Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 5 febbraio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la normativa comunitaria definisce «lavoratore frontaliero» qualsiasi lavoratore occupato sul territorio di uno Stato membro e residente sul territorio di un altro Stato membro dove torna, di regola, ogni giorno o almeno una volta alla settimana. Ciò che differenzia il lavoratore frontaliero dal lavoratore migrante è il fatto di essere residente in uno Stato e di lavorare in un altro. In altri termini, mentre il lavoratore migrante lascia il suo Paese di origine per abitare e lavorare in un Paese diverso da quello nel quale ha riseduto fino a quel momento, il frontaliere ha una doppia cittadinanza nazionale per il luogo di residenza e il luogo di lavoro;
    il fenomeno dei lavoratori frontalieri e la frontiera in genere provocano sovente effetti perversi agendo da barriera tra sistemi amministrativi ed economici. Per questo motivo, oramai da tempo immemore, si è costretti a rincorrere soluzioni rispetto agli aspetti di natura tanto fiscale quanto di protezione sociale riferiti a questa particolare categoria di lavoratori che si muove a cavallo del confine;
    come noto, assumono particolare rilievo gli aspetti legati al fenomeno frontaliero dei lavoratori italiani in Svizzera per i quali, contrariamente agli accordi vigenti nell'Unione europea ove è possibile la libera circolazione come definita dal trattato di regime di soggiorno più specifico relativo all'autorizzazione al lavoro. In Svizzera è infatti necessario ottenere un permesso al lavoro ove venga specificata la retribuzione, che dovrà rispettare il minimo salariale del cantone come definito dall'Ufficio cantonale del lavoro. Il permesso è concesso solo se il lavoratore avrà trovato un datore di lavoro, e dopo aver verificato che non vi siano iscritti nelle liste locali di collocamento per lo stesso genere di incarico. La concessione dei permessi in ciascun cantone è altresì subordinata a una quota minima di lavoratori nazionali presenti in impresa;
    il numero dei frontalieri italiani in Svizzera è cresciuto nel tempo, evidenziando tuttavia una graduale decelerazione negli ultimi anni: nel quadriennio 2011-2014 la crescita annuale dei flussi si è attestata all'8,8 – 7,7 – 5,4 e 5,3 per cento per il Cantone Ticino; al 9,4 – 7,2 - 7,2 e 5,2 per il Cantone dei Grigioni; al 14,9 – 12,1 – 9,1 e 11,4 per il Cantone Vallese. L'elaborazione dei dati Ustat consente di avere l'informazione sulla provincia di provenienza per la Lombardia e per il Piemonte; in quest'ultimo caso, sono state impiegate anche le elaborazioni dell'Osservatorio regionale del mercato del lavoro (ORML) del Piemonte su dati Ust;
    analizzando i dati riferiti alla provincia di provenienza, emerge che come prevedibile sono le province caratterizzate dai più lunghi tratti di confine con la Svizzera quelle che incidono maggiormente sul movimento dei frontalieri verso il Cantone Ticino: Varese e Corno sono le province di residenza in cui il fenomeno è più consistente (circa 25 mila unità nel 2014 in ciascuna provincia), seguite da quella di Verbano-Cusio-Ossola (oltre 5 mila). Più contenuti sono i flussi dalle altre province confinanti (Sondrio, Lecco, Aosta, Bolzano). L'Ustat diffonde anche il movimento da altre province italiane verso il Cantone Ticino, che è stato pari a 4.548 frontalieri nel 2014 e 4.071 nel 2013 (un incremento annuale pari circa al 12 per cento). Attraverso i dati censuari svizzeri si può notare che, sebbene risulti sensibilmente più ridotto il flusso inverso dalla Svizzera all'Italia, esso esiste ed è in crescita nel tempo, Nel 2010 erano 1.455 gli svizzeri che lavoravano nel territorio italiano, mentre nel 2011 si sono attestati a 1.904;
    il 23 febbraio 2015, dopo circa tre anni di negoziati, Italia e Svizzera hanno siglato a Milano un accordo in materia fiscale e finanziaria;
    i due Paesi hanno infatti sottoscritto una roadmap per il proseguimento del dialogo sulle questioni finanziarie e fiscali, la roadmap comprende anche una revisione dell'accordo sul trattamento fiscale dei lavoratori frontalieri;
    alla luce dell'instaurazione di questo percorso tra Italia e Svizzera volto al perfezionamento di tutti gli aspetti di natura fiscale e di protezione sociale che riguardano i lavoratori frontalieri, parrebbe opportuno tenere in considerazione la necessità di intervento rispetto a talune problematiche che emergono in tutta la loro criticità, non da ultima quella per la quale, in seguito all'adozione del principio della tassazione concorrente, non vi sarà più alcuna compensazione finanziaria tra i due Stati, il che comporterà la necessità per l'Italia di provvedere unilateralmente con il proprio bilancio a ristorare i comuni frontalieri, recependo nella legge di ratifica del nuovo trattato la normativa che oggi regola la distribuzione dei trasferimenti ai comuni. Tale previsione appare evidentemente peggiorativa rispetto a quella antecedente e di grave danno per le casse dei comuni frontalieri italiani;
    il nuovo accordo, infatti, nel porre fine al meccanismo del ristorno, prevede che sia lo Stato italiano a compensare i comuni di frontiera, lasciando una preoccupante incognita sulla garanzia dell'attuale gettito ai comuni medesimi;
    quanto al sistema di protezione sociale vi è da aggiungere che il Regolamento (CE) n. 883 del 2004, che si applica anche alla Svizzera dal 2012 (con l'entrata in vigore della modifica dell'accordo sulla libera circolazione delle persone) in materia di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, prevede in particolare all'articolo 65 (paragrafo 5, lettera a) che sia l'istituzione dello Stato di residenza (per l'Italia, l'INPS) a erogare le prestazioni al disoccupato (quindi, nel caso di specie, ai frontalieri italiani che dovessero essere licenziati in Svizzera) come se fosse stato soggetto alla legislazione dello Stato di residenza durante la sua ultima attività lavorativa. Il successivo paragrafo 6 prevede, comunque, l'obbligo per il Paese di ultimo impiego (nel caso, la Svizzera) di rimborsare all'istituzione dello Stato di residenza (INPS) l'importo delle prestazioni erogate;
    il fenomeno dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera possiede rilievo strutturale, in quanto, pur non rappresentando la componente maggioritaria del complesso dei frontalieri che lavorano nella Confederazione, i lavoratori italiani svolgono comunque una funzione essenziale nel soddisfare la domanda di lavoro
nelle aree di riferimento, in particolare in Ticino. Nel Cantone i frontalieri nel 2014 hanno rappresentato il 26,9 per cento degli occupati, a fronte del 5,8 per cento riferito a tutti i frontalieri presenti nell'intera Confederazione;
    il tessuto economico svizzero ha infatti estremo bisogno di forza lavoro straniera: negli ultimi  anni il saldo migratorio della Confederazione elvetica è stato tra i più alti dell'Unione europea, oscillando tra le 60 mila e le 80 mila unità. A maggior ragione in un contesto in cui le esportazioni e il turismo potrebbero risentire del rafforzamento del franco, l'immigrazione – e la connessa disponibilità di forza lavoro caratterizzata da un salario di riserva concorrenziale – potrebbero rivelarsi fondamentali per contenere la perdita di competitività connessa alla rivalutazione del cambio, sostenere la crescita della domanda interna e dei consumi, limitare l'impatto della debole ripresa dell'economia europea, e rincorrere sensibilmente al finanziamento del welfare domestico,

impegna il Governo:

   ad assumere ogni iniziativa utile a garantire la parità di trattamento tra cittadini svizzeri e cittadini degli Stati dell'Unione europea eliminando ogni causa di discriminazione a motivo della propria cittadinanza per quanto riguarda, in particolare, condizioni di impiego e di lavoro, retribuzione e vantaggi fiscali e sociali;
   ad assumere iniziative volte a favorire l'eliminazione delle ripercussioni negative che il trasferimento in un altro Stato per lavorarvi possa avere sulle coperture assistenziali e previdenziali;
   a garantire la corretta applicazione del regolamento (CE) n. 883 del 2004, che si applica anche alla Svizzera dal 2012, con particolare riferimento alla necessità di porre stringenti vincoli quanto alla tempistica di rimborso dei costi sostenuti dall'istituzione dello Stato di residenza (INPS), nei casi di costi posti a carico di quest'ultima;
   ad assumere iniziative per prevedere lo sblocco in favore dei lavoratori frontalieri dei fondi per il finanziamento della legge n. 147 del 1997;
   a favorire l'apposizione di specifici vincoli di utilizzo di quota parte delle risorse rinvenienti dalla tassazione dei lavoratori frontalieri, per il sostegno del welfare domestico;
   ad assumere iniziative finalizzate alla previsione di un regime fiscale convenzionale che consenta la destinazione diretta ai comuni di residenza delle somme dovute a titolo di ristorno delle spese sostenute per servizi sociali a carico dei medesimi.
(1-01137) «Cominardi, Ciprini, Tripiedi, Chimienti, Dall'Osso, Lombardi, D'Incà».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo i dati dell'ufficio federale di statistica del Canton Ticino, sono 69 mila gli italiani, di cui la maggior parte provenienti dalle province di Varese, Como e Verbano-Cusio-Ossola che ogni giorno varcano la frontiera per recarsi a lavorare in Svizzera, pur continuando a risiedere in Italia e che costituiscono una risorsa fondamentale per l'economia dei cantoni Ticino, Vallese e Grigioni;
    i lavoratori frontalieri, secondo, stime relative al secondo trimestre del 2015 guadagnano circa il 7-8 per cento meno dei lavoratori elvetici. I frontalieri italiani operano nella grande maggioranza in Canton Ticino (circa il 90 per cento, pari a circa 62 mila), ma anche nei cantoni turistici dei Grigioni e del Vallese; nei tre cantoni, lavorano complessivamente oltre il 99 per cento dei frontalieri provenienti dall'Italia;
    Varese è la provincia con più frontalieri seguita da Como. Il movimento da altre province italiane verso il Cantone Ticino è stato pari a 4.548 frontalieri nel 2014 e 4.071 nel 2013 (un incremento annuale pari circa al 12 per cento). Il tasso di disoccupazione in Ticino è fisiologico: 3,4 per cento a settembre 2015 (contro il 3,2 dell'intera Svizzera);
    gli italiani che lavorano nel Cantone Ticino sono in costante aumento da anni, una tendenza che non accenna ad invertirsi: erano 47.357 nel 2010, 51.513 nel 2011, 55.484 nel 2012, 58.465 nel 2013 e 61.588 nel 2014, 61.740 nel primo trimestre del 2015 sempre secondo l'Ufficio federale di statistica di Berna;
    in base ai dati recentemente rilasciati dall'ufficio di statistica del Cantone Ticino, considerando l'insieme dell'economia privata ticinese, nel 2012 l'importo medio del salario mensile lordo di un lavoratore frontaliere ammontava a 4.393 franchi. Si tratta di una cifra significativamente inferiore rispetto ai salariati svizzeri (5.733), stranieri domiciliati (5.295) o dimoranti (4.951). Rispetto al 2000, il salario dei frontalieri è cresciuto a un ritmo molto modesto (309 franchi, il 7,6 per cento nel periodo, lo 0,6 per cento in media d'anno) sensibilmente meno rispetto alle altre categorie di lavoratori;
    di riflesso, il divario salariale tra lavoratori svizzeri e frontalieri si è ampliato (passando dal 14,6 al 23,4 per cento) a fronte, al contrario, di un assottigliamento dello scarto tra le retribuzioni degli elvetici e gli altri stranieri residenti nella Confederazione elvetica. Anche volendo tenere in conto la diversa composizione in termini di profili personali e professionali dei lavoratori posti a confronto, secondo dati forniti dall'Ustat, le differenze retributive tra lavoratori svizzeri e frontalieri restano nell'ordine del 7-8 per cento a vantaggio degli elvetici, mentre tale differenziale si annulla per gli stranieri residenti;
    il Parlamento ticinese e il Ministero delle finanze hanno recentemente commissionato uno studio all'IRE, Istituto di ricerche economiche dell'università della Svizzera italiana di Lugano, che ha condotto un'approfondita ricerca in materia di lavoratori frontalieri, esaminando i dati relativi agli impiegati in 328 aziende svizzere;
    dallo studio risulta che tra i principali motivi di assunzione di frontalieri spiccano «le carenze di competenze fra i residenti». In aggiunta si evidenzia che «il reclutamento di lavoratori stranieri, da parte delle aziende ticinesi, è dovuto al fatto che il candidato straniero ha semplicemente mostrato il profilo più adatto per il posto da ricoprire». Quindi in sostanza, i lavoratori frontalieri italiani vengono scelti proprio per le competenze e le professionalità che non è possibile ritrovare all'interno della confederazione elvetica;
    la presenza di un così consistente numero di frontalieri ha indotto l'Italia e la Confederazione elvetica a stipulare numerosi accordi bilaterali per regolare diverse questioni riguardanti, tra l'altro, la previdenza sociale, l'imposizione fiscale, l'indennità di disoccupazione;
    nel febbraio 2015 il Governo italiano e il Consiglio federale svizzero hanno siglato il protocollo di intesa fiscale che modifica la Convenzione tra i due Paesi per evitare le doppie imposizioni; il protocollo prevede lo scambio di informazioni su richiesta a fini fiscali secondo gli standard Ocse, per i periodi successivi alla firma dell'accordo, per singolo contribuente o per categorie di soggetti, senza la possibilità di opporre il segreto bancario e la possibilità di utilizzare in via amministrativa e giudiziaria le informazioni scambiate;
    il protocollo, di fatto modifica la Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Svizzera il 9 marzo 1976 e sancisce la fine del segreto bancario;
    unitamente al protocollo è stata anche sottoscritta una road map, un documento politico che fissa il percorso per la prosecuzione dei negoziati su altre questioni tra cui revisione dell'accordo del 1974 sulla tassazione dei lavoratori frontalieri, ad oggi ancora in vigore e che prevede la tassazione esclusiva in Svizzera con il ristorno del 40 per cento del gettito ai comuni italiani della zona di confine;
    il 22 dicembre 2015, è stato perfezionato il nuovo accordo fiscale tra Italia e Svizzera, che abolisce due meccanismi che sinora non erano mai strati modificati: i ristorni ai comuni di frontiera e la tassazione alla fonte per circa 69 mila lavoratori italiani;
    l'accordo che entrerà pienamente in vigore entro dieci anni, rappresenta più di un'incognita per i lavoratori per quanto riguarda la propria posizione fiscale; i lavoratori frontalieri saranno infatti assoggettati ad imposizione nello Stato di residenza, pagando le tasse sui redditi per il 70 per cento in Svizzera e per il restante 30 per cento in Italia, con un indubbio aumento del carico fiscale, che una volta a regime, rappresenterà un forte esborso per i lavoratori frontalieri,

impegna il Governo:

   ad assumere tutte le necessarie iniziative affinché, il nuovo sistema fiscale, una volta a pieno regime, non contempli condizioni fiscali che siano più sfavorevoli per i lavoratori frontalieri, riportando anzi la tassazione ai parametri previgenti al rinnovo della Convenzione;
   ad assumere iniziative perché nel nuovo regime fiscale siano previsti i ristorni dei lavoratori frontalieri verso i comuni di residenza, con una disciplina che sia certa relativamente all'ammontare dei ristorni stessi e alle modalità di distribuzione, al fine di tenere conto delle legittime istanze dei territori di frontiera e dei suoi lavoratori;
    ad assumere le opportune iniziative affinché l'INPS proceda allo sblocco delle risorse per il finanziamento della legge n. 147 del 1997, che contiene un fondo finanziato con i contributi di disoccupazione pagati dai frontalieri alla Svizzera e da questa ristornati all'Italia.
(1-01138) «Polverini, Occhiuto, Crimi».


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, in attuazione della direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014, istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento. Le disposizioni contenute nel Titolo IV, Capo IV, Sezione III, del medesimo decreto legislativo sono dedicate all'istituto del bail-in ovverosia alla procedura di compensazione tra le perdite della banca ed azioni e altri strumenti finanziari posseduti da investitori e risparmiatori della stessa banca. La disciplina sul bail-in – ai sensi dell'articolo 106, comma 2, del medesimo decreto legislativo – è entrata in vigore «solo» a decorrere dal 1o gennaio 2016;
    in sede di audizione presso la Commissione finanze della Camera dei deputati del 9 dicembre 2015 il capo del dipartimento vigilanza della Banca d'Italia, dottor Carmelo Barbagallo, ha postulato la necessità di rinviare l'applicazione del bail-in al 2018 al fine di: «...consentire la sostituzione delle obbligazioni ordinarie in circolazione con altre emesse dopo l'entrata in vigore del nuovo quadro di gestione delle crisi e, dunque, collocate e sottoscritte avendo presenti i nuovi scenari di rischio»;
    il decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, le cui disposizioni sono state successivamente inserite nella legge di stabilità 2016, ha disposto la risoluzione di Cassa di risparmio di Ferrara spa, di Banca delle Marche spa, Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa e di Cassa di risparmio di Chieti spa, già oggetto di commissariamento da parte della Banca d'Italia. La procedura di risoluzione, che ha determinato la riduzione del valore di azioni ed «obbligazioni subordinate», è stata avviata nel 2015 sulla base delle disposizioni contenute nel Titolo IV, Capo IV, Sezione III del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, che ai sensi del richiamato articolo 106 del medesimo decreto legislativo sono entrate in vigore solo a decorrere dal 1o gennaio 2016, per tal motivo – a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo – sembrerebbe che la procedura di risoluzione delle menzionate banche sia stata adottata in carenza di legittimazione normativa e, se così fosse, tutti gli atti adottati dal Governo, dal Ministero dell'economia e delle finanze e da Banca d'Italia sarebbero viziati;
   l'Associazione bancaria italiana di concerto a 12 associazioni di consumatori (Acu, Adiconsum, Adoc, Assoutenti, Casa del Consumatore, Centro Tutela Consumatori Utenti, Cittadinanzattiva, Codacons, Confconsumatori, Lega Consumatori, Movimento Consumatori, Unc), alla Fondazione per l'educazione finanziaria e al risparmio e alla Federazione delle banche, delle Assicurazioni e della finanza, ha redatto una guida per i risparmiatori al fine di renderli edotti delle nuove regole sulla stabilità finanziaria e sulla risoluzione delle crisi delle banche e delle imprese d'investimento;
   da fonti stampa si apprende come la riduzione del valore delle azioni ed obbligazioni subordinate avvenuta sulla base delle nuove regole europee abbia creato nella collettività un reale timore di perdita del proprio risparmio nell'ipotesi di eventuali difficoltà finanziarie dell'istituto di credito di propria fiducia. L'attenzione dei risparmiatori è elevata soprattutto verso le decine di banche ancora oggetto di commissariamento. Non si esclude, quindi, che la paura collettiva possa implicare una distorsione della stabilità economico-finanziaria del sistema bancario e finanziario italiano;
   la Commissione europea ha assunto, in data 23 dicembre 2015, la propria decisione sull'intervento di sostegno effettuato, nel 2014, dal Fondo interbancario di tutela dei depositi (FITD) in favore della Banca Tercas, in relazione all'acquisizione della stessa da parte della Banca popolare di Bari. La Commissione sostiene che tale intervento costituisca un aiuto di Stato non compatibile con la disciplina europea. La Commissione europea, modificando il proprio orientamento, ha parificato l'intervento del FITD a una misura di supporto pubblico perché, nonostante il FITD sia costituito da risorse private, i suoi interventi sono imputabili allo Stato italiano in ragione dell'approvazione ex post da parte della Banca d'Italia delle decisioni che li dispongono e dell'obbligatorietà dell'adesione al Fondo. Per evitare che l'intervento del FITD sia qualificato come aiuto di Stato è necessaria la previsione di misure di contenimento della distorsione della concorrenza, tra cui in particolar modo, la condivisione degli oneri da parte dei detentori di obbligazioni subordinate (cosiddetto burden-sharing). Così come dichiarato dal Ministero dell'economia e delle finanze in data 23 dicembre 2015 il FITD, su suggerimento ed impulso del medesimo Ministero, ha provveduto ad istituire un meccanismo complementare volontario con una gestione separata e finanziato con risorse diverse dalle contribuzioni obbligatorie. Inoltre, dal comunicato stampa del Ministero si apprende: «Il meccanismo volontario, per definizione non assoggettabile ai vincoli previsti per gli aiuti di Stato, provvederà a replicare il precedente intervento, restituendo alla Banca Tercas l'intero ammontare delle risorse che questa dovrà retrocedere al FITD in esecuzione della decisione della Commissione. L'intervento del meccanismo garantirà la piena continuità finanziaria e operativa di Banca Tercas, neutralizzando le conseguenze negative della decisione della Commissione europea». Si desume – quindi – che un intervento del FITD con finanziamenti volontari risulta pienamente compatibile con la disciplina europea in materia di aiuti di stato;
   nel mese di dicembre 2015 si è assistito a due tipologie di risoluzione di crisi bancarie, a prima relativa a Banca Tercas conclusasi con esito favorevole nei confronti dei risparmiatori che hanno sottoscritto obbligazioni subordinate e la seconda relativa a Cassa di risparmio di Ferrara S.p.A., di Banca delle Marche S.p.A., di Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa e di Cassa di risparmio di Chieti S.p.A conclusasi con la riduzione totale del valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate detenute da investitori e risparmiatori. Il diverso modus operandi assunto dal Governo, dal Ministro dell'economia e delle finanze, dalla Banca d'Italia e le relative conseguenze giuridiche sono agli antipodi e, in considerazione del fatto che nella seconda ipotesi i risparmiatori hanno perso i propri risparmi, si palesa secondo i firmatari del presente atto di indirizzo una chiara ed irragionevole disparità di trattamento sindacabile ai sensi del principio di eguaglianza e ragionevolezza di cui all'articolo 3 della Costituzione. Inoltre, si aggiunge che la disciplina sul bail-in risulta ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, essere costituzionalmente illegittima in quanto in contrasto con le disposizioni di cui all'articolo 47 della Costituzione (La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito),

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per rinviare l'applicazione del bail-in al 2018 al fine, così come asserito dal capo del dipartimento vigilanza della Banca d'Italia, di consentire la sostituzione delle obbligazioni ordinarie in circolazione con altre emesse dopo l'entrata in vigore del nuovo quadro di gestione delle crisi e, dunque, collocate e sottoscritte avendo presenti i nuovi scenari di rischio ed al fine di evitare ogni possibile distorsione della stabilità economico-finanziaria del sistema bancario e finanziario italiano;
   alla luce delle anomalie descritte in premessa, ad effettuare un riesame dei presupposti formali e sostanziali – in particolar modo in relazione alle disposizioni di cui al Titolo IV, Capo IV, Sezione III del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180 – sulla base dei quali il Ministro dell'economia e delle finanze ha approvato il ricorso alla procedura di risoluzione di Cassa di risparmio di Ferrara S.p.A., di Banca delle Marche S.p.A., di Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società Cooperativa e di Cassa di risparmio di Chieti S.p.A., e, nell'ipotesi in cui fosse riscontrata la carenza di tali presupposti, ad assumere ogni iniziativa consequenziale, anche prevedendo un integrale risarcimento del danno per la riduzione del valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate degli investitori e dei risparmiatori delle medesime banche;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza, in conformità alle disposizioni di cui agli articoli 3 e 47 della Costituzione, volta a predisporre l'intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi con finanziamenti volontari delle banche per la risoluzione della crisi di Cassa di risparmio di Ferrara S.p.A., di Banca delle Marche S.p.A., di Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa e di Cassa di risparmio di Chieti S.p.A e finalizzata a restituire il risparmio investito in azioni ed obbligazioni subordinate oggetto di riduzione ai legittimi proprietari;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza, anche di carattere normativo, al fine di predisporre la nomina di un rappresentante dei consumatori – eletto dalle associazioni di categoria e retribuito dal sistema bancario – negli organi di amministrazione e controllo delle banche in modo da consentire ai medesimi consumatori di prendere cognizione della corretta gestione della banca;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza, anche di carattere normativo, al fine di introdurre la facoltà per i rappresentanti dei consumatori eletti negli organi di amministrazione e controllo delle banche, di esprimere parere vincolante su ogni operazione o gruppo di operazioni che possano compromettere la sana e prudente gestione della banca ed arrecare ogni genere di effetto pregiudizievole per il risparmio e gli investimenti dei clienti della medesima banca.
(1-01139) «Villarosa, Cariello, Pesco, Alberti, Ruocco, Sibilia, Pisano, Caso, Castelli, D'Incà, Brugnerotto, Sorial, Massimiliano Bernini, Agostinelli, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Businarolo, Busto, Cancelleri, Carinelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Petraroli, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Sarti, Scagliusi, Spadoni, Spessotto, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Zolezzi».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1, comma 153, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 ha apportato modifiche all'articolo 1, comma 2, del regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, convertito dalla legge 4 giugno 1938, n. 880, stabilendo che, ai fini della debenza del canone di abbonamento alla televisione per uso privato: «La detenzione di un apparecchio si presume altresì nel caso in cui esista un'utenza per la fornitura di energia elettrica nel luogo in cui un soggetto ha la sua residenza anagrafica»;
   tale presunzione può essere superata, a decorrere dall'anno 2016 esclusivamente tramite una dichiarazione rilasciata ai sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, la cui mendacia comporta gli effetti, anche penali, di cui all'articolo 76 del medesimo testo unico;
   l'articolo 1 del regio decreto-legge del 21 febbraio 1938, n. 246, dispone che il canone tv dev'essere corrisposto da chiunque detenga uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive indipendentemente dalla qualità o dalla quantità del relativo utilizzo (sentenza della Corte costituzionale 12 maggio 1988, n. 535 – sentenza della Corte di Cassazione 3 agosto 1993, n. 8549);
   con nota del Ministero dello sviluppo economico del 22 febbraio 2012 è stato chiarito che solo gli apparecchi atti o adattabili a ricevere il segnale audio/video attraverso la piattaforma del digitale terrestre e/o satellitare sono assoggettabili a canone Tv con esclusione, pertanto degli apparecchi che consentono l'ascolto e/o la visione dei programmi radiotelevisivi attraverso la rete Internet (streaming);
   con sentenza della Corte costituzionale n. 284 del 26 giugno 2002 e con sentenza della Corte di Cassazione del 03 agosto 1993 n. 8549 è stato acclarato che il canone tv ha natura di imposta il cui pagamento è dovuto in ragione della mera detenzione dell'apparecchio atto alla ricezione e in misura indipendente dalla quantità e qualità del relativo utilizzo;
   il rapido sviluppo tecnologico dei dispositivi di comunicazione ha reso disponibili sul mercato, a costi largamente accessibili, molteplici device che integrano, nativamente, funzioni di ricezione della radiodiffusione pur essendo concepiti e strutturati per un uso completamente differente. Smartphone, tablet, riproduttori multimediali di ultima generazione sono sovente dotati di antenna atta a captare questi segnali ancorché non vengano acquistati dai consumatori con tali finalità e risultino oggettivamente inadatti all'uso in parola;
   la nota del Ministero dello sviluppo economico-dipartimento per le comunicazioni-Prot. n. 12991 del 22 febbraio 2012, include, tra le tipologie di apparecchiature adattabili alla ricezione della radiodiffusione la cui detenzione comporta l'assoggettamento al canone, anche dispositivi come la chiavetta Usb dotata di sintonizzatore radio/Tv la scheda per computer dotata di sintonizzatore radio/Tv e persino il lettore di musica digitale dotato di sintonizzatore radio/Tv;
   la qualificazione del canone Rai come imposta — operata dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità — ha ingenerato molteplici dubbi e perplessità sul presupposto del tributo che se da un lato risulta avulso da ogni nesso sinallagmatico con l'effettivo godimento del servizio radiotelevisivo, dall'altro viene riconnesso alla mera detenzione di un apparecchio atto o adattabile alla ricezione del segnale, la cui presenza nelle abitazioni dei contribuenti è a sua volta presunto in forza dell'allaccio delle stesse alla rete elettrica;
   il prelievo impropriamente denominato «canone abbonamento RAI» possiede i caratteri dell'imposta senza tuttavia essere improntato al criterio della capacità contributiva di cui all'articolo 53 della Costituzione, che impone la ripartizione delle spese pubbliche secondo criteri di progressività e con la garanzia, per il contribuente, di non essere sottoposto alla tassazione, se non in presenza di fatti che esprimono capacità contributiva;
   è indiscutibile che la mera detenzione di dispositivi informatici o di telefonia mobile atti o adattabili alla ricezione della radiodiffusione non sia di per sé espressione di alcuna particolare capacità contributiva e che tali strumenti, progettati e acquistati per un uso differente dalla ricezione dei programmi radio-televisivi non siano in grado di garantirne un'adeguata fruizione tale da giustificarne la tassazione in ossequio al principio del beneficio;
   la presunzione legale di detenzione degli apparecchi atti o adattabili alla ricezione della radiodiffusione nelle dimore dotate di utenza elettrica, tenuto conto delle incertezze normative e interpretative attualmente imperanti e della rapida evoluzione tecnologica del comparto, espone il cittadino ai rischi involontari di dichiarazioni mendaci e comporta per l'erario verifiche sulla mendacità delle dichiarazioni i cui costi e le cui complessità procedurali non devono essere trascurati,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative di carattere normativo al fine di:
    a) fornire una definizione esaustiva di quali apparecchi sono soggetti al pagamento del tributo, escludendo dall'imposizione quelli il cui uso è destinato a finalità differenti dalla visione dei programmi televisivi e le cui caratteristiche strutturali sono tali da non renderne possibile un apprezzabile godimento;
    b) abrogare la presunzione legale di cui all'articolo 1, comma 153, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 escludendo altresì che la riscossione del tributo avvenga tramite l'inclusione nella bolletta dell'energia elettrica;
    c) introdurre, in sostituzione della vigente presunzione legale, l'obbligatorietà di una dichiarazione, attestante la detenzione o la non detenzione di un apparecchio atto adattabile alla ricezione del segnale radiotelevisivo, la cui mendacia comporti gli effetti, anche penali, di cui all'articolo 76 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, prevedendo che tale dichiarazione sia nuovamente rilasciata solo in caso di mutamento delle condizioni.
(1-01140) «Ruocco, Fico, Pesco, Cariello, Brescia, Pisano, Vacca, Di Benedetto, D'Uva, Marzana, Luigi Gallo, Simone Valente, Dall'Osso, Corda, Basilio, Paolo Bernini, Rizzo, Alberti, Fantinati, Sorial, Caso, Castelli, Villarosa».

Risoluzione in Commissione:


   La V Commissione,
   premesso che:
    dal 2012 ad oggi è in atto una accelerazione del processo di dismissioni urgenti del patrimonio dello Stato, riguardante sia i beni immobili che le partecipazioni dirette statali in società per azioni, finalizzato alla riduzione del debito pubblico in relazione all'esigenza di rispettare gli obblighi derivanti dall'adesione dell'Italia al «Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governante nell'unione economia e monetaria», cosiddetto «fiscal compact», che, fissando le regole fondamentali del controllo dei bilanci pubblici, dispone di abbattere la quota di debito pubblico eccedente il 60 per cento del prodotto interno lordo in misura non inferiore ad un ventesimo della quota eccedente ogni anno in concomitanza con l'obbligo di mantenere una posizione di bilancio della pubblica amministrazione in pareggio o in avanzo;
    le privatizzazioni avvengono in base alla normativa del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, e successive modifiche, che ha accelerato le procedure delle dismissioni delle partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni, e disciplina l'esercizio dei poteri speciali da esercitare nei casi di dismissioni di partecipazioni nelle società, che operano nei settori considerati strategici per la sicurezza e l'economia della nazione;
    i proventi relativi alla vendita di partecipazioni dello Stato sono destinati al fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato, di cui all'articolo 44, al fine di abbattere il debito pubblico, come previsto dalla disciplina di cui al decreto legislativo 30 dicembre 2003, n.  396, contenente il testo unico delle disposizioni legislative in materia di debito pubblico, ai sensi dell'articolo 4;
    nel 2013 a causa del permanere di una fase di recessione gravissima, a cui si è accompagnata una crescita del debito pubblico in misura pari al 132,6 in percentuale al prodotto interno lordo, il rapporto debito/prodotto interno lordo più elevato dal 1990, l'allora Governo Letta ha accelerato il processo di dismissioni, approvando il documento «destinazione Italia» – che prevedeva la dismissione di importanti partecipazioni dello Stato, al fine di conseguire entrate per 12 miliardi di euro, con l'obiettivo di ridurre nel quinquennio 2013-2017 il debito pubblico di 1 punto percentuale di prodotto interno lordo annuo;
    fra le società da dismettere nel documento erano ricomprese anche aziende in attivo, quali Eni, Poste, STMicroelectronics Holding, produttive di utili, che rappresentano per lo Stato una fonte di guadagno per i dividendi percepiti sulle azioni;
    le difficoltà delle operazioni di dismissione hanno indotto a rivedere al ribasso gli obiettivi nel def 2014, e, successivamente, la nota di aggiornamento al DEF 2015 ha reso leggermente più ambiziosi, gli obiettivi rispetto al Documento di economia e finanza 2015, fissandoli allo 0,4 per cento del prodotto interno lordo per il 2015 e allo 0,5 del prodotto interno lordo negli anni 2016-2018;
    dal 2014 è iniziato il processo di vendita di Poste Italiane ed ENAV e nel febbraio 2015 è stato ceduto il 5,74 per cento delle partecipazione in ENEL;
    delle partecipazioni indirettamente possedute si ricorda la conclusione delle cessioni di Fincantieri, CDP Reti e RAI Way;
    come previsto nel PNR del DEF 2014, attualmente si stanno realizzando le procedure per la cessione delle quote di Ferrovie dello Stato italiane; lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, recante la definizione dei criteri di privatizzazione e delle modalità di dismissione della partecipazione detenuta dal Ministero delle'economia e delle finanze, è stato sottoposto al parere della Commissione bilancio in data 21 gennaio 2016;
    a tal proposito non è da sottovalutare l'analisi dell'impatto che le privatizzazioni potrebbero avere nell'economia del Paese, così come valutate in occasione della discussione in Commissione bilancio della risoluzione n. 7-00302, non votata, e che evidenziava come, da un esame degli effetti finanziari conseguiti dalle dismissioni di partecipazioni avvenuti nel periodo 1994-2005, si evince che le entrate conseguite e confluite nel fondo ammortamento titoli di Stato, sono state pari a circa 111,2 miliardi di euro, con una media dunque di 11 miliardi annui; a fronte di tale abbattimento del debito, nello stesso arco temporale il medesimo è aumentato di 375 miliardi di euro;
    in proposito, si rilevava l'opportunità di valutare la convenienza economica e finanziaria nel medio termine del ricorso allo strumento delle dismissioni di società in equilibrio finanziario e redditizie per abbattere il debito, convenienza che si ravvede solo nel caso in cui si conseguissero effetti positivi sulle partite correnti dei bilanci del triennio in corso pari ad una riduzione di interessi non inferiore al presunto ammontare dei mancati incassi dei dividendi attesi dalle azioni da dismettere;
    permane la convinzione che gli schemi di decreto sottoposti alle commissioni parlamentari competenti per il parere non contengono informazioni dettagliate, che consentano alle Commissioni medesime di poter valutare la convenienza o meno delle dismissioni;
    con il Documento di economia e finanza 2015 e relativa nota di aggiornamento appare ancora più necessario riconsiderare la dismissione di partecipazioni in aziende con i bilanci in attivo e la conseguente contrazione degli investimenti statali, politica incoerente con l'obiettivo del Governo di rilanciare e sostenere gli investimenti nel Paese e, proprio a tal fine, ha richiesto alla Commissione europea la possibilità di aumentare il deficit avvalendosi della cosiddetta «clausola degli investimenti»;
    mal si concilia il ricorso alle dismissioni «per fare cassa» in un contesto caratterizzato da un tasso di disoccupazione elevato, in quanto le medesime potrebbero comportare riflessi negativi sui livelli occupazionali;
    la riduzione della spesa per interessi, correlata alla riduzione dello «spread» rende a maggior ragione necessario confrontare l'ammontare degli incassi dei dividendi a medio termine, attesi dalle azioni da dismettere, rispetto alla riduzione della spesa per interessi correlata all'ammontare di abbattimento del debito pubblico con i proventi delle dismissioni;
    è necessario riconsiderare le scelte di politica economica del Governo per ridurre il debito, in quanto, se si parte dall'assunto che il debito dello Stato deve essere visto non solo come partita debitoria, ma anche come investimenti finalizzati al raggiungimento di obiettivi economici e sociali, nel momento in cui, per la riduzione di un debito, ammontante nelle previsioni per il 2016 a 2.205.486 milioni di euro, si scegliesse di sacrificare le partecipazioni azionarie redditizie, e, considerato che la media di spesa per interessi annui sul debito si aggira a circa 71 miliardi, si comprende che la suddetta scelta non solo non rappresenta una soluzione ma neanche risulta conveniente;
    per quanto sopra si ribadisce la necessità di una normativa più restrittiva che, in occasione dei processi di dismissioni di partecipazioni, vincoli il Governo ad acquisire preventivamente una relazione tecnica di organi competenti alla valutazione ed al controllo dei conti pubblici, quali ad esempio l'Ufficio parlamentare di bilancio, che accertino gli effetti finanziari conseguenti alle dismissioni, al fine di assicurare che le medesime abbiano effetti migliorativi negli anni del quadriennio di riferimento del documento di economia e finanze, non solo sulla situazione patrimoniale dello Stato, come minore debito pubblico, ma anche sul conto economico a medio termine incidendo sul miglioramento dell'indebitamento netto, ovvero aumentando l'accrescimento netto, in seguito al raggiungimento del pareggio di bilancio, mediante la prevalenza della riduzione della spesa corrente per interessi passivi rispetto alla riduzione delle entrate correnti annuali correlate alla riscossione dei dividendi delle partecipazioni da dismettere;
    la suddetta analisi economico-finanziaria può assicurare un supporto decisivo per le Commissioni di merito del Parlamento in occasione del parere da esprimere sugli atti del Governo recanti provvedimenti di privatizzazione;
    alla luce di quanto esposto, nel contesto attuale «la valorizzazione delle partecipazioni» ha fondamento se lo Stato vendesse asset non più di interesse per investire in settori più redditizi ovvero opportuni per la crescita del Paese, ma ciò non può riguardare il caso delle Ferrovie dello Stato italiane per l'importanza strategica delle infrastrutture per la mobilità;
    inoltre, ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 2003, n. 396, citato, i proventi delle privatizzazioni sono destinati per legge alla riduzione del debito pubblico, ma nell'audizione presso la Commissione trasporti il Ministro dell'economia e delle finanze ha comunicato che una parte dei proventi delle dismissioni delle partecipazioni in Ferrovie dello Stato italiane sarà destinata alla realizzazione di investimenti pubblici;
    peraltro, nel contesto economico attuale, caratterizzato da una ripresa economica incerta, lenta e difficile, rinunciare agli investimenti remunerativi nelle società partecipate per fronteggiare la spesa per interessi, ovviamente improduttiva, impoverisce il Paese;
    da un'analisi del fenomeno «privatizzazioni» nell'area euro, si rileva che dagli anni ’80 i Paesi europei, sotto l'influenza delle tendenze economiche neo-liberiste, diedero impulso alle privatizzazioni dei servizi pubblici, al fine di aumentare le attività imprenditoriali del settore privato e ridurre l'intervento pubblico in settori economici importanti. Successivamente, uno studio risalente al 2011, realizzato dall'università tedesca Leipzig su 100 aziende municipalizzate in Germania, rileva il cambiamento del trend dei Paesi europei verso un ritorno alla municipalizzazione ed un rallentamento delle privatizzazioni. Si rileva una comunanza di motivazioni in Paesi come Francia, Regno Unito, Germania, Finlandia, Ungheria alla remunicipalizzazione di importanti servizi nei settori del trasporto e della fornitura di acqua, attinenti all'esigenza di controllo societario, al controllo dei costi dei servizi e al termine del contratto di affidamento;
    è in linea con le osservazioni esposte la nuova norma introdotta nella legge 28 dicembre 2015, n. 208, legge di stabilità 2016, all'articolo 1, comma 677, che prevede che «Qualora entro il 31 dicembre 2016 si proceda all'alienazione di quote o a un aumento di capitale riservato al mercato del gruppo Ferrovie dello Stato italiane Spa, il Ministero dell'economia e delle finanze presenta alle Camere una relazione che evidenzia in modo puntuale l'impatto economico, industriale e occupazionale derivante dalla privatizzazione nella quale sono indicati in particolare:
     a) i dati finanziari e industriali degli effetti dell'alienazione o dell'eventuale aumento di capitale sulle società interessate e sul bilancio dello Stato;
     b) la minore spesa per interessi derivante dall'utilizzo delle risorse incassate dall'alienazione per la riduzione del debito pubblico;
     c) i minori dividendi versati al bilancio dello Stato in conseguenza dell'alienazione;
     d) gli effetti dell'alienazione o dell'aumento di capitale riservato al mercato sul piano industriale del gruppo»;
    tale prassi dovrebbe essere estesa a tutti i casi di privatizzazione,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per modificare la disciplina di cui al decreto legislativo 30 dicembre 2003, n. 396, al fine di limitare il ricorso alle privatizzazioni e prevedere un ampliamento delle modalità di utilizzo dei proventi destinati al fondo ammortamento titoli di Stato, disponendo che i medesimi possano in parte anche essere reinvestiti in opere strutturali strategiche, idonee a promuovere il rilancio economico, determinando quindi un fattore di crescita del prodotto interno lordo, con conseguente riduzione del rapporto debito/prodotto interno lordo, nel rispetto degli obblighi derivanti dal fiscal compact, considerato che una tale scelta di politica economica di riconversione degli asset patrimoniali statali per interventi strutturali consentirebbe di operare scelte di politica economica, a parità di risorse impiegate, per dare impulso all'economia senza nuova emissione di debito, evitando nel contempo di sacrificare le attività patrimoniali per conseguire una irrilevante riduzione del debito pubblico;
   ad assumere iniziative per estendere la normativa di cui all'articolo 1, comma 677, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, a tutti i casi di alienazione delle partecipazioni statali, al fine di consentire al Parlamento una valutazione complessiva ed approfondita delle conseguenze economico-finanziarie derivanti dalla vendita di asset pubblici, prevedendo altresì che la suddetta relazione sia comprensiva anche delle valutazioni dell'Ufficio parlamentare di bilancio ovvero della Corte dei Conti.
(7-00909) «Castelli, Caso, Brugnerotto, Cariello, D'Incà, Sorial».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   sono di questi giorni le ultime, agghiaccianti notizie che riportano, brutalmente, al tema della violenza sulle donne;
   solo nella scorsa settimana sono state tre le donne vittime di violenza, uccise per mano di ex mariti e compagni di vita;
   si fa fatica a sconfiggere un fenomeno del quale purtroppo si continua ad avere conferma in termini di gravità e di pervasività, e che nel mondo colpisce milioni di donne, aggravato dal fatto che le forme più gravi e diffuse di violenza sono esercitate da partner, parenti o amici;
   la violenza maschile contro le donne deve continuare dunque, ad oggi, a rappresentare una priorità da affrontare nel nostro Paese, con il suo portato di infinita sofferenza;
   è il caso, solo per citarne uno tra i più orribili, di Chiara Insidioso Monda, aggredita brutalmente dal compagno, Maurizio Falcioni, ridotta in fin di vita e in coma per dieci mesi: la sua famiglia oltre al dolore, deve fare fronte a spese ingenti, oltre che alle difficoltà lavorative che spesso spettano a chi deve assistere un familiare così gravemente colpito;
   il 1o agosto 2014 è entrata in vigore la «Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica», meglio nota come Convenzione di Istanbul: essa prevede che venga fornita alle vittime di violenza ogni forma di protezione e supporto, anche economico, e costituisce il primo strumento internazionale vincolante sul piano giuridico per prevenire e contrastare la violenza contro le donne e la violenza domestica e si fonda su tre pilastri, prevenzione, protezione e punizione, ponendo particolare enfasi sui primi due, gli in grado di sradicare una violazione dei diritti umani ormai sistemica in Europa;
   il Governo ha adottato il 14 agosto 2013 il decreto-legge n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, recante «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province»;
   nella Convenzione di Istanbul si prevede che, per il sostegno alle vittime di violenza, gli Stati si dotino di fondi e di tutte le misure finanziarie necessarie per il sostenere le vittime di violenza e le loro famiglie nel loro difficile percorso di ritorno alla vita –:
   se il Governo non ritenga, alla luce dell'evoluzione positiva del quadro normativo internazionale e nazionale, di assumere iniziative per introdurre misure specifiche volte a fornire assistenza sanitaria ed economica alle vittime di violenza di genere che, a seguito della violenza, si trovino in condizione di non poter provvedere a se stesse.
(2-01262) «Roberta Agostini, Fabbri, Pollastrini, Piccione, Cenni, Gasparini, Guerra, Cuperlo, Rubinato, Ferrari, Cinzia Maria Fontana».

Interrogazione a risposta orale:


   SANTELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Legnochimica, con sede a Mondovì (Cuneo), ha operato in Calabria dal 1967 al 2002, attraverso due stabilimenti: il primo, dal 1967 al 1969, a San Vincenzo La Costa (Cosenza), il secondo a Rende, frazione Cancello Magdalone, dal 1969 al 2002;
   i due stabilimenti hanno prodotto pannelli in ledorex (masonite) e tannino;
   lo stabilimento di Rende ha occupato un territorio di 30 ettari circa ed è stato più volte oggetto di lamentele da parte dei residenti della zona per presunte emissioni inquinanti, soprattutto fumi e cattivi odori;
   tra il 2002, anno in cui Legnochimica ha cessato le proprie attività, e il 2006, anno in cui la proprietà, concentrata nella società Legnochimica srl, ha avviato la propria liquidazione, oltre 20 dei 30 ettari di terreno dello stabilimento, sono stati venduti per agevolare la nascita di altre attività: tra queste, la più corposa, è Calabra Maceri, azienda specializzata nella gestione del ciclo dei rifiuti solidi urbani;
   nel terreno di Legnochimica erano presenti 8 bacini idrici artificiali di varia estensione, dove veniva «decantato» il legname da trasformare in ledorex e da cui estrarre il tannino;
   nel 2006 il comune di Rende ha impedito a Legnochimica srl di liquidare i restanti 9 ettari di terreno dell'ex stabilimento, di cui aveva chiesto la preventiva bonifica;
   nel 2009, in seguito ad alcuni incendi verificatisi nell'estate precedente e alle pressioni di alcuni gruppi di ambientalisti (Comitato «Romore» e associazione «Crocevia»), la procura della Repubblica di Cosenza ha aperto un'inchiesta sull'ex stabilimento a carico dell'ex amministratore e liquidatore Palmiro Pellicori per disastro ambientale;
   l'inchiesta, arenatasi nel 2012 in seguito alla morte per malattia di Pellicori, è stata archiviata nel 2014. Tuttavia, ha prodotto un consistente faldone di documenti, tra cui spicca la cosiddetta «Relazione Crisci», redatta per conto della procura cosentina da Gino Mirocle Crisci, docente e ora rettore dell'università della Calabria. I risultati della relazione, redatta tra il 2010 e il 2011, denunciano elevate concentrazioni di nichel, manganese, ferro, alluminio, cromo, piombo, cloro, cobalto e arsenico, nei terreni e nelle vasche dell'ex stabilimento. I quantitativi rilevati di queste sostanze eccedono, anche di centinaia di volte, i limiti massimi consentiti dalla legge. Al riguardo, il professor Crisci ha scritto nella sua relazione: «La falda acquifera sotto ed in prossimità dei bacini artificiali, risulta gravemente contaminata, anche in profondità e detta contaminazione si è estesa ai pozzi esistenti in zona». Sulla stessa problematica sono intervenute, l'Arpacal e l'Azienda sanitaria di Cosenza. Anche queste due strutture hanno denunciato pericoli di inquinamento;
   negli 8 mesi compresi tra l'inverno del 2008 e l'estate del 2009 si sono verificati, nelle immediate vicinanze (a via Settimo, che dista più o meno 100 metri dall'ex stabilimento) circa 10 decessi per tumore. Tra questi, 4 riguardano il pancreas e non sono incompatibili con ipotesi di inquinamento industriale;
   nel periodo estivo si verificano frequenti fenomeni di autocombustione dei materiali di scarto rimasti nell'ex stabilimento che sprigionano fumi e cattivi odori rendendo irrespirabile l'aria e letteralmente invivibile la zona;
   il 24 novembre 2015, in seguito a 4 denunce (2 inoltrate dai sindaco di Rende Marcello Manna, 1 dalla polizia provinciale di Cosenza e 1 dall'Associazione «Crocevia»), la procura di Cosenza ha riaperto l'indagine e sequestrati i terreni e i pozzi idrici sospetti. L'inchiesta è tuttora in corso e si è estesa anche ad ipotesi di «epidemiologia tumorale» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto riportato in premessa;
   se vi siano iniziative in essere di verifica sull'eziologia dei casi di tumore sospetti e, in caso affermativo, quali; in caso negativo se i Ministri non ritengano di dover avviare, per quanto di competenza, una simile iniziativa;
   quali eventuali altre iniziative di competenza siano state poste in essere, anche in considerazione della normativa europea, al fine di verificare i livelli di inquinamento dell'area e assicurare interventi di riparazione, nella misura possibile, del danno ambientale. (3-01991)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CANCELLERI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   le miniere rappresentano un patrimonio storico e umano della nostra comunità da dover valorizzare per la fruizione dei cittadini in chiave turistica ed antropologico-culturale;
   gli interventi per la messa in sicurezza di emergenza del sito minerario dismesso di Trabonella sono necessari ed urgenti al fine di evitare il rischio derivante dalla presenza nella stessa di materiale contenente amianto;
   con l'ordinanza n. 310 del 5 dicembre 2013 del dirigente generale dell'assessorato regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilità, veniva disposto il finanziamento per l'importo complessivo di 659.245,12 euro per gli interventi di messa in sicurezza di emergenza del sito minerario dismesso Trabonella in territorio comunale di Caltanissetta limitatamente alla rimozione amianto;
   in seguito all'interessamento della sottocommissione di studio e di indagine del fenomeno delle miniere dell'assemblea regionale siciliana, con disposizione n. 91 del 2 luglio 2014, veniva individuata nel comune di Caltanissetta la stazione appaltante dei lavori di che trattasi;
   in data 4 luglio 2014 il presidente della sottocommissione onorevole Giovanni Carlo Cancelleri incontrava il sindaco di Caltanissetta, dottor Giovanni Ruvolo, alla presenza dell'ingegner Antonio D'Aquila, per la relativa consegna della disposizione n. 91 del 2 luglio 2014, già trasmessa dalla regione siciliana al comune di Caltanissetta all'attenzione dell'architetto Armando Amico e p.c. al sindaco di Caltanissetta Giovanni Ruvolo in data 2 luglio 2014 con nota prot. n. 1192;
   con nota prot. n. 1392 del 27 novembre 2015, l'assessorato regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilità comunicava al comune di Caltanissetta che il finanziamento della bonifica e del recupero ambientale del sito della miniera Trabonella risultava essere stato concesso a valere sui fondi presenti sulla contabilità speciale n. 2854 e che la vigenza della predetta contabilità risultava essere scaduta a far data dal 5 giugno 2015 e, pertanto, si attendeva la prevista proroga da parte del dipartimento di protezione civile presso la Presidenza del Consiglio dei ministri –:
   se la Presidenza del Consiglio dei ministri sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
   se trovi conferma che la vigenza della contabilità speciale n. 2854 risulta scaduta a far data del 5 giugno 2015;
   se il dipartimento di protezione civile presso la Presidenza del Consiglio dei ministri intenda assumere iniziative volte a un'ulteriore proroga per l'utilizzo dei fondi in premessa. (5-07687)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RONDINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 178 del 2012 in applicazione della legge n. 183 del 2010 prevede la riorganizzazione della Croce Rossa Italiana (CRI);
   tale decreto prevede, all'articolo 1, la privatizzazione della CRI attraverso la costituzione dell'associazione Croce Rossa Italiana e stabilisce, quindi, che «le funzioni esercitate dall'Associazione italiana della Croce rossa (CRI), sono trasferite alla costituenda Associazione della Croce Rossa italiana (ACRI)»;
   la gestione della fase transitoria è demandata all'ente strumentale alla Croce Rossa Italiana (ESACRI) che mantiene la personalità giuridica di diritto pubblico, e che ha intrapreso l’iter costitutivo tuttora in fase di attuazione in contemporanea con la nascita della associazione (ACRI);
   mentre la parte pubblica (CRI), a partire dal gennaio 2014, è stata progressivamente privata di ogni attività che produceva delle entrate economiche, le parti private (ACRI) hanno ricevuto ogni tipo di benefit (beni mobili, immobili, convenzioni con enti, gestioni di centri di accoglienza e altro);
   il fine di tale provvedimento era la razionalizzazione e l'ottimizzazione dei costi di funzionamento degli enti individuati, tra cui la Croce Rossa Italiana (CRI), previa riorganizzazione dei relativi centri di spesa e mediante adeguamento dell'organizzazione e della struttura amministrativa degli enti (articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183);
   al momento non è chiaro come sia gestito il pagamento dei contributi relativi all'utilizzo delle frequenze radio da parte delle associazioni privatizzate (ACRI) nonché la gestione dei mezzi che tuttora sono provvisti di targa ministeriale CRI anche se acquistati dai soggetti privati e quindi non più in possesso dei requisiti necessari all'utilizzo (ad esempio quello di annoverare tra le proprio componenti un Corpo militare);
   dagli atti risulta come il patrimonio immobiliare dell'ente pubblico CRI venga svenduto oppure resti addirittura invenduto;
   l'articolo 6 del decreto legislativo regolamenta la situazione del personale dipendente in carico all'ente (CRI), prevedendo la possibilità di opzione e successivamente l'applicazione della normativa per le eccedenze di personale nelle pubbliche amministrazioni. Questa possibilità di opzione è stata data solo al vecchio personale di ruolo e non a quello neostabilizzato a seguito di sentenze come invece, a giudizio dell'interrogante erroneamente dichiarato dal Ministero della salute nella relazione presentata al 30 giugno 2015;
   dalla progressiva privatizzazione dei comitati provinciali, iniziata nel gennaio 2014, solo una piccola parte del personale (1,7 per cento) ha scelto di rimanere come dipendente delle associazioni privatizzate. In molte regioni il personale pubblico è stato fatto confluire presso le sedi regionali ed estromesso dalle proprie attività: in alcuni casi totalmente non impiegato, mentre in altri è stato utilizzato in attività meramente figurative che comportano esclusivamente dei costi e nessun rimborso per l'ente CRI. Nonostante si continui ad erogare gli stipendi si è generato un grave spreco di denaro pubblico (pari a 4,2 milioni l'anno solo in Lombardia) per i soli stipendi, al netto di tutti i costi accessori ed indiretti, che non sono stati ancora valutati e al momento non quantificabili;
   contemporaneamente, le associazioni private (ACRI) hanno provveduto all'assunzione di nuovo personale precario per svolgere le medesime attività espletate fino al giorno precedente dai dipendenti pubblici dell'Ente (CRI) invece confinati alla sede regionale;
   l'assunzione di nuovo personale con contratto ANPAS è stata fatta per svolgere l'attività di soccorritore sulle ambulanze pubbliche cedute in comodato d'uso gratuito ai comitati privatizzati o per gestire l'accoglienza migranti;
   nonostante il servizio 118 venga remunerato con fondi regionali pubblici, se il dipendente pubblico CRI, viene impiegato in attività convenzionali deve essere previsto il rimborso del suo stipendio al Comitato centrale, pertanto sarebbe più opportuno utilizzare la formula dell'affidamento diretto delle convenzioni utilizzando dipendenti pubblici – già pagati quindi dallo Stato – per svolgere attività sanitarie pubbliche;
   l'articolo 1, comma 397, numero 7, della legge n. 208 del 2015 recita «Tali assunzioni sono disposte senza apportare nuovi o maggiori oneri alla finanza pubblica in quanto finanziate con il trasferimento delle relative risorse occorrenti al trattamento economico del personale assunto, derivanti dalla quota di finanziamento del Servizio sanitario nazionale erogata annualmente alla CRI e quindi all'Ente. Le spese per il trattamento economico del personale trasferito al Servizio sanitario nazionale non sono considerate ai fini del rispetto dei limiti di spesa di cui all'articolo 2, comma 71, della legge 23 dicembre 2009, n. 191. Agli enti e alle aziende sopradette è fatto divieto di assunzione del personale corrispondente fino al totale assorbimento del personale della CRI ovvero dell'Ente sopradetto». Dunque non si evince alcun risparmio per le finanze pubbliche ma solo un trasferimento di fondi;
   i fondi destinati alla parte pubblica dell'ente non sono stati ridotti (neppure all'interno della legge di stabilità legge n. 98 del 2015) e non lo saranno fino al 31 dicembre 2017; continuano ad essere richieste anticipazioni di cassa, confermate dal bilancio di previsione 2016 che indica, nella più rosea delle ipotesi, un saldo negativo di 36 milioni di euro;
   se il Governo non ritenga necessario ed urgente mettere in atto iniziative volte a risolvere le gravi anomalie sopra descritte e, qualora opportuno ad abrogare le disposizioni del decreto legislativo n. 178 del 2012 che hanno modificato la disciplina concernente la Croce Rossa Italiana, restituendo così, all'ente, ai suoi lavoratori ed al suo patrimonio, la dignità e la funzione sociale pubblica che storicamente hanno sempre rivestito sin dalla sua creazione. (4-11980)


   RONDINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 178 del 2012 in applicazione della legge n. 183 del 2010 prevede la riorganizzazione della Croce Rossa Italiana (CRI);
   tale decreto prevede all'articolo 1 la privatizzazione della CRI attraverso la costituzione dell'associazione Croce Rossa Italiana e, stabilisce, quindi «Le funzioni esercitate dall'Associazione italiana della Croce rossa (CRI), sono trasferite alla costituenda Associazione della Croce Rossa italiana (ACRI)»;
   la gestione della fase transitoria è demandata all'ente strumentale alla Croce Rossa Italiana (ESACRI) che mantiene la personalità giuridica di diritto pubblico, e che ha intrapreso l'iter costitutivo tutt'ora in fase di attuazione in contemporanea con la nascita della associazione (ACRI);
   mentre la parte pubblica (CRI), a partire dal gennaio 2014, è stata progressivamente privata di ogni attività che produceva delle entrate economiche, la componente privata (ACRI) ha ricevuto ogni tipo di benefit (beni mobili, immobili, convenzioni con enti, gestioni di centri di accoglienza e altro);
   l'articolo 6 del decreto menzionato regolamenta la situazione del personale dipendente in carico all'Ente (CRI) prevedendo la possibilità di opzione e successivamente l'applicazione della normativa per le eccedenze di personale nelle pubbliche amministrazioni. Questa possibilità di opzione è stata data solo al vecchio personale di ruolo e non a quello neostabilizzato a seguito di sentenze come invece erroneamente dichiarato dal Ministero della Salute nella relazione presentata al 30 giugno 2015;
   dalla progressiva privatizzazione dei comitati provinciali, iniziata nel gennaio 2014, solo una piccola parte del personale (1,7 per cento) ha reputato di rimanere come dipendente delle associazioni privatizzate. In molte regioni il personale pubblico è stato fatto confluire presso le sedi regionali ed estromesso dalle proprie attività: in alcuni casi totalmente non impiegato mentre in altri è stato utilizzato in attività meramente figurative che comportano esclusivamente dei costi e nessun rimborso per l'ente CRI. Nonostante si continuasse giustamente ad erogare gli stipendi si è generato un grave spreco di denaro pubblico (pari a 4,2 milioni l'anno solo in Lombardia) per le sole erogazioni stipendiali al netto di tutti i costi accessori ed i costi indiretti non sono stati ancora valutati e non sono al momento quantificabili;
   contemporaneamente le associazioni private (ACRI) hanno provveduto all'assunzione di nuovo personale precario per le svolgere le medesime attività espletate fino al giorno precedente dai dipendenti pubblici dell'Ente (CRI) invece confinati alla sede regionale;
   l'articolo 1, comma 397, della legge 208 del 2015 prevede la mobilità degli autisti/soccorritori presso il sistema sanitario, con l'obbligo per quest'ultimo di riceverli anche se in sovrannumero;
   in alcune regioni vengono indetti concorsi per la selezione di autisti-soccorritori contrariamente a quanto sancito da quanto esposto in precedenza;
   la sanità nazionale è interessata da continue riduzioni di risorse economiche e continue revisioni di spesa al fine di evitare sprechi;
   nelle regioni dove le attività degli autisti-soccorritori sono state esternalizzate il reimpiego di questi lavoratori risulta essere difficoltoso così come risulta essere difficile la ricollocazione di queste figure all'interno delle aziende sanitarie proprio per la particolarità ed esclusività dell'attività svolta basata sostanzialmente sull'esperienza e la formazione acquisita sul campo;
   l'erroneo livello di inquadramento (non conforme alle mansioni espletate – A2 EPNE –), difficilmente permetterà la mobilità a molti di questi operatori, poiché l'inquadramento adottato dall'ente CRI non consente loro la guida di alcun mezzo, nonostante siano stati impiegati per 15 anni dalla Croce Rossa alla guida delle ambulanze;
   allo stato attuale devono trovare applicazione le sentenze emesse dalla magistratura (circa 240 persone) che, pertanto, risultano al momento disoccupate;
   il sottosegretario Rughetti, in data 26 gennaio 2016, rispondendo all'interrogazione no 3-01949 presentata dall'onorevole Lenzi, dichiarava che vi era una intensa attività sul portale del dipartimento della funzione pubblica, relativamente alle procedure di mobilità dei lavoratori CRI. Contrariamente a quanto affermato, in quella stessa data i dipendenti CRI e o impossibilitati ad accedere a quello strumento in quanto non ancora in possesso delle credenziali di accesso necessarie –:
   se il Governo intenda assumere le iniziative di competenza per risolvere definitivamente queste criticità che si ripercuotono non solo sui lavoratori ma anche sui cittadini e fino a quale data sia garantita la copertura economica per tutto il personale coinvolto in questa manovra. (4-11986)


   PELLEGRINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il «Blocco 21» di Auschwitz ospita dal 1980 il Memoriale italiano, opera concepita per conto dell'Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti (ANED) dallo Studio Bbpr, cui hanno concorso Lodovico Belgiojoso, Luigi Nono, Pupino Samonà, Primo Levi, di proprietà della stessa Aned;
   il Memoriale è stato voluto e realizzato dall'Associazione nazionale ex-deportati per far sentire in Auschwitz la voce della deportazione italiana nel suo intreccio di storie diverse;
   il Memoriale italiano è una delle più importanti opere d'arte italiana del Novecento, il cui valore artistico, educativo e di testimonianza diretta, è riconosciuto, fra gli altri, dall'Accademia di Brera, ed è stato realizzato contestualmente alla dichiarazione di Auschwitz sito Unesco 1979, ne fa parte integrante e, pertanto, è patrimonio mondiale dell'umanità;
   il Memoriale ricorda e celebra tutti gli italiani, donne e uomini ebrei, rom, omosessuali, dissidenti politici, deportati nei campi di concentramento nazisti, fra i quali gli stessi autori dell'opera d'arte; strappare il Memoriale dal suo contesto naturale, il campo di sterminio di Auschwitz, per trasferirlo altrove coincide con la distruzione dell'opera e del suo significato;
   il suo progetto è frutto della collaborazione di alcuni tra i grandi nomi della cultura italiana del ’900. Lodovico Belgiojoso (con lo studio BBPR) ha curato la progettazione architettonica. Primo Levi è stato incaricato di «dare voce all'opera» e ha redatto il testo che doveva servire sia per guidare Pupino Samonà nella realizzazione della parte figurativa sia per accompagnare il visitatore lungo il percorso del Memorial. Nelo Risi ha avuto un ruolo di coordinamento e di regia, sia suggerendo il nome di Samonà, sia chiedendo a Luigi Nono l'uso del suo pezzo Ricorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz, pezzo di cui il compositore ha ceduto all'opera l'utilizzo permanente. L'esecuzione del Memorial è stata opera della ditta Quattri, che vi lavorò tra la primavera del 1979 e l'inverno del 1979, sia a Milano che in Auschwitz;
   per la realizzazione dell'opera è stata organizzata una raccolta fondi che ha coinvolto l'Italia intera, da molti comuni alla comunità ebraica, da singoli cittadini a imprese private, banche, associazioni. Locato italiano non è intervenuto direttamente nella progettazione dell'opera che non è nata come sua iniziativa, ma se ne è fatto garante fin da subito di fronte al Museo di Auschwitz. Elisabetta Ruffini direttrice dell'Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea, ricorda che Giulio Andreotti, al tempo Presidente del Consiglio, intervenne direttamente con le autorità polacche che, da sempre, hanno considerato i padiglioni nazionali espressione ufficiale degli Stati;
   a quanto risulta all'interrogante, nel mese di dicembre 2015 il Memoriale è stato definitivamente prelevato dal Blocco 21 e destinato ad altro luogo;
   l'ipotesi del rientro in Italia – allo stato attuale delle cose – trova conferma anche nella nota firmata dal responsabile stampa e comunicazione istituzionale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Stefano Verrecchia, pubblicata il 29 gennaio 2015 su La Repubblica (in risposta a un articolo del 27 gennaio 2015) in cui, da una parte, si chiarisce che «è la presenza nell'opera di richiami artistici al comunismo, oggi considerati fuori legge in Polonia, ad aver indotto la chiusura del Blocco 21» e, dall'altra, si precisa che «l'opera rientrerà in Italia ed è stata avviata la realizzazione di una nuova per il Blocco 21». Aggiungendo che «il Governo ha inserito nella legge di stabilità un milione di euro in favore del Fondo perpetuo per la conservazione della memoria storica di Auschwitz»;
   la posizione del Governo polacco appare assolutamente contraria al diritto internazionale, alla normativa comunitaria che protegge i luoghi della memoria storica, e, più in generale, allo spirito europeo sui quali si fonda la stessa Unione europea, di cui la stessa Polonia fa parte ed è chiamata a rispettarne le leggi fondamentali;
   la rimozione definitiva del Memoriale da Auschwitz comporta, secondo l'interrogante, una violazione dei diritti umani, del diritto internazionale, del diritto di proprietà intellettuale e della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo nonché una violazione della Convenzione internazionale per la salvaguardia del patrimonio culturale dell'UNESCO e un crimine di distruzione di beni culturali ed artistici –:
   quali iniziative urgenti si intendano assumere affinché sia individuato, sulla base di una circostanziata ricognizione, un sito adeguato a valorizzare il significato storico e artistico del Memoriale, così da garantire che la scelta della nuova installazione assicuri quanto più possibile una fruizione fondata sulla piena comprensione storico-critica del Memoriale, fondamentale testimonianza artistica multidisciplinare e memoria storica della deportazione razziale e politica attuata dal nazi-fascismo in Europa e in Italia;
   quali iniziative politico-diplomatiche o legali s'intendano assumere nei confronti del Governo polacco affinché venga rispettata la normativa comunitaria ed internazionale che tutela i luoghi storici della memoria. (4-11987)


   SIBILIA, COLONNESE, TOFALO, PETRAROLI e CASTELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo pubblicato il 28 gennaio 2016 sul sito online «Economia e Finanza» firma di Mauro Bottarelli ed intitolato «Banche, le "fregature" in arrivo per l'Italia» si fa riferimento al fenomeno della cosiddetta cannibalizzazione del sistema bancario italiano;
   nel suddetto articolo si cita il fatto che «negli Stati Uniti le cosiddette "Big Four" (JP Morgan Chase, Bank of America, Wells Fargo e Citigroup), le principali quattro banche del Paese, insieme detengono il 45 per cento di tutti i depositi del Paese, circa 4,6 triliardi di dollari. La quinta banca, US Bancorp, non si avvicina nemmeno (...): pur avendo 3151 filiali e 65 mila dipendenti, ha infatti depositi per soli 271 miliardi di dollari»;
   nel pezzo si legge ancora che «tra il 1990 e il 2010 negli Stati Uniti 37 banche siano state inglobate dalle Big Four, siano sparite: il trionfo dell'M&A (Merger&Acquisition, fusioni e acquisizioni) che tanto viene invocato da Matteo Renzi»;
   secondo l'articolista Bottarelli, la frequenza di questo processo di consolidamento del settore bancario Usa è stata maggiore durante la crisi finanziaria del 2008, quando le Big Four hanno acquisito piccoli competitor (Washington Mutual, Bear Stearns, Countrywide Financial, Merrill Lynch e Wachovia) alle prese con i prestiti sub prime, garantendosi così l'assenza di concorrenza a vita («visto che la creazione di nuove banche è scesa a zero esattamente come i tassi della Fed: tra il 2009 e il 2013 sono nate solo 7 nuove banche negli Usa»);
   inoltre, sulla base di uno studio della Fed del 2014, questo fenomeno di denatalità bancaria è dovuto all'aumento delle regolamentazioni legato proprio alla crisi finanziaria: secondo la George Mason University, «negli ultimi 15 anni il numero di piccole banche negli Usa – le nostre popolari o Bcc – è sceso del 28 per cento, mentre le grandi banche sono aumentate del 33 per cento dal 2000 a oggi»;
   anche a parere degli interroganti, le crisi bancarie, frutto di speculazioni finanziarie, servono soltanto a consolidare sistemi oligopolistici che cancellano la concorrenza e danneggiano i consumatori e ciò accade anche in Italia;
   in un articolo pubblicato il 23 gennaio 2016 sul sito online « Economia e Finanza»: a firma di Sergio Luciano ed intitolato «Da Monti a Renzi, i guai irrisolti (anche) dopo la "magia" di Draghi», «la colpa e di Monti se oggi le banche tremano, perché, grazie alla sua inutile e confusa patrimoniale sulla casa il valore degli immobili italiani è caduto di vari punti e si è come congelato su livelli che tuttora non risalgono». Detto in altre parole: «Quando sarà passato l'eco delle parole, con cui Mario Draghi ha nuovamente “sedato” i mercati, le banche italiane si ritroveranno nude di fronte al problema reale che le opprime, 350 miliardi di euro di “non performing loans”, cioè crediti deteriorati, di cui ben 200 di sofferenze, ovvero crediti i cui debitori da tempo non pagano più né i rimborsi di capitali, né le rate di interessi. Ebbene, col crollo del valore del mattone questa copertura di garanzia... garantisce effettivamente meno di quanto potrebbe e contiene appunto al 46 per cento la percentuale di rischio di perdita implicita, per il sistema bancario italiano, nelle sofferenze» con la conclusione che «se gli immobili finalmente, dopo otto anni di calo, vedessero ripartire al rialzo i loro prezzi, le banche respirerebbero»;
   nello stesso articolo si fa riferimento ad «altre due spiegazioni tecniche – poco ascoltate in questi giorni convulsi – per la crisi di rigetto da parte dei mercati che ha colpito le banche: sono la gestione maldestra della "risoluzione" di Banca Etruria e degli altri tre istituti decotti; e gli annunci incauti e prematuri sulla nascita della bad bank statale. Il sistema bancario italiano ha sostenuto un costo complessivo di 4,2 miliardi per gestire il fallimento delle quattro banche, svalutando addirittura dell'82 per cento i loro crediti in sofferenza: se questa stessa percentuale fosse applicata agli altri 200 miliardi di sofferenze in essere, come hanno arguito molti analisti finanziari stranieri, significherebbe per le banche ufficialmente sane essere a corto di capitali per circa 100 miliardi, uno sproposito ingestibile. Ma non è così, proprio perché sappiamo che un 46 per cento di quei 200 miliardi è coperto da buone garanzie e la percentuale di realizzo della parte restante (non garantita) – in caso di cessione a una bad bank – è nell'ordine del 20-25 per cento, il che riduce ad un 30 per cento il rischio di perdite ulteriori, una sessantina di miliardi. Tanti, ma più gestibili» –:
   alla luce di quanto affermato il 21 gennaio 2016 dal Presidente del Consiglio dei ministri, secondo cui «In Italia ci sono troppe banche» se il Governo disponga di elementi su quali e quante banche rischiano di chiudere i battenti e con quali modalità e, considerata l'introduzione del meccanismo detto « bail-in», quali siano gli strumenti di protezione degli azionisti, degli obbligazionisti e dei correntisti delle banche in via di chiusura e se siano state previste forme di tutela e di informazione per i suddetti soggetti. (4-11990)


   DI BATTISTA, PESCO, FICO, SIBILIA, SCAGLIUSI e CASTELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 dicembre 2015, durante la discussione alla Camera della mozione di sfiducia individuale nei confronti della Ministra per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, quest'ultima ha affermato, con riferimento alla figura del padre, Pier Luigi, ex vicepresidente di Banca Etruria, quanto segue: «Lasciatemi dire però quello che ho nel cuore. Io amo mio padre e non mi vergogno a dirlo: mio padre è una persona perbene, io sono fiera di lui e sono fiera di essere la prima nella famiglia Boschi ad essersi laureata e ricordo la gioia e la commozione di mio padre quando è venuto a Firenze ad assistere alla mia laurea. I miei fratelli più piccoli sono laureati uno in economia e uno in ingegneria e noi sappiamo quello che ha fatto mio padre per farci studiare, lui figlio di contadini, che per andare a scuola e diplomarsi ogni giorno faceva 5 chilometri a piedi all'andata e 5 chilometri a piedi al ritorno e 40 minuti di treno. Questa è la storia semplice, umile, ma forte, della mia famiglia, non le maldicenze che ho sentito raccontare in questi giorni, le meschinità che sono state scritte»;
   gli interroganti possono concordare sul fatto che le colpe dei padri non debbano ricadere sui figli, ma, allo stesso tempo, nelle scorse settimane, sono emersi alcuni aspetti relativi a vicende che riguardano il padre del Ministro interrogato, che andrebbero immediatamente chiariti e che sembrano del tutto confutare il quadro descritto dal Ministro Boschi innanzi alla Camera dei deputati;
   in primo luogo, è emerso, da organi di stampa – in particolare da « Il Fatto Quotidiano e Libero» che Pier Luigi Boschi, quando era vice-presidente di Banca Etruria, ha incontrato in più occasioni il faccendiere, condannato e plurindagato Flavio Carboni;
   nello specifico sembra che quest'ultimo sia stato contattato addirittura per consigliare una persona da poter nominare quale direttore generale della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio;
   Carboni ha affermato, difatti, di aver incontrato Pierluigi Boschi in più occasioni;
   come riportano i giornali, a condurre il padre del Ministro da Flavio Carboni sarebbe stato Valeriano Mureddu che a « La Repubblica» dichiara: «Sì, c'ero anch'io, conosco Boschi perché quando sono arrivato in Toscana avevo dei vigneti e dei campi da coltivare, e lui si occupa di questo settore. Siamo amici. Durante una cena tempo fa mi rivelò di essere molto preoccupato per le sorti della Banca Etruria, in cui era diventato vicepresidente. (..)Durante quella cena(...) mi chiese se conoscessi qualcuno molto preparato che potesse ricoprire il ruolo di direttore generale dell'Etruria, e io pensai di rivolgermi al mio amico Carboni»;
   il nome della persona da proporre quale direttore generale (Fabio Arpe, fratello del banchiere Matteo Arpe) viene poi fatto da un amico di Flavio Carboni: l'ex leghista Gianmario Ferramonti;
   in secondo luogo Carboni – attraverso un altro imprenditore, Riccardo Starace – sembra che abbia fatto anche un altro nome, quale direttore generale, agli allora vertici di banca Etruria, quello di Gaetano Sannolo;
   è lo stesso Starace a riferirlo a « Libero»: «Carboni mi ha presentato a Rosi e Boschi come un amico che può darci una mano. Poi ha parlato di una nomina da fare e mi ha chiesto se avevo un nome. Io ho detto che una persona in gamba era il vicedirettore generale della Banca Popolare del Frusinate, Gaetano Sannolo. Penso che il nome del manager fosse da mettere in relazione al fatto che mi stavano chiedendo una mano per trovare capitali. Sono uscito dopo cinque minuti e loro sono rimasti nella sala. Poi ho presentato Sannolo a Carboni. Lui ha fatto il colloquio ad Arezzo ma alla fine ha rifiutato»;
   questa versione è confermata da Gaetano Sannolo il quale avrebbe confermato che: «Sono andato ad Arezzo e ho incontrato il presidente Rosi, il vicepresidente Boschi e i consiglieri di BPEL. Mi hanno proposto di fare il direttore generale ma, dopo avere appreso qual era la situazione, ho declinato. E ho fatto bene»;
   per comprendere la rilevanza di questi incontri con Flavio Carboni e con Valeriano Mureddu è necessario innanzitutto ricordare chi siano questi ultimi;
   Carboni è un soggetto con il seguente «curriculum»: amico di Licio Gelli; coinvolto (e poi assolto) nel caso Calvi; accusato di essere vicino al boss Pippo Calò che curava gli affari finanziari dei Corleonesi; arrestato in più occasioni; condannato in via definitiva a 8 anni e 6 mesi (per il crac del banco Ambrosiano); con un processo penale in corso (assieme a Dell'Utri, Verdini, Cosentino) sulla P3 per corruzione, associazione a delinquere e associazione segreta creata con lo scopo di condizionare il funzionamento degli organi costituzionali; durante il sequestro Moro Carboni avvicinò esponenti Dc offrendosi di sollecitare l'intervento della mafia per la sua liberazione, ma qualche giorno dopo riferì che la mafia non voleva intervenire in quanto Moro era troppo legato ai comunisti;
   come riportato da organi di stampa, Valeriano Mureddu – che vive a Rignano sull'Arno, a poche centinaia di metri da casa di Matteo Renzi – «è un massone ed è intimo amico del presunto fondatore della P3 Flavio Carboni», che «ha condiviso diversi affari pure con Tiziano Renzi e con l'ex vicepresidente di Banca Etruria Pierluigi Boschi» e che nel marzo 2014 è stato denunciato dall'Agenzia delle dogane con altri quattro imprenditori per reati di associazione per delinquere, contrabbando oltre a una milionaria evasione fiscale: «durante una perquisizione nella sede della società Geovision srl di Civitella in Val di Chiana, sono stati ritrovati dossier su persone e aziende realizzati dall'agenzia investigativa Sia srl. La procura di Perugia ha aperto un fascicolo e sta indagando sull'esistenza di una presunta associazione segreta in violazione della Legge Anselmi di cui farebbe parte anche Mureddu»;
   tra l'altro, sembra che Carboni abbia dichiarato, sempre a Libero, che «Mureddu conosce da antica data sia Tiziano Renzi... (che Pier Luigi Boschi, ndr)... Ha certamente nella sua mente fatti e misfatti, diciamo così, è una persona che ha avuto dei rapporti molto frequenti e molto affettuosi con i due... Gli ha fatto grossissimi favori... Questa è una bomba atomica, se esplode è un casino e nientepopodimeno cadono tutti e due (Renzi jr e la Boschi, ndr) e appresso a loro il governo»;
   lo stesso Mureddu in un'intervista a Libero risponde così alle seguenti domande: (Giacomo Amadori di Libero) «Mi suggerisca una domanda cruciale che non le ho fatto...» (Valeriano Mureddu) «Lei mi ha fatto un sacco di nomi, ma non mi ha fatto quelli più interessanti, le mancano dei tasselli fondamentali. Anzi le sfugge il più importante». (G.A.) «Che cosa manca al mio elenco ?» (VM) «Caro signore le mancano diverse cose. Possiamo parlarne domani ? Per oggi basta. Domani la potrò sicuramente illuminare»;
   già solo da queste dichiarazioni e da quanto esposto in precedenza emerge un quadro inquietante che getta alcune ombre e dubbi sui rapporti intrattenuti dai più stretti familiari del Presidente del Consiglio dei ministri interrogato e su possibili ripercussioni addirittura sulla permanenza in carica dell'attuale Governo;
   il quadro appena prospettato andrebbe, a parere degli interroganti, immediatamente chiarito e smentito da parte del Governo;
   viceversa, su queste vicende, sia Pier Luigi Boschi che il Ministro interrogato, hanno completamente omesso di fornire chiarimenti all'opinione pubblica e, per tale ragione, si è resa necessaria la presentazione del presente atto di sindacato ispettivo –:
   se siano a conoscenza degli incontri tra Flavio Carboni e Valeriano Mureddu con Pier Luigi Boschi e se siano in grado di eliminare ogni dubbio circa eventuali azioni di pressione nei loro confronti e nei confronti del Governo da parte di questi ultimi;
   se il Presidente del Consiglio dei ministri ed il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento non intendano fornire urgentemente chiarimenti circa la vicenda esposta nelle premesse. (4-11991)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SIBILIA, MANLIO DI STEFANO, DI BATTISTA, SPADONI, SCAGLIUSI, DEL GROSSO e GRANDE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   Giulio Regeni, lo studente italiano scomparso la notte del 25 gennaio a Il Cairo, è stato ritrovato morto, seminudo, il 3 febbraio 2016 in un fosso lungo la strada Il Cairo-Alessandria e presenta chiari segni di percosse e torture secondo quanto è emerso dalle prime indagini della procura di Giza, che ne ha disposto l'autopsia per accertare le cause del decesso;
   come si apprende da un articolo de Il Fatto Quotidiano una fonte dell'ufficio della procura generale egiziana ha fatto sapere che, esaminando il corpo, i procuratori a Il Cairo hanno trovato segni di accoltellamento sulle spalle e tagli su un orecchio e sul naso, ma anche contusioni accanto agli occhi, come se fosse il risultato di un pugno; inoltre, parlando all’Associated Press il procuratore ha parlato di «segni di una morte lenta»;
   le iniziali versioni ufficiali sono state orientate a ritenere o una rapina finita male o un incidente stradale, sostenendo che il Regeni non fosse stato raggiunto da colpi di arma da fuoco o accoltellato;
   allo stato non c’è nessuna ipotesi ufficiale sulla matrice del delitto di cui è stato vittima Giulio Regeni che, da settembre, abitava in un appartamento de Il Cairo per scrivere una tesi sull'economia egiziana presso l'American University, tra l'altro, sempre secondo fonti giornalistiche, a far temere il peggio erano state fonti della capitale egiziana che avevano escluso l'ipotesi della scomparsa: del ragazzo per un errore dei servizi di sicurezza egiziani compiuto proprio il 25 gennaio, anniversario della rivoluzione anti-Mubarak di piazza Tahrir, sempre accompagnato da disordini e arresti. Prima dell'anniversario la polizia aveva fermato diversi attivisti ed era stato chiesto di non manifestare;
   inoltre, secondo la testimonianza di una giornalista egiziana pare che la polizia abbia arrestato uno straniero alla fermata della metropolitana di Giza; d'altronde, il regime di terrore instaurato dopo il colpo di stato si è caratterizzato, secondo le organizzazioni per i diritti umani, con la già ben triste nota pratica dei desaparecidos da parte dei servizi segreti e della polizia egiziani contro attivisti e oppositori politici;
   Giulio Regeni aveva fatto sapere al quotidiano il Manifesto di temere per la propria incolumità e aveva chiesto che i suoi articoli fossero pubblicati con uno pseudonimo; infatti, lo stesso scriveva sui movimenti operai e sindacali indipendenti dal colpo di Stato militare del 2013;
   la morte del cittadino italiano ha causato, tra l'altro, la sospensione della missione commerciale di circa 60 aziende e dei rappresentanti di Sace, Simest e Confindustria organizzata dal Ministero dello sviluppo economico missione guidata proprio dalla Ministro Federica Guidi, che aveva in programma incontri con il Presidente della Repubblica Abd al-Fattah Al-Sissi, il Primo Ministro Sherif Ismail, tutti i ministri economici, l'Autorità del Canale di Suez e altri interlocutori, in preparazione di una non lontana visita ufficiale del Presidente del Consiglio in Egitto –:
   di quali ulteriori e più attendibili notizie disponga il Governo sul tragico epilogo occorso a un cittadino italiano e quali ai intenda intraprendere perché vengano acclarate le responsabilità e adottati conseguenti provvedimenti;
   quali iniziative intenda assumere affinché venga garantita la più ampia collaborazione con le autorità italiane nell'inchiesta sulla morte di Giulio Regeni e in particolare, per quanto di competenza, con la magistratura italiana. (5-07688)


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 febbraio 2015 è stato rinvenuto alla periferia de Il Cairo il corpo tumefatto di un giovane ricercatore italiano, Giulio Regeni, che si era recato in Egitto per sviluppare la propria tesi di dottorato presso l'Università di Cambridge;
   Regeni era scomparso il 25 gennaio scorso nella capitale egiziana, in concomitanza con il quinto anniversario della caduta del Presidente Hosni Mubarak;
   Regeni è risultato svolgere anche un'attività pubblicistica sotto falso nome a beneficio del quotidiano « Il Manifesto»;
   le reazioni delle forze di polizia e della Procura egiziana competente per il caso hanno mostrato notevoli punti di difformità;
   anche la reazione del Governo del nostro Paese lascia ritenere che si ritenga in qualche modo responsabile di quanto è accaduto a Regeni il vasto apparato repressivo del quale l'esecutivo egiziano si serve per rimanere al potere;
   la rete dei contatti di cui Regeni è risultato disporre, con contatti tra i Fratelli Musulmani ed i sindacalisti dell'opposizione al regime egiziano, lascia supporre che il giovane ricercatore potesse essere stato in qualche modo «attenzionato» dalle forze di polizia e dagli apparati di sicurezza egiziani, circostanza che rafforza la possibilità che il giovane ricercatore possa esser rimasto vittima di un omicidio di Stato;
   alcune fonti giornalistiche adombrano apertamente il sospetto che Regeni svolgesse attività informativa anche a profitto dello Stato italiano e che il suo assassinio possa essere stato un avvertimento rivolto dall'Egitto al nostro Paese, anche in vista della soluzione che si sta cercando di dare alla crisi libica;
   costituisce un motivo di perplessità ulteriore la circostanza che Regeni avesse manifestato preoccupazione per la propria incolumità e per questo avesse scelto di scrivere in incognito –:
   di quali informazioni il Governo disponga in merito alla natura delle attività effettivamente svolte dal giovane Regeni in Egitto e alle circostanze nelle quali è maturato il suo barbaro assassinio.
(5-07692)


   PICCHI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto emerge dalla stampa Italiana ed egiziana le circostanze della scomparsa e successiva morte a Il Cairo in Egitto dello studente Italiano Giulio Regeni sono quanto meno confuse e opache;
   le prime dichiarazioni rilasciate da differenti autorità egiziane appaiono contradditorie, anche se il Governo egiziano avrebbe garantito massima trasparenza e collaborazione;
   il Ministro dell'interno italiano ha annunciato la partenza di squadre di investigatori italiani per collaborare con la polizia egiziana;
   le collaborazioni giornalistiche di Giulio Regeni sono sempre uscite sotto pseudonimo perché lo stesso Regeni aveva paura per la propria incolumità;
   quali siano le informazioni in possesso delle autorità italiane relativamente alle cause della morte del Regeni;
   quale sia la più probabile ricostruzione della scomparsa e successiva morte del Regeni;
   se le autorità diplomatiche italiane in Egitto fossero in precedenza state in contatto col Regeni o a conoscenza del fatto che possedesse o avesse accesso a informazioni in qualche misura connesse alla sua scomparsa e successivo decesso.
(5-07694)


   LOCATELLI, BUENO e PASTORELLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   Giulio Regeni, un giovane cittadino italiano amico dell'Egitto e del popolo egiziano, brillante studente di Cambridge, che parlava diverse lingue tra cui l'arabo ed era stato premiato a livello europeo ed internazionale per le sue ricerche sul Medio Oriente, è scomparso a Il Cairo la notte del 25 gennaio, giorno in cui ricorreva l'anniversario della rivoluzione anti-Mubarak di piazza Tahrir, e il 3 febbraio di quest'anno è stato ritrovato morto in un fosso a venti chilometri dal centro, lungo la strada che porta ad Alessandria;
   secondo quanto emerso sulla stampa locale ed internazionale, il suo corpo seminudo presentava chiari segni di percosse e torture (tagli, ferite da coltello, contusioni al volto) e dalle prime indagini della Procura di Giza, che ne ha disposto l'autopsia per accertare le cause del decesso, questo sarebbe avvenuto dopo una lunga e straziante agonia e certamente non dovuto a un incidente d'auto o a una rapina, come sostenuto dalle prime versioni ufficiali delle autorità di sicurezza egiziane;
   indiscrezioni di stampa rivelano che in occasione dell'anniversario del 25 gennaio sarebbero stati disposti fermi e arresti anche nei confronti di stranieri nell'intento di limitare le manifestazioni di protesta contro il governo di Al Sisi e a favore dei diritti e delle libertà fondamentali dei cittadini egiziani;
   il perdurante silenzio da parte delle autorità egiziane nel periodo intercorso tra la sparizione di Giulio Regeni e il ritrovamento del suo corpo dà adito a dubbi profondi sulle circostanze e sui responsabili della sua morte, dubbi che devono essere assolutamente fugati da parte egiziana;
   quali iniziative il Governo italiano intenda assumere nei confronti delle autorità dell'Egitto affinché vi sia un accertamento rigoroso e in condizioni di piena trasparenza della verità su questo fatto tragico, in modo da assicurare l'individuazione delle responsabilità nel rispetto delle regole e l'adozione dei dovuti provvedimenti sanzionatori. (5-07695)


   QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   Giulio Regeni, un ricercatore italiano di 28 anni è stato trovai morto mercoledì ai margini dell'autostrada tra Il Cairo e Alessandria, nella periferia della capitale egiziana, dopo che si erano perse le sue tracce dal 25 gennaio, giorno del quinto anniversario della rivoluzione anti-Mubarak. Il cadavere sarebbe stato trovato in un fosso con segni di bruciature di sigaretta, tortura, ferite da coltello e segni di una «morte lenta»;
   le circostanze della morte sono tuttora da chiarire poiché dalle autorità egiziane sono arrivate due versioni contrastanti: secondo la procura di Giza, che ha disposto l'autopsia sul corpo, si tratterebbe di un «movente criminale», giustificato dai segni di accoltellamento sulle spalle e tagli su un orecchio e sul naso, ma anche «contusioni accanto agli occhi, come se fosse il risultato di un "pugno"». Mentre, in senso contrario, il direttore dell'Amministrazione generale delle indagini di Giza, ha escluso qualsiasi sospetto di crimine ipotizzando un più semplice incidente stradale e ha smentito che Regeni «sia stato raggiunto da colpi di arma da fuoco o sia stato accoltellato».
   le ipotesi di un delitto «politico» sono alimentate dalla notizia che nelle ultime settimane Regeni – che collaborava con il giornale Il Manifesto e si occupava soprattutto di movimenti operai e di sindacalismo indipendente ed avendo anche contatti con esponenti dell'opposizione egiziana – aveva preferito firmare i suoi articoli con uno pseudonimo perché «aveva paura per la sua incolumità»;
   l'Italia, ha chiesto con forza all'Egitto di poter collaborare alle indagini sulla morte del nostro connazionale e ha prontamente insistito, attraverso il ministro degli affari esteri Paolo Gentiloni, di aspettarsi la massima collaborazione a tutti i livelli, data la gravità di quanto accaduto al nostro connazionale ed i tradizionali rapporti di amicizia e vicinanza tra i due Paesi;
   pertanto sono arrivati al Cairo sette uomini della polizia italiana carabinieri e Interpol, con il compito di seguire, in sinergia con le autorità egiziane, le indagini in corso dando ulteriore sostegno all'azione, già sollecita, della nostra ambasciata a Il Cairo;
   il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha sentito il Presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi chiedendo la restituzione del corpo del giovane alla propria famiglia al più presto e che sia dato pieno accesso ai nostri rappresentanti per seguire da vicino, nel quadro dei rapporti di amicizia che legano Italia ed Egitto, tutti gli sviluppi delle indagini per trovare i responsabili di questo orribile crimine ed assicurarli alla giustizia;
   è stata sospesa una missione commerciale di circa 60 aziende e dei rappresentanti di Sace, Simest e Confindustria organizzata dal Ministero dello sviluppo economico e guidata dal Ministro Federica Guidi, che aveva in programma incontri con il Presidente della Repubblica Abd al-Fattah Al-Sissi, il Primo Ministro Sherif Ismail, tutti i Ministri economici, tesa a delineare i contenuti del vertice governativo che il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha annunciato di voler tenere a breve in Egitto –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo italiano per togliere ogni ambiguità sulla morte di Giulio Regeni, e perché sia accertata rapidamente la verità assicurandosi una cooperazione costruttiva da parte delle autorità egiziane.
(5-07696)

Interrogazione a risposta scritta:


   PORTA, GIANNI FARINA, FEDI, GARAVINI, LA MARCA e TACCONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   su un sito brasiliano di promozione di vendite e acquisti on line (mercadolivre.com.br) è comparso il seguente annuncio: « Agendamento Para Emissao do Passaporte italiano Em Curitiba» («Appuntamento per l'emissione del passaporto italiano in Curitiba»), nel quale si precisa che il prezzo del servizio di «vendita» dell'appuntamento è di 69,99 Reais;
   l'annuncio rende evidente un fenomeno di intervento speculativo cresciuto intorno ai servizi consolari, relativi tanto alla richiesta di appuntamento per la richiesta di passaporto quanto alle pratiche di domanda di cittadinanza; si tratta, come è noto, di servizi per i quali i tempi di contatto con gli uffici e quelli di risoluzione delle pratiche si sono dilatati in modo abnorme;
   non è escluso che alla grave difficoltà che si incontra nella prenotazione elettronica degli appuntamenti per le pratiche di passaporto e di cittadinanza nel consolato di Curitiba e negli altri consolati brasiliani sia dovuta all'intasamento dovuto all'intervento di queste agenzie di mediazione che dispongono di strumenti e di competenze elettroniche molto più avanzati rispetto al comune cittadino, spesso con poca confidenza con le nuove strumentazioni e procedure;
   all'origine di queste situazioni vi è l'estrema rigidità di erogazione dei servizi che si è progressivamente determinata nei consolati brasiliani e che ha portato ad una grave lentezza nei tempi di accesso agli uffici e all'accumulo di centinaia di migliaia di pratiche inerenti alle domande di cittadinanza;
   i fenomeni di speculazione e di a/illegalità che si stanno sviluppando intorno a queste situazioni, oltre a indurre i concittadini a esborsi non dovuti e a rapporti discutibili, possono diventare un fattore di discredito dell'immagine del Paese in una realtà in forte evoluzione, nella quale pure si guarda all'Italia con disponibilità e simpatia;
   è realistico pensare che tali processi involutivi possano essere fronteggiati non solo con maggiori e più attenti controlli, ma anche incidendo sulle cause a monte e intervenendo con misure straordinarie, le sole che possano consentire di aumentare l'efficienza dell'organizzazione burocratica e di riassorbire le giacenze accumulate;
   in occasione della recente approvazione della legge di stabilità 2016 il Governo ha accolto un ordine del giorno del primo firmatario del presente atto, nel quale si chiede di dare priorità nell'assegnazione delle risorse aggiuntive previste per i consolati ai servizi consolari nelle aree più critiche e a considerare l'esigenza di destinare una parte dei proventi derivanti dal versamento di 300 euro per le richieste di cittadinanza al potenziamento dei consolati percettori –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fenomeni di «vendita» delle prenotazioni nel consolato di Curitiba ed eventualmente negli altri consolati brasiliani e come intendano affrontare tale tipo di evenienze;
   quale sia il preciso ammontare delle giacenze di pratiche di cittadinanza, distintamente per ciascun consolato in Brasile e per le pratiche attivate dai discendenti dell'ex Impero austro-ungarico presso il Ministero dell'interno;
   se non ritengano di dover attivare, con il Ministro dell'economia e finanze, un dialogo risolutivo al fine di poter destinare una parte dei proventi derivanti dai 300 euro alla contrattualizzazione da parte dei consolati in Brasile di personale da destinare alla diminuzione dei tempi di attesa e al riassorbimento delle giacenze delle domande di cittadinanza. (4-11976)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta orale:


   GALGANO, CATANIA, VARGIU, CATALANO, QUINTARELLI, D'AGOSTINO, OLIARO, CAPUA, VECCHIO, PIEPOLI, GIGLI, FAUTTILLI, MATARRESE, BARADELLO e NESI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   vista la necessità di riaffermazione dell'unicità e del valore del «prodotto e del territorio Italia», occorrerebbe innalzare il numero degli arrivi e delle presenze sulla globalità del territorio nazionale, agevolando l'innalzamento degli standard qualitativi dell'offerta turistica nazionale, migliorando le strutture esistenti e creandone anche in aree ad elevato potenziale, ma con scarsa capacità ricettiva;
   al fine di accrescere la remuneratività per l'intero comparto ricettivo, è importante supportare lo sviluppo di attività strutturate in grado di produrre effetti positivi e duraturi sulle economie degli specifici territori, anche attraverso efficaci attività di promozione e di comunicazione, svincolare l'offerta nazionale dai condizionamenti degli operatori esteri, produrre offerte definite e calibrate sugli specifici target di riferimento, valorizzare le offerte locali, accrescendone la valenza e la visibilità, destagionalizzare l'offerta e l'afflusso turistico;
   per favorire lo sviluppo del comparto turistico, tenuto conto anche dell'imponente stabile ricaduta occupazionale, è necessario definire e porre in essere, in tempi brevi, strategie, progetti ed attività in grado di produrre effetti e ricadute positive sui settori di riferimento, evitando il ricorso all'ennesima infruttuosa sperimentazione e garantendo che lo sviluppo dei progetti e delle attività sia curato da specialisti ed aziende in possesso del know how, delle competenze, delle conoscenze, delle esperienze e delle consapevolezze necessarie per l'ottenimento del massimo risultato;
   per recuperare in tempi brevi l'enorme gap accumulato dal nostro Paese, nei confronti dei competitor esteri, anche in considerazione dei contributi, dei consigli, delle indicazioni, delle richieste e delle istanze pervenute dalle varie associazioni operanti nel settore (consorzi di albergatori e di agriturismi, aziende di promozione del turismo, singoli albergatori e titolari di attività ricettive, assessorati al turismo e sviluppo economico, associazioni pro loco, comitati nazionali e internazionali), si avverte l'esigenza di accrescere la valenza del potenziale e dell'offerta nazionale nei mercati mondiali, sviluppare proficue attività di marketing, promozione e comunicazione, introducendo strumenti innovativi capaci di agevolarle, definire percorsi ed iniziative concordate e condivise dai territori in grado di accrescere la competitività complessiva dell'offerta nazionale, concepire l'offerta turistico-ricettiva quale imprescindibilmente legata a quella delle produzioni dei prodotti italiani;
   a tal fine, sarebbe altresì opportuna la valorizzazione delle risorse e delle potenzialità progettuali già selezionate nell'ambito dei programmi d'innovazione industriale denominati «Industria 2015», con riferimento principalmente all'obiettivo C, gestiti dal Ministero dello sviluppo economico che risultano pienamente rispondenti alle esigenze sopra espresse –:
   quali siano gli  orientamenti del Governo in merito alle iniziative a supporto di uno dei settori chiave dell'economia nazionale quale è il turismo, fin troppo trascurato ed abbandonato, secondo gli interroganti, alla libera iniziativa delle imprese operanti nello stesso;
   se esista la volontà del Governo di recuperare un patrimonio di idee, di progetti e di innovazioni sviluppato dal sistema, nell'ambito dei programmi «Industria 2015», che, in quanto già oggetto di verifica e selezione, hanno la potenzialità di contribuire fattivamente allo sviluppo di iniziative ed attività in grado di accrescere in breve tempo la competitività dell'offerta nazionale;
   se non il Governo reputi che sia opportuna la costituzione di una cabina di regia nazionale in grado di gestire, quale struttura di coordinamento, il complesso delle iniziative finalizzate alla valorizzazione e allo sviluppo delle potenzialità espresse dagli enti, dalle aziende e dalle strutture delle pubbliche amministrazioni centrali e periferiche, nell'ottica di una proficua razionalizzazione delle attività attualmente sviluppate localmente e, a parere degli interroganti, senza alcuna strategia di base, al fine di consentire l'adozione di un programma strategico e la definizione di una univoca politica promozionale nazionale, nonché l'introduzione di servizi, prodotti, strumenti ed innovazioni capaci di rendere competitiva l'offerta nazionale e recuperare in tempi brevi l'enorme gap accumulato dal nostro Paese nei confronti dei competitor esteri.
(3-01988)


   MOLEA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   per fronteggiare esigenze temporanee legate alla tutela, vigilanza e ispezione, alla protezione e conservazione nonché alla valorizzazione dei beni culturali nei luoghi e negli istituti statali, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha pubblicato il bando di concorso 2016 finalizzato all'assunzione di 60 esperti laureati;
   tale bando impone il limite di età dei quarant'anni, non tenendo conto di una recente sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea (2014) che dichiara ingiustificata discriminazione tale limite, sulla base della direttiva 2000/78/CE del 27 novembre 2000;
   la normativa europea ammette deroghe al principio della non discriminazione su base anagrafica, ma queste, sempre secondo la direttiva n. 78 del 2000, devono essere «giustificate oggettivamente da finalità legittime perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari»;
   in altri casi, strettamente limitati, una disparità di trattamento può essere giustificata quando una caratteristica collegata all'età costituisce «un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell'attività lavorativa, a condizione che la finalità sia legittima e il requisito sia proporzionato»;
   il divieto di discriminazione basata sull'età costituisce un elemento essenziale per il perseguimento degli obiettivi definiti negli orientamenti in materia di occupazione e la promozione della diversità nell'occupazione. È quindi uno strumento utile già da solo a combattere la disoccupazione;
   la direttiva europea per questo motivo ritiene essenziale distinguere tra le disparità di trattamento che sono giustificate, in particolare, da obiettivi legittimi di politica dell'occupazione, mercato del lavoro e formazione professionale, e le discriminazioni che devono essere vietate;
   in una situazione, quale quella attuale, in cui disoccupazione e precarietà sono condizioni ormai generalizzate, il limite anagrafico appare profondamente iniquo, perché favorisce una determinata fascia di persone disoccupate o precarie a detrimento di un'altra fascia di persone altrettanto disoccupate o precarie, calpestando così il diritto universale al lavoro;
   è inoltre da rilevare come oggi appaia particolarmente critica la situazione lavorativa proprio della fascia anagrafica esclusa dal bando, anche in relazione alla tendenza, emersa negli ultimi anni in seno al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, a offrire lavoro nella forma di tirocini ugualmente caratterizzati dal limite anagrafico (per altro ogni volta a giudizio dell'interrogante arbitrariamente fissato). Questo fatto, unito alla generale scarsità di offerta di lavoro qualitativamente valido (in termini contrattuali, di durata e retribuzione), sta quasi del tutto precludendo l'accesso al lavoro a un'intera generazione di persone –:
   se ritenga opportuno assumere iniziative per rivedere tale limite, anche alla luce del nuovo concorso da 500 nuove assunzioni. (3-01990)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BASILIO, RIZZO, FRUSONE, PAOLO BERNINI, CORDA e TOFALO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   sul sito web de « il Fattoquotidiano» è apparso un articolo nel quale si ventila l'ipotesi di una proroga dall'incarico dell'attuale Capo di Stato Maggiore della Marina ammiraglio De Giorgi per tutto il 2016;
   al compimento del 62o anno di età (giugno 2016) l'ammiraglio De Giorgi dovrebbe essere messo in pensione e si dovrebbe provvedere all'avvicendamento dei vertici della Marina militare –:
   se quanto riportato dal sito web richiamato in premessa corrisponda al vero e, in caso di risposta affermativa, quali siano le ragioni istituzionali che sarebbero alla base dell'eventuale prolungamento dell'incarico all'ammiraglio De Giorgi.
(5-07690)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DELL'ORCO, CRIPPA, LIUZZI, SPESSOTTO, DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI e CARINELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le associazioni dei consumatori hanno come di consueto analizzato l'andamento annuale del costo dei carburanti per autotrazione, evidenziando sulla stampa come la caduta dei prezzi del petrolio non abbia portato in Italia ad un conseguente e adeguato ribasso dei prezzi alla pompa. Si evidenzia infatti che il crollo del prezzo del greggio, oggi intorno ai 30 dollari al barile, sia ai minimi dal 2009, quando la benzina verde costava 1,13 euro al litro, mentre oggi la quotazione media della benzina è scesa appena sotto gli 1,43 euro al litro;
   il calo dei prezzi del greggio, secondo l'Unione petrolifera, sarebbe però stato interamente recepito dai prezzi italiani dei carburanti al netto delle tasse; anche secondo le associazioni dei consumatori ad incidere sull'attuale eccessivo prezzo sarebbero la perdita di forza del cambio euro-dollaro ma soprattutto l'aumento delle accise sui carburanti (nel 2009 si attestavano a 56,4 centesimi al litro, oggi a 72,8 centesimi), nonché l'incremento dell'iva;
   le accise sui carburanti, negli anni, sono aumentate per coprire le spese di varie emergenze, come guerre, missioni di pace, terremoti, alluvioni, molte delle quali non più attuali. In molti casi, inoltre, gli atti di legge che avevano disposto l'aumento dell'aliquota a loro copertura riportavano una scadenza, ma, secondo fonti stampa, le aliquote non sembrerebbero aver subito conseguenti e correlate variazioni al ribasso al cessare degli effetti di legge;
   lo stesso Presidente del Consiglio Matteo Renzi, a proposito di accise sui carburanti, aveva pubblicamente dichiarato durante la trasmissione Porta a Porta del 23 maggio 2014 che, entro quell'anno, il Governo avrebbe rimesso mano alle aliquote per limare le componenti delle accise non più attuali, riferendosi in particole alla guerra di Etiopia. Secondo quanto dichiarato in quella stessa sede dal Presidente del Consiglio in relazione all'alluvione di Firenze, non risulterebbe neppure chiaro se il trasferimento di quote relative alle accise disposto per legge sia stato sempre rispettato;
   sul prezzo finale dei carburanti, oltre alle accise, grava anche l'iva che, non viene però calcolata solo sul costo del prodotto e sul margine di guadagno, ma, illegittimamente, anche sulle accise, trasformandosi così in una tassa sulla tassa. A luglio 2015 una sentenza di un giudice di pace di Venezia, giudicando sul ricorso presentato da un cittadino contro l'Enel che in bolletta calcola l'iva anche sulle accise, ha sancito appunto che l'iva sulle accise non va pagata richiamando il principio stabilito dalla Corte di Cassazione a sezioni unite nella sentenza 3671/97, secondo il quale, salvo deroga esplicita, un'imposta non costituisce mai base imponibile per un'altra. Tale illegittimità dovrebbe dunque riguardare anche il settore dei carburanti;
   considerato che, comunque, le accise sui carburanti costituiscono una voce d'entrata rilevante per le casse pubbliche, gli effetti sulla finanza pubblica di un possibile taglio delle accise e dell'iva dovrebbero essere compensati da un corrispondente aumento della fiscalità, ad esempio incidendo sulle attività estrattive, con un aumento dei canoni e delle royalty che continuano ad essere tra le più basse al mondo, o con la soppressione di tutti i regimi di favore alle accise sui combustibili fossili, in linea tra l'altro con le indicazioni dell'Onu sull'obiettivo di riduzione delle emissioni inquinanti;
   a parere degli interroganti, l'imposizione fiscale gravante sul consumo dei carburanti per autotrazione dovrebbe essere completamente razionalizzata e rideterminata, trasformandola di fatto in una vera e propria tassazione ambientale, ovvero in un sistema di imposizione fiscale che persegua lo sviluppo di politiche pubbliche di sostenibilità e la riduzione delle emissioni climalteranti, come previsto, ma mai attuato, con l'articolo 15 della legge di delega fiscale (legge 11 marzo 2014, n. 23) –:
   quali siano attualmente le componenti dell'aliquota dell'accisa disposte per legge e ancora attuali e quali riferite a situazioni emergenziali o straordinarie ora cessate e se sia sempre stato rispettato, in sede di bilancio, il trasferimento di fondi per quelle destinazioni;
   se il Governo non intenda assumere iniziative affinché l'iva sui carburanti venga adeguata conformemente a quanto stabilito dalla recente sentenza del giudice di pace di Venezia richiamata in premessa;
   se e come il Governo intenda intervenire per razionalizzare l'imposizione fiscale sul consumo dei carburanti per autotrazione, trasformandola di fatto in una carbon tax, o altra imposta di scopo, destinata a finanziare lo sviluppo delle energie rinnovabili, dell'efficienza energetica del nostro Paese e della mobilità pubblica sostenibile. (5-07689)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 agosto 2015, sulla Gazzetta Ufficiale n. 187, è stata pubblicata la legge 7 agosto 2015, n. 124, recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche»;
   l'articolo 8, comma 1, lettera a), prevede, tra l'altro, l'eventuale assorbimento del Corpo forestale dello Stato in altra forza di polizia;
   nel corso della riunione n. 101 del 20 gennaio 2016 il Consiglio dei ministri ha approvato, in esame preliminare, il testo di un decreto legislativo, non ancora reso noto ufficialmente nel suo contenuto, che recherebbe un vero e proprio spacchettamento del Corpo forestale dello Stato tra vigili del fuoco, Arma dei carabinieri, polizia di Stato, Guardia di finanza;
   in data 19 gennaio 2016 i Sindacati del Corpo forestale dello Stato Sapaf, Ugl Unione Generale Lavoratori Cfs, Snf, Fns-Cisl, Fp Cgil Cfs, Dirfor hanno inviato una lettera indirizzata al Ministro interrogato e all'Ispettorato generale per gli ordinamenti del personale e l'analisi dei costi del lavoro pubblico (IGOP) del Ministero dell'economia e delle finanze, nella quale si richiama l'attenzione sugli eventuali maggiori costi dell'operazione posta in essere, sia a breve termine che a regime –:
   quali elementi il Governo possa fornire in relazione ai fatti esposti in premessa e se i tecnici e gli uffici preposti del Ministero dell'economia e delle finanze, alla luce della nota delle organizzazioni sindacali richiamata in premessa, abbiano valutato sotto il profilo economico-giuridico e della finanza pubblica l'operazione dell'assorbimento del Corpo forestale dello Stato in diverse amministrazioni;
   se non ritengano opportuno farsi promotori prima della pubblicazione ufficiale del provvedimento in questione, di un incontro tecnico con le rappresentanze del personale del Corpo forestale dello Stato.
(4-11984)


   SANTELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da alcune fonti giornalistiche, numerosi conti correnti della Banca Etruria sarebbero stati svuotati dai titolari tra l'inizio di ottobre e la fine di novembre 2015, alcune settimane prima della emanazione del decreto-legge 183 del 2015 cosiddetto salva-banche;
   ciò sollecita il fondato dubbio che alcuni clienti privilegiati siano stati avvisati dei rischi che avrebbero corso;
   sempre da notizie stampa si apprende che i conti di Banca Etruria presenterebbero un buco ingente tanto che il commissario liquidatore Santoni avrebbe dichiarato che «la situazione di liquidità si presenta assai critica... Le riserve liquide appaiono inadeguate per effetto dei deflussi che hanno interessato la banca» –:
   quali siano le informazioni in merito in possesso del Ministro interrogato e se risulti quanti siano i conti correnti che risultano svuotati nel periodo precedente alla emanazione del decreto-legge 183 del 2015, in particolare per il periodo riferito alle ultime sei settimane antecedenti la decisione del Consiglio dei ministri.
(4-11997)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nella sera del 24 maggio 2005, a Siderno, in provincia di Reggio Calabria è stato ucciso un giovane commerciante, titolare di alcuni negozi commerciali di telefonia, incensurato;
   secondo la ricostruzione dei fatti operati dagli organi investigativi una macchina con a bordo due uomini avrebbe affiancato quella del giovane, Gianluca Congiusta, e uno dei due gli ha sparato;
   secondo le indagini portate avanti dalla direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, il boss di Siderno Tommaso Costa avrebbe deciso di uccidere il giovane perché questo era venuto a conoscenza di un tentativo di estorsione perpetrato dallo stesso Costa in danno del suocero della vittima;
   secondo quanto riportato da « Il Corriere della Calabria», infatti, «nella cittadina della Locride presto si venne a sapere di una lettera dal contenuto estorsivo inviata proprio agli Scarfò, e per questo andava fermata la determinazione di Gianluca a rivelare il contenuto della lettera: i Commisso non potevano e non dovevano capire cosa Costa stesse architettando»;
   nel dicembre del 2010, cinque anni dopo il delitto, Tommaso Costa è stato condannato alla pena dell'ergastolo, accusato di essere stato il mandante e l'esecutore dell'omicidio, e la sentenza d'appello pronunciata nell'aprile del 2013 ha confermato tali sentenze di primo grado;
   il 6 marzo 2014 la sentenza della Corte di Cassazione ha, invece, ribaltato il processo, annullando con rinvio la condanna a carico dell'imputato e disponendo che gli atti relativi all'omicidio fossero nuovamente discussi davanti alla Corte d'appello di Reggio Calabria;
   il motivo di tale decisione deriva dal fatto che, secondo l'impianto dell'articolo 266-bis del codice di procedura penale, le comunicazioni dei detenuti possono essere sì controllate ma al loro contenuto non è riconosciuto carattere e probante nell'ambito del processo;
   la lettera che secondo i giudici della suprema Corte sarebbe inutilizzabile secondo le tesi dell'accusa contiene i riferimenti al possibile movente alla base dell'uccisione del giovane Congiusta;
   già in passato alcuni autorevoli esponenti della lotta giudiziaria alla malavita organizzata avevano avuto modo di segnalare «l'illogicità dell'attuale sistema processuale delle intercettazioni delle comunicazioni predisposto dal legislatore, il quale, da un verso [...] consente di monitorare le forme orali quanto quelle scritte, dall'altro nega l'utilizzo di siffatta procedura relativamente alle comunicazioni contenute nella corrispondenza epistolare»;
   a complicare ulteriormente l'incredibile vicenda giudiziaria il 18 gennaio 2016 davanti, alla corte d'appello di Reggio Calabria, la procura generale ha sollevato una eccezione di legittimità costituzionale sulla utilizzabilità delle lettere che sarebbero alla base del delitto;
   se la corte d'appello dovesse accogliere la richiesta della procura, la decisione verrebbe rimandata alla Corte Costituzionale e nel frattempo il processo rimarrebbe sospeso con tempi del tutto imprevedibili;
   la lunghezza dei processi è uno dei problemi più gravi che affliggono la giustizia italiana, e contravviene a tutte le norme e alle aspettative di rispetto della persona umana che dovrebbero rientrare nella più ampia sfera della tutela che l'ordinamento deve accordare alle vittime dei reati e ai loro familiari –:
   se sia informato dei fatti esposti in premessa, e se non ritenga di intervenire con urgenza mediante un'apposita iniziativa normativa al fine di colmare l'incongruenza citata. (4-11989)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta orale:


   VACCA, COLLETTI e DEL GROSSO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 novembre 2009 è stato sottoscritto lo schema di convenzione unica tra ANAS e la Società Strada dei Parchi spa;
   in seguito, in data 29 novembre 2010, è stato sottoscritto l'atto di recepimento della delibera del CIPE n. 20 del 13 maggio 2010 di approvazione della medesima convenzione: la concessione scade il 31 dicembre 2030;
   i tratti autostradali in concessione sono la Roma L'Aquila – Teramo pari a chilometri 159,3 la A24 diramazione grande raccordo anulare – tangenziale est di Roma pari a 7,2 chilometri e la Torano – Avezzano – Pescara di chilometri 114,9;
   la formula tariffaria applicata al pedaggio è stabilita dalla delibera del CIPE 39/2007 e dalla delibera del CIPE 319/1996. Al fine di determinare la variazione percentuale della tariffa si tiene conto, del valore del tasso d'inflazione programmato e di una quota che consente il recupero degli investimenti realizzati dalla società autostradale concessionaria l'anno precedente a quello di applicazione dell'incremento;
   i costi di manutenzione ordinaria e straordinaria delle autostrade e gli oneri degli investimenti di nuove infrastrutture vengono, quindi, recuperati dalla società Strada dei Parchi s.p.a. attraverso il pedaggio e i conseguenti incrementi. È evidente che ogni nuovo investimento debba apportare un beneficio alla collettività che, di fatto, sostiene l'intero costo;
   ogni anno Strada dei Parchi chiede un adeguamento tariffario che si somma a quello dell'anno precedente;
   già nel 2014 la società Strada dei Parchi spa aveva chiesto un aumento del pedaggio pari al 10,39 per cento, ricevendo l'autorizzazione per una quota pari all'8,28 per cento. Nel periodo 2009-2015 l'aumento complessivo della tariffa del pedaggio ha raggiunto quasi il 40 per cento provocando numerose e continue proteste;
   i ricavi da pedaggio nel 2013 erano pari a 137,6 milioni di euro, mentre nel 2014 pari a 148,9 milioni, a fronte di un numero di transiti per chilometri sia dei veicoli leggeri che pesanti in decrescita;
   secondo quanto appreso dai media locali, Strada dei Parchi spa ha presentato un progetto ai ministeri competenti per la realizzazione di 40 chilometri di nuove gallerie a doppia canna che consentirebbero di accorciare l'autostrada che collega l'Abruzzo a Roma;
   il costo di questo progetto è di circa 5,5 miliardi di euro e, secondo la società concessionaria, rappresenterebbe un investimento privato, per ridurre il tragitto stradale di una trentina di chilometri, in cambio di un prolungamento dei tempi di concessione sulla gestione del tratto autostradale di 45 anni per consentire di poter incamerare per altrettanti anni i pedaggi;
   secondo gli interroganti, l'Abruzzo non ha bisogno di sventrare montagne e spendere fondi dei cittadini presi indirettamente attraverso un aumento vertiginoso dei pedaggi per velocizzare di qualche minuto un tratto autostradale come quella gestita dal gruppo Toto. Infatti, i costi, benché sia previsto un investimento privato, sicuramente ricadrebbero sui cittadini anche attraverso un ulteriore aumento del pedaggio, su un'autostrada tra le più care d'Italia e con gli aumenti maggiori registrati negli ultimi decenni;
   il progetto, oltre a rappresentare un costo reale a carico della collettività, seppur indirettamente, taglierebbe fuori dalle principali arterie di collegamento l'intera valle Peligna, già in sofferenza, e una zona intera zona del Parco della Majella;
   molti dubbi rispetto alla gestione della Strada dei Parchi provengono anche dai sindacati. In occasione di uno sciopero del 2014 rappresentanti sindacali della CISL dichiaravano: «Ancora una volta siamo costretti a denunciare il mancato rispetto degli accordi, del contratto e soprattutto dei vincoli sottoscritti nella convenzione da parte di Strada Dei Parchi... Una strategia messa in campo oramai da alcuni anni e con la quale il gruppo “Toto” oggi proprietario di Strada dei Parchi, continua a saccheggiare il lavoro della concessionaria a tutto vantaggio delle imprese del gruppo che ovviamente sono al di fuori del Contratto Autostradale. Solo per l'annualità 2014, Strada dei Parchi affida direttamente ad un'azienda del Gruppo 40 Milioni di manutenzione ordinaria che in gran parte potrebbe essere svolta dai dipendenti della Strada dei Parchi. Si intende insomma far sparire il lavoro dall'azienda che ne ha per effetto degli obblighi di convenzione. E parliamo della sola manutenzione ordinaria, allo stesso modo le aziende del gruppo realizzano la totalità degli investimenti e dei lavori di adeguamento dell'infrastruttura, con tutti gli oneri di indebitamento a carico di Strada dei Parchi. Il progetto inaccettabile è quello di rendere Strada dei Parchi una scatola vuota dalla quale attingere affidamenti e introiti da pedaggio. I lavoratori sono di troppo. Il tutto avviene mentre i ricavi aumentano per effetto dell'esplosione delle tariffe ed il costo del personale diminuisce»;
   se quanto dichiarato dai sindacati fosse vero, il gruppo imprenditoriale che controlla Strada dei Parchi spa avrebbe tutto l'interesse di aprire cantieri in quanto i lavori sarebbero affidati direttamente a delle società del gruppo Toto ed il tutto, naturalmente, sarebbe pagato con le tariffe del pedaggio;
   la documentata riduzione del traffico denota, tra l'altro, la non necessità di ampliamento e ulteriore investimento sulla Strada dei Parchi;
   secondo gli interroganti, il collegamento dei trasporti dalla costa abruzzese verso la capitale necessiterebbe, invece, di un investimento sulla linea ferroviaria che attualmente percorre il tragitto in non meno di 3 ore e mezza rendendo del tutto difficoltoso l'utilizzo di tale mezzo soprattutto per i pendolari –:
   se il progetto di cui in premessa sia stato effettivamente depositato già da due anni presso il Ministero dell'economia e delle finanze;
   quali siano le intenzioni del Governo in merito al progetto di cui in premessa, anche in considerazione del continuo e consistente aumento dei pedaggi autostradali. (3-01989)


   PAOLO NICOLÒ ROMANO e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 743, riguardava la «Nozione di aeromobile», del Codice della navigazione e il Regolamento (CE) n.  216 del 20 febbraio 2008, recante «regole comuni nel settore dell'aviazione civile e che istituisce un'Agenzia europea per la sicurezza aerea, che abroga la direttiva 91/670/CEE del Consiglio, il regolamento (CE) n. 1592/2002 e la direttiva 2004/36/CE», attribuiscono all'ente nazionale per l'aviazione civile Enac la regolamentazione dei sistemi aeromobili a pilotaggio remoto (Sapr) di massa al decollo non superiore a 150 chilogrammi e tutti quelli progettati e modificati per Scopi di ricerca, sperimentazione e scientifici;
   a seguito del repentino sviluppo del settore dei «droni» anche in Italia, l'ente nazionale per l'aviazione civile ha disciplinato la materia con il regolamento «Mezzi aerei a pilotaggio remoto», entrato in vigore il 30 aprile 2014, che è stato immediatamente oggetto di numerose critiche non solo perché, come è emerso dalla risposta del Sottosegretario ai trasporti Umberto Del Basso De Caro alle interrogazioni 5-04879 e 5-04833 dell'11 giugno 2015, risulta essere stato emanato senza un diretto coinvolgimento del Governo – nello specifico del Ministero dell'interno che ha rilevato che tale versione, riportando aspetti di safety, intesi come pubblica incolumità, non ha previsto, nell'ambito dell’iter amministrativo, necessario al rilascio dell'autorizzazione ai soggetti richiedenti le abilitazioni, alcuna comunicazione all'Autorità di pubblica sicurezza e, inoltre, ha espresso forte preoccupazione per i possibili riflessi connessi alla tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica per la possibilità concessa di effettuare sorvoli, seppur parziali, su infrastrutture critiche e su luoghi in cui vi siano assembramenti di persone – ma anche senza aprire, come avrebbe dovuto fare, una consultazione pubblica con gli operatori del settore che hanno lamentato di fatto il blocco di circa l'80 per cento delle operazioni che il mercato chiedeva;
   a tali critiche si è ovviato istituendo un tavolo tecnico interforze e interdisciplinare, presso il Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, per la disamina degli aspetti di regolamentazione e autorizzazione per l'uso dei sistemi aeromobili a pilotaggio remoto (Sapr) e degli aeromodelli a cui hanno partecipano rappresentanti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, del Ministero della difesa e di ente nazionale per l'aviazione civile che, provvedendo ad accogliere anche i punti principali proposti dagli operatori del settore, ha emanato il II regolamento «Mezzi aerei a pilotaggio remoto», entrato in vigore il 15, settembre 2015;
   anche II regolamento, che rappresentava un buon compromesso tra le esigenze di sicurezza e di incolumità pubblica e quelle di un settore dalle enormi potenzialità di crescita e sviluppo economico, pur tuttavia, presentava, a giudizio degli interroganti non irrilevanti criticità. In primis l'assenza di un sistema sanzionatorio specifico, che l'ente nazionale per l'aviazione civile non aveva competenza a definire, essendo materia del legislatore nazionale, creando di fatto il paradosso che, per la sua violazioni, si fa riferimento al codice della navigazione con la conseguenza che ad un mezzo aereo a pilotaggio remoto, dal peso di pochi chilogrammi e dal costo di qualche migliaio di euro si applicano le medesime sanzioni previste per un aeromobile dell'aviazione commerciale del valore di centinaia di milioni di euro. Ulteriori criticità del II regolamento erano ravvisabili anche nell'incertezza regolamentare dovuta alla decisione di rinviare ad ulteriori provvedimenti il dettaglio di requisiti tecnici previsti da varie prescrizioni, non consentendo così a costruttori ed operatori di avere informazioni complete per la pianificazione della propria attività;
   pur con le non irrilevanti criticità sopra illustrate il II regolamento aveva dato un primo sufficiente quadro regolatorio ad uno dei settori più innovativi nel nostro Paese che conta già all'incirca 5000 operatori professionali e con un giro d'affari stimato in più di un miliardo di euro. Eppure, tutto questo sarebbe durato appena tre mesi, dato che a sorpresa, esattamente il 23 dicembre 2015, ente nazionale per l'aviazione civile ha pubblicato una nuova versione emendata del II regolamento senza né informare, né coinvolgere le associazioni degli operatori del settore che avevano contribuito in modo determinante alla stesura precedente. Le modifiche apportate ai requisiti (quote di volo, scuole di formazione, caratteristiche tecniche degli APR < 300 grammi, possibilità di volo nei controlled traffic region, e altro e all'applicazione delle prescrizioni (terminatore di volo, paracadute, interdizione al volo in aree specifiche, e altro) hanno peggiorato per l'interrogante la disciplina a tal punto da rendere inutilizzabile il lavoro che costruttori ed operatori avevano intrapreso seguendo le disposizioni del II regolamento;
   tali modifiche, assunte dall'ente nazionale per l'aviazione civile sotto le festività natalizie e senza il coinvolgimento degli operatori interessati, a giudizio degli interroganti o oltre a ledere il principio della certezza del diritto, stanno creando enormi danni economici all'intero compatto per i ragguardevoli investimenti effettuati, vendo a riferimento il precedente quadro regolatorio. Inoltre, l'ente nazionale per l'aviazione civile non motiverebbe e non risponderebbe alle richieste degli utenti, o lo farebbe con grande ritardo, contravvenendo per gli interroganti, di fatto, anche alle precise prescrizioni normative sulla trasparenza della pubblica amministrazione che prevedono tempi certi per i riscontri;
   non è tollerabile, per gli interroganti, che un ente, sottoposto alla vigilanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, possa agire in questo modo, cambiando le regole in corso d'opera senza nemmeno informare preventivamente i soggetti interessati. Un settore dalle grandi potenzialità economiche è in Italia bloccato da un comportamento a giudizio degli interroganti ondivago di un ente pubblico che assume decisioni discutibili senza tener conto delle conseguenze, causando, di fatto, una pesante penalizzazione dei nostri operatori rispetto ai competitors stranieri;
   all'assenza della certezza del diritto si aggiunge il vuoto normativo sul sistema sanzionatorio, per cui le Forze dell'ordine si trovano ad applicare le sanzioni generali previste dal codice della navigazione per gli aeromobili commerciali che sono per gli interroganti completamente sproporzionate rispetto alle violazioni commesse dagli operatori dei droni, con l'inevitabile risultato di ricorsi su ricorsi e ulteriori intasamenti dei Tribunali già notoriamente sotto organico;
   l'Easa, l'Agenzia europea per la sicurezza aerea, ha terminato, a fine settembre 2015, l'istruttoria per le proposte di una regolamentazione europea dei droni al di sotto dei 150 chilogrammi, rimasti ancora di esclusiva competenza nazionale, e che, pertanto, è imminente l'entrata in vigore di una uniforme disciplina europea immediatamente applicabile che, da quello che è emerso dalla stampa, è molto meno restrittiva di quella promossa dall'ente nazionale per l'aviazione civile –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere per risolvere, con urgenza, le problematiche sopraesposte e nello specifico per garantire certezza del diritto a tutti gli attori della filiera (costruttori, assemblatori, scuole di formazione e operatori), garantendo loro un quadro normativo certo e duraturo tale da favorire il pieno dispiegarsi delle piene potenzialità di un settore che potrebbe apportare un notevole contribuito alla crescita economica del nostro Paese;
   quali iniziative intenda intraprendere per regolamentare questo importante settore anche dal punto di vista di un nuovo quadro sanzionatorio che preveda una disciplina afflittiva proporzionata alla gravità della condotta illecita commesso dall'operatore o titolare e alla tipologia e/o massa operativa dell'aeromodello impiegato. (3-01992)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha chiesto le dimissioni immediate dell'assessore regionale dei trasporti della regione Sardegna, responsabile di una condotta grave sulla gestione del rapporto delle compagnie low cost;
   in tal senso, l'interrogante ha trasmesso una formale denuncia alla procura di Sassari per le consulenze elargite nel 2011 dalla società di gestione dell'aeroporto di Alghero, in qualità di consulente, a tale professor Massimo Deiana, ora assessore regionale dei trasporti nella giunta di centrosinistra;
   tale consulenza della società di gestione era stata data nonostante lo stesso Deiana fosse in palese contrasto di interessi in quanto già consulente della regione Sardegna;
   l'interrogante nella giornata del 3 febbraio 2016, nel corso di conferenza stampa nell'aeroporto di Alghero ha anche consegnato copia di stralci di intercettazioni telefoniche acquisite dalla procura di Sassari dalle quali si evince che l'assessore dei trasporti già nel 2011 trattava la vicenda Alghero con il direttore della Sogeal, il quale poi gli conferiva un incarico di consulenza, nonostante Deiana fosse già di fatto consulente della regione;
   si tratta di un incarico sul quale l'interrogante ha chiesto alla procura di Sassari di valutare in quale consesso esso sia maturato considerato che nello stesso periodo Deiana svolgeva anche l'incarico di consulente dell'assessorato regionale dei trasporti con una giunta di centrodestra;
   è evidente secondo l'interrogante che, quantomeno, vi era un palese ed evidente conflitto d'interesse;
   una vicenda di una gravità inaudita che, comparandola ai dati raccolti dalla procurata, fa emergere secondo l'interrogante un evidente conflitto d'interessi se non di peggio;
   l'intercettazioni sopra richiamate sono del 15 giugno 2011;
   in quell'occasione, il direttore della Sogeal racconta di essersi dovuto rivolgere a Deiana, in quanto sostanzialmente uomo forte del centrodestra;
   Deiana in quel momento svolgeva di fatto il ruolo di consulente dell'assessorato ai trasporti;
   è in quella posizione di forza che, solo un mese dopo, l'11 luglio 2011 la società di gestione dell'aeroporto di Alghero riceve una consulenza privata da Deiana, nella quale sostiene che il comportamento della regione, di cui era consulente, era illegittimo;
   da una parte Deiana avrebbe ricevuto l'incarico di consulente perché ritenuto uomo forte dell'assessorato, già consulente di fatto del centrodestra, dall'altra, avrebbe ottenuto, invece, incarichi come privato consulente per contrastare la regione;
   il report della guardia di finanza, nell'ambito di un'inchiesta sull'aeroporto di Alghero, parla chiaro: i vertici dell'aeroporto si rivolgevano a lui come esponente delle regione, ma poi nei report successivi spunta una consulenza privata;
   le intercettazioni confermerebbero che i trasporti in Sardegna sono in mano a gente che appare all'interrogante senza scrupoli, pronta a tutto, in nome e per conto del centrodestra e del centrosinistra poi;
   è evidente che si pone un serio problema di controlli sulla gestione delle consulenze elargite dalla stessa società aeroportuale sulla quale, a giudizio dell'interrogante è quanto meno stato svolto in modo inadeguato il controllo da parte dell'Enac, che deve verificare la gestione anche finanziaria della società concessionaria;
   tale contesto ha contribuito a generare, secondo l'interrogante, la gravissima decisione della compagnia Ryanair di lasciare per sempre lo scalo di Alghero, dismettendo dal 31 ottobre 2016 la base operativa in quell'aeroporto;
   la Sardegna è, dunque, isolata sempre di più da monopoli sui trasporti e da tasse di Stato fuori da ogni logica;
   aggiungere nuove tasse e nuovi balzelli, come ha fatto il Governo Renzi, con la sostanziale complicità della giunta regionale, su quella che deve essere la prima economia dell'isola è una follia che la Sardegna paga ancora una volta a caro prezzo;
   tasse che non solo non sono preludio di nuovi servizi, ma che rappresentano ancora una volta il preludio a nuovi disservizi;
   il gettito dei comuni, così come quello della regione, lo si incrementa aumentando le presenze e non gravando di tasse quelle che già ci sono;
   è una politica di retroguardia, incapace di scorgere nuovi orizzonti, a partire dallo sviluppo turistico;
   è demenziale non affrontare il tema delle tasse incontrollate e fuori legge sui trasporti;
   si auspica che la regione impugni davanti alla corte costituzionale le nuove imposizioni statali, proprio perché si tratta a giudizio dell'interrogante, di una violazione dello Statuto autonomo per la mancata intesa proprio con la regione;
   non si può gravare un servizio pubblico, come quello essenziale della continuità territoriale e dei trasporti low cost da una regione insulare, con tassazioni che rasentano la follia;
   basti pensare a tratte aeree che vengono gravate sino al 71 per cento in più rispetto al costo reale del biglietto;
   proporre nuove tasse e non tener conto di quello che, a parere dell'interrogante, si configura come un surreale «furto di Stato» sulla continuità territoriale, è semplicemente da irresponsabili; occorre prevedere il divieto di tassare il servizio pubblico di continuità territoriale e i collegamenti con le regioni insulari, così come già sancito da diversi tribunali amministrativi;
   è indispensabile che le lobby degli aeroporti e quelle delle compagnie aeree la smettano di lucrare sul servizio essenziale del trasporto pubblico da e per la Sardegna;
   in questo quadro d'insieme nefasto e devastante, è indispensabile intervenire con immediatezza con azioni immediate sul fronte della connessione con il resto della penisola e con l'Europa;
   occorre intervenire immediatamente sulle tariffe di continuità territoriale che possono e devono essere immediatamente abbattute;
   occorre attualizzare i costi reali della continuità territoriale e il risultato è matematico: dalla Sardegna a Roma a 25 euro, e a Milano a 30 euro;
   serve un piano strategico in grado di rivoluzionare il trasporto aereo, dopo la tariffa unica che l'interrogante propose nel 2010 ed oggi maldestramente attuata solo per 9 mesi;
   occorre estenderla a tutto l'anno ma abbattere nel contempo drasticamente le tariffe in regime di continuità territoriale;
   per fare questo non servono fondi pubblici, ma semplicemente occorre rispettare le norme vigenti;
   il contributo di 30 milioni di euro disposto dal Governo per continuità territoriale dovrebbe essere usato per abbattere le tariffe e non per dare indebiti vantaggi ad all'Alitalia;
   va immediatamente attuata la proposta dell'interrogante, procedendo alla mera comparazione dei costi messi alla base dei calcoli della conferenza di servizi del 2011 per capire la maldestra tariffazione sulla continuità territoriale;
   si tratta di decine di milioni di euro elargiti come compensazioni, a giudizio dell'interrogante, di fatto inesistenti e del tutto indebite;
   si tratta di decine di milioni di euro elargiti senza alcuna giustificazione, a partire dal costo del carburante fino a quello dell'ammortamento degli aerei;
   basterebbero questi due capitoli, carburanti e ammortamento, per dimostrare che i dati a supporto del calcolo dei costi effettivi della continuità territoriale, fatti nel 2011, risultano, per l'interrogante, un inganno ancora maggiore con l'attualizzazione dei costi;
   il dato più eloquente è quello del carburante: nel 2011 era stabilito nell'allegato tecnico della regione un costo a tonnellata metrica di 915 dollari, oggi l'agenzia internazionale quota il jet fuel a 350,3 dollari;
   si tratta di un abbattimento del costo del 61 per cento. Ben 565 dollari a tonnellate al metro, un dato eloquente che la dice lunga su quanto stiano guadagnando sottotraccia le compagnie aeree attraverso compensazioni di dubbia legittimità e destituite per l'interrogante di ogni fondamento economico e giuridico;
   a questo si aggiunge una seconda voce, quella dell'ammortamento degli aeromobili;
   in questo caso l'anomalia, ai limiti del raggiro, è totale: nel 2011 fu previsto un ammortamento di 5 milioni di euro all'anno per aerei nuovi valutati 50 milioni di euro;
   in realtà, gli aerei hanno tutti mediamente dieci anni di vita se non di più, quindi sono tutti totalmente ammortizzati;
   si fa pagare ai sardi un ammortamento inesistente;
   un costo che, nella proposta di adeguamento avanzata viene dimezzato, ma che, sul piano contabile, dovrebbe essere totalmente cancellato perché illegittimo;
   applicando questi due correttivi si avrebbe un abbattimento rilevante del costo dell'ora volata che inciderebbe direttamente sul costo dei biglietti in regime di continuità territoriale;
   a questo sia aggiunge che, per una maldestra operazione del 2011, furono applicati costi aeroportuali fuori da ogni regola;
   ci sono costi reali e attuali, bisogna applicarli;
   pagare compensazioni pubbliche di fatto ingiustificate a società private è un'operazione secondo l'interrogante, illegittima;
   per questa ragione si deve estendere la tariffa unica a tutto l'anno e abbattere le tariffe attualizzando i costi –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover con somma urgenza assumere iniziative per prevedere l'utilizzo dello stanziamento dei 30 milioni di euro a favore della regione Sardegna con il preciso impegno teso all'estensione della tariffa unica all'intero anno e all'abbattimento delle tariffe, oltre all'attualizzazione dei costi operativi;
   se non ritenga di dover attivare un'immediata iniziativa tesa a rilanciare il rapporto con le compagnie low cost, compresa la cancellazione di tasse ingiustificate che generano un danno economico rilevantissimo con conseguente aggravio sul piano delle stesse entrate fiscali;
   se non ritenga di dover riconvocare la conferenza di servizi sulla continuità territoriale, la cui presidenza è in capo al Ministro interrogato per attualizzare i criteri posti alla base del calcolo del costo dell'ora volata e, conseguentemente, del costo dei biglietti aerei in regime di continuità territoriale;
   se non ritenga di dover assumere iniziative, per quanto di propria competenza, affinché l'Enac verifichi i rapporti consulenziali attivati dalla Sogeaal di Alghero e la loro regolarità. (5-07693)

Interrogazione a risposta scritta:


   PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da circa due anni sono stati ultimati i lavori per la realizzazione della caserma dei carabinieri del comune di Induno Olona (Varese), ma l'edificio non è mai stato mai inaugurato;
   si tratta di una delle 26 caserme previste in Lombardia nell'ambito «dell'Accordo di Programma Quadro in materia di sicurezza» siglato il 28 maggio 2004 da regione, Ministeri competenti e comuni interessati;
   il progetto prevedeva la costruzione di due edifici, entrambi disposti su tre livelli, oltre a un piano interrato;
   nel decreto «sblocca Italia», approvato a novembre 2014, secondo quanto riferito al sindaco di Induno Olona dal Ministro pro tempore Lupi, sono stati inseriti i fondi necessari per concludere la palazzina per l'alloggio dei militari di stanza nella stazione, che è causa della mancata apertura della stessa. Secondo la legge, infatti, un presidio dei carabinieri non può funzionare senza l'annesso alloggiamento per il personale;
   la decisione di costruire una stazione dell'Arma a Induno Olona fu presa sull'onda dell'emozione per il drammatico assassinio delle due guardie giurate presso il supermercato Esselunga, il 30 gennaio 1999;
   il cantiere fu fisicamente avviato nel 2004 su un terreno messo a disposizione dal comune, ma si bloccò poiché era stata finanziata solo la costruzione della stazione e non quella degli alloggi;
   allo stato attuale gli alloggi non stati ultimati, mentre la caserma rischia di dover subire opere di manutenzione prima di essere inaugurata;
   nella vicina Arcisate, distante meno di due chilometri è presente un'altra caserma dei carabinieri come nella città di Varese, confinante con Induno Olona, dove si trovano il nucleo radio mobile, il comando compagnia e il comando del gruppo;
   l'istituzione di un'altra caserma potrebbe comportare un doppio dispendio di risorse umane (personale fisso interno) e finanziarie (spese di funzionamento della caserma) –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti e quali siano i loro orientamenti in merito;
   quali siano i motivi che impediscono la ripresa dei lavori alla struttura destinata ad alloggi per il personale della stazione carabinieri e se ritengano ancora necessaria l'attivazione della caserma nel comune di Induno Olona;
   se non ritengano utile destinare le due strutture per altri fini sociali.
(4-11981)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FABBRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati pubblicati di recente dal Dossier IDOS, in collaborazione con l'UNAR, nel 2014 ci sono stati quasi 150 mila permessi di soggiorno scaduti e non rinnovati a causa della perdita del posto di lavoro. Molti stranieri sono andati via, ma tantissimi sono rimasti nel nostro Paese da irregolari, continuando a lavorare in nero, senza tutele e guadagnando di meno;
   rispetto agli italiani, gli stranieri, specie quelli irregolari, sono più deboli e facilmente ricattabili;
   generalmente i lavoratori stranieri sono anche i primi a essere richiesti quando l'economia riparte, ma il vero problema è che quelli che intanto hanno perso il permesso di soggiorno non possono più essere assunti regolarmente. E senza un contratto di lavoro regolare non si può riottenere il permesso di soggiorno;
   la legge n. 92 del 2012 (articolo 4, comma 30), in vigore dal 18 luglio 2012, estende ad un anno e per tutto il periodo in cui l'interessato riceve prestazioni di sostegno al reddito, la durata dell'iscrizione alle liste di collocamento del cittadino straniero inoccupato e quindi anche la durata effettiva del permesso di soggiorno. Si prevede la modifica dell'articolo 22, comma 11, del testo unico immigrazione, per cui si autorizzano le questure al rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione della validità di almeno 12 mesi;
   quindi, secondo la normativa in vigore è già oggi possibile rilasciare permessi validi due anni. Estendere di un anno la validità del permesso di soggiorno, a parere dell'interrogante, evidentemente non è sufficiente a garantire e a tutelare il diritto di queste persone a rimanere in Italia;
   i segnali che arrivano dal mercato del lavoro sono incoraggianti, anche se la crisi economica non è finita. È tornata leggermente a salire l'occupazione dei lavoratori stranieri. Nel secondo trimestre del 2015 si è registrata una crescita del 4,2 per cento delle assunzioni di lavoratori stranieri rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente;
   se l'economia dovesse ripartire davvero, il nostro Paese avrà ancora più bisogno di lavoratori stranieri;
   a parere dell'interrogante è giusto oltre che più conveniente, ricollocare quei lavoratori stranieri che hanno perso o stanno per perdere il permesso di soggiorno per questioni di lavoro, dal momento che si tratta di persone che vivono da anni nel nostro Paese, che conoscono la lingua e la cultura italiana, che in Italia si sono formati e che qui mandano i loro figli, magari nati nel nostro Paese, a scuola. Inoltre, una situazione del genere non sanata potrebbe ingrossare le fila degli irregolari;
   da pochi giorni è stato pubblicato in Gazzetta il cosiddetto «decreto flussi», decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 dicembre 2015, recante «Nuove quote per l'ingresso di lavoratori stagionali e autonomi e per le conversioni dei permessi di soggiorno», che prevede un'apertura dei flussi d'ingresso per i lavoratori non comunitari per l'anno 2016;
   in base al nuovo decreto – così come chiarito nella circolare congiunta dei Ministeri dell'interno e del lavoro e delle politiche sociali del 29 gennaio – sono ammessi in Italia 17.850 lavoratori stranieri per motivi di lavoro subordinato non stagionale e di lavoro autonomo. Le restanti 14.250 quote vengono riservate a coloro che devono convertire in lavoro subordinato il permesso di soggiorno già posseduto ad altro titolo. Tutto ciò a dimostrazione del fatto che c’è una reale necessità di lavoratori stranieri nel nostro Paese –:
   se non reputi doveroso fornire, se del caso attraverso una circolare alle questure, informazioni circa la corretta interpretazione ed applicazione della norma succitata (legge n. 92 del 2012), da intendersi in termini estensivi e non restrittivi come invece avviene, laddove oggi il riferimento ad «almeno 12 mesi» viene inteso come un arco temporale «massimo» e non «minimo», come a giudizio dell'interrogante correttamente andrebbe inteso;
   in che modo intenda intervenire per far emergere quegli stranieri, consentendone la relativa regolarizzazione, che si trovano in Italia con il permesso di soggiorno per attesa occupazione già scaduto, ma in possesso di tutti gli altri requisiti previsti dalla legge. (5-07686)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RONDINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende di un nuovo attacco, a Firenze, contro CasaPound dove una bomba carta è stata fatta esplodere nella notte contro la libreria dei movimento, il Bargello;
   sempre le cronache riportano come la stessa libreria sia stata oggetto, un paio di settimane fa, in pieno giorno, di un vero e proprio raid da parte di personaggi che tra l'altro avevano aggredito una ragazza;
   l'ordigno si è rivelato di notevole potenza: ha divelto la saracinesca di metallo, distrutto la vetrina e danneggiato un'auto in sosta. Secondo gli investigatori, l'attentato sarebbe di matrice anarchica;
   a dare l'allarme sono stati i residenti, svegliati dalla deflagrazione. Sul muro di un palazzo di fronte alla libreria, che si trova a Coverciano, è stata trovata la scritta «Pippo, Andre e Tommi liberi»;
   secondo più fonti tale frase sarebbe da considerare una rivendicazione: si tratta dei tre anarchici arrestati per l'incendio della casa di un militante di CasaPound nel Parmense. La stessa frase, qualche giorno fa, era stata trovata su diversi muri della zona di via Felice Fontana, dove c’è la sede politica di CasaPound Firenze –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e se non intenda intervenire predisponendo, per quanto di competenza, un servizio di maggior tutela per i locali che più volte sono stati oggetto di azioni violente, al fine di salvaguardare le libertà costituzionali che devono essere riconosciute a tutti i cittadini. (4-11985)


   DI BATTISTA, PESCO, FICO, SIBILIA, SCAGLIUSI e CASTELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo la normativa sui dati anagrafici, «Fatti salvi i divieti di comunicazione di dati, stabiliti da speciali disposizioni di legge, (...) l'ufficiale di anagrafe rilascia a chiunque ne faccia richiesta, previa identificazione, i certificati concernenti la residenza, lo stato di famiglia degli iscritti nell'anagrafe nazionale della popolazione residente, nonché ogni altra informazione ivi contenuta» (articolo 33 del decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 1989);
   le disposizioni vigenti, pertanto, consentono di ottenere il rilascio di certificati a chiunque ne faccia richiesta – senza stabilire alcun tipo di «autorizzazione» – rimandando eventuali limitazioni all'adozione di «speciali disposizioni di legge» (che l'interrogante non è riuscito a reperire nel caso di specie);
   dall'articolo del Fatto Quotidiano del 28 gennaio 2016 – a firma Antonio Massari e Valeria Pacelli – risulta però che l'ufficio anagrafe del comune di Laterina (Arezzo) avrebbe negato il certificato di stato di famiglia relativo a Pier Luigi Boschi;
   si legge dal Fatto Quotidiano che alla richiesta di estrazione del certificato rivolta all'impiegato comunale, sarebbe avvenuto quanto segue: «Non sono certa di poterglielo rilasciare». «Scusi», ribattiamo, «ma se le chiedo lo stato di famiglia di qualcun altro, lei me lo dà?». «Sì, anche in giornata». «Quindi – continuiamo – questa regola vale solo per Boschi?». «Sì», replica l'impiegata»;
   l'addetto allo sportello anagrafe avrebbe poi affermato che: «Abbiamo ricevuto una direttiva interna, con comunicazioni del prefetto di Arezzo, che non ci consente di rilasciare il documento immediatamente. Inoltriamo la sua richiesta, se avremo l'autorizzazione, la contatteremo per consegnarglielo; se le negheranno il documento, saranno tenuti a spiegarle il perché. Ora protocolliamo, poi le faremo sapere, non dipende da noi, se la risposta sarà negativa le comunicheremo il motivo. Per lo stato di famiglia del ministro sono state impartite queste direttive»;
   emergerebbe, dunque, sulla base di una non meglio precisata disposizione prefettizia (che lo stesso ufficio territoriale del Governo sembra aver smentito), la necessità di un provvedimento autorizzativo, non richiesto dalla legge neppure in presenza di richieste di certificazione anagrafiche relative ai Ministri della Repubblica (come si evince dallo stesso articolo a mezzo stampa, essendo riusciti, i giornalisti, ad ottenere a vista i certificati del Ministro interrogato nonché del Ministro dell'economia e delle finanze Pier Carlo Padoan);
   l'esistenza di prassi o disposizioni interne volte ad aggirare e violare le disposizioni normative in materia di rilascio di certificazioni anagrafiche, a parere degli interroganti, costituirebbe un fatto molto grave;
   ai sensi dell'articolo 52 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 1989, «Il prefetto vigila affinché gli adempimenti anagrafici, topografici, ecografici e di carattere statistico dei comuni siano effettuati in conformità alle norme del presente regolamento» (comma 1) e «La vigilanza viene esercitata a mezzo di ispezioni da effettuarsi, almeno una volta all'anno in tutti i comuni, da funzionari della prefettura appartenenti alle carriere direttiva e di concetto, competenti in materia anagrafica e statistica» (comma 2);
   per tale ragione è necessario che il Ministro interrogato, disponga gli accertamenti del caso e dia le necessarie rassicurazioni in ordine alla circostanza che alcun tipo di autorizzazione debba essere richiesta per ottenere il rilascio di certificazioni anagrafiche su tutto il territorio italiano –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
   se vi siano eventuali limitazioni al rilascio di certificazioni anagrafiche adottate attraverso speciali disposizioni di legge;
   se non intenda disporre gli accertamenti del caso con riferimento a quanto esposto in premessa, e se intenda riferire in ordine all'attività ispettiva del prefetto di Arezzo relativamente al rispetto della normativa di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 1989 da parte del comune di Laterina (Arezzo);
   se non intenda fornire urgente conferma in ordine alla circostanza che in nessun caso le amministrazioni comunali possano opporre un diniego di rilascio di certificazioni anagrafiche subordinandolo all'ottenimento di provvedimenti autorizzativi di alcun tipo. (4-11993)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARZANA, VACCA, D'UVA, LUIGI GALLO, BRESCIA, DI BENEDETTO, SIMONE VALENTE, ZOLEZZI, DE ROSA, MANNINO, BUSTO, DAGA, MICILLO e TERZONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 15 marzo 1997, n. 59, all'articolo 21, reca la delega per disciplinare l'autonomia delle istituzioni scolastiche che pone in grado di interagire con le autonomie locali, gli enti pubblici e le associazioni del territorio;
   con il decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, è stato emanato il regolamento recante norme in materia di autonomia didattica e organizzativa delle istituzioni scolastiche ai sensi dell'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59;
   in tale quadro normativo, nel luglio 2010, è stato sottoscritto un protocollo d'intesa tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della  ricerca ed Eni per diffondere e consolidare una sempre più intensa e proficua collaborazione tra il mondo scolastico e i soggetti che operano nei settori produttivi, nel mondo dell'industria, dell'applicazione scientifica e tecnologica;
   Eni opera nelle attività del petrolio e del gas naturale, dell'energia nucleare, della generazione e commercializzazione di energia elettrica, della petrolchimica, in cui ricopre forti posizioni di mercato a livello internazionale;
   da anni, l'azienda rivolge particolare attenzione al mondo della scuola, promuovendo iniziative e realizzando contributi didattici per avvicinare gli studenti alla conoscenza del mondo dell'energia e per diffondere la cultura dell'efficienza energetica;
   in particolare, attraverso il portale www.eniscuola.net, promuove tutti quei progetti didattici che sviluppa in ambito scolastico anche con testi, video, fotografie e filmati;
   il suddetto protocollo, all'articolo 1, (Finalità generali e comuni) dispone che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ed Eni si impegnano: «(...) nella piena osservanza dei reciproci ruoli (...) a diffondere tra le giovani generazioni di studenti la cultura dell'efficienza energetica, la sensibilizzazione all'uso consapevole e rispettoso delle fonti di approvvigionamento, la vocazione allo studio delle discipline scientifiche (...);
   inoltre, all'articolo 2 (Impegni ed azioni specifiche dei singoli partner), è stabilito che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si impegna a: «(...) sostenere le iniziative oggetto del presente Protocollo attraverso una validazione dei contenuti sotto il profilo della efficacia educativa (...);
   dai programmi somministrati dall'Eni, si evince che da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non ci sia nessun tipo di validazione e di controllo sui contenuti, infatti, nel programma delle attività dedicate al petrolio e all'utilizzo dell'energia nucleare, non si fa nessuna menzione circa i rischi e i disastri ambientali che già si sono verificati, su tutte, il recente disastro di Fukushima, oppure le ormai accertate interazioni sismiche con le attività di ricerca dei giacimenti di petrolio;
   eppure i programmi didattici sponsorizzati dall'Eni parlano di quanto sia costosa la ricerca di nuovi giacimenti, ma nulla dicono circa i pericoli della ricerca; vengono descritti i metodi utilizzati per le indagini geofisiche, come la sismica a riflessione attraverso «piccole cariche di esplosivo», oppure il sistema di espansione rapida di aria compressa in mare (airgun), ma, ad esempio, nascondono agli studenti che la tecnica dell’airgun, come hanno chiarito diversi studi, produce onde sismiche pari a quelle di un terremoto, provocando effetti disastrosi per la fauna e la flora marina, fino a desertificare intere aree marine;
   altro esempio fuorviante, proposto dai programmi didattici dell'Eni può essere rappresentato dalla perforazione dei pozzi, dall'ingegneria offshore che viene presentata come innovativa e all'avanguardia, ma è nascosto che gli impianti in mare di produzione ed estrazione, a largo delle coste, incrementano l'inquinamento e una drastica diminuzione della fauna marittima;
   anche sul nucleare, tali programmi didattici sono fuorvianti, difatti si promuovono centrali innovative di quarta generazione, più affidabili e con un minor impatto ambientale, perché a loro dire non sono fonte di emissioni inquinanti;
   eppure, è noto come, in caso di incidente in centrali nucleari, gli elementi radioattivi, dispersi nell'aria possono essere trasportati anche a migliaia di chilometri di distanza dai venti creando distruzione e morte;
   ai contenuti, a giudizio degli interroganti, palesemente parziali si aggiungono pure le iniziative realizzate con gli studenti: ha destato polemiche la collaborazione tra l'Eni Versalis, polo petrolchimico e l'istituto industriale e liceo delle scienze applicate «Ettore Majorana» di Brindisi, sfociata nel progetto «Chemical Minds»;
   il video Rap-Polimerico, realizzato dagli studenti assieme agli operai della centrale, nel quale si esalta la plastica, è apparso come un vero e proprio «spot» a favore di Eni;
   per di più, il video è stato girato presso Punta del Serrone, poco più a nord di Micorosa, un'area di 44 ettari dove per trenta anni, a cinquanta metri da un (ex) splendido tratto di costa, sono state interrate le scorie di produzione del petrolchimico: un milione e mezzo di metri cubi di rifiuti tossici;
   la scuola è luogo di formazione, in cui si forma la coscienza attraverso la conoscenza delle diverse sfaccettature dei temi affrontati e quindi è inaccettabile, per gli interroganti, che in una scuola si promuova l'energia fossile e nucleare e il consumo di plastica, nascondendo agli studenti i danni e rischi connessi ai processi di ricerca, estrazione, produzione e trasformazione;
   l'alternanza scuola-lavoro deve configurarsi come un'opportunità qualificata e realmente formativa, in cui acquisire competenze spendibili nel mondo del lavoro e non consistere, per gli interroganti, nella realizzazione di un video che vede gli studenti come strumenti di promozione di un'azienda e non come potenziali ideatori di un modello di sviluppo ecocompatibile –:
   se, in ottemperanza a quanto previsto dall'articolo 2 del protocollo menzionato in premessa, il Ministro interrogato intenda attivare strumenti di controllo più efficaci per poter garantire una validazione di contenuti che, sotto il profilo dell'efficacia educativa, promuovano tra i giovani una maggiore sensibilizzazione all'uso consapevole e rispettoso delle fonti energetiche e dell'ambiente;
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato rispetto a iniziative simili al progetto «Chemical Minds» che, di fatto si è rivelato, a giudizio degli interroganti, come uno «spot» pro-Eni;
   se non intenda bloccare qualsiasi iniziativa volta a una formazione fuorviante e affidarla a esperti del settore che non detengono interessi economici;
   quale sia l'elenco degli istituti scolastici che hanno aderito al piano previsto nel protocollo tra Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ed Eni di cui in premessa e come intenda intervenire al fine di proporre contenuti che colmino e preservino dall'imparzialità dei programmi impartiti ad oggi. (5-07691)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PANNARALE, PALAZZOTTO e SCOTTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   notizie di stampa riferiscono che un docente dell'università di Messina, Dario Tomasello, al concorso per l'abilitazione in letteratura italiana contemporanea ha esibito testi che in verità si sono rivelati copiati da un altro autore;
   chi ambiva a conseguire l'abilitazione erano il dottor Dario Tomasello, associato dal 2006 presso l'università di Messina, e il dottor Giuseppe Fontanella anch'esso associato presso lo stesso ateneo;
   il dottor Dario Tomasello risulterà essere il vincitore del concorso del 2013;
   a seguito del mancato superamento del concorso da parte del dottor Giuseppe Fontanella, lo stesso ha voluto vedere gli elaborati del dottor Dario Tomasello e, con estrema sorpresa ha constatato che nei lavori del dottor Tomasello vi erano «non solo i pensieri ma le parole stesse di Amoroso» e a seguito di controllo «c'erano pagine e pagine non ispirate ma riprese da questo o quel libro con il copia incolla. Senza virgolette e citazione dei testi originali»;
   la nomina del dottor Dario Tomasello come ordinario a Messina fu sospesa e il rettore, Pietro Navarra, inviò tutta la documentazione al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e alla procura della Repubblica di Milano competente perché la commissione e le prove del concorso si svolsero nella città meneghina;
   giorni fa al rettore dell'università di Messina veniva recapitata una lettera del direttore generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Daniele Livon, in cui si afferma che: «...visionata la documentazione la commissione (che lodava il vincitore anche per i contributi originali) ritiene di non dover modificare il giudizio di abilitazione già reso nei riguardi del professor Tomasello» –:
   se il Ministro sia a conoscenza della vicenda narrata in premessa;
   se non si ritenga opportuno avviare un'attività ispettiva del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per far piena luce su quanto illustrato in premessa e, comunque, se non si intendano assumere iniziative per sospendere in maniera cautelativa il giudizio di abilitazione confermato dallo stesso direttore generale del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Daniele Livon, alla luce di quelle che sembrerebbero evidenti pratiche di plagio di opere altrui, in questo caso del professor Giuseppe Amoroso, che di fatto alterano l'originalità dei lavori presentati dal dottor Tomasello per l'abilitazione a ordinario in letteratura italiana contemporanea. (4-11994)


   DIENI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, all'articolo 19, stabilisce che «spettano alla provincia le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l'intero territorio provinciale», tra le quali figurano, alla lettera i), «compiti connessi alla istruzione secondaria di secondo grado ed artistica ed alla formazione professionale, compresa l'edilizia scolastica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale»;
   l'articolo 3 della legge 11 gennaio 1996, n. 23, Norme per l'edilizia scolastica, prevede che «in attuazione dell'articolo 14, comma 1, lettera i), della legge 8 giugno 1990, n. 142, provvedono alla realizzazione, alla fornitura e alla manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici» «le province, per quelli da destinare a sede di istituti e scuole di istruzione secondaria superiore, compresi i licei artistici e gli istituti d'arte, di conservatori di musica, di accademie, di istituti superiori per le industrie artistiche, nonché di convitti e di istituzioni educative statali»;
   lo stesso articolo 3 prevede, al comma 3, che «per l'allestimento e l'impianto di materiale didattico e scientifico che implichi il rispetto delle norme sulla sicurezza e sull'adeguamento degli impianti, l'ente locale competente è tenuto a dare alle scuole parere obbligatorio preventivo sull'adeguatezza dei locali ovvero ad assumere formale impegno ad adeguare tali locali contestualmente all'impianto delle attrezzature»;
   le funzioni provinciali in materia sono rimaste immutate anche a seguito dell'approvazione della legge 7 aprile 2014, n. 56, disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni, dato che, secondo il comma 85, funzioni quali la «programmazione provinciale della rete scolastica, nel rispetto della programmazione regionale» la «gestione dell'edilizia scolastica»;
   a questa funzione sembra abdicare tuttavia la provincia di Reggio Calabria, con specifico riferimento alla gestione dell'edilizia scolastica delle scuole secondarie della città di Villa San Giovanni;
   la situazione, in tal caso, è talmente grave da pregiudicare la possibilità da parte dell'istruzione pubblica di erogare il servizio nei riguardi degli studenti e delle loro famiglie, vista l'incapacità, da parte dell'ente provinciale, di fornire strutture adeguate e garantire la loro disponibilità con la necessaria continuità temporale;
   a riprova di quanto scritto sopra, va ricordato il fatto che, come riportato da alcuni giornali locali, tra cui, a titolo esemplificativo, si cita l'articolo «Lezioni all'aperto per gli studenti del Nostro/Repaci» della testata Costa Viola News.it, all'apertura dell'anno scolastico gli studenti sono stati obbligati a fare lezione in piazza per la mancanza di aule;
   l'istituto d'istruzione superiore «Nostro/Repaci» raccoglie 7 indirizzi di liceo: liceo classico, liceo delle scienze umane, liceo delle scienze umane opzione economico sociale, liceo linguistico, liceo scientifico, liceo scientifico opzione scienze applicate, liceo sportivo;
   l'istituto superiore include inoltre, ma in una sede distaccata, un istituto tecnico commerciale;
   in epoca recente, oltre all'Istituto Nostro/Repaci, a Villa San Giovanni è entrato in funzione un Istituto professionale alberghiero turistico;
   nell'anno 2012 il consiglio d'istituto del «Nostro/Repaci» concedeva al comune di Villa San Giovanni una parte dell'immobile destinato ai licei, sito nella centrale via Marconi, per realizzare un centro per l'impiego;
   i locali venivano invece utilizzati per ospitare il «Museo di Storia naturale dello Stretto di Messina nel Mediterraneo», nonostante l'inadeguatezza degli spazi e la condivisione degli stessi, aperti al pubblico, con quelli destinati agli studenti;
   a seguito dell'incremento degli iscritti nei licei dell'istituto, all'inizio dell'anno scolastico 2014/2015, postasi la necessità di recuperare spazi per le aule atte ad effettuare le lezioni, la provincia di Reggio Calabria deliberava lo sgombero del Museo, ottenendo un netto rifiuto da parte dell'amministrazione comunale che, contestando la decisione dell'ente competente, opponeva la minaccia di dimissioni, effettivamente rassegnate ed in seguito ritirate, da parte del sindaco Rocco La Valle;
   nel frattempo l'Istituto professionale alberghiero turistico, l'edificio destinato al quale era stato dichiarato inagibile dopo soli 2 anni dopo la sua realizzazione, era stato trasferito nello stesso stabile di via Alcide De Gasperi dove trova la sua collocazione l'istituto tecnico commerciale dell'Istituto Nostro/Repaci;
   la provincia, il 28 maggio 2015, emanava autonomamente un avviso pubblico per la ricerca di immobile in locazione passiva «da adibire a sede dell'Istituto d'Istruzione Superiore «Nostro/Repaci»: a seguito di questo avviso, venivano individuate 2 strutture, l'immobile A e l'immobile B, di cui non è tuttora stata resa pubblica la precisa dislocazione;
   nel 2015, l'ulteriore crescita del numero di studenti, come sopra esposto, portava la situazione ad una sostanziale insostenibilità e alla decisione di tenere le lezioni sulla pubblica piazza;
   il dirigente scolastico si trovava quindi costretto a ridestinare ogni spazio, compresa, la biblioteca, all'uso di aule e a spostare, a turnazione, parte delle classi nella sede dell'istituto tecnico in via De Gasperi;
   per risolvere la situazione il presidente della provincia Giuseppe Raffa, con una lettera del 18 settembre 2015, chiedeva al dirigente scolastico Spezzano se preferisse lo spostamento di tutte le classi liceali nella sede di via De Gasperi, raccogliendo l'Istituto Nostro/Repaci in un unico stabile o se fosse più opportuno l'affitto di nuovi locali;
   il consiglio d'istituto del Nostro/Repaci deliberava di spostare le classi di liceo nello stesso edificio dell'istituto tecnico, dato che esso avrebbe la capienza necessaria a garantire un ordinato svolgimento delle lezioni;
   l'occupazione di parte dei locali dell'istituto di via De Gasperi, da parte dell'istituto professionale alberghiero turistico, che opponeva il proprio diniego ad uno spostamento a motivo delle spese ingenti sostenuto per l'adeguamento a proprio uso della struttura, ha reso impossibile il realizzarsi di tale ipotesi;
   la Provincia di Reggio Calabria, deliberava quindi il 1o ottobre 2015 di intervenire in via autoritativa, ignorando le richieste del consiglio d'istituto del Nostro/Repaci e di destinare le classi liceali dell'istituto d'istruzione superiore Nostro/Repaci all'immobile B «che, unitamente ai locali di via Marconi, soddisfa pienamente le richieste di spazi scolastici aggiuntivi» mentre, per ospitare l'istituto tecnico, veniva designato l'immobile A «sito nelle immediate vicinanze dell'IIS»;
   l'istituto alberghiero sarebbe dovuto invece restare, per la stessa delibera, nello stabile di via De Gasperi;
   i dirigenti provinciali del settore istruzione ed edilizia scolastico ed il comandante della polizia provinciale, in assenza del dirigente scolastico, preavvisato con un sms, effettuavano il 22 gennaio 2016 un sopralluogo all'istituto di via De Gasperi e, come viene comprovato dal verbale effettuato durante l'occasione, accertavano il fatto che non era avvenuto ancora il trasferimento dell'istituto tecnico nella sede assegnata e diffidavano lo stesso dirigente scolastico ad ottemperare alla delibera della giunta provinciale n. 117 del 1o ottobre 2015;
   al momento non è ancora dato sapere quali sarebbero gli immobili A e B, ma secondo alcune fonti, tra cui il sito d'informazione «Benvenuti a Sud» i due immobili sarebbero stati individuati secondo criteri estranei all'economicità e all'adeguatezza dell'offerta «tant’è che uno fa capo all'ex Università Ranieri, con una capacità di 100 unità e le altre aule, ex ASP, riconducibili alla famiglia del vice sindaco di Villa San Giovanni che, appena il 12 ottobre 2015, faceva visita insieme al sindaco ed altri amministratori, alla dirigente dell'istituto «Nostro-Repaci»;
   secondo le preoccupazioni espresse dai genitori degli studenti, tali immobili non sarebbero in generale atti ad ospitare una struttura scolastica, anche per l'assenza dei necessari impianti di sicurezza;
   la dirigenza dell'Istituto Nostro/Repaci, i genitori e gli stessi studenti si sono opposti apertamente, anche attraverso un appello al prefetto di Reggio Calabria, al trasferimento della struttura in questi indefiniti immobili, data l'inadeguatezza delle strutture, per come vengono descritti dalla provincia, e per i consistenti disagi cui verrebbero sottoposti gli studenti;
   la soluzione più semplice, economica e che arrecherebbe minor disagio è certamente lo spostamento del «Museo di Storia naturale dello Stretto di Messina nel Mediterraneo» in altra sede, scelta che, seppure non completamente risolutiva, servirebbe a coprire la quasi totalità del fabbisogno di spazio disponibile, senza operare alcuno spostamento di classi e strutture e minimizzando i costi per la collettività;
   non si comprende, al contrario, il motivo per il quale la provincia intenda affittare due edifici da soggetti privati, contrariamente a quanto previsto dalla legge –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare, in collaborazione con gli enti locali, al fine di garantire agli studenti delle scuole superiori di Villa San Giovanni (Reggio Calabria) di poter fruire di spazi adeguati per effettuare le lezioni.
(4-11996)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LENZI e FABBRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo notizie riportate dal quotidiano « La Repubblica» del 24 gennaio 2016, cronaca di Bologna, l'amianto fino ad oggi, ha causato la morte di 252 persone alle Officine Grandi Riparazioni delle Ferrovie di Bologna;
   tanti sono i morti tra gli operai dell'azienda di via Casarini e a certificarlo, per la prima volta, con un'indagine che si concluderà nei prossimi mesi, è il dipartimento di sanità pubblica dell'AUSL di Bologna;
   sono numeri che tengono conto solo dei decessi dovuti ai tumori che gli studi scientifici hanno confermato essere legati all'esposizione all'amianto. Se si considerano invece i morti complessivi per tumore tra gli stessi lavoratori, la cifra della strage aumenta: 564 vittime. E se l'azienda sanitaria è cauta («consideriamo i casi dove è comprovata la correlazione tra esposizione e malattia»), i parenti delle vittime non hanno dubbi: «È una strage». Comunque la si voglia leggere, mai tante morti sul lavoro ha conosciuto Bologna, e forse l'Italia, concentrate in una fabbrica: numeri prima solo «sospettati» e che ora sono una tragica certezza;
   la ricerca che i medici dell'unità operativa di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro stanno portando avanti riguarda 3.100 operai e tecnici che hanno lavorato alle Ogr dalla fine degli anni ’50 alla età degli anni ’90. I primi morti risalgono agli anni Ottanta. Ad oggi sono 252: 113 per mesotelioma, localizzato soprattutto nella zona pleurica; 131 per tumore polmonare e 8 per carcinoma alla laringe;
   il tumore causato dall'amianto ha tempi di incubazione lunghissimi, da un minimo di 10 sino a 40 – 50 anni. Il picco prima era previsto nel 2018, ora nel 2025;
   i morti Ogr per amianto sono aumentati di 7-78 casi rispetto al 2014;
   Salvatore Fais, voce dell'Associazione famigliari vittime amianto (Afeva) non si stanca di ripetere che le Ogr di Bologna devono diventare un caso nazionale. «Ci vogliono i riflettori dello Stato accesi su questa strage, che va riconosciuta». Come associazione hanno sempre parlato di oltre 400 morti. «Per me sono dati in difetto, ma almeno ora sono certificati – conclude Fais –. Non è possibile metterci una pietra sopra, noi non ce ne facciamo una ragione: il piano nazionale amianto è nel cassetto, Comuni e Regioni viaggiano a vista»;
   il 21 marzo 2013 il Governo adottò il piano nazionale sull'amianto. A distanza di 3 anni si è in attesa del via libera da parte della Conferenza Stato-regioni per una definitiva applicazione –:
   se sia previsto il riconoscimento degli indennizzi alle famiglie in base alla normativa attuale e quali iniziative intenda assumere il Governo affinché la conferenza Stato-regioni si pronunci in tempi celeri. (5-07685)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BERGAMINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la pensione superstiti lavoratori dipendenti SO, dipendente dal reddito acquisito in un certo anno, deve essere liquidata dal 1o gennaio dell'anno stesso, cioè prima che si conosca il reddito effettivamente conseguito in quell'anno. Si dovrà quindi liquidare una pensione sulla base di un reddito «presunto». Nell'anno successivo, a reddito conseguito noto, perché dichiarato all'Agenzia delle Entrate entro i termini da questa stabiliti o, in assenza, all'Inps tramite Red, L'Inps opererà una «verifica» sulla congruità della pensione erogata, eseguendo i conguagli per la ripetizione di eventuali indebiti;
   il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito dalla legge n. 14 del 2009, come modificato dal comma 6 dell'articolo 13 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 convertito dalla legge n. 122 del 2010 indica i tempi da rispettare per la verifica, tempi che coincidono con l'anno che segue quello di formazione del reddito. La verifica, infatti, operata ai fini della liquidazione o ai fini della ricostituzione della pensione SO, deve farsi sui redditi effettivi dell'anno precedente l'anno reddituale sotto esame. Il reddito dell'anno precedente viene chiamato «reddito di riferimento» perché è il reddito acquisito nell'anno al quale la verifica deve riferirsi;
   recita infatti il decreto-legge n. 207 del 2008, convertito dalla legge n. 14 del 2009, all'articolo 35, comma 8: «Ai, fini della liquidazione o della ricostituzione delle prestazioni previdenziali ed assistenziali collegate al reddito, il reddito di riferimento è quello conseguito dal beneficiario e dal coniuge nell'anno solare precedente. Per le prestazioni collegate al reddito rilevano i redditi conseguiti nello stesso anno per prestazioni per le quali sussiste l'obbligo di comunicazione al Casellario centrale dei pensionati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1388, e successive modificazioni e integrazioni»;
   la verifica non serve quindi solo a stabilire l'entità di eventuali indebiti, generati da pensione SO, pagata in via presuntiva con importo diverso da quanto di competenza, ma anche alla ricostituzione della pensione SO da liquidare come pensione presunta dal 1o gennaio dell'anno che segue quello della verifica, al fine di moderare l'importo degli indebiti adeguando, progressivamente, la pensione presunta al reddito che negli anni può modificarsi;
   il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge sopra citato nomina redditi senza specificazione, ricomprendendo ogni tipo di reddito. Nello stesso comma 8 si specifica poi che i redditi da pensione, da ricavare dal Casellario centrale dei pensionati, istituito con il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010 di conversione (decreto-legge n. 78 del 2010, articolo 13, commi 1-5), devono essere quelli acquisiti «nello stesso anno». Essendo «lo stesso anno», secondo l'interrogante, espressione senza significato nella lingua italiana a meno che vi sia stato in precedenza un riferimento ad una ben precisa annualità e poiché questa annualità è «l'anno precedente», anche i redditi da pensione devono essere quelli acquisiti nell'anno precedente, cioè nello stesso anno dei redditi diversi. Del resto «stesso» è il sinonimo più frequentemente usato di «medesimo»;
   il comma 9 dell'articolo 35 del decreto-legge sopra richiamato, si occupa della pensione da liquidare in via presuntiva nel primo anno di liquidazione della pensione SO. Questa pensione presunta, non potendo agganciarsi ad una pensione definitiva precedente, viene calcolata sulla base di un reddito presunto dichiarato dal beneficiario in sede di domanda di pensione. Nell'anno successivo, la verifica permetterà di vedere se la pensione liquidata in via presuntiva era stata congrua, di fare il calcolo degli eventuali indebiti da ripetere, di liquidare, sulla base della pensione SO verificata, la pensione presunta da liquidarsi nell'anno che segue quello della verifica;
   la legge n. 335 del 1995, all'articolo 1, comma 41, insieme alla Tabella F allegata alla legge, suddivide i redditi in scaglioni, attribuendo ad ognuno un abbattimento percentuale della pensione SO intera lorda. Gli abbattimenti, nel passare da uno scaglione al successivo, sono dello 0 per cento, del 25 per cento, del 40 per cento ed infine del 50 per cento;
   al comma 41 dell'articolo 1 della legge sopra citata si trova inserita una clausola di salvaguardia che opera nel caso in cui il reddito totale (compresa la pensione SO ridotta) di un pensionato sia inferiore a quello di altro pensionato (ovviamente con la stessa pensione intera lorda) con reddito personale uguale al massimo dello scaglione che precede quello nel quale il reddito del primo pensionato si colloca, e quindi con pensione SO meno abbattuta di quella del primo pensionato. In quel caso, il «trattamento», cioè la pensione SO del primo pensionato non potrà essere, inferiore a quella del secondo pensionato;
   l'articolo 1, comma 41, della suddetta legge dispone che: «... Gli importi dei trattamenti pensionistici ai superstiti sono cumulabili con i redditi del beneficiario, nei limiti di cui all'allegata tabella F. Il trattamento derivante dal cumulo dei redditi di cui al presente comma con la pensione ai superstiti ridotta non può essere comunque inferiore a quello che spetterebbe allo stesso soggetto qualora il reddito risultasse pari al limite massimo delle fasce immediatamente precedenti quella nella quale il reddito posseduto si colloca». L'unico cumulo di cui parla il comma 41 dell'articolo 1 («... cumulo dei, redditi di cui al presente comma...») è quello fra redditi diversi e redditi da pensione. Solo da questo cumulo discende il «trattamento» cioè la pensione SO ridotta. Ed è proprio questo «trattamento» che «non può essere comunque inferiore a quello che spetterebbe allo stesso soggetto ...». Una pensione «spetta», un reddito «si consegue», ma non spetta. E poi il soggetto della frase è «il trattamento», cioè la pensione;
   poiché il provvedimento emesso dall'Inps, col quale si comunica al pensionato la richiesta di ripetizione di indebiti è un provvedimento formale e definitivo — sul punto si sono espressi Corte costituzionale, con la sentenza n. 39 del 1993 e l'Inps, con la circolare n. 107 del 1993 –, allora le somme erogate indebitamente sono irripetibili (legge n. 412 del 1991, articolo 13, commi 1 e 2 relativo alle «Norme di interpretazione autentica» con riferimento, in particolare alla legge 9 marzo 1989 n. 88, articolo 52, comma 2);
   l'Inps interpreta il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge n. 207 del 2008, convertito dalla legge n. 14 del 2009, come modificato dal comma 6 dell'articolo 13 del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010, come se la pensione SO spettante al beneficiario, in via definitiva, in un certo anno dovesse essere quella di competenza per il reddito acquisito nell'anno precedente, generando quindi lo sfasamento di un anno fra redditi conseguiti e pensioni SO corrispondenti a quei redditi, ma attribuite in via definitiva, all'anno successivo, con un meccanismo che, a giudizio dell'interrogante, presenta profili di dubbia legittimità, poiché si porrebbe in contrasto con gli articoli 3 e 53 della Costituzione, che stabiliscono che una imposta deve essere commisurata alla capacità contributiva del cittadino (e non quindi alla capacità contributiva che il cittadino aveva nell'anno precedente). Ad ogni anno secondo l'interrogante, compete un reddito e la pensione definitiva di spettanza, sulla base di quel reddito;
   procedendo nel modo finora descritto, nel caso di diminuzione del reddito, l'Inps non eroga, a giudizio dell'interrogante, quella parte di pensione SO che avrebbe dovuto erogare se avesse seguito quanto espresso dalla normativa vigente in materia. L'attribuzione della pensione SO, considerata definitiva per l'anno che segue quello di conseguimento del reddito che ha dato luogo a quella pensione, non consiste in un semplice e innocuo slittamento della pensione, ma produce dei risvolti, a giudizio dell'interrogante, estremamente sindacabili;
   diverso è il caso di un pagamento differito come quello dell'IRPEF per il quale, dopo il pagamento di anticipi nell'anno reddituale in corso, il saldo viene differito all'anno seguente, cioè al momento della consegna della dichiarazione dei redditi all'Agenzia delle Entrate, e non potrebbe essere altrimenti. Il pagamento è differito, ma l'anno al quale quel pagamento si ascrive è l'anno di formazione del reddito e non l'anno seguente, come nel caso della pensione SO, dichiarata definitiva per l'anno che segue quello di acquisizione del reddito da cui la pensione discende;
   la ricostituzione della pensione vale per il futuro e quindi per l'anno che segue quello della verifica ad iniziare dal 1o gennaio, fino a che una nuova ricostituzione, dovuta ad una variazione di reddito, porti a liquidare una pensione SO di competenza diversa da quella liquidata nell'anno precedente e quindi all'attribuzione di una pensione SO presunta dal 1o gennaio dell'anno che segue quello della verifica, per effetto della nuova ricostituzione;
   l'Inps interpreta la dicitura «lo stesso anno» come l'anno in corso, cioè come l'anno che segue quello di riferimento, cioè l'anno della verifica, per cui i redditi da pensione sono ricavati dal Casellario centrale dei pensionati per l'anno in corso (con tutte le incertezze e variazioni apportate dalla perequazione che costringono l'ente a ripetere le verifiche ogni qualche anno, per risalire, secondo l'interrogante, a crediti da pochi euro). Quindi per l'Inps, i redditi diversi sono quelli acquisiti nell'anno di riferimento, (che precede l'anno in corso), mentre i redditi da pensione sono considerati quelli acquisiti nell'anno in corso, rendendo più complicata la verifica e rendendo anche più difficoltosi i controlli;
   l'Inps estrae dal sito della Agenzia delle Entrate solo le dichiarazioni reddituali consolidate, cioè dopo il 31 ottobre, trascorsi i termini per il ravvedimento, per i ritardatari, cui è richiesto il pagamento di una piccola penale. Ciò fa sì che nei due mesi di novembre e dicembre, l'ente non sia in grado di eseguire le legittime verifiche che vengono spostate all'anno successivo, sovvertendo così tutto l'impianto della legge citata per l'impossibilità di liquidare, dal 1o gennaio dell'anno che dovrebbe seguire quello della verifica, la legittima pensione presunta, e perciò creando, a giudizio dell'interrogante, indebiti, nel caso di aumento del reddito, che vengono fatti pagare al pensionato. Ciò dipende però, secondo l'interrogante, da una decisione unilaterale dell'Inps;
   il legislatore non ha mai giustamente cambiato l'anno della verifica, ma si è limitato a prolungare da un anno a due anni, dopo la verifica, il tempo a disposizione dell'Inps per dar seguito alla richiesta di ripetizione degli indebiti, chiaramente rendendosi conto che un cambiamento nelle annualità della verifica avrebbe sovvertito le fondamenta della legge sopra menzionata;
   l'Inps, nonostante il fatto che il «trattamento» sia il soggetto della clausola di salvaguardia di cui al comma 41, dell'articolo 1, della legge n. 335 del 1995, opera, a parere dell'interrogante, come se invece che di trattamento pensionistico si trattasse di «reddito», producendo due conseguenze principali: la prima è che l'abbattimento della pensione SO ridotta per reddito risulta di qualsivoglia percentuale (anziché delle 4 percentuali fissate dalla legge); la seconda conseguenza è che il «trattamento», ovviamente pensionistico, del primo pensionato rimane comunque inferiore a quello del secondo pensionato, in quanto l'equiparazione dei redditi comporta la partecipazione a tale uguaglianza di quella parte di reddito del primo pensionato che supera il limite massimo dello scaglione precedente. Ciò appare all'interrogante un modo di operare contra legem;
   le verifiche devono essere eseguite annualmente, come previsto dalla legge 30 dicembre 1991, n. 412 recante «Disposizioni in materia di finanza pubblica», che all'articolo 13, comma 2, dispone «l'Inps procede annualmente alla verifica delle situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche e provvede, entro l'anno successivo, al recupero di quanto eventualmente pagato in eccedenza.»;
   le verifiche che l'inps esegue sono due per ogni anno per le dichiarazioni di redditi che mostrino variabilità reddituale. Infatti, avendo fatto slittare di un anno l'anno della verifica sia per assenza di accordi con l'Amministrazione finanziaria sulla consultazione delle dichiarazioni reddituali dei pensionati, sia per la decisione autonoma di considerare solo dichiarazioni «consolidate», cioè tenendo presente solo le fattispecie dei ravveduti e dei ritardatari, l'Inps non può liquidare la legittima pensione SO presunta in tempo dal 1o gennaio dell'anno che segue quello nel quale avrebbe dovuto effettuare la verifica, procedendo quindi a liquidare una somma pari alla precedente pensione SO per diversi mesi di quell'anno. Si trova allora nella necessità di effettuare una verifica parziale sui redditi dell'anno in corso non ancora completato, per passare poi alla liquidazione della legittima pensione presunta SO. A questa verifica ne segue un'altra sui redditi consolidati dell'anno di riferimento, quando l'anno sarà completato e la dichiarazione reddituale consegnata. Questa procedura, a giudizio dell'interrogante, crea indebiti che poi vengono fatti pagare al pensionato successivamente, quando la pensione è già stata spesa;
   gli errori di interpretazione delle leggi non possono ricadere sui cittadini che, inoltre, segnalano da tempo e senza successo il persistere di tali errori;
   il perdurare di una difficile contingenza economica rende inaccettabile, secondo l'interrogante, che i pensionati siano sottoposti «ad una spada di Damocle» rappresentata da un rimborso forzoso di quote di pensione ricevuta in base a quelli che per l'interrogante sono gli errori dell'Inps;
   l'interpretazione data dall'Inps alla norma stabilita dalla clausola di salvaguardia priva il pensionato di un ancorché piccolo importo mensile di pensione SO che però in periodi di crisi economica può essere utile;
   l'interpretazione della legge n. 122 del 2010 adottata dall'Inps, che porta a liquidare la pensione SO derivata dal reddito dell'anno precedente come pensione definitiva per l'anno in corso in caso di diminuzione del reddito, conduce l'ente stesso ad incamerare, per il primo anno di diminuzione del reddito, una percentuale anche notevole della pensione SO di competenza che sarebbe stata da liquidare se le operazioni fossero state condotte secondo la legge –:
   quali iniziative di competenza il Ministro del lavoro e delle politiche sociali intenda assumere affinché l'Inps consideri certe le dichiarazioni reddituali presentate entro i termini stabiliti dall'Agenzia delle entrate, come, ad avviso dell'interrogante, si ricava dalla sentenza della Corte di Cassazione n.953 del 2012;
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato affinché l'Inps crei rapidamente le premesse per raggiungere accordi con l'Amministrazione finanziaria, al fine di rendere possibile, da parte sua, l'osservanza delle leggi vigenti in tema di liquidazione della pensione di competenza e di ricostituzione della pensione presunta, col conseguente contributo di chiarezza, trasparenza e maggiore possibilità di controllo sul suo operato;
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per assicurare che l'Inps osservi una interpretazione più puntuale e corretta delle leggi vigenti;
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario richiedere all'Inps l'applicazione alla lettera ed in maniera propria della norma che regola la liquidazione della pensione in via presuntiva, senza quindi procedere alla richiesta dei rimborsi qualora l'errore sull'entità della pensione liquidata, in via presuntiva, evidenziato dalla verifica, sia attribuibile all'ente erogante e non al cittadino e comunque mai per gli anni che precedono l'anno precedente quello della verifica;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno promuovere le opportune iniziative affinché l'Inps non rigetti per principio i ricorsi amministrativi sulla base di argomentazioni che si basano su interpretazioni errate delle leggi in vigore relative alle pensioni SO e che, per giunta, costringerebbero i pensionati ad effettuare ricorsi giudiziari costosi e stressanti, considerata anche l'età, e che per questo molto spesso non vengono posti in essere. (4-11978)


   TOFALO, SIBILIA e PETRAROLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con riferimento al personale ex INPDAP confluito in INPS, in base all'articolo 21 della legge 22 dicembre 2011, n. 214, è stato precisato che «i dipendenti trasferiti mantengono l'inquadramento previdenziale di provenienza»;
   tale disposizione comporta che il dipendente ex-INPDAP paga lo 0,50 per cento di trattenute sullo stipendio per avere gli stessi benefici dei colleghi INPS che pagano solo lo O, 15 per cento. Questa differenza è dovuta al fatto che i dipendenti INPS sono soggetti alla trattenuta dello O, 15 per cento a favore del F.G.C.S. (fondo gestione credito e attività sociali), ma al dipendente ex-INPDAP a questo si aggiunge l'obbligo di mantenere l'inquadramento previdenziale C.P.D.E.L (Cassa previdenza dipendenti enti locali) che comporta l'iscrizione al fondo gestione autonoma delle prestazioni creditizie e sociali con un contributo pari allo O,35 per cento della contribuzione. Il risultato è che il dipendente ex-INPDAP paga lo 0,50 per cento sullo stipendio per avere gli stessi benefici dei colleghi INPS che pagano solo lo 0,15 per cento;
   vari diritti scaturiti da anzianità di servizio non vengono elargiti ai dipendenti ex-INPDAP –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per garantire, fronte delle differenze di trattamento a parità di lavoro svolto, equità tra dipendenti dell'ex-INPDAP e dell'INPS;
   se si intendano assumere iniziative per prevedere la possibilità di chiedere in forma scritta ai dipendenti dell'ex-INPDAP quale sistema previdenziale intendano scegliere. (4-11982)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   PASTORELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 25 gennaio 2016, la Commissione per il commercio internazionale del Parlamento europeo ha approvato la risoluzione per l'avvio di negoziati per un accordo di libero scambio tra l'Unione europea e la Tunisia (INTA/8/03886 2015/2791(RSP), con la quale, tra l'altro, si da parere favorevole alle conclusioni del Consiglio del 20 luglio 2015 e alla successiva proposta della Commissione del 17 settembre che raccomanda di offrire alla Tunisia un contingente tariffario senza dazio, temporaneo e unilaterale di 35.000 tonnellate all'anno per le esportazioni tunisine di olio d'oliva nell'Unione per un periodo di due anni;
   su tale risoluzione, nel mese di marzo 2016 la Commissione plenaria del Parlamento europeo dovrà esprimersi in modo definitivo;
   è certamente condivisibile l'intenzione della Commissione europea di sostenere l'economia tunisina ma sembra proprio che si voglia, a più riprese, smantellare il made in Italy;
   solo qualche settimana fa, a tal proposito, si è svolto a Bruxelles un incontro tra il Commissario all'agricoltura ed il Ministro interrogato per confrontarsi sul progetto di smantellare il sistema della doc, la denominazione di origine controllata, e delle docg, la denominazione di origine controllata e garantita, che praticamente proteggono moltissimi prodotti italiani e la metà circa dei vini italiani da tutte le imitazioni in giro per il mondo;
   ora la notizia che la Commissione europea propone di mettere a disposizione, dal 1o gennaio 2016 al 31 dicembre 2017, con apertura a decorrere dall'esaurimento del già vigente contingente tariffario senza dazio di 56.700 tonnellate, iscritto nell'accordo di associazione euromediterraneo, un nuovo contingente tariffario senza dazio unilaterale di ulteriori 35.000 tonnellate all'anno per le esportazioni tunisine di olio d'oliva nell'Unione europea in aggiunta alle precedenti;
   la notizia dell'importazione senza dazio di olio tunisino ha logicamente scatenato le reazioni dei produttori italiani che vedono minacciate le vendite, temono un crollo delle quotazioni del prodotto nazionale e sono preoccupati che il prodotto tunisino, una volta giunto nei porti italiani, possa acquisire il via libera per essere commercializzato come made in Italy;
   niente di più facile viste le recenti notizie di cronaca inerenti il maxi sequestro avvenuto in Puglia di 7 mila tonnellate di extravergine nordafricano venduto poi come italiano;
   anche se la proposta di regolamento, al fine di prevenire frodi, contiene una serie di previsioni a cui dovrà attenersi la Tunisia ai fini della commercializzazione, in ordine all'origine del prodotto, ciò, comunque, non garantisce affatto che l'olio tunisino, una volta entrato nell'Unione europea, possa essere falsamente etichettato come olio di origine comunitaria se non addirittura di origine italiana e tale decisione si prospetta, dunque, un'ulteriore stangata nei confronti dei produttori agricoli italiani già alle prese con le emergenze causate da batteri e calamità naturali –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intenzione di intraprendere, intervenendo nelle sedi opportune, affinché in sede di adozioni delle determinazioni di cui in premessa si pongano condizioni rigorose affinché l'olio tunisino, destinato all'importazione senza dazio, sia accompagnato da misure di tracciabilità e di commercializzazione che impediscano la possibilità che sia etichettato come made in Italy al fine di tutelare il settore olivicolo-oleario italiano la cui leadership è riconosciuta a livello internazionale.
(4-11977)

RIFORME COSTITUZIONALI E I RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazione a risposta scritta:


   DI BATTISTA, PESCO, FICO, COLONNESE, SIBILIA, SCAGLIUSI e CASTELLI. — Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   da organi di stampa (Il tempo), relativamente agli atti dell'inchiesta su Mafia Capitale, è emerso quanto segue: «stando a fonti difensive, i tabulati telefonici nasconderebbero (...) conversazioni avute tra il ministro Boschi e Buzzi. Conversazioni che non hanno alcun profilo penale ma che si riferiscono a un periodo precedente alla cena di novembre»;
   il riferimento è alla cena elettorale di finanziamento organizzata dal Partito Democratico all'inizio del mese di novembre a Roma;
   sempre dal medesimo articolo emerge che «Le intercettazioni del 6 novembre 2014 sull'utenza di Buzzi confermano il pagamento per la cena elettorale. Al telefono ci sono il ras delle coop e il suo stretto collaboratore Carlo Guarany. I due discutono della cena e decidono di informarsi meglio con Lionello Cosentino, ex segretario del Pd di Roma che a dicembre 2014 è stato commissariato da Matteo Orfini. I giorni successivi alla cena Buzzi continua a discutere della candidatura di Renzi con l'allora direttore generale di Ama, Giovanni Fiscon. Racconta di aver fatto due versamenti (uno da 15 mila euro per la cena e un altro da 5 mila per la Leopolda)»;
   il medesimo pezzo evidenzia che «Stando a quanto emerso, alla cena di autofinanziamento del Partito Democratico Buzzi avrebbe pagato la somma pattuita versando il denaro che sarebbe finito nelle casse della Fondazione Open, gestita dall'intimo amico del premier, l'imprenditore Marco Carrai, recentemente tra i papabili a gestire la cybersecurity italiana. D'altronde, nella stessa Fondazione Open risulta esserci la stessa Boschi»;
   nello specifico il Ministro interrogato risulta essere segretario della predetta fondazione;
   Salvatore Buzzi è, secondo le recenti inchieste della magistratura, organizzatore di una «associazione di stampo mafioso operante su Roma e nel Lazio, che si avvale della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti di estorsione, di usura, di riciclaggio, di corruzione di pubblici ufficiali e per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione e il controllo di attività economiche, di concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici»;
   sempre secondo le ricostruzioni degli inquirenti Buzzi avrebbe gestito, «per il tramite di una rete di cooperative, le attività economiche della associazione nei settori della raccolta e smaltimento dei rifiuti, della accoglienza dei profughi e rifugiati, della manutenzione del verde pubblico e negli altri settori oggetto delle gare pubbliche aggiudicate anche con metodo corruttivo, si occupa della gestione della contabilità occulta della associazione e dei pagamenti ai pubblici ufficiali corrotti»;
   alla luce di quanto esposto ed in considerazione delle indiscrezioni di stampa secondo le quali il Ministro interrogato avrebbe avuto in più occasioni conversazioni telefoniche con un soggetto indagato e rinviato a giudizio per associazione a delinquere di stampo mafioso, si ritiene indispensabile che la medesima fornisca urgentemente chiarimenti al Parlamento in merito a quanto emerso dagli organi di stampa e, eventualmente, chiarisca il contenuto di quelle conversazioni –:
   se il Ministro interrogato non intenda fornire urgentemente chiarimenti circa la vicenda esposta nelle premesse e, in particolare, in merito alle conversazioni telefoniche che avrebbe avuto con Salvatore Buzzi. (4-11992)

SALUTE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 68 del 2011 prevede che, a decorrere dal 2013, le regioni devono convergere verso le percentuali di costo e fabbisogno indicate nella programmazione nazionale, suddividendo poi i risultati per i singoli livelli essenziali di assistenza, proporzionalmente, per i relativi sub-livelli assistenziali:
    prevenzione 5 per cento;
    distrettuale 51 per cento;
    ospedaliera 44 per cento;
   secondo l’Institute for Health Metrics and Evaluation (2013), in Europa, le malattie non trasmissibili, quali le patologie cardiovascolari, i tumori, i problemi di salute mentale, il diabete mellito, le malattie respiratorie croniche e le patologie muscolo-scheletriche, sono responsabili della stragrande maggioranza delle morti e della spesa sanitaria. Tra queste, le malattie cardiovascolari costituiscono la principale causa di decessi, e sono responsabili di circa la metà di tutte le morti in Europa. Le malattie del cuore e gli ictus rappresentano, altresì, la principale causa di morte nei 52, Stati membri dell'organizzazione nazionale della sanità. Secondo le ultime stime disponibili, dei 57 milioni di morti nel 2008, 36 milioni (65 per cento) erano dovute a malattie non trasmissibili, di cui circa la metà (17 milioni) per cause cardiovascolari e 7,6 milioni per malattie oncologiche. Inoltre, con riguardo al peso delle patologie croniche nell'Unione europea è riportato come:
    le malattie croniche sono correlate tra loro, hanno fattori di rischio comuni e sono in gran parte prevenibili;
    in Europa, 9 persone su 10 muoiono di una malattia cronica;
    le malattie croniche portano notevoli costi economici, sociali e umani (sofferenza umana, riduzione forza lavoro, esclusione sociale, disuguaglianze sanitarie, costi sanitari, e altro);
    il 70 per cento e l'80 per cento delle risorse finanziarie impiegate nel settore della sanità è utilizzato per far fronte alle malattie croniche. Ciò corrisponde a circa 700 miliardi di euro nella sola Unione europea;
    il 97 per cento delle spese sanitarie sono attualmente impiegate per le cure sanitarie e solo il 3 per cento è investito in prevenzione;
   con l'intesa tra il Governo le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano n. 156/CSR del 13 novembre 2014 è stato approvato il Piano nazionale della prevenzione 2014-2018;
   l'intesa sopra indicata ha previsto che le regioni ne recepissero le linee essenziali entro il 31 dicembre 2014 e, in particolare, e indicata «la scelta di fissare (pochi) obiettivi comuni a Stato e Regioni e lasciare alla programmazione, inserita nei vari contesti regionali, la definizione delle popolazioni target e la gestione delle azioni funzionali al raggiungimento di tali obiettivi». Allo stesso modo, si riporta che «un punto indiscutibile, rispetto al percorso fino a oggi portato avanti è il ruolo della valutazione, che rappresenta ancora una componente irrinunciabile del Piano, con la duplice funzione di misurazione dell'impatto che il Piano produce sia nei processi, sia negli esiti di salute, sia nel sistema, a livello centrale, regionale e locale e di verifica dell'adempimento LEA (certificazione)»;
   l'intesa tra il Governo regioni e le province autonome di Trento e Bolzano n. 82/CSR del 10 luglio 2014 concernente il nuovo patto della salute per gli anni 2014-2016, prevede:
    all'articolo 17, comma 1, la destinazione di 200 milioni di euro annui, oltre alle risorse individuate a valere sulla quota di finanziamento vincolato per la realizzazione degli obiettivi del piano sanitario nazionale, ai sensi dell'articolo 1, comma 34, della legge 27 dicembre 1996, n. 662 e successive integrazioni;
    all'articolo 17, comma 2, che il 5 per mille della quota vincolante per il piano nazionale della prevenzione venga destinato a una linea progettuale per lo svolgimento di attività di supporto al, piano nazionale della prevenzione medesimo da parte dei network regionali dell'osservatorio nazionale screening, evidence-based prevention, associazione italiana registri tumori;
    all'articolo 17 comma 3, che le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano si impegnano a mettere in atto ogni utile intervento per promuovere la salute in tutte le politiche ed attuare la promozione della salute attraverso politiche integrate e intersettoriali a sostegno del diritto di ciascun cittadino di realizzare il proprio progetto di vita in un disegno armonico di sviluppo del territorio e della comunità in cui vie ciascuno;
   il rapporto BES salute 2015, a cura dell'Istat, indica tra le altre cose come:
    non migliora la qualità della sopravvivenza e si registra, rispetto al 2005, un peggioramento del benessere psicologico;
    si riconferma la tendenza all'aumento della mortalità per demenze e malattie del sistema nervoso tra gli anziani, e soprattutto tra i grandi anziani;
    il rilevante carico assistenziale che queste patologie comportano sulle famiglie e sui servizi socio-sanitari si può rivelare di difficile sostenibilità sociale ed economica, riflettendosi negativamente sulla qualità della vita, non solo dei malati ma anche dei loro familiari;
    continuano ad essere diffusi sedentarietà, eccesso di peso e un non adeguato consumo di frutta e verdura;
   a riguardo al comma 3 dell'articolo 17 dell'Intesa tra il, Governo le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano n. 82/CSR del 10 luglio 2014 il rapporto OASI del CERGAS dell'università Bocconi, pubblicato il 22 ottobre 2015, riporta (capitolo 1) come: «anche i dipartimenti di prevenzione, dopo anni di ricercata autonomia e divisionalizzazione, sentono il bisogno di integrarsi con il resto dell'azienda. I loro processi produttivi appaiono però scarsamente integrati internamente e quindi di difficile coordinamento con il resto dell'azienda». Lo stesso documento dedica un intero capitolo (13) approfondendo i livelli di integrazione ed individuando come: «non sembra, tuttavia, che all'integrazione prevista dal modello istituzionale abbia, in generale, corrisposto un livello accettabile di integrazione funzionale, al punto che la situazione prevalente all'interno delle stesse aziende sembra meglio descrivibile in termini di giustapposizione tra due aree, attraversate da dinamiche differenti» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle valutazioni riportate all'interno del rapporto Cergas dell'università Bocconi e quali iniziative di competenza eventualmente intenda intraprendere in merito;
   se sia a conoscenza di quali siano le attività di prevenzione individuate dalle singole regioni (per gli anni 2013, 2014, 2015 e di previsione 2016), in particolare con riguardo ai valori per ognuno dei servi previsti, al fine di verificare il rispetto del parametro del 5 per cento previsto nella normativa vigente;
   quali siano i dati di monitoraggio e di valutazione qualitativa, delle attività di prevenzione delle singole regioni rispetto all'adozione di quanto previsto dalle intese tra il Governo le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano indicate in premessa e, in particolare con riguardo a quanto previsto al comma 3 dell'articolo 17 del patto della salute 2014-2016.
(2-01261) «Grillo, Baroni, Colonnese, Di Vita, Silvia Giordano, Lorefice, Mantero».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO, ZAN e CAMANI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo pubblicato il 3 febbraio 2016 sulla stampa provinciale (Il Gazzettino di Padova, Il Mattino di Padova) si apprende che nella provincia di Padova le interruzioni di gravidanza sono sempre più difficili a causa della carenza di medici non obiettori di coscienza;
   nel comunicato della Cgil di Padova si legge che «Per molte donne arrivare all'intervento significa vivere una vera e propria odissea che contribuisce a rendere ancora più difficile e sofferta la scelta compiuta. Diverse sono le padovane costrette ad andare in un'altra provincia o addirittura fuori regione per avere quello che la legge 194 dovrebbe garantire. Ad oggi – prosegue – in città, sono solo due i medici disposti a praticare l'interruzione volontaria di gravidanza (ivg). Si tratta di due giovani ginecologi che lavorano in Azienda Ospedaliera, rispettivamente in Clinica ostetrica e in Divisione ostetrica. In sala operatoria gli spazi dedicati alla programmazione di interventi di questo tipo sono limitati ad un paio di giorni alla settimana e, di conseguenza, è facile scontrarsi con lunghi tempi d'attesa»;
   dall'articolo di Elisa Fais su Il Mattino di Padova si legge che circa un anno fa, una ragazza di 21 anni, proveniente dal Sud America e appena giunta a Padova per motivi di studio, ha scoperto di essere incinta e si è rivolta ad un consultorio dell'Usl 16 che l'ha respinta perché senza tessera sanitaria. Poi, un altro consultorio non ha accettato di farle la certificazione perché non residente della zona. La ragazza disperata ha chiesto aiuto scrivendo nel blog padovadonne.it e a quel punto è intervenuta la Cgil;
   si legge, ancora, la storia di una 40enne padovana che si è sentita rispondere «non c’è posto» dall'ospedale di Padova e che la prima data disponibile era oltre i 90 giorni consentiti dalla legge perché di mezzo c'erano le feste natalizie. Ha provato a chiamare inutilmente anche gli ospedali di Piove di Sacco, Camposampiero e Cittadella e grazie all'intervento della Cgil è stato possibile fissare l'intervento a Padova per tempo;
   proprio a causa di questa carenza si diffonde sempre più la problematica degli aborti clandestini: risultano alla cronaca tanti casi di falsi medici che allestiscono sale chirurgiche nel salotto della propria abitazione e senza alcun rispetto delle norme igieniche, praticano l'aborto a prostitute e straniere –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della grave situazione che vive il territorio padovano;
   come intenda agire, per quanto di competenza, al fine di garantire la presenza continua e costante di medici non obiettori in appositi ambulatori sia delle aziende ospedaliere sia delle aziende sanitarie locali per poter prendere in carico la paziente ed eseguire l'intervento specie nei casi di urgenza;
   come intenda agire, affinché vi sia la corretta e puntuale applicazione della legge n. 194 anche nella provincia di Padova, limitando così il ricorso da parte delle donne padovane, a falsi medici improvvisati o all'acquisto di strani farmaci su internet per abortire, minando così la sicurezza e la salute delle stesse. (5-07684)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legge finanziaria per il 2007, legge 27 dicembre 2006, n. 296, ha, definito alcuni obiettivi per garantire il rispetto degli obblighi comunitari e dei vincoli di finanza pubblica nel triennio 2007-2009 con riferimento al sanitario nazionale;
   in particolare, il comma 796 dell'articolo 1 della predetta legge ha disposto che «le regioni provvedono, entro il 28 febbraio 2007, ad approvare un piano di riorganizzazione della rete delle strutture pubbliche e private accreditate eroganti prestazioni specialistiche e di diagnostica di laboratorio, al fine dell'adeguamento degli standard organizzativi e di personale coerenti con i processi di incremento dell'efficienza resi possibili dal ricorso a metodiche automatizzate»;
   ai fini dell'applicazione della norma, nel 2009 sono state adottate le «Linee di indirizzo per la riorganizzazione dei servizi di medicina di laboratorio nel Servizio sanitario nazionale», un documento metodologico condiviso tra Ministero della salute e le altre parti coinvolte, successivamente recepite nell'Accordo Stato-regioni del 23 marzo 2011;
   la regione Lazio ha dato attuazione alla citata normativa con la delibera di giunta regionale 21 dicembre 2007, n.1040, che ha approvato un piano per la riorganizzazione della diagnostica di laboratorio per le strutture pubbliche e private accreditate, provvedimento rispetto al quale le associazioni di categoria avevano espresso la propria completa contrarietà;
   nel 2014, con il decreto del commissario ad acta del 2 luglio, n. 247, nella regione Lazio si è nuovamente intervenuti in materia di riorganizzazione della rete dei laboratori di analisi, ma lo stesso decreto è, stato poi oggetto di sospensiva a seguito della sua impugnazione innanzi al tribunale amministrativo del Lazio, che ha rilevato «l'assenza di una disciplina applicativa che consenta di definire il quadro complessivo all'interno del quale inserire la prevista disciplina di settore»;
   il decreto impugnato introduceva la centralizzazione, a partire dal 1o gennaio 2015, delle prestazioni di laboratorio per le strutture private accreditate, fissando le soglie minime di attività al di sotto delle quali i laboratori non potranno più essere accreditati in sessantamila esami per l'anno 2916, centomila esami nel 2017 e duecentomila esami nel 2018;
   è evidente come la previsione di soglie così elevate distruggerà i laboratori di minori dimensioni a vantaggio dei grandi gruppi, a totale detrimento del tessuto produttivo e di lavoro che gli stessi rappresentano, nonché a danno della cittadinanza, visto che proprio i laboratori di piccoli dimensioni garantiscono una diffusione capillare sul territorio, soprattutto nelle grandi città;
   le oltre trecento strutture accreditate nel Lazio, laddove non saranno costrette a chiudere l'attività, diventeranno facile preda dei grandi gruppi che le fagociteranno a condizioni che non è possibile prevedere ma rispetto alle quali le aziende soccombenti non avranno strumenti per difendersi;
   in seguito alla sospensiva disposta dal TAR Lazio, il 26 giugno 2015, con il decreto del commissario ad acta n. 270, è stato approvato un nuovo «Piano regionale di riorganizzazione della rete delle strutture private accreditate di diagnostica di laboratorio», in base al quale «al fine di evitare concentrazioni e possibili posizioni dominanti vanno vietate le aggregazioni che prevedano l'ingresso di soggetti economici diversi dalle strutture di laboratorio (quali ad esempio fornitori di reagenti, assicurazioni e società finanziarie)», prevedendo che «al fine di evitare le formazioni di trust le costituite aggregazioni non potranno detenere quote di partecipazione in altre aggregazioni presenti in tutto il territorio nazionale»;
   il TAR del Lazio, pronunciandosi nel merito sulla controversia, con la sentenza del 3 febbraio 2016, ha stabilito che «In conclusione per potersi propugnare la soglia minima prestazionale quale criterio di efficienza della rete laboratoristica, oltre che come requisito di accreditamento a mente dell'articolo 8-quater del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, esso deve essere coniugato con una non penalizzante e più oculata organizzazione della stessa che tenga conto dell'esistente regime di accreditamento dei laboratori laziali» –:
   se sia informato dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere in merito;
   se non ritenga di adottare, per quanto di competenza, le iniziative opportune a preservare i laboratori di analisi di minori dimensioni dai rischi di una possibile svendita ai grandi gruppi, salvaguardando il personale impiegato e il patrimonio di esperienza e professionalità acquisite. (4-11983)


   SORIAL, COMINARDI e ALBERTI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo i più recenti dati dell'Arpa, l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente, l'inquinamento atmosferico sarebbe giunto nel nostro Paese ad un livello allarmante, anche a causa della situazione metereologica di questo inverno, caratterizzata dall'assenza di piogge e dell'anticiclone;
   il ritorno dell'anticiclone sull'Italia, che ha caratterizzato la fine di gennaio e l'inizio di febbraio 2016, ha reso più grave la presenza dello smog: l'alta pressione crea l'ambiente ideale per l'aumento della concentrazione in atmosfera di polveri sottili come le PM10, a causa del ristagnare dell'aria nei bassi strati, vista l'assenza di moti verticali;
   secondo gli esperti, la Lombardia, in particolare, per via della situazione meteo di questi giorni, può essere paragonata ad una sorta di stanza chiusa, dove l'aria staziona senza poter circolare e dunque senza possibilità di ricambio anche a causa della sua conformazione, costituendo una vera e propria camera a gas;
   infatti, sebbene la situazione risulti critica in tutta la penisola, è in Lombardia che sono stati rilevati i dati più gravi: a Milano il livello di polveri sottile avrebbe superato i limiti consentiti per almeno 15 giorni nel mese di gennaio, e dunque con una media di un giorno su due, e sarebbe arrivata anche a toccare il picco di 153 ug/m3 (micro grammi per metro cubo), quando il limite consentito è di 50 ug/m3;
   sempre secondo le rilevazioni delle centraline dell'Arpa, al 2 febbraio 2016, a Milano città il limite consentito sarebbe stato superato per 13 giorni consecutivi;
   il numero di giorni di superamento complessivo dall'inizio dell'anno al 2 febbraio 2016, a Milano città è arrivato a 17, a Brescia città 16, a Bergamo città 16;
   Pm10 e Pm2,5 sono le sigle usate per identificare due delle numerose frazioni in cui vengono classificate le polveri sottili, in base al diametro aerodinamico, uguale o inferiore a 10 o 2,5 micron (pm), considerate tra gli inquinanti più dannosi per la salute, per via delle loro caratteristiche che le rendono facilmente inalabili dall'apparato respiratorio e delle alte concentrazioni che si registrano specialmente in ambienti urbani;
   queste sostanze possono avere origine sia da fenomeni naturali, come processi di erosione del suolo, incendi boschivi, dispersione di pollini, ma in particolare sono frutto dell'opera umana, come il traffico e i processi di combustione;
   le polveri sottili dal diametro di 10 micron sono inalabili e dunque si accumulano nei polmoni, quelle con un diametro di 2,5 sono così piccole che possono accumularsi nel sangue e raggiungere varie parti dell'organismo umano; così, se i danni legati alle polveri sottili di Pm10 sono circoscritti al sistema respiratorio, quelli legati alle polveri sottili Pm2,5 possono estendersi anche ad altri tessuti;
   il Pm10, nello specifico, è costituito da un insieme di particelle di materiale solido e liquido in sospensione nell'aria, composto principalmente da solfato, nitrato, ammoniaca, cloruro di sodio, carbonio, polveri minerali e acqua: la sua composizione presenta una tossicità intrinseca, che viene amplificata dalla capacità di assorbire sostanze gassose come gli Ipa (idrocarburi policiclici aromatici) e i metalli pesanti, alcuni dei quali potenti agenti cancerogeni;
   l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell'Organizzazione mondiale della sanità ha stabilito che l'inquinamento atmosferico è cancerogeno per la salute umana, specialmente a causa del particolato;
   il primo firmatario del presente atto aveva già posto all'attenzione del Governo il problema dell'inquinamento atmosferico con diversi atti di sindacato ispettivo a tutt'oggi rimasti senza risposta, nonostante si sia proceduto anche a presentare un sollecito il 25 novembre 2015;
   l'interrogazione a risposta scritta n. 09987 del 24 luglio del 2015, nella quale venivano riportati all'attenzione del Governo i dati dello studio «Polveri sottili ed effetti a breve termine sulla salute nell'asl di Brescia» dell'Osservatorio epidemiologico della Asl bresciana, secondo i quali l'inquinamento atmosferico ha causato negli ultimi dieci anni a Brescia circa 3.000 morti, con una spesa sanitaria di circa 146 milioni di euro, visti i 58mila ingressi in ospedale derivanti dal superamento del limite dei 20microgrammi di polveri sottili nell'aria sul territorio dell'Asl di Brescia (limite raccomandato dall'Organizzazione mondiale della sanità, diverso da quello dei 50microgrammi fissato dall'Unione europea), e considerando che ogni ricovero per motivi legati a patologie respiratorie costerebbe in media 2.500 euro, come riportato da fonti di stampa;
   l'interrogazione a risposta scritta n. 4-05434 dell'8 luglio 2014, nella quale si sottolineavano i risultati della ricerca del progetto «Respira — «Danni al Dna nelle cellule della mucosa buccale di bimbi d'età prescolare esposti ad alti livello di inquinamento urbano»», svolta a Brescia dalle facoltà di medicina e di ingegneria con fondi europei e la partecipazione della Loggia, che evidenziava come l'aria avvelenata da polveri sottili provochi ai bimbi che vivono a Brescia alterazioni genetiche maggiori che nei minori che vivono nell'inquinatissima Calcutta, in India;
   l'interrogazione a risposta scritta 4-02850, depositata addirittura il 5 dicembre del 2013, con la quale si sottolineava come a Brescia l'inquinamento atmosferico faccia più vittime degli incidenti stradali, visto che la leonessa d'Italia ha il triste e preoccupante primato di essere la città della Lombardia con l'aria più inquinata;
   secondo lo studio «Polveri sottili ed effetti a breve termine sulla salute nell'asl di Brescia» dell'Osservatorio epidemiologico della Asl bresciana, «l'area «padana» è una delle zone con peggior inquinamento atmosferico d'Europa, e dunque la riduzione dell'inquinamento atmosferico è una priorità di salute pubblica che come tale dovrebbe avere la precedenza assoluta»»;
   per quanto riguarda Roma, Legambiente ha depositato in questi giorni il dossier «Mal'Aria», lanciando l'allarme inquinamento: nel 2016 sarebbero state già otto le giornate in cui i livelli di smog hanno superato i limiti di legge nelle centraline della capitale e il dato del 2015 è ancora più preoccupante poiché, rispetto al 2014, si sono registrati 23 giorni in più di superamenti sui 35 consentiti;
   secondo Roberto Scacchi, presidente di Legambiente Lazio il 2015: «è stato un anno terribile per lo smog a Roma, anche perché i provvedimenti contro il traffico sono partiti solo a novembre, quando l'allarme sui superamenti era arrivato molto prima. Di certo non si può incolpare la scarsa pioggia, tenendo conto che le giornate con precipitazioni sono state le stesse negli ultimi due anni»; lo studio conferma infatti che si sono verificati 62 giorni di pioggia nel 2013, 69 nel 2014 e 67 nel 2015;
   secondo fonti di stampa, sembra che, fino ad ora, fossero le case automobilistiche a pagare i laboratori europei che devono certificare l'operato delle stesse case automobilistiche e che soltanto adesso se ne stia discutendo al Parlamento europeo visto che, dopo il «Dieselgate», si deve decidere come cambieranno i sistemi di omologazione delle auto e quali saranno i limiti di emissione ammessi per gli euro 6; sarebbe emerso che le modalità poco trasparenti con cui venivano effettuati i test in laboratorio per misurare i livelli di emissione delle auto, fino ad oggi, erano tali da dare valori quattro volte inferiori alle emissioni reali;
   il 3 febbraio 2016 è stata approvata una nuova proposta della Commissione europea per regolamentare tale situazione, ma, nonostante i buoni propositi il provvedimento sembra non solo giungere tardi, ma mostrare anche molti punti assolutamente discutibili, come la decisione di aumentare i limiti di emissione per i NOx, gli ossidi di azoto precursori delle polveri sottili, stabiliti dal regolamento (CE) n. 715 del 2007, a 80 milligrammi a chilometro per i veicoli euro 6, da misurare con i test in laboratorio;
   il Parlamento europeo ha «bocciato» una risoluzione della commissione ambiente, consentendo, di fatto, ai produttori di autovetture di superare, per i modelli immatricolati entro settembre 2017, i limiti ufficiali per i NOx previsti dal regolamento del 110 per cento di emissioni, nel periodo che va dal settembre 2017 al 31 dicembre 2018 e del 50 per cento, nel periodo successivo e in questo modo il valore consentito dei NOx salirà da 80 a 168 milligrammi a chilometro per il prossimo anno: invece di introdurre regole più restrittive, anche alla luce dell'accordo di Parigi sul clima, l'Europarlamento ha permesso un aumento, seppur temporaneo, dei limiti di emissione giustificandolo con la necessità di considerare i «dubbi tecnici relativi all'uso dei nuovi dispositivi portatili di misurazione delle emissioni»;
   nel piano strategico triennale sul territorio metropolitano che il Governo avrebbe proposto, a dicembre 2015, sorso in relazione all'emergenza smog; anche la riduzione della somministrazione di fertilizzanti azotati in agricoltura per limitare l'emissione di NOx;
   secondo un rapporto dell'Agenzia europea dell'ambiente (Aea), l'Italia sarebbe il Paese dell'Unione europea che fa registrare il maggior numero di morti premature rispetto alla normale aspettativa di vita, la causa dell'inquinamento dell'aria; nel solo 2012, i decessi riconducibili all'inquinamento sarebbero stati circa 84.400, su un totale, a livello europeo, di 491 mila, decessi direttamente derivanti dall'eccessiva presenza per metro cubo d'aria di tre elementi: le micro-polveri sottili (Pm2,5), il biossido di azoto e l'ozono nei bassi strati dell'atmosfera –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente della situazione di reale emergenza raggiunta dall'inquinamento atmosferico nelle principali città italiane, come esposto in premessa, e del preoccupante impatto che ha sulla salute degli italiani;
   quali siano i dati più aggiornati in relazione a questo flagello sulla salute della popolazione italiana, e quali iniziative intendano prendere, per quanto di competenza, per proteggere la popolazione, con particolare attenzione per i minori;
   quale sia il costo di tale «strage» a carico del Sistema sanitario nazionale;
   quali iniziative di competenza il Governo stia adottando, con la concertazione degli enti territoriali competenti, per favorire la mobilità sostenibile al fine di ridurre il più possibile l'uso di autovetture nelle città che costituisce una delle cause maggiori di inquinamento dell'aria;
   in che modo i Ministri interrogati intendano intervenire, per quanto di competenza, e quali soluzioni a lungo termine si stiano mettendo in atto per contrastare l'inquinamento atmosferico a livello nazionale e, in particolare nella pianura padana dove, alla luce dei dati emersi, la situazione è ormai insostenibile;
   se non si intendano attivare politiche adeguate a gestire il problema, agendo sulla salvaguardia e l'implementazione del verde pubblico in ambito urbano, sulla diminuzione delle emissioni e su un maggiore controllo del rispetto dei limiti alle stesse;
   quale sia l'orientamento del Governo in merito alla proposta di cui in premessa di innalzamento dei limiti per i NOx previsti dal regolamento (CE) n. 715 del 2007 e se non intenda attivarsi, per quanto di competenza, per contrastare tale decisione, anche visti gli impegni presi dal Governo nel piano strategico triennale approntato per combattere l'emergenza inquinamento atmosferico di cui in premessa. (4-11988)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 1o febbraio 2016 è entrata in vigore la legge, varata dal Consiglio di Stato del Canton Ticino, cosiddetta «LIA», cioè legge imprese artigiane, che obbliga le aziende di settore, sia nazionali che estere, ad iscriversi in un apposito albo per poter esercitare l'attività;
   la suddetta legge è stata approvata il 24 marzo 2015 ed impone alle imprese italiane della filiera della casa (dal comparto edile all'impiantistica) l'obbligo del possesso di determinati requisiti professionali e personali per iscriversi all'albo e, conseguentemente, esercitare l'attività in Canton Ticino;
   le imprese hanno sei mesi di tempo per adeguarsi alla nuova normativa e se ciò non dovesse avvenire nei termini stabiliti, e quindi entro il 1o agosto 2016, le stesse verrebbero sottoposte a sanzione ed interdette dall'esercizio dell'attività nel territorio svizzero;
   tale nuovo obbligo colpisce in primo luogo le imprese ubicate nelle zone di confine, ed in particolare, nei territori delle provincie di Como, Varese, Lecco, Milano e Monza-Brianza;
   dai dati divulgati dall'ufficio di statistica del Cantone il nuovo provvedimento coinvolgerà 4.548 ditte artigiane individuali e 9.835 dipendenti di società, per un totale di 14.383 italiani che nel corso del 2015 hanno prestato lavoro, per un periodo di tempo inferiore ai 90 giorni anno, nel Canton Ticino;
   in particolare, secondo la nuova legge: la costituzione e la gestione di un'impresa nell'ambito delle categorie professionali assoggettate sono subordinate all'iscrizione ad un apposito albo allestito da una commissione di vigilanza composta da rappresentanti delle associazioni professionali di riferimento; l'iscrizione è concessa soltanto a coloro che dispongono di un'adeguata formazione e di una sufficiente pratica professionale; eventuali infrazioni, rilevate da un sistema di controllo preventivo dei requisiti, sono sanzionate con multe fino a 50.000 franchi;
   gli obblighi imposti rappresentano per le imprese ubicate sul territorio nazionale un onere gravoso, sia in termini economici che burocratici;
   è evidente come le imprese artigiane italiane che lavorano oltreconfine siano discriminate, a favore delle imprese locali, rinvenendosi un'alterazione delle regole della concorrenza, la quale senza interventi urgenti, rischia di far perdere competitività alle aziende italiane coinvolte –:
   se e quali urgenti iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, il Governo intenda adottare affinché gli obblighi imposti dal Consiglio di Stato del Canton Ticino non generino per le imprese artigiane italiane che operano in territorio svizzero nuovi oneri, di natura economica e burocratica, che ne possano minare la competitività. (4-11979)


   PAOLO NICOLÒ ROMANO e TOFALO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   molti comuni italiani, in particolare delle aree montane e appenniniche, da anni, lamentano carenze infrastrutturali nella diffusione del segnale digitale al punto che sono numerosi i territori isolati dal punto di vista della ricezione tv e radio;
   tale problema di mancata integrale copertura nazionale del segnale radiotelevisivo riguarda molti comuni montani e collinari del Piemonte, ma anche della Lombardia, dell'Emilia Romagna (in particolare nel parmense, nel piacentino e nell'area tra Cesena e Forlì), del Veneto (l'area di Pordenone) anche se disagi più o meno significativi si riscontrano in tutto l'arco alpino e in moltissime aree appenniniche. In questi territori troppe comunità non fruiscono pienamente del servizio pubblico radio-televisivo e non poche sono totalmente al «buio» come si usa dire in gergo tecnico;
   da tempo, le cause di tali disservizi sono note alle autorità pubbliche e agli enti competenti, essendo stati oggetto di molteplici interrogazioni consiliari, regionali e parlamentari, di specifiche indagini conoscitive – tra cui la più nota realizzata dal comitato regionale per le comunicazioni del Piemonte (Corecom Piemonte) – ed iniziative pubbliche di sensibilizzazione e protesta, l'ultima del 10 gennaio 2016 promossa dall'Unione nazionale comuni comunità enti montani (Uncem), che ha pubblicamente invitato tutti comuni, le comunità montane e le unioni montane di comuni ad approvare un ordine del giorno in consiglio o in giunta, da trasmettere ai parlamentari delle proprie regioni, per chiedere un tavolo di monitoraggio nazionale con la commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, l'intergruppo parlamentare per lo Sviluppo della Montagna e l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AgCom) al fine di promuovere la mappatura delle aree alpine e appenniniche dove il segnale radio tv è scadente, oppure inesistente e per la rimozione delle cause di tale digital divide;
   non convince la risposta del Sottosegretario allo sviluppo economico, Antonello Giacomelli, data il 6 luglio 2015 all'interrogazione 4-03460, che, nel giustificare tale digital divide, ha dichiarato che: «la concessionaria del servizio pubblico, ha confermato di rispettare pienamente gli obblighi di copertura sopra riportati, evidenziando che un'eventuale estensione della copertura richiederebbe significativi investimenti e un arco temporale non breve», poiché la società di Radiotelevisione italiana (Rai Spa) è il quinto gruppo radiotelevisivo d'Europa, un colosso delle comunicazioni, che ha la concessione esclusiva del servizio pubblico radiotelevisivo, che esercita in regime di monopolio e a cui si paga una tassa annuale denominata «Canone Rai». Pertanto, nessuna ragione economica può giustificare la mancata realizzazione delle infrastrutture necessarie ad assicurare la copertura integrale del territorio nazionale del segnale digitale, così da garantire parità di accesso al servizio pubblico radiotelevisivo alla totalità degli italiani e, questo, anche in virtù dei numerosi sprechi che hanno caratterizzato e caratterizzano tuttora il cosiddetto «carrozzone Rai»;
   Rai Way è la società italiana proprietaria delle infrastrutture e degli impianti per la trasmissione e diffusione televisiva e radiofonica della Rai presente capillarmente su tutto il territorio nazionale, con una sede centrale a Roma, 23 sedi territoriali e oltre 2.300 siti dislocati su tutto il territorio italiano;
   l'articolo 1, comma 152, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016), stabilendo che l'imposta sul possesso della tv, comunemente chiamata «canone Rai», di euro 100,00, venga inserita sulla bolletta elettrica e versata ratealmente, a partire dal mese di luglio 2016, ha posto praticamente fine alle diffuse pratiche evasive, essendo la tassa più odiata dagli italiani, consentendo un recupero di gettito stimato, secondo un rapporto di Ricerche & Studi Mediobanca, nell'ordine di 420 milioni di euro in più l'anno per le casse dello Stato;
   numerose enti territoriali, in primis le comunità montane e le unioni montane di diverse regioni italiane, negli ultimi dieci anni, si sono fatti carico, acquistando e gestendo direttamente, con notevoli costi, impianti di diverse dimensioni e potenza per assicurare la trasmissione del segnale televisivo anche nelle valli più interne e nelle zone d'ombra non raggiunte dal segnale delle torri gestite da Rai Way –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per avviare un completo monitoraggio della qualità della ricezione del segnale televisivo sul territorio nazionale e se non ritenga urgente assumere iniziative, per quanto di competenza per impegnare parte del maggior gettito fiscale dall'imposta «Canone Rai» per il potenziamento delle infrastrutture per la trasmissione del segnale tv, in particolare nelle aree montane e più interne del Paese, così da ridurre il progressivo e sempre più grave aumento del «divario digitale» tra le zone periferiche del nostro Paese ed i centri urbani.
(4-11995)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Nicoletti e altri n. 1-00966, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Quartapelle Procopio.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Busto e altri n. 7-00907, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Benedetti.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Sibilia e altri n. 4-11868, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Liuzzi.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Librandi e Vargiu n. 5-07675, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sottanelli.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in commissione Di Benedetto n. 5-07594, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 559 del 1o febbraio 2016.

    DI BENEDETTO, BRESCIA, MARZANA, D'UVA, LUIGI GALLO, VACCA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da anni, la Missione di Speranza e Carità, nella città di Palermo, accoglie e assiste circa 800 persone che versano in condizioni disagiate. Inoltre, i fratelli e le sorelle missionari, insieme alle persone, a volontari e alle associazioni del territorio, recuperano le strutture abbandonate e lasciate al degrado, permettendo così, «una pietra dopo l'altra», il restauro e la ricostruzione delle stesse, trasformandole in case di accoglienza, pace e speranza. Un doppio merito che la città di Palermo dovrebbe riconoscere loro;
   al contrario, tra tutte le strutture recuperate, mai nessuna è stata concessa, neanche in affidamento, ai missionari. In alcuni casi, le stesse sono state vendute ai privati con doppio guadagno per il proprietario e doppio danno per i più poveri. Così è avvenuto per l'ex fonderia Basile, una struttura industriale, che era stata adattata al recupero e al reinserimento degli emarginati, come barboni, alcolisti e vagabondi. Oggi la struttura è stata venduta all'asta, senza alcun avviso, nonostante il comune di Palermo, insieme alla regione Siciliana, ne avesse promesso l'affidamento alla Missione;
   Biagio Conte ha lanciato un appello disperato con una missiva indirizzata unitamente a Papa Francesco e al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ribadendo l'impegno quotidiano della Missione che si trova costretta a scontrarsi con la noncuranza delle istituzioni. L'Agenzia del demanio e la Regione Siciliana hanno firmato un contratto di locazione dell'ex caserma dell'aeronautica di via Decollati a favore della comunità «Missione Speranza e Carità». Da oltre 15 anni, però, ai missionari è stato promesso anche l'affidamento del bene mai perfezionato;
   per tali motivi il missionario Biagio Conte lamenta i tempi interminabili della burocrazia, indifferente rispetto alle esigenze dei più bisognosi ed emarginati, suggerendo come, al contrario, una semplificazione legislativa e burocratica potrebbe accorciare quel divario, attualmente esistente, tra istituzioni e i cittadini, facendole sentire parte di un'unica famiglia;
   è bene citare un altro passo della lettera di Conte, che mette in rilievo il senso primario che deve guidare l'azione dell'amministrazione: «il male di questa città continua a sopraffare il bene, così si perde la riqualificazione dei quartieri, le strutture sociali, ricreative e sportive per una sana e giusta crescita dei bambini e dei giovani. Lo stesso hanno fatto con padre Pino Puglisi ostacolandolo nel realizzare queste preziose strutture e opere indispensabili per il quartiere di Brancaccio e i quartieri della città di Palermo; si ripetono gli errori della storia. La nostra città non può chiudersi in se stessa solo con il commercio, i trasporti e le infrastrutture che fanno i propri interessi, ma deve anche aprirsi venendo incontro ai bisogni materiali e spirituali della città e dell'umanità. Bisogna creare le giuste strutture, i giusti spazi e recuperare quelli esistenti, per il bene di questa generazione e di quelle future. Dobbiamo tutti insieme lavorare per il bene comune, comune significa comunione, solidarietà, servizio, integrazione, vera fratellanza. Per queste giuste cause ho sempre sentito nel mio cuore di dare la mia vita, prendendo l'esempio di tanti giusti che hanno donato la loro vita per il bene di questa città, di questa terra di Sicilia, l'Italia, l'Europa e il mondo intero. Mi abbandono al Buon Dio, certo che Lui provvederà e spero anche nelle istituzioni preposte a migliorare questa società. Ognuno deve fare la sua parte»;
   si è sicuri che le istituzioni saranno sensibili alle criticità sollevate dalla Missione di Speranza e Carità di Palermo –:
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda assumere;
   se il Ministro interrogato ritenga opportuno concedere l'affidamento della caserma dell'aeronautica di Via Decollati alla Missione di Speranza e Carità. (5-07594)

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Dell'Orco e altri n. 4-11718 del 20 gennaio 2016 in interrogazione a risposta in commissione n. 5-07689.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Vargiu n. 4-11967 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 562 del 4 febbraio 2016. Alla pagina 33683, prima colonna, alla seconda riga la parola «cessazione» deve essere sostituita dalla parola «condizione».