione e consentano di attivare tutti gli strumenti sia investigativi che coercitivi al fine di rintracciare e tutelare tempestivamente il minore indebitamente sottratto ad un genitore;
     a verificare i percorsi normativi per giungere alla costituzione di un fondo per il gratuito patrocinio per le vittime di sottrazione;
     a promuovere trattati bilaterali con gli Stati non aderenti alla Convenzione dell'Aja in materia di sottrazione internazionale del minore;
     ad adottare iniziative perché siano unificate le competenze istituzionali in un unico organo o ad affidargli funzione di coordinamento;
     a verificare con le ambasciate italiane modalità per rafforzare le iniziative da intraprendere in caso di sottrazione di un minore italiano e al fine di garantire il diritto di visita del genitore italiano;
     a rafforzare il sistema dei controlli per il caso di espatrio di minori attraverso frontiere e aeroporti italiani»,

impegnano il Governo

   ad adottare le opportune iniziative normative volte ad abrogare l'articolo 574-bis del codice penale relativo ai reati di sottrazione internazionale di minori e a introdurre un nuovo articolo che, come indicato in premessa preveda il reato di sequestro di persona di minore di anni dodici;
   ad assumere iniziative per prevedere l'istituzione di una procura generale nazionale per le sottrazioni internazionali di minori specializzata con personale di maggiore esperienza, senza oneri aggiuntivi, ovvero senza assumere nuovo personale;
   ad assumere iniziative per definire nuovi trattati bilaterali con gli Stati aderenti e non aderenti alla Convenzione de L'Aja, soprattutto in ragione del fatto che la snellezza degli accordi tra due soli Paesi contraenti comporta un criterio di reciprocità a tutto vantaggio della rapida soluzione dei singoli casi, e nell'interesse primario del minore, a tutela della garanzia dell'esercizio del diritto di visita da parte del genitore italiano all'estero;
   a promuovere l'istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri di un Comitato diretto da un commissario straordinario, per la sottrazione internazionale dei minori, nominato ai sensi dell'articolo 11 della legge n. 400 del 1998, che riunisca tutte le competenze di autorità centrale dello Stato, così come definita dalla Convenzione de L'Aja, elaborando e diramando a tutte le ambasciate italiane nel mondo un protocollo di intesa sulle iniziative da intraprendere nel caso di sottrazione di un minore italiano;
   ad agire in ambito europeo e internazionale affinché siano previste sanzioni verso i Paesi inadempienti agli obblighi derivanti dalle convenzioni, e siano studiate e messe in atto iniziative diplomatiche e politiche adeguate in modo che tali Stati abbiano un atteggiamento più collaborativo nell'esclusivo interesse dei bambini coinvolti, e a tutela di una vera garanzia dell'esercizio del diritto di visita da parte del genitore italiano all'estero;
   ad adottare iniziative che permettano l'immediata individuazione, la segnalazione e il divieto di espatrio del minore sottratto già ai terminal di porti e aeroporti, facilitando così l'applicazione dell'articolo 97 della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen del 14 giugno 1985.
(7-00927) «Scagliusi, Bonafede».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
   dopo anni in cui il lupo in Italia ha rischiato di estinguersi, numericamente ridotto a pochi branchi insediati prevalentemente in Appennino centrale, oggi è presente dalla Calabria fino a diversi settori delle Alpi, si possono distinguere una popolazione appenninica e una alpina con situazioni ecologiche e dinamiche diverse ma che necessiterebbero comunque una gestione coordinata e a larga scala;
   negli anni ’70 la sottospecie italica — Canis lupus italicus – era giunta sull'orlo dell'estinzione; un censimento effettuato nel 1976 stimò in soli 100 esemplari il numero di lupi presenti sul territorio nazionale. La consistenza numerica nel 2004, dopo oltre trent'anni di protezione legale e nonostante il persistente bracconaggio, era stimabile in circa 1500/1900 esemplari, distribuiti stabilmente dalla Val d'Aosta alla Calabria;
   a partire dalla metà degli anni 2000, in alcuni areali della Toscana, c’è stato un incremento dei danni da predatore a carico del bestiame domestico. Come refertato dai medici veterinari forensi, i rilievi necroscopici hanno evidenziato che sono da attribuirsi a cani vaganti, sia padronali che ferali, e a lupi; (fonte:1. dottor Duccio Berzi «Tecniche, strategie e strumenti per la prevenzione dei danni da predatori al patrimonio zootecnico» Centro per lo studio e la documentazione sul lupo; dottor Rosario Fico medico veterinario forense, Istituto zooprofilattico del Lazio e della Toscana);
   negli ultimi cinque anni si è assistito ad una inaccettabile recrudescenza degli abbattimenti dei lupi. Il lupo è patrimonio indisponibile dello Stato (secondo la ratio della legge n. 968 del 27 dicembre 1977 che ha elevato la fauna selvatica da « res nullius» a « res communitatis», cioè «patrimonio indisponibile dello Stato») e si tratta quindi di una specie particolarmente protetta da numerose normative nazionali ed internazionali quali:
    la Convenzione di Berna (firmata nel 1979 e ratificata dall'Italia con la legge n. 503 del 5 agosto 1981) che inserisce il lupo nell'allegato II che include le specie particolarmente protette e pertanto ne vieta la cattura, l'uccisione, la detenzione ed il commercio;
    la direttiva « Habitat» (direttiva 92/43/CEE, recepita dall'Italia con decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 8 settembre 1997), che inserisce il lupo nell'allegato D IV (protezione rigorosa) e ne proibisce il disturbo, la cattura, l'uccisione, la detenzione ed il commercio. La direttiva protegge il lupo a due livelli: a) gli Stati membri hanno l'obbligo di identificare, siti di importanza comunitaria (Sic), nell'ambito della rete Natura 2000, per la protezione delle popolazioni di grandi carnivori di specie incluse nell'allegato II; b) l'articolo 12 della direttiva obbliga gli Stati membri ad attivare sistemi di protezione per tutte le specie incluse nell'allegato IV, sia all'interno che al di fuori dei siti di Natura 2000;
    la Convenzione di Washington (1973) sul commercio delle specie animali e vegetali minacciate di estinzione (Cites, recepita dal nostro Paese con la legge n. 874 del 19 dicembre 1975), che include la popolazione italiana di lupo dell'appendice II (specie potenzialmente minacciate), che impone una specifica auto; 4) Il Consiglio d'Europa ha lanciato nel 1995 la Large carnivore initiative for Europe (Lcie) – allo scopo di «conservare, in coesistenza con l'uomo, popolazioni vitali di grandi carnivori». La Lcie ha prodotto documenti ed un piano, d'azione europeo sul lupo (2000), che è stato adottato dal comitato permanente della Convenzione di Berna (raccomandazione n. 72 del 2 dicembre 1999). Più recentemente la Lcie ha prodotto le linee guida per i piani di gestione delle popolazioni di grandi carnivori (2008);
    l'Unione mondiale per la conservazione della natura (Iucn), attraverso l'inserimento nelle liste rosse, le ultime risalgono a dicembre 2008, (www.iucnredlist.org), classifica il lupo in Italia come specie criticamente in pericolo o vulnerabile come l'orso, la lince, la lontra, il camoscio d'Abruzzo;
   lo status giuridico del lupo prevede che:
    il lupo sia Specie Protetta dal 23 luglio 1971 con decreto ministeriale che ne proibì la caccia;
    la legge n. 157 del 1992 inserì il lupo tra le Specie Particolarmente Protette (articolo 2, c 1);
    la direttiva «Habitat» recepita con il decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1992, del 8 settembre 1997 inserì il lupo nell'allegato D, tra le specie di interesse comunitario che richiedono una rigorosa protezione;
   e quindi:
    è vietato catturare, cacciare, disturbare, possedere, trasportare, scambiare, commercializzare il lupo per il decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1992, articolo 8 cc 1-2;
    prevede richiesta di autorizzazione del Ministero dell'ambiente, sentito l'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale per ogni intervento di immissione in natura (decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1992 articolo 12);
    prevede la creazione di un fondo regionale per la prevenzione e il risarcimento danni per la legge n. 157 del 1992 articolo 26;
    prescrive il risarcimento dei danni nelle aree protette a carico dell'ente parco per la legge n. 394 del 1991 e successive modifiche;
    il lupo appartiene quindi al patrimonio indisponibile dello Stato, ed è considerata una specie particolarmente protetta in virtù della legge n. 157 del 1992;
    prevede il monitoraggio delle popolazioni di lupi da parte delle Regioni sulla base di linee guida del Ministero ambiente, Ispra e Mipaf decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 articolo 7 c. 2;
   la presenza di cani vaganti e ferali, ritenuti responsabili del presunto problema della «ibridazione» è chiaramente dovuta alla negligenza istituzionale nel mancato rispetto dei doveri previsti dalla normativa vigente che tutela gli animali d'affezione (quindi i cani randagi, i cani vaganti di proprietà e quelli ferali) e interviene per la prevenzione del randagismo a partire dalla legge 281 del 1991 «Tutela degli animali d'affezione e prevenzione del randagismo»;
   la legge n. 281 del 1991 sancisce: «lo Stato promuove la disciplina della tutela degli animali d'affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti e il loro abbandono, favorendo la corretta convivenza tra uomo e animale, tutelando la salute pubblica.» Come tutte le leggi quadro prevedono, ogni regione, nell'ambito dei principi cardine della stessa, ha emanato leggi interne;
   la tutela di ogni specie animale la cui uccisione e maltrattamento sono considerati Delitti ai sensi del Codice Penale dagli articoli: 544-bis e ter nonché l'abbandono secondo il 727 del codice penale, è atto dovuto;
   il cane vagante padronale, è un animale di proprietà secondo le normative vigenti (281 del 1991 e successive modifiche) che invece dovrebbe essere correttamente gestito, avere il microchip, essere inserito in anagrafe canina e altro e invece è anche lasciato libero di vagare e soprattutto nelle ore notturne;
   il cane randagio è il cane abbandonato o presente sul territorio per la mancata applicazione della legge 281 del 1991 «Tutela degli animali d'affezione e prevenzione del randagismo». Le responsabilità di tale condizione, non più giustificabile a distanza di ben 25 anni dalla sua emanazione e spesso della sua mancata o scorretta applicazione, sono molteplici: da chi abbandona in primis a quella del Sindaco che è il responsabile civile e penale dei cani vaganti sul territorio nonché la massima autorità sanitaria, a quella della Asl che ha il compito di cura, sterilizzazione, apposizione del microchip, iscrizione all'anagrafe canina, e altro. La persistenza del fenomeno del randagismo esita quindi da una infinita serie di vere e proprie omissioni di atti di ufficio poiché la normativa vigente e i suoi chiari precetti non sono applicati;
   il cane ferale (o inselvatichito) esita dalla scorretta, perpetrata e negligente gestione umana, è frutto dell'abbandono e della mancata applicazione della legge 281 del 1991. I cani ferali sono animali che si mantengono in modo autonomo dall'uomo, interagiscono tra loro socialmente e manifestano comportamenti ancestrali;
   in virtù del mancato rispetto delle normative vigenti sopracitate, l'accoppiamento tra cane e lupo è un fenomeno osservato nelle aree di presenza di quest'ultimo. Trattandosi della stessa specie (il cane e il lupo), l'accoppiamento da esito a prole fertile, pertanto anche definirli «ibridi», sottende a scorrette quanto errate interpretazioni. Sarebbe più corretto definirli, invece, frutto di meticciamento trattandosi, appunto, di prole che deriva dalla stessa specie;
   giova rammentare inoltre che il Regolamento CE n. 338/97 che considera fino all'F 4 (ovvero fino alla quarta generazione) come «specie» dal punto di vista di tutela Cites, anche in ibridazione, ancorché con domestici. Ciò a significare che ogni esemplare frutto di tale meticciamento/ibridazione è soggetto al predetto Regolamento e ai chiari precetti in essa contenuti. Non può essere quindi catturato e detenuto in cattività;
   ricercatori ed esperti sostengono che: «dai dati attualmente disponibili sembra che la presenza di «ibridi» nel contesto toscano ed Italiano, sia un fenomeno molto limitato» (fonte Duccio Berzi). «I risultati hanno mostrato che i cani e lupi italiani sono geneticamente ben differenziati, suggerendo che l'introgressione dei geni dei domestici non ha inciso sul patrimonio genetico del lupo» e che «gli «ibridi» possono essere non identificabili in base a criteri di osservazione, e la loro rimozione da una popolazione selvatica è un obiettivo probabilmente impossibile. Suggeriamo che la gestione e sforzi di conservazione devono essere concentrati sulle popolazioni di cani randagi, che sono la fonte primaria di ibridazione per il lupo.» (fonte: Wolf—dog crossbreeding: «Smelling» a hybrid may not be easy Rita Lorenzini, Rita Fanelli, Goffredo Grifoni, Francesco Scholl, Rosario Fico. https://www.researchgate.net/publication/ 259163450_Wolfdog_crossbreeding_Smelling_a_hybrid_may_not_be_easy);
   nei rilievi effettuati nell'ambito del progetto Life medwolf (LIFE11 NAT/IT/069) risulta che sul territorio toscano, per buona parte interessato, le predazioni sono messe in atto da cani mal gestiti e tra le aziende zootecniche che hanno subito predazioni nel 2014 il 98 per cento non è sorvegliata dal pastore, l'85 per cento non ha recinti anti predatore, il 57 per cento non ha cani da guardia, il 41 per cento ha solo 2 cani ogni 500 pecore;
   il medesimo progetto Life medwolf, sulla base del registro ufficiale delle predazioni, indica in appena 0,3 per cento la percentuale del patrimonio zootecnico ovino colpito dalle predazioni nel 2014;
   già nel febbraio 2014 la Commissione europea ha espresso la sua preoccupazione considerando le azioni nei confronti dei lupi «una minaccia per la salute dell'ambiente naturale, in particolare per il conseguimento degli obiettivi della direttiva «Habitat» e del primo obiettivo della strategia dell'Unione europea per la biodiversità. È di competenza degli Stati membri assicurare il rispetto delle norme sulla protezione delle specie previste dalla direttiva «Habitat»;
   la Commissione garantisce che gli Stati membri si conformino a tale obbligo. Essa ha condotto una serie di attività volte a promuovere un dialogo costruttivo tra le parti interessate nella speranza di ridurre i conflitti sulla questione dei grandi carnivori e ha direttamente sostenuto vari progetti e misure con il medesimo obiettivo. Inoltre, ha finanziato diversi progetti nell'ambito del programma Life, mirati specificamente alla conservazione del lupo in Italia» (in risposta all'interrogazione parlamentare E-002258-14);
   negli ultimi tempi, complice una campagna di disinformazione e gravemente dannosa e un progetto discutibile e privo di fondamenti che tornano a considerare il lupo come un fattore di pericolo per l'incolumità delle persone in modo del tutto ascientifico e privo di riscontri reali e di danno per l'economia agricola, come denunciato nell'interrogazione n. 5-06442 del 28 settembre 2015, ancora in attesa di risposta, si è registrato un aumento degli atti di bracconaggio che rappresenta probabilmente la principale causa di mortalità del lupo in Italia, e, in alcuni casi vi è stata anche la successiva esposizione a carattere intimidatorio delle carcasse;
   l'esacerbarsi delle conflittualità, complice una campagna di disinformazione gravemente dannosa e un progetto discutibile e privo di fondamenti, ha raggiunto il massimo della sua manifestazione con l'uccisione, sia di lupi che di altri canidi, talvolta anche con l'esposizione delle carcasse con carattere intimidatorio, in particolar modo nella provincia di Grosseto e di Siena esattamente nei distretti in cui era in opera il progetto Ibriwolf, come i media riportano:
    http://www.corriere.it/animali/14_gennaio_03/altri-due-lupi-uccisi-maremma-ora-sono-otto–db848P92-747e-11e3-90f3–f58f41d83fbf.shtml;
    http://www.nelcuore.org/focus/item/maremma-mattanza-di-lupi-tre-uccisi-in-sette-giorni.html
    http://www.lanazione.it/grosseto/cronaca/2014/01/03/1004499-maremma-lupi-uccisi-coldirettistrage.shtml;
    http://firenze.repubblica.it/cronaca/2014/07/28/news/lupo_ucciso_e_lasciato _nellapiazza_di_semproniano-92581580/http://www.geapress.org/m/grosseto-il-lupo-con-la-testa-mozzata-la-condanna-del-consiglio-provinciale-2/51179;
    http://iltirreno.gelocal.it/grosseto/cronaca/2015/07/24/news/assalti-alle-greggi-decisa-la-cattura-dei-predatori-1.11828063;
    http://iltirreno.gelocal.it/grosseto/cronaca/2015/06/25/news/gli-animalisti-assurdo-sparare-ai-lupi-e-le-difese-ci-sono-gia-1.11674850;
    http://iltirreno.gelocal.it/grosseto/cronaca/2014/02/03/news/lupi-e-greggi-serve-aggiornare-il-piano-nazionale-1.8596294;
    http://mysocialpet.tiscali.it/news/mostra/curiosita/altri-due-lupi-uccisi-in-maremma-ieri-a-grosseto-la-protesta-contro-la-strage;
   anche in altri distretti territoriali la guerra al lupo non accenna a fermarsi. Si rileva anche nelle zone delle Alpi orientali in cui sono stati ritrovati bocconi avvelenati (fonte http://www.lifewolfalps.eu/una-triste-scoperta/bocconi avvelenati) e altri lupi morti e, come in questo caso in cui tra la strada provinciale 43 che collega Cagnano Varano al comune di San Giovanni Rotondo è stato rinvenuto un lupo privo di vita appeso a testa in giù al chilometro 5 in località Coste di Manfredonia. Un animale particolarmente protetto che è stato oltraggiato e barbaramente vilipeso http://www.statoquotidiano.it/17/02/2016/cagnano-sg-rotondo-segnalazione-lupo-morto-appeso-a-testa-in-giu/438598/;
   si è inoltre alimentata la fobia del lupo anche quale rischio per le persone, mentre ciò che viene dimostrato dal Corpo forestale dello Stato, a fronte di tanto inutili quanto infondati allarmismi, presso il tavolo in provincia di Parma la Forestale dichiara: «Mai registrato un solo caso di aggressione all'uomo» (fonte http://www.parmatoday.it/cronaca/lupi-aggressioni-polemiche.html);
   tra le varie fondamentali criticità vi è inoltre da evidenziare che l'accertamento di un caso di predazione sul bestiame domestico è, di fatto, una perizia medico-legale che deve essere effettuata da medico veterinario con comprovata esperienza nel settore. Mentre, di prassi, ciò non avviene e pertanto le segnalazioni sulle predazioni non rappresentano dato scientifico inequivocabile e significativo. Si tratta quindi di dati empirici e che non sono in alcun modo significativi per poter agire sulla prevenzione. Sono dati usati in modo strumentale e spesso impreciso. Spesso la «predazione» stessa non viene descritta per come si dovrebbe, al fine di raccogliere dati collezionabili;
   oltre alla classificazione ed identificazione della predazione è di fondamentale importanza la modalità di risarcimento del danno causato da predazione. Relativamente al danno economico per esempio la regione Toscana tramite la legge regionale 4 febbraio 2005 n. 26 «Tutela del patrimonio zootecnico soggetto a predazione», concede contributi per la stipula di polizze assicurative contro i danni da predatori selvatici. Ma al momento non sono sufficienti i risarcimenti proposti anche in ragione del fatto che il danno subito non può estinguersi considerando solo il risarcimento del capo. Secondo una il danno economico può essere così suddiviso:
    1) diretto — per la perdita diretta animali;
    2) indiretto – fenomeni di stress sul gregge riduzione/perdita produzione latte, aborti, ferite;
    3) gestionale – aumento di spese per le cure, alimentazione in ovile se gli animali impauriti si rifiutano di recarsi al pascolo e conseguente aumento di infezioni/parassitosi;
   in caso di attacco di predatore il danno economico può essere molto superiore rispetto al semplice risarcimento del valore degli animali predati;
   per la prevenzione dei danni dai predatori, in considerazione che nel 2013 a Grosseto e provincia ci sono stati circa 600 ovini predati, la regione Toscana con la legge 26 del 2005 prevede i contributi per la realizzazione di opere di prevenzione. I contributi sono gestiti dalle Amministrazioni provinciali o dalle comunità montane molte sarebbero però le soluzioni da pianificare e su cui investire: dissuasori faunistici, elettrificazione delle recinzioni, recinzioni tradizionali miste. Tali interventi, come dimostrato, sono gli unici in grado di garantire efficacia e risultati:
    per prevenire si intende: intervenire prima degli episodi di predazione. Metodo più economico ed efficace in più del 95 per cento dei casi documentati, la predazione è avvenuta di notte o in condizioni di tempo perturbato. In circa l'80 per cento dei casi di predazione, a seguito di una prima aggressione se ne verifica una seconda entro le due settimane;
    per protezione si intende: intervento successivo al primo attacco. Azioni dissuasive e di disturbo attivi anche per evitare la cronicizzazione degli attacchi;
   per garantire l'efficacia è necessario agire con azioni sinergiche sul territorio e gli allevamenti, in grado di mitigare il danno. È imprescindibile studiare ed applicare soluzioni tecnico-gestionali che assicurino il miglior rapporto tra costi-gestione-risultati:
    determinazione del medico veterinario della tipologia di predazione;
    analisi delle caratteristiche da tecnici + veterinaria;
    valutazione azienda per azienda condivisione;
    sostenibilità;
    interventi gestionali;
    indennizzi vincolati alla prevenzione;
    logo dei prodotti « predator friendly»;
   nell'ambito di uno studio effettuato con la collaborazione dell'Università degli studi di Firenze sono stati analizzati i dati relativi all'efficacia di 11 recinzioni elettrificate realizzate nel territorio della provincia di Firenze tra il 2005/2009 per un periodo totale di circa 5000 giorni di funzionamento. La presenza del lupo nelle aree vicine agli impianti studiati è rimasta costante così come le predazioni negli allevamenti non protetti. I risultati indicano che con le recinzioni elettrificate le predazioni si sono ridotte drasticamente, passando da una media di circa 3 capi predati su 100 ad anno a 0,06, con una efficacia superiore al 97 per cento;
   i casi di violazione delle recinzioni sono da attribuire a casi di errato montaggio dei cavi o ad una progettazione discutibile.» (fonte: dottor Duccio Berzi «Tecniche, strategie e strumenti per la prevenzione dei danni da predatori al patrimonio zootecnico» Centro per lo studio e la documentazione sul lupo);
   esistono altri sistemi per ridurre il conflitto tra i predatori ed attività zootecniche e sono:
    evitare l'incremento delle popolazioni di prede naturali con reintroduzioni: ungulati a fini venatori;
    controllo del randagismo canino, corretta applicazione delle norme vigenti da parte degli enti istituzionalmente preposti come previsto dalla legge n. 281 del 1991;
    finanziamenti agli allevatori per l'adozione di misure volte a prevenire gli attacchi o la concessione gratuita di tali strumenti di prevenzione come già praticato in Toscana, nelle zone appenniniche;
    miglioramento delle misure di prevenzione in un piano sinergico territoriale;
    sensibilizzazione dell'opinione pubblica ed allevatori sul tema della conservazione dei grandi carnivori: la tutela della biodiversità è patrimonio del territorio;
    riconsiderazione dei sistemi di indennizzo, previa valutazione medico veterinaria forense della predazione;
   va rammentato che la presenza del lupo è un inequivocabile segnale positivo per tutto l'ecosistema e per la biodiversità, è quindi un indicatore biologico, in qualità di top predator, di un ambiente ecologicamente sostenibile;
   anche in considerazione della diffusa sensibilità internazionale, nazionale e quindi dei turisti, come confermano recenti indagini di mercato e indagini scientifiche, un animale selvatico vale più da morto che da vivo poiché è da traino per il turismo stesso, in virtù dei sopracitati valori ambientali che incarna;
   il primo piano quinquennale d'azione nazionale per la conservazione del lupo, scaduto nel 2007, è rimasto inapplicato. Non esiste, infatti, un sistema di monitoraggio delle popolazioni dei lupi e di un sistema di raccolta dei dati univoco e standardizzato;
   il «Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia», è stato realizzato a titolo oneroso e senza alcun bando ma con affido diretto all'Unione zoologica italiana (e che per altro per suo statuto è una onlus-http://www.uzionius.it/) su richiesta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Questo dovrebbe essere lo strumento che dovrebbe rappresentare il fondamento per il prossimo quinquennio sulla base del quale applicare la strategia di gestione e conservazione del lupo;
   ma si evidenzia, in primis, l'affido diretto ad una onlus la realizzazione di un progetto a titolo oneroso e che, secondo quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, dovrebbe essere realizzato dall'ISPRA anche in ragione del ruolo e della mission dell'ente che rappresenta il braccio tecnico scientifico ed operativo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   il piano sopracitato cita la deroga per quelli che sono stati definiti eufemisticamente «prelievi» – leggasi abbattimenti – prevista dall'articolo 16 della direttiva « Habitat», ma tale è concedibile solo quando sia stato dimostrato di aver messo in pratica tutta una serie di azioni preventive e previste dalla direttiva stessa, mentre è evidente che questo non sia il caso italiano,

impegna il Governo:

   a redigere uno schema di monitoraggio nazionale e quindi un quadro univoco e condiviso della popolazione del lupo, in termini numerici e di distribuzione reale;
   ad assumere iniziative per approfondire gli aspetti relativi all'efficacia, all'affidabilità ed alla standardizzazione dei metodi di monitoraggio, valutando l'opportunità di predisporre delle linee guida per il monitoraggio del lupo, così come previsto dal precedente piano d'azione;
   ad assumere iniziative per garantire, anche all'interno della revisione del piano di azione, la piena tutela dei lupi, mettendo in atto azioni concrete al fine di prevenire azioni di bracconaggio nei confronti di lupi e ibridi;
   ad assumere iniziative normative per introdurre misure concrete di prevenzione della predazione, con l'incentivazione nell'applicazione di tutti i metodi tecnico-scientifici che hanno dimostrato di ottenere ottimi risultati;
   a promuovere campagne di informazione e sensibilizzazione per ridurre drasticamente il conflitto tra l'uomo e il lupo;
   ad assumere iniziative normative volte a rivedere il sistema di risarcimento dei danni dei predatori, anche con la standardizzazione della raccolta dei dati e della valutazione della predazione ad opera di medici veterinari forensi con comprovata esperienza in tale settore;
   ad assumere iniziative per favorire gli incentivi per gli allevatori e consentire sgravi fiscali nell'acquisizione degli strumenti necessari per la prevenzione della predazione;
   ad assumere iniziative per mantenere e ricostituire, in coesistenza con l'uomo, popolazioni vitali di lupi, assicurando, come previsto dal precedente piano di conservazione del lupo: il mantenimento della popolazione peninsulare agli attuali livelli numerici; l'incremento numerico e distributivo della popolazione alpina, fino al raggiungimento di una popolazione minima vitale; l'attenuazione dei conflitti tra il predatore e le attività dell'uomo;
   a coinvolgere, nell'ottica di una più attenta e puntuale revisione del piano di azione, le associazioni ambientaliste ed animaliste che si occupano della questione, nonché le associazioni di categoria del mondo dell'agricoltura e della zootecnia;
   ad avviare una serie di iniziative che possano, anche indirettamente, rafforzare una politica di conservazione del lupo, quali: il contenimento del bracconaggio; l'educazione e l'informazione del pubblico;
   ad assumere iniziative di competenza per favorire la corretta applicazione della norma per la prevenzione del randagismo e a monitorare costantemente gli obiettivi della stessa;
   ad evitare di assumere iniziative volte a predisporre ulteriori piani di ripopolamento degli ungulati;
   ad assumere iniziative per implementare e rafforzare il ruolo delle aree protette nella conservazione della biodiversità e, di conseguenza, nella tutela del lupo;
   ad assumere iniziative per valorizzare la produzione agricola negli areali in cui è presente stabilmente il lupo, con l'istituzione del marchio « wolf friendly» da conferire a tutti i produttori agricoli che utilizzeranno i sistemi di deterrenza e che favoriranno la tutela del lupo quale fondamentale indicatore ecologico per la biodiversità.
(7-00928) «Busto, Paolo Bernini, Terzoni, Gagnarli, Massimiliano Bernini, Mannino, Daga, De Rosa, Micillo, Zolezzi, Vignaroli, Lupo, Gallinella, L'Abbate, Parentela».

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ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   FERRARESI e DELL'ORCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la ricostruzione post terremoto nei territori dell'Emilia procede a rilento e con mille difficoltà;
   i numeri della ricostruzione, diramati ufficialmente dalla regione Emilia-Romagna, al 7 gennaio 2016 dicono che i progetti presentati dai privati e dalle attività economiche (per le unità ad uso produttivo, deposito, commerciò, ufficio) ai comuni, attraverso il modello unico digitale Mude, riguardanti edifici con danni certificati con le schede AeDES in E, sono in numero: per le leggere 836 e per le pesanti 3986; i cantieri completati sono rispettivamente 369 per le leggere e 527 per le pesanti; balza agli occhi l'enorme lavoro che ancora occorre fare, sia per approvare i progetti, concedere i contributi, che per riparare e ricostruire gli edifici più lesionati;
   si presentano poi casi, addirittura paradossali, che determinano un duro giudizio sul percorso intrapreso dalle ordinanze del commissario straordinario e dai comuni, che ne minano la credibilità e che hanno ampio eco sulla stampa e nei media di comunicazione: (http://www.ilrestodelcarlino.it/ferrara/terremoto-danni-casacomune-1.1624714); è il caso che l'interrogante intenda portare all'attenzione dei Ministri interrogati;
   con la scossa del terremoto del 29 maggio 2012, una abitazione, sita in comune di Vigarano Mainarda, in provincia di Ferrara, subiva danni rilevanti tanto che i certificatori incaricati della Protezione civile davano, alla scheda AeDES, esito E: «totalmente inagibile»; si tratta di un caseggiato completamente ristrutturato circa 18 anni fa, tutto il fabbricato è comunicante e consolidato in modo strutturale ed è accatastato, unicamente, in una sola scheda come abitazione; il sindaco emette un'ordinanza di sgombero, obbligando gli abitanti (proprietari) ad andare in affitto in attesa del recupero dell'edificio;
   a causa della difficoltà nella redazione del progetto di, ristrutturazione, conseguenza coi comune della difficile interpretazione delle ordinanze commissariali, a cui i tecnici stessi dei comuni non riescono a dare certa ed univoca applicazione, solo il 24 febbraio 2015 la pratica sarebbe stata caricata sul sistema Mude;
   i tempi per ottenere il protocollo del Mude sarebbero di 5 giorni ma in questo, come in molti altri casi, il protocollo sarebbe stato ricevuto con notevole ritardo, il 26 maggio 2015, ovvero dopo 91 giorni;
   la dirigente responsabile del comune chiede una valutazione tecnica, all'ufficio intercomunale per la sismica, dei danni all'edificio; i tecnici dell'intercomunale, dopo il sopralluogo, in data 08 luglio 2015, dividono la casa in unità strutturali separate, dichiarando la parte abitata di livello A (agibile) e la parte loggiato una pertinenza di livello B (inagibile con interventi locali per la messa in pristino);
   in data 27 luglio 2015 il sindaco rigetta tutta la pratica, negando così ogni contributo, ed emette successivamente un'ordinanza che annulla la prima sull'inagibilità, autorizzando gli sfollati al rientro nell'abitazione;
   a questo punto i proprietari, che oltre al danno subito nel vedersi respingere il contributo al ripristino dell'abitazione, si trovano spaventati dal dover rientrare in una casa che sia le schede AeDES che tutti i tecnici interpellati, considerano totalmente inagibile;
   nell'intento di vedere riconosciuto il loro diritto contributo alla ricostruzione, hanno impugnato l'ordinanza comunale, che rigettava la loro istanza Mude, davanti al Tar regionale (N. 00794/2015 REG.RIC) il quale però, di fronte alle: «oggettive risultanze alle quali è pervenuto l'ufficio intercomunale», respinge l'istanza cautelare;
   i proprietari, il 9 novembre 2015, rivolgono istanza anche al Difensore civico regionale il quale, presa visione, invita la Direzione generale programmazione territoriale e negoziata della regione ad esprimere un proprio parere in merito ed a fornire le informazioni utili a chiarire la vicenda, in quanto si evidenzia un eccesso di potere nella gestione della pratica da parte del comune sotto il profilo della contraddittorietà;
   si richiama la disciplina in materia ed in particolare quanto disposto dall'ordinanza commissariale n. 86 articolo 2, comma 5, secondo cui: «per quanto riguarda l'eventuale riclassificazione del livello di danneggiamento il Comune può, ai sensi di quanto disposto dalla legge regionale n. 16/2012, in caso di presentazione di perizia asseverata che attesti una classificazione difforme da quella indicata nella scheda AeDES originaria, disporre una verifica ed emettere nuova ordinanza»;
   questa perizia asseverata i proprietari l'avevano già fornita al comune, non per difformità con quanto definito alle schede AeDES, ma al contrario, per confermarle; l'architetto Stefano Gatti, il 24 settembre 2015, davanti al notaio, dopo aver premesso che il fabbricato debba essere considerato un'unica unità strutturale, dice infatti: «in considerazione delle precedenti valutazioni e dalla comparazione dei valori dello Stato di danno 3 e del Livello di vulnerabilità Alto, si attribuisce all'edificio il livello operativo E2»;
   a seguito di un intervento dei vigili del fuoco del comando provinciale di Ferrara in data 18 gennaio 2016 con la presenza di un ufficiale ispettore, con competenze specifiche sulla valutazione di danni strutturali post-sisma, viene redatto un verbale (registro ufficiale. U. 0000518.19-01-2016) in cui si definisce la contiguità delle strutture (Aggregato), si ritengono presumibili i danni certificati dalle schede Aedes, si conferma la non fruibilità dell'intero fabbricato e si comunica agli Enti interessati (comune e protezione civile presso la Prefettura di Ferrara) il verbale, affinché adottino i provvedimenti di competenza atti a tutelare l'incolumità delle persone e i beni»;
   questa situazione, che scaturisce da un caso particolare ancora in corso di definizione, dato dal fatto che i proprietari hanno fatto ricorso anche al Consiglio di Stato permette di comprendere come il percorso di ricostruzione post terremoto in Emilia sia tutt'altro che agevole per i cittadini e di come anche diritti dati per acquisiti, dal seguito di leggi e ordinanze sui contributi, siano tutt'altro che definiti e praticati, costringendo gli interessati all'accollo di spese significative in sede giudiziaria per vederseli riconosciuti o al fatto, tutt'altro che inconsueto, di doversene far carico con proprie risorse personali o a dover rinunciare al recupero degli edifici lesionati –:
   se non ritengano di dover valutare l'opportunità di operare, per quanto di competenza, una ricognizione sulle modalità di applicazione delle normative in materia di ricostruzione post terremoto del maggio 2012 nonché, ove necessario, se intendano riassumere iniziative, per quanto di competenza, per indirizzare le metodologie operative coerentemente con la normativa vigente in materia. (4-12223)


   CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i territori salernitani e casertani, ormai da decenni, sono soggetti a flussi migratori di varie etnie e natura, quasi sempre incontrollati e irregolari, ma negli ultimi anni il fragile equilibrio tra italiani e immigrati si sta spezzando, diventando una pericolosa bomba sociale pronta ad esplodere da un momento all'altro;
   come solo due anni fa, nel luglio 2014, quando a Pescopagano decine di in immigrati sono scesi in strada, scatenando una vera e propria azione di guerriglia urbana, o il 19 giugno 2015 la rabbia incontrollata e ingiustificata dei migranti, alcuni a mani nude e altri armati di bastone, è esplosa tra le strade di Pontelatone in una «rivolta annunciata», o come nel corso delle frequenti rivolte che periodicamente scuotono Castel Volturno;
   episodi analoghi si sono registrati anche a Campagna, sempre nel salernitano, dove un gruppo di rifugiati ha occupato la provinciale che conduce alla località Madonna di Avigliano, rivendicando il diritto di asilo; ancora, la titolare di un altro centro, sempre a Campagna, è stata accerchiata dagli ospiti stranieri della struttura da lei gestita, che chiedevano le restituzioni dei documenti;
   solo pochi giorni fa si è registrata l'ennesima rivolta di stranieri che hanno addirittura sequestrato quattro operatori italiani, mettendo a soqquadro il centro immigrati che li ospitava;
   in particolare, nel Centro Sprar di Fiocche cinque richiedenti asilo del Senegal hanno «sequestrato» per ben due ore il personale della struttura che ospita venticinque rifugiati: gli impiegati della cooperativa che gestisce il centro sono stati messi sotto chiave in un cortile, assembrati in un angolo ed è stato impedito loro di allontanarsi o chiedere aiuto;
   secondo quanto raccontano le cronache locali, i rifugiati chiedevano, per lasciarli liberi, la restituzione dei passaporti, per continuare il viaggio in direzione dei Paesi del centro Europa;
   solo grazie all'intervento dei militari i cinque rivoltosi sono stati isolati e trasferiti negli uffici della caserma in regime di arresto;
   i cinque protagonisti di questa assurda vicenda, fuggiti dal Senegal e dal Gambia, che in Italia hanno ricevuto ricovero e assistenza, avevano già creato problemi a Padula, in un altro centro e anche in quella occasione, con violenza e minaccia, avevano preteso l'asilo politico all'istante;
   ci si aspetterebbe che i rivoltosi vengano espulsi, ma, come troppo spesso accade, non avendo risorse e documenti, è probabile che si diano alla macchia, per vivere da clandestini;
   i territori, in particolare quelli del sud Italia, sono al collasso e si è ormai al punto in cui non è più possibile tollerare la presenza incontrollata di migranti, né si può più restare immobili di fronte a tanta prepotenza e a manifestazioni di violenza di chi invece dovrebbe ringraziare e rispettare una comunità che li ospita;
   lasciati soli a fronteggiare tale «eterna emergenza», i comuni, tra mille difficoltà ed enormi sofferenze, continuano a garantire l'accoglienza, oltre i limiti delle proprie capacità, ma il sistema, in assenza di interventi straordinari, è prossimo al collasso;
   non si può lasciare che questa provincia, come molte altre, vada alla deriva, che città e luoghi di accoglienza diventino la sversatoio di problemi di cui si dovrebbe far carico l'intera Unione europea;
   in tutto questo, il grande assente è lo Stato che, perseguendo politiche, a giudizio dell'interrogante a dir poco scellerate, ha consentito che il territorio italiano divenisse vittima di sciacallaggio sociale;
   il fenomeno dell'immigrazione incontrollata, insieme alla delinquenza, al malaffare, all'assenza di trasparenza nell'amministrazione pubblica, contribuisce a esasperare lo stato e la sicurezza sociale;
   a ciò si aggiunga che in un territorio così vasto come quello salernitano le forze dell'ordine sono in difficoltà, perché sono in numero troppo esiguo rispetto alle istanze di sicurezza e «normalità» disattese da decenni e per effetto di quelle che appaiono all'interrogante scellerate politiche di Governo in materia di sicurezza, con gli «svuota-carceri», e di immigrazione;
   si è di fronte a una spirale del degrado che ha una sola origine: l'abbandono del controllo del territorio, e la più totale mancanza di azioni che lo tutelino come un pezzo di Stato italiano –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative, intenda adottare per affrontare seriamente il fenomeno dell'immigrazione nel territorio italiano e, in particolare, nelle province, come quella salernitana e casertana, dove il fragile equilibrio tra italiani e immigrati rischia di spezzarsi da un momento all'altro;
   se e quali responsabilità siano imputabili all'operato delle autorità statali preposte all'accoglienza degli immigrati nei territori salernitani e casertani, così come posta in essere;
   se il Governo non ritenga necessario assumere iniziative per inasprire il reato di immigrazione clandestina, a tutela della sicurezza del nostro Paese e dell'incolumità dei cittadini. (4-12224)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in queste settimane si registra un reiterato e sibillino appello all'Italia perché intervenga direttamente e sul terreno del teatro di guerra in Libia;
   tale esortazione pubblica e subdola appare come una chiamata alle armi su uno scenario che Francia, Inghilterra e Stati Uniti hanno reso impraticabile per gli interventi a terra;
   un report riservato in mano agli stati maggiori della Difesa fa emergere che in grandi parti della Libia risulta presente l'effetto dei missili Tomhawk e, in particolar modo, il rilascio in grandi quantità di uranio impoverito, letale per l'uomo;
   il 30 gennaio 2016 il New York Times ha divulgato un documento riservato inviato dal capo del Pentagono al Ministro della difesa Pinotti nel quale si esprime apprezzamento per l'impegno nella lotta all'Isis, ma nel contempo si sottolinea che c’è ancora molto lavoro da fare;
   nel report riservato pubblicato dal New York Times, Ash Carter, capo del Pentagono, ha scritto al Ministro italiano della difesa Roberta Pinotti sollecitando i partner a fare di più nella lotta all'Isis;
   nella lettera ufficiale il responsabile della difesa Usa Ash Carter spiegava come gli italiani, che hanno guidato l'addestramento delle forze di polizia irachene poi impiegate nel prendere il controllo delle città riconquistate dallo Stato islamico, possano aiutare la coalizione inviando più addestratori e personale aggiuntivo per aiutare nelle operazioni di sorveglianza, intelligence e di ricognizione;
   nella stessa comunicazione si chiede di rafforzare l'impegno nella lotta allo Stato islamico con più forze speciali, più aerei per raid e per operazioni di ricognizione, più armi e munizioni, più assistenza nell'addestramento;
   nelle dichiarazioni rese dallo stesso responsabile della Difesa Usa emerge, a giudizio dell'interrogante, un richiamo e una chiamata alle armi per l'Italia;
   il portavoce della Casa Bianca Josh Earnest rispondendo a domande sui possibili passi in Libia nell'ambito della lotta all'Isis ha dichiarato: «Paesi come l'Italia hanno esperienza in Libia. E noi attingeremmo alle loro risorse, le loro capacità, per portare avanti i nostri obiettivi in quella regione»;
   il 26 gennaio 2016 sempre il New York Times in un editoriale riferiva che gli Usa sono «pronti a intervenire con Italia, Regno Unito e Francia»;
   il portavoce del Pentagono Peter Cook ha spiegato: il dipartimento Usa della difesa sta analizzando e prefigurando scenari bellici sull'altra sponda del Mediterraneo; gli Stati Uniti studiano sia «opzioni militari» che «una serie di altre opzioni», per far fronte alla «seria minaccia» rappresentata dall'Isis nel Paese nordafricano;
   secondo gli analisti ed esperti militari in Libia si continuano a giocare due partite diverse e contrapposte: da una parte, Italia e Nazioni Unite che puntano alla formazione del Governo di unità nazionale e a una missione di caschi blu, a guida italiana, volta a mettere in sicurezza Tripoli e ad addestrare le nuove forze armate libiche; dall'altra, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti che – a differenza dell'Italia – avrebbero già dispiegato forze speciali sul terreno e preparano raid aerei anti-Isis insieme al generale Khalifa Haftar, l'uomo forte del Governo di Tobruk ostile alla nascita dell'esecutivo unitario;
   il Ministro della difesa ha dichiarato: «Non possiamo immaginarci di far passare la primavera con una situazione libica ancora in stallo nell'ultimo mese abbiamo lavorato più assiduamente con americani, inglesi e francesi. Non parlerei di accelerazioni, tanto meno unilaterali. Ma c’è un lavoro più concreto di raccolta di informazioni e stesura di piani possibili di intervento sulla base dei rischi prevedibili»;
   in Libia ci sono interessi energetici – in particolare il terminal petrolifero Eni di Mellitah – che secondo fonti governative l'Italia è pronta a proteggere, solo in caso di seria minaccia, con gli assetti militari già schierati in ambito dell'operazione «Mare Sicuro»: gli incursori della Marina imbarcati sulle navi militari che incrociano davanti alla Libia e i quattro cacciabombardieri Amx recentemente rischiarati a Trapani;
   da settimane gli analisti militari italiani sono impegnati in analisi dirette sul teatro militare della Libia;
   non esisterebbero date precise sul possibile intervento italiano in Libia;
   secondo gli osservatori si tratterà di un intervento militare mirato a proteggere non solo gli interessi economici, ma un Paese dalla destabilizzazione politica e dal caos che ne potrebbe derivare;
   l'intervento militare su cui si sta lavorando prevederebbe una prima fase di bombardamenti e raid con l'obiettivo di distruggere le installazioni militari dell'ISIS e, successivamente, l'intervento militare con gli uomini che si troverebbero in azione sul terreno;
   tale ipotesi, a quanto risulta all'interrogante, verrebbe silenziosamente e riservatamente avversata con report dai quali si evince un dato inequivocabile: mandare uomini in Libia significa esporli a morte sicura;
   nel 2011, infatti, ai tempi dell'attacco aereo al regime di Gheddafi, sono state utilizzate armi all'uranio impoverito;
   dalle analisi emerge un dato inquietante: sul territorio libico sono stati fatti esplodere almeno 100 missili Tomhawk al giorno;
   uno studio del professore ordinario Massimo Zucchetti, del politecnico di Torino, che ha pubblicato ricerche proprio su questo fatto fanno emergere le caratteristiche letali di questo missile;
   si tratta di armi che contengono quantità variabili da 30 a 400 chilogrammi di uranio impoverito (Depleted Uranium: DU), un componente estremamente efficace che garantisce un alto potere di penetrazione, ma dagli effetti devastanti sulla salute dell'uomo;
   dopo l'esplosione degli ordigni vengono rilasciate polveri che una volta inalate o assimilate in qualsiasi modo causano tumori e linfomi, come il linfoma di Hodgkin;
   si tratta di malattie e tumori mortali che già in Bosnia ai tempi della guerra hanno causato e Che continuano a causare vittime tra militari e civili;
   in un'eventuale missione il rischio derivante dall'uranio impoverito per militari e civili italiani sarebbe elevatissimo;
   i raid si concentrerebbero soprattutto a Tripoli e dintorni e dato che la Libia è un Paese ventoso, le particelle radioattive verrebbero sospinte anche in territori più lontani –:
   se ritengano di dover escludere ogni possibile intervento militare in Libia, con particolare riferimento all'invio di militari italiani sul posto;
   se non ritengano di dover fornire la mappa esatta del grado di inquinamento da uranio impoverito nel teatro libico;
   se non ritengano di dover e evitare ogni possibile coinvolgimento di militari in scenari di guerra dove sia stato fatto uso di armi a uranio impoverito. (5-07887)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il Governo avrebbe in animo attraverso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concedere una nuova proroga nella procedura di richiesta di autorizzazione per la prospezione petrolifera per i norvegesi della Tgs Nopec;
   si tratta di quello che per l'interrogante si qualifica come l'ennesimo assalto a petrolio e gas nei mari di Sardegna;
   vi sarebbe uno studio nella disponibilità dello stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministero dello sviluppo economico che evidenzierebbe la presenza nell'area interessata per la suddetta prospezione petrolifera di 1,4 trilioni di metri cubi di gas, 0,42 bilioni di barili di petrolio e 2,23 milioni di barili di gas naturale in forma liquida;
   sarebbe questo il «malloppo» che le compagnie petrolifere stanno cercando di accaparrarsi secondo l'interrogante nei mari di Sardegna;
   un dato di raffronto lascia comprendere l'interesse: la terra possiede giacimenti accertati di gas pari a 179 trilioni di metri cubi;
   un report riservato in mano al Ministero dello sviluppo economico dice chiaramente che in quella fascia «provenzale» c’è petrolio e gas;
   su quello specchio acqueo tra Alghero e Oristano il Governo vuole vedere, a quanto consta all'interrogante, le trivelle in azione;
   i norvegesi della Tgs Nopec ci stanno tentando in tutti i modi e alle spalle potrebbero avere a giudizio dell'interrogante, colossi come l'Eni, pronti a «fare razzia» di ogni goccia di petrolio e gas nel mediterraneo ma non solo;
   a dare manforte a questo progetto c’è per l'interrogante il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che, anziché respingere quella che appare una vergognosa richiesta di perlustrazione a colpi di «bombe sismiche», a cavallo con il Santuario dei Cetacei ha prima concesso una proroga termini e poi risulterebbe prendere altro tempo e valutare l'ulteriore proroga da concedere ai norvegesi;
   tutto lascerebbe intendere che questa volta il Governo sia intervenuto direttamente sull'organo tecnico per favorire, a giudizio dell'interrogante l'autorizzazione delle «bombe sismiche» nei mari di Sardegna;
   i cercatori di gas e petrolio hanno chiesto una nuova proroga per continuare a sperare nel permesso di devastare l'intera area a suon di devastanti «bombe sismiche»;
   la nuova documentazione presentata dalla Tgs lascia intendere che, essa, quel piano del Ministero, lo conosce perfettamente;
   proprio per questo motivo a quanto consta all'interrogante sono in atto veri e propri contatti tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e quello dello sviluppo economico, in merito alla nuova richiesta dei norvegesi della Tgs Nopec, la società geofisica che opera per i grandi gruppi petroliferi che restano per adesso dietro le quinte in questa guerra del petrolio in mare;
   una società, la tgs, che beneficia dell'ulteriore istruttoria arrivata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e in particolare dalla commissione di valutazione di impatto ambientale sulla richiesta di autorizzazione a perlustrare con i devastanti air gun lo specchio acqueo davanti alla costa tra Alghero e Oristano;
   la presentazione di nuovi documenti da parte dei norvegesi è, però, la conferma di quello che appare all'interrogante il nuovo assalto ai mari di Sardegna, con tanto di nave sismica messa agli atti nella risposta al Ministero;
   per questo sarebbe stata scelta a quanto consta all'interrogante la nave Sismica R/V Akademik Shatskiy pronta ad operare in quel tratto di mare al confine del Santuario dei cetacei;
   un piano messo in piedi nei minimi dettagli, visto che risulterebbe sia stata individuata quell'area come strategica in base a studi ritenuti secretati;
   in realtà, il piano sarebbe stato elaborato sulla base di dati derivanti da un server americano che dispone di informazioni dettagliate sulla fascia provenzale, dove è stata inserita anche la Sardegna;
   è evidente che dietro questa operazione a giudizio dell'interrogante si nasconde una grande multinazionale del petrolio;
   l'interrogante segue con preoccupazione l'insistenza di richieste di autorizzazione per la realizzazione del Piano della Tgs e anche attenzione che dedica alla questione il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   è evidente che tutto questo non può in alcun modo essere accettato e soprattutto risulta grave per l'interrogante che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non compia sino in fondo il suo dovere di controllore di una partita così delicata;
   quell'area detta zona E deve essere stralciata secondo l'interrogante dai piani del Ministero dello sviluppo economico ed è vergognoso che la regione stia a guardare –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative volte a stralciare quell'area di prospezione geologica in mare di cui in premessa dai propri piani;
   se intenda negare un'ulteriore richiesta di proroga sulle procedure di valutazione di impatto ambientale relative al piano di cui in premessa;
   se tale area sia oggetto di cessioni fatte al Governo francese, in relazione ad un accordo bilaterale sottoscritto a Caen il 21 marzo del 2015;
   se esistano studi avviati dal Governo che attestino, e in quale quantità, presenze di idrocarburi nelle aree di mare di cui in premessa;
   se tali temi siano stati oggetto di negoziati con il Governo francese, nell'ambito del suddetto accordo sottoscritto a Caen il 21 marzo 2015. (5-07910)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DURANTI, SCOTTO, PALAZZOTTO, PIRAS e MARCON. — Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   a quanto si apprende da notizie di stampa — confermate oltremodo dalle dichiarazioni del Ministro degli esteri, Paolo Gentiloni e dal Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi — il Governo italiano avrebbe autorizzato il Governo americano all'uso della base di Sigonella per l'invio di droni armati in Libia;
   la nascita di un Governo di unità nazionale libico, necessario ed indispensabile nel contrasto al Daesh, nonostante gli impegni profusi nelle ultime settimane anche dalla comunità internazionale non è ancora realtà. Proprio in questi giorni, infatti, in Libia è arrivato l'inviato delle Nazioni Unite, Martin Kobler, allo scopo di agevolare la nascita del Governo anche con un voto di fiducia;
   i droni, di base a Sigonella sin dal 2011, erano autorizzati esclusivamente per voli di sorveglianza e non armati. Nonostante ciò, il dipartimento della Difesa americana ha reiteratamente richiesto al Governo italiano l'impiego di droni armati — da utilizzare per attacchi — nella base stessa;
   diversi articoli di stampa, a partire dal dicembre 2015, paventavano l'intenzione del nostro Governo dell'invio di 5000 soldati sul territorio libico. Notizia, questa, mai smentita del tutto; né tantomeno sarebbe passata al vaglio del Parlamento la richiesta di autorizzazione in merito;
   l'ultimo decreto di rifinanziamento delle missioni internazionali prorogava la partecipazione italiana sino al 31 dicembre 2015. Da allora, nessun ulteriore provvedimento è stato preso dall'Esecutivo in tale direzione;
   una variazione degli interventi internazionali rischierebbe di pregiudicare la già difficile situazione libica –:
   se i Ministri interrogati non intendano fornire chiarimenti circa gli accordi presi con l'amministrazione americana, specificando quali criteri verranno adottati nell'autorizzare – di volta in volta – l'invio di droni armati dalla base di Sigonella;
   se i Ministri interrogati non intendano fornire chiarimenti nella eventualità che il cambio di autorizzazioni riguardanti la base di Sigonella sia preludio ad un intervento diretto in Libia, con regole di ingaggio da definire. (5-07891)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   il 12 gennaio 2014, le azioni di Banca Etruria (ISIN IT0004919327) hanno chiuso le contrattazioni a 0,3584, storicamente il valore minimo. Il 22 gennaio, 10 giorni dopo, il valore era quasi raddoppiato: 0,60 euro ad azione; il 25 gennaio il Governo emana il cosiddetto decreto banche popolari. L'11 febbraio, giorno in cui fu convocato il Consiglio di amministrazione della banca aretina con all'ordine del giorno l'aumento di capitale che avrebbe sistemato i propri indici patrimoniali, arriva anche il commissariamento di Banca d'Italia, approvato dal governo, che blocca tutto. Vengono avviate diverse indagini per insider trading: ad oggi non se ne conoscono gli esiti;
   dall'articolo del 31 gennaio 2016 di Giorgio Meletti per «il Fatto Quotidiano» dal titolo «Etruria, il colpo di grazia gliel'ha dato Bankitalia – La relazione riservata sui veri conti rivela che la situazione economica dell'istituto di Arezzo è precipitata nei mesi di gestione dei commissari straordinari – Quelle tre diverse valutazioni sui crediti» si apprende e si legge: «Il dottor Antonio Pironti e il ragionier Riccardo Sora – ex dg di Ubi Banca ed ex commissario di Tercas, Carichieti e Cassa Rimini, per la quale è stato indagato e poi prosciolto grazie a una lettera di manleva di Visco – sono stati nominati l'11 febbraio 2015 ... con queste motivazioni: vertici «non consapevoli della gravità della situazione»; «erosione delle esigue risorse patrimoniali»; «inevasa» la richiesta di integrazione con una banca più grande e sana; «la banca risulta esposta a un elevato rischio reputazionale e di liquidità» (in italiano «fuga dei depositi»). Tra le ragioni del commissariamento non ci sono i «gravi fenomeni di mala gestio» denunciati ieri a Torino da Visco, il quale scrive a Padoan che è «necessaria l'adozione di un provvedimento di rigore per assicurare il diretto presidio della situazione aziendale e gli interventi per pervenire alla soluzione della crisi». Continua il Fatto Quotidiano: «L'erosione delle risorse patrimoniali di cui scriveva Visco dipendeva dalle massicce rettifiche di valore dei crediti deteriorati imposti a Etruria dagli ispettori di Bankitalia. Nel 2014 le sofferenze (crediti inesigibili) sono salite da 1,55 a 1,98 miliardi, e le rettifiche di valore da 1.034 milioni a 1.590 milioni. I conseguenti 556 milioni di accantonamenti hanno pressoché azzerato il patrimonio, però i commissari hanno ereditato un sontuoso tasso di copertura delle sofferenze del 66 per cento, contro una media italiana del 57. Sora e Pironti sono però riusciti a fare peggio di Rosi e soci. Al 30 settembre 2015 le sofferenze lorde erano salite da 1,98 a 2,18 miliardi, e il tasso di copertura era sceso dal 66 al 63 per cento. Il patrimonio netto, per i nuovi accantonamenti, era sceso da 66 a 22 milioni. ... D'altra parte la crescita delle sofferenze per Sora e Pironti era da attribuire alle tendenze «del sistema bancario», e la riduzione del grado di copertura era «leggera» e confermava «il trend di estremo rigore». ... Con Sora e Pironti al timone il «rischio reputazionale e di liquidità» paventato da Visco si è concretizzato. La notizia del commissariamento ha provocato una fuga dei clienti che i commissari non hanno saputo, o voluto, contrastare. Nel 2015 la raccolta a vista (conti correnti), che nel 2014 era salita del 10 per cento, è scesa del 21 per cento, da 3,2 a 2,5 miliardi di euro. Quella diretta (clientela totale) è precipitata da 6,4 a 5,5 miliardi, –15 per cento. I crediti concessi ai clienti sono scesi del 14 per cento. I crediti buoni (chi paga le rate e non provoca «sofferenze»), giù del 21 per cento, da 3,8 a 3 miliardi. Le sofferenze nette, lasciate da Boschi & C. al 13 per cento dei crediti alla clientela, erano salite dopo nove mesi (il 18 per cento. Un record nazionale. Intanto crescevano anche i costi di gestione e personale, su cui per anni si sono appuntate le critiche della Banca d'Italia. Ma il mistero rimane ciò che accade domenica 22 novembre: a fine 2014 i crediti inesigibili di Etruria sono valutati dagli ispettori di Bankitalia al 33,9 per cento... Al 30 settembre 2015 le sofferenze sono rivalutate dai commissari di Visco al 37 per cento, con un beneficio patrimoniale vicino ai 70 milioni. Il 22 novembre il «salvataggio» le svaluta al 17,6 per cento, bruciando 400 milioni, cifra pari alle obbligazioni subordinate più un bel po’ di azioni. Tre valutazioni diverse, firmate Bankitalia, vecchia signora ondivaga»;
   Il Corriere della Sera, il 4 febbraio 2016, a firma Fiorenza Sarzanini, pubblica un articolo dal titolo «Il dissesto di Etruria e quei 17 milioni di consulenze irregolari – Gli ispettori di Bankitalia: incarichi doppi e spesso inutili» che, tra le altre informazioni, scrive: in due anni hanno pagato consulenze per oltre 17 milioni di euro. Incarichi esterni ritenuti in molti casi inutili dagli ispettori di Bankitalia autorizzati con delibere risultate illegittime o addirittura illecite perché attestavano dati falsi. E ancora «lavori affidati a professionisti diversi, ma che avevano come oggetto la stessa materia». ... Le ispezioni ordinate da Palazzo Koch e lo stesso dossier di Santoni evidenziano infatti numerose irregolarità compiute dai vertici che non sono mai state contestate. ... Tra le anomalie contestate c’è anche la provenienza del denaro utilizzato per pagare i professionisti esterni. Le verifiche degli ispettori hanno infatti accertato che non sempre sono stati utilizzati i conti normalmente «dedicati» alle consulenze e questo fa sospettare che in alcuni casi il versamento possa aver preso strade diverse. ... Nelle relazioni di Bankitalia che danno conto delle ispezioni terminate nel febbraio 2015 con la decisione di commissariare la Banca appare evidente come nel comportamento dei vertici ci siano gli estremi per procedere penalmente ipotizzando il falso in bilancio, ma soprattutto il reato di aggiotaggio informativo. Una strada che i magistrati guidati dal procuratore Roberto Rossi hanno invece scelto finora di non percorrere, nonostante le sollecitazioni contenute nei dossier»;
   da Il Giornale, del 10 febbraio 2016, si apprende che il giorno prima del commissariamento Anna Maria Nocentini (in Lapini), già presidente Confcommercio di Arezzo e membro della locale camera di commercio, lascia il «CdA di Etruria per essere eletta, l'11 febbraio stesso, presidente regionale di Confcommercio Toscana e poi, in maggio, piazzata da Carlo Sangalli nella giunta esecutiva di Confcommercio a Roma». ... Nell'altro (pur disastroso) Cda, quello dell'ex deputato democristiano e sottosegretario all'Industria con Andreotti, Giuseppe Fornasari (indagato anche lui), sedeva invece Laura Del Tongo come vicepresidente ... A differenza di quasi tutti i suoi colleghi ... non è stata mai sanzionata da Banca d'Italia. Un grande mistero. Amministratore della Del Tongo Industrie Spa a Tegoleto (Arezzo) ... è finita in concordato preventivo a spese di fornitori e banche, tra le quali la stessa Etruria che amministrava (male) ... Tra gli incagli figurano anche ben 30 milioni della Del Tongo Industrie». Secondo Il Giornale, in totale, fra 13 ex amministratori e 5 ex sindaci, si accumulano 198 posizioni di fido per un totale di 185 milioni: 90 milioni sui 140 erogati, finiscono in incagli e sofferenze. Proseguendo, nell'articolo: «Degno di menzione è poi Carlo Donati, che bazzica in Banca Etruria sin dal 2005, nominato membro del collegio dei probiviri nell'aprile 2013, proprietario della Carlo Donati Fashion Group, una sartoria ad Arezzo. Guarda caso, suo figlio Marco ... nel febbraio 2013 diventa deputato del Partito democratico. ... si nota sempre più spesso accanto all'ex sindaco Giuseppe Fanfani (oggi al Csm in quota renziana, già legale di Pierluigi Boschi) e al procuratore capo di Arezzo, Roberto Rossi (titolare dell'inchiesta su Etruria). «Infine ... c’è anche Natalino Giorgio Guerrini, vicepresidente dal 2008 al 2013 quando si dimise per candidarsi alle Politiche nelle liste dell'Udc (insieme a Scelta Civica) mancando però l'atterraggio in Parlamento. Contestualmente era anche presidente di Confartigianato Imprese (2004-2012). Oggi è coordinatore nazionale di Italia Unica di Corrado Passera. Da una società di Guerrini e Carlo Schiatti (fratello di Paolo, per cinque anni vicedirettore generale di Banca Etruria), la Hi Facing specializzata in pannelli fotovoltaici, spunta una sofferenza per la banca di 3,1 milioni»;
   sempre a firma Meletti, Il Fatto Quotidiano il 5 febbraio 2016 scrive, in un articolo dal titolo «BANCA ETRURIA Bankitalia non segnalò «reati» ai pm (tranne uno) – BANCAROTTA ? Visco non la vide e nemmeno Padoan – Gli ispettori di Visco indicarono solo i conflitti di interesse di Rosi e Nataloni e decisero pure di non sanzionarli. ... Gli uomini della Vigilanza, guidati da Carmelo Barba gallo, non hanno segnalato alla magistratura alcuna «grave irregolarità». L'incongruenza più appariscente emerge da un articolo pubblicato ieri dal Corriere della Sera, secondo il quale lunedì mattina il liquidatore di Etruria Giuseppe Santoni, nel chiedere al tribunale la dichiarazione d'insolvenza, evidenzierà «come la situazione patrimoniale sia stata causata da operazioni di dissipazione che configurano una bancarotta fraudolenta». ... Santoni ci informa che il commissariamento è stato deciso «su proposta della Banca d'Italia, con decreto del Ministro del tesoro del 9 febbraio 2015, per gravi perdite patrimoniali». Il dettaglio è decisivo. Visco propone, e il ministro Pier Carlo Padoan dispone ... La legge dice che il commissariamento di una banca può decidersi quando (lettera a) «risultino gravi irregolarità amministrative» e/o (lettera b) quando «siano previste gravi perdite del patrimonio». Visco ha scelto la lettera b, quindi non ha segnalato «gravi irregolarità». ... Delle strategie investigative di Rossi si sta occupando in queste settimane il Consiglio superiore della magistratura. Nessuno invece si sta occupando di Bankitalia e delle sue «sollecitazioni». ... Al termine dell'ispezione del 2015, sfociata nel commissariamento, la Vigilanza ha sottoposto al procuratore Rossi una sola irregolarità, la violazione degli articoli 2629-bis e 2391 del codice civile da parte del presidente Lorenzo Rosi e del consigliere Luciano Nataloni. Rossi ha aperto il fascicolo il 27 giugno 2015, e il 27 dicembre scorso, alla scadenza dei primi sei mesi, ha chiesto e ottenuto la proroga di sei mesi dei termini per le indagini. L'8 gennaio, mentre infuriava la polemica sui suoi rapporti con il governo e con la famiglia Boschi, Rossi ha ordinato la spettacolare perquisizione di 14 società finanziate da Etruria e in relazione con Rosi e Nataloni».
   in risposta all'interrogazione a risposta immediata n. 5-07367, in merito a quanto affermato da Il Corriere della Sera il 19 dicembre 2015 («Bankitalia: i 20 mila «clienti fantasma» di Banca Etruria» – «Ci sono conti correnti con titolari incerti o inesistenti, o senza adeguate verifiche», «a dicembre 2014 permangono ancora circa 25 mila rapporti da regolarizzare ... sui quali sono state effettuate nel secondo semestre 2014, circa 1.200 forzature con 360 operazioni di importo superiore a mille euro») e il ruolo dell'unità d'informazione ,finanziaria (UIF), il sottosegretario di Stato Zanetti ha di fatto confermato le anomalie richiamate e, tra l'altro, affermato:
    «nel quinquennio 2010-2015 il Ministero dell'economia e delle finanze ha emesso a carico dei quattro istituiti di credito 10 decreti sanzionatori per un totale di 3.708.872 euro, per inosservanza dell'obbligo di segnalazione di operazione sospetta...»;
    «... la Banca d'Italia ha fatto presente che, in base all'articolo 7 del Testo Unico Bancario, tutte le notizie, i dati e le informazioni in suo possesso in ragione della sua attività di vigilanza (ivi compresi i rapporti ispettivi) sono coperte dal segreto d'ufficio. Fanno eccezione i casi in cui le informazioni richieste siano necessarie per le indagini o i procedimenti relativi a violazioni sanzionate penalmente»;
    «... in relazione al riferimento contenuto nell'interrogazione secondo cui nel 2013 la UIF ha attribuito ad oltre il 50 per cento delle segnalazioni ricevute dall'intero sistema un rating medio-elevato si rileva che alle segnalazioni prodotte in quell'anno dalle quattro banche sono stati attribuiti rating medio-alti con frequenza superiore a quella media dei sistema (in particolare alle segnalazioni della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio è stato attribuito il 60 per cento circa di rating medi o elevati)»;
    «... il Ministero dell'economia e delle finanze ha emanato la circolare n. 57889 del 30 luglio 2013 nella quale si ribadisce e specifica in concreto l'obbligo, per i destinatari delle disposizioni dettate dal decreto legislativo 231 del 2007 di effettuare l'adeguata verifica del cliente e di astenersi dall'instaurare il rapporto continuativo o eseguire l'operazione richiesta dal cliente nel caso di definitiva impossibilità ad effettuare o completare l'adeguata verifica, giungendosi, in tal caso, al blocco assoluto della movimentabilità del conto. ... Per quanto riguarda le segnalazioni di operazioni sospette, nell'ultimo triennio (2013-2015) le quattro banche hanno complessivamente effettuato circa 4.000 segnalazioni di operazioni sospette»;
    «per quanto attiene alle operazioni in oro, la UIF ha comunicato di ricevere dai soggetti obbligati le dichiarazioni delle operazioni di importo pari o superiore a 12.500, relative a transazioni in oro da investimento e in materiale d'oro ad uso prevalentemente industriale (articolo 1, legge n. 7 del 2000). I dati oggetto delle dichiarazioni sono utilizzati a fini antiriciclaggio e per corrispondere a eventuali richieste degli Organi investigativi»;
   altresì si apprende da L'espresso, in merito a Fonspa: «Fanno parte di questo club esclusivo, tra gli altri, il commercialista bolognese Piero Gnudi, a lungo presidente dell'Enel e ora commissario straordinario dell'Ilva, Lorenzo Bini Smaghi, fino al 2011 nel comitato esecutivo della BCE, e Jean Baptiste de Franssu, presidente dello IOR, la banca del Vaticano. La quota di controllo di Fonspa, presieduto da Gnudi, fa capo a Panfilo Tarantelli, già manager di punta in Europa del colosso finanziario americano Citigroup, ma tra i soci del gruppo, che comprende la holding Tages, troviamo anche investitori come Alessandro Benetton, la famiglia De Agostini e Umberto Quadrino, una lunga carriera in Fiat, da ultimo alla presidenza del gruppo energetico Edison»; ciò si apprende dall'articolo «Vip d'Etruria» de L'Espresso, a firma Vittorio Malagutti (di gennaio 2016, in merito alla cessione di 300 milioni di euro nominali di crediti in sofferenza di Banca Etruria, conclusasi il 17 novembre 2015, a un valore di poco superiore al 34 per cento, ovvero poco più di 100 milioni di euro. «Una scelta di tempo eccezionale, non c’è che dire. Un caso ? Sì, fino a prova contraria. Fatto sta che la vendita è andata in porto appena prima del fischio finale. Con grandi vantaggi per Fonspa, che tra tutti i crediti in sofferenza messi in vendita dall'istituto di Arezzo ... con ogni probabilità è riuscito ad aggiudicarsi quelli meno difficili da incassare»;
   gli interpellanti, trovano praticamente impossibile l'intervento della «sorte» in operazioni come queste, con l'incredibile numero di persone coinvolte e informate. Un finanziamento ponte di ben 3,6 miliardi di euro per fare fronte ai 4 provvedimenti di risoluzione non è possibile da realizzare senza settimane di preparazione: scegliere e contattare (tutto discrezionalmente, in «segreto» a discapito a dire degli interpellanti ogni principio di libera e leale concorrenza) gli istituti di credito a cui rivolgersi, contrattare clausole, modalità operative e remunerazioni, redigere i contratti con relative garanzie, consulenze, «due diligence». Persino fissare una data in cui far convergere in uno studio notarile tutti i legali rappresentanti delle società e istituzioni coinvolte, le più importanti del Paese, richiede giorni, se non settimane, di preavviso. La cessione dei crediti a Fonspa, di conseguenza, si è conclusa mentre quantomeno erano già in corso le manovre relative alla risoluzione dei 4 istituti credito oggetto del cosiddetto «salva banche», fino a prova contraria (che gli interpellanti sarebbero ben lieti di vedere esibita, insieme alle valutazioni provvisorie utilizzate per l'emanazione dei decreti di risoluzione, di fatto non note. Va altresì rammentato che ognuno dei 4 nuovi istituti che hanno ereditato gli attivi ripuliti dall'operazione, «verrà ceduto separatamente con una procedura gestita da Bankitalia affiancata da due advisor: la società di consulenza statunitense Oliver Wyman e il gruppo finanziario francese Société Générale. ... sulla poltrona di presidente di Société Générale siede da circa un anno e mezzo Lorenzo Bini Smaghi, il banchiere che è anche consigliere di amministrazione di Tages, la holding di controllo di Fonspa. Peraltro il fiorentino Bini Smaghi, che ha iniziato la carriera all'ufficio studi di Bankitalia, e da sempre in buoni rapporti anche con Matteo Renzi, di cui è stato sponsor e finanziatore fin dalle primarie 2012»;
   Fonspa fu ceduta da Morgan Stanley nel 2013: da allora si interessò alle commissariate CariFerrara e Banca Marche. Per quest'ultima «ha fatto da intermediario per un prestito da 2 miliardi ... erano soldi della BCE, che non può finanziare direttamente istituti in amministrazione straordinaria. Alla fine profitti per tutti, perché nella primavera dell'anno scorso, grazie al rialzo delle quotazioni, è diventato conveniente vendere i titoli obbligazionari a garanzia del prestito. Con il ricavato, Banca Marche ha restituito il fido realizzando un'importante plusvalenza, Fonspa invece ha incassato gli interessi sul prestito e una commissione milionaria per l'organizzazione di quell'affare». Sarebbe davvero interessante sapere per «chi» fu conveniente vendere, alla luce del drammatico epilogo per ignari azionisti e obbligazionisti penalizzati dal decreto abrogato (n. 183 del 2015).
   «Maria Elena Boschi non è però l'unica colta da dimenticanze, in questa storia. Anche il PM Rossi, ascoltato il 28 dicembre dalla prima commissione del Consiglio superiore della magistratura, non ha riferito di essersi occupato dell'ex vicepresidente di Banca Etruria: «non conosco nessuno della famiglia Boschi» ha dichiarato. «Non sapevo neanche come fosse formata». Una dimenticanza che, lette le anticipazioni dell'inchiesta di Panorama, costringe il magistrato a una tardiva ammissione. Il 20 gennaio 2016 invia una lettera al Csm. E conferma di essersi occupato in passato di procedimenti riguardanti Boschi, ma di non conoscerlo di persona. «Abbiamo preso tutti atto con rammarico che le dichiarazioni rese non corrispondono ai fatti» commenta Pierantonio Zanettin, membro dell'organo che governa la magistratura. Così, la prima commissione riapre l'istruttoria sul procuratore». È quanto scrive Antonio Rossitto per Panorama nell'articolo «Tutte le bugie del caso Boschi !», che riporta inoltre che «l'ultimo tassello del puzzle è la nomina del suo avvocato Giuseppe Fanfani, sindaco di Arezzo e «nipotissimo» del leader della Dc Amintore, viene eletto il 9 settembre 2014 dal Parlamento», al CSM «su indicazione del Pd di Matteo Renzi. La Nazione, quotidiano di riferimento della Toscana, scrive: La candidatura, spinta dal ministro Maria Elena Boschi, cui il sindaco è unito da aretinità e fedeltà renziana, potrebbe fare breccia anche col premier in persona». Breccia che diventa un varco. Poco dopo, il 18 dicembre 2014, il governo Renzi affida una nuova consulenza (la precedente era scaduta cinque mesi prima, il 21 luglio 2014) a Rossi, ancora come esperto degli affari giuridici. L'incarico dura meno di due settimane, ma il 24 febbraio 2015 viene rinnovato fino al 31 dicembre 2015. Queste due nomine avevano spinto la prima commissione del Csm a verificare eventuali incompatibilità tra il ruolo di Rossi, coordinatore delle indagini su Banca Etruria, e quello di consulente dell'esecutivo. L'audizione del magistrato, il 28 dicembre 2015, lascia molte perplessità. Anche la frase così definitiva sulla conoscenza dei Boschi sembra inveritiera: «Non conosco neppure la composizione del nucleo familiare». La sua versione viene riportata da tutti i giornali italiani. Mentre Fanfani, controparte di Rossi nei procedimenti penali che coinvolgevano Boschi, continua a tacere;
   l’Espresso del 4 febbraio 2016 (Nel Triangolo dell'Etruria – Vittorio Malagutti), tra le altre vicende, riporta:
    «Uomo simbolo della vecchia nomenclatura è l'ex sindaco Giuseppe Fanfani... poco prima di lasciare (dopo 8 anni) la poltrona di primo cittadino ... guidò una vera e propria crociata contro la fusione di Banca Etruria con Popolare Vicenza, che alla fine saltò. Il suo studio legale, ceduto al figlio Luca dopo la discesa in politica, aveva come grande cliente l'istituto fallito due mesi fa. E adesso Fanfani junior difende anche Pier Luigi Boschi»;
    lo stesso Fanfani che, nonostante sia stata riaperta l'istruttoria del Csm sul caso «Rossi», ancora gode di stima e fiducia da parte dei colleghi togati e laici del Csm (I consiglieri laici e togati del Consiglio superiore della magistratura ieri sera praticamente al gran completo, alla presenza del vicepresidente Giovanni Legnini, sono stati a «scuola serale» di Dante al Teatro Arciliuto di Roma. È stato il consigliere Giuseppe Fanfani ad interpretare e recitare alcuni passi della Divina Commedia – Arezzo Notizie – Enrica Cherici – 30 gennaio 2016), mentre i cittadini truffati dal cosiddetto «salva banche» attendono trasparenza, verità e giustizia;
   l'11 febbraio 2016, il tribunale fallimentare di Arezzo ha dichiarato insolvente la «old bank» dell'Etruria nata dal citato abrogato decreto legislativo n. 183 del 2015. Il collegio presieduto da Clelia Galantino ha sciolto la riserva, accogliendo il ricorso del commissario liquidatore Giuseppe Santoni e respingendo il ricorso di incostituzionalità presentato da Rosi, discusso l'8 febbraio precedente. Principali attori dell'udienza:
    Riccardo Sora: come riporta Il Giornale il 15 dicembre 2015 a firma Claudio Cartaldo, venne indagato relativamente al commissariamento Carim, poi salvato da una lettera di manleva di Bankitalia («Nel caso della Carim, i pm cominciano ad indagare su alcune operazioni realizzate dai vertici della banca, accusati di ricomprare le azioni dell'istituto dai clienti ad un prezzo gonfiato. Alcune di queste operazioni sono state realizzate proprio da Sora e Carollo. Per questo i pm li hanno inseriti nel registro degli indagati per “indebita restituzione di conferimenti”, poi ridotto ad “abuso d'ufficio”. Ma in aiuto di Sora scende niente di meno che la stessa Banca d'Italia. La quale non solo nomina Sora commissario in Banca Etruria (l'indagine era ancora in corso), ma lo difende a spada tratta. ... il 25 maggio 2015, palazzo Koch invia una lettera di salvacondotto alla procura di Rimini per togliere le castagne dal fuoco al suo tecnico. La tesi di Bankitalia è che, nonostante l'illecito commesso, Sora non potesse fare altrimenti... E così il pm ha archiviato il caso, motivando il tutto affermando che “l'operato dei due funzionari è stato avallato dalla stessa Banca d'Italia” e che non ci sarebbe stato “dolo”»), elevandosi di fatto al di sopra della magistratura;
    Antonio Pironti: dall'articolo citato de Il Fatto Quotidiano, si apprende che «Pironti il 14 dicembre scorso è stato nominato presidente del comitato di sorveglianza di Etruria, cioè il supervisore del liquidatore che ha dato al tribunale le pagelle sui nove mesi di gestione Rosi, Berni e Boschi e sui nove dei commissari»;
    Michele Desario: avvocato dell'ex presidente Rosi. Figlio di Vincenzo Desario, ex direttore generale della Banca d'Italia dal 1998 al 2006 e di conseguenza ex capo dell'attuale governatore Ignazio Visco, nella memoria depositata in occasione dell'udienza per la dichiarazione di stato d'insolvenza promossa dal liquidatore Santoni, nominato da Bankitalia con il sostanziale avallo del Governo Renzi, ha puntato a sollevare eccezioni di incostituzionalità di fronte alla Corte Costituzionale per violazione degli articoli 47 e 3, anziché muovere accuse nei confronti della gestione del commissariamento e della risoluzione, da parte di Banca d'Italia, i suoi commissari e il suo governatore. Emblematico il rifiuto all'ammissione della memoria di Vincenzo Lacroce, presentata presso la cancelleria fallimentare del tribunale di Arezzo (oggetto dell'atto ispettivo n. 5/07662, richiamato in toto), come presidente dell'associazione Amici di Banca Etruria e per 30 anni nell'ufficio tecnico di Banca d'Italia, ora in pensione, e la risposta del procuratore Rossi sui dubbi «costituzionali» («Il decreto si conforma a una direttiva Ue – sostiene il procuratore – quindi a una fonte giuridica equiparabile alla Carta» (Fabio Tonacci – La Repubblica 9 febbraio 2016 – «La procura vuole l'insolvenza»).
    Roberto Rossi, procuratore della Repubblica, è consulente della presidenza del Consiglio dei ministri, di Renzi, fino a dicembre 2015. Dal 1998 (dal curriculum vitae sul sito del governo, risulterebbe dal 1988) ad oggi ad Arezzo. «Sono in tutto dieci i procedimenti a carico di Pierluigi Boschi, ex vicepresidente di Banca Etruria e padre della ministra Maria Elena, aperti dalla procura di Arezzo, quasi tutti archiviati. È il quadro che emerge dalle carte che la procura generale di Firenze ha inviato al Csm, che deve decidere se c’è stata incompatibilità tra il ruolo di procuratore di Roberto Rossi (titolare di 4 dei 10 procedimenti) e un incarico di consulenza per il governo svolto dal magistrato sino a dicembre dello scorso anno. Ne resta aperto uno solo su cui c’è una richiesta di archiviazione e che risale al dicembre 2014» è quanto riporta Sara Monaci, su Il Sole 24 Ore del 4 febbraio 2016;
   da quanto fin qui ricostruito, ad avviso degli interpellanti risultano evidenti le gravissime anomalie che gravitano intorno alla vicenda del cosiddetto decreto salva banche, in particolar modo a riguardo di Banca Etruria: mancate segnalazioni di Bankitalia alla magistratura di condotte che oggi vengono usate però per il processo per bancarotta fraudolenta; commissari di vigilanza autorizzati da Bankitalia (anche a proseguire attività di quantomeno dubbia legittimità) che effettuano tre valutazioni diverse dei crediti in sofferenza (per arrivare all'ultima, imposta per un valore pari all'83 per cento del nominale, mai vista prima in Italia, per poter avviare il provvedimento di risoluzione), il tutto mentre decidono sia a chi (e cosa) cedere in parte, sia come redigere la «valutazione provvisoria» necessaria al provvedimento di risoluzione; un Governo che, secondo gli interpellanti mentre da un lato commina sanzioni milionarie per violazioni della normativa antiriciclaggio che prevede anche sanzioni penali, dall'altro emana circolari che offrono una «via di fuga» a chi non ottempera, mentre risulta che la banca aretina continuasse a vendere oro con l'obbligo di segnalazione a 12.500 euro, permettendo sostanzialmente di aggirare le limitazioni alla circolazione del contante; Rossi, a capo della procura alla quale spettano per competenza le inchieste sulle vicende della ex banca aretina, consulente del Primo Ministro Renzi fino a dicembre 2015, il quale negò di conoscere la famiglia Boschi, quando era titolare di indagini (archiviate tutte tranne una) che la riguardavano; va poi considerata, secondo gli interpellanti, la situazione di un CSM che dovrebbe valutare un eventuale conflitto di interessi del giudice Rossi, ma del quale fa parte (con l'appoggio del Ministro Boschi) Fanfani, il difensore della famiglia Boschi nei procedimenti aperti dal procuratore Rossi, i quali si conoscevano; un sistema di vigilanza bancario che sostanzialmente fa da accusatore, difensore e giudice delle proprie istanze, relegando la politica a darne forza di legge –:
   se i Ministri, ognuno per quanto di competenza, non intendano intervenire promuovendo iniziative normative, e con ogni strumento giuridico eventualmente già in loro possesso, al fine di eliminare ogni legittimo dubbio su ogni passaggio del ricorso ai provvedimenti di risoluzione, permettendo così alla magistratura di poter valutare anche l'operato degli ispettori di Banca d'Italia;
   se il Governo abbia intenzione di costituirsi parte civile nei confronti degli amministratori e di ogni eventuale parte coinvolta, inclusi gli organi di vigilanza, che a diverso titolo hanno dato luogo ad una gestione irregolare, o al protrarsi della stessa, creando crediti di imposta, ad avviso degli interpellanti sostanzialmente fraudolenti, a svantaggio dell'erario;
   se il Governo non ritenga opportuno assumere immediatamente, le iniziative di competenza al fine di rimuovere in termini normativi le cause che hanno permesso e tuttora permettono il verificarsi di casi come quello del dottor Pironti, del dottor Sora, del procuratore Rossi, evidentemente coinvolti nelle vicende espresse, e rimasti comunque a svolgere i loro ruoli professionali.
(2-01284) «Pesco, Alberti, Villarosa, Tripiedi, Cominardi, Castelli, Della Valle, Brugnerotto, Caso, Nesci, Dell'Orco, Crippa, Cecconi, Ferraresi, Cozzolino, Manlio Di Stefano, Battelli, Gallinella, L'Abbate, Lupo, Gagnarli, Da Villa, Carinelli, Fantinati, Vallascas, D'Incà, Cariello, Cancelleri, Colonnese, Di Vita, D'Ambrosio, Baroni, Mantero, Silvia Giordano, Lorefice, Ciprini, De Rosa, Daga, Terzoni, Spessotto, De Lorenzis, Businarolo, Sberna, Colletti, Sibilia, Agostinelli».

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'ultima legge di stabilità ha posto un deciso stop alla pubblicità del gioco d'azzardo su tutte le televisioni di stampo generalista, con l'evidente intenzione di contenere il proliferare di un modo di giocare che ha perso la principale caratteristica del gioco stesso: il piacere e la libertà, per diventare un'azione compulsiva a cui non si riesce a resistere;
   ciò nonostante la pubblicità del gioco continua ad imperversare sulla rete e assume le caratteristiche seduttive delle promesse fallaci, che aggirano il giocatore trascinandolo in una dinamica di giocate e contro-giocate di cui rimane prigioniero, con grave danno per la sua salute mentale oltre che per a sua economia personale e familiare;
   in questo clima vale la pensa segnalare il caso del William Hill-Casinò, che teoricamente si impegna a sostenere il gioco responsabile, sottolineando come il gioco sia consentito solo ai maggiorenni e come possa creare dipendenza, salvo poi ad avviso dell'interrogante smentire questi due segnali di allarme con tutte le successive istruzioni di gioco; gli organizzatori danno indicazioni molto concrete sul come procedere: «Cliccando sul tasto del download inizierà l'installazione sul tuo computer del software del Casinò, che ti permetterà di registrarti e giocare sulla piattaforma del nostro Casinò»;
   sembrerebbe che l'applicazione possa essere disinstallata completamente usando la normale opzione «programmi» su Windows. «Nessuna funzione del software rimarrà nel tuo computer dopo la disinstallazione»: in realtà, come è facile comprendere, a quanto risulta all'interrogante la disinstallazione non cancella affatto dal sito l'identità del giocatore, che resta nella memoria dei sistema;
   fin dalle prime mosse sul sito: http://casino.williamhill.it il giocatore e gratificato con un bonus fino a 1000 euro al suo primo deposito di fondi, perché non si può giocare se non si registra un conto di gioco e il bonus di 1000 euro è per chi registra un conto di almeno 1000 euro; per ricevere il bonus bisogna puntare almeno 20 volte l'importo del bonus e qui comincia la trappola in cui il giocatore si trova coinvolto; perché il bonus di benvenuto rimane in attesa di essere erogato finché non vengono soddisfatti i requisiti di puntata. Ma la cosa non finisce qui perché il bonus deve essere giocato al casinò almeno una volta prima di poter essere prelevato;
   oltre al bonus di benvenuto c’è anche il bonus post-puntata, che una volta accreditato sul «saldo bonus reale» del conto del giocatore, deve essere giocato ancora almeno una volta perché il giocatore possa effettuare il prelievo delle vincite da esso derivanti;
   un altro elemento di estremo interesse riguarda il bonus per nuovi giocatori che verrebbe rilasciato solo una volta per deposito, conto, persona, famiglia, nucleo familiare, indirizzo (postale o IP), indirizzo e-mail, computer e comunque ogni ambiente dove i computer sono condivisi (ad esempio scuole, ambienti di lavoro, librerie pubbliche e altro);
   quest'ultima annotazione attira l'attenzione dell'interrogante dal momento che ci sarebbe un esplicito riferimento a contesti come le scuole, gli spazi di lavoro, librerie pubbliche e altro –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per contrastare questa offerta di gioco che sollecita i giocatori a giocare in contesti da cui il gioco andrebbe radicalmente bandito, quali scuola, posti di lavoro, luoghi pubblici e altro –:
   in che modo si possano e si debbano tutelare i giocatori che si trovano ad essere vittime di quella che appare all'interrogante di una offerta capziosa e tutt'altro che chiara nelle dinamiche di carattere economico del dare e dell'avere sia da parte del giocatore che dell'azienda-casinò. (3-02053)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   PAGANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a seguito del recepimento nell'ordinamento italiano della direttiva 2004/39/CE (cosiddetta direttiva «MiFID»), il servizio di consulenza è stato incluso nel novero dei servizi di investimento sottoposti a riserva, rendendo accessibile tale servizio esclusivamente alle società di intermediazione mobiliare ed alle banche, salve le parziali deroghe introdotte successivamente per i consulenti finanziari e per le società di consulenza finanziaria;
   ai sensi del regolamento attuativo emanato da Banca d'Italia il 29 ottobre 2007, le «società di intermediazione mobiliare di consulenza» che intendono prestare unicamente il servizio di consulenza in materia investimenti (a condizione che non detengano, neanche in via temporanea, disponibilità liquide e strumenti finanziari di pertinenza della clientela e non assumano rischi in proprio), devono avere un capitale minimo di euro 120.000;
   in base al Titolo I, Capo 1, paragrafo 4, del regolamento emanato dalla Banca d'Italia il 24 ottobre 2007, le società di intermediazione mobiliare di consulenza devono inoltre detenere fondi propri in misura pari almeno al capitale minimo richiesto: conseguentemente, il patrimonio di vigilanza detenuto dalle società di intermediazione mobiliare di consulenza deve essere pari almeno ad euro 120.000;
   il patrimonio di vigilanza ha la funzione di copertura patrimoniale in relazione alla prestazione dei servizi e ai rischi assunti, come illustrati nel predetto regolamento emanato dalla Banca d'Italia: l'adeguatezza patrimoniale corrisponde, infatti, all'idoneità astratta del patrimonio a dare copertura al livello di rischio che caratterizza il singolo operatore di mercato, dotandolo di mezzi propri sufficienti per fronteggiare l'insorgenza di eventuali perdite;
   tuttavia, le società di intermediazione mobiliare di consulenza possono solo prestare consulenza senza «assunzione di rischi», come previsto dall'articolo 1, comma 4, del richiamato regolamento del 29 ottobre 2007 e dalle relative prescrizioni operative rilasciate in fase autorizzativa;
   non appare quindi chiaro quale sia il rischio connesso all'attività svolta dalle società di intermediazione mobiliare di consulenza che deve essere «presidiato» con il capitale di vigilanza: tali società di intermediazione mobiliare di consulenza svolgono, infatti, la loro attività senza detenzione, neanche temporanea, delle disponibilità liquide e degli strumenti finanziari della clientela e senza assunzione di rischi, facendo quindi venir meno l'esigenza di mantenere un patrimonio di vigilanza per le società di intermediazione mobiliare di consulenza;
   nel medesimo senso può richiamarsi il fatto che il regolamento (UE) n. 575/2013 e la direttiva 2013/36/UE (che costituiscono il quadro normativo di riferimento nell'Unione europea con riferimento alle norme prudenziali degli enti creditizi e delle imprese di investimento) non si applicano agli enti che prestano solamente il servizio di consulenza in materia di investimenti senza autorizzazione a detenere fondi o titoli appartenenti ai loro clienti (quali appunto le società di intermediazione mobiliare di consulenza), poiché, per tale motivo, essi non possono mai trovarsi in posizione debitoria nei confronti dei propri clienti;
   inoltre, nel caso in cui la società di intermediazione mobiliare di consulenza svolga anche l'attività di sponsor nell'ambito delle operazioni di emissione di cambiali finanziarie, tale attività deve essere svolta dalla società di intermediazione mobiliare esclusivamente senza il «mantenimento» in portafoglio delle cambiali finanziarie emesse, le quali potranno essere sottoscritte esclusivamente da investitori professionali;
   anche in tale ultimo caso non sembra pertanto sussistere una necessità di tutela che richieda la costituzione di un patrimonio di vigilanza minimo;
   a conferma di quanto sopra esposto, occorre anche ricordare come non sussista alcuna disciplina in tema di patrimonio di vigilanza applicabile alle società di consulenza finanziaria, le quali svolgono attività speculare rispetto alle società di intermediazione mobiliare di consulenza, ossia la consulenza in materia di investimenti senza detenzione di somme di denaro o strumenti finanziari di pertinenza dei clienti, ma che, diversamente dalla società di intermediazione mobiliare di consulenza, non devono detenere un patrimonio di vigilanza;
   la ratio della scelta regolamentare di escludere le società di consulenza finanziaria dall'obbligo di detenere un patrimonio di vigilanza si fonda sull'assenza di detenzione di denaro o di strumenti finanziari della clientela, la quale comporta l'avversione a qualunque forma di rischio, con la conseguente inopportunità di assoggettare tali società alle stringenti regole di vigilanza prudenziale;
   le medesime argomentazioni applicabili alle società di consulenza finanziaria dovrebbe tuttavia estendersi anche alla disciplina dettata per le società di intermediazione mobiliare di consulenza;
   in tale contesto appare pertanto necessario superare una evidente disparità di trattamento tra le società di intermediazione mobiliare di consulenza e le società di consulenza finanziaria, le quali, pur fornendo un identico servizio con le medesime limitazioni operative, sono sottoposte a differenti regimi in tema di vigilanza prudenziale, a tutto svantaggio delle società di intermediazione mobiliare di consulenza;
   tale disparità, oltre ad apparire del tutto illogica e immotivata, appare inoltre fonte di gravi distorsioni concorrenziali tra gli operatori della consulenza finanziaria, in palese contrasto con i principi costituzionali, nonché con gli stessi obiettivi di efficienza del mercato perseguiti dall'ordinamento settoriale –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di rivedere il quadro normativo in materia e di superare gli obblighi relativi al patrimonio di vigilanza vigenti per le società di intermediazione mobiliare di consulenza, eliminando in tal modo un onere privo di ogni reale motivazione prudenziale, nonché una disparità di trattamento, ad avviso dell'interrogante illegittima e ingiustificata, tra operatori sotto tale profilo omogenei, quali le medesime società di intermediazione mobiliare di consulenza e le società di consulenza finanziaria, che distorce la concorrenza in tale settore. (5-07900)


   SOTTANELLI e VEZZALI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a seguito del terremoto in Sicilia del 13 e 16 dicembre 1990, che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, sono stati disposti in un primo momento, con ordinanza della protezione civile del 21 dicembre del 1990, la sospensione e il differimento del versamento delle imposte, dei contributi sociali e dei premi assicurativi obbligatori o la possibilità di effettuare tale pagamento a rate. In un secondo momento, con l'articolo 9, comma 17, della legge n. 289 del 2002, è stata introdotta la possibilità, per coloro che non avessero ancora versato le imposte per gli anni 1990-1991-1992, di regolarizzare automaticamente la loro posizione entro il 16 marzo 2003 versando soltanto il 10 per cento dell'ammontare ancora dovuto;
   il termine per il versamento è stato successivamente prorogato più volte. L'articolo 3-quater del decreto legge n. 300 del 2006 ha prorogato al 31 dicembre 2007 i termini per il pagamento, chiedendo però il versamento del 30 per cento dell'ammontare ancora dovuto per le imposte, l'articolo 36-bis del decreto legge n. 248 del 2007 ha prorogato al 30 giugno 2008 i termini per il pagamento, ristabilendo il versamento del 10 per cento dell'ammontare dovuto per le imposte;
   i contribuenti che avevano pagato il 100 per cento degli importi dovuti, hanno iniziato una dura e lunga battaglia volta a far valere il diritto alla equiparazione ai contribuenti che hanno beneficiato del condono, mediante la presentazione di migliaia di richieste di rimborso di quel 90 per cento pagato in più e con ricorsi tributari di massa che tutt'ora sommergono le Commissioni tributarie;
   con la sentenza n. 20641, del 1o ottobre 2007, la Corte di Cassazione ha ritenuto applicabile la norma di favore (di cui all'articolo 9, comma 17, della legge n. 289 del 2002) anche a chi aveva comunque assolto regolarmente ai propri debiti tributari: «deve ritenersi spettante a tutti il beneficio della riduzione del carico fiscale de quo ad un decimo, beneficio che si attua concretamente, secondo due simmetriche possibilità di definizione in favore di chi non ha ancora pagato, mediante il pagamento solo del 10 per cento del dovuto da effettuarsi entro il 16 marzo 2003; in favore di chi ha già pagato, attraverso il rimborso del 90 per cento di quanto versato al medesimo titolo, ancorché risultato parzialmente non dovuto ex post, per effetto dell'intervento normativo, cui va riconosciuto il carattere di ius superveniens favorevole al contribuente, nel contesto di un indebito sorto ex lege»;
   con riferimento al fatto che tale norma di favore interessava anche le imprese localizzate nei territori colpiti dal sisma, nel 2012 la Commissione europea ha comunicato l'avvenuta registrazione degli aiuti connessi al terremoto 1990 quali «aiuti di Stato non notificati»;
   l'Agenzia delle entrate dapprima ha impartito agli uffici l'indicazione di proseguire nel contenzioso, ritenendo che la sentenza della Corte di cassazione del 2007 «non potesse dirsi espressione di un consolidato indirizzo giurisprudenziale», in seguito, forte dell'avvio di un'indagine formale della Commissione europea che paventava l'ipotesi che la misura di agevolazione potesse essere qualificata come «aiuto di Stato», l'agenzia ha deciso di proseguire i contenziosi concernenti i dinieghi dei rimborsi e di «opporsi alla richiesta di dare esecuzione alle sentenze della Corte di cassazione favorevoli ai contribuenti che esercitano attività d'impresa»;
   sulla vicenda sono intervenuti ulteriori pronunciamenti della Corte di cassazione, da ultimo la sentenza n. 10241 del 2 maggio 2013 che ha confermato che il rimborso del 90 per cento spetta a tutti i contribuenti colpiti dal sisma del 1990 che hanno instaurato il contenzioso entro il 31 marzo 2012, in ottemperanza a quanto stabilito in precedenza dall'ordinanza n. 9577 del 12 giugno 2012 e in controtendenza con la sentenza n. 23589 del 20 dicembre 2012 della Corte che, invece, aveva previsto che i termini per presentare l'istanza per il rimborso scadessero il 1o gennaio 2005. Anche la sentenza n. 471-1-13 della commissione tributaria provinciale di Siracusa riconosce il beneficio a tutti i contribuenti che hanno instaurato il contenzioso con l'Agenzia delle entrate entro il 31 marzo 2012;
   i ricorsi accolti hanno stabilito che l'Agenzia dovrebbe rimborsare svariati milioni di euro ai cittadini che hanno versato gli importi per intero;
   con questo stato di cose, lo Stato rischia non solo di dovere rimborsare il 90 per cento e gli interessi, ma anche le spese processuali quale parte soccombente;
   il comma 665 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, attribuisce ai soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che abbiano versato imposte per il triennio 1990-1992 per un importo superiore al dovuto del 10 per cento, il diritto al rimborso di quanto indebitamente versato, purché abbiano presentato apposita istanza. Per gli esercenti attività d'impresa il beneficio è sospeso fino a verifica della compatibilità comunitaria;
   la norma chiarisce, inoltre, che i termini per la presentazione dell'istanza, da perfezionare entro due anni, decorrono dal 1o marzo 2008, ossia dalla data di entrata in vigore della legge 28 febbraio 2008, n. 31, di conversione del decreto legge 31 dicembre 2007, n. 248. In sostanza, si attribuisce il diritto al rimborso ai soggetti che hanno avanzato apposita istanza entro il 1o marzo 2010;
   a tal fine, con il medesimo comma 665, è autorizzata la spesa di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015-2017; con successivo decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sono stabiliti i criteri di assegnazione dei predetti fondi;
   a distanza di oltre un anno non è stato ancora emanato il decreto ministeriale;
   la Corte di Cassazione, da ultimo con l'ordinanza n. 18179 del mese di settembre del 2015, ha confermato che i contribuenti siciliani hanno diritto al rimborso, nonostante l'agenzia continui imperterrita a proseguire i giudizi –:
   alla luce di quanto sopra esposto, se non ritenga necessario procedere al più presto all'emanazione del decreto che consentirebbe ai cittadini siciliani aventi diritto di recuperare le somme pagate e non dovute. (5-07901)


   GEBHARD, ALFREIDER, PLANGGER, SCHULLIAN, OTTOBRE e MARGUERETTAZ. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 73, della legge di stabilità per il 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208) ha concesso un'agevolazione IRAP sul costo del lavoro per l'assunzione dei lavoratori stagionali per almeno 120 giorni;
   il costo del lavoro è deducibile, ai fini IRAP, a decorrere dal secondo rinnovo contrattuale con lo stesso datore di lavoro nel limite massimo del settanta per cento;
   gli uffici dell'amministrazione finanziaria, rispondendo ad un documento di sindacato ispettivo il 28 gennaio 2016, hanno già chiarito che il calcolo dei 120 giorni possa intendersi riferito ai giorni effettivi di impiego, computando anche quelli relativi al primo contratto di assunzione;
   la norma vale a decorrere dal periodo d'imposta 2016, per cui, anche alla luce dei chiarimenti interpretativi già forniti, è presumibile ritenere che uno stesso datore di lavoro, che rinnovi un contratto di lavoro nell'anno 2016 allo stesso lavoratore stagionale che aveva già lavorato per lui nell'arco del 2015, possa già fruire della deduzione IRAP;
   in tal senso, sembra andare sia la relazione tecnica dell'emendamento, laddove il Governo ha motivato gli effetti finanziari della norma a valere sul fondo per gli interventi strutturali di politica economica nel 2017, per un importo pari a 46,8 milioni di euro, scontando quindi i minori introiti IRAP dichiarati già dalle dichiarazioni dell'anno 2016, sia il modello della dichiarazione IRAP 2016, relativa al periodo d'imposta 2015, che prevede già la possibilità di indicare la nuova deduzione per i lavoratori stagionali (istruzioni con riferimento al rigo IS7) –:
   se sia corretto ritenere che i datori di lavoro possano ottenere, già nella dichiarazione relativa all'anno 2016, la deduzione IRAP sul secondo rinnovo contrattuale allo stesso lavoratore stagionale che avvenga nell'arco dell'anno 2016, se lo avevano già assunto una prima volta nell'anno 2015, purché esso sia impiegato complessivamente per almeno 120 giorni.
(5-07902)


   FRAGOMELI e PELILLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 15, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, prevede la detrazione dall'imposta lorda di un importo pari al 19 per cento degli oneri sostenuti dal contribuente per le spese sanitarie costituite, in senso stretto, esclusivamente dalle spese mediche e di assistenza specifica, dalle spese chirurgiche, per prestazioni specialistiche e per protesi dentarie e sanitarie in genere;
   con provvedimento 29 gennaio 2016, di approvazione del modello di dichiarazione «Unico 2016-PF» e con provvedimento 15 gennaio 2016, di approvazione dei modelli 730, emanati dall'Agenzia delle entrate, si chiarisce che le spese mediche sostenute all'estero sono soggette allo stesso regime di detrazione previsto per quelle analoghe sostenute in Italia;
   nei medesimi provvedimenti dell'Agenzia delle entrate, inoltre, si ricorda che le spese relative al trasferimento e al soggiorno all'estero sia pure per motivi di salute non possono essere computate tra quelle che danno diritto alla detrazione in quanto non assimilabili alle spese sanitarie;
   la disciplina in vigore, che si applica al trasferimento ordinario da e verso una struttura ospedaliera all'estero, tuttavia danneggia i soggetti costretti a sopportare consistenti oneri per trasporti d'urgenza dovuti a ricovero all'estero;
   il trasporto d'urgenza in effetti avrebbe tutti i caratteri di un primo intervento sanitario con una strumentazione simile a quella di una sala operatoria ed è pertanto equiparabile all'assistenza specifica –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per comprendere tra le spese detraibili, ai sensi dell'articolo 15 del testo unico delle imposte sui redditi, anche le spese per il trasferimento urgente e il relativo soggiorno all'estero per motivi di salute, anche prevedendo, qualora si ritenga necessario un intervento di carattere normativo, la quantificazione dell'onere per il bilancio dello Stato. (5-07903)


   BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 13, comma 2, della legge delega n. 23 del 2014 sulla riforma fiscale, delega il Governo ad introdurre norme per la revisione delle imposte sulla produzione e sui consumi dei prodotti del tabacco al fine di semplificare gli adempimenti e razionalizzare le aliquote;
   in attuazione della richiamata norma è stato emanato il decreto legislativo n. 188 del 2014, entrato in vigore il 1o gennaio 2015, il quale, oltre ad apportare modifiche in materia di tassazione dei tabacchi e dei loro succedanei, effettua un «riordino» della disciplina dei liquidi da inalazione ed introduce la categoria dei «tabacchi da inalazione senza combustione»;
   la stessa legge n. 23 del 2014, all'articolo 1, comma 8, prevede la possibilità per l'esecutivo di adottare decreti legislativi «contenenti disposizioni correttive e integrative», entro 18 mesi dall'entrata in vigore dei singoli provvedimenti fiscali;
   il decreto legislativo n. 188 del 2014 all'articolo 1, comma 2, lettere a) e b), prevede dunque una revisione delle aliquote sui tabacchi lavorati, tabacchi da inalazione senza combustione e liquidi da inalazione senza combustione a mezzo di «decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta del Direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, tenuto conto dell'andamento dei consumi e del livello dei prezzi di vendita» previa trasmissione alle Commissioni parlamentari «competenti per materia, nonché a quelle competenti per i profili finanziari, per consentire un monitoraggio parlamentare circa l'adeguatezza delle variazioni disposte rispetto agli obiettivi preventivati»;
   la relazione tecnica al decreto legislativo n. 188 del 2014 prevede un aumento del gettito (accisa + IVA) su base annuale pari a 48 milioni di euro per le sigarette, 36 milioni di euro per i «prodotti da fumo diversi dalle sigarette» e 115 milioni di euro per i liquidi da inalazione; considerata l'assenza di previsioni sui «tabacchi da inalazione senza combustione», un bilanciamento con le perdite dovute all'abbattimento della tassazione sui fiammiferi pari a 3 milioni di euro e con l'abrogazione della disposizione ai sensi dell'articolo 14, comma 3, del decreto-legge n. 91 del 2013 pari a 50 milioni di euro, la realizzazione delle maggiori entrate complessive nette previste dal citato decreto sono state quantificate in 145 milioni di euro per il 2015 e 146 milioni di euro dal 2016;
   il Governo, in data 5 agosto 2015, in sede di risposta ad un'interrogazione, ha confermato «un maggior gettito nel primo semestre del 2015, rispetto all'analogo periodo del 2014, di euro 130,8 milioni a titolo di accisa e di euro 28,9 milioni a titolo di imposta sul valore aggiunto, per un totale di euro 159,7 milioni», registrando un gettito per i liquidi da inalazione «pari a 3,4 milioni di Euro»;
   nella risposta del Governo, l'esiguità del gettito dai liquidi da inalazione è stata imputata principalmente a due fattori: l'incertezza dell'esito dei contenziosi attivati nei confronti della normativa (il 16 dicembre 2015 il TAR, ha rinviato gli atti alla Corte Costituzionale per un nuovo giudizio di legittimità del tributo) ed i presunti «comportamenti elusivi degli operatori» –:
   quanto ammonti il gettito relativo all'anno 2015 di ogni categoria di prodotto di cui al Capo III-bis e all'articolo 62-quater del decreto legislativo n. 504 del 1995. (5-07904)


   PESCO, VILLAROSA, ALBERTI, RUOCCO, PISANO, FANTINATI, VALLASCAS, BRUGNEROTTO, D'INCÀ, CARIELLO, DELLA VALLE, CANCELLERI, COLONNESE, DI VITA, D'AMBROSIO, CECCONI, BARONI, MANTERO, GALLINELLA, L'ABBATE, PARENTELA, GAGNARLI, LUPO, TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, DE ROSA, DA VILLA, DAGA, TERZONI, SPESSOTTO, DE LORENZIS, BUSINAROLO, SBERNA, COLLETTI e SIBILIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, le cui disposizioni sono state successivamente trasfuse nella legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), ha disposto la risoluzione di Cassa di risparmio di Ferrara, di Banca delle Marche, di Banca popolare dell'Etruria e del Lazio e di Cassa di risparmio di Chieti, già oggetto di commissariamento da parte della Banca d'Italia;
   le sofferenze delle suddette banche sono state trasferite ad una bad bank al valore di 1,5 miliardi di euro a fronte di un valore nominale di 8,5 miliardi di euro: da quanto si desume tali sofferenze sono state svalutate al 17,6 per cento del relativo valore nominale, anche se in media le valutazioni delle sofferenze del sistema bancario oscillano tra il 40 ed il 50 per cento del relativo valore nominale;
   la Banca d'Italia per il caso di Banca Etruria, tramite i suoi commissari, a fine 2014 valutò i crediti inesigibili al 33,9 per cento del relativo valore nominale, mentre, il 30 settembre 2015, in seguito di nuove stime ha valutato tali crediti al 37 per cento del relativo valore nominale con un beneficio patrimoniale pari a circa 70 milioni;
   altresì, il 17 novembre 2015 si concluse, durante le attività preparatorie della procedura di risoluzione delle suddette banche, la vendita a Fonspa di circa 300 milioni di euro di crediti in sofferenza per un compenso stimato a circa il 34 per cento del relativo valore nominale: le modalità ed i criteri con i quali sia stata effettuata la valutazione provvisoria per il provvedimento di risoluzione non sono quindi ben chiari ed a parere degli interroganti sarebbe opportuno procedere ad una rivalutazione delle sofferenze sulla base di nuovi criteri da rendere pubblici;
   a giudizio degli interroganti il valore della svalutazione delle sofferenze al 17,6 per cento del loro valore nominale è eccessiva ed una valutazione di pochi punti percentuali più alta avrebbe potuto evitare la riduzione totale del valore delle obbligazioni subordinate –:
   quanti e quali siano i diritti reali di garanzia relativi agli 8,5 miliardi di euro di sofferenze, e nel caso delle ipoteche immobiliari, quale sia il dato disaggregato relativo ai beni immobili residenziali ed ai beni immobili commerciali. (5-07905)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 febbraio 2016 il Governo ha adottato il decreto-legge n. 18 del 2016, che interviene, tra l'altro, sulla riforma complessiva del sistema delle banche di credito cooperativo;
   contrariamente a quanto preventivamente annunciato da numerosi esponenti dell'Esecutivo e da quanto previsto nella stessa ipotesi di autoriforma prodotta da Federcasse, il decreto-legge prevede la possibilità per gli istituti aventi patrimonio netto superiore ai 200 milioni di euro di trasformarsi in società per azioni corrispondendo un'imposta pari al 20 per cento delle riserve indivisibili;
   tale previsione può rendere evidentemente conveniente per i soci la trasformazione, rendendo distribuibili agli azionisti ingenti somme precedentemente bloccate in forza di legge, e determina di fatto fin d'ora un'alterazione dei valori delle quote;
   il passaggio a società per azioni comporta inoltre il passaggio dal voto capitano al voto per azioni possedute, e garantisce quindi a chi abbia la maggioranza di tali azioni il controllo di istituti prima retti da regole ed equilibri diversi;
   questo potrebbe indurre fenomeni di rastrellamento delle azioni, in regime peraltro di totale opacità, viste le modalità di passaggio delle stesse in istituti non quotati e avvezzi a regole proprie di una cooperativa –:
   se nei giorni che sono intercorsi fra l'approvazione da parte del Consiglio dei ministri del decreto-legge n. 18 del 2016 e la data odierna si siano registrati movimenti anomali di compravendite di quote in banche di credito cooperativo aventi patrimonio netto superiore ai 200 milioni di euro, con particolare riferimento alla banca di credito cooperativo di Cambiano. (5-07906)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 22 dicembre 2015, è stato effettuato un furto presso il centro postale di via Cristoforo Colombo, n. 1, a Cellamare (Bari) che ha di fatto distrutto il servizio bancomat. Tale atto ha di conseguenza privato i clienti che usufruiscono del bancomat di Poste della possibilità di accedere ai servizi connessi;
   ad oggi ancora non risulta ripristinato il bancomat e quindi il disservizio nei confronti dei cittadini continua;
   nell'ultimo anno si sono verificati in Puglia numerosi furti e scassi dei bancomat di Poste –:
   se il Governo sia in grado di definire quando il servizio bancomat di Poste a Cellammare sarà nuovamente usufruibile dalla cittadinanza;
   quali iniziative urgenti di competenza, il Governo intenda adottare al fine di aumentare la sorveglianza presso gli sportelli bancomat in Puglia. (5-07882)


   D'OTTAVIO, BOSSA e BURTONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   si apprende della proclamazione dello stato di agitazione da parte delle organizzazioni sindacali dei dirigenti scolastici e di una manifestazione prevista a Roma per il 9 marzo 2016;
   le ragioni della protesta sono tutte riconducibili al fatto che il Ministero dell'economia e delle finanze, secondo gli interessati, blocca l'utilizzazione delle risorse messe a disposizione dalla legge 107 del 2015 per la determinazione del fondo per la retribuzione dei dirigenti scolastici;
   tutto questo mentre la legge n. 107 del 2015 ha previsto un notevole aumento delle responsabilità e nuovi gravosi compiti –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per rimuovere le condizioni di blocco ed evitare l'apertura di un nuovo fronte di scontro per nulla utile al buon funzionamento del sistema scolastico nazionale;
   quali iniziative di competenza si intenda assumere per dare attuazione agli impegni assunti, agli accordi e alle leggi per andare incontro alle preoccupate rimostranze dei dirigenti scolastici. (5-07883)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPADONI, CASO, PESCO, BATTELLI, MANLIO DI STEFANO, GRANDE, DI BATTISTA, SCAGLIUSI, SIBILIA e DEL GROSSO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   a fine novembre 2015 si è avuto il vertice fra i 28 leader dell'Unione europea e il premier turco, Ahmet Davutoglu, cui tema principale era stato quello della collaborazione sulla crisi dei migranti in arrivo soprattutto dalla Siria;
   in sintesi, si era deciso che l'Unione europea fornisse 3 miliardi di euro iniziali per sostenere la Turchia nel gestire l'emergenza migratoria poiché ospita oltre 2,2 milioni di rifugiati siriani e ha finora speso 8 miliardi di dollari; dei 3 miliardi, 500 milioni avrebbero dovuto essere stanziati dal bilancio comunitario, e altri 2,5 miliardi dagli Stati membri (per l'Italia si sarebbe trattato di una cifra intorno ai 282 milioni di euro); su questo punto il nostro Governo aveva avanzato però delle riserve;
   successivamente, agli inizi di febbraio 2016, gli Stati membri dell'Unione hanno trovato un ulteriore accordo su tale fondo; infatti, rispetto alla proposta originaria del novembre 2015, è stato deciso di raddoppiare l'aumento del contributo dell'Unione europea: il bilancio comunitario contribuirà per un miliardo e non più per 500 milioni, e gli Stati membri dovranno contribuire solo per due miliardi e non più per due miliardi e mezzo. Cambia così anche il contributo dell'Italia che dovrà mettere circa 225 milioni di euro (e non più circa 282 milioni), il quarto più alto dopo la Germania con 427,5 milioni, la Gran Bretagna con 327,6 milioni e la Francia con 309,2 la Spagna è al quinto posto: verserà 152,8 milioni;
   il Governo italiano ha conseguentemente sciolto le proprie riserve sulla questione e, quindi, ha dato pieno sostegno all'azione di supporto alla Turchia per la gestione dei flussi migratori, non intendendo avanzare azioni di «blocco» di tale contributo; ha tuttavia chiesto chiarimenti circa la possibilità di prelevare l'intero importo necessario dal budget europeo, in modo che quei 3 miliardi possano pienamente essere coperti senza usare contributi degli Stati –:
   di quale elementi disponga, per quanto di competenza, su quale livello di trasparenza, quale controllo diretto e quale livello di accountability dei partner che gestiranno i fondi in loco sarà garantito al fine di evitare che gli stessi vengano gestiti da gruppi o associazioni in violazione dei diritti umani fondamentali;
   quali siano i criteri di assegnazione dei predetti fondi, da chi verranno gestiti, quali partner parteciperanno all'implementazione dei progetti finanziati e alle azioni sul territorio ed, infine, che livello di indirizzo e controllo manterrà l'Italia sulle risorse da essa erogate. (4-12227)


   PESCO, ALBERTI, CASTELLI, DELLA VALLE, CANCELLERI, CRIPPA e VALLASCAS. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dal sito la guida.it si apprende che il 23 febbraio 2016 «il sindaco di Bene Vagienna Corrado Ambrogio e la giunta sono stati convocati d'urgenza nella sede cuneese di Bankitalia in corso Dante, questa mattina. La riunione è in corso dalle ore 11, ma nessuno rilascia dichiarazione in merito al contenuto dell'incontro. Per Bankitalia è presente il responsabile di Torino Luigi Capra. Argomento dell'incontro è il decreto-legge sulle banche di credito cooperative collegato alla fusione di Bene Banca e Bam»;
   dal sito TargatoCN sempre del 23 febbraio 2016 si legge articolo analogo, dal sottotitolo «L'incontro è in corso dalle 11 di stamattina. La questione è quella della Bene Banca e della fusione con la BAM» che riporta: «Vertice in corso presso la sede della Banca d'Italia, filiale di Cuneo, in corso Dante 36, dove è stato convocato il sindaco di Bene Vagienna Claudio Ambrogio in compagnia di alcuni assessori. Suo interlocutore il direttore della Banca d'Italia di Torino, Luigi Capra. Probabile tema dell'incontro la vicenda del commissariamento della Bene Banca e della sua fusione con la Bam, operazione di cui si parla ormai da diverse settimane. Lo scorso 15 febbraio, proprio a Bene Vagienna, la cittadinanza aveva partecipato in modo massiccio ad un consiglio comunale aperto, finalizzato a fare chiarezza sulla complessa vicenda. All'incontro erano presenti i vertici della Bam ma era assente il presidente del consiglio d'amministrazione della Bene Banca, in quanto non ravvisava essere quella la sede più opportuna per «trattare delle strategie di una banca». I soci di Bene Banca, in quella serata, avevano espresso parere negativo sulla fusione e più volte il sindaco Ambrogio aveva ribadito, comunque, di voler affrontare la questione nel modo più disteso possibile. Nel finale aveva concluso: «Capisco le pressioni di Banca d'Italia per la fusione: anche i piccoli comuni continuano a ricevere pressioni per unirsi in unioni di comuni, ma chi lo ha fatto ora è pentito.» Oggi la convocazione in Banca d'Italia. Non è stata al momento rilasciata alcuna dichiarazione sul contenuto dell'incontro, che si sta svolgendo a porte chiuse» –:
   se il Governo, per quanto di competenza, fosse informato dell'incontro;
   di quali elementi disponga nella vicenda, anche in considerazione del commissariamento della citata banca piemontese, usata sostanzialmente, secondo gli interroganti, come «bancomat patrimoniale» per la lontana Banca Popolare di Vicenza, sulle cui vicende vertono svariate interrogazioni tuttora in attesa di risposta. (4-12232)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
II Commissione:


   DANIELE FARINA e NICCHI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8, ha depenalizzato, tra gli altri, il reato di aborto clandestino, sostituendo la multa di 51 euro prevista dall'articolo 19 della legge n. 194 del 1978 con una sanzione amministrativa il cui ammontare va da 5.000 a 10.000 euro;
   non considerare la particolarità del reato di aborto clandestino, inserendolo nel calderone delle depenalizzazioni, rischia di scoraggiare le donne che dovessero avere complicazioni, in particolare le più deboli, precarie e immigrate, a recarsi in ospedale, con gravi rischi per la loro salute, come peraltro sottolineato dalla stessa lettera aperta che in questi giorni ginecologhe/i e ostetriche/i, hanno inviato alla Ministra della salute, Beatrice Lorenzin;
   pensare di scoraggiare il ricorso alle pratiche clandestine con un forte inasprimento delle sanzioni, significa – tra l'altro – non ricordare come fosse grave la situazione dell'aborto clandestino prima della legge n. 194, e come, nonostante la severità delle pene, le donne rischiassero il carcere, oltre che la salute e la loro stessa vita, per interrompere gravidanze non volute –:
   se non ritenga, alla luce di quanto esposto in premessa, di assumere iniziative normative al fine di ridurre considerevolmente la sanzione amministrativa prevista dal decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8, per le donne che abortiscono clandestinamente entro i 90 giorni, con il rischio più che concreto che ciò costituisca un ostacolo al ricorso alle cure ospedaliere con gravi conseguenze sulla salute delle donne, in particolare per quelle economicamente più deboli. (5-07895)


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e SEGONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è in corso il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari fra i quali anche quello di Montelupo Fiorentino, ospitato in una Villa Medicea proprietà del demanio e sul futuro della quale struttura non risultano sussistere atti di programmazione idonei a cedere il complesso villico ad altri enti per mutarne la destinazione da struttura detentiva ad altro tipo di struttura;
   nella nota n. 0036997 del 29 gennaio 2013 a firma dell'allora capo del dipartimento dottor Tamburino recante «Realizzazione circuito regionale ex articolo 115 decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000 n. 230; linee programmatiche» nel piano allegato, si legge che «[...] è prevista la soppressione degli istituti di Grosseto e Empoli: quest'ultimo, però, solo quando sarà disponibile Montelupo Fiorentino»;
   la suddetta nota non risulta novellata da altre disposizioni provenienti dal Ministro della giustizia;
   nella relazione sullo stato di attuazione del programma di edilizia penitenziaria (anno 2013) presentata dal Ministro della giustizia onorevole Orlando, a pagina 10, si legge «Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo Fiorentino: è stato stipulato il contratto per i lavori di recupero della sezione cosiddetta «Ambrogiana» — per 30 posti –, da anni inutilizzata»;
   con determina del direttore generale del 13 dicembre 2013 n. 0426551 sono stati impegnati fondi, ai fini dell'adeguamento al decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000 di un'ala della sezione «Ambrogiana» per un importo di circa 780.00 euro, lavori contrattualizzati nel giugno del 2014 mai eseguiti per risoluzione del contratto nell'aprile del 2015 con probabile pagamento di penale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'ammontare dell'eventuale penale pagata per la risoluzione di un contratto volto ad appaltare lavori che risultano necessari per adempiere alla realizzazione del circuito penitenziario della regione Toscana di cui alla nota e al piano in questione e, in caso positivo, se esista l'intenzione del Ministro interrogato di sancire l'effettiva cessione della Villa Medicea ad altri enti, tale da rendere effettivamente non più necessari tali lavori di adeguamento della struttura dell'Ambrogiana. (5-07896)


   FERRARESI, NUTI, AGOSTINELLI, BONAFEDE, BUSINAROLO, COLLETTI, DI BENEDETTO, DI VITA, LUPO, MANNINO e SARTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   come descritto all'interno di un comunicato stampa del Ministero della giustizia del 2 settembre 2015, il Ministro, tramite proprio decreto, avrebbe disposto l'istituzione, presso il proprio ufficio di gabinetto, di una commissione con l'incarico di elaborare uno schema di riforma della disciplina legale in materia di costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura, tenendo conto anche delle iniziative di «autoriforma» e delle proposte elaborate dallo stesso Consiglio superiore della magistratura;
   di questa commissione, composta da 12 membri, fa parte anche il magistrato dottor Tommaso Virga, già membro del Consiglio superiore della magistratura e già membro della sezione disciplinare di tale organo;
   a seguito dello scandalo che ha investito la sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo e che ha visto come protagonista il magistrato Silvana Saguto e l'amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara, è stato avviato un procedimento disciplinare da parte del Consiglio superiore della magistratura nei confronti del dottor Virga, successivamente trasferito da Palermo alla corte d'appello di Roma;
   in particolare, secondo quanto emerge dalle indagini e dagli articoli di stampa, all'interno del sistema di gestione illegittima dei beni sequestrati e confiscati alla mafia messo in atto dalla dottoressa Saguto, il dottor Virga avrebbe preso parte attiva in quanto avrebbe evitato l'avvio di un procedimento disciplinare a carico della Saguto e avrebbe ottenuto la nomina del proprio figlio per incarichi di amministratore giudiziario;
   inoltre, per i fatti sopra descritti il dottor Virga sarebbe indagato per induzione alla concussione dalla procura di Caltanissetta;
   secondo gli interroganti appare del tutto inopportuno, anche alla luce degli evidenti e documentati rapporti con la dottoressa Saguto, che il magistrato possa continuare a far parte della commissione ministeriale di riforma della disciplina legale in materia di costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura, in quanto ciò rischierebbe di delegittimare sin dall'inizio i risultati che verranno prodotti dalla sopra citata commissione, oltre a costituire un potenziale elemento di conflitto di interesse –:
   se non intenda procedere alla rimozione del magistrato dottor Tommaso Virga dalla commissione ministeriale avente l'incarico di elaborare uno schema di riforma della disciplina legale in materia di costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura.
(5-07897)


   SANTELLI e BERGAMINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel 1988 l'Italia ha ratificato la Convenzione di Strasburgo sul trasferimento delle persone condannate;
   la Convenzione, redatta nel 1983, ha quale scopo principale di favorire il reinserimento sociale delle persone condannate permettendo ad uno straniero, privato della libertà in seguito a reato penale, di scontare la pena nel suo paese d'origine;
   il Trattato, aperto alla firma anche degli Stati non membri del Consiglio d'Europa, ad oggi è stato ratificato da tutti Paesi membri del Consiglio d'Europa tranne Monaco, nonché da Australia, Bahamas, Bolivia, Canada, Cile, Corea, Costa Rica, Ecuador, Giappone, Honduras, Israele, Mauritius, Messico, Panama, Stati-Uniti d'America, Tonga, Trinidad e Tobago, Venezuela;
   la Convenzione stabilisce che il trasferimento del condannato possa essere domandato sia dallo Stato nel quale la condanna è stata pronunciata (Stato di condanna) sia dallo Stato di cittadinanza del condannato (Stato dell'esecuzione), che dal condannato stesso, e che esso sia subordinato al consenso degli Stati interessati oltre che a quello del condannato;
   allo stesso modo la convenzione individua anche la procedura per l'esecuzione della condanna dopo il trasferimento in base alla quale, tra l'altro, una sanzione privativa della libertà non può mai essere convertita in una sanzione pecuniaria;
   le strutture carcerarie italiane sono caratterizzate da sovraffollamento cronico, carenza di organico degli agenti penitenziari e insufficiente presenza di psicologi e operatori per l'assistenza e il recupero sociale dei detenuti;
   la condizione carceraria appare troppo spesso distante dal dettato costituzionale e dagli impegni internazionali dell'Italia sulla funzione rieducativa della pena e sul rispetto dei diritti e delle dignità delle persone;
   lo stesso rapporto esplicativo della Convenzione, redatto sulla base delle discussioni del Comitato di esperti governativi che hanno redatto il Trattato, e sottoposto alla lettura Consiglio dei ministri del Consiglio d'Europa, sottolinea come la finalità dell'Accordo sia quella di «stabilire una procedura semplice, veloce e flessibile» per il trasferimento dei condannati stranieri, tenuto conto del fatto che l'accresciuta mobilità delle persone e la semplificazione delle comunicazioni hanno favorito l'internazionalizzazione del crimine. Il fatto che i condannati scontino la pena nel loro Paese di origine, argomentavano gli esperti già all'inizio degli anni 80, è utile alla loro riabilitazione, che sicuramente non può svolgersi appieno in un Paese di cui non conoscano bene la lingua e di cui non condividano gli usi. Allo stesso modo, le differenze linguistiche rendono difficile anche per gli operatori carcerari la comprensione dei detenuti e, quindi, la prevenzione di fenomeni di delinquenza in carcere e finanche, dobbiamo aggiungere oggi, di radicalizzazione terroristica;
   l'Italia è stata più volte condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) per le condizioni inumane in cui vivono i detenuti nelle proprie carceri, mentre i sindacati degli agenti penitenziari non cessano di sottolineare le difficili condizioni in cui lavorano gli operatori in carcere;
   il trasferimento nel loro Paese di origine dei detenuti stranieri condannati in Italia, come previsto dalla Convenzione di Strasburgo, può contribuire a risolvere la questione del sovraffollamento carcerario e facilitare la prevenzione di fenomeni quali la radicalizzazione, anche terroristica;
   nell'anno 2015 in Italia si è registrato un numero di detenuti di circa 54.000 unità. Tra questi, i detenuti stranieri erano circa 17.500, ovvero circa il 32 per cento dell'intera popolazione carceraria;
   stando ai dati dell'Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione pubblicato dall'associazioni Antigone, il costo per ogni singolo detenuto nelle nostre carceri si attesta sui 150 euro al giorno. Si può dunque stimare in oltre 2,6 milioni di euro il costo giornaliero relativo alla popolazione carceraria straniera detenuta in Italia nel solo 2015;
   le nazionalità straniere maggiormente presenti nelle nostro carceri, con percentuali maggiori o uguali al 10 per cento del totale, secondo i dati del Ministero della giustizia, sono quella marocchina (16 per cento) rumena (15 per cento), albanese (14 per cento) e tunisina (10 per cento);
   Romania e Albania, come sopra riportato, hanno ratificato la Convenzione di Strasburgo e, quindi, il trasferimento dei condannati è già oggi possibile verso questi paesi. Per quanto riguarda gli altri Paesi, questi possono essere invitati a ratificare la stessa Convenzione, ovvero si possono firmare accordi bilaterali con gli stessi finalizzati ad ottenere lo stesso risultato;
   né il Governo né i Ministeri competenti, invece, incentivano l'utilizzo delle procedure previste dalla Convenzione di Strasburgo al fine di diminuire la popolazione carceraria attraverso il trasferimento di detenuti stranieri nei loro paesi d'origine;
   il numero di trasferimenti di detenuti stranieri, infatti, è talmente irrilevante che questi non vengono neppure conteggiati nelle statistiche ufficiali dell'Istat e del Ministero della giustizia –:
   quanti e quali accordi bilaterali per il rimpatrio dei carcerati risultino firmati ad oggi dall'Italia con Paesi non firmatari della Convenzione di cui sopra e, infine, quanti e di quale nazionalità siano i carcerati stranieri rimpatriati nel loro Paese di origine, negli ultimi 5 anni, al fine di scontare una condanna definita ricevuta in Italia, anche nel quadro di una implementazione della Convenzione di Strasburgo del 1983. (5-07898)


   AMODDIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il percorso di riforma degli enti di area vasta in Sicilia sta accusando un preoccupante ritardo che rischia di ripercuotersi molto negativamente sul personale delle ex province;
   la riforma «Del Rio», in considerazione dell'ormai prossima entrata in vigore della riforma della Costituzione, arriverà presto al suo epilogo, determinando la soppressione delle ex province ed il trasferimento di funzioni, risorse e personale agli enti naturalmente destinati a succedere alle stesse: regioni, città metropolitane e comuni;
   il suddetto epilogo avrà un impatto ridotto grazie all'attuazione delle procedure di mobilità, ai sensi dell'articolo 1, commi 423, 424 e 425, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, riservate ai dipendenti in soprannumero degli enti di area vasta ai sensi dei commi 421 e 422 del medesimo articolo, in virtù dei criteri dettati dal decreto 15 settembre 2015;
   diametralmente opposto è il percorso intrapreso dalla regione siciliana che intende articolare il proprio territorio in comuni, città metropolitane e liberi consorzi di comuni (in attuazione di specifica norma del proprio statuto), che, nella sostanza, altro non sono che le vecchie province alle quali vengono confermate le precedenti competenze ed assegnate di nuove senza, tuttavia, indicare sostanziali, adeguate e veritiere fonti di finanziamento. In tale percorso la riduzione di personale degli enti di area vasta è solo una remota eventualità, essendo rimessa agli organi elettivi di secondo livello. Se a ciò si aggiunge che queste peculiari articolazioni territoriali non potranno trovare altro finanziamento se non tra le pieghe di un bilancio regionale notoriamente al collasso, si comprende la gravità della situazione per il personale delle ex province che rischia seriamente di essere collocato al di fuori del mondo del lavoro nel giro di un paio d'anni. Di contro, a detto personale è negato il diritto ad essere ricollocato presso altre amministrazioni dello Stato a causa della mancata inclusione nelle banche dati del portale «mobilita.governativa», derivante non da una propria scelta, ma dalla pervicace volontà della regione siciliana di percorrere strade alternative rispetto alla riforma «Del Rio»;
   tale stato di fatto crea una disparità di trattamento tra i dipendenti delle ex province siciliane e quelli delle ex province del resto d'Italia, alla quale occorre porre rimedio prevedendo l'iscrizione al portale «mobilita.governativa» su base volontaria a prescindere dalla dichiarazione di esubero che le ex province siciliane non hanno attuato;
   tale stato di fatto si ripercuote già oggi su alcuni dipendenti della ex provincia di Siracusa che si trovano distaccati presso il tribunale di Siracusa, ma che non possono godere dei benefici previsti dal decreto del 15 ottobre 2015 proprio a causa del mancato inserimento nei database del portale «mobilita.gov»;
   si tratta di 19 dipendenti che a più riprese sono stati distaccati presso il tribunale di Siracusa e che si sono pienamente integrati andando a colmare le lacune determinate da una parte dal blocco del turnover e, dall'altra, dalla discrasia determinatasi a seguito della chiusura degli uffici giudiziari periferici, tra la dotazione organica del tribunale ed i profili del personale in servizio. È indubbio, infatti, che la formale «corrispondenza numerica» tra la dotazione organica del tribunale di Siracusa ed il personale in servizio non tiene conto delle effettive scoperture in alcuni dei profili chiave per il funzionamento dell'apparato amministrativo di supporto alla funzione giudiziaria;
   quattro dei suddetti dipendenti erano già distaccati presso il tribunale di Siracusa alla data del 20 giugno 2015 e, pertanto, ai sensi del decreto 15 ottobre 2015 avrebbero avuto diritto a essere immessi nei ruoli del Ministero della giustizia. L'articolo 2 del citato decreto, infatti, prevede che «Entro dieci giorni dalla data di pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 acquisiscono il consenso all'immissione nei propri ruoli del personale delle Province che, alla data prevista dall'articolo 4, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2015 [20 giugno 2015], si trovava presso le stesse in posizione di comando o distacco o altri istituti comunque denominati. L'inquadramento del personale che ha fornito il consenso ai sensi del comma 1 è disposto nell'amministrazione dove il medesimo presta servizio a condizione che ci sia capienza nella dotazione organica e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili». Non risulta che le suddette procedure siano state attivate nei confronti del predetto personale, malgrado l'articolo 1 comma 771, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, legge di stabilità 2016, abbia previsto l'acquisizione di ulteriori 1000 unità di personale attingendo dal bacino del personale degli enti di area vasta. Recita il suddetto comma: «Al fine di supportare il processo di digitalizzazione in corso presso gli uffici giudiziari e per dare compiuta attuazione al trasferimento al Ministero della giustizia delle spese obbligatorie per il funzionamento degli uffici giudiziari effettuato ai sensi dell'articolo 1, commi da 526 a 530, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, il Ministero della giustizia acquisisce un contingente massimo di 1.000 unità di personale amministrativo proveniente dagli enti di area vasta, nel biennio 2016 e 2017, da inquadrare nel ruolo dell'amministrazione giudiziaria, attingendo prioritariamente alla graduatoria, in corso di validità, ove sia utilmente collocato il personale di cui al comma 769 del presente articolo, ovvero mediante il portale di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 settembre 2014. Qualora entro novanta giorni dall'avvio del procedimento di acquisizione del personale per mobilità non sia possibile procedere con le modalità di cui al periodo precedente, l'acquisizione del personale proveniente dagli enti di area vasta è effettuata mediante procedure di mobilità volontaria semplificate prescindendo dall'assenso dell'amministrazione di appartenenza»;
   la formulazione del comma farebbe pensare che anche il personale delle ex province siciliane possa partecipare a tale mobilità, ma il successivo comma 772 che recita «Le unità di personale che transitano presso il Ministero della giustizia ai sensi dei commi 768, 769 e 771 sono portate a scomputo del personale soprannumerario adibito alle funzioni non fondamentali degli enti di area vasta» torna a far risaltare la disparità di trattamento tra il personale isolano e quello del resto d'Italia –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tali fatti e quali iniziative di competenza intenda adottare per non pregiudicare i diritti del personale della provincia di Siracusa distaccato presso il tribunale di Siracusa. (5-07899)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ANDREA MAESTRI, BRIGNONE, CIVATI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 5 febbraio 2016, intervenendo alla trasmissione Agorà su Rai3, il Ministro dell'interno ha rilanciato la proposta da lui fatta il giorno prima al Forum sulla sicurezza a Napoli, alla Sala Siani del quotidiano Il Mattino, di abbassare a 16 anni la soglia dell'età, oggi fissata a 18, dalla quale un minore può essere incriminabile per legge. Il Ministro ha aggiunto: «Non dobbiamo avere scrupolo a utilizzare parole come «repressione» e «deterrenza». Anzi cambiamo il linguaggio e più che «deterrenza» diciamo «paura»: i criminali devono avere paura della reazione dello Stato»;
   la dichiarazione del Ministro ha scatenato reazioni a catena tra sostenitori e oppositori, mentre dagli Stati generali sull'esecuzione penale, istituiti presso il Ministero della giustizia, arriva un'analisi lucida e asciutta sul delicatissimo tema dal Tavolo 5, «Minorenni autori di reato», con tre indicazioni finali, tra i quali, quello su cui si dovrebbe basare l'intero lavoro diretto al minore: puntare sulle sue notevoli capacità intellettive per costruire nuovi percorsi in grado di consentire il suo pieno recupero;
   il presidente dell'associazione Antigone, per i diritti e le garanzie nel sistema penale, obiettando aspramente alle dichiarazioni, perché «i ragazzi vanno aiutati, non messi in galera», ha replicato ricordando che il sistema della Giustizia minorile italiana ha un approccio «essenzialmente educativo» che ha portato a una diminuzione della criminalità minorile. Infatti, a fronte di 20.000 minori nel circuito penale, attualmente poco più di 400 sono le presenze di ragazzi nelle carcere minorili. Gli ingressi totali negli istituti di pena minorile, sono passati dai 1.888 del 1988, ai 992 del 2014. La giustizia minorile «deve avere come obiettivo l'interesse del bambino e del ragazzo. Lo dicono il diritto internazionale, quello interno, la convenienza sociale, la pedagogia, ma anche il senso morale di noi adulti, consapevoli del grande valore di una vita umana in evoluzione, recuperabile alla società, educabile ai valori fondamentali della convivenza e della vita. L'emergenza non è quella penale, ma quella sociale»;
   quest'ultima affermazione è confermata anche dagli esperti riuniti intorno al Tavolo 5 degli Stati Generali sull'esecuzione penale, che hanno dedicato ai contesti di criminalità organizzata un paragrafo a parte, che hanno titolato proprio «Trattamento dei minorenni inseriti in contesti di criminalità organizzata». L'aspetto più specifico da sottolineare, nelle zone con forte presenza della criminalità organizzata, molto spesso la delinquenza minorile è riconducibile all'impossibilità, per il minore, di acquisire modelli di confronto diversi da quelli che sono propri del contesto socio-familiare di appartenenza. Il che «spiazza» il nostro sistema di giustizia minorile, che si basa invece sul presupposto di un ruolo positivo della famiglia, ritenuta in grado di fornire la necessaria assistenza psicologica ed affettiva al suo giovane componente che si trova coinvolto in una vicenda giudiziaria o penitenziaria. In questi casi, la commissione del reato e la stessa condanna diventano allora, paradossalmente, l'occasione per una presa in carico del minore da parte del sistema che deve tentare di sottrarlo a questi contesti familiari ad alto rischio. Questa soluzione estrema, condivisibile o meno, rappresenta però il centro del problema. La mancanza di modelli comportamentali corretti da poter seguire;
   il religioso don Aniello Manganiello, già parroco di Scampia e ancora attivo nel quartiere attraverso l'associazione sportiva «ASD Don Guanella», pur conoscendo bene la realtà del territorio e il moltiplicarsi di reati commessi da adolescenti, si dice convinto che la risposta non può essere il carcere minorile ma bisogna reagire investendo di più sull'accompagnamento educativo, «valorizzando le scuole e le associazioni che si impegnano con adolescenti e preadolescenti. Questo si fa già, in parte, ma non è sufficiente»;
   molti dei minori reclusi, spesso immigrati o rom, hanno alle spalle situazioni difficili, di abbandono, di violenza fisica e psicologica, di sfruttamento. Quelli tra loro che, negli istituti italiani hanno la possibilità di intraprendere o terminare gli studi continuano ad essere un numero troppo esiguo, perché manca la presenza costante di educatori, che sarebbero invece indispensabili per il recupero dei ragazzi;
   è necessario un cambiamento radicale del nostro sistema carcerario a cominciare proprio dall'approccio verso la criminalità minorile;
   la Norvegia, dove nell'arco di 20 anni sono riusciti a trasformare una nazione con un alto tasso di criminalità e un sistema carcerario duro, in un paese baluardo della dignità umana, dimostra che quello in Italia non è il sistema giusto per abbattere il crimine. A provarlo sono i numeri: solo il 20 per cento di chi va in carcere torna a delinquere, mentre in Italia la percentuale di recidivi arriva quasi al 70 per cento. Le guardie penitenziarie, sono le figure fondamentali e l'aspetto più positivo dell'intero sistema penitenziario norvegese, grazie alla loro accurata formazione pratica e teorica, in grado di sostenere e aiutare il detenuto nella fase riabilitativa. Il sistema carcerario norvegese non mira a punire, ma a rieducare, e questo è lo stesso principio sancito dalla nostra Costituzione, «Art. 27, comma 3. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato», che però purtroppo non è applicato;
   in Italia, il sovraffollamento, la mancanza di corsi di studi e di formazione lavorativa continuativa che possa permettere di reinserirsi nella società una volta scontata la pena, il tasso di suicidi (153 nell'anno 2013, 61 nel primo semestre 2014), sia tra i detenuti sia tra il personale della polizia penitenziaria, dimostra quanto la situazione sia critica;
   secondo l'interrogante, è inaccettabile che un Ministro della Repubblica abbia espresso pubblicamente un'ipotesi di inasprimento di trattamento verso i minori, alimentando reazioni di intolleranza, anziché promuovere e sollecitare misure alternative alla detenzione. Tutto ciò appare ancor più grave considerando la conoscenza del Ministro su quelle che sono le cronicità del sistema penitenziario italiano, in particolare di quello minorile, e dell'accertamento della Corte europea dei diritti umani per la violazione da parte dell'Italia dell'articolo 3 della Convenzione europea che, sotto la rubrica «proibizione della tortura», pone il divieto di pene e di trattamenti disumani o degradanti a causa del sovraffollamento carcerario;
   si ricorda che, nonostante il riconoscimento nel giugno 2015, da parte del segretario generale del Consiglio d'Europa, delle misure messe in campo dall'Italia e dei progressi fatti, i risultati ottenuti non risolvono in radice una situazione grave, come è rilevabile da alcuni punti di criticità. La condizione di sovraffollamento estremo è di per sé un vulnus ai diritti dei detenuti, poiché, come ha affermato la Corte europea, l'avere a disposizione uno spazio eccessivamente ridotto costituisce trattamento disumano e degradante a prescindere da altri fattori: condizioni igieniche, luce, acqua, accesso a servizi sanitari, e altro –:
   alla luce di quanto emerso dalla relazione del Tavolo 5 degli Stati Generali sull'esecuzione penale, se il Governo voglia fornire chiarimenti circa il rischio reale di abbassare a 16 anni l'età punibile e se, in un contesto di collaborazioni internazionali, non ritenga opportuno e auspicabile avviare iniziative di confronto e scambio con le istituzioni norvegesi, affinché si possano individuare metodi, criteri e modalità replicabili nel nostro sistema penitenziario. (5-07907)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


   PELLEGRINO, ZACCAGNINI e ZARATTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il commissario straordinario, Francesco Paolo Tronca, ha disposto la verifica del patrimonio immobiliare del comune di Roma, nell'ambito di un più vasto controllo teso a pervenire ad un censimento esaustivo degli immobili capitolini;
   i canoni contrattualizzati relativi agli immobili oggetto della verifica del commissario, risultano ampiamente inferiori ai valori minimi di mercato. In molti casi trattasi di importi di poche decine di euro al mese (ad esempio un alloggio a Borgo Pio a 10,29 euro al mese; un alloggio in corso Vittorio Emanuele a 24,41 euro al mese; un alloggio con vista Fori Imperiali 23,36 euro al mese; un alloggio in via del Colosseo 25,64 euro al mese);
   è stata la giunta Marino a pubblicare per prima i dati dei canoni di affitto degli immobili del comune di Roma, fin dalla fine del 2013;
   l'Ater perde 24 milioni di euro l'anno a causa di inquilini non al passo con i pagamenti. Gli irregolari sono oltre il 39 per cento. Il recupero di queste somme servirà all'Ater per investimenti per la manutenzione dei suoi immobili;
   la gestione del patrimonio comunale e pubblico incide inevitabilmente con le politiche della casa, e la gestione della precarietà e dell'emergenza abitativa, particolarmente acuta soprattutto nelle grandi aree urbane. Molti inquilini, anche quelli economicamente più deboli, nonché tante realtà fatte di spazi sociali e associazionismo con importante valore sociale, e che spesso lo fanno in periferie romane degradate, rischiano di essere sfrattati o di vedersi confermato il contratto con insostenibili prezzi di mercato;
   peraltro, la situazione suesposta, a cui si è dato l'appellativo di «affittopoli capitolina», è comune, seppur con le dovute differenze, anche ad altri comuni italiani –:
   se non ritenga urgente – anche alla luce del fatto che le diverse modalità con cui i comuni decideranno di gestire il proprio patrimonio immobiliare incidono inevitabilmente e fortemente anche con l'emergenza e la precarietà abitativa ormai insostenibile nelle grandi aree urbane – avviare fin da subito un tavolo di confronto con l'Anci, i soggetti interessati e le associazioni di tutela degli inquilini, per individuare, per quanto di competenza, modalità e criteri omogenei e condivisi di gestione e procedure trasparenti di assegnazione del patrimonio abitativo dei diversi comuni, prevedendo idonee forme di maggiore tutela per i nuclei familiari più bisognosi, nonché per onlus, associazioni e realtà cittadine che svolgono attività di riconosciuto valore sociale, al fine di evitare eventuali sgomberi o incrementi di canoni insostenibili. (5-07892)


   GRIMOLDI e BORGHESI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere — premesso che:
   l'Autostrada della Valtrompia è un'opera strategica per lo sviluppo economico dell'intero territorio bresciano, poiché garantisce la mobilità su gomma del comparto produttivo che incide sull'economia del distretto industriale di Lumezzane e della Valtrompia;
   la Valle Trompia è una valle operosa dal punto di vista produttivo che viene penalizzata per la mancanza di collegamenti alternativi che consentano una mobilità adeguata alle quotidiane esigenze;
   in risposta a due precedenti interrogazioni la n. 5-01205 e la n. 5-04250 i rappresentanti del Governo hanno sostanzialmente ribadito la volontà del Governo di giungere nei più brevi tempi tecnicamente occorrenti alla realizzazione dell'autostrada della Valle Trompia, a beneficio dei territori che la stessa andrà a servire;
   infatti, cittadini e imprese aspettano da anni la realizzazione della Valtrompia, e soprattutto del primo tratto del progetto Concesio-Sarezzo, quest'ultimo già previsto, approvato e finanziato da tempo, che, tuttavia, non riesce a partire per motivi indipendenti dal territorio;
   con atto di sindacato ispettivo n. 4-09991, cui ancora non è stata data risposta, è stato evidenziato il collegamento tra la realizzazione dell'Autostrada Valtrompia, la realizzazione della Valdastico nord e il rinnovo della concessione autostradale alla società Brescia-Verona-Vicenza-Padova, ultimamente ulteriormente prorogata per ulteriori 18 mesi (dal 30 giugno 2015), in attesa dell'individuazione di una risoluzione delle problematiche legate all'approvazione del progetto proprio della Valdastico nord, che comporterebbe un'ulteriore proroga della concessione di 10 anni per la realizzazione delle opere;
   ultimamente, si è appreso dai media (Altovicentinonline.it del 9 febbraio 2016) che in una riunione tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la regione Veneto e la provincia autonoma di Trento si sarebbe raggiunto un compromesso per sostituire l'infrastruttura della Valdastico nord, con un corridoio di collegamento viario tra la Valle dell'Astico, la Valsugana e la Valle dell'Adige e altri interventi per risolvere le criticità e ottimizzare i collegamenti tra le superstrade Valsugana e Brennero, in provincia di Trento, e Valsugana in Veneto –:
   se la scelta di non realizzare più la Valdastico nord, qualora confermata, possa incidere sulla realizzazione dell'autostrada Valtrompia o se, invece, il Ministro intenda confermare comunque l'intenzione del Governo di realizzare tale infrastruttura prioritaria per il territorio della Vale Trompia, chiarendo quale sia ad oggi lo stato di avanzamento del complesso iter procedurale dell'opera. (5-07893)


   DAGA, MANNINO, BUSTO, DE ROSA, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Codacons (associazione di difesa dei consumatori e dell'ambiente istituita nel 1986), dopo la relazione della Corte dei Conti sull’«Italia degli sprechi», ha rilanciato nei giorni scorsi, attraverso fonti stampa, i preoccupanti dati sulle opere incompiute nel nostro Paese, pubblicati nel mese di ottobre 2015 dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   dagli elenchi dell'anagrafe del «sistema informativo monitoraggio opere incompiute» del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (il sistema di monitoraggio creato dal Governo nel 2011 con il decreto «SalvaItalia», ma divenuto operativo nel 2013), si rileva che in Italia le opere pubbliche incompiute nel 2013 sono state ben 692 e nel 2014 sono aumentate diventando addirittura 868 opere;
   secondo i calcoli elaborati dal Codacons il costo totale di ponti, strade, dighe e infrastrutture di interesse nazionale, iniziate e mai portate a termine, ammonterebbe a ben 4 miliardi di euro (in media 166 euro a famiglia), e per portarle a compimento servirebbero altri 1,4 miliardi di euro;
   il presidente dell'associazione dei consumatori Carlo Rienzi ha pubblicamente dichiarato che «i miliardi finora spesi per tali infrastrutture irrealizzate, avrebbero potuto abbattere la pressione fiscale per tutti i cittadini ed impedire la nascita di tasse come l'Imu o la Tasi, con benefici immensi per la collettività e l'economia nazionale»;
   il fenomeno delle opere incompiute, è un problema che coinvolge trasversalmente tutta l'Italia dal Nord al Sud, accumunando sia regioni moderne come la Lombardia, il Veneto, la Toscana, sia aree meno sviluppate del Mezzogiorno (a dimostrazione che gli sprechi non hanno colore politico o differenze territoriali). In assoluto la regione con il maggior numero di opere incompiute è la Sicilia con 215 cattedrali nel deserto «certificate»; come per altre regioni del Sud, anche la Sicilia ha subito l'influenza negativa di voler avviare opere pubbliche senza un reale criterio, spinta da una corsa esasperata ai fondi dell'Unione europea, che in realtà ha generato nella gran parte dei casi un incremento incontrollato di opere inutili, riavviate e poi abbandonate;
   secondo il Codacons, il «record assoluto dello spreco» spetta senza dubbio, alla Città dello sport di Tor Vergata a Roma, costata finora ai cittadini oltre 607 milioni di euro. Ciò che resta del progetto è lo scheletro della Vela di Calatrava, un vero e proprio «mostro» urbano che danneggia la città e i residenti della zona. L'indagine prende in considerazione non solo grandi appalti, ma anche piccole opere, come ponti mai utilizzati, dighe progettate negli anni ’60 e lasciate in stato di abbandono, strade che non portano in nessun posto, teatri pronti e mai aperti, infrastrutture lasciate a metà, a causa di costi lievitati, o ancora cantieri inaugurati come opere di «interesse nazionale» e mai conclusi. Questi mostruosi fantasmi urbani, oltre ad aver causato spreco scellerato di denaro pubblico, hanno anche danneggiano irrimediabilmente l'ambiente e il paesaggio degradando la qualità di vita della comunità. In una realtà così articolata e complessa tipicamente italiana, le diverse procure sono impegnate in inchieste per tangenti e corruzione, mentre la Corte dei Conti ogni anno lancia l'allarmi sempre più preoccupanti;
   il presidente dei costruttori dell'Anca, Carlo De Albertis, ha pubblicamente dichiarato che la responsabilità non sono da addurre solo alla crisi, ma anche alla burocrazia e alla corruzione e inoltre afferma che «Nella legislazione in materia c’è poca attenzione al progetto, si fanno le gare armassimo ribasso lasciando il campo aperto alle varianti incontrollate, in questi anni abbiamo perso il 25 per cento delle aziende e quelle sopravvissute hanno fatto i conti con le difficoltà di pagamento delle amministrazioni» –:
   se il Governo non intenda, alla luce dell'enorme spreco di denaro pubblico derivante da pianificazione e programmazione inadeguate degli interventi infrastrutturali, promuovere sin da ora una cabina di regia che abbia il compito di valutare, per ogni singola opera incompiuta, la reale esigenza del suo completamento, unita ad un'analisi costi benefici, e, in caso di valutazione positiva, procedure alla predisposizione di un cronoprogramma finalizzato alla sua realizzazione e quantificare il costo complessivo dell'ultimazione di tutte le opere incompiute, assumendo iniziative per sospendere, fino alla chiusura del cronoprogramma, l'avvio di nuovi interventi infrastrutturali che non siano ritenuti davvero indispensabili, che non abbiano adeguate garanzie sul piano progettuale e finanziario e che, altrimenti, rischiano di andarsi ad aggiungere al già lungo elenco di opere incompiute, il cui unico effetto sarebbe quello di consumare altro prezioso suolo. (5-07894)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la popolazione di S. Anna Arresi ha espresso il più totale disappunto, la sua apprensione e sconcerto per la notizia appresa dalla stampa regionale, sull'eventuale decisione di trasformare l'ex scuola alberghiera di Porto Pino in un centro di accoglienza per migranti;
   il Sulcis e soprattutto la comunità Arresina è ospitale e solidale, perché solo chi versa in condizioni di disagio estremo, come i sulcitani, capisce il valore di tali gesti;
   allo stesso tempo è anche la regione e la società in assoluto più depressa d'Europa;
   ne consegue che creare ulteriori tensioni sociali potrebbe sfociare in disordini anche gravi e difficilmente controllabili;
   gli ospiti verrebbero visti come antagonisti e si rischierebbe di innescare una pericolosa guerra tra poveri;
   l'amministrazione comunale e il sindaco Teresa Pintus ha trasmesso una formale e vibrata protesta per questa ipotesi al prefetto di Cagliari;
   il territorio sfruttato e deturpato da servitù militari, industrie fallimentari e speculatrici delle quali l'unica cosa rimasta sono inquinamento e veleni, ha già pagato un duro e carissimo prezzo, che ne ha minato le possibilità di crescita;
   le uniche programmazioni – ha scritto il sindaco – che questa popolazione è disposta ad accettare sono lo sviluppo economico sostenibile e compatibile con il territorio che è il turismo, volano trainante di quest'area;
   l'esperienza pregressa insegna che spesso gli ospiti innescano forme di protesta anche violenta con blocchi delle vie di comunicazione;
   è facile immaginare cosa succederebbe se ciò dovesse avvenire in piena stagione estiva;
   il danno e il malessere che causerebbe al comparto economico che ruota intorno al turismo avrebbero conseguenze dai toni drammatici;
   la stagione turistica attualmente è l'unica forma di economia di quest'area che dà respiro alle famiglie;
   tale fenomeno sarebbe difficilmente controllabile in considerazione della carenza nel territorio di presidi delle forze dell'ordine e di strutture sanitarie idonee per far fronte ad una emergenza di tale portata;
   il timore, secondo l'amministrazione comunale, è che la presenza degli immigrati recherebbe un danno economico disastroso alle centinaia di lavoratori stagionali e alle strutture turistiche e ricettive e sarebbe insopportabile e difficilmente gestibile nelle sue conseguenze, anche sotto il profilo dell'ordine e della sicurezza pubblica;
   il sindaco a nome della comunità ha chiesto di porre in essere ogni utile iniziativa al fine di evitare un ulteriore sacrificio a questo territorio da sempre martoriato e sofferente, che non sarebbe in grado di sopportare le conseguenze drammatiche che deriverebbero dalla presenza di un centro di accoglienza per immigrati –:
   se non ritenga di dover smentire questa ipotesi;
   se non ritenga di dover evitare di utilizzare aree e strutture soggette a sviluppo turistico per la realizzazione di centri di accoglienza per migranti;
   se non ritenga di dover impedire l'utilizzo di strutture formative al fine di realizzare centri di accoglienza. (5-07881)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   LATTUCA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 recita: «Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere»;
   in data 22 febbraio 2016 intorno alle ore 9:00 alcuni appartenenti al Collettivo universitario autonomo (Cua), presso l'aula Jemolo della facoltà di scienze politiche dell'università di Bologna hanno contestato il professor Angelo Panebianco, che doveva tenere la sua lezione a causa di un editoriale pubblicato sul Corriere della Sera, giornale di cui il docente universitario è autorevole editorialista;
   i contestatori sono entrati in aula con in mano uno striscione («Fuori i baroni della guerra dall'università»), riproducendo, attraverso un impianto stereo, rumori di guerra e urlando slogan aggressivi, rivolgendo al docente l'epiteto di «assassino»;
   la protesta si riferiva ad un editoriale pubblicato nei giorni scorsi sul Corriere della Sera in merito alla questione libica e sulla cultura della sicurezza;
   alcuni studenti partecipanti al corso hanno preso le difese del professor Panebianco chiedendo ai manifestanti di abbandonare l'aula e consentire il regolare svolgimento della lezione;
   lo stesso professor Panebianco ha discusso con gli appartenenti al Cua i quali hanno annunciato altre contestazioni per l'inaugurazione dell'anno accademico il 29 febbraio 2016;
   il docente era già stato vittima di proteste simili e il suo ufficio in ateneo era stato imbrattato con scritte in vernice rossa e la porta era stata murata;
   l'università dovrebbe essere il luogo massimo per la libertà di espressione e come stabilito dall'articolo 33, comma 1, della Carta Costituzionale «l'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento»: pertanto simili episodi di intolleranza rischiano pericolosamente di riportare indietro le lancette della storia in anni in cui proprio Bologna e stata teatro di fortissime tensioni eversive –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere, per quanto di competenza, per evitare il ripetersi di simili episodi e per assicurare il pieno ed effettivo diritto di libertà di espressione e di insegnamento al professor Panebianco e a tutti coloro che sono vittime di aggressioni per la semplice manifestazione delle proprie opinioni. (3-02052)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   D'UVA, GRILLO, SIBILIA, LUIGI GALLO, VACCA, DI BENEDETTO, BRESCIA, VIGNAROLI e TOFALO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 febbraio 2016 il quotidiano nazionale « Il Fatto Quotidiano» pubblicava un articolo titolato «Gigli Magici, Carrai, Open e l'affare dei farmaci con la Sapienza»;
   attraverso il citato articolo il quotidiano denunciava una serie di rapporti economici e politici che sarebbero attualmente in essere tra alcuni esponenti direttamente legati al Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e importanti rappresentanti dell'industria farmaceutica italiana e del mondo accademico;
   dalla lettura dallo stesso articolo si apprendeva, in particolare, che «il Giglio Magico entra alla Sapienza di Roma per fare affari coi farmaci»;
   il giornalista, nel caso di specie, riprendeva la definizione di «Giglio Magico» già utilizzata in un altro editoriale pubblicato dal quotidiano nazionale « Il Corriere della Sera» in data 31 luglio 2014, e con la quale veniva indicata la cerchia di collaboratori ed esponenti politici di origini toscane strettamente legati al Presidente del Consiglio;
   l'articolo pubblicato evidenziava la sussistenza di possibili relazioni politico-commerciali, attraverso le azioni poste in essere da «una società in cui si intrecciano persone vicine al premier come Marco Carrai e Alberto Bianchi, esponenti di spicco dell'industria farmaceutica e del mondo accademico»;
   la società in questione risultava essere la KCube S.r.l., «creata il 28 novembre 2014 e protagonista di un accordo per sfruttare commercialmente i brevetti e le ricerche realizzate dall'ateneo romano»;
   tramite l'accesso al sito istituzionale dell'Università di Roma «La Sapienza», è possibile prendere visione dei documenti relativi sia alla KCube S.r.l., sia al contratto di «Accordo di associazione in partecipazione» stipulato dalla società con lo stesso Ateneo;
   con la delibera 220/15, in particolare, si rendeva nota la seduta del 16 giugno 2015, avvenuta alla presenza del consiglio di amministrazione per l'esame e la discussione del contratto di cui sopra, con la contestuale visione della «relazione predisposta dal Settore Spin Off e Start Up dell'Ufficio Valorizzazione e Trasferimento Tecnologico dell'ASUR»;
   così come rilevato dalla delibera «è pervenuta da parte di KCube S.r.l. (di seguito KCube), una proposta volta alla stipula di un Accordo di Associazione in Partecipazione (di seguito AinP) finalizzato ad avviare una iniziativa in ambito di valorizzazione e commercializzazione dei prodotti della ricerca universitaria»;
   «Tale società», continua la delibera, è «costituita con atto notarile del 28.11.14 (allegato quale parte integrante) e con un capitale sociale pari a 90.000,00 euro, ha come oggetto sociale... l'investimento in progetti di ricerca in settori tecnologici con possibile applicazione produttive e nei servizi, con particolare interesse nel settore farmaceutico e delle nuove tecnologie in campo biomedicale attraverso l'assunzione, detenzione e gestione di partecipazioni ed altre interessenze in altre società residenti in Italia...»;
   l'Accordo di associazione in partecipazione, così come disciplinato dall'articolo 2549 e seguenti del codice civile, è una tipologia di contratto con la quale «l'associante attribuisce all'associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto»;
   la delibera conferma sostanzialmente quanto dichiarato dall'articolo di cui in premessa, dal momento che dalla sua lettura è possibile verificare come la «KCube ha interesse ad investire nel settore farmaceutico e nelle nuove tecnologie attraverso la costituzione di start up con finalità di produzione e commercializzazione di prodotti o servizi innovativi...»;
    il consiglio di amministrazione deliberava, infine, l'approvazione del testo dell'accordo di associazione in partecipazione tra «La Sapienza» di Roma e «KCube S.r.l», autorizzando il rettore alla sua sottoscrizione, per un periodo pari a 9 anni, con possibilità di profitto per l'ateneo pari al 7,3 per cento complessivi rispetto agli eventuali guadagni della società;
   di fatto, l'Università La Sapienza di Roma concedeva alla società la visione del parco brevetti, così come sancito dal punto 2.4, dei progetti di intellectual property, nonché delle ricerche finanziate dalla stessa università, la quale si impegnava altresì a mettere a disposizione i propri locali aventi funzione amministrativa per le attività di «KCube», benché in presenza di un corrispettivo comunque forfettario, a fronte di un potenziale guadagno per una percentuale inferiore al 10 per cento;
   come verificabile dall'atto di costituzione della «KCube S.r.l», così come allegato alla delibera n. 220/15 del 16 giugno 2015, la stessa società si costituiva in sede notarile alla presenza dei soci, tra i quali veniva nominato presidente del consiglio di amministrazione Marco Carrai, il quale riceveva, tra l'altro, gli assegni relativi alle quote associative;
   così come riportato da un articolo pubblicato in data 16 gennaio 2016 dal quotidiano consultabile online « Il Fatto Quotidiano», Marco Carrai risulta essere direttamente legato al Presidente del Consiglio Matteo Renzi, il quale «lo ha incoronato zar italiano della cyber security e la nomina diventerà ufficiale nei prossimi giorni, quando la Presidenza del Consiglio avrà sfornato il decreto che farà nascere l'Agenzia per la sicurezza informatica e la inserirà al vertice del nostro sistema dei servizi segreti»;
   così come riportato dall'articolo «Carrai però fa parte del Giglio magico ed è un esperto di sicurezza informatica. Nell'entourage del premier giurano che «gli ha fatto una testa così» sulla guerra al cyber crime e chi segue il settore ricorda bene che nei mesi scorsi lo stesso Carrai, che ha alcune società nel ramo, ha spinto in ogni modo per ottenere un contratto con Telecom Italia»;
   ad avviso degli interroganti tali incarichi risultano non propriamente compatibili con le necessarie condizioni di libera concorrenza del mercato, le quali potrebbero essere compromesse da possibili posizioni di vantaggio che inevitabilmente rischiano di influenzare la necessaria neutralità in capo alla pubblica amministrazione;
   così come rilevabile dalla lettura dell'articolo pubblicato dal quotidiano nazionale « Il Fatto Quotidiano» in data 11 febbraio 2016, già citato in premessa, nel board con Marco Carrai figurano «anche il presidente della fondazione Open Alberto Bianchi; il tributarista vicino al PD Tommaso Di Tanno, ex sindaco di Mps coinvolto nell'indagine; e infine Flavio Maffeis, titolare del 20 per cento delle azioni e vicepresidente della Farbanca, società della Popolare di Vicenza specializzata nei finanziamenti nel settore sanitario»;
   «Maffeis», continua l'articolo, «è anche l’ex presidente della Glaxo s.p.a (società italiana della multinazionale) arrestato nel 1993 per «Farmatangenti», da cui è uscito il 19 maggio 1997 patteggiando la pena per corruzione»;
   tra i soci della società, infine, compare il professore emerito dell'Università «La Sapienza» di Roma Luciano Caglioti, noto docente di chimica organica nonché prorettore dell'Ateneo, risultando allo stesso tempo sia come socio fondatore della «KCube S.r.l.», che professore emerito dell'università firmataria dell'accordo;
   ad avviso degli interroganti, la società «KCube S.r.l.» non presenta le condizioni necessarie a garantire la libera concorrenza in materia di sfruttamento delle risorse previste dal citato accordo, essendo presenti al suo interno soggetti che, almeno potenzialmente, potrebbero beneficiare di posizioni certamente rilevanti in quegli stessi campi d'interesse per cui questo è stato sottoscritto, ovvero presentano profili non del tutto adeguati;
   anche in considerazione dell'esiguo beneficio derivato dall'accordo, pari a meno del 10 per cento dei profitti totali, gli interroganti ritengono utile verificare, data la presenza all'interno della stessa società di esponenti politici di rilievo, nonché di soggetti direttamente legati alla parte associata, le necessarie condizioni di trasparenza e imparzialità in materia di accordi sottoscritti da un soggetto pubblico, benché dotato di autonomia finanziaria, con società private per lo sfruttamento economico delle proprie risorse –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se il Governo intenda avviare verifiche, nei limiti delle sue competenze, in particolare attraverso servizi ispettivi di finanza pubblica ai sensi dell'articolo 60, comma 9 del decreto legislativo n. 165 del 2001, con riferimento ai presupposti di trasparenza e imparzialità dell'accordo stipulato tra l'università La Sapienza di Roma e la «KCube srl» nonché agli effetti finanziari dello stesso, anche in considerazione della presenza all'interno della società di soggetti che, beneficiando di possibili posizioni di supremazia, avrebbero potuto condurre l'Ateneo alla sottoscrizione di accordi in violazione della normativa in materia di libera concorrenza. (5-07885)


   PILI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nell'ottobre 2013, la regione Sardegna ha bandito un concorso per l'assegnazione di borse di studio di merito ai giovani studenti sardi che hanno determinati requisiti per sostenere il diritto allo studio degli studenti universitari capaci e meritevoli per permettere il raggiungimento dei livelli più alti degli studi, favorendo in tal modo la crescita del capitale umano, come si legge nel bando;
   gli assegni sono attribuiti annualmente secondo un punteggio per merito e per l'intera durata del corso di laurea. Possono partecipare:
    a) studenti diplomati nell'anno scolastico 2011/2012 e immatricolati nell'anno accademico 2012/2013 (categoria 1);
    b) studenti iscritti al primo anno di laurea magistrale/specialistica nell'anno accademico 2011/2012 (categoria 2);
    c) studenti iscritti in corso ad anni successivi al primo nell'anno accademico 2011/2012 (categoria 3);
   il bando per l'attribuzione degli assegni di merito risale infatti al 12 settembre 2013;
   il 16 giugno 2014 vengono approvate le graduatorie provvisorie e il 24 del medesimo mese sono estratti i nominativi dei ragazzi sui quali dovrà essere fatta la verifica di veridicità dell'autocertificazione del reddito;
   da quel giorno, l’iter si blocca e agli studenti non arriva più alcuna notizia;
   ormai si è a febbraio 2016 e il bando mette a correre risorse per gli studenti che nell'anno accademico (o scolastico nel caso delle matricole) 2011/2012 abbiano avuto un alto rendimento, e che nel frattempo abbiamo concluso il loro percorso di studi e si sono laureati;
   il fine degli assegni di merito è quello di rendere efficace il diritto allo studio dei capaci e meritevoli e permettere loro di raggiungere i gradi più alti degli studi;
   è chiaro che con ritardi simili viene vanificata la funzione della borsa di studio;
   dall'elenco della graduatoria risultano idonei circa 1500 studenti;
   non si conoscono le motivazioni;
   molti di loro nel luglio 2013 erano già laureati, con il massimo dei voti: 110 e lode;
   tanti di questi hanno scelto di specializzarsi fuori dalla regione Sardegna, senza nessuna borsa di studio ricevuta come doveva essere, dalla regione Sardegna;
   tutti questi ragazzi hanno continuato a studiare facendo mille sacrifici aiutati dalle famiglie e spesso lavorando e studiando per potersi pagare tutte le spese, che in una grande città dove si trova l'università per la specialistica sono notevoli –:
   di quali elementi disponga circa i fatti esposti in premessa e, in particolare, in relazione ai ritardi sopra evidenziati e alla tempistica di erogazione degli assegni, anche in considerazione del fatto che il bando per le borse di studio è finanziato con risorse europee; quali iniziative di competenza intenda assumere per valutare la reale destinazione di tali finanziamenti stanziati per il diritto allo studio ed evitare il rischio che i fondi destinati ai giovani sardi restino di fatto inutilizzati. (5-07888)


   LUIGI GALLO, D'UVA, MARZANA, VACCA, CASO e COZZOLINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con delibera della regione Campania n. 20 del 26 gennaio 2016 sono state apportate modifiche all'organizzazione della rete scolastica e al piano dell'offerta formativa regionale, con effetto dal primo settembre 2016;
   frutto della suddetta riorganizzazione della rete scolastica, e parte integrante della delibera, sono la soppressione dell'Istituto comprensivo «Viviani-Papa Giovanni», approvata con DGC dal comune di Caivano n. 395 del 3 dicembre 2015, e la seguente nuova organizzazione della rete: 1) IC Cilea-Mameli accorpa plesso Viviani Pascarola (materna, primaria e secondaria di 1o grado); 2) IC De Gaspari accorpa il plesso Papa Giovanni (secondaria di 1o grado); 3) IC 3 Parco Verde accorpa il plesso Viviani Parco Verde (secondaria di 1o grado);
   la sede centrale dell'istituto comprensivo «Viviani-Papa Giovanni» è posta nel quartiere «Parco Verde» del comune di Caivano, di circa 5000 residenti, sorto in seguito al terremoto del 1980 e divenuto, in poco tempo, «famigerato» crocevia dello spaccio napoletano, oltreché fortino della criminalità organizzata;
   risulterebbe da numerose fonti giornalistiche che la camorra sia arrivata finanche ad usare l'Istituto comprensivo «Viviani-Papa Giovanni» come nascondiglio per armi da fuoco;
   negli ultimi dieci anni, c’è stata una fluttuazione del personale che è arrivata a toccare punte dell'85 per cento e l'istituto scolastico è stato dotato di strumentazioni tecnologiche e laboratori innovativi, ivi compresi il «laboratorio dei mestieri» e persino una sala multisensoriale per i bambini disabili;
   lo stesso Ministro interrogato, attualmente in carica, ha visitato l'11 gennaio 2016, insieme a Raffaele Cantone, Presidente dell'Autorità Nazionale Anticorruzione, l'Istituto comprensivo «Viviani-Papa Giovanni», ravvisando «tanta passione e tanta umanità»;
   malgrado la Strategia Europa 2020 abbia posto, tra gli obiettivi da raggiungere nel campo dell'istruzione e della formazione, la riduzione al di sotto del 10 per cento della quota di abbandoni scolastici/formativi precoci, nel 2013, con il suo 17 per cento in media (donne a meno del 14 per cento e uomini a più del 20 per cento), l'Italia si colloca al quintultimo posto nell'Unione Europea a 28 Paesi per quanto riguarda i cosiddetti « early leavers from education and training»;
   sempre in base ai dati Istat 2013, l'incidenza maggiore di early leavers from education and training si segnala in Sicilia (25,8 per cento), Sardegna (24,7 per cento), Campania (22,2 per cento) e Puglia (19,9 per cento), regioni in cui, dunque, circa un giovane su quattro non porta a termine un percorso scolastico/formativo successivo alla licenza media;
   come ravvisato nel documento conclusivo del 24 ottobre 2014 della 7a Commissione Cultura, scienza e istruzione della Camera dei Deputati intitolata «Indagine conoscitiva sulle strategie per contrastare la dispersione scolastica», l'abbandono e la dispersione scolastici, che esplodono durante i primi due anni della scuola superiore, affondano le proprie profonde radici «nelle assenze saltuarie che caratterizzano la frequenza scolastica degli alunni del primo ciclo di istruzione, soprattutto in quelle scuole situate nelle zone ad alto rischio di esclusione sociale. Molti studenti che abbandonano la scuola mostrano segnali di pericolo per mesi, se non per anni, a scuola e al di fuori della scuola. Tali ragazzi si trovano ad affrontare sin da piccoli sfide personali, sociali ed emotive che devono essere colte dalla scuola [...] È necessaria la trasformazione della scuola in un centro di riferimento culturale e sociale del territorio: la scuola deve diventare, nelle zone ad alto rischio di esclusione sociale, una potente macchina di attacco alla disgregazione sociale e anche alla conseguente diffusione della criminalità organizzata. Lo Stato anche e soprattutto attraverso la scuola, può e deve interamente e profondamente riappropriarsi dei territori occupati da qualcun altro»;
   in Campania, infatti, come si evince finanche dal sito web dell'assessorato alle politiche sociali della regione Campania, le politiche di lotta alla povertà e all'esclusione sociale sono fortemente necessarie perché è particolarmente acuto il fenomeno delle aree periferiche delle città metropolitane con la concentrazione di famiglie ed individui che versano in situazioni di svantaggio sociale, in particolare nelle periferie dell'hinterland napoletano con condizioni di vulnerabilità dei cittadini, impoverimento, devianza, fragilità sociale in generale;
   in particolare a Napoli, in alcuni quartieri è presente un forte disagio abitativo con la persistenza di vaste aree con un elevato indice di disagio economico e sociale: il trasferimento di famiglie a basso reddito verso i quartieri periferici e l’hinterland, nell'ambito del processo di ricostruzione seguito al terremoto del 1980, ha favorito la concentrazione di gruppi sociali poveri ed ad alto rischio di esclusione sociale in alcune aree della città, e particolarmente nella fascia del Nord-Est, il cui disagio è aggravato «da una forte presenza di criminalità organizzata che condiziona le possibilità di uno sviluppo culturale e sociale»;
   un esempio di evidente disagio giovanile, citato solo perché tra i più recenti, è quello di un gravissimo fatto avvenuto presso l'istituto «Genovesi-Da Vinci» di Salerno, dove, il 15 febbraio 2016, durante una colluttazione, un sedicenne ha accoltellato un coetaneo ferendolo gravemente al collo e all'addome –:
   quali ulteriori iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca rispetto al potenziamento della funzione sociale ed educativa nel territorio svolta dagli istituti scolastici, in particolare nei quartieri ad alto tasso di criminalità organizzata e disagio sociale;
   se intenda assumere iniziative per dotare gli istituti scolastici situati in zone ad alto rischio criminalità di opportuni strumenti per contrastare, come ad esempio prevedendo l'istituzione di task force di professionisti dedicati presso le scuole site in aree deboli, con specifiche capacità per il trattamento del disagio, così come avviene in altri Paesi europei. (5-07909)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   ad oggi, a tutela dei cosiddetti esodati sono state effettuate sette salvaguardie per circa centosettantaduemila persone; le persone in attesa di salvaguardia sono ancora più di 20.000;
   il fondo destinato agli esodati di 11 miliardi e quattrocento milioni di euro doveva essere vincolato, ossia destinato esclusivamente a finanziare gli interventi a tutela degli esodati; tuttavia, a quanto consta all'interrogante, dallo stesso sono stati prelevati svariati milioni per finanziare progetti di altra natura;
   è evidente che non possono essere fatte discriminazioni poiché tutti hanno diritto ad essere tutelati, dunque, è necessario promuovere le dovute iniziative per definire un'ottava salvaguardia per le migliaia di esodati rimasti esclusi dai precedenti provvedimenti in merito;
   l'ingiustizia subita da queste persone può essere sanata solo con il riconoscimento di un diritto negato, ossia il diritto alla pensione con le regole vigenti prima che intervenisse la riforma Fornero. Ciò nonostante, attualmente, non sembra ancora definito un piano specifico dell'esecutivo per procedere ad un'ulteriore salvaguardia; intanto, si ipotizza l'adozione di misure di flessibilità in uscita, asserendo che tale manovra risolverebbe anche il problema degli esodati non ancora salvaguardati. Di contro, a parere dell'interrogante, sebbene un intervento che consenta la flessibilità in uscita va visto favorevolmente per altri fini, tale manovra di certo non può essere ritenuta una soluzione anche per risolvere la situazione degli esodati, poiché molti di loro non ne trarrebbero alcun beneficio –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato sui fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative intenda porre in essere per l'adozione di un’«ottava salvaguardia» per riconoscere il diritto alla pensione alle migliaia di esodati rimasti in attesa di tutele. (5-07884)


   COMINARDI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, CIPRINI e LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Fondo di previdenza del clero secolare e dei ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica, istituito quale fondo unico con la legge 22 dicembre 1973 n. 903, costituisce una forma previdenziale compatibile con l'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti e, con altre forme di previdenza sostitutive, esclusive o esonerative. Il fondo di previdenza sopra richiamato eroga, infatti, la pensione di vecchiaia, la pensione di invalidità e la pensione ai superstiti, per un totale di 13.788 pensioni erogate (dato di consuntivo 2014);
   nonostante il rapporto iscritti/pensionati sia sempre ben superiore all'unità (1,45 nel 2015), la gestione è costantemente in passivo, riportando risultati economici annuali negativi compresi tra i 56 e i 115 milioni di euro nel periodo 2002-2015 ed un disavanzo patrimoniale di oltre 2,2 miliardi di euro nel 2015. La ragione risiede fondamentalmente nello squilibrio tra contributi versati e prestazioni erogate (nel 2015 il rapporto contributi/prestazioni è di 1 a 3). Come riportato dal quotidiano on line repubblica.it, articolo del 17 luglio 2015, dal titolo «Inps, il fondo del clero in rosso perenne: disavanzo patrimoniale a 2,2 miliardi», emerge che se i pensionati del clero vedessero ricalcolati i loro assegni con il metodo contributivo, oltre il 60 per cento delle pensioni subirebbe una decurtazione superiore al 50 per cento e non ci sarebbero soggetti che avrebbero un vantaggio dal ricalcolo; è inoltre rilevato che l'Inps in una nuova «puntata» della sua operazione trasparenza «Inps a porte aperte», chiarisce le regole previste per la composizione e l'effettivo funzionamento dei maggiori fondi speciali gestiti dall'Istituto. Ciò significa che, di fatto, secondo l'interrogante, tutti i partecipanti al fondo ricevono un assegno che supera i contributi;
   il fondo ha anche altre peculiarità: non è stato interessato dalla riforma pensionistica Monti-Fornero; i contributi non sono commisurati ad un'aliquota percentuale della retribuzione o del reddito, ma sono dovuti in misura fissa; il sistema di calcolo delle pensioni non è né retributivo, né contributivo o misto, bensì a prestazioni definite in somma fissa. Ancora l'Inps ricorda che circa il 72 per cento dei quasi 14.000 pensionati del fondo risulta titolare di altre pensioni da gestioni diverse, il cui valore medio è di 1.000 euro lordi mensili. Circa 1.000 pensionati di questo fondo ricevono una seconda pensione di importo superiore ai 2.000 euro lordi;
   gli interroganti evidenziano che, ai sensi degli articoli 6 e 21 della legge n. 903 del 1973, il fondo sarebbe alimentato dal contributo annuo obbligatoriamente dovuto da ogni iscritto, nonché dal contributo dello Stato italiano che, con decreto del 7 ottobre 2014 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, è stato aumentato, a decorrere dal 1o gennaio 2013, da euro 7.693.286,34 a euro 7.924.084,93 –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei dati e degli elementi riportati in premessa e, per quanto di propria competenza, quali iniziative intendano intraprendere al fine di rimediare alle criticità denunciate nella relazione della Corte dei conti in merito alla ormai insostenibile situazione del fondo di previdenza per il Clero secolare e per i ministri del culto delle confessioni diverse dalla cattolica;
   se i Ministri interrogati possano fornire un quadro preciso, quantomeno nelle percentuali, delle pensioni erogate, suddivise per scaglioni (fino a 1.000 euro, da 1.000 euro a 2.000 euro, da 2.000 euro a 5.000 euro, da 5.000 euro a 10.000 euro; da 10.000 euro a 20.000 euro e altro);
   a quanto ammontino le pensioni erogate agli ordinari militari, vale a dire a quegli arcivescovi che per legge vengono equiparati ad un generale di corpo d'armata con il relativo vitalizio accordato ai militari di quel rango. (5-07886)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CIRACÌ. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 62 del decreto-legge n. 1 del 2012, successivamente convertito dalla legge, ha varato norme in materia di prevenzione e repressione delle pratiche scorrette e anticoncorrenziali nel commercio dei prodotti agroalimentari, in particolare a tutela delle piccole imprese del settore rispetto a eventuali condizioni vessatorie imposte da soggetti della grande distribuzione;
   l'Agcm (con provvedimento n. 25797) ha recentemente sanzionato, proprio ai sensi del citato articolo 62, alcuni operatori di grande distribuzione per condizioni vessatorie e scorretta condotta commerciale;
   in numerosi casi analoghi, risulta la imposizione da parte degli operatori di sconti contrattuali ed extracontrattuali di ogni tipo, e perfino l'interruzione del rapporto, ove il fornitore rifiuti di accettare condizioni vessatorie e svantaggiose;
   questi comportamenti (spesso non denunciati dalle piccole imprese, nel timore di perdere rapporti commerciali significativi) risultano largamente diffusi;
   l'Agcm, ai sensi del citato articolo 62, anche al di là delle segnalazioni e denunce dei soggetti interessati, è chiamata anche a una autonoma attività di vigilanza –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere, rispetto a quanto esposto in premessa, anche tramite l'Ispettorato centrale per la tutela della qualità e la repressione delle frodi:
    a) per promuovere una verifica delle condizioni effettivamente praticate nella contrattazione tra fornitori di prodotti agroalimentari e le centrali di acquisto della grande distribuzione;
    b) per verificare se nella contrattazione, siano praticate o inserite condizioni vessatorie (come quelle individuate dall'Agcm nel provvedimento n. 25797, oppure altre);
    c) per garantire alle piccole imprese del settore condizioni di lavoro e concorrenza adeguate, assicurando il pieno rispetto dell'articolo 62 del decreto-legge n. 1 del 2012. (5-07890)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   MIOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da qualche settimana risulta introvabile un farmaco salvavita prodotto dalla azienda Abbott denominato Rytmonorm 325 – capsule rigide a rilascio prolungato;
   il Codacons ha chiesto l'intervento del Ministro ed ha sollecitato l'azienda a fornire chiarimenti;
   una prima risposta pervenuta ha assicurato che nei primi giorni di febbraio 2016 sarebbe tornato nelle farmacie il farmaco citato, invece così non è avvenuto;
   anche il difensore civico di Pistoia ha avviato una richiesta di chiarimenti ottenendo dalla Abbott un impegno a rendere accessibile il farmaco entro il 15 febbraio, ma il farmaco risulta ancora introvabile;
   nel frattempo molti cardiopatici cercano, purtroppo inutilmente, in varie città se esistano scorte e non trovano nemmeno farmaci equivalenti –:
   se sia al corrente del fatto che il farmaco salvavita Rytmonorm 325 prodotto dalla Abbott risulti introvabile;
   se siano note le ragioni di tale disservizio per numerosissimi cardiopatici;
   se siano state assunte, per quanto di competenza, iniziative pressanti nei confronti della Abbott affinché rimuova le ragioni ostative alla distribuzione del farmaco. (4-12220)


   GRIMOLDI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 26 della legge n. 833 del 1978, istitutiva del servizio sanitario nazionale, prevedeva chi a carico delle nascenti unità socio-sanitarie locali ci fosse la riabilitazione sensoriale;
   la riabilitazione sensoriale è rimasta per molti anni solo sulla carta, finché, grazie alle pressioni delle associazioni, nel 1997, con la legge n. 284, non vennero stanziati 5 miliardi delle vecchie lire per la creazione e il potenziamento dei cosiddetti centri di educazione e riabilitazione visiva per ipovedenti;
   all'epoca, nel mondo occidentale, la riabilitazione visiva era ormai un fatto consolidato da circa un ventennio: malgrado l'enunciazione del principio nella sopracitata legge n. 833 del 1978, il nostro Paese si è adeguato tra gli ultimi, infatti a tal proposito furono le associazioni ad organizzare corsi specifici per formare i riabilitatori, sotto lo sguardo diffidente e scettico del mondo accademico;
   gli stanziamenti di cui alla legge n. 284 del 1997, sono stati regolarmente erogati dalle regioni fino al 2013 per un importo complessivo di 80 miliardi di lire in sedici anni, su per giù pari ad attuali 41 milioni di euro. Dal 2013 l'importo è stato ridotto a circa 400 mila euro annui;
   i centri nascevano ed erano dotati di strumentazione all'avanguardia, ma a mancare era una cosa fondamentale: la remunerazione degli addetti ai lavori, gli oculisti, i riabilitatori e il resto del personale. Ecco quindi la nostra opera incompiuta: somme importanti stanziate per il processo riabilitativo ed il materiale relativo sottoutilizzato per mancanza di fondi finalizzati all'attività e alla gestione ordinaria dei centri;
   nei giorni scorsi, il Ministero della salute ha reso pubblica la relazione annuale al Parlamento relativa all'applicazione della legge n. 284 del 1997, un documento che descrive e tutte le attività istituzionali messe in campo, durante l'anno, riconducibili alla gestione della prevenzione dell'ipovisione e della cecità;
   è lo stesso Ministero, nelle conclusioni, a evidenziare la situazione di criticità del sistema, affermando: «Fintanto che le stesse attività di riabilitazione visiva non saranno ricomprese nei LEA, sicuramente la riduzione dei finanziamenti ai Centri, con drastica contrazione dell'erogazione dei fondi negli ultimi anni, sarà un forte elemento di criticità in quanto i Centri di Riabilitazione visiva, come richiesto dalla normativa, programmano tutte le attività sulla base dei finanziamenti che ricevono. Il taglio delle risorse quindi potrà impattare sulle prestazioni erogate e sui servizi offerti ai disabili visivi, in contrasto proprio con quanto richiesto a tutti gli Stati membri dall'OMS e dalla Convenzione ONU sui diritti dei disabili [...]» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione e se non intenda intervenire ponendo rimedio alle criticità evidenziate assumendo iniziative volte a prevedere l'inclusione della riabilitazione visiva all'interno delle tariffe ambulatoriali (cosiddetti Lea, livelli essenziali di assistenza) considerato che ciò eviterebbe a tutte le strutture che oggi agiscono in convenzione con le Asl di dover essere sempre in emergenza per la sopravvivenza. (4-12225)


   ATTAGUILE. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende da notizie di stampa e comunicazioni sindacali la ASL Bari ha disposto il trasferimento della sede degli operatori del 118 dell'ospedale Umberto I di Corato (Bari);
   tale trasferimento si sta verificando, ad avviso dell'interrogante, in contrasto con quanto previsto dal D. L. n. 81 del 2008 in materia di salute, igiene e sicurezza dei dipendenti per la pubblica assistenza;
   la nuova sede individuata dalla ASL è sita nei locali in cui fino a qualche anno fa era collocato l'obitorio;
   a quanto risulta all'interrogante nella struttura non sarebbe stato fatto nessun adeguamento previsto dal decreto legislativo 81/2008 in materia di norme sulla sicurezza e salute del lavoro al fine di poter ospitare la nuova sede del 118;
   i locali risulterebbero essere ai limiti dell'inabitabilità e della fruibilità: non esiste un impianto di riscaldamento-raffreddamento adeguato; l'entrata e l'uscita delle ambulanze avverrebbe attraverso un cancello privo di buona visibilità a discapito della sicurezza –:
   se i Ministri siano a conoscenza della situazione, e se intendano intervenire, per quanto di competenza, al fine di garantire a tutela dei dipendenti e volontari del 118 una sistemazione adeguata in conformità alle disposizioni in materia di sicurezza sul luogo di lavoro che non pregiudichi il loro impegno costante nei confronti della collettività. (4-12230)


   CIRACÌ. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in Italia sono 790.000 i cittadini dipendenti dal gioco d'azzardo, mentre 1 milione e 750 mila sono i giocatori a rischio patologia;
   i soggetti più vulnerabili sono i disoccupati e ragazzi tra i 15 e i 18 anni;
   il cosiddetto «decreto Balduzzi», – decreto n. 158 del 2012 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012) – ha creato l'osservatorio sulle ludopatie, riconoscendo la ludopatia come una patologia che caratterizza i soggetti affetti da sindrome da gioco con vincita in denaro;
   dal 1o gennaio 2017 entreranno nel mercato italiano 250.000 MiniVLT, attivabili con cartamoneta e con erogazione in vincite attraverso ticket;
   le apparecchiature VLT rispetto alle AWP hanno proprietà tecniche molto più pericolose, a giudizio dell'interrogante, in quanto capaci di alimentare la patologia presa in considerazione creando quindi un danno al sistema sanitario nazionale –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere in relazione a quanto esposto in premessa, con particolare riferimento alla diffusione e agli effetti che le apparecchiature VLT hanno sul nostro territorio.
(4-12231)


   RICCIATTI, PALAZZOTTO, KRONBICHLER, COSTANTINO, DURANTI, GREGORI, NICCHI, PANNARALE e PELLEGRINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, meglio noto come «decreto Lorenzin» si è proceduto all'individuazione e definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera;
   tale decreto segue l'esito della conferenza Stato-regioni che ha proceduto ad individuare parametri e standard relativi ai servizi ospedalieri e nello specifico l'accordo tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, le province, i comuni e le comunità montane sul documento concernente «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo» del 16 dicembre 2010;
   per effetto di tale decreto, procede a chiusura dei «punti nascita» che non registrano un numero di parti su anno, pari o superiori al numero di 500; in tale situazione, con un numero di parti pari a 128 nel corso del 2014, si trova il punto nascite dell'ospedale Madonna dell'Alto nel comune di Petralia Sottana che serve l'intero comprensorio madonita in provincia di Palermo;
   da fonti di stampa si apprende che, in presenza di adeguato e moderno apparato tecnico e di una struttura moderna, il principale ostacolo per rientrare nei parametri riguarda il personale. Tale situazione, verificatasi già nei presidi di Corleone e Partinico, è stata risolta accorpando i due presidi e ricorrendo alla turnazione, garantendo così gli standard richiesti nelle more dell'assunzione del personale vincitore di concorso;
   a tal riguardo, è utile sottolineare la particolarità del territorio montano della Madonie, nonché la condizione della viabilità in direzione del punto nascite di Termini Imerese che, con la chiusura di Petralia, diventerebbe la struttura più vicina per numerosi comuni dell'area;
   tale situazione di particolarità comporta tempi di percorrenza vicini ai 90 minuti in condizioni meteorologiche buone o ottimali. Condizioni che, vista altezza e posizionamento geografico dei centri madoniti, sono da considerare situazioni non certo garantibili, soprattutto durante i mesi invernali;
   la particolarità del territorio è, per altro, evidente nella decisione di inserire l'area della Madonie nel percorso della strategia nazionale sulle aree interne. Ad evidenziarne una particolarità che poco si concilia con le scelte di chiusura e trasferimento dei servizi sanitari;
   nel corso del 2014, l'ospedale Madonna dell'Alto ha registrato circa 300 casi di interruzione volontaria della gravidanza e rimane l'unica struttura in grado di svolgere l'attività correlata alla legge n. 194 del 1978. Tanto da diventare struttura essenziale per garantire la reale applicazione della legge citata in una regione con circa l'80 per cento di medici «obiettori». A dimostrazione di ciò va registrato come le degenze relative alle procedure di interruzione volontaria della gravidanza registrate nell'ospedale di Petralia non siano riferibili solo alla popolazione residente nell'area delle Madonie;
   da notizie di stampa si apprende che altre strutture, pur in condizioni di parti su anno simili a quelle registrate a Petralia, otterranno una deroga per continuare ad operare;
   da tempo, nell'area madonita, amministratori locali e popolazione sono impegnati in una strenua difesa dei servizi sanitari, partendo proprio dall'ospedale Madonna dell'Alto;
   in data 8 gennaio 2016 i sindaci dei comuni di Gangi, Bompietro, Geraci Siculo, Alimena, Polizzi Generosa, Petralia Sottana, Petralia Soprana, Blufi Castellana Sicula hanno manifestato al prefetto di Palermo i rischi gravissimi se si dovesse giungere alla chiusura del punto nascite di Petralia;
   la chiusura del punto nascite appare, così come percepita dagli abitanti del comprensorio madonita, come l'ennesimo atto di disinteresse per un territorio che conta circa 27 mila residenti e vive tutte le difficoltà (collegamenti stradali, rischio idrogeologico, fenomeni di spopolamento) a cui un'area montana è esposta; in analoga situazione si trova il punto nascite di Mussomeli, in provincia di Caltanissetta, ospitato dall'ospedale «Longo»;
   la struttura costituisce l'unico punto di riferimento per l'area cosiddetta «Vallone-Alto Platani», composta da numerosi comuni della Sicilia interna a cavallo tra le province di Palermo, Agrigento e Caltanissetta e nello specifico i comuni di Mussomeli, Acquaviva Platani, Sutera, Campofranco, Milena, Bompensieri, Villalba, Vallelunga, Marianopoli, Casteltermini, Cammarata, S. Giovanni Gemini, Roccapalumba, Castronovo, Lercara, Alia, Valledolmo;
   come nel caso dell'ospedale Madonna dell'Alto di Petralia, il centro di Mussomeli serve un'area caratterizzata da notevolissimi disagi derivanti tanto dalle condizioni generali, che dallo stato di dissesto delle arterie provinciali;
   le condizioni, pertanto, appaiono, come nel caso di Petralia, foriere di rischi negli spostamenti per raggiungere i punti nascita alternativi, con lunghi tempi di percorrenza;
   la decisione della regione Marche di eliminare il punto nascite del reparto materno infantile dell'ospedale Bartolomeo Eustachio di San Severino Marche ha mobilitato tutta la popolazione del territorio afferente alla struttura, unita nel protesta contro tale decisione;
   oltre alla preoccupazione espressa alla regione dalle assise comunali, dai primi cittadini e dai presidenti delle unioni montane di San Severino Marche, Camerino e San Ginesio, si è costituito un comitato per la salvaguardia del punto nascite che serve un territorio dell'entroterra in gran parte montano, molto vasto e disagiato per quanto riguarda la viabilità che, soprattutto nel periodo invernale, moltiplica i tempi di percorrenza;
   tale comitato ha dato, e continua a dare, vita a varie manifestazioni di protesta che riempiono le piazze (11 dicembre 2015); il comitato a portato la protesta presso la sede della regione Marche (15 dicembre 2015), in occasione della discussione delle mozioni, cercando di dialogare con il presidente della regione Marche. Inoltre, esso si accingerebbe, a quanto si apprende da notizie diffuse dalla stampa, a firmare un esposto. Tali iniziative sono finalizzate a ottenere una revisione della decisione da parte della regione Marche;
   qualora il punto nascite di San Severino Marche venisse chiuso, l'utenza delle aree, interne e montane, sarebbe costretta a rivolgersi al reparto di ostetricia più vicino, situato a Macerata. In tale ipotesi, una donna si troverebbe ad affrontare, durante il travaglio, lunghi viaggi con il rischio di neve, gelo, incidenti, strade impervie, raddoppiando in più casi i tempi di percorrenza ad oggi previsti per raggiungere l'ospedale di San Severino Marche. Ciò anche in situazioni d'emergenza, dove è fondamentale la vicinanza alla struttura ospedaliera, quali parti improvvisi o distacchi di placenta come verificatosi nella cittadina, in un caso risalente agli inizi di novembre 2015, dove solo un tempestivo cesareo ha salvato la vita ad una mamma e a suo figlio nato prematuramente;
   nel reparto di ostetricia dell'ospedale Bartolomeo Eustachio ci sono un numero di nascite superiori alle 500, ma si è chiesto comunque di applicare il decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70 (cosiddetto «decreto Lorenzin»);
   la regione non ha infatti ritenuto sufficienti, per conservare il servizio, le oltre 515 nascite effettuate sino alla data odierna, motivando la decisione con una questione di sicurezza, non essendo in quel nosocomio presente il reparto di rianimazione neonatale;
   tale valutazione mette in realtà, ad avviso degli interroganti, in risalto proprio il necessario investimento da fare per offrire ai cittadini un adeguato servizio sanitario;
   il comitato «tutti uniti per l'ospedale di Osimo» è composto da padri, padri e nonni che si oppongono alla scelta politica di chiudere i punti nascita senza tenere in debito conto le esigenze delle persone che vivono in territori dove gli spostamenti risultano più difficili;
   l'accordo Stato-regione dichiara che vengano chiusi i reparti sotto i 500 parti;
   Osimo ne conta una media di 650. L'accordo Stato-regione indica la riduzione del ricorso ai cesarei, di cui Osimo è al primo posto nelle Marche, col 29 per cento dei casi, su una, media nazionale del 38 per cento, e tale dato va considerato anche rispetto ad altri ospedali marchigiani, come ad esempio il Salesi, con il 51 per cento. Quindi, di conseguenza, il punto nascita di Osimo è primo anche per parti fisiologici con il 71 per cento dei casi;
   l'accordo Stato-regione impegna le regioni a migliorare, sostenere e proteggere l'allattamento materno alla nascita e nel puerperio, al fine di incrementare i centri delle nascite classificati «amico del bambino», secondo i criteri Unicef e Oms e Osimo è ospedale amico del bambino, con certificazione Unicef e Oms;
   nel punto nascita di Osimo vengono mamme dall'Umbria, dall'Abruzzo, dal Molise proprio in quanto esso è considerato eccellenza Unicef;
   Osimo ha gli stessi parti di strutture come Jesi, Fermo e Senigallia. Al Salesi già ci sono madri appoggiate in altri reparti, in quanto non riescono a soddisfare tutti, quindi è facile immaginare cosa succederebbe se chiudesse il punto nascita di Osimo, visto che il punto nascita più vicino e quello di Jesi a più di un'ora di strada;
   pochi giorni fa una ragazza ha partorito in ambulanza perché non è riuscita a raggiungere l'ospedale;
   la Val Musone conta 100.000 abitanti ed è spontaneo chiedersi quante mamme partoriranno in ambulanza per raggiungere Jesi, e quali conseguenze si potrebbero verificare in presenza di problemi correlati al parto come un'emorragia;
   la decisione della regione Marche di eliminare il reparto di ostetrica e ginecologia dell'ospedale Profili di Fabriano ha mobilitato la cittadinanza alla protesta. Un coordinamento cittadino si è infatti costituito proprio per cercare di impedire che questa decisione diventi operativa e per chiedere alla regione di applicare il decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, cosiddetto «decreto Lorenzin», della cui possibilità di attuazione il Ministro ha rassicurato direttamente il sindaco della città;
   nelle Marche altri punti nascita dell'entroterra saranno chiusi, San Severino Marche ed Osimo, salvaguardando, invece, gran parte dei punti nascita situati lungo la costa;
   Fabriano si trova in una zona montana, dove il clima è spesso avverso. Più volte, durante l'arco dell'anno, il traffico nell'unica strada che collega la città alla costa (e quindi all'ospedale di Jesi dove le donne dovranno andare a partorire, a partire dal 2016) viene interrotto a causa dei frequenti incidenti stradali che bloccano il traffico ogni volta per diverse ore. Le donne del comprensorio fabrianese dovranno intraprendere questo viaggio durante il travaglio, con il rischio di incontrare per strada neve, gelo, o di imbattersi in un incidente stradale;
   vi sono anche le situazioni d'emergenza come i parti improvvisi o i distacchi di placenta, solo per fare alcuni esempi, in cui la vicinanza della struttura ospedaliera è fondamentale;
   il coordinamento si è già mobilitato con tre manifesta ione a cui hanno aderito quasi 1.000 persone ed ha cercato di dialogare con il presidente della regione Marche, Luca Ceriscioli, al quale spetta la decisione, invadendo per giorni la sua bacheca Facebook, senza ottenere risposte affermative;
   la regione Marche ne fa un caso di sicurezza, in quanto manca la rianimazione neonatale sia ad Osimo che a San Severino, mentre a Fabriano è operativa, ma manca quella neonatale, mettendo in realtà in risalto proprio il necessario investimento da fare per offrire ai cittadini un adeguato servizio sanitario;
   va comunque sottolineato che vi sono ambiti territoriali più disagiati, dove, per peculiari caratteristiche di isolamento territoriale o difficoltà di trasferimento dei pazienti alle strutture ostetrico-ginecologiche più vicine, quali per esempio molte zone montane, è indispensabile mantenere punti nascita, seppur con un numero di parti annui inferiore a 500 o in deroga ad alcuni degli standard individuati dal suddetto accordo Stato-regioni –:
   quali siano i motivi per cui non si è inteso concedere alcuna deroga nei confronti dell'ospedale Madonna dell'Alto e dell'ospedale «Longo» di Mussomeli e quali siano i criteri in base ai quali detta deroga sia stata conosciuta invece alle strutture di Bronte e Licata;
   se la chiusura del punto nascite di Petralia non comporti, per quanto esposto, una ulteriore lesione del diritto alla scelta per le donne di cui alla legge n. 194 del 1978 riguardante l'interruzione volontaria della gravidanza;
   se non sia grave e foriero di pericolo costringere partorienti ad un viaggio verso la struttura di Termini Imerese con tempi di percorrenza superiori anche ai 90 minuti e con il rischio di fenomeni meteorologici quali neve, ghiaccio, nebbia soliti nelle aree montane nei periodi invernali;
   se le particolari condizioni dell'area su cui insiste l'ospedale Madonna dell'alto non siano tali da ritenere la struttura indispensabile per garantire i livelli essenziali di assistenza, il diritto alla salute e all'accesso alle cure;
   se il Ministro non ritenga, anche alla luce di quanto esposto in premessa, che le condizioni particolari delle aree interne della Sicilia meritino l'individuazione di un ulteriore parametro per la concessione del nulla osta operativo, oltre al criterio numerico dei parti registrati su base annua;
   se non si ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza, per le ragioni esposte in premessa, al fine di garantire la permanenza di punti nascita, seppur in deroga ad alcun parametri e standard individuati dall'accordo raggiunto in seno alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano del 16 dicembre 2010;
   come si intendano garantire, per quanto di competenza, i livelli essenziali di assistenza e il diritto alla salute, che trova tutela al più elevato rango dell'ordinamento, in considerazione degli oggettivi rischi per la salute delle mamme e dei nascituri causati dalla difficoltà, dovute a viabilità limitata e caratteristiche meteo-territoriali disagiate, di raggiungere il nosocomio designato dalla nuova proposta di organizzazione avanzata dalla regione Marche;
   quanti e quali siano attualmente le strutture ospedaliere che non rispettano i parametri e gli standard suesposti;
   se non si ritenga di assumere iniziative volte a garantire la permanenza di punti nascita seppure al di sotto di 500 parti/anno e in deroga ad alcuni parametri e standard individuati dall'accordo raggiunto in seno alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano del 16 dicembre 2010, qualora ubicati in aree critiche quali quelle dei territori montani o quelle segnate da frammentazione territoriale, o da particolari caratteristiche orografiche, o distanti da altre strutture ostetrico/ginecologiche di livello superiore. (4-12233)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   NUTI e NESCI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come riportato da Il Quotidiano del Sud del 18 febbraio 2016 e ripreso dalla testata online « il vibonese.it» del medesimo giorno, gli ex presidenti della provincia di Vibo Valentia, Gaetano Ottavio Bruni e Francesco De Nisi, entrambi eletti come capilista del partito democratico e già indagati a vario titolo, assieme a 5 funzionari dell'amministrazione provinciale di Vibo Valentia, «con il loro agire avrebbero provocato un danno erariale all'ente che amministravano per un totale di 7,5 milioni di euro, in relazione alla Tangenziale Est di Vibo Valentia»;
   quanto sopra descritto risulta essere solo l'ultimo, in ordine temporale, di una serie di gravi fatti di mala gestione delle cosa pubblica che hanno colpito l'amministrazione provinciale di Vibo Valentia;
   nel maggio 2014, infatti, i mezzi di informazione riportarono la notizia di una truffa di oltre 8 milioni di euro ai danni dello Stato, in particolare dell'INPS, in cui erano coinvolti, tra gli altri, anche funzionari e dirigenti della provincia di Vibo Valentia e i già citati ex presidenti della provincia Ottavio Bruni e Francesco De Nisi;
   nel febbraio 2013 i Militari del nucleo di polizia tributaria di Vibo Valentia e i colleghi della Valutaria di Reggio Calabria hanno notificato cinque avvisi di garanzia ad altrettanti tra dirigenti, dipendenti e all'ex consiglieri provinciale eletto nella lista del PD, Giuseppe Grillone, per i reati di falso ideologico e di concorso in abuso d'ufficio continuato, in quanto l'amministrazione avrebbe elargito con atti falsi alcune decine di migliaia di euro ad una società della famiglia del consigliere Grillone;
   nel novembre 2012 l'ex Presidente della provincia di Vibo Valentia, Francesco De Nisi, alcuni consiglieri del consiglio provinciale e due funzionari dell'amministrazione provinciale, sono stati indagati a vario titolo in relazione ad una elargizione di circa 100 mila euro, non dovuti, a tutti i gruppi consiliari;
   nel novembre del 2012, una funzionaria della provincia di Vibo Valentia assieme ad alcuni suoi parenti, ad una dirigente e a l'ex segretario generale dell'ente sono stati accusati a vario titolo per un ammanco di oltre 1,2 milioni di euro dalle casse provinciali ed hanno chiesto il rito abbreviato nel maggio del 2013;
   già nell'ottobre 2013 la provincia di Vibo Valentia, allora guidata da un commissario straordinario, aveva dichiarato il proprio dissesto finanziario vista l'esposizione debitoria che ammontava ad oltre 20 milioni di euro, e ancora oggi la situazione finanziaria dell'ente è a dir poco disastrosa;
   questa situazione è resa ancor più grave perché collocata in un contesto di forte condizionamento della criminalità organizzata di tipo mafiosa storicamente radicata nel territorio e in grado di indirizzare la macchina amministrativa locale, come testimoniano i numerosi scioglimenti per infiltrazioni mafiose avvenuti negli ultimi anni;
   tra l'altro, con riferimento ai soggetti sopra menzionati, l'ex presidente della provincia Gaetano Ottavio Bruni, nominato sottosegretario alla presidenza della giunta regionale calabrese nel marzo 2008, si dimise pochi mesi dopo, nel luglio successivo, quando gli organi di informazione divulgarono la notizia che sua figlia, Francesca Bruni, era stata scoperta assieme al latitante di ‘ndrangheta Francesco Fortuna durante un blitz della forze di polizia, con il quale intratteneva una relazione sentimentale;
   a prescindere dagli esiti delle indagini e dei processi giudiziari, alcuni dei quali ancora in corso, i fatti sopra descritti a solo titolo esemplificativo, mostrano come molti funzionari dell'amministrazione provinciale di Vibo Valentia, oltre ai rappresentanti eletti negli organi di governo della provincia stessa, abbiano agito a giudizio dell'interrogante, in maniera criminosa, depauperando le risorse pubbliche in favore di interessi privati e illeciti;
   secondo gli interroganti una gestione più accurata e attente delle finanze pubbliche avrebbe potuto evitare il dissesto finanziario e le disastrose conseguenze economiche e sociali che si sono abbattute sulla comunità vibonese –:
   se il Governo intenda porre in essere, a fronte della situazione descritta in premessa, ogni iniziativa di competenza, anche alla luce della disciplina di cui all'articolo 60, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001, al fine di assicurare il buon andamento dell'azione amministrativa;
   quali iniziative intendano assumere o abbiano assunto i Ministri interrogati, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di svolgere una più incisiva funzione di controllo e garanzia del funzionamento della provincia di Vibo Valentia. (4-12234)

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SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BENAMATI, DE MARIA e FABBRI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   presso il C.R. ENEA del Brasimone, la divisione di ingegneria sperimentale del dipartimento fusione e tecnologie per la sicurezza nucleare svolge da oltre 20 anni attività di ricerca e sviluppo nel settore energetico-tecnologico, con particolare riferimento ai sistemi nucleari a fusione (ITER e DEMO) e fissione di quarta generazione;
   tali attività sono perseguite attraverso la gestione ed esercizio di 8 grandi apparecchiature sperimentali a metallo liquido ed altre di piccole dimensioni, oltreché grazie al funzionamento dei laboratori di prove meccaniche, di misure, di manutenzione remotizzata, di chimica dei metalli liquidi e di radiometria ambientale;
   queste infrastrutture consentono al C.R. ENEA del Brasimone di proporsi e trovare finanziamenti principalmente dalla Commissione Europea (EURATOM FPs, H2020), dal Ministero per lo sviluppo economico (RdS), da istituzioni europee (Consorzio ITER, EUROFUSION) e, non da ultimo, da enti di ricerca internazionali (CASHIPS, Cina);
   tra le attività di ricerca e sviluppo finanziate, le più importanti riguardano:
    progetti finalizzati alla progettazione e sviluppo tecnologico per il reattore di ricerca a Fusione Termonucleare ITER, finanziati da F4E, e per il dimostratore a Fusione Termonucleare DEMO. Il C.R. ENEA del Brasimone è impegnato sulla progettazione, sulla validazione e su aspetti di sicurezza dei Breeding Blanket; sullo sviluppo nuovi materiali anche strutturali; sui sistemi per la conversione energetica;
    progetti EURATOM – H2020. Con un rateo di successo superiore all'80 per cento nelle call Europee, la divisione di centro partecipa ai più importanti programmi di ricerca Europei finalizzati allo sviluppo di reattori nucleari di quarta generazione;
    progetti finanziati dal Ministero dello sviluppo economico nell'ambito della ricerca di sistema, che premettono una forte sinergia fra fondi nazionali europei per lo sviluppo di reattori nucleari di quarta generazione, con un forte coinvolgimento dell'industria nazionale nel settore energetico;
    progetti finanziati dalla regione Emilia Romagna per la tracciabilità alimentare e finanziati da Sogin per la caratterizzazione del deposito nazionale;
    progetti finanziati dal Governo cinese tramite l'Accademia Cinese delle Scienze (CASHIPS), per lo sviluppo tecnologico congiunto dei sistemi nucleari di quarta generazione;
   il budget complessivo dei progetti, in cui la divisione del Brasimone è coinvolta, è superiore a 13 milioni di euro, con ricaduta su tutto il territorio nazionale;
   le università ed altri istituti di ricerca italiani traggono benefici dalle attività condotte nel C.R. ENEA del Brasimone, potendosi candidare con successo a finanziamenti su attività di ricerca ad esse collegate;
   il coinvolgimento delle industrie locali, essenzialmente nel settore dei servizi e delle forniture convenzionali, e dell'industria nazionale del settore energetico per le forniture prototipali e sperimentali è consolidato e permette alla divisione di ingegneria sperimentale di avere accesso a nuove commesse di ricerca e sviluppo a partecipazione industriale;
   grazie ad un continuo processo di investimenti in termini di infrastrutture e impianti sperimentali, garantito dai margini derivanti dalle attività istituzionali e commerciali, il centro di ricerca si ritrova nella posizione di possedere elevate competenze tecnico-scientifiche, che lo rendono un polo tecnologico riconosciuto a livello internazionale;
   d'altro canto, negli ultimi anni, il centro soffre per una evidente e sempre più marcata assenza di investimenti in termini di risorse umane, che sta compromettendo in maniera sempre più sensibile lo svolgimento delle attività già finanziate;
   ad oggi il ricorso ad assegni di ricerca, « fellowship» e collaborazioni con le università, è l'unica soluzione in essere per compensare, solo parzialmente, alla mancanza di risorse umane per lo svolgimento delle attività;
   mediante tale supporto è stato possibile sopperire parzialmente all'attuale mancanza di personale scientifico, mentre nulla si è potuto fare per il personale tecnico necessario per la conduzione e implementazione degli apparati sperimentali;
   attualmente, risultano 57 i dipendenti a tempo indeterminato nella divisione ingegneria sperimentale, di cui 6 distaccati presso altre sedi e 3 in aspettativa. Del restante personale del centro (36 dipendenti), solo 26 svolge attività di servizio propedeutiche a quelle di ricerca e sviluppo sopra menzionate;
   per lo svolgimento delle attività in corso, la divisione si avvale di circa dieci ricercatori (Ph.D., post-doc, assegni di ricerca) che, solo temporaneamente, sopperiscono alla mancanza di personale. È evidente, infatti, che questi ricercatori altamente qualificati, vengono molto spesso attratti da enti di ricerca e industrie estere, in quanto, difficilmente trovano sbocchi professionali e la loro permanenza media presso il centro è inferiore ai tre anni;
   questo arreca un duplice danno al sistema. Infatti, discontinuità nel lavoro con continui re-training implicano perdita di efficienza e soldi pubblici utilizzati per la formazione di personale che una volta avviato alla ricerca lascia l'Italia;
   i futuri pensionamenti da oggi al 2018 di circa 20-22 unità (fra personale tecnico ed amministrativo) e considerato il blocco attuale delle assunzioni, la situazione già di per sé critica, porterà alla cessazione di quasi tutte le attività attualmente in corso, compromettendo l'esistenza di un centro di ricerca italiano, riconosciuto a livello internazionale, attivo sul mercato della ricerca e capace di autofinanziarsi;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tutto quanto riportato in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere, anche nel quadro di una più ampia attività di promozione della ricerca tecnologica, per sostenere e potenziare le attività tecnologiche in essere presso il centro del Brasimone e più in generale per rilanciare questa importante realtà di proprietà dell'Enea. (5-07889)


   BASSO, TULLO e CAROCCI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 21 ottobre 2014 l'amministratore delegato di Finmeccanica, Mauro Moretti, in audizione presso la X commissione Attività produttive della Camera dei deputati, confermando la volontà di trasformazione di Finmeccanica da holding finanziaria a « one company» industriale, ridisegnando il perimetro e i campi di azione delle ex aziende del Gruppo, ha ipotizzato eventuali nuove cessioni, con il nuovo piano industriale, al fine di potenziare i prodotti che saranno definiti strategici, in particolare per quanto riguarda il settore militare (aerospazio e difesa);
   durante l'audizione, parlamentari presenti hanno sottolineato elementi di forte criticità nella cessione del settore trasporti di Finmeccanica ed hanno espresso grande preoccupazione per questa scelta anche intravedendo ricadute negative per quanto riguarda SelexEs;
   il Ministro dell'economia e delle finanze, in qualità di azionista di riferimento di Finmeccanica e il Ministro dello sviluppo economico, per le sue competenze in materia di politica industriale, hanno condiviso il piano strategico approvato dal consiglio di amministrazione di Finmeccanica, che prevede la concentrazione del gruppo nel settore dell'Areospazio, difesa e sicurezza, assicurando però la completa tenuta occupazionale di tutti i settori del gruppo;
   SelexEs a Genova conta circa 2000 lavoratori, oggi fortemente preoccupati per il futuro dell'azienda ed in particolare per il suo indebolimento, attraverso cessioni parziali di settori di attività della stessa;
   nonostante le rassicurazioni fornite in sede parlamentare sul piano occupazionale, Finmeccanica sembra oggi aver deciso di cedere il ramo d'azienda relativo al reparto «monetica» che occupa circa 30 dipendenti nella sede di Genova e che fornisce software per gli apparati di bigliettazione;
   stando a quanto comunicato da un responsabile del settore ai lavoratori coinvolti, il reparto «monetica» uscirebbe da Finmeccanica per essere ceduto ad una società di Firenze; operazione che desta legittime preoccupazioni ai lavoratori, in prima battuta, per il rischio occupazionale relativo alla cessione a una piccola azienda e, in secondo luogo, perché ciò rappresenterebbe un pericoloso precedente per il futuro del sito genovese;
   quali iniziative di competenza intendano assumere i Ministri interrogati – nelle loro responsabilità di azionista di riferimento del Gruppo Finmeccanica e di principale autore della programmazione industriale del Paese – per tutelare l'occupazione, le capacità e la forza industriale di Finmeccanica nella sede di Genova come da impegni presi in sede parlamentare. (5-07908)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI, LA RUSSA e RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la multinazionale General Electric ha presentato un piano di ristrutturazione per l'Italia che prevede, tra le altre misure, la chiusura del sito produttivo della ex Alstom Power di Sesto San Giovanni, con la conseguente dichiarazione di esubero di ben 236 lavoratori;
   i sindacati hanno indetto una mobilitazione all'interno della fabbrica che ha portato al blocco della produzione;
   le conseguenze di tale piano di ristrutturazione sarebbero gravissime per i lavoratori e le loro famiglie oltre che per il tessuto produttivo di Milano e dell'intera Lombardia –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di scongiurare la chiusura di un sito che negli anni ha dimostrato grande professionalità e capacità produttive, garantendo i livelli occupazionali in essere. (4-12219)


   MARCO DI MAIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da più parti nel territorio vengono lamentati disservizi nel servizio di consegna postale;
   tali disagi appaiono motivati da una nuova modalità di recapito «a scacchiera» secondo la definizione data da Poste Italiane;
   tale modalità prevede la garanzia della consegna tutti i giorni solo per quotidiani, raccomandate e alcuni settimanali, mentre tutte le altre consegne vengono effettuate a giorni alterni;
   risulta che non siano stati informati del cambio di modalità di erogazione del servizio né i cittadini, né le amministrazioni locali, né le associazioni dei consumatori o le associazioni di categoria, né altri soggetti che usufruiscono di questo importante servizio;
   appare quanto meno inopportuno decidere una modifica di tale portata ad una prestazione di interesse pubblico così rilevante senza un'adeguata informazione ai cittadini, ai clienti, agli utenti, alle imprese, agli enti locali;
   tale servizio risulta di particolare importanza non solo per i centri urbani più grandi, ma anche per le piccole comunità lontane dalle grandi città (dove comunque il servizio risulta ridimensionato) –:
   se il Ministro interrogato fosse a conoscenza delle tempistiche di cambio del servizio di consegna postale;
   se tale modalità, che produce ad avviso dell'interrogante un disservizio, riguardi in maniera omogenea il territorio nazionale o solo alcune zone del Paese, sicuramente l'Emilia-Romagna;
   quali iniziative intenda intraprendere per verificare la possibilità di rivedere questo schema o per lo meno garantire una migliore qualità del servizio di consegna, a tutela della comunità locali e degli interessi di cittadini e imprese. (4-12221)


   RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la salute è un diritto costituzionalmente riconosciuto;
   le cure odontoiatriche hanno subito una flessione negli anni della crisi economica. Secondo l'Istat si è ridotto il numero di trattamenti effettuati: le persone che si sono sottoposte ad un solo tipo di trattamento nell'anno sono il 70,7 per cento (49,3 per cento nel 2005);
   è diminuito, sempre secondo l'Istat, il ricorso ai dentisti che esercitano la libera professione, infatti la percentuale passa dal 34,7 per cento nel 2005 al 32,3 per cento;
   l'Associazione nazionale dentisti italiani ha, in Commissione industria del Senato, chiesto nuove regole che aumentino il livello di trasparenza e professionalità del mercato odontoiatrico gestito dalle società di capitali e norme più severe per combattere l'abusivismo professionale;
   negli ultimi anni si è assistito al proliferare di società che si occupano di servizi odontoiatrici che attraverso il franchising aprono strutture sul territorio e che non presentano, in alcuni casi, dei direttori sanitari iscritti all'Albo degli odontoiatri presso l'Ordine dei medici. Inoltre, il direttore sanitario spesso lavora per diversi centri non garantendo, in tal modo, la sua presenza che dovrebbe essere costante; si è anche verificato che le società deleghino ad addetti al settore commerciale la redazione di piani di trattamento e cura dei pazienti, in modo da massimizzare l'utile ricavabile;
   le catene odontoiatriche hanno la possibilità, al contrario degli studi professionali, di proporre aggressive attività promozionali utilizzando le cosiddette «prestazioni civetta» a tariffe sottocosto, senza la possibilità che l'Ordine professionale possa sanzionarle;
   le società, che si occupano di servizi odontoiatrici in caso di fallimento potrebbero essere, essendo spesso società a responsabilità limitata con capitale sociale di 10.000 euro, insolventi nei confronti sia dei propri assistiti che degli operatori che vi lavorano, poiché il giro di affari di un centro odontoiatrico supera di gran lunga la quota di capitale sociale versata che deve essere usata naturalmente anche a forma di garanzia;
   le società che offrono servizi odontoiatrici non sono obbligate ad avere all'interno dei loro consigli di amministrazione figure iscritte all'Ordine dei medici e degli odontoiatri e per tal motivo spesso perseguono politiche societarie puramente commerciali e orientate alla sola logica del profitto;
   il giornale on line il Fatto Quotidiano, il 24 giugno 2014 riportava la notizia secondo la quale la direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, indagando sulla cosca Molé, avrebbe scoperto che la stessa riciclava denaro di provenienza illecita investendolo, fra le altre attività, anche in una clinica sanitaria odontoiatrica, attraverso la società Terni Uno Srl, affiliata al franchising Vitaldent;
   il 16 febbraio 2016, la Policia nacional spagnola ha arrestato il proprietario del marchio Vitaldent Ernesto Colman, il vice presidente del Gruppo, Bartolomé Conde, ed altre 11 persone con pesanti accuse di reati fiscali e riciclaggio;
   il 17 febbraio il telegiornale satirico Striscia la Notizia ha mandato in onda un servizio sulla chiusura per fallimento di alcuni centri Vitaldent che hanno lasciato senza cure i pazienti che avevano anticipato ingenti somme di denaro;
   sempre in data 16 febbraio si è appreso che al centro dell'indagine sulla sanità lombarda denominata dagli inquirenti « smile» vi è l'attività corruttiva di un'altra importante società che si occupa di servizi odontoiatrici –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quali siano i loro orientamenti, per quanto di competenza;
   se intendano, per quanto di competenza, assumere iniziative per attivare controlli più stringenti nei confronti delle società che si occupano di servizi odontoiatrici;
   quali iniziative, anche di carattere normativo, intendano assumere al fine di migliorare il mercato odontoiatrico dominato dalle società di capitali che sta mettendo in pericolo il sistema professionale che da decenni rappresenta un punto di riferimento per i cittadini italiani.
(4-12222)


   PAGLIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Micron-Mineral di Ravenna è un'azienda del settore del cemento con impianto di produzione e commercializzazione del marchio Grancem con uno stabilimento nella zona portuale;
   l'azienda si è insediata a Ravenna nel 2003 ed è stata rilevata dal gruppo Holcim Italia nel 2008, gruppo che ha altri stabilimenti nel nord Italia e che fa parte della multinazionale leader mondiale nel settore cemento Lafarge-Holcim;
   attualmente il sito di Ravenna occupa 21 dipendenti, numeri già ridimensionati negli ultimi anni a causa della crisi del settore cemento;
   il 15 febbraio 2016, le organizzazioni sindacali del settore delle costruzioni e le rappresentanze sindacali unitarie della Micron-Mineral sono state convocate dalla direzione del gruppo nella sede di Confindustria dove, con una comunicazione completamente inaspettata, è stata annunciata la chiusura dello stabilimento di Ravenna con soppressione di tutti i posti di lavoro, con il sistema tipico delle multinazionali, purtroppo già conosciuto in tanti settori produttivi;
   la proprietà imputa la drastica decisione alla difficile situazione del mercato e al ritardo nella ripresa del settore dei materiali da costruzione, fattori che hanno determinato una situazione ormai non più sostenibile per il centro di macinazione di Ravenna –:
   quali iniziative il Ministero dello sviluppo economico intenda adottare — in rapporto con le istituzioni locali, con la proprietà e con le organizzazioni sindacali — al fine di evitare la chiusura dello stabilimento di Ravenna e salvaguardare l'occupazione, dando anche concretezza a strumenti locali come il «Patto per il Lavoro» approntato dalla regione Emilia Romagna. (4-12226)


   DE GIROLAMO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di un'erosione del fatturato, dovuta ad un crollo dei consumi, nell'aprile 2015, per il gruppo imolese Mercatone Uno si è chiusa la fase del concordato preventivo e si è aperta la fase del commissariamento, previsto dalla «legge Marzano» legge 18 febbraio 2004, n. 39;
   con decreto firmato dal Ministro dello sviluppo economico è stata prevista altresì la nomina dell'organo commissariale composto da tre membri: l'avvocato Stefano Coen, il dottor Ermanno Sgaravato e il professor Vincenzo Tassinari;
   a seguito della chiusura di numerosi punti vendita del gruppo, per porre in essere un'opera di ridimensionamento nell'ambito della procedura concordataria, i tre commissari hanno ottenuto l'approvazione dal Ministero dello sviluppo economico per il piano di rilancio del gruppo precedentemente formulato;
   a parere dell'organo commissariale esistono le condizioni per risollevare definitivamente le sorti del gruppo emiliano e per individuare uno o più investitori capaci di far brillare nuovamente uno dei colossi italiani della distribuzione. Il bando — pubblicato nel mese di giugno 2015 — per la raccolta di manifestazioni di interesse ha confermato la forte attenzione di gruppi italiani e stranieri pronti a rilevare il gruppo Mercatone Uno;
   all'interno di tale programma, rivolto alla prosecuzione dell'esercizio dell'impresa, l'interrogante auspica possa rientrare al più presto anche il punto vendita Mercatone Uno di Mirabella Eclano (Avellino) chiuso nel giugno 2015;
   aperto nel lontano 1997, tale punto vendita è stato sicuramente uno dei più produttivi e floridi dell'intero centro sud; in Irpinia, il punto vendita di Mirabella Eclano ha rappresentato uno stimolo importante per la diffusione della grande distribuzione organizzata, costituendo un perno fondamentale per lo sviluppo economico e commerciale del territorio;
   collocato in un importante crocevia, il punto vendita di Mirabella Eclano è situato a pochi passi dalla via Nazionale delle Puglie, dal tratto autostradale A 16 e dall'asse viario Lioni-Contursi di prossima apertura;
   si ritiene necessario sottolineare il dato allarmante secondo il quale, la chiusura del centro Mercatone Uno di Mirabella Eclano ha avuto ripercussioni molto gravi dal punto di vista economico e sociale, nella cittadina della media valle del Calore;
   attualmente, ci sono trenta dipendenti che si trovano in cassa integrazione e che rimarranno irrimediabilmente senza un'occupazione, se il punto vendita in provincia di Avellino non dovesse rientrare all'interno del piano di rilancio del gruppo; è evidente che si tratta di un'emergenza anche di tipo sociale: trenta famiglie — molte delle quali monoreddito — verseranno in un vero e proprio stato di indigenza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quale sia lo stato dell'arte rispetto alla manifestazione di interesse per l'acquisizione, da parte di investitori, del gruppo Mercatone Uno;
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro affinché, nell'ambito del piano di rilancio esposto in premessa, rientri anche la riapertura del punto vendita di Mirabella Eclano, in provincia di Avellino, garantendo in tal modo il diritto al lavoro ai trenta dipendenti, da molti mesi, in cassa integrazione. (4-12228)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   un articolo de Il Piccolo del 18 febbraio 2016 riferisce delle proteste, giunte allo stesso quotidiano ed al comune di Duino Aurisina (Trieste), da parte dei residenti delle località di Sistiana e di Aurisina in relazione alle difficoltà riscontrate per l'utilizzo della rete a banda larga Adsl;
   l'articolo riporta che «chiedere l'installazione di un nuovo impianto, per potersi collegare rapidamente a internet, nelle due località del Comune di Duino Aurisina sia diventato un incubo. Per privati e imprese il problema è identico, cioè irrisolvibile». Secondo molti residenti dei due centri è clamoroso che, nel 2016, le risposte fornite dalla Tim, ex Telecom, allorquando ci siano richieste per l'apertura di nuovi contratti, sia un netto no giustificato dalla motivazione che «la banda è satura e non permette nuovi collegamenti»;
   nell'articolo, anche il sindaco di Duino, Aurisina Vladimir Kukanja, lamenta le difficoltà in cui si trovano cittadini ed imprese delle due località, manifestando l'impotenza del comune di fronte a tale fenomeno, se non anche che l'unica sua azione possibile è quella di segnalare a Tim il grave disservizio;
   la rete di cavi, quella che permette di utilizzare il collegamento Adsl, sarebbe di proprietà della Tim, e sembra che a Sistiana e ad Aurisina ci si trovi in una sorta di imbuto, in quanto la capienza sarebbe stata utilizzata al limite massimo e per i residenti e le aziende di Aurisina e Sistiana, navigare sarebbe impossibile o quasi;
   Sistiana, in particolare, rappresenta un centro turistico di primaria rilevanza nell'Alto Adriatico, grazie alla frequentatissima baia, alle numerose passeggiate panoramiche tra cui il sentiero Rilke ed alla invidiabile posizione geografica prossima a Duino, al Carso ed alle foci del Timavo. Risulta evidente che l'accesso veloce alla rete internet, oltre a rappresentare un diritto per tutti i cittadini, costituisca un'opportunità di sviluppo e di crescita del territorio e delle sue attività commerciali, in particolar modo nel settore turistico –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative nei limiti delle proprie competenze, affinché il proprietario della rete risolva i problemi tecnici che sono alla base dei disservizi che coinvolgono le località di Sistiana e Aurisina;
   se il Ministro interrogato ritenga di dovere intervenire, per quanto di sua competenza, assumendo iniziative per superare il « digital divide» nelle diverse frazioni del comune Duino Aurisina e garantire servizi efficienti ai residenti, ai turisti, ai liberi professionisti ed alle piccole e medie imprese del territorio. (4-12229)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Sbrollini e altri n. 1-01174, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fabbri.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Carra e altri n. 5-07879, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cuperlo.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza urgente Ricciatti n. 2-01280 del 22 febbraio 2016.