Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 23 febbraio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    le funzioni proprie della famiglia e la sua naturale universalità fanno assumere alla famiglia, nei diversi contesti sociali e culturali, una straordinaria varietà di forme;
    la crisi economica ancora in atto produce effetti funesti che coinvolgono l'intera società, rischiando di stravolgere gli equilibri della comunità e, soprattutto, delle famiglie;
    anche a causa di ciò, negli ultimi dieci anni, la famiglia italiana è cambiata molto. Dalla lettura dei dati Istat, si ravvisa una vera e propria tendenza alla frammentazione. Pur rappresentando la quota maggioritaria, la tipologia familiare «coppia con figli» negli ultimi anni si è ridotta, passando da un'incidenza percentuale sul totale delle famiglie pari a 42,5 per cento (anno 2004), al 37 per cento (anno 2012);
    si rileva la significativa crescita del numero dei monogenitori (circa 2 milioni) pari a + 8 per cento. Si è dunque dinanzi all'insorgenza di una sensibile trasformazione del ciclo di vita individuale che si ripercuote sugli assetti familiari, determinando una ricomposizione dei nuclei;
    come quella assoluta, la povertà relativa risulta stabile e coinvolge, nel 2014, il 10,3 per cento delle famiglie e il 12,9 per cento delle persone residenti, per un totale di 2 milioni 654 mila famiglie e 7 milioni 815 mila persone;
    i livelli di spesa più bassi, tenuto conto anche dell'ampiezza familiare, si osservano per le coppie giovani (con persona di riferimento under 35), che, per la prima volta, hanno una spesa inferiore a quella delle coppie con persona di riferimento di 65 anni e oltre (di circa 100 euro);
   restano le tradizionali differenze territoriali nelle spese medie delle famiglie tra Centro-Nord e Mezzogiorno, con valori massimi osservati in Trentino-Alto Adige (3.073,54 euro) e in Emilia-Romagna (2.883,27 euro) e valori minimi per la Calabria (1.757,82 euro) e la Sicilia (1.778,86 euro). Si tratta di una differenza tra i valori medi che assume un massimo pari a 74,8 per cento;
    si consideri attentamente il fatto che la struttura familiare italiana è caratterizzata da una marcata propensione dei giovani a costituire un nuovo nucleo familiare solo se in grado di poter sostenere i costi per il mantenimento dei figli;
    sono proprio le famiglie dei giovani che hanno intrapreso un percorso autonomo quelle che hanno pagato il prezzo più elevato della crisi e che oggi fronteggiano i livelli di incertezza più elevati. Infatti il rapporto Istat «Natalità e fecondità della popolazione residente» evidenzia che ne 2013 sono stati iscritti in anagrafe, per nascita, 514.308 bambini, quasi 20 mila in meno rispetto al 2012. Il dato conferma che è in atto una nuova fase di riduzione della natalità: oltre 62 mila nascite in meno a partire dai 2008. Conseguentemente, nel 2013, il numero medio di figli per donna scende a 1,39 (rispetto a 1,46 del 2010);
    in tema di famiglia è naturale preoccuparsi soprattutto dei bambini e degli adolescenti in base agli ultimi dati Istat, in Italia vivono in situazione di povertà relativa 1.822.000 minorenni, pari al 17,6 per cento di tutti i bambini e gli adolescenti;
    il 7 per cento dei minorenni vive in condizioni di povertà assoluta, pari a 723.000 persone di minore età; la quota è del 10,9 per cento nel Mezzogiorno, a fronte del 4,7 per cento nel Centro e nel Nord del Paese. Il dato che più di altri aiuta a individuare il fallimento delle politiche sinora adottate è quello relativo al rischio di povertà ed esclusione sociale per i bambini e gli adolescenti che vivono in famiglie con tre o più minorenni: pari al 70 per cento nel Mezzogiorno a fronte del 46,5 per cento a livello nazionale;
    sul punto si rinvia anche all’«Atlante dell'infanzia a rischio» ove si stima che in Italia il 25 per cento dei minori è a rischio povertà: sono circa due milioni e mezzo i bambini e gli adolescenti che, soprattutto nelle regioni del Sud, vivono in condizioni di deprivazione materiale e spesso anche culturale, sociale e relazionale. Sono pari a un milione i bambini che vivono in povertà assoluta;
    un dato recente, drammatico e allarmante, è rappresentato dall'allontanamento dei minorenni dal nucleo familiare d'origine per questioni di indigenza;
    ai convenzionali indicatori della crescita economica, considerando la situazione dei bambini e degli adolescenti, è però necessario affiancare statistiche più direttamente correlate allo sviluppo umano, in termini di istruzione, salute, democrazia, equità sociale, tessuto relazionale. Infatti, le conseguenze di una mancata protezione e promozione del benessere infantile, sono pesantissime e si ripercuotono nelle fasi successive della vita di un bambino. In tal senso, le politiche che poco investono sull'infanzia e sull'adolescenza non tengono nella dovuta considerazione gli effetti sfavorevoli, sull'Italia del presente e soprattutto del futuro, causati da tale mancanza;
    la legge n. 285 del 1997 contiene «Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza», che dovrebbe garantire le condizioni operative per dare attuazione concreta ai principi della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo. La legge n. 285 è importante anche perché avrebbe dovuto aprire un nuovo approccio nelle politiche socio-educative in Italia, superando la tradizionale ottica assistenzialistica e riparatoria nei confronti dei minori, non più visti semplicemente come destinatari degli interventi, ma anche come cittadini promozione dei proprio benessere;
    uno degli aspetti più apprezzabili della legge 285 consisteva nella sua concretezza, dal momento che prevedeva l'istituzione di uno specifico Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza finalizzato alla promozione di servizi e interventi di prevenzione e contrasto del disagio e di miglioramento della qualità della vita;
    la legge si propone di migliorare la vita dei bambini, passando dal riconoscimento dei diritti alla promozione di programmi concreti in ogni comune;
    essa tende a prevenire il disagio e contrastare la povertà anche tramite l'ascolto dei bambini-cittadini che hanno diritto a essere aiutati e valorizzati mediante un cambiamento culturale, cioè un modo nuovo di affrontare i temi del vivere da bambini, riconosce alle periferie un ruolo strategico con la promozione di progettazione partecipata per la costruzione di un sistema di valorizzazione delle buone pratiche, di raccolta di documentazione e di prassi progettuali virtuose;
    la legge individua nella protezione della famiglia la migliore prevenzione per bambini e adolescenti attribuendo diritti di cittadinanza a bambini, famiglie e comunità rendendoli partecipi e protagonisti, in questo ambito dell'attività delle comunità locali e delle istituzioni;
    la normativa vigente attribuisce al Presidente dei Consiglio dei ministri le funzioni di indirizzo e coordinamento in materia di politiche per la famiglia, con la gestione delle relative risorse;
    sono, inoltre, affidate alla Presidenza dei Consiglio dei ministri, presso il dipartimento per le politiche della famiglia, in coordinamento con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, le funzioni di competenza del Governo riguardanti l'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza e quelle concernenti il Centro nazionale di documentazione e di analisi per l'infanzia e l'adolescenza;
    per quanto riguarda le funzioni in tema di minori, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali monitora gli interventi ed i progetti sperimentali finanziati previsti dalla legge n. 285 del 1997 per la «promozione di ritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza» sopra descritta, e ne predispone la relazione azione annuale al Parlamento;
    proprio la legge n. 285 del 1997 ha subìto una lenta e progressiva erosione nella capacità di garantire diritti effettivi, a causa della costante diminuzione dei fondi assegnati;
    il Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza istituito dall'articolo 1 della legge 28 agosto 1997, n. 285, così come specificato dal comma 2 dell'articolo 11 della legge 5 agosto 1978, n. 468, è ripartito tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e una quota pari al 30 per cento delle risorse del Fondo è riservata alle grandi città metropolitane per il finanziamento di interventi da realizzare nei comuni di: Venezia, Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Brindisi, Taranto, Reggio Calabria, Catania, Palermo e Cagliari;
    la ripartizione del Fondo e della quota riservata avviene, per il 50 per cento, sulla base dell'ultima rilevazione della popolazione minorile effettuata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) e per il 50 per cento secondo i seguenti criteri:
     a) carenza di strutture per la prima infanzia secondo le indicazioni del Centro nazionale di documentazione e di analisi per l'infanzia della Presidenza del Consiglio dei ministri;
     b) numero di minori presenti in presidi residenziali socio-assistenziali in base all'ultima rilevazione dell'ISTAT;
     c) percentuale di dispersione scolastica nella scuola dell'obbligo come accertata dal Ministero della pubblica istruzione;
     d) percentuale di famiglie con figli minori che vivono al di sotto della soglia di povertà così come stimata dall'ISTAT;
    originariamente, il Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza era finalizzato alla realizzazione di interventi a livello nazionale, regionale e locale per favorire la promozione dei diritti, la qualità della vita, lo sviluppo, la realizzazione individuale e la socializzazione dell'infanzia e dell'adolescenza. Una quota pari al 30 per cento delle risorse del Fondo era riservata alle 15 città cosiddette «riservatarie». Si prevedeva che l'allora Ministro per la solidarietà sociale convocasse periodicamente, e comunque almeno ogni tre anni, la Conferenza nazionale sull'infanzia e l'adolescenza organizzata con il supporto tecnico e organizzativo del Centro nazionale di documentazione e di analisi per l'infanzia e della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano. A distanza di circa venti anni dall'approvazione della legge occorre prender atto che quel sistema organico di politiche per l'infanzia non è mai andato compiutamente a regime, nonostante l'approccio innovativo e olistico introdotto dalla legge n. 285 del 1997, che ha fatto parzialmente emergere la concessione fra servizi sociali ed educativi, e diritti. Anzi, l'evoluzione normativa e la prassi hanno progressivamente svuotato tale impianto di contenuti e finanziamenti, senza che fosse ripensato un nuovo assetto per le politiche per l'infanzia;
    si avverte a livello nazionale una regia insufficiente, poiché essa non appare in grado di coordinare al meglio e mettere a sistema i vari interventi posti in essere dai singoli dicasteri, sia in merito alle competenze per le politiche per l'infanzia e l'adolescenza, sia in merito a quelle ad esse collegate (come, ad esempio, famiglia e protezione dei gruppi vulnerabili). Occorre dunque ripensare alle politiche per l'infanzia e l'adolescenza con una visione che superi le misure solo emergenziali, legate al disagio conclamato, attuate oggi secondo una visione che è addirittura antecedente alla legge n. 285;
    desta grande preoccupazione il fatto che, a causa della rimozione del vincolo di destinazione dei fondi originariamente previsto dalla legge, le politiche a sostegno dell'infanzia e l'adolescenza siano governate mediante il ricorso inefficiente e inefficace a misure dettate dell'emergenza e caratterizzate dalla residualità dell'intervento sociale;
    la confluenza delle risorse per l'infanzia e per l'adolescenza nel fondo unico e indistinto per le politiche sociali ha causato una discontinuità nei tempi dei finanziamenti o maggiori ritardi nell'accreditamento dei fondi; inoltre le regioni hanno ridotto le risorse destinate a questa fascia di età e, in particolar modo, le risorse destinate alla promozione e alla prevenzione;
    si ricorda che il 19 dicembre 2015 è stato accolto favorevolmente l'ordine del giorno 9/3444-A/132 a firma Bechis, con cui il Governo si è impegnato: «a valutare l'opportunità di presentare una relazione comparata che attesti i risultati dei tondo previsto dalla legge 285/1997 e sugli eventuali miglioramenti conseguiti dal fondo successivamente previsto dalla legge 328 del 2000 e, in assenza di migliorie apprezzabili, a valutare l'opportunità di prevedere per il Fondo di cui in premessa, il rifinanziamento anche della quota da ripartire tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano oltre alla quota già rifinanziata e riservata al finanziamento di interventi da realizzare nei comuni di Venezia, Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Brindisi, Taranto, Reggio Calabria, Catania, Palermo e Cagliari.»,

impegna il Governo:

   a rispettare in tempi rapidi e certi l'impegno assunto con l'approvazione dell'ordine del giorno di cui in premessa;
   fermo restando il rispetto dei vincoli di finanza pubblica ad assumere iniziative per destinare specificamente una quota degli stanziamenti di cui sono dotati il Fondo nazionale per le politiche sociali e il Fondo per le politiche della famiglia al fine di mettere in atto delle azioni finalizzate esclusivamente alla tutela dei bambini e adolescenti, ricalcando, ove possibile, le finalità del fondo previsto dalla legge n. 285 del 1997;
   a individuare un metodo più omogeneo di distribuzione dei fondi, fermo restando il rispetto dei vincoli di finanza pubblica, al fine di non concentrarne la parte maggiore nei 15 comuni riservatari ed intervenire maggiormente anche nelle località più socialmente ed economicamente disagiate, eventualmente reperendo i fondi necessari al raggiungimento dello scopo all'interno degli stanziamenti di cui è dotato il Fondo nazionale per le politiche sociali e il Fondo per le politiche della famiglia;
   ad assumere iniziative al fine di dare maggiore efficacia alla missione contenuta nella legge n. 285 del 1997 e assicurare una migliore tutela e protezione alla componente fondamentale della famiglia, i figli, soprattutto nei casi in cui essi facciano parte di famiglie a rischio di indigenza e assicurare a tutti loro la massima promozione dei diritti e delle opportunità garantite dalla legge.
(1-01176) «Bechis, Artini, Baldassarre, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino, Segoni, Turco».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo, 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha escluso per gli anni 2012 e 2013 la rivalutazione automatica (ai sensi dell'articolo 34 , comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 e con le percentuali previste dall'articolo 69 della legge 23 dicembre 2000, n. 388) di tutte le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS dell'anno rivalutato, ovvero 1443 euro mensili lordi. Tutti i trattamenti pensionistici di importo superiore sono stati esclusi da rivalutazione;
    sul totale di 16.533.152 pensionati, n. 5.242.161 sono stati esclusi da rivalutazione, un pensionato su tre. – come risulta da fonti dell'INPS, al 31 dicembre 2012;
    la Corte costituzionale, con sentenza 30 aprile 2015, n. 70 ha dichiarato: «l'illegittimità costituzionale dell'articolo 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, nella parte in cui prevede che “In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento”»;
    per effetto di tale pronuncia di incostituzionalità, i titolari dei trattamenti pensionistici esclusi hanno riacquistato retroattivamente il diritto alla rivalutazione dei propri trattamenti pensionistici e quindi ad ottenere: a) il pagamento degli arretrati con interessi dalla maturazione al saldo e rivalutazione; b) il ricalcolo della pensione, a valere sugli trattamenti successivi e sulla determinazione degli assegni futuri;
    il Governo è intervenuto con il decreto-legge 21 maggio 2015 n. 65, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2015, n. 109, procedendo a una solo parziale e molto limitata restituzione degli arretrati e ad una ancora più irrisoria ricostruzione dei trattamenti pensionistici, con grave pregiudizio per i pensionati;
    in concreto, gli importi restituiti oscillano tra lo 0 per cento e il 21 per cento di quanto spettante, con un danno pari ad almeno il 79 per cento, (e al 100 per cento per le pensioni superiori ai 2.810 euro mensili lordi);
    in base al provvedimento del Governo gli arretrati liquidati nel cedolino pensione di agosto 2015 hanno oscillato tra i 150 e gli 800 euro (0 euro per i titolari di pensioni superiori a 2.810 euro mensili lordi), con la descrizione, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo ingannevole, «Credito Sentenza Corte Costituzionale n. 70 del 2015»; non conforme all'effettivo calcolo che applica, in realtà, il decreto-legge n. 65 del 2015;
    come espressamente dichiarato dall'INPS (Circolare 25 giugno 2015, n. 125) «Il riconoscimento della perequazione nei termini sopra indicati operi esclusivamente ai fini della determinazione degli importi arretrati relativi agli anni 2012-2013». Gli arretrati, cioè, non si consolidano nell'assegno pensionistico ovvero, in altri termini, non producono effetti sulle pensioni future, se non in minima parte e, ancora una volta, non per tutti. La rivalutazione (già ridotta) riconosciuta per il 2012-2013 è infatti ulteriormente ridotta ai fini del calcolo degli assegni 2014-2016 (articolo 24, comma 25-bis e 25-ter della legge n. 214 del 2011, introdotti dal decreto-legge n. 65 del 2015);
    come rilevato dall'INPS, l'incremento perequativo attribuito per gli anni 2012 e 2013, che costituisce la base di calcolo per poi determinare gli importi mensili delle pensioni a partire dal 2014, viene riconosciuto per gli anni 2014 e 2015 nella misura del 20 per cento e per il 2016 nella misura del 50 per cento dell'incremento perequativo ottenuto nel biennio 2012-2013 (che, a seconda degli scaglioni, ammonta al 40 per cento, al 20 per cento o al 10 per cento, rispettivamente del 2,7 per cento per il 2012 e del 3 per cento per il 2013);
    l'effetto «trascinamento» implica che i titolari di pensioni superiori a 1443 euro mensili lordi percepiranno, vita natural durante, un assegno pensionistico inferiore a quello che sarebbe loro spettato (ad esempio: circa 90 euro mensili in meno per i titolari di pensioni pari a 1.500 euro mensili lordi; circa 160 euro mensili in meno per i titolari di pensioni pari a 3.000 euro mensili lordi; circa 330 euro mensili in meno per i titolari di pensioni pari a 6.000 euro mensili lordi);
    trattandosi di diritti già entrati nel patrimonio dei titolari di assegni di pensione (diritti «quesiti» o «acquisiti») il decreto-legge n. 65 del 2015 è di dubbia legittimità e comunque irrilevante sia per quanto attiene agli importi maturati prima della sua entrata in vigore, sia per quanto riguarda gli arretrati, sia per quanto riguarda la ricostituzione;
    come rileva la Corte costituzionale (paragrafo 10) sono «stati valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con “irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività”» ed è stato disatteso «il nesso inscindibile che lega il dettato degli articoli 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione»;
    il Governo, con il decreto-legge n. 65 del 2015, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, di fatto ha aggirato il disposto della sentenza della Corte costituzionale e tenta di neutralizzare, incidendo retroattivamente su «diritti acquisiti», il diritto dei titolari dei trattamenti pensionistici a vedersi riconosciuta integralmente la rivalutazione per gli anni 2012-2013, anche ai fini della determinazione degli assegni di pensioni successivi, secondo i meccanismi al tempo vigenti;
    il provvedimento del Governo, in un già serio momento di difficoltà dei cittadini e delle famiglie, arreca un grave e permanente pregiudizio a fasce della popolazione particolarmente deboli e «indifese», che non dispongono di strumenti di pressione o di reazione efficaci (ad esempio lo sciopero);
    la grave ingiustizia nei confronti di una così vasta platea di cittadini si è consumata nel silenzio delle istituzioni, dei mezzi di informazione e in larga misura anche dei sindacati;
    l'INPS ha addirittura formalmente comunicato ai patronati di non effettuare conteggi di ricostruzione dei trattamenti pensionistici in base alla sentenza della Corte costituzionale, (messaggio 12 giugno 2015, n. 4017, dal quale si legge, «Pertanto, l'inoltro di eventuali domande di ricostituzione dei trattamenti pensionistici interessati alla sopra citata disposizione normativa, dovranno essere respinte e conseguentemente le stesse non potranno essere considerate utili ai fini del finanziamento dell'attività espletata dagli Istituti di patronato». I patronati si stanno attenendo alle disposizioni avute dall'INPS, non provvedendo a tutelate gli interessi della parte debole, cioè i pensionati, soggetti verso i quali dovrebbero avere specifiche attenzioni e vocazioni),

impegna il Governo

ad assumere, in tempi brevi, un'iniziativa normativa che dia piena ed effettiva attuazione alla sentenza n. 70 del 2015 della Corte costituzionale, prevedendo a favore dei titolari di pensione colpiti dal blocco previsto dall'articolo 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, l'integrale restituzione degli importi maturati per effetto del ripristino della perequazione e la ricostruzione del trattamento pensionistico (ai sensi e nella misura prevista dall'articolo 34 della legge n. 448 del 1998 e articolo 69 della legge n. 388 del 2000 per gli anni 2012 e 2013 e dall'articolo 1, comma 483, della legge n. 147 del 2013 per gli anni 2014-2016), con effetti sugli importi degli assegni pensionistici vita natural durante, inclusa la rivalutazione sull'importo rivalutato per gli anni successivi (per il 2012 e 2013 nelle percentuali e con i parametri previsti dall'articolo 69 della legge n. 388 del 2000; per il triennio 2014-2016 nelle percentuali e con i parametri previsti dall'articolo 1, comma 483, della legge n. 147 del 2013).
(1-01177) «Bergamini, Polverini, Occhiuto, Crimi».


   La Camera,
   premesso che:
    la deliberazione del CIPE del 1o febbraio 2001, n. 3, individua i criteri per la contrattazione del prezzo dei farmaci;
    la legge 16 novembre 2001, n. 405, e successive modificazioni ed integrazioni recante interventi urgenti in materia di spesa sanitaria, all'articolo 7, prevede che i medicinali non coperti da brevetto aventi uguale composizione in principi attivi, nonché forma farmaceutica, via di somministrazione, modalità di rilascio, numero di unità posologiche e dosi unitarie uguali, sono rimborsati al farmacista dal Servizio sanitario nazionale (SSN) fino alla concorrenza del prezzo più basso del corrispondente farmaco generico disponibile;
    secondo quanto disposto dal comma 2 dell'articolo 48 del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, l'Agenzia italiana del farmaco (Aifa), è sottoposta alle funzioni di indirizzo del Ministero della salute e alla vigilanza del Ministero della salute e del Ministero dell'economia e delle finanze;
    l'articolo 5 del decreto-legge n. 159 del 2007, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, e successive modificazioni e integrazioni, ha fissato i tetti di spesa relativi alla spesa farmaceutica territoriale ed ospedaliera, nonché le disposizioni in tema di ripiano in caso di sforamento di questi ultimi;
    il comma 7 dell'articolo 15 del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, dispone che, a decorrere dall'anno 2013, è posta a carico delle aziende farmaceutiche una quota pari al 50 per cento dell'eventuale superamento del tetto di spesa a livello nazionale di cui all'articolo 5, comma 5, del succitato decreto-legge;
   l'intesa in Conferenza Stato-regioni n. 82 del 10 luglio 2014 (patto per la salute 2014-2016) prevede, al comma 2 dell'articolo 23, una serie di iniziative atte ad un miglioramento del governo della spesa farmaceutica ospedaliera e territoriale. Fra le azioni si segnalano l'aggiornamento del prontuario farmaceutico nazionale e la revisione degli accordi negoziali sui farmaci sottoposti ai registri di monitoraggio dell'Agenzia italiana del farmaco dopo un periodo massimo di 36 mesi;
    il comma 585 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, dispone che entro il 31 dicembre 2015 l'AIFA, sulla base delle valutazioni della Commissione consultiva tecnico-scientifica e del Comitato prezzi e rimborso, provveda a una revisione straordinaria del prontuario farmaceutico nazionale sulla base del criterio costo-beneficio ed efficacia terapeutica, prevedendo anche dei prezzi di riferimento per categorie terapeutiche omogenee, mentre con il successivo comma 593 è stato istituito, per l'acquisto di medicinali innovativi, un fondo con dotazione da 500 milioni di euro, alimentato con un contributo statale per 100 milioni di euro per l'anno 2015 e per la quota rimanente, con il contributo del regioni per 400 milioni di euro per l'anno 2015, e 500 milioni di euro per l'anno 2016;
    al punto D, «Farmaceutica territoriale ed ospedaliera», dell'intesa sancita in sede di Conferenza Stato-regioni del 2 luglio 2015, relativa alla manovra sul settore sanitario, si rileva che Governo e regioni hanno condiviso la necessità che le misure di cui ai punti D1 (Introduzione dell'elenco dei prezzi di riferimento relativo al rimborso massimo da parte del Servizio sanitario nazionale di medicinali terapeuticamente assimilabili), D2 (riforma della disciplina di definizione del prezzo dei medicinali biotecnologici dopo la scadenza brevettuale) e D3 (altre misure in materia di farmaceutica) debbano assicurare un risparmio al servizio sanitario nazionale di almeno 500 milioni di euro su basa annua;
    il comma 10 dell'articolo 9-ter, «Razionalizzazione della spesa per beni e servizi, dispositivi medici e farmaci», del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, ha apportato modifiche all'articolo 11 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, come modificato dall'articolo 1, comma 585, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, sostituendo la vecchia rubrica con la seguente: «Disposizioni dirette a favorire l'impiego razionale ed economicamente compatibile dei medicinali da parte del servizio sanitario nazionale» e disponendo che «entro il 30 settembre 2015, l'Aifa concluda le procedure di rinegoziazione con le aziende farmaceutiche volte alla riduzione del prezzo di rimborso dei medicinali a carico del servizio sanitario nazionale, nell'ambito di raggruppamenti di medicinali terapeuticamente assimilabili, individuati sulla base dei dati relativi al 2014 dell'Osservatorio nazionale sull'impiego dei medicinali Osmed-Aifa, separando i medicinali a brevetto scaduto da quelli ancora soggetti a tutela brevettuale, autorizzati con indicazioni comprese nella medesima area terapeutica, aventi il medesimo regime di rimborsabilità nonché il medesimo regime di fornitura. L'azienda farmaceutica, tramite l'accordo negoziale con l'Aifa, potrà ripartire, tra i propri medicinali inseriti nei raggruppamenti terapeuticamente assimilabili, la riduzione di spesa a carico del servizio sanitario nazionale attesa, attraverso l'applicazione selettiva di riduzioni del prezzo di rimborso; il risparmio atteso in favore del servizio sanitario nazionale attraverso la rinegoziazione con l'azienda farmaceutica è dato dalla sommatoria del valore differenziale tra il prezzo a carico del servizio sanitario nazionale di ciascun medicinale di cui l'azienda è titolare inserito nei raggruppamenti terapeuticamente assimilabili e il prezzo più basso tra tutte le confezioni autorizzate e commercializzate che consentono la medesima intensità di trattamento a parità di dosi definite giornaliere (DDD) moltiplicato per i corrispondenti consumi registrati nell'anno 2014. In caso di mancato accordo, totale o parziale, l'Aifa propone la restituzione alle regioni del risparmio atteso dall'azienda farmaceutica, da effettuare con le modalità di versamento già consentite ai sensi dell'articolo 1, comma 796, lettera g), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, fino a concorrenza dell'ammontare della riduzione attesa dall'azienda stessa, ovvero la riclassificazione dei medicinali terapeuticamente assimilabili di cui l'azienda è titolare con l'attribuzione della fascia C di cui all'articolo 8, comma 10, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, fino a concorrenza dell'ammontare della riduzione attesa dall'azienda stessa, 1-bis. In sede di periodico aggiornamento del prontuario farmaceutico nazionale, i medicinali equivalenti ai sensi di legge non possono essere classificati come farmaci a carico del servizio sanitario nazionale con decorrenza anteriore alla data di scadenza del brevetto o del certificato di protezione complementare, pubblicata dal Ministero dello sviluppo economico ai sensi delle vigenti disposizioni di legge»;
    il successivo comma 11 dell'articolo 9-ter del decreto-legge sopra citato, interviene sull'articolo 48 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e successive modificazioni, disponendo che «alla scadenza del brevetto sul principio attivo di un medicinale biotecnologico e in assenza dell'avvio di una concomitante procedura di contrattazione del prezzo relativa ad un medicinale biosimilare o terapeuticamente assimilabile, l'Agenzia avvia una nuova procedura di contrattazione del prezzo, ai sensi del comma 33, con il titolare dell'autorizzazione in commercio del medesimo medicinale biotecnologico al fine di ridurre il prezzo di rimborso da parte del Servizio sanitario nazionale. 33-ter. Al fine di ridurre il prezzo di rimborso da parte del Servizio sanitario nazionale dei medicinali soggetti a rimborsabilità condizionata nell'ambito dei registri di monitoraggio presso l'Agenzia, i cui benefici rilevati, decorsi due anni dal rilascio dell'autorizzazione all'immissione in commercio, siano risultati inferiori rispetto a quelli individuati nell'ambito dell'accordo negoziale, l'Agenzia medesima avvia una nuova procedura di contrattazione con il titolare dell'autorizzazione in commercio ai sensi del comma 33»;
    la Determina dell'Aifa 6 ottobre 2015 n. 1.267/2015 reca disposizione in materia di rinegoziazione del prezzo di rimborso dei medicinali per uso umano a carico del Servizio sanitario nazionale, nell'ambito di raggruppamenti di medicinali terapeuticamente assimilabili cui è seguita la determina di aggiornamento del 23 dicembre 2015. È da sottolineare che l'attività di rinegoziazione dell'Aifa non prende in considerazione tutte le categorie terapeutiche di farmaci presenti nel prontuario farmaceutico nazionale;
    la determina dell'Aifa 25 settembre 2015 n. 1.252/2015 interviene, invece, in materia di Rinegoziazione del prezzo di rimborso dei medicinali biotecnologici;
    nella risposta all'interpellanza urgente n. 2-01118 il sottosegretario De Filippo ha dichiarato che il risparmio stimato per il Servizio sanitario nazionale da qui alla fine del 2017 sarà di 707,1 milioni di euro, una cifra ben inferiore ai 1.500 milioni di euro previsti con l'intesa Stato regioni del 2 luglio 2015;
    il comma 569 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015 n. 208 (legge finanziaria 2016) prevede che la spesa per l'acquisto di farmaci innovativi concorre al raggiungimento del tetto di spesa per l'assistenza farmaceutica territoriale di cui all'articolo 15, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, per l'ammontare eccedente annualmente, per ciascuno degli anni 2015 e 2016, l'importo del fondo di cui all'articolo 1, comma 593, della legge 23 dicembre 2014, n. 190;
    il successivo comma 570 della citata legge finanziaria 2016 prevede la predisposizione da parte del Ministero della salute, sentita l'Aifa, di un programma strategico volto a definire le priorità di intervento, le condizioni di accesso ai trattamenti, i parametri di rimborsabilità sulla base di risultati clinici significativi, il numero dei pazienti potenzialmente trattabili e le relative previsioni di spesa, le condizioni di acquisto, gli schemi di prezzo condizionato al risultato e gli indicatori di performance degli stessi, gli strumenti a garanzia e trasparenza di tutte le procedure, le modalità di monitoraggio e valutazione degli interventi in tutto il territorio nazionale. I commi 702 e 703 dispongono che le regioni accertino ed impegnino nel bilancio regionale dell'anno 2015, nella misura del 90 per cento e al netto degli importi eventualmente già contabilizzati, le somme a titolo di ripiano per ciascuno degli anni 2013 e 2014 dell'eventuale sfondamento del tetto della spesa farmaceutica territoriale ed ospedaliera per gli anni 2013 e 2014;
    la quota di compartecipazione a carico del cittadino che ha scelto il farmaco di marca al posto del farmaco generico di fascia A rimborsato dal Servizio sanitario nazionale nel 2015, ammonta a circa 1 miliardo di euro. Questa voce di spesa negli anni ha subito un costante incremento. La causa principale di detto incremento è dovuto al fatto che le industrie farmaceutiche per sostenere le vendite dei propri farmaci di marca, investono importanti cifre in comunicazione nei confronti di medici, società scientifiche e associazioni di pazienti. In proposito, anche al fine di contrastare tale fenomeno, l'Aifa ha recentemente pubblicato la guida «Medicinali Equivalenti – Qualità, sicurezza ed efficacia»;
    vanno considerate le proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato inerenti al divieto di vincoli alle procedure di registrazione dei medicinali equivalenti alla scadenza del brevetto («patent linkage») nonché alla liberalizzazione della vendita dei medicinali di Fascia C presso le parafarmacie;
    il documento di indirizzo per l'attuazione delle linee di supporto centrali al piano nazionale della prevenzione 2014-2018 prevede di integrare il quadro delle informazioni informatizzate fruibili per le autorità competenti, al fine di migliorare il monitoraggio della distribuzione dei medicinali veterinari;
    la determinazione ANAC 28 ottobre 2015, n. 12, Aggiornamento 2015 al piano nazionale anticorruzione all'interno del capitolo dedicato alla sanità, riporta quali aree di rischio specifico quelli della «farmaceutica, dispositivi e altre tecnologie: ricerca, sperimentazioni e sponsorizzazioni»;
    la sentenza n. 4538 del 2015 della sezione terza-quater del tribunale amministrativo regionale del Lazio accoglie la richiesta di annullamento, da parte della GlaxoSmithKline, del comunicato con il quale l'Agenzia italiana del farmaco, in data 27 marzo 2013, ha reso nota la metodologia applicativa relativa al budget provvisorio sulla spesa farmaceutica ospedaliera 2013, di cui all'articolo 15, comma 8, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135; l'Aifa ha ritenuto di non effettuare ricorso avverso detta la sentenza presso il Consiglio di Stato;
    la sentenza n. 3977 del 2015 della sezione terza del Consiglio di Stato ha respinto il ricorso presentato dall'Agenzia italiana del farmaco e dal Ministero della salute contro Pfizer Italia srl e nei confronti di AstraZeneca spa, riguardo alla sentenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio n. 3157 del 2015 concernente il diniego di accesso agli atti relativi al budget della spesa farmaceutica ospedaliera;
   la sentenza n. 00288 del 2016 della sezione terza-quater del tribunale amministrativo regionale del Lazio ha accolto la richiesta di annullamento, da parte di Federfarma, della determina Aifa 30 ottobre 2014 n. 1.239 «Ripiano dello sfondamento del tetto dell'11,35 per cento della spesa farmaceutica territoriale del 2013 ai sensi della legge n. 222 del 2007 e successive modificazioni ed integrazioni»;
    l'articolo «Farmaci meno costosi per chi ? Gli effetti della determina AIFA sul prezzo dei medicinali» pubblicato sulla rivista Politiche del farmaco dicembre 2015 n. 6 riporta diverse criticità rispetto ai risultati conseguiti da Aifa (determina n. 1.267 del 2015) tra le quali l'aumento della quota di compartecipazione a carico del cittadino per i medicinali in lista di trasparenza;
    nell'editoriale del direttore generale dell'AIFA, Luca Pani, pubblicato il 26 gennaio 2016 sul sito della stessa Agenzia dal titolo: «Il “caso sofosbuvir” Trasparenza e Responsabilità nel “posizionamento” dei farmaci innovativi» si rileva che:
     la Commissione Senato degli Stati Uniti ha aperto un'indagine conoscitiva nei confronti della ditta Gilead per conoscere come quest'ultima avesse deciso il prezzo di lancio del Sovaldi;
     dalle indagini risulta che «emerge che nella definizione del prezzo del farmaco non sono state considerate le questioni finanziarie di base, i costi per ricerca e sviluppo...»;
     se l'approccio di Gilead applicato nella definizione del prezzo di Sovaldi rappresentasse la strategia futura per il lancio sul mercato di altri farmaci potenziali blockbuster, questo comporterebbe oneri della grandezza di decine di miliardi di euro per il trattamento di una parte limitata di pazienti;
     la Gilead ha fatturato più di 12 miliardi di dollari nel 2014 e oltre 14 in soli nove mesi del 2015 (ma le stime prevedono una chiusura d'anno intorno ai 19 miliardi per i soli trattamenti anti-HCV), raggiungendo in 21 mesi un fatturato di 26,6 miliardi di dollari, di cui 20,6 derivanti dalle vendite negli USA. Nessuno degli analisti finanziari, probabilmente neppure all'interno dell'azienda, aveva previsto questi numeri;
     alla data del 25 gennaio risultano avviati al primo trattamento, tra cinque terapie disponibili, oltre 32.500 pazienti (in base ai diversi criteri di eleggibilità), 2.350 in più rispetto al mese precedente, con un trend medio di aumento settimanale di oltre 500 pazienti. Ad oggi, 26.590 sono quelli in trattamento con i medicinali Sovaldi e Harvoni. In questo modo tutti sanno che si sta avvicinando alla fine del contratto dei primi 50.000 pazienti con sofosbuvir e ledipasvir (Sovaldi e Harvoni) che valeva 750.000.000 di euro e che scade alla fine del prossimo giugno, con dei prezzi sempre più favorevoli a vantaggio del Servizio sanitario nazionale italiano soprattutto ora ci si approssima alle fasce di sconto prezzo/volume molto più convenienti;
    alla luce di quanto esposto non si comprende quale sarà l'atteggiamento della Gilead, azienda che si è arricchita più di qualunque altra nella storia della farmaceutica dal lancio globale nei primi anni di un suo farmaco, se cioè manterrà fermi gli sconti per consentire di trattare il numero massimo di pazienti italiani o se inizierà una nuova negoziazione cercando di incrementare ancora una volta il proprio profitto;
    nella riunione del consiglio di amministrazione dell'Aifa del 28 gennaio 2016, è emerso come il tetto di spesa per la farmaceutica territoriale presenta uno scostamento assoluto pari a 347.933.672 milioni di euro. Dai suddetti dati emerge anche il risultato della verifica del rispetto del tetto di spesa per la farmaceutica ospedaliera che ammonta ad uno scostamento assoluto pari a 1.317.700.274 milioni di euro,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per considerare quali livelli minimi i valori del « pay back» individuati nell'allegato C della determina dell'Aifa 6 ottobre 2015 n. 1.267/2015 e ricalcolare gli importi considerando quale base dei dati gli effettivi valori di vendita, rispetto all'anno di riferimento, delle specialità medicinali oggetto della determinazione;
   ad assumere iniziative per procedere, entro e non oltre il 15 marzo 2016, ad una nuova procedura di rinegoziazione del prezzo di rimborso dei medicinali per uso umano a carico del servizio sanitario nazionale, sulla base dell'assimilabilità dei princìpi attivi, facendo sì che la rinegoziazione prenda in considerazione tutte le categorie terapeutiche di farmaci;
   ad assumere iniziative per procedere entro e non oltre il 30 marzo 2016 ad una nuova procedura di rinegoziazione del prezzo di rimborso dei medicinali biotecnologici, oggetto del primo periodo del comma 11 dell'articolo 9-ter del decreto-legge n. 78 del 2015, al fine di ridurne il prezzo di rimborso da parte del servizio sanitario nazionale per una quota non inferiore al 30 per cento, tenendo, altresì, in considerazione le negoziazioni avvenute successivamente all'approvazione del decreto-legge n. 78 del 2015;
   ad assumere iniziative affinché l'Aifa, entro e non oltre il 31 marzo 2016, riporti con apposita determina i valori delle efficienze oggetto degli impegni sopra indicati;
   ad assumere iniziative per classificare in fascia C le specialità medicinali presenti nelle «liste di trasparenza», di cui all'articolo 7 del decreto-legge n. 347 del 2001 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 405 del 2001 il cui il prezzo al pubblico risulta uguale o maggiore del 10 per cento rispetto al prezzo a carico del servizio sanitario nazionale;
   ad assumere iniziative per rimuovere (il divieto di) vincoli alle procedure di registrazione dei medicinali equivalenti alla scadenza del brevetto («patent linkage») nonché per assicurare la liberalizzazione della vendita dei medicinali di fascia C presso le parafarmacie;
   a convocare in tempi rapidi, anche in considerazione dei commi 702 e 703 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, tutte le aziende farmaceutiche interessate per l'individuazione della soluzione relativa al rimborso dei valori del pay back per gli anni 2013, 2014 e 2015 sia riguardo alla spesa farmaceutica territoriale che ospedaliera, convenendo in tale sede che l'importo complessivo non possa essere inferiore alla somma dei valori indicati nella Tabella A della legge 28 dicembre 2015, n. 208, nonché ai dati di monitoraggio della spesa farmaceutica regionale gennaio-settembre 2015 oggetto di riunione del consiglio di amministrazione dell'Aifa del 28 gennaio 2016;
   ad assumere iniziative anche per una rivisitazione di quanto previsto al comma 569 della legge 28 dicembre 2015 n. 208, al fine di individuare soluzioni condivise con le aziende farmaceutiche interessate;
   ad assumere iniziative per pubblicizzare entro e non oltre il 30 aprile 2016 tutti i dati riferiti ai medicinali soggetti a rimborsabilità condizionata nell'ambito dei registri di monitoraggio presso l'Aifa al fine di collegare l'appropriatezza terapeutica al prezzo di rimborso dei farmaci;
   a considerare l'opportunità di assumere iniziative affinché l'Aifa proceda all'annullamento della propria determinazione 4 novembre 2015 n. 1.427/2015 in merito alle attività di rimborso alle regioni in attuazione del meccanismo prezzo/rimborso dei medicinali per uso umano Sovaldi e Harvoni;
   rispetto ai farmaci per l'eradicazione del virus dell'epatite C, a predisporre, entro e non oltre il 30 giugno 2016, iniziative anche di tipo normativo volte a favorire la stipula da parte di Aifa di contratti che prevedano esclusivamente, per singolo trattamento, importi non superiori a quelli maggiormente favorevoli attualmente in vigore, anche considerando le clausole prezzo/volumi;
   a presentare entro e non oltre il 30 giugno di ogni anno il programma strategico previsto dal comma 570 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, alle Commissioni parlamentari competenti facendo sì che:
    a) il programma tenga in debita considerazione quanto indicato nella determinazione dell'ANAC n. 12/2015 e, rispetto alla farmaceutica territoriale, contenga un piano di monitoraggio, di appropriatezza prescrittiva e di obiettivi per singola regione, sia in termini di dosi somministrate che di spesa, per singolo principio attivo, anche sulla base delle indicazioni previste nella determinazione dell'ANAC del 28 ottobre 2015, n. 12;
    b) nell'ambito della programmazione sia previsto un rimborso, nella quota minima del 10 per cento, per tutti i farmaci antineoplastici ed immunomodulatori che superano una quota di fatturato annuo, a livello nazionale, pari a 80 milioni di euro lordi anche indipendentemente dalla molteplicità delle indicazioni di utilizzo;
    c) il programma strategico contenga indicazioni precise per raggiungere l'obiettivo di ridurre di almeno il 50 per cento la quota di compartecipazione a carico del cittadino relativa alla scelta del farmaco di marca al posto del farmaco generico di fascia A rimborsato dal servizio sanitario nazionale;
    d) sia prevista la riorganizzazione del sistema dei prezzi dei medicinali veterinari nonché l'implementazione di un sistema informatizzato per la corretta tracciabilità del farmaco veterinario.
(1-01178) «Grillo, Mantero, Silvia Giordano, Baroni, Colonnese, Lorefice, Di Vita, D'Incà, Dall'Osso».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PICCHI, NIZZI e VELLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 15 febbraio 2016 il quotidiano Il Foglio riportava la notizia secondo la quale l'Italia aveva ceduto alla Francia una parte di mare che rientrava nella giurisdizione della regione Sardegna;

nello specifico, secondo quanto riportato nell'articolo succitato a firma del giornalista Carlo Lottieri, il 21 marzo 2015 in occasione del Consiglio franco-italiano per la difesa e la sicurezza che si è tenuto a Caen, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Paolo Gentiloni e il Ministro della difesa Roberta Pinotti con i loro omologhi francesi Laurent Fabius e Jean-Yves Le Drian, hanno firmato un accordo che ha ridefinito le zone di giurisdizione e sovranità tra Italia e Francia nel Mediterraneo (circa un miglio a favore della Francia);
   in conseguenza di tale accordo, il 13 gennaio 2016 un peschereccio sardo partito dal porto di Alghero per raggiungere la costa a nord della Sardegna, rinomata per essere una delle zone più pescose dell'Isola, è stato prima bloccato dalla marina francese per sconfinamento nelle acque territoriali francesi, poi tratto in stato di fermo nel porto di Nizza e, infine, rilasciato dopo due giorni a seguito del pagamento di una cauzione;
   in conseguenza di tale incidente, il giornale Corsicaoggi del 22 gennaio 2016 scriveva che l'oggetto del trattato bilaterale sottoscritto a Caen altro non è che una sorta di scambio territoriale, in base al quale l'Italia ha ceduto la porzione di mare cosiddetta «fossa del cimitero» o «fossa dei gamberoni», in cambio delle secche tra la Capraia, l'Elba e la Corsica;
   a parere degli interroganti è quanto mai urgente che il Governo riferisca senza indugio in Parlamento sui dettagli di questo accordo bilaterale, soprattutto sulla sua entrata in vigore e sulle conseguenze per il nostro Paese, considerando che sia le istituzioni nazionali che quelle della regione Sardegna non sono state adeguatamente informate nel merito –:
   se il Governo abbia preso in considerazione l'opportunità di coinvolgere adeguatamente la comunità sarda interessata, nonché di assumere le dovute iniziative di competenza per risarcire la comunità stessa dei danni economici ingiustamente subiti a causa dell'accordo bilaterale. (5-07863)


   ARLOTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel 2010, la ditta Geo Italia srl, con sede legale in via B. Oriani, n. 38, Roma, presenta domanda di verifica alle regioni Toscana ed Emilia-Romagna per il progetto «Parco eolico di Poggio Tre Vescovi – Fresciano»;
   il progetto prevede la realizzazione di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile eolica costituito dal n. 36 aerogeneratori di potenza nominale di 3,4 megawatt, per complessivi 122,4 megawatt così suddivisi: n. 22 aerogeneratori nel comune di Badia Tedalda (AR), n. 11 nel comune di Casteldelci (RN) e n. 3 nel comune di Verghereto (FC), con opere connesse parzialmente ricadenti anche nei comuni di Pieve Santo Stefano (AR) e Sansepolcro (AR);
   i 36 aerogeneratori, ciascuno da 3,5 megawatt consistono ognuno in una torre di altezza al mozzo di metri 145 e diametro del rotore di metri 110, formando il più grande impianto onshore d'Italia e il secondo in Europa, in una fascia di quasi 5 chilometri in una zona montana di grande valore ambientale e paesaggistico, ad alta vocazione turistica;
   il progetto appartiene alla categoria di cui al punto c-bis dell'allegato III del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modifiche ed integrazioni;
   in considerazione del fatto che il progetto interessa il territorio di due regioni, le rispettive procedure di valutazione di impatto ambientale vengono effettuate d'intesa tra le autorità competenti (regione Emilia-Romagna e regione Toscana);
   nel 2011, le regioni Toscana ed Emilia-Romagna, esprimono parere negativo al progetto, così come il Ministero per i beni e delle attività culturali e del turismo e la provincia di Arezzo, mentre i tre comuni di Badia Tedalda, Casteldelci e Verghereto danno parere positivo;
   coinvolto dalla conferenza di servizi per superare lo stallo su una procedura autorizzativa il Consiglio dei ministri, il 27 gennaio 2012, delibera negando la richiesta autorizzazione, riprendendo le ragioni delle amministrazioni contrarie; sono infatti evidenziati: rilevanti gli impatti sul paesaggio, sulla vegetazione e la fauna e sull'assetto idrogeologico dei terreni interessati, sia durante la fase di cantiere, che a fine lavori, carente la sostenibilità ambientale ed economica, nonché insufficienti le misure di mitigazione e compensazione;
   Geo Italia srl, di fronte al diniego ricevuto dal Consiglio dei ministri, presenta ricorso al Tar del Lazio, che, nel febbraio 2015, accoglie parzialmente il ricorso;
   il Consiglio dei ministri, in conseguenza della sentenza del Tar, nel novembre 2015, ha convocato tutte le istituzioni e parti interessate – regioni, province, comuni, Autorità di bacino, comunità montane, ARPA, AUSL, soprintendenze, ENEL, TERNA – per aprire un'istruttoria di valutazione di impatto ambientale interregionale, chiedendo a Geo Italia srl di riformulare il progetto. Geo Italia srl, nella successiva riunione del 18 dicembre, ha presentato modifiche e proposte di variazioni: riduzione della movimentazione terre, riduzione del numero di aerogeneratori (da 36 a 34, oppure 31), riduzione dell'altezza al mozzo (da metri 145 a 124, oppure 99);
   la regione Toscana ha chiesto tempo per nuove valutazioni, avendo nel frattempo adottato un nuovo piano paesaggistico (PAER/PIT), così come hanno chiesto tempo e nuova documentazione anche la regione Emilia-Romagna e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – direzione generale del paesaggio;
   dal dicembre 2013 Geo Italia srl risulta in liquidazione volontaria –:
   quali siano nel dettaglio le caratteristiche tecniche del progetto;
   quale sia lo stato dell’iter autorizzativo del progetto;
   se Geo Italia srl abbia fornito nuova e adeguata documentazione sull'impatto del progetto dal punto di vista ambientale, idrogeologico e paesaggistico;
   quali siano le misure di compensazione previste;
   se, dato quanto illustrato in premessa, il Governo non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza per fermare il progetto, anche alla luce dei pareri negativi già espressi dagli enti competenti e dei possibili impatti negativi sull'ambiente e sul paesaggio. (5-07867)


   CARNEVALI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 12, commi 10 e 11, del decreto-legge 18 ottobre 2012 n. 179, convertito con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, si prevede che «i sistemi di sorveglianza e i registri di mortalità, di tumori e di altre patologie, di trattamenti costituiti da trapianti di cellule e tessuti e trattamenti a base di medicinali per terapie avanzate o prodotti di ingegneria tessutale e di impianti protesici sono istituiti ai fini di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, programmazione sanitaria, verifica della qualità delle cure, valutazione dell'assistenza sanitaria e di ricerca scientifica in ambito medico, biomedico ed epidemiologico allo scopo di garantire un sistema attivo di raccolta sistematica di dati anagrafici, sanitari ed epidemiologici per registrare e caratterizzare tutti i casi di rischio per la salute, di una particolare malattia o di una condizione di salute rilevante in una popolazione definita.». «I sistemi di sorveglianza e i registri di cui al comma 10 sono istituiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della salute, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e acquisito il parere del Garante per la protezione dei dati personali. Gli elenchi dei sistemi di sorveglianza e dei registri di mortalità, di tumori e di altre patologie, di trattamenti costituiti da trapianti di cellule e tessuti e trattamenti a base di medicinali per terapie avanzate o prodotti di ingegneria tessutale e di impianti protesici sono aggiornati periodicamente con la stessa procedura. L'attività di tenuta e aggiornamento dei registri di cui al presente comma è svolta con le risorse disponibili in via ordinaria e rientra tra le attività istituzionali delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale»;
   sempre ai sensi del decreto-legge n. 179 del 2012 convertito con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 il Ministero dell'interno ha attivato un tavolo tecnico, a cui hanno partecipato il Ministero della salute, il Ministero dell'economia e delle finanze, l'Istat e le regioni, per la stesura del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che deve disciplinare la trasmissione telematica delle nascite, delle morti e delle cause di morte nell'ambito dei servizi offerti dall'anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR);
   è stata definita una bozza del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che risulta ora essere all'esame degli uffici legislativi degli enti competenti come prevede la legge;
   l'emanazione del decreto può costituire un importante accelerazione per la raccolta delle informazioni su nascite e decessi; di fatto, comunque, la piena operatività del sistema sarà garantita solamente quando l'ANPR sarà totalmente attivata, cioè quando tutti i comuni avranno fatto transitare le proprie anagrafi nell'ambito del sistema centralizzato;
   nel periodo di passaggio (cioè quando progressivamente i comuni faranno confluire le anagrafi nell'ANPR) è comunque auspicabile che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su nascite e morti sia già emanato ed operativo, in quanto anche i flussi informativi su nascite e decessi possono essere progressivamente, e non necessariamente in blocco, trasferiti nella nuova architettura dei flussi informativi  –:
   quale sia ad oggi l’iter di approvazione del decreto in questione, quali siano i tempi per addivenire ad una rapida approvazione nonché quali siano state fino ad ora le cause ostative che di fatto hanno impedito, dopo oltre quattro anni, l'approvazione del decreto medesimo. (5-07868)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FIORIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la procedura di conferimento della protezione costituisce, insieme al passaggio alle Dop ed Igp, una delle novità introdotta dalla riforma dell'Organizzazione comune di mercato vino del 2008, poi confluita nell'attuale «Ocm unica» così come disciplinata dal regolamento: (UE) numero 1308 del 2013;
   la domanda di protezione di una denominazione di origine o di una indicazione geografica può essere presentata da qualunque associazione di produttori e rappresenta uno strumento irrinunciabile per promuovere le specificità del settore, della tradizione e del rilievo socio-economico e culturale delle denominazioni nei principali Paesi vitivinicoli europei;
   la disciplina precedente era caratterizzata per un sistema centrato sulle decisioni assunte dagli Stati membri. Le autorità nazionali erano infatti le sole autorità competenti a riconoscere i «vini di qualità prodotti in regioni determinate» (Vqprd) ed i vini da tavola con indicazione geografica. Esse trasmettevano i relativi elenchi alla Commissione europea il cui compito si limitava alla pubblicazione degli stessi nella serie C della Gazzetta ufficiale dell'Unione europea dopo aver verificato la conformità delle decisioni nazionali con la disciplina vitivinicola comunitaria;
   la disciplina vigente ha introdotto, al contrario, un nuovo sistema, che a differenza del precedente, prevede una procedura di registrazione suddivisa in due fasi, una nazionale ed una comunitaria, un diritto d'opposizione e la decisione finale che spetta alla Commissione europea;
   tale novità (che presentava anche una fase transitoria conclusa il 31 dicembre 2011) ha comportato un aumento delle competenze a carico dei servizi della Commissione europea, a cui tuttavia sembra non aver fatto seguito un potenziamento dell'organico dagli uffici della Direzione generale agricoltura e sviluppo rurale dell'Unione europea, la quale ha peraltro dovuto attuare il programma di riduzione della spesa imposto dalla stessa Commissione per far fronte ai tagli di bilancio decisi dagli Stati membri in occasione dall'adozione delle quadro finanziario pluriennale 2014-2020;
   tutto ciò ha portato, finora, ad un prevedibile allungamento dei tempi di risposta della Commissione europea, con moltissime pratiche che, a quanto risulta all'interrogante, sarebbero da alcuni anni in attesa di risposta;
   tali ritardi rischiano inevitabilmente di compromettere le attività ai produttori e ridurre le tutele nei confronti dei consumatori –:
   se quanto esposto in premessa, relativamente alle pratiche inevase dalla Commissione dell'Unione europea rispetto alla procedura di conferimento della protezione dei prodotti vitivinicoli corrisponda al vero, e quali interventi urgenti il Governo intenda intraprendere, per quanto di competenza, nei confronti delle autorità europee, al fine di risolvere in tempi brevi questa grave problematica. (4-12195)


   RAMPELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   con direttiva della Presidenza del Consiglio dei ministri, approvata in data 19 giugno 2015, sono stati rideterminati i «criteri per l'acquisto da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri di servizi informativi e giornalistici delle agenzie di stampa per le esigenze della pubblica amministrazione»;
   in base alla citata direttiva la Presidenza del Consiglio potrà stipulare contratti con le agenzie che presentino — «anche in associazione tra loro» — i seguenti requisiti: cinquanta giornalisti a tempo indeterminato inquadrati ai sensi dell'articolo 1 del vigente contratto nazionale di lavoro giornalistico; tre sedi sul territorio nazionale; 15 ore di trasmissione al giorno per sette giorni a settimana; cinquecento lanci giornalieri; abbonamenti a titolo oneroso a trenta testate;
   tale disciplina costituisce un regime transitorio, posto che in base alla stessa direttiva «i medesimi requisiti dovranno essere posseduti in proprio da ciascuna Agenzia a partire dall'anno 2017»;
   appare evidente come la ratio della norma sia quella di indurre le agenzie di stampa di minori dimensioni e, quindi, con meno dipendenti, sedi e lanci, a unirsi tra loro, ovvero a lasciarsi assorbire dalle agenzie «maggiori»;
   è noto, infatti, che i contributi erogati dalla Presidenza del Consiglio siano spesso determinanti per i bilanci delle agenzie e che laddove tale erogazioni dovessero cessare molte aziende sarebbero costrette alla chiusura;
   le agenzie di stampa di piccole e medie dimensioni si caratterizzano per gli alti livelli di specificità e professionalità acquisiti e determinarne la chiusura arrecherà un grave danno al pluralismo dell'informazione, oltreché una crisi occupazionale nel settore  –:
   se non ritenga di intraprendere le iniziative opportune per giungere ad una revisione dei criteri di cui alla direttiva citata in premessa che possa salvaguardare anche le agenzie di dimensioni minori.
(4-12202)


   ATTAGUILE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a Caltanissetta da circa un mese è esplosa un'emergenza abitativa che coinvolge 64 famiglie (circa 200 persone) abitanti in altrettanti appartamenti di proprietà dell'Istituto autonomo case popolari (IACP);
   gli appartamenti dello IACP attualmente occupati dalle famiglie aventi diritto sono risultati poco sicuri se non addirittura pericolanti in quanto costruiti un trentennio fa con cemento depotenziato;
   a 64 famiglie che occupano cinque stabili di via Puccini saranno notificate le ordinanze di sgombero predisposte dal comune, sgombero che appare ormai inevitabile dopo i risultati degli ulteriori esami effettuati sui pilastri dei cinque edifici;
   al momento, non sembrano essersi trovate delle soluzioni alternative per le famiglie che subiranno lo sgombero;
   la regione, che aveva garantito una copertura finanziaria per provvedere al pagamento degli affitti in attesa che gli stabili sgomberati vengano messi in sicurezza, non ha dato finora seguito a quanto promesso ritirando l'emendamento che prevedeva lo stanziamento dei fondi in finanziaria –:
   se il Governo sia al corrente di quanto stia accadendo nella città di Caltanissetta e quali iniziative urgenti intenda promuovere, per quanto di competenza e di concerto con la regione siciliana, per favorire una soluzione positiva all'emergenza in atto, garantendo idonea sistemazione abitativa alle famiglie di cui in premessa, poiché appare vergognoso che lo Stato reperisca i fondi per garantire alloggi ai migranti che giungono in Italia e lasci «senza tetto» le famiglie italiane bisognose. (4-12206)


   RICCARDO GALLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'ennesima tragedia del mare legata agli sbarchi di immigrati clandestini, avvenuta in Sicilia la scorsa settimana e precisamente in provincia di Agrigento, presso la costa di Siculana, sulla spiaggia di Torre Salsa, ripropone ancora una volta l'esigenza di rivedere anche e soprattutto in ambito internazionale, l'organizzazione e il sostegno da parte delle istituzioni europee, nei riguardi del nostro Paese;
   la suesposta drammatica vicenda, che ha causato almeno la morte di due immigrati ed un numero imprecisato di dispersi, dimostra ancora una volta, come l'Italia necessiti maggiore attenzione nella gestione di un fenomeno, che, ormai, ha dimensioni di un vero e proprio esodo e che si caratterizza anche per la presenza di organizzazioni criminali e di trafficanti di esseri umani;
   a giudizio dell'interrogante, se gli Stati membri non accettano di ricevere le quote di richiedenti asilo, in quanto evidentemente tale scelta appare ad essi fortemente vincolante, gli stessi Governi non dovrebbero ricevere le quote di finanziamenti europei come attualmente previsto;
   al riguardo, la triste vicenda accaduta nell'agrigentino, di cui è stato raccontato da profughi di giovanissima età, di nazionalità magrebina, libica e tunisina, che sono partiti dalla Libia e diretti verso le coste siciliane, impone, a parere dell'interrogante, una serie di iniziative in ambito nazionale ed europeo, al fine di innalzare sia i livelli di controllo lungo i confini costieri del nostro Paese, in particolare in Sicilia, regione di frontiera e assai vicina alla Libia, nonché di assumere iniziative, nei riguardi delle istituzioni comunitarie, per far sì che siano attribuiti al nostro Paese ulteriori riconoscimenti in tema di ulteriore flessibilità sul deficit pubblico, a causa dell'emergenza degli immigrati –:
   quali orientamenti il Governo intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se non ritenga che, in considerazione del fenomeno legato agli sbarchi di immigrati clandestini che, stante l'ultima tragedia avvenuta nell'agrigentino la scorsa settimana, appare, a giudizio dell'interrogante, inarrestabile, occorra assumere urgenti iniziative, in ambito nazionale ed internazionale, sia per potenziare i livelli di controllo e di pronto intervento sulle coste italiane ed in particolare in Sicilia, da parte delle forze di sicurezza del nostro Paese, che per ottenere un maggiore coordinamento con gli altri Stati membri, al fine di incrementare i livelli di attenzione nei riguardi dell'Italia;
   quali iniziative ulteriori di competenza il Governo intenda intraprendere, in considerazione dei gravissimi problemi socio-economici derivanti alla regione Sicilia dal continuo sbarco di clandestini lungo le coste, i cui effetti, in particolare sul settore turistico dell'isola, si ripercuotono negativamente sul sistema economico e produttivo della regione. (4-12212)


   FUSILLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 1, commi 548-bis, 548-quinquies e 548-sexies, della legge di stabilità (legge n. 208 del 2015), è stato istituito un fondo per il potenziamento degli interventi e delle dotazioni strumentali in materia di protezione cibernetica e sicurezza informatica nazionali;
   il 19 dicembre 2015, nel corso dell'esame della stessa legge è stato accolto dal Governo l'ordine del giorno n. 9/03444-A/021;
   l'ordine del giorno impegna il Governo, tenendo conto delle misure destinate al contrasto e alla prevenzione dai rischi del terrorismo internazionale e delle dotazioni necessarie alla sicurezza delle Forze armate nelle attività di contrasto al terrorismo, a valutare l'opportunità di riservare una parte significativa delle risorse assegnate al fondo ad investimenti da destinare alla progettazione, sviluppo, integrazione e produzione di sistemi di guerra elettronica tramite inibizione dell'uso efficace dello spettro elettromagnetico;
   inoltre, in questa ottica, si impegna il Governo a tenere conto delle eccellenze produttive presenti in Abruzzo, con particolare riguardo ai:
    a) sistemi di contromisure elettroniche (ECM), contro-contromisure elettroniche (ECCM) e misure di supporto elettroniche (ESM);
    b) sistemi C-RCIED (Counter – Radio Controlled Improvised Explosive Device), realizzati tramite sistemi integrati di disturbo (jamming) comprendenti: apparecchiature di disturbo, sistemi radianti, protezioni meccaniche ed elettriche, interfacce di comunicazione, controllo remoto o locale –:
   quali iniziative il Governo abbia adottato o intenda adottare per dare piena attuazione agli impegni assunti con l'ordine del giorno sopra citato. (4-12213)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta immediata:


   PALAZZOTTO, SCOTTO, PANNARALE, DURANTI, PIRAS, PAGLIA, FASSINA, AIRAUDO, FAVA, PLACIDO, GREGORI, RICCIATTI, D'ATTORRE, FERRARA, MARCON, CARLO GALLI, FOLINO, FRATOIANNI, MELILLA, QUARANTA, ZACCAGNINI, COSTANTINO, DANIELE FARINA, MARTELLI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, NICCHI, PELLEGRINO, SANNICANDRO, ZARATTI e FRANCO BORDO. – Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   numerosi report e dossier prodotti da organizzazioni umanitarie evidenziano continue, numerose e gravi violazioni dei diritti umani in Egitto;
   in particolare Amnesty International denuncia in diversi rapporti (gennaio 2014 e giugno 2015) numerosi casi di arresti illegali, uso della tortura, violenze di vario tipo;
   lo stesso rapporto sottolinea come siano i giovani i principali soggetti interessati all'applicazione della «legge anti proteste» entrata in vigore nel 2013 e che concede, di fatto, poteri illimitati alle forze di polizia e di sicurezza;
   il rapporto di Amnesty International del gennaio 2014 evidenziava come, in pochi mesi (luglio 2013-dicembre 2013) fossero oltre 1.400 i morti accertati in seguito a violenze politiche e che la maggioranza di questi fosse da addebitarsi ad un uso sproporzionato della violenza da parte delle forze di sicurezza;
   sempre Amnesty, a seguito della barbara uccisione del nostro connazionale Giulio Regeni, ha ribadito la continua e palese violazione dei diritti umani in Egitto comunicando i dati relativi ad oltre 1.700 condanne a morte emesse e numerosi casi di «sparizione» e «sequestro» di giovani egiziani operanti in varie organizzazioni di opposizione;
   nell'agosto 2013, il Consiglio dell'Unione europea ha decretato la sospensione delle licenze di esportazione verso l'Egitto di armi e materiali utilizzabili a fini di repressione interna;
   tale misura è stata caldeggiata e proposta soprattutto dall'attività diplomatica del Governo italiano ed in particolare dal Ministro pro tempore Bonino;
   dai dati raccolti dall'Osservatorio sulle armi leggere (Opal) di Brescia si evidenzia come il nostro Paese abbia proceduto alla vendita nel 2014 di 30 mila pistole e nel 2015 di 1.236 fucili a canna liscia;
   la tipologia di tali armi è, di tutta evidenza, non destinata ad attività militari, ma pienamente utilizzabile da servizi di sicurezza e di polizia e, pertanto, utilizzabile in attività di repressione interna;
   nei giorni scorsi, in occasione dell'assemblea del Partito Democratico, il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, ha dichiarato: «Iniziamo l'assemblea tenendo nel cuore Valeria Solesin (uccisa dal commando jihadista che il 13 novembre 2015 ha compiuto la strage al Bataclan di Parigi) e Giulio Regeni, vorrei che il primo pensiero fosse per loro». «Non accetteremo una verità artificiale e raccogliticcia. Siamo l'Italia e non accetteremo mai una verità di comodo. Non c’è business o realpolitik che tenga, non è un optional la verità per Giulio». E ancora: «Sono impegnato a stabilire un rapporto molto forte con l'Egitto, che è strategico per contrastare l'Isis ed è un hub economico fondamentale questo lo confermo, ma dico con più forza che proprio perché siamo amici pretendiamo soltanto la verità anche quando fa male. Siamo grati per la massima collaborazione offerta dall'Egitto fino a oggi, ma vogliamo i responsabili veri con nome e cognome perché non è pensabile che resti senza colpevole»;
   ad avviso degli interroganti, nonostante le rassicurazioni fornite dal Governo, le Autorità del Cairo non sembrano aver alcuna fretta nel fare chiarezza sulle circostanze in cui è maturata la morte del giovane Regeni e i rapporti tra Italia ed Egitto sembrano essere sempre più intensi, visto che l'interscambio commerciale tra i due Paesi ammonta a ben 4,2 miliardi di euro –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative volte a sospendere immediatamente la vendita di armi destinate agli apparati di sicurezza egiziani mettendo anche in discussione le relazioni commerciali in essere fino a quando non sarà fatta piena luce sulle circostanze dell'uccisione di Giulio Regeni, adoperandosi al contempo anche in sede europea affinché il Governo egiziano ponga fine alla costante violazione di diritti umani e civili nei confronti della popolazione. (3-02046)


   FITZGERALD NISSOLI. – Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   ha destato viva preoccupazione la notizia di un previsto taglio ai fondi per la promozione linguistica italiana all'estero;
   infatti, sembra che si preveda che il capitolo 3153 del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale venga decurtato di 2 milioni e 635 mila euro per il 2016;
   durante la discussione della legge di stabilità per il 2016 in Senato si erano azzerati i tagli previsti e si era riusciti ad ottenere 3.400.000 euro di nuova disponibilità per il bilancio;
   la lingua italiana è fattore fondamentale per presentare il nostro Paese all'estero ed incrementare gli scambi commerciali in un momento nel quale la ripresa economica è solo agli inizi;
   inoltre, la diplomazia culturale è premessa necessaria per la diplomazia economica ed è fondamentale per attivare un'adeguata penetrazione commerciale, e non solo, nel resto del mondo;
   gli Stati generali della lingua italiana nel mondo hanno fatto emergere l'esigenza di una valorizzazione sistematica di tutti gli operatori della lingua italiana nel mondo anche attraverso lo stanziamento di risorse certe in base alle quali programmare adeguati interventi;
   l'apprendimento linguistico costituisce la base per la conoscenza vera del nostro patrimonio culturale, mantenendo saldo da un lato il legame tra gli italiani all'estero e la loro cultura di origine, e dall'altro avvicina lo straniero al fascino della storia, dell'arte e del modo di vita italiano;
   si tratta di caratteristiche apprezzate ovunque e che risultano anche essere uno strumento prezioso di promozione turistica;
   rassicurante al riguardo la risposta data in Commissione affari esteri e comunitari della Camera dei deputati dal Sottosegretario Amendola, quando - dopo aver ribadito la centralità «che per il Governo, a partire dalla Farnesina, rivestono le nostre collettività all'estero nonché la promozione del sistema Italia all'estero, anche attraverso il peso della dimensione culturale nella proiezione dell'immagine italiana nel mondo» - ha confermato, pure nelle comprensibili difficoltà, l'impegno del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale per reperire strumenti atti a ripristinare quanto prima la dotazione del capitolo 3153 sopra citato –:
   se il Ministro interrogato sia in grado di fornire dettagli più specifici circa le modalità di ripristino della dotazione del capitolo 3153 del Ministero sopra ricordato, portandolo almeno al livello del 2015, come annunciato in modo apprezzabile dal Sottosegretario di Stato Amendola. (3-02047)


   LOCATELLI e PASTORELLI. – Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   pare essere in continua crescita la presenza in territorio libico delle milizie e dei quadri dirigenti di Daesh a seguito delle disfatte subite in Siria per l'offensiva delle forze della coalizione anti-Isis;
   una parte considerevole del flusso di migranti diretti verso il territorio italiano origina dalle coste libiche e che Daesh utilizza o può utilizzare questa marea di disperati per ottenere un guadagno illecito nel traffico di esseri umani o anche per trasferire i suoi uomini in Italia e in Europa;
   sono presenti in territorio libico importanti infrastrutture energetiche che fanno capo ad aziende italiane e ciò crea un rapporto di dipendenza dall'esportazione di gas e petrolio dalla Libia verso l'Italia e l'Europa;
   permangono profondi legami umani, culturali, economici che legano l'Italia alla Libia e che comportano responsabilità nei confronti di questo sfortunato Paese e della sua gente;
   va tenuto conto della recente azione militare americana – la prima di dominio pubblico e condotta con aerei e non con droni – contro un campo di addestramento di Daesh nei pressi di Sabrata e dell'esito delle lunga mediazione condotta dai due inviati speciali dell'Onu per giungere alla formazione di un Governo di emergenza nazionale;
   si è appresa in queste ore dai media la notizia della decisione del Governo di concedere le piste di Sigonella ai droni armati americani in Libia e nel nord Africa contro Daesh, previa autorizzazione del Governo italiano caso per caso –:
   quali siano gli strumenti economici, diplomatici e militari che il Governo italiano può utilizzare per convincere le parti a trovare un accordo equilibrato e duraturo per risolvere il problema dell'assenza di un Governo nazionale in Libia e, nel caso in cui non si dovesse arrivare ad un accordo con il Governo riconosciuto di Tobruk per la nascita di un Governo di emergenza nazionale, in assenza di un parallelo accordo con il Governo di Tripoli e con le altre parti in causa, se l'Italia sia comunque pronta a difendere i suoi interessi strategici in Libia e a limitare la presenza delle milizie di Daesh anche con un intervento di carattere militare.
(3-02048)


   RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, GIORGIA MELONI, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. – Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   il 21 marzo 2015 il Ministro interrogato e il suo omologo francese hanno firmato un trattato all'Abbaye aux Dames de Caen, in Bassa Normandia, che modifica i confini marittimi tra i due Paesi precedentemente fissati da una Convenzione siglata tra le due nazioni nel 1892;
   in base al Trattato l'Italia ha rinunciato a importanti porzioni di mare al largo della Liguria e a nord della Sardegna, ampliando, di contro, la sua sovranità marittima nel Canale di Corsica e confermando quella al largo delle isole d'Elba e di Capraia;
   il Parlamento francese ha già ratificato il Trattato di Caen e lo sta applicando unilateralmente, e in forza di ciò sta procedendo a fermi di imbarcazioni italiane, dapprima il peschereccio ligure Mina nel mese di gennaio 2016 e, successivamente, diverse imbarcazioni di pescatori sardi;
   la zona ceduta alla Francia comprende alcune delle aree notoriamente più pescose, molto ambite a causa della loro ricchezza di gamberoni e pesce spada, e nella quale da sempre operano le marinerie italiane;
   inoltre, l'articolo 4 del Trattato attribuisce alla Francia anche «lo sfruttamento di eventuali giacimenti di risorse del fondo marino o del suo sottosuolo, situati a cavallo della linea di confine», vale a dire gas e petrolio;
   la scorsa settimana il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha diramato una nota per ribadire come il tracciato di delimitazione delle acque territoriali e delle restanti zone marittime rifletterebbe i «criteri stabiliti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare», ratificata dall'Italia nel 1994, e che «la parte italiana ha ottenuto di mantenere immutata la definizione di linea retta di base per l'arcipelago toscano»;
   tali affermazioni fanno sorgere il sospetto che il Governo abbia voluto favorire il mantenimento dei confini marittimi toscani e quindi i pescatori attivi in quelle zone rispetto a quelli sardi;
   la cessione delle zone di mare prevista dal Trattato di Caen danneggia gravemente i pescatori italiani, e in particolar modo quelli sardi, i quali non erano neanche informati dell'esistenza del nuovo accordo internazionale prima che le autorità francesi cominciassero ad effettuare i fermi delle imbarcazioni italiane, e l'applicazione unilaterale dello stesso accordo da parte della Francia sta determinando una penalizzante disparità di trattamento tra i pescatori italiani e quelli d'oltralpe –:
   se il Governo non ritenga di intervenire con urgenza al fine di ottenere in primo luogo la cessazione dei fermi dei pescherecci italiani da parte delle autorità francesi e, in secondo luogo, al fine di promuovere una revisione del Trattato che possa ristabilire un criterio di equità nello sfruttamento delle aree marine in questione. (3-02049)


   QUARTAPELLE PROCOPIO, GARAVINI, CHAOUKI, ZAMPA, NICOLETTI, ANDREA ROMANO, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. – Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   gli Stati Uniti e la Russia hanno concordato una bozza di accordo che chiede la cessazione delle ostilità in Siria, a partire da sabato 27 febbraio 2016, tra il regime e i gruppi ribelli che annunceranno di accettare l'accordo con l'eccezione dello Stato Islamico e il fronte al-Nusra e proprio per colpire questi due gruppi terroristici ci sarà l'istituzione di un «gruppo di lavoro» per individuare le zone da bombardare;
   le parti in causa del conflitto siriano dovranno indicare la loro accettazione dei termini dell'accordo entro mezzogiorno di venerdì 26 febbraio 2016 e il cessate il fuoco sarà quindi valido solo con quei gruppi ribelli dell'opposizione che accetteranno l'accordo;
   per il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, l'intesa Usa-Russia è «un segnale di speranza» per la Siria che, se rispettato, rappresenterà un importante passo in avanti verso l'attuazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza di dicembre 2015;
   tale accordo dimostra l'impegno del gruppo internazionale di sostegno sulla Siria a cercare una riduzione immediata della violenza come passo verso un cessate il fuoco più stabile, che resta una condizione imprescindibile per la ripresa dei negoziati politici;
   il Presidente siriano Bashar Assad ha convocato le elezioni legislative per il 13 aprile 2016 inserendo nell'elenco delle province al voto tutta la Siria, anche le parti sotto controllo di Daesh, come Raqaa, e quelle di altri formazioni anti-Assad;
   la guerra siriana si avvia verso il suo sesto anno ed ha già causato circa mezzo milione di morti, più di 12 milioni di siriani (più della metà dell'intera popolazione) sono stati colpiti dal conflitto e in estremo bisogno di aiuto; ha inoltre generato una delle più gravi crisi umanitarie della storia, costringendo 4,6 milioni di siriani a cercare riparo all'esterno, soprattutto in Giordania, Libano, Turchia, Iraq ed Egitto e altre centinaia di migliaia hanno provato in questi anni a raggiungere l'Europa, pagando a volte al prezzo della vita il pericolo di una traversata del Mediterraneo;
   il 3 febbraio 2016 si è riunito a Roma, su invito del Ministro interrogato, lo «Small Group della Coalizione Globale anti Daesh» per fare un bilancio del lavoro della Coalizione e per accelerare gli sforzi collettivi per indebolire e sconfiggere definitivamente Daesh; nel corso della riunione è stato riconosciuto l'impegno e il ruolo dell'Italia nel contrasto al sedicente stato islamico sia in termini di uomini che finanziari, in particolare nei teatri di crisi del Mediterraneo;
   il 4 febbraio 2016 il Ministro interrogato ha partecipato alla Conferenza dei Paesi donatori per la Siria «Supporting Syria and the region», che si riunisce allo scopo di raccogliere ulteriori fondi per fronteggiare la gravissima crisi umanitaria in corso, ma anche avviare programmi di medio-lungo periodo rivolti alla ripresa economica dei Paesi della regione;
   in tale occasione il Ministro interrogato ha affermato che «l'Italia metterà sul tavolo degli aiuti 400 milioni di dollari, 150 milioni a dono, 200 milioni di prestiti soft loans e 50 milioni di cancellazione del debito per i Paesi limitrofi, Giordania e Libano»;
   l'Onu ha previsto per il 2016 una richiesta complessiva pari a quasi 9 miliardi di dollari, di cui 3,2 per interventi in Siria e 5,8 per i Paesi della regione che ospitano il maggior numero di rifugiati, quali, ad esempio, il Libano, il Paese che ospita il maggior numero di rifugiati pro capite al mondo, dove il Governo ha interrotto la registrazione, da parte dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati, dei nuovi arrivati e ha introdotto nuove norme che hanno reso più difficile il rinnovo del permesso di soggiorno creando serie e preoccupanti condizioni di pericoli ai rifugiati –:
   quale sia la valutazione del Governo dell'accordo di tregua proposto da Usa e Russia e come intenda contribuire, a livello sia europeo che internazionale, per rafforzare l'iniziativa internazionale contro il sedicente stato islamico e per la ripresa dei negoziati politici in Siria.
(3-02050)


   FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. – Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionalePer sapere – premesso che:
   in occasione del Consiglio europeo svoltosi a livello di Capi di Stato e di Governo tra il 18 ed il 19 febbraio 2016 sono state raggiunte intese di notevole portata tra l'Unione europea ed il Regno Unito;
   il Governo del Regno Unito è riuscito nella circostanza a dilatare enormemente l'area della propria autonomia dal processo di ulteriore trasferimento delle sovranità dagli Stati membri verso l'Unione europea;
   per la prima volta, al di fuori delle procedure previste dai Trattati, uno Stato membro dell'Unione è riuscito a rinegoziare i termini della propria partecipazione all'Europa comunitaria;
   è stato in questo modo stabilito un precedente importante, al quale si potrebbe far riferimento in futuro qualora gli interessi nazionali del nostro Paese lo consigliassero;
   a fronte di quanto ottenuto dal Regno Unito nel corso del più recente Consiglio europeo, si continua a discutere della possibile istituzione di un superministro del Tesoro europeo e comunque di accelerazioni nel trasferimento di sovranità verso le autorità brussellesi;
   gli interessi del nostro Paese, e soprattutto la necessità di recuperare autonomia e flessibilità rispetto alla pratica dell'austerità fiscale, vanno nella direzione esattamente opposta a quella che sta rafforzandosi nell'Unione europea –:
   se, alla luce di quanto accaduto, il Governo non ritenga opportuno valersi del precedente stabilito dal Regno Unito al Consiglio europeo del 18-19 febbraio 2016 per sottrarre la politica economica del nostro Paese alla direzione di un eventuale superministro del Tesoro europeo.
(3-02051)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   CRIVELLARI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Delta del Po rappresenta un'importante zona di sosta, riproduzione, svernamento per uccelli migratori, in particolare acquatici e le valli, lagune, i tratti terminali dei rami del fiume Po sono oggi sito di importanza europeo e riconosciuto come patrimonio dalle organizzazioni internazionali;
   con la legge n. 36 del 1997 la regione del Veneto ha istituito il parco regionale del delta del Po veneto che comprende i rami deltizi del Po e porzioni di valli e di lagune;
   l'intera area purtroppo è interessata da un intenso fenomeno di bracconaggio;
   le associazioni in difesa dell'ambiente hanno, da tempo, segnalato il perdurare di attività di caccia illegale, praticata ai danni dell'avifauna migratoria in tutto il comprensorio lagunare e vallivo del Delta del Po;
   dal 2004 ad oggi, si riscontra la presenza di bracconieri in azione;
   un centinaio di episodi sono stati segnalati alle autorità competenti poiché l'attività venatoria veniva eseguita con l'uso di registratori con il verso degli uccelli e di armi semiautomatiche con caricatore contenente più di due cartucce, vietate dalla cosiddetta direttiva «Uccelli» dell'Unione europea e dalla legge n. 157 del 1992 sulla protezione della fauna selvatica e della caccia;
   per diverse ragioni la vigilanza effettuata dagli organismi preposti si è rivelata del tutto inadeguata ad affrontare il fenomeno che negli anni non è diminuito ma si è sempre più consolidato;
   nel 2007, la polizia provinciale di Rovigo ha sequestrato, nel corso di un singolo controllo, oltre 700 uccelli abbattuti in una valle da pesca in violazione del limite consentito di uccelli abbattibili;
   numerosi sono stati, nel tempo, i recuperi di uccelli non cacciabili feriti o uccisi dai bracconieri tra quali l'uccisione di una gru (Grus grus) o l'abbattimento in passato di specie protette, quali ad esempio il biancone (Circaetus gallicus), il fenicottero (Phoenicopterus ruber), specie, queste, inserite tutte nell'allegato I della cosiddetta direttiva «Uccelli», che elenca le specie oggetto di maggiore protezione;
   in data 29 novembre 2015, con lettera indirizzata a presidente della provincia di Rovigo – assessore alla caccia e pesca, al Dirigente dell'ufficio caccia della provincia di Rovigo, ai parlamentari locali e ai consiglieri della regione Veneto, con oggetto «Segnalazione di reati in materia di caccia e richiesta di messa in atto di azioni di contenimento del fenomeno del bracconaggio nel Delta del Po», il presidente del Wwf, sezione di Rovigo, ha segnalato una situazione di grande allarme relativamente al bracconaggio in atto nel Delta del Po;
   in data 2 gennaio 2016, tale fenomeno illegale ha avuto l'attenzione di un'importante trasmissione televisiva nazionale di denuncia, con la messa in onda di un servizio dedicato a «La mattanza sul Delta del Po»;
   sono state documentate attività di bracconaggio diffuso da parte di cacciatori, con armi non consentite dalla legge sulla caccia; richiami vivi legati con una corda; utilizzo di richiami elettroacustici; utilizzo di munizioni vietate –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato al fine di contrastare il fenomeno del bracconaggio nel Delta del Po, tutelando la fauna selvatica migratrice, quali siano i possibili piani di rafforzamento delle attività di controllo e, non ultimo, come sia possibile intervenire per irrogare sanzioni adeguate ove vengano riscontrate infrazioni alle leggi o se sia possibile assumere iniziative normative per dissuadere o limitare il fenomeno del bracconaggio venatorio nel Delta del Po. (4-12210)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRODANI, RIZZETTO e MUCCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il castello di Miramar (Miramare), sito turistico di primo piano per la città di Trieste e meta tra le più visitate del Friuli Venezia Giulia, già dimora di Massimiliano d'Asburgo, è circondato da un parco storico di 22 ettari da diversi anni in uno stato di abbandono e degrado; il castello ed il parco, essendo beni di interesse pubblico, sono soggetti al regime di tutela dei beni culturali ai sensi degli articoli 10, 11 e 12 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il «codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137», in consegna al polo museale del Friuli Venezia Giulia;
   le indecorose e preoccupanti condizioni dei giardini sono state costantemente oggetto di attenzione, negli ultimi anni, da parte di numerosi articoli giornalistici comparsi su diverse testate, da parte della cittadinanza e dei turisti attraverso i social network e di un servizio del TG1 trasmesso il 1o settembre 2015. Lo scorso agosto, una mostra intitolata «Il Parco di Miramare e le condizioni di degrado» organizzata dalla sede di Trieste di Italia Nostra e dall'Associazione Orticola del Friuli Venezia Giulia con la consulenza storica dell'ingegnere Stefania Musco, attraverso un'accurata analisi della situazione attuale, ha posto un'ulteriore accento sullo stato preoccupante del parco;
   in merito all'operato del polo museale del Friuli Venezia Giulia, hanno trovato ampia eco sulle pagine dei quotidiani sia le polemiche tra i vertici dell'organo e le commissioni consigliari del comune di Trieste che si sono occupate della questione, sia la continua ed insistente negazione da parte dei responsabili del polo museale del Friuli Venezia Giulia dello stato di degrado, nonostante la facilità per chiunque di verificarne la situazione reale;
   nel corso degli scorsi mesi di novembre e dicembre 2015, molti utenti hanno comunicato, attraverso i social network (principalmente sulla pagina Facebook «Trieste per Miramare»), di aver inviato, secondo le indicazioni pubblicate dal sito internet http://www.castellomiramare.it il modulo di reclamo previsto dalla carta dei servizi; il sito in questione riporta che «la carta della qualità dei servizi risponde all'esigenza di fissare principi e regole nel rapporto tra le amministrazioni che erogano servizi e i cittadini che ne usufruiscono. Essa costituisce un vero e proprio “patto” con gli utenti, uno strumento di comunicazione e di informazione che permette loro di conoscere i servizi offerti, le modalità e gli standard promessi, di verificare che gli impegni assunti siano rispettati, di esprimere le proprie valutazioni anche attraverso forme di reclamo»;
   il modulo predisposto indica che «al presente reclamo verrà data risposta entro 30 giorni». Negli scorsi giorni, sempre attraverso i social network, gli stessi sottoscrittori dei reclami hanno lamentato la mancata replica della direzione entro il termine dei 30 giorni, indicati nel modulo stesso, previsti per la risposta;
   il 13 gennaio 2016 il Ministro interrogato ha presentato al Comitato permanente del turismo tutti i numeri dei musei italiani del 2015. Per quanto riguarda gli ingressi registrati presso il castello di Miramare, si segnalano 254.002 biglietti staccati, un 0,14 per cento in più rispetto al 2014, mentre il numero degli ingressi al parco sarebbe stimato in 782.700 persone;
   si tratta di dati allarmanti, soprattutto se rapportati ai numeri pubblicati dall'ufficio statistica del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo sul proprio sito internet (http://www.statistica.beniculturali.it). Mentre, per il castello, il numero di ingressi è simile a quello registrato nel 2010, per il parco, posto che fino al 2010 il calcolo empirico relativo agli ingressi si aggirava, in maniera del tutto fuorviante, attorno ai 3 milioni di accessi annui, la stima dei visitatori dal 2012 risulterebbe in picchiata (per il 2012 stimati 1.189.661, per l'anno 2013 stimati 912.500, per l'anno 2014 stimati 883.100 e per il 2015 stimati 782.700, più di 2000 persone di media al giorno);
   considerando che parte del finanziamento annunciato dal dottor Caburlotto sul Piccolo del 6 gennaio 2016 verrà «dedicata innanzitutto alle strutture e agli impianti necessari all'attivazione del biglietto di accesso al parco», non disporre dei numeri sui reali accessi e quindi non riuscire ad elaborare un calcolo preciso sulle presunte entrate, pare un approccio superficiale e poco concreto –:
   se, una volta insediata la nuova governance del parco e del castello, intenda proporre il ritorno della denominazione originaria di «Miramar» a parco e castello, così come voluto dal suo ideatore e creatore Massimiliano d'Asburgo;
   se intenda chiarire quale sia il sistema di calcolo adottato per misurare gli accessi dei visitatori al parco;
   se intenda verificare il corretto rispetto della carta della qualità dei servizi da parte degli organi periferici del Ministero e se sia stato dato il dovuto riscontro entro i termini previsti ai reclami inviati dagli utenti. (4-12216)


   PRODANI, RIZZETTO e MUCCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il castello di Miramar (Miramare), sito turistico di primo piano per la città di Trieste e meta tra le più visitate del Friuli Venezia Giulia, già dimora di Massimiliano d'Asburgo, è circondato da un parco storico di 22 ettari da diversi anni in uno stato di abbandono e degrado; il castello e il parco, essendo beni di interesse pubblico, sono soggetti al regime di tutela dei beni culturali ai sensi degli articoli 10, 11 e 12 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il «Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137», in consegna al polo museale del Friuli Venezia Giulia;
   l'interrogante ha affrontato la questione delle condizioni del parco con diverse interrogazioni:
    la n. 4-00897, presentata in data 18 giugno 2013, con la quale si sollecitava un confronto del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con gli enti locali al fine di stabilire un piano di recupero per il castello ed il parco di Miramare;
    la n. 4-08760 del 13 aprile 2015, in cui si chiedeva, oltre ai motivi dei ritardi sull'utilizzo dei finanziamenti previsti dall'accordo di programma del 2012, di accelerare le opere di recupero del sito;
    la n. 5-06613, dell'8 ottobre 2015, con cui si chiedeva un intervento dell'Esecutivo finalizzato ad impegnare i fondi disponibili per bonificare il parco e a valutare l'offerta, che sarebbe pervenuta dai discendenti degli Asburgo, di finanziare le opere di sistemazione;
    la n. 4-10833 del 21 ottobre 2015 con la quale si richiedeva un intervento presso la Soprintendenza al fine di ripristinare i rapporti istituzionali tra gli organi periferici del Ministero e gli organi amministrativi comunali;
    la n. 5-06847 del 30 ottobre 2015 con cui si richiedeva di sospendere la nomina del nuovo direttore del castello e parco di Miramare e di indicare la progettualità predisposta per il recupero del parco sfruttando le numerose professionalità competenti in materia sul territorio triestino e regionale;
    la n. 5-07089 del 25 novembre 2015 con la quale si richiedeva un intervento al Ministero competente per riportare gli organi periferici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ai dovuti e necessari livelli di credibilità;
    la n. 5-07153 depositata il 2 dicembre 2015, per richiedere un approfondimento in merito alle diverse tipologie di assegnazione degli interventi e dei lavori adottati dalla Soprintendenza;
    la n. 5-07202 depositata il 10 dicembre 2015 per chiedere al Ministero un preciso impegno per garantire al WWF Italia adeguati spazi per l'attività di ricerca e di divulgazione all'interno del comprensorio del parco;
    la n. 5-07240 del 17 dicembre 2015 con la quale si richiedeva di istituire una commissione tecnico scientifica, dotata delle necessarie competenze, quale supporto alla Soprintendenza nella programmazione degli interventi e nella gestione corrente del parco;
    la n. 5-07297 del 22 dicembre 2015 con la quale si proponeva una sperimentazione gestionale del parco, facendone un progetto pilota da poter, eventualmente, replicare su altre realtà similari;
   il 19 gennaio 2016 è stata pubblicata nell'allegato B della seduta n. 550 la risposta della Sottosegretario Borletti Buitoni all'interrogazione 4-08760 del 13 aprile 2015;
   in tale risposta, pervenuta 8 mesi dopo il deposito del testo e che non prende in considerazione tutta una serie di proposte e di questioni sollevate negli atti di sindacato ispettivo depositati negli ultimi mesi del 2015, il Ministero descrive una situazione sulle condizioni del parco che denota, a parere dell'interrogante, una scarsa conoscenza delle condizioni reali in cui versa il sito nonché, implicitamente, un insufficiente controllo sull'operato dei propri organi periferici;
   infatti, le indecorose e preoccupanti condizioni dei giardini sono state costantemente oggetto di attenzione da parte di numerosi articoli giornalistici comparsi su diverse testate, da parte della cittadinanza e dei turisti attraverso i social network e di un servizio del TG1 trasmesso il 1o settembre 2015. Lo scorso agosto, una mostra intitolata «Il Parco di Miramare e le condizioni di degrado» organizzata dalla sede di Trieste di Italia Nostra e dall'Associazione Orticola del Friuli Venezia Giulia con la consulenza storica dell'ingegnere Stefania Musco, attraverso un'accurata analisi della situazione attuale, ha posto un'ulteriore accento sullo stato preoccupante del parco;
   in merito all'operato del polo museale del Friuli Venezia Giulia, hanno trovato ampia eco sulle pagine dei quotidiani sia le polemiche tra i vertici dell'organo e le commissioni consigliari del comune di Trieste che si sono occupate della questione, sia la continua ed insistente negazione, da parte dei responsabili del polo museale del Friuli Venezia Giulia, dello stato di degrado, nonostante la facilità per chiunque di verificarne la situazione reale;
   dalla citata risposta del Governo si apprende che, «Il dirigente del polo museale del Friuli Venezia Giulia, congiuntamente al direttore del museo storico del castello di Miramare e al responsabile tecnico del castello e del parco di Miramare, ha provveduto a redigere un masterplan del parco stesso per un importo complessivo di euro 5.000.000,00 articolato per ordine di priorità, consegnato alla direzione centrale cultura sport e solidarietà della regione autonoma Friuli Venezia Giulia con nota 4 settembre 2015, al fine della trasmissione alla società Invitalia-Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa, per il suo inserimento nel progetto per la valorizzazione degli attrattori culturali regionali, con finanziamenti a valere sul bilancio dello Stato»;
   sempre il 19 gennaio 2016, il Ministro Franceschini, nel corso di una riunione congiunta delle Commissioni Cultura di Camera e Senato, ha esposto il progetto di completamento della riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, secondo il quale il Ministero viene ridisegnato a livello territoriale per rafforzare i presidi di tutela e semplificare il rapporto tra cittadini e amministrazione. Oltre alla ridefinizione delle Soprintendenze, la riorganizzazione prevede l'istituzione di dieci nuovi musei e parchi archeologici autonomi retti da direttori selezionati con bando internazionale. Nella lista dei dieci nuovi istituti autonomi figura anche il «Museo storico e il Parco del Castello di Miramare» a Trieste;
   il decreto 23 dicembre 2014 del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo recante «Organizzazione e funzionamento dei musei statali» e successive modifiche, prevede, per i musei dotati di autonomia speciale, una struttura gestionale particolare, attribuita ad un direttore individuato attraverso un bando internazionale, un consiglio di amministrazione e da un comitato scientifico con funzione consultiva;
   alla luce della nuova riorganizzazione proposta dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo per parco e castello di Miramare, risulterebbe quantomeno opportuno, una volta insediata la nuova governance, che questa riconsiderasse il masterplan elaborato dall'attuale dirigenza; sia alla luce del consistente importo a disposizione, che delle competenze di cui dovrebbe disporre, secondo quanto previsto dalla normativa, il nuovo istituto così come riorganizzato;
   a parere dell'interrogante, sarebbero urgenti sia una accurata e profonda verifica, da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, dell'operato del polo museale del Friuli Venezia Giulia, che una conoscenza approfondita dello stato del parco e del castello di Miramare da avviare attraverso un soggetto terzo –:
   se il Ministro interrogato possa fornire una previsione in merito alle tempistiche necessarie per l'istituzione dei 10 nuovi istituti autonomi ed in merito alla piena operatività dei nuovi istituti;
   se intenda predisporre la revisione e l'attualizzazione del masterplan elaborato dal polo museale del Friuli Venezia Giulia affidandone la nuova elaborazione al direttore con la consulenza del comitato scientifico, una volta operativi;
   se, intenda programmare l'invio degli ispettori ministeriali per accertarsi del corretto operato della dirigenza del polo museale del Friuli Venezia Giulia e verificare il rispetto dei termini per la risposta ai reclami degli utenti così come previsti dalla carta dei servizi;
   se intenda verificare direttamente le reali condizioni del parco e del castello di Miramare. (4-12217)

DIFESA

Interrogazione a risposta immediata:


   FRUSONE, MANLIO DI STEFANO, TOFALO, GRANDE, BASILIO, SPADONI, CORDA, SCAGLIUSI, RIZZO, DEL GROSSO, PAOLO BERNINI, SIBILIA e DI BATTISTA. – Al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che:
   l'aviazione degli Stati Uniti ha bombardato nella notte tra il 19 e il 20 febbraio 2016 un supposto campo di addestramento dell'Is nei pressi della cittadina libica di Sabrat, nell'ovest del Paese;
   obiettivo del raid americano era Noureddine Chouchane, la presunta mente delle stragi dello scorso anno in Tunisia, al museo Bardo e sulla spiaggia di Sousse. Secondo quanto riporta il New York Times, il bilancio è di «oltre 30 jihadisti uccisi». Tra le vittime ci sarebbero anche donne e bambini. Ancora incerta la sorte di Chouchane;
   secondo il Ministero degli esteri della Serbia due ostaggi, Jovica Stepic e Sladjana Stankovic – rispettivamente autista e responsabile comunicazioni dell'ambasciata di Serbia in Libia – sarebbero rimasti uccisi nei bombardamenti. Erano stati rapiti l'8 novembre 2015 in un'imboscata a colpi d'arma da fuoco contro un convoglio diplomatico del quale faceva parte l'ambasciatore serbo Oliver Potezica. L'attacco era avvenuto nei pressi di Sabrat;
   non è dato sapere se l'Italia era stata informata del raid, se ha dato il suo assenso e se i caccia Usa hanno potuto colpire anche grazie all'appoggio logistico delle basi ed infrastrutture alleate presenti in Sicilia o, più in generale, nel nostro Paese;
   il costituendo Governo libico per bocca del Premier Al Sarraj ha duramente condannato il raid Usa sulla Libia;
   l'edizione on-line del quotidiano Wall Street Journal del 22 febbraio 2016 riporta che il Governo italiano avrebbe concesso agli Stati Uniti l'uso della base di Sigonella per condurre operazioni armate di velivoli senza pilota sulla Libia;
   secondo lo stesso quotidiano le missioni degli APR statunitensi non possono essere di carattere offensivo ma solo di tipo difensivo per proteggere le forze speciali Usa presenti in Libia, presenza peraltro in precedenza negata dal Governo di Washington;
   ci si trova ad avviso degli interroganti di fronte all'ennesima iniziativa unilaterale di una potenza militare i cui confini sono lontanissimi da quelli della Libia (al contrario di quelli italiani) e che può innescare una escalation analoga a quella che nel 2011 ha portato caos e distruzione in Libia e contribuito a impiantare in quel Paese il terrorismo di Daesh;
   il Parlamento italiano, approvando la missione Eunavfor Med e le risoluzioni dell'Unione europea in materia, hanno chiaramente definito che un eventuale intervento in Libia potrà avvenire solo con specifica risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e con il consenso del Governo libico (Governo ancora in via di costituzione) –:
   se il Governo non reputi di doversi dissociare da iniziative unilaterali nei confronti della Libia anche se effettuate da parte di alleati e se non intenda per questo negare l'autorizzazione ad ogni supporto logistico, droni compresi, – attivo o passivo – delle infrastrutture militari nazionali e Nato presenti nel nostro Paese ad iniziative di guerra come quella riportata in premessa. (3-02043)

Interrogazioni a risposta orale:


   ZACCAGNINI e PIRAS. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal 2016 lo Stato Maggiore dell'Esercito ha emanato il nuovo regolamento interno dei servizi di caserma in cui si prevedono degli elementi di novità rispetto alla precedente edizione;
   per effetto di questo nuovo regolamento la categoria dei graduati, ad esempio, non potrà svolgere compiti in relazione alla propria anzianità di servizio e di grado ricoperto, trovandosi a ricoprire mansioni che prima erano affidate a militari di leva e volontari in ferma prefissata;
   tale circolare sembrerebbe non fare alcuna differenza professionale tra i cosiddetti graduati e volontari di truppa. Non tiene, inoltre, conto del «codice dell'ordinamento militare» di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 articolo 627, nel quale è stabilito che: «il personale militare è inquadrato in quattro categorie gerarchicamente ordinate: a) ufficiali; b) sottufficiali; c) graduati (dal grado di Caporal Maggiore Capo Scelto a primo caporal maggiore); d) militari di truppa (volontari in ferma prefissata, gli allievi carabinieri, gli allievi finanzieri, gli allievi delle scuole militari, navale e aeronautica, gli allievi marescialli in ferma, gli allievi ufficiali in ferma prefissata e gli allievi ufficiali delle accademie militari»;
   occorre chiarire che l'impiego «professionale» dei «graduati», con oltre vent'anni di servizio alle spalle, si ritrovano a svolgere servizi effettuati da sempre dai militari di leva e dai volontari in ferma triennale senza un minimo di riconoscimento professionale dovuto al carico di responsabilità maggiore;
   la riduzione degli organici, in particolare dei giovani volontari, stravolge l'impiego professionale del personale militare, declassandolo dal punto di vista dei servizi rispetto alla precedente circolare «2938 – Norme per la vita e il servizio interno di caserma – in vigore fino al 2015» –:
   quali iniziative il Ministro interrogato, per quanto di competenza, intenda assumere nell'immediato per tutelare la dignità dei graduati delle Forze armate e garantire, con lo stesso criterio utilizzato per le altre categorie, l'anzianità di servizio e il grado acquisito con incarichi di maggiore responsabilità ad esempio attraverso la partecipazione alla turnazione del «sottufficiale d'ispezione» ripristinando le linee guide della circolare 2938 che teneva conto e del grado e dell'anzianità di servizio;
   quali siano le novità che il Governo intende introdurre in materia di progressione delle carriere e di riordino, visto l'appiattimento economico, professionale ed anche previdenziale dei graduati in servizio permanente, che nel 2024 potrebbero compromettere la funzionalità della stessa forza armata per via dell'invecchiamento del personale. (3-02039)


   MASSIMILIANO BERNINI e TERZONI. — Al Ministro della difesa, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 febbraio 2016 è stato pubblicato sul «IL Fatto Quotidiano OnLine» un articolo dal titolo «Il Pasticcio dei forestali» sul tema dell'assorbimento dei circa settemila agenti del Corpo forestale dello Stato (CFS) nell'Arma dei carabinieri.
   in tale articolo è riportato di una «Riunione riservatissima» tenuta qualche giorno fa allo Stato maggiore della Difesa per discutere del previsto passaggio all'Arma dei carabinieri di quasi settemila agenti... del Corpo forestale dello Stato, e di come «dalla riunione è [sia] emerso come non saranno né il Parlamento né i sindacati a creare i maggiori problemi perché pare che meno di tremila forestali su 7034 previsti potranno transitare nei carabinieri».
   l'articolo prosegue riportando che «Il Comando generale ha infatti “scartato” quasi quattromila agenti per varie ragioni, idoneità fisica, età, profili di carriera, stato di servizio, oltre a una serie di altri parametri e valutazioni che non sono stati discussi nel dettaglio»;
   nel prosieguo, viene specificato inoltre che «Alcuni dei presenti alla riunione, i carabinieri stessi in particolare, hanno lamentato la fretta e l'approssimazione con cui il decreto legislativo è stato elaborato senza prima aver fatto una ricognizione approfondita della situazione»;
   l'articolo, infine, riporta che «all'inizio del 2017, quando il decreto dovrebbe entrare in vigore, il Corpo forestale dello Stato non esisterà più e i carabinieri, a quel punto, avranno oltre quattromila uomini in meno mentre i forestali che l'Arma non vuole nei suoi ranghi si ritroveranno improduttivi e parcheggiati in sovrannumero nelle amministrazioni statali senza sapere cosa fare. Con ecomafie e vandali ambientali vari già pronti a razziare il territorio lasciato incustodito»;
   va detto che l'Arma dei carabinieri con nota del 19 febbraio 2016 ha provveduto a smentire le notizie sopra riportate dalla testata on line asserendo che «[tali] notizie sono destituite di ogni fondamento: semplicemente false»;
   il Movimento 5 Stelle, già in numerosissime interrogazioni presentate e a cui non ha ricevuto risposta, ha sollevato molti dubbi riguardo a questo – ad avviso degli interroganti «ambiguo» accorpamento –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopra riportati e se risulti che i fatti dedotti negli articoli di stampa sopra menzionati siano veritieri o privi di fondamento;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative normative per prevedere una riorganizzazione interna del Corpo forestale di Stato, senza disporne l'accorpamento in altra forza di polizia, riconsiderando la possibilità di creare un unico corpo di polizia ambientale autonomo e specializzato, anche in capo al corpo forestale dello stato, in cui far confluire i nuclei ambientali dell'Arma dei carabinieri, della polizia di Stato, delle polizie provinciali e dei corpi forestali regionali così da concentrare in un unico corpo le funzioni di tutela e salvaguardia ambientale;
   se i Ministri interessati, in caso di assorbimento del Corpo forestale in altra forza di polizia, anche in relazione alle notizie di stampa riportate, intendano ad oggi confermare la stima di 7.034 unità del Corpo forestale di Stato trasferite all'Arma su un totale di 7.781 pari al 90,4 per cento contenuta nell'analisi di impatto della regolamentazione (AIR) che accompagna lo schema di decreto legislativo in attuazione dell'articolo 8 della legge 124 del 2015;
   se i Ministri interessati intendano fornire elementi circa principali ostacoli da superare in tale eventuale accorpamento del Corpo forestale di Stato con l'Arma dei carabinieri, con specifico riferimento:
    a) ai costi aggiuntivi dovuti al cambio di divise, cambio di automezzi e/o loro reimmatricolazione con modifica dell'estetica esterna;
    b) alle differenze tra i criteri di arruolamento nell'Arma dei carabinieri rispetto a quelli in essere per il Corpo forestale dello Stato;
    c) a quali saranno le modalità della formazione dei militari dell'Arma in relazione alle materie trattate dal Corpo forestale dello Stato, dato che ad oggi non risultano agli interroganti indicazioni al riguardo. (3-02040)


   ZACCAGNINI e PIRAS. — Al Ministro della difesa, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'associazione «Il movimento libera rappresentanza», è un'organizzazione non politica, senza scopi di lucro, nata dalla volontà di un gruppo di cittadini che desiderano unire la società civile con quella «militare», alla quale partecipano anche membri osservatori di Euromil, l'organizzazione internazionale delle associazioni militari. In data 1o giugno 2015, a firma del proprio consulente legale l'avvocato Francesco Pandolfi «esperto in diritto militare», compare sul blog dell'associazione il seguente contributo dal titolo: «Militari: indice di massa corporea», nel quale si descriveva come:
    «Lo Stato Maggiore dell'Esercito applica al personale militare la cosiddetta circolare I.MC, “indice di massa corporea”, che fissa un limite tra l'idoneità e la non idoneità al servizio, ossia il limite del 30 per cento per gli uomini e il 28 per cento per le donne, riconducendo il controllo ad una mera applicazione di una formula matematica senza tenere contro della specificità di ogni individuo. Sembra però che detta circolare venga applicata in maniera generica sul personale: chi non rientra nei requisiti previsti (elaborazione matematica di valori antropometrici) viene collocato in convalescenza per lunghi periodi, fino a 180 giorni, senza lavorare, il tutto per ridurre l'IMC di almeno un punto: dopo di ciò si avvia la fase delle convalescenze, fino a due anni. Da un lato si tratta di un grave spreco economico poiché si pagano persone collocate dalla propria amministrazione a riposo coatto, dall'altra parte queste interminabili convalescenze mettono a rischio l'impiego del militare. Ora, stando ai principi di medicina legale, al fine di valutare l'idoneità o meno al servizio, si individua come sbarramento un'infermità ascrivibile ad una 5o o 6o categoria comunque, tale patologia deve essere in netto contrasto con l'espletazione dei compiti d'istituto»;
    nel medesimo contributo si legge che «nelle tabelle delle valutazioni di infermità, l'obesità non viene menzionata; le CMO applicano la normativa rigidamente rispetto ad altre patologie permanenti. Non potendo riformare solo per l'obesità, tendono a far sforare i 730 giorni (stipendiati senza lavorare per risposo forzato) di aspettativa, con conseguente decadimento dal servizio e con la possibilità di non transitare nei ruoli civili. Per quanto concerne invece l'invalidità civile, la percentuale d'invalidità che può essere concessa ad un soggetto obeso (soltanto in presenza di obesità di terzo grado con IMC superiore a 40 per cento) va dal 31 per cento al 40 per cento in quei soggetti con limitata funzionalità e con masse adipose voluminose tali da non poter svolgere le normali attività»;
    nel documento è altresì evidenziato che «è corretto considerare l'obesità come una patologia vera e propria da trattare come tale, ovvero con percorsi personali mirati di rieducazione elementare e di sport. Un ambiente di lavoro particolarmente stressante può condurre alcune persone ad un deperimento generale, altre all'impinguamento: si può pretendere che una persona possa intraprendere un percorso per ristabilire un equilibrio salutistico se subisce la costante pressione psicologica della paura di perdere il lavoro ? Sembra arduo giungere a valutare l'obesità in funzione del grado e dell'incarico, che, evidentemente, non corrispondono a parametri medici»;
    nello stesso documento si rileva che «rispetto alla questione tesa a verificare e far rientrare il personale militare all'interno dei parametri ponderali, indicati dalla direttiva di forza armata, sovente sono state sollevate da parte del personale domande e perplessità che fanno emergere forti dubbi e lacune normative»;
    a giudizio dell'interrogante è condivisibile quanto esposto nel suddetto documento, laddove si legge ancora che «si ritiene opportuno rivedere alcuni parametri giudicati eccessivi e privi di fondamento scientifico con un ulteriore elemento di dubbio, nascente dal fatto che la normativa vigente preveda, in caso di superamento della percentuale del 30 per cento, l'obbligo per il personale di essere posto in convalescenza attraverso un lesivo meccanismo di deliberata “esclusione” anziché “inclusione” della persona dall'ambito lavorativo. Di fatto la persona si ritrova sola a gestire e risolvere la propria condizione»;
    «la tutela della salute si evidenzia inoltre nel documento è scopo primario di ogni norma e, per questo, occorre un vero e proprio cambiamento di “filosofia”, atto a preservare e mettere al centro della problematica la persona. L'aiuto va portato in loco con l'ausilio del DSS, degli istruttori ginnico-militari, per seguire un programma alimentare e sportivo all'interno delle strutture e in orari di servizio, evitando di porre, in convalescenza e con obbligo di presentarsi alle visite preposte solo alla scadenza di questa. La convalescenza produce effetti dirompenti in termini di carriera e giuste aspettative in capo al personale rappresentato: non vengono effettuate le minime consulenze specialistiche in materia, nonostante provvedimenti quali quelli della collocazione in convalescenza (che rischiano di determinare la perdita del posto di lavoro). È noto che tali “rischi” non sussistono per gli appartenenti ad altre Forze armate, tanto meno in capo al comparto sicurezza, e ciò nonostante, i dettami legislativi di equa ordinazione. Le disposizioni in materia di I.M.C. possono portare fino alla perdita del posto di lavoro per riforma, ciò in palese disparità di trattamento tra il personale dello stesso comparto o tra i comparti Difesa-Sicurezza». Il Ministero della salute dà indicazioni ben precise sull'unità di misura I.M.C.;
    l'IMC può determinare orientativamente, la valutazione del sovrappeso e dell'obesità, ma non dell'effettiva composizione della massa corporea di un individuo: in altri termini, l'IMC non distingue la massa grassa dalla massa magra. In questo modo, si presenta l'evidente rischio di sovrastimare il grasso corporeo in soggetti, come gli sportivi, che hanno una corporatura muscolosa, oppure di sottostimare il grasso corporeo in soggetti anziani, che hanno meno massa muscolare. L'IMC non consente, pertanto, di conoscere la distribuzione del grasso corporeo che, invece, è fondamentale identificare nella sua localizzazione. La distribuzione di grasso maschile, detta «androide» si associa ad una maggiore presenza di tessuto adiposo nella regione addominale, toracica, dorsale. La distribuzione di grasso «a pera» detta «ginoide» (o anche sottocutanea) si caratterizza per una presenza delle masse adipose nella metà inferiore dell'addome, nelle regioni glutee e in quelle femorali. Con l'utilizzo dell'indice di massa corporea non sarà mai possibile, ad esempio, scoprire le differenze sostanziali tra soggetto femminile e soggetto maschile, avuto riguardo alla percentuale corporea di massa grassa e massa magra. Dunque, l'indice può essere indifferentemente utilizzato sia nei confronti degli uomini, che nei confronti delle donne: è questo uno dei suoi limiti, non rappresentando alcuna distinzione uomo/donna; gli studi medico – clinici e le stesse valutazioni dell'OMS ci dicono che le donne hanno un grasso maggiore rispetto agli uomini. Discorso a parte va fatto per tutte le persone un po’ più avanti con l'età. Questa categoria di soggetti è infatti influenzata da altri fattori, rispetto agli adulti più giovani, come le modificazioni biologiche collegate all'età, allo stato di salute, allo stile di vita, ai fattori socioeconomici: è possibile, quindi, tranquillamente dedurre che per entrambi i sessi l'efficacia dell'IMC diminuisce con il passare dell'età. In buona sostanza, l'IMC, per la sua semplicità, non dà a giudizio dell'interrogante indicazioni utili sulla distribuzione del grasso corporeo, che invece sarebbe molto importante identificare –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intendano adottare in merito;
   se il Ministro della difesa intenda assumere iniziative volte a modificare la circolare di cui in premessa;
   come si concili l'applicazione della suddetta circolare con la normativa vigente in materia di diritti universali dell'uomo e di tutela della salute della persona, con quanto previsto dall'atto di arruolamento sottoscritto dai quadri permanenti, nonché con l'equo ordinamento tra le Forze armate e le Forze dell'ordine. (3-02041)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DURANTI e PIRAS. Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'assistente tecnico per la motoristica, la meccanica e le armi, il signor B. F., impiegato presso la «MARISTANAV TA S.E.N.», inoltra dal 2005 istanza di trasferimento a Milazzo (ME) oppure ad altri enti nella zona di Messina o altre località limitrofe;
   le reiterate richieste di trasferimento sono state ampiamente giustificate con motivazioni di carattere personale, nello specifico per la garanzia del cosiddetto ricongiungimento familiare;
   nel corso degli anni, diversi e ripetuti pareri favorevoli sono stati espressi dalla direzione arsenale, fra cui per ultimo quello espresso in data 13 maggio 2014 dal capo servizio efficienza Navi, C.V. (GN) Pierpaolo Budri, che testualmente esprime parere favorevole «trattandosi di persona preparata, laboriosa e sempre disponibile che potrà certamente molto ben figurare nell'E.d.O. presso il quale verrà impiegato. Pur privandomi di una risorsa preziosa, sono disponibile a che venga sostituito anche non contestualmente al suo eventuale trasferimento»;
   nonostante tali formali indicazioni la direzione generale per il personale civile — in ultimo con comunicazione del 29 dicembre 2015 — ha ritenuto di «non procedere a favorevole accoglimento in quanto non possibile provvedere alla sostituzione richiesta»;
   a detta dell'interrogante, la specificità del caso sopra esposto porrebbe in essere una lesione di un diritto individuale che ha valenza generale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto e per verificare se esistano altri casi simili di richieste inoltrate alla direzione di cui in premessa, che non siano state accolte e per quali motivi. (5-07871)

Interrogazione a risposta scritta:


   LA RUSSA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   a partire dai primi anni settanta vi è sempre stata una attiva collaborazione tra il Governo italiano e quello maltese, prima nel settore dell'assistenza tecnico militare e poi più specificatamente in quello della difesa;
   in forza di un accordo sottoscritto nel 1981 tra i due Governi furono istituite la Delegazione italiana di assistenza tecnico militare (DIATM) e la Missione italiana di cooperazione tecnica a Malta (MICTM) con il compito di addestrare volontari da inserire nelle forze armate e di polizia maltesi, e di realizzare opere di genio civile;
   nel 1988 in seguito alla firma di un nuovo memorandum di intesa tra il Ministero degli esteri maltese e il Ministero della difesa italiano è stata istituita la Missione italiana di assistenza tecnico militare (MIATM) maggiormente incentrata sulla formazione del personale sia dell'aeronautica, sia delle forze armate di terra;
   dal 2011 la cooperazione tra i due Paesi ha, infine, assunto una nuova connotazione, con il passaggio dall'assistenza tecnico-militare alla collaborazione nel settore della difesa, sancito dalla costituzione della Missione italiana di collaborazione nel campo della difesa (MICCD);
   attualmente la MICCD si compone di oltre venti militari appartenenti all'Esercito, alla Marina, all'Aeronautica, ed al Corpo delle capitanerie di porto, e fornisce il supporto di risorse specialistiche di uomini e mezzi nei settori dell'addestramento delle forze armate e del servizio di ricerca e soccorso, nonché nella realizzazione di infrastrutture e opere pubbliche;
   da notizie in possesso dell'interrogante sembrerebbe che la base italiana a Malta sia in procinto di essere chiusa;
   l'attività svolta dalle Forze armate italiane nell'ambito della collaborazione con le autorità maltesi è sempre stata di notevole importanza sia sotto il profilo strettamente tecnico sia sotto quello politico, e in particolar modo oggi, con i pesanti rischi legati al terrorismo internazionale che affliggono l'Europa appare opportuno mantenere l'operatività della base italiana a Malta  –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero e, se del caso, non ritenga di rivedere tale decisione soprattutto alla luce dei mutati scenari geopolitici internazionali. (4-12203)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MORETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con l'introduzione delle banconote e delle monete in euro, quelle in lire hanno cessato di avere corso legale il 28 febbraio 2002, a conclusione del periodo di doppia circolazione;
   l'articolo 87, della legge 27 dicembre 2002, n.289, introducendo rispettivamente il comma 1-bis, all'articolo 3, della legge 7 aprile 1997, n. 96, e il comma 1-bis, all'articolo 52-ter, del decreto legislativo 24 giugno 1998, n. 213, aveva fissato al 28 febbraio 2012 la data ultima per poter convertire le banconote e le monete in euro presso le filiali della Banca d'Italia;
   decorso tale termine le medesime disposizioni di legge prevedevano che le somme si prescrivessero a favore dell'Erario;
   l'articolo 26 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha introdotto, con decorrenza al 6 dicembre 2011, data di entrata in vigore del medesimo decreto, la prescrizione a favore dell'Erario delle banconote, i biglietti e le monete in lire ancora in circolazione, assegnando il relativo controvalore al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato;
   la Corte costituzionale, con sentenza n. 216 del novembre 2015, ha dichiarato illegittima la norma che anticipava la prescrizione dal 28 febbraio 2012 al 6 dicembre 2011 perché in contrasto con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, sotto i profili della lesione all'affidamento nella sicurezza giuridica e dell'irragionevole e dell'ingiustificata preferenza accordata ai possessori di titoli del debito pubblico; sempre secondo la Corte, la norma contrasterebbe, inoltre, con gli articoli 42, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione in quanto realizzerebbe, di fatto, una sorta di espropriazione ai danni dei possessori delle banconote in lire, della quale beneficiano in prima battuta lo Stato e in seconda analisi i possessori del debito pubblico;
   secondo la Corte, il fatto che, al momento dell'entrata in vigore della disposizione censurata, fossero già trascorsi circa nove anni e nove mesi dalla cessazione del corso legale della lira non è idoneo a giustificare il sacrificio della posizione di coloro che, confidando nella perdurante pendenza del termine originariamente fissato dalla legge, non avevano ancora esercitato il diritto di conversione in euro delle banconote in lire possedute;
   con un comunicato stampa del 5 febbraio 2016, la Banca d'Italia ha reso noto che, in attuazione della citata sentenza n. 216 del 2015 della Corte costituzionale, il 22 gennaio sono iniziate, presso le sue filiali, le operazioni di conversione delle lire: dopo due settimane, le operazioni effettuate erano 74, per un ammontare complessivo di poco più di un miliardo di lire e un controvalore di circa 564.000 euro, e circa 2.300 sono state le richieste di chiarimenti e segnalazioni pervenute a partire dalla pubblicazione della sentenza della Corte;
   nel dare esecuzione alla sentenza della Corte costituzionale, il Ministero dell'economia e delle finanze, al fine di garantire certezza e trasparenza alle operazioni di conversione, ha esplicitamente previsto l'obbligo di dimostrare di aver presentato la richiesta di cambio tra il 6 dicembre 2011 e il 28 febbraio 2012, specificandone l'importo;
   al momento, coloro che non sono in grado di dimostrare di aver presentato una istanza di conversione entro i termini originari, non potranno quindi vedere soddisfatta la loro pretesa;
   il Ministero dell'economia e delle finanze ha informato che sono in corso gli indispensabili approfondimenti giuridici e finanziari, per prevedere la conversione delle lire in euro in tutte le altre situazioni che coinvolgono soggetti che non sono in grado di dimostrare di aver effettuato la richiesta di cambio;
   la Banca d'Italia ha inoltre segnalato che, ai sensi dei Trattati europei, la conversione potrà avvenire solo impiegando risorse finanziarie dello Stato, al quale la Banca d'Italia, a suo tempo, ha versato il controvalore delle lire ancora in circolazione al 6 dicembre 2011  –:
   quali siano gli sviluppi degli approfondimenti che il Ministero sta effettuando per garantire i soggetti in buona fede che non possono dimostrare l'avvenuta presentazione della richiesta di cambio delle lire in euro, ferma restando l'esigenza di salvaguardia degli equilibri finanziari.
(5-07866)


   GRILLO, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   alla data 21 luglio 2015 è stata iscritta nel registro delle imprese di Roma la società di capitale Enpam Sicura srl a Socio Unico, con sede a Roma in via Torino 38; il capitale sociale è di 1.500.000 di euro; il socio unico risulta essere Enpam (Ente nazionale di previdenza e assistenza medici);
   l'oggetto sociale di Enpam Sicura srl a socio unico, è quello di svolgere attività a favore degli iscritti e dipendenti dell'Enpam, in particolare la società potrà fornire forme di assistenza e previdenza integrativa;
   Enpam Sicura srl a Socio Unico, potrà, tra l'altro, occuparsi di:
    a) gestione dei dati di ogni tipo; gestione e attività di intermediazione del portafoglio dei contratti assicurativi dei soggetti sopra indicati;
    b) gestione della raccolta e dell'offerta di pubblicità sui media;
    c) realizzazione, produzione, fornitura e gestione di servizi di programmi informatici;
    d) esercizio e gestione di attività editoriali;
   l'Accordo collettivo nazionale del 29 luglio 2009 dei medici di medicina generale all'articolo 60, comma 4, prevede:
    «( ...) è posto a carico del servizio pubblico un onere pari allo 0,36 per cento dei compensi all'articolo 59, comma 1, del citato ACN, da utilizzare per la stipula di apposite assicurazioni. Al fine di migliorare i trattamenti assicurativi e includere nella gamma degli eventi assicurati anche le eventuali conseguenze economiche di lungo periodo, a decorrere dal 31 dicembre 2009 l'importo di cui al periodo precedente del presente comma, è pari allo 0,72 per cento dei compensi di cui all'articolo 59, lettera A, comma 1, del citato ACN»;
   le stesse norme valgono, a norma del citato Accordo collettivo nazionale, anche per i medici di continuità assistenziale e di emergenza sanitaria che divengono temporaneamente e totalmente inabili all'esercizio dell'attività professionali;
   il previgente articolo 60, comma 5, dell'Accordo collettivo nazionale sottoscritto nel 2005 prevedeva: «che con le stesse cadenze previste per il versamento del contributo previdenziale di cui al comma 1, le Aziende versano all'Enpam il contributo di cui al comma 4 affinché provveda a riversarlo alla Compagnia assicuratrice con la quale i sindacati maggiormente rappresentativi avranno provveduto, entro novanta giorni dall'entrata in vigore del presente Accordo a stipulare apposito contratto di assicurazione»;
   in data 25 novembre 2009 le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative delle categorie professionali indicate nell'Accordo collettivo nazionale hanno stipulato con AGI (Assicurazioni generali Italia) due polizze assicurative: la prima (n. 81301025) denominata «polizza primi trenta giorni di malattia ed eventuali conseguenze economiche di lungo periodo per i medici di assistenza primaria»; la seconda polizza (n. 813002066) denominata «polizza primi trenta giorni di malattia e conseguenze economiche di lungo periodo per i medici di continuità assistenziale ed emergenza sanitaria»;
   attraverso la stipula dell'accordo tra Enpam e le organizzazioni sindacali firmatarie dell'Accordo collettivo nazionale era stato sottoscritto l'impegno a continuare a provvedere al versamento delle somme, per tutta la durata della polizza medesima da parte di tutte le organizzazioni sindacali firmatarie della polizza medesima;
   il 2 luglio 2015 Enpam ha comunicato la disdetta delle polizze sopracitate;
   sia le organizzazioni sindacali, sia AGI hanno contestato la decisione di Enpam di disdire le polizze;
   Enpam ha provveduto a modificare il regolamento del fondo dei medici di medicina generale in modo che dal 1o gennaio 2016 il contributo previsto dall'Accordo collettivo nazionale per la tutela degli eventi di malattia sia sottratto dalla contrattazione collettiva e determinato direttamente dalla Fondazione Enpam;
   a seguito di un accordo siglato con le organizzazioni sindacali ed Enpam il 25 novembre 2009 «per la gestione delle somme pervenute a titolo di contributo per l'assicurazione per la malattia, (...)», l'Enpam era delegata al versamento delle predette somme «per tutta la durata della polizza assicurativa, salvo che non intervenga formale disdetta della polizza medesima da parte di tutte le OOSS firmatarie della polizza medesima»;
   il sindacato nazionale autonomo medici italiani, S.N.A.M.I e le organizzazioni sindacali firmatarie dell'Accordo collettivo nazionale hanno disconosciuto la disdetta delle polizze assicuratrici;
   il sindacato nazionale autonomo medici italiani, S.N.A.M.I ha presentato, il 23 novembre 2015, un ricorso al TAR regionale del Lazio contro Enpam e Enpam Sicura srl a Socio Unico chiedendo, tra altro, l'annullamento e la sospensione dei seguenti atti:
    a) l'atto con il quale ENPAM avrebbe disposto la costituzione della società Enpam Sicura srl a Socio Unico;
    b) la delibera del comitato consultivo di Enpam per la medicina generale convenzionata del 16 settembre 2015 in ordine alla modifica del «regolamento di fondo», al fine di ricondurre la gestione dei primi 30 giorni di malattia in seno all'Enpam, rilevando quindi le competenze delle Generali (...) accentrando tali competenze in una società in house» –:
   come si concili la decisione di Enpam di costituire la società Enpam Sicura Srl a Socio Unico e annullare le due polizze assicurative stipulate dalle organizzazioni sindacali con AGI (Assicurazioni generali Italia) con l'accordo per la gestione del riversamento delle somme pervenute a titolo di contributo per l'assicurazione per malattia, l'infortunio, la gravidanza e altro;
   come si concili la costituzione di Enpam Sicura srl a Socio Unico, società a totale partecipazione pubblica, impegnata anche in attività di gestione e di intermediazione del portafoglio dei contratti assicurativi, nella gestione della raccolta e dell'offerta di pubblicità sui media, nella realizzazione, produzione, fornitura e gestione di servizi di programmi informatici, con le disposizioni statutarie che vincolano le risorse di Enpam alla finalizzazione di obiettivi istituzionali riferiti all'assistenza e alla previdenza dei medici iscritti e dei loro familiari;
   se nella decisione di Enpam di costituire con propri fondi la società Enpam Sicura srl a Socio Unico attribuendo alla stessa un capitale sociale di 1.500.000 euro sia stata attentamente valutata l'esigenza di assicurare il buon utilizzo di risorse pubbliche, vincolate (come nel caso di Enpam) ad obiettivi istituzionali;
   come si concili la costituzione di Enpam Sicura srl a Socio Unico con le norme che disciplinano il reclutamento dei dipendenti pubblici;
   se siano a conoscenza delle modalità di reclutamento del personale da parte di Enpam Sicura srl a Socio Unico;
   sulla base di quali presupposti Enpam si sia discostata dagli accordi nazionali con le organizzazioni sindacali in merito all'affidamento ad AGI dei contributi per le due polizze assicurative sopracitate;
   se la costituzione della società Enpam Sicura srl a Socio Unico da parte di Enpam rispetti tutte le norme in materia di trasparenza e di pubblicità e le normative europee in tema di concorrenza;
   quali iniziative di competenza intendano intraprendere per verificare se siano state rispettate le normative vigenti per quanto riguarda la costituzione di Enpam Sicura srl a Socio Unico. (5-07870)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i lavoratori in quiescenza delle aziende elettriche hanno diritto a fruire di una riduzione della tariffa ordinaria per l'utenza elettrica del proprio domicilio;
   il diritto si applica in attuazione di una espressa disposizione contrattuale che era in vigore durante il periodo nel quale i medesimi hanno prestato servizio presso le aziende;
   la conservazione del diritto all'applicazione della riduzione di tariffa ai consumi elettrici per il dipendente cessato dal servizio – e per il coniuge eventualmente a lui superstite – deriva da un espresso obbligo contrattuale derivante dal contratto collettivo di lavoro in vigore al momento della cessazione del servizio, ed è stato mantenuto come obbligazione civilistica tra le parti anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro e quindi anche a fronte di eventuali modifiche contrattuali successivamente intervenute;
   per alcuni dipendenti la conservazione del diritto alla riduzione di tariffa sui consumi elettrici è stata oggetto di espressa condizione, tra le altre, perché accettassero la risoluzione anticipata del rapporto di lavoro rispetto al raggiungimento del limite di età, ed è stata ribadita dall'azienda con comunicazioni inviate a tali dipendenti successivamente alla cessazione dal servizio;
   in merito a tale diritto è intervenuta anche la Corte di cassazione che ne ha ribadito la natura di «beneficio di natura retributiva nella forma di retribuzione differita», ovvero come parte del «patrimonio individuale del lavoratore alla stregua di un vero e proprio diritto quesito, insuscettibile di essere revocato unilateralmente dalla controparte»;
   in data 12 ottobre 2015 la società Enel spa ha comunicato alle organizzazioni sindacali di categoria la disdetta unilaterale dell'applicazione della riduzione tariffaria sui consumi in essere ai dipendenti in quiescenza;
   in data 27 novembre 2015 la medesima società ha concordato con i rappresentanti di alcune organizzazioni sindacali che, per i dipendenti in quiescenza, la riduzione tariffaria in favore dei medesimi dipendenti o dei coniugi superstiti fosse sostituita dalla erogazione di una somma in denaro rapportata all'età dell'ex dipendente;
   numerosi ex dipendenti, avuta notizia dell'intendimento della società Enel di disdire unilateralmente l'obbligo contrattuale in essere, hanno diffidato formalmente l'azienda a non procedere in tale intento;
   ciononostante l'Enel in data 31 dicembre 2015 ha comunicato ufficialmente, a mezzo lettera raccomandata, agli interessati la disdetta unilaterale dell'obbligazione in essere –:
   se il Governo sia informato di quanto esposto in premessa, e quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze e anche in ragione della partecipazione statale in Enel, intenda assumere in merito.
(4-12197)


   VILLAROSA, CASO, PESCO e ALBERTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 106, paragrafo 2, del Trattato che istituisce l'Unione europea gli Stati membri hanno la possibilità di coniare le monete metalliche in euro previa approvazione del relativo volume dalla Banca centrale europea;
   gli Stati membri sottopongono alla Banca centrale europea le proprie stime del volume di conio accompagnando la richiesta da note esplicative sulla metodologia utilizzata per formulare tali stime;
   lo Stato italiano dal 2000 al 2015 ha richiesto un volume di conio complessivo pari a 7,586 miliardi di euro;
   analizzando il volume di conio richiesto – ed autorizzato – dagli altri Stati membri si desumono i seguenti dati: Germania: 17,329 miliardi di euro; Belgio: 2,718 miliardi di euro; Spagna: 7,041 miliardi di euro; Irlanda: 1,557 miliardi di euro; Lussemburgo: 802 milioni di euro; Paesi Bassi: 2,444 miliardi di euro; Austria: 4,216 miliardi; Portogallo: 1,777 miliardi di euro; Finlandia: 1,470 miliardi di euro; Grecia: 1,683 miliardi di euro;
   la quantità di volume di conio dei suddetti Stati membri, parametrata al prodotto interno lordo ed al debito pubblico, non è coerente con la quantità di volume di conio richiesta dallo Stato italiano. Fatta eccezione della Germania i citati Stati membri dispongono di un prodotto interno lordo inferiore al dello Stato italiano ed in particolar modo:
    a) per l'Irlanda nel 2014 il debito pubblico era pari al 125,4 del prodotto interno lordo ed il relativo prodotto interno lordo nazionale è pari a circa il 10 per cento del prodotto interno lordo italiano;
    b) per la Spagna nel 2014 il debito pubblico era pari al 117,8 del prodotto interno lordo ed il relativo prodotto interno lordo nazionale è pari a circa il 60 per cento del prodotto interno lordo italiano;
   sulla base dei suddetti dati – a parere degli interroganti – lo Stato italiano ha richiesto un volume di conio inferiore, in relazione al prodotto interno lordo, rispetto agli altri Stati membri. Un adeguamento della richiesta del volume di conio – che potrebbe quindi essere pari a diversi miliardi di euro – potrebbe aumentare la base monetaria con effetti positivi per l'economia italiana e per la ripresa economica –:
   quali siano le metodologie utilizzate dallo Stato italiano per richiedere il volume di conio da sottoporre all'approvazione della Banca centrale europea, quali siano le ragioni per le quali lo Stato italiano ha richiesto dal 2000 al 2015 un volume di conio pari a solo 7,586 miliardi di euro, per quali ragioni gli Stati membri richiedano un volume di conio, in relazione al prodotto interno lordo, maggiore rispetto al volume di conio dello Stato italiano e, sulla base delle indicazioni di cui in premessa, se reputi opportuno richiedere alla Banca centrale europea un aumento del volume di conio così come più volte richiesto dagli altri Stati membri.
(4-12201)


   DIENI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i trasferimenti dei quadri in Poste Italiane s.p.a., azienda partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze, non sono regolamentati da accordi dell'azienda con le organizzazioni sindacali ma possono essere effettuati, per esigenze aziendali, nell'ambito dell'intero territorio nazionale e, nel caso di evidenti difficoltà familiari del dipendente, essi sono subordinati alla effettiva esigenza di servizio nella filiale richiesta;
   la signora A. D. R., originaria di Diamante (CS) e impiegata all'Ufficio di Santorso (VI), dipendente di Poste Italiane s.p.a. dal 1996 sempre in provincia di Vicenza, presentava per la prima volta nel 2006 domanda di ricongiungimento al coniuge e alla bambina da poco nata e residente con il padre in provincia di Catanzaro;
   negli anni la signora A. D. R. ha reiterato più volte la richiesta di trasferimento, intensificando le proprie richieste soprattutto dopo che nel 2012 alla figlia è stato diagnosticato «un quadro di immaturità emotivo-affettiva» e nel 2014 una «sindrome mista ansioso-depressiva» dalla U.O.C. di neuropsichiatria infantile psichiatria e riabilitazione dell'età evolutiva dell'ULSS 4 Alto Vicentino e i propri suoceri sono stati operati di tumore, nel 2013, presso l'Istituto Nazionale dei tumori di Milano;
   nelle reiterate richieste ella ha motivato l'esigenza di avvicinarsi alla famiglia per essere parte con l'altro genitore della «crescita della propria bambina e per poter garantire alla stessa uno sviluppo sereno in un nucleo familiare aggregato e omogeneo» e per «poter supportare il proprio marito nell'assistenza ai suoceri tra l'altro titolari di legge 104»;
   nonostante tali domande, l'ultima delle quali risale al 2014, non sarebbe giunta da Poste Italiane s.p.a. alcuna risposta alle richieste della donna, dimostrando a giudizio dell'interrogante insensibilità di fronte alle patologie certificate che interessano la figlia –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali siano i motivi dei mancati riscontri da parte di Poste Italiane s.p.a. alla signora A. D. R., nonostante le motivate richieste che ella poneva;
   quali iniziative di competenza, anche normative, il Governo intenda assumere per agevolare i nuclei familiari nella conciliazione dei tempi di cura e di lavoro, soprattutto in presenza di gravi patologie sanitarie e di situazioni di handicap.
(4-12215)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   Rachid Assarag, di nazionalità marocchina, è attualmente detenuto presso il carcere di Torino, dove sta portando avanti lo sciopero della fame;
   durante il suo periodo di detenzione, egli ha sporto numerose denunce per maltrattamenti, percosse e lesioni subite dagli agenti di polizia penitenziaria in diversi istituti di pena, in particolare presso gli istituti di Prato, Solliciano e Parma;
   Assarag, a supporto delle proprie denunce, ha fatto pervenire alle procure della Repubblica interessate (Parma, Prato, Firenze) numerose registrazioni audio che egli è riuscito a realizzare durante la detenzione, aventi ad oggetto plurimi colloqui con gli agenti di polizia penitenziaria nonché con altri operatori del carcere;
   presso il Tribunale di Parma, all'udienza del 13 ottobre 2014, nel corso di un procedimento a suo carico (r.g. 185/2013), il giudice ha disposto l'acquisizione delle registrazioni audio effettuate da Assarag. Il processo è ancora in corso;
   presso la procura di Parma è inoltre pendente un procedimento, attualmente in fase di indagine, in cui egli risulta persona offesa per i reati di calunnia, falso ideologico in atto pubblico, abuso dei mezzi di correzione o disciplina, lesioni volontarie aggravate dalla qualifica di pubblico ufficiale dalla minorata difesa della persona offesa, commessi dal 9 ottobre 2010 al 12 ottobre 2011; per tali reati risultano indagati otto pubblici ufficiali, per i quali il 15 dicembre 2015 è stata richiesta archiviazione a cui è susseguita l'opposizione da parte dell'avvocato Fabio Anselmo;
   come riportato dal servizio della trasmissione televisiva «Le Iene» del 24 gennaio 2016, emerge che alcuni operatori del carcere e dell'Asl di Parma, implicati nella vicenda, non sono stati sentiti dalla procura di Parma e che continuino a lavorare nell'ambito del suddetto carcere;
   nelle registrazioni pubblicate negli atti giudiziari e riprese da numerose testate giornalistiche, di conversazioni tenutesi all'interno di diverse strutture carcerarie tra il detenuto Assarag e uomini appartenenti al Corpo della polizia penitenziaria, sono espressi, da parte di questi ultimi, pareri sulle modalità di rieducazione dei detenuti che non rispondono per nulla alla Costituzione e alle leggi che disciplinano le pene e la detenzione;
   fra le frasi riportate agenti penitenziari avrebbero affermato che «la legge nel carcere siamo noi, quindi comandiamo solo noi !» ed ancora, rivolgendosi al detenuto: «Come ti porto, così ti posso far sotterrare. Comandiamo noi: né avvocati, né giudici, né comandiamo noi ! (...) Non sto scherzando. Nelle denunce tu puoi dire quello che vuoi, io posso scrivere quello che voglio, dipende poi che scrivo io» o, ancora «ed asserzioni del genere» ne ho picchiati tanti, non mi ricordo se ci sei in mezzo anche tu !», descrivendo come vi sia un meccanismo omertoso sui soprusi nei confronti dei detenuti: «per cui scrivono; il detenuto è caduto dalle scale; oppure il detenuto ha aggredito l'agente che si è difeso, ok ? Quindi al magistrato porterei la mia testimonianza e cento testimonianze che dicono il contrario. Capisce ? Poi quando al magistrato gli arriva una testimonianza di un sanitario e cento testimonianze che dicono che è caduto dalle scale, cosa fa ? Ha presente il caso Cucchi ?»;
   ancora, dalle conversazioni registrate con agenti, medici, psicologi emerge quadro inquietante delle modalità di gestione della popolazione carceraria nel carcere di Parma, completamente affidate alla sopraffazione, alla violenza ed alla minaccia degli agenti ed al silenzio dei sanitari su pratiche del tutto al di là della legalità e del rispetto dei diritti dei detenuti, registrazioni che, a parere degli interpellanti, offrono dati concreti a supporto della veridicità delle denunce depositate dal signor Assarag, e quindi delle condotte ingiustamente lesive perpetrate dagli agenti a suo danno;
   dalle dette registrazioni, nel carcere di Parma i detenuti, non solo vengono picchiati se non si comportano «bene», ma vengono anche lasciati senza acqua, fatti dormire senza materasso e senza coperte. In particolare, quanto emerge dalle registrazioni acquisite – di seguito riportate –, dopo il suo arrivo il Rachid viene lasciato per tre giorni senza poter utilizzare l'acqua corrente; di questo parla con una assistente che pur condannando comportamento tenuto dai colleghi, afferma anche che non testimonierà mai contro di loro: «R (Rachid). Quando gli hai dato il cambio, hai visto la mia situazione ? senza acqua, mi ha dato lei l'acqua...
A (agente). Ho capito, ma non hai prove
R. Come le prove, ma lei ha visto tutto !
A. Si, ma io non posso testimoniare contro il mio collega !
R. Ah, non puoi testimoniare contro il mio collega. Ma non devi testimoniare. Devi solo dire come sono state le cose
A. Assarag, non testimonierò mai contro un collega»;
   e poco oltre:
«R. Io sono stato tre giorni così... Ma lei mi ha detto ti apro la doccia, ma lui mi ha detto no, Io non ti apro niente. Mi ha detto ce l'hai l'acqua li, lo hai visto ? ...
A. Ho capito Assarag, ma denunciare...
R. Ho capito, ma come mai mi ha aperto la doccia e lui non voleva ?
A. Lo stesso discorso di prima, Assarag, ce’ chi usa di più la testa chi non usa la testa...non è questione di cattiveria, è questione di stupidità
R. Allora che ci vuole a fare come ha fatto lei
A. Purtroppo non siamo tutti uguali, ci sta chi è più intelligente e chi è meno intelligente...
R. Ma io sono qua dentro, chiuso, non posso andare a trovare l'acqua...
A. Ma sai cos’è, a volte anche il collega giovane si trova in difficoltà, perché non sa come agire»;
   dalle stesse registrazioni emerge di come delle condizioni in cui i detenuti vengono fatti sopravvivere, oltreché della violenza perpetrata in loro danno il Rachid parla anche con il medico del carcere:
«R. Io sto vivendo questa carcerazione qua, ma la sto vivendo male. Perché il carcere è male, allora ... lo sai
D (dottore). Deve abituarsi a questo male.
R. Ma che, devo stare male ?
D. ... non può andar via, non decide lei ... non può andare via !
R. Non voglio andar via, perché vedo la violenza delle persone. Io ho subito, mi hai visto che io ho subito la violenza ?
D. Certo, ho visto.
R. E allora dottore ...
D. Quello che voglio dire, è che lei deve imparare a ... a ... abituare ...
R. Accettare ...
D. Si, perché non può cambiare lei, come non lo posso cambiare io !»;
   il dottore spiega a Rachid che l'unico modo per sopravvivere nel carcere è abituarsi, rassegnarsi a condizioni di vita degradate e alla violenza;
   inoltre, emerge che nel carcere viene attuata la violenza da parte delle guardie nei confronti dei detenuti e Rachid, come molti altri, l'ha subita; è detto espressamente nel successivo passaggio:
«R. E hai visto che il muro della mia cella è tutto pieno di sangue. Ok ... ho subito violenza
D. Lo so ... ci credo ...
R. Lo sai e mi credi, ok. Allora perché nessuno ... ho chiesto di parlare col direttore, ho chiesto di parlare col Comandante, nessuno è venuto a sentirmi. Come mai ? Io sto morendo di ... non ho capito ? Non gliene frega ...
D. Non gliene frega un c...: per il direttore lei è solo una scocciatura ! R. Ah sì ? Anche se uno che sta morendo, che ... ?
D. Ma cosa dicono se lei muore ? «Uno di meno»;
   ed ancora, sempre sul tema della violenza all'interno del carcere:
«R. No, lo so che lei non può fare niente, ma la cosa che voglio dire è questa; ma c’è tanta violenza qua ... eh ? Dimmi la verità, per favore !
D. Lo so, la vedo io, come la vede lei !
R. Io l'ho subita e lei lo vede ...
D. E non riuscirà ad avere giustizia ...
R. Perché ?
D. Perché avranno coperto tutto: il medico non so cosa avrà scritto; l'appuntato ha scritto che non è successo niente; il direttore scrive che non è successo niente e il magistrato capisce che non è successo niente: e quando lei gli dice che l'han picchiata, questo dice: Ah, l'han picchiata, però non c’è scritto niente !»
R. Ma dottore, lei sa che mi hanno picchiato !
D. Sì e le credo anche ...
R. Lei sa ... hai saputo dal dottore che ...
D. Io le credo ...»
«D. Assarag, non posso testimoniare ...
R. Non puoi testimoniare contro loro ? Perché ...
D. Perché mi fanno il c...»;
   Durante il colloquio con la psicologa Rachid parla del decesso del giovane italiano Ciro Campanile, avvenuto nel carcere di Parma in data 15 novembre 2010 raccontandogli di come lui, ripetutamente, avesse rappresentato a ben tre diverse guardie la gravità della situazione;
   dopo il decesso del giovane, Rachid, convinto che si sarebbe potuto fare qualcosa, si rivolge al brigadiere e questo è quanto ne ricava:
«R. ...potevi salvarlo quel ragazzo ... ... mi hanno detto che era drogato, era una persona che ... allora, che c'entra drogato ? Perché non è morto fuori ? Se fosse lui veramente drogato ? Se lui è venuto qua al carcere ed è morto ? Allora lì ho cominciato a parlare col brigadiere, ogni volta che passa, gli dico: “Ma i vostri colleghi non hanno fatto loro lavoro, non hanno chiamato il dottore !”. Cosa mi ha detto il brigadiere ? “Tu sei un pezzo di merda, che hai la lingua lunga !” Dopo che lui mi ha dato del pezzo di merda, io gli ho risposto: “Questa parola che mi hai detto, lei è due volte,” Mi ha fatto rapporto e ho fatto 15 giorni, per questa cosa qua. Perché io ho cominciato a dire a lui: “vostro collega non hanno chiamato ...” allora da lì ho cominciato io...
P. Ad essere oggetto della ...inc...
R. Mi hanno detto che la tua lingua è lunga, che non devi parlare di queste cose. (...)»;
   a commento di quanto riportato, nella richiesta di archiviazione, il sostituito procuratore della Repubblica presso la Procura di Parma, dottoressa Podda, scrive queste testuali parole: «ed allora, quelle affermazioni, paiono più essere delle lezioni di vita carceraria, che la guardia sta impartendo, al detenuto, che minacce o affermazioni di supremazia assoluta e di negazione dei diritti –:
   se sia stata effettivamente avviata e, in caso affermativo, in quale stadio si trovi, l'indagine ispettiva ministeriale sui casi svoltisi presso i due carceri di Prato e di Parma, denunciati dal detenuto Rachid Assarag e, in caso contrario, se non ritenga di doverla avviare;
   se non ritenga che la circostanza per la quale il signor Lionello Catini, coordinatore del nucleo scorte del Ministero della giustizia, sia indagato per i fatti di Parma non rappresenti un pregiudizio, non solo all'immagine del Corpo di appartenenza del Catini, ma, soprattutto, all'imparzialità e allo stesso corretto svolgimento di qualsiasi attività ispettiva interna e, in caso affermativo, quali iniziative intenda adottare al riguardo;
   se non ritenga di dover approntare apposite misure di tutela per il signor Assarag al fine di scongiurare eventuali atti ritorsivi nei suoi confronti conseguenti alle denunce da lui presentate;
   se non reputi infine necessario assumere iniziative ispettive presso la procura di Parma ai fini dell'esercizio di tutti i poteri di competenza, ivi compresa la promozione dell'azione disciplinare.
(2-01283) «Ferraresi, Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Sarti, D'Incà».

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   la legge n. 109 del 1994, cosiddetta Legge Merloni, ha introdotto l'istituto degli incentivi spettanti agli Uffici per la progettazione interna agli enti pubblici (articolo 17 e 18);
   la ratio della disciplina consiste, da un lato, nella valorizzazione delle professionalità esistenti all'interno dell'ente e, dall'altro, nell'esigenza di promuovere consistenti risparmi di spesa pubblica, atteso che l'espletamento delle mansioni ad opera del personale dipendente ha costi comunque ben inferiori all'aggiudicazione del servizio in favore di soggetti esterni all'amministrazione;
   l'articolo 18 della legge n. 109 del 1994, nella versione originaria, consentiva di riconoscere una quota non superiore all'1 per cento del costo dell'opera o del lavoro in favore dell'ufficio «qualora esso abbia redatto direttamente il progetto esecutivo della medesima opera o lavoro»: la «legge Merloni» trattava, dunque, solamente gli incentivi per la redazione di progetti esecutivi di opere o lavori pubblici;
   tale disciplina – che inizialmente riguardava soltanto gli incentivi per la redazione di progetti esecutivi di opere o lavori pubblici – è stata innovata, una prima volta, con l'articolo 6 del decreto-legge n. 101 del 1995, che ha esteso l'incentivo anche ai progetti (di opere o lavori) preliminari e definitivi, alle indagini geologiche e geognostiche nonché agli studi di impatto ambientale, ed all'aggiornamento dei progetti già esistenti «di cui sia riscontrato il perdurare dell'interesse pubblico alla realizzazione dell'opera»;
   successivamente, con legge 15 maggio 1997, n. 127 (articolo 6, comma 13), l'incentivo è stato esteso anche alla redazione di atti di pianificazione: l'articolo 18 della «legge Merloni» è stato in tal sede modificato nel senso che «L'1 per cento del costo preventivato di un'opera o di un lavoro ovvero il 50 per cento della tariffa professionale relativa ad un atto di pianificazione generale, particolareggiata o esecutiva sono destinati alla costituzione di un fondo interno da ripartire tra il personale degli Uffici tecnici dell'amministrazione aggiudicatrice o titolare dell'atto di pianificazione, qualora essi abbiano redatto direttamente i progetti o i piani, il coordinatore unico di cui all'articolo 7, il responsabile del procedimento e i loro collaboratori». All'articolo 18 della legge n. 109 del 1994 fu dunque aggiunto il comma 1-bis, secondo il quale «il fondo di cui al comma 1 è ripartito per ogni singola opera o atto di pianificazione, sulla base di un regolamento dell'amministrazione aggiudicatrice o titolare dell'atto di pianificazione...»;
   la «legge Merloni» è stata successivamente oggetto, in parte qua, di ulteriori novelle: con la legge 17 maggio 1999, n. 144 (articolo 13, comma 4) sono stati riscritti i commi 1, 1-bis e 2 dell'articolo 18 della legge n. 109 del 1994. Il primo comma dell'articolo 18 della legge n. 109 del 1994 è stato dedicato agli incentivi dovuti per la redazione dei progetti, del piano-sicurezza, per la direzione lavori ed il collaudo «di ogni opera o lavoro» (da corrispondersi in misura non superiore all'1,5 per cento dell'importo posto a base di gara); il comma 1-bis del medesimo articolo 18 della «legge Merloni» ha invece imposto di riconoscere ai «dipendenti dell'Amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto» il «30 per cento della tariffa professionale relativa ad un atto di pianificazione comunque denominato»;
   tali previsioni sono state poi recepite dal decreto legislativo n. 163 del 2006, cosiddetto «Codice dei Contratti», ed in particolare dall'articolo 92, commi 5 e 6, in tema di incentivi alla progettazione e pianificazione urbanistica. La norma prevedeva compensi incentivanti sia in relazione alla progettazione di opere pubbliche (comma 5) sia in relazione alla redazione di atti di pianificazione (comma 6). Con particolare riferimento a questi ultimi, l'articolo 92, comma 6, statuiva (come già i previgenti articoli 17 e 18 della legge 12 febbraio 1994, n. 109) che «Il trenta per cento della tariffa professionale relativa alla redazione di un atto di pianificazione comunque denominato è ripartito, con le modalità e i criteri previsti nel regolamento di cui al comma 5, tra i dipendenti dell'amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto»;
   l'articolo 13 del decreto-legge n. 90 del 2014, convertito con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114 (G.U. n. 144 del 24 giugno 2014) ha abrogato i commi 5 e 6 dell'orticolo 92 del codice dei contratti. Peraltro, contestualmente la stessa normativa ha introdotto, nel successivo articolo 93, commi 7-bis e seguenti, una disciplina degli incentivi alla progettazione del tutto analoga – per quanto qui interessa – alla precedente;
   in attuazione di tali disposizioni i comuni e, più in generale, tutti gli enti pubblici dotati di nuclei di progettazione all'interno dei propri uffici, si sono dotati di un idoneo regolamento attuativo, sulla base del quale hanno erogato gli incentivi previsti dalla legge in favore dei propri dipendenti (Regolamento per la definizione ed il riparto dei fondi di incentivazione per la progettazione di opere pubbliche e la pianificazione urbanistica, ai sensi dell'articolo 92 del decreto legislativo n. 163 del 2006);
   la recente legge delega per l'attuazione della nuova disciplina europea in materia di appalti pubblici e concessioni (legge 28 gennaio 2016, n. 11) ha previsto, al comma 1, lettera rr), una revisione della disciplina per gli incentivi per la progettazione interna delle pubbliche amministrazioni;
   con riferimento alle disposizioni in vigore fin dal 1994, la disciplina del cosiddetto incentivo alla progettazione è stata oggetto di dubbi interpretativi, con particolare riferimento alla corretta portata applicativa delle disposizioni recate dall'articolo 92, comma 6, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163: «Il trenta per cento della tariffa professionale relativa alla redazione di un atto di pianificazione comunque denominato è ripartito, con le modalità e i criteri previsti nel regolamento di cui al comma 5 tra i dipendenti dell'amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto» ed, in particolare, della definizione ivi riportata «atto di pianificazione comunque denominato»;
   l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (AVCP), (deliberazione del 21 novembre 2012, AG 22/12), nell'escludere la possibilità di estendere l'incentivo alla pianificazione dei servizi integrati di igiene urbana, ha diffusamente argomentato l'applicabilità dell'articolo 92, comma 6, del codice alla attività di pianificazione «comunque denominata», a prescindere dalla natura (puntuale o generale) dello strumento in corso di formazione;
   secondo l'AVCP, «la pianificazione urbanistica, anche se in forma mediata, inerisce anche a opere o impianti pubblici... Infatti, i piani regolatori contengono tra le altre sia previsioni di c.d. zonizzazione... sia norme di localizzazione di aree destinate a formare spazi di uso pubblico, ovvero riservate a edifici pubblici o di uso pubblico...»;
   l'Autorità ha sottolineato il nesso comunque sussistente tra pianificazione urbanistica e realizzazione di opere pubbliche: «la natura stessa e il contenuto della pianificazione urbanistica e in particolare dei piani regolatori consente l'erogazione dell'incentivo ex articolo 92, comma 6, del Codice dei contratti a favore dei dipendenti che abbiano partecipato alla redazione di tali strumenti urbanistici, in quanto tali atti afferiscono, sia pure mediatamente, alla progettazione di opere o impianti pubblici o di uso pubblico, dei quali definiscono l'ubicazione nel tessuto urbano»;
   d'altro canto, l'orientamento dell'Autorità di vigilanza assumeva il diritto all'incentivo per l'attività di progettazione urbanistica – a prescindere dalla natura puntuale o meno dello strumento – sin dal 2000, in sede di interpretazione dell'articolo 18 del codice dei contratti (determinazione n. 43 del 25 settembre 2000, G.U. 43/2000 del 25 settembre 2000), dove si recita testualmente: «La dizione utilizzata dal legislatore “atto di pianificazione comunque denominato” fa ritenere che in esso possano ricomprendersi, oltre che i vari tipi di atti di pianificazione, anche quegli atti a contenuto normativo, quali per esempio i regolamenti edilizi, che accedono alla pianificazione, purché completi e idonei alla successiva approvazione da parte degli organi competenti»;
   in nessun passo delle citate previsioni relative alla progettazione urbanistica il legislatore àncora la spettanza dell'incentivo alla natura di variante puntuale, propedeutica all'approvazione del progetto di opera pubblica, propria dello strumento redatto dagli uffici;
   di diverso avviso, tuttavia, le pronunce del giudice contabile. La Corte dei Conti ha sottolineato, in particolare, che l'incentivo in esame può essere corrisposto esclusivamente nel caso in cui lo strumento di pianificazione sia strettamente connesso con la realizzazione di un'opera pubblica e non anche in relazione alla redazione di atti di pianificazione generale, quali possono essere il piano regolatore o una variante generale, i quali costituiscono diretta espressione dell'attività istituzionale dell'ente e non giustificano la deroga al principio dell'onnicomprensività della retribuzione (in tal senso – dopo diversi e contrastanti pronunce delle sezioni regionali – Corte dei Conti, sezione delle autonomie, deliberazione del 15 aprile 2014, n. 7);
   la Corte ha escluso la possibilità di riconoscere l'incentivo alla progettazione urbanistica ex se, dovendo concorrere – insieme alla redazione dell'atto di pianificazione – un requisito ulteriore individuato nella «intima connessione» tra lo strumento urbanistico in corso di formazione e la realizzazione di un'opera pubblica;
   date le descritte incertezze interpretative, con atto di segnalazione al Governo n. 4 del 25 settembre 2013, l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici ha richiesto chiarimenti in merito alla medesima questione; a tale atto, tuttavia, non è stato dato alcun riscontro;
   l'ANCI Toscana, in un parere del 20 giugno 2013 denominato «Gli incentivi per la progettazione urbanistica interna – la posizione di ANCI Toscana» ha illustrato come le intenzioni del legislatore fossero quelle di corrispondere l'incentivo per tutti i tipi di pianificazione urbanistica o territoriale, anche non puntuale. L'Associazione ritiene in particolare che: «La duplice ratio legis (contenimento della spesa pubblica e valorizzazione delle professionalità interne all'Ente) induce ad attribuire l'incentivo anche all'attività di pianificazione generale, altrimenti da affidare necessariamente all'esterno dell'Amministrazione. Inoltre, l'attività di pianificazione generale non costituisce espletamento di ordinarie mansioni dell'Ufficio, ricomprese nella retribuzione ordinaria, quanto impegno straordinario richiesto – in circostanze eccezionali (la redazione di un nuovo strumento) – al pubblico dipendente»;
   al contrario, alcuni comuni (tra i quali i comuni di Rivoli e Orbassano in provincia di Torino) hanno già proceduto, sulla base delle pronunce interpretative della Corte dei Conti, a instaurare procedimenti per la ripetizione di indebito nei confronti di propri dipendenti i quali – sulla base di regolamenti comunale emanati conformemente alla disciplina allora vigente – hanno ricevuto i suddetti incentivi per attività di pianificazione generale –:
   se i Ministri interpellati siano a conoscenza di questo rilevante contenzioso e contrasto interpretativo in merito all'originaria portata della disciplina relativa alla incentivi alla progettazione e pianificazione urbanistica ex articolo 92, commi 5 e 6, del decreto legislativo n. 163 del 2006;
   se non ritengano di dover assumere iniziative per chiarire con efficacia erga omnes quale fosse l'effettiva intenzione del legislatore, data la rilevanza dell'argomento – che incide su una delle funzioni fondamentali dell'amministrazione – e la gravità delle possibili conseguenze di un'errata applicazione delle norme;
   se – in particolare – si intenda chiarire l'intenzione del legislatore fosse quella di corrispondere l'incentivo a tutti i tipi di pianificazione (come sembrerebbe dalla dizione «atto di pianificazione comunque denominato») ovvero di circoscriverlo soltanto agli atti di pianificazione collegati alle opere pubbliche (varianti per il recepimento di opere pubbliche), come i recenti pareri (non tutti concordi) della Corte dei Conti hanno evidenziato;
   quali iniziative di competenza, anche normative, intendano assumere per evitare che le pubbliche amministrazioni – solo in base alla citata pronuncia della Corte dei Conti del 2014 – utilizzino lo strumento della ripetizione di indebito in un caso, come quello in esame, dove i dipendenti hanno percepito i descritti emolumenti in forza di atti e regolamenti approvati dalle stesse amministrazioni in attuazione della normativa citata.
(2-01282) «Bonomo, Mariani, Brugnerotto, Tacconi, Becattini, Gelli, Beni, Cuperlo, Benamati, Taricco, Ventricelli, Bazoli, Albini, Coccia, Carrescia, Roberta Agostini, Gandolfi, Misiani, D'Incecco, Zardini, La Marca, Fedi, Gasparini, Lenzi, Iori, Guerra, Patriarca, Portas, Bruno Bossio, Valiante, Capone, Capozzolo, Fabbri, Famiglietti, Zoggia».

Interrogazioni a risposta immediata:


   LIBRANDI, VARGIU e SOTTANELLI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   come si è appreso da fonti di stampa, la compagnia aerea Ryanair – che negli ultimi anni è divenuto il primo vettore in Italia con 26,1 milioni di passeggeri nel 2014, quasi 3 milioni in più di Alitalia – ha deciso di interrompere 16 collegamenti italiani, in particolare da e per gli aeroporti di Alghero e Pescara e di ridurre quelli da e per Crotone, per un traffico stimato di circa 800 mila passeggeri annui;
   la decisione della compagnia irlandese, pur temperata dal contestuale incremento di rotte internazionali da e per gli scali di Roma e di Milano, comporterà gravi conseguenze sull'occupazione (circa 600 posti di lavoro andrebbero persi, senza considerare gli effetti indiretti sull'indotto), sulla mobilità degli italiani, in primis dei residenti delle regioni colpite, e sull'attrattività economica e turistica delle città interessate al taglio dei voli;
   secondo quanto dichiarato dai vertici di Ryanair, la scelta di tagliare le rotte da e per le città di Alghero, Crotone e Pescara sarebbe maturata a seguito dell'aumento di 2,5 euro a passeggero delle tasse municipali aeroportuali – introdotto dal 1o gennaio 2016 – che porta così il prelievo a 9 euro a passeggero;
   la finalità del maggior prelievo – e cioè il finanziamento del fondo speciale per gli ammortizzatori sociali aggiuntivi ai lavoratori del trasporto aereo, previsto dal provvedimento da più parti definito «decreto salva Alitalia» – seppure generalizzato e rivolto all'intero comparto, ha assunto agli occhi dell'opinione pubblica la veste di un ingiustificato prelievo subito dai passeggeri aerei, in particolare quelli a più basso reddito e più portati a viaggiare su voli economici;
   a prescindere dalla vicenda dei tre scali, l'eccessivo prelievo fiscale rischia di penalizzare l'attrattività dell'Italia come meta turistica rispetto ad altre destinazioni sud-europee come Spagna, Portogallo o Grecia; non a caso, il Governo spagnolo ha bloccato ogni possibile aumento delle tasse aeroportuali fino al 2022, vedendo peraltro crescere rispetto all'Italia il numero dei passeggeri dall'Inghilterra e dalla Polonia (di tre volte) e dalla Germania (di una volta e mezza) –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per evitare che la decisione di Ryanair di tagliare sedici collegamenti italiani comprometta la mobilità di centinaia di migliaia di italiani e danneggi il tessuto imprenditoriale ed occupazionale delle regioni interessate, se siano stati valutati gli effetti dell'aumento delle tasse municipali aeroportuali sull'offerta di voli e sulla competitività dell'Italia rispetto ad altri Paesi europei, nonché quali iniziative il Governo intenda assumere per una maggiore concorrenza tra vettori e l'attrattività del nostro Paese come meta per il grande pubblico dei cosiddetti «voli low cost».
(3-02044)


   GAROFALO. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il panorama autostradale italiano, come dimostra l'esempio del Nord Est, potrebbe subire in questo periodo alcuni significativi mutamenti, specie all'indomani del via libera dato dall'Europa alla trasformazione in house di due dei principali protagonisti del settore: Autostrade del Brennero e Autovie Venete;
   l'obiettivo finale è quello di giungere ad una unica soluzione, ovvero costituire una holding unica del Nord Est, con Friuli Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige;
   sembra si stia valutando, inoltre, la costituzione di una nuova società controllata al 100 per cento da Anas s.p.a., alla quale trasferire tutte le partecipazioni detenute in società concessionarie di autostrade e trafori, oltre ai diritti connessi della partecipazione detenuta in Anas International Enterprise s.p.a. –:
    quali siano le intenzioni del Governo sull'assetto societario futuro di Anas s.p.a., indicando la missione ad essa affidata con l'eventuale modifica all'orientamento dell'Esecutivo sull'assetto autostradale italiano che, se confermato, riporterebbe nell'alveo pubblico la gestione delle reti autostradali. (3-02045)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LATRONICO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'11 febbraio 2016 il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e il gruppo Ferrovie dello Stato hanno presentato la nuova strategia di investimenti sulla rete ferroviaria detta la «cura del ferro» per il riassetto del trasporto pubblico nazionale;
   sarebbero 9 i miliardi di euro di investimento destinati all'alta velocità, a migliorare tecnologie sicurezza e servizi, a incrementare il traffico di merci su ferro, lo sviluppo dei corridoi TEN-T che attraversano l'Italia (i corridoi: scandinavo-mediterraneo, baltico-adriatico, Reno-Alpi e mediterraneo) e le relative tratte ferroviarie di accesso, i collegamenti con aeroporti e porti. A quanto si evince dagli articoli di stampa, i maggiori investimenti si concentrerebbero al Centro-Nord mentre, nel Mezzogiorno, gli interventi programmati sarebbero minimi, meno di un decimo di quelli previsti nel resto della penisola. Stanziati solo 400 milioni di euro per i pendolari. Gli investimenti previsti riguardano Roma (172 milioni di euro) Firenze (70 milioni di euro), Milano (45 milioni di euro), Torino (30 milioni di euro) e Bologna (30 milioni di euro);
   il divario infrastrutturale nel settore dei trasporti tra le regioni del Sud Italia e quelle del Centro-Nord continua a crescere per il potenziamento di investimenti e risorse per opere infrastrutturali tra Nord e Sud, a vantaggio delle regioni del Centro-Nord, a fronte di una riduzione delle risorse destinate alle infrastrutture del Mezzogiorno;
   la distribuzione della rete ferroviaria nazionale presenta significative differenze tra le diverse aree del Paese (Mezzogiorno, Centro, Nord-ovest, Nord-est). Il Mezzogiorno ha la maggiore estensione di ferrovie ma risulta penalizzato da una rete meno moderna ed efficiente (possiede, infatti, il maggior numero di chilometri a «binario singolo» e conta il 41 per cento di rete non elettrificata);
   l'alta velocità, sino ad oggi, si è realizzata sull'asse Milano, Bologna, Firenze, Roma, con un'appendice Milano-Torino e un'altra Roma-Napoli-Salerno. Sono attivi i collegamenti tra Milano e Treviglio e tra Padova e Mestre, lungo la direttrice trasversale cui afferisce la linea Padova-Bologna e la linea Verona-Bologna. Circa 300 chilometri di nuove linee risultano tra Milano-Verona-Venezia e il terzo valico tra Milano e Genova, in costruzione tra Treviglio e Brescia e tra Genova e Tortona. Per quanto riguarda il Sud, non si hanno ancora notizie certe sull'avvio dei cantieri nella tratta Napoli-Foggia-Bari, così come non si hanno informazioni sulle aperture dei cantieri Salerno-Gioia Tauro-Reggio Calabria e Palermo-Catania-Messina;
   il sistema ferroviario italiano può diventare una risorsa dello sviluppo del Paese, a condizione che siano avviate una meticolosa pianificazione degli investimenti e una continua verifica dei risultati, con una particolare attenzione ai tempi di realizzazione;
   in alcuni territori sono scomparsi i treni, visto che in questi anni sono state chiusi 1.189 chilometri di linee ferroviarie, secondo quanto emerge dal dossier di Legambiente Pendolaria 2015 e i tagli al servizio ferroviario regionale, dal 2010 ad oggi, sono stati pari al 6,5 per cento, con punte del 18,9 per cento in Basilicata, del 26,4 per cento in Calabria, del 15,1 per cento in Campania e del 13,8 per cento in Liguria;
   l'offerta dei collegamenti con Freccia rossa da Roma verso Milano, in 8 anni, hanno avuto un incremento pari al 370 per cento, mentre è calata l'offerta degli intercity pari ad una riduzione del 22,7 per cento sui treni a lunga percorrenza dal 2010 al 2014 e risultano del 6 per cento i tagli al trasporto regionale;
   ogni giorno i treni regionali che circolano tra Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna sono meno di quelli della sola Lombardia (1.738 contro 2.300) e i convogli sono più vecchi al Sud rispetto al Nord (20,4 la media di età contro 16,6) e sono più lenti, perché larga parte delle linee sodo a binario unico e non elettrificate;
   il sistema dei trasporti in Basilicata è caratterizzato da condizioni di grave disagio e deficit infrastrutturale, gestionale ed organizzativo che costituiscono un ostacolo al decollo della crescita e dello sviluppo economico;
   ogni giorno, sulla tratta ferroviaria Taranto-Metaponto-Potenza-Salerno, che è un asse di importanza fondamentale per i collegamenti tra la regione Basilicata e le città servite dall'alta velocità, si verificano disservizi causati dalla mancanza di treni e dalla loro sostituzione con autobus, creando enormi disagi ai cittadini lucani;
   alla Basilicata deve essere garantito un trasporto ferroviario di qualità, ed efficiente che colleghi la regione verso le città che sono servite dall'alta velocità, ossia Salerno, Napoli e Bari, per potenziare la sua offerta turistica ricettiva, in vista dell'appuntamento di Matera Capitale della cultura 2019 e in considerazione dell'aumento dei flussi turistici che diventa strategico per l'intero Mezzogiorno –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere affinché siano destinate le opportune risorse per migliorare la dotazione infrastrutturale ferroviaria del Mezzogiorno;
   quali altre opere saranno previste per la Basilicata e le altre regioni meridionali e quali saranno le risorse e le tempistiche programmate per il loro completamento;
   quali siano il volume degli investimenti e lo stato della progettualità per potenziare i servizi e i collegamenti infrastrutturali nel Sud Italia. (5-07869)

INTERNO

Interpellanza:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il territorio della provincia di Massa Carrara ha, negli ultimi anni, evidenziato un problema di sicurezza: presenza ed infiltrazioni delle mafie italiane e straniere, presenza di rifiuti tossici depositati illegalmente nel territorio, come si rileva dalle dichiarazioni del pentito Schiavone, il duplice omicidio di Natale; furti ininterrotti in abitazioni private ed esercizi commerciali, l'omicidio del maresciallo dei carabinieri Antonio Taibi solo pochi giorni fa;
   la pianta organica ministeriale della questura di Massa Carrara è inferiore ad oggi rispetto a quella riferita nel 1989 con personale diminuito a causa della spending review, con un calo di 15.000 operatori di polizia sul territorio nazionale;
   nel corso degli anni sono diminuite anche le dotazioni di automezzi e attrezzature in dotazione alla polizia di Stato;
   gli attuali uffici della questura e della polizia di Stato di Massa Carrara sono dislocati in varie sedi separate dall'edificio centrale con onerosi contratti di affitto a favore di soggetti privati: uffici della polizia stradale, autorimessa, uffici della squadra mobile e gli uffici centrali della questura, abitazione del questore;
   la provincia di Massa Carrara ha indetto un bando pubblico per la vendita dell'immobile (gara deserta) sede della questura centrale di Massa Carrara e detto immobile è stato messo a gara (come base d'asta è stata fissata la somma di circa di 1 milioneottocentomila euro), e successivamente acquistato dalla società denominata «Patrimonio Italia» – Fondo gestito da Invimit Srg s.p.a. di Roma;
   tutto questo considerato i vantaggi che deriverebbero dalla realizzazione di un nuovo edificio unico (che inglobi gli uffici della questura nonché delle specialità) oltre a essere necessaria e funzionale per le operazioni di polizia consentirebbe un miglioramento delle condizioni per gli operatori e per i cittadini;
   con l'accorpamento in un unico edificio si potrebbero avere un solo corpo di guardia, una sala operativa, un solo centralino con conseguente risparmio di gas, energia elettrica e acqua e il personale non più impiegato in questi servizi potrebbe essere utilizzato nel rafforzamento delle operazioni di controllo del territorio e nelle operazioni investigative (squadra mobile) o informative (D.I.G.O.S.) –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interpellato, vista l'esigenza di sicurezza della provincia di Massa Carrara e di tutto il territorio nazionale, intenda promuovere per mantenere e rafforzare il personale in servizio e, per la particolare situazione sopra rappresenta, se non ritenga utile interpellare la prefettura di Massa Carrara anche al fine di procedere alla ricerca di altro immobile preesistente, per far sì che tutto il personale di polizia incluso quello delle squadre di specialità, possa raggrupparsi in un medesimo edificio in modo da pagare un minore canone di locazione e recuperare personale per il controllo del territorio.
(2-01281) «Nardi».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

I Commissione:


   LATTUCA, VILLECCO CALIPARI e FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di dicembre 2015, i vertici del policlinico Umberto I di Roma e dell'università statale «La Sapienza» di Roma, da cui dipende il dipartimento di medicina legale, hanno lanciato l'allarme concernente la situazione dell'obitorio e la necessità di garantire la massima efficienza della morgue;
   il direttore generale dell'Umberto I, e il rettore dell'università, hanno inviato una lettera al presidente dell'Ama, al commissario straordinario del Campidoglio, al prefetto di Roma e, per conoscenza, al capo della procura della Repubblica, per portarli a conoscenza della suddetta criticità;
   la causa di questa situazione è legata a un contenzioso insorto con l'Ama, la municipalizzata responsabile, in quanto dovrebbero essere gli addetti dell'azienda comunale ad attivare la polizia mortuaria e a procedere al seppellimento, ma ciò non avviene dal mese di luglio 2015;
   policlinico e università si sono fatti carico fino a oggi della custodia e della conservazione delle salme, anche di quelle che hanno già ricevuto il nulla osta della magistratura ai fini della sepoltura; a quanto risulta, vi è la necessità di liberare le celle frigorifere subito, senza ulteriori indugi, in modo da ottenere la disponibilità di un numero congruo di posti (50-70), utili a fronteggiare qualsiasi evenienza, anche in considerazione della presenza di un allarme 2 in termini di sicurezza e per i rischi che esistono in relazione al Giubileo;
   il mancato rinnovo della convenzione tra Ama e medicina legale e l'incertezza amministrativa tra rinnovo o gara di appalto stanno di fatto determinando questa situazione;
   non può essere ignorata la necessità di procedere al riconoscimento dei cadaveri non identificati che giacciono presso gli istituti di medicina legale e gli obitori comunali; tra i quali quello di piazzale del Verano, il cui elenco (1.421 i corpi registrati ad ottobre 2015) è contenuto nel registro nazionale dei cadaveri non identificati istituito nel 2007;
   è evidente che, in una situazione del genere anche la necessità di avere un maggior numero di disponibilità si scontra con la questione del riconoscimento di persone scomparse;
   il suddetto problema è stato portato all'attenzione delle istituzioni competenti, in maniera articolata, dalla associazione Penelope che nel nostro Paese si occupa di persone scomparse e che, da tempo, si batte per ottenere il riconoscimento in capo ai familiari di scomparsi del diritto a confrontare il proprio dna con quello dei cadaveri non identificati –:
   se il Governo sia a conoscenza di tale criticità e quali iniziative di competenza intenda assumere in merito alla paradossale vicenda di Roma affinché le istituzioni coinvolte possano rapidamente procedere alla individuazione delle possibili soluzioni e, al contempo garantire il diritto di chi è alla ricerca di persone scomparse, consentendo le procedure di identificazione attraverso prelievo del dna su base volontaria dei familiari ed evitando sbrigative sepolture dei cadaveri non identificati.
(5-07874)


   CECCONI, FERRARESI, COZZOLINO, NUTI, DADONE, D'AMBROSIO, DIENI e TONINELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 28 ottobre 2015, a Bologna, con l'udienza preliminare è iniziato il processo nato dall'inchiesta cosiddetta «Aemilia», considerato uno dei più importanti processi alla malavita organizzata del nord Italia;
   219 imputati, 21 dei quali modenesi tra i quali la famiglia Bianchini di San Felice S.P., con Augusto Bianchini, titolare dell'omonima impresa, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e Giulio Gerrini, capo ufficio lavori pubblici del comune di Finale Emilia, che dovrà rispondere di abuso d'ufficio continuato con aggravante: nella richiesta di rinvio a giudizio la direzione distrettuale antimafia gli contesta infatti l'aggravante di «avere agito al fine di agevolare l'attività dell'associazione di stampo mafioso denominata ’ndrangheta... attraverso l'assegnazione di appalti pubblici alle imprese riconducibili a Bianchini Augusto e indirettamente a Bolognino Michele...»;
   l'11 giugno 2015 il prefetto di Modena, Michele di Bari, ha inviato una commissione d'accesso incaricata di ispezionare il comune di Finale Emilia, composta dal viceprefetto vicario di Ravenna Antonio Giannelli, dal maggiore dei carabinieri Carmelo Rustico e dal tenente colonnello Giuseppe Micelli della guardia di finanza di Modena;
   come previsto, a inizio settembre 2015, la commissione ha concluso il proprio lavoro consegnando la relazione al prefetto di Modena;
   da numerose indiscrezioni di stampa, in primis Espresso e Gazzetta di Modena, nella relazione della commissione verrebbero evidenziate numerose carenze amministrative che avrebbero causato una «diffusa illegalità», emergerebbe, tra l'altro, che su 55 appalti del post terremoto ben 17 fossero senza certificazione antimafia, con la particolarità che le fonti di tali informazioni, trapelate quest'ultime già a mezzo stampa, non sarebbero accessibili direttamente ai cittadini;
   anche la procura della Repubblica di Modena starebbe esaminando la relazione dei tre commissari; il parere da parte del prefetto sulla relazione è già in possesso del Ministro dell'interno; tale relazione è attualmente secretata, e non risulterebbe agli interroganti essere negli atti del processo in corso a Bologna –:
   se non intenda declassificare la suddetta relazione, affinché possa essere accessibile a tutti i cittadini. (5-07875)


   MUCCI e PLANGGER. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Gianni Tonelli, segretario generale del Sap, secondo sindacato di polizia italiano, è in sciopero della fame da 35 giorni per denunciare la scarsità di uomini e strumenti in dotazione alle forze dell'ordine;
   i numeri evidenziati da Tonelli, sul merito dello sciopero, vedono dal 2009 una carenza di organico, nella polizia di Stato di 18 mila uomini, e 45 mila unità per quanto riguarda l'intero settore delle forze dell'ordine, a causa di un blocco del turn over ad ora fermo al 55 per cento;
   al momento in Italia operano circa 260 mila forze dell'ordine, pari ad un agente ogni 230 mila abitanti;
   da qui al 2018 sono previsti tagli alla pubblica sicurezza per 627 milioni di euro;
   tra le accuse di Gianni Tonelli al Governo c’è il mancato investimento in nuovi equipaggiamenti in dotazione alle forze dell'ordine, in grado di sostituire strumenti obsoleti e in via di scadenza;
   in merito al punto sopra, lo stesso Tonelli ha denunciato il capo della polizia Alessandro Pansa, e il questore di Roma, Nicolò D'Angelo, accusati dal segretario generale del Sap di aver falsificato «a tavolino» le prove per sospendere un agente di polizia 45 enne che aveva mostrato alle telecamere di Ballarò, in una puntata andata in onda il 24 novembre 2015 su Rai Tre, equipaggiamenti della polizia ancora in uso benché scaduti o prossimi alla scadenza –:
   quali sono gli orientamenti del Ministro interrogato con riferimento alle denunce del segretario generale Tonelli in merito all'organico e all'equipaggiamento delle forze dell'ordine in Italia. (5-07876)


   SISTO e GREGORIO FONTANA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 21 dicembre 2015 il prefetto di Milano Alessandro Marangoni, tracciando il bilancio annuale del lavoro delle commissioni territoriali per i richiedenti asilo, ha dichiarato tra l'altro: «il Ministro dell'interno Alfano si è preso l'impegno di potenziare la commissione di Milano» e «in prospettiva verrà aperta un'altra commissione a Monza e un'altra è in previsione di apertura a Bergamo»;
   il lavoro svolto dalle commissioni territoriali richiede, come rileva anche il prefetto di Milano, particolari competenze di carattere culturale, nonché un impegno esclusivo e a tempo pieno dei suoi membri;
   ad avviso degli interroganti, sarebbe altresì auspicabile l'intervento del Governo per modificare la disciplina vigente in materia di commissioni territoriali, attraverso decretazione d'urgenza, per garantire sia una presenza diffusa e capillare delle suddette commissioni sul territorio, sia una loro composizione professionalmente adeguata;
   la regione Lombardia risulta essere la regione con la più alta concentrazione di immigrati, potenziali richiedenti asilo, ospitati nelle varie strutture –:
   quali siano i tempi e le modalità operative con cui potranno essere realizzati i potenziamenti delle commissioni sul territorio lombardo, con particolare riguardo a quelli annunciati a Milano, Bergamo e Monza. (5-07877)


   QUARANTA, D'ATTORRE, COSTANTINO e SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Senato ha approvato in seconda deliberazione il disegno di legge di riforma costituzionale (S. 1429-D), già approvato da entrambe le Camere in prima deliberazione;
   il provvedimento è ora passato nuovamente all'esame della Camera dei deputati per la seconda deliberazione, che deve essere adottata ad intervallo non minore di tre mesi dalla prima, ex articolo 138 della Costituzione, ovvero in aprile 2016;
   ai sensi della legge 25 maggio 1970, n. 352, recante «Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo», dopo il prossimo voto della Camera dei deputati, la legge sarà pubblicata — senza promulgazione, come previsto dall'articolo 3 della legge menzionata — nella Gazzetta Ufficiale. Entro i successivi tre mesi – tempo massimo – 500 mila elettori, cinque consigli regionali, o un quinto dei componenti di una delle Camere potranno avanzare richiesta di referendum e la Corte di Cassazione ne valuterà la legittimità;
   quanto al referendum confermativo, o (meglio) oppositivo, il Presidente del Consiglio Renzi ha parlato di voto nel mese di ottobre 2016, ma sembrerebbe che, in realtà, si stia lavorando per anticipare il voto, fissandolo in concomitanza con le ormai prossime elezioni amministrative;
   è evidente che, dovendo la Corte di Cassazione decidere «con ordinanza, sulla legittimità della richiesta entro 30 giorni», come previsto dall'articolo 12, comma 3, della legge n. 352 del 1970, a partire dal voto finale sul testo della riforma previsto in aprile, i tempi per la pubblicazione del provvedimento sulla Gazzetta Ufficiale e per la presentazione in Cassazione della richiesta di referendum da parte dei parlamentari, di maggioranza e opposizione – già da tempo prospettata – nonché quelli per il decreto di indizione del referendum potrebbero consentire la fissazione della data per il voto anche per luglio, se non addirittura giugno, considerando anche che la data della consultazione deve essere fissata per «una domenica compresa tra il 50o e il 70o giorno successivo all'emanazione del decreto»;
   se avvenisse ciò, verrebbe totalmente aggirato il termine di 3 mesi per la richiesta di referendum da parte di cittadini, previsto dall'articolo 138 della Costituzione, vanificando il loro diritto di richiedere il referendum tramite la raccolta delle firme di 500 mila elettori; il termine di tre mesi potrebbe, di fatto, ridursi soltanto nel caso in cui tutti i soggetti titolari — 500 mila elettori, 1/5 dei membri di una Camera, 5 consigli regionali — esercitassero il loro diritto in tempi più brevi;
   votare prima del decorso dei tre mesi, o del minore tempo eventualmente sufficiente per la raccolta delle firme, significherebbe azzerare il diritto di 500 mila elettori di chiedere il voto popolare sulla riforma; per il passato, va segnalato, si è sempre preferito attendere il decorso del termine, come nel caso dell'indizione del referendum sulla legge costituzionale per il federalismo (2001) che – come da comunicazione pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 7 maggio 2001 – prevedeva lo svolgimento dello stesso «entro i sessanta giorni successivi alla scadenza dei tre mesi stabiliti dall'articolo 138 della Costituzione (prevista per il 12 giugno prossimo) così da consentire all'apposito Comitato di cittadini di promuovere ed eventualmente completare la raccolta delle 500.000 firme prescritte»;
   è appena il caso di ricordare, al riguardo, come il diritto garantito ai cittadini elettori, e non al Governo, di richiedere referendum tramite la raccolta di 500 mila firme è sancito dalla Costituzione proprio per garantire il rispetto della funzione del referendum costituzionale: riaffermare la sovranità diretta (e ineliminabile) dei cittadini nel ratificare o meno le modifiche alla Carta fondamentale su cui si regge la democrazia;
   la richiesta di anticipata indizione del referendum cancellerebbe tale diritto e integrerebbe una grave violazione della Costituzione e dello spirito dell'articolo 138 della Costituzione che prevede che il referendum sia uno strumento di democrazia diretta a disposizione dei cittadini e delle minoranze, non del Governo;
   mai come ora, infatti, il voto degli italiani tutti sulla riforma serve a garantire quel controllo e quel sindacato del popolo italiano sulle modifiche alla Carta, voluto dai Costituenti, e ad arginare le forzature di una maggioranza che voglia imporre la volontà di una parte (oggi maggioritaria in Parlamento, ma secondo gli interroganti minoritaria nel Paese) sulla Carta fondamentale di tutti i cittadini;
   se ciò dovesse accadere, i comitati promotori del referendum – secondo la Corte costituzionale – potrebbero ben sollevare conflitto tra poteri dello Stato davanti alla stessa Corte, anche in relazione ad un decreto di indizione intempestivo;
   qualora il Governo decidesse di indire comunque la consultazione referendaria, pur in pendenza della raccolta firme, vanificherebbe l'iniziativa popolare e il diritto dei cittadini a partecipare pienamente alla consultazione referendaria, fin dalle prime fasi, ovvero di esserne non semplici ratificatori, ma soggetti e, come tali, pienamente informati su contenuti ed effetti di una riforma che, lo si ricorda, modifica non uno, ma più di 40 articoli della Costituzione, aggravando, tra l'altro, e non a caso, anche le condizioni di accesso ai referendum e agli istituti di democrazia diretta –:
   se, ove venga presentata una richiesta di referendum «confermativo», il Governo intenda conformarsi alla decisione adottata nel 2001, allorché fu stabilito che all'indizione del referendum si sarebbe potuto procedere entro i sessanta giorni successivi alla scadenza dei tre mesi previsti dall'articolo 138 della Costituzione, atteso che, a parere degli interroganti, un'eventuale anticipazione del referendum rappresenterebbe un grave vulnus alle regole democratiche e, in particolare, non risulterebbe rispettato il diritto costituzionale dei cittadini di raccogliere le firme e di promuovere autonomamente il referendum sulle riforme costituzionali volute dal Governo. (5-07878)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MAGORNO, COVELLO, BRUNO BOSSIO e AIELLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la crisi amministrativa e istituzionale al comune di Cosenza, suggellata dalle dimissioni della maggioranza dei consiglieri, avvenute il 7 febbraio 2016, ha portato allo scioglimento dell'ente guidato dal sindaco Mario Occhiuto che è anche presidente della provincia;
   nella serata dello stesso giorno, sui social media, è stato fatto circolare un video in cui i volti dei consiglieri comunali di Cosenza dimissionari sono diventati bersaglio di misteriosi killer di cui si intravedevano solo le pistole;
   tale video, a parere degli interroganti, rappresenterebbe una palese minaccia e un'inaudita istigazione alla violenza;
   sempre secondo gli interroganti, l'inquietante clima di tensione creatosi a Cosenza dopo le dimissioni dei consiglieri, rischierebbe di degenerare con pericolose e preoccupanti conseguenze –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se e quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intenda attivare per monitorare con attenzione l'evolversi delle vicende politico-amministrative nella città di Cosenza e tutelare la sicurezza dei consiglieri comunali che si sono dimessi assicurando una democratica e civile convivenza, anche in vista del commissariamento dell'ente fino alle prossime elezioni amministrative.
(5-07872)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RUBINATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione n. 5-04863 del mese di febbraio 2015 era stato già messo in luce come, a seguito di un episodio occorso a Treviso il 16 febbraio 2015, in cui un contingente di circa 35 profughi era stato invitato a disperdersi dopo esser stato fotografato dalla questura e sottoposto alle visite mediche, la locale prefettura non aveva trovato alcuna struttura disponibile per la loro accoglienza e i profughi avevano trascorso la notte in un pullman davanti alla stazione; nell'atto citato si faceva presente inoltre al Ministro dell'interno come le nuove ondate di migranti avrebbero rischiato di creare forti tensioni in Veneto, dove gli amministratori locali devono già gestire una considerevole presenza di lavoratori extracomunitari, regolarmente integrata, che si è poi ritrovata senza lavoro a causa del perdurare degli effetti della crisi, oltre al problema degli stessi cittadini residenti sfrattati e rimasti senza casa dopo aver perso il lavoro, come rilevato dalla presidente di Anci Veneto, Maria Rosa Pavanello;
   veniva altresì sottolineato che il presidente della regione Luca Zaia aveva dichiarato sulla stampa che «non ha mai firmato il cd. Patto per l'accoglienza di Luglio», nonostante dal verbale della Conferenza unificata Stato, regioni e autonomie locali del 10 luglio 2014 anche la regione Veneto risulti essere stata parte dell'intesa per fronteggiare il flusso straordinario di cittadini extracomunitari; si evidenziava che il numero delle Commissioni per gestire le richieste d'asilo in costante crescita e fornire risposte in tempi adeguati era assolutamente non congruo; si chiedeva quindi quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intendesse adottare, di concerto con la regione stessa, per dare effettiva attuazione alla sopracitata intesa e per porre i prefetti e gli amministratori locali nelle condizioni di supportare in modo sostenibile, sia sul piano economico che amministrativo, le procedure di accoglienza;
   nonostante le azioni intraprese dal Governo, ad oggi non è stata data ancora piena attuazione ai contenuti dell'intesa, salvo che per il raddoppio delle Commissioni, il cui lavoro è comunque ancora inadeguato essendoci migranti presenti nelle strutture da quasi un anno che non sono stati ancora chiamati per il colloquio; così se da un lato il Governo continua ad inviare contingenti di migranti, per distribuirli in modo equo e sostenibile sui vari territori, dall'altro la regione non presta alcuna collaborazione ai prefetti e agli enti locali (salvo garantire il dovuto presidio sanitario) per reperire strutture diffuse per l'accoglienza, di modo che gli amministratori locali vedono l'emergenza ricadere sui loro territori senza alcuna forma di pianificazione e gli stessi cittadini percepiscono una situazione di disorganizzazione e disordine che alimenta un clima di timore ed insicurezza;
   nonostante una minoranza di comuni collaborativi e lo straordinario impegno delle locali associazioni del terzo settore abbiano consentito di ospitare in modo decoroso una parte rilevante degli arrivi, in questo ultimo periodo la situazione è diventata insostenibile in diverse località del Veneto, come ad esempio nel comune di Eraclea (Venezia), una località balneare per famiglie, dove circa 250 migranti sono da oltre un mese in un residence dove una coop onlus ha preso in affitto 63 unità immobiliari per l'ospitalità; tutt'attorno i proprietari delle case o gli affittuari degli appartamenti sono furibondi, mentre il sindaco denuncia un danno al settore turistico locale che, tra prenotazioni annullate e minori presenze, vale un calo di oltre il 20 per cento; da ultimo, ad Eraclea si è registrata la ribellione degli immigrati, seguita dalle proteste di turisti e commercianti;
   in particolare, poi nella Marca Trevigiana (l'area territoriale che si estende attorno alla città di Treviso), dopo l'episodio del febbraio 2015 si sono verificati una serie di eventi non adeguatamente governati che stanno mettendo a dura prova gli amministratori locali più responsabili ed i rappresentanti delle associazioni che si occupano dell'accoglienza, creando dissidi tra i rappresentanti delle istituzioni al punto che sui media sono state riportate dichiarazioni contrastanti sulla stessa efficacia della gestione da parte del prefetto, a quanto consta all'interrogante contestata da taluni sindaci, mentre la stessa riceveva il plauso da parte dei massimi esponenti leghisti, quali il presidente della provincia e quello della regione per aver affermato nel maggio 2015 che «nella Marca non c’è più posto»;
   in particolare, il 10 giugno 2015, un centinaio di migranti sono giunti nella provincia di Treviso nell'arco di poco più di ventiquattro ore, e a seguito dell'impossibilità per i centri di accoglienza presenti in loco di accoglierli tutti il prefetto ha adottato in tutta fretta una soluzione provvisoria di emergenza, inviando una cinquantina di questi alla caserma Salsa di Treviso, una struttura del tutto inadatta poiché non rispetta neppure le condizioni minime igienico-sanitarie, né gli standard regionali di accoglienza previsti, ragion per cui è intervenuta, facendosene carico, la Caritas di Treviso;
   il 1o luglio 2015, di fronte ad un ulteriore contingente di 130 rifugiati destinato alla Marca, ottanta persone circa sono state collocate in via provvisoria dalla prefettura – a seguito di un accordo dell'ultimo minuto raggiunto con le Ferrovie dello Stato – in un locale dentro la stazione di Treviso, l'ennesima sistemazione del tutto inadeguata, giunta dopo una nota inviata dal prefetto ai 95 sindaci di quest'area nella quale si sosteneva, tra le altre cose, che «in assenza di una prospettiva di sistemazione» i «richiedenti asilo sarebbero stati collocati in spazi pubblici della provincia a partire dal capoluogo»; stante l'insostenibilità anche igienico-sanitaria della collocazione è quindi intervenuta l'amministrazione comunale di Treviso per trovare un'altra sistemazione provvisoria per alcuni giorni nell'area cosiddetta della ex Dogana;
   il 14 luglio 2015, a Villorba, a ridosso del casello di Treviso nord, sono stati letteralmente «scaricati» da un autobus, arrivato dalla Turchia attraverso i Balcani e che si è immediatamente dileguato, altri 47 richiedenti asilo, provenienti da Pakistan e Afghanistan, cosa che ha acuito una situazione già al collasso per la gestione degli arrivi smistati dallo Stato nella Marca trevigiana; il sindaco di Villorba li ha fatti salire su un pullman, portandoli a sua volta nella città capoluogo dove sono stati presi in carico per l'identificazione dai carabinieri;
   da ultimo, il 16 luglio 2015, alle prime luci dell'alba un centinaio di migranti provenienti da due strutture di accoglienza temporanea della Marca sono stati trasferiti su disposizione della prefettura, sembra senza alcun preavviso, nel comune di Quinto in trenta appartamenti ancora vuoti di due condomini di proprietà del gruppo Guaraldo (in concordato preventivo), alle porte del capoluogo;
   quando i residenti degli altri appartamenti hanno visto i 101 profughi (96 uomini e 5 donne provenienti da Nigeria, Costa d'Avorio e Pakistan) scendere da due corriere ed entrare negli appartamenti accanto ai loro è scoppiato il pandemonio. Gli abitanti sono subito scesi in cortile e hanno dato vita a un duro sit-in, proseguito nella notte, avendo deciso di dormire nelle tende montate in cortile; la protesta dapprima pacifica è poi esplosa in rivolta dopo la mezzanotte, quando un gruppo di persone è entrato in un locale del piano terra usato come magazzino, tirandone fuori materassi, reti, divani, televisori ed incendiandoli e aggredendo il custode della cooperativa sociale Xenia di Grosseto incaricata dalla prefettura di occuparsi dell'accoglienza dei migranti; il giorno successivo la prefettura ha poi deciso di trasferire i migranti alla caserma Serena, mentre una trentina di giovani dell'associazione ZTL occupava l'ingresso della prefettura di Treviso per protesta contro il prefetto; gli stessi venivano portati poi di peso dalle forze dell'ordine in tenuta antisommossa in questura per l'identificazione;
   la percezione di insicurezza e l'allarme diffuso tra i cittadini a seguito di tali episodi ad avviso dell'interrogante sono strumentalizzati da talune forze politiche ed alcuni amministratori locali, oltre che alimentati dalla mancanza di una fattiva collaborazione con le prefetture del presidente della regione; inoltre, espressioni utilizzate da quest'ultimo, quali ad esempio «Stanno africanizzando il Veneto» e ancora «Quella del Prefetto è una dichiarazione di guerra», a giudizio dell'interrogante favoriscono l'alzarsi della tensione sociale e anche l'insorgere di forme di intolleranza e xenofobia nei confronti dei migranti, nonostante la maggioranza dei veneti sia costituita da persone tolleranti ed accoglienti; infine l'esito ottenuto dagli abitanti protagonisti della rivolta di Quinto – che va stigmatizzata, anche se scatenata dalla decisione sbagliata di collocare un numero elevato di profughi in palazzine abitate da poche famiglie residenti – rischia di scatenare l'emulazione, visti i titoli già apparsi sulla stampa, quali ad esempio «Salvini e i ribelli di Quinto ora infiammano Eraclea “Faremo così ovunque”»;
   è evidente che un fenomeno migratorio di queste dimensioni necessita di soluzioni ampie e di lungo periodo a livello europeo e internazionale, ma appare anche necessario di fronte all'emergenza sistematica sui territori regionali assumere iniziative urgenti a livello nazionale, anche di carattere normativo, atte a garantire la possibilità di effettuare le procedure di identificazione direttamente nelle strutture di prima accoglienza dopo l'approdo sulle coste italiane, attuando rapidamente il rimpatrio di chi risulta in modo evidente non essere un rifugiato;
   inoltre, al fine di realizzare una accoglienza equilibrata e sostenibile, appare più opportuno individuare in regioni come il Veneto, anziché un unico hub regionale, troppo grande e di difficile gestione, un hub più piccolo in ogni provincia utilizzando caserme (dismesse, ma anche parzialmente in uso, ove fattibile d'intesa tra i Ministeri della difesa e dell'interno), previamente individuate sul territorio e attrezzate, al fine di garantire il rispetto delle condizioni minime di accoglienza per un periodo determinato, evitando rischi di ghettizzazione; in tali strutture vanno approntati in collaborazione con le associazioni del terzo settore anche servizi per favorire l'integrazione (formazione, apprendimento della lingua e altro) al fine di consentire poi una accoglienza diffusa di piccolissimi gruppi di migranti sul territorio in collaborazione con le associazioni e gli enti locali e il loro coinvolgimento in attività/lavori socialmente utili, per evitare che rimangano a lungo inattivi;
   è urgente altresì individuare meccanismi alternativi atti a garantire una velocizzazione delle procedure di esame delle domande dei richiedenti asilo, al fine di consentire da un lato a tutti i richiedenti asilo una risposta certa, in un tempo ragionevole, e di permettere, dall'altro, la turnazione dei migranti accolti nelle strutture di accoglienza –:
   se e quali iniziative urgenti, anche sul piano normativo, intenda adottare per fronteggiare l'emergenza in atto nella regione Veneto ed in particolare nella provincia di Treviso, per prevenire ulteriori episodi di disordine e violenza, al fine da un lato di mettere i comuni e le associazioni del terzo settore che ospitano i migranti nelle condizioni effettive di offrire un'accoglienza dignitosa a quanti fuggono da guerre e persecuzioni, approntando piccoli hub provinciali funzionali alla successiva accoglienza diffusa con percorsi di concreta integrazione attraverso attività di formazione e lavori socialmente utili, e dall'altro di velocizzare i tempi di esame e risposta alle richieste di protezione internazionale in modo da procedere in tempi sostenibili al rimpatrio di chi risulta non averne diritto. (4-12194)


   OTTOBRE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è di oggi, la notizia apparsa su molti giornali, che undici cittadini del Gambia, tutti richiedenti asilo, sono stati arrestati dalla polizia di Trento perché ritenuti responsabili di traffico di sostanze stupefacenti e riciclaggio di denaro;
   l'operazione, condotta dalla polizia, ha portato alla luce un vasto traffico di droga e riciclaggio di denaro tra Rovereto e Trento, gestito da un'organizzazione criminale, i cui appartenenti erano giunti in Italia come richiedenti asilo per motivi politici-umanitari o di protezione sussidiaria;
   sono diciannove i richiedenti asilo accolti in Trentino che sono stati coinvolti dall'indagine della polizia contro lo spaccio di droga; si tratta di persone giunte in Trentino come richiedenti asilo e ospitati tra il centro di Marco ed altre strutture della città della quercia e del capoluogo; lo stupefacente smerciato era prevalentemente eroina ed era spacciato anche nei pressi di istituti scolastici; le dosi venivano preparate anche all'interno degli stessi centri di accoglienza;
   le indagini sono state avviate nella seconda metà del 2015 dopo una morte dovuta all'assunzione di stupefacenti e diversi casi di overdose a Rovereto e Trento, la polizia ha così scoperto che lo stupefacente, proveniente da Napoli e Roma, veniva importato da un'organizzazione di cittadini del Gambia ed è emerso che il denaro ricavato dallo spaccio veniva, settimanalmente, inviato in Gambia tramite connazionali che fungevano da corrieri residenti a Milano;
   la rete dell'accoglienza in Italia è gestita dal Ministero dell'interno e si articola in: 14 centri di accoglienza (Cpsa, Cda, Cara), 5 centri di identificazione ed espulsione (Cie), 1.861 strutture temporanee, 430 progetti del sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati (Sprar); quest'ultimo, istituito dal dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Viminale, è affidato all'Anci (l'associazione dei comuni italiani);
   i centri di accoglienza (Cda) garantiscono la prima accoglienza allo straniero rintracciato sul territorio nazionale per il tempo necessario alla sua identificazione; lo straniero che richiede la protezione internazionale viene inviato nei centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara); gli stranieri giunti in modo irregolare in Italia, che non fanno richiesta di protezione internazionale, sono trattenuti nei centri di identificazione ed espulsione (Cie) e, a differenza degli altri centri, qui sono reclusi e non possono liberamente uscire;
   lo Sprar dispone di una rete di centri di «seconda accoglienza»: in principio questo non sarebbe finalizzato (come i Cda o i Cara) a un'assistenza immediata di chi arriva in Italia, ma all'integrazione di soggetti già titolari di una forma di protezione internazionale, oggi, però, anche lo Sprar fa la prima accoglienza: dopo l'emergenza Nord Africa e l'aumento dei flussi migratori infatti il Ministero dell'interno ha cominciato a disporre di trasferire i richiedenti asilo appena arrivati direttamente nello Sprar, senza passare per i Cara che erano sovraffollati;
   a settembre 2015, il sistema d'accoglienza ospitava 93.608 profughi, tra centri governativi e strutture temporanee regionali;
   secondo la guida pratica a cura del sistema Sprar, le commissioni territoriali, che sono dieci, oltre alla Commissione nazionale per il riconoscimento della protezione internazionale, devono svolgere l'audizione per il riconoscimento dell'asilo entro 30 giorni dalla presentazione della domanda e decidere nei successivi tre giorni; tuttavia, stando alla stima della banca dati Sprar, il periodo di attesa mediamente si aggira intorno ai 12 mesi;
   il diritto internazionale impone a ciascun Paese l'accoglienza dei richiedenti asilo fino all'accertamento – o al diniego – dello status di rifugiato, nel caso del nostro Paese, la lunghezza dei tempi di valutazione delle richieste è uno dei punti critici, con effetti diretti sui tempi di permanenza nei centri di accoglienza, anche per chi non avrebbe diritto alla protezione;
   dal 2000 al 2011, le denunce nei confronti di stranieri sono aumentate di ben il 339,7 per cento, passando da 64.479 a 283.508, mentre il corrispondente aumento dei detenuti si riduce al 55,1 per cento (da 15.582 a 24.174); «Riconsiderando l'aumento degli ingressi in carcere degli stranieri – si legge sul rapporto Caritas e Migrantes – questi dipendono per lo più dalla loro permanenza in Italia senza permesso di soggiorno e dalla non ottemperanza al decreto di espulsione da parte dei giudici, punita con una pena detentiva da uno a 5 anni»;
   quanto sopra evidenziato fa emergere una situazione sempre più pericolosa non solo da un punto di vista di sicurezza quotidiana dovuta a furti, spaccio e altro, ma anche alla sempre più crescente possibilità che elementi terroristici possano, in questa fertile situazione, far crescere l'ideologia terroristica del Daesh –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia posto in essere, anche alla luce dei recenti richiami informali internazionali, per diminuire i tempi di identificazione dei soggetti richiedenti asilo arrivati nel nostro Paese e per monitorare il flusso e la distribuzione degli stessi a tutela della sicurezza pubblica;
   quali iniziative siano state programmate, in accordo con l'Anci, con le regioni e le province, in modo da poter meglio distribuire la rete di accoglienza e se non sia stata valutata la possibilità di aumentare il numero delle commissioni territoriali in modo da diminuire i tempi per il riconoscimento del diritto d'asilo dei richiedenti. (4-12211)


   GREGORIO FONTANA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   stando a quanto riportato dai mezzi di informazione all'università di Bologna, il 22 febbraio, il professor Angelo Panebianco è stato duramente contestato da un gruppo di studenti, appartenenti a un gruppo denominato Collettivo universitario autonomo, che gli ha impedito di fare lezione, gridando, tra le altre cose, «fuori i baroni della guerra dall'università»;
   gli studenti di cui sopra contestavano al professor Panebianco le posizioni assunte, anche attraverso i suoi articoli sul Corriere della sera, in merito al possibile intervento militare italiano nella crisi libica;
   nel gennaio 2014 la porta dell'ufficio del professor Panebianco fu imbrattata con vernice rossa e con la scritta «Panebianco cuore nero», sempre con riferimento a un articolo di Panebianco pubblicato sul Corriere della sera;
   sia in ambito giornalistico sia in ambito accademico è emersa negli ultimi mesi l'ipotesi che si possano determinare convergenze operative tra estremismo jihadista e gruppi anarco-insurrezionalisti, con riferimento particolare all'impegno dell'Europa e dell'Italia nelle crisi mediorientali e nordafricane;
   per l'Italia, già molto impegnata ed esposta nelle crisi geopolitiche dell'area nordafricana e mediorientale, l'apertura di un fronte «interno», con riferimento particolare a nuove possibili forme di anarco-insurrezionalismo, sarebbe estremamente pericoloso per la sicurezza nazionale;
   gli attivisti di cui ai punti precedenti hanno annunciato un presidio di contestazione anche per il 29 febbraio 2016 in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico –:
   se il Governo sia in possesso di elementi tali da poter considerare i fatti summenzionati come episodi isolati o come segnali di nuove e pericolose forme di insorgenza anti-sistema;
   quali misure preventive di competenza si stiano approntando per evitare che la manifestazione annunciata del 29 febbraio 2016 minacci la libertà di manifestazione del pensiero e metta in pericolo la sicurezza e l'incolumità dei docenti e degli studenti dell'università e dei cittadini di Bologna in generale. (4-12214)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'attività del comune di Finale Emilia è stata oggetto tra l'11 giugno e l'11 settembre dello scorso anno di un monitoraggio approfondito da parte della commissione prefettizia antimafia;
   la predetta commissione prefettizia antimafia, passati al setaccio gli appalti concessi per l'esecuzione di lavori pubblici a Finale Emilia tra l'agosto del 2011 e l'ottobre 2013, ha scoperto che dei 55 bandi censiti ben 17 si sono risolti senza l'effettuazione di alcun controllo anti-mafia, mentre altri due sono stati vinti da imprese destinatarie di provvedimenti di esclusione dalle « white list»;
   l'ex capo ufficio lavori pubblici del comune di Finale Emilia, Giulio Gerrini, è stato arrestato e posto agli arresti domiciliari nel contesto dell'operazione condotta contro la `ndrangheta e denominata «AEMILIA»;
   alle indagini che hanno condotto a tale esito hanno contribuito anche alcuni consiglieri comunali di Finale Emilia appartenenti all'opposizione, collaborando per ben due anni al l'azione investigativa della direzione distrettuale antimafia territorialmente competente;
   il procedimento avviato nei confronti del comune di Finale Emilia Per accertare la rispondenza dell'attività amministrativa dell'ente locale ai criteri di legalità e trasparenza a fronte di gravi sospetti di inquinamenti di natura mafiosa si è concluso con l'emanazione del decreto del Ministro dell'interno datato 18 gennaio 2016;
   pur essendo emerso nella fase istruttoria del procedimento, condotta dalla commissione prefettizia antimafia, un contesto amministrativo non esente da forti criticità nella gestione di diverse attività istituzionali, il comune di Finale Emilia non è stato commissariato;
   si è tuttavia riconosciuta l'esigenza di monitorarne attentamente le decisioni, allo scopo di contrastare efficacemente e tempestivamente eventuali interferenze ulteriori della criminalità organizzata nella vita del comune di Finale Emilia;
   la prefettura di Modena risulta aver ammesso la necessità di sorvegliare le iniziative intraprese dal comune di Finale Emilia nei settori di attività risultati più compromessi nel corso degli accertamenti ispettivi;
   in seguito a quanto deliberato dall'amministrazione dell'interno, spetterà inoltre alla prefettura di Modena monitorare a Finale Emilia l'adozione degli atti di indirizzo e programmazione generale nel settore dei Lavori Pubblici, il varo delle regole fondamentali relative alle procedure d'appalto, la realizzazione del sistema dei controlli interni all'amministrazione comunale, la predisposizione e l'aggiornamento di un albo delle ditte di fiducia cui affidare i servizi e i lavori in economia;
   la prefettura di Modena ha altresì creato un gruppo di supporto ad hoc per potersi occupare delle attività del comune di Finale Emilia;
   non è chiaro quali attività residuali rimangano nella piena disponibilità dell'amministrazione comunale di Finale Emilia –:
   a fronte della gravità dei sospetti gravanti sull'amministrazione municipale di Finale Emilia e dell'invasività delle attività di controllo rimesse alla prefettura di Modena allo scopo di prevenire l'ulteriore inquinamento delle attività del comune di Finale Emilia da parte della criminalità organizzata, per quali ragioni non siano state assunte le iniziative di competenza per lo scioglimento, invece di allestire il dispendioso meccanismo di monitoraggio generalizzato in premessa.
(4-12218)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BRIGNONE, ANDREA MAESTRI, PASTORINO, MATARRELLI e CIVATI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le borse di studio sono un sostegno economico erogato su base concorsuale in ragione della condizione economica e patrimoniale del nucleo familiare di ciascuno studente «in sede», «fuori sede» o «Pendolare», messo a disposizione degli studenti universitari che si distinguono per merito;
   la legge attuale prevede che ogni studente può accedere e ottenere la borsa di studio, a seconda del luogo in cui risiede lo studente: tra i 1.500 e i 2.000 euro, se risiede nella città dell'università frequentata, tra i 4.500 e i 5.000 euro se è fuorisede. Tuttavia, un idoneo ogni cinque studenti non riscuote nulla;
   del totale delle borse di studio erogate agli universitari italiani, il 67 per cento del totale è assegnato al Sud del Paese;
   ciò vale a dire che uno studente su tre, tra quelli che ne hanno diritto, non può usufruire della borsa di studio per mancanza di fondi;
   secondo i dati dell'ufficio statistico del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, le regioni che nel 2014 – 2015, avevano erogato le due tranche di pagamento – dicembre e giugno – del sussidio di merito, erano sette: quattro al Nord e tre al Centro;
   infatti, nel 2014/2015, molte sono state le regioni che non hanno rispettato i termini di scadenza per il pagamento delle tranche delle borse di studio assegnate, come ad esempio la Lombardia, il Piemonte – che ha erogato l'85 per cento – la Calabria, dove è stato pagato circa il 38 per cento delle borse di studio e il Lazio, con il 24 per cento degli studenti che ne avevano diritto, ma che è rimasto escluso;
   mentre la Germania interviene con circa 4 miliardi di euro per il sussidio allo studio, l'Italia mette a disposizione solo 600 milioni di euro;
   tra il 2011 e il 2015 l'università italiana ha perso il 6,8 per cento d'immatricolati, con una maggiore concentrazione al Sud, dove si è raggiunto complessivamente il -14,5 per cento con il dato preoccupante del -40 per cento a Reggio Calabria, proprio a causa della mancanza di erogazione delle borse di studio;
   tale quadro preoccupante si va ad aggiungere a una altra allarmante situazione in cui gli studenti si trovano a essere «idonei non beneficiari» perché, pur avendo i requisiti di reddito e merito per l'ottenimento della borsa di studio, hanno una collocazione in graduatoria che non consente di usufruire dell'agevolazione in denaro, a causa dell'esaurimento dei fondi regionali disponibili –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione in cui versano gli studenti universitari che, per diritto, potrebbero usufruire della borsa di studio ma che, per mancanza di fondi a disposizione, si vedono ledere il diritto allo studio, specialmente al Sud Italia;
   quali iniziative di competenza intenda assumere per evitare un vero e proprio esodo di studenti dagli atenei del Sud, che hanno registrato un crollo nelle immatricolazioni, proprio a causa della mancata erogazione delle borse di studio;
   se non ritenga urgente e necessario assumere iniziative, per quanto di competenza, per una modifica dei parametri per l'accesso alle borse di studio universitarie, poiché i nuovi criteri stanno generando il fenomeno degli idonei non beneficiari;
   se non ritenga necessario assumere iniziative di competenza per potenziare i fondi delle borse di studio per evitare che i giovani rinuncino a frequentare le università italiane e per garantirne a chi ne ha diritto l'erogazione nei termini stabiliti dell'anno accademico cui si fa riferimento. (5-07880)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIMBRO, CHAOUKI, PAOLA BRAGANTINI, CAPONE, D'INCECCO, FOSSATI, IACONO, TIDEI, ZANIN e GULLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   è sempre più necessario che le scuole con elevate percentuali di alunni con background migratorio siano poste al centro delle politiche e delle azioni di promozione dell'integrazione;
   dal 2006 al 2014, le scuole con tassi di incidenza del 30 per cento e più di alunni stranieri per istituto sono passate dall'1 per cento al 5 per cento del totale delle strutture educative italiane: 2,851 sedi scolastiche. È da rilevare poi come proprio gli istituti con elevate percentuali, 50 per cento e oltre, di allievi non italiani, siano quelli che abbiano avuto nelle ultimissime annate l'aumento più significativo, arrivando a toccare il numero di 510 scuole: l'1 per cento del totale;
   per queste ultime, in particolare, l'aumento si è registrato in modo sensibile nelle scuole dell'infanzia, il cui numero è passato dai 269 istituti, dell'anno scolastico 2012/13 ai 322 dell'annualità successiva: 53 in più, per una crescita del 20 per cento;
   è da segnalare anche la fascia comprendente scuole con percentuali di alunni stranieri tra il 40 per cento e il 50 per cento; incidenze comunque elevate. Là vi si trovano numeri significativi anche degli altri ordini scolastici: 200 scuole primarie, 35 secondarie di primo grado, 78 secondarie di secondo grado;
   è palese come tali istituti si trovino a gestire una realtà estremamente complessa; oltre al pesante dato quantitativo, impattante di per sé, e in costante crescita, vanno infatti considerate altre variabili. Vi sono differenze tra scuole dell'infanzia, e secondarie di secondo grado; tra istituti ordinari, e scuole in situazioni di sostegno da parte di enti locali e associazioni; tra bambini stranieri nati in Italia, e ragazzi neoarrivati;
   il quadro è poi ulteriormente complicato dalla variabile geografica: la distribuzione sul suolo nazionale dei ragazzi stranieri non è, ovviamente, uniforme. In rapporto al loro territorio, le province con la più alta percentuale di scuole ad elevata presenza di alunni con background migratorio sono Prato, Piacenza, Reggio Emilia, Brescia, Mantova. Guardando invece ai numeri assoluti, gli istituti considerati sono concentrati, con l'eccezione di Brescia, nelle province di grandi città: Roma, Torino, Milano. L'area metropolitana di quest'ultima da sola ne conta 65, di cui 19 sono scuole dell'infanzia;
   sempre considerando le scuole ad elevate percentuali stranieri, meritano una nota quelle secondarie di II grado. Sono 43, tutte statali, e in gran parte istituti professionali (35); gli istituti tecnici sono solo 7, e non c’è nessun istituto liceale. La maggioranza, ben 25 istituti, è poi costituita da scuole serali;
   è interessante la geografia territoriale che emerge da questo gruppo di scuole: ai primi posti, con percentuali che superano addirittura il 75 per cento, di presenze di studenti stranieri, ci sono scuole delle grandi città del nord del paese; ma nell'elenco si incontrano anche istituti di piccole città come Conegliano, Leno, lesi, Oderzo, Novellara;
   è evidente come gli istituti professionali ad elevata presenza di studenti stranieri costituiscano un segmento scolastico di particolare complessità e fragilità; è questo un settore che più di altri avrebbe bisogno di misure specifiche di sostegno, di risorse, di investimento in formazione del personale scolastico;
   a fronte di tutto questo, si rende ovvio perciò fornire al sistema educativo del nostro Paese strumenti adeguati ai tempi e al nuovo contesto sociale, oltre che alle specifiche variabili sopraelencate. Al riguardo, quindi, sarebbe grandemente utile prevedere almeno un centinaio di insegnanti distaccati per l'integrazione degli alunni con background migratorio, operanti nell'ambito delle reti di scuole del nostro territorio;
   tali nuove figure dovrebbero avere competenze glottodidattiche, in modo particolare quelle specifiche per predisporre percorsi di facilitazione dell'italiano come L2, nozioni di pedagogia interculturale ed un'esperienza professionale di progetti di integrazione linguistico – culturale. Tale bagaglio di conoscenze, competenze ed esperienze è necessario per dare un contributo fattivo non solo all'accoglienza degli studenti con background migratorio, ma anche per rimodellare l'offerta educativa – formativa del sistema scuola in uno scenario sempre più interculturale;
   sono varie le funzioni degli insegnanti distaccati: insegnamento dell'italiano L2 ad alunni il cui livello d'interlingua non è assimilabile a quello degli italofoni; allestimento e cura di centri risorse e di consulenza per le scuole e per gli insegnanti, in presenza e on line; segnalazione e diffusione di materiali e strumenti didattici innovativi ed efficaci; collaborazione con associazioni ed enti locali per iniziative di aiuto allo studio, doposcuola, orientamento, accompagnamento e tutoraggio in orario extrascolastico; momenti di coordinamento e confronto con i referenti delle scuole della rete –:
   quali iniziative intenda mettere in atto il Ministero circa il tema sollevato, e se intenda prevedere l'individuazione di un numero adeguato di insegnanti distaccati, specializzati nelle tematiche dell'inclusione e dell'integrazione, da dislocare nelle aree a più forte presenza di alunni stranieri, e in situazioni di particolare complessità e fragilità sociale. (4-12196)


   CATANOSO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 107 del 2015 (cosiddetta buona scuola), al fine di coprire i posti vacanti e disponibili e creare il nuovo organico dell'autonomia, ha previsto un piano assunzionale straordinario, articolato in quattro fasi: 0, A, B e C:
   tutti i docenti rientranti nelle fasi 0, A e B sono stati immessi in ruolo con decorrenza giuridica e di fatto dal primo settembre 2015. In buona sostanza hanno preso servizio già dal primo settembre 2015;
   i docenti rientranti nella fase C sono stati immessi in ruolo con decorrenza giuridica dal primo settembre 2015 ma con presa di servizio dai primi di dicembre 2015;
   al fine del definitivo passaggio di ruolo i docenti neoimmessi devono superare un periodo di formazione e prova, regolamentato dal decreto ministeriale n. 850 del 27 ottobre 2015;
   l'articolo 3 del precitato decreto ministeriale prevede che il superamento del periodo di formazione e prova sia subordinato allo svolgimento del servizio effettivamente prestato per almeno centottanta giorni nel corso dell'anno scolastico, di cui almeno centoventi per le attività didattiche;
   la previsione di tali periodi è stata effettuata in modo univoco senza differenziare le varie fasi di immissione in ruolo. In particolare, i neoimmessi in fase C, avendo preso servizio solo nei primi di dicembre, vale a dire ben tre mesi dopo i colleghi rientranti in fase 0, A e B, rischiano di non potere superare l'anno di formazione e prova per il mancato raggiungimento dei centottanta e dei centoventi giorni;
   rebus sic stantibus i neoimmessi in fase C non possono usufruire nemmeno di un grado di congedo per malattia, per motivi familiari, per ferie, per diritto allo sciopero, e così via;
   tale stato di cose crea una palese disparità di trattamento e si pone in netto contrasto con i principi della nostra Costituzione –:
   quali iniziative di competenza abbia intenzione di adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-12205)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i lavoratori della Evraz Palini e Bertoli di San Giorgio di Nogaro vivono da anni una situazione di forte tensione a causa delle ricorrenti crisi della società. Il sito è stato riaperto solo quattro mesi fa, dopo due anni di chiusura a causa della recessione nel mercato delle lamiere, e, attualmente, vi è l'ennesimo allarme di crisi che coinvolge il laminatoio e, dunque, i 116 dipendenti; sembra infatti che vi sarà un ulteriore blocco dell'attività, già limitata, dello stabilimento che determina ovvia preoccupazione sulla stabilità dei posti di lavoro;
   le vicende della società sono sempre state caratterizzate da una condotta ambigua dei vertici, che ad avviso dell'interrogante non sono mai stati trasparenti rispetto alle loro reali intenzioni sul futuro dello stabilimento;
   vi erano dei precisi accordi con il piano industriale sottoscritto dalla proprietà che prevedeva il graduale rientro, entro la fine del 2015, dei 116 dipendenti dopo il termine della cassa integrazione straordinaria. L'azienda, tuttavia, ha adempiuto solo in minima parte ai patti previsti, poiché il rientro pare sia avvenuto solo per una parte dei lavoratori; inoltre, sembra siano stati disattesi gli accordi relativi la parte salariale: per il primo anno era stato previsto un aumento del 20 per cento, nel secondo del 40 per cento e nel terzo del 70 per cento;
   la Evraz Pallini e Bertoli aveva prospettato, in occasione della presentazione del piano industriale, l'ingresso di nuove lavorazioni e l'offerta di ulteriori servizi, per rilanciare l'azienda sul mercato, ma anche tali promesse non sono state concretizzate;
   di fronte a questa perdurante situazione di crisi, aggravata dalla mancanza di fiducia che si è determinata nei confronti della società, è necessario chiarire, una volta per tutte, quali siano le intenzioni dei vertici, per salvaguardare i lavoratori ormai estenuati da questa costante condizione di incertezza che vede ancora a rischio i livelli occupazionali –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro sui fatti di cui in premessa;
   se e quali iniziative intenda adottare per salvaguardare i livelli occupazionali, nonché i redditi dei lavoratori della Evraz Pallini e Bertoli di San Giorgio di Nogaro.
(5-07865)


   CARRA, LUCIANO AGOSTINI, ROBERTA AGOSTINI, ALBINI, BARGERO, BENI, BONIFAZI, CAPONE, CAPOZZOLO, CARNEVALI, CARROZZA, CENNI, CIMBRO, COMINELLI, D'INCECCO, DE MENECH, DI SALVO, FABBRI, GIANNI FARINA, FERRARI, CINZIA MARIA FONTANA, FOSSATI, FRAGOMELI, GADDA, GASPARINI, GHIZZONI, GIACOBBE, GNECCHI, GIUSEPPE GUERINI, GUERRA, IORI, LACQUANITI, LODOLINI, PATRIZIA MAESTRI, MALISANI, MARIANI, MARZANO, MASSA, MIOTTO, MORETTO, NARDI, NARDUOLO, PAGANI, PIAZZONI, PREZIOSI, PRINA, ROSTELLATO, SCHIRÒ, SENALDI, TACCONI, TENTORI, TERROSI, VICO, ZAMPA e CARLONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la regione Lombardia ha avviato la sperimentazione «reddito di autonomia» approvando, nella seduta dell'8 ottobre 2015, un pacchetto di misure rivolte ai cittadini lombardi in condizione di difficoltà;
   sono state individuate cinque azioni a favore di famiglie con redditi bassi, di persone fragili (anziani e disabili) e di disoccupati che hanno finito la cassa integrazione o la mobilità e sono stati stanziati 50 milioni di euro per gli ultimi tre mesi del 2015 e 200 milioni per il 2016;
   per le famiglie sono stati previsti i seguenti interventi:
    a) esenzione dal pagamento del « super-ticket» ambulatoriale per le famiglie con reddito familiare complessivo fino a 18.000 euro;
    b) «bonus bebé», Contributo economico una tantum di 800 euro per i secondi nati e di 1000 euro dal terzo figlio in poi, quale sostegno socio-economico al percorso di crescita del bambino per i nati nel periodo 8 ottobre 2015-31 dicembre 2015 purché il reddito ISEE non superiore a 30.000 euro, ed entrambi i genitori siano residenti in Lombardia da almeno 5 anni;
    c) «bonus affitti», contributo una tantum fino a un massimo di 800 euro per le famiglie, residenti in uno dei 155 comuni ad elevata tensione abitativa, che abbiano un contratto di affitto sul libero mercato (relativo all'abitazione principale) che abbiano un reddito ISEE/FSA compreso tra 7.000,01 e 9.000,00 euro nonché la residenza in Lombardia da almeno 5 anni. Sono ammessi anche i soggetti con reddito ISEE/FSA inferiore a 7.000,1 che non hanno potuto partecipare all'iniziativa riservata ai cittadini in grave disagio economico di cui alla DGR 3495 del 2015 perché avevano un reddito superiore a 7.000 euro e che hanno subito una riduzione del reddito a causa di un evento verificatosi tra luglio e dicembre 2015;
   gli effetti di tali disposizioni e le motivazioni addotte dal governatore della Lombardia Roberto Maroni per giustificare la decisione di non concedere il «bonus bebé» previsto nel pacchetto «reddito di autonomia» alle famiglie adottive, in quanto si tratterebbe di una «misura per la natalità, non a sostegno della famiglia. Cioè viene dato al bambino che nasce, non al bambino che viene adottato. Altre sono le misure a sostegno della famiglia» a parere dell'interrogante, appaiono discriminanti e lesive dei diritti delle famiglie adottive ed in contrasto con la consolidata giurisprudenza costituzionale in materia di totale equiparazione tra figli naturali e figli adottivi;
   correttamente, con l'articolo 1, commi 125-129, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, il Governo nazionale ha previsto la corresponsione di un assegno mensile di 80 euro, per ogni figlio nato o adottato tra il 1o gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017, fino al terzo anno di età del bambino nato o fino al terzo anno dall'ingresso in famiglia del figlio adottato –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza ritenga utile adottare, nei limiti delle proprie competenze e di quelle regionali in materia di assistenza sociale, affinché sia dato sostegno, su tutto il territorio nazionale, alla genitorialità includendo a tal fine anche le famiglie adottive. (5-07879)

RIFORME COSTITUZIONALI E I RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazione a risposta immediata:


   BRUNETTA, GELMINI, CARFAGNA, OCCHIUTO, ANGELUCCI, ARCHI, BALDELLI, BERGAMINI, BIANCOFIORE, BIASOTTI, BRAMBILLA, CALABRIA, CASTIELLO, CATANOSO, CENTEMERO, LUIGI CESARO, CRIMI, DE GIROLAMO, FABRIZIO DI STEFANO, GREGORIO FONTANA, RICCARDO GALLO, GARNERO SANTANCHÈ, GIACOMONI, GIAMMANCO, ALBERTO GIORGETTI, GULLO, LAFFRANCO, LAINATI, LONGO, MARTINELLI, ANTONIO MARTINO, MILANATO, NIZZI, PALMIERI, PALMIZIO, PICCHI, POLIDORI, POLVERINI, PRESTIGIACOMO, RAVETTO, ROMELE, ROTONDI, RUSSO, SANTELLI, SARRO, ELVIRA SAVINO, SANDRA SAVINO, SISTO, SQUERI, VALENTINI, VELLA e VITO. – Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. – Per sapere – premesso che:
   la stampa ha recentemente pubblicato i contenuti dei file rilasciati dall'organizzazione di Julian Assange, WikiLeaks, da cui emerge una attività di monitoraggio e intercettazioni ai danni dell'allora Presidente del Consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi, e del suo entourage, in particolare nei giorni che anticiparono le sue dimissioni, nell'autunno del 2011;
   le registrazioni del Presidente Berlusconi, e di diversi suoi consiglieri, sono state condotte da quella che probabilmente è la divisione più sensibile della National Security Agency (NSA, l'agenzia statunitense per la sicurezza nazionale): lo Special Collection Service (Scs), un'unità speciale che opera sotto copertura diplomatica nelle ambasciate e nei consolati americani in giro per il mondo;
   i file di WikiLeaks riportano frasi dettagliate dei protagonisti di quelle intercettazioni: «Sarkozy avrebbe detto a Berlusconi che, mentre le affermazioni di quest'ultimo sulla solidità del sistema bancario italiano, in teoria, potevano anche essere vere, le istituzioni finanziarie italiane potrebbero presto “saltare in aria” come il tappo di una bottiglia di champagne e che “le parole non bastano più” e che Berlusconi “ora deve prendere delle decisioni”»;
   i documenti rivelano persino che nel marzo 2010, Silvio Berlusconi è stato addirittura intercettato nei suoi colloqui con il leader israeliano Binyamin Netanyahu, nel momento di massima crisi tra Stati Uniti e Israele;
   ad oggi, nessuna procura ha ritenuto di dover aprire un'inchiesta sulla questione, sebbene il caso sia noto, e le rivelazioni di WikiLeaks non fanno altro che ribadire ciò che gli interroganti sostengono da tempo, anche attraverso la richiesta dell'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta «sulle vicende, le cause e le responsabilità, anche internazionali, che hanno portato, nell'autunno 2011, alle dimissioni del quarto Governo Berlusconi». La proposta di istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta nasceva, in particolare, dalle gravi informazioni rese note dall'ex Segretario al Tesoro degli Stati Uniti d'America Timothy Geithner; oggi si ha un'ulteriore conferma di un quadro allarmante di distorsione della nostra democrazia, della volontà degli elettori, della sovranità italiana;
   il Governo italiano ha sempre optato per il silenzio sulla questione, negando nei fatti il proprio assenso all'istituzione della Commissione d'inchiesta. Il Governo Renzi ha totalmente ignorato il caso. Nei mesi in cui Edward Snowden (ex tecnico della CIA e collaboratore della NSA) rivelava che sotto il controllo dei servizi di sicurezza Usa erano finite le maggiori ambasciate dell'Unione europea e gran parte del traffico di telefonia mobile, che veniva registrato e passato al vaglio dalle agenzie di spionaggio americane, l'ex Presidente del Consiglio dei ministri, Enrico Letta, aveva dichiarato alla Camera dei deputati: «In base alle risultanze dell’intelligence e ai contatti internazionali avuti, non risultano compromissioni della sicurezza delle comunicazioni dei vertici del Governo, né delle nostre ambasciate. Non risulta che la privacy dei cittadini italiani sia stata violata»;
   ebbene, dopo la rivelazione di questi nuovi documenti pubblicati da WikiLeaks, è impossibile ignorare ancora la questione: è necessaria chiarezza ed è fondamentale che le istituzioni italiane si adoperino nell'esercizio di un dovere di trasparenza e di lealtà verso i cittadini –:
   se il Governo intenda tutelare la dignità nazionale e la sovranità dello Stato italiano attraverso un completo chiarimento delle vicende riportate in premessa e quali iniziative di competenza intenda intraprendere a tal fine per l'individuazione degli eventuali responsabili di una macchinazione che, ove accertata, umilierebbe la democrazia e il popolo italiano.
(3-02042)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   LA RUSSA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la deliberazione dell'azienda provinciale sanitaria di Catania del 20 aprile 2015, n. 664, recante «Avvio di procedure di riqualificazione e rifunzionalizzazione del presidio ospedaliero di Giarre», ha sancito in via definitiva l'immediata cessazione delle prestazioni emergenziali fornite dal pronto soccorso della predetta struttura, nonché la spoliazione di risorse umane e strumentali della stessa;
   il presidio ospedaliero di Giarre costituisce il punto di riferimento sanitario per l'intera zona jonica-etnea, e serve un bacino di utenza di ottantasettemila abitanti, che aumenta di ulteriori ventimila persone nel periodo estivo, e il depauperamento di tale struttura rischia di portare al collasso i due ospedali limitrofi di Taormina e Acireale;
   l'ospedale San Giovanni di Dio e San Isidoro di Giarre, una delle più antiche strutture ospedaliere della provincia, da oltre un decennio è ubicato in una moderna e vasta struttura, nella quale ai tempi dell'insediamento sono stati effettuati investimenti pubblici per oltre trenta milioni di euro;
   la chiusura del presidio di pronto soccorso e la conseguente mancata risposta alle emergenze e urgenze comporterà l'impossibilità di trattamento presso l'ex ospedale di Giarre di qualsivoglia paziente acuto e, di conseguenza, causerà la cessazione delle attività anche nei tre reparti ancora funzionanti, geriatria, medicina e psichiatria;
   la paralisi del presidio ospedaliero di Giarre contravviene sia ad una razionale rimodulazione del sistema sanitario siciliano, sia alle esigenze di una efficiente tutela medica dei cittadini, e appare evidente la necessità di riattivare la suddetta struttura, a partire proprio dal punto di pronto soccorso –:
   se sia informato di quanto esposto in premessa, se le criticità segnalate siano state valutate nell'ambito del monitoraggio relativo all'attuazione del piano di rientro e in che modo intenda intervenire in merito, per quanto di competenza, al fine di tutelare i livelli essenziali di assistenza, garantendo una efficiente assistenza medico-sanitaria ai cittadini dei territori interessati. (4-12198)


   BORGHESE e MERLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la ricerca scientifica si è da sempre attivata per scoprire se l'esposizione alle radiazioni di campi elettromagnetici ad alta frequenza comporti per la salute, in particolar modo se possa provocare l'insorgenza di tumori. I risultati di tutte le ricerche non consentono, a oggi, di affermare o di escludere con assoluta certezza, l'esistenza di tali rischi;
   qualsiasi cosa generi o utilizzi elettricità, come le linee di corrente e gli elettrodomestici, produce un campo elettromagnetico. I rilevatori di sicurezza nell'ultimo decennio sono proliferati in uno scenario mondiale, senza alcuna regola a tutela della salute;
   i metal detector di aeroporti, banche e istituzioni pubbliche, fissi e portatili, funzionano con onde elettromagnetiche a bassa frequenza o a raggi X e le persone sono, spesso, costrette giornalmente a essere irradiate. Generalmente, considerato il basso livello di campo emesso da un metal detector impiegato per controllare la persona, si considera che l'esposizione non sia pericolosa per nessuno, incluse le donne incinte, ma per contro, molti ginecologi prescrivono alle proprie pazienti in gravidanza di non sottoporsi ai controlli al metal detector, poiché potrebbero danneggiare lo sviluppo del feto;
   in merito, anche il rilevamento epidemiologico di un'aumentata incidenza di neoplasie infantili, conseguente all'esposizione ai campi magnetici, ha indotto autorevoli organismi internazionali come la IARC (Agenzia internazionale di ricerca sul cancro) a classificare tali campi come «possibilmente cancerogeni per l'uomo», inserendoli così nella categoria 2B del sistema di classificazione della IARC –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere affinché le donne in stato di gravidanza e i bambini e i soggetti deboli (cioè quelle persone affette da malattie degenerative) siano tutelati da possibili fonti di radiazioni, poiché la mancanza di conoscenze scientifiche certe non deve rappresentare un alibi per rinviare le misure di prevenzione;
   se intenda assumere iniziative, anche normative, per predisporre misure preventive secondo il principio di precauzione, in base al quale si possono adottare subito provvedimenti per la protezione dalle onde elettromagnetiche, specie per le esposizioni a lungo termine cui sono sottoposte le persone che quotidianamente sono controllate da apparecchi che emettono radiazioni, come nel caso di tutti quei lavoratori che quotidianamente passano sotto dispositivi atti ai controlli di sicurezza. (4-12208)


   VALIANTE e LENZI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la legge 30 ottobre 2014, n. 161, recante «disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea» (legge europea 2013-bis), ha recepito le disposizioni dell'Unione Europea (direttiva 2003/88/CE del 4 novembre 2003) in materia di ruolo sanitario finalizzate ad evitare eccessi lavorativi prolungati e a garantire la funzione dei riposi nei modi e nei limiti previsti per gli altri lavoratori. Tale legge, all'articolo 14 comma 1, sancisce esplicitamente che: «decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono abrogati il comma 13 dell'articolo 41 del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112 convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008 n. 133 e il comma 6-bis dell'articolo 17 del decreto legislativo 8 aprile 2003 n. 66». La direttiva 2003/88/Ce, così come alcune sentenze della Corte di giustizia europea, precisa che, essendo la stessa direttiva vigente in tutti i Paesi dell'Unione, si prevede l'automatico adeguamento nel corpo delle leggi di ciascuno Stato, indipendentemente dall'atto formale di recepimento, risultando così inefficaci le leggi dello Stato pregresse e soprattutto successive che ne ostacolino, in qualsiasi modo, la corretta applicazione. Considerando che il provvedimento è entrato in vigore il 25 novembre 2014, i dodici mesi transitori per il riallineamento ufficiale alla normativa europea e la consequenziale abrogazione delle disposizioni nazionali illegittime scadrebbero il giorno 25 novembre 2015, data dalla quale tutte le amministrazioni saranno obbligate a garantire direttamente e immediatamente ogni tutela prevista ai lavoratori del comparto sanitario. Le norme che regolamentano l'orario di lavoro e la durata minima dei riposi sono state, da sempre, un argomento molto dibattuto specialmente per il peggioramento delle condizioni legato al cosiddetto «blocco del turn over», per i risvolti che si generano in campo organizzativo e per le potenziali conseguenze sui risultati professionali, sulla salute del lavoratore e su quella dei pazienti. Proprio alla luce di tali considerazioni, specialmente nelle regioni la cui sanità è commissariata, l'applicazione puntuale delle nuove regole in presenza di «blocco da turn-over», per la mancanza di concorsi da oramai diversi anni, verosimilmente comporterebbe un blocco dell'attività di molti reparti ospedalieri il cui spesso scarso personale, proprio ricorrendo a turni straordinari, riesce a garantire la continuità delle prestazioni medico chirurgiche e che, ritrovandosi ad osservare riposi ed interruzioni di attività, determinerebbe una paralisi della regolare attività medico chirurgica con consequenziale chiusura di diversi reparti ospedalieri soprattutto in quelle zone già fortemente penalizzate –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per scongiurare, in seguito all'entrata in vigore delle nuove norme il 25 novembre 2015, la paventata paralisi dell'attività sanitaria di molti nosocomi con relativo enorme danno alla collettività o, in alternativa, quali iniziative intenda porre in essere per modificare il regime del blocco del turn-over garantendo così un opportuno supporto mediante assunzione di nuovo personale.
(4-12209)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   MISIANI, SANGA, CARNEVALI, GIUSEPPE GUERINI e GASPARINI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   Stefano Rho, docente iscritto nelle graduatorie ad esaurimento della provincia di Bergamo, negli anni scolastici 2013/14, 2014/15 e 2015/16 ha prestato servizio presso due diversi istituti scolastici di Bergamo in virtù di contratti a tempo determinato;
   il 24 novembre 2015 il professor Rho è stato nominato nei ruoli provinciali del personale docente con decorrenza dal 1o settembre 2015, nell'ambito della fase C del piano straordinario di assunzioni di cui all'articolo 1, commi 95 e seguenti della legge n. 107 del 2015;
   con nota del 12 dicembre 2013 il dirigente dell'ufficio scolastico di Bergamo contestava al professor Rho di avere reso una dichiarazione mendace nella dichiarazione sostitutiva di certificazione prodotta in data 2 settembre 2013, in occasione della stipula del contratto a tempo determinato per l'insegnamento nell'anno scolastico 2013/14 presso l'Istituto scolastico «Natta» di Bergamo. L'Amministrazione riferiva di aver verificato, mediante acquisizione del certificato del casellario giudiziale, che il professor Rho aveva riportato, con sentenza 6 luglio 2006 del Giudice di Pace di Zogno (BG), la condanna al pagamento dell'ammenda di euro 200,00, oltre alle spese processuali per il reato (ora illecito amministrativo) punito dall'articolo 726 del codice penale, per aver orinato nei pressi di un cespuglio in un piazzale adiacente alla pubblica via, in comune di Averara (BG) il 15 agosto 2005;
   l'ufficio scolastico, acquisite le motivazioni addotte a propria discolpa dal docente (la convinzione che la suddetta condanna non fosse riportata nella sua fedina penale e che dall'omissione in parola non avrebbe comunque tratto alcun beneficio, stante l'irrilevanza della condanna penale al fine dell'integrazione dei requisiti di ammissione alle graduatorie ad esaurimento ed agli impieghi nella scuola) e ritenute le stesse plausibili, gli irrogava, in data 6 febbraio 2014 la sanzione disciplinare della censura;
   a due anni di distanza, l'Amministrazione datrice di lavoro tornava sulla presunta falsità della dichiarazione sostitutiva del professor Rho come conseguenza di una delibera del 26 marzo 2015 della Corte dei conti, sezione di controllo per la Lombardia, su segnalazione degli uffici della Ragioneria dello Stato di Bergamo che aveva contestato a carico del predetto ufficio, di fronte a «false dichiarazioni degli assunti circa i propri precedenti penali, emersi a seguito dell'acquisizione della documentazione in originale», l'irrogazione di sanzioni disciplinari in luogo dell'applicazione dell'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000 (che prevede la decadenza dai benefici ottenuti tramite la dichiarazione mendace). Rigettando le giustificazioni dell'Ufficio scolastico, rese anche sulla base di precedenti pareri dell'Avvocatura distrettuale dello Stato, la Corte dei conti riteneva fondate le contestazioni dell'azione amministrativa dell'ufficio scolastico di Bergamo avanzate nella relazione della Ragioneria dello Stato, evidenziando che la mera dichiarazione mendace contenuta in una dichiarazione sostitutiva di certificazione comportava automaticamente la decadenza ai sensi dell'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, da considerare una sanzione amministrativa, e che l'ufficio scolastico aveva ripetutamente omesso di applicare tale disposizione;
   con nota del 25 agosto 2015 l'ufficio scolastico di Bergamo comunicava al professor Rho l'avvio del procedimento per la dichiarazione di decadenza dall'iscrizione nelle graduatorie ad esaurimento del personale docente ed educativo, per aver reso una dichiarazione mendace nella dichiarazione sostitutiva di certificazione prodotta e a conclusione del procedimento, con nota dell'11 gennaio 2016, comunicata il 26 gennaio 2016, dichiarava la decadenza del professor Rho ai sensi dell'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000 con la risoluzione immediata, senza preavviso, del rapporto di lavoro, la perdita degli effetti giuridici del servizio prestato e la cancellazione da tutte le graduatorie provinciali ad esaurimento;
   tale provvedimento è apparso tanto abnorme da destare l'attenzione dei mezzi di informazione a livello nazionale e locale e una corale manifestazione di solidarietà da parte degli studenti, del personale della scuola, da rappresentanti delle istituzioni. Una petizione on line lanciata sul sito Change.org a sostegno del professor Rho ha raccolto fino ad oggi (8 febbraio 2016) oltre 36 mila sottoscrizioni;
   secondo quanto riportato da organi di stampa, nell'ultimo anno, circa cinquanta tra professori, personale non docente e impiegati delle scuole bergamasche avrebbero perso il lavoro per non aver segnalato nel modulo di autocertificazione antiche condanne, nonostante la «non menzione» delle stesse nella certificazione del casellario giudiziale;
   i provvedimenti che hanno colpito il professor Rho così come numerosi altri dipendenti delle scuole bergamasche, appaiono agli interroganti manifestamente ingiusti e sproporzionati sotto una pluralità di profili:
    la dichiarazione sostitutiva di certificazione in oggetto riproduce esattamente il contenuto della corrispondente certificazione amministrativa (il certificato «generale» e quello «penale» di cui agli articoli 24 e 25 del decreto del Presidente della Repubblica n. 313 del 2002, in cui, per espressa previsione di legge non sono riportate le iscrizioni relative ai «provvedimenti giudiziari emessi dal giudice di pace»;
    la formulazione del modulo predisposto dall'Amministrazione appare eccessivamente generica, in relazione al fatto che l'Amministrazione non può accedere indiscriminatamente ai dati giudiziari degli interessati, ma soltanto alle «informazioni relative a stati, fatti e qualità personali previste da legge o da regolamento e strettamente necessarie per il perseguimento delle finalità per le quali vengono acquisite», ai sensi dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000. L'Amministrazione avrebbe dovuto predisporre il modulo di dichiarazione sostitutiva, riferendo chiaramente la dichiarazione circa l'insussistenza di precedenti penali ad un preciso ambito: ai precedenti risultanti dal certificato del casellario giudiziale o, ancor meglio, alle «condizioni ostative» di cui alla legge n. 16 del 1992, cui fanno riferimento i requisiti di ammissione stabiliti per le procedure di reclutamento delle graduatorie ad esaurimento;
    le presunte dichiarazioni mendaci non dovrebbero comportare decadenza, non riguardando uno dei requisiti che condizionano l'iscrizione nelle graduatorie o l'assunzione in servizio. L'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000 prevede infatti, la decadenza per i soli benefici conseguiti per effetto della falsa dichiarazione, cioè per quelli che il dichiarante non avrebbe ottenuto senza la falsa dichiarazione. Nel caso del professor Rho, così come per numerose altre vicende, le condanne non riferite nelle autocertificazioni non integrano per gli interroganti, alcuna delle condizioni ostative di cui alla legge n. 16 del 1992. La mancanza del nesso di causalità tra la dichiarazione non veritiera e l'attribuzione del beneficio è costantemente ritenuta dalla giurisprudenza accertamento che impone di escludere in via assoluta la decadenza –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto riportato nelle premesse;
   se intendano assumere iniziative perché sia effettuata una ricognizione su scala nazionale relativamente ai provvedimenti di decadenza ai sensi dell'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, adottati dalle Amministrazioni dello Stato, con particolare riferimento agli uffici scolastici territoriali, derivanti da dichiarazioni mendaci nelle dichiarazioni sostitutive di certificazioni;
   quali iniziative urgenti ritengano opportuno promuovere per superare le problematiche evidenziate nelle premesse, consentire la reintegrazione del professor Rho e dei lavoratori colpiti da analoghi provvedimenti di decadenza ed evitare il ripetersi in futuro di casi simili, eventualmente circoscrivendo l'insussistenza di precedenti penali, richiesta nelle dichiarazioni sostitutive di certificazioni di cui all'articolo 946, comma 1, lettera aa), ai precedenti risultanti dal certificato del casellario giudiziale o, preferibilmente, alle «condizioni ostative» di cui alla legge n. 16 del 1992. (4-12200)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BOCCUZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la cooperativa produttori latte Abit è nata nel 1967 dall'associazione di un gruppo di allevatori particolarmente impegnati nello sviluppo di una zootecnia locale attenta alla salute ed al benessere animale. Nel 1973 Abit inizia la commercializzazione del latte confezionato ed è tra le prime in Italia ad introdurre la confezione in cartone dando così avvio ad una serie di innovazioni sia di prodotto che di tecniche produttive che ne fanno una delle cooperative leader del settore;
   nel 2003 la Abit, in rosso per ben 27 milioni di euro, a seguito di una dura vertenza culminata nel blocco dei cancelli viene acquisita dalla Tre Valli Cooperlat di Jesi, raggruppamento di 15 cooperative che associa circa 1.000 produttori agricoli;
   fino al 2013 nello stabilimento Abit di Grugliasco, in provincia di Torino, lavoravano 117 dipendenti, diminuiti oggi a 50, in cassa integrazione a rotazione, mentre altri 50 sono stati licenziati dopo due anni di cassa integrazione straordinaria ed altri 17 si sono dimessi;
   la proprietà ha manifestato l'intenzione di non voler proseguire la produzione presso lo stabilimento di Grugliasco annunciandone la chiusura definitiva per il mese di giugno 2016; l'azienda dovrebbe mantenere a Grugliasco solamente un'attività di logistica con una decina di dipendenti;
   le parti sindacali hanno sottolineato il mancato rispetto dell'accordo, sottoscritto nel 2013, che prevedeva sia investimenti che impegni per la ricollocazione dei lavoratori –:
   quali iniziative urgenti intendano intraprendere per salvaguardare una realtà produttiva storica e di eccellenza della regione Piemonte e tutelare tutti i lavoratori coinvolti. (5-07864)


   ARLOTTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   già il 7 luglio 2015 l'interrogante aveva presentato un'interrogazione a risposta in Commissione in cui si segnalava come fosse al vaglio dell'Agcom, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, la possibilità di realizzare nel nostro Paese la consegna della posta a domicilio per giorni alterni, e si chiedeva al Ministero competente di intervenire urgentemente per scongiurarne l'eventualità;
   nonostante la presentazione di tale interrogazione, e nonostante ulteriori segnalazioni e interventi effettuati, è stata avviata, proprio in queste settimane, una sperimentazione che coinvolge l'Emilia-Romagna, partita da alcuni comuni dell’hinterland bolognese (Calderara e San Lazzaro di Savena, ad esempio) per allargarsi poi a Forlì, Piacenza, Ravenna, Bologna, Rimini, Reggio Emilia e Ferrara;
   il sito della regione Emilia-Romagna riferisce che Poste italiane (con l'avvallo dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e impegnandosi ad evitare ridimensionamenti dei posti di lavoro) ha scelto proprio l'Emilia-Romagna (assieme alla Sicilia) come regione dove recapitare la posta ordinaria a giorni alterni, mentre raccomandate e pacchi veloci giungono, invece, a destinazione il giorno successivo alla spedizione;
   complessivamente, in base al piano reso noto lo scorso anno, il cambiamento colpirebbe in 3 tranche il 25 per cento dei comuni italiani sotto i 30 mila abitanti e sotto i 200 abitanti di densità km/q, coinvolgendo oltre 5.200 comuni su poco più di 8.000 e oltre 15 milioni di cittadini;
   nella sola provincia di Rimini, a titolo di esempio, sarebbero interessati 14 comuni su 26, ovvero tutta l'alta Valmarecchia e la Valconca con i comuni già più svantaggiati;
   è da sottolineare che, con l'adozione di questo nuovo piano da parte di Poste italiane, l'Italia, a giudizio dell'interrogante, rischierebbe una procedura d'infrazione da parte dell'Unione europea, come anticipato a Poste italiane e all'Agcom in una lettera informale del giugno 2015, il cui contenuto è stato diffuso dai media;
   anche la Federazione italiana settimanali cattolici aveva espresso la propria contrarietà all'eventuale recapito a giorni alterni dei «prodotti editoriali periodici quotidiani» ipotizzato dal documento «Consultazione pubblica sull'attuazione di un modello di recapito a giorni alterni degli invii postali rientranti nel servizio universale» del 27 marzo 2015, in quanto senza il servizio universale (la consegna a domicilio 5 giorni su 7) vi sarebbero conseguenze pesanti sulla consegna dei quotidiani e di periodici a casa degli abbonati, con la penalizzazione dei giornali quotidiani e settimanali, spediti via posta, che basano il loro rapporto con gli abbonati sulla puntualità del recapito domiciliare;
   va ricordato infine che Poste italiane riceve da tempo un contributo dallo Stato per coprire parte dei costi del servizio universale –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire urgentemente, per quanto di competenza, per continuare a garantire il servizio postale universale, in particolare nelle zone del Paese già svantaggiate, e per risolvere una situazione penalizzante e incoerente rispetto agli obiettivi del pubblico servizio. (5-07873)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BUSIN. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la conferenza unificata del 5 novembre 2015 ha espresso parere favorevole, con osservazioni, sullo schema del decreto di incentivazione della produzione di energia elettrica prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili non fotovoltaiche;
   successivamente, il Governo ha sottoposto il decreto all'esame della Commissione europea, prima dell'emanazione definitiva;
   le imprese del settore solare termodinamico attendono con ansia il nuovo decreto degli incentivi, nonostante le rassicurazioni del GSE sull'improbabile sforamento del tetto degli incentivi dei 5,8 miliardi di euro;
   infatti, nell'attesa della risposta della Commissione europea si sospetta un prorogato periodo di fermo degli incentivi e si temono gli aggiornamenti al decreto che potrebbero essere chiesti a livello europeo;
   inoltre, anche in assenza di effetti rilevanti dal punto di vista strettamente pratico sul mercato, l'assenza del decreto incide a livello psicologico, creando panico o quantomeno incertezza tra gli investitori;
   il solare termodinamico rappresenta una fonte pulita di energia elettrica, perfettamente competitiva, abbondante e sicura, di tecnologia italiana; lo sviluppo di tale tecnologia è importantissimo per il Paese e per il futuro delle rinnovabili, anche perché permette alla centrale elettrica di essere produttiva per molte ore anche senza l'irradiazione diretta del sole;
   pertanto, uno «stop» agli incentivi rischia di far perdere competitività alle imprese italiane –:
   se la Commissione europea abbia già formulato rilievi sul testo dello schema di decreto di incentivazione della produzione di energia elettrica prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili non fotovoltaiche, come il Governo intenda superare le eventuali criticità e se il Ministro intenda dare risposte certe agli investitori sui tempi richiesti per l'emanazione del nuovo decreto in materia di incentivi.
(4-12199)


   RAMPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il diritto all'informazione è costituzionalmente garantito ed è preciso compito dello Stato provvedere affinché l'informazione della televisione pubblica sia a disposizione di tutti i cittadini senza creare disparità tra essi;
   l'articolo 1 della legge 14 aprile 1975 n. 103, prevede che «la diffusione circolare di programmi radiofonici via etere o, su scala nazionale, via filo e di programmi televisivi via etere, o, su scala nazionale, via cavo e con qualsiasi altro mezzo costituisce, ai sensi dell'articolo 43 della Costituzione, un servizio pubblico essenziale ed a carattere di preminente interesse generale, in quanto volta ad ampliare la partecipazione dei cittadini e concorrere allo sviluppo sociale e culturale del Paese in conformità ai principi sanciti dalla Costituzione»;
   ai sensi dell'articolo 7, comma 4, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, il servizio pubblico generale radiotelevisivo, deve in ogni caso garantire «la diffusione di tutte le trasmissioni televisive e radiofoniche di pubblico servizio della società concessionaria con copertura integrale del territorio nazionale, per quanto consentito dallo stato della scienza e della tecnica»;
   recentemente è stata introdotta una nuova normativa che impone il pagamento del canone Rai attraverso i bollettini dedicati al pagamento della corrente elettrica;
   nel comune di Seui, centro montano della Sardegna sud orientale, è dal 2013 che l'amministrazione segnala che la stragrande maggioranza dei suoi abitanti riscontra delle difficoltà nella ricezione del segnale Rai, senza che la questione abbia avuto alcun seguito;
   nel marzo 2014 la Rai ha confermato l'effettiva esistenza del problema, dovuto all'errato posizionamento del ripetitore del segnale radiotelevisivo localizzato in località Ederzi, come già più volte denunciato con il conforto di prove scientifiche realizzate con tecniche GIS da parte dell'amministrazione comunale di Seui;
   la medesima amministrazione comunale continua a chiedere lo spostamento del ripetitore Rai, allegando per altro diverse cartografie in aiuto degli stessi tecnici, che permetta la ricezione del segnale tv a tutti gli abitanti del paese;
   allo stato centinaia di persone stanno pagando per un servizio che non ricevono e la situazione non accenna a essere risolta  –:
   quali iniziative urgenti di competenza intenda assumere al fine di garantire pari diritti di informazione a tutti i cittadini del comune di cui in premessa. (4-12204)


   GUIDESI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la chimica è un settore di riferimento dell'evoluzione del quadro congiunturale del Paese che, nonostante alcuni segnali di ripresa, resta ancora particolarmente critico;
   il lento e progressivo disimpegno dell'ENI dall'Italia rischia di segnare il destino industriale del Paese, accentuando quel lento declino a cui da tempo si assiste sul piano economico, infrastrutturale ed anche industriale, con la grave conseguenza della perdita di migliaia di posti lavoro;
   nell'annuncio della vendita della controllata Versalis ad un fondo americano, peraltro di scarsa consistenza finanziaria, così come in quello relativo all'uscita dal controllo di SAIPEM, si racchiude il riepilogo della «vertenza» sulla chimica italiana ed anche il fallimento di una gestione industriale forse troppo disattenta alle reali problematiche di un comparto fondamentale per il Paese, come quello della chimica di base;
   la Versalis è la più grande azienda della chimica italiana; è evidente che dal suo futuro dipende quello dell'intera industria nazionale, compreso l'indotto, e a catena quello di decine di migliaia tra lavoratrici e lavoratori di ENI e delle sue controllate;
   la chimica di base è una dorsale lungo la quale si è sviluppato l'apparato industriale del Paese: Priolo, come Ravenna, Mantova, Porto Torres, Ferrara, Brindisi, Ragusa e Porto Marghera sono alcuni dei punti nevralgici in cui sono cresciuti e si sono consolidati le imprese di settore e l'indotto, contribuendo a far crescere l'economia italiana e l'occupazione;
   nelle strategie di ENI si nasconde la volontà di un'uscita del gruppo dall'Italia, in quanto oltre alla chimica, il gruppo abbandonerebbe progressivamente anche la raffinazione, creando i presupposti per il compimento di quel processo di deindustrializzazione che da tempo attraversa il territorio, privandolo di ricchezza e di occupazione;
   per restituire all'Italia un ruolo di primo piano nel settore della chimica è necessario adottare quanto prima strumenti di politica industriale lungimiranti che siano in grado di rilanciare il sistema industriale del Paese, creando le premesse per far crescere la produzione e l'occupazione –:
   se il Governo sia a conoscenza delle strategie di Eni ed, in particolare, del ruolo che la stessa intende ricoprire nel settore dell'industria chimica italiana;
   quali iniziative intenda adottare per favorire una concertazione tra le parti, al fine di trovare soluzioni il più possibile condivise che abbiano come obiettivo il mantenimento del presidio industriale in Italia e la tutela degli attuali livelli occupazionali;
   quali siano gli orientamenti del Governo in merito alla necessità di attuare, in tempi rapidi, un seria politica di rilancio dell'apparato industriale del Paese che miri a restituire competitività ai settori da sempre considerati strategici per l'economia italiana, come quello della chimica, favorendo le condizioni per la ripresa degli investimenti nel settore. (4-12207)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Vezzali e altri n. 1-01172, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bombassei.

  La mozione Occhiuto e Crimi n. 1-01173, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Palmieri.

  La mozione Sbrollini e altri n. 1-01174, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Patriarca, Capone.

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Nicchi n. 1-01066, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 525 del 19 novembre 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    nell'ottobre 2015 è stata presentata al Parlamento la relazione annuale sullo «Stato di attuazione delle norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria della gravidanza – legge 194/1978», nella quale vengono presentati i dati definitivi relativi all'anno 2013 e quelli preliminari per l'anno 2014;
    per quanto riguarda il 2014, nella relazione si conferma la tendenza alla riduzione del numero di interruzioni volontarie di gravidanza eseguite nel nostro Paese (nel 2014 ne sono state notificate 97.535, con una riduzione del 5,1 per cento rispetto al 2013). Anche il tasso di abortività (numero delle interruzioni volontarie di gravidanza per 1000 donne fra 15-49 anni) presenta nel 2014 una diminuzione del 5,9 per cento rispetto al 2013;
    nella stessa relazione si conferma l'elevato tasso di obiezione di coscienza tra il personale sanitario: nel 2013 sono risultati obiettori il 70 per cento dei ginecologi, il 49,3 per cento degli anestesisti, e il 46,5 per cento del personale non medico. Il tasso di ginecologi obiettori di coscienza, in alcune aree del paese arriva a percentuali veramente inaccettabili: «93,3 per cento in Molise, 92,9 per cento nella PA di Bolzano, 90,2 per cento in Basilicata, 87,6 per cento in Sicilia, 86,1 per cento in Puglia, 81,8 per cento in Campania, 80,7 per cento in Lazio e in Abruzzo»;
    si evidenzia inoltre l'esistenza del fenomeno della cosiddetta «obiezione di struttura»: circa il 35 per cento delle strutture viola il dettato dell'articolo 9 della legge n. 194, proprio quello che regola il diritto a sollevare obiezione di coscienza, secondo cui: «Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche attraverso la mobilità del personale». Tale fenomeno ha come conseguenza logica una sottostima dei dati dell'obiezione di coscienza, in quanto è evidente che il personale che lavora in una struttura che non applica la legge non ha bisogno di sollevare obiezione, e dunque risulta «non obiettore» pur non praticando interruzioni di gravidanza;
    nonostante queste evidenti criticità nell'attuazione della legge e del suo monitoraggio, nella medesima relazione la Ministra sostiene che «il numero di non obiettori risulta congruo, anche a livello sub-regionale, rispetto alle IVG effettuate, e non dovrebbe creare problemi nel soddisfare la domanda di IVG»;
    si ignora, dunque, che tali percentuali medie inevitabilmente «nascondono» le tante realtà di strutture sanitarie dove la legge n. 194 di fatto non viene applicata, o lo è solo parzialmente, e che quelle stesse percentuali impongono inevitabilmente un ruolo «penalizzante» ai pochi medici non obiettori, ossia quei 30 medici che si devono far carico del lavoro che gli altri 70 medici non sono disposti a fare;
    a livello nazionale, la principale conseguenza di un numero così elevato di obiettori di coscienza è quella di rendere estremamente difficoltosa la piena applicazione della legge 194 del 1978, con effetti negativi sia per le donne che chiedono l'interruzione volontaria di gravidanza, sia per gli operatori;
    negli ultimi tempi stanno emergendo sempre più denunce di un possibile ritorno degli aborti clandestini, che potrebbero vanificare molti dei dati riportati dalla relazione;
    con riguardo alla quantificazione degli aborti clandestini in Italia, la suddetta relazione riporta che nel 2012 l'Istituto superiore di sanità ha effettuato una stima degli stessi, quantificati tra i 12 e i 15 mila, cifre che indicherebbero una stabilizzazione del fenomeno negli ultimi 10 anni;
    questo dato è però molto probabilmente sottostimato: infatti l'utilizzazione degli stessi modelli matematici della precedente rilevazione del 2005, non considera gli avvenuti mutamenti della società e la possibilità di reperire i nuovi farmaci capaci di indurre l'aborto, acquistabili grazie alle prescrizioni di medici compiacenti ma anche sul mercato clandestino e su internet;
    ignorare il fenomeno dell'aborto clandestino comporta l'elusione di tutte le iniziative, sia legislative che di informazione e sensibilizzazione, volte a informare sulle gravi conseguenze legate ad un uso «fai da te», clandestino e fuori controllo, dei suddetti farmaci;
    il decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8, ha depenalizzato, tra gli altri, il reato di aborto clandestino, sostituendo la multa di 51 euro prevista dall'articolo 19 della legge n. 194 con una sanzione amministrativa il cui ammontare va da 5.000 a 10.000 euro;
    non considerare la particolarità del reato di aborto clandestino, inserendolo nel calderone delle depenalizzazioni, rischia di scoraggiare le donne che dovessero avere complicazioni, in particolare le più deboli, precarie e immigrate, a recarsi in ospedale, con gravi rischi per la loro salute, come peraltro sottolineato dalla stessa lettera aperta che in questi giorni ginecologhe/i e ostetriche/i hanno inviato alla Ministra della salute, Beatrice Lorenzin;
    pensare di scoraggiare il ricorso alle pratiche clandestine con un forte inasprimento delle sanzioni, significa – tra l'altro – non ricordare come fosse grave la situazione dell'aborto clandestino prima della legge n. 194 e come, nonostante la severità delle pene, le donne rischiassero il carcere, oltre che la salute e la loro stessa vita, per interrompere gravidanze non volute;
    dal 2009 l'AIFA ha autorizzato l'immissione in commercio della Ru486, per l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica, nel rispetto dei precetti normativi previsti dall'articolo n. 15 della legge 194 del 1978;
    a quattro anni di distanza, tuttavia, nel 2013 solo il 9,7 per cento delle donne ha potuto interrompere la gravidanza con il metodo farmacologico, con l'assurdo delle Marche dove tale metodica non è stata applicata in nessuna struttura della regione;
    questa sottoutilizzazione, che comporta la reale impossibilità delle donne di esercitare il diritto di scelta in relazione alle metodiche, è di fatto legata alle difficoltà organizzative dovute all'imposizione del ricovero ordinario nella stragrande maggioranza delle regioni;
    la medesima relazione al Parlamento, in relazione alla interruzione volontaria di gravidanza farmacologica, riporta che «sebbene la gran parte delle Regioni e delle strutture avessero adottato come regime di ricovero quello ordinario con l'ospedalizzazione della donna, molte di loro (76 per cento) hanno richiesto la dimissione volontaria dopo la somministrazione di Mifcpristone o prima dell'espulsione completa del prodotto abortivo, con successivi ritorni in ospedale per il completamento della procedura e nel 95 per cento dei casi le donne sono tornate al controllo nella stessa struttura. Inoltre nel 96,9 per cento dei casi non vi era stata nessuna complicazione immediata. Anche al controllo post dimissione nel 92.9 per cento dei casi non era stata riscontrata nessuna complicanza»;
    l'articolo 8 della legge n. 194 prevede che nei primi novanta giorni gli interventi di interruzione volontaria di gravidanza possano essere effettuati negli ospedali pubblici generali e specializzati, e «presso poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati, funzionalmente collegati agli ospedali ed autorizzati dalla regione»;
    nel dicembre 2015 l'associazione AMICA ha presentato una lettera aperta alla Ministra della salute nella quale si sottolinea come il ricovero ordinario per l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica sia una procedura non appropriata che comporta uno spreco enorme di risorse per il nostro sistema sanitario nazionale (oltre 1000 euro a paziente, contro i circa 600 del ricovero in day hospital, e i circa 50 della procedura ambulatoriale);
    permettere la procedura ambulatoriale minimizzerebbe gli effetti dell'obiezione di coscienza sull'applicazione della legge n. 194, in quanto gli obiettori nei consultori sono solo il 22 per cento, come riferito dalla stessa relazione ministeriale, e permetterebbe di garantire realmente la possibilità di scelta per le donne;
    è dunque indispensabile che l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica sia maggiormente e più diffusamente proposta su tutto il territorio nazionale come valida opzione alle donne, mettendole così in condizione di poter scegliere liberamente quale percorso intraprendere, garantendo e favorendo la sua somministrazione nell'ambito della stessa rete dei consultori;
    la citata relazione del Ministero della salute, conferma peraltro proprio la necessità di un reale rafforzamento dei consultori familiari, e questo anche in quanto strumento essenziale per le politiche di prevenzione e promozione della maternità e della paternità libera e responsabile;
    si ricorda che il progetto obiettivo materno infantile (POMI) assegna un ruolo strategico centrale ai consultori familiari nella promozione e tutela della salute della donna; la stessa relazione al Parlamento del Ministero della salute, conferma tutte le criticità nell'attuale rete di consultori, sottolineando come «nel 2013 il tasso di presenza dei consultori familiari pubblici è risultato pari a 0.7 per 20 mila abitanti, valore stabile dal 2006, mentre la legge 34/96 ne prevede 1 per lo stesso numero di abitanti. Nel POMI sono riportati organico e orari di lavoro raccomandati ma purtroppo i 2061 consultori familiari censiti nel 2013 rispondono solo in parte a tali raccomandazioni e ben pochi sono organizzati nella rete integrata dipartimentale, secondo le indicazioni strategiche, sia organizzative che operative raccomandate dal POMI stesso. L'assenza della figura medica o la sua indisponibilità per il rilascio del documento e della certificazione, la non integrazione con le strutture in cui si effettua l'IVG, oltre alla non adeguata presenza del consultorio sul territorio, riducono il ruolo di questo fondamentale servizio»,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per valorizzare e ridare piena centralità ai consultori, quale servizio per la rete di sostegno alla sessualità libera e alla procreazione responsabile, anche attraverso un adeguamento delle risorse, della rete di servizi, degli organici, delle sedi;
   ad assumere tutte le iniziative utili affinché sia implementato e facilitato su tutto il territorio nazionale l'accesso all'interruzione volontaria di gravidanza con il metodo farmacologico in regime di day hospital e, dove possibile, nei consultori familiari e nei poliambulatori, come previsto dall'articolo 8 della legge n. 194 del 1978, prevedendo contestualmente che i conseguenti risparmi di spesa vengano reinvestiti nella sanità pubblica e in particolare nel potenziamento delle reti dei consultori e in un più facile accesso alla contraccezione;
   ad avviare un serio ed efficace monitoraggio e studio del fenomeno dell'aborto clandestino per arrivare a una stima credibile e aggiornata circa l'effettiva dimensione del fenomeno;
   a mettere in atto tutte le iniziative normative per il contrasto del commercio on-line di medicinali per i quali è necessaria la presentazione di ricetta medica, nonché idonee iniziative di informazione e sensibilizzazione, circa le gravi conseguenze legate ad un uso «fai da te», clandestino e fuori controllo, di farmaci utilizzati incautamente per interrompere una gravidanza indesiderata;
   ad assumere le opportune iniziative normative, volte a ridurre considerevolmente la sanzione amministrativa prevista dal decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8, per le donne che abortiscono clandestinamente entro i 90 giorni, con il rischio più che concreto che ciò costituisca un ostacolo al ricorso alle cure ospedaliere con gravi conseguenze sulla salute delle donne, in particolare per quelle economicamente più deboli;
   ad avviare un serio e capillare programma di informazione e di promozione dei metodi contraccettivi, di conoscenza riguardo al libero accesso alla contraccezione d'emergenza, e di educazione sessuale nelle scuole;
   a garantire, per quanto di competenza, il rispetto e la piena applicazione della legge n. 194 del 1978 su tutto il territorio nazionale nel rispetto del principio di libertà delle donne in materia di maternità e paternità responsabili e del riconoscimento della libera scelta e del diritto alla salute delle donne, assumendo tutte le iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, finalizzate anche all'assunzione di personale non obiettore al fine di garantire il servizio di interruzioni volontarie di gravidanza;
   ad attivarsi nell'ambito delle proprie prerogative, al fine di assicurare, come prevede la legge, il reale ed efficiente espletamento da parte di tutti gli enti ospedalieri e delle strutture private accreditate, delle procedure e gli interventi di interruzione della gravidanza chirurgica e farmacologica;
   ad assumere iniziative per garantire in ogni struttura pubblica o del privato accreditato (sia essa un ospedale o un consultorio) l'applicazione della legge, facendo in modo che solo a fronte di questo impegno possa essere concesso l'accreditamento.
(1-01066)
«Nicchi, Gregori, Fratoianni, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Carlo Galli, Marcon, Pannarale, Pellegrino, Ricciatti, Scotto, Zaccagnini».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Ferraresi n. 5-06988 del 13 novembre 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Fabbri n. 5-07241 del 17 dicembre 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Lattuca n. 5-07606 del 2 febbraio 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Librandi n. 5-07675 del 4 febbraio 2016;

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta orale Rubinato n. 3-01631 del 20 luglio 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-12194;
   interrogazione a risposta in Commissione Cimbro e altri n. 5-06843 del 30 ottobre 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-12196;
   interrogazione a risposta in Commissione Valiante e Lenzi n. 5-06899 del 6 novembre 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-12209;
   interrogazione a risposta orale Fiorio n. 3-02027 del 19 febbraio 2016 in interrogazione a risposta scritta n. 4-12195.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Agostinelli e altri n. 5-07781 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 569 del 15 febbraio 2016. Alla pagina 34124, prima colonna, dalla riga quarantaquattresima alla riga quarantacinquesima, deve leggersi: «delle Marche fossero all'incirca di 2.422,89 milioni di euro;», e non come stampato.