Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 12 febbraio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    il diritto alla mobilità, come sancito dall'articolo 16 della Carta costituzionale e dall'articolo ii-105 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, appare oggi non adeguatamente tutelato attraverso il sistema di trasporti esistente nel nostra Paese, con evidenti lacune e criticità per quanto riguarda il trasporto pubblico locale e regionale;
    il progressivo ampliamento delle aree urbane, determinato soprattutto dal processo di urbanizzazione, ha rafforzato il pendolarismo, incrementando ulteriormente la domanda di mobilità che secondo i dati più recenti, dopo la battuta di arresto registrata nell'arco della prima e più cruenta fase di crisi economico-finanziaria (2008-2012) è aumentata in maniera importante nell'ultimo triennio;
    nonostante l'accresciuta domanda di mobilità, proprio nelle aree urbane e metropolitane, dove si concentra più del 60 per cento della popolazione italiana, dove si svolge oltre il 70 per cento delle attività produttive e dove circola il 70 per cento dei veicoli, si registra una preoccupante riduzione dell'offerta di trasporto pubblico con particolare riferimento ai comuni capoluogo di provincia;
    a fronte di questa contrazione nell'offerta di trasporto pubblico, i dati Istat rilevano l'effetto crescita di spostamenti con mezzi privati, in particolar modo autovetture che si affermano quale modalità privilegiata nei collegamenti di breve e medio raggio con le aree metropolitane;
    da molto tempo il nostro Paese si contraddistingue per l'alto tasso di motorizzazione, secondo in Europa solamente al Lussemburgo. Il numero di automobili nell'arco dell'ultimo decennio, si è sempre mantenuto particolarmente elevato grazie all'incredibile rapporto di 60 unità ogni 100 abitanti;
    nel 2011 il parco veicolare italiano ha superato i 37 milioni di automobili e i 6,5 milioni di motocicli ed è in corso un processo di invecchiamento del parco mezzi privato, con conseguenze negative in termini di emissioni inquinanti e pericolo di incidentalità;
    tra le prime dieci città più congestionate d'Italia appaiono Milano e Roma, caratterizzandosi per velocità medie di spostamento inferiori ai 10 chilometri, e dove in media si perdono nel traffico rispettivamente circa 72,6 e 47,6 ore/anno. La congestione ha inoltre un costo elevato, stimato dalla Commissione europea in un intervallo compreso fra il 2 per cento e il 3 per cento del PIL;
    i tempi di percorrenza nelle aree a maggiore densità produttiva e abitativa sono aumentati in media, del 20-35 per cento, nell'ultimo decennio: nelle aree urbane la velocità media di spostamento nelle ore di punta è pari a 7-8 chilometri orari, con valori che, secondo uno studio di Confcommercio, sono in linea con quelli dei mezzi in circolazione nel 1700;
    la densità veicolare incide negativamente sull'ambiente, con ricadute sui livelli di inquinamento atmosferico e acustico e sull'occupazione del suolo, rappresentando un fenomeno ben lungi dal poter essere affrontato con interventi estemporanei e una tantum da parte delle amministrazioni comunali, come è capitato di vedere nel corso delle settimane tra fine dicembre 2015 e inizio gennaio 2016;
    è evidente che mancano strumenti dissuasivi della mobilità privata quali un'offerta efficiente di trasporto pubblico locale in grado di garantire un adeguato livello di accessibilità delle aree urbane e periurbane con servizi affidabili e di qualità e incentivi alla mobilità alternativa;
    si stima che nel nostro Paese la rete complessiva di trasporto pubblico locale aggiunga circa i 128 chilometri di lunghezza ogni 100 chilometri di superficie e l'offerta di Trasporto pubblico locale in Italia sia fortemente sbilanciata a favore del trasporto su gomma. Nel 2011, a fronte di una densità di rete di autolinee di 118: chilometri ogni 100 chilometri di superficie, le reti di trasporto su ferro presentano valori nettamente inferiori: 6,4 chilometri per la rete ferroviaria regionale, 1,6 chilometri per la rete tranviaria e 0,6 chilometri per la rete metropolitana;
    la densità di rete urbana appare territorialmente molto differenziata: si passa da città con oltre 200 chilometri di rete di trasporto locale ogni 100 chilometri di superficie comunale, a centri abitati che non raggiungono nemmeno 100 chilometri di rete ogni 100 chilometri il Centro-nord risulta maggiormente fornito di reti di trasporto pubblico urbano rispetto al Sud;
    nonostante il trasporto su ferro costituisca una valida risposta ai problemi di mobilità e congestione che caratterizzano i contesti urbani e soprattutto agli impegni di riduzione delle emissioni di CO2 imposti dall'Unione europea per il 2030, attualmente numerosi comuni capoluogo non presentano di fatto alcuna rete di trasporto pubblico locale su ferro;
    emergono, inoltre, dati negativi sulla qualità dei mezzi in circolazione, data l'anzianità del parco mezzi, che è pari a 11,6 anni tra servizio urbano ed extraurbano per quanto riguarda il parco mezzi su gomma rispetto a una media europea di 7 anni;
    per il trasporto su ferro nel 2012 si è registrata un'anzianità media del materiale rotabile superiore ai 20 anni per i mezzi di trazione e ai 30 anni per il materiale rimorchiato, con punte di oltre 60 anni per le locomotive diesel e di 80 anni per locomotive elettriche, materiale rimorchiato e carri merci;
    nel corso dell'esame del decreto-legge 30 dicembre 2015, n. 210, cosiddetto Milleproroghe 2016, è stato approvato un emendamento presentato dai datori che differisce di un anno l'entrata in vigore delle disposizioni dell'articolo 1, comma 866, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Stabilità 2016) relative alla istituzione e al finanziamento di un nuovo Fondo per il rinnovo dei parchi mezzi di trasporto pubblico locale ivi comprese le finalità del fondo – previste dalla legge approvata appena un mese prima – quali l'accessibilità per persone di ridotta mobilità, nonché la riqualificazione elettrica e la possibilità di noleggio dei mezzi, segnando così un ulteriore ritardo sulla strada per l'adeguamento e il miglioramento dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale;
    le criticità caratterizzanti il trasporto pubblico locale e regionale sono state recentemente ricordate dallo stesso Ministro delle infrastrutture e dei trasporti che in merito al rinnovo del parco mezzi ha sostenuto un presunto rilancio dell'azione di Governo in netta contrapposizione rispetto alle dinamiche politico-istituzionali richiamate;
    nel corso dell'esame del citato schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri riguardante la dismissione delle partecipazioni statali in Ferrovie dello Stato italiane spa, i vertici del gruppo Fsi auditi hanno chiaramente confermato l'estrema gravità in cui versano particolarmente due comparti: quello del trasporto pubblico locale e quello del trasporto merci, ancorché rappresentativi entrambi di comparti estremamente importanti e strategici per l'impatto che hanno sulle comunità territoriali quanto in ambito produttivo e commerciale. Le criticità sarebbero talmente profonde da rendere i settori scarsamente appetibili per gli azionisti privati riducendo in tal senso la potenzialità del sistema di trasporti rappresentato dal Gruppo Fsi Spa;
    la scarsa integrazione fra il trasporto ferroviario regionale e il trasporto metropolitano, inoltre, disincentiva il ricorso al Trasporto pubblico locale e non indirizza i cittadini ad un uso sempre più limitato del mezzo privato. Ciò si aggiunge, peraltro, alla persistente debolezza di piattaforme e sistemi intermodali che permetterebbero al cittadino-utente di combinare l'uso del proprio mezzo alla rete di Trasporto pubblico locale contribuendo quanto meno ad una riduzione della congestione e dell'inquinamento;
    anche il ricorso alla mobilità cosiddetta dolce è marginale, solo il 3 per cento degli spostamenti nelle città italiane con più di 300.000 abitanti avviene in bicicletta, a fronte del 13 per cento di Berlino e del 31 per cento di Copenhagen. Una marginalità che non è giustificabile solo con le condizioni orografiche e geomorfologiche delle realtà urbane e extraurbane ma che deriva sostanzialmente dalla sopracitata ridotta offerta di reti intermodali di trasporto pubblico;
    secondo i dati Istat relativi all'anno 2013, 38 capoluoghi di provincia hanno incrementato la propria dotazione di piste ciclabili, mentre 67 l'hanno lasciata invariata o lievemente ridotta, con evidenti disagi in termini di praticabilità, accessibilità e sicurezza per i cittadini-utenti;
    nella congestione dei nostri spazi urbani e suburbani è indispensabile che tutte le forme di trasporto siano orientate allo sviluppo sostenibile. Risulta pertanto fondamentale incentivare forme innovative di mobilità con riferimento all'approccio della cosiddetta sharing economy, come ad esempio la condivisione di un'automobile privata da parte di più utenti che si muovono per lavoro, studio o altre attività lungo lo stesso percorso e nei medesimi orari (meglio noto come car pooling). Al tempo stesso appare improcrastinabile, anche coerentemente con gli orientamenti dell'Unione europea, definire un quadro normativa organico che tuteli i diritti dei cittadini-utenti così come quelli degli operatori e in generale la libera concorrenza del settore dei servizi di trasporto delle persone non di linea;
    il 17 dicembre 2015 la IX Commissione ha approvato la risoluzione n. 7-00613 Dell'Orco e altri finalizzata ad incrementare le risorse per il trasporto pubblico locale di almeno 50 milioni di euro, dal gettito proveniente dal gioco d'azzardo, al fine di garantire l'accesso ai mezzi pubblici alle fasce più deboli della società e ai disoccupati;
    l'attuale politica dei trasporti a livello nazionale è orientata a promuovere e sostenere finanziariamente lo sviluppo della cosiddetta alta velocità, ovvero delle tratte e delle reti infrastrutturali e di trasporto che svolgono servizi a mercato con alto rendimento e crescente appetibilità per gli investitori privati. Un sistema dal quale nessun Paese può discostarsi ma che non può rappresentare l'unico, esclusivo elemento di attrazione delle attività finanziarie, politiche e infrastrutturali messe in atto da un Governo. Una condizione critica che secondo alcuni dati vedrebbe peraltro la stragrande maggioranza dei cittadini-utenti utilizzare maggiorente il trasporto regionale e interregionale, ovvero di corto-medio raggio invece che quello ad alta velocità e lungo raggio, nonostante quest'ultima riceva la maggior parte di investimenti per le ovvie ragioni di cui sopra;
    le grandi opere sostanzialmente realizzate con le finalità appena menzionate rappresentano secondo la stessa Corte dei Conti un elemento di scarsa capacità di spesa, spesso causa di un innalzamento del debito a fronte di risultati incerti e iter opachi. I magistrati contabili altresì hanno individuato per le grandi opere circa il 40 per cento di costi indiretti ovvero «costi di corruzione» sul totale dei costi di appalto. In tal senso appare utile richiamare la relazione dell'Unione sulla lotta alla corruzione in cui si riporta che per la realizzazione delle tratte ad alta velocità in Francia, Spagna e Giappone il costo medio per chilometri è all'incirca di 10 milioni di euro, mentre in Italia lo stesso costo è stato di oltre 47 milioni di euro per la Roma-Napoli, di quasi 80 milioni di euro per la Novara-Milano e ben oltre 95 milioni di euro per la Bologna-Firenze,

impegna il Governo:

   a dare tempestiva applicazione, con il previsto concorso delle regioni e degli enti locali, alla risoluzione n. 7-00613 Dell'Orco e altri tesa ad aumentare di almeno 50 milioni di euro le risorse per il Trasporto pubblico locale, elevandole dal gettito proveniente dal gioco d'azzardo, al fine di garantire l'accesso ai mezzi pubblici alle fasce più deboli della società e ai disoccupati;
   ad assumere iniziative per prevedere, nelle more del differimento dell'entrata in vigore della disposizione di cui all'articolo 1, comma 866, della legge n. 208 del 2015 citata in premessa, quanto meno il perseguimento delle finalità previste dal predetto Fondo, quali l'adeguamento dei mezzi per migliorare l'accessibilità delle persone con ridotta mobilità e la riqualificazione elettrica come prima misura sistemica per affrontare le gravi e persistenti problematiche ambientali derivanti dall'impiego di mezzi di trasporto a combustione;
   ad assumere iniziative per sviluppare un sistema di trasporto pubblico integrato, da un punto di vista sia modale che tariffario, al fine di offrire ai cittadini-utenti alternative, efficaci e efficienti, all'autotrasporto privato, capace di rispondere alle esigenze di mobilità sostenibile delle persone;
   ad assumere iniziative per prevedere lo stanziamento di risorse finalizzate ad adeguare i servizi di trasporto di corto-medio raggio rispetto a quelli di lungo raggio, intervenendo:
    a) sulla programmazione delle linee ferroviarie locali aumentandone le corse;
    b) sulla puntualità garantendola anche attraverso un'attenta analisi preventiva dei dati a disposizione al fine di evitare che la programmazione pur apparendo adeguata in termini teorici non lo risulti successivamente in termini pratici;
    c) sul sistema manutentorio con controlli e verifiche ciclici che permettano a fronte dell'elevata età media del materiale rotabile di offrire comunque un servizio efficiente e sicuro ai cittadini-utenti;
   ad assumere iniziative di competenza finalizzate a incentivare, anche con sistemi premiali nei confronti delle amministrazioni locali e regionali, delle realtà societarie e/o aziendali e degli individui:
    a) la pianificazione e realizzazione di corsie preferenziali per il trasporto pubblico al fine di migliorare le performance del servizio e al tempo stesso ridurre le congestioni a livello urbano e suburbano;
    b) l'installazione di paline elettroniche e sistemi di immediata comunicazione complementari lungo le linee di Trasporto pubblico locale al fine di garantire la massima e tempestiva informazione riguardo ai servizi;
    c) la pianificazione e l'allestimento di piattaforme intermodali e di punti di snodo che permettano lo scambio di mezzi privati-pubblici e pubblici-pubblici con massima attenzione alla qualità del servizio e sostenibilità in termini ambientali e sociali;
    d) la scelta nell'impiego di modalità e di mezzi di trasporto urbano e suburbano a basso impatto ambientale, prevedendo in particolare:
     1) per quanto concerne la mobilità dolce nelle aree con caratteristiche orografiche e geomorfologiche disagevoli, incentivi all'acquisto di biciclette a pedalata assistita;
     2) per quanto concerne il ricorso sistematico ai mezzi pubblici, la detraibilità dell'acquisto degli abbonamenti;
     3) per quanto concerne il car pooling la regolamentazione del ricorso al medesimo così da rafforzare e adeguare al contesto attuale la normativa sulla mobilità sostenibile di cui al decreto del Ministro dell'ambiente del 27 marzo 1998, impegnando e promuovendo (con la combinazione di strumenti sanzionatori nel caso di inadempimento e di incentivazione, come ad esempio benefici fiscali) società ed enti pubblici con più di 250 addetti ad attivare sul proprio sito internet e sulle eventuali piattaforme di social network appositi spazi informativi sul car pooling al fine di permettere agli addetti di organizzarsi per condividere il tragitto casa-lavoro;
   e) la ideazione e l'adozione di un piano globale della mobilità ciclabile urbana e suburbana che non si sviluppi solo con la realizzazione di nuove piste ciclabili o nell'adeguamento di quelle esistenti ma che preveda velostazioni, ciclo parking dislocati nei vari quartieri, spazi adeguati sui mezzi di Trasporto pubblico locale per le bici;
    a strutturare in termini normativi e tecnici una rete intermodale del trasporto merci sviluppando al più basso impatto, in termini ambientali e sociali, i collegamenti tra porti, aeroporti, stazioni ferroviarie e città al fine di efficientare le reti infrastrutturali esistenti.
(1-01152) «Carinelli, Nicola Bianchi, De Lorenzis, Dell'Orco, Liuzzi, Paolo Nicolò Romano, Spessotto, D'Incà».

Risoluzioni in Commissione:


   La VII e l'XI Commissione,
   premesso che:
    entro la fine del mese di marzo 2016, ottemperanza a quanto stabilito dal decreto legge del 1o febbraio 2015 convertito dalla legge n. 107 il 13 luglio 2015, si terrà il concorso a cattedre per la scuola dell'infanzia, la primaria, la secondaria ed il sostegno;
    il concorso è rivolto ad insegnanti abilitati (o che abbiano sostenuto il (tirocinio formativo attivo), diplomati presso la scuola superiore magistrale entro il 2001/02 e ad insegnanti abilitati al sostegno (per posti di sostegno);
    per quanto concerne le modalità delle prove da sostenere, la legge n. 107 prevede che debbano essere sostenute due prove (scritte ed orali ed una eventuale prova pratica limitatamente alla scuola secondaria di I e II grado e per il sostegno);
    il numero dei posti messi a bando per l'assunzione a tempo indeterminato nella scuola è previsto in 63.712, suddivisi in 52.828 posti comuni, 5.766 posti di sostegno, 5.118 posti per il potenziamento, per un totale di candidati che dovrebbe aggirarsi intorno alle 200.000 unità;
    i 52.828 posti comuni saranno a loro volta suddivisi in circa 6.800 insegnanti per la scuola dell'infanzia, 15.900 circa per la scuola primaria, 13.800 circa per la scuola secondaria di I grado e 16.300 circa per la scuola secondaria di II grado;
    dal concorso a cattedre 2016 sono, al momento, esclusi gli insegnanti di 3ª fascia ovvero quei docenti in possesso di titoli idonei all'insegnamento, tra cui la laurea a ciclo unico ed addirittura con servizio su sostegno che prevede una abilitazione su materia nonché una apposita e costosa specializzazione;
    a questi docenti, che svolgono le stesse mansioni dei loro colleghi abilitati, viene impedito di abilitarsi se non forse con l'ultimo ciclo di tirocinio formativo attivo che già prevede una selezione e che non garantisce il posto;
    nei Paesi scandinavi, i cui studenti si trovano tra le migliori posizioni nel rapporto OECD-Pisa della valutazione internazionale, dopo la laurea si va a insegnare e i docenti vengono assunti direttamente dalle scuole;
    in Francia invece bisogna passare un concorso pubblico il cui requisito è la Bac+3 (cioè diploma di maturità + laurea breve), mentre in Spagna, forse più vicina all'Italia come cultura, si richiede l'abilitazione per accedere al concorso, ma questa si prende attraverso un master post-laurea, aperto a tutti, con cadenza annuale e a costi accessibili,

impegnano il Governo

a valutare l'opportunità di estendere la partecipazione al concorso a cattedre 2016 di cui in premessa anche agli insegnanti rientranti nella 3a fascia, con un contratto in essere da almeno due anni all'interno della scuola pubblica statale.
(7-00920) «Buttiglione, Bosco, Pagano».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    tenuto conto delle esigenze manifestate dai soggetti tenuti alla trasmissione dei dati e della necessità di assicurare l'invio di informazioni il più possibile corrette e complete ai fini della predisposizione della dichiarazione precompilata, in considerazione del fatto che si tratta del primo anno di avvio della trasmissione dei dati delle spese sanitarie, l'Agenzia delle entrate ha stabilito con provvedimento n. 14464/2016 che la comunicazione al sistema tessera sanitaria relativa alle spese, sanitarie sostenute dagli assistiti nel periodo d'imposta 2015 ed ai relativi rimborsi, deve essere effettuata dalle strutture sanitarie, dai medici e dalle farmacie entro il 9 febbraio 2016 in luogo del 31 gennaio;
    lo spostamento dei termini comporterebbe quindi lo slittamento delle scadenze successive relative agli adempimenti dei contribuenti, dei CAF e dei professionisti abilitati; 
    l'Agenzia delle entrate per poter predisporre la dichiarazione dei redditi precompilata, oltre ad attingere ai dati di cui è già in possesso, deve acquisire una serie di dati da soggetti terzi inerenti ai redditi percepiti dal contribuente, alle ritenute subite e alle addizionali trattenute dal sostituto di imposta, nonché alle spese, detraibili a quelle deducibili sostenute nell'anno dal contribuente;
    le suddette informazioni pervengono all'Agenzia delle entrate tramite la comunicazione unica che i sostituti di imposta sono obbligati a trasmettere entro il 7 marzo di ogni anno e tramite le comunicazioni che i soggetti eroganti mutui agrari e fondiari, le imprese assicuratrici, gli enti previdenziali e le forme pensionistiche complementari devono inviare entro il 28 febbraio di ciascun anno;
    pur nella consapevolezza che l'introduzione di un apparato sanzionatorio così pesante volto a punire il ritardo o l'omissione dell'invio di tali comunicazioni sia finalizzato a scongiurare mancanze di informazioni che paralizzerebbero l'intero processo, tuttavia la grande mole di dati da trasmettere e le stringenti tempistiche previste rischiano di sottoporre i soggetti interessati a margini di errore consistenti;
    la previsione di un maggior lasso di tempo potrebbe migliorare il lavoro degli operatori riducendo il margine di errore ed evitando così che i fisiologici ritardi che si accumulano durante il processo ricadano unicamente su di loro;
    nel 2015, anno di introduzione sperimentale della dichiarazione dei redditi precompilata, la proroga al 23 luglio, sostanzialmente, non ha prodotto particolari disagi ai contribuenti e i rimborsi fiscali sono stati erogati con le retribuzioni o le pensioni, alle scadenze abituali;
    nel corso della seduta del 10 febbraio 2016, in sede di esame del cosiddetto «decreto milleproroghe» di cui al decreto-legge 30 dicembre 2015, n. 210, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative, è stato accolto dal Governo l'ordine del giorno n. 9/3513-A/111, che impegna l'esecutivo a valutare l'opportunità di concedere ai CAF-dipendenti, nell'ambito delle attività di assistenza fiscale, un margine ulteriore di tempo per trasmettere in via telematica all'Agenzia delle entrate le dichiarazioni predisposte,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per modificare il termine previsto dall'articolo 16, comma 1, del decreto ministeriale 31 maggio 1999, n. 164, così come modificato dall'articolo 4, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175, affinché i CAF-dipendenti, nell'ambito delle attività di assistenza fiscale, provvedano a trasmettere in via telematica all'Agenzia delle entrate, le dichiarazioni predisposte entro il 23 luglio di ciascun anno a condizione che entro il 7 luglio dello stesso anno abbiano effettuato la trasmissione di almeno il 70 per cento delle medesime dichiarazioni, dando altresì al contribuente la facoltà di inviare all'Agenzia delle entrate direttamente in via telematica la dichiarazione precompilata entro il 23 luglio di ciascun anno senza determinarne conseguenze in termini di sanzioni e interessi.
(7-00919) «Ribaudo, Pelillo, Bonifazi, Capozzolo, Carbone, Carella, Causi, Currò, De Maria, Marco Di Maio, Cinzia Maria Fontana, Fragomeli, Fregolent, Ginato, Gitti, Lodolini, Moretto, Petrini, Sanga, Zoggia».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   La sottoscritta chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   il cosiddetto rimpasto di Governo effettuato la settimana scorsa ha confermato la mancanza di un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con la delega per le sostanze stupefacenti;
   tale decisione, purtroppo, non tiene conto di numerosi appuntamenti istituzionali che hanno a che fare con le sostanze proibite e che devono esser gestiti con scelte politiche chiare, tempestive e, in discontinuità con quanto detto e fatto in passato;
   a metà marzo 2016 si terrà l'ultimo appuntamento della Commissione droghe dell'ONU che dovrà preparare la sessione speciale dell'Assemblea generale (UNGASS) sugli stupefacenti prevista dal 19 al 21 aprile di quest'anno;
   la sesta conferenza nazionale sulle droghe, che non viene convocata dal 2009, deve fare il punto sulle leggi e politiche in materia di sostanze e dipendenze nel nostro Paese;
   nel novembre 2015 si è avviato l'iter parlamentare, per una proposta di legalizzazione della cannabis e suoi derivati;
   più analiticamente si segnala il fatto che da circa due anni è iniziato il processo negoziale dell'UNGASS che porterà al Palazzo di Vetro ad aprile 2016, malgrado più volte si sia cercato di sollecitare l'attenzione dell'Esecutivo, a oggi non è chiaro chi rappresenterà il Governo all'ONU, quale sarà la sua posizione e quali saranno le priorità circa temi da proporre o sostenere in quella occasione;
   nel novembre 2015, nel rispondere ad alcune interrogazioni parlamentari, il Governo confermava d'aver accantonato i fondi per la convocazione della conferenza nazionale senza però aver individuato un luogo, una data e un formato per la tenuta dell'appuntamento previsto dalla legge;
   pur esprimendo un plauso per l'iniziativa, si segnala che quando si arriverà a votare emendamenti e articoli sarà necessario che il Governo esprima il proprio parere in merito alle soluzioni di regolamentazione legale proposte;
   dopo l'immane lavoro necessario per la relazione al Parlamento dell'anno scorso, per il 2016 sarebbe auspicabile non solo la composizione di un documento più coerente e di più agevole lettura, ma anche cogliere l'occasione della pubblicazione del testo per suscitare un dibattito istituzionale e pubblico e non relegare sugli scaffali il prezioso lavoro di Ministeri, istituzioni ed esperti –:
   se sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa e, nell'eventualità positiva, ferma restando la posizione dell'Unione europea, quale iniziative e proposte intenda assumere il Governo relativamente al processo negoziale in atto sulla preparazione dei documenti finali della Sessione Speciale dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite (UNGASS) sulle droghe, che si svolgerà dal 19 al 21 aprile 2016, con particolare riferimento alla necessità di garantire un «dibattito inclusivo e aperto» – come più volte affermato dagli Stati membri dell'Unione europea;
   se non si ritenga utile adoperarsi affinché l'Assemblea generale dell'ONU di New York possa completare ad aprile 2016, e quindi adottare, le bozze di documenti preparati dalla Commissione droghe delle Nazioni unite di Vienna, temi più volte evocati, anche dal nostro Paese, nel processo preparatorio, ma al momento non inclusi in modo soddisfacente nel documento, noto anche come «Zero Draft» che sarà discusso a Vienna, per arricchire il testo con chiari riferimenti alle ripercussioni dell'attuale sistema del controllo delle droghe su: diritti umani, ivi compresa la, pena di morte; salute ovvero riduzione dei rischi e dei danni; sovraffollamento carcerario; accesso alle medicine essenziali.
(2-01271) «Bechis».

Interrogazione a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo recenti fonti di stampa, la banca americana Jp Morgan che, in coppia con Mediobanca, sarebbe consulente del Ministero dell'economia e delle finanze per la costituzione della bad bank, ovvero il veicolo a cui le banche italiane dovrebbero trasferire i loro crediti deteriorati per alleggerire i bilanci, avrebbe inviato ai suoi investitori e clienti un report in cui consiglierebbe di evitare gli istituti bancari italiani, con parole inequivocabili: « Avoid italian banks», che letteralmente significa «evitare le banche italiane»;
   secondo quanto rivelato dal Corriere della sera, a inizio gennaio Jp Morgan, che ha chiuso il 2015 con un utile record di 24,4 miliardi di dollari, in un passaggio del suo report, spiegherebbe che la situazione in Italia continua «a mettere pressione sulle banche» e aggiungerebbe che «la copertura dei crediti deteriorati delle banche potrebbe dover essere aumentata, in questo modo limitando le prospettive di guadagno», e infine, confrontando il nostro Paese con altri partner dell'Unione europea dichiarerebbe che «qualche luce alla fine del tunnel si vede per la Spagna, ma ulteriori pressioni in Italia»;
   Jp Morgan sarebbe da molti anni nella lista dei cosiddetti «specialisti in titoli di Stato», ovvero banche internazionali che di fatto gestiscono il debito pubblico italiano, organizzando aste, collocamenti e garantendo anche una percentuale di acquisti dei vari Btp e Bot –:
   se il Governo sia al corrente di quanto esposto in premessa e quale sia il suo orientamento in merito;
   se non si intenda chiarire secondo quali criteri e procedure sia stato scelto questo istituto americano per un compito così delicato come la consulenza per la costituzione della bad bank;
   se non si consideri per lo meno inopportuno un comportamento del genere da parte di un istituto consulente del Ministero dell'economia e delle finanze italiano, pagato per aiutare le banche italiane a risollevarsi, se non intenda dunque attivarsi in merito e, in tal caso, quali iniziative intenda assumere nei confronti della Jp Morgan, per tutelare l'economia del nostro Paese. (4-12085)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   SORIAL, COMINARDI e ALBERTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a Brescia, in questi giorni, della terra inquinata da PCB (policlorobifenili), frutto dei lavori di bonifica delle aree esterne delle scuole Calvino e Deledda in corso, sarebbe stata depositata senza nessun tipo di copertura né indicazione, a pochi metri da un passaggio pedonale che porta ad una zona residenziale e ad un parco giochi;
   secondo quanto dichiarato alla stampa locale dal membro del consiglio d'Istituto comprensivo di Brescia Sud2, Guido Menapace, la terra inquinata sarebbe umida ma certamente a rischio di dispersione nella zona circostante, essendo stata semplicemente ammucchiata senza nessun tipo di protezione o misura di contenimento, con il rischio evidente di contaminazione dell'area circostante;
   nella città di Brescia esiste da anni un'emergenza sanitaria e ambientale di inquinamento da PCB (policlorobifenili) e diossine, che interessa vaste aree collocate nel comune di Brescia, limitrofe alla ex fabbrica Caffaro (sito di interesse nazionale), dove vivono più di 25 mila tra uomini, donne e, naturalmente anche bambini, che sono a tutt'oggi a rischio;
   tale inquinamento è dovuto principalmente alle attività pregresse dello stabilimento chimico Caffaro spa attualmente di proprietà della società Chimica Emilio Fedeli spa, attivo dall'inizio del 1900 nella produzione di vari composti derivati dal cloro, ora in disuso, che dagli anni trenta fino a metà degli anni ’80 ha prodotto migliaia di tonnellate del pericoloso cancerogeno PCB, sversandone centinaia di tonnellate allo stato puro nell'ambiente circostante;
   il primo firmatario del presente atto aveva già posto all'attenzione del Governo il problema dell'inquinamento da Pbc con diversi atti di sindacato ispettivo a tutt'oggi rimasti senza risposta, nonostante, si sia proceduto anche a presentare un sollecito il 25 novembre 2015: l'interrogazione n. 4-05444 dell'8 luglio 2014 e l'interrogazione n. 4-00705 che risale addirittura al 4 giugno del 2013;
   la pericolosità dei PCB e le loro potenzialità tossiche sono tristemente note dagli anni settanta: l'esposizione ai PCB, al di sopra dei limiti evidenziati dalla ricerca medico-scientifica e definiti dal legislatore, avrebbe effetti patogeni di vario tipo: alterazioni al funzionamento di fegato e pancreas, alterazioni a carico del sistema immunitario, fino al loro grave e riconosciuto effetto cancerogeno (IARC 2013);
   secondo i dati ufficiali dell'Istituto superiore di sanità, esiste un significativo aumento nella popolazione bresciana rispetto al resto del Nord Italia di tumori al fegato (+58 per cento), tumori al seno (+26 per cento), linfomi non-Hodgkin (+20 per cento), aumento che, secondo l'istituto, sarebbe in stretta relazione con il forte inquinamento da PCB di cui sopra;
   le due scuole bresciane Calvino e Deledda da ben 15 anni non hanno più un giardino a causa di questo inquinamento e della sua mancata risoluzione, e al momento risulterebbero chiuse per i lavori della bonifica che sembrerebbero andare avanti a rilento già da anni –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente dei fatti esposti in premessa e se non intendano attivarsi, per quanto di competenza, affinché sia fatta chiarezza sui motivi di quanto accaduto, sulle responsabilità di un comportamento simile e sui rischi che ne deriverebbero per gli abitanti della zona, prima di tutto i minori, affinché sia difeso il fondamentale diritto alla salute dei cittadini coinvolti;
   se non intendano adoperarsi urgentemente e in che modo per allertare la popolazione residente nella zona interessata circa il pericolo legato al cumulo di terra in questione e, al contempo, se non intendano intervenire immediatamente, per quanto di competenza, per la messa in sicurezza della zona, procedendo anche ad un monitoraggio dei dintorni in modo da capire se vi sia già stata dispersione e dunque contaminazione;
   quale sia il punto della situazione, ad oggi, della bonifica da Pcb delle due scuole bresciane di cui in premessa. (4-12086)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MATARRELLI, SEGONI, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   si discute molto sulla situazione delle banche Italiane: i «crediti deteriorati» – non performing loans in inglese – sono attività che non riescono più a ripagare il capitale e gli interessi dovuti ai creditori. Si tratta in pratica di crediti per i quali la riscossione è incerta sia in termini di rispetto della scadenza sia per ammontare dell'esposizione;
   questi ultimi crediti incagliati, per quel che riguarda il sistema bancario italiano, constano in 200 miliardi di euro secondo la Banca d'Italia, 350 miliardi di euro secondo il quotidiano « Economist» e secondo analisti indipendenti arrivano a 400 miliardi di euro;
   la Banca mondiale ha pubblicato una tabella nella quale, i non performing loans che gravano sul sistema creditizio dell'Italia sarebbero in crescita accelerata, erano all'11,7 per cento nel 2011, sono passati al 17,3 per cento nel 2014 ed alla chiusura del 2015, secondo le stime più ottimistiche hanno superato di slancio il 20 per cento del totale degli impieghi, cioè di tutti i finanziamenti concessi alla clientela ordinaria;
   nonostante questi dati preoccupanti il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha recentemente dichiarato: «Le banche italiane sono campioni in Europa»;
   secondo Borsa italiana la borsa di Milano nel suo complesso a fine dicembre 2015 capitalizzava tra i 573 ed i 574 miliardi di euro nel suo complesso e le banche, nel loro complesso, meno di 124 miliardi di euro e, tutti sanno di quali fortissimi ribassi siano stati oggetto i titoli azionari bancari nel gennaio 2016;
   alcuni giorni fa la Vigilanza della Banca centrale europea (Ssm – Single Supervisory Mechanism – meccanismo di controllo unico) ha inviato una richiesta di informazioni aggiuntive sui «crediti deteriorati» (Npl); la richiesta riguarda l'analisi dei portafogli di Montepaschi, Unicredit, Banco Popolare, Popolare di Milano, Popolare dell'Emilia Romagna e Carige;
   ad oggi in media le banche italiane valutano a bilancio i loro «crediti deteriorati» al 44 per cento del loro valore nominale (stando agli ultimi dati di Bankitalia), cioè su ogni euro di credito deteriorato contano di recuperare 44 centesimi. Nel momento in cui la BCE deciderà di applicare le stesse valutazioni imposte al «salva-banche» del 22 novembre 2015, i crediti deteriorati saranno svalutati fino al 17 per cento del loro valore nominale. Questo farà emergere i «buchi» nei bilanci delle banche;
   sono oggetto dell'analisi da parte dell'organismo di vigilanza della BCE «strategia, governo, processi e metodologia adottati»: vale a dire che gli ispettori della vigilanza bancaria europea unica dovranno valutare: 1) il rischio di modello imprenditoriale e di redditività, 2) rischio di credito, 3) adeguatezza patrimoniale, 4) governo dei rischi e qualità dei dati, 5) liquidità; in buona sostanza si finirà per porre l'attenzione sul valore a cui le sofferenze dei crediti deteriorati sono iscritte a bilancio;
   di conseguenza, gli istituti dovranno accantonare oltre 50 miliardi di euro per far fronte alle possibili perdite nell'ipotesi più favorevole al sistema bancario italiano e cioè quella che segnala che il sistema bancario italiano abbia 200 miliardi di euro di «crediti deteriorati»;
   una volta che il sistema di controllo dell'Unione europea imporrà la svalutazione dei crediti deteriorati, saranno creati, con una semplice operazione contabile, dei preoccupanti «buchi» nei bilanci delle banche; pertanto molto probabilmente non rimarrà che attuare le soluzioni drammatiche che sono state votate anche al Parlamento europeo;
   o si attuerà un aumento di capitale, attraverso la raccolta pubblica di risparmio e l'emissione di nuove azioni, o si sarà venduti ad una banca estera o si attuerà l'ormai famigerato «bail-in»;
   intanto, con Bruxelles ed il commissario europeo alla concorrenza Margaret Vestaver si sta negoziando la creazione di meccanismo per facilitare la compravendita dei crediti bancari deteriorati, allorché vengano cartolarizzati e ceduti a soggetti esterni consentendone, quindi, l'uscita dai bilanci degli istituti bancari;
   l'obiettivo della cosiddetta « bad bank», cioè della creazione di una banca che accumula titoli deteriorati, è di trasferire le attività di cattiva qualità in questa società che verrebbe chiamata a gestirle, a ristrutturarle e a rivenderle;
   il nodo reale tra Bruxelles e Roma riguarderà a questo punto le valutazioni dei crediti inesigibili, per i quali sarebbe inaccettabile una valutazione superiore a quella operata per mezzo dell'intervento legislativo conosciuto come «salva banche», poiché difficilmente sopportabile dall'opinione pubblica che invocherebbe un «salva banche 2»; nemmeno potrà essere applicabile l'uso eventuale di denaro pubblico, a causa dello spettro dell'aiuto di Stato, quand'anche si trovasse una tale disponibilità;
   una seconda proposta è stata inoltrata dall'Italia a Bruxelles e prevede tra l'altro che sia concessa una garanzia pubblica «a richiesta» per le banche che attiveranno società veicolo cui trasferire i crediti deteriorati;
   l'uso di denaro pubblico potrebbe anche essere considerato ma ad alcune condizioni inderogabili per le banche che ne faranno domanda:
    1) divieto di pagare dividendi per almeno 36 mesi;
    2) ricambio totale del management;
    3) azione di responsabilità obbligatoria in tutti i casi in cui ci si sia evidenza di «mala gestio» o di prestiti in conflitto di interesse;
    4) nuove regole per evitare che tali conflitti d'interesse possano ripetersi in futuro –:
   se sia a conoscenza dei dati riportati in premessa;
   se consideri fondati i dati diffusi relativamente al valore complessivo dei crediti in sofferenza negli istituti di credito italiani;
   se ed attraverso quali procedure intenda verificare, per quanto di competenza, l'esattezza dei preoccupanti dati riportati dal quotidiano «Economist» indicati in premessa;
   se e quali iniziative intenda assumere per evitare che l'applicazione delle nuove regole imposte dal meccanismo unico di vigilanza della BCE di analisi dei bilanci degli istituti bancari italiani e la conseguente ulteriore svalutazione dei crediti deteriorati provochino, di riflesso, il ricorso al «bail-in» da parte delle banche italiane. (5-07776)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   entro l'ultimo giorno del mese di febbraio di ogni anno i datori di lavoro devono presentare all'INAIL la dichiarazione delle retribuzioni per via telematica, comprensiva dell'eventuale comunicazione del pagamento in quattro rate (ai sensi delle leggi n. 449 del 1997 e n. 144 del 1999), nonché della domanda di riduzione del premio artigiani (ai sensi della legge n. 296 del 2006), utilizzando i servizi telematici «Invio dichiarazione salari» o «AL.P.I. online»;
   entro il 16 febbraio di ogni anno i datori di lavoro devono: calcolare il premio anticipato per l'anno in corso (rata) e il conguaglio per l'anno precedente (regolazione), conteggiare il premio di autoliquidazione dato dalla somma algebrica della rata e della regolazione, pagare il premio di autoliquidazione utilizzando il modello di pagamento unificato F24 o il modello di pagamento F24 EP (enti pubblici);
   sul sito web dell'INAIL (Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro), nella sezione «servizi online», gli utenti in possesso delle relative credenziali (aziende, altri soggetti assicuranti e loro intermediari) hanno a disposizione diversi servizi tra cui «AL.P.I. online»;
   come accennato, «AL.P.I. online» è il servizio che permette di presentare le dichiarazioni delle retribuzioni, comunicare la volontà di pagare o meno il premio in quattro rate e presentare la domanda di riduzione dei premi artigiani di cui alla legge n. 296 del 2006 per un determinato codice ditta. In particolare, il servizio acquisisce automaticamente dagli archivi INAIL le basi di calcolo dello specifico codice ditta e calcola il premio dovuto. Se è stato indicato di voler pagare il premio in quattro rate il servizio conteggia gli importi da pagare per ogni rata, inclusi gli interessi della seconda, terza e quarta rata. L'utente riceve per posta elettronica la ricevuta con la riproduzione della dichiarazione trasmessa;
   in data 1o febbraio 2016, con una nota inoltrata via mail alla direzione generale INAIL, il presidente del consiglio nazionale dell'ordine dei consulenti del lavoro segnalava un cattivo funzionamento del sito web dell'INAIL, nonostante fossero stati già segnalati alcuni problemi e ci fosse stato un primo intervento di manutenzione, a quanto pare non efficace;
   quello che sta preoccupando di più la categoria è che questi disservizi sono iniziati subito dopo la messa in linea della procedura AL.P.I. online: a un mese, quindi, dalla scadenza del pagamento dei premi, in un periodo in cui verosimilmente non si è ancora realizzato il picco massimo degli accessi. Conseguentemente, si ritiene che in prossimità della scadenza del 16 febbraio 2016, la situazione non possa che peggiorare;
   il risultato di questa precarietà informatica è la necessità, per i consulenti del lavoro, di trasmettere i file nei momenti di minor utilizzo del sito, cioè in orari notturni e festivi, situazione di certo non tollerabile –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di rispettiva competenza, non intendano prendere in considerazione l'eventualità di assumere iniziative per una immediata proroga del termine di pagamento dei premi, per impossibilità oggettiva di procedere all'adempimento, al fine di non far ricadere sull'utenza disservizi e mancanze imputabili esclusivamente all'ente. (4-12076)


   COLONNESE, LUIGI GALLO, SIBILIA e PETRAROLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nell'ottobre 2015 sono stati pubblicati dalla Gazzetta Ufficiale i bandi di gara per la concessione da 6 a 50 anni di 11 fari di proprietà della Stato, 7 gestiti dall'Agenzia del demanio e 4 dal Ministero della difesa;
   l'articolo 3-ter del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 410 del 2001; l'articolo 5-quinquies del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2005; l'articolo 58 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008; l'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, l'articolo 9, comma 5, del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85 (legge sul federalismo demaniale); l'articolo 33 e il 33-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni dalla legge n. 111 del 2011, l'articolo 66 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012; l'articolo 1, comma 443, della legge 24 dicembre 2012, n. 228; l'articolo 55-bis, commi 10 e 11, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98, del 2013; l'articolo 26 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014, sono volti ad assicurare gli strumenti di coordinamento tra i vari soggetti pubblici e privati al fine di facilitare le operazioni di valorizzazione e successiva vendita del patrimonio immobiliare;
   all'Agenzia del demanio sono attribuite le competenze istituzionali in materia di gestione, valorizzazione, anche a fini economici, e dismissione dei beni immobili di proprietà dello Stato. In attuazione di tale compito, l'Agenzia, congiuntamente a Invitalia e ANCI-FPC e con la partecipazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e dei turismo, del Ministero dello sviluppo economico e di altri soggetti pubblici interessati – CDP, Istituto per il credito sportivo, Confindustria, AICA, ANCE, Assoimmobiliare, e altri – ha avviato «Valore Paese – DIMORE»: iniziativa diffusa a scala nazionale e finalizzato alla valorizzazione del patrimonio pubblico di pregio storico, artistico, paesaggistico a fini turistico-culturali, con l'obiettivo di potenziare lo sviluppo dei territori e di promuovere l'eccellenza italiana (paesaggio, arte, storia, musica, moda, design, industria creativa, innovazione, enogastronomia);
   l'Agenzia del demanio pubblicava sul proprio sito dal 12 febbraio al 31 maggio 2013, un invito a manifestare interesse per la partecipazione al progetto «Valore Paese – DIMORE», rivolto agli enti territoriali e ad altri enti pubblici proprietari di immobili non strumentali e suscettibili di valorizzazione, nell'obiettivo di ampliare il portafoglio inizialmente selezionato per l'avvio del progetto e composto da soli immobili di proprietà dello Stato, attraverso l'individuazione di ulteriori immobili pubblici, in modo tale da ottenere un portafoglio misto costituito da beni di proprietà dello Stato, degli enti territoriali e di altri enti pubblici, anche acquisiti dagli enti territoriali ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, (cosiddetto «federalismo demaniale culturale»), nonché da beni pubblici affidati in concessione a privati (ad esempio, Villa Tolomei a Firenze, Faro di Capo Spartivento, Dogana Vecchia a Molfetta, e altri);
   l'invito ha avuto un riscontro positivo e a dicembre 2013, il portafoglio era costituito complessivamente da 225 beni;
   dal 31 dicembre 2013, in seguito al conferimento di 18 beni (di cui le 2 best practices, Villa Tolomei a Firenze e Dogana Vecchia a Molfetta) al fondo immobiliare FIV-Comparto Extra di CDP Investimenti SGR, il portafoglio conosce oggi un aggiornamento, risultando complessivamente composto da 208 beni;
   nell'ambito di DIMORE, si inserisce il progetto «Valore Paese – FARI», promosso dall'Agenzia e dal Ministero della difesa. Il progetto interessa una rete di fari da valorizzare secondo un modello di lighthouse accommodotion secondo cui i fari potranno accogliere attività turistiche, ricettive, ristorative, ricreative, didattiche, promozionali, insieme ad iniziative ed eventi di tipo culturale, sociale, sportivo e per la scoperta del territorio;
   sono state costituite ad hoc due Commissioni, una per l'Agenzia del demanio e l'altra per il Ministero della difesa, per verificare la correttezza formale della documentazione presentata dai partecipanti. Le proposte idonee saranno valutate secondo il criterio dell'offerta «economicamente più vantaggiosa», data dalla proposta progettuale valutata con punteggio pari al 60 per cento e dalla proposta economica, a cui può essere assegnato un punteggio massimo pari al 40 per cento. La valutazione della proposta progettuale terrà conto di elementi qualitativi quali: soluzioni di recupero del faro, manutenzione, fruibilità pubblica, contributo allo sviluppo locale sostenibile e la possibilità di creare un network tra più strutture, attraverso una rete di servizi e attività condivise. Alla scadenza del 12 gennaio 2016, termine ultimo di presentazione delle offerte, sono arrivate 39 proposte per il recupero e il riuso di un primo portafoglio di fari di pregio storico e paesaggistico lungo le coste italiane;
   i beni inseriti nel progetto Valore Paese – FARI si trovano in Sicilia, Calabria, Campania, Puglia e Toscana. All'interno dell'elenco sono presenti il Faro di Brucoli ad Augusta (SR), il Faro di Murro di Porco a Siracusa (SR), il Faro di Capo Grosso nell'Isola di Levanzo – Favignana (TP), il Faro di Punta Cavazzi ad Ustica (PA), il Faro di Capo d'Orso a Maiori (SA), il Faro di Punta Imperatore a Forio d'Ischia (NA), il Faro di San Domino alle Isole Tremiti (FG) e dei quattro proposti dal Ministero della difesa: Faro Punta del Fenaio e Faro di Capel Rosso sull'Isola del Giglio (GR), Faro Formiche di Grosseto e Faro di Capo Rizzuto a Isola di Capo Rizzuto (KR);
   fonti on-line fanno riferimento alla possibilità di cedere in sub-concessione le attività e al possibile riconoscimento ai concessionari del diritto di prelazione per l'acquisto dei beni al prezzo di mercato a conclusione delle relative concessioni;
   linea con il «Piano strategico turismo 2020» e con la programmazione comunitaria 2014-2020, obiettivo del progetto «Valore Paese – DIMORE» è dar vita ad un nuovo sistema di ricettività alberghiera che si propone come nodo di accoglienza dei flussi di domanda più sensibili alla fruizione dei beni culturali, mettendo a punto un programma imprenditoriale per la realizzazione di un network di strutture ricettive, ubicate in edifici storici (innanzitutto di proprietà pubblica), integrati nei contesti locali e rispondenti a precisi standard di qualità. L'elemento distintivo della rete consiste nella specifica forma di ospitalità che, accanto ai tradizionali servizi alberghieri, presuppone l'offerta di veri e propri servizi culturali, rappresentativi dello stesso brand, secondo standard predefiniti;
   nel 2006 fu messo in vendita su e-bay l'antico faro delle Vaccarecce sull'isola del Giglio con un prezzo base d'asta di euro 2.500.000,00 oggetto interrogazione a prima firma del senatore Francesco Ferrante, allora direttore di Legambiente che chiedeva tutela per il valore culturale del bene e alla quale il Ministro dei beni e delle attività culturali pro tempore Francesco Rutelli, rispose che sarebbe stato salvaguardato qualunque fosse stato il suo destino. Di fatto, poi, anche se in realtà apparteneva a privati e non allo Stato, la vendita non si concluse. La notizia evidenziò, inoltre, contrarietà di quanti cittadini non avrebbero voluto che il faro rimanesse in mani private al punto che nei giorni dell'asta elettronica un cittadino propose una maxicolletta per restituire il faro alla collettività;
   i fari interessati dal progetto sono compresi in riserve e parchi naturali e dichiarati di interesse storico particolarmente importante e perciò per anni tutelati dallo Stato mediante vincoli urbanistici, paesaggistici, ambientali. Un chiaro esempio è il faro di Capo d'Orso (Sa) sito all'interno di un parco naturale di circa 3.000 ettari in Costiera amalfitana (dal 1997 patrimonio dell'umanità dell'Unesco, riconoscimento che è la testimonianza più significativa del valore storico e culturale dei luoghi);
   il progetto Valore Paese – FARI finalizzato al recupero di siti di inestimabile fascino, annoverati fra i beni immobili del patrimonio architettonico italiano, pur considerando l'elevato potenziale dei territori interessati, rimette l'incombenza di rimediare al loro degrado ad operatori privati e alla loro capacità d'investimento in una logica di partenariato pubblico-privato, rischiando però di non restituire sempre ai cittadini la possibilità di fruire di servizi alla portata di tutti. Una sperimentazione simile, infatti, è stata fatta nel caso della ristrutturazione avvenuta del magnifico faro di Capo Spartivento, promontorio della costa sud-occidentale della Sardegna, uno dei punti più suggestivi dell'isola. Difatti, considerato che la legge sul federalismo demaniale legge n. 85 del 2010, ha stabilito il passaggio di immobili dal Demanio agli enti locali (i canoni delle concessioni sono incassate comunque dallo Stato in quanto utilizzati per la riduzione del debito degli enti locali e nazionale) nel 1998 il faro di Capo Spartivento è stato dato in concessione prima per 6 anni più altri 6 alla modica cifra di 3.000 euro al mese e poi per 38 anni (19 più 19), ad un canone di circa 100 mila euro l'anno; in seguito ad un progetto dell'imprenditore Alessio Raggio e all'investimento di euro 3.000.000, è stato adibito nel 2010 a luxury guests house (con prezzi che arrivano a 1.000 euro a notte);
   pur riconoscendo i meriti nel sottrarre al degrado beni come quello descritto, conciliando le esigenze strutturali di un'elegante struttura alberghiera con le bellezze naturali del paesaggio, gli interroganti riterrebbero opportuno che il Governo fosse estremamente attento a non prestare il fianco ad eventuali speculazioni edilizie, evitando di autorizzare l'uso indiscriminato di aree di pregio ambientale. Inoltre, sarebbe auspicabile che dalla concessione o vendita dei beni che appartengono al patrimonio storico-culturale dello Stato, scaturissero servizi utili e fruibili per la collettività piuttosto che attività ricettive rivolte ad un’élite di persone e accessibili solo a chi può permettersi i prezzi proibitivi di un albergo a cinque stelle –:
   se siano al corrente di quanto in premessa;
   se intendano, oltre alla concessione, procedere alla definitiva vendita dei fari;
   se intendano fornire idonee garanzie, anche considerando la possibilità di vendita e di sub-concessione in un imminente futuro, della congrua conciliazione fra gli interventi di ristrutturazione che avranno seguito e il pieno rispetto dei vincoli storico-architettonici, paesaggistici, idrogeologici e di tutela dell'ambiente naturale che, a ragione, vigono oggi in detti luoghi;
   con quali tempistiche e quali modalità si ritenga di intervenire per valorizzare e al contempo salvaguardare i beni di rilevanza internazionale vigilando affinché non si verifichi un'eventuale antropizzazione e cementificazione dei siti, tali da pregiudicare la bellezza del paesaggio, sottraendo aree di pregio ambientale e storico all'uso indiscriminato del suolo;
   se non si ritenga opportuno intervenire immediatamente al fine di favorire fra le diverse proposte i progetti di valorizzazione, coerentemente al piano strategico turismo 2020, finalizzati alla promozione e avviamento di attività didattiche, ricreative, culturali, sociali e turistiche di ampia fruibilità pubblica rispetto ad attività commerciali e turistiche elitarie, ed evitare che detti beni diventino oggetto di speculazione nelle mani di imprenditori senza scrupoli. (4-12084)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARCO DI STEFANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la linea C della metropolitana in costruzione a Roma è, come noto, un'opera fondamentale per l'implementazione e per la razionalizzazione dei trasporti della Capitale d'Italia;
   i lavori previsti e realizzati hanno già consentito di aprire la ventunesima stazione, quella di piazza Lodi che rischia di essere l'ultima, se non si interviene urgentemente a riaprire i cantieri fermi ormai dalla fine del 2015, perché Roma Metropolitane, partecipata al 100 per cento dal comune di Roma, e che si occupa della rete su ferro e stazione appaltante dell'opera, non corrisponde le risorse necessarie previste dal contratto;
   secondo quanto denunciato dalla Società Metro C, le imprese costruttrici vantano crediti per 255 milioni di euro: 185 milioni per i lavori già eseguiti, certificati e mai pagati ed altri 70 milioni tra lavorazioni già completate e non ancora certificate e interessi maturati per i ritardi nei pagamenti;
   la chiusura dei cantieri ha portato come conseguenza l'avvio delle procedure per la mobilità, che riguarda, secondo la dichiarazione dei sindacati, oltre 500 lavoratori;
   la linea C ha già fatto registrare in un anno oltre 6 milioni di accessi con circa 50 mila passeggeri al giorno. Solo a raggiungere la prossima stazione di San Giovanni, che collega la linea C alla linea metropolitana A, il numero dei passeggeri è destinato ad aumentare in modo e in misura facilmente immaginabili;
   la città di Roma si è candidata come sede delle Olimpiadi e un'opera come quella in questione può senz'altro contribuire al successo della candidatura –:
   se il Governo ritenga opportuno assumere urgentemente ogni iniziativa di competenza per risolvere la situazione e impedire che nella Capitale si realizzi l'ennesima opera incompiuta con pesanti ripercussioni sulla mobilità dei cittadini e sul cospicuo numero dei lavoratori che subirebbero il licenziamento. (5-07775)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, TURCO e BECHIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni ENAC e Toscana Aeroporti stanno effettuando dei saggi archeologici sui terreni di Peretola nell'ambito della valutazione d'impatto ambientale (VIA) per il progetto di ampliamento dell'aeroporto di Firenze;
   durante i saggi sono stati individuati reperti archeologici che vanno dall'età preistorica all'età romana e che determinerebbero varianti sul progetto dell'opera;
   il 20 luglio il Ministero aveva richiesto delle integrazioni entro il termine tassativo di 45 giorni e il 3 settembre ENAC e Toscana Aeroporti avevano presentato le integrazioni su cui il pubblico doveva fare le proprie osservazioni entro 60 giorni;
   il 2 dicembre sempre ENAC e Toscana Aeroporti presentarono altri 14 documenti di «documentazione integrativa volontaria», modalità sconosciuta e non richiesta dalle procedure della valutazione di impatto ambientale;

secondo la legge, il Ministero doveva esprimersi entro 90 giorni dalle osservazioni del pubblico, ma al 4 febbraio 2016 non si è avuto ancora nessun pronunciamento e nel frattempo ENAC e Toscana Aeroporti insistono nei loro studi, scavi ed integrazioni;
   le continue integrazioni presentate da ENAC e Toscana Aeroporti segnalano l'insufficienza del materiale presentato fino ad ora e per il decreto legislativo n. 152 del 2006, articolo 26, comma 3-ter, «nel caso in cui il proponente non ottemperi alle richieste di integrazioni da parte dell'autorità competente, non presentando gli elaborati modificati, o ritiri la domanda, non si procede all'ulteriore corso della valutazione» –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno far applicare le disposizioni di cui sopra detto e chiarire come mai si permetta ad ENAC e a Toscana Aeroporti di continuare a presentare elementi per la valutazione di impatto ambientale. (4-12077)


   FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dagli organi di stampa che la compagnia aerea irlandese Ryanair ha deciso di dismettere diversi collegamenti che facevano scalo in aeroporti italiani. Tra questi verrebbero soppressi diversi voli con scalo negli aeroporti di Pescara, Alghero e Crotone;
   le conseguenze sarebbero la perdita di circa 800.000 passeggeri e di 600 posti di lavoro;
   le motivazioni alla base di questa decisione da parte della compagnia aerea sarebbe, a detta del direttore commerciale della compagnia in Italia, David O'Brein, l'aumento delle tasse aeroportuali decise dal Governo Renzi (decreto interministeriale del 29 ottobre 2015) già in vigore;
   la chiusura di queste rotte, oltre a provocare un nocumento diretto sugli scali aeroportuali interessati, vista la perdita di un evidente numero di posti di lavoro, crea un danno indiretto su uno degli asset principali del Paese — quello del turismo — che è probabilmente ancora più incidente sulle economie e sui territori coinvolti –:
   se il Governo, in fase di predisposizione degli aumenti suddetti, abbia preventivato le ricadute negative che tali aumenti avrebbero prodotto, sia in maniera diretta, per via della perdita delle rotte, sia in maniera indiretta per i danni arrecati al turismo, al servizio alle imprese e a tutta l'economia collegata e quali iniziative intenda intraprendere il Governo per scongiurare che la decisione della compagnia aerea venga messa in atto con le conseguenze negative su esposte. (4-12082)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LABRIOLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'approvazione delle norme recanti le disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016), la Federazione nazionale coordinamenti vigili del fuoco ha evidenziato che il Corpo nazionale dei vigili del fuoco non avrebbe ottenuto alcun potenziamento degli organici né stanziamenti destinati ad assumere nuove unità; si sarebbe provveduto a finanziare assunzioni extra turn over rimodulando il capitolato di spesa destinato al personale volontario utilizzando un fondo già in seno all'amministrazione stessa;
   attualmente, secondo la Federazione, l'unica certezza è data dalle 600 unità con fondi già disponibili stabiliti dall'ultima tranche derivante dall'assunzione di 1000 unità vigili del fuoco ai sensi del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito dalla legge 11 agosto 2014 n. 114, e l'anticipo del turn over 2014 e 2015 in vista del Giubileo straordinario della misericordia di 355 unità derivante dal decreto-legge n. 78 del 2015 (decreto enti locali), i cui rispettivi corsi di formazione partiti il 7 settembre di 600 unità, 9 dicembre di 250 unità e 21 dicembre 2015 con 105 unità;
   la Federazione segnala, inoltre, che, considerando la massiccia ondata di pensionamenti, prevista del prossimo triennio e l'anticipo delle 355 unità, di cui 250 da assumere come era previsto nel 2016, si possa verificare un vuoto di assunzioni, come già avvenuto nel 2012, che portò il Corpo nazionale dei vigili del fuoco quasi al collasso;
   ad oggi esisterebbe, dai dati forniti, la possibilità di utilizzare personale, circa 4000 unità tra gli idonei al concorso pubblico, 814, e la graduatoria di stabilizzazione del personale Volontario decretata con decreto ministeriale n. 1996 del 2008 valida fino al 31 dicembre 2016;
   è parere dell'interrogante che il Corpo nazionale dei vigili del fuoco sia una risorsa primaria a salvaguardia del cittadino soprattutto se si considera l'attività per garantire sicurezza ed accoglienza ai pellegrini in visita a Roma per il Giubileo straordinario della misericordia in special modo a seguito dell'allarme terrorismo derivante delle stragi di Parigi dello scorso autunno –:
   quali iniziative intenda adottare nel breve tempo, affinché possa concretizzarsi un reale potenziamento dell'organico del Corpo nazionale dei vigili del fuoco necessario a garantire un efficiente servizio di soccorso. (5-07774)


   RUBINATO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 febbraio 2016, verso le ore 8 del mattino, nel comune di Marcon (Venezia), un uomo di nazionalità nigeriana ha proditoriamente aggredito un'agente donna di polizia locale in servizio di pattugliamento appiedato, dapprima colpendola con un pugno sulla schiena e poi, dopo averla inseguita, sbattendole la testa contro la porta di un bar; fortunatamente l'agente è riuscita ad entrare nel locale dove era presente un giovane uomo che è coraggiosamente intervenuto, riuscendo a bloccare l'aggressore, in attesa dell'arrivo dei carabinieri;
   data la violenza dell'aggressione, per l'agente si è reso necessario il ricovero al pronto soccorso di Mestre, dove è stata medicata e dimessa con una decina di giorni di prognosi;
   a seguito dell'intervento delle forze dell'ordine l'uomo è stato arrestato dalla stessa polizia locale e identificato in James Osaro, di 37 anni, cittadino nigeriano con precedenti penali per spaccio di droga e violenza contro persone;
   come dichiarato al giudice, nel processo per direttissima tenutosi nel pomeriggio del medesimo giorno, il suddetto Osaro aveva aggredito l'agente per vendicarsi del fatto che una decina di giorni prima la predetta era riuscita a notificargli il provvedimento di rifiuto della domanda di protezione internazionale, emesso dalla Commissione territoriale di Verona il 24 marzo 2015, data di notifica dalla quale decorre il termine di 30 giorni per l'obbligo di lasciare il territorio italiano;
   il giudice ha condannato l'uomo alla pena di un anno, nove mesi e dieci giorni di reclusione (atteso lo sconto di un terzo della pena previsto dal rito) rimettendolo tuttavia in libertà, non essendo possibile l'emissione di una misura cautelare;
   all'indomani del processo, il nigeriano è così potuto tranquillamente tornare sul luogo del reato, dapprima al bar e quindi a esercitare l'accattonaggio davanti ad un supermercato nei pressi, come fa da un anno a questa parte, fatto che sta destando rabbia, sconcerto ed indignazione tra i cittadini e le stesse autorità locali, con notevole risalto sui media locali e anche sui social network –:
   il Governo sia a conoscenza dell'episodio riportato in premessa e quali iniziative urgenti intenda assumere, anche al fine di apportare modifiche correttive della legislazione in vigore, per assicurare, in questo e altri casi, l'effettività della pena e l'adozione di misure immediatamente efficaci, anche di natura cautelare, da parte dell'autorità giudiziaria, in modo da evitare così che si diffonda un senso di pericolosa impotenza tra i cittadini e le autorità locali e un clima di insicurezza tra gli operatori chiamati a far rispettare la legge. (5-07777)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MANNINO e NUTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   recenti notizie di stampa (La Repubblica, 9 febbraio 2016), segnalano che il busto marmoreo di Gian Lorenzo Bernini, Salvador mundi, ultima opera del grande artista, verrà presto esposto ad Agrigento. L'opera appartiene al FEC (Fondo edifici di culto), struttura del Ministero dell'interno al cui vertice siede non uno storico dell'arte ma un prefetto;
   il sindaco di Agrigento, Calogero Firetto, sostiene di aver domandato personalmente, al concittadino Ministro, Angelino Alfano, la disponibilità dell'opera, che, salvo impedimenti arriverà in città il 20 di febbraio 2016 e sarà ospitata nella chiesa di Santo Spirito, così come annunciato dal sito www.sagradelmandorlo.it.
   agli interroganti non risulta che agli uffici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo sia ancora pervenuta la richiesta di autorizzazione per il prestito, evidentemente obbligatoria e propedeutica alle fasi di imballaggio, trasferimento ed assicurazione dell'opera stessa –:
   quale «progetto scientifico» (ai sensi dell'articolo 48 del decreto legislativo 42/2004 «codice Urbani») stia alla base della decisione di inviare un'opera del massimo artista del barocco europeo, nella pur splendida Agrigento, e se la delicatissima materia – marmo bianco di Carrara – e la fragilità «delle delicatissime creste e di sottili corpi aggettanti, come le dita» siano compatibili con l'invio della stessa ad una manifestazione culturale che, ad avviso degli interroganti, non ha alcun «nesso filologico» con il capolavoro « Salvador mundi». (4-12078)


   PALAZZOTTO e COSTANTINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in Sicilia, nel periodo di programmazione 2007-2014 sono stati erogati fondi, tramite la politica agricola comune, per complessivi 5,185 miliardi di euro;
   l'erogazione di tali fondi, sia per quanto concerne la parte di competenza regionale sia per quanto concerne la parte direttamente di competenza ministeriale, appare agli interroganti poco trasparente e di difficile lettura;
   negli ultimi anni, tanto le inchieste degli organi inquirenti quanto i numerosi servizi giornalistici, hanno evidenziato l'interesse della mafia nel campo delle speculazioni e delle truffe relative alla contribuzione comunitaria nel settore dell'agricoltura;
   tali vicende sono ben descritte nel documentario «fondi rubati all'agricoltura» realizzato da Alessandro Di Nunzio e Diego Gandolfo, i quali hanno mostrato come una rilevante quota dei finanziamenti comunitari per l'agricoltura sia stata indirizzata a beneficio di terreni agricoli di proprietà di noti esponenti mafiosi o di soggetti ad essi direttamente o indirettamente riconducibili;
   tale lavoro, ripreso dall'edizione del Fatto Quotidiano in data 12 gennaio 2016 e dalla trasmissione Rai « Presa Diretta» del giorno 17 gennaio 2016 ha ben messo in luce il meccanismo contorto che ha consentito di dirottare ingenti finanziamenti comunitari verso le casse delle organizzazioni mafiose;
   i controlli antimafia e la conseguente certificazione al fine di vedersi riconosciuto il contributo comunitario, sono obbligatori per cifre superiori ai 150 mila euro, in sostanza tutto ciò che è sotto tale soglia sfugge al controllo di legalità e, nel corso degli anni, questa norma ha favorito gli interessi mafiosi nel settore agricolo;
   notizie di stampa del 15 gennaio 2016 riferivano dell'attività della prefettura di Messina, di concerto con l'Ente Parco dei Nebrodi, finalizzata all'individuazione di eventuali interessi mafiosi su terreni dati in concessione. Questo lavoro sinergico tra istituzioni ha portato alla scoperta di numerosissime posizioni prive del prescritto certificato antimafia;
   alla base del lavoro di verifica e controllo vi è il protocollo pilota per i controlli nelle assegnazioni dei terreni pubblici anche di valore inferiore ai 150 mila euro sottoscritto dall'Ente Parco dei Nebrodi, dalla prefettura di Messina e dalla prefettura di Enna. Il protocollo pilota è stato esteso a tutti gli enti regionali;
   al parco dei Nebrodi e al comune di Troina sono state revocate assegnazioni di terreni di proprietà di enti pubblici un totale di 4.200 ettari a cui sono state assegnate risorse, a valere sui fondi Agea e fondi dell'Unione europea per un importo di 2,5 milioni di euro;
   dato non trascurabile è che su 25 certificazioni richieste ben 23 sono state rigettate dalle prefetture di Messina ed Enna per reati come l'associazione mafiosa e per legami con i clan dei Bontempo Scavo, dei Conti Taguali, dei Santapaola e dei clan «tortoriciani» e dei Cesarò;
   per la propria attività di verifica il presidente dell'Ente Parco dei Nebrodi, dottor Giuseppe Antoci, ha ricevuto minacce e intimidazioni tanto da essere sottoposto a regime di protezione da parte delle forze dell'ordine;
   gli interessi mafiosi sulla concessione dei fondi europei emergono anche dall'indagine della procura di Caltagirone che ha portato al sequestro di beni pari a tre milioni di euro per concessioni di contributi comunitari su terreni nella disponibilità delle associazioni mafiose e all'arresto di 9 soggetti tra imprenditori e titolari di centri di assistenza agricola, i quali presentavano domande di aiuti con fondi dell'Unione europea su terreni che in realtà non erano di loro proprietà e certificavano con prestanome finte attività. In verità quota sequestrata rappresenta a mala pena un quarto dei finanziamenti sottratti illecitamente in tale zona;
   fatto singolare è che i centri di assistenza agricola non sono tenuti a verificare la regolarità dei contratti d'affitto di chi richiede le sovvenzioni, limitandosi a controlli superficiali a cui si aggiunge la compiacenza di alcuni funzionari e un complesso sistema di prestanome che ha consentito, ad esempio, a una associazione criminale di Caltagirone di ricevere contributi dichiarando la proprietà di terreni della diocesi di Agrigento e dell'aeroporto di Trapani;
   la mancanza di misure di controllo avrebbe consentito a Salvatore Seminara, reggente della famiglia mafiosa di Enna fino al suo arresto nel 2009, in 12 anni di poter sottrarre finanziamenti pubblici, ottenuti in modo fraudolento, per un importo di 700 mila euro;
   secondo la Corte dei Conti nel 2013 le truffe acclarate in Sicilia e in Campania ammontavano a 200 milioni di euro, di cui il 70 per cento irrecuperabili. La Corte afferma che in Sicilia negli ultimi dieci anni sono stati accertati oltre 300 casi per un valore intorno ai 100 milioni di euro che rappresenta una minima parte della quantità di denaro erogato che si aggira sui 7 miliardi di euro, quindi l'accertato fraudato corrisponde «fisiologicamente» al 10 per cento, ossia quasi un miliardo di euro a danno della comunità e degli agricoltori onesti;
   l'Ufficio europeo per la lotta antifrode, OLAF, mette la Sicilia tra le regioni che rappresenta il più alto tasso di truffe comunitarie con oltre il 40 per cento di tutte le frodi agricole denunciate in Italia, affermando inoltre che se la truffa viene scoperta l'attività di recupero delle risorse è di un misero 6 per cento, ossia poco più di 6 milioni di euro sui 100 milioni certamente frodati che sono stati oggetto di recupero –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere al fine di aumentare la vigilanza nelle erogazioni dei fondi comunitari relativi all'agricoltura;
   se il protocollo pilota, relativo alla verifica delle posizioni anche per contributi inferiori ai 150 mila euro, non possa essere esteso al territorio nazionale;
   quali strumenti di controllo incrociato e di contrasto si intendano adottare per potenziare l'attività di verifica e controllo nell'erogazione dei fondi da parte di AGEA che avviene per il tramite dei centri di assistenza agricola che, come illustrato in premessa, si sono resi complici nel favorire tramite documentazioni false, le associazioni mafiose della zona di Caltagirone. (4-12088)


   BECHIS e BALDASSARRE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 9 febbraio 2016 il giornalista Stefano Molinari di Radio Radio, durante il collegamento con la trasmissione «Un giorno Speciale», è stato aggredito mentre si trovava in via Nobiliore, strada di Don Bosco, sulla via Tuscolana di Roma per filmare e denunciare lo stato dei marciapiedi, di ampiezza di cinque metri, interamente occupati dalle bancarelle, che lasciano così pochissimo spazio al passaggio pedonale;
   sulla strada sono presenti, ormai come situazione stabile e cronica, furgoni e furgoncini, usati come magazzini, parcheggiati in seconda o terza fila a formare un «lungomuro» che percorre l'intera via;
   la merce appesa copre dalla strada la vista delle vetrine degli esercizi commerciali, così come i negozi, per la situazione sopra descritta, non hanno più alcuna visibilità dall'esterno;
   inoltre, a causa dell'occupazione della carreggiata da parte delle bancarelle, i cassonetti dei rifiuti non possono essere svuotati;
   trascorsi i primi quindici minuti di collegamento in diretta, uno dei venditori presente in via Tuscolana ha intimato al giornalista di sospendere le riprese, sostenuto dalla moglie e dal figlio;
   al suddetto venditore si sono poi aggiunti altri titolari di «bancarelle selvagge», iniziando a spintonare il giornalista e sfilandogli, infine, il microfono dalle mani;
   Stefano Molinari è stato contattato dalla free press « RomaToday» e ha così commentato l'accaduto: «Ho subito un'intimidazione solo perché cercavo di documentare l'impraticabilità del marciapiede a causa delle bancarelle. Fra l'altro, guardando il video, si può vedere e sentire come il mio tono fosse simpatico, assolutamente non accusatorio. La sola vista della telecamere ha provocato questa reazione»;
   Molinari ha riferito di aver denunciato l'accaduto alle forze dell'ordine e di essere stato costretto ad abbandonare la zona per ragioni di sicurezza;
   per il giornalista «la sintesi è che via Nobiliore è una via dove non si può fare informazione, dove non vigono regole democratiche e dove comanda qualcun altro» –:
   se il Ministro interrogato non reputi inadeguato e non efficace l'operato del commissario straordinario Francesco Paolo Tronca, nominato su proposta del Ministro stesso, come uomo adatto a risolvere e gestire anche situazioni di abusivismo, come quella descritta in premessa. (4-12092)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'UVA, DIENI e SIBILIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con l'ordinanza ministeriale 24 febbraio 2015, n. 144, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha indetto per l'anno 2015, a norma dell'articolo 1, la prima e la seconda sessione degli esami di Stato di abilitazione all'esercizio della professione di medico-chirurgo;
   il decreto ministeriale 19 ottobre 2001, n. 445, «Regolamento degli esami di Stato all'abilitazione all'esercizio della professione di medico-chirurgo», ne disciplina, in particolare, modalità di svolgimento e condizioni di accesso, in accordo con il decreto ministeriale 9 settembre 1957, e successive modificazioni, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 271, del 2 novembre 1957, e recante l'approvazione del regolamento sugli esami di Stato di abilitazione all'esercizio delle professioni;
   secondo tali disposizioni, agli esami di Stato di abilitazione all'esercizio della professione di medico chirurgo sono ammessi i possessori della laurea in medicina e chirurgia conseguita ai sensi dell'ordinamento previgente alla riforma di cui all'articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127, e successive modificazioni e i possessori della laurea specialistica afferente alla classe n. 46/S in medicina e chirurgia;
   l'esame di Stato di abilitazione all'esercizio della professione di medico chirurgo, a norma dell'articolo 5 dell'ordinanza ministeriale 24 febbraio 2015, n. 144, consiste in un tirocinio pratico e una prova scritta, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del decreto ministeriale 19 ottobre 2001, n. 445;
   i candidati in possesso del titolo accademico richiesto dall'articolo 3 dell'ordinanza, nonché delle ulteriori condizioni d'accesso indicate dalla norma, hanno presentato l'istanza di ammissione agli esami di Stato in una delle sedi elencate dal decreto;
   la prova scritta, a norma dell'articolo 7, si è svolta a nei giorni 9 luglio 2015 per la prima sessione, 4 febbraio 2016 per la seconda, presso le università interessate, e secondo le modalità previste dagli articoli 3 e 4 del decreto ministeriale n. 445 del 2001;
   così come previsto dalla normativa il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e si è avvalso del Consorzio interuniversitario CINECA per la stampa e la riproduzione dei quesiti e la predisposizione dei plichi individuali contenenti il materiale relativo alle prove di esame, in numero corrispondente alla stima dei partecipanti comunicata dagli atenei;
   per ogni candidato sono stati predisposti due plichi, ciascuno relativo ad una delle due parti della prova di esame;
   essenziale, ai fini del corretto svolgimento dell'esame di Stato, risulta la disposizione prevista dall'articolo 4 comma 6, del decreto-legge 19 ottobre 2001, n. 445, secondo la quale ciascuna prova scritta si dovrà svolgere contemporaneamente nelle diverse sedi individuate ai sensi dell'articolo 3 dello stesso decreto, con contenuto identico in tutto il territorio nazionale;
   in data 5 febbraio 2016, un articolo pubblicato sulle pagine del quotidiano consultabile online Il Fatto Quotidiano, titolava «Abilitazione medici, esami ovunque tranne che a Messina. Colpa del Miur e del solito CINECA»;
   il CINECA è un consorzio interuniversitario senza scopo di lucro operante sotto il diretto controllo del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il quale ha il compito di fornire sistemi gestionali per le amministrazioni universitarie e il Ministero medesimo;
   il CINECA nasce nel 1977, per fornire a cinque università elaboratori e sistemi informatici, al quale aderiscono 80 università, e la cui attività si estende a settori d'intervento diversi e su tutto il territorio nazionale, fin quando nel 2008 assume la definizione di persona giuridica privata sottoposta alla disciplina tributaria degli enti commerciali;
   il Consorzio in questi anni è stato, per dirette responsabilità, al centro di errori e malfunzionamenti che, ad avviso degli interroganti, hanno seriamente pregiudicato il buon andamento della pubblica amministrazione e la regolarità delle attività oggetto delle inefficienze;
   tra tutte si ricordi la grave vicenda che ha interessato lo svolgimento delle prove per l'accesso alle scuole di specializzazione, tenutesi tra il 28 e il 31 ottobre 2014, nella cui circostanza il CINECA, invertendo le domande da inviare ai responsabili d'aula nelle varie sedi d'esame, inficiò la regolarità della prova;
   nonostante tale evidenza il Ministero, pur ammettendo pubblicamente l'irregolarità, dispose prima l'annullamento e la conseguente ripetizione delle prove oggetto dell'errore determinato dal CINECA e, successivamente, la convalida della prova sostenuta dai candidati attraverso la neutralizzazione delle domande oggetto dell'inversione;
   con tale decisione, ad avviso degli interroganti, oltre ad aver minato il prestigio e il buon nome delle istituzioni direttamente coinvolte, nonché aver dimostrato la non completa affidabilità del Consorzio, si è consentita l'instaurazione di numerosi ricorsi in sede amministrativa al fine di dimostrare l'assoluta irregolarità delle prove;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha affidato in questi anni al Consorzio interuniversitario, senza scopo di lucro, ed operante sotto il controllo dello stesso ministero, l'affidamento di sistemi gestionali per le amministrazioni universitarie e per lo stesso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, senza effettuare alcun bando di gara, benché in nessun modo fosse possibile inquadrare il CINECA come società in house del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, così come confermato da una recente sentenza del Consiglio di Stato;
   con la sentenza n. 2660 del 2015, infatti, si è stabilito come il Ministero dell'università e della ricerca, avesse provveduto, negli anni, ad affidare senza alcuna gara i servizi offerti dal CINECA, essendo il Consorzio interuniversitario non configurabile come una società di diritto pubblico e, quindi, soggetta alla procedura dell'evidenza pubblica, nonché al relativo bando;
   nonostante le citate inefficienze e le irregolarità di gestione, il Ministero ha inteso inserire il CINECA tra le proprie società operanti in house, continuando così ad affidare al consorzio la diretta gestione dei servizi sopra richiamati;
   così come riportato dall'articolo, tuttavia, i fatti accaduti in sede di esame di Stato relativi all'abilitazione all'esercizio della professione di medico-chirurgo presso l'università degli studi di Messina, rappresentano, ad avviso degli interroganti, l'ennesima situazione di grave irregolarità causata dal Consorzio;
   «in tutta Italia si sono svolti gli esami per ottenere l'abilitazione all'esercizio della professione, meno che a Messina: da Roma non sono arrivati il numero di plichi sufficienti», riporta la fonte, rilevando come «a fronte di 145 candidati presenti, la Commissione avrebbe trovato appena 120 plichi: un intoppo organizzativo registrato alle 08:30 di ieri mattina che ha immediatamente fatto scattare l'allarme presso il Dipartimento interessato»;
   «Un disguido tecnico» sostiene l'autore dell'articolo che, «oltre a provocare “imbarazzo” alle istituzioni coinvolte, potrebbe arrecare serio danno ai candidati; il Miur potrebbe far ripetere la prova ai soli 145 candidati messinesi, oppure potrebbe anche decidere di annullare la prova negli altri atenei e farla ripetere a tutti gli 8.000 candidati medici»;
   «il responsabile della Direzione Amministrativa Servizi Didattici, Ricerca e Alta Formazione, dottor Carmelo Trommino», conclude l'articolo, «ha immediatamente allertato il Miur che, verificato l'errore del Cineca, e predisposti i necessari atti, ha rinviato le prove a data da destinarsi, affinché i candidati dell'Università degli Studi di Messina non vengano ulteriormente penalizzati rispetto ai loro colleghi»;
   tempestivo risulta invece l'intervento del rettore dell'università di Messina, il professore Pietro Navarra, il quale «ritiene innanzitutto doveroso scusarsi con i candidati per quanto accaduto. Il mancato invio di alcune buste contenenti i compiti e la relativa documentazione d'esame, tuttavia, è da attribuire esclusivamente a un errore del CINECA e per questo l'Università si riserva di avviare un'azione risarcitoria. Tra l'altro, i funzionari del CINECA hanno già riconosciuto l'errore, imputandolo a un difetto di trascrizione del numero dei candidati comunicato dall'Università di Messina, nei mesi scorsi»;
   ad avviso degli interroganti, inoltre, risulta grave che tale episodio si sia verificato presso un ateneo meridionale, qual è quello messinese, già soggetto a continue riduzioni di spesa ad opera dell'attuale sistema di finanziamento universitario e, quindi, particolarmente bisognoso di maggior attenzione da parte dello Stato;
   gravi potranno essere, sempre ad avviso degli interroganti, le conseguenze di tale irregolarità, dal momento che o l'attuale rinvio condurrà alla violazione della normativa ad hoc, la quale dispone espressamente che gli esami di Stato vengano effettuati contemporaneamente nelle diverse sedi individuate ai sensi dell'articolo 3, con contenuto identico in tutto il territorio nazionale, oppure verrà disposto l'annullamento delle prove nazionali, con un inevitabile aumento dei costi;
   dopo l'ennesimo errore materiale è lecito domandarsi quali siano le possibili iniziative che il Ministero intenda adottare affinché le irregolarità nella gestione di test e abilitazioni causate dal CINECA non si protraggano nel tempo, posto che l'operato del CINECA ha comportato un notevole aumento dei ricorsi, ovvero un considerevole aggravio delle spesa da sostenere;
   a seguito di tali avvenimenti il Ministero ha inteso rinviare gli esami di Stato relativi all'abilitazione all'esercizio della professione di medico-chirurgo per l'università degli studi di Messina in data 24 febbraio 2016 –:
   quali urgenti soluzioni ritenga di adottare, anche attraverso la verifica di possibili responsabilità configurabili secondo quanto stabilito dalla legge 7 agosto 2015, n. 124, affinché si scongiurino nuove gravi anomalie che possano compromettere il buon funzionamento della pubblica amministrazione, ovvero il regolare svolgimento di prove concorsuali e attività analoghe evitando, allo stesso tempo, ulteriori e ingiustificati aumenti di spesa pubblica;
   quale sia, a seguito dell'ennesimo errore materiale in un così breve intervallo temporale, la posizione del Ministro in riferimento al Consorzio interuniversitario CINECA, le cui adeguate capacità operative e gestionali risultano, ad avviso degli interroganti, non più verificate. (4-12090)


   BARBANTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da lungo tempo il CNR parla, discute e programma dell'opportunità di dare una definitiva, idonea e stabile collocazione alle sue strutture di ricerca che operano in Calabria sin dagli anni ’70 (la prima fu l'allora Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica nell'Italia meridionale e insulare, istituito a seguito dell'alluvione di Firenze del novembre 1966);
   nel 2010 sembrava si fosse arrivati ad una svolta decisiva in quanto fu firmato un protocollo di intesa tra l'allora presidente del CNR, Luciano Maiani, e l'allora presidente della regione Calabria, Giuseppe Scopelliti, per la realizzazione di investimenti infrastrutturali finalizzati alla stabile localizzazione della rete scientifica calabrese del CNR. Il finanziamento complessivo sembra che ammontasse a circa 17 milioni di euro (fondi POR). Da quanto è dato sapere, risulta che nei primi mesi del 2015 sono stati completati i progetti preliminari relativi alla costruzione dei 3 Poli di innovazione (Catanzaro, Cosenza-Rende e Reggio Calabria) e che i progetti avrebbero anche ricevuto l'approvazione dei competenti uffici regionali;
   il «protocollo d'intesa tra regione Calabria e CNR» è stato stipulato il 2 luglio 2010 a Roma in seguito all'approvazione della delibera n. 450 del 2 giugno 2010 da parte della giunta regionale;
   in seguito alla sottoscrizione del «protocollo d'intesa tra regione Calabria e CNR» le università calabresi avrebbero dovuto cooperare per la sua migliore riuscita mettendo a disposizione il diritto gratuito di superficie su terreni ubicati all'interno dei singoli campus, da destinare alla realizzazione degli interventi infrastrutturali previsti dal protocollo con contestuale impegno delle università stesse a creare, attraverso la contiguità con le strutture del CNR, poli di ricerca territoriali di eccellenza con ricadute estremamente vantaggiose per la comunità scientifica e la società civile;
   la realizzazione dell'infrastruttura prevedeva la costruzione di importanti e numerose opere edili nell'area nord del campus. Un programma ambizioso sostenuto da importanti infrastrutture di ricerca che, se realizzato, collocherebbe la cosiddetta «Arcavacata Valley» in una posizione di assoluto rilievo sullo scenario scientifico-tecnologico europeo e globale. Questi sviluppi saranno attuabili soltanto se il polo verrà insediato nell'area universitaria detta;
   la realizzazione di tali opere a favore del CNR libererebbe risorse da destinare ad un potenziamento del personale del CNR stesso attivo nella regione Calabria in una misura di circa 30 unità come previsto nel protocollo di intesa integrativo del 10 febbraio 2011 tra lo stesso CNR e la regione Calabria;
   i ritardi nell'esecuzione dei bandi di gara hanno vanificato la possibilità di utilizzare, per la realizzazione del progetto, i fondi ad esso attribuiti;
   come sopra detto il 10 febbraio 2011, ossia circa 7 mesi dopo la sottoscrizione del primo protocollo di intesa, fu sottoscritto anche un protocollo d'intesa integrativo tra il CNR e la regione Calabria che prevede l'impegno da parte del CNR ad assumere in Calabria complessivamente 25 ricercatori, 1 tecnologo e 4 tecnici/amministrativi, per un investimento annuo complessivo di 1,4 milioni di euro, cui va aggiunto un cofinanziamento di 1 milione di euro per la fase di avvio e insediamento degli istituti ricollocati nelle nuovi sedi;
   poiché il protocollo d'intesa del febbraio 2011, a meno di successive integrazioni o modifiche, ha validità fino al 31 dicembre 2015, tutto potrebbe interrompersi anche se fonti ufficiose indicano, che la regione Calabria abbia spostato le risorse necessarie per l'attuazione dell'accordo con il CNR nel capitolo fondi PAC con scadenza marzo-giugno 2017;
   l'indizione dell'appalto per la costruzione delle tre strutture stabili del Cnr sul territorio calabrese è fondamentale per evitare il rischio che il finanziamento venga revocato e dimostrerebbe l'ennesima incapacità di utilizzare i fondi per strutture necessarie che porterebbero ad incrementare i posti di lavoro anche in considerazione del fatto che i terreni sono già stati messi a disposizione dalle università di Cosenza e Catanzaro e, a Reggio Calabria, dall'azienda Bianchi-Melacrino-Morelli; i progetti preliminari sono stati ultimati e non si comprendono le ragioni per cui si tergiversi nell'indizione dell'appalto delle opere;
   nel frattempo nel consiglio di amministrazione del Cnr, tenutosi il 3 febbraio 2016 dei venti punti posti all'ordine del giorno ed esaminati, tre non hanno ricevuto una deliberazione che è stata rinviata poiché sono risultati necessari maggiori approfondimenti;
   il primo riguarda le procedure per il rinnovo de consiglio scientifico; il secondo è relativo all'accreditamento presso l'Ordine degli avvocati di Roma dei legali dipendenti, mentre il terzo, che appare il più significativo ed è quello che interessa, ha ad oggetto un'operazione immobiliare di 2,8 milioni di euro tra il CNR e l'università Federico II di Napoli per l'acquisizione di un diritto di superficie su cui si registrano rilievi negativi espressi dal collegio dei revisori dei conti;
   l'operazione immobiliare è finalizzata all'acquisto del diritto di superficie degli spazi di proprietà dell'università degli studi di Napoli «Federico II», ubicati nel capoluogo campano, presso il complesso di scienze biotecnologiche, destinati ad accogliere l'Istituto di calcolo e reti ad alte prestazioni (Icar-Cnr), la cui sede principale attualmente si trova a Rende, in provincia di Cosenza;
   l'organo di controllo interno, dopo aver esaminato una relazione della direzione generale, alla quale era allegato anche il testo dell'atto notarile che il presidente del CNR avrebbe dovuto sottoscrivere, aveva evidenziato che le relazione risultava mancante della prescritta autorizzazione da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, essendo il Cnr inserito nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione;
   i revisori hanno poi rilevato la mancanza di un altro documento, anch'esso indispensabile, vale a dire la dichiarazione di congruità del prezzo concordato tra le parti, il cui rilascio compete ex lege all'Agenzia del demanio;
   innanzi a tale deficit documentale, il consiglio di amministrazione ha deliberato di rinviare ad altra seduta l'esame della proposta, anche se, da indiscrezioni, risulta che la dirigenza del Cnr abbia fissato un appuntamento con un notaio di Napoli per il 18 febbraio 2016, dopo una riunione che lo stesso consiglio di amministrazione dovrebbe tenere nella medesima giornata;
   dall'esame del documento il testo appare disomogeneo. Tali incongruità sembrano all'interrogante ritrovarsi anche nella sostanza del documento, che appare privo di un progetto organico complessivo per l'intero Cnr;
   infatti, le visioni del futuro del Cnr proposte dai vari direttori di dipartimento sono distanti tra loro, in alcuni casi quasi come se si parlasse di enti diversi. Quanto alle considerazioni e alle riflessioni dei direttori di dipartimento, vi è chi propone un radicale accorpamento degli istituti (dipartimento di scienze del sistema terra e tecnologie per l'ambiente); chi propone una riorganizzazione in centri dipartimentali regionali, con struttura scientifica centralizzata su aree progettuali del dipartimento (dipartimento di scienze bio-agroalimentari); chi, semplicemente, elenca le valutazioni ottenute dai panel dagli istituti e chi si ritiene, in sostanza, soddisfatto dell'attuale frammentata organizzazione;
   per Pozzan, nuovo presidente del Cnr, sarebbe complessa anche la situazione dell'Istituto di scienze neurologiche (Isn-Cnr), i cui problemi deriverebbero da una recente riorganizzazione che ha visto personale, strumentazioni e risorse uscire dall'Isn per confluire nell'Ibfm. Tra le proposte formulate, c’è quella concernente «la chiusura di due piccole strutture esterne al gruppo di Mangone (a Cosenza e vicino a Catanzaro)», per ridurre costi e frammentazione del personale;
   singolare appare anche la proposta di spostamento della sede dell'Istituto di calcolo e reti ad alte prestazioni (Icar-Cnr) da Cosenza (Rende) a Napoli, con tanto di annessa operazione immobiliare di circa 2,8 milioni. Il tutto sarebbe stato giustificato con la necessità di facilitare la collaborazione con altri istituti d'informatica i quali, però, non hanno sede a Napoli bensì a Pisa –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero, se ne siano a conoscenza e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intendano assumere affinché la sede dell'Istituto di calcolo e reti ad alte prestazioni (Icar-Cnr) sita in Cosenza (Rende) non venga trasferita in modo secondo l'interrogante inefficace, inefficiente e antieconomico nella città di Napoli, facendo in modo che il CNR si attivi al fine di attuare quanto previsto nel «protocollo d'intesa tra regione Calabria e CNR» stipulato il 2 luglio 2010 a Roma. (4-12091)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il regolamento sulla «rappresentanza sindacale», firmato a giugno 2013 tra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria, inserisce la soglia minima del 5 per cento dei voti nelle elezioni delle  rappresentanze sindacali unitarie (RSU), per ottenere il requisito di «sindacato rappresentativo», in tal modo si blinda ancor più l'esistente monopolio di rappresentanza sindacale, escludendo a priori la rappresentanza specifica delle organizzazioni della categoria dei quadri – riconosciuta giuridicamente con legge n. 190 del 1985 – poiché visto l'esiguo numero di quadri in seno alle aziende rispetto al totale dei lavoratori (operai, impiegati), è impossibile raggiungere tale soglia,  considerato che la stessa è riferita al totale dei dipendenti. Pertanto, come ha espresso anche la Confederazione generale dei quadri italiani (Conferquadri), si ritiene che la soglia del 5 per cento debba essere riferita alla categoria;
   il riferimento della soglia del 5 per cento alla categoria dei quadri era già stato recepito in passato nel Testo unificato n. 136 del maggio 1955 recante norme sulle rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro e sulla rappresentatività sindacale ed è stato riproposto in successive iniziative normative;
   è necessaria un'apertura del ventaglio delle rappresentatività delle categorie, anche per comprendere le nuove figure professionali del mercato del lavoro. Al riguardo si è espressa anche la Corte costituzionale che ha ribadito, con sentenza del n. 231 del 2013, che va applicato l'articolo 39 della Costituzione, che stabilisce, tra l'altro, che «L'organizzazione sindacale è libera», con il varo di una specifica legge, per escludere un abuso di posizione sindacale da parte delle organizzazioni più note, che «blindano» di fatto il proprio monopolio di rappresentanza sindacale –:
   quale sia l'orientamento del Ministro sui fatti esposti in premessa;
   se intenda adottare  iniziative normative affinché la soglia minima del 5 per cento nelle elezioni delle Rappresentanze sindacali unitarie sia riferita alla categoria;
   se intenda adottare iniziative per la definizione di una normativa sulla rappresentanza sindacale in conformità all'articolo 39 della Costituzione che escluda abusi di posizione sindacale e che dia certezza e la giusta rappresentatività, con un dispositivo equo, a categorie come quella dei quadri già riconosciuta in tutta Europa. (5-07771)


   CIPRINI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO e LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sulla obbligatorietà di iscrizione dei liberi professionisti o lavoratori esercenti attività autonome alla gestione separata INPS, istituita nel 1996, non vi è ancora un'univoca interpretazione;
   già a partire dall'anno 2009, l'Inps ha avviato la cosiddetta operazione Poseidone andando a verificare i redditi conseguiti da tali lavoratori autonomi nel 2004 e corrispondente iscrizione ad una gestione previdenziale professionale;
   nello svolgimento dell'attività di accertamento dell'Istituto, in particolare nella verifica incrociata con le dichiarazioni reddituali (cosiddetta operazione Poseidone), nel corso della quale sono stati iscritti d'ufficio anche professionisti appartenenti ad albi professionali dotati di una propria Cassa previdenziale, sono emerse problematiche di applicazione – tra quanto disciplinato dai regolamenti delle Casse previdenziali stesse, di cui ai decreti legislativi n. 509 del 1994 e n. 103 del 1996, e quanto previsto dalla normativa generale contenuta nella legge n. 335 del 1995 e nel relativo decreto attuativo decreto ministeriale n. 281 del 1996;
   l'articolo 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, prevede che «sono tenuti all'iscrizione presso una apposita Gestione separata, presso l'Inps e finalizzata all'estensione dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, di cui al comma 1 dell'articolo 49 del testo unico delle imposte sui redditi»;
   per risolvere i dubbi interpretativi relativi alla individuazione dei soggetti tenuti all'iscrizione alla gestione separata il legislatore è già intervenuto con l'articolo 18, comma 12, del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito dalla legge n. 11 del 2011, prevedendo che «L'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, si interpreta nel senso che i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo tenuti all'iscrizione presso l'apposita gestione separata INPS sono esclusivamente i soggetti che svolgono attività il cui esercizio non sia subordinato all'iscrizione ad appositi albi professionali, ovvero attività non soggette al versamento contributivo agli enti di cui al comma 11, in base ai rispettivi statuti e ordinamenti, con esclusione dei soggetti di cui al comma 11»;
   in particolare, per gli iscritti agli albi degli architetti ed ingegneri, la normativa che disciplina l'iscrizione ad INARCASSA è contenuta nell'articolo 21 della legge n. 6 del 1981 e negli articoli 7 e 23 dello statuto della Cassa;
   in virtù dei principi contenuti nella legge n. 335 del 1995, anche il professionista – ingegnere o architetto o architetto – non dipendente, che esercita in modo non esclusivo e continuativo la libera professione è soggetto esclusivamente ad una contribuzione previdenziale presso la relativa cassa previdenziale: Inarcassa. Se il professionista esercita in modo non esclusivo la libera professione ed è anche dipendente, ad esempio docente, il proprio datore di lavoro corrisponde all'ex INPDAP i relativi contributi previdenziali (l'INPDAP dal 1o gennaio 2012 è confluita nella «super INPS»);
   tuttavia, accade che l'Inps iscrive d'ufficio nella gestione separata Inps i professionisti ingegneri e architetti liberi professionisti che svolgono anche un'attività di lavoro dipendente ed invia provvedimenti di riscossione con la richiesta di pagamento di contributi omessi, applicando pesantissime sanzioni, in quanto essendo percettori di reddito professionale non avevano versato alcun contributo previdenziale su tale entrata;
   molti sono i professionisti ingegneri e architetti nonché dipendenti che hanno impugnato tali avvisi: la magistratura del lavoro adita con numerose pronunce di merito ha annullato gli avvisi di addebito emessi a titolo di omissione di contributi dovuti alla gestione separata dichiarando insussistente l'obbligo di iscrizione alla gestione separata e di versamento dei contributi a carico degli ingegneri ed architetti liberi professionisti nonché dipendenti, poiché l'iscrizione alla gestione separata ha carattere residuale essendo obbligatoria «esclusivamente» per i lavoratori autonomi che esercitano una professione per la quale non sia obbligatoria l'iscrizione ad appositi albi (come invece lo sono gli ingegneri ed architetti che sono iscritti al rispettivo albo) ovvero per coloro che, pur iscritti, svolgano un'attività non soggetta a versamento contributivo, quale che ne sia la tipologia e natura, agli enti di previdenza per i liberi professionisti (come invece accade per gli ingegneri e architetti che sono tenuti a versare contributi a Inarcassa sul reddito prodotto): secondo le pronunce della magistratura, i presupposti necessari per l'iscrizione alla gestione separata non ricorrono, dunque, per gli architetti e ingegneri che sono anche dipendenti, poiché sono iscritti ad un apposito albo professionale ed in relazione all'attività che svolgono sono tenuti già al versamento contributivo in favore di un ente di diritto privato (Inarcassa) compreso tra quelli di cui al comma 11 dell'articolo 18 del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito dalla legge n. 11 del 2011 (tribunale di Avellino, sentenza n. 1108/2015; tribunale di Genova, sentenza n. 1327/2014; corte di appello di Genova, sentenza n. 322/2015; tribunale di Rieti, sentenza n. 339/2013; corte di appello di Torino, sentenza del 27 novembre 2014; tribunale di Venezia, sentenza n. 498/2015; tribunale di Palmi, sentenza n. 783/2015; tribunale di Napoli, sentenza del 7 novembre 2013; tribunale di Milano, sentenza del 19 febbraio 2014; tribunale di Milano, sentenza n. 1417/2015);
   in questo periodo di grande crisi dell'edilizia che coinvolge anche i professionisti ingegneri e architetti già sofferenti per una congiuntura economica assai critica, questo contributo alle casse dell'INPS risulta insostenibile anche per il costo delle spese legali da sostenere, oltre che non dovuto come confermato dalle pronunce della magistratura di merito;
   è evidente, a parere degli interroganti, che le pretese creditorie portate dall'Inps sono frutto di una non conforme interpretazione delle norme da parte dell'INPS che numerose pronunce di merito hanno censurato –:
   se sia corretto l'operato dell'INPS nel procedere all'iscrizione alla gestione separata di quei professionisti ingegneri ed architetti che esercitano la libera professione e che risultano già provvisti di un'altra posizione di previdenza obbligatoria in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato;
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative volte a sospendere o annullare i provvedimenti di riscossione emessi dall'Inps e quali iniziative intenda attuare al fine di garantire un corretta interpretazione dell'articolo 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995 e dell'articolo 18, comma 12, del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito dalla legge n. 11 del 2011 al fine di risolvere in tempi brevi il contenzioso crescente tra Inps e i professionisti interessati, sui quali non possono gravare gli effetti di una non conforme interpretazione della normativa e di differenti valutazioni da parte delle istituzioni interessate. (5-07773)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da mesi uno stato di agitazione e forte preoccupazione aleggia tra i lavoratori della Saipem di San Donato Milanese contro il nuovo piano industriale del gruppo Eni (di cui Saipem fa parte);
   il piano sembra prevedere la fuoriuscita di Saipem dal perimetro industriale di Eni, con la vendita di oltre il 12 per cento delle sue quote alla Cassa depositi e prestiti;
   tale operazione, se da un lato garantisce la proprietà pubblica, non garantisce una necessaria chiarezza sul futuro industriale di Saipem, la quale ha dichiarato a più riprese che non ci sarebbe stata l'intenzione di smembrare la struttura italiana ma al contempo che si prevede un taglio di 8.800 addetti in tutto il mondo –:
   se e quali iniziative di competenza, anche in termini di moral suasion, intendano adottare per salvaguardare i quattrocento lavoratori della Saipem Italia dal piano di dismissioni dell'indotto di Eni;
   se sia possibile conoscere i dettagli del nuovo piano industriale del gruppo Eni. (4-12081)


   FRUSONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Youth Guarantee (Garanzia Giovani) nasce come risposta europea alla crisi dell'occupazione giovanile. Il programma, che prende forma nella raccomandazione del Consiglio dell'Unione europea del 22 aprile 2013, mira ad offrire un'offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio, entro un periodo di quattro mesi dall'inizio della disoccupazione o dall'uscita dal sistema d'istruzione formale;
   l'Italia ha ottenuto un finanziamento di 1,5 miliardi di euro, al cui concorso partecipano la Youth Employment Initiative, il Fondo sociale europeo e risorse nazionali. La struttura di missione, istituita presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in condivisione con le regioni e le province autonome cui spetta l'attuazione del programma sul territorio, ha definito il piano di attuazione italiano della Garanzia per i Giovani;
   il piano nazionale Garanzia Giovani, rivolto a tutti i giovani tra 15 ed i 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in nessun percorso formativo (Neet — Not in Education, Employment or Training);
   il progetto si rivela quasi da subito un «flop», a testimoniarlo i migliaia di giovani che lamentano mancanza e ritardi nei pagamenti a seguito della prestazione lavorativa svolta;
   in un articolo de Il fatto quotidiano del 15 giugno 2015, lo stesso Ministro Poletti dichiara che i dati sono piuttosto scoraggianti in quanto a fronte di 617 mila iscritti, solo 107.859, il 17,48 per cento, avevano ricevuto un'offerta;
   a quasi un anno da quelle dichiarazioni, la situazione non cambia anzi sembra peggiorare, portando addirittura i giovani che avevano aderito al progetto garanzia giovani a manifestare il 25 gennaio 2016 davanti la regione Lazio;
   da quanto appreso da un articolo pubblicato su Il fatto quotidiano il 1o febbraio 2016, sembrerebbe infatti che la regione Lazio sia la regione con la situazione più critica, dove i pagamenti risultano bloccati da mesi, imprigionati nel «rimpallo» di responsabilità tra ente regionale e Inps –:
   quali iniziative urgenti di competenza il Ministro interrogato intenda adottare per risolvere la grave situazione esposta in premessa, per far fronte alle criticità di gestione del progetto «garanzia giovani» riscontrate nella maggior parte delle regioni, regione Lazio in primis;
   quale percentuale dei 137 milioni di euro riconosciuti alla regione Lazio nell'ambito del piano di attuazione nazionale del programma «youth garantee» sia stata utilizzata per l'erogazione delle indennità ai tirocinanti aderenti al progetto e quanti siano quelli la cui posizione «economico-lavorativa» sia stata risolta;
   se e in quali tempi il Ministro interrogato e l'Inps, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze, intendano attivarsi per sanare la grave situazione di morosità che si riscontra nella regione Lazio nei confronti delle migliaia di giovani che hanno aderito al programma «Garanzia Giovani», sopperendo il prima possibile alle deficienze procedurali fino ad oggi riscontrate nel decorso del progetto. (4-12083)


   MURER e MOGNATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   nella seduta dell'Assemblea del Senato della Repubblica del 4 agosto 2015, durante l'esame del disegno di legge 1577-B recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», è stato accolto dal Governo un ordine del giorno (G17.1 – testo 2) sui medici fiscali che impegnava il Governo a valutare l'opportunità di instaurare un rapporto di lavoro di tipo convenzionale con stabilità di incarico tra l'Inps ed i medici iscritti nelle liste speciali;
   l'articolo 17, comma 1, lettera l), della legge n. 124 del 2015 recante «Riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche» prevede la riorganizzazione delle funzioni di accertamento medico legale in caso di assenze dei dipendenti pubblici per malattia, con l'attribuzione all'INPS delle relative competenze al fine di garantire l'effettività dei controlli;
   si viene a creare, in tal modo, un polo unico in capo all'Istituto previdenziale che gestirebbe le visite fiscali e il controllo dei certificati medici sia nel settore della pubblica amministrazione che nel settore privato;
   i provvedimenti riguardano oltre 1.300 medici fiscali inseriti in liste ad esaurimento, costretti a fare i conti con numerosi tagli delle visite fiscali disposte d'ufficio dall'Inps a causa della spending review oltre che con una situazione cronica di precarietà;
   il polo unico sarebbe un indispensabile strumento per contrastare il fenomeno dell'assenteismo, riconoscendo la centralità della figura professionale del medico di controllo;
   ad oggi, il decreto legislativo previsto dall'articolo 17 della legge n. 124 del 2015 non risulta ancora emanato, mentre nulla risulta ancora attivato in ordine al recepimento dell'ordine del giorno sopracitato;
   la revisione di spesa sui controlli inerenti agli accertamenti sanitari per verificare lo stato di salute dei dipendenti assenti per malattia, motivata dai tagli imposti dalla spending review, ha fatto degenerare la situazione lavorativa dei medici fiscali Inps da stabile a totale precarietà;
   il sottosegretario per il lavoro e le politiche sociali, Franca Biondelli, intervenuta in Commissione lavoro del Senato il 26 gennaio 2016, rispondendo all'interrogazione n. 3-02435 sulla base degli elementi informativi acquisti dall'INPS, ha rilevato che l'80 per cento dei medici effettua circa 20 visite mensili: –:
   se siano a conoscenza della situazione di estrema criticità riguardo alla situazione lavorativa dei medici fiscali dell'Inps, così come espresso in premessa, e in che tempi e con quali modalità intendano dare attuazione sia a quanto disposto dall'articolo 17 della legge n. 124 del 2015 sia a quanto indicato nell'ordine del giorno di cui in premessa relativamente alla creazione di un polo unico della medicina fiscale presso l'Inps, uniformando gli accertamenti medico-legali sui dipendenti pubblici e privati assenti per malattia, trasferendo le competenze e le risorse economiche, attualmente impiegate nella pubblica amministrazione, in via esclusiva all'Inps. (4-12087)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in un comunicato stampa pubblicato il 10 settembre 2015, avente per titolo «I ministeri delle Politiche agricole e dell'Ambiente monitorano l'emergenza animali selvatici, in particolare dei cinghiali, con costante attenzione.», si riporta quanto segue: «Ferma restando l'esistenza di un quadro normativo definito in materia di caccia e controllo che attribuisce i necessari poteri alle Regioni, i due dicasteri hanno annunciato per giovedì 17 settembre l'avvio di una consultazione straordinaria con le principali organizzazioni agricole e i portatori di interesse, per la condivisione di nuove azioni operative da introdurre nel piano del Governo, al fine di impedire nuovi attacchi alle persone e evitare danni al settore agricolo» –:
   quali siano, all'esito delle consultazioni effettuate, le nuove azioni operative che si intendono introdurre nel piano del Governo. (4-12079)


   LUPO, GALLINELLA, PARENTELA e L'ABBATE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la politica europea di vicinato (PEV) mira alla creazione di un rapporto privilegiato tra l'Unione europea e i 16 Paesi ad essa confinanti; introdotta nel 2004 ha lo scopo di avviare un percorso di cooperazione con quei Paesi che sarebbero diventati i geograficamente più prossimi a seguito dell'ampliamento dei confini, tra i principi fondanti dell'accordo vi è l'affermazione dello sviluppo sostenibile e del libero mercato, quest'ultimo, favorito attraverso la riduzione dei dazi doganali, con un abbattimento dei costi tariffali pari al 55 per cento;
   uno degli effetti più significativi della PEV è stato l'introduzione nei mercati di prodotti agricoli provenienti dai Paesi del Nord Africa; tra le importazioni più significative si trovano arance ed agrumi in generale, olio e pomodori; preme agli interroganti sottolineare che in alcuni dei Paesi con cui si è sancito l'accordo sono attualmente in uso, prodotti fitosanitari ad alto rischio o comunque vietati all'interno della Unione europea;
   in data 1o febbraio 2016, le associazioni di categoria con un comunicato congiunto denunciano la grave situazione del comparto agrumicolo siciliano, comunicato nel quale si sottolinea, tra le cause scatenanti, la massiccia introduzione nel mercato italiano di agrumi a basso costo, provenienti oltre che dai Paesi aderenti alla politica europea di vicinato anche dalla Repubblica di Turchia;
   da tempo le associazioni di categoria e l'intero comparto agricolo con numerosissimi comunicati hanno chiesto e chiedono la modifica della PEV al fine di meglio tutelare le eccellenze italiane, dato che i produttori extraeuropei si avvantaggiano di misure di politica agricola enormemente differenti da quelle italiane;
   la Commissione europea non prevede modifiche all'accordo stretto con il regno del Marocco concernente l'importazione di pomodoro o altri prodotti, così come confermato in una nota stampa dallo stesso commissario europeo all'agricoltura Phil Hogan, in risposta alle proteste dei produttori spagnoli ed italiani;
   lo stesso Phil Hogan in sede unionale in risposta all'interrogazione parlamentare E-007388/2014 afferma che: «La Commissione sorveglia regolarmente i quantitativi di prodotti agricoli importati dal Marocco sulla base delle dichiarazioni dei quantitativi esportati dagli operatori marocchini, nonché della registrazione giornaliera delle importazioni da parte dei servizi doganali nazionali degli Stati membri. Finora, la Commissione non ha constatato alcuna turbativa del mercato in Italia a causa delle importazioni dal Marocco»;
   l'accordo prevede misure di salvaguardia, quali, ad esempio, un aumento delle quote di scambio su alcuni prodotti considerati sensibili e delle quote di scambio che variano secondo la stagione per evitare distorsioni sul mercato dell'Unione europea –:
   con riferimento al tema trattato nell'interrogazione E-007388/2014, quali siano i numeri inerenti alle importazioni di agrumi e pomodori dal Marocco;
   se abbia rilevato perturbazioni dei mercati meridionali italiani agrumicolo e ortofrutticolo a seguito dell'accordo di associazione con il Marocco e se sia intenzionato ad attivare le disposizioni di salvaguardia previste;
   se non intenda attivarsi nelle competenti sedi unionali per rivedere tale accordo al fine di evitare la concorrenza sleale a danni dei produttori meridionali di ortofrutta da parte dei rispettivi produttori marocchini che sono avvantaggiati da misure di politica agricola enormemente differenti da quelle italiane;
   se sia stato effettuato un controllo sulle importazioni stagionali marocchine in modo da sincronizzare il relativo calendario di commercializzazione e tutelare il mercato ortofrutticolo italiano. (4-12080)


   LUPO, GALLINELLA, PARENTELA e L'ABBATE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   come appreso da innumerevoli testate giornalistiche dal luglio 2015 a gennaio 2016 sono circa 891 mila le tonnellate di grano proveniente da tutto il mondo scaricate al porto di Bari, tale surplus di offerta ha inevitabilmente causato una drastica riduzione del prezzo del grano italiano, con picchi del –25 per cento esaminando lo stesso periodo negli anni passati si può notare come il prezzo euro/quintale si è passato da circa 34 euro per quintale agli attuali 25,8 euro quintale;
   il grano proviene da: Canada, Turchia, Argentina, Liberia, Singapore, Hong Kong, Marocco, Olanda, Antigua, Sierra Leone, Cipro triangolato da porti inglesi, francesi, da Malta e da Gibilterra;
   i trasporti avvengono con navi cargo da 200 metri di lunghezza e con una capacità di circa 9.000 tonnellate, le navi attraccano dopo lunghi periodi di navigazione, spesso impiegano più di un mese prima di giungere al porto di Bari, come nel caso delle navi provenienti dall'Australia, le quali, sembrerebbe, per evitare i diritti di transito nel canale di Suez, preferirebbero circumnavigare le coste africane per giungere nell'Adriatico attraverso lo stretto di Gibilterra;
   la mole di carico trasportata e il lungo periodo di giacenza del grano all'interno delle stive causano una grande sofferenza del carico, soprattutto nella parte inferiore delle stive, dove tra scarsa aerazione e fenomeni di fermentazione si corre il serio rischio di sviluppo di microrganismi i quali a loro volta generano micotossine dannose per la salute umana;
   il regolamento (CE) n. 1881/2006 definisce i tenori massimi di alcuni contaminanti dei prodotti alimentari, nello specifico il deossinivalenolo (DON), micotossina il cui valore non è commisurato correttamente al consumo medio di cereali italiano, così come esposto nella risoluzione in commissione n. 7-00142 presentata dall'On. Giulia Di Vita –:
   se il Governo sia a conoscenza dell'assoluta mancanza di norme che regolano il mercato mondiale, come l'etichettatura di origine obbligatoria e la tracciabilità delle produzioni, e se si intenda assumere iniziative per attivare un sistema di tracciabilità specifico al fine di garantire un maggiore trasparenza per il consumatore sul prodotto finito;
   se sia nelle intenzioni del Governo assumere iniziative per inasprire le azioni di controllo fitosanitario considerando i rischi a cui questo prodotto è sottoposto;
   se intenda promuovere, presso le opportune sedi comunitarie, norme più stringenti rispetto a quelle sancite dal regolamento n.1881/2006 diminuendo la soglia ammesse di deossinivalenolo presente negli alimenti, al fine di tutelare la salute della popolazione italiana, con particolare riferimento all'alimentazione dei neonati e dei bambini. (4-12089)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, SPESSOTTO, CARINELLI, NICOLA BIANCHI, D'AMBROSIO, DELL'ORCO e BUSINAROLO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche» il Parlamento ha delegato il Governo «[...] ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, in materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni»;
   tra i principi e criteri direttivi della richiamata delega era previsto che il Governo dovesse provvedere in particolare a una: « a) ridefinizione e precisazione dell'ambito soggettivo di applicazione degli obblighi e delle misure in materia di trasparenza; [...] g) individuazione dei soggetti competenti all'irrogazione delle sanzioni per la violazione degli obblighi di trasparenza; h) fermi restando gli obblighi di pubblicazione, riconoscimento della libertà di informazione attraverso il diritto di accesso, anche per via telematica, di chiunque, indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, salvi i casi di segreto o di divieto di divulgazione previsti dall'ordinamento e nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati, al fine di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche; [...] previsione di sanzioni a carico delle amministrazioni che non ottemperano alle disposizioni normative in materia di accesso, di procedure di ricorso all'Autorità nazionale anticorruzione in materia di accesso civico e in materia di accesso ai sensi della presente lettera, nonché della tutela giurisdizionale ai sensi dell'articolo 116 del codice del processo amministrativo, di cui all'allegato 1 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, e successive modificazioni»;
   l'approvazione della richiamata delega, e in particolare del citato articolo 7, era stata salutata con grande favore da autorevoli membri del Governo tra i quali la Ministra interrogata che in occasione dell’Italian Digital Day, evento organizzato il 21 novembre 2015 presso la Reggia di Venaria Reale, ha avuto modo di dichiarare che: «[...] Per quanto attiene la trasparenza, non possiamo intenderla come una serie di adempimenti burocratici per le Pa. La trasparenza è un'arma potente nelle mani di chi governa, è una grande politica trasversale che previene a costo zero dall'illegalità e dalla corruzione. Coniuga legalità ed efficienza attraverso un controllo sociale diffuso di 60 milioni di cittadini che fanno meglio di un solo commissario alla spending review. È la migliore politica di riqualificazione della spesa pubblica. È un'arma potente contro i populismi. Abbiamo introdotto il principio del Freedom of Information Act nella riforma della Pa, ma quel principio sarà in un decreto che porteremo in consiglio dei ministri prima di Natale e diventerà un vero e proprio Foia, portando l'Italia tra le più avanzate legislazioni al mondo in materia»;
   nel quadro descritto, il Consiglio dei ministri n. 101 del 21 gennaio 2016 «[...] su proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione Maria Anna Madia, ha approvato, in esame preliminare, un decreto legislativo recante la revisione e la semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione pubblica e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 ai sensi dell'articolo 7, della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione della amministrazioni pubbliche»;
   al termine del suddetto Consiglio dei ministri insieme al consueto comunicato stampa il Governo ha pubblicato una presentazione powerpoint;
   una delle slide in questione era dedicata alla «Trasparenza» e recava con la dovuta evidenziazione grafica la seguente dicitura «Prima – molti dati e documenti dell'amministrazione non possono essere conosciuti senza una motivazione. Dopo — Ogni cittadino può chiedere all'amministrazione i dati e i documenti che vuole conoscere: l'Italia diventa un Paese più trasparente»;
   senonché l'attesa per l'introduzione nel nostro Paese di un vero e proprio Freedom of Information Act, sul modello statunitense, sembrerebbe dover rimanere ancora una volta delusa dal raffronto con le norme contenute nella bozza di legislativo recante: «Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione pubblicità e trasparenza correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell'articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», pubblicato da diverse testate online nelle ultime settimane;
   dalla lettura della bozza di decreto circolata sugli organi di stampa, gli interroganti oltre che autorevoli commentatori hanno rilevato le evidenti deviazioni rispetto alla delega conferita dal Parlamento delle disposizioni contenute nella suddetta bozza di decreto legislativo;
   nella suddetta bozza, si segnalano alcune previsioni che, ad avviso degli interroganti, si pongono anche in contrasto con i principi e i criteri direttivi indicati dalla delega conferita:
    1. subordinazione del rilascio di dati in formato elettronico o cartaceo al rimborso del costo sostenuto dall'amministrazione (di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 33 del 2013 come modificato dall'articolo 6 della bozza di decreto in esame), diversamente dalla precedente, gratuità dell'accesso, che aggrava ulteriormente i costi per l'esercizio del relativo diritto, limitandolo, tenuto anche conto della mancata previsione di strumenti alternativi alla tutela giurisdizionale innanzi ai giudici amministrativi disponibili per i cittadini a fronte del rifiuto, espresso o tacito, dell'amministrazione di fornire i dati, le informazioni o i documenti richieste;
    2. aumento del novero dei limiti all'accesso civico mediante espressa previsione di cui all'articolo 5-bis del decreto legislativo 33 del 2013 introdotto dall'articolo 6 della bozza di decreto in esame;
    3. previsione del silenzio rigetto, ai sensi del quarto comma dell'articolo 5 del decreto legislativo 33 del 2013 come modificato dall'articolo 6 della bozza di decreto in esame, per il caso di mancata risposta all'istanza di accesso, senza necessità di una motivazione, con conseguente irresponsabilità per i soggetti tenuti al rispetto degli obblighi previsti;
    4. rilevanza anche del mero «pregiudizio verosimile» al fine di negare l'accesso civico;
    5. mancata previsione di specifiche sanzioni a carico delle amministrazioni inadempienti connotate da maggiore sistematicità ed efficacia rispetto alle misure già previste;
    6. eliminazione di obblighi di pubblicazione, come ad esempio, quelli riguardanti l'entità dei premi e i provvedimenti relativi ai concorsi e alle procedure selettive, che, invece, costituiscono ipotesi foriere di fenomeni corruttivi;
    7. limitazione dell'ambito di applicazione della segnalazione che il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza è tenuto ad effettuare;
    8. soppressione dell'obbligo per le pubbliche amministrazioni di redigere il programma triennale per la trasparenza e l'integrità;
   con particolare riferimento alle previsioni di cui all'articolo 5-bis del decreto legislativo 33 del 2013 introdotto dall'articolo 6 della bozza di decreto in esame – sono previste ulteriori limitazioni all'esercizio del diritto di accesso che conferiscono rilevanza escludente ad «interessi privati», fra cui anche «interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica»;
   ne deriva, essendo la normativa applicabile anche alle autorità amministrative indipendenti, la non ostensibilità di dati riguardanti, a titolo esemplificativo, situazioni di conflitti di interesse rimessi alla vigilanza e controllo dell'Antitrust, o fascicoli delle autorizzazioni all'emissione di prodotti finanziari oggetto di valutazione della Consob o della Banca d'Italia, o delle autorizzazioni all'esercizio dell'attività bancaria e a tutte le vicende che ne conseguono, riducendo grandemente, a detta degli interroganti, le forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche in danno della trasparenza e della lotta alla corruzione. Ne deriva, ad esempio, che con le nuove previsioni, in caso di fascicolo dell'Antitrust sul conflitto di interessi di un componente del Governo, non si possa verificare se sia in possesso di quote societarie o eventuali investimenti compiuti trattandosi di un interesse privato riguardante «l'interesse economico e commerciale di una persona fisica o giuridica»;
   allo stesso modo si atteggia il richiamo a pregiudizi alle relazioni internazionali e alla politica di stabilità finanziaria ed economica dello Stato che elide l'accessibilità, ad esempio, a concessioni statali e ai derivati dei comuni su cui, invece, è necessaria una forma di controllo pubblico e diffuso, anche in considerazione dei più recenti scandali e fenomeni di corruzione;
   per chiedere una modifica significativa di tale bozza di decreto legislativo e per giungere, quindi, a un vero e proprio Freedom of Information Act in Italia il gruppo Foia4Italy ha lanciato una petizione sulla nota piattaforma online denominata Change.org dal titolo: «No al Foia giocattolo: l'Italia ha bisogno di una vera libertà di accesso ai documenti». Tale petizione rivolta alla Ministra interrogata, oltre che al Presidente del Consiglio, ha raggiunto nel giro di pochi giorni ben 49.614 sostenitori, a ulteriore dimostrazione della centralità del tema e dell'attenzione allo stesso prestata dall'opinione pubblica –:
   se non intenda promuovere il ritiro del testo così formulato o proporre o apportare modifiche alla richiamata bozza di decreto legislativo pervenendo con il testo finale all'introduzione in Italia di un vero e proprio Freedom of Information Act. (5-07778)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   IACONO, ALBANELLA, ALBINI e AMODDIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 2 febbraio 2016, con determina del direttore generale del Ministero dello sviluppo economico è stato licenziato un provvedimento con il quale si dispone il ritiro delle frequenze a suo tempo concesse a circa 20 emittenti Tv locali operanti in Sicilia, adducendo non meglio specificate interferenze fra tali frequenze e quelle che consentono il funzionamento delle reti Tv della Repubblica di Malta, cosa che determinerebbe pertanto il mal funzionamento di queste ultime;
   un tale provvedimento costituisce un grave pregiudizio per alcune fra le più antiche e prestigiose reti televisive siciliane, molte delle quali da diversi lustri sono assegnatarie, in forza di specifiche concessioni governative, di apposite frequenze e garantiscono da oltre 30 anni un'informazione libera, contribuendo in modo significativo alla tenuta democratica dei territori coperti, costituendo pertanto un irrinunciabile baluardo di terzietà, imparzialità e professionalità;
   tali vicende, oltre a danneggiare il sistema dell'informazione locale, rischiano di determinare gravi conseguenze anche rispetto al mantenimento dei livelli occupazionali di migliaia di operatori del settore, che con passione e dedizione, seppur fra mille difficoltà, offrono un servizio di eccellente qualità;
   inoltre, tale provvedimento andrebbe meglio chiarito e specificato nella parte in cui paventa disturbi alle frequenze maltesi, in forza del fatto che le Tv di Malta sarebbero disturbate unicamente da emittenti Tv delle province di Ragusa e Siracusa, che fruiscono del ripetitore del Monte Lauro; per tale ragione non sono chiare le ragioni per le quali si estende il provvedimento anche alle frequenze assegnate ad emittenti Tv di altre province siciliane, che nulla hanno a che vedere con tale impianto di ripetizione;
   tale provvedimento appare inopportuno soprattutto in considerazione al fatto che il 20 aprile 2016 la magistratura dovrà emettere una sentenza che farà chiarezza sulla materia a seguito del ricorso presentato in sede giurisdizionale amministrativa dall'Associazione REA, supportata da una serie di altre testate televisive e radio, con cui è stata impugnata la delibera dell'Agcom n. 480) proprio in materia di pianificazione delle frequenze tv e radio –:
   quali siano le ragioni tecniche che sottendono e giustificano il provvedimento con il quale si dispone il ritiro delle frequenze e se il Ministro interrogato non ritenga opportuno attendere le decisioni della magistratura che si pronuncerà su tali questioni il 20 aprile 2016;
   se siano stati valutati i danni, i pregiudizi e le limitazioni che esso comporterà alle emittenti interessate dal ritiro di tali frequenze;
   quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di consentire la sopravvivenza di queste storiche emittenti Tv e radio siciliane, tutelando i livelli occupazionali di quanti vi operano e garantendo ai cittadini il diritto ad un'informazione libera. (3-02006)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIBAUDO, CULOTTA, VENTRICELLI, CENSORE, ALBANELLA, BERRETTA, CAPODICASA, CURRÒ, LAURICELLA, MOSCATT, RACITI, TARANTO, TINO IANNUZZI, PARIS, COCCIA e ZAPPULLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, ha introdotto nell'ordinamento un nuovo strumento di programmazione negoziata, i cosiddetti «contratti di sviluppo», con la finalità di favorire l'attrazione degli investimenti e la realizzazione di progetti di sviluppo di impresa e per il rafforzamento della struttura produttiva del Paese, con particolare riferimento alle aree del Mezzogiorno d'Italia;
   il completamento dell’iter normativo non è stato immediato, il decreto ministeriale di natura non regolamentare cui era demandata la fissazione dei criteri, delle condizioni e delle modalità per la concessione delle agevolazioni finanziarie, è stato emanato solo in data 24 settembre 2010;
   anche gli indirizzi operativi per la gestione dei contratti di sviluppo sono stati approvati dal Ministero dello sviluppo economico con decreto ministeriale dell'11 maggio 2011. Successivamente, con decreto ministeriale del 14 febbraio 2014, si è proceduto ad un'ulteriore rimodulazione dell'impianto normativo, incidendo sulla tipologia dei programmi di sviluppo e sui relativi limiti di costo, oltre che sulle procedure e sulla relativa tempistica, non modificando gli attori coinvolti, che sono rimasti il Ministero dello sviluppo economico come amministrazione vigilante, INVITALIA (Agenzia nazionale per l'attuazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa) come soggetto gestore, e le regioni per le materie di loro interesse;
   il processo attuativo dei contratti di sviluppo ha risentito, oltre che della lentezza della definizione del quadro normativo, anche della tardiva e frammentata assegnazione delle risorse;
   a più di 6 anni di distanza dalla comparsa, nell'ordinamento giuridico, di questi tipi di contratti, è stato possibile solo valutare le procedure poste in essere per concedere agevolazioni finanziarie, e non anche i risultati conseguiti in termini di attrazione degli investimenti è realizzazione di progetti di sviluppo di impresa rilevanti per il rafforzamento della struttura produttiva del Paese, dal momento che nel 2013 sono stati sottoscritti solo 5 contratti e 10 nel 2014;
   con delibera del Cipe del 20 febbraio 2015 sono stati assegnati 250 milioni di euro di fondi FSC, (destinandone 200 milioni per il Sud è 50 milioni per il Centro-nord);
   essendo pervenute a INVITALIA, alla data dell'8 luglio 2015, numerose domande per un ammontare totale di circa 5 miliardi di euro di investimenti, con decreto 29 luglio 2015 il Ministero dello sviluppo economico ha stanziano ulteriori 300 milioni di euro del programma nazionale «Innovazione e competitività» (PON I.C.): l'85 per cento delle suddette istanze di investimento riguardano il Sud dove la crisi economica ed il livello di disoccupazione ha raggiunto limiti insostenibili per la tenuta sociale;
   attraverso il «programma di sviluppo per il Sud», annunciato nel mese di novembre 2015, il Presidente del consiglio ha assunto l'impegno di affrontare la questione Sud, meglio chiamata «questione meridionale»: il programma si articola attraverso specifici piani di intervento previsti dentro il cosiddetto «Masterplan del Mezzogiorno»;
   la Corte dei conti, sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, ha approvato nel dicembre 2014 la relazione concernente «la gestione dei contratti di sviluppo», rilevando alcune criticità riguardanti la lentezza dell'azione del Ministero e del soggetto gestore una volta resesi disponibili le risorse, nonché nelle procedure adottate nonostante il decreto ministeriale del 14 febbraio 2014, evidenziando altresì la necessità di metodologie che garantiscano sempre più la razionalizzazione della materia in questione;
   il già citato decreto ministeriale del 29 luglio 2015, al comma 3, prevede che «l'attribuzione di risorse ai programmi di sviluppo è effettuata sulla base dei requisiti e dei criteri indicati nel Programma operativo nazionale Imprese e competitività 2014-2020 FESR, dei criteri di selezione approvati dal Comitato di sorveglianza e delle successive indicazioni fornite dall'Autorità di gestione del programma»;
   senza i menzionati criteri di selezione del Comitato e le successive indicazioni dell'Autorità di gestione del programma non è possibile emanare i bandi ed attivare la spesa;
   non è concepibile che a fronte di così numerose domande di investimento e di risorse disponibili, i contratti di sviluppo rimangano fermi per fattori burocratici –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere, al fine di dare attuazione ai decreti emanati e sbloccare le procedure e i relativi bandi di agevolazione finanziaria;
   se il Governo intenda assumere iniziative rendendo disponibili ulteriori risorse da assegnare al soggetto gestore (INVITALIA), stante l'elevato numero di istanze di investimento, ora che il Mezzogiorno sembra essere ritornato attrattivo grazie anche ai contributi e agli incentivi previsti dai contratti di sviluppo. (5-07772)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Ventricelli e altri n. 5-07759, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Antezza.

  L'interrogazione a risposta scritta Brignone e altri n. 4-12061, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cristian Iannuzzi.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Galgano n. 5-07591, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 559 del 1o febbraio 2016.

   GALGANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la crisi del quotidiano Giornale dell'Umbria è giunta all'epilogo e la proprietà ha annunciato la messa in liquidazione della testata a partire dal 14 gennaio 2016 con il conseguente licenziamento dei 17 giornalisti e 9 poligrafici;
   una crisi, quella della testata locale, che ha avuto inizio nell'estate del 2012, sotto la proprietà del gruppo Colaiacovo, quando non furono rinnovati i contratti di tre giornalisti precari e venne dichiarata l'apertura dello stato di crisi perdurato fino al 2015;
   con una lettera datata 21 maggio 2015, firmata dal presidente del gruppo editoriale Umbria 1819 Giambaldo Traversini, infatti, ai giornalisti dell'azienda, allora di proprietà dell'imprenditore Carlo Colaiacovo, spiega che «stante il perdurare di una criticità gestionale» la proprietà «è chiamata a prendere in esame la possibilità di valutare la cessione»;
   tra le opportunità elencate c’è quella «di accogliere proposte avanzate da cooperative di giornalisti costituite allo scopo», perciò «l'azienda si rende disponibile a valutare eventuali manifestazioni di interesse promosse dalla redazione del giornale in ordine all'acquisto della testata»;
   la proposta della cooperativa non va in porto e, il 29 maggio 2015, il consiglio di amministrazione del Giornale dell'Umbria delibera la cessione. Il 27 agosto 2015, di fronte al notaio eugubino Enzo Paolucci, Francesca Colaiacovo, presidente del consiglio di amministrazione, e i membri del consiglio di amministrazione, il presidente di Confindustria Umbria Ernesto Cesaretti, Giampiero Bianconi per la Bifin e il già citato Traversini, per la coop Transcommunication media management, formalizzano la vendita all'acquirente Giuseppe Incarnato, amministratore unico e legale rappresentante della Gifer Editori;
   il capitale sociale del Giornale ammonta a 50 mila euro: il 50,25 per cento è in mano alla Transcommunication, il 37,3 alla Financo dei Colaiacovo e il 6,2 alla Scai di Cesaretti e alla Bifin. Nell'atto, reso noto dal consiglio di redazione della testata, vengono ricordate le difficoltà di bilancio, «gli ultimi esercizi in perdita» e un andamento di gestione che «non si è modificato nel primo semestre del corrente anno»;
   l'acquirente Incarnato condiziona la vendita «all'acquisto dell'intero capitale» e, come si legge nell'atto, la testata umbra viene ceduta al prezzo di 50 mila euro. Va ricordato che, ancora nel 2015, e negli anni precedenti, la testata ha beneficiato dei fondi pubblici di sostegno per l'editoria per un importo di poco inferiore al milione di euro;
   il bilancio del Giornale, tra il 2013 e il 2014, passa da un passivo di un milione di euro ad una perdita di 626 mila euro, con stipendi, oneri sociali e trattamenti di fine rapporto che pesano 1,2 milioni di euro;
   il nuovo editore Incarnato nomina Luigi Giacumbo, presidente della Geu 1819, e nuovo direttore della testata, Luigi Camilloni di Agenparl che, a distanza di tre mesi dall'insediamento, viene sfiduciato dalla redazione a causa della mancata presentazione di un piano editoriale di rilancio, da concordare con la proprietà e a seguito di una serie di decisioni circa la riorganizzazione del personale interno;
   il 30 ottobre 2015, infatti, la nuova proprietà del Giornale dell'Umbria invia una e-mail con la quale licenzia dieci collaboratori: «In riferimento al contratto tra lei e il Gruppo Editoriale Umbria – è il testo della mail reso noto nel comunicato inviato dal consiglio di redazione – sono a comunicare che per volontà della proprietà che io rappresento e su indicazione del direttore, dottor Camilloni (direttore responsabile della testata), l'azienda non intende più avvalersi della sua collaborazione»;
   i giornalisti della testata iniziano da qui un difficile confronto con il nuovo editore, al fine di salvaguardare il ruolo insostituibile del quotidiano, nel più vasto panorama editoriale regionale, l'autonomia dei giornalisti e le loro prerogative professionali;
   il 5 novembre 2015 si è tenuto il primo incontro, durante il quale sono state confermate tutte le preoccupazioni legate alla critica situazione economico-finanziaria dell'azienda e alla mancanza di un piano industriale ed editoriale in grado di delineare una anche minima prospettiva di continuità delle attività;
   la trattativa non ha raggiunto esiti soddisfacenti e il consiglio di redazione e i giornalisti e i poligrafici della testata locale proclamano, supportati dall'ordine dei giornalisti, Asu e Cgil, per venerdì 6 novembre 2015 una giornata di sciopero e sabato 7 novembre il quotidiano umbro non è uscito ma le edicole ne sono rimaste sfornite anche domenica 8 novembre;
   tuttavia, il comitato di redazione ha precisato che la mancata uscita in edicola del quotidiano dell'8 novembre «non è stata dovuta ad azioni di sciopero da parte del personale giornalistico e poligrafico, ma è avvenuta per espressa volontà dell'editore»;
   quest'ultimo, infatti, con una e-mail notturna ha improvvisamente deciso di non autorizzare la pubblicazione e stampa dell'edizione cartacea del quotidiano, già confezionata dal personale giornalistico, fino a nuovo ordine, in quanto non rispecchiava la nuova foliazione prevista nel piano editoriale; su questo punto, il comitato di redazione ha ricordato che il direttore responsabile non ha mai presentato tale piano al suo insediamento e la nuova foliazione non è mai stata comunicata ufficialmente né al consiglio di redazione, né al personale giornalistico e poligrafico;
   un atto giudicato dai giornalisti «arbitrario e gravissimo per il lavoro e la dignità di ciascun lavoratore della testata, nonché, a nostro avviso, compiuto in violazione del comma 2 dell'articolo 21 della Costituzione italiana e dell'articolo 28 della legge 300»;
   si apre, a questo punto, un confronto duro tra il consiglio di redazione, la proprietà della testata, i sindacati e l'ordine dei giornalisti che chiedono la convocazione di diversi incontri ai quali, però, l'editore e il direttore responsabile non si presentano;
   a novembre 2015, intanto, lo stesso editore lancia un appello all'imprenditoria locale umbra per promuovere un aumento di capitale «fino a dieci milioni di euro», dando agli investitori interessati appuntamento al 18 dicembre 2015. Incontro andato deserto;
   il 5 gennaio 2016, il comitato di redazione del Giornale dell'Umbria, anche a nome del personale giornalistico e poligrafico, «si trova nuovamente costretto ad annunciare ed effettuare quattro giornate di sciopero nelle giornate del 6, 7, 11 e 12 gennaio 2016, a causa del permanere di una ormai precaria e difficile situazione economico-finanziaria, gestionale e organizzativa della testata»;
   nella nota «si esprime nuovamente grande preoccupazione per l'estrema incertezza circa le sorti del giornale e dei suoi dipendenti all'approssimarsi della data del 14 gennaio, termine della ricapitalizzazione della società editrice Geu 1819»;
   la crisi culmina il 18 gennaio 2016 con l'annuncio da parte dello stesso comitato di redazione del quotidiano insieme a Rsa, Asu e Cgil della «formale comunicazione aziendale di avvio delle procedure di messa in liquidazione della società Geu 1819 avvenuta in data 14 gennaio 2016 e nella quale si rende noto che il giorno 21 gennaio 2016 il liquidatore nominato dall'editore assumerà l'incarico»;
   l'assemblea ritiene, inoltre «che vada riconvocato immediatamente il tavolo di crisi, istituito presso la regione Umbria e disertato dall'azienda, richiedendo la presenza del liquidatore»;
   la riunione del 14 gennaio 2016 in cui si ufficializza la messa in liquidazione della testata si è tenuta a Roma, presso lo studio e in presenza del notaio Fabio Orlandi. Aperta alle ore 16:15, verrà dichiarata chiusa 25 minuti più tardi. Membri del consiglio presenti: 1, Luigi Camilloni, già direttore della testata umbra e anche consigliere di amministrazione;
   il resto del consiglio di amministrazione ovvero il presidente Luigi Giacumbo, l'amministratore delegato Giuseppe Ghezzi e gli altri membri Emanuele Mapelli e Guglielmo Mazzarino risultano assenti. Così come non ci sono Giuseppe Incarnato, amministratore unico di Gi.F.Er che detiene il 100 per cento delle quote di GEU1819, e il sindaco Marco Nicchi;
   quindi, il direttore della testata Camilloni, unico presente – come si legge nel verbale della seduta – procede alla sua nomina come liquidatore unico della società, supportato dallo studio legale Marrocco in tutte le fasi del suo compito;
   nel verbale della riunione del 14 gennaio 2016 vengono, altresì, annoverate presunte responsabilità della società cedente, anche sulla base di una recente due diligence che proverebbe «l'assenza del Trattamento di Fine Rapporto (TFR)», cifra che dovrebbe invece essere obbligatoriamente accantonata dai datori di lavoro e che costituisce voce attiva di bilancio. In questo caso, l'ammanco viene quantificato in un importo, a fine 2014 (ultimo bilancio approvato), di oltre mezzo milione di euro;
   a seguito dell'ufficializzazione della messa in liquidazione e della pubblicazione del verbale suddetto, gli ex soci della GEU1819 Srl (TMM Soc. Cooperativa, Financo Srl, Scai SpA, Bifin Srl) inviano una nota alla stampa locale nella quale evidenziano di «aver sempre prodotto tutti gli sforzi possibili, facendo fronte fino alla data di cessione a tutti gli impegni. Al momento della cessione, abbiamo provveduto, per quanto di nostra competenza – continuano – a creare le condizioni di continuità aziendale, per l'attuazione del nuovo piano industriale predisposto dalla nuova proprietà. Ci sono stati sempre nel nostro comportamento linearità, trasparenza e buona fede»;
   gli ex soci dichiarano, inoltre, di essere loro «i primi ad essere stupiti, colpiti e traditi da una gestione che ha messo in serissima difficoltà un patrimonio del giornalismo umbro» e di aver «dato mandato ai nostri legali affinché intraprendano nelle sedi opportune azioni civili e penali a nostra tutela in particolare relativamente al contenuto di atti formali della nuova gestione della società che stanno in queste ore circolando»;
   a fine febbraio 2016 dovrebbero essere inviate le lettere di licenziamento per i 17 giornalisti e i 9 poligrafici della testata;
   il 27 gennaio 2016, inoltre, la prima commissione del consiglio regionale dell'Umbria ha convocato in audizione il presidente dell'Ordine dei giornalisti dell'Umbria, Roberto Conticelli, e il presidente dell'Associazione stampa umbra, Marta Cicci che hanno evidenziato come «la chiusura del Giornale dell'Umbria è solo l'ultimo caso di una situazione molto preoccupante. Il panorama dell'informazione in Umbria è devastante»;
   grande è, quindi, la preoccupazione sia per le vicende legate alla testata, sia per una grave crisi che da tempo investe la carta stampata e il sistema radiotelevisivo locale nel suo complesso, crisi che mette a rischio posti di lavoro e il sistema regionale della comunicazione, a danno peraltro del pluralismo dell'informazione e del diritto dei cittadini ad essere informati –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri sia a conoscenza dei fatti suesposti, quali iniziative ritenga opportuno assumere al fine di salvaguardare i diritti e le professionalità dei giornalisti della testata e per salvaguardare il settore dell'emittenza radiotelevisiva locale, duramente colpito dalla crisi e in attesa da anni di una riforma che non ha ancora visto la luce, e a quale punto sia l’iter di definizione del piano nazionale per l'editoria cui il Governo sta lavorando da oltre un anno. (5-07591)