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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 22 febbraio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    un dibattito serio e costruttivo sulle misure di sostegno alle famiglie, sul contrasto al calo demografico e sulle politiche per la natalità, non può prescindere, in quanto strettamente interdipendenti, dalle politiche e dalle risorse finanziarie che un Paese decide di mettere in campo a sostegno del reddito, per il contrasto alla povertà e all'emarginazione socio-economica, per il rafforzamento del welfare, per il sostegno alle politiche per l'infanzia, per il diritto alla casa, nonché per le politiche del lavoro. Sono questi gli aspetti decisivi e il logico presupposto che, inevitabilmente, condizionano fortemente le scelte di genitorialità;
    va, peraltro, evidenziato che, nella nostra società, sono presenti molteplici forme di nuclei familiari alle quali va riconosciuta la stessa dignità e le medesime garanzie da parte dello Stato. È da molti anni che il legislatore e la giurisprudenza si sono avviati su un percorso di riconoscimento della rilevanza giuridica dei nuclei familiari non fondati sul vincolo coniugale, nel rispetto delle scelte fatte dalle persone. Allo stesso modo i nuclei familiari formati da persone dello stesso sesso, anche con figli, chiedono il necessario e dovuto riconoscimento da parte dello Stato;
    la Corte costituzionale nella sentenza n. 138 del 2010 ha espressamente affermato che famiglia e matrimonio hanno la duttilità propria dei principi costituzionali, che evolvono con i cambiamenti sociali e culturali. Risulterebbe pertanto artificioso continuare a sostenere che lo Stato deve garantire un unico modello familiare, quale quello fondato sul matrimonio, perché non rispondente più alla realtà sociale e alle richieste che provengono dai cittadini;
    è, inoltre, assolutamente contrario allo spirito e alla lettera della Costituzione e della nostra tradizione, sostenere che famiglia sia soltanto quella basata sulla genitorialità, essendo valido il matrimonio anche se contratto da persone che neppure potenzialmente possono procreare o che scelgano liberamente di non farlo. Pur dovendo sostenere i figli comunque nati, le famiglie vanno tutte sostenute come società naturale nella quale ogni individuo realizza il proprio progetto di vita e costruisce una comunità solidale e di affetti;
    di questa evoluzione culturale e giuridica, il nostro sistema di welfare e le politiche a sostegno alle famiglie non potranno non tenere conto;
    uno dei principali problemi del nostro Paese, e che contribuisce fortemente al costante calo demografico risiede principalmente nella sostanziale assenza di mirati aiuti finanziari, di adeguati servizi all'infanzia a supporto delle famiglie e di politiche volte a sostenere le pari opportunità tra uomini e donne;
    è proprio di questi giorni la pubblicazione da parte dell'Istat del report sugli indicatori demografici per il 2015, dove emerge che la popolazione di cittadinanza italiana scende a 55,6 milioni, conseguendo una perdita di 179 mila residenti. Al 1o gennaio 2016 la popolazione in Italia è di 60 milioni 656 mila residenti (-139 mila unità). Gli stranieri sono 5 milioni 54 mila e rappresentano l'8,3 per cento della popolazione totale (+39 mila unità);
    i dati Istat dicono che, nel 2015, le nascite sono state 488 mila (-15 mila), nuovo minimo storico dall'unità d'Italia. Il 2015 è il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità, giunta a 1,35 figli per donna. L'età media delle madri al parto sale a 31,6 anni. Il ricambio generazionale non solo non viene più garantito da nove anni, ma continua a peggiorare;
    nell'aprile 2015, la seconda indagine del Censis sulla fertilità, ha evidenziato come, alla base della scarsa propensione ad avere figli, vi siano motivazioni principalmente economiche. Le coppie sempre più tendono a pensare ai figli dopo i 35 anni, vale a dire proprio nel periodo in cui la fertilità di uomini e donne si riduce drasticamente e a incidere su questo spostamento in avanti è soprattutto il mercato del lavoro precario. Non è un caso che, nei Paesi del nord Europa, le donne facciano più figli, perché sono più tutelate dal welfare rispetto alla loro presenza nel mercato del lavoro;
    nelle economie dove vi sono sistemi di welfare più sviluppati e di impianto universalistico e con buone politiche del lavoro, l'integrazione delle donne nel mercato del lavoro è più elevata e maggiore è la crescita demografica;
    l'Italia si conferma uno dei Paesi europei a più bassa occupazione femminile e questo condiziona fortemente la stessa possibilità di determinare il proprio progetto di vita;
    vale la pena sottolineare come il basso tasso di occupazione femminile sia una delle cause dell'alta incidenza di povertà nelle famiglie in Italia. È, infatti, indubitabile che le famiglie monoreddito con figli presentino rischi di povertà elevati e che avere due redditi in famiglia è la via migliore di uscita dalla povertà o dalla minaccia di povertà. Da qui la necessità di incentivare sempre più la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, nonché favorire modalità di lavoro più flessibili per i genitori;
    conciliare lavoro e famiglia è un impegno quotidiano che coinvolge uomini e donne, anche se le pratiche della cura sono state a lungo nascoste e invisibili, relegate nel privato e considerate solo un dovere femminile. Ancora oggi, a causa della diseguale distribuzione del carico di lavoro domestico e di cura all'interno delle famiglie, la difficoltà di conciliare lavoro e famiglia è avvertita soprattutto dalle donne, in modo particolare nella fase del ciclo di vita immediatamente successiva alla nascita dei figli. Esse continuano ad accollarsi le maggiori responsabilità di cura dei figli e degli altri familiari;
    i recenti dati del «Rapporto Italia 2015» dell'Eurispes hanno evidenziato, ancora una volta, il perdurare delle difficoltà economiche e l'incertezza per il futuro. Cresce il numero di chi non si sente in grado di dare garanzie alla propria famiglia con il proprio lavoro. Deve ricorrere all'aiuto della propria famiglia (genitori, parenti) il 28 per cento di chi lavora. Pur avendo un'occupazione, il 55,6 per cento dei lavoratori ammette di avere difficoltà ad arrivare a fine mese;
    sempre l'Eurispes ricorda come l'erosione del proprio potere d'acquisto è ormai un dato di fatto per 7 italiani su 10; persone che hanno visto nell'ultimo anno diminuire nettamente o in parte la capacità di affrontare le spese con le proprie entrate. Inoltre, un cittadino su tre taglia sulle spese mediche e contestualmente aumenta il ricorso alle rateizzazioni per coprire i costi per curarsi;
    in questi anni le risorse assegnate ai principali fondi che incidono direttamente sul sistema del welfare, e che vengono rifinanziati annualmente dalla legge di stabilità, hanno visto una loro riduzione o, nel migliore dei casi, una loro conferma negli stanziamenti: vale per il fondo per le politiche sociali, come per il fondo per l'infanzia e l'adolescenza, o il fondo per le politiche della famiglia;
    riguardo alle politiche di sostegno al reddito e al welfare, è evidente come il progressivo aumento della povertà nel nostro Paese di questi anni abbia inciso pesantemente sulle condizioni di vita delle persone e delle famiglie;
    la campagna della rete «Miseria Ladra», promossa da Libera e dal Gruppo Abele e la campagna Sbilanciamoci, l'Arci e la Rete della Conoscenza, hanno recentemente ricordato alcuni numeri: nel nostro Paese la povertà assoluta è triplicata arrivando a colpire oltre 4,5 milioni di persone, distribuite in poco meno di 1,5 milioni di famiglie. Stessa tendenza per la dispersione scolastica, la povertà minorile e la disoccupazione giovanile. Da qui, una loro richiesta: escludere dal rispetto del patto di stabilità le spese relative ai servizi sociali;
    la legge di stabilità 2016 ha istituito un «Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale», con una dotazione di 600 milioni di euro per il 2016, e 1 miliardo di euro a decorrere dall'anno 2017, per il finanziamento di un piano nazionale per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale;
    è evidente che, se l'obiettivo del suddetto piano nazionale è quello di far uscire dalla soglia di povertà assoluta le famiglie che si trovano in questa situazione, le risorse stanziate si dimostrano chiaramente insufficienti. Dai dati Istat si evince che sarebbero necessari circa 5-6 miliardi di euro;
    le risorse stanziate per il 2016 dall'ultima legge di stabilità saranno forse sufficienti a coprire solo 280 mila famiglie, ossia poco più di un quinto delle famiglie stimate in povertà assoluta;
    non è solo il reddito delle famiglie a determinare la condizione di povertà di un bambino, ma è fondamentale poter contare anche su una rete di opportunità e di servizi, come l'asilo nido e una scuola di qualità;
    per quanto riguarda le politiche per l'infanzia e l'adolescenza, uno dei problemi strutturali dell'Italia è l'evidente carenza di strutture per l'infanzia e l'offerta comunale di asili nido;
    le politiche per l'infanzia e la carenza cronica di strutture e di servizi socio-educativi per l'infanzia, continuano a rappresentare uno dei problemi strutturali del nostro Paese. Gli asili nido comunali sembrano spesso più strutture a pagamento, che statali, con costi medi che si aggirano intorno ai 300 euro mensili e tariffe in crescita rispetto agli anni passati;
    i pesantissimi tagli alle regioni e agli enti locali, attuati in questi ultimi anni, non hanno fatto che peggiorare la situazione dal punto di vista sia della qualità del servizio, che dei costi. Il dato di fondo resta sempre l'enorme scarto esistente tra le esigenze delle famiglie e la reale possibilità di soddisfare tali esigenze;
    il sindacato Fp-Cgil, nel novembre 2015, in occasione della campagna «ChiedoAsilo», ha elaborato una ricerca condotta sui dati Istat, sull'offerta comunale degli asili nido e altri servizi socio-educativi. La mappa nazionale dei servizi presenta enormi sperequazioni regionali. Se, infatti, la copertura dei servizi per l'infanzia è al 24,8 per cento in Emilia Romagna, in Campania è al 2 per cento;
    per raggiungere lo standard europeo, fissato dalla strategia di Lisbona, che prevedeva una copertura pari al 33 per cento entro il 2010, il nostro Paese dovrebbe creare ulteriori 1.700 nidi e scuole dell'infanzia;
    come riporta la citata ricerca, nel 2010 sono nati circa 562 mila bambini, nel 2011, 546 mila. Nei primi due mesi del 2012, 89,6 mila. Il totale preciso è di 1 milione e 198.116 bambini nati, ai quali vanno sottratti i 289.851 che sono riusciti a trovare un posto al nido. I «senza asilo» sono quindi oltre 900 mila. Per loro non si prevede, a breve, un posto nelle strutture pubbliche. A meno che le rispettive famiglie non facciano uno sforzo, pagando;
    la legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 2006), aveva varato un piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi, al quale concorrono gli asili nido, i servizi integrativi, diversificati per modalità strutturali, di accesso, di frequenza e di funzionamento, e i servizi innovativi nei luoghi di lavoro, presso le famiglie e presso i caseggiati. Un piano pensato per incrementare i servizi esistenti, indirizzato ad avviare un processo di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, per la concreta attuazione dei diritti delle bambine e dei bambini. Obiettivo non ultimo di questo intervento era anche quello di attenuare il forte squilibrio tra il nord e il sud del Paese ed una complessiva crescita del sistema nazionale verso standard europei;
    detto piano per lo sviluppo dei servizi socio-educativi non prevede risorse per il 2016 e per i prossimi anni, e questo nonostante che le risorse, a legislazione vigente, a disposizione dei servizi per l'infanzia, siano del tutto insufficienti;
    in questa fase di crisi economica, l'emergenza abitativa risulta essere uno dei fattori di maggiore e crescente tensione sociale, che coinvolge un numero elevato di nuclei familiari, e questo ancora di più nelle grandi aree urbane;
    la situazione del mercato immobiliare contribuisce fortemente alla precarietà abitativa, in quanto l'offerta di abitazioni private – a costi molto elevati, troppo spesso inaccessibili per le famiglie e le giovani coppie – sovrasta nettamente l'offerta edilizia pubblica;
    come riporta la recente indagine realizzata da Nomisma, in collaborazione con Federcasa, solo 700 mila famiglie italiane, cioè circa un terzo di quelle che si trovano in condizione di disagio abitativo, ha accesso a una casa popolare;
    i Governi di questi anni non sono stati in grado di promuovere politiche per la casa, che permettessero di favorire il recupero urbano e rilanciare l'edilizia residenziale pubblica e a fini sociali, mettendo seriamente a rischio il diritto alla casa e l'accesso alla proprietà della stessa, sancito dall'articolo 47 della Costituzione,

impegna il Governo:

   ad assumere le opportune iniziative normative volte a prevedere per il padre lavoratore dipendente l'obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo pari a venti giorni lavorativi, anche continuativi, entro i trenta giorni successivi alla nascita del figlio, dietro la corresponsione di un'indennità pari al 100 per cento della retribuzione, al fine di sostenere la genitorialità, promuovendo una cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all'interno della coppia;
   ad assumere iniziative per estendere, in via sperimentale, le disposizioni di cui al decreto legislativo n. 80 del 2015, in materia di permessi e congedi, anche ai dipendenti del settore pubblico, al fine di attuare una completa universalizzazione delle tutele previste per la genitorialità;
   a sostenere politiche attive ed a promuovere efficaci misure di sostegno per sperimentare nuovi rapporti tra tempi di lavoro e cura delle relazioni;
   a favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, con particolare riguardo a chi ha redditi bassi e discontinui;
   a promuovere politiche sociali di sostegno alla maternità e alla paternità, anche attraverso lo stanziamento di adeguate risorse finanziarie per la messa in sicurezza e l'incremento delle strutture e dei servizi socio-educativi per l'infanzia, garantendone l'attuazione e superando le attuali forti disomogeneità territoriali nell'offerta di detti servizi;
   ad assumere iniziative per incrementare le risorse attualmente assegnate al fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza e al fondo per le politiche sociali;
   ad assumere iniziative per rifinanziare il fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione, attualmente azzerato, quale strumento importante a favore degli enti locali per sostenere le famiglie più svantaggiate e per contrastare il disagio abitativo;
   ad assumere iniziative per dare priorità e rafforzare l'intervento sull'edilizia residenziale pubblica, stanziando a tal fine ulteriori risorse per il programma di recupero e manutenzione di immobili e alloggi di edilizia residenziale pubblica, e incentivare il co-housing;
   ad assumere iniziative per prevedere maggiori risorse per gli interventi volti al contrasto alla povertà e all'esclusione sociale, anche alla luce del fatto che le risorse stanziate per il 2016 dall'ultima legge di stabilità risultano insufficienti e in grado di coprire solo poco più di un quinto delle famiglie stimate in povertà assoluta;
   ad assumere le opportune iniziative, anche nell'ambito dell'Unione europea, volte a prevedere l'esclusione dal rispetto del patto di stabilità delle spese relative ai servizi sociali e al welfare.
(1-01170) «Nicchi, Gregori, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Melilla, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zaccagnini, Zaratti, Martelli».


   La Camera,
   premesso che:
    il 19 febbraio 2016 l'Istat ha reso noto il report degli indicatori demografici relativi alle stime per l'anno 2015. Lo studio purtroppo ha confermato la tendenza del nostro Paese al decremento demografico;
    dai dati pubblicati emerge una forte diminuzione del tasso di natalità;
    nel 2015 le nascite sono stimate in 488 mila unità, ben quindicimila in meno rispetto all'anno precedente. Si tocca, pertanto, un nuovo record di minimo storico dall'unità di Italia, dopo quello del 2014 (503 mila). Poiché i morti sono stati 653 mila, ne deriva una dinamica naturale della popolazione negativa per 165 mila unità;
    il ricambio generazionale, peraltro, non solo non viene più garantito da nove anni, ma continua a peggiorare (da meno 7 mila unità nel 2007 a meno 25 mila nel 2010, fino a meno 96 mila nel 2014);
    al di là delle ragioni di fondo che stanno ostacolando, dopo il 2010, una significativa ripresa della natalità nel Paese, è opportuno ricordare che il recente calo delle nascite è in parte riconducibile alla trasformazione strutturale della popolazione femminile in età feconda (15-49 anni). Le donne in questa fascia di età sono oggi meno numerose e mediamente più anziane;
    il tasso di natalità scende dall'8,3 per mille nel 2014 all'8 per mille nel 2015, a fronte di una riduzione uniformemente distribuita sul territorio;
    non si riscontrano incrementi di natalità in alcuna regione del Paese e soltanto Molise, Campania e Calabria mantengono il medesimo tasso del 2014;
    in assoluto, con un tasso pari al 9,7 per mille, il Trentino Alto Adige si conferma l'area a più intensa natalità del Paese, davanti alla Campania con l'8,7 per mille. Le regioni a più bassa natalità sono Liguria (6,5) e la Sardegna (6,7). Oltre alla più bassa natalità, alla Liguria compete anche il più alto tasso di mortalità (14,4 per mille) e quindi anche il tasso di incremento naturale più sfavorevole (-7,9 per mille), a fronte di una media nazionale pari a -2,7 per mille. La provincia di Bolzano, invece, rappresenta l'unica realtà del territorio nazionale nella quale la natalità si mantiene ancora superiore alla mortalità (+1,9 per mille);
    nel contesto di un'immigrazione sempre crescente nel nostro Paese, risulta sempre più complicato discernere i comportamenti demografici dei cittadini di origine straniera da quelli italiani, in particolar modo per quel che riguarda la natalità. Le cifre sulla composizione delle nascite per cittadinanza della madre (italiana/straniera) mostrano che si va riducendo anche il contributo delle cittadine straniere alla natalità. I nati da madre straniera, infatti, scendono a 93 mila ossia oltre 5 mila in meno (-5,4 per cento) del 2014. Quelli da madre italiana scendono a 394 mila riducendosi di oltre 9 mila (-2,4 per cento);
    per il quinto anno consecutivo nel 2015 si registra una riduzione del numero medio di figli per donna (tasso di fecondità totale), sceso a 1,35. Alla bassa propensione di fecondità continua ad accompagnarsi la scelta di rinviare sempre più in là il momento di avere figli. L'età media delle madri al parto, infatti, sale ulteriormente portandosi a 31,6 anni contro i 31,5 del 2014 (31,3 nel 2010);
    in particolare, si evidenzia che negli ultimi cinque anni il protrarsi degli effetti sociali della crisi economica ha innescato una diminuzione della fecondità di periodo poiché le difficoltà, soprattutto lavorative ed abitative, oggi incontrate dalle giovani coppie rallentano la progettualità genitoriale. Tali difficoltà, cui si accompagna un generale senso di precarietà in molti strati della società, stanno agendo nel verso di un'accentuazione della posticipazione delle nascite e, quando ciò avviene, il numero medio di figli per donna tende ad abbassarsi;
    da anni si assiste ad analisi e proposte tra le più disparate riguardanti la crisi economica e sociale del nostro Paese sottovalutando il tema demografico;
    è acclarato che l'invecchiamento della popolazione rappresenta un freno alla crescita, sia dal lato del calo della produttività, che da quello dell'aumento della spesa pubblica che diventa sempre più incomprimibile: la crescita percentuale di anziani e pensionati, infatti, è destinata a pesare come un macigno sul bilancio pubblico;
    alla luce di questi trend sociali appaiono sempre più sconcertanti la disinformazione ed il ritardo culturale nel sottovalutare l'importanza dei temi valoriali legati alla famiglia e alla natalità;
    rispetto a questi fenomeni profondi e di lunga durata è di primaria importanza il ruolo del Governo: in quest'ultimo periodo sono stati adottati pochi e modesti provvedimenti che vanno nella giusta direzione. Fa ancora fatica a prendere corpo un'azione politica e legislativa ad ampio raggio per l'aggiornamento dell'intero welfare verso la famiglia e per un'incisiva iniziativa per la trasformazione dell'organizzazione del lavoro in direzione della conciliazione fra lavoro e famiglia;
    è indispensabile adottare, nel breve periodo, un insieme di misure di sostegno economico alla famiglia ed alla natalità;
    il rifinanziamento per il 2016 del «bonus bebè», le disposizioni riguardanti il riconoscimento del congedo parentale anche ai neo papà, l'istituzione della carta della famiglia sono importanti ma del tutto insufficienti ad affrontare la gravissima difficoltà economica di una larga parte della popolazione che di fatto non consente alle coppie di avere figli;
    le famiglie e i giovani che sono nell'età di dare vita a una nuova famiglia attendono un segnale, una risposta credibile del Governo alle sempre crescenti difficoltà economiche e non solo, risposte che sono attese da chi intraprende la strada della formazione di una famiglia e della genitorialità,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità, compatibilmente con il raggiungimento degli obbiettivi di finanza pubblica, di adottare iniziative affinché la parte del reddito necessaria a mantenere i figli non sia tassata, riconoscendo una «no tax area» che copra il reddito di sussistenza della famiglia;
   a valutare l'opportunità, compatibilmente con il raggiungimento degli obiettivi della finanza pubblica, di assumere iniziative per una deduzione ai fini dell'Irpef delle spese sostenute per le rette degli asili nido;
   a valutare l'opportunità, compatibilmente con il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, di assumere iniziative per prevedere misure agevolative per la casa e per l'affitto per le giovani coppie;
   a valutare l'opportunità, compatibilmente con il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, di adottare iniziative per prevedere misure agevolative e di sostegno per le mamme lavoratrici;
   a valutare l'opportunità, compatibilmente con il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, di assumere iniziative per prevedere un contributo economico in favore della prima infanzia dal settimo mese di gravidanza fino al compimento del terzo anno di età per le famiglie che versano in particolare disagio economico.
(1-01171) «Palese, Pisicchio».


   La Camera,
   premesso che:
    gli indici demografici diffusi nelle ultime settimane dall'Istat hanno evidenziato un calo delle nascite al minimo storico in Italia. Nel 2015 sono state 488 mila, 8 per mille residenti, quindicimila in meno rispetto al 2014. Il numero dei figli medi per donna è di 1,35 al 2015 che si conferma il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità. L'età media delle donne al momento del parto è salita a 31,6 anni;
    per contro desta preoccupazione l'aumento del numero delle morti. Nel 2015 si è toccato il picco più alto di decessi dal secondo dopoguerra: i morti, secondo gli indicatori dell'Istat, sono stati 653 mila, 54 mila in più dell'anno precedente (+9,1 per cento). L'aumento di mortalità risulta concentrato nelle classi di età molto anziane (75-95 anni);
    dal punto di vista demografico, il picco di mortalità del 2015 è in parte dovuto a effetti strutturali connessi all'invecchiamento e in parte al posticipo delle morti non avvenute nel biennio 2013-2014, più favorevole per la sopravvivenza;
    una speranza di vita consolidatasi da anni e la contrazione progressiva delle nascite consegnano un Paese in «debito demografico» con dinamiche sociali che gravano su previdenza, spesa sanitaria e assistenza più che nel passato;
    le sfide della globalizzazione e le conseguenti crisi finanziarie provocheranno – in un Paese con un rapporto negativo fra popolazione attiva e non – un effetto che fra una ventina d'anni, esaurito l'effetto «baby boom» degli anni Sessanta e Settanta, sarà ancora più economicamente insostenibile;
    il contesto socio economico diventa ancora più grave se a ciò si aggiunge il fatto che il numero dei nuovi nati attribuiti ai cittadini stranieri non è così elevato da garantire una reale inversione di tendenza, a meno di nuove politiche in grado di rispondere a trasformazioni sociali così complesse;
    l'incidenza della popolazione anziana pur essendo diffusa su tutto il territorio nazionale ha una rilevanza maggiore nelle regioni del Sud, nelle quali si evidenzia una costante migrazione di giovani verso le regioni del Centro-nord più industrializzato;
    il numero delle famiglie è cresciuto di quasi un milione, ma diminuisce la loro dimensione (nel 1951 era in media di 4 persone, oggi è formata in maggioranza di soli 2 componenti);
    un fenomeno piuttosto diffuso è quello della «compattazione»: i giovani restano nel nucleo di origine più a lungo, i figli tornano dai genitori dopo separazione o divorzio, o dopo una emancipazione non riuscita o a seguito di una convivenza finita male;
    sono in aumento le persone celibi e nubili (famiglie uniparentali) che hanno superato i 7,5 milioni e rappresentano il 30,2 per cento delle famiglie italiane. La maggior parte delle persone sole è ascrivibile alla fascia di popolazione anziana (l'11 per cento ha più di 85 anni, ed è donna);
    fra i nuovi poveri ci sono i pensionati al minimo, gli anziani soli e non autosufficienti, le madri lavoratrici con figli piccoli, i disabili;
    se un anziano è attivo costituisce una risorsa economica e un aiuto nell'organizzazione familiare; per risparmiare sui costi del nido, ai nonni vengono spesso affidati i figli non in età scolare;
    la popolazione invecchiata, quella che non avrà figli a cui appoggiarsi per ricevere assistenza e cure, che non avrà la possibilità di beneficiare dell'aiuto vicendevole tra generazioni, graverà completamente sul sistema socio – sanitario nazionale;
    con l'invecchiamento della popolazione aumentano le disabilità (menomazioni fisiche e ridotta mobilità o sensoriali, perdita della vista, dell'udito, della parola) e di conseguenza si espongono gli anziani al rischio di marginalità sociale a meno di adeguate strategie di aiuto e assistenza che permettano loro di continuare a vivere in modo autonomo e partecipativo alla vita sociale;
    la crisi economica prolungata e l'indebolimento dei sistemi di protezione sociale hanno reso più ampia l'area della deprivazione materiale; il rischio di povertà in Italia è più alto della media dei Paesi dell'Unione europea e coinvolge quasi il 20 per cento delle famiglie;
    con questa situazione economica la spesa per consumi è in calo; molte famiglie hanno utilizzato i loro risparmi o hanno risparmiato meno per cercare di mantenere gli standard di vita a cui erano abituate, in alcuni casi indebitandosi;
    nel 2012 quasi il 38 per cento delle famiglie ha ricevuto trasferimenti sociali; al netto dei quali il rischio povertà sarebbe di cinque punti superiore. Quasi il 20 per cento della popolazione ha dichiarato di arrivare a stento alla fine del mese e fra il 13 e il 14 per cento di aver rinunciato, addirittura, alle cure mediche;
    l'Italia si colloca al settimo posto fra i 28 paesi dell'Unione europea per la spesa per la protezione sociale; è uno dei Paesi che destinano la quota più elevata alla previdenza; è fra gli ultimi per le spese destinate alla salute; occupa con il 4,8 per cento della spesa, la penultima posizione per le risorse destinate alle famiglie (soprattutto sostegno al reddito, tutela della maternità, assegni familiari, asili nido, strutture residenziali per famiglie con minori, assistenza domiciliare e altro); è uno degli ultimi Paesi per l'assistenza ai disabili;
    la vera risorsa è il settore del no profit che svolge un ruolo crescente e determinante sul piano del welfare anche se ha una presenza eterogenea a livello nazionale (con evidenti carenze nel Mezzogiorno) e dipende fortemente dal finanziamento pubblico che, ovviamente, in tempi di contrazione della spesa, subisce la crisi;
    il processo di modernizzazione dei comportamenti familiari è caratterizzato da un calo delle nascite e la scarsa propensione al matrimonio tradizionale; si osserva invece un aumento dei matrimoni civili delle unioni libere e del numero dei figli nati fuori dal matrimonio;
    dal 2012 un nato su 4 ha genitori non coniugati per una percentuale nelle regioni del centro-nord del Paese vicina la 30 per cento;
    nel 2012 il 52 per cento dei maschi e il 35 per cento delle ragazze di età compresa fra 25 e 34 anni viveva in famiglia; sono molteplici le ragioni: aumento della scolarizzazione, le difficoltà incontrate nel mondo del lavoro e la precarietà dello stesso, l'impossibilità di competere con un mercato immobiliare troppo costoso;
    dal punto di vista ambientale e urbanistico va registrato uno spopolamento delle aree rurali e montane in direzione delle aree metropolitane che però presentano periferie affollate e degradate dove le famiglie vivono in edilizia poco qualificata con infrastrutture e servizi insufficienti;
    nel 2012 i poveri assoluti hanno raggiunto l'8 per cento delle famiglie e il rischio povertà in Italia è il più alto d'Europa;
    quasi il 46 per cento della spesa per le famiglie con figli è assorbita da asili nido e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia, mentre il 18 per cento è destinato all'accoglienza in strutture residenziali per minori privi di tutela o genitori in difficoltà con bambini;
    nel corso delle ultime manovre economiche nazionali sono stati circoscritti i vari stanziamenti sui fondi per le politiche sociali. Per i principali fondi è stata definita una situazione, pressoché di stabilità per il prossimo triennio: il fondo indistinto (Fondo nazionale per le politiche sociali) è stato rifinanziato sui livelli del 2015, mentre quello per la non autosufficienza è stato confermato su 400 milioni; la cifra è stata raggiunta grazie all'integrazione di 150 milioni prevista nella legge di stabilità, da destinarsi, anche agli interventi per la Sla;
    la legge di stabilità per il 2016 ha portato invece alcune rilevanti novità per quanto riguarda alcuni fondi sociali «minori». Dopo il finanziamento nel 2015 del fondo nazionale per le politiche per la Famiglia di 100 milioni di euro per rilanciare il piano di sviluppo dei servizi socio educativi per la prima infanzia, nel 2016 non è stata data continuità a questi interventi. La dotazione del fondo per il 2016 (5 milioni su base nazionale), è stata caratterizzata da un dirottamento delle somme stanziate dalle precedenti manovre su un nuovo fondo per le adozioni internazionali. Inoltre, a causa dello slittamento temporale dell'assegnazione, nel 2016 gli enti territoriali avranno a disposizione le risorse del riparto del fondo nazionale per la famiglia 2015 da destinare al potenziamento dei servizi socio-educativi (aumento dei posti, delle fasce di apertura, sostegno ai costi di gestione nella prospettiva di riduzione delle rette), secondo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 agosto 2015;
    è stata ampliata, inoltre, la gamma dei fondi sociali attraverso l'istituzione di una nuova linea di finanziamento diretta agli interventi per il sostegno di persone con disabilità grave prive di sostegno familiare: 90 milioni di euro su base nazionale per i cosiddetti interventi «dopo di noi». Ciò significa risorse aggiuntive che saranno gestite in forma separata rispetto al resto dei fondi per le politiche sociali, rinunciando a una programmazione integrata del complesso degli interventi del welfare locale per la disabilità e la non autosufficienza. Analogamente, un altro nuovo fondo viene istituito per l'attuazione della legge n. 134 del 2015 in materia di cura dei soggetti con disturbi dello spettro autistico che tuttavia ha caratteristiche regolamentate dal Ministero della salute;
    dal «IV Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva» emerge che nel nostro Paese le risorse finanziarie destinate al sociale sono prevalentemente assorbite dalla spesa pensionistica. Anche se in questo ambito i dati di riferimento del Piano non sono aggiornati e si fermano al 2012, si rileva, rispetto al 2007, un aumento delle quote di spesa destinate alle funzioni «disoccupazione» (+ 1,9 punti percentuali) e «vecchiaia» (+ 1,0 per cento); mentre registrano una diminuzione le quote per «famiglia», «superstiti» e «invalidità» (-0,2 per cento), e in particolare per «malattia-salute» (-2,3 per cento). Stanti questi dati, la spesa sociale per l'area minorenni e famiglie si attesta, nel 2012, all'1,3 per cento del prodotto interno lordo. La quota di spesa sociale riservata a famiglie e minorenni è la più bassa fra i maggiori Paesi europei: infatti la Germania spende per minorenni e famiglie l'11,2 per cento della spesa sociale, la Francia il 7,9 per cento, il Regno Unito 6,6 per cento e la Spagna il 5,4 per cento;
    oggi gli enti locali trovano oggettive difficoltà per la redazione dei bilanci e per garantire la qualità e la quantità dei servizi per l'infanzia a causa di un'evidente condizione d'incertezza derivante dalla riduzione dei finanziamenti statali e dalle modalità di erogazione annuale, con una tendenza al ribasso delle risorse, non proporzionali all'andamento del numero delle scuole e delle sezioni riconosciute come paritarie;
    gli asili nido comunali rivestono un grande interesse pubblico, sono servizi per l'infanzia accessibili e di qualità che non solo contribuiscono a conciliare in modo rilevante vita familiare e lavorativa favorendo una maggiore partecipazione femminile al mondo del lavoro, ma sono esperienze educative decisive nello sviluppo cognitivo e relazionale infantile. In base ai dati rilevati dall'Anci, tra il 2010 e il 2013, vi è stato un aumento del 9 per cento di risorse impegnate da parte dei comuni destinato ai nidi a gestione diretta ed un 16 per cento per quelli a gestione convenzionata, in particolare nei comuni metropolitani dal 2010 al 2013 si è registrato un incremento pari al 20 per cento di risorse per i nidi a gestione diretta ed un 22 per cento per quelli a gestione convenzionata;
    dal piano nazionale per l'infanzia emerge, inoltre, l'urgenza di un sostegno sempre più accurato e settoriale alle politiche per la famiglia, a causa soprattutto delle rilevanti trasformazioni di quest'ultima all'interno di una società in evoluzione; in tal senso l'indicazione del Piano è di privilegiare due macro aree: il sostegno alla genitorialità e il sistema dell'accoglienza dei minorenni allontanati dalla famiglia di origine;
    in questa chiave è di rilievo valutare l'impatto fortemente positivo che sulle famiglie hanno le pratiche di welfare aziendale e corporate social responsibility (rilevato anche dal rapporto Istat per il 2015). Tra i benefit e servizi che le imprese offrono ai dipendenti rientrano le iniziative di welfare aziendale, che – recando vantaggi non solo ai dipendenti e alle loro famiglie ma più in generale al territorio dove opera l'azienda – affiancano il welfare locale;
    si tratta di misure che rappresentano veri e propri meccanismi di incentivazione del lavoratore in quanto riguardano le modalità di erogazione della prestazione lavorativa, lo sviluppo del capitale umano, il clima organizzativo e, in definitiva, la qualità del lavoro. Inoltre, l'offerta di servizi aggiuntivi per i dipendenti e le loro famiglie (asili nido, servizi di trasporto e altro) tende a rafforzare il legame tra impresa e collaboratori,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per dare piena attuazione ai principi di solidarietà politica, economica e sociale secondo quanto previsto all'articolo 2 della Costituzione;
   a promuovere misure per la revisione complessiva del regime fiscale della famiglia, in modo da dare concreto sostegno all'istituzione del nucleo familiare e alla piena assunzione degli impegni connessi alla genitorialità;
   ad incentivare azioni a sostegno della genitorialità e del sistema dell'accoglienza dei minorenni allontanati dalla famiglia di origine, così come definito dal IV piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, riorganizzando il sistema locale dei servizi di prossimità e degli interventi di sostegno per garantire risorse uniformi, stabili e complementari a tutte le famiglie secondo il principio delle pari opportunità;
   a promuovere concrete politiche sociali («bonus» fiscali, servizi socio educativi e socio assistenziali gratuiti) che rispondendo a precise esigenze delle famiglie siano tali da riuscire a incoraggiare una natalità sufficiente a contrastare il processo di invecchiamento della popolazione;
   ad assumere iniziative per definire misure correttive del sistema attuale di ripartizione delle risorse assegnate al welfare, che produce evidenti iniquità e non risponde all'esigenza di garantire, in materia di politiche sociali, le categorie più deboli quali minori, anziani, disabili, famiglie in difficoltà;
   ad assumere iniziative per mettere tutti i cittadini in una condizione di dignità e di giustizia, a partire dalle fasce di popolazione più debole, perché una società è «civile» se in essa nessuno si sente escluso o ultimo.
(1-01172) «Vezzali, Monchiero, Vargiu, Molea, Matarrese, Librandi, D'Agostino, Dambruoso, Rabino, Mazziotti Di Celso».


   La Camera,
   premesso che:
    in tema di politiche familiari, negli ultimi venti anni si sono prodotti profondi mutamenti politici, economici e sociali che, nell'ultimo decennio, hanno attraversato l'Italia e i Paesi dell'Unione europea, coinvolgendo le identità dei soggetti e delle organizzazioni, e determinando profonde ripercussioni sulle condizioni di vita delle famiglie, dei bambini e dei giovani;
    ci sono state trasformazioni strutturali che hanno investito l'organizzazione della produzione e del lavoro e trasformazioni in campo sociale e demografico che hanno riguardato, invece, i soggetti che si muovono all'interno della società e, in particolare, del mercato del lavoro. Tra queste, di grande rilievo è la diminuzione della natalità che ha riguardato soprattutto i Paesi europei della fascia mediterranea, tra cui l'Italia, la Spagna e il Portogallo, e i Paesi di nuova adesione, tra cui Polonia, Slovenia, Lituania;
    si è contestualmente assistito all'aumento dei divorzi e di unioni non istituzionalizzate, unitamente a famiglie monoparentali in cui è specialmente la donna a gestire la cura, la crescita e l'educazione dei figli;
    il 27 novembre 2015, l'Istat ha pubblicato i dati sul monitoraggio delle nascite relativi all'anno 2014. Lo studio ha confermato la recente tendenza del nostro Paese al decremento demografico;
    in particolare, emerge dai dati una forte flessione del tasso di natalità: l'anagrafe ha, infatti, registrato quasi 12.000 nuovi nati in meno rispetto al 2013 e all'incirca 74.000 in meno rispetto al 2008;
    secondo l'ente di ricerca, la media aggiornata di figli per donna è di 1,37 (ancora in diminuzione rispetto a 1,46 del 2010); tale media è di 1,29, se il campione è composto di sole donne italiane. La natalità si è abbassata significativamente anche per le cittadine straniere residenti; si è passati da una media di 2,65 del 2008 a una di 1,97 del 2014;
    nel report sugli indicatori demografici reso noto dall'Istat il 19 febbraio 2016, risulta che le nascite in Italia sono state 488 mila, 15 mila in meno rispetto al 2014, la percentuale più bassa dall'Unità d'Italia. Si tratta di un saldo negativo tra nati e deceduti di 165 mila unità. Risulta in calo anche il contributo delle cittadine straniere alla natalità. A questi dati si aggiunge la continua riduzione del numero medio di figli per donna sceso a 1,35 (1,28 se si considerano solo le cittadine italiane) e il continuo innalzamento dell'età media delle madri al parto, che si porta a 31,6 anni (32,2 delle cittadine italiane) contro i 31,5 del 2014;
    gli effetti di un così basso tasso di natalità sono economicamente e socialmente preoccupanti. Ciò risulta tanto più grave se si considera che, negli ultimi 10 anni, le donne hanno sempre più posticipato la decisione di sposarsi ed avere un figlio. Le mamme ultraquarantenni sono infatti aumentate del 100 per cento (l'età media alla nascita del primo figlio, che spesso rimane l'unico, è infatti di 30,8 anni), mentre sono diminuite del 18 per cento quelle minorenni. Solo l'11 per cento dei nati ha una madre con un'età inferiore ai 25 anni, mentre oltre il 24 per cento ha una madre di 35 anni e più;
    tutto ciò si è tradotto in famiglie sempre più piccole e sempre più fragili, dipendenti dal sistema dei servizi e dai meccanismi redistributivi del sistema di welfare per poter far fronte ai bisogni di base come a quelli di cura;
    in Italia, la spesa pubblica per servizi alla famiglia, comprensiva dei trasferimenti in denaro, della spesa per fornitura di servizi e di agevolazioni fiscali, è l'1,3 per cento del prodotto interno lordo in Francia è circa il 3,02 per cento. Nell'Unione europea solo Spagna e Grecia spendono meno dell'Italia. Analizzando le componenti di questa spesa, l'Italia destina solo lo 0,15 per cento del prodotto interno lordo a interventi diretti alla primissima infanzia. Di conseguenza, solo il 12,7 per cento circa dei bambini da 0 a 3 anni frequenta un asilo nido; le differenze tra regioni sono molto ampie: si passa dal 24 per cento dell'Emilia Romagna a valori attorno al 2 per cento in Calabria e Campania;
    in Italia, la spesa per la famiglia è dunque la voce del welfare meno generosa, sia se confrontata con la spesa nelle altre componenti del welfare, sia rispetto al resto d'Europa;
    la carenza del welfare per la famiglia non è priva di conseguenze. Bambini e donne in particolare restano ai margini dell'attenzione dello stato sociale. La gestione dei bambini piccoli è responsabilità quasi esclusiva della famiglia, in particolare delle mamme, sulle quali ricade la maggior parte dell'attività domestica e del lavoro di cura, in misura molto sbilanciata anche rispetto ai padri. I nonni, in particolare le nonne, contribuiscono in misura preponderante alla cura dei bambini, supplendo spesso alla carenza dello stato sociale;
    un esempio virtuoso – sotto questo profilo – viene dalla Francia, che in pochi anni è riuscita a invertire il trend demografico avverso, dando vita ad un sistema organico nel quale le famiglie con più di un figlio ricevono sostanziosi contributi e quelle con un reddito più basso possono beneficiare anche di altre forme di sostegno, come contributi per l'alloggio, per i libri scolastici e addirittura per le vacanze. È previsto, inoltre, un contributo economico in favore della prima infanzia dal settimo mese di gravidanza fino al compimento del terzo anno di età;
    la famiglia rappresenta un grande «capitale sociale» che, in tempo di crisi, costituisce l'unico sostegno in un mondo «senza reti» e deve essere per questo tutelata; l'articolo 29 della Costituzione individua infatti la famiglia come società naturale e all'articolo 31 la Costituzione stabilisce che: «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose»;
    nel corso dell'esame parlamentare della legge di stabilità 2016, Forza Italia ha depositato numerose proposte emendative, contenenti misure a sostegno delle famiglie, delle quali il Governo ha scelto di non tenere conto, tra le quali l'introduzione del quoziente familiare, in grado di favorire la creazione di nuovi nuclei familiari e di sostenere quelli esistenti, senza penalizzare l'accesso nel mercato del lavoro delle donne, ma valorizzando il ruolo della famiglia come nucleo fondante della società,

impegna il Governo:

   ad adottare politiche di sostegno alle famiglie che siano adeguate a fronteggiare l'attuale situazione economica che ha causato l'impoverimento delle famiglie italiane e in particolar modo, di quelle con figli, specie se minori, valutando la possibilità di assumere iniziative per incrementare la quota di investimento pubblico in protezione sociale destinato alle famiglie, rispettando, in tal modo il dettato costituzionale;
   ad assumere iniziative normative volte a prevedere misure rivolte in modo specifico alle giovani coppie, per sostenere le necessità legate all'acquisto o all'affitto della casa, stabilendo interventi in materia di servizi socio-educativi per l'infanzia;
   ad adottare tutte le opportune iniziative di contrasto alla disoccupazione giovanile, promuovendo la qualità dell'occupazione e delle relazioni industriali al fine di favorire una ripresa della fiducia nei confronti delle prospettive economiche e sociali del Paese;
   a intraprendere opportune iniziative al fine di prevedere specifiche agevolazioni fiscali per le famiglie, che siano da impulso per la formazione di nuovi nuclei familiari e per la genitorialità, assumendo iniziative per rivedere, al contempo, al rialzo, l'importo degli assegni familiari per i nuclei più numerosi;
   a valutare la possibilità di assumere iniziative per introdurre l'istituto del quoziente familiare, che considera il nucleo familiare e non il singolo contribuente, come soggetto passivo dell'Irpef, con conseguenti benefici per le famiglie più numerose.
(1-01173) «Occhiuto, Crimi».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo gli ultimi dati Istat sulla natalità e fecondità della popolazione residente in Italia pubblicato il 27 novembre 2015, aggiornato al 19 febbraio 2016, nel 2015 le nascite sono state 488 mila (8 per mille dei residenti), quindicimila in meno rispetto al 2014 (nuovo minimo storico dall'Unità di Italia), quasi 12 mila in meno rispetto al 2013, 74 mila in meno sul 2008;
    sempre secondo il documento Istat, la diminuzione delle nascite riguarda soprattutto le coppie di genitori entrambi italiani: 398.540, quasi 82mila in meno negli ultimi sei anni perché le donne italiane in età riproduttiva sono sempre meno e hanno una propensione ad avere figli sempre più bassa mentre si mantiene stabile il livello dei nati con almeno un genitore straniero (20,7 per cento per cento dei nati, 29 per cento nel Nord e 8 per cento nel Mezzogiorno), mentre diminuiscono i nati con entrambi i genitori stranieri (14,9 per cento del totale delle nascite) ed anche i nati all'interno del matrimonio: nel 2014 sono appena 363.916, ben 100 mila in meno rispetto al 2008. Al contrario, aumentano i nati da genitori non coniugati: oltre 138mila nel 2014, quasi 26 mila in più sul 2008, con un peso relativo rispetto ai nati da coppie coniugate pari al 27,6 per cento del totale delle nascite; quasi l'8 per cento dei nati nel 2014 ha una madre di almeno 40 anni mentre in un caso su dieci (10,7 per cento) la madre è sotto i 25 anni; il numero medio di figli per donna scende a 1,35 (rispetto a 1,46 del 2010). Le donne italiane hanno in media 1,28 figli, le cittadine straniere residenti 1,93; in quest'ultimo caso il calo è rilevante rispetto al 2008, quando avevano in media 2,65 figli;
    la popolazione residente in Italia è sostanzialmente arrivata alla crescita zero: i flussi migratori riescono a malapena a compensare il calo demografico dovuto alla dinamica naturale (nati meno morti), il movimento naturale della popolazione ha fatto registrare nel 2015 un saldo negativo di 165 mila unità, che segna un picco mai raggiunto nel nostro Paese dal biennio 1917-1918 (primo conflitto mondiale);
    inoltre, continua l'invecchiamento della popolazione italiana: l'età media è 44,6 anni, in costante aumento di due decimi all'anno nel periodo 2011-2015; la popolazione anziana (65 anni e oltre) è pari al 22 per cento, quasi un punto percentuale in più rispetto al 2011. In particolare, i cosiddetti «grandi vecchi» (80 anni e più) crescono ogni anno di un punto decimale, arrivando nel 2014 al 6,5 per cento della popolazione. Le persone ultracentenarie in vita al 31 dicembre 2014 sono 19 mila (3 mila uomini e 16 mila donne). Le persone con almeno 105 anni sono più di 800, di cui solo un centinaio sono uomini. Infine le persone con 110 anni e oltre sono 18, tutte donne;
    l'aumento dell'invecchiamento della popolazione e della vita media, da un lato, e il regime di persistente bassa fecondità, dall'altro, fanno sì che l'Italia abbia conquistato, a più riprese, il primato di Paese con il più alto indice di vecchiaia del mondo (rapporto percentuale tra il numero degli ultrasessantacinquenni ed il numero dei giovani fino ai 14 anni) pari a 157,7 anziani ogni 100 giovani nel 2015;
    tutti questi dati rappresentano il «debito demografico» contratto da un Paese nei confronti delle generazioni future, soprattutto in termini di previdenza, spesa sanitaria e assistenza. Trent'anni di tale evoluzione demografica hanno determinato un Paese profondamente trasformato nella sua struttura e nelle sue dinamiche sociali e demografiche. Alle sfide che la globalizzazione e le crisi finanziarie impongono ai sistemi Paese, l'Italia si presenta dunque con una struttura per età fortemente squilibrata;
    la concomitanza tra la fase di crisi economica, la precarietà del lavoro e la diminuzione delle nascite (ravvisabile in quasi tutti i Paesi europei), fa presumere una relazione di causa-effetto tra i fenomeni, anche se non è possibile stabilirne con certezza il legame causale. Lo stesso è avvenuto per la diminuzione dei matrimoni, registrata proprio negli ultimi quattro anni;
    nel nostro Paese gli effetti della sfavorevole congiuntura economica si sommano a quelli strutturali dovuti alle importanti modificazioni della popolazione femminile in età feconda perché, con l'uscita dall'età feconda delle generazioni più numerose, si registra una progressiva riduzione delle potenziali madri dovuta al prolungato calo delle nascite iniziato a metà degli anni Settanta, con effetti che si prevedono ancora più rilevanti per il futuro;
    una delle cause della bassa natalità italiana è costituita dagli ostacoli economici e culturali che si frappongono alla serena e libera scelta delle donne di diventare madri per i risvolti negativi nella loro vita legati alla maternità. A partire dalla discriminazione nell'accesso al lavoro e nella prestazione di lavoro che aumenta in maniera direttamente proporzionale al numero di figli (il 22,4 per cento delle madri dopo la gravidanza perde il lavoro, numero che sale in presenza di un secondo figlio, di un livello di istruzione basso e in presenza di lavori non stabili (Istat 2014). Discriminazione aggravata da un sistema di welfare debole che spesso lascia alle donne il lavoro di cura di bambini e anziani senza che poi questo venga riconosciuto almeno dal punto di vista previdenziale come avviene in altri Paesi attraverso l'accredito di contribuzione figurativa;
    l'innalzamento dell'età per pensione di vecchiaia senza gradualità, in particolare per le donne, ha fatto mancare anche l'aiuto storicamente consolidato delle nonne;
    le politiche per la famiglia non sono separate dalle politiche per la crescita e per il lavoro, ma ne fanno parte orientando l'azione dell'Esecutivo al sostegno delle famiglie;
    alla luce di questo quadro, assumono un significato rilevante le molteplici iniziative intraprese da questo Governo di sostegno alle famiglie in difficoltà economica, alla conciliazione dei tempi tra lavoro e famiglia; alla condivisione delle responsabilità genitoriali; al contrasto della povertà estrema, in particolare di quella infantile;
    in particolare, le politiche per la conciliazione e la condivisione delle responsabilità familiari rappresentano un importante fattore di innovazione dei modelli sociali, economici e culturali e si ripropongono di fornire strumenti che, rendendo compatibili sfera lavorativa e sfera familiare, consentano di vivere al meglio i molteplici ruoli che ciascuno gioca all'interno di società complesse;
    esse interessano gli uomini, le donne e le organizzazioni, toccano la sfera privata, ma anche quella pubblica, politica e sociale e hanno un impatto evidente sul riequilibrio dei carichi di cura all'interno della coppia, sull'organizzazione del lavoro e dei tempi delle città, nonché sul coordinamento dei servizi di interesse pubblico;
    a innovare tale materia è intervenuto il decreto legislativo 15 giugno 2015 n. 80, attuativo dell'articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (il cosiddetto jobs act e i relativi decreti attuativi), che ha rivisto e esteso le misure per i congedi parentali e per rendere l'indennità di maternità un diritto garantito a tutte le lavoratrici, dipendenti e autonome, anche in assenza del versamento dei contributi. In particolare, con esso si prevede: la concessione del part-time obbligatorio al rientro dal periodo di maternità, la possibilità di rendere il congedo per maternità flessibile, la cancellazione definitiva dell'abuso delle cosiddette «dimissioni in bianco» che colpiva soprattutto le giovani donne madri. Nella legge di stabilità poi è stato ampliato il congedo di paternità obbligatorio, è stato introdotto l'obbligo per le imprese di riconoscere il congedo di maternità ai fini dell'ottenimento del premio di produttività, è stato potenziato il welfare aziendale, con l'ampliamento della gamma dei servizi di cura possibili, è stato rifinanziato e esteso alle lavoratrici autonome il voucher per baby sitting. Sotto questo profilo, un ulteriore contributo potrà derivare dall'auspicata approvazione, entro tempi ravvicinati, delle disposizioni volte ad introdurre nel nostro ordinamento l'istituto dello smart working;
    uno specifico rilievo merita l'intervento del Governo che ha promosso l'istituzione del fondo destinato alla copertura finanziaria di interventi legislativi recanti misure per il sostegno di persone con disabilità grave prive di sostegno familiare nella legge di stabilità 2016, che ammonta a 90 milioni di euro; è attualmente all'esame del Senato della Repubblica il disegno di legge recante «Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare», con cui è stabilita la dotazione del suddetto fondo;
    altre misure come la carta famiglia, il fondo di solidarietà sospensione mutuo, il fondo mutui per le giovani coppie, il sostegno all'affitto, i bonus bebè, il bonus gas e il bonus elettricità, Il Fondo per la non autosufficienza, il fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile così come il piano nazionale contro la povertà riguardano le persone e le tante famiglie più fragili costrette a domandare aiuti pubblici per far fronte alle spese quotidiane dal mutuo, all'affitto, dalle spese per i bambini alle bollette secondo l'Istat, infatti, nel 2014, 1 milione e 470 mila famiglie (5,7 per cento di quelle residenti) è in condizione di povertà assoluta, 4,2 per cento al Nord, 4,8 per cento al Centro e 8,6 per cento nel Mezzogiorno, per un totale di 4 milioni 102 mila persone (6,8 per cento della popolazione residente), mentre sempre nel 2014 il 10,3 per cento delle famiglie e il 12,9 per cento delle persone residenti, per un totale di 2 milioni 654 mila famiglie e 7 milioni 815 mila persone, è in povertà relativa;
    il basso tasso di occupazione femminile è una delle cause della fragilità economica delle famiglie e su questo fronte i dati dimostrano che c’è ancora molto da fare; infatti, il divario occupazionale tra uomini e donne, dopo una riduzione nel periodo della crisi, ha ripreso a salire, anche se in misura modesta, a causa di un tasso di occupazione femminile sostanzialmente costante e uno maschile leggermente in crescita; fenomeno che si accentua in alcuni settori come i servizi, in cui l'occupazione maschile sale dell'1,6 per cento, mentre quella femminile scende del 3,4 per cento o l'industria, in cui l'occupazione maschile sale dello 0,2 per cento, mentre quella femminile si riduce del 2,7 per cento. Andamenti che confermano un tasso di occupazione femminile oscillante attorno al 47 per cento, come nel 2000;
    le nuove configurazioni familiari, la complessità sociale ed i nuovi rischi ai quali la famiglia va incontro, inducono a dedicare una particolare attenzione alle politiche per la famiglia, ponendo in atto politiche di lungo termine e non solo dettate da necessità ed emergenza, poiché lo sviluppo demografico è un fattore decisivo di sviluppo economico e sociale,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative per incrementare la quota di bilancio statale destinata alle politiche di sostegno alle famiglie;
   ad assumere ulteriori iniziative normative per incrementare l'occupazione femminile, prevedendo incentivi per le imprese che assumono a tempo indeterminato manodopera femminile, nonché incentivi fiscali per aumentare l'occupabilità delle donne dopo la maternità e politiche di detassazione per sostenere il reddito delle donne al rientro al lavoro dopo il congedo di maternità;
   ad assumere iniziative volte a prevedere, come negli altri Paesi europei, la contribuzione figurativa e il riconoscimento previdenziale per i lavori di cura, con particolare attenzione alla cura di figli e all'assistenza di familiari disabili;
   a rafforzare le politiche sociali di sostegno alla maternità e alla paternità, anche attraverso l'incremento delle strutture e dei servizi socio-educativi per l'infanzia e, in particolare, per la fascia neo-natale e pre-scolastica, garantendone l'attuazione e l'uniformità delle prestazioni su tutto il territorio nazionale;
   ad assumere iniziative per dare continuità alla misura del «bonus bebé» che va inserito in misure strutturali di sostegno alla natalità, cui assegnare carattere prioritario per lo sviluppo del Paese superando l'episodicità che ha caratterizzato la politica di trasferimenti monetari degli anni scorsi;
   a sviluppare iniziative per promuovere la genitorialità, anche attraverso interventi di sostegno alla quotidianità, di promozione delle competenze genitoriali, per riconoscere e implementare le risorse, accogliere e prevenire le fragilità, rafforzando servizi di preparazione al ruolo genitoriale, assistenza post partum, orientamento delle neo mamme;
   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a garantire l'accesso alle mense scolastiche a tutti i bambini e per continuare e rafforzare la lotta alla povertà educativa;
   a favorire e stabilizzare le politiche di conciliazione dei tempi di cura, di vita e di lavoro al fine di consentire alle lavoratrici ed ai lavoratori di conciliare le proprie responsabilità professionali con quelle familiari, di educazione e cura dei figli e degli anziani e a consolidare la sperimentazione di azioni positive per la conciliazione famiglia-lavoro;
   ad assumere iniziative per rafforzare la condivisione delle responsabilità genitoriali ed in particolare il coinvolgimento nella vita familiare dei padri, attraverso l'estensione del congedo di paternità obbligatorio, come obiettivo primario;
   ad assumere iniziative per interventi, anche di tipo fiscale, per il sostegno alle famiglie più disagiate (in particolare, per le spese di cura).
(1-01174) «Sbrollini, Di Salvo, Lenzi, Roberta Agostini, Gnecchi, Gribaudo, Iori, Miotto, Pollastrini, Zampa, Albanella, Amato, Carnevali, Casati, D'Incecco, Giacobbe, Patrizia Maestri, Piazzoni, Cinzia Maria Fontana, Damiano».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, adottata in sede Onu il 10 dicembre 1948, definisce la famiglia nucleo fondamentale della società e dello Stato e come tale deve essere riconosciuta e protetta;
    il combinato disposto degli articoli della Costituzione; l'articolo 29 (che dispone il riconoscimento della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio), l'articolo 30 (con cui è stabilito che è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire e educare i figli anche se nati fuori del matrimonio e che la legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale), l'articolo 31 (con cui è disposto che la Repubblica agevola con misure e altre provvidenze la formazione della famiglia, con particolare riguardo alle famiglie numerose) – enuncia in modo inequivocabile il regime preferenziale della famiglia quale nucleo fondamentale della società;
    secondo i lavori preparatori dell'Assemblea costituente, l'aggettivo «naturale», ex articolo 29 della Costituzione, sta ad indicare che la famiglia non è un'istituzione creata dalla legge, ma una struttura di diritto naturale, legata alla natura umana come tale e preesistente rispetto all'organizzazione statale;
    la Costituzione riconosce la famiglia come soggetto sociale, luogo di generazione dei figli (garanzia dell'esistenza stessa della società), pilastro su cui si fondano le comunità locali, il sistema educativo, le strutture di produzione del reddito, il contenimento delle forme di disagio sociale. Ogni società civile che si rispetti deve salvaguardare i nuclei familiari che, consci dell'importanza del ruolo pubblico oltre che privato della loro unione, s'impegnano e si vincolano davanti allo Stato a adempiere ai doveri legati alla loro decisione;
    Chesterton scriveva: «La grande marcia della distruzione culturale proseguirà. Tutto verrà negato. Tutto diventerà un credo. Accenderemo fuochi per testimoniare che due più due fa quattro. Sguaineremo spade per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Non ci resterà quindi che difendere non solo le incredibili virtù e saggezze della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile: questo immenso, impossibile universo che ci guarda dritto negli occhi. Combatteremo per i prodigi visibili come se fossero invisibili. Guarderemo l'erba e i cieli impossibili con uno strano coraggio. Saremo tra coloro che hanno visto eppure hanno creduto». Chesterton con queste parole intendeva dire che ciò che fino ad allora era stata un'affermazione di buon senso e di razionalità – per esempio che tutti nasciamo da un uomo e da una donna – in futuro sarebbe diventata una tesi da bigotti, un dogmatismo da condannare e sanzionare. Sosteneva che ci dovevamo preparare alla grande battaglia in difesa del buon senso;
    stando all'ultimo rapporto Istat che ha diffuso gli indici demografici, le nascite in Italia continuano a calare: nel 2015 sono state 488 mila, 8 per mille residenti, quindicimila in meno rispetto al 2014, toccando il minimo storico dalla nascita dello Stato Italiano. Il numero dei figli medi per donna, è di 1,35 al 2015 che si conferma il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità. L'età media delle donne al momento del parto è salita a 31,6 anni;
    le teorie neomalthusiane, indicando nella crescita demografica il peggiore dei mali, hanno condizionato pesantemente le istituzioni internazionali e le politiche dei Governi, con risultati che sono all'origine della crisi economica e che si sono rivelati devastanti per l'economia e per lo sviluppo dell'umanità. Con il verificarsi del crollo delle nascite, il Pil mondiale è cominciato a decrescere ed i costi fissi ad aumentare. La mancanza di giovani e la crescita percentuale di anziani e pensionati hanno fatto lievitare le spese sanitarie e quelle dei sistemi pensionistici. Per sopperire alla mancata crescita demografica, le economie avanzate hanno aumentato le tasse e incrementato i costi, praticando politiche di credito facile e a basso interesse e indebitando le famiglie in maniera vertiginosa. La riduzione del risparmio e la crescita del debito delle famiglie è più o meno simile in tutti i Paesi avanzati che hanno adottato politiche di decrescita demografica;
    la capacità dei genitori di investire sul futuro dei figli dipende da molti fattori, tra questi il loro stato occupazionale, di salute, il livello di istruzione raggiunto ed il sostegno nei compiti di cura che la comunità offre loro. La possibilità di disporre di competenze e risorse, non solo economiche, è essenziale, soprattutto nei primi anni di vita del bambino, quando l'offerta educativa e di relazione è decisiva per farne emergere le potenzialità;
    affiancando i dati su povertà di reddito, di lavoro e indici di deprivazione, creando quello che a livello europeo viene definito l'indice di povertà ed esclusione sociale (AROPE)3, emerge come l'Italia abbia delle percentuali più alte di minori a rischio povertà ed esclusione sociale dell'Unione europea, pari al 28 per cento, dato al di sopra di 6 punti percentuali della media europea ed inferiore soltanto a quella rilevata in alcuni nuovi Stati membri (Bulgaria, Romania, Ungheria, Lituania) o in Paesi particolarmente segnati dalla crisi finanziaria come l'Irlanda e la Grecia;
    sono più di 1.400.000 i minori che vivono in condizione di povertà assoluta (il 13,8 per cento di tutti i minori del nostro Paese, con un aumento del 34 per cento sul totale) e circa 2.400.000 quelli che vivono in condizione di povertà relativa (il 23 per cento del totale, con un aumento di quasi 300.000 minori in 1 solo anno). I dati più drammatici riguardano il Sud e le isole, ma il peggioramento si registra in tutte le regioni ed è più marcato in relazione al numero dei figli: ad esempio tra le famiglie con 3 o più figli, più di un terzo risulta in condizioni di povertà relativa e più di un quarto in povertà assoluta;
    questi dati allarmanti, incidenti sul destino delle nuove generazioni, incrociano le cause e gli effetti della denatalità, una realtà che rende l'Italia penultima in Europa, che frena la ripresa economica e finirà con il determinare un pesante squilibrio generazionale. Secondo il rapporto Svimez 2014, nel 2013, nel Mezzogiorno d'Italia le nascite hanno toccato il minimo storico, 177.000, il numero più basso dal 1861. Questa caduta demografica è strettamente correlata alla crisi economica e occupazionale di un'area del Paese che, tra il 2008 e il 2013, ha visto mancare 800.000 posti di lavoro, con un crollo dei redditi pari al 15 per cento;
    la denatalità in Europa è ormai una emergenza. Entro il 2025 i primi Paesi europei – Italia, Spagna, Germania, Grecia – potrebbero sperimentare l'implosione demografica, ovvero la diminuzione effettiva della popolazione;
    il progresso della società moderna è stato viziato dalla rinuncia a quei riferimenti valoriali che rappresentavano le fondamenta di una comunità capace di comprendere l'importanza della tutela dei propri figli quale bene primario, seminando il dubbio del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita. L'accelerazione dei fenomeni di degenerazione nell'educazione sfocia, oggi giorno, in un vero e proprio allarme educativo. Sempre più in modo repentino si diffonde un pensiero unico laicista che trova sostegno anche in iniziative legislative assurde, come ad esempio quelle volte a cancellare dai documenti ufficiali i riferimenti alla madre e padre per sostituirli con surrogati asettici. Scelte dettate da una idiozia ideologica che non possono essere sottovalutate e produrranno gravi danni nel medio lungo periodo;
    i genitori evidenziano maggiori difficoltà nell'assolvimento delle competenze di cura e di educazione dei figli, le conflittualità intraconiugali e intrafamiliari sfociano in sofferti procedimenti di separazione e di divorzio;
    è necessario affrontare in maniera sistematica la prima e più importante esigenza della famiglia: quella di esistere. L'obiettivo principale deve essere quello di incentivare la natalità, attraverso una serie di strumenti che intervengano nella fascia di età più delicata del bambino (fino al compimento del terzo anno di età), delicata in termini educativi e di richieste di attenzioni e di cure, nonché per la maggiore difficoltà nella conciliazione delle esigenze familiari con quelle lavorative;
    in Italia la Costituzione ha operato una scelta assai chiara tra la famiglia fondata sul matrimonio, espressamente riconosciuta dagli articoli 29 e seguenti, e altre forme di rapporto fra le persone. Tuttavia, nel nostro Paese, il numero dei matrimoni risulta essere in forte diminuzione. Ci si sposa meno, ma anche più tardi. I giovani rimangono ormai, per un tempo sempre maggiore, a casa dei genitori, le cause sono molteplici e infatti, non sempre, si tratta di una scelta. È il fenomeno della cosiddetta «posticipazione»: tutto il ciclo di vita individuale si è infatti progressivamente spostato in avanti, con la conseguenza di aver determinato un inevitabile allungamento dei tempi che cadenzano gli eventi decisivi della vita del singolo. Si lascia più tardi la famiglia di origine, ci si sposa più tardi, si hanno figli più tardi. L'età media di chi mette al mondo il primo figlio è aumentata di circa tre anni in un ventennio e si assesta ormai sui trent'anni nelle ultime generazioni;
    il nobile desiderio dei giovani di voler contribuire al bene comune in piena autonomia e indipendenza, sposandosi e mettendo al mondo dei figli si infrange dinnanzi a problematiche di difficilissima soluzione. Si deve prendere esempio dalle politiche messe in atto in questi anni in altri Paesi europei; primo tra tutti la Francia che, in pochi anni, è riuscita a invertire il trend demografico negativo grazie a interventi mirati a considerare la famiglia parte integrante dello Stato, ponendola al centro di una politica di sicurezza sociale. Le politiche per la famiglia in Francia hanno avuto come obiettivo la ridistribuzione sia orizzontale che verticale del reddito per compensare i costi dovuti alla crescita dei figli. Nel sistema francese, infatti, le famiglie con più di un figlio ricevono contributi per la crescita dei figli e quelle con un reddito più basso possono beneficiare anche di altre forme di sostegno, come contributi per l'alloggio, per i libri scolastici e addirittura per le vacanze. In Francia è previsto, inoltre, un contributo economico in favore della prima infanzia dal settimo mese di gravidanza fino al compimento del terzo anno di età;
    è doveroso garantire il diritto di ogni persona a formare una famiglia o a essere inserita in una comunità familiare, sostenere il diritto delle famiglie al libero svolgimento delle loro funzioni sociali, riconoscere l'altissima rilevanza sociale e personale della maternità e della paternità, sostenere in modo più adeguato la corresponsabilità dei genitori negli impegni di cura e di educazione dei figli, promuovere e valorizzare la famiglia come struttura sociale primaria di fondamentale interesse pubblico;
    gli italiani, se interrogati sul numero ideale dei figli, la pensano come i francesi, gli svedesi e i tedeschi. Ma quando poi si passa dai desideri alla realtà la condizione italiana precipita rispetto a quella di gran parte dell'Europa. I motivi sono noti e di facile individuazione: la situazione economica, l'esistenza o meno di adeguati servizi sociali, i tempi della vita familiare e di quella professionale, la qualità del sistema educativo, la disponibilità di alloggi adeguati ai livelli di reddito delle giovani generazioni. Investire nelle politiche familiari significa pertanto investire sulla qualità della struttura sociale e, di conseguenza, sul futuro stesso della nostra società;
    è necessario conferire piena attuazione all'articolo 31 della Costituzione, il quale sancisce che «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze economiche la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi (...)»;
    anche quando si affronta il problema di misure di sostegno economico alle famiglie con interventi mirati, si agisce in modo assistenzialistico e non con una politica programmata di contrasto alla denatalità. Ad esempio, la misura per il sostegno economico per le famiglie (contributo per ogni figlio nato o adottato dal 1o gennaio 2015) introdotta nella legge di stabilità 2015, nella sua struttura e formulazione è viziata secondo i presentatori del presente atto di indirizzo da un approccio errato al problema; è infatti stata estesa tale misura, oltre che a tutti i cittadini italiani comunitari, anche a tutti cittadini extracomunitari. In tal modo, la misura introdotta si depotenzia rispetto ai suoi reali obiettivi e si trasforma in una disposizione di natura assistenzialista. Una misura finalizzata alla crescita demografica deve essere limitata per i presentatori del presente atto di indirizzo ai cittadini italiani comunitari e agli stranieri extracomunitari che abbiano dimostrato di voler, attraverso un processo di integrazione, progettare come scelta di vita la permanenza nel territorio del nostro Paese;
    ogni efficace politica di sostegno alla famiglia non può tuttavia, prescindere da strumenti fiscali mirati e graduati. In Italia, il sistema fiscale sembra ancora ritenere che la capacità contributiva delle famiglie non sia influenzata dalla presenza di figli e dall'eventuale scelta di uno dei due coniugi di dedicare parte del proprio tempo a curare, crescere ed educare i figli, mentre di norma, in Europa, a parità di reddito, la differenza tra chi ha e chi non ha figli a carico è consistente. Basti pensare che la differenza di imposta diretta su un reddito nominale di 30.000 euro per una famiglia con due figli e una coppia senza figli è di circa 3.500 euro in Francia, di circa 6.000 euro in Germania e di appena 1.300 euro nel nostro Paese;
    considerata l'esigenza di una maggiore equità orizzontale, appare evidente che l'introduzione di un nuovo sistema fiscale che indichi nella famiglia e non più nell'individuo l'unità impositiva dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) segnerebbe una sostanziale inversione di rotta per il sistema fiscale italiano;
    sono passati oltre trent'anni da quando è entrata in vigore la legge quadro n. 405 del 1975, con la quale furono istituiti i consultori familiari. Essi sono nati sotto l'influenza del dibattito sulle rivendicazioni per l'emancipazione della donna che ha caratterizzato gli anni settanta e che ha imposto all'attenzione dell'opinione pubblica la necessità di un luogo di dialogo e di informazione sulla sessualità, sulla procreazione e sulla contraccezione. Nelle intenzioni del legislatore, le attività consultoriali avrebbero dovuto offrire un vasto programma di consulenza e un servizio globale alla donna, alle coppie e ai nuclei familiari in tutti quei settori tematici legati alla coppia e alle problematiche coniugali e genitoriali, ai rapporti e ai legami interpersonali e familiari, alla procreazione responsabile. Pur ponendo l'accento sul valore storico che hanno rappresentato per la nostra società, è doveroso riconsiderare il lavoro svolto e l'attuale ruolo dei consultori familiari nel nostro Paese, alla luce anche dei notevoli cambiamenti sopravvenuti nell'attuale contesto socio-culturale. Il consultorio ha inoltre assunto in questi anni, anche a seguito della riforma sanitaria, di cui alla legge n. 833 del 1978, e successive modificazioni, la struttura di servizio marcatamente sanitario, in cui si sono privilegiati gli interventi di tipo ginecologico e pediatrico a discapito della vocazione di ispirazione sociale. I consultori familiari devono quindi qualificarsi sempre di più, evitando una rigida settorializzazione e riduzione al pur importante ma non esclusivo ambito sanitario di competenza. Per rispondere a queste problematiche è necessario che, all'interno del consultorio, si rafforzino interventi di tipo sociale, psicologico e di consulenza giuridica che nella loro interazione continua possano costituire un valido riferimento per la donna e per la famiglia;
    si rende urgente, dunque, e non più procrastinabile una riforma dei consultori familiari che dimostri nei fatti una particolare attenzione e sensibilità ai diritti dei minori e della famiglia, e fortemente impegnata nella tutela sociale della genitorialità e del concepito. Di qui l'intendimento di garantire il ruolo partecipativo delle famiglie e delle organizzazioni di volontariato a difesa della vita per l'espletamento delle attività consultoriali. Bisogna tornare a ciò che già era ben esplicitato nelle intenzioni del legislatore che, nel 1975, aveva approvato la legge n. 405 (ovvero l'assistenza alla famiglia, l'educazione alla maternità e alla paternità responsabili, l'educazione per l'armonico sviluppo fisico e psichico dei figli e per la realizzazione della vita familiare), ma che nei fatti è stato residualmente attuato, complice anche la talora mera funzione burocratica dei consultori, ridotti, troppo spesso, a pura assistenza sanitaria, carenti di quelle necessarie sensibilità e competenza su problematiche sociali per le quali furono istituiti. Nei consultori familiari, non sempre viene pienamente attuato il diritto della donna di ricevere valide alternative all'aborto, poiché c’è chi sostiene che sarebbe un'ingerenza nella scelta personale, eppure proprio secondo quanto stabilito dagli articoli 2 e 5 della legge n. 194 del 1978, l'assistenza da dare alla donna in gravidanza deve essere attuata con l'informazione sui diritti spettanti alla gestante, sui servizi sociali, sanitari e assistenziali a lei riservati, sulla protezione che il mondo del lavoro deve assicurare a tutela della gestante;
    il nostro Paese è agli ultimi posti tra i Paesi dell'Unione europea per la spesa per la famiglia e l'infanzia;
    l'introduzione del federalismo fiscale, che nella sua applicazione reale fa registrare ancora un ritardo ingiustificabile, segna una netta inversione di rotta in merito alle politiche a tutela della famiglia. Questa nuova autonomia regionale e locale dovrà, infatti, essere guidata in base ai principi di coordinamento che sono elencati nella legge delega. Tra questi principi di delega vi è, infatti, quello del favor familiae: «individuazione di strumenti idonei a favorire la piena attuazione degli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, con riguardo ai diritti e alla formazione della famiglia e all'adempimento dei relativi compiti»;
    per l'ordinamento italiano si conferma quindi la opportunità di rivisitare, dentro un quadro complessivo, il favor familiae previsto dalla Costituzione;
    le formule da questo punto di vista possono essere diverse. L'imposizione a livello familiare può essere realizzata con diverse metodologie: lo splitting, il quoziente familiare o il più recente sistema denominato fattore famiglia. Il metodo che si deciderà di adottare poco conta, se la volontà sarà quella di sostenere economicamente la famiglia, dando finalmente piena attuazione al disposto costituzionale;
    gli obiettivi fissati a Lisbona prevedono che il 33 per cento dei minori al di sotto dei tre anni di età possa usufruire del servizio di asilo nido. Dai dati risulta che in media nel nostro Paese solo il 18,7 per cento dei bambini di 0-2 anni frequenta un asilo nido pubblico o privato;
    stando ai dati pubblicati da un'analisi del servizio politiche territoriali della Uil sui costi della scuola per l'infanzia, nelle 21 città capoluogo di regione, per l'anno scolastico 2015-2016, in tale anno scolastico, le mamme e i papà italiani pagheranno mediamente 329 euro mensili (3.290 euro annui) per pagare le rette degli asili nido e delle mense scolastiche nelle scuole materne o elementari, con un aumento del 3,1 per cento rispetto all'anno scolastico 2012-2013. Queste spese incidono per il 9,2 per cento sul budget familiare. Per la frequenza di un asilo nido comunale si spendono in media 252 euro mensili, che incidono per il 7 per cento sul reddito familiare, con un aumento del 2,4 per cento rispetto a 3 anni fa;
    per le mense scolastiche nelle scuole materne o elementari, invece, la retta mensile costa mediamente 77 euro, con un aumento del 5,5 per cento rispetto a 3 anni fa, che incidono per il 2,1 per cento sul reddito familiare disponibile. Nelle città campione della ricerca si evince che, nonostante il graduale ampliamento dell'offerta di questo importante servizio sociale, la quota di domanda soddisfatta è ancora molto bassa: soltanto 13 bambini 0/3 anni su 100 frequentano un asilo nido comunale o convenzionato;
    nelle città capoluogo di regione gli asili nido pubblici o convenzionati sono 717, per 43 mila posti, su una popolazione di bambini 0/3 anni di oltre 334 mila;
    è necessario affrontare in maniera sistematica il problema della carenza su tutto il territorio nazionale dei servizi socio-educativi (asili nido). Oggi, l'offerta pubblica è di gran lunga inferiore alla domanda e in alcune città il rapporto è di un posto disponibile ogni dieci richiesti. Una realtà complessa e disomogenea e ancora molto lontana dal centrare gli obiettivi europei. La legge 6 dicembre 1971, n. 1044, che istituì i nidi comunali, con la previsione di crearne 3.800 entro il 1976, ne vede ora realizzati poco più di 3.100 (e solo nel 17 per cento dei comuni): in termini di percentuale di posti disponibili rispetto all'utenza potenziale, si traduce in un misero 6 per cento a fronte del 33 per cento posto dall'agenda di Lisbona come obiettivo comunitario che si sarebbe dovuto raggiungere nel 2010. Un 6 per cento che diventa un 9,1 per cento se si considerano anche le strutture private che offrono il servizio di assistenza alla prima infanzia, con una grande sperequazione territoriale: si passa dal 16 per cento in Emilia Romagna all'1 per cento in Puglia, Calabria e Campania;
    gli asili nido comunali rientrano nella gamma dei servizi a domanda individuale resi dal comune a seguito di specifica domanda dell'utente. Nel caso degli asili nido, il livello minimo di copertura richiesta all'utente è del 50 per cento, ma le rette variano sensibilmente da comune a comune poiché la misura percentuale di copertura dei costi di tutti i servizi a domanda individuale da parte dell'utenza viene definita al momento dell'approvazione del bilancio di previsione comunale. Le rette sono determinate nel 75 per cento dei casi in base all'Isee, nel 20 per cento dei casi in base al reddito familiare e nel restante 5 per cento la retta è unica;
    si ritiene necessario un intervento che nel breve periodo possa offrire una risposta rapida alle richieste di posti nelle strutture socio-educative e per far questo è importante agire con formule nuove cercando di coniugare l'iniziativa pubblica a quella privata applicando sistemi di collegamento rapidi tra le istituzioni nel rispetto del principio di sussidiarietà verticale e orizzontale, (si evidenzia che presso la Camera dei deputati è stata presentata una proposta di legge presentata dal gruppo parlamentare Lega Nord e autonomie – A.C. 2163 recante «Norme in materia di gratuità dei servizi socio-educativi per l'infanzia»);
    l'ambizioso obiettivo che si vuole realizzare punta ad introdurre un sistema territoriale gratuito di servizi socio-educativi per la prima infanzia. Tutto ciò è realizzabile concependo e istituzionalizzando l'idea di un sistema articolato dei servizi socio-educativi per la prima infanzia. Sistema cui concorrono il pubblico, il privato, il privato sociale e i datori di lavoro, con l'obiettivo di creare sul territorio un'offerta flessibile e differenziata di qualità. Un particolare rilievo deve assumere la centralità della famiglia, anche attraverso le sue formazioni associative, poiché sempre più ampio deve essere il suo protagonismo, la capacità di espressione della sua libertà di scelta educativa e le forme di partecipazione che può mettere in atto, anche nelle scelte gestionali e nella verifica della qualità dei servizi;
    per la gestione dei servizi del sistema educativo integrato, la regione e gli enti locali devono riconoscere e valorizzare, fra l'altro, il ruolo delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, richiedendo loro una collaborazione alla programmazione e gestione dei servizi educativi nel relativo ambito territoriale;
    si ricorda, inoltre che il gruppo parlamentare della Lega Nord e delle Autonomie ha presentato alla Camera un'altra proposta di legge sul tema – l'A.C. 426 –, sempre finalizzata a potenziare il sistema territoriale dei servizi socio educativi. Questa proposta, a differenza della prima, non va a delineare il quadro entro il quale far sì che il nostro Paese si doti di nuovi strumenti finalizzati a ridisegnare l'offerta dei nidi, ma intende realizzare in tempi rapidi 1.000 nuovi asili nido senza una spesa eccessiva per l'erario pubblico. Un piano straordinario per il potenziamento dei servizi socio-educativi da definire in sede di conferenza unificata tra il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, fondato sull'erogazione di un contributo statale ripartito per le regioni e, a cascata, per gli enti locali, finalizzato alla ristrutturazione degli immobili in disuso affinché siano utilizzati come asili nido da concedere a titolo gratuito ai privati, che si impegnano a garantire rette sociali elaborate in media a quelli che sono i costi dei nidi pubblici della zona territoriale e ad assumere prioritariamente lavoratori socialmente utili al fine di offrire loro una vera occupazione. La realizzazione di questo piano straordinario renderà fruibili 1.000 nuovi asili nido su una superficie totale di 200.000 metri quadrati, 28.000 nuovi posti per i bambini, 10.000 nuovi posti di lavoro, contribuendo quindi anche ad un rilancio economico e occupazionale del Paese, attraverso la ricollocazione di un numero importante di lavoratori socialmente utili in scadenza e il rilancio delle aziende edili di ristrutturazione e dell'indotto ad esse collegato;
    è una priorità sviluppare la formazione di un sistema integrato di servizi, che offra sostegno al lavoro di cura dei genitori, in modo da favorirne la conciliazione tra impegni familiari e lavorativi, facilitando e sostenendo l'accesso delle donne nel mercato del lavoro, in un quadro di pari opportunità e condivisione dei compiti;
    il nostro Paese deve essere da esempio nell'elaborare una linea politica di invito alla vita e operare per garantire tutte le condizioni utili ad una crescita della società incentrata sui valori di un umanesimo diffuso. Occorre, quindi, rimodulare l'azione politica sui valori fondanti della vita e della persona umana,

impegna il Governo:

   a promuovere una politica a sostegno della famiglia, quale nucleo fondamentale della società, nel riconoscimento del ruolo primario che riveste nell'educazione e nella crescita dei bambini e dei giovani adolescenti;
   ad assumere iniziative per prevedere idonee misure di sostegno alle famiglie in attesa di bambini;
   a non farsi promotore di iniziative volte a diffondere posizioni ideologiche che scardinano i riferimenti valoriali che appartengono, da sempre, alla tradizione culturale, sociale e religiosa del nostro Paese;
   ad assumere iniziative per realizzare un'indagine amministrativa che quantifichi puntualmente l'effettiva domanda di servizi di asili nido, in modo tale da predisporre una programmazione di nuovi posti, in funzione della richiesta effettiva e non soltanto in base al numero complessivo dei bambini;
   a riconoscere quale priorità inderogabile nell'attuazione delle linee politico- programmatiche la realizzazione di interventi in materia di servizi socio-educativi per l'infanzia, finalizzati ad efficientare il funzionamento del servizio territoriale, la sua diversificazione, flessibilità e capillarizzazione sul territorio, secondo un sistema articolato, sistema cui concorrano il pubblico, il privato, il privato sociale e i datori di lavoro secondo i seguenti principi:
    a) gratuità dei servizi e delle prestazioni;
    b) requisito prioritario della residenza continuativa della famiglia nel territorio in cui sono richiesti i servizi e le prestazioni;
    c) partecipazione attiva della rete parentale alla definizione degli obiettivi educativi e delle scelte organizzative, nonché alla verifica della loro rispondenza ai bisogni quotidiani delle famiglie e della qualità dei servizi resi;
   a promuovere iniziative per l'incremento delle risorse destinate al fondo nazionale delle politiche sociali, verificandone, inoltre, l'equa ripartizione e garantendo che in tutte le città italiane vi sia la medesima accessibilità ai servizi;
   ad assumere iniziative normative per introdurre un sistema fiscale basato sul quoziente familiare, lo splitting o il fattore famiglia;
   ad assumere iniziative per riformare i consultori familiari al fine di dimostrare, nei fatti, una particolare attenzione e sensibilità ai diritti dei minori e della famiglia, tutelando il valore sociale della genitorialità e del concepito;
   a promuovere una politica finalizzata a contrastare la crisi demografica introducendo, nel futuro iniziative normative a sostegno della famiglia e della natalità, un criterio volto ad individuare i beneficiari delle misure di sostegno tra i cittadini italiani comunitari e i cittadini extracomunitari che abbiano dimostrato, realmente, di volersi integrare, avendo acquisito secondo i parametri di valutazione fissati dall'accordo di integrazione di cui all'articolo 4-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998, testo unico sull'immigrazione, un punteggio pari ad almeno 30 punti.
(1-01175) «Rondini, Saltamartini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Simonetti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   FERRARESI, DELL'ORCO e PAOLO BERNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 5 settembre 2015 un'ulteriore evento calamitoso ha colpito i territori già interessati dal terremoto del 2012, in particolare del modenese e del ferrarese;
   una violenta grandinata, accompagnata da forti raffiche di vento, ha distrutto le produzioni agricole ancora in campo: in particolare, la produzione di pere, mele, uva e le colture estensive quali il granoturco e la soia;
   nel modenese, sotto l'avversità atmosferica sono finiti i comuni di Concordia, San Possidonio, Mirandola, Finale Emilia, San Felice, Camposanto, Novi e Sorbara di Bomporto, alcuni dei quali, oltre il terremoto, avevano già subito anche l'alluvione del gennaio 2014: i comuni di Finale Emilia, Bomporto, Camposanto, San Felice;
   sono territori in ginocchio, imprese e cittadini stanno usando tutti i loro risparmi e le loro risorse; le hanno già usate, per far fronte a continue emergenze naturali;
   gli indennizzi previsti dalle leggi promosse dal Governo, in particolare quelli per i danni da terremoto, tardano ad arrivare; la burocrazia messa in piedi dal commissario, presidente della regione, non favorisce l'erogazione delle risorse nei tempi e nei modi che richiederebbe l'urgenza;
   in Emilia Romagna si coltiva il 65 per cento delle pere italiane; in particolare, le aree riconosciute dall'indicazione geografica protetta sono proprio e principalmente le province di Modena e Ferrara; la pera di varietà Abate è considerata la regina delle pere, ed è proprio questa varietà, che garantisce il reddito degli agricoltori, che è andata distrutta;
   il lambrusco di Sorbara di Bomporto è uno dei vini dell'eccellenza nazionale, ed è un vino DOC; molte imprese che lo producono non faranno il raccolto delle uve;
   le associazioni di rappresentanza del mondo agricolo stanno chiedendo a gran voce lo stato di calamità naturale;
   civili abitazioni ed edifici produttivi hanno subito ancora una volta danni: infiltrazione di acqua, tetti scoperchiati, antenne, tapparelle, grondaie da buttare, pali della luce e segnaletica divelti, automobili con la carrozzeria da rifare, sono le prime evidenze –:
   quali concrete iniziative di competenza intenda assumere il Governo al fine di sostenere la popolazione colpita dall'evento, considerando l'eccezionalità delle avversità atmosferiche verificatesi su un territorio già duramente colpito nel recente passato. (3-02033)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DELL'ORCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   gli incarichi di capo dipartimento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, essendo incarichi di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali, sono posizioni assai delicate e prettamente di indirizzo politico tanto che, per esse, il comma 8 dell'articolo 19 decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, prevede l'applicazione dello spoil system;
   consultando il sito del Ministero il ruolo di capo del dipartimento per i trasporti la navigazione, gli affari generali ed il personale (dipartimento trasporti) è attualmente ricoperto da Amedeo Fumero, mentre quello del dipartimento per le infrastrutture, i sistemi informativi e statistici (dipartimento infrastrutture) risulterebbe al momento vacante, ma precedentemente ricoperto da Paolo Emilio Signorini;
   non è chiaro come o chi stia supplendo alla mancanza del capo dipartimento infrastrutture e se sia in corso una valutazione da parte del Ministro per la nuova assegnazione dell'incarico;
   inoltre, secondo fonti stampa dal 1o novembre 2015 il dirigente del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti Paolo Emilio Signorini ricoprirebbe l'incarico di segretario generale della regione Liguria. Non è chiaro inoltre in che forma sia avvenuto tale passaggio e quale sia attualmente il rapporto che intercorre ancora con il Ministero, considerato che il suo nome compare ancora nell'elenco dei dirigenti con funzione generale pubblicato nel sito del Ministero e aggiornato al 27 gennaio 2016;
   l'articolo 19, comma 9, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, prevede che gli incarichi dei capi dipartimento debbano essere comunicati alle Camere, ma quelli di Paolo Emilio Signorini e Amedeo Fumero non risultano all'interrogante, invece essere mai stati comunicati;
   la norma sulla trasparenza della pubblica amministrazione decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, all'articolo 14, prevede inoltre che per tali nomine debbano essere resi reperibili sul sito dei Ministero non solo gli estremi del provvedimento di nomina ma una copia stessa dell'atto e l'ulteriore provvedimento in cui viene individuata la durata e il contenuto dell'incarico, nonché informazioni concernenti la situazione patrimoniale, ma anche questi atti, non risulterebbero essere presenti sul sito ministeriale;
   per quanto riguarda la posizione di Signorini, inoltre, dopo la notizia di stampa in merito al suo nuovo incarico presso la regione Liguria, non sembra più esserci notizia e documentazione dei suoi precedenti incarichi a capo dipartimento infrastrutture e per gli affari generali, sebbene ai sensi del comma 2 articolo 14 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, tali documenti dovrebbero rimanere pubblicati per i tre anni successivi dalla cessazione dell'incarico;
   altra posizione di rilievo all'interno del Ministero è quella struttura tecnica di missione per l'indirizzo strategico, lo sviluppo delle infrastrutture e l'alta sorveglianza (Ex struttura tecnica di missione) precedentemente ricoperta da Paolo Emilio Signorini. Dopo gli scandali emersi sulla stampa in merito alla gestione di questa struttura da parte di Ercole Incalza, i compiti e il ruolo della struttura tecnica sono stati modificati e ridimensionati. La struttura è stata inoltre posta alle dirette dipendenze del Ministro e legata anch'essa al meccanismo di spoil system (ai sensi dell'articolo 1 del decreto ministeriale n. 194 del 9 giugno 2015). Inoltre, con decreto ministeriale n. 232 del 1o luglio 2015 il Ministro ha modificato i commi 1 e 3 dell'articolo 5 del decreto ministeriale 194 del 9 giugno 2015 di soppressione della struttura tecnica di missione e contestuale istituzione della struttura tecnica di missione per l'indirizzo strategico, lo sviluppo delle infrastrutture e l'alta sorveglianza svincolando il ruolo del coordinatore della struttura tecnica dall'individuazione tramite selezione concorsuale;
   il 5 novembre 2015 è stata così resa pubblica alla stampa la nomina di Ennio Cascetta a ricoprire il suddetto ruolo di coordinatore dell'ex struttura tecnica di missione. Non è chiaro però se tale nomina sia già operativa in quanto, pur comparendo il suo nome sul sito del Ministero sono trascorsi i termini utili per la pubblicità degli atti previsto dall'articolo 15 del Decreto Legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ma non risulta sia ancora stato pubblicato sul sito del Ministero il decreto di nomina –:
   come o chi stia supplendo alla mancanza del capo dipartimento infrastrutture e se sia in corso una valutazione da parte del Ministro per la nuova assegnazione dell'incarico;
   se sia vero che Paolo Emilio Signorini abbia lasciato il Ministero per ricoprire un nuovo incarico presso la regione Liguria ed eventualmente in che forma sia avvenuto tale passaggio e quale sia attualmente il rapporto che intercorre ancora con il Ministero, considerato che il suo nome compare ancora nell'elenco dei dirigenti con funzione generale pubblicato nel sito del Ministero e aggiornato al 27 gennaio 2016;
   se gli incarichi di Paolo Emilio Signorini e Amedeo Fumero quali capi dipartimento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti siano mai stati comunicati alle Camere come prescritto dalla legge e in caso contrario, per quali ragioni ciò non sia avvenuta;
   perché non risulti rintracciabile sul sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti la documentazione inerente agli incarichi ricoperti da Paolo Emilio Signorini e Amedeo Fumero quali capi dipartimento come previsto dall'articolo 14 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33;
   quali siano le motivazioni che hanno portato il Ministro interrogato all'emanazione del decreto ministeriale n. 232 del 1o luglio 2015 che elimina la fase di selezione delle candidature per la scelta del coordinatore della ex struttura tecnica di missione;
   se la nomina di Ennio Cascetta coordinatore dell’ex struttura tecnica di missione sia già operativa e, in tal caso, perché non siano stati ancora pubblicati sul sito del Ministero gli atti inerenti al suo incarico come previsto dall'articolo 15 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. (5-07862)

Interrogazione a risposta scritta:


   NACCARATO, MIOTTO, D'ARIENZO, CAMANI, NARDUOLO e ROSTELLATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dall'ordinanza del tribunale di Monza, che ha portato, in questi giorni, all'arresto di 21 indagati per le tangenti relative ad appalti nella sanità lombarda, sono emersi due collegamenti con il Veneto;
   con l'appoggio del leghista Fabio Rizzi, ex senatore e braccio destro del governatore Roberto Maroni, l'imprenditrice Maria Paola Canegrati si sarebbe garantita «rapporti confidenziali, amicizie, corruzioni o forte sostegno alla politica»;
   in questo modo la donna, almeno in Lombardia, aveva assunto il sostanziale monopolio degli appalti per la gestione delle strutture odontoiatriche;
   dall'indagine emerge anche che l'imprenditrice avrebbe finanziato, attraverso la fondazione «Ricostruiamo il Paese», con un versamento di 10.000 euro, su richiesta di Rizzi, anche la campagna elettorale del 2015, per le elezioni regionali in Veneto, di Flavio Tosi;
   il secondo inquietante episodio della vicenda riguarda l'ospedale di Camposampiero, nell'Alta Padovana, dove secondo gli inquirenti sarebbe stata creata un'unità operativa semplice di endoscopia all'interno dell'unità operativa complessa di gastroenterologia, «al solo fine di favorire un amico di Mario Longo (assistente di Rizzi), il dottor Francesco Pincini il quale, ovviamente, sarebbe stato preposto a dirigerla»;
   nell'ordinanza si specifica che l'operazione si sarebbe svolta con il benestare e sotto il controllo di Rizzi ed era, sempre secondo l'ordinanza, accettata di buon grado dal dirigente dell'unità operativa complessa di gastroenterologia di Camposampiero;
   dall'ordinanza emergono anche i contatti del allora direttore generale dell'USL dell'Alta Padovana Francesco Benazzi con Mario Longo, il quale si sarebbe adoperato direttamente per la creazione dell'unità operativa semplice di endoscopia;
   l'inchiesta indica che anche alcuni soggetti del sistema sanitario veneto hanno intrattenuto relazioni e rapporti con alcuni indagati che, attraverso comportamenti illeciti, influenzavano la gestione della sanità regionale; 
   la vicenda solleva fortissime preoccupazioni negli interroganti per il rischio che il funzionamento e la gestione della sanità veneta siano stati intaccati dal sistema criminale architettato dagli indagati –:
   se il Governo sia al corrente dei fatti sopra esposti, e se non ritenga sussistere i presupposti per assumere iniziative normative volte a rendere la disciplina degli appalti nel settore della sanità più aderenti ai principi di trasparenza, efficienza ed economicità e a potenziare i meccanismi di controllo in questo ambito per evitare il ripetersi di episodi come quelli sopra richiamati. (4-12191)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE ROSA, MANNINO, BUSTO, DAGA, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il progetto di «acquisizione aree e realizzazione di nuovi piazzali attrezzati nel porto commerciale di Augusta», che prevede la cementificazione di oltre 300.00 metri quadrati dell'area umida del Mulinello, elaborato dall'autorità portuale di Augusta, nasce negli anni «90 ed ottiene valutazione di impatto ambientale (VIA) favorevole solo nel 2007;
   una successiva variante al progetto ottiene nel 2013 parere di non assoggettabilità a nuova procedura di valutazione di impatto ambientale;
   il comune di Augusta ha recentemente espresso ufficialmente la propria contrarietà alla realizzazione del progetto nella sua versione attuale;
   gli stessi operatori portuali reputano la realizzazione delle nuove banchine, così come prevista dal progetto, dannosa e pericolosa per l'agibilità delle navi container che avrebbero meno spazio per manovrare;
   l'area oggetto dell'intervento non è, come erroneamente affermato nello studio preliminare, «relitto inutilizzabile e priva di connotati naturali e antropici» o si è costituita come si rileva in passaggi successivi da «[...] terreni incolti e in stato di abbandono [...] caratterizzato da una depressione colma di acqua stagnante che non trova sbocco sul mare». In realtà, si tratta delle saline del Mulinello, note sin dall'antichità, ed il cui valore storico, ambientale e naturalistico è rilevantissimo;
   si tratta invece di un'area umida salmastra compresa nelle saline del fiume Mulinello, pur non rientrando nella perimetrazione del pSIC/ZPS «Saline di Augusta» (ITA090014), ricadente all'interno dell’«Oasi di protezione e rifugio della fauna selvatica» nei territori di Augusta e Melilli, D.A. 17 giugno 1999. (G.U.R.S. – 10 settembre 1999 – N. 43);
   con i suoi 12 ettari di estensione la salina rappresenta un sito naturalistico le cui valenze sono da ritenersi pari a quelle del pSIC/ZPS ITA090014, sebbene si trovi collocata tra un'area industriale-commerciale e un'area storico-archeologica che comprende l'hangar per dirigibili di Augusta e la zona archeologica di «Cozzo del Monaco»;
   il progetto, così come proposto, grava e compromette integralmente la salina sinistra del fiume Mulinello, colmando e cementificando il sito, e preclude definitivamente un qualsiasi futuro di tutela e valorizzazione naturalistica;
   il progetto intenderebbe cancellare una significativa porzione delle antiche Saline del Mulinello, in cui ancora oggi sono presenti gli ultimi preziosissimi resti di mulini a vento in legno;
   sul piano paesaggistico il progetto della banchina container produrrebbe un forte stravolgimento e farebbe da «cortina», oscurandoli, ai forti Garcia e Vittoria;
   i proponenti del progetto affermano che l'opera è parte integrante e necessaria del progetto del nuovo terminal container/molo container approvato con decreto di compatibilità ambientale del 2007, e viene quindi presentata come il già previsto e programmato sviluppo ed ampliamento della cosiddetta banchina containers per la quale fu rilasciato parere valutazione di impatto ambientale positivo;
   tuttavia, come noto, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, le disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale non possono essere eluse attraverso uno strumentale frazionamento dei progetti, mirato a ridurre le soglie dimensionali delle attività, al fine di escluderne l'assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale. Quest'ultima necessita di una visione complessiva che impone la rinnovazione del giudizio di compatibilità ambientale nell'espletamento delle diverse fasi temporali di realizzazione dell'intervento;
   i decreti di valutazione di impatto ambientale hanno una validità di 5 anni entro i quali i progetti devono essere realizzati, pena la decadenza della procedura, ed i lavori per la banchina non sono finora cominciati;
   la valutazione del rischio idrogeologico agli interroganti appare lacunosa in quanto il piano stralcio di bacino per l'assetto idrogeologico individua l'area di progetto come zona di esondazione in caso di cedimento della diga Ogliastro;
   il progetto si basa su un'idea di porto commerciale risalente a 60 anni fa che si sta oggi dimostrando palesemente sbagliata e priva dei fondamentali requisiti di sostenibilità economica ed ambientale;
   il piano regolatore portuale che contiene il progetto di porto commerciale — è del 1986, mai aggiornato nonostante la legge che istituiva le autorità portuali lo prevedesse e mai sottoposto a valutazione d'impatto ambientale;
   l'opera appare sproporzionata rispetto agli attuali e ai futuri flussi di traffico. La necessità di realizzare la banchina e l'ampliamento dell'area merci venne giustificata attraverso una stima di crescita del traffico container pari a 500.000 teu (twenty equivalent unit — container da 20 piedi). Alla luce della crisi internazionale, questa stima fatta nel 2004, si è dimostrata del tutto inattendibile;
   le procedure attualmente in corso riguardanti il porto di Augusta, proponente autorità portuale di Augusta, sono:
    1) una procedura di esclusione dalla VIA per il progetto «terza fase – realizzazione banchine container nel porto commerciale di Augusta – progetto unificato di primo e secondo stralcio». L'istanza del proponente è del 27 gennaio 2016;
    2) una procedura di verifica di ottemperanza ad un decreto ministeriale del 2007 in merito alla realizzazione banchina container nel porto commerciale di Augusta (SR) – prescrizione: 2. L'istanza del proponente è dell'11 agosto 2015. Il 28 gennaio del 2016 sono pervenute al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare delle integrazioni volontarie dell'autorità portuale di Augusta. Allo stato è in istruttoria tecnica presso la commissione tecnica di valutazione di impatto ambientale –:
   quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, il Governo intenda adottare al fine di verificare la correttezza dell’iter procedimentale di autorizzazione del progetto;
   se, in considerazione delle criticità in precedenza riportate, il Governo non ritenga opportuno prevedere opportune iniziative volte a sospendere l'intero iter del progetto che, se attuato, rischia di provocare un impatto altamente negativo su un'area che mantiene caratteristiche di importante pregio ambientale;
   se, considerata la preoccupazione dell'opinione pubblica per gli impatti negativi dell'opera in questione, il Governo non ritenga opportuno avviare idonei processi partecipativi, al fine di valutare se tale intervento sia effettivamente necessario e, in subordine, proporre varianti progettuali meno impattanti a livello ambientale, assicurando in sede di rinnovo del procedimento di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale adeguata risposta alle criticità che emergano nelle osservazioni dei soggetti partecipanti al procedimento. (5-07853)


   ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, VIGNAROLI, DAGA, MICILLO e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   i fanghi sono classificati come rifiuti speciali, (articolo 184, comma 3, lettera g), del decreto legislativo n. 152 del 2006). Di tali rifiuti la stragrande maggioranza viene classificata come rifiuto speciale non pericoloso, in particolare CER 190805 (fanghi provenienti dal trattamento delle acque reflue). In quanto rifiuti speciali detti fanghi non sono soggetti al principio di prossimità vigente per i rifiuti urbani di cui all'articolo 182-bis del citato testo unico ambientale;
   dal rapporto ISPRA 2015 sui rifiuti speciali, a pagina 100, risulta che nel solo 2013 sono state avviate a spandimento sul suolo oltre 5 milioni di tonnellate di rifiuti, che includono anche i fanghi utilizzati in agricoltura;
   nel rapporto dell'ARPA della regione Sardegna sull'utilizzo dei fanghi in agricoltura, riferito all'anno 2012 si afferma, a pagina 4, che: «Per quanto riguarda l'attendibilità dei risultati dell'indagine, occorre premettere che agli errori di misurazione, riconducibili a concetti statistici, devono essere sommati quelli derivanti dalle possibili disuniformità nelle modalità di misura (tonnellate trasformate in metri cubi o viceversa), nel momento della misura (al momento del prelievo dagli impianti o in fase di essiccazione più o meno avanzata), nelle possibili conversioni (misura effettuata sul fango tal quale e sostanza secca ricavata), etc. Si ritiene che queste incertezze, insite nel metodo di rilevazione adottato e nella natura dei rifiuti in questione, influiscano in modo indeterminato, sul distanza tra il dato finale riportato nella presente relazione e il dato “reale”»;
   tali criticità sono riconfermate a pagina 79 del progetto del piano di gestione rifiuti urbani e fanghi della regione Piemonte, dove si informa che: «Le informazioni raccolte dal MUD non consentono, per nessun tipo di rifiuto, fanghi compresi, di evidenziarne il contenuto in umidità: mentre nel caso dei rifiuti urbani in genere tale assenza di informazioni non riveste un'importanza sostanziale, nel caso dei fanghi questa carenza risulta determinante nel ridurre la significatività dei quantitativi: ne deriva pertanto un'impossibilità di confronto con altre banche dati che invece si basano sul quantitativo in sostanza secca di fango prodotto presso ogni singolo impianto di depurazione. A supporto della necessità di conoscere con esattezza la quantità di fango prodotto espressa sulla sostanza secca, si precisa che sia la direttiva 86/278/CEE (riguardante l'utilizzazione in agricoltura dei fanghi di depurazione, recepita in Italia con il d.lgs. 99/92), sia il regolamento n. 2150/2002 relativo alle statistiche sui rifiuti, sia infine i decreti ministeriali in materia di acque e fanghi, prevedono per i fanghi la conoscenza della sostanza secca in essi contenuta. Inoltre le dichiarazioni MUD non consentono di avere alcun tipo d'informazione riguardo agli aspetti agronomici, ambientali ed igienico-sanitari dei fanghi derivanti dagli impianti di depurazione»;
   i composti polifluorurato (PFC) sono prodotti chimici antropogenici incorporati in una vasta gamma di prodotti commercializzati negli ultimi sei decenni. È un prodotto idrorepellente all'olio e all'acqua, lo si trova nei trattamenti di, moquett, cuoio, pelle, tessile e altro. Questa classe di composti include migliaia di sostanze chimiche, di cui le più conosciute sono il perfluorottano sulfonato (PFOS), e gli acidi perfluorocarbossilici (PFCAs) che include l'acido perfluoroottanoico (PFOA);
   le preoccupazioni per questi composti si sono sviluppate allorquando si sono espresse le caratteristiche distintive di inquinanti organici persistenti (POP): sono tossici, estremamente resistenti alla degradazione, bioaccumulabili nella catena alimentare, e, pertanto, persistenti negli esseri umani. Essi sono presenti ovunque nell'ambiente e nella fauna selvatica, oltre ad essere rinvenuti nel sangue umano in maniera eterogenea in ogni parte del mondo;
   diverse pubblicazioni scientifiche hanno già segnalato il verificarsi di diversi PFASs nei fanghi di depurazione in tutto il mondo;
   la pubblicazione della Commissione europea « Occurrence and levels of selected compounds in European Sewage Sludge Samples» del 2012 precisa che il processo di biodegradazione degli inquinanti organici inizia negli impianti di depurazione (waste water treatment plants – WWTPs) che fungono da fonti puntuali di PFASs sia per gli ecosistemi acquatici che per l'ambiente terrestre attraverso l'applicazione dei fanghi di depurazione sul suolo e agricoltura;
   l'applicazione di fanghi di depurazione come fertilizzante per agricoltura è ampiamente utilizzato in diversi Paesi. L'applicazione di fanghi di depurazione per il suolo può quindi essere una potenziale via per I PFASs per entrare nell'ambiente terrestre. Recenti studi hanno dimostrato che l'applicazione di PFASs biosolidi contaminati (fanghi di depurazione) può avere effetti importanti sugli ambienti locali;
   sono conosciuti globalmente i gravi inquinamenti in Alabama USA (con alti livelli di PFASs in campioni di terreno PFOA fino a 320 ng/g; PFOS fino a 410 ng/g da PFASs), ma forse il più noto degli inquinamenti da PFASs è in Germania (caso Sauerland):
   nello studio di Robert Loos, del Joint Research Centre, del 21 ottobre 2013, in collaborazione con ISPRA, dal titolo « Perfluorinated Chemicals, especially Perfluorinated Alkyl Sulfonates and Carboxylats: European Distribution and legislation» furono pubblicati i risultati sulle acque superficiali lungo il fisime Mohne contaminate da PFC, la cui causa principale era rinvenibile nell'uso abnorme di inquinati ammendanti sui terreni agricoli. L'ammendante venne distribuito su più di 1300 terreni agricoli tra il 2000 e il 2006, con la massima concentrazione di PFOA e PFOS che si aggiravano tra i 2,4 e 33 mg/Kg. Le matrici ambientali principalmente colpite furono la contaminazione di acqua potabile, mentre i campioni di suolo contenevano più PFOS che PFOA. Un biomonitoraggio umano ha rivelato 4-8 volte l'aumento delle concentrazioni ematiche di PFOA nel residenti esposti ad acqua potabile contaminata rispetto alla popolazione di riferimento. Nei campioni di pesce del lago Mohne era predominante il PFAS. È stata osservata una relazione dose-dipendente distinto tra il consumo di pesce e l'esposizione interna a PFOS, infatti le concentrazioni di PFOS nel plasma sanguigno di pescatori che consumano pesce 2-3 volte al mese erano 7 volte superiore rispetto a quelli senza alcun consumo di pesce dal lago;
   in data 28 gennaio 2014, nella seduta n. 176 del Senato, il Senatore Cappelletti ha presentato l'interrogazione 4-01564, in cui si chiedeva ai Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute di determinare limiti specifici per la presenza di PFOA (acido perfluoroottanoico) e PFOS (perfluorottano sulfonato) all'interno di reti idriche potabili; in data 1o luglio 2014, il Ministro dell'ambiente ha risposto alla citata interrogazione, precisando che «Il gruppo tecnico di lavoro appositamente istituito nel dicembre 2013 dovrebbe provvedere entro l'estate del 2014 alla definizione, per quanto qui interessa, degli SQA per parte dei composti fluorurati»; successivamente, in data 11 marzo 2015, nella seduta n. 407, del Senato, il Senatore Cappelletti ha presentato, senza ricevere alcuna risposta, l'interrogazione n. 4-03610, in cui si chiedeva ai Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute un aggiornamento sulla determinazione degli standard di qualità ambientale e sugli esiti conseguiti dal suddetto gruppo tecnico di lavoro;
   nella deliberazione della giunta regionale del Veneto n. 1517 del 29 ottobre 2015 si legge: «Con riferimento alla presenza delle sostanze PFAS nelle acque destinate al consumo umano, il Ministero della salute con nota del 29 gennaio 2014, prot. n. 0002565, sulla base del parere dell'Istituto Superiore di Sanità del 16 gennaio 2014, prot. n. 0001584, ha indicato i livelli di performance (obiettivo) nei valori di seguito specificati: PFOS: 0,03 μg/litro; PFAS: 0,5 μg/litro; altri PFAS: 0,5 μ/litro. Tali livelli sono stati acquisiti dalla regione del Veneto con D.G.R. n. 168 del 20 febbraio 2014»;
   di recente, con parere dell'11 agosto 2015, prot. n. 0024565, l'Istituto superiore di sanità ha indicato i livelli di performance per le acque destinate al consumo umano relativamente ai composti acido perfluorobutansolfonico (PFBS) e acido perfluorobutanoico (PFBA) enucleati dalla somma «altri PFAS». Secondo quanto espresso nel parere, le concentrazioni nelle acque destinate al consumo umano di PFBA fino a 0,5 μg/litro, e di PFBS fino a 0,5 μg/litro, non configurano rischi per la salute umana. Mentre per quel che riguarda gli «altri PFAS» viene confermato il rispetto del valore di performance di 0,5 μg/litro e per PFOS e PFOA vengono confermati i valori di performance già indicati. Tali indicazioni vengono pertanto acquisite, sottolineando che esse vanno applicate tenendo conto dell'intero contenuto del parere dell'Istituto superiore di sanità in quanto contesto di riferimento delle valutazioni in esso espresse;
   a giudizio degli interroganti i nuovi «valori» di PFBA e PFBS non avrebbero alcun fondamento scientifico; inoltre, i PFAS a catena corta sembrerebbero essere altrettanto pericolosi di quelli vecchi;
   nella pubblicazione scientifica dal titolo, « Effects of chain length and pH on the uptake and distribution of perfluoroalkyl substances in maize (Zea mays)» sono stati studiati i meccanismi di assorbimento delle sostanze perfluoroalchilici (PFASs) con il più diffuso dei grani coltivati: il mais. Dai test condotti risulta che il mais ha un alto tasso di assorbimento tale da interessare tutta la pianta di mais partendo dalle radici fino ad arrivare ai germogli. Difatti l'acido perfluorobutanoico (PFBA) ha avuto il più alto tasso di assorbimento all'interno del gruppo di PFCAs con una media di 2,46 mg g-1 e l'acido perfluorottano sulfonato (PFOS) ha avuto il più alto tasso di assorbimento (3.63 mg g-1 all'interno del gruppo di PFSA. I PFASs a più breve catena sono trasferiti prevalentemente e in concentrazioni più elevate alle riprese/germogli. Al contrario, PFCAs a lunga catena sono accumulati in concentrazioni più elevate nel radici delle piante di mais;
   le note rese dall'ISS – Istituto superiore sanità (prot. 11 agosto 2015-0024565, prot. 23 giugno 2015-0018668, 7 giugno 2013-0022264) e dal Ministero della salute (prot. 0002565-P-29 gennaio 2014) evidenziano la sussistenza concreta di una situazione di danno ambientale nel Veneto, inteso come deterioramento misurabile di risorse naturali rispetto alle loro condizioni originarie e rispetto ai servizi attesi;
   la mancanza di studi adeguati sugli effetti di sostanze inquinanti emergenti, come le sostanze perfluoroalchiliche, porta alla possibilità di esportazione interregionale di tali sostanze e alla possibile propagazione di tali inquinanti;
   la mancanza di controlli in merito al rispetto delle normative che impongono di non spandere al suolo digestati provenienti da impianti a biogas e biomasse che utilizzino come matrici rifiuti solidi urbani, rifiuti speciali, fertilizzanti come l'idrobios provenienti da macellazione e/o concia delle pelli (si veda la risposta all'interrogazione n. 5-02653 presentata in Commissione ambiente alla Camera dal primo firmatario del presente atto e relativa agli impianti a biogas di Curtatone e Rodigo in provincia di Mantova);
   ad oggi non esistono criteri di filiera corta per quanto concerne la matrice mais per gli impianti a biogas –:
   se il Ministro interrogato non intenda dare risposte certe al problema di inquinamento da sostanze perfluoro-alchiliche nel Veneto e delle aree padane, introducendo nell'ordinamento, con la massima urgenza, i nuovi limiti massimi per i livelli di performance per le acque destinate al consumo umano;
   quali iniziative urgenti intenda adottare per vietare l'uso negli impianti a biogas di reflui derivati dalla concia della pelli potenzialmente inquinati da PFOA o altri fluoroalchili, e pertanto contaminati da sostanze cancerogene;
   se il Ministro interrogato non intenda verificare la potenziale pericolosità dell'uso del mais contaminato da PFOA o altri fluoroalchili all'interno di impianti a biogas presenti in maniera massiva nelle aree del Veneto e della pianura padana;
   se non intenda assumere iniziative normative volte ad una diversa gestione del digestato, in virtù del potenziale pericolo di contaminazione dei suoli e delle falde acquifere a causa del PFOA o altri fluoro alchili, limitandone lo spandimento;
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative idonee a individuare finanziamenti per gli studi scientifici in merito agli effetti ambientali e sanitari delle sostanze perfluoroalchiliche e agli effetti ambientali delle nuove molecole a catena corta proposte nelle attività produttive, nonché per la bonifica delle aree impattate e per la fornitura di acqua di qualità adeguata alla popolazione interessata;
   se il Ministro interrogato non intenda promuovere uno specifico studio della filiera inquinante da sostanze perfluoroalchiliche, in particolare in merito a fanghi, digestati da impianti a biogas, manifatture, in modo da tracciare con precisione la diffusione degli inquinanti e da ridurre gli impatti;
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative normative per la regolamentazione della filiera corta di approvvigionamento del mais utilizzato nelle centrali a biogas e, conseguentemente, per vietare l'utilizzo di mais proveniente dall'area impattata da sostanze perfluoroalchiliche sia localmente che a distanza;
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative per disporre verifiche del rispetto della normativa e per l'immediata cessazione dello spandimento di digestati impianti a biogas che utilizzino come matrice rifiuti speciali, siero di latte, sottoprodotti di origine animale (SOA), fertilizzanti come l'idrobios e altri, potenzialmente contaminati da sostanze perfluoroalchiliche. (5-07855)


   RICCIATTI, ZARATTI, PELLEGRINO, MELILLA, PIRAS, QUARANTA, DURANTI, SANNICANDRO, KRONBICHLER, NICCHI e FERRARA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 febbraio 2016 la testata Anconatoday.it ha riportato la notizia della presenza di idrocarburi ed altre sostanze inquinanti in un'area del comune di Falconara (Ancona), denominata «ex area Antonelli», attualmente di proprietà comunale e utilizzata in parte come magazzino comunale e in parte come area pubblica;
   in passato, tale area è stata utilizzata per lo stoccaggio di benzina e gasolio;
   attraverso alcune rilevazioni e sondaggi effettuati da Arpam nei mesi scorsi, è stato rilevato il superamento dei valori di una serie di sostanze contaminanti, e pertanto è stata chiesta l'interdizione dell'area verde aperta al pubblico;
   oltre agli idrocarburi, Arpam ha rilevato presenze di tetracloroetilene e di manganese;
   Arpam ha, inoltre, effettuato ulteriori carotaggi: uno in una zona della ex Liquigas (in via Castellaraccia), dove — secondo l'articolo richiamato — «sono stati riscontrati valori fuorilegge di arsenico, cobalto, piombo, rame, zinco e altri idrocarburi ad appena un metro di profondità»; l'altro in una zona denominata «Poiole», dove è stato rilevato vanadio;
   la presenza di tali sostanze è probabilmente dovuta alle vecchie attività industriali presenti nell'area, attualmente dismesse –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda porre in essere al fine di monitorare, anche mediante una verifica del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente la situazione ambientale dell'intera area interessata. (5-07857)

Interrogazione a risposta scritta:


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   ancora una volta la cronaca riporta notizie di gravi episodi di inquinamento presso il polo industriale di Siracusa;
   il sito di interesse nazionale di Priolo Gargallo, istituito a con la legge n. 426 del 1998, si estende lungo la costa sud orientale della Sicilia, affacciandosi al mare per circa 30 chilometri, e comprende i comuni di Augusta, Priolo, Melilli e Siracusa;
   nei giorni scorsi gli impianti della raffineria «Esso» di contrada Marcellino si sono fermati improvvisamente causando un fuori-servizio con sfiaccolamento in torcia visibile per molte ore;
   a causare il blocco, quasi totale dello stabilimento, come riportano diverse fonti giornalistiche, è stato un improvviso disservizio elettrico, che, come ha fatto sapere la stessa azienda, si è verificato intono alle 19 ad una cabina elettrica dell'impianto di cogenerazione, la centrale che da un paio di anni a questa parte fornisce tutta l'energia elettrica necessaria all'attività della raffineria;
   il guasto ha improvvisamente causato un black-out pressoché totale – a parte gli impianti di emergenza che hanno regolarmente funzionato – mandando in blocco gli impianti e determinando il fuori servizio, ben visibile da più punti della città e dalla zona industriale per la presenza della fiaccola esterna che ha bruciato in atmosfera per diverse ore, creando anche una certa apprensione e preoccupazione tra la popolazione, non solo di Augusta ma anche dei comuni vicini, a causa anche del denso fumo nero che si è immediatamente propagato;
   «come previsto in situazioni di questo tipo – fa sapere Esso con una nota ufficiale – per garantire la piena sicurezza della raffineria, nel corso della fermata è stato necessario convogliare in torcia le quantità di gas in eccesso con conseguente effetto visivo di fiamma e di fumosità. L'evento è stato immediatamente notificato a tutte le autorità competenti, secondo quanto previsto dalle procedure in vigore e dal piano di emergenza interno». «La nostra priorità è sempre la sicurezza delle persone – conclude nella nota Esso – degli impianti e la protezione dell'ambiente a cui viene rivolta la massima attenzione. L'evento è sotto controllo e il personale della Raffineria sta lavorando per riportare la situazione alla normalità nel più breve tempo possibile»;
   nonostante le rassicurazioni dell'azienda, la popolazione e le associazioni ambientalistiche sono fortemente preoccupate per le deficienze strutturali ed organizzative che provocano ricorrenti blackout, i conseguenti blocchi dell'impianto, l'uso improprio delle torce come rimedio per fronteggiare e smaltire gli off-gas e il continuo diffondersi di miasmi che rendono l'aria insopportabile da respirare causando anche diffusi malori –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se e quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, abbia intrapreso o intenda intraprendere il Governo per tutelare la salute dei cittadini e fronteggiare la gravissima criticità sanitaria e ambientale delle aree del sito di Priolo. (4-12189)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta orale:


   SARTI, SPADONI, FERRARESI, AGOSTINELLI, COLLETTI, BONAFEDE e DELL'ORCO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   a fine gennaio 2015 è stata condotta la più grande operazione contro la ’ndrangheta in Emilia Romagna, denominata appunto Aemilia, operazione che ha coinvolto ovviamente anche altre regioni, tra cui Veneto, Piemonte, Calabria e Sicilia. Ad oggi gli imputati sono 219, nove dei quali attualmente sottoposti al regime di 41-bis e 189 i capi di imputazione;
   si tratta di un avvenimento senza precedenti per la regione Emilia-Romagna, per i numeri e per le dimensioni dell'inchiesta. Un'inchiesta, condotta dalle forze dell'ordine e dalla Direzione distrettuale antimafia di Bologna, segnata da due momenti fondamentali: il primo, alla fine dello scorso gennaio, ha portato a 117 arresti. Il secondo, a metà luglio, ha colpito la cosiddetta «‘ndrangheta imprenditrice». Al centro delle indagini, coordinate dall'ex procuratore capo di Bologna, Roberto Alfonso, c’è il clan Grande Aracri, originario di Cutro;
   nell'avviso di conclusione delle indagini notificato nel mese di giugno 2015, gli inquirenti spiegano che l'associazione a delinquere fa capo a Nicolino Sarcone, Michele Bolognino, Alfonso Diletto, Francesco Lamanna, Antonio Gualtieri e Romolo Villirillo. Tra i partecipanti al sodalizio si ritrovano i nomi degli imprenditori Giuseppe Giglio, Gaetano Blasco e Antonio Valerio (questi ultimi intercettati mentre ridevano dopo le scosse di terremoto del 2012), Giuseppe Iaquinta (padre del calciatore Vincenzo). Tanti i reati contestati, si va dall'associazione a delinquere di stampo mafioso contestata a circa 54 imputati, alle estorsioni, dalle minacce all'usura, dall'intestazione fittizia dei beni al falso in bilancio, dalla turbativa d'asta alla corruzione elettorale;
   la prima udienza preliminare si è svolta il 28 ottobre 2015 davanti al GUP Francesca Zavaglia. Durante la terza udienza del 6 novembre, il GUP ha rigettato le eccezioni di competenza territoriale presentate dagli avvocati di alcuni imputati al fine di spostare la sede a Catanzaro. Dunque, con la decisione del GUP, il processo in questa prima fase continuerà all'interno dello stand numero 19 della Fiera di Bologna, appositamente adibito ad aula bunker;
   come sostenuto dai pubblici ministeri dell'accusa è importante che lo svolgimento di tutto il processo sia in Emilia Romagna, per varie motivazioni. In primis la maggior parte dei reati contestati sono stati commessi in questa regione, inoltre attraverso le indagini e le intercettazioni è risultato chiaro il fatto che l'organizzazione criminale di stampo mafioso individuata in questi anni di inchieste sia radicata sul territorio emiliano ed indipendente dalla «casa madre» di Cutro. Lo scenario che emerge dalle indagini e dall'intera inchiesta, non è quello di una «semplice infiltrazione» di un clan ‘ndraghetista al nord ma di un vero e proprio radicamento con sede principale nella provincia di Reggio Emilia;
   in data 1o luglio 2015, il Movimento Cinque Stelle ha presentato un question time al Ministro della giustizia affinché si adoperasse per trovare uno spazio idoneo e attrezzato allo svolgimento dell'udienza preliminare del processo a Bologna. Alla richiesta veniva data la seguente risposta: «Sulla questione posta dagli onorevoli interroganti in merito alle specifiche esigenze rappresentate dal procuratore della Repubblica e dal presidente del Tribunale di Bologna per la celebrazione dell'udienza preliminare nel procedimento del cosiddetto processo Aemilia, rappresento che alle note trasmesse dai predetti è seguita nell'immediato un'intensa attività dei competenti uffici di questo dicastero, finalizzata alla pronta risoluzione delle criticità prospettate. In particolare la direzione generale delle risorse materiali ha non solo inviato una tempestiva nota di risposta alle richieste scritte degli uffici bolognesi, ma ha altresì avviato un'immediata e diretta interlocuzione con gli stessi in ordine all'individuazione dei locali più adeguati alla celebrazione del processo e alle connesse esigenze di sicurezza. Ancor più la predetta direzione generale ha svolto, recependo sul punto la specifica richiesta del presidente del tribunale, diversi sopralluoghi finalizzati proprio alla concreta verifica delle soluzioni possibili. Ai fini delle valutazioni competenti è stato richiesto poi l'ausilio di personale tecnico specializzato in carico tanto al DAP che al provveditorato regionale dell'Emilia Romagna, comunicando tali iniziative ai capi degli uffici interessati. Saranno pertanto oggetto di tempestiva adozione tutti i provvedimenti necessari alla migliore celebrazione di un processo che per gravità delle imputazioni e numero delle parti processuali richiede senz'altro la predisposizione di adeguate misure organizzative. La pronta attivazione da parte del Ministero credo fughi ogni preoccupazione formulata dagli onorevoli interroganti e assicuro che la situazione continuerà ad essere costantemente monitorata sino al raggiungimento di un'adeguata soluzione»;
   contrariamente a quanto dichiarato, il Ministero non ha ottemperato e per risolvere la situazione, la regione Emilia-Romagna ha stanziato ben 748.000 euro per affittare il Padiglione 19 presso la Fiera di Bologna, ai fini dello svolgimento dell'udienza preliminare;
   la fase dibattimentale del procedimento si dovrebbe spostare a Reggio Emilia per le ragioni sopra esposte, ed è fondamentale che si svolga nella sua sede naturale. Ricorrono tutti i presupposti giuridici. È stabilito infatti che il dibattimento avvenga davanti al giudice competente del luogo in cui si è costituita l'associazione e realizzata la programmazione, l'ideazione e la direzione delle attività illecite dell'organizzazione criminosa;
   sono circa un'ottantina gli imputati che hanno fatto richiesta di rito abbreviato ex articolo 438 c.p.p. e patteggiamenti; tra loro si trovano anche Nicolino Grande Aracri, capo della Cosca. Presumibilmente dunque le aule del tribunale di Reggio Emilia potranno essere utilizzate per il dibattimento, ma non si ha nessuna notizia su dove si svolgeranno, invece, i suddetti giudizi abbreviati –:
   se ritenga opportuno mettere in atto ogni iniziativa di competenza affinché sia trovato al più presto uno spazio idoneo per lo svolgimento del dibattimento del processo «Aemilia», la cui entità necessita di ambienti e di attrezzature che rispettino i criteri di massima sicurezza;
   se, in vista delle numerose richieste di rito abbreviato ex articolo 438 c.p.p, sia già a conoscenza della sede in cui verranno svolti tali riti alternativi;
   se, nel caso in cui si dovesse decidere di continuare lo svolgimento dei riti abbreviati presso il padiglione 19 della Fiera di Bologna, il Ministero provvederà alle relative spese d'affitto. (3-02035)


   SPADONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la recente operazione Aemilia diretta dalla direzione distrettuale antimafia nella notte tra il 27 e il 28 gennaio 2015 ha portato al sequestro di più di 100 milioni di euro di beni e all'arresto di 117 persone, di cui 62 nella sola provincia di Reggio Emilia che viene considerata dagli inquirenti l'epicentro del radicamento della ‘ndrangheta in Emilia Romagna;
   nell'ultima relazione annuale la direzione investigativa antimafia mette in luce un sistema di criminalità organizzata radicato sul territorio e conferma il consolidarsi degli affari di Camorra, ‘Ndrangheta e Mafia in Emilia Romagna. Nelle relazione della Direzione investigativa antimafia si legge: «Numerose indagini hanno accertato il sempre maggior coinvolgimento di professionisti compiacenti nell'attuazione delle strategie economiche dei sodalizi e la diffusa tendenza a creare schermi societari per dissimulare la reale titolarità delle aziende». In questa relazione si parla inoltre degli interventi di ricostruzione post-sisma in Emilia e delle attività che vanno «dal riciclo di denaro, ad investimenti in attività imprenditoriali, dal controllo dei principali traffici illeciti e di contraffazioni, ai finanziamenti usurai»;
   nel dossier 2014/2015 di Libera si dà un quadro generale dell'Emilia-Romagna attraverso alcuni numeri significativi. Tra l'agosto 2013 e il luglio 2014 sono stati sequestrati alle mafie 448 beni, per un valore di 21 milioni di euro: dati che fanno dell'Emilia-Romagna la prima del nord Italia. Per quanto riguarda il narcotraffico la media è di cinque operazioni al giorno, con il sequestro di 817 chili di sostanze stupefacenti e la denuncia di 2.718 persone. Secondo Santo Della Volpe, presidente di Libera informazione e presidente della Federazione nazionale stampa «in Emilia-Romagna c’è un giro importante di droga, legato a gruppi mafiosi pericolosi»; nel dossier si denunciano inoltre i «reati spia», dietro cui si celano le attività dei clan: nel 2013 in Emilia-Romagna sono state 312 le denunce per estorsione, in aumento negli ultimi due anni, 399 i danneggiamenti (spesso per incendio) e almeno una cinquantina le segnalazioni di usura. Tra i reati spia rientrano anche gli illeciti nello smaltimento dei rifiuti (837) e nel ciclo del cemento (142);
   nel «Primo rapporto trimestrale sulle aree settentrionali» per la Presidenza della commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno mafioso a cura dell'Osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università degli studi di Milano si legge che «la provincia di Reggio Emilia costituisce l'epicentro della ‘ndrangheta nella regione, in particolare nel capoluogo, ove l'organizzazione criminale calabrese ha creato negli anni una vera e propria enclave». La ‘ndrangheta cutrese rappresenta la principale presenza criminale sul territorio, a cui si affiancano i Dragone, i Nicoscia e gli Arena originari di Isola di Capo Rizzuto. In questo report si afferma come negli anni si è assistito ad un vero e proprio processo di spopolamento della cittadina del crotonese a dispetto di una crescita di cutresi trasferitisi nel reggiano. Alla presenza della ‘ndrangheta dei Grande Aracri si affiancano numerose ‘ndrine provenienti da diverse aree della Calabria e attive sul territorio provinciale: i Farao-Marincola di Cirò Marina (KR), i Martino e i Mattace originari di Cutro (KR), i Barbaro di Platì (RC), i Nirta-Strangio di San Luca (RC), i Mancuso di Vibo Valentia (VV), i Bellocco di Rosarno (RC), i Gallo di Gioia Tauro (RC), i Muto di Cetraro (CS);
   secondo l'Osservatorio sulla criminalità organizzata Reggio Emilia rappresenta una realtà davvero peculiare, dato anche che le vicissitudini della cosca Grande Aracri in Calabria vi hanno comportato violenti effetti, producendo fatti di sangue in sé estranei al tipico modus operandi della criminalità calabrese nella regione. Infine, si riscontra sul territorio la presenza di clan riconducibili alla camorra: in particolare i Casalesi e il clan Belforte originario di Marcianise (CE);
   il tribunale di Reggio Emilia, guidato negli ultimi quattro anni dal Presidente Francesco Maria Caruso è notevolmente sottodimensionato rispetto alle stesse previsioni del Ministero della giustizia, secondo cui l'organico dei magistrati dovrebbe essere aumentato dalle tre alle sei unità; in proporzione, anche il relativo personale amministrativo, le cui relative carenze organiche possono portare a inevitabili rallentamenti nella predisposizione degli atti afferenti i procedimenti, necessita di essere incrementato;
   dai dati statistici trasmessi dal dottor Barbuto, attuale direttore dell'organizzazione giudiziaria, emerge che il tribunale di Reggio Emilia è tra i sei più gravati d'Italia per il rapporto tra giudici e cittadini residenti;
   un numero molto elevato di persone coinvolte nell'inchiesta Aemilia, anche se ancora non quantificabile, sarà processato a Reggio Emilia, in quanto i reati attribuiti sarebbero stati commessi in tale provincia;
   a dicembre, ancora prima dell'operazione Aemilia, il presidente Caruso già lamentava la mancanza in organico di tre giudici, un sostituto procuratore e di personale di cancelleria. Secondo il presidente Caruso per avere un'idea della situazione del tribunale di Reggio Emilia è sufficiente pensare che per ogni magistrato la media è di 22 mila e 500 residenti quando il rapporto dovrebbe essere di uno a undicimila;
   il presidente Caruso sottolinea l'immediata urgenza di incrementare l'organico dei tribunale di Reggio Emilia sia in previsione del maxi processo per ‘ndrangheta, sia in vista della gestione delle numerose attività imprenditoriali sequestrate. Secondo Caruso «bisognerà organizzare il Tribunale in modo da garantire un processo in tempi rapidi, con la massima velocità ma anche con la massima attenzione e scrupolo, un processo che si prospetta di notevoli dimensioni anche per la qualità dei temi affrontati, il reato di associazione mafiosa con tutte le sue sfumature e modi di manifestazione, il concorso esterno in associazione mafiosa, certamente è un processo complesso» –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, saranno intraprese dal Governo per l'attuazione di quegli aumenti di organico di magistratura e di cancelleria che lo stesso Ministero della giustizia considera necessari;
   quali iniziative intraprenderà il Ministro, interrogato e quale sarà la tempistica necessaria, vista l'estrema urgenza di intervento, per far fronte a questa problematica affinché con l'aumento di organico minimo previsto sia assicurata una modalità efficace di amministrazione della giustizia nel territorio di Reggio Emilia e provincia. (3-02036)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'11 aprile 2013, con una lettera inviata al direttore dell'Istituto penitenziario di Novara, il segretario provinciale del Sinappe-Sindacato nazionale autonomo di polizia penitenziaria di Novara, ha evidenziato la necessità di potenziare l'organico della polizia penitenziaria, in considerazione di una situazione di difficoltà che persiste da circa dieci anni, causata dell'elevata quantità di lavoro amministrativo e ordinario della segreteria;
   alla suesposta richiesta, confermata da parte dell'amministrazione, non è seguito nella fase successiva un comportamento corretto e idoneo dello svolgimento dell'attività volta ridurre il volume delle pratiche arretrata da parte di uno degli agenti di polizia penitenziaria chiamato a sostenere il lavoro della segreteria, il quale secondo quanto sostiene il segretario provinciale del Sinappe di Novara, anziché svolgere mansioni di segreteria ad egli assegnate, ha invece svolto compiti di tipo ordinario;
   tale condotta dello stesso operatore temporaneamente preposto, non sembra essere nuova secondo quanto risulta dalla medesima lettera, avendo infatti già in altre occasioni egli stesso, manifestato comportamenti difformi rispetto a quanto gli era stato attribuito, a cui si aggiunge anche una pratica di congedo straordinario non prevista, con le conseguenze della violazione dell'accordo locale sulla mobilità;
   il contenuto della risposta da parte del direttore dell'Istituto penitenziario di Novara, a seguito di quanto notificatogli dal medesimo sindacato sulla violazione degli accordi del personale applicato presso la segreteria, appare all'interrogante tuttavia essere in contraddizione rispetto ai rilievi critici espressi dal rappresentante sindacale, in considerazione che secondo la direzione dell'amministrazione del carcere novarese, attraverso una nota del 13 aprile 2013, l'operatore addetto temporaneamente all'ufficio di segreteria, stava svolgendo un semplice controllo sul sistema SGP1, (la banca dati per la gestione dei dati di tutto il personale, il cui accesso richiede una specifica formazione autorizzata) non ravvisando pertanto alcuna violazione degli accordi intrapresi e precedentemente riportati;
   la controreplica del segretario provinciale Sinappe, a seguito di quanto sostenuto dalla direzione dell'Istituto penitenziario suindicato, è apparsa ulteriormente critica e di netta contrarietà in considerazione che a giudizio del sindacato, per l'accesso al sistema SGP1, occorrono specifici corsi e autorizzazioni che necessitano oltre ad una apposita autorizzazione ministeriale, anche l'assegnazione di credenziali di accesso, (username password) e che pertanto il comportamento dell'operatore addetto temporaneamente alla segreteria, appariva di evidente irregolarità e di mancato rispetto dei regolamenti allo scopo previsti;
   a giudizio dell'interrogante, quanto suesposto dimostra un evidente stato di tensione e di ostilità nell'ambito dell'esercizio del funzionamento e dell'osservanza delle competenze previste all'interno del carcere di Novara, fra gli esponenti della polizia penitenziaria, il sindacato Sinappe e la dirigenza dello stesso istituto penitenziario;
   quanto si evince dalla corrispondenza, a parere dell'interrogante, evidenzia infatti una mancanza di serenità nello svolgimento di un'attività professionale le cui caratteristiche considerando l'ambiente in cui si svolge che sono di per sé già difficili e rischiose, necessitano di azioni volte a migliorare il livello di efficienza e che pertanto l'assenza di uno spirito di collaborazione fra i diversi reparti preposti all'interno della casa circondariale di Novara, dimostra come possa pregiudicarsi il regolare andamento dell'attività lavorativa;
   le ulteriori osservazioni indicate dalla dirigenza del medesimo istituto penitenziario, secondo le quali è necessario l'utilizzo del sistema SGP1 da parte del personale temporaneamente preposto all'ufficio di segreteria, per ridurre le pratiche arretrate di malattia arretrate da circa dieci anni, come previsto dalle disposizioni ministeriali, non sembrano inoltre, a giudizio dell'interrogante accertare la correttezza e l'osservanza delle norme previste, nonché l'esatta dinamica di quanto sia realmente accaduto e precedentemente esposto) –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se sia a conoscenza della situazione conflittuale esistente all'interno dell'istituto penitenziario di Novara, fra la direzione amministrativa ed i rappresentanti della polizia penitenziaria e se pertanto non ritenga avviare un'indagine ministeriale al fine di stabilire con esattezza lo svolgimento di quanto esposto in premessa;
   se non ritenga infine opportuno prevedere in considerazione dell'elevata quantità di pratiche e documenti che sono in attesa di essere espletate da diversi anni, a causa dell'organico del personale evidentemente insufficiente, un potenziamento del corpo di polizia penitenziaria all'interno del carcere novarese, al fine di evitare il ripetersi di avvenimenti come quello esposto in premessa che dimostrano come le condizioni generali dell'intero sistema delle carceri italiane necessitano una profonda rivisitazione delle politiche d'intervento di sostegno e di maggiore efficienza a livello nazionale. (4-12187)


   FRACCARO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la Cassa di Risparmio di Bolzano, Sparkasse spa, è stata al centro della cronaca di stampa per perdite accumulate nel 2014 corrispondenti a 231 milioni di euro, sestuplicando quelle dell'anno precedente. Secondo gli ispettori della Banca d'Italia le perdite sarebbero, invece, di 648 milioni di euro;
   tali risultati negativi sono ricaduti sui risparmiatori e, in particolare, sui 20 mila piccoli azionisti, i quali, sollecitati agli sportelli dell'istituto di credito ad acquistare titoli della Sparkasse spa, hanno subito perdite secche sul valore delle azioni possedute. Ad esempio, nell'assemblea del 28 aprile 2015 è stato deciso un ulteriore taglio del 36 per cento del valore dell'azione (da 195 euro a 125 euro) e il contestuale versamento di 120 milioni di euro nelle casse dell'istituto da parte della Fondazione Cassa di Risparmio di Bolzano, proprietaria della maggioranza delle azioni di Sparkasse spa;
   le cause di tali perdite non sarebbero solo i crediti inesigibili e deteriorati – i crediti incagliati e deteriorati sarebbero 1,4 miliardi su un totale di crediti erogati corrispondente a 6,5 miliardi – ma anche comportamenti gestionali dissennati come il mancato rispetto dei profilo di rischio dei clienti, le violazioni di regole, il consociativismo, i privilegi ai conoscenti e i conflitti di interessi diffusi. In sintesi si tratterebbe di un sistema clientelare spinto definito come «malinteso localismo»;
   la relazione della Banca d'Italia, nell'ispezione effettuata da ottobre 2014 a marzo 2015, la terza in pochi anni, osserva che «le attuali perdite sono altresì da ricondurre alle menzionate deviazioni nella politica creditizia e all'atteggiamento dilatorio del cessato Consiglio, che ha mancato di intraprendere iniziative idonee al superamento delle criticità e ha procrastinato la rilevazione degli esiti negativi delle erogazioni; in particolare, è stato perpetuato il sostegno ai principali operatori economici dell'area d'origine, anche in presenza di iniziative decotte, sovente di matrice speculativa e di importo elevato» (...) «Il problema di fondo sono i conflitti di interesse. Si tratta sempre di nuovo di imprese sudtirolesi che hanno legami familiari, professionali e/o politici con membri della Cassa di Risparmio e godono di un trattamento speciale nella concessione di crediti e quando emergono problemi di rimborso»;
   Christoph Franceschini, in «Bankomat. Le perdite milionarie della Cassa di Risparmio della Provincia di Bolzano», rende noto che «il 25 giugno 2008 sei ufficiali della guardia di finanza, dotati di un mandato di perquisizione firmato dal sostituto procuratore Guido Rispoli, iniziano con un atto ufficiale, le perquisizioni all'indirizzo di uno dei più conosciuti ingegneri altoatesini: Siegfried Unterberger (membro comitato esecutivo Sparkasse). Lui al momento è in Germania per lavoro e nomina il senatore Karl Zeller come suo difensore. La perquisizione inizia prima negli uffici dell'azienda e poi nell'appartamento privato. Vengono trovate due casseforti e in cantina una porta blindata. Siccome in casa nessuno ha le chiavi vengono tutte e tre sigillate. Al primo piano degli uffici viene rinvenuto dietro una libreria un laptop, che gli ufficiali mettono al sicuro. Vengono sequestrati una serie di documenti, atti, dvd, contenenti il backup del computer privato di Unterberger, un libretto degli assegni e note scritte a mano. Quando una settimana più tardi l'esperto degli uffici del sostituto procuratore mette mano al materiale non trova nulla. Il disco del computer è vuoto. Cancellato da un professionista»;
   il giudice penale del tribunale di Bolzano, Carla Scheidle, e procuratore di Bolzano Guido Rispoli, sono soci della Fondazione Cassa di Risparmio di Bolzano, come risulta dall'elenco dell'assemblea dei soci;
   in una intervista al «Sender Bozen» della Rai Bolzano il procuratore Guido Rispoli ha confermato l'avvio di un'inchiesta preliminare a carico del vecchio consiglio di amministrazione della Cassa di Risparmio. Al momento non sarebbero state individuate specifiche ipotesi di reato né vi sarebbero persone iscritte sul registro degli indagati. L'indagine farebbe riferimento al rapporto ispettivo della Banca d'Italia sulla base degli accertamenti condotti tra l'8 ottobre 2014 ed il 6 marzo 2015;
   la Corte di cassazione a sezioni unite (sentenza 5 dicembre 2012, n. 21853) ha ritenuto che il pubblico ministero abbia l'obbligo di astenersi in presenza di situazioni tali da minare le condizioni di imparzialità in relazione all'esercizio della sua funzione, ponendo in conflitto anche solo potenziale, l'interesse pubblico generale alla legalità, con l'interesse proprio o dei prossimi congiunti. Secondo la Suprema Corte l'articolo 323 del codice penale, in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, fonda un dovere generale di astensione in tutte le ipotesi che configurano oggettivamente un conflitto di interessi. Si salvaguarda per questa via il principio di imparzialità a cui deve ispirarsi non solo, come è ovvio, l'attività dei magistrati ma anche, a norma dell'articolo 97 Costituzione, quella svolta dai pubblici ufficiali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti illustrati in premessa e se ritenga di assumere iniziative ispettive presso gli uffici giudiziari di Bolzano ai fini dell'eventuale esercizio di tutti i poteri di competenza. (4-12193)

INTERNO

Interrogazioni a risposta orale:


   BURTONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra venerdì e sabato 10-11 luglio 2015 presso il comune di Irsina si è verificato una rapina ai danni del bancomat della Banca Popolare di Puglia e Basilicata;
   nel compierla è stato usato dell'esplosivo e i ladri si sono mossi con velocità e scaltrezza armati anche di mitra;
   una volta racimolato il bottino, circa 40 mila euro sono fuggiti a bordo di due Audi di grossa cilindrata di colore nero in direzione della Puglia disseminando chiodi a zampa di gallina per scoraggiare ogni tentativo di inseguimento;
   da tempo nel nord della Basilicata, nel comprensorio dell'alto Bradano ai confini con la Puglia si registrano incursioni criminali dedite a furti e rapine;
   la posizione geografica, la vastità del territorio in questione e la prossimità di importanti arterie stradali rendono più complicato il compito delle forze dell'ordine;
   il sindaco di Irsina ha chiesto al prefetto di Matera di convocare un comitato per l'ordine e la sicurezza a seguito di questo episodio;
   è evidente la necessità di rafforzare in termini di uomini e mezzi la presenza delle forze dell'ordine –:
   se e quali iniziative il Ministro, dopo questo nuovo ed inquietante episodio intenda assumere al fine di rafforzare il controllo del territorio in questione potenziando la presenza delle forze dell'ordine. (3-02031)


   BATTAGLIA e BURTONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 20 il 21 dicembre 2015 ad Irsina (Matera) presso un immobile di corso Musacchio è stato fatto esplodere il postamat;
   i malviventi tuttavia non sono riusciti a portarlo via e a rubare il denaro contenuto;
   sul luogo sono intervenuti i anche i vigili del fuoco, allertati da numerosi cittadini che, pure a distanza di diverse centinaia di metri, hanno sentito il boato dell'esplosione;
   sull'episodio sono in corso le indagini da parte degli inquirenti;
   già nelle scorse settimane, il primo firmatario del presente atto, ha depositato degli atti di sindacato ispettivo al Governo, poiché si stanno verificando una serie di inquietanti episodi con rapine e tentativi di rapine a danno di banche e uffici postali;
   il 10 novembre 2015 è accaduto all'ufficio postale di Grottole, fatto saltare in aria per portare via denaro, un ufficio che aveva fatto registrare già ad agosto un tentativo fallito che ha messo a repentaglio la sicurezza di cittadini che abitano ai piani superiori dell'immobile dove è ubicato lo sportello;
   altri episodi si sono verificati a palazzo San Gervasio, Banzi ed anche ad Irisina stessa, nel luglio 2015, con un assalto al bancomat della Banca popolare di Puglia e Basilicata;
   è del tutto evidente che questo comprensorio della Basilicata è oggetto di una escalation di rapine da parte di bande specializzate;
   si tratta di una situazione che desta molta preoccupazione tra cittadini e istituzioni da non sottovalutare –:
   quali iniziative il Governo intenda porre in essere con la massima urgenza per un più attento e capillare controllo del territorio al fine di prevenire simili episodi e garantire la massima sicurezza.
(3-02037)


   FEDRIGA e MOLTENI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di gennaio 2016, due giovani africani, rispettivamente provenienti dalla Guinea e dal Senegal, risultati in possesso di un regolare permesso di soggiorno, sono venuti a contatto con un gruppo di militari in servizio di ordine pubblico a Roma nel contesto dell'operazione «Strade Sicure»;
   alla vista dei militari, fra i quali vi era anche una giovane soldatessa, uno dei due africani sputava verso di lei;
   i militari decidevano quindi di chiedere ai giovani africani i documenti, suscitandone la resistenza;
   alla richiesta di esibire i propri documenti, i due africani insultavano la giovane soldatessa e tentavano altresì di sottrarre le armi ai militari;
   alla vicenda hanno fatto seguito una colluttazione, nella quale la giovane soldatessa riportava lesioni giudicate guaribili in tre giorni, l'arresto dei due giovani africani e un processo al termine del quale costoro patteggiavano sei mesi di reclusione, senza ulteriori conseguenze;
   la normativa vigente in materia di rilascio del permesso di soggiorno elenca tra le cause ostative la sussistenza di «eventuali condanne anche non definitive, per i reati previsti dall'articolo 380 del codice di procedura penale, nonché, limitatamente ai delitti non colposi, dall'articolo 381 del medesimo codice»;
   l'articolo 381 del codice di procedura penale rinvia a sua volta all'articolo 336 del codice penale, concernente l'uso di violenza o minaccia nei confronti di pubblico ufficiale –:
   quali iniziative il Governo ritenga opportuno assumere per garantire la tutela dei nostri militari in servizio di ordine pubblico in tutti i casi in cui la presenza tra di loro di personale femminile possa esporli a insulti e ingiurie di natura sessista;
   se, alla luce di quanto accaduto, il Governo non ritenga sussistere in relazione ai due giovani africani cause ostative al rilascio del permesso di soggiorno e quindi se non ritenga sussistenti i presupposti per assumere iniziative volte a disporne il ritiro;
   se il Governo non ritenga di dover assumere iniziative per introdurre e applicare sanzioni amministrative aggiuntive a carico degli immigrati in possesso di regolare permesso di soggiorno che si macchino di illeciti odiosi come quello generalizzato in premessa. (3-02038)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la notte tra il 19 e il 20 febbraio 2016 stato messo a segno un nuovo gravissimo attentato contro un sindaco in Sardegna;
   a Desulo (Nuoro) è stata presa di mira la casa del primo cittadino Gigi Littarru;
   tre colpi di fucile sono stati esplosi intorno all'1,30, all'altezza del soggiorno, al piano terra dell'abitazione dove il sindaco vive con la moglie e i due figli;
   la finestra è stata distrutta e i colpi esplosi hanno raggiunto, danneggiandoli, gli interni della casa;
   fortunatamente a quell'ora in casa dormivano tutti, altrimenti per le modalità e l'obiettivo delle fucilate, sarebbe stata una tragedia;
   sul posto sono intervenuti i militari della Compagnia di Tonara;
   il sindaco di Desulo era stato oggetto di minacce gravissime quando erano apparse sui muri del paese scritte con minacce di morte rivolte a lui e a un suo consigliere;
   il fatto è gravissimo sotto diversi punti di vista;
   si tratta di fucilate ad altezza d'uomo dentro l'abitazione di un sindaco;
   si tratta di una reiterazione e aggravamento della violenza contro il sindaco di Desulo;
   è la conferma secondo l'interrogante che non solo lo Stato non ha fatto niente di concreto per garantire la tutela dei sindaci e amministratori comunali ma è la dimostrazione che, nonostante le reiterate minacce, il sindaco di Desulo è stato lasciato senza alcuna protezione e tutela;
   è uno Stato lontano dalle realtà locali;
   uno Stato che smobilita i presidi di sicurezza, chiude caserme, sguarnisce i reparti, ed è incapace di proteggere amministratori e cittadini;
   l'attentato al sindaco di Desulo è stato preceduto da minacce di morte esplicite  soprattutto, a tensione in quell'area, rispetto ad alcune problematiche era evidente a chiunque;
   non aver messo in campo misure adeguate di protezione significa aver sottovalutato, ignorato e trascurato la situazione;
   l'attentato avrebbe potuto avere conseguenze molto più gravi e solo un caso fortuito ha scongiurato il peggio;
   aver lasciato solo il sindaco ad affrontare le tensioni di una vicenda probabilmente legata al piano della regione per l'eradicazione della peste suina è stato irresponsabile e grave;
   il sindaco, convinto sostenitore dell'eradicazione della peste suina, era però per la via del dialogo, ma proprio per questo è stato lasciato solo trovandosi a gestire una situazione fuori controllo;
   nonostante le tensioni dell'11 febbraio 2016 avessero fatto presagire una situazione delicatissima nessun organo dello Stato si è sentito in dovere di tutelare questo sindaco lasciandolo insieme alla famiglia alla mercé di delinquenti e criminali –:
   se non ritenga di dover attuare un piano serio e concreto di sicurezza degli amministratori locali in Sardegna;
   se non ritenga di dover attivare tutte le iniziative, per quanto di competenza, al fine di chiarire con immediatezza la matrice di questo gravissimo attentato;
   se non ritenga di dover riprendere il piano di sicurezza varato nel 2002 per il rafforzamento della sicurezza degli amministratori comunali attraverso azioni ad ampio spettro, da quelle della sicurezza attiva e passiva, alle azioni culturali e strategiche;
   se non ritenga dover con somma urgenza rafforzare i presidi delle forze dell'ordine, e nel contempo dismettere ogni piano di ridimensionamento dei presidi attivi di sicurezza nel territorio.
(5-07859)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NICCHI, GREGORI, SCOTTO, PALAZZOTTO e ZARATTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in un reportage pubblicato il 19 febbraio 2016 da « l'Espresso», viene denunciata la terribile e inaccettabile condizione di decine e decine di immigrati minorenni che si trovano a vivere nel sottosuolo o accampati in aree attorno alla stazione Termini di Roma;
   si tratta di minori senza famiglia costretti a vivere in spazi sottoterra e a prostituirsi per mangiare, e spesso vittime di pedofili senza scrupoli. Rientrano fra le migliaia di bambini e adolescenti non accompagnati arrivati in Italia e scomparsi;
   si scoprono piccoli adolescenti che vivono in cunicoli sporchi e sotto un albero, arrotolati in coperte sporche e bucate, «con i topi che ogni notte provano a infilarsi nei loro pantaloni»;
   il reportage riporta la testimonianza, anche filmata, di uno di questi minori: «Sono ancora un bambino, ho paura». Abdul è arrivato dall'Egitto su un barcone, da solo. Vive in un metro quadrato fatto di un cartone, una coperta marrone e due sacchetti di plastica blu. Come lui Fathi, Ibrahim e gli altri. Venti, trenta ragazzini che dormono per strada, rubano, si prostituiscono accanto alla stazione Termini di Roma. Invisibili nel cuore della Capitale. Grazie al racconto di Abdul, la Polizia di Stato ha potuto identificare «l'inglese», un uomo che offriva soldi ai minori stranieri non accompagnati in cambio di prestazioni sessuali. «Perché faccio così ?», si chiede Abdul. «Perché ho fame. Che devo fare ? Devo morire ?»;
   il prefetto di Roma, Franco Gabrielli, ha annunciato che per salvare questi minorenni, «è stata avviata un'unità di strada sperimentale dedicata proprio ad intercettarne il disagio, monitorando i loro luoghi di ritrovo e stazionamento, informandoli sui servizi di accoglienza ed individuando eventuali soggetti adulti che potrebbero sfruttarli in attività illecite»;
   come ricordato dallo stesso prefetto Gabrielli, non si tratta di un problema di oggi: guardando agli anni passati, a Roma e provincia i minori scomparsi, ancora da rintracciare, sono 2.409, di cui 2.214 stranieri. Il tema è oggetto di grande attenzione da parte delle istituzioni locali, cui spettano i compiti di accoglienza. Solo Roma Capitale, nei primi nove mesi del 2015, ha assistito 2.047 minori stranieri, di cui 1.064 egiziani, nelle proprie strutture, costituite da un centro di primissima accoglienza, da dove i ragazzi vengono trasferiti in centri di seconda accoglienza distribuiti nel Lazio e nelle regioni limitrofe;
   si ricorda che anche nel nostro Paese i minori stranieri, e quelli non accompagnati in particolare, costituiscono una realtà sempre più importante, dalle caratteristiche molto variegate e composite. Ciò comporta anche la difficoltà di quantificare con precisione il fenomeno;
   il fenomeno per il quale molti minori si allontanano senza lasciare traccia dalle strutture di ospitalità per loro previste impone, di conseguenza, l'individuazione di efficaci strumenti di contrasto alla loro scomparsa e alla tutela dei loro diritti fondamentali. Va sottolineato come una delle ragioni dell'allontanamento di questi giovani dalle comunità che li ospitano è da rinvenirsi anche nella riduzione delle risorse finanziarie assegnate ai comuni e, conseguentemente, ai relativi centri di prima accoglienza –:
   quali iniziative urgenti si intendano adottare, a integrazione di quelle avviate dal prefetto Gabrielli di cui in premessa, al fine di dare soluzione alla drammatica situazione dei troppi bambini e adolescenti non accompagnati costretti a vivere nei cunicoli o accampati in aree attorno alla stazione Termini di Roma e tutelare le loro esistenze;
   se non si ritenga indispensabile attivarsi al fine di aumentare le risorse finanziarie a favore delle regioni e degli enti locali sulla base delle rispettive presenze, per il potenziamento e il miglioramento dei progetti di accoglienza a favore dei minori stranieri non accompagnati, anche attraverso un aumento delle risorse destinate all'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati;
   se non si intenda predispone efficaci iniziative al fine di intervenire nella fase critica del primo inserimento nella società dei minori non accompagnati, aiutandoli in una fase che li espone inevitabilmente a gravi rischi per la loro incolumità e di sfruttamento da parte della criminalità, favorendo la loro integrazione anche attraverso opportune forme di affido temporaneo. (4-12185)


   LACQUANITI, COMINELLI, LAVAGNO, SBERNA, MARCHI, DI SALVO, CARRA, NARDI, GIUDITTA PINI, PIAZZONI, ZAN, PILOZZI e ROMANINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 27 agosto 2015, la prefettura di Brescia ha assegnato venti richiedenti asilo al paese di Collio (Brescia) in frazione San Colombano, nella Valle Trompia, che sono stati ospitati presso l'albergo «Al Cacciatore» di proprietà della famiglia Cantoni, a seguito di apposita regolare convenzione siglata tra la prefettura stessa e i proprietari della struttura;
   fin dal loro arrivo in loco, verso le ore 18,00 del giorno 27 agosto, i profughi sono stati destinatari di varie manifestazioni di ostilità, e hanno trovato ad accoglierli una ventina di militanti di Forza Nuova, giunti da Brescia per contrastare l'arrivo del pullman con contestazioni, proteste, lanci di uova, e addirittura di sassi contro le finestre dell'albergo, mandandone una in frantumi;
   il giorno seguente, 28 agosto, si sono ripetuti episodi di protesta e contestazione, culminati in una manifestazione organizzata, tutt'altro che pacata e pacifica, come si evince dalle cronache dei giornali e dai racconti riportati dai presenti: vi hanno partecipato duecento manifestanti circa arrivati dalla provincia, per lo più militanti di Forza Nuova, a cui si sarebbero uniti diversi abitanti della zona;
   solo la presenza dei carabinieri e della digos avrebbe evitato il contatto tra i manifestanti e i 20 ragazzi profughi ospitati nell'albergo;
   per circa due mesi, fino al 16 ottobre 2015, si sono susseguite proteste politiche organizzate, a quanto consta agli interroganti, da forze dell'estrema destra bresciana, partecipate da militanti di Forza Nuova, Casa Pound, Brescia ai Bresciani, condotte in maniera spesso violenta e prolungata. Al punto che polizia, carabinieri e guardia di finanza sono dovuti intervenire più volte, anche con rinforzi da altre province, e hanno dovuto presidiare giorno e notte, fino a pochi giorni fa, l'albergo in cui sono ospitati i profughi;
   sono numerosi e proseguiti fino a pochi giorni fa, gli episodi d'intimidazione con insulti e scritte offensive lungo la strada provinciale, tra i quali, pur in attesa dei risultati delle indagini in corso, si devono annoverare anche l'esplosione di tre bombe carta nei pressi delle proprietà della famiglia Cantoni, il rogo di un meleto di proprietà della stessa, e in colpi d'arma da fuoco di cui è stato fatto oggetto un cavallo di loro proprietà;
   la sindaca di Collio, Mirella Zanini, contraria all'arrivo dei profughi, ha partecipato personalmente alle manifestazioni contro la forza pubblica chiamata a proteggere i profughi e l'albergo, quanto meno il giorno 28 agosto, come certificato da diversi articoli di giornali il 29 agosto ed in particolare dall'edizione on line del «Corriere Brescia» e dal documentato reportage del giornale on line BresciaToday, che ha ripreso il sindaco anche in diversi scatti fotografici;
   sempre nella medesima occasione, la sindaca Zanini ha accolto e accompagnato alla manifestazione come «ospite d'onore» Andrea Bianchi, sindaco di Trenzano (Brescia), noto esponente locale di Forza Nuova;
   appare del tutto anomala e particolarmente grave la diretta presenza della sindaca ad iniziative di contestazione per nulla pacifiche, inoltre rivolte contro iniziative del medesimo Stato italiano che ogni sindaco rappresenta –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative, di competenza intenda assumere per garantire il corretto funzionamento del sistema di accoglienza ed evitare situazioni di tensione sul piano dell'ordine pubblico che, ad avviso degli interroganti sono acuite da iniziative come quelle assunte dalla sindaca di Collio. (4-12190)


   CARFAGNA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la procura della Corte dei conti ha aperto un fascicolo per verificare un ammanco di circa cinque milioni di euro derivanti da una mala gestione del patrimonio immobiliare del comune di Napoli;
   la vicenda «affittopoli Napoli» delinea un profilo nettamente più grave rispetto agli altri casi scoppiati in diverse città italiane;
   sono venute alla luce una serie di locazioni di immobili di proprietà del comune di Napoli a canoni irrisori a chi non ne ha diritto;
   si è venuti a conoscenza di una serie di locazioni passive, da parte del comune di Napoli, di immobili privati a canoni esorbitanti per dislocare uffici pubblici;
   è stato avviato un percorso di regolarizzazione dell'occupazione di immobili pubblici di pregio da parte di collettivi e centri sociali estremisti, cui vengono pagate anche luce, acqua, gas e tassa sui rifiuti;
   la gestione del patrimonio immobiliare pubblico deve essere trasparente e coerente con il fine della tutela del bene comune;
   sarebbe opportuno chiarire il motivo della mancata attuazione della delibera n. 1298 del 19 dicembre 2011 che prevedeva di utilizzare meglio gli immobili comunali chiedendo fitti adeguati per le case in zone di pregio e utilizzando locali di proprietà del comune per insediare gli uffici e ridurre drasticamente i costi –:
   quali verifiche di competenza siano state condotte, ai sensi degli articoli 242 e seguenti del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, in merito all'utilizzo del patrimonio immobiliare comunale;
   quale sia lo stato di attuazione del piano di dismissione comunale del patrimonio pubblico non strategico, nel rispetto del piano di rientro presentato dall'amministrazione comunale per aderire al pre-dissesto. (4-12192)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in questa legislatura è stata approvata la legge sulla «buona scuola», legge 13 luglio 2015, n. 107, che all'articolo 1, comma 1, segnala tra i suoi obiettivi il potenziamento dell'inclusione scolastica e del diritto allo studio degli alunni con bisogni educativi speciali attraverso percorsi individualizzati e personalizzati anche con il supporto e la collaborazione dei servizi socio-sanitari ed educativi del territorio e delle associazioni di settore e l'applicazione delle linee di indirizzo per favorire il diritto allo studio degli alunni;
   la legge sulla «buona scuola» ha inoltre individuato un percorso selettivo per i docenti di sostegno, in modo da garantire agli studenti le migliori condizioni possibili sul piano della didattica e della relazione interpersonale con i docenti, a cui chiede continuità e a cui offre canali ad hoc per i concorsi e percorsi di formazione e di aggiornamento altamente qualificati;
   dopo circa un mese dalla approvazione della legge sulla «buona scuola» è stata approvata anche una legge specifica sull'autismo, la n. 134, del 18 agosto 2015, che, all'articolo 1, mentre definisce le sue finalità, afferma in modo inequivocabile che, in conformità a quanto previsto dalla risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite n. A/RES/67/82 del 12 dicembre 2012 sui bisogni delle persone con autismo, prevede interventi finalizzati a garantire la tutela della salute, il miglioramento delle condizioni di vita e l'inserimento nella vita sociale delle persone con disturbi dello spettro autistico. E poco dopo all'articolo 5, laddove si parla di attività di ricerca, sottolinea in modo chiaro che il Ministero della salute promuove lo sviluppo di progetti di ricerca riguardanti la conoscenza del disturbo dello spettro autistico e le buone pratiche terapeutiche ed educative;
   successivamente anche la legge di stabilità 2016 ha previsto uno stanziamento di 70 milioni di euro per garantire l'assistenza, l'autonomia e la comunicazione personale agli alunni con disabilità, finanziato anche grazie all'aumento della tassazione sul gioco d'azzardo;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con il coordinamento del professor Raffaele Ciambrone, ha inoltre promosso nell'anno scolastico 2015-2016 una serie di master sull'Autismo con l'obiettivo specifico di supportare la formazione del personal docente nel difficile compito di farsi carico della didattica e della formazione di studenti che presentano disturbi dello spettro autistico per migliorarne le performance specifiche e facilitare la loro integrazione nel gruppo classe;
   tutto ciò però non è stato sufficiente a tutelare i diritti di un bambino con disturbi dello spettro autistico a Reggio Calabria, dove i genitori di un bambino autistico che cercavano di iscrivere il bambino alla stessa scuola elementare dove andavano i suoi compagni della scuola materna, hanno visto respinta la loro legittima richiesta. Un fatto talmente logico, da non dover essere assolutamente messo in discussione. Eppure la scuola ha rifiutato l'inserimento del bambino, probabilmente trincerandosi dietro la mancanza di risorse adeguate;
   in questo caso specifico, oltre al diritto alla scuola è stato compromesso anche il diritto del bambino a mantenere la continuità affettiva con il gruppo dei coetanei. Fatto questo di particolare importanza se si considerano le fragilità dei soggetti autistici proprio sotto il profilo relazionale e comunicativo –:
   in che modo il Ministro interrogato intenda verificare se, dopo l'approvazione di tante norme nel campo della formazione e della integrazione dei bambini con disabilità, avvenuta in un arco di tempo di soli sei mesi, le scuole stiano realmente favorendo l'inserimento e l'integrazione di studenti con disabilità di varia entità, in particolare di bambini autistici, anche attraverso l'attivazione di corsi di aggiornamento per i docenti di sostegno. (3-02030)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il progetto «sport di classe» che ha fatto seguito a quello sperimentale di alfabetizzazione motoria effettuato in alcune scuole nell'anno scolastico 2013, ha previsto un nuovo modello operativo che consente la partecipazione delle scuole primarie d'Italia aderenti all'iniziativa;
   «sport di classe» è nato dall'impegno congiunto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (MIUR), del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) e della Presidenza del Consiglio dei ministri, per promuovere l'educazione fisica fin dalla scuola primaria e favorire i processi educativi e formativi delle giovani generazioni;
   il progetto doveva garantire 2 ore settimanali di educazione fisica e coprire l'intero anno scolastico –:
   se sia a conoscenza del numero delle scuole che hanno aderito al progetto nell'anno scolastico 2015/2016, del numero dei tutor impegnati nel progetto, nonché del numero dei docenti di educazione motoria che sono stati inseriti in organico. (5-07856)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   PATRIZIA MAESTRI, BOCCUZZI, BARUFFI, GIACOBBE, GRIBAUDO, MICCOLI, ROSTELLATO e ROMANINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 19 dicembre 2014 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, da parte dell'INAIL, l'avviso pubblico per l'assegnazione di incentivi alle imprese, anche individuali, per la realizzazione di progetti di investimento per migliorare le condizioni di salute e sicurezza sul lavoro o per l'adozione di modelli organizzativi e di responsabilità sociale in attuazione all'articolo 11, comma 5, del decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni;
   il bando ha stanziato 267 milioni di euro. Il contributo, pari al 65 per cento delle spese sostenute dall'impresa per la realizzazione del progetto, va da un importo minimo di 5.000 euro e ad uno massimo di 130.000 euro. Per le imprese fino a 50 dipendenti che hanno presentato progetti per l'adozione di modelli organizzativi e di responsabilità sociale non è fissato il limite minimo di contributo;
   dal 3 marzo al 7 maggio 2015 le imprese registrate al sito INAIL hanno avuto a disposizione un'applicazione informatica per la compilazione della domanda che ha consentito loro di effettuare simulazioni relative al progetto da presentare, verificando il raggiungimento del punteggio «soglia» di ammissibilità. Dal 12 maggio 2015 le imprese che hanno raggiunto la soglia minima di ammissibilità hanno potuto effettuare il download del proprio codice identificativo che le individua in maniera univoca;
   il 25 giugno 2015 (cosiddetto «click day»), dalle ore 16 alle ore 16,30 le imprese hanno potuto inviare attraverso lo sportello informatico la domanda di ammissione al contributo, utilizzando il codice identificativo attribuito alla propria domanda;
   i finanziamenti vengono assegnati fino a esaurimento, secondo l'ordine cronologico di arrivo delle domande;
   diverse imprese e associazioni d'impresa hanno lamentato che dopo soli 5/6 secondi il sistema di ricezione delle istanze non accettava più domande di finanziamento per l'esaurimento dei fondi a disposizione;
   quello dell'assegnazione dei fondi secondo l'ordine cronologico di arrivo delle domande parrebbe quindi non essere il più appropriato a fronte del grande interesse che questo bando suscita ogni anno nelle imprese che desiderano investire nella sicurezza sul lavoro. Esso infatti prescinde dalla qualità delle proposte di investimento e premia con contributi pubblici soprattutto la rapidità nell'invio –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle problematicità connesse all'erogazione degli incentivi INAIL di cui all'articolo 11, comma 5, del decreto legislativo n. 81 del 2008, più volte denunciate dalle imprese e dalle associazioni d'impresa, e se non ritenga di assumere iniziative affinché l'INAIL riveda tale modalità di assegnazione dei fondi stanziati al fine di premiare maggiormente la qualità e l'efficacia delle proposte di intervento e non solamente la rapidità nell'invio delle istanze nel «click day». (3-02032)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della giustizia, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   le cronache dei giorni scorsi (vedasi articoli de «Il giornale» e «La Stampa» del 18 febbraio 2016) riportavano la notizia degli esiti di un'indagine condotta dalla squadra mobile di Pavia, conclusasi con tredici arresti, nei confronti di alcuni dipendenti dell'Irccs Policlinico San Matteo di Pavia, ai quali sono stati contestati i reati di peculato e furto aggravato;
   gli accertamenti e le verifiche da parte delle forze dell'ordine hanno avuto inizio a seguito di una denuncia, presentata nel 2013 da un ex dipendente della cooperativa per i servizi ausiliari di pulizia del Policlinico San Matteo, il quale si era accorto di alcune anomalie sul posto di lavoro messe in atto da alcuni colleghi, in particolare di continui furti di cibo, soprattutto all'interno dei locali della mensa-cucina;
   dai primi riscontri sono stati accertati ben 222 episodi di furto e, in seguito, sono state indagate 48 persone (tra cui anche una guardia giurata che aveva il compito di effettuare il servizio di sorveglianza all'interno del Policlinico), le quali avevano agito indisturbate nelle varie zone adibite al servizio cucina-mensa del Policlinico, prelevando il cibo destinato ad essere distribuito all'interno della struttura sanitaria;
   dopo alcuni giorni dalla denuncia al dipendente è arrivata la notizia del licenziamento e la querela da parte dei colleghi;
   il caso sopra descritto rappresenta, a giudizio dell'interrogante, un evidente caso di whistleblowing, in cui l'autore di una segnalazione riguardante comportamenti anomali e atti di corruzione in ambito lavorativo, da parte di colleghi o superiori, a causa della denuncia è costretto a subire, il più delle volte, atti persecutori e minacce, dirette sia alla vita lavorativa che personale dello stesso –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza, anche normative, intendano intraprendere, al fine di favorire l'implementazione del whistleblowing nelle amministrazioni pubbliche e nel settore privato, allo scopo di tutelare gli autori delle segnalazioni e di impedire il verificarsi di comportamenti anomali ed episodi di corruzione nell'ambito lavorativo;
   se non si ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza, alla luce di quanto sopra descritto, per far chiarezza sulle cause del licenziamento dell'ex dipendente autore della denuncia sulla conformità dello stesso alla normativa vigente.
(5-07858)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo pubblicato il 21 febbraio 2016 dal quotidiano, Il Corriere della sera, il collegio dei sindaci dell'Inps, nella relazione che accompagna il bilancio di previsione per il 2016, recentemente approvato dal Civ (il consiglio di indirizzo e vigilanza), ha espresso la necessità di fare chiarezza in merito alla grande quantità di crediti non riscossi, nonché sul patrimonio immobiliare del medesimo istituto di previdenza;
   al riguardo, prosegue l'articolo di stampa, l'Inps riporta nel bilancio 110 miliardi di euro di residui attivi (al netto del fondo di svalutazione), 104 dei quali per crediti accertati, che tuttavia risultano non riscossi (nel 2015 risultavano 95 miliardi di euro);
   in realtà, soltanto una modesta parte dell'evasione potrà essere recuperata, secondo il suddetto quotidiano, in quanto molti crediti risultano di antica riscossione e nel frattempo, le aziende hanno cessato la propria attività; conseguentemente, sostiene il collegio dei sindaci, risulta necessario un aggiornamento dettagliato della situazione economica e finanziaria;
   le informazioni fornite dal direttore generale il 12 gennaio 2016, si evince dalla relazione del collegio dei sindaci, non sono esaustive e a tal fine, lo stesso collegio si riserva di effettuare un'approfondita analisi del fenomeno evidenziando ai ministeri vigilanti la delicatezza della questione;
   i rilievi che riguardano il patrimonio immobiliare risultano ugualmente stringenti, in considerazione del fatto che, evidenzia sempre il collegio dei sindaci dell'Inps, era stata richiesta una relazione tecnica e un inventario completo del patrimonio immobiliare di proprietà dell'istituto medesimo comprensivo degli immobili derivanti da enti soppressi e incorporati;
   secondo il «piano di investimento e disinvestimento» del patrimonio immobiliare, trasmesso dal presidente Tito Boeri il 22 dicembre 2015, il patrimonio immobiliare da reddito dell'Inps, dopo l'incorporazione di Inpdap ed Enpals, ha assunto dimensioni particolarmente rilevanti, ma tuttavia si connota per un elevato livello di «parcellizzazione», anche perché sono tornati agli istituti i cosiddetti «avanzi» delle operazioni di cartolarizzazione Scip 1 e 2, chiuse in considerazione dell'eccezionale crisi economica internazionale;
   su un patrimonio immobiliare a reddito di circa 29 mila e 500 unità (il 50 per cento nel Lazio), per un valore contabile di 2 miliardi di euro, 24 mila e 500 residuano, fra l'altro, dalle cartolarizzazioni;
   circa 26 mila unità, per un valore contabile di 1,5 miliardi di uro dovrebbero essere conferite a i-3 Inps, fondo istituito da Invimit, società di gestione del risparmio del Ministero dell'economia e delle finanze, per essere alienate entro il 2018, ma ciononostante riporta ancora l'articolo in precedenza richiamato, l'operazione finanziaria non è stata ancora avviata e il collegio dei sindaci richiede al riguardo maggiore chiarezza;
   le suesposte osservazioni, a giudizio dell'interrogante, ove fossero confermate, destano dubbi e preoccupazioni sia con riferimento ai rilievi critici espressi dal collegio dei sindaci in merito all'elevata quantità di crediti non riscossi, che nell'ambito della gestione del patrimonio immobiliare di altrettanta elevata dimensione finanziaria e per i quali risulta, come si evince dal quotidiano Il Corriere della sera, necessaria da parte del Ministro interrogato una serie di delucidazioni in merito all'andamento complessivo della gestione dell'Istituto nazionale di previdenza sociale –:
   se trovi conferma quanto riportato dall'articolo del quotidiano in precedenza richiamato, in merito ai rilievi critici espressi dal collegio dei sindaci dell'Inps, sia con riferimento al patrimonio immobiliare del medesimo istituto, che nell'ambito dell'operazione di cartolarizzazione degli immobili non ancora avviata;
   in caso affermativo, quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda avviare al fine di garantire chiarezza e trasparenza in merito alla gestione del patrimonio immobiliare del medesimo Istituto di previdenza, ed evitare conseguenze anche di tipo economico, che potrebbero ricadere sul bilancio pubblico;
   quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere, nel caso fossero confermate le osservazioni riportate in premessa, in merito al bilancio di previsione per il 2016 dell'Inps, valutato dal collegio dei sindaci indubbiamente in forma prudenziale. (4-12186)


   GUIDESI e SIMONETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la cosiddetta settima salvaguardia degli esodati, confluita nella legge di stabilità per il 2016, non può considerarsi esaustiva della problematica;
   nonostante le ripetute promesse del Governo, nell'autunno 2015, che tutti gli esclusi dai sei precedenti provvedimenti di salvaguardia sarebbero stati computati nel settimo provvedimento e nessuno sarebbe rimasto indietro, così non è stato;
   su una platea di 49.500 lavoratori esodati in attesa di salvaguardia, con la cosiddetta «settima» il Governo ne ha salvaguardo «solo» 26.300, lasciando fuori gli altri 23.200 (COSIDDETTI 15enni, ante 2007, licenziati unilaterali, ex postali, e altri), come sempre, per ragioni di finanza pubblica, avendo il Governo di fatto sottratto le risorse confluite nel «Fondo esodati» per destinarle ad altri scopi;
   tra i non salvaguardati vi sono ancora gli ex dipendenti delle Poste che hanno firmato accordi per ritirarsi dal lavoro, con la prospettiva di rimanere per alcuni anni senza «paracadute» reddituale — fatta eccezione per la buonuscita — in attesa di raggiungere i requisiti pensionistici;
   per alcuni di essi, con la famigerata «riforma Fornero» del 2011, la data del pensionamento è slittata dal 2015 al 2023, lasso temporale più che assurdo a parere degli interroganti;
   è inevitabile infatti, l'allungamento per tanti anni dei termini per il raggiungimento dei requisiti pensionistici; ciò ha comportato che la somma pattuita tra le parti per soddisfare le annualità che dovevano precedere la pensione risulti ora oltremodo insufficiente rispetto alle esigenze e alle aspettative di vita  –:
   quale sia il numero dei lavoratori «ex postali» che hanno accettato l'esodo incentivato prima dell'emanazione del decreto-legge n. 211 del 2011 «Fornero» e che maturano i requisiti pensionistici nel 2018. (4-12188)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:


   LAVAGNO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i fitofarmaci, denominati anche prodotti fitosanitari o agrofarmaci, sono tutti quei prodotti, di sintesi o naturali, che vengono utilizzati per combattere le principali avversità delle piante quali malattie infettive, fisiopatie, parassiti e fitofagi animali, piante infestanti. Sono delle sostanze di diversa origine che possono avere diversi effetti. Il loro target è distruggere, prevenire o ridurre l'invasione di patogeni nelle varie colture agricole;
   i possibili patogeni delle colture agricole sono principalmente gli insetti, gli artropodi, le erbe infestanti o malerbe ed infine i funghi. In base al patogeno considerato, si utilizzano diversi prodotti fitosanitari, come gli insetticidi, gli erbicidi o diserbanti, i fungicidi, i battericidi, i nematodicidi, gli acaricidi, i rodenticidi;
   secondo uno studio condotto dai ricercatori del dipartimento di medicina traslazionale dell'università Piemonte Orientale, l'uso pregresso e attuale di fitofarmaci per la coltivazione del riso, può verosimilmente spiegare l'eccesso di neoplasie rilevate nel settore agricolo del Vercellese. Sono infatti numerose le ricerche che mostrano come le zone del Vercellese, del Novarese e del Cuneese siano tra i territori regionali e nazionali a più elevato inquinamento da fitofarmaci, come confermato di recente dalla pubblicazione dell'Ispra sulle contaminazioni nelle acque superficiali e profonde;
   il campione di controllo ha riguardato 12.378 abitanti residenti nei 18 comuni della bassa vercellese di età compresa tra i 25 e 79 anni. I casi di malattia, osservati nel periodo 2002-2009 sono desunti dalle schede di dimissione ospedaliera e referti cito-istologici. L'analisi dei dati ha evidenziato rischi in eccesso per il comparto agricolo per il totale dei tumori, colon-retto, mammella e cute non melanomi;
   è necessario aprire un'indagine sui fatti predetti, considerando che tale fenomeno reca un grave danno all'ambiente, al settore agricolo nonché alla salute dei cittadini, considerato che sembra che vengano utilizzati dei fitofarmaci potenzialmente pericolosi –:
   se il Governo sia a conoscenza delle problematiche sopra esposte e se intenda procedere, in tempi rapidi, affinché sul mercato siano ammessi fitofarmaci sicuri, quindi non dannosi per la salute e l'ambiente. (3-02034)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   con decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, meglio noto come «decreto Lorenzin» si è proceduto all'individuazione e definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera;
   tale decreto segue l'esito della conferenza Stato-regioni che ha proceduto ad individuare parametri e standard relativi ai servizi ospedalieri e nello specifico l'accordo tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, le province, i comuni e le comunità montane sul documento concernente «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo» del 16 dicembre 2010;
   per effetto di tale decreto, procede a chiusura dei «punti nascita» che non registrano un numero di parti su anno, pari o superiori al numero di 500; in tale situazione, con un numero di parti pari a 128 nel corso del 2014, si trova il punto nascite dell'ospedale Madonna dell'Alto nel comune di Petralia Sottana che serve l'intero comprensorio madonita in provincia di Palermo;
   da fonti di stampa si apprende che, in presenza di adeguato e moderno apparato tecnico e di una struttura moderna, il principale ostacolo per rientrare nei parametri riguarda il personale. Tale situazione, verificatasi già nei presidi di Corleone e Partinico, è stata risolta accorpando i due presidi e ricorrendo alla turnazione, garantendo così gli standard richiesti nelle more dell'assunzione del personale vincitore di concorso;
   a tal riguardo, è utile sottolineare la particolarità del territorio montano della Madonie, nonché la condizione della viabilità in direzione del punto nascite di Termini Imerese che, con la chiusura di Petralia, diventerebbe la struttura più vicina per numerosi comuni dell'area;
   tale situazione di particolarità comporta tempi di percorrenza vicini ai 90 minuti in condizioni meteorologiche buone o ottimali. Condizioni che, vista altezza e posizionamento geografico dei centri madoniti, sono da considerare situazioni non certo garantibili, soprattutto durante i mesi invernali;
   la particolarità del territorio è, per altro, evidente nella decisione di inserire l'area della Madonie nel percorso della strategia nazionale sulle aree interne. Ad evidenziarne una particolarità che poco si concilia con le scelte di chiusura e trasferimento dei servizi sanitari;
   nel corso del 2014, l'ospedale Madonna dell'Alto ha registrato circa 300 casi di interruzione volontaria della gravidanza e rimane l'unica struttura in grado di svolgere l'attività correlata alla legge n. 194 del 1978. Tanto da diventare struttura essenziale per garantire la reale applicazione della legge citata in una regione con circa l'80 per cento di medici «obiettori». A dimostrazione di ciò va registrato come le degenze relative alle procedure di interruzione volontaria della gravidanza registrate nell'ospedale di Petralia non siano riferibili solo alla popolazione residente nell'area delle Madonie;
   da notizie di stampa si apprende che altre strutture, pur in condizioni di parti su anno simili a quelle registrate a Petralia, otterranno una deroga per continuare ad operare;
   da tempo, nell'area madonita, amministratori locali e popolazione sono impegnati in una strenua difesa dei servizi sanitari, partendo proprio dall'ospedale Madonna dell'Alto;
   in data 8 gennaio 2016 i sindaci dei comuni di Gangi, Bompietro, Geraci Siculo, Alimena, Polizzi Generosa, Petralia Sottana, Petralia Soprana, Blufi Castellana Sicula hanno manifestato al prefetto di Palermo i rischi gravissimi se si dovesse giungere alla chiusura del punto nascite di Petralia;
   la chiusura del punto nascite appare, così come percepita dagli abitanti del comprensorio madonita, come l'ennesimo atto di disinteresse per un territorio che conta circa 27 mila residenti e vive tutte le difficoltà (collegamenti stradali, rischio idrogeologico, fenomeni di spopolamento) a cui un'area montana è esposta; in analoga situazione si trova il punto nascite di Mussomeli, in provincia di Caltanissetta, ospitato dall'ospedale «Longo»;
   la struttura costituisce l'unico punto di riferimento per l'area cosiddetta «Vallone-Alto Platani», composta da numerosi comuni della Sicilia interna a cavallo tra le province di Palermo, Agrigento e Caltanissetta e nello specifico i comuni di Mussomeli, Acquaviva Platani, Sutera, Campofranco, Milena, Bompensieri, Villalba, Vallelunga, Marianopoli, Casteltermini, Cammarata, S. Giovanni Gemini, Roccapalumba, Castronovo, Lercara, Alia, Valledolmo;
   come nel caso dell'ospedale Madonna dell'Alto di Petralia, il centro di Mussomeli serve un'area caratterizzata da notevolissimi disagi derivanti tanto dalle condizioni generali, che dallo stato di dissesto delle arterie provinciali;
   le condizioni, pertanto, appaiono, come nel caso di Petralia, foriere di rischi negli spostamenti per raggiungere i punti nascita alternativi, con lunghi tempi di percorrenza;
   la decisione della regione Marche di eliminare il punto nascite del reparto materno infantile dell'ospedale Bartolomeo Eustachio di San Severino Marche ha mobilitato tutta la popolazione del territorio afferente alla struttura, unita nel protesta contro tale decisione;
   oltre alla preoccupazione espressa alla regione dalle assise comunali, dai primi cittadini e dai presidenti delle unioni montane di San Severino Marche, Camerino e San Ginesio, si è costituito un comitato per la salvaguardia del punto nascite che serve un territorio dell'entroterra in gran parte montano, molto vasto e disagiato per quanto riguarda la viabilità che, soprattutto nel periodo invernale, moltiplica i tempi di percorrenza;
   tale comitato ha dato, e continua a dare, vita a varie manifestazioni di protesta che riempiono le piazze (11 dicembre 2015); il comitato a portato la protesta presso la sede della regione Marche (15 dicembre 2015), in occasione della discussione delle mozioni, cercando di dialogare con il presidente della regione Marche. Inoltre, esso si accingerebbe, a quanto si apprende da notizie diffuse dalla stampa, a firmare un esposto. Tali iniziative sono finalizzate a ottenere una revisione della decisione da parte della regione Marche;
   qualora il punto nascite di San Severino Marche venisse chiuso, l'utenza delle aree, interne e montane, sarebbe costretta a rivolgersi al reparto di ostetricia più vicino, situato a Macerata. In tale ipotesi, una donna si troverebbe ad affrontare, durante il travaglio, lunghi viaggi con il rischio di neve, gelo, incidenti, strade impervie, raddoppiando in più casi i tempi di percorrenza ad oggi previsti per raggiungere l'ospedale di San Severino Marche. Ciò anche in situazioni d'emergenza, dove è fondamentale la vicinanza alla struttura ospedaliera, quali parti improvvisi o distacchi di placenta come verificatosi nella cittadina, in un caso risalente agli inizi di novembre 2015, dove solo un tempestivo cesareo ha salvato la vita ad una mamma e a suo figlio nato prematuramente;
   nel reparto di ostetricia dell'ospedale Bartolomeo Eustachio ci sono un numero di nascite superiori alle 500, ma si è chiesto comunque di applicare il decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70 (cosiddetto «decreto Lorenzin»);
   la regione non ha infatti ritenuto sufficienti, per conservare il servizio, le oltre 515 nascite effettuate sino alla data odierna, motivando la decisione con una questione di sicurezza, non essendo in quel nosocomio presente il reparto di rianimazione neonatale;
   tale valutazione mette in realtà, ad avviso degli interroganti, in risalto proprio il necessario investimento da fare per offrire ai cittadini un adeguato servizio sanitario;
   il comitato «tutti uniti per l'ospedale di Osimo» è composto da padri, padri e nonni che si oppongono alla scelta politica di chiudere i punti nascita senza tenere in debito conto le esigenze delle persone che vivono in territori dove gli spostamenti risultano più difficili;
   l'accordo Stato-regione dichiara che vengano chiusi i reparti sotto i 500 parti;
   Osimo ne conta una media di 650. L'accordo Stato-regione indica la riduzione del ricorso ai cesarei, di cui Osimo è al primo posto nelle Marche, col 29 per cento dei casi, su una, media nazionale del 38 per cento, e tale dato va considerato anche rispetto ad altri ospedali marchigiani, come ad esempio il Salesi, con il 51 per cento. Quindi, di conseguenza, il punto nascita di Osimo è primo anche per parti fisiologici con il 71 per cento dei casi;
   l'accordo Stato-regione impegna le regioni a migliorare, sostenere e proteggere l'allattamento materno alla nascita e nel puerperio, al fine di incrementare i centri delle nascite classificati «amico del bambino», secondo i criteri Unicef e Oms e Osimo è ospedale amico del bambino, con certificazione Unicef e Oms;
   nel punto nascita di Osimo vengono mamme dall'Umbria, dall'Abruzzo, dal Molise proprio in quanto esso è considerato eccellenza Unicef;
   Osimo ha gli stessi parti di strutture come Jesi, Fermo e Senigallia. Al Salesi già ci sono madri appoggiate in altri reparti, in quanto non riescono a soddisfare tutti, quindi è facile immaginare cosa succederebbe se chiudesse il punto nascita di Osimo, visto che il punto nascita più vicino e quello di Jesi a più di un'ora di strada;
   pochi giorni fa una ragazza ha partorito in ambulanza perché non è riuscita a raggiungere l'ospedale;
   la Val Musone conta 100.000 abitanti ed è spontaneo chiedersi quante mamme partoriranno in ambulanza per raggiungere Jesi, e quali conseguenze si potrebbero verificare in presenza di problemi correlati al parto come un'emorragia;
   la decisione della regione Marche di eliminare il reparto di ostetrica e ginecologia dell'ospedale Profili di Fabriano ha mobilitato la cittadinanza alla protesta. Un coordinamento cittadino si è infatti costituito proprio per cercare di impedire che questa decisione diventi operativa e per chiedere alla regione di applicare il decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, cosiddetto «decreto Lorenzin», della cui possibilità di attuazione il Ministro ha rassicurato direttamente il sindaco della città;
   nelle Marche altri punti nascita dell'entroterra saranno chiusi, San Severino Marche ed Osimo, salvaguardando, invece, gran parte dei punti nascita situati lungo la costa;
   Fabriano si trova in una zona montana, dove il clima è spesso avverso. Più volte, durante l'arco dell'anno, il traffico nell'unica strada che collega la città alla costa (e quindi all'ospedale di Jesi dove le donne dovranno andare a partorire, a partire dal 2016) viene interrotto a causa dei frequenti incidenti stradali che bloccano il traffico ogni volta per diverse ore. Le donne del comprensorio fabrianese dovranno intraprendere questo viaggio durante il travaglio, con il rischio di incontrare per strada neve, gelo, o di imbattersi in un incidente stradale;
   vi sono anche le situazioni d'emergenza come i parti improvvisi o i distacchi di placenta, solo per fare alcuni esempi, in cui la vicinanza della struttura ospedaliera è fondamentale;
   il coordinamento si è già mobilitato con tre manifestazioni a cui hanno aderito quasi 1.000 persone ed ha cercato di dialogare con il presidente della regione Marche, Luca Ceriscioli, al quale spetta la decisione, invadendo per giorni la sua bacheca Facebook, senza ottenere risposte affermative;
   la regione Marche ne fa un caso di sicurezza, in quanto manca la rianimazione neonatale sia ad Osimo che a San Severino, mentre a Fabriano è operativa, ma manca quella neonatale, mettendo in realtà in risalto proprio il necessario investimento da fare per offrire ai cittadini un adeguato servizio sanitario;
   va comunque sottolineato che vi sono ambiti territoriali più disagiati, dove, per peculiari caratteristiche di isolamento territoriale o difficoltà di trasferimento dei pazienti alle strutture ostetrico-ginecologiche più vicine, quali per esempio molte zone montane, è indispensabile mantenere punti nascita, seppur con un numero di parti annui inferiore a 500 o in deroga ad alcuni degli standard individuati dal suddetto accordo Stato-regioni –:
   quali siano i motivi per cui non si è inteso concedere alcuna deroga nei confronti dell'ospedale Madonna dell'Alto e dell'ospedale «Longo» di Mussomeli e quali siano i criteri in base ai quali detta deroga sia stata conosciuta invece alle strutture di Bronte e Licata;
   se la chiusura del punto nascite di Petralia non comporti, per quanto esposto, una ulteriore lesione del diritto alla scelta per le donne di cui alla legge n. 194 del 1978 riguardante l'interruzione volontaria della gravidanza;
   se non sia grave e foriero di pericolo costringere partorienti ad un viaggio verso la struttura di Termini Imerese con tempi di percorrenza superiori anche ai 90 minuti e con il rischio di fenomeni meteorologici quali neve, ghiaccio, nebbia soliti nelle aree montane nei periodi invernali;
   se le particolari condizioni dell'area su cui insiste l'ospedale Madonna dell'alto non siano tali da ritenere la struttura indispensabile per garantire i livelli essenziali di assistenza, il diritto alla salute e all'accesso alle cure;
   se il Ministro non ritenga, anche alla luce di quanto esposto in premessa, che le condizioni particolari delle aree interne della Sicilia meritino l'individuazione di un ulteriore parametro per la concessione del nulla osta operativo, oltre al criterio numerico dei parti registrati su base annua;
   se non si ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza, per le ragioni esposte in premessa, al fine di garantire la permanenza di punti nascita, seppur in deroga ad alcun parametri e standard individuati dall'accordo raggiunto in seno alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano del 16 dicembre 2010;
   come si intendano garantire, per quanto di competenza, i livelli essenziali di assistenza e il diritto alla salute, che trova tutela al più elevato rango dell'ordinamento, in considerazione degli oggettivi rischi per la salute delle mamme e dei nascituri causati dalla difficoltà, dovute a viabilità limitata e caratteristiche meteo-territoriali disagiate, di raggiungere il nosocomio designato dalla nuova proposta di organizzazione avanzata dalla regione Marche;
   quante e quali siano attualmente le strutture ospedaliere che non rispettano i parametri e gli standard suesposti;
   se non si ritenga di assumere iniziative volte a garantire la permanenza di punti nascita seppure al di sotto di 500 parti/anno e in deroga ad alcuni parametri e standard individuati dall'accordo raggiunto in seno alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano del 16 dicembre 2010, qualora ubicati in aree critiche quali quelle dei territori montani o quelle segnate da frammentazione territoriale, o da particolari caratteristiche orografiche, o distanti da altre strutture ostetrico/ginecologiche di livello superiore.
(2-01280) «Ricciatti, Palazzotto, Kronbichler, Costantino, Duranti, Gregori, Nicchi, Pannarale, Pellegrino, Scotto».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, GRILLO, BARONI, MANTERO, COLONNESE, LUPO, DI BENEDETTO, NUTI e MANNINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   molti siciliani, ancora oggi, vista l'inadeguatezza organizzativa e strutturale in molte realtà sanitarie dell'isola, sono costretti a scegliere di emigrare verso altre strutture sanitarie italiane o estere;
   il rapporto Sdo (schede di dimissioni ospedaliere) del Ministero della salute, contenente i dati sulla mobilità sanitaria, passiva (siciliani che vanno a curarsi in altre regioni) e attiva (malati di altre regioni che vengono in Sicilia a curarsi), consegna un dato preoccupante dal quale si evince che ogni anno migliaia di malati siciliani scelgono, invero sempre più spesso, di curarsi in altre regioni;
   in base ai dati, sulla «remunerazione teorica delle prestazioni per regione di ricovero», forniti sempre dal Ministero della salute, è agevole ricostruire anche l'elevato costo di tale fenomeno. Considerata la differenza tra mobilità passiva e mobilità attiva, la regione siciliana si stima abbia perso, ad esempio solo nel 2014, ben 175,4 milioni di euro;
   la regione siciliana ha siglato il piano di rientro dal disavanzo il 31 luglio 2007, il quale prevede una stima di interventi per il recupero del disavanzo sanitario. I piani di rientro sono finalizzati a verificare la qualità delle prestazioni ed a raggiungere il riequilibrio dei conti dei servizi sanitari regionali. Il Ministero, attraverso il SIVEAS (sistema nazionale di verifica e controllo sull'assistenza sanitaria), è impegnato nell'affiancare le regioni nel raggiungere gli obiettivi previsti dai piani;
   in questa sede si intende rilevare una specifica criticità riguardante la sanità siciliana, in particolare con riferimento al trattamento e all'assistenza sanitaria di 3o livello delle patologie cardiache congenite in età pediatrica e per i pazienti, dopo i 18 anni, GUCH (Grown Up Congenital Heart) con patologie cardiache congenite operate e non;
   l'area metropolitana di Palermo è la zona della Sicilia ove avviene il maggior numero di parti e ogni anno, come si evince dai dati forniti dall'Assemblea regionale siciliana per il progetto «Buon Cuore»; nell'Isola nascono circa 500 bimbi con cardiopatie congenite di diversa entità (dati forniti dalla II Assemblea, regionale, siciliana per il «Buon Cuore» del 26 gennaio 2013) di cui oltre 1/3 devono essere sottoposti a procedure chirurgiche o interventistiche entro il primo anno di vita, mentre il 15 per cento in epoca neonatale;
   la vicinanza e i collegamenti fra il centro nascita, i reparti pediatrici ed il centro di assistenza cardiologica di 3o livello sono degli elementi che hanno un peso significativo in un contesto di emergenza/urgenza;
   a partire dal 2010 si è tentato più volte di riorganizzazione l'assistenza cardiologica pediatrica siciliana; i tentativi sono stati seguiti dalla pubblicazione di atti ufficiali dove veniva prevista la realizzazione del centro di III livello a Palermo, presso la struttura di assistenza pediatrica ex CEMI, oggi IS.M.E.P., di cui però si attende la realizzazione da oltre dieci anni;
   il 16 aprile 2004 l'azienda ospedaliera civico di Palermo aveva approvato, infatti, il bando per la realizzazione del Centro di eccellenza materno-infantile C.E.M.I.) sulla scorta di un accordo di programma per il settore degli investimenti in sanità in cui il Ministero della salute, il Ministero dell'economia e delle finanze e la regione siciliana concordavano nella realizzazione di tre centri di eccellenza nei settori in cui si registrava una maggiore mobilità extraregionale;
   già in data 18 aprile 2002, Ministero della salute, il Ministero dell'economia e delle finanze e regione siciliana nell'accordo di programma per il settore degli investimenti in sanità concordavano nella realizzazione di 3 centri di eccellenza nei settori in cui si registrava una maggiore mobilità extraregionale, tra cui il centro di eccellenza materno-infantile di Palermo dell'importo complessivo di euro 61.057.879,04, per cui veniva assicurata la seguente copertura finanziaria: quanto a euro 51.316.551,93 dall'articolo 71 della legge n. 488 del 1998, quanto a euro 2.583.244,07 a carico della Fondazione che inoltre provvederà attraverso la partecipazione di partner privati al reperimento dell'ulteriore somma di euro 7.163.755,91 finalizzati all'acquisizione di attrezzature per la ricerca;
   il 17 aprile 2015, in occasione del convegno di presentazione dell'ISMEP, l’ex assessore Borsellino dichiarava che per realizzare il nuovo centro di eccellenza pediatrica sono stati stanziati circa 53 milioni di euro di fondi statali, trenta dei quali devono ancora essere trasferiti dal Governo centrale alla regione;
   la struttura ospedaliera del CEMI, in altri termini, doveva costituire, almeno sulla carta, un centro di riferimento per la pediatria nella regione siciliana;
   a fronte di un tale prospettato trasferimento considerevole di fondi statali destinati alla realizzazione di un'opera il cui compimento, in particolare viste le importanti varianti subite dal progetto, si ritiene esser oggi di difficile previsione, l'interrogante non può sottacere la gravità della situazione in cui in generale versa oggi il servizio pediatrico dell'isola;
   l'attuale localizzazione della cardiochirurgia pediatrica presso il presidio ospedaliero «San Vincenzo» di Taormina è stata da sempre definita temporanea (decreto del 3 maggio 2010, n. 1188): invero la gestione delle attività cliniche è stata affidata, sulla base di una convenzione, all'ospedale pediatrico «Bambino Gesù» di Roma, nell'attesa che le attività venissero trasferite presso l'istituto mediterraneo di eccellenza pediatrica (IS.M.E.P.) gestito dall'azienda ARNAS/Civico di Palermo, come stabilito nel decreto del 15 dicembre 2014;
   amaramente non può che constatarsi tuttavia che, nei sei anni trascorsi dal 2010 ad oggi, la scelta di trasferire la Cardiochirurgia pediatrica, seppur temporaneamente presso il presidio ospedaliero «San Vincenzo» di Taormina, la convenzione stipulata con l'ospedale «Bambino Gesù» e il futuro trasferimento dell'attività all'I.S.M.E.P., non hanno per nulla soddisfatto le aspettative dei pazienti né tantomeno giovato alle casse del bilancio regionale;
   il presidio, ospedaliero «San Vincenzo» di Taormina è un ospedale territoriale privo di assistenza pediatrica specialistica. La sede scelta risulta quella meno adatta per il trasferimento di un intero reparto di alta complessità assistenziale di III livello: non sono infatti presenti i reparti di neonatologia con UTIN, la chirurgia pediatrica, la neuropsichiatria infantile e tanti altri reparti pediatrici che sono necessari per fornire l'assistenza adeguata ad un piccolo paziente, spesso, plurimalformato. Le ricadute assistenziali sulle famiglie dei bambini sono innumerevoli e gravi; in poco tempo si sono registrati tanti episodi di assistenza inadeguata o con problematiche di tipo organizzativo e gestionale difficilmente risolvibili;
   il comune di Taormina è decentrato e difficilmente raggiungibile da molte zone della Sicilia. Un viaggio, per esempio, dal centro di Mazara del Vallo a Taormina, costringe le famiglie e il bambino malato ad affrontare un percorso di oltre 800 chilometri, superiore alla distanza che separa Milano da Napoli;
   la pista di elisoccorso di Taormina non è abilitata all'atterraggio notturno. Ciò ha fatto registrare numerosi casi di soccorso per i quali è stato necessario atterrare a Catania o a Messina per poi trasportare il piccolo paziente in ambulanza fino a Taormina con significativa estensione dei tempi di trasferimento;
   la località di Taormina è notoriamente una meta turistica di prestigio e, pertanto, i costi degli alberghi e dei servizi sono elevati rispetto alla norma. Una permanenza prolungata della famiglia per assistere un bambino ricoverato presso la struttura ospedaliera può costare 3 o 4 volte di più del costo medio;
   l'arrivo del personale sanitario dell'ospedale capitolino «Bambino Gesù» è coinciso con l'allontanamento di tutte le figure professionali più esperte che già operavano all'interno del presidio ospedaliero di Taormina, procurando quindi una dispersione di professionalità acquisite, perdita di competenze e una inappropriata dipendenza da figure professionali esterne;
   si sono registrati insufficienti relazioni tra la nuova gestione del centro cardio-chirurgico di Taormina e le altre realtà assistenziali cardiologiche pediatriche siciliane. L'integrazione, assistenziale ed organizzativa è stata parziale e comunque inadeguata. Il ruolo del centro è stato solo «sostitutivo» e non «integrativo» con le strutture già esistenti di assistenza pediatrica;
   l'assistenza di III livello agli adulti con cardiopatia congenita (i così detti pazienti «GUCH») è stata azzerata. Si stima che i pazienti con tale patologia siano in Sicilia oltre 12.000 e di questi, circa la metà, presenta complessità medio/grave che, in base a tutte le linee guida internazionali, necessitano di regolare follow-up presso centri sanitari altamente specializzati. Prima della stipula della convenzione, il centro di Taormina e quello dell'ARNAS/Civico offrivano un'assistenza di III livello a questi pazienti. La chiusura del reparto di Palermo e l'indisponibilità del reparto di Taormina, che solo negli ultimi mesi ha iniziato ad occuparsi degli adulti, hanno di fatto azzerato l'assistenza ai pazienti al punto da costringerli a recarsi fuori dalla Sicilia nei casi particolari, quali interventi di cateterismo cardiaco o di intervento cardiochirurgico. Il problema diventa particolarmente critico quando l'intervento deve essere assicurato d'urgenza;
   l'obiettivo della convenzione stipulata con l'ospedale «Bambino Gesù» di annullare la migrazione sanitaria è ben lontano dall'essere raggiunto. Come mostrato dal rapporto Sdo, infatti, molti pazienti, una volta operati presso l'ospedale di Taormina, preferiscono spostarsi rivolgendosi ad altre strutture ospedaliere e nel corso degli anni sono in aumento quelli che preferiscono direttamente recarsi oltre lo stretto e rivolgersi a strutture ospedaliere fuori dalla Sicilia;
   proprio nell'ottica della razionalizzazione della spesa sanitaria regionale, in particolare con riferimento agli oneri connessi al rinnovo della convenzione stipulata con l'Ospedale «Bambino Gesù», e più in generale per arginare il fenomeno della migrazione sanitaria, l'interrogante ritiene che la regione siciliana, previa verifica e controllo d'impatto sul piano di rientro regionale da parte del Ministero della salute, dovrebbe valutare di affidare all'I.S.M.E.T.T. di Palermo (Istituto mediterraneo per i trapianti e terapie ad alta specializzazione) le importanti attività di cardiochirurgia pediatrica e l'assistenza di III livello agli adulti con cardiopatia congenita, date le numerose attestazioni d'eccellenza, premi e riconoscimenti scientifici ottenuti dal centro;
   in particolare, l'Istituto, è già sede di un dipartimento di cardiochirurgia e vedrà ampliati i suoi spazi, in partnership con l'Ospedale Civico di Palermo, a partire dai prossimi mesi in funzione del progetto «Centro Cuore». Pertanto, è dotato di tutte le costose infrastrutture ed apparecchiature che sono necessarie anche per la cardiochirurgia pediatrica; 4 sale operatorie moderne, una sala «ibrida» per le procedure interventistiche ad alto rischio, una sala di emodinamica, un reparto di rianimazione, tutte le diagnostiche radiologiche come risonanza magnetica e TAC, laboratorio di analisi, dotazione dell'apparecchiatura «cuore/polmone» ECMO, oltre ad un centro di simulazione per la formazione e l'addestramento degli operatori sanitari;
   è un'esigenza urgente ed improrogabile il trasferimento delle attività cliniche ed operatorie relative alla cardiochirurgia pediatrica nonché quelle connesse all'assistenza di III livello agli adulti con cardiopatia congenita presso l'I.S.M.E.T.T. in un ambiente sicuro e all'avanguardia rispetto a tante altre realtà ospedaliere, beneficiando dell'eccellente esperienza pluriennale della struttura, così come avvenuto per i trapianti;
   considerati, infine, i dati epidemiologici, l'organizzazione sanitaria dei vari centri siciliani e le linee programmatiche, l'interrogante reputa che la sede più adatta per la realizzazione di un'assistenza di terzo livello di cardiologia e cardiochirurgia pediatrica debba essere la città di Palermo;
   l'interrogante ritiene che l'ISMETT rappresenti oggi l'unica struttura in Sicilia con la capacità organizzativa di realizzare in tempi brevi una simile realtà –:
   se sia al corrente di quanto esposto in premessa;
   se e quali iniziative, per quanto di competenza e in virtù dell'impegno assunto dal Governo nell'affiancare le regioni nel raggiungere gli obiettivi previsti dai piani di rientro per il recupero del disavanzo sanitario, intenda porre in essere affinché siano salvaguardati i livelli essenziali di assistenza, rispetto ai quali appare fondamentale conseguire l'obiettivo di localizzare a Palermo, in particolare presso l'ISMETT, l'attività cardiochirurgica pediatrica siciliana, in quanto l'area metropolitana di Palermo è la zona della Sicilia ove, statisticamente, si registra il maggior numero di parti all'anno (circa 14.000), anche al fine di ridurre la mobilità sanitaria regionale passiva dei pazienti siciliani e i notevoli disagi ad essa correlati. (5-07861)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MOGNATO, TULLO e CARLONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il servizio universale postale affidato a Poste Italiane fino al 2026 offre a tutti i cittadini un servizio di pubblica utilità, indipendentemente dal reddito o dalla collocazione geografica;
   nell'ambito del servizio universale è compreso il servizio di raccolta, trasporto, smistamento e distribuzione degli invii postali fino a 2 chilogrammi e dei pacchi postali fino a 20 chilogrammi; le raccomandate e le assicurate tra cui le comunicazioni bancarie, le bollette e i bollettini di pagamento e quanto altro; alcuni servizi compresi nel servizio postale universale – quali notificazione degli atti giudiziari e delle contravvenzioni del codice della strada – sono erogati in esclusiva da Poste Italiane;
   il fornitore del servizio universale deve garantire per almeno 5 giorni a settimana una raccolta e una distribuzione al domicilio di ogni persona (fisica o giuridica), salvo deroghe stabilite dall'Autorità e notificate alla Commissione europea;
   l'onere per la fornitura del servizio universale è finanziato dal bilancio dello Stato e da un apposito fondo di compensazione, cui contribuiscono gli operatori postali; Poste Italiane è tenuta a trasmettere ogni anno all'Autorità competente, che poi procede a una verifica, il costo del servizio postale universale;
   l'Autorità ha recentemente avviato, con la delibera n. 364/14/CONS, una indagine volta a un'analisi approfondita dei servizi postali, con particolare riguardo al profilo dell'adeguatezza dell'attuale configurazione del servizio universale postale rispetto ai bisogni e alle aspettative dell'utenza;
   con delibera del 25 giugno 2015, l'Agcom è intervenuta sia sulle tariffe che sulla frequenza dei recapiti postali; dal 1o ottobre 2015 il costo di spedizione della corrispondenza è variato, con l'incremento del costo del francobollo da 80 a 95 centesimi; è stato inoltre ripristinato il servizio «ordinario», con tempi di consegna entro il quarto giorno lavorativo; la consegna «prioritaria» – che dovrebbe garantire la consegna entro il primo giorno lavorativo successivo – è offerta, in alternativa a quella ordinaria, a costo maggiorato; dalla stessa data il recapito della posta è stato trasformato – in modo graduale – in un servizio a «giorni alterni» che – a regime – interesserà un quarto della popolazione; le iniziative sono state introdotte in relazione all'esigenza di coprire il costo del servizio postale universale dando, nel contempo, risposta ai bisogni dei cittadini e dei consumatori con migliori e più flessibili offerte alla clientela, a fronte di una minore domanda di servizi tradizionali di corrispondenza;
   in ottobre il 35,3 per cento del capitale del gruppo Poste italiane è stato collocato sul mercato; la maggioranza del capitale è pertanto tuttora in mano pubblica;
   per l'adempimento del servizio pubblico universale Poste italiane riceve, per il periodo 2012-2019, una compensazione di 2,39 miliardi di euro, di recente giudicata dalla Commissione europea in linea con la disciplina europea in materia di aiuti di Stato; in particolare, in base al contratto di servizio, Poste dovrebbe ricevere un massimo di 1,05 miliardi di euro per il periodo 2016-2019 (262 milioni di euro all'anno) e 1,34 miliardi (335 milioni all'anno) per il periodo 2012-2015;
   il servizio universale obbliga il concessionario ad erogare i servizi postali in tutto il territorio nazionale alle tariffe stabilite nel contratto nel rispetto di requisiti essenziali di qualità; in data 15 dicembre 2015 è stato sottoscritto il contratto di programma 2015-2019 che regola i rapporti tra lo Stato e la società per la fornitura del servizio postale universale;
   ai sensi dell'articolo 12, comma 4 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, di attuazione della direttiva 97/67/CE sulle regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio, l'Authority, al fine di garantire un servizio postale di buona qualità, stabilisce, sentito il consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti, gli standard qualitativi del servizio universale, adeguandoli a quelli realizzati a livello europeo, essenzialmente con riguardo ai tempi di instradamento e di recapito ed alla regolarità ed affidabilità dei servizi, che sono recepiti nella carta della qualità del servizio pubblico postale; la stessa Authority effettua, con regolarità, verifiche su base campionaria delle prestazioni, avvalendosi di un organismo specializzato indipendente selezionato dalla stessa autorità di regolamentazione; gli oneri relativi alla verifica ed alla pubblicazione dei risultati sono a carico del fornitore del servizio universale; i risultati sono pubblicati almeno una volta l'anno; in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di qualità, l'Autorità è tenuta ad adottare le necessarie misure correttive;
   nel nuovo contratto di programma si prevede che le Poste sono tenute a pubblicare gli standard di qualità del servizio individuati, i sistemi di misurazione e i risultati raggiunti;
   i nuovi vertici di Poste spa – in carica dall'aprile 2014 – hanno avviato, di recente, un controllo di gestione che punta al monitoraggio della qualità del servizio di recapito; dall’audit interno sono emerse «gravissime irregolarità in relazione ai prodotti di corrispondenza nazionale e internazionale, riguardanti anche i cosiddetti Grandi clienti»;
   dalla corrispondenza – con posta elettronica – tra addetti e responsabili di strutture territoriali di servizi postali «emerge incontrovertibilmente la illecita finalità di far risultare una qualità del servizio di recapito divergente da quella reale»;
   la verifica di qualità sulla distribuzione ha lo scopo di verificare la puntualità nel recapito della corrispondenza, e si basa sull'elaborazione dei dati relativi alla consegna delle lettere a campione effettuata da società esterne a Poste spa, tenute a mantenere assoluta riservatezza sia sui nominativi di destinatari inclusi nel campione sia sul mittente; sulla base dell'inchiesta avviata dalla procura di Roma sembra che alcuni dirigenti di Poste spa – individuati i nominativi del campione per il controllo di qualità – abbiano organizzato un complesso sistema per intercettare le lettere spedite, e garantire una consegna estremamente rapida della corrispondenza del campione, alla scopo di alterare i risultati delle verifiche sulla qualità del servizio; la contraffazione dei controlli sembra sia stata una prassi seguita nel periodo 2003-2014, fino al cambio al vertice di Poste spa;
   sulla base del contratto 2009-2011 – in vigore fino alla sottoscrizione, avvenuta il 15 dicembre 2015, del nuovo contratto – il conseguimento o il mancato rispetto degli obiettivi di puntualità nei recapiti implicava penali a carico di Poste spa, anche in termini di minori sovvenzioni annuali; di contro, il rispetto di tali obiettivi garantiva più congrui trasferimenti per Poste spa a carico dello Stato e il riconoscimento di elevate gratifiche ai dirigenti postali, legate all'Mbo (management by objectives) secondo il sistema di gestione per obiettivi, che prevede premi ai dipendenti in relazione ai risultati raggiunti a fronte di obiettivi prefissati;
   i dati relativi ai controlli sulla qualità – così alterati – contrastano con le gravi inefficienze del servizio postale universale segnalate da numerosi utenti;
   nell'inchiesta della procura risultano coinvolti decine di dirigenti e numerosi dipendenti di Poste spa accusati di aver tenuto un comportamento «illecito» allo scopo di «far risultare una qualità del servizio divergente da quella reale»; a seguito dell'indagine interna, Poste Italiane ha disposto l'invio di circa 40 lettere di licenziamento e la sospensione «a tempo indeterminato» di numerosi dipendenti; l'azienda contesta ai lavoratori di «non aver contrastato tale condotta» e di «non aver segnalato» la vicenda ai «competenti organismi aziendali» con «la illecita finalità» di alterare gli esiti dei controlli sulla qualità della distribuzione; questo dimostra «la personale e diretta responsabilità nella realizzazione delle irregolarità riscontrate» del personale coinvolto nell'inchiesta;
   vanno assicurati pieno rispetto e fiducia nella procura che ha in corso l'indagine e nell'operato dei nuovi vertici aziendali che hanno avviato l'azione di controllo sulla distribuzione della corrispondenza all'interno di Poste spa;
   è necessario accertare se il personale in questione abbia agito autonomamente, o con l'avallo dei responsabili dell'amministrazione di Poste spa, e in che modo sia stato violato il diritto alla riservatezza della corrispondenza, costituzionalmente garantito in relazione agli elenchi dei controllori del campione individuati allo scopo di alterare i controlli;
   occorre verificare di concerto con l'Authority, per i rispettivi ambiti di competenza, il danno erariale conseguente all'alterazione degli esiti dei controlli sulla gestione del servizio universale e all'assegnazione di sovvenzioni e gratifiche –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere di concerto con l'autorità di regolamentazione, sentito il Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti, per quanto di competenza – anche mediante aggiornamento della carta della qualità del servizio pubblico postale – per rafforzare l'efficienza del servizio postale universale su tutto il territorio nazionale, per evitare, in particolare, ritardi nella consegna e la perdita di competitività del servizio, riducendo i tempi di instradamento e di recapito e garantendo la regolarità e l'affidabilità del servizio;
   quali iniziative di competenza intenda assumere per garantire l'indipendenza e la terzietà dei soggetti incaricati dei controlli di qualità sul servizio postale universale. (5-07854)


   SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   già con atto di sindacato ispettivo n. 3-01798, gli interroganti richiamavano l'attenzione del Governo sulla crisi industriale di Alitalia maintenance systems e sul comportamento di Alitalia che invece di mandare le commesse alla sua partecipata, per consentire di rimanere in utile, le invia a Paesi terzi, contribuendo alla perdita di un importante know-how nazionale nella riparazione e manutenzione dei motori aeronautici e al fallimento di un'azienda con 240 dipendenti;
   in quella sede il Ministro interrogato aveva fatto bene sperare per una evoluzione positiva della vicenda, impegnandosi in prima linea per sostenere progetti di investimento per rilanciare la società e verificare tutte le possibilità per salvare l'azienda;
   neanche un paio di giorni dopo, invece, si apprende che quattro degli 11 motori fermi negli hangar erano stati inviati in riparazione presso la società israeliana Bedek, concorrente della AMS;
   sembra ora che Alitalia continui nella scelta di inviare a revisionare i motori presso Paesi terzi, tanto che le organizzazioni sindacali di Ams hanno indetto un sit-in a Fiumicino, presso l’head quarter di Alitalia, per il giorno 24 febbraio 2016 –:
   se e in che termini il Ministro interrogato si sia attivato nei mesi scorsi a sostegno della vertenza AMS;
   quali contatti abbia avuto al riguardo, come preannunciato nella risposta al precedente atto di sindacato ispettivo richiamato in premessa;
   se e quali «progetti di investimenti necessari per rilanciare la società, finalizzate al recupero dell'efficienza e produttività in AMS, così da consentire all'azienda di poter tornare a produrre con margini positivi», preannunciati nella medesima sede dal Ministro, nel frattempo, siano stati valutati ed esaminati e quanti di essi siano stati ritenuti validi. (5-07860)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Andrea Maestri e altri n. 1-01169, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Martelli.

Apposizione di firme ad interrogazioni e cambio di presentatore.

  L'interrogazione a risposta orale Burtone n. 3-01831, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 novembre 2015, è da intendersi sottoscritta dal deputato Cuomo che ne diventa il primo firmatario.

  L'interrogazione a risposta orale Burtone n. 3-02024, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 febbraio 2016, è da intendersi sottoscritta dal deputato Cuomo che ne diventa il primo firmatario.

Cambio di presentatore ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta orale n. 3-01655, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 agosto 2015, è da intendersi presentata dall'onorevole Vico, già cofirmatario della stessa.

  L'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07280, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 dicembre 2015, è da intendersi presentata dall'onorevole Battaglia, già cofirmatario della stessa.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Franco Bordo n. 5-06929 dell'11 novembre 2015;
   interrogazione a risposta scritta Ricciatti n. 4-11751 del 21 gennaio 2016;

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori: 
   interrogazione a risposta in Commissione Lavagno n. 5-05080 del 19 marzo 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-02034;
   interrogazione a risposta scritta Spadoni n. 4-08863 del 21 aprile 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-02036;
   interrogazione a risposta in Commissione Nastri n. 5-00272 del 5 giugno 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-12187;
   interrogazione a risposta in Commissione Burtone n. 5-06047 del 15 luglio 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-02031;
   interrogazione a risposta in Commissione Patrizia Maestri e altri n. 5-06166 del 29 luglio 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-02032;
   interrogazione a risposta in Commissione Ferraresi e altri n. 5-06410 del 17 settembre 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-02033;
   interrogazione a risposta in Commissione Sarti e altri n. 5-07107 del 26 novembre 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-02035;
   interrogazione a risposta in Commissione Battaglia e Burtone n. 5-07280 del 22 dicembre 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-02037.