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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 4 febbraio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni IV e XII,
   premesso che:
    lo stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze, a partire dal 2009, è stato inserito sotto il controllo di gestione della Agenzia industria Difesa al fine di riorganizzarne la missione produttiva e garantire il raggiungimento dell'economia di gestione;
    in questi sei anni, grazie all'impegno congiunto del personale dello stabilimento e dell'Agenzia, sono stati raggiunti risultati decisamente soddisfacenti;
    la missione produttiva per rilanciare lo stabilimento è stata individuata nella produzione dei cosiddetti «farmaci orfani» ai quali, in un secondo tempo, è stata aggiunta anche, quella della «cannabis per uso terapeutico»;
    il valore di mercato dei «farmaci orfani» non è sempre monetizzabile ma nonostante questo lo Stabilimento ha conseguito notevoli miglioramenti nella situazione di bilancio e standardizzato la sua capacità produttiva che risulta, potenzialmente in grado di garantire un ampliamento della sua presenza sul mercato farmaceutico;
    il particolare stato giuridico dello stabilimento ha consentito di utilizzare competenze specialistiche molto qualificate, con contratti a tempo determinato, che fino ad ora sono stati annualmente rinnovati ma rischiano di essere trasformati in rapporti di lavoro interinale;
    tenendo presente i risultati raggiunti dallo, stabilimento appare opportuno valutare attentamente tutta una serie di altre possibilità, anche nell'ottica di una ridefinizione dello stato giuridico dello Stabilimento stesso, garantendo allo stesso una soddisfacente autonomia amministrativa e la possibilità di orientare la sua produzione anche verso il mercato europeo,

impegnano il Governo:

   a soddisfare le esigenze organiche dello stabilimento, riconducibili a circa 30 unità indispensabili per lo svolgimento delle specifiche attività citate in premessa, valutando anche la possibilità di reperire queste risorse umane tra i numerosi esuberi esistenti tra gli organici del personale della Difesa, che risultano tali a fronte della riorganizzazione in atto dello strumento militare, ma che possono rappresentare occasione di utile impiego nelle attività dello stabilimento;
   a stabilizzare il rapporto di lavoro con lo stabilimento per quelle risorse umane particolarmente qualificate, che anno già decisamente contribuito al raggiungimento degli obiettivi sia produttivi che della economia di gestione, scartando l'ipotesi di ricorrere a forme di lavoro interinale a favore delle possibilità offerte dall'entrata in vigore delle nuove norme relative ai contratti di lavoro a tutele crescenti;
   a valutare attraverso uno studio elaborato anche attraverso la collaborazione con l'AIFA, Agenzia Italiana del farmaco, la possibilità di sviluppare le storiche potenzialità dello Stabilimento farmaceutico militare quale Hub centrale nazionale per i farmaci oncologici rari, con l'obiettivo della riduzione della spesa sanitaria nazionale.
(7-00905) «Paola Boldrini, Zanin, Scanu, Amato, D'Arienzo, Bolognesi, Ferro, Fusilli, Gelli, Lacquaniti, Lenzi, Marantelli, Miotto, Patriarca, Piazzoni, Salvatore Piccolo, Giuditta Pini, Paolo Rossi, Stumpo».


   Le Commissioni VIII e XII,
   premesso che:
    il regolamento (CE) 1223/2009 sui prodotti cosmetici prevede, nella composizione degli stessi, anche l'uso di micro perle e microgranuli ad uso esfoliante per la cute;
    il comma 11 dell'articolo 16, sui nanomateriali, recita: «La Commissione riesamina periodicamente alla luce dei progressi scientifici le disposizioni del presente regolamento relative ai nanomateriali e, se del caso, propone modifiche appropriate di tali disposizioni»;
    microperle e microgranuli sono prodotti in polietilene (-C2H4-)n in dimensioni che possono variare dai 50 mm ai 5 mm; questo comporta che non siano biodegradabili e in buona parte delle loro conformazioni possano classificarsi come nanomateriali. È ampiamente dimostrato dalla bibliografia scientifica che tali microgranuli si trovano in grandi quantità nelle acque marine;
    non essendo biodegradabili, i microgranuli sono inquinanti e pericolosi per la fauna, che spesso li assume tramite l'alimentazione, inoltre attirano tossine come il DDT, che mutano all'interno dei mitili e dei pesci che vengono consumati dagli esseri umani;
    in data 4 gennaio 2016 il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha firmato una legge che vieta, a partire da metà 2017, la vendita o la distribuzione di prodotti cosmetici contenenti micro-granuli con lo scopo di proteggere i corsi d'acqua della nazione. La legge denominata The Microbead-Free Waters Act recepisce altre leggi statali che già vietavano o eliminavano gradualmente i micro-granuli (tra queste quella della California e dell'Illinois);
    già nel 2015 le Nazioni Unite si sono occupate della questione micro-granuli. Il programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (UNEP) ha pubblicato il rapporto Plastic in Cosmetics: Are We Polluting, the Environment Through Our Personal Care?, una raccolta di informazioni e dati scientifici sul collegamento tra cosmetici e inquinamento marino da plastica. Secondo lo studio «l'analisi di laboratorio di un gel doccia tipo, ha rinvenuto tanto materiale plastico all'interno, quanto quello usato per realizzare la confezione (...) Liberate nello scarico, queste particelle non possono essere recuperate per il riciclo, né si decompongono negli impianti di trattamento delle acque reflue, e inevitabilmente finiscono nell'oceano, dove rimangono per lunghissimo tempo»;
    secondo uno studio della National Oceanic and Atmospheric Administration i micro-granuli, oltre a rappresentare un pericolo per l'ambiente, marino sono un pericolo anche per l'uomo: finendo nella catena alimentare di pesci, anfibi, molluschi e altri animali, anche per gli esseri umani che si cibano di questi animali il pericolo è alto. Per esempio, è stato calcolato dall'università di Plymuth che il 36 per cento del pesce pescato sulle coste inglesi contiene microgranuli;
    secondo uno studio del 2012 condotto dall'università del Wisconsin nell'area dei Grandi Laghi nell'America settentrionale i micro-granuli sono causa della maggior parte dell'inquinamento della zona, la cui presenza è stata rilevata in concentrazioni molto elevate: oltre un milione di particelle di plastica per chilometro quadrato;
    già da parte di diverse aziende multinazionali sono state intraprese campagne per eliminare queste composizioni dai prodotti, cosmetici e non, comunemente in uso; in materia il riferimento è appunto il regolamento (CE) 1123/2009 che tuttavia contiene informazioni inadeguate sul profilo di rischio di questi materiali, non considerando la loro dannosità a livello ambientale,

impegnano il Governo:

   ad intraprendere una campagna d'informazione sui danni ambientali e per la salute di suddetti micro-granuli;
   ad adottare ogni possibile iniziativa, anche alla luce dell'articolo 16, paragrafo 11, del regolamento (CE) 1223/2009, per una revisione dell'uso di questi materiali da parte dell'Unione europea;
   a farsi promotore del divieto dell'uso dei suddetti materiali in Italia.
(7-00907) «Busto, Baroni, Daga, Mannino, Terzoni, Zolezzi, De Rosa, Micillo, Vignaroli».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    alle ore 3,32 del 6 aprile 2009 un terremoto di magnitudo 5,9 ha devastato la città dell'Aquila e oltre 160 comuni abruzzesi provocando la morte di 309 persone, circa 1.600 feriti e oltre 67.000 sfollati;
    oltre a questa tragedia, il terremoto ha portato alla distruzione degli edifici di molti comuni e di gran parte del centro storico dell'Aquila;
    gli interessi economici che hanno ruotato e che tuttora ruotano intorno alla ricostruzione sono evidentemente enormi. Un rapporto firmato da Soren Sondergaard, deputato europeo della sinistra unitaria inviato in Italia per verificare le modalità di utilizzo del denaro dei contribuenti dell'Unione, recita: «Ogni appartamento è costato il 158 per cento in più del valore di mercato, il 42 per cento degli edifici è stato realizzato con i soldi dei contribuenti europei, solo il calcestruzzo è stato pagato 4 milioni di euro in più del previsto. E 21 milioni in più i pilastri dei palazzi». Il dossier ha informato la Commissione europea dei sopralluoghi negli edifici del progetto denominato «Complessi antisismici sostenibili ed ecocompatibili (CASE)» e in quelli dei moduli abitativi provvisori (MAP). Si segnala la qualità delle costruzioni dei MAP: «il materiale è generalmente scarso (...) impianti elettrici difettosi (...) intonaco infiammabile alcuni edifici sono stati evacuati per ordine della magistratura perché pericolosi e insalubri (...). Quello di Cansatessa è stato interamente evacuato (54 famiglie) e la persona responsabile per l'appalto pubblico è stato arrestato e altre 10 persone sono sotto inchiesta»;
    i problemi in realtà non hanno riguardato solo il costosissimo progetto CASE ma anche tutti quegli appalti, fatti e gestiti in emergenza, derogando al codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (meglio noto come codice degli appalti), i quali hanno previsto un costo decisamente superiore al costo che si sarebbe potuto avere con un bando di gara «normale»;
    d'altro canto poco chiari, ad avviso degli interroganti, sono stati gli interessi prima della protezione civile (che ha gestito la prima emergenza) e poi della struttura commissariale per la ricostruzione;
    a 7 anni dal terremoto lo stato di avanzamento dei lavori disegna un centro storico ricostruito per solo il 10 per cento, che si riduce a circa il 3 per cento se si considera il cuore dell'area. Nella «zona rossa» sono stati ricostruiti solamente pochi edifici. Nelle frazioni sparse intorno ai capoluogo i lavori non sono mai iniziati e ancora si devono rimuovere le macerie;
    non si può parlare de L'Aquila solo facendo riferimento alla situazione della ricostruzione delle case dimenticando i numeri che riguardano le persone. La situazione è particolarmente grave anche dal punto di vista del livello occupazionale e della tenuta del tessuto sociale;
    la realizzazione dei nuovi quartieri chiamati « new town» ha determinato la perdita dell'identità della città, ha annientato il tessuto sociale e rappresenta attualmente, con gli oltre 5 mila edifici tra le C.a.s.e. delle new town, i moduli abitativi provvisori (Map) e i corrispondenti Musp per le scuole, fonte di gravose uscite dalle casse comunali a causa delle continue indispensabili opere di manutenzione che sono a carico del comune;
    tutto questo in un territorio che ha perso negli ultimi due anni 17 mila posti di lavoro, in tutti i comparti compresa l'edilizia ed esclusa solo l'agricoltura. I dati li ha forniti, ad aprile del 2015 in occasione del sesto anniversario del terremoto, Umberto Trasatti, segretario provinciale della Cgil: «Nel 2012 c'erano 124 mila occupati, oggi ce ne sono 107 mila nella provincia dove la disoccupazione è ai 13,9 per cento contro la media nazionale del 12,7 per cento. Allora, quando si stava concludendo la ricostruzione leggera, gli edili che lavoravano nel più grande cantiere d'Europa erano 16 mila, a dicembre 2014 se ne contavano 12 mila. Per quanto riguarda la cassa integrazione, la metà delle ore autorizzate nell'intera regione nel primo bimestre 2015 riguardano l'aquilano. E di queste, oltre il 90 per cento sono di cassa integrazione straordinaria inoltre 1500 lavoratori aquilani da aprile 2014 non percepiscono la cassa in deroga perché non ci sono i soldi»;
    le opere di ricostruzione sono rallentate e messe continuamente a rischio a causa delle scarse risorse messe a disposizione e dalla mancanza di continuità nell'erogazione delle stesse in queste condizioni le ditte che operano sul territorio aquilano mancano della possibilità di programmare gli interventi dovendo spesso ricorrere alle risorse interne per anticipare le spese e non interrompere i lavori;
    i dati ufficiali comunicati dal presidente della commissione bilancio del comune de L'Aquila descrivono una situazione di stallo dove a fronte di mancati finanziamenti di circa 478 milioni di euro per l'anno 2015 già assegnati con delibere del CIPE del 2012, 2013, e del 2014, le casse del comune non sono in grado di finanziare i cantieri già aperti;
    se da una parte è doveroso attivare tutti i meccanismi utili per accertare le modalità di utilizzo dei fondi fin qui concessi, dall'altra, è necessario velocizzare gli iter di assegnazione dei finanziamenti mettendo in atto tutte le misure utili per garantire la massima trasparenza e tracciabilità di quelli che ancora devono essere assegnati;
    il Parlamento negli ultimi anni non è stato aggiornato sulla situazione del territorio colpito dal sisma come invece era previsto nel decreto-legge n. 39 del 2009 che prevedeva la stesura di una relazione circa l'andamento dei lavori da parte del presidente del regione. L'ultimo documento di questo tipo è stato consegnato nel 2012 con i dati riferiti a giugno del 2011;
    si rende allora più che mai necessario indagare sulle scelte che sono state fatte fin dalle prime fasi della ricostruzione e se tali scelte siano state prese tutelando gli interessi delle popolazioni colpite o quelli della criminalità organizzata e non. Vanno approfondite le informazioni sulle risorse erogate e sulle commistioni tra affari, appalti e criminalità, nonché sul suo grado di infiltrazione nel contesto economico-istituzionale della regione Abruzzo;
    l'esperienza di quanto accaduto a L'Aquila, anche a 7 anni di distanza, obbliga la politica a una riflessione profonda anche sull'aspetto della prevenzione del rischio sismico che deve sfociare nell'attuazione di tutti gli interventi in grado, da un lato, di aumentare la percezione del rischio e la preparazione della popolazione nell'affrontare questo tipo di emergenze e dall'altro di mettere le amministrazioni locali e i privati nella condizione di intervenire sul patrimonio immobiliare con interventi di adeguamento sismico;

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per garantire adeguate risorse finanziarie a favore della ricostruzione dei territori colpiti dal sisma del 2009;
   ad intraprendere tutte le iniziative volte a garantire una continuità nei trasferimenti di risorse per la ricostruzione al fine di consentire una effettiva programmazione di tutti gli interventi ancora necessari per completare la ricostruzione;
   ad accelerare i tempi tra le delibere del Cipe di assegnazione delle risorse e l'effettiva erogazione delle medesime a favore degli enti locali;
   a semplificare, seppur nella piena garanzia della trasparenza e correttezza degli atti, le procedure di assegnazione delle risorse statali, al fine di ridurre al minimo i rallentamenti burocratici che contribuiscono a rallentare la ricostruzione post-sisma;
   a consentire l'implementazione del personale a termine a disposizione dell'ufficio speciale per la ricostruzione dell'Aquila, al fine di garantire tempi congrui e certi per la valutazione dei progetti presentati;
   ad individuare le opportune iniziative volte a favorire, per quanto di competenza e in accordo con gli enti territoriali, il rientro, laddove possibile, dei cittadini alle loro abitazioni originarie, prevedendo il superamento delle new town realizzate a seguito del sisma e il loro utilizzo per finalità non necessariamente abitative individuate dagli enti locali;
   ad assumere iniziative per prevedere opportune risorse e misure volte al rilancio economico, produttivo e occupazionale della provincia colpita dai sisma del 2009;
   a fare piena chiarezza sulle modalità di utilizzo dei fondi nazionali e comunitari destinati alla ricostruzione, nonché a intensificare le iniziative volte a garantire massima trasparenza sulle procedure di appalto e sull'utilizzo dei fondi che ancora dovranno essere spesi;
   a presentare quanto prima al Parlamento la relazione semestrale prevista dal decreto-legge n. 39 del 2009 sull'andamento e il monitoraggio degli interventi di ricostruzione;
   ad avviare un'interlocuzione con le commissioni parlamentari competenti in materia al fine di un'ampia condivisione delle scelte per quanto riguarda l'individuazione delle linee guida per gli interventi, il reperimento dei fondi necessari e l'attivazione dei meccanismi necessari per convogliare le risorse disponibili prioritariamente verso i progetti di riduzione del rischio sismico;
   a promuovere, anche finanziariamente, una ricognizione dei piani di emergenza regionali e comunali, da parte della protezione civile, anche ricorrendo ai relativi centri di competenza, onde verificarne lo stato di adozione e il grado di diffusione tra la popolazione, assumendo al contempo iniziative atte a disincentivare gli enti territoriali che non sono dotati di piani di emergenza adeguati;
   ad assumere iniziative normative volte ad individuare un organo, a livello nazionale, cui sia affidato il compito di valutare i piani di emergenza elaborati a livello territoriale;
   ad informare tempestivamente le commissioni parlamentari competenti, su quale sia lo stato di avanzamento dei lavori previsti, nel disposto della OPCM 3274/2003 sulla verifica sismica delle opere infrastrutturali e degli edifici strategici più volte prorogata nel tempo, dato che ad oggi pare irrealistico il completamento nei termini di legge delle verifiche di tutte le opere strategiche nelle zone sismiche 1 e 2 così come definite nell'ordinanza citata (3274/2003) e a questo riguardo, a fornire e pubblicare nei canali ufficiali online del Ministero il quadro delle somme erogate, nonché l'elenco delle opere realizzate e di quelle in corso d'opera;
   ad attivare un piano organico nazionale che preveda quali strutture coinvolgere per risolvere in un tempo ragionevole dal verificarsi di un evento calamitoso le problematiche dell'assistenza dei potenziali feriti e dell'accoglienza dei senza tetto e degli sfollati;
   ad assumere iniziative per escludere dal vincolo del patto di stabilità interno le spese relative agli interventi di ristrutturazione edilizia, definiti ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera d), del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e successive modificazioni, di edifici pubblici con criteri antisismici, nonché gli interventi strutturali di adeguamento e di miglioramento sismici di edifici pubblici, in cui la riduzione della vulnerabilità sismica sia opportunamente attestata in fase di progettazione e verificata in fase di collaudo dalla perizia di un professionista idoneo, o di personale tecnico interno specializzato;
   ad avviare un processo di verifica dello stato degli edifici pubblici, partendo dalle zone a più alto rischio, fino al raggiungimento del totale del patrimonio immobiliare pubblico, specie per quanto riguarda gli edifici scolastici e sanitari in modo da avere un quadro esaustivo dello stato dell'arte in ambito antisismico;
   a predisporre, sulla falsariga del POD (programma operativo degli interventi), uno strumento che consenta di seguire l'avanzamento delle opere di monitoraggio e adeguamento;
   ad assumere iniziative per chiarire in maniera definitiva e univoca le responsabilità in caso di mancato adempimento delle misure già previste dalla vigente legislazione che regola la materia in attesa di rivedere il quadro normativa, come già dichiarato anche dal Ministro pro tempore Lupi in occasione dell'audizione svoltasi il 21 maggio 2013 di fronte alla Commissione Ambiente Territorio e Lavori pubblici;
   a supportare adeguatamente la ricerca scientifica inerente a sistemi di previsione, allertamento, monitoraggio, rapid mapping e riduzione dei rischi sismici e legati a dinamiche geologiche;
   ad utilizzare – su impulso dei Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dei beni e delle attività culturali e del turismo e con la collaborazione della protezione civile e dell'INGV – lo strumento della «pubblicità progresso» attraverso le reti TV, Radio e siti Web, per diffondere le norme di comportamento da tenersi prima, durante e dopo un terremoto;
   ad assumere iniziative per stabilizzare il bonus fiscale previsto per l'efficientamento antisismico degli edifici.
(7-00908) «Terzoni, Vacca, Colletti, Del Grosso, Mannino, Busto, Daga, De Rosa, Micillo, Zolezzi, Vignaroli».


   L'XI Commissione,
   premesso che:
    la vertenza Saeco, azienda leader nel settore della produzione di macchine automatiche per caffè con sede a Gaggio Montano (BO), acquistata nel 2009 dalla multinazionale olandese Royal Philips Electronic, si protrae oramai da novembre scorso, con il rischio per 243 dipendenti di perdere il posto di lavoro;
    infatti, in data 26 novembre 2015, l'amministratore delegato ha annunciato all'improvviso un piano di ridimensionamento aziendale e il taglio drastico di 243 lavoratori considerati esuberi (metà dei 558 dipendenti attuali);
    la suddetta decisione aziendale mette a rischio non solo un notevole numero di posti di lavoro, ma anche il futuro dello stabilimento e dell'intera comunità locale, che sarebbe colpita duramente da un così drastico e improvviso calo dei livelli occupazionali;
    da tempo si susseguono numerosi tavoli, composti da sindacati, istituzioni locali e nazionali per cercare una tempestiva soluzione ad una vicenda complessa e delicata per l'entità dei lavoratori coinvolti nonché per la particolarità del territorio coinvolto;
    appare nella vicenda in questione che i reali motivi degli annunciati tagli di personale, risiedono nell'intenzione della società di portare a compimento un preciso piano di delocalizzazione, considerando che Philips ha già spostato tutte le produzioni in Romania;
    sulla vicenda si è registrata un'intensa azione parlamentare in questi mesi, attraverso atti di sindacato ispettivo. In particolare, è stata presentata il 16 dicembre 2015, un'interrogazione a risposta immediata in Assemblea n. 3-01897, alla quale il Ministro dello sviluppo economico ha risposto con la più ampia disponibilità ad avviare un tavolo di concertazione con la proprietà, confronto che risulta tutt'ora in corso;
    tuttavia, deve segnalarsi il protrarsi della mobilitazione dei lavoratori da oltre 60 giorni, stante l'incertezza per i livelli occupazionali e le stesse sorti produttive dello stabilimento italiano,

impegna il Governo

a continuare nell'azione di confronto con l'azienda e a predisporre tutte le iniziative atte a salvaguardare i livelli occupazionali e a ridurre al massimo l'impatto socio-economico sulla comunità locale, nell'ambito di un piano industriale che permetta la continuità produttiva dell'impianto di Gaggio Montano (BO).
(7-00906) «Incerti, Fabbri, Benamati».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   SEGONI, DAGA, DE ROSA, TOFALO, ZOLEZZI, TERZONI, MANNINO, COZZOLINO e CASTELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere premesso che:
   il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (spending review), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 luglio 2012, n. 135, ha previsto una serie di disposizioni e misure per la revisione e l'abbattimento della spesa pubblica, tra le quali la riduzione delle piante organiche di gran parte delle pubbliche amministrazioni in misura non inferiore al 20 per cento degli uffici dirigenziali generali e non generali e, per il personale non dirigenziale, nella misura risultante dalla riduzione non inferiore al 10 per cento della relativa spesa;
   appare evidente che la ratio della norma sia quella di conseguire, attraverso la riduzione delle piante organiche, risparmi sulla spesa per le retribuzioni del personale pubblico e concorrere, quindi, all'obiettivo generale di revisione ed abbattimento della spesa pubblica;
   alla data del 31 ottobre 2012 risultavano emanati i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri concernenti dette riduzioni di pianta organica;
   nei giorni immediatamente precedenti e successivi al 31 ottobre 2012 si sono succedute numerose notizie a mezzo stampa sugli esuberi nella pubblica amministrazione e sulla loro eventuale ricollocazione;
   non è apparso sufficientemente chiaro se e sino a che punto l'applicazione di detti provvedimenti abbia consentito l'effettivo conseguimento degli obiettivi che l'Esecutivo si era prefissato in termini di riduzione della spesa per le retribuzioni del personale della pubblica amministrazione;
   l'applicazione della cosiddetta spending review alla spesa per la retribuzione del personale della pubblica amministrazione sembrerebbe non essere stata caratterizzata dalla necessaria omogeneità nei diversi enti ed amministrazioni pubbliche, specie di piccole dimensioni quali le autorità di bacino nazionali presiedute dal Ministro dell'ambiente, generando effetti paradossali quali l'aumento della retribuzione del personale dirigenziale in servizio senza quindi conseguire alcun risparmio rispetto alla spesa ante applicazione delle disposizioni previste dalla norma in testa citata –:
   se ritengano necessario chiarire come l'applicazione della spending review alla spesa per la retribuzione del personale della pubblica amministrazione) abbia contribuito al conseguimento del generale obiettivo di revisione ed abbattimento della spesa pubblica previsto al decreto-legge n. 95 del 2012;
   se ritengano necessario accertare che le disposizioni volte alla riduzione della spesa per la retribuzione del personale della pubblica amministrazione abbiano avuto omogenea applicazione negli enti e nelle amministrazioni destinatari e senza generare effetti paradossali come quello narrato in premessa. (3-01987)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BECHIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo un documento del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, risultano irreperibili, nel solo 2015, 6.135 minori stranieri;
   secondo quanto denunciato dalla Commissione europea il 9 dicembre 2015 sarebbero oltre 6 mila i minori mescolati tra i 63 mila migranti non identificati nel nostro Paese;
   la somma dei due dati porta alla inaccettabile cifra di oltre 12 mila bambini e adolescenti svaniti nel nulla, che, per quanto ne sappiamo, potrebbero essere stati vittima del mercato pedopornografico, usati camme pezzi di ricambio per fornire un cuore ad un ignaro bambino ricco o intrappolati nella rete d'odio dell'Isis;
   nell'ultimo rapporto del Ministero delle politiche sociali mancano le indicazioni delle ragioni per cui sono svaniti i fanciulli, informazione che nel precedente rapporto del 2013 erano riportate;
   l'articolo 17, comma 1, della legge n. 269 del 1998 prevede quanto segue, che, si cita testualmente: «(...). Il Presidente del Consiglio dei ministri presenta ogni anno al Parlamento una relazione sull'attività svolta ai sensi del comma 3» –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative di competenza urgenti anche di carattere normativo, intendano assumere al fine di dare soluzione alla problematica descritta;
   se il Governo intenda rendere noti i dati relativi alle regioni in cui risultano «svaniti» i minori;
   se ritenga opportuno assumere iniziative per stilare un piano nazionale antitratta;
   se intenda assumere iniziative per porre in agenda la ratifica della convenzione europea contro il traffico d'organi e nell'eventualità positiva, in quali tempi;
   in quali tempi quando il Presidente del Consiglio dei ministri intenda ottemperare agli obblighi di legge, presentando la relazione annuale al Parlamento sullo stato di applicazione della legge n. 269 del 1998. (5-07664)


   ANDREA MAESTRI, BRIGNONE, CIVATI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità 2016 ha previsto un importante contributo di oltre un miliardo di euro da investire nella cultura soprattutto giovanile;
   in modo particolare, il Governo vuole agevolare i giovani, che nel corso del 2016 compiranno 18 anni, con un bonus di 500 euro spendibile solo ed esclusivamente per uso culturale o istruttivo (acquisto di libri, ingresso in aree archeologiche, gallerie, musei, mostre, eventi culturali);
   la componente parlamentare del Gruppo misto denominata Alternativa libera Possibile, il 19 dicembre 2015, denunciò in aula l'amara sorpresa dell'esclusione dei neodiciottenni di origine straniera dal provvedimento, evidenziando che, se l'obiettivo del Presidente del Consiglio, come da lui stesso affermato, era di combattere esclusione e radicalismo attraverso la cultura, l'avere escluso proprio gli studenti di origine straniera suonava come una beffa e un'odiosa discriminazione, contraria ai principi più elementari, dalla Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo e dell'articolo 3 della Costituzione italiana;
   una stima pubblicata recentemente sostiene che sarebbe sufficiente una cifra modesta, circa 26 milioni di euro, per estendere il beneficio anche ai ragazzi stranieri. L'Istituto italiano per l'industria culturale – IsICult, infatti, afferma che: «se alle 580.000 persone stimate nella Legge di Stabilità, si aggiungono i 52.000 extra-comunitari qui stimati (+9 per cento), il fabbisogno incrementale per l'estensione può essere nell'ordine di 26 milioni di euro, per un fabbisogno complessivo di 290 + 26 = 316 milioni di euro in totale»;
   la manovra finanziaria è stata licenziata dalla Camera dei deputati prevedendo un incremento di spese pari a oltre 30 miliardi di euro, e non saranno certamente i 26 milioni di euro necessari a dare copertura ai diritti dei giovani stranieri a dissestare ulteriormente il bilancio pubblico;
   è prevedibile che, in caso di mancata estensione della platea degli eventi diritto, saranno presentati ricorsi individuali e collettivi antidiscriminatori da parte di chi è stato escluso dal beneficio a causa dell'origine o nazionalità –:
   se i fatti narrati in premessa trovino conferma e quali iniziative il Governo ritenga opportuno adottare con urgenza per sanare questo vulnus a partire dall'estensione del diritto al godimento del cosiddetto «bonus cultura» ai giovani residenti in Italia e in possesso del requisito anagrafico, a prescindere dalla nazionalità. (5-07669)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   Roma è stata ufficialmente candidata a ospitare le Olimpiadi e Paralimpiadi del 2024;
   la lettera del mese di luglio 2015 ha ufficializzato l'impegno dell'Italia a organizzare la più grande festa dello sport al mondo;
   nelle ragioni della proposta si fa appello ad un percorso di costruzione e condivisione che offrirà agli atleti e al mondo intero «l'occasione di vivere le emozioni e lo spirito olimpico in un palcoscenico di ineguagliabile bellezza»;
   un patrimonio artistico, storico e culturale che abbraccia un così ampio arco di tempo, e che permette di «disputare le gare olimpiche nei luoghi più spettacolari e simbolici della Città Eterna»;
   si è fatto richiamo alla bellezza, cultura, ma soprattutto innovazione e sostenibilità nell'impegno dell'Italia, secondo quelle che sono anche le principali linee operative dettate dall'Agenda Cio 2020 e che prevedono un forte accento sulla legacy e l'utilizzo futuro a favore della città delle strutture utilizzate per le olimpiadi;
   in questo contesto sono sempre maggiori le discipline sportive che non necessitano di infrastrutture costose e impattanti ma che si «limitano» all'utilizzo di scenari unici e straordinari in linea proprio con la stessa Enciclica del Papa sul creato;
   appare evidente che in questo scenario è indispensabile promuovere tutte quelle potenzialità uniche nel suo genere che la proposta possa offrire;
   la Sardegna offre scenari straordinari su numerose discipline olimpiche;
   la mancata attuazione di progetti rilevanti a partire dal G8 fino alle grandi regate veliche già pianificate a Cagliari e poi disdette ha messo a punto campi di gara e attrezzature ben facilmente riattivabili;
   la Sardegna dista meno di un'ora dagli aeroporti di Roma –:
   se non si ritenga, per quanto di competenza, di dover individuare discipline agonistiche che possano facilmente trovare ubicazione in scenari unici nel suo genere come la Sardegna;
   se non si ritenga di coinvolgere, per quanto di competenza, la regione Sardegna al fine di valorizzare le strutture e gli investimenti già compiuti per iniziative di livello mondiale poi annullate;
   se non si ritenga di dover promuovere un sistema di collegamenti interni ed esterni tesi a favorire questa straordinaria opportunità di sviluppo e promozione del sistema Paese a partire da una regione insulare di sicuro fascino e attrazione.
(5-07673)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LA RUSSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il giornale Il Fatto quotidiano del 3 febbraio 2016 ha riportato la notizia che in occasione di un vertice dell'ONU svoltosi a New York nel settembre 2015, al Presidente del Consiglio fu proposta la liberazione dei due fucilieri della Marina militare Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, arrestati in India nel 2012;
   secondo la ricostruzione fatta dal quotidiano il Primo Ministro indiano avrebbe proposto al premier italiano di concedere la libertà ai due marò in cambio di prove sul fatto che il principale indagato nella questione delle tangenti nella vendita degli elicotteri all'India da parte della società Agusta Westland nel 2010 avrebbe intrattenuto rapporti riservati con la famiglia di Sonia Gandhi la cui natura avrebbe potuto influire nella situazione politica interna indiana, che vede contrapposti il premier Modi e Sonia Gandhi;
   l'articolo di stampa trae spunto dalle lettere inviate alle due corti internazionali competenti sul caso dei marò: la Corte permanente di arbitrato dell'Aja e il Tribunale internazionale delle Nazioni unite sul diritto del mare di Amburgo da un ex agente commerciale di Finmeccanica coinvolto nel processo;
   i due fucilieri della Marina sono stati arrestati in India ormai quasi quattro anni fa e ancora i Governi italiani che da allora si sono succeduti non sono riusciti a permettere il loro definitivo rientro in Patria, né a renderlo possibile in tempi brevi –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
   per quali ragioni al riguardo non sia stata effettuata alcuna comunicazione al Parlamento e se non si intenda fornire ora ampia spiegazione;
   quali iniziative intendano assumere con riferimento al caso dei due marò. (4-11950)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 84 del 1994, istituendo le autorità portuali ed individuandone le relative competenze, in ottemperanza ai precisi impegni internazionali sottoscritti in merito alla peculiarità del porto franco internazionale di Trieste, all'articolo 6, comma 12, cita testualmente: «È fatta salva la disciplina vigente per i punti franchi compresi nella zona del porto franco di Trieste. Il Ministro dei trasporti e della navigazione, sentita l'autorità portuale di Trieste, con proprio decreto stabilisce l'organizzazione amministrativa per la gestione di detti punti franchi»;
   lo stesso sito internet istituzionale dell'autorità portuale di Trieste specifica che: «Negli articoli 1-20 dell'Allegato VIII al Trattato di Pace sono contenuti i principi fondamentali della disciplina del Porto Franco, i parametri generali di riferimento per lo Stato italiano, competente a darvi attuazione con propri atti»;
   le disposizioni previste dalla legge n. 84, che avrebbero chiarito in maniera certa e definitiva tutte le peculiarità di cui beneficiano i punti franchi triestini e avrebbero sciolto una volta per tutte le incongruenze e le incertezze sull'applicazione della normativa speciale, a 22 anni di distanza, attendono ancora di essere emanate:
   il testo del decreto legislativo della riforma portuale approvato dal Consiglio dei ministri il 20 gennaio 2016, nel trasformare le autorità portuali in autorità di sistema portuale, all'articolo 5, comma 13, riprende il testo di riferimento per il porto franco di Trieste indicando che «È fatta salva la disciplina vigente per i punti franchi compresi nella zona del porto franco di Trieste, nonché quella vigente per i punti franchi esistenti in altri ambiti portuali. Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle finanze, sentita l'AdSP territorialmente competente, con proprio decreto stabilisce l'organizzazione amministrativa per la gestione di detti punti»;
   il testo del sopracitato decreto, nella parte relativa ai punti franchi triestini, recepisce i contenuti dell'ordine del giorno 9/3098-A/92 a prima firma dell'interrogante, accolto in Assemblea come raccomandazione dal Governo durante la seduta 16 luglio 2015 nel corso dell'esame del disegno di legge 1577 (deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche) con il quale si impegnava il Governo a «prevedere, in fase di riorganizzazione semplificazione delle autorità portuali, misure per la salvaguardia dei principi sanciti dai trattati internazionali sottoscritti dall'Italia, che conferiscono ai punti franchi compresi nella zona del porto franco di Trieste un particola e regime giuridico e fiscale»;
   a seguito dell'entrata in vigore della legge 22 dicembre 2014, n. 190 (stabilità 2015), ed in particolare di quanto stabilito dall'articolo 1, commi da 618 a 619, in data 26 gennaio 2016, il commissario di Governo nella regione Friuli Venezia Giulia, con proprio decreto (Prot. 19/8-5/2016), comma 1, ha spostato «il Regime Giuridico internazionale di Porto Franco dal Porto Vecchio di Trieste alle aree individuate nella proposta formulata dall'Autorità Portuale di Trieste (...)». Al comma 2, si stabilisce che «l'operatività del regime giuridico di Punto Franco nelle nuove aree è subordinato all'adozione degli strumenti amministrativi, anche di carattere convenzionale, ed alla realizzazione delle infrastrutture necessarie, per garantire l'efficace svolgimento dei compiti istituzionali dell'Agenzia delle dogane e della Guardia di Finanza a tutela degli interessi erariali dello Stato e dell'Unione Europea»;
   con il previsto trasferimento, e con la conseguente creazione di nuove aree distribuite sul territorio triestino che beneficiano dello speciale regime, si auspica la definizione in tempi brevi dell'organizzazione amministrativa prevista dalla riforma portuale e dal citato comma 2 del decreto del commissario del Governo –:
   il Governo possa fornire una previsione in relazione alle tempistiche necessarie per l'emanazione del decreto che stabilisce l'organizzazione amministrativa per la gestione dei punti franchi triestini;
   se il Governo intenda chiarire la citata natura «di carattere convenzionale» degli strumenti amministrativi previsti dal decreto del commissario del Governo per le nuove aree. (4-11955)


   BRUGNEROTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   Nadia Gentilini è un'ex immobiliarista di Chiavari (Genova) che, a causa di pressioni trasversali, intimidazioni, minacce di morte, è stata costretta ad abbandonare la Liguria e a rifugiarsi in Umbria;
   a partire dal 2000, quando la città di Chiavari è governata dal sindaco Vittorio Agostino; Alessandro Agostino è un architetto dalle cui mani passano la maggior parte dei progetti edilizi, prima di essere autorizzati e avviati;
   è proprio in base a questa dinamica che gli «Agostino» mettono gli occhi su quello che tutt'oggi resta l'affare più ghiotto della riviera di levante, la cosiddetta «operazione Preli»; la succitata vicenda ha visto finire gran parte della giunta sotto inchiesta, come emerge dalla cronache di stampa del tempo;
   secondo quanto emerge da una memoria della stessa Gentilini, l'allora assessore all'urbanistica Marina Tascornia «indirizzava terzi ad affidare i propri progetti al figlio del sindaco, Alessandro Agostino, per il buon esito della pratica»; cosa che appunto accade anche con Milena Gavazzi, la presidente della Cantiere Navale di Chiavari, proprietaria dell'area navale da riconvertire, al centro dell'operazione Preli;
   la dottoressa Gavazzi aveva affidato l'incarico della vendita esclusiva degli immobili ricavati in una parte del complesso navale all'agenzia immobiliare della Gentilini, e non all'agenzia immobiliare Costruttori Associati Edilnord;
   Nadia Gentilini avrebbe così inconsciamente spezzato il programma posto in essere (da anni) per indurre Milena Gavazzi a vendere; un programma riconosciuto, tanto che Vittorio Agostino e Alessandro Agostino sono stati condannati in via definitiva nel 2012 per tentata concussione, derivante proprio dalle pressioni esercitate sulla Gavazzi tra il 2000 e il 2002 affinché vendesse l'area; si legge chiaramente già nella sentenza d'appello del 2011: Vittorio Agostino «ha escogitato un programma di intervento, arrogandosi indebite competenze, per far ottenere al figlio e ai suoi soci la completa gestione dell'affare, con l'imposizione della sua presenza nei confronti della Cantieri Navali di Chiavari»;
   la vicenda di cui la Gentilini è stata protagonista, tuttavia, era ancora più grande di quel che potesse sembrare; nel giro di breve, secondo i documenti di cui sono venuti in possesso gli interroganti, la Gentilini si accorge di essere con le spalle al muro e di venir osteggiata per qualsivoglia progetto; un primo segnale arriva già nel 2002; l'operazione che la Gentilini avrebbe voluto portare avanti prevedeva la semplice sistemazione di solai da cui intendeva ricavare due abitazioni, una per lei e una per il padre; l'immobiliarista, che ancora non conosceva il ruolo occulto giocato da Alessandro Agostino, affida proprio a lui il progetto di cambio di destinazione d'uso;
   Alessandro Agostino, però, dopo aver presentato in comune il progetto, convoca la Gentilini in studio, dove quest'ultima avrebbe trovato anche gli impresari che stavano ristrutturando l'edificio dell'area del cantiere navale; in quella sede la proposta sarebbe stata chiara: rallentare le vendite degli immobili per indurre a svendere la prestigiosa area; la Gentilini, però, rifiuta; nel giro di breve, però, prima Vittorio Agostino e Alessandro Agostino e poi il comune le bocciano inspiegabilmente, il progetto delle case per lei e il padre, nonostante fossero state rispettate tutte le prescrizioni dell'assessore all'urbanistica di allora, la già citata Marina Tiscornia;
   Nadia Gentilini, dinanzi a tali sbarramenti, decide di rivolgersi alle autorità competenti e denunciare. Ricorre dunque al Tar e arriva la sentenza che decide per l'archiviazione, nonostante emergano «elementi di fatto da ritenersi discriminatori e in violazione di legge»;
   la Gentilini, nonostante le intimidazioni verbali e materiali non si arrende; si legge nelle denunce e nei verbali «in questi anni ho subito diverse intimidazioni da parte di ignoti, poi dal 2008 via via intensificatesi. Il 16 novembre 2009 ho richiesto l'intervento della Polizia perché qualcuno ha forzato il cruscotto del mio scooter per riporvi 6 coltelli in bella vista. A questo punto ho anche il dubbio che nell'ottobre 2009 la mia autovettura sia stata rubata su commissione perché dopo quattro mesi è stata rinvenuta dalla polizia municipale di Lavagna chiusa e in ordine, cioè i ladri non hanno nemmeno rubato il navigatore satellitare che custodivo nel cruscotto»; l'auto fu poi ritrovata sulla strada che conduce alla camera mortuaria dell'ospedale di Lavagna; nello stesso anno «ho accertato prove alla mano che certe persone gestivano anche, la mia corrispondenza»;
   dopo essere passati ben cinque anni da quando, per la prima volta nel 2003, chiede di ottenere il piano regolatore, consegnatole nel 2008, nel novembre 2010, costretta a chiudere la sua attività per le mille vessazioni e ostacoli, trova nel suo scooter un plico con dentro un altro piano regolatore e altri documenti amministrativi; secondo quanto riferito dalla Gentilini agli interroganti, è evidente dunque che il piano regolatore consegnato alla stessa e alla dottoressa Gavazzi fosse stato manomesso; così come sarebbe stato manomesso quello che al tempo era reperibile sul sito;
   per poter portare avanti il suo lavoro, Nadia decide di nascondere il suo nome, mettendo in piedi una nuova società, La Paragina, con l'obiettivo di ristrutturare una palazzina di Chiavari; un'operazione importante, tanto che per la Gentilini si rende necessario un prestito, che chiede a Banca Sella;
   il progetto parte; l'istituto di credito aveva garantito condizioni vantaggiose con l'erogazione di un credito da un milione di euro a La Paragina;
   a pochi giorni dalla stipula del primo atto notarile, tuttavia, scrive la Gentilini in una sua memoria, «il direttore dell'agenzia Banca Sella mi convoca per informarmi che la sede di Biella ha cambiato le condizioni, ovvero la banca erogherà il credito solo a me e non più a La Paragina tramite apertura di conto corrente ipotecario»; un repentino cambio di rotta ingiustificato, deciso dalla banca, dice ancora l'immobiliarista, per «assumere il controllo del mio patrimonio immobiliare»;
   secondo quanto riferito da Nadia Gentilini, sulla suddetta banca cade anche il dubbio che abbia rivelato il segreto bancario per via di alcune telefonate e dichiarazioni di Federico Sella, attraverso le quali quest'ultimo avrebbe dato informazioni vantaggiose sulla situazione economica degli acquirenti e degli immobili relativi a La Paragina;
   la Gentilini, allora, presenta un nuovo esposto; e la procura competente, quella di Biella, si pronuncia riconoscendo, addirittura, «un più ampio e complesso disegno criminoso, in cui il reato di rivelazione del segreto bancario e fiduciario sembrerebbe rivestire un'importanza del tutto marginale»; un disegno al centro del quale finisce appunto Nadia contro la quale «venivano posti in essere una serie di comportamenti tesi ad ostacolare le (sue, ndr) iniziative immobiliari»; il tutto portato avanti su due fronti, «uno interno alle istituzioni liguri» e uno attraverso «l'ostruzionismo di Banca Sella»;
   come scrive Gentilini in una sua memoria consegnata alla magistratura, «a questo punto è indubbio che oltre alle proprietà immobiliari della sottoscritta de La Parigina, Federico Sella ed altri hanno anche interessi diretti sull'importante operazione immobiliare dei miei ex clienti»; ciononostante la procura decide nuovamente per l'archiviazione, tanto che pian piano Banca Sella avrebbe cominciato a chiedere indietro i fondi, non certo nella disponibilità della Gentilini. È così arrivato il pignoramento di tutti i beni immobili della Gentilini, che lascia Chiavari e chiude l'agenzia;
   tutta la vicenda è resa ancor più incredibile da una serie di procedimenti giudiziari su cui cadono a parere dell'interrogante, legittimi dubbi; già l'appello che nel 2011 aveva condannato Vittorio Agostino e Alessandro Agostino sottolineava che la sentenza di primo grado era stata secondo l'interrogante amletica, «sempre in bilico tra affermazioni, ma il più delle volte supposizioni, a sfavore e a favore degli imputati»; il tribunale di Chiavari, scrivono i magistrati di secondo grado, «più che operare una approfondita valutazione della vicenda, stilerà una distinta di argomenti, favorevoli e contrari, e perviene a una contraddittoria assoluzione»; senza dimenticare che nelle motivazioni vi è una apparente presa di posizione» dalla quale sarebbe «lecito attendersi conclusioni certe», che invece poi non sono arrivate dato che, come detto, in primo grado Vittorio Agostino e Alessandro Agostino vengono scagionati da ogni accusa;
   secondo quanto sostenuto da Nadia Gentilini desta sospetto anche l'atteggiamento del Tar Liguria; un esempio su tutti: il Tar non ha mai bloccato l'asta pubblica, denunciata dalla Gentilini, che sarebbe stata messa in piedi dal comune sull'area della Colonia Fara, rientrante nell'operazione Preli, ma non alienabile poiché sottoposta a vincolo monumentale (la soprintendenza regionale avrebbe fatto risultare l'area come proprietà privata invece che proprietà pubblica per superare l'ostacolo);
   sempre secondo quanto denunciato dalla Gentilini agli interroganti, ciò che però più di ogni altra cosa stupisce è che non è chiaro dove siano i fascicoli che la riguardano e che fine abbiano fatto, specie dopo la soppressione del Tribunale di Chiavari: tutti i fascicoli avrebbero dovuto essere trasferiti a Genova, ma il legale della Gentilini, dopo la visura di quanto depositato a nome della sua assistita, ha ravvisato che non c'era alcun fascicolo –:
   se siano a conoscenza dei fatti suesposti e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano adottare in relazione alla vicenda descritta in premessa, anche in considerazione dell'attività della soprintendenza regionale della Liguria sopra richiamata. (4-11959)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   MERLO e BORGHESE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a Montréal, dove vivono circa trecentomila italocanadesi, dei quali circa trentamila iscritti all'AIRE, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale dal 2014 ha sospeso l'invio di contributi all'ente gestore PICAI (ente gestore dei corsi di lingua italiana), per presunte irregolarità amministrative;
   inoltre il Comites di Montréal ha espresso parere negativo alla concessione dei contributi al PICAI per il 2014, 2015 e 2016;
   le stesse autorità consolari e diplomatiche hanno da sempre auspicato la nascita di un nuovo ente gestore che rispondesse al profilo di trasparenza che includesse le forze vive della comunità italiana e fosse proiettato verso l'inserimento dei corsi di italiano nei curricula scolastici delle scuole del Quebec;
   dal 2014, in collaborazione con il console generale Enrico Padula, è nato il CESDA (Centro scuola Dante Alighieri) inaugurato proprio in occasione della visita del sottosegretario Mario Giro che in quell'occasione espresse il suo plauso a questa iniziativa da parte dei rappresentati dei maggiori organismi della comunità italiana di Montréal;
   il CESDA, inoltre, di fatto ha iniziato i corsi di italiano ed ha concluso apposite convenzioni con diverse commissioni scolastiche del Quebec volte all'inserimento dell'italiano nel curriculum scolastico –:
   se intendano sostenere l'iniziativa della comunità italiana che nel 2015 ha dato vita al CESD-Centro Scuola Dante Alighieri, il cui consiglio di amministrazione è stato eletto dall'assemblea dei soci e risulta costituito da rappresentanti dei maggiori organismi della comunità italiana del Quebec, che opera con successo sul territorio, ben inserito nella realtà socio-politica del Quebec, e che ha già firmato con due tra le più importanti commissioni scolastiche dei Quebec la EMSB (English Montréal School Board), Marie Clarac e la (Sir Wilfrid Laurier School Board di Laval) delle convenzioni per insegnare l'italiano curriculare ed extracurriculare nelle scuole del Quebec. (4-11971)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PRINA, PAOLO ROSSI, ROMANINI, FALCONE, COVA, CASATI, TENTORI e OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Ticino è il secondo, fiume italiano per portata d'acqua e con il più alto tasso di biodiversità. Nel 2002, con riconferma nel 2014, alla Valle del Ticino è stato riconosciuto dall'Unesco il titolo di «Riserva delle Biosfera» e pertanto di Patrimonio dell'Umanità per il suo valore ecologico/ambientale;
   oggi questo patrimonio rischia di essere compromesso a causa del prolungato periodo di siccità con precipitazioni che – come avvenuto nel mese di dicembre del 2015 – hanno sfiorato il 91 per cento in meno rispetto alla media;
   l'ente parco del Ticino, da almeno 2 anni, e le associazioni di categoria degli agricoltori da settimane denunciano i seri rischi per il sistema dei navigli lombardi, per la darsena di Milano e per il canale Villoresi, con pesanti conseguenze per il sistema agricolo produttivo che interessa migliaia di aziende a questi fortemente connesso. Sempre il Parco del Ticino e le stesse organizzazioni, hanno richiamato le istituzioni preposte, considerati i cambiamenti climatici in corso che si erano già manifestati negli anni scorsi, sulla necessità di assumere misure eccezionali come quella di accumulare nei bacini di conservazione naturali e artificiali le riserve idriche dal quale attingere al verificarsi di situazioni come quella qui richiamata;
   a questi si devono aggiungere gli oltre 12 mila sottoscrittori della petizione online che chiede il ripristino della sperimentazione attuata dal consorzio Ticino dal 2007, che ha garantito, negli anni di maggior siccità, il giusto deflusso d'acqua al fiume Ticino, bloccata poi nel 2014 con una nota inviata al suddetto consorzio dalla direzione generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, su una segnalazione del direttore generale per lo sviluppo sostenibile, il clima e l'energia della Confederazione elvetica che richiedeva semplici chiarimenti –:
   se sia intenzione del Ministro interrogato – sentite le competenti autorità della Confederazione elvetica – assumere iniziative, per quanto di competenza, per garantire la risorsa idrica necessaria, anche in casi estremi come quello attuale, per il «deflusso minimo vitale (DMV) al fiume Ticino e alle attività nell'area agricola più importante d'Italia permettendo di mantenere la quota di regolazione del lago Maggiore a 1,50 metri sopra lo zero idrometrico per tutto l'anno. (5-07677)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MUCCI, BARBANTI, PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in Emilia Romagna, la piovosità dell'anno 2015 è stata inferiore dell'11 per cento rispetto alla media degli ultimi dieci anni, con appena 730,2 millimetri rilevati dalle strumentazioni del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   nei mesi di novembre 2015 e dicembre 2015, lo scarto climatico delle piovosità è stato pari rispettivamente a –72,8 per cento e –85,1 per cento, e medesimo andamento si è riscontrato nelle prime due decadi del mese di gennaio 2016: rispettivamente –51,8 per cento e –73,8 per cento;
   analoghe sofferenze idriche sono state rilevate dall'Aipo, Agenzia interregionale per il Po, con le portate del corso d'acqua e relativi affluenti fiaccate da scarsa piovosità e contenute precipitazioni nevose sull'arco alpino, tanto da rilevare per il Po un andamento di inferiorità rispetto allo zero idrometrico, statisticamente inferiore rispetto agli anni passati;
   la diga di Ridracoli, gestita dalla società Romagna Acque, principale bacino di approvvigionamento idrico per tutti i comuni della Romagna, al primo febbraio 2016 era caratterizzata dalla presenza di 20 milioni e 802 mila metri cubici di acqua, pari al 62 per cento della capacità totale, un dato inferiore di 4 milioni e 800 mila metri cubici rispetto alla media storica per il periodo di riferimento e inferiore di 7 milioni e 500 mila metri cubici rispetto al 1o febbraio 2015;
   la diga di Ridracoli, nell'ultimo decennio, solo negli anni 2012 e 2007 aveva registrato un così basso livello di riempimento dell'invaso al 1o febbraio;
   la diga di Ridracoli, per garantire copertura piena del servizio idrico deve raggiungere, entro maggio, il suo livello di tracimazione (33 milioni di metri cubici) e per tale obiettivo, dopo un autunno e un inverno di scarse precipitazioni, può solo confidare in una primavera dagli elevati volumi di precipitazione;
   in Romagna il 2015 è stato il secondo anno più caldo, dopo il 2014, dal 1900, con un'anomalia positiva di +1,4 Co rispetto al valore climatologico del periodo 1971-2000 –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in relazione all'attuale quadro idro-climatico dell'Emilia Romagna;
   se il Governo non intenda intervenire, per quanto di competenza, con una specifica analisi degli andamenti climatici dell'ultimo decennio, con già in tre annate caratterizzate da rischio siccità;
   se le anomalie riscontrate siano al vaglio del Governo per la predisposizione di un piano di intervento in caso di emergenza siccità nella prossima stagione estiva;
   quale percorso il Governo intenda attuare per contenere i consumi idrici e garantire la distribuzione, nel caso il quadro climatico non dovesse sopperire alla necessità di acqua;
   se esistano specifici protocolli e fondi economici per arginare le sofferenze del comparto agricolo, in un territorio già vessato da annate di caldo record e ora sotto il rischio di un ridimensionato apporto idrico per l'estate ventura. (4-11941)


   SARTI, SPADONI, FERRARESI, DELL'ORCO, DALL'OSSO, PAOLO BERNINI, TERZONI, MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   si stanno moltiplicando le segnalazioni, riportate anche dalla stampa, con ampia documentazione fotografica, della presenza di una piattaforma in mare, alta oltre 100 metri, di fronte al comune di Cesenatico (a mero titolo di esempio: http://www.ilrestodelcarlino.it/cesena/piattafor-ma-pozzo-cesenatico-1.1697609; http://www. cesenatoday.it/cronaca/piattaforma-mare-cesenatico-dubbi-polemiche.html);
   si tratterebbe della Key Manhattan che, secondo quanto dichiarato dal sindaco di Cesenatico, dovrebbe svolgere attività di manutenzione volte a riattivare la produzione di metano presso il pozzo Morena 001, chiuso dal 2008, all'interno della concessione di coltivazione A.C.28.EA dell'ENI;
   la concessione è stata rilasciata nel 1997. La piattaforma è stata realizzata nel 1996. Da quanto risulta agli interroganti il pozzo in questione è stato perforato nel 1994;
   in entrambi i casi, sia per l'intervento in corso in queste ore sia per la perforazione del pozzo e l'installazione della piattaforma, non risulterebbe essere mai stata effettuata la prescritta valutazione di impatto ambientale o, almeno, non  sarebbe citata nell'atto di concessione;
   nell'archivio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – direzione VIA non risulta agli interroganti, sulla base di una ricerca effettuata sia con la parola «Morena» sia con il nome della concessione, alcuna procedura di v.i.a., sia per il passato sia per l'intervento odierno;
   appare evidente che riaprire un pozzo chiuso da otto anni attraverso il posizionamento sul fondale di una piattaforma alta 100 metri che dovrebbe operare per due mesi e riavviare l'estrazione da un pozzo a 4 chilometri dalla costa, per un intervento che non sarebbe stato mai sottoposto a v.i.a., a suo tempo, non può essere ridotto ad un intervento di mera manutenzione, anche straordinaria;
   il decreto legislativo 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni obbliga a sottoporre alla procedura di v.i.a, anche le modifiche sostanziali di progetti esistenti, anche quando sono stati già sottoposti a v.i.a. Qui addirittura si trova di fronte ad un progetto che non risulterebbe essere stato mai sottoposto alla procedura nonostante i progetti di estrazione di gas fossero inseriti già nell'allegato II della direttiva 337 del 1985 (la prima direttiva sulla v.i.a.);
   le attività in corso sono tra quelle considerate a forte rischio secondo il decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 145, «Attuazione della direttiva 2013/30/UE sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e che modifica la direttiva 2004/35/CE», visto che le operazioni di pozzo, compresa la riparazione, sono tra quelle per le quali sarebbe prevista la redazione di una relazione sui grandi rischi;
   la riattivazione di un pozzo può determinare potenziali effetti sull'ambiente tra i quali, a mero titolo di esempio:
    nella fase di cantiere: si possono verificare perturbazione delle specie e degli ambienti di fondale in via diretta per l'appoggio della piattaforma, perturbazione del fondale sollevando sedimenti che possono viaggiare anche per centinaia di metri, rischio di incidenti con sversamenti di sostanze, uso di sostanze che possono causare impatti sull'acqua e sul suolo emissioni in atmosfera derivanti dal funzionamento dei macchinari;
   nella fase di estrazione: si possono determinare subsidenza, con impatti potenzialmente anche rilevanti sulla costa vista la vicinanza della piattaforma (soli 4 chilometri), basti pensare ai problemi erosivi, rilascio di idrocarburi in acqua da perdite e incidenti;
   secondo quanto riporta il sito dell'ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse la scadenza naturale della concessione è il 1o gennaio 2017, mentre è stata presentata una richiesta di proroga nel 2012 –:
   se l'intervento di cui in premessa sia stato sottoposto a v.i.a. o a verifica di assoggettabilità a v.i.a.;
   in caso negativo, se il Ministro interrogato non ritenga che le attività in corso siano da assoggettare a procedure di v.i.a. assoggettabilità a v.i.a. e, in caso affermativo, non sia il caso di sospendere ogni attività in mare. (4-11964)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 1o dicembre 2015 l'Agenzia delle dogane di Napoli e la capitaneria di porto di Napoli hanno dato esecuzione ad un decreto emesso dal tribunale di Napoli su richiesta della direzione distrettuale antimafia nei confronti della società Kuwait Petroleum Italia spa (Q8), un colosso della petrolchimica;
   si tratta di un sequestro preventivo di circa 240 milioni di euro;
   la Kuwait è accusata di delitti correlati al traffico illecito di rifiuti, e secondo quanto emerso è ritenuta responsabile dal punto di vista amministrativo di aver svolto, in maniera organizzata e continuativa, dal mese di dicembre 2010, lo stoccaggio di ingenti volumi di rifiuti pericolosi (acque oleose per un quantitativo pari a 42.011 mc) all'interno dei serbatoi installati nel deposito fiscale Q8 di Napoli, nonché lo smaltimento illecito attraverso lo sversamento nell'impianto di depurazione del deposito fiscale di Napoli, al fine di non sostenere le spese per il corretto smaltimento;
   il 7 novembre 2013 era già stato avviato il sequestro delle attrezzature aziendali destinate alla consumazione dei reati in contestazione;
   intercettazioni telefoniche e mail hanno consentito di risalire all'esistenza di un accordo tra i responsabili del deposito di Napoli e i vertici della società, nonché di riscontrare come l'illecito smaltimento dei rifiuti sia stato oggetto di una scelta consapevole della società, effettuata allo scopo di non affrontare gli oneri economici derivanti dall'osservanza della normativa in materia;
   gli indagati sono soggetti in ruoli decisionali apicali della società: il legale rappresentante, il terminal manager del deposito fiscale di Napoli, i gestori dell'impianto IPPC Kupit di Napoli e i responsabili delle operazioni e terminale marittimo deposito fiscale di Napoli, il consigliere d'amministrazione, nonché il direttore delle risorse umane, acquisti e appalti della Kuwait Petroleum Italia spa di Roma, il coordinatore della movimentazione del deposito fiscale Kupit di Napoli e l'ingegnere responsabile Prevenzione e Protezione dei depositi di Napoli della Kuwait;
   si tratterebbe, dunque, di una vera e propria bomba ambientale, per di più gravissima e di ingenti dimensioni, coinvolgente l'intera area di Napoli est –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere per verificare l'effettiva presenza e l'esatto ammontare dei danni ambientali provocati dalle azioni della Kuwait Petroleum Italia spa;
   quali iniziative di competenza intenda assumere per porre rimedio in tempi strettissimi a tali danni, i cui effetti su territorio e popolazione rischiano di assumere proporzioni drammatiche.
(4-11973)


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   gli orsi appartengono alla fauna particolarmente protetta dallo Stato e come tali sono patrimonio indisponibile;
   ad oggi, gli orsi morti (accertati) del progetto Life Ursus sono 19 di cui 10 uccisi dall'uomo e, tra questi, 5 per mano della provincia di Trento e della Forestale in operazioni di cattura, 17 quelli non rilevati geneticamente, 2 emigrati e 2 ricatturati e costretti a vivere in cattività;
   ci sono evidenze che mostrano come altri orsi del Trentino del Life Ursus siano spariti/uccisi, con grave danno causato alla biodiversità e al patrimonio indisponibile dello Stato e di questi esemplari, nonostante le reiterate richieste, la provincia di Trento non ha fornito dettagli rilevanti;
   l'Orsa KJ2, detta Minnie, è figlia di Joze e di Kirka, orsi della prima generazione tra i reintrodotti. È un'altra madre prolifica e che vive da circa 12 anni nel medesimo areale in cui viveva Daniza, zona interessata dalla speculazione per la creazione di infrastrutture turistiche dalla ditta Pinzolo Funivie;
   esattamente come nel caso dell'orsa Daniza non esistono prove evidenti e certificate che il signor Molinari sia stato realmente aggredito nel giugno 2015 (non esiste una perizia medico veterinaria forense sulle presunte lesioni come nel caso del presunto aggredito da Daniza il signor Maturi) e per di più non è comprensibile come sia possibile stabilire che si tratti esattamente questo esemplare KJ2; esistono solo dichiarazioni e nessuna prova. Ci si chiede semplicemente come sia possibile determinare, qualora lo fosse, che a compiere questa presunta «aggressione» sia stata esattamente questa orsa, anche in considerazione del fatto che l'orsa non era dotata di alcun radiocollare e non esistono testimonianze, né ulteriori evidenze;
   il giorno 15 ottobre 2015 l'orsa KJ2, accompagnata dai suoi tre cuccioli, è stata catturata e sottoposta all'applicazione del radiocollare, in prossimità del periodo di letargo ad opera della provincia di Trento;
   le ordinanze di cattura e costrizione alla cattività, per esempio nel caso dell'orsa denominata Daniza, sono state disposte dal vice presidente della provincia di Trento. È noto che il carattere di contingibilità e di urgenza, trattando quindi argomenti in tema di pubblica sicurezza, in tal caso, sono materia in capo al questore (e quindi allo Stato) e nemmeno al presidente della provincia. Difatti, come si evince dallo statuto della provincia autonoma di Trento all'articolo 8, 9 e 20, tale competenza non può essere avocata a se né dal vice presidente, né dal presidente della provincia, ma sono competenze che restano in capo allo Stato nella figura del questore; inoltre, il Pacobace che viene citato più volte nella premessa dell'ordinanza di cui sopra e di altre ordinanze similari è meramente un atto amministrativo e certamente non giuridicamente sovraordinato –:
   quali sia l'orientamento dei Ministri interrogati in relazione a quanto esposto in premessa, posto che, ad avviso dell'interrogante, la materia trattata nelle ordinanze di cui in premessa è da ritenersi di competenza dello Stato;
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, abbiano accuratamente acquisito e verificato tutti i dati raccolti sugli spostamenti degli esemplari incriminati e ritenuti responsabili delle aggressioni, tramite i radiocollari e quale tipologia di radiocollare sia stato utilizzato se di gps o di semplice vhf;
   se i Ministri interrogati non ritengano di dovere acquisire tutte le informazioni relative agli orsi trovati morti, mancanti e facenti parte del progetto Life Ursus;
   se i Ministri interrogati non rilevino non solo che siano stati considerati «pericolosi» tutti gli orsi che si sono naturalizzati e ben adattati nell'ambiente in cui sono stati deliberatamente reintrodotti dall'uomo, a fronte di ingenti fondi, ma anche che la maggioranza degli orsi considerati «problematici» e da «rimuovere» siano proprio gli esemplari femmina e i più prolifici;
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non ritengano che gli atti a cui gli interroganti hanno avuto accesso, relativamente al decesso e alla necroscopia dell'orsa Daniza, prodotti dal veterinario forense dottor Rosario Fico dell'Istituto zooprofilattico sperimentale del Lazio e della Toscana e le indagini sul caso del servizio investigativo della Cites del Corpo Forestale dello Stato, possano essere ritenuti rilevanti e diano chiare indicazioni su quanto sia accaduto nel caso della cattura e conseguente decesso dell'orsa Daniza;
   se siano a conoscenza del fatto che per quanto sopra riportato, il servizio investigativo della Cites del Corpo Forestale dello Stato abbia depositato presso la procura di Trento una notizia di reato, relativamente all'uccisione dell'Orsa Daniza con i relativi approfondimenti circa le cause che hanno determinato tale drammatica circostanza. (4-11975)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   IORI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in applicazione del decreto ministeriale 1 luglio 2014 «Nuovi criteri per l'erogazione e modalità, per fa liquidazione e l'anticipazione di contributi allo spettacolo vivo, a valere sul fondo unico dello spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985 n. 163» ed a seguito del parere consultivo espresso dell'apposita commissione teatro prosa del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, il direttore generale dello spettacolo dal vivo del Ministero stesso con decreto del 22 luglio 2015 ha ripartito parte dei contributi del FUS – fondo unico dello spettacolo – destinati alle imprese di produzione teatrali, a valere per il triennio 2015-2017;
   nella ripartizione effettuata è stata operata una esclusione, caratterizzata dal fatto di colpire per l'intero triennio di erogabilità del FUS, il «genere Operetta», settore peraltro sempre riconosciuto negli anni precedenti e portatore di una lunga e collaudata tradizione artistica, non solo in Italia ma anche in altri Paesi europei, specie in Francia, Germania, Austria, ove ha registrato la presenza di grandi autori artistico-musicali;
   tale esclusione contrasta con quanto stabilito dall'articolo 5 del decreto ministeriale 1o gennaio 2014 che fissa il sistema di valutazione delle domande per la determinazione e attribuzione del contributo, e con quanto esplicitato nello stesso modello emesso e validato dal Ministero con decreto ministeriale 1o luglio 2014 laddove nella «Domanda di programma annuale» si riporta espressamente all'articolo 14, comma 1, che i beneficiari sono specificatamente definiti «Imprese di produzione teatrale – commedia musicale e operetta»;
   se, alla luce di più approfondite valutazioni, il Ministro non intenda riconsiderare i criteri di ripartizione del fondo unico per lo spettacolo per il triennio 2015-2017 proposti dalla commissione consuntiva che, per quanto riguarda l'operetta ha espresso ad avviso dell'interrogante un orientamento estraneo al contenuto del decreto ministeriale 1o luglio 2014, articolo 14, comma 1. (5-07667)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PANNARALE e PAGLIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha recentemente emesso un bando per l'assunzione a tempo determinato, per un periodo di 9 mesi di 60 funzionari di area III F1 (archeologi, archivisti e bibliotecari);
   tale bando stabilisce a 40 anni il limite massimo di età per l'accesso allo stesso, a giudizio degli interroganti, confliggendo, in tal modo, con la direttiva 2000/78/CE, e con la sentenza C-416/13 del 2014 della Corte di giustizia dell'Unione europea che vietano la previsione nei concorsi pubblici di limiti di età;
   si indica, inoltre, tra i requisiti di ammissione l'aver frequentato con profitto un master di II livello o l'aver conseguito un dottorato di ricerca o un diploma di specializzazione, equiparando, in tal modo, titoli molto diversi fra loro, sia rispetto ai criteri di ottenimento, sia rispetto alla durata degli studi, basti pensare che per vedersi riconosciuto un dottorato di ricerca occorrono tre anni, mentre per un master di II livello appena uno senza, peraltro, la previsione di prove di ammissione;
   altro requisito che si richiama è quello dell'aver maturato una comprovata esperienza almeno triennale nel campo dei beni culturali, senza però chiarire quali siano i criteri di valutazione della stessa e quale sia l'organismo chiamato a certificarla;
   anche la parte relativa ai punteggi per titoli appare discutibile; non si prevede, infatti, il diploma di specializzazione di 3 anni ed il cui valore viene pertanto equiparato a quello di un master biennale. Così come lo stesso diploma non viene equiparato al dottorato di ricerca, nonostante esista una prassi consolidata in questo senso;
   lo stesso bando non contiene alcun richiamo alla legge n. 241 del 1990 in materia di trasparenza dell'attività della pubblica amministrazione, che imporrebbe di esplicitare i criteri con i quali la commissione valuterà percorsi formativi ed esperienze professionali;
   tutte le suddette criticità sono state evidenziate al Ministero anche dalla Confederazione italiana archeologi –:
   se non ritenga, alla luce delle considerazioni esposte premessa, di dover assumere iniziative al fine di modificare il bando. (4-11963)


   FRUSONE e LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   «Salviamo l'Albaneta di Montecassino»: con questo slogan-obiettivo, alcune associazioni storiche, culturali ed ambientalistiche di Cassino, ma anche (con petizioni su internet) migliaia di cittadini di tutta Italia e del mondo, si stanno mobilitando per impedire che un «Villaggio di Natale», con ingresso a pagamento – organizzato da un imprenditore privato grazie al contratto d'affitto di una vasta area «agricola», stipulato con i monaci dell'abbazia benedettina – possa trasformare irrimediabilmente ed «oltraggiare» un'area naturalistica e storica di valore mondiale, che – tra il gennaio e il maggio 1944 – è stata teatro di una delle più lunghe e sanguinose battaglie della seconda guerra mondiale;
   quest'area, da oltre 70 anni, è territorio sacro per oltre venti popoli: anzitutto per i polacchi, che proprio qui hanno il cimitero dei caduti e altri monumenti che ricordano il sacrificio dei loro soldati («i papaveri di Montecassino sono più rossi per il sangue polacco», dice una loro famosa canzone); ma anche per americani, britannici, neozelandesi, indiani, nepalesi, e altri che – prima e dopo il controverso bombardamento aereo dell'abbazia (15 febbraio 1944) – sono morti a migliaia nei tentativi di sfondare in questa zona la linea Gustav: era principale sbarramento difensivo creato dai tedeschi (anch'essi qui morti a migliaia) nell'Italia centrale, da Ortona a Minturno, per impedire agli alleati anglo-americani la liberazione di Roma;
   «è come se – con la scusa di un presepe “artistico” – si volessero mettere bancarelle, vendere salsicce e organizzare giochi e concerti “dal vivo” sulla sabbia di Omaha Beach, in Normandia», dicono i protagonisti di questa mobilitazione, che si è già tradotta in una denuncia alla procura della Repubblica di Cassino, con la richiesta di «sequestro immediato» dei lavori in corso;
   l'area minacciata di un uso privatistico e commerciale è in un piccolo altopiano, a circa un chilometro dall'abbazia fondata nel 529 d.C. da S. Benedetto (ricostruita dopo la guerra, dallo Stato italiano, «com'era e dov'era»). Vi si trovano i ruderi di Santa Maria dell'Albaneta: era un monastero (fondato nel secolo XI), annesso a quello di Montecassino; vi aveva studiato da ragazzo San Tommaso d'Aquino, e vi aveva poi soggiornato anche Sant'Ignazio di Loyola, fondatore dei Gesuiti. Durante la seconda guerra mondiale, i tedeschi lo utilizzarono come caposaldo, e, proprio sul pianoro dell'Albaneta, il 19 marzo 1944 arrivarono, dopo un ardimentoso percorso montano (la «Cavendish Road»), una quarantina di carri armati Alleati, poi respinti, dopo l'iniziale sorpresa, dai tedeschi;
   tutt'intorno all'Albaneta si trovano altri monumenti e cippi (obelisco, croce di ferro, carro armato polacco, casa del dottore, grotta del comando tedesco, e altro) e, soprattutto, il cimitero militare polacco, dove riposano i resti di 1.052 soldati e del loro comandante, il generale Anders. È un'area, dunque, non solo di straordinaria bellezza naturalistica, ma soprattutto da preservare, a scopo anche didattico, in memoria di tutti quelli che, com’è inciso sull'obelisco in cima alla famosa «quota 593», hanno combattuto e sono morti «per la nostra e la loro libertà»;
   proprio per questo, per accedere liberamente al «Percorso della battaglia» (lungo circa 4 chilometri), il 2 luglio 2015 era stato ufficialmente inaugurato dal Presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti, dall'abate di Montecassino, dom Donato Ogliari, e dal sindaco di Cassino, Giuseppe Petrarcone, un varco solo pedonale, per visite guidate e per turisti di ogni parte del mondo. In questi giorni, invece, l'ingresso all'area dell'Albaneta e ad alcuni dei monumenti polacchi è impedito da un cancello e da una rete metallica; un'altra rete blocca l'accesso, dalla pianura, alla Cavendish road;
   utilizzando il contratto d'affitto recentemente stipulato per la gestione agricola per vent'anni del territorio dell'Albaneta (circa 350 ettari) di proprietà dell'Abbazia di Montecassino, un imprenditore locale ha infatti deciso di creare proprio qui un «Villaggio di Babbo Natale a Montecassino», reclamizzando, oltre al presepe tra i ruderi del monastero dell'Albaneta, «un'area ristoro», una «casa di Babbo Natale», «intrattenimenti musicali», «tiro con l'arco», un «mercatino»..., subordinando l'ingresso a tutta l'area al pagamento di un biglietto (3-6 euro);
   sono già stati tagliati alberi di alto fusto, stesi cavi elettrici per luminarie e creati con ruspe e ghiaia nuovi sentieri verso improbabili «boschi incantati», nei quali c’è anche pericolo di ordigni inesplosi;
   le associazioni ambientalistiche si sono già rivolte alla magistratura, e hanno sollecitato l'intervento (nell'ambito delle rispettive competenze), ma anche prese di posizione «politiche» e «morali» da parte del comune di Cassino, della regione Lazio, della Sovrintendenza ai beni architettonici e paesaggistici, dell'Ente parco degli Aurunci (che ha la gestione di gran parte del territorio inserito nel monumento naturale di Montecassino), delle ambasciate interessate, del vescovo della Diocesi di Sora-Cassino e, soprattutto, dello stesso dom Donato Ogliari, nuovo abate del monastero più famoso al mondo;
   l'obiettivo finale di questa mobilitazione è di evitare altri oltraggiosi usi di questo territorio, promuovendo ufficialmente presso l'Unesco la candidatura a «patrimonio dell'umanità» dell'abbazia di Montecassino e dei suoi luoghi storici della seconda guerra mondiale;
   l'Abbazia e il suo stesso territorio sono patrimonio della collettività e in quanto tale hanno ricevuto sostegno economico da parte dello Stato italiano, nonché Paesi esteri e fondi dall'Unione europea –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritengano che la situazione sia particolarmente critica, sia per la sicurezza e la salvaguardia del patrimonio naturale dell'area interessata; oltreché per le persone, nonché della memoria storica/culturale, tenuto anche conto della forte mobilitazione di associazioni e cittadini;
   considerato che il sito è patrimonio storico-culturale della collettività, come sia stato possibile che, privatamente l'abbazia abbia affidato, tramite contratto di locazione, la gestione dell'area Albaneta per fini ludici e ricreativi, nonché a scopo di lucro, ad un imprenditore senza i vari pareri istituzionali a cui è sottoposta, per vincolo, l'area naturalistica;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno, per quanto di competenza, attivare urgenti controlli e iniziative affinché l'ingente patrimonio culturale e naturale di cui in premessa non venga irrimediabilmente deturpato dal progetto non studiato e non pianificato di un turismo di massa, a giudizio degli interroganti, per nulla culturale, messo in atto con l'evento di un «Villaggio di Natale»;
   se il Governo intenda verificare la presenza di ordigni inesplosi all'interno e nei pressi dell'area Albaneta, al fine di garantire la sicurezza di cittadini e turisti. (4-11969)


   BECHIS, ARTINI, BALDASSARRE, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il 31 dicembre 2015 il Commissario straordinario di Roma, Francesco Paolo Tronca, ha rilasciato l'approvazione per la ristrutturazione e l'ampliamento dell'edificio n. 16, di via di Villa Ruffo, n. 31 (conosciuto come «Casone»), sede del Liceo Chateaubriand di Roma, con la creazione di un ulteriore piano di circa 580 metri quadrati. L'edificio si trova a Villa Strohl-Fern, ossia all'interno del parco di Villa Borghese: uno dei parchi storici monumentali di Roma, sottoposto a vincoli di carattere artistico e storico dalla legge n. 1089 del 1939, per il quale è prevista l'autorizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, per qualunque modifica e restauro;
   in un articolo del 22 gennaio 2015 a firma Fiorina Capozzi del « Il Fatto Quotidiano», si rende nota la vicenda, mettendo in evidenza che il permesso ottenuto contrasterebbe con le leggi nazionali a tutela del parco e dei musei;
   la scuola francese era da anni in attesa della dichiarazione di pubblica utilità, mai concessa finora da nessun sindaco di Roma Capitale e necessaria per poter ottenere il via libera all'ampliamento e alla ristrutturazione della sede;
   fino al 2015 la dichiarazione di pubblica utilità non era mai stata ottenuta, in quanto non era stata esibita la concessione in sanatoria e l'aumento di superficie non risultava poter essere concesso per una villa storica;
   il progetto presentato è di iniziativa del nuovo proprietario, Aefe (Agenzia per l'insegnamento francese all'estero), operatore del Ministero degli affari esteri e dello cooperazione internazionale;
   il piano regolatore generale del comune di Roma prevedeva una destinazione d'uso per villa Strohl-Fern, per metà a parco privato vincolato G1 e per metà a parco pubblico;
   una nota dell'Associazione Italia Nostra, diramata sul Corriere delle Sera il 25 gennaio 2016, riporta che l’«aumento di superficie non è previsto dalle prescrizioni della Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici di Roma, forse non noto, che ha espresso pareri severi ed inequivocabili sul restauro del manufatto. L'aumento di un terzo della superficie totale del Casone, che sovrasta quello che il Barone Strohl-Fern chiamava non a caso il "Viale dei Pericoli”, verrebbe realizzato su un terreno estremamente fragile attraversato da cunicoli e grotte, già interessato in passato da crolli consistenti»;
    dopo il recente disastro del palazzo crollatto sul Lungotevere Flaminio a causa di restauri irregolari, è d'obbligo l'eccesso di controlli e Italia Nostra Roma ha chiesto all'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), in forma ufficiale, un parere scientifico sulla composizione geologica della rupe che da piazzale Flaminio arriva fino a Villa Giulia;
   la villa è di proprietà della Francia dal 7 giugno 1926, per lascito testamentario di Alfred Wiliem Strohl-Fern, a condizione che si conservasse l'aspetto paesaggistico e le antiche alberature, e dal 1957, è sede del Liceo Chateaubriand, destinazione d'uso che ha reso necessarie modifiche strutturali della villa, quali l'interramento di un lago, la pavimentazione di prati e boschi, il taglio di una pineta di pini romani per ricavarne un campo da tennis, campi di calcio e di palla a volo, piste per la corsa e per il salto. Inoltre, il Belvedere che guarda S. Pietro e tutta Roma venne coperto da una alta rete e venne asfaltato il «Viale Grande», che si estende fino al portale del 1500 di fronte al Museo Etrusco e sulle terrazze furono realizzate sopraelevazioni e il tutto senza chiedere alcun permesso e senza prescrizioni della Sovrintendenza;
   nel 1984, la scuola francese provò ad ottenere l'edificazione di 51 mila metri cubi, ampliando i padiglioni scolastici che vennero costruiti nel 1963 con l'impegno di «poterli rimuovere in qualsiasi momento e senza compenso»;
   nel 1971, l'Italia propose uno spostamento della scuola nella zona di Roma dell'Acqua Acetosa, ma l'operazione fallì e legge 15 dicembre 1990, n. 396 stabilì che la scuola avrebbe dovuto lasciare il parco, ma l'ex sindaco della capitale, Walter Veltroni, intervenne per tutelare gli interessi della scuola francese;
   nel 1992, lo Stato italiano acquistò un terreno a Val Cannuta, pagandolo 11 miliardi di vecchie lire e, mediatore Giulio Andreotti, l'Italia fece anche la variante al piano regolatore e il progetto esecutivo della nuova struttura francese, che però non venne mai realizzata;
   nel 1999, con un'interrogazione parlamentare, Athos De Luca chiese conto al Ministro degli esteri pro tempore dello spostamento della scuola per procedere finalmente alla «realizzazione di un progetto predisposto dalla Soprintendenza archeologica e finanziato coi fondi della legge n. 651 del 1996, per riunire in un unico complesso Villa Poniatowski e Villa Giulia, entrambe a ridosso di Villa Borghese e del Borghetto Flaminio»;
   nel 2000, intervenne anche la senatrice Tana De Zulueta con un'altra interrogazione, senza sortire alcun effetto per ottenere il trasferimento del liceo francese e nel 2005, dopo cinquant'anni, è stata per la prima volta riconosciuta la presenza della scuola nel parco monumentale in una convenzione fra il comune di Roma, lo Stato francese e quello italiano;
   il liceo Chateubriand, ad oggi, ha dichiarato di aver già effettuato la gara d'appalto per i prefabbricati che dovranno ospitare, temporaneamente, gli allievi durante i lavori di ristrutturazione ed ampliamento della struttura e ha dichiarato che ha già ottenuto tutte le autorizzazioni (soprintendenza, vigili e asl) per installare i suddetti prefabbricati all'interno del parco di Villa Strohl-Fern;
   alla data del 27 gennaio 2016, il verbale della seduta del 31 dicembre 2015, durante la quale il prefetto speciale Tronca ha rilasciato l'approvazione per il progetto «Casone» «alle condizioni poste dagli Enti intervenuti nella Conferenza di Servizi ed in deroga agli Strumenti Urbanistici di Roma Capitale, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 308 del 2001», non è presente tra i verbali del medesimo periodo all'interno del sito del Comune di Roma, pur essendo un atto pubblico e consultabile dai cittadini;
   nel verbale viene riportato che il 13 giugno 2014, il direttore del dipartimento sviluppo infrastrutture e manutenzione urbana indisse una conferenza di servizi per l'esame del solo progetto di ristrutturazione e recupero funzionale dell'edificio del liceo Chateaubriand, e non per l'ampliamento. Alla conferenza erano stati invitati il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, la soprintendenza per i beni culturali e paesaggistici di Roma, la soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma, l'azienda USL RMC, il comando provinciale dei Vigili del Fuoco, la Soprintendenza Capitolina, il dipartimento programmazione e attuazione urbanistica, oltre ai rappresentanti dell'Ambasciata di Francia in Italia e del liceo Chateubrand;
   lo Stato Francese, per mezzo dell'Ambasciata di Francia in Italia, ha presentato solo poi, il 17 novembre 2014, a conferenza di servizi conclusa, richiesta di costruire per ampliare la superficie utile all'interno dei locali della scuola –:
   se il Governo non intenda intervenire nella vicenda sopradetta facendo valere i vincoli che tutelano il parco storico monumentale di Villa Borghese di Roma e se non ritenga di assumere iniziative volte a renderli più tassativi ed efficaci;
   se il Governo non reputi urgente verificare come l'approvazione, concessa dal Commissario straordinario Tronca, si concili con la valutazione della conferenza di servizi in merito all'edificio di cui in premessa considerando che questa non era stata chiamata a vagliare anche l'ampliamento della struttura in oggetto;
   se il Governo non intenda chiarire la motivazione per la quale il suddetto verbale non fosse consultabile sul sito del Comune. (4-11974)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   presso i centri di selezione VFP 1, dislocati a Roma, Napoli e Palermo, si svolgono tutti gli accertamenti previsti dall’iter selettivo dei giovani di leva;
   in particolare, il centro di Palermo, che consta di 75 unità, tra personale militare e civile, è competente per la selezione dei volontari VFP-1 provenienti dalle regioni Sicilia, Calabria e Puglia, nonché responsabile del «supporto di aderenza sanitaria» a favore del personale degli E.D.R. (Enti/Distaccamenti/Reparti) della Sicilia occidentale;
   nonostante le valutazioni positive espresse dalle autorità militari sullo svolgimento delle attività concorsuali svoltesi nell'arco di più di 10 anni, il Centro di elezione VFP-1 di Palermo sembrerebbe essere al centro della ormai nota politica dei tagli attuata dalla pubblica amministrazione;
   l'asimmetrica e paradossale spending review del Governo è ormai un déjà vu periodico e sventato il tentativo di «disattivare» 267 commissariati in tutta la penisola, adesso si torna all'attacco con nuove proposte non meno preoccupanti;
   solo nel dicembre 2013, su un documento edito dallo Stato Maggiore dell'Esercito, riguardante il «Piano per la Revisione dello Strumento  Militare Terrestre», si leggeva che, a seguito della chiusura del dipartimento militare di medicina legale di Palermo «è intendimento della Forza Armata recuperare le risorse del supporto sanitario cosiddetto di aderenza mediante il potenziamento del Centro di Selezione VFP1 di Palermo»;
   proprio la chiusura del suddetto dipartimento di medicina legale ha comportato un notevole aumento delle attività del centro di selezione di Palermo, di cui non si può non tener conto nell'ambito di una eventuale dismissione dell'ente, che comporterebbe gravi ripercussioni sotto il profilo sociale e organizzativo: da una naturale riduzione del numero degli aspiranti insulari che, a causa dei costi connessi al viaggio, non potrebbero raggiungere la sede concorsuale romana così facilmente come accaduto negli ultimi 10 anni all'aumento dei costi riguardanti il supporto sanitario di aderenza che ricadrebbe esclusivamente nei compiti del dipartimento militare di medicina legale di Messina; non ultima, una insoddisfazione del personale effettivo che ha sempre operato con rendimento costante ed elevato, in un clima ampiamente positivo;
   nell'ambito delle citate misure di razionalizzazione sarebbe finita la contestuale soppressione anche del centro di selezione VFP 1 di Napoli, con conseguente prevedibile congestione del centro di selezione di Roma;
   nel corso della loro visita nel 2014, al centro di selezione di Napoli, che beneficia, tra l'altro, della presenza dello stadio militare «Albricci», l'allora Sottosegretario alla difesa e il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito si erano  intrattenuti con il personale dipendente per le molteplici iniziative promozionali che vengono intraprese a favore dei reclutamenti su base volontaria che fanno della Campania uno dei principali bacini di reclutamento della Forza Armata, complimentandosi per l'ottimo lavoro svolto;
   a parere dell'interrogante, questa riorganizzazione creerà solo disservizi ai cittadini e nessun beneficio all'amministrazione pubblica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, se non ritenga opportuno rivedere, alla luce dei menzionati aspetti economici, sociali, personali ed anche deontologici, la decisione della chiusura degli importanti centri di selezione VFP-1 di Palermo e Napoli che potrebbe rivelarsi inopportuna in un'analisi costo-efficacia di «lungo periodo». (4-11954)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:


   PALLADINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 345, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, ha istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, a decorrere dall'anno 2006, un fondo per indennizzare i risparmiatori che, investendo sul mercato finanziario, sono rimasti vittime di frodi finanziarie ed hanno sofferto un danno ingiusto altrimenti non risarcito;
   il fondo è alimentato dall'importo dei conti correnti e dei rapporti bancari definiti come dormienti all'interno del sistema bancario, nonché del comparto assicurativo e finanziario, definiti con regolamento adottato su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze; con lo stesso regolamento sono altresì definite le modalità di rilevazione dei predetti conti e rapporti;
   con il decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2007, n. 116, è stato emanato il regolamento attuativo con il quale sono stati specificati i criteri per la definizione dei conti cosiddetti «dormienti» e le modalità di rilevazione degli stessi;
   l'articolo 3 del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134, convertito con modificazioni dalla legge 27 ottobre 2008, n. 166, ha previsto che nel fondo di garanzia per le vittime di frodi finanziarie confluiscano, oltre ai rapporti definiti come dormienti, anche gli importi degli assegni circolari non riscossi entro il termine di prescrizione, gli importi delle polizze assicurative prescritte e gli importi dovuti ai beneficiari di buoni fruttiferi emessi dopo il 14 aprile 2001 e non reclamati entro il termine di prescrizione del relativo diritto;
   pertanto, alla luce della disciplina vigente, per «conti dormienti» si intendono quei rapporti contrattuali (depositi di somme di denaro e strumenti finanziari) di importo superiore a 100 euro che non sono stati movimentati per un periodo di dieci anni, in relazione ai quali non sia stata effettuata alcuna operazione o movimentazione ad iniziativa del titolare del rapporto o di terzi da questo delegati per il periodo di tempo di 10 anni decorrenti dalla data di libera disponibilità delle somme o degli strumenti finanziari;
   rientrano nella categoria di «conti dormienti» i libretti a risparmio, i conti correnti, anche postali, le azioni, obbligazioni, titoli di Stato presenti da oltre dieci anni su depositi inattivi. Per le altre tipologie il periodo di dormienza prima che finiscano nel fondo è differente: due anni per le rendite delle polizze, tre anni dalla loro emissione per gli assegni circolari;
   decorsi i suddetti termini il deposito «dormiente» è considerato estinto e le somme devolute al fondo. La procedura può essere bloccata solo nel caso in cui sia intervenuta una operazione del titolare entro 180 giorni dalla comunicazione da parte della banca, delle poste, degli intermediari finanziari di effettuare un'operazione, onde evitare che il denaro fosse devoluto al fondo pubblico;
   dopo numerose polemiche e lamentele da parte di moltissimi contribuenti, che per varie motivazioni e con ritardo si sono accorti di essere titolari di depositi e conti correnti, nonché dopo diverse battaglie combattute dalle associazioni dei consumatori per far riavere ai contribuenti le proprie somme, il Ministero dell'economia e delle finanze il 3 novembre 2010, ha emanato una circolare, la n. 87062, con le istruzioni per i titolari dei conti dormienti per la richiesta di rimborso delle somme finite nel fondo dei conti dormienti;
   la circolare ribadisce gli importi che sono devoluti al fondo: a) depositi di somme di denaro (conti correnti, certificati di deposito, libretto di risparmio) non movimentati per 10 anni dal titolare o terzi abilitati; b) depositi di strumenti finanziari in custodia o in amministrazione per i quali non siano state effettuate movimentazioni per 10 anni; c) assegni circolari non incassati entro il termine di prescrizione di 3 anni dall'emissione dell'assegno; contratti di assicurazione del ramo vita che prevedono il pagamento di una rendita o di un capitale al beneficiario, non reclamato dagli aventi diritto entro il termine di prescrizione di 2 anni; d) buoni fruttiferi postali emessi successivamente al 14 aprile 2001 non incassati dai beneficiari entro il termine di prescrizione di 10 anni dalla data di scadenza del titolo;
   hanno quindi diritto al rimborso i titolari dei rapporti o i loro aventi causa, purché non sia decorso il termine di prescrizione decennale, a partire dalla data di versamento al fondo, ed i richiedenti l'emissione degli assegni circolari, sempre nel limite del termine prescrizionale, a decorrere dalla data di emissione dell'assegno. Non hanno invece diritto al rimborso i beneficiari degli assegni circolari, di contratti di assicurazione vita; di buoni fruttiferi postali, successivamente alla scadenza del termine di prescrizione, rispettivamente tre, due, dieci anni;
   il termine di prescrizione per la domanda è di 10 anni dalla data di devoluzione al fondo per i depositi di denaro, di strumenti finanziari o di contratti di assicurazione, e di 10 anni dalla data di richiesta di emissione dell'assegno per questi titoli di credito;
   per quanto concerne i buoni fruttiferi postali (Bfp), si rileva che questi sono stati introdotti nel nostro ordinamento con il decreto-legge n. 2016 del 1924, modificato con regio decreto legge n. 1241 del 1925, come forma di finanziamento statale alternativa ai buoni del tesoro. Con la legge 14 giugno 1928, n. 1398, sono stati regolamentati come forma di raccolta di risparmio postale da parte della Cassa depositi e prestiti;
   le principali caratteristiche dei buoni fruttiferi postali, sono le seguenti: sono emessi da CDP e garantiti dallo Stato italiano; sono sottoscrivibili e rimborsabili presso tutti gli uffici postali; sono esenti da commissioni e spese; sono disponibili in forma dematerializzata e/o cartacea; sono sottoscrivibili per importi minimi alla portata di tutti e rimborsabili anche per frazioni del capitale sottoscritto se dematerializzati; sono rimborsabili a vista, anticipatamente rispetto alla scadenza naturale; assicurano la restituzione in qualunque momento del capitale investito, maggiorato degli interessi maturati, qualora liquidabili in base alle caratteristiche della specifica tipologia di buono, ed eventuali altri proventi; offrono rendimenti crescenti nel tempo, che sono corrisposti al momento del rimborso insieme al capitale sottoscritto ed eventuali altri proventi; sono soggetti alla ritenuta fiscale del 12,50 per cento;
   i buoni fruttiferi postali rappresentano quindi una forma di risparmio sicura, garantita e flessibile, offrendo al risparmiatore la possibilità di investire a lunga scadenza e disinvestire in qualsiasi istante, con la totale garanzia del capitale investito maggiorato degli interessi nel frattempo maturati;
   i buoni fruttiferi postali hanno una durata che varia a seconda della tipologia del buono scelto. Nel caso dei buoni fruttiferi postali ordinari, ad esempio, la durata massima è di venti anni, mentre nel caso dei buoni fruttiferi postali diciottomesi, come si intende dal nome stesso, la durata massima è limitata ad un anno e mezzo dalla sottoscrizione;
   dopo la scadenza occorre distinguere tra: a) buoni fruttiferi postali dematerializzati (ovvero acquistabili on line con particolari abilitazioni da correntisti postali o titolari di libretti postali): il capitale investito e gli interessi sono accreditati automaticamente sul conto corrente o sul libretto postale, quindi non possono cadere in prescrizione, in quanto vengono rimborsati alla scadenza e l'importo complessivo è accreditato automaticamente sul conto dell'intestatario, e b) buoni fruttiferi cartacei, per i quali alla scadenza il buono cessa di essere fruttifero, ovvero non produce più interessi. Il titolare del buono, il titolare degli stessi deve recarsi presso l'ufficio postale e chiedere il rimborso dell'intera somma entro 10 anni dalla scadenza, altrimenti il diritto si prescrive e non può più essere fatto valere;
   con la trasformazione della Cassa depositi e prestiti in società per azioni (ai sensi dell'articolo 5, comma 3, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326) i buoni fruttiferi postali emessi fino al 13 aprile 2001 sono stati trasferiti al Ministero dell'economia e delle finanze ed equiparati a tutti gli effetti ai titoli del debito pubblico (inclusi quelli relativi alla prescrizione) e pertanto disciplinati dalle medesime norme. I diritti dei titolari dei buoni, quindi, si prescrivono dopo dieci anni dalla loro scadenza e non sono previste eccezioni. Al fondo dei conti dormienti confluiscono pertanto i soli buoni cartacei prescritti se emessi dopo il 14 aprile 2001;
   si sono verificati diversi casi di piccoli risparmiatori che hanno investito somme irrisorie nell'acquisto di buoni fruttiferi postali, con l'obiettivo di creare un fondo di risparmio da utilizzare in caso di necessità per sé o un proprio familiare e vedersi garantita una vita più tranquilla sotto il profilo economico, ed invece si sono visti negare il rimborso del capitale sottoscritto perché confluito nel fondo conti dormienti non avendolo, spesso per dimenticanza, ritirato entro la data di prescrizione –:
   se il Ministro interrogato ritenga che la definizione di buono postale fruttifero, che per natura è un risparmio garantito e fruttifero, sia conciliabile con la prescrizione del diritto alla restituzione del capitale investito, maggiorato degli interessi maturati;
   a quanto ammonti per l'erario l'introito derivante dai buoni fruttiferi postali «dormienti» e, se tale cifra fosse irrisoria, se si ritenga conveniente sottrarre tali risparmi, ai quali le famiglie possono ricorrere in caso di necessità, a fronte di una somma di piccola entità;
   dal momento che i buoni fruttiferi postali non sono titoli speculativi, ma una piccola forma di risparmio garantita, se non ritenga opportuno assumere iniziative per rivedere la disciplina sui conti dormienti con riferimento ai buoni fruttiferi postali e per salvaguardare quei piccoli risparmiatori che, non avendo ritirato il capitale investito entro la data di prescrizione del diritto, lo hanno visto confluire nel fondo statale per l'indennizzo delle vittime di frodi finanziarie. (3-01984)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FERRO, CARELLA, TIDEI, PIAZZONI e MINNUCCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   preme agli interroganti segnalare alcune vicende relative alla gestione del comune di Pomezia, ente con 62.422 abitanti della città metropolitana di Roma Capitale;
   una prima questione attiene al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, che viene svolto dal Consorzio Nazionale Servizi società cooperativa, risultata aggiudicatrice della gara bandita nel 2014 a seguito della approvazione della determinazione dirigenziale n. 101/DIR 10 del 19 giugno 2014;
   in data 20 agosto 2015 è stato presentato un esposto alla Autorità nazionale anticorruzione circa presunte irregolarità sia nello svolgimento della gara sia nello svolgimento del servizio;
   dalla ricostruzione dei fatti riportati nell'esposto all'Autorità nazionale anticorruzione si evince quanto segue:
    in data 27 luglio 2007, a seguito di una gara d'appalto mediante procedura aperta, tra il comune di Pomezia e l'ATI Consorzio Nazionale Servizi s.c.a.r.l. – Aimeri Ambiente SpA viene stipulato un contratto della durata di 5 anni per il servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani (atto rep. n. 6307);
    alla scadenza del contratto, 5 giugno 2012, seguono ben 4 proroghe, ciascuna della durata di 6 mesi: la prima del 12 settembre 2012 con la sottoscrizione di un atto aggiuntivo al contratto rep. n. 6307/2007 (atto rep. n. 8565; la seconda con ordinanza del sindaco n. 39 del 4 dicembre 2012; la terza con ordinanza del commissario straordinario n. 19 del 4 giugno 2013; la quarta con ordinanza del sindaco n. 37 del 4 dicembre 2013;
    in data 12 dicembre 2013 il consiglio comunale, con proprio atto deliberativo n. 69, approva gli indirizzi generali al capitolato speciale d'appalto per il servizio di igiene urbana per il periodo 2014/2018;
    in data 31 dicembre 2013 con determinazione dirigenziale n. 240, in conformità agli indirizzi approvati dal consiglio comunale, viene approvato il «capitolato speciale d'appalto per l'affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti porta a porta» per il periodo 2014/2018;
    in data 3 marzo 2014 con determinazione dirigenziale n. 32/DIR 10 si procede ad indire la relativa gara d'appalto mediante procedura aperta con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa;
    in data 28 marzo 2014 si procede alla pubblicazione del relativo bando di gara, fissando al 29 maggio il termine ultimo per la presentazione delle offerte;
    in data 3 giugno 2014 con determinazione dirigenziale n. 87/DIR 10 si procede in sede di autotutela alla revoca della determinazione dirigenziale n. 32/DIR 10 e all'annullamento di tutti gli atti consequenziali; annullamento che sarebbe stato, per quanto risulta agli interroganti dettato dalla presunta violazione del principio di segretezza dell'offerta economica, in quanto al punto IV.2.1 del bando di gara e al punto 5 dell'articolo 3 parte prima del disciplinare di gara, fra i criteri di valutazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, la stazione appaltante aveva richiesto che per le offerte migliorative fosse indicato anche il relativo valore economico;
    in data 19 giugno 2014, con determinazione dirigenziale n. 101/DIR 10, si procede alla approvazione degli atti per indire una nuova gara d'appalto, sempre mediante procedura aperta ai sensi dell'articolo 3, comma 37, ed articolo 55, comma 53, del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 e successive modificazioni ed integrazioni;
    in data 26 gennaio 2015 con determinazione dirigenziale n. 15/DIR 10 si procede alla approvazione dei verbali di gara e alla aggiudicazione definitiva del servizio in questione;
    in data 20 marzo 2015 viene stipulato tra il comune di Pomezia ed il Consorzio Nazionale Servizi società cooperativa, risultata aggiudicatrice della gara, e la consorziata esecutrice appalto Formula Ambiente cooperativa sociale, il relativo contratto atto rep. n. 9210;
    in data 20 luglio 2015 il consigliere comunale Schiumarini Omero presenta una interrogazione scritta con la quale chiede di avere dei chiarimenti in merito a presunti inadempimenti contrattuali da parte della ditta appaltatrice con specifico riferimento a: 1) mezzi e strumentazioni utilizzati per lo svolgimento del servizio che sembrerebbero non conformi a quelli previsti dal relativo capitolato speciale d'appalto; 2) mancato rispetto del termine di 60 giorni (articolo 11, comma 1 capitolato speciale d'appalto) entro il quale indicare la sede operativa di un centro di trasbordo dei rifiuti; 3) mancato allestimento entro 60 giorni (articolo 11, comma 3 capitolato speciale d'appalto) di due sedi operative, una a Pomezia ed una a Torvajanica; 4) mancata realizzazione di un idoneo lavaggio per i mezzi e le attrezzature di lavoro; 5) mancato rispetto di quanto previsto dall'articolo 18, comma 15 circa una facile individuazione dei mezzi utilizzati per il servizio; 6) mancato rispetto della previsione di cui all'articolo 58, comma 4, lettera h), relativa alla attivazione, nel periodo estivo, nella zona centrale di Torvajanica del servizio di spazzamento manuale in orario pomeridiano; 7) mancata attivazione, entro i termini contrattuali, del servizio telefonico agli utenti, meglio denominato «gestione numero verde»; 8) mancata comunicazione (mensile) relativo alla manutenzione e pulizia dei mezzi; 9) mancato rispetto dell'obbligo di dotare gli automezzi di GPS; 10) mancata redazione della carta dei servizi;
    in data 21 luglio 2015, con determinazione dirigenziale n. 147/DIR 10, viene disposto dalla stazione appaltante il rinvio dell'attivazione del sistema di raccolta differenziata di rifiuti porta a porta nella zona A (Pomezia centro, Collefiorito, Nuova Lavinium), previsto per il 21 luglio 2015, sino a data da definirsi;
    in data 28 luglio 2015 con determinazione dirigenziale n. 150/DIR 10 viene approvata, su richiesta dell'impresa appaltatrice Consorzio Nazionale Servizi società cooperativa/Formula Ambiente, una variante relativa all'utilizzo di un parco mezzi diverso da quello offerto in sede di gara;
    in data 4 agosto 2015, durante la seduta del consiglio comunale, l'assessore Sbizzera Lorenzo nel rispondere all'interrogazione presentata dal consigliere Schiumarini, dichiara che una serie di adempimenti contrattuali, previsti a carico dell'impresa appaltatrice, non sono stati posti in essere in quanto concordati precedentemente con l'amministrazione, specificando che alcuni di essi sono stati oggetto della variante approvata con determinazione dirigenziale n. 28 luglio 2015; tutto ciò premesso l'interrogante ravvisa le seguenti criticità:
     a) il mancato rispetto di quanto disciplinato dall'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 in materia di «ordinanze contingibili ed urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti anche in deroga alle disposizioni vigenti», che al comma 4 prevede che «le ordinanze di cui al comma 1 non possono essere reiterate per più di due volte»;
     b) il mancato rispetto di tutta una serie di adempimenti contrattuali;
     c) una valutazione delle offerte tecniche quanto meno «singolare», atteso che delle tre partecipanti alla gara solamente il Consorzio Nazionale Servizi società cooperativa supera con il punteggio di 58,38 la soglia minima di «sbarramento», fissata a 45 punti, che gli ha consentito di essere l'unica concorrente avente diritto all'apertura dell'offerta economica; delle altre 2 imprese, la Teknoservice s.r.l. ottiene 7,22 punti e la ATI Senesi — DHI 13,28;
     d) il ribasso presentato dal Consorzio nazionale servizi, società cooperativa dello 0,13 per cento sull'importo posto a base d'asta, conseguentemente, non può essere comparato con le altre offerte economiche che; come sopra detto, non sono state esaminate;
     e) vi sarebbe stata una non corretta applicazione dell'articolo 311 del decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010 (che norma le varianti introdotte dall'appaltante), che di fatto ha determinato un sostanziale ridimensionamento di quanto offerto dal Consorzio nazionale servizi con l'offerta tecnica, che era stata determinante al fine della valutazione del medesimo Consorzio e del conseguente superamento della soglia di «sbarramento», il tutto con probabili vantaggi in favore della ditta aggiudicatrice;
   infine, il Consorzio Nazionale Servizi, attraverso alcune sue affiliate quali Formula Ambiente, la 29 Giugno Cooperativa Sociale arl onlus e la 29 Giugno Servizi Società cooperativa di produzione e di lavoro, risulta coinvolto nell'inchiesta «mafia capitale», avviata dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Roma, che ha messo in luce gli intrecci fra il mondo delle cooperative, ambienti mafiosi, criminalità organizzata ed ambienti politici capitolini, fatto già evidenziato nell'interrogazione parlamentare a risposta scritta n. 4/07402 del 22 dicembre 2014, presentata dal deputato Baroni Massimo Enrico;
   un secondo aspetto che, ad avviso degli interroganti, merita l'attenzione del Governo è connesso al rispetto della normativa concernente gli affidamenti diretti «sotto soglia» di cui all'articolo 125, comma 13, del decreto legislativo n. 163 del 2006;
   la disposizione in questione stabilisce che «nessuna prestazione di beni, servizi, lavori, ivi comprese le prestazioni di manutenzione, periodica o non periodica, che non ricade nell'ambito di applicazione del presente articolo, può essere artificiosamente frazionata allo scopo di sottoporla alla disciplina delle acquisizioni in economia»;
   l'articolo 29, comma 4, del medesimo decreto legislativo, in riferimento ai metodi di calcolo del valore stimato dei contratti pubblici, stabilisce che «nessun progetto d'opera né alcun progetto di acquisto volto ad ottenere un certo quantitativo di forniture o di servizi può essere frazionato al fine di escluderlo dalla osservanza delle norme che troverebbero applicazione se il frazionamento non vi fosse stato»;
   il comune di Pomezia, con deliberazione di giunta comunale n. 176 del 10 settembre 2014, ha approvato il «piano triennale per la prevenzione della corruzione 2014-2016» (P.T.P.C.) nonché il «programma triennale per la trasparenza e l'integrità 2014-2016» (P.T.T.I.);
   l'Allegato A «Processi Rischi Misure» al P.T.P.C. nell'area di rischio «Affidamento di lavori, e servizi e forniture» individua per i seguenti procedimenti i rischi specifici da prevenire:
    4 «procedura negoziata e affidamento diretto fuori dai casi consentiti»:
     a) elusione delle regole di evidenza pubblica, mediante l'improprio utilizzo del modello procedurale dell'affidamento mediante concessione o di altre forme di affidamento diretto laddove, invece ricorrano i presupposti di una tradizionale gara di appalto;
     b) frazionamento artificioso degli appalti finalizzato ad eludere la norma sulla soglia limite per l'uso della procedura negoziata o delle procedure;
    7 «affidamenti diretti o tramite gara ufficiosa sotto la soglia stabilita dall'articolo 125 Codice dei Contratti»:
     a) abuso nel ricorso agli affidamenti in economia ed ai cottimi fiduciari al di fuori delle ipotesi legislativamente previste;
     b) mancata rotazione delle ditte da invitare alle gare ufficiose;
   il comune di Pomezia con deliberazione di giunta comunale n. 16 del 18 marzo 2014 ha individuato il responsabile della prevenzione e della corruzione, ai sensi dell'articolo 1, comma 7, della legge n. 190 del 2012 nonché il responsabile della trasparenza, ai sensi dell'articolo 43 del decreto legislativo n. 33 del 2013, nella figura del segretario comunale;
   al riguardo, si evidenzia quanto segue:
    in data 15 ottobre 2014 il dirigente del settore lavori pubblici ha adottato le determinazioni n. 312/2014, n. 313/2014 e 314/2014, aventi ad oggetto «lavori di completamento della strada di collegamento tra Via F.lli Bandiera e Via del Mare»;
    i lavori in questione sono stati affidati tutti alla ditta Fiorentini Appalti s.r.l. attraverso la procedura di cui all'articolo 125, comma 8, del decreto legislativo n. 163 del 2006, ovvero attraverso la procedura del cottimo fiduciario;
    gli importi dei suddetti affidamenti sono pari rispettivamente ad euro 37.897,31, euro 38.210,14 ed euro 37.966,95, I.V.A. esclusa, quindi rientranti tutti nella fattispecie disciplinata dall'articolo 125, comma 8, sopra richiamato, il quale prevede che «per lavori di importo inferiore a quarantamila euro è consentito l'affidamento diretto da parte del Responsabile del Procedimento»;
    dalle determinazioni in questione non viene evidenziato se i suddetti affidamenti siano stati valutati quali lavori complementari ai sensi dell'articolo 57, comma 5, del decreto legislativo n. 163 del 2006, non compresi nel progetto iniziale «Lavori di completamento della strada di collegamento tra Via F.lli Bandiera e Via del Mare» e se a seguito di una circostanza imprevista siano diventati necessari all'esecuzione dell'opera;
   in data 28 novembre 2014 viene presentata una interrogazione diretta al sindaco e al segretario generale, in qualità di responsabile della prevenzione e della corruzione nonché di responsabile della trasparenza, con la quale si chiede di conoscere:
    se, in merito alle suddette determinazioni dirigenziali, sia stata effettuata dal responsabile della prevenzione e della corruzione la verifica del rispetto di quanto stabilito nel piano triennale per la prevenzione della corruzione 2014-2016 e nel programma triennale per la trasparenza e l'integrità 2014-2016, adottati dal comune di Pomezia con deliberazione di giunta comunale n. 176 del 10 settembre 2014;
    se il responsabile della prevenzione e della corruzione abbia riscontrato eventuali ulteriori procedure che potrebbero risultare in contrasto con quanto previsto da P.T.P.C., con particolare riferimento alle prescrizioni relative agli affidamenti diretti di lavori di cui all'Allegato A «Processi Rischi Misure» – Area di Rischio «Affidamento di lavori, e servizi e forniture» processo 4 – lettera a) e b) e 7 – lettera a) e b);
   in data 23 dicembre 2014 con nota protocollo n. 113357 il segretario generale rispondendo all'interrogazione in oggetto, non entrando in merito alle questioni poste, rinvia alla relazione sul controllo successivo di regolarità amministrativa che verrà redatto a gennaio 2015;
   in data 22 dicembre 2015 con nota protocollo n. 111266 il segretario generale, in ottemperanza a quanto previsto dall'articolo 142 del TUEL e dal regolamento comunale sui controlli interni, redige una «relazione sul controllo successivo regolarità amministrativa del I e II quadrimestre 2015», nella quale afferma quanto segue «dalle risultanze del controllo emerge che rispetto al controllo di regolarità amministrativa effettuato nell'anno 2014, non si è registrato un significativo miglioramento complessivo della qualità degli atti prodotti, né una maggiore conformità agli indicatori di controllo riportati nelle schede utilizzate nell'anno 2014;
   una terza questione riguarda le modalità e i criteri per l'accesso ai fondi stanziati per il pagamento dei debiti certi, liquidi ed esigibili;
   il decreto-legge n. 35 dell'8 aprile 2013, convertito dalla legge n. 64 del 6 giugno 2013, avente ad oggetto «disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali», ha fissato le modalità e i criteri attraverso i quali le pubbliche amministrazioni potessero accedere al fondo stanziato per il rimborso dei debiti certi, liquidi ed esigibili alla data del 31 dicembre 2012; nello specifico:
    all'articolo 1 «sono esclusi dai vincoli del patto di stabilità interno per un importo complessivo di 5.000 milioni di euro i pagamenti sostenuti nel corso del 2013 dagli enti locali:
     a) dei debiti in conto capitale certi, liquidi ed esigibili alla data del 31 dicembre 2012;
     b) dei debiti in conto capitale per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il 31 dicembre 2012, ivi inclusi i pagamenti delle province in favore dei comuni;
     c) dei debiti in conto capitale riconosciuti alla data del 31 dicembre 2012 ovvero che presentavano i requisiti per il riconoscimento entro la medesima data, ai sensi dell'articolo 194 del decreto legislativo n. 267/2000»;
   all'articolo 1-bis «sono altresì esclusi dai vincoli del patto di stabilità interno i pagamenti di obbligazioni giuridiche di parte capitale verso terzi assunte alla data del 31 dicembre 2012, sostenuti nel corso del 2013 dagli enti locali e finanziati con i contributi straordinari in conto capitale di cui all'articolo 1, commi 704 e 707, della legge 27 dicembre 2006, n. 296»;
   all'articolo 6, comma 1, avente ad oggetto «altre disposizioni per favorire i pagamenti delle pubbliche amministrazioni» testualmente si prevede: «i relativi pagamenti sono effettuati dando priorità, ai fini del pagamento, ai crediti non oggetto di cessione pro soluto, tra più crediti non oggetto di cessione pro soluto il pagamento deve essere imputato al credito più antico, come risultante dalla fattura o dalla richiesta equivalente di pagamento ovvero da contratti o da accordi transattivi eventualmente intervenuti fra le parti»;
   in data 6 giugno 2013 il subcommissario prefettizio di Pomezia, in attuazione di quanto previsto dal decreto-legge n. 35 del 2013, emanava la deliberazione n. 111 avente ad oggetto «criteri e linee di indirizzo per la predisposizione delle transazioni ex articolo 239 del decreto legislativo n. 163/2006»;
   in data 24 giugno 2013 la giunta comunale con deliberazione n. 126, revocando l'atto del subcommissario prefettizio, fissava nuovi criteri per l'applicazione del decreto-legge n. 35 dell'8 aprile 2013;
   in data 26 giugno 2013 il dirigente del servizio finanziario del comune di Pomezia, con nota protocollo n. 54809 inviata al sindaco, alla giunta, al collegio dei revisori dei conti e per conoscenza al segretario generale, denunciava la criticità della deliberazione assunta dalla giunta il 24 giugno, evidenziando la non rispondenza dei criteri fissati con quelli previsti dall'articolo 6, comma 1, del decreto-legge n. 35 del 2013;
   in data 3 luglio 2013 protocollo n. 57015 il sindaco inviava una nota di risposta al responsabile del servizio finanziario, con la quale, manifestando la propria sorpresa in merito al comportamento dello stesso, denunciava la mancanza di professionalità e diligenza richiesta a chi ricopre incarichi dirigenziali, richiamando precedenti atti amministrativi sui quali il dirigente stesso non avrebbe operato con la stessa professionalità e diligenza, tanto che la giunta con deliberazioni n. 125 e 128 del 2013 ha proceduto all'annullamento di quegli atti; la nota termina mettendo in discussione lo stesso rapporto fiduciario che deve sussistere tra dirigente e capo dell'amministrazione;
   sempre in data 3 luglio 2013 con protocollo n. 57017, il collegio dei revisori dei conti inviava una nota al sindaco, alla giunta comunale, al dirigente dei servizi finanziari, al segretario generale, con la quale in merito alla deliberazione di giunta comunale n. 126 del 24 giugno 2013 evidenziava quanto segue: «non sembra evincersi dal decreto legge n. 35 dell'8 aprile 2013, convertito con legge n. 64 del 6 giugno 2013, la possibilità di operare con discrezionalità»;
   in data 11 settembre 2013 la commissione consiliare trasparenza, controllo e garanzia invitava il dirigente dei servizi finanziari a riferire in merito alle modalità di liquidazione della prima parte del prestito pari a 28 milioni di euro; in quella seduta il dirigente dei servizi finanziari mostrava ai componenti della commissione atti, lettere ed e-mail con le quali la giunta indicavano allo stesso le modalità e l'elenco dei creditori da liquidare;
   in data 24 settembre 2013, durante una nuova riunione della Commissione trasparenza, controllo e garanzia, preso atto delle dichiarazioni del dirigente dei servizi finanziari, delle diverse note a firma dello stesso e di quella dei revisori dei conti del 3 luglio 2013, veniva presa la decisione di inoltrare la suddetta documentazione, nonché i relativi verbali della Commissione agli organi competenti al fine di fare chiarezza nella applicazione della normativa in questione;
   in data 15 ottobre 2013, in attuazione di quanto determinato dalla Commissione trasparenza con nota n. 87191/ComTra del 15 ottobre 2013 la documentazione sopra richiamata viene inviata al Ministero dell'economia e delle finanze, alla Corte dei Conti, alla prefettura di Roma, alla Cassa depositi e prestiti, alla procura della Repubblica presso il tribunale di Velletri;
   sembrerebbe evidenziarsi da parte dell'amministrazione comunale di Pomezia un mancato rispetto delle procedure e dei criteri fissati dal decreto-legge n. 35 del 2013 nel procedere ai pagamenti dei debiti certi ed esigibili della pubblica amministrazione alla data del 31 dicembre 2012 e ciò sembrerebbe aver determinato una conflittualità tra il dirigente dei servizi finanziari del comune e l'amministrazione comunale, nonché una presa di posizione da parte dei revisori dei conti che vede mettere in dubbio l'operato dell'amministrazione comunale –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa;
   alla luce delle anomalie e delle criticità sopra descritte, se il Governo non ritenga che sussistano i presupposti per promuovere una indispensabile e mirata verifica da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica della ragioneria generale dello Stato al fine di fare chiarezza in ordine alla situazione contabile e finanziaria dell'ente e all'operato dell'amministrazione comunale. (4-11956)


   TERZONI, MASSIMILIANO BERNINI e BENEDETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 agosto 2015, sulla Gazzetta Ufficiale n. 187, è stata pubblicata la legge 7 agosto 2015, n. 124, recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche»;
   l'articolo 8, comma 1, lettera a), prevede, tra l'altro, l'eventuale assorbimento del Corpo forestale dello Stato in altra forza di polizia;
   il Consiglio dei ministri nel corso della riunione n. 101 del 20 gennaio 2016 ha approvato, in esame preliminare, un decreto legislativo – non ancora reso noto ufficialmente nel suo contenuto – recante tra l'altro l'assorbimento del Corpo forestale dello Stato nell'Arma dei carabinieri;
   in data 19 gennaio 2016 i sindacati del Corpo forestale dello Stato Sapaf, Ugl Unione Generale Lavoratori Cfs, Snf, Fns-Cisl, Fp Cgil Cfs, Dirfor hanno inviato – via posta elettronica certificata – una lettera indirizzata al Ministro interrogato e all'Ispettorato generale per gli ordinamenti del personale e l'analisi dei costi del lavoro pubblico (IGOP) del Ministero dell'economia e delle finanze, nella quale si richiama l'attenzione sugli eventuali maggiori costi dell'operazione posta in essere, sia a breve termine che a regime –:
   se i tecnici e gli uffici preposti del Ministero dell'economia e delle finanze abbiano preso visione della nota delle organizzazioni sindacali richiamata in premessa e valutato sotto il profilo economico, giuridico e della finanza pubblica l'operazione dell'assorbimento del Corpo forestale dello Stato e quali siano gli esiti della valutazione svolta. (4-11960)


   DISTASO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la grave crisi economica partita dal 2008 ha prodotto il fallimento di più 90.000 imprese; oltre il 4 per cento delle famiglie ha subito decurtazioni di reddito a causa della perdita del posto di lavoro di un loro componente; la produzione industriale è oggi più bassa di oltre il 20 per cento; vi è quasi un milione di occupati in meno;
   tutto questo ha ridotto la capacità di famiglie e imprese di ripagare i propri debiti verso le banche. Conseguentemente i crediti deteriorati delle banche hanno raggiunto circa 360 miliardi di euro, il 18 per cento del complesso dei prestiti; oltre la metà sono registrati in sofferenza e soggetti a procedure di parziale recupero lunghe e onerose. I tassi di copertura sono aumentati fino attuale 45 per cento e per le sofferenze sfiora il 60 per cento. È bene considerare che le banche a fronte delle esposizioni deteriorate detengono garanzie reali per circa 160 miliardi;
   da tempo da più parti si sostiene la necessità di interventi volti a favorire lo sviluppo di un mercato privato dei crediti deteriorati, come quello realizzato nell'estate dello scorso anno per la semplificazione delle procedure fallimentari ed esecutive per ridurre i tempi di recupero dei crediti;
   il Ministero dell'economia e delle finanze ha raggiunto recentemente un accordo con la Commissione europea su uno schema di garanzia pubblica per il debito senior derivante dalla cartolarizzazione di sofferenze da parte delle banche, accordo, che non ha ricevuto dal mercato un giudizio positivo, viste le reazioni altalenanti registrate, da valutare attentamente nei suoi contenuti e per gli effetti concreti che produrrà;
   secondo alcuni commentatori l'accordo con Bruxelles sulle sofferenze bancarie serve più per essere sbandierato a fini politici che per risolvere in qualche misura i problemi delle banche italiane. A testimonianza di quanto sopra, a parere degli interroganti, vi è la frase finale del comunicato del Ministero dell'economia e delle finanze: «L'intervento non genererà oneri per il bilancio dello Stato. Al contrario, si prevede che le commissioni incassate siano superiori ai costi e che vi sia pertanto un'entrata netta positiva». C’è da credere che il meccanismo della garanzia sia stato pensato a costi crescenti proprio per incentivare gli operatori a recuperare i crediti nel più breve tempo possibile, ossia già entro i primi tre-cinque anni dall'emissione dei titoli da parte delle società di cartolarizzazione delle sofferenze;
   la reazione negativa della borsa conferma che l'accordo con Bruxelles potrà risolvere in parte il problema solo per alcune banche, mentre il grosso del sistema – soprattutto a livello locale – continuerà a essere oppresso dalle sofferenze ed incapace quindi di riattivare il circuito del credito con grave danno per la nostra economia;
   nell'assemblea Assonim-Forex del 30 gennaio 2016 il Governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco ha esortato le banche a «migliorare la capacità di intervento sulle sofferenze», e ad assegnare alla gestione dei crediti deteriorati «risorse proporzionate alla loro rilevanza nei bilanci», adottando, «dove le dimensioni e il modello di attività lo consentano, un approccio di tipo industriale», con l'esplicita raccomandazione rivolta a chi non è in grado di fare ciò, di «affidarle a operatori specializzati con guadagni di efficienza e di efficacia»;
   sempre secondo il Governatore Visco si possono inoltre «gestire meglio quei crediti deteriorati (quasi un terzo del totale) che fanno capo a imprese in temporanea difficoltà ma con concrete possibilità di rilancio, soprattutto con il rafforzamento della ripresa economica. È essenziale a questo fine un adeguato coordinamento tra le banche finanziatrici, che preveda anche l'intervento di operatori specializzati nelle ristrutturazioni aziendali;
   in tale contesto va considerata l'esperienza della società di gestione delle attività di Napoli; 1o gennaio 1997, si realizzò il trasferimento a titolo oneroso e pro soluto delle attività problematiche del Banco di Napoli alla suddetta SGA, incaricata di gestirne il recupero. La cessione ha riguardato attività per un valore nominale pari a circa 17.400 miliardi di lire, relativi a 33 mila posizioni –:
   se, in questa fase di predisposizione della normativa conseguente all'accordo concluso con la Commissione europea sulla gestione delle sofferenze, si stia valutando, l'unica esperienza finora avutasi in Italia in materia di bad bank, ovverosia quella della Società di gestione attività (in sigla S.G.A.) con sede a Napoli, la cui attività è partita a seguito del decreto ministeriale 14 ottobre 1996 che consentì al Banco di Napoli, previa autorizzazione della Banca d'Italia, di procedere alla cessione pro soluto, a una società del gruppo, di crediti in sofferenza e comunque ad andamento anomalo;
   se il Ministero dell'economia e delle finanze e le altre istituzioni interessate stiano valutando come modificare l'originaria missione della SGA, che attualmente occupa circa 80 elementi da tempo impegnati nell'attività di recupero dei crediti in sofferenza, che ha consentito recuperi di crediti per complessivi 6 miliardi di euro, al fine di consentirle di gestire – direttamente o con scorporo del ramo d'attività rappresentato dalla struttura dedicata al recupero – i crediti affidati dalle società di cartolarizzazione che andranno a costituire singole banche o gruppi, considerato che una gestione indifferenziata e non specializzata dei crediti problematici nell'ambito delle stesse banche comporta spesso un elevato differenziale negativo di efficacia ed efficienza, riducendo la capacità di realizzo dei relativi incassi;
   se, si terrà conto delle raccomandazioni del Governatore Visco riportate in premessa circa la professionalità e l'esperienza con le quali devono essere gestite le diverse fasi del recupero stragiudiziale e legale dei crediti problematici delle banche, specie di quelli verso imprese sanabili, al fine di preservarne i valori aziendali ed i posti di lavoro, utilizzando la positiva esperienza della Società di gestione attività sicuramente da annoverare tra gli «operatori specializzati», indicati dal Governatore, da utilizzare per la gestione dei crediti problematici delle banche, specie quelli verso le imprese, che verrebbero irrimediabilmente distrutte nel caso in cui fossero attivate azioni di recupero aggressive dei crediti, dirette a realizzare i crediti medesimi nel più breve tempo possibile, sotto la spinta di orientamenti di pronto realizzo e di breve termine nella delicata azione di recupero, evitando il rischio di lasciare tale mercato sotto il controllo esclusivo degli investitori esteri, soprattutto di quelli a carattere fortemente speculativo. (4-11962)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   MUCCI, BARBANTI, PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel corso di una visita effettuata il 7 gennaio 2016 presso l'istituto penale minorile regionale «Siciliani» di Bologna la prima firmataria del presente atto ha personalmente rilevato almeno due forte criticità strutturali che finiscono per avere pesanti e gravi ripercussioni nei confronti sia dei minori che del personale che ivi lavora;
   la prima carenza riguarda il tetto, danneggiato dalle copiose nevicate del 2011 e dal territorio del 2012;
   il tetto è stato puntellato con un intervento organizzato dalla direzione dell'istituto attraverso un'opera di contenimento che al momento rende comunque inagibile il secondo piano della struttura;
   nell'edificio che ospita i minori, il piano terra è diviso tra uffici e ambulatori, mentre il primo e il secondo piano, identici per planimetria, sono divisi in celle e aule laboratorio. Lo spazio a disposizione dei minori è così dimezzato;
   per quanto al momento sia inagibile, il secondo piano ospita comunque piccoli depositi in uso al personale di servizio, come una stanza adibita al ricovero degli pneumatici invernali della polizia penitenziaria. È pacifico come una nuova abbondante nevicata possa compromettere l'intervento di manutenzione effettuato;
   la seconda carenza concerne l'area verde, limitata ora a un solo campetto da calcio e accessibile attraverso un camminamento insicuro, quando invece il perimetro utilizzabile sia molto più ampio, considerato che, a causa dell'incuria, calcinacci, piccoli depositi in lamiera riducono l'area a disposizione;
   è stato predisposto un progetto di riqualificazione dell'area, ma non è chiaro se la direzione dell'istituto sia in attesa di finanziamenti o del «via libera» –:
   se non intenda intervenire affinché i lavori di sistemazione strutturale degli edifici interessati siano eseguiti nel più breve tempo possibile;
   se abbia conoscenza delle condizioni strutturali dell'edificio e se sia stata monitorata l'opera che attualmente garantisce il sostegno del tetto verificando se questa sia in grado di permanere in attesa di un cantiere di ristrutturazione;
   a che punto sia l'esecuzione del progetto di ripristino dell'area verde e con quali modalità e tempi si intenda realizzare il medesimo progetto. (4-11940)


   MATTEO BRAGANTINI, CAON, MARCOLIN e PRATAVIERA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'inizio di questo nuovo anno è, anche per la città di Verona, profondamente segnato dalla commissione di reati da parte di immigrati;
   il capoluogo scaligero, come molti altri centri, grandi e piccoli italiani, hanno approntato strutture di accoglienza per ospitare stranieri richiedenti asilo politico. Così, uno dei primi richiedenti asilo è stato arrestato, a Verona, a seguito della denuncia di due ragazze minorenni. I fatti sono accaduti la mattina del 2 dicembre 2015. Due studentesse, come tutti i giorni, salgono sull'autobus che da Garda le porterà a scuola a Verona, si siedono vicino e, alla fermata successiva salgono un gruppo di immigrati: «.... E due di loro si sono avvicinati – queste le parole delle due ragazze che, dopo aver sporto denuncia, hanno rilasciato alle forze dell'ordine – uno ha iniziato a toccare me, il secondo la mia amica, mentre gli altri stranieri facevano “muro”»;
   una volta identificati, i due immigrati sono stati tratti in arresto con l'accusa di violenza sessuale su minore. Si tratta di John Saturday, nigeriano di 32 anni, ospite di un hotel a Bussolengo, che è stato fermato il 9 gennaio 2016. Nell'interrogatorio di convalida questi ha respinto tutte le accuse, affermando che lui su quell'autobus si trovava perché diretto in questura per regolarizzare i documenti in attesa di ottenere l'asilo;
   il prefetto, dopo il riconoscimento e la convalida dell'arresto, gli ha revocato il permesso speciale ma questi, comunque, rimarrà in Italia, anche se per il momento rinchiuso in cella;
   il fatto ha inevitabilmente scatenato le ire di molti e le forti polemiche del sindaco di Verona il quale ha sottolineato come, il nostro Paese, in casi simili, non preveda l'immediata espulsione di chi delinque, affermando che: «È tempo di abbandonare il malinteso senso di buonismo e permissività che lo Stato italiano trasmette agli stranieri – comunitari e non – e ai sedicenti profughi, consentendo una sostanziale impunità a atti e comportamenti illegali che non producono effetti giudiziari come espulsioni effettive dal Paese e condanne da scontare in carcere e non a un improbabile domicilio che spesso non esiste: anche modificando i nostri codici con leggi speciali che diano a forze dell'ordine e magistratura gli strumenti necessari per fronteggiare nuove situazioni sia di terrorismo che di misoginia tipiche di altre culture che vanno duramente stroncate»;
   le parole del sindaco e le preoccupazioni di molti sembrano però essere rimaste inascoltate visto che, a qualche giorno di distanza dalle sopra citate dichiarazioni, i veronesi si sono visti rimettere in libertà il cosiddetto «boss degli accattoni», un pregiudicato di origine rom che, stando alle prove raccolte aveva ridotto in schiavitù un gruppo di cinque disabili;
   nonostante il pubblico ministero avesse chiesto l'arresto, il giudice per le indagini preliminari di Venezia lo ha rimesso in libertà affermando che: «quella attuata dall'indagato è condotta di limitata offensività...». Lo stesso il giudice per le indagini preliminari però scrive anche che lo stesso avrebbe effettuato: «ripetute minacce .... Approfittando della loro condizione fisica e psichica .... Esercitando su di loro poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà». Una contraddizione vera e propria quella di giudice per le indagini preliminari di Venezia, a parere degli interroganti che produrrà l'effetto, come affermato dallo stesso sindaco di Verona, che il pregiudicato rom potrà continuare a delinquere;
   stesso discorso vale per la scarcerazione, a fine gennaio 2016, di due rapinatori che avevano tentato una rapina a mano armata al Saval e che, dopo due giorni sono stati rimessi in libertà;
   tutti questi episodi generano preoccupazione tra i cittadini e disagi anche per numerosi stranieri presenti oramai da anni sul territorio, ben integrati e ligi alle regole del Paese in cui vivono, che si sentono sotto la lente di ingrandimento a causa di disfunzioni che devono essere rimesse nel binario della legalità –:
   di quali elementi i Ministri interrogati dispongano rispetto ai gravi fatti esposti in premessa;
   quali iniziative normative urgenti abbiano intenzione di adottare, per le rispettive parti di competenza, al fine di introdurre nel codice penale e di procedura penale disposizioni che, da un lato, diano certezza all'effettività della pena e, dall'altro, limitino il potere discrezionale dei magistrati che le devono applicare;
   quali iniziative normative concrete si intendono assumere al fine di rivedere, in termini sostanziali, l'istituto dell'asilo affinché non si verifichino più episodi di immigrati che soggiornano nel nostro Paese per lunghi periodi di tempo senza dimora, senza lavoro e senza certezza dei motivi per i quali si trovano nel nostro Paese. (4-11947)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BERGAMINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'amianto è un materiale friabile che, se esposto a fattori di deterioramento, libera spontaneamente fibre, sprigionando sostanze cancerogene nell'aria e mettendo a serio rischio la salute non solo dei lavoratori che operano su tali materiali, ma anche di tutti i cittadini che risiedono o frequentano ambienti in cui è presente amianto sotto diverse forme;
   l'utilizzo dell'amianto ha prodotto, in particolar modo fino alla fine degli anni Ottanta, una grande quantità di patologie e di decessi per quanti sono entrati in contatto con tale materiale;
   com’è noto l'inalazione di amianto, il cui uso è stato vietato in assoluto dalla legge 27 marzo 1992, n. 257, è ritenuta di grande lesività della salute e, in particolar modo, la malattia da inalazione da amianto, ovvero l'asbestosi, inserita nelle malattie professionali dalla legge 12 aprile 1943, n. 455, è ritenuta conseguenza diretta, potenzialmente mortale, e comunque sicuramente produttrice di patologie respiratorie e cardiocircolatorie ad essa correlate;
   la legge 27 marzo 1992, n. 257, riconosciuta, quindi, la pericolosità dell'amianto, ha previsto specifiche norme per la cessazione dell'impiego dell'amianto e per il suo smaltimento controllato, stabilendo il divieto di estrazione, importazione, esportazione, commercializzazione e produzione dello stesso;
   oltre alla normativa nazionale, anche l'Unione europea è intervenuta sulle minacce per la salute sul luogo di lavoro legate all'amianto. In particolare, il Parlamento europeo e il Consiglio con la direttiva 2009/148/CE del 30 novembre 2009 hanno emanato norme più stringenti in merito alla protezione dei lavoratori esposti al rischio amianto, stabilendo di aumentarne la tutela e di porre in essere azioni atte ad evitare discriminazioni nei confronti delle vittime;
   la risoluzione del Parlamento europeo 2012/20165 del 14 marzo 2013 ha successivamente esortato gli Stati membri a cooperare per un'attuazione efficace e incontrastata della normativa europea in materia di amianto e ad intensificare le ispezioni ufficiali, invitando gli Stati membri a portare avanti la progressiva eliminazione dell'amianto nel più breve tempo possibile;
   l'Ufficio internazionale del lavoro ha stimato che, ogni anno, i casi di morte dovuti all'asbesto sono circa 120.000. A livello nazionale, secondo e statistiche prodotte dall'Osservatorio nazionale amianto (Ona), i decessi per patologie asbesto correlate sono circa 5.000, in quanto 1.500 sono dovuti a casi di mesotelioma e circa 3.000 sono dovuti a neoplasie polmonari asbesto correlate;
   il dato più preoccupante, oltre ai dati statistici, è quello che la comunità scientifica nazionale ed internazionale ha rilevato nel periodo che va dal 2020 al 2025. In quell'arco temporale, infatti, si registrerà il picco di patologie asbesto correlate;
   durante la Conferenza governativa sull'amianto e le patologie asbesto correlate, tenutasi a Venezia dal 22 al 24 novembre 2012, è stata rilevata la presenza di oltre 40 mila siti con presenza di amianto in Italia, di cui 400 a rischio molto alto. Sullo stato di attuazione della legge 27 marzo 1992, n. 257, è stato evidenziato che la progressione delle bonifiche dell'amianto presente in Italia ammonta a solo l'1 per cento all'anno e che avanzando con questo ritmo saranno necessari almeno 60 anni di lavoro;
   nel corso della seconda conferenza internazionale dell'Osservatorio nazionale amianto, tenutasi alla Camera il 20 marzo 2014, è emersa la necessità di un piano amianto alternativo a quello governativo, che miri in maniera più decisiva alla prevenzione primaria, alla ricerca scientifica, alla interdizione dei crimini ambientali lesivi della dignità e dell'incolumità della persona e che, attraverso la valorizzazione delle associazioni e delle autonomie locali, possa permettere di affrontare e risolvere tale problematica;
   nonostante le sanzioni per l'inosservanza degli obblighi e dei divieti in merito all'utilizzo dell'amianto previsti all'articolo 15 della legge 27 marzo 1992, n. 257, e dai diversi moniti provenienti dall'Unione europea, ad oggi, vi sono ancora migliaia di tonnellate di fibre di amianto e di cemento-amianto non solo negli edifici privati, ma anche in quelli pubblici;
   il Consiglio nazionale delle ricerche ha stimato che vi sono oltre 32 milioni di tonnellate di cemento-amianto da dover ancora bonificare e 2,5 miliardi di metri quadri di coperture esposte agli agenti atmosferici. Inoltre, il 60 per cento del materiale dismesso viene regolarmente inviato all'estero sostenendo, dunque, costi molto elevati a causa della mancanza di discariche specializzate;
   una delle regioni più colpite dall'utilizzo dell'amianto è la Toscana. In particolare, i dati più recenti contenuti nello studio dell'Ipso del 2011 (Rapporto sulla casistica 1988-2011) hanno rilevato che Livorno e Massa Carrara sono in testa alla classifica per il numero dei morti da cancro alle membrane (malattia attribuibile unicamente all'amianto);
   dalle mappature svolte dall'Arpat (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana) emerge chiaramente come gli edifici in cui è stata segnalata la presenza di amianto siano ancora moltissimi e il dato ancora più preoccupante è che la maggior parte di questi edifici sono pubblici;
   nelle mappature di cui sopra è stata altresì segnalata la presenza di amianto in numerosi uffici postali della regione Toscana;
   da ultimo, nel settembre 2015 il presidente dell'Osservatorio nazionale amianto ha sostenuto che in Toscana si sta registrando un aumento dei casi di mesotelioma, uno dei tanti cancri legati all'amianto tanto che nell'anno corrente c’è stato un aumento del 50 per cento dei casi rispetto agli anni precedenti –:
   se il Governo sia a conoscenza dell'alta presenza di amianto negli uffici postali della regione Toscana e non solo;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Governo al fine di salvaguardare la salute dei cittadini e dei lavoratori e di agevolare le necessarie bonifiche degli uffici postali italiani.
(5-07666)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la compagnia aerea Ryanair ha nei giorni scorsi annunciato un gravissimo ridimensionamento della sua presenza in Sardegna e in Italia;
   la compagnia irlandese ha denunciato di pagare 165 milioni di euro di tassa municipale per il fondo piloti Alitalia;
   la politica del Governo Renzi, per raccogliere pochi milioni di tasse, mortifica e distrugge progetti di sviluppo turistico rilevanti per territori che aveva avviato sin dal 1999 importanti azioni di crescita economica;
   con questi ulteriori balzelli le regioni perdono centinaia di milioni di spesa turistica;
   la compagnia Ryanair sin dall'arrivo in Italia ha puntato sulla promozione degli aeroporti regionali;
   con questa nuova tassa la promozione di queste aree e di questi aeroporti diventa molto più difficile;
   la decisione di Ryanair prevede: per Alghero la chiusura della base, il taglio di 8 rotte (60 per cento), la perdita di 300 mila passeggeri, 225 posti di lavoro persi;
   per Pescara la chiusura della base, il taglio di 5 rotte (70 per cento) la perdita di 250 mila clienti e 188 posti di lavoro persi;
   per Crotone la chiusura dell'aeroporto, il taglio di tutte e tre le rotte (100 per cento) la perdita di 250 mila clienti e 188 posti di lavoro persi;
   la chiusura di due delle 15 basi in Italia, di 16 rotte e di un aeroporto, con il conseguente taglio di 600 posti di lavoro e la perdita di 800 mila clienti;
   questa decisione di Ryanair è conseguenza della decisione del Governo italiano di aumentare dal 1o gennaio 2016 tasse aeroportuali di 2,5 euro;
   una nuova tassazione «illogica», perché danneggia il turismo e lo sviluppo economico;
   la nuova tassa va infatti a sussidiare il fondo per la cassa integrazione degli ex piloti della compagnia italiana;
   la presenza di Alitalia-Etihad sta di fatto distruggendo gli aeroporti regionali;
   con l'aumento della tassa municipale, che costerà complessivamente 165 milioni di euro ai passeggeri italiani, l'Italia perde un'occasione per crescere –:
   se il Governo non ritenga di dover assumere immediatamente iniziative per rimuovere i nuovi balzelli sul trasporto aereo;
   se il Governo non ritenga di dover assumere iniziative per escludere, come subordinata, dall'applicazione di tale balzello le regioni insulari già duramente gravate dal gap insulare;
   se il Governo non ritenga di dover immediatamente attivare, per quanto di competenza, rapporto diretto con la compagnia Ryanair per ripristinare e rafforzare la presenza della compagnia negli asset già in essere;
   se il Governo non ritenga di dover promuovere una strategia seria e concreta di sviluppo turistico a partire appunto dalla presenza delle compagnie low cost negli aeroporti regionali. (5-07670)


   TINO IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada provinciale n. 430 (Paestum-Policastro Bussentino) la cosiddetta Cilentana, assolve una funzione fondamentale e di indubbia valenza strategica nel sistema dei collegamenti e di mobilità non solo per la provincia di Salerno e di tutta la Campania, ma anche per l'intero Paese;
   tale strada è suddivisa in quattro tratti:
    strada provinciale 430/a innesto strada statale 18 (Paestum)-Agropoli Nord-Agropoli Sud-Prignano Cilento-Perito-Omignano (loc. Ponti Rossi)-Vallo Scalo;
   strada provinciale 430/b svincolo Vallo Scalo-Pattano-Vallo della Lucania-Ceraso-Cuccaro Vetere Futani;
   strada provinciale 430/c Futani-Massicelle-Poderia;
   strada provinciale 430/d Roccagloriosa-svincolo di Policastro Bussentino;
   a seguito del decreto legislativo n. 112 del 1998, dal 17 ottobre 2001 la gestione di tale strada n. 430, variante alla strada statale n. 18, è stata trasferita dall'ANAS alla regione Campania, che nella stessa data ha ulteriormente devoluto tali competenze alla provincia di Salerno;
   negli scorsi anni, grazie proprio all'azione della provincia di Salerno, è stata completata su quella infrastruttura una variante a scorrimento veloce, caratterizzata dalla presenza di numerosi viadotti e diverse gallerie, che da Agropoli raggiunge appunto Policastro Bussentino, velocizzando notevolmente l'intero tragitto e permettendo così di evitare il precedente, lungo e tortuoso transito nelle colline dello splendido Cilento interno;
   tale strada indubbiamente svolge la funzione essenziale di collegare ed allacciare alla rete delle strade statali, in primis alla A3 Salerno – Reggio Calabria, tutti i centri del Cilento costiero di particolare rilevanza turistica nazionale ed internazionale (a cominciare da Santa Maria, San Marco di Castellabate, Acciaroli, Palinuro, Marina di Camerota, Scario e tanti altri);
   pertanto la strada 430 serve un bacino di traffico interregionale e presenta interesse rilevante per l'economia di un'estesa area e per i collegamenti con vaste zone del territorio nazionale;
   ricorrono, quindi, le condizioni fissate dall'articolo 2, comma 6 del codice della strada n. 285 del 1992, ai fini della definizione e della classificazione delle strade;
   su tale strada, da oltre un anno, si sono verificati consistenti e ripetuti fenomeni franosi che hanno interessato diversi tratti della strada provinciale 430, con cedimenti pericolosi di viadotti e sconnessioni e deterioramenti sensibili del manto stradale;
   ne sono derivate interruzioni prolungate nel transito e nella circolazione nel tratto immediatamente successivo ad Agropoli; tali interruzioni sono da tempo e tuttora in corso, in attesa della realizzazione dei relativi e complessi lavori di messa in sicurezza di questa importante arteria stradale, con pesantissime e negative ripercussioni sui collegamenti verso l'intero Cilento costiero, con danni ingenti per tutta la economia turistica di quella estesa zona di elevato pregio paesistico ed ambientale ed assoluta eccellenza turistica; nonché per i collegamenti in tutto il Cilento, anche ai fini del raggiungimento delle più vicine strutture ospedaliere;
   questa situazione così difficile e prolungata richiede, tenendo nel giusto conto le oggettive caratteristiche e la funzione prioritaria assolta da tale strada, il trasferimento della sua gestione allo Stato attraverso l'ANAS;
   il relativo procedimento di declassificazione della strada provinciale 430 come strada attualmente provinciale con la contestuale qualificazione come strada statale è disciplinato dall'articolo 2, commi 8 e 9, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, recante il «nuovo codice della strada», nonché dagli articoli 2 e 3, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 16 febbraio 1995, n. 495, il regolamento di esecuzione e di attuazione del codice medesimo;
   sono appena iniziati e si intensificheranno nei prossimi mesi il confronto e la discussione fra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, regioni ed ANAS in merito alla destinazione della estesissima rete stradale attualmente in gestione delle amministrazioni provinciali, nell'ambito ed in vista del riordino complessivo che deve accompagnare il processo in itinere che investe la stessa esistenza ed il ruolo delle province;
   ogni decisione sulla destinazione futura della rete stradale attualmente gestita dalle province deve considerare la situazione istituzionale e finanziaria nella quale già da mesi vivono province medesime, che non dispongono da tempo delle risorse finanziarie necessarie per poter provvedere alla efficiente e tempestiva manutenzione delle tante strade ad esse affidate;
   tali enti, infatti, si trovano sempre più nella obiettiva impossibilità di fronteggiare i molteplici, continui ed onerosi compiti legati proprio al Governo, alla manutenzione ed alla cura delle strade «provinciali»;
   tale oggettiva e crescente difficoltà è causata dai consistenti e ripetuti tagli di risorse finanziarie destinate al compiuto ed integrale svolgimento delle funzioni, che pure continuano ex lege sempre a gravare sulle province;
   questa situazione non consente oggettivamente alle province – nonostante i lodevoli e meritori sforzi profusi ogni giorno da tanti amministratori provinciali – di poter provvedere alla efficiente e tempestiva gestione di tutta la rete stradale ad esse affidata;
   in questo contesto istituzionale l'ordine generale che vale per tutto il Paese, per quanto attiene in particolare alla Campania e alla provincia di Salerno andrebbe attivato e definito rapidamente il procedimento per trasferire allo Stato la gestione della rada «Cilentana» –:
   quali iniziative il Ministro interrogato, nel rapporto istituzionale con le regioni, le province e l'ANAS, intenda assumere al fine di trasferire all'Anas la gestione, la manutenzione e la cura della strada provinciale 430, che assolve una funzione di collegamento sicuramente interregionale, costituendo la porta e la via di accesso alle tante e rinomate mete del turismo nel Cilento Costiero, ricco di autentiche «perle» del turismo nazionale ed internazionale. (5-07672)


   LIBRANDI e VARGIU. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   come si è appreso da fonti di stampa, la compagnia aerea Ryanair – che negli ultimi anni è divenuto il primo vettore in Italia con 26,1 milioni di passeggeri nel 2014, quasi 3 milioni in più di Alitalia – ha deciso di interrompere 16 collegamenti italiani, in particolare da e per gli aeroporti di Alghero e Pescara e di ridurre quelli da e per Crotone, per un traffico stimato di circa 800 mila passeggeri annui;
   la decisione della compagnia irlandese, pur temperata dal contestuale incremento di rotte internazionali da e per gli scali di Roma e di Milano, comporterà gravi conseguenze sull'occupazione (circa 600 posti di lavoro andrebbero persi, senza considerare gli effetti indiretti sull'indotto), sulla mobilità degli italiani, in primis dei residenti delle regioni colpite, e sull'attrattività economica e turistica delle città interessati al taglio dei voli;
   secondo quanto dichiarato dai vertici di Ryanair, la scelta di tagliare le rotte da e per le città di Alghero, Crotone e Pescara sarebbe maturata a seguito dell'aumento di 2,5 euro a passeggero delle tasse municipali aeroportuali – introdotto dal 1o gennaio 2016 – che porta così il prelievo a 9 euro a passeggero;
   la finalità del maggior prelievo – e cioè il finanziamento del fondo speciale per gli ammortizzatori sociali aggiuntivi ai lavoratori del trasporto aereo, previsto dal provvedimento da più parti definito «decreto salva Alitalia» seppure generalizzato e rivolto all'intero comparto, ha assunto agli occhi dell'opinione pubblica la veste di un ingiustificato prelievo subito dai passeggeri aerei, in particolare quelli a più basso reddito e più portati a viaggiare su voli economici;
   a prescindere dalla vicenda dei tre scali, l'eccessivo prelievo fiscale rischia di penalizzare l'attrattività dell'Italia come meta turistica rispetto ad altre destinazioni sud-europee come Spagna, Portogallo o Grecia; non a caso, il Governo spagnolo ha bloccato ogni possibile aumento delle tasse aeroportuali fino al 2022, vedendo peraltro crescere rispetto all'Italia il numero dei passeggeri dall'Inghilterra e dalla Polonia (di tre volte) e dalla Germania (di una volta e mezza) –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per evitare che la decisione di Ryanair di tagliare 16 rotte da e per Alghero, Pescara e Crotone comprometta la mobilità di centinaia di migliaia di italiani e danneggi il tessuto imprenditoriale ed occupazionale delle tre regioni interessate;
   se la scelta di aumentare delle tasse municipali aeroportuali sia stata accompagnata da un'analisi di impatto economico e, nel caso, se siano stati valutati gli effetti del maggior prelievo sull'offerta di voli e sulla competitività dell'Italia rispetto ad altri Paesi europei;
   quali iniziative, anche di carattere normativo, il Governo intenda assumere per promuovere e rilanciare il comparto aereo in Italia, una maggiore concorrenza tra vettori e l'attrattività del nostro Paese come meta per il grande pubblico dei cosiddetti «voli low cost». (5-07675)


   PIRAS, MELILLA, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DURANTI, RICCIATTI e QUARANTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a quanto si apprende dagli organi di stampa, la compagnia aerea a basso costo Ryanair ha deciso di cancellare 16 rotte italiane. Nello specifico sarebbero soppresse le 8 rotte e la base di Alghero, le 5 rotte e la base di Pescara e le 3 rotte e l'aeroporto di Crotone, che rappresentano la totalità del traffico aereo del capoluogo di provincia calabrese (in cui Ryanair è appunto gestore unico dell'aeroporto). Come conseguenza si avrebbe la perdita di 800.000 passeggeri oltre che di 593 posti di lavoro;
   la motivazione addotta dal direttore commerciale della compagnia, David ÒBrien, sarebbe che si ritiene inaccettabile l'aumento delle tasse aeroportuali di 2,5 euro, decisa dal Governo Renzi con il decreto ministeriale del n. 357 del 29 ottobre 2015;
   suddetta tassa è volta alla implementazione del fondo per gli ammortizzatori sociali nel complesso della ristrutturazione aziendale di «Alitalia-Ethiad», generando in tal modo il paradosso per cui si richiede ad una compagnia di privata di sostituire il pubblico in una operazione che garantisce profitto esclusivamente alla partnership della azienda di Stato. In tal modo, si danneggiano gli aeroporti regionali oltre che dei servizi divenuti essenziali, anche a causa delle carenze del sistema pubblico dei trasporti;
   la decisione presa dalla compagnia sarebbe un contraccolpo decisivo per gli aeroporti di Alghero e di Pescara. Per la città sarda infatti le 8 rotte Ryanair rappresentano il 60 per cento del traffico totale, il 70 per cento invece per la città abruzzese. Il rischio conseguente sarebbe quindi la chiusura di ambedue i siti e la conseguente perdita di ulteriori posti di lavoro, diretti e nell'indotto;
   la decisione di cui in premessa sarebbe un danno enorme — diretto ed indiretto, sia in termini di servizi che in termini economici — che andrebbe ad incidere su dei territori già piuttosto fragili e segnati dalla crisi economica –:
   se il Ministro interrogato, in considerazione delle condizioni di particolare criticità delle economie locali citate in premessa, oltre che delle specificità dei contesti locali interessati, non ritenga di avviare iniziative, a carattere normativo, al fine di prevedere l'esclusione del pagamento della prevista maggiorazione per gli aeroporti di Alghero, Pescara e Crotone.
(5-07676)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   al porto di Cagliari da anni si vive un problema di sicurezza per il lavoro di circa 90 turnisti;
   la Compagnia lavoratori portuali (CLP), che avrebbe 2,4 milioni di euro di debiti, non avrebbe versato il tfr ai dipendenti;
   nell'area del terminal sta subentrando una nuova azienda la CRRT (Cagliari Ro.Ro.Terminal) la quale svolgendo attività di trazione al porto canale copre parte delle ore dei lavoratori CLP;
   l'autorità portuale a novembre 2015 aveva garantito che avrebbero coperto solo i turni dalla 7 alle 19, tre giorni a settimana, e che non avrebbero dovuto esserci interferenze operative tra aziende come prevede la legge dei porti;
   la segmentazione sarebbe dovuta avvenire a condizione che non ci fossero interferenze;
   la CRRT sta iniziando a lavorare anche nei turni diversi da quelli previsti;
   a novembre 2015 furono annunciate 31 assunzioni di lavoratori compagnia lavoratori portuali da parte di CRRT per snellirla in 3 step, 1o dicembre, 1o gennaio, 1o febbraio;
   ad oggi sono stati assunti dapprima 17 lavoratori esterni all'area portuale e solo 6 lavoratori della CLP a dicembre facenti capo a quelle fasi pattuite e poi più nulla;
   i lavoratori dopo numerosi anni, a quanto risulta all'interrogante, non avrebbero mai visto accantonato da parte dell'azienda ITERC il TFR nel fondo, nonostante dalla certificazione unica risulti accantonata la quota di TFR;
   le organizzazioni sindacali hanno chiesto all'autorità se l'azienda Iterc ha le condizioni previsti per l'articolo 16 della legge n. 84 del 1994 per operare all'interno dell'area portuale, ma non hanno avuto alcuna risposta;
   a quanto risulta all'interrogante sono stati licenziati due componenti della rappresentanza sindacale aziendale e sarebbe ostacolata la partecipazione dei lavoratori alle assemblee sindacali –:
   se non ritenga il Governo assumere iniziative, per quanto di competenza, per accertare la reale situazione dei lavoratori della compagnia lavoratori portuali;
   se il Governo non ritenga di dover assumere iniziative per garantire la continuità lavorativa e la piena sicurezza operativa di questi lavoratori;
   se il Governo non ritenga di dover accertare, per quanto di competenza, eventuali discriminazioni nei rapporti con le organizzazioni sindacali;
   se il Governo non ritenga di dover verificare, per quanto di competenza, che gli impegni assunti, in particolar modo sulla compatibilità delle società e dei lavoratori operanti, siano rispettati.
(5-07683)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GINOBLE, FUSILLI, D'INCECCO, GALPERTI, MINNUCCI, MELILLI, ANDREA ROMANO, AMATO e FERRO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la rete autostradale italiana è la rete delle autostrade presenti nel territorio della Repubblica italiana con un'estensione di circa 6.500 chilometri;
   le autostrade italiane sono gestite per la maggior parte da società concessionarie, nello specifico dal 1o ottobre 2012 l'ente concedente è il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e non più ANAS e sono in maggioranza soggette al pagamento di pedaggio;
   25 società gestiscono 5.821,5 chilometri e tra queste riveste un ruolo fondamentale la società Strada dei Parchi s.p.a. alla quale viene affidata la gestione delle autostrade A24 (Roma-L'Aquila-Teramo) di 166.5 chilometri e la A25 (Torano-Avezzano-Pescara) di 144.9 chilometri, per un totale di 281,4 chilometri;
   le due autostrade, che rappresentano non solo un servizio di pubblica utilità ma un collegamento strategico tra la dorsale tirrenica e quella adriatica della penisola, attraversano territori altamente sismici, come dichiarati dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3274 del 20 marzo 2003;
   a tal proposito la legge n. 228 del 24 dicembre 2012 (legge di stabilità 2013) all'articolo 1, comma 183, dichiara le autostrade A24 e A25 «opere strategiche per la finalità di protezione civile» e come tali impone l'adeguamento delle stesse alla normativa antisismiche e messa in sicurezza dei viadotti, di impatto ambientale e per lavori di manutenzione straordinaria, e alla normativa che disciplina la realizzazione di tutte le opere necessarie in conseguenza del sisma del 2009. Ove vengano a realizzarsi maggiori oneri per la realizzazione dei citati interventi, il Governo, fatta salva la preventiva verifica presso la Commissione europea della compatibilità comunitaria, rinegozia con la società concessionaria le condizioni della concessione;
   gli interventi di manutenzione previste dalle leggi su citate hanno indotto la società Strada dei Parchi s.p.a. alla richiesta di un aggiornamento del piano economico finanziario (PEF) che risulta essere parte integrante della convenzione, come stabilito dalla legge n. 296 del 27 dicembre 2006; esso è stato depositato l'11 ottobre 2013 con l'avallo delle regioni Lazio e Abruzzo, risulta però ancora all'esame del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   si precisa che il 31 dicembre 2015 la concessionaria Strada di Parchi s.p.a. annuncia, durante una conferenza stampa, l'aumento delle tariffe a partire dal 1o gennaio 2016 e alcuni elementi del piano di investimento presentato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nel 2013. Un progetto di 5,7 miliardi di euro di investimento e 10 mila nuovi posti di lavoro che punta a ridurre il tragitto con la realizzazione di 40 chilometri di nuove gallerie e un nuovo tracciato sull'A25 diretto da Cerchio a Bussi, attraversando la Valle Subequana;
   dal 1o gennaio 2016 la società Strada dei Parchi s.p.a. ha disposto l'aumento delle tariffe, sui tratti di competenza, del 3,45 per cento. L'aumento è il più alto autorizzato dal Governo, dopo quello concesso alla Torino-Milano, ed è ormai diventato appuntamento fisso di ogni inizio anno: 4,78 per cento nel 2010, 8,14 per cento nel 2011, 8,06 per cento nel 2012, 8,28 per cento nel 2014. La rinegoziazione delle condizioni della concessione, in base alla legge n. 228 del 24 dicembre 2012, viene fatta anche al fine di evitare un incremento delle tariffe non sostenibili per l'utenza –:
   se il Ministro interrogato intenda comunicare lo stato dei lavori istruttori relativo al piano economico finanziario della società Strada dei Parchi  s.p.a., entro quali termini sarà approvato e, se sussistano, gli ostacoli e gli impedimenti che ad oggi non hanno ancora permesso l'aggiornamento dello stesso;
   quali siano i presupposti che permettono alla società Strada dei Parchi s.p.a. di ottenere aumenti di tariffa superiori rispetto a quelli accordati alle altre concessionarie autostradali;
   se intenda fornire delucidazioni in merito alla convenzione della società in questione che trasferisce le risorse finanziarie all'ANAS anziché al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. (4-11957)


   LAFFRANCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da circa quindici anni l'area dell'ex cantiere ferroviario confinante tra i comuni di Campello sul Clitunno e Spoleto, a ridosso della strada Flaminia, versa in completo e preoccupante stato di degrado, con strutture in abbandono, materiali edili accatastati, rifiuti di vario genere, sterpaglie che infestano il terreno, cumuli di terra e materiali di risultata;
   la zona, sita nelle vicinanze delle Fonti del Clitunno, area di pregio ambientale, paesaggistico, naturale e turistico unico a livello regionale e nazionale è, dunque, uno spazio di dismissione del cantiere avviato nel 2002 per la costruzione del raddoppio della linea ferroviaria nella tratta Orte-Falconara;
   a seguito di problematiche giudiziarie e la crisi finanziaria della ditta appaltatrice, le strutture che venivano utilizzate dal personale, e quelle di servizio mensa ed uffici sono rimaste vuote ed inutilizzate per oltre dieci anni;
   visto il grave stato di degrado in cui versa la struttura e nonostante le numerose richieste, avanzate da più parti per il ripristino dei luoghi, ancora oggi da parte della Rete ferroviaria italiana non è stato disposto alcun intervento, ma soprattutto alle istituzioni locali non sono più giunte risposte ufficiali da anni;
   risulta, dunque, necessario un intervento urgente di bonifica e di messa in sicurezza dell'area interessata, anche alla luce del fatto che l'infrastruttura è considerata strategica non solo per la regione dell'Umbria ma anche per le zone della Toscana, delle Marche, del Lazio e dell'Abruzzo, ma soprattutto per il sostanziale isolamento infrastrutturale della regione Umbria, soprattutto dal punto di vista del trasporto ferroviario –:
   se i Ministri interrogati non intendano fornire gli opportuni chiarimenti circa lo stato di avanzamento dei lavori del cantiere ferroviario sito tra i comuni sul Clitunno e Spoleto nonché sul cronoprogramma attuale e futuro fornendo i relativi costi e progetti dettagliati;
   quali iniziative di competenza intendano adottare al fine di promuovere operazioni di bonifica e messa in sicurezza dell'area, entro quali tempi potranno prendere avvio tali operazioni ed a carico di quale ente e/o istituzione;
   se e come si intendano concordare tali operazioni di bonifica e messa in sicurezza con le istituzioni locali.
(4-11961)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   IACONO, CULOTTA, SCHIRÒ, ZAPPULLA, RACITI, RIBAUDO, ALBANELLA, PICCIONE, CAPODICASA, BURTONE, CURRÒ, AMODDIO, LAURICELLA, CARDINALE, GRECO e BERRETTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (II.PP.AB.) in Sicilia, versano in condizioni drammatiche sia sotto il punto di vista finanziario sia sotto il punto di vista normativo ed organizzativo;
   pur rappresentando un punto di riferimento primario e significativo in tema di assistenza sociale e pur avendo, nelle proprie piante organiche, circa 750 dipendenti pubblici gli interventi a favore di tale settore, nella regione siciliana, sono ancora scarsi;
   infatti, da più parti, si evince l'esigenza di dotare il sistema di una profonda riforma che possa consentire alle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza stesse di configurarsi come società di diritto privato e quindi confrontarsi con le sfide del mercato e pertanto offrire una maggiore gamma di servizi di assistenza e cura alla persona;
   in Sicilia, tra l'altro, vi è l'esigenza di offrire un adeguata politica d'accoglienza ai profughi ed al sempre più diffuso fenomeno dell'arrivo di migranti;
   nel recente passato, al fine di agevolare le politiche di accoglienza nei confronti dei profughi si è proceduto, così come, tra l'altro, disposto dalla legge n. 328 del 2000 a potere utilizzare le stesse istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, attraverso precise convenzioni; di recente, nonostante il fenomeno dell'immigrazione abbia assunto caratteri strutturali e drammatici, molte convenzioni non sono più state rinnovate;
   tale inadempienza, costituisce, in primo luogo, un danno diretto per le stesse istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza che attraverso tali attività potrebbero, anche se solo in parte, risolvere alcuni dei problemi finanziari e organizzativi sopra citati e, in secondo luogo, porterebbe un beneficio alle politiche di accoglienza dei profughi e dei minori;
   a questo, si aggiunga il dato che molte istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza dispongono di un patrimonio edilizio considerevole, che spesso, alla luce dell'assenza di una profonda riforma del settore rischia di essere inutilizzato o sottoutilizzato rispetto alle straordinarie potenzialità in termini di accoglienza e di servizi erogabili;
   a tutt'oggi, inoltre, non sono state stanziate dalla giunta di governo somme per un nuovo bando per il miglioramento ed il potenziamento dei servizi offerti dalle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza;
   nonostante le ripetute richieste all'assessorato competente, ad oggi non sono stati ancora insediati i tavoli di concertazione con i comuni e le organizzazioni di categoria per far fronte ai numerosi ritardi di pagamento alle strutture, pertanto appare necessario definire nuove politiche in grado di configurare una certa autonomia finanziaria, da parte delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, tale da rendere migliore il servizio stesso;
   al fine di potere determinare nuove politiche a favore delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza della Sicilia e contestualmente contribuire ad individuare soluzioni in grado di superare le emergenze e lo stato di crisi di questi anni sarebbe auspicabile agevolare, anche attraverso la formulazione di nuovi regolamenti per la gestione e di nuovi bandi l'utilizzo delle stesse istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza sotto forma di comunità alloggio per migranti –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per agevolare il coinvolgimento delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza nel sistema di accoglienza;
   se vi siano le condizioni per definire nuove convenzioni attraverso le quali, le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza possano espletare il servizio di accoglienza di profughi e migranti.
(3-01985)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'interno ha pubblicato il bando per la mobilità ordinaria dei vigili del fuoco che lavorano al Nord Italia;
   si tratta, ad avviso dell'interrogante, di un ennesimo schiaffo alle esigenze dei vigili del fuoco sardi costretti ad operare lontani da casa e dalle loro famiglie;
   le assegnazioni della mobilità alla Sardegna sono semplicemente inesistenti;
   sono stati assegnati zero posti a Cagliari, 1 posto a Nuoro, 7 a Sassari, zero ad Oristano;
   si tratta di una vera e propria vergogna considerando che i vigili del fuoco sardi che operano al Nord sono oltre 250 unità;
   tutto questo a fronte di una gravissima carenza negli organici sardi;
   la mobilità è stata pubblicata il 26 gennaio 2016 con termine di scadenza 1o febbraio 2016;
   tutto questo a fronte di una carenza minima accertata in Sardegna di oltre 60 unità nei vari comandi;
   tutto questo senza considerare il potenziamento indispensabile di almeno una unità in più a turno in tutti i distaccamenti sardi;
   il decreto dei distaccamenti volontari ha previsto l'apertura di Mandas, Cuglieri e Bono, distaccamenti che non sono stati aperti perché non si dispone di personale;
   l'apertura di questi distaccamenti sollecitati ripetutamente dalle amministrazioni comunali interessate dovrebbe comportare un incremento organico considerevole;
   la stima del numero di vigili mancanti in Sardegna non dovrebbe essere inferiore alle 150 unità;
   un distaccamento dei vigili del fuoco per tutto il Goceano è stato richiesto a gran voce dai sindaci del territorio;
   la Sardegna è l'unica regione a non disporre di un reparto di colonna mobile;
   la sua mancanza si è resa tristemente nota nei fatti dell'alluvione di Olbia del 2013;
   la colonna mobile in una regione insulare deve essere autonoma e risulta indispensabile nei casi di calamità o varia natura che coinvolgono vaste aree;
   in numerosi casi si è dovuto gravemente attendere l'arrivo di uomini e mezzi dal continente;
   dopo quei fatti, tante vittime, tante promesse e «passerelle», niente è stato fatto per dotare la Sardegna di questo indispensabile supporto di protezione civile;
   per coprire il reparto colonna mobile in Sardegna è indispensabile il 20 per cento del personale in servizio con il rischio gravissimo di smobilitare le caserme per fronteggiare emergenze –:
   se non ritenga di dover ampliare, specificatamente per la Sardegna, il bando della mobilità considerate le esigenze ordinarie della regione Sardegna e la disponibilità di vigili sardi dislocati nel nord Italia;
   se non ritenga di dover urgentemente attivare l'apertura dei distaccamenti di Mandas, Cuglieri e Bono;
   se non ritenga di dover obbligatoriamente disporre l'immediata istituzione della colonna mobile per la regione insulare della Sardegna, anche alla luce dei gravi drammi che hanno colpito la regione nel recente passato. (5-07674)


   GIANCARLO GIORDANO, PARIS e FAMIGLIETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia ed in particolare le regioni del Mezzogiorno, sono investite dalla nuova ondata migratoria proveniente soprattutto dai terribili teatri di guerra delle regioni del Medio Oriente, del nord e del centro Africa dove imperversano flagelli dalle proporzioni immani che colpiscono indistintamente milioni di persone;
   per far fronte a questa vera e propria catastrofe umanitaria l'Italia, in un contesto di collaborazione partecipata europea e internazionale, si è impegnata a svolgere responsabilmente il ruolo che gli compete;
   tale impegno è realizzato attraverso l'azione diretta del Ministero dell'interno, attraverso gli uffici territoriali di governo delle prefetture;
   quest'ultime provvedono ai sensi del decreto legislativo n. 163 del 12 aprile 2006 al fine di realizzare un'attività di prima assistenza dei cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale;
   la provincia di Avellino negli ultimi due anni si trova a fronteggiare il delicato fenomeno dell'accoglienza dei rifugiati i quali, al momento, risultano essere circa 1.100 con una previsione di progressivo incremento per i prossimi mesi fino a una quota di 1.300, dislocati in diverse strutture di prima accoglienza in 21 comuni della provincia;
   constatato che la permanenza media in questa prima fase ha raggiunto i 24 mesi, ben al di là del periodo limite delle previsioni ministeriali, si pone, con una certa urgenza, l'esigenza di favorire una migliore accoglienza materiale per una integrazione per i cittadini migranti nel contesto delle comunità locali ospitanti;
   per raggiungere questo importante obiettivo è fondamentale superare i cosiddetti «C.A.S.» per realizzare una rete altamente efficiente e professionalizzata dei soggetti gestori, in primis gli operatori delle cooperative sociali, perché la loro azione non si esaurisca in quella pur importante riservata all'accoglienza materiale perché quanto previsto nel bando e nel capitolato speciale sia compiutamente realizzato;
   senza cedere alla strumentalizzazione e al facile allarmismo, anche da verifiche sul campo effettuate una prima volta nella primavera del 2015 e in un secondo momento nel mese di gennaio 2016 da una delegazione della segreteria provinciale CGIL di Avellino presso diversi centri di accoglienza irpina, è emerso un contesto dove si palesano rilevanti limiti in parte delle strutture di accoglienza che si sono ulteriormente aggravati e che nei giorni scorsi lo stesso sindacato ha evidenziato all'opinione pubblica, inoltrano una comunicazione pubblica al prefetto di Avellino;
   in particolare, la stessa C.G.I.L. di Avellino in data 10 febbraio 2015 presentava alla procura della Repubblica presso il tribunale di Avellino un «atto di esposto e di contestuale denuncia querela» denuncia ripresa pubblicamente dalla segreteria provinciale dello stesso sindacato a cui hanno fatto eco le proteste pubbliche, anche in forme clamorose, dei migranti per evidenziare come diverse strutture risultino insufficienti nell'assicurare l'idoneità dei servizi igienici ponendo dei problemi di incolumità degli ospiti e dei frequentatori esterni;
   stando alle notizie apparse il 3 febbraio 2016, in modo diffuso sulla stampa provinciale, la procura di Avellino avrebbe aperto un fascicolo in merito mentre una decina di centri di accoglienza irpini hanno ricevuto l'ispezione dei nuclei antisofisticazioni e sanità dell'Arma dei carabinieri (N.A.S.);
   diverse strutture, tra cui quelle di Monteforte Irpino, Torelli di Mercogliano e Ospedaletto d'Alpinolo mostrano una evidente inidoneità in particolare per ciò che concerne la salubrità edilizia degli ambienti che presentano infiltrazioni e permanenza diffusa di muffe e aree permeabili all'umidità;
   la quasi totalità degli ospiti lamenta la scarsezza della qualità del cibo, rispetto agli standard minimi di civiltà;
   si registra l'assenza di personale qualificato e di esperienza funzionale alla delicata «mission» necessaria alla formazione;
   se si eccettuano alcuni centri di accoglienza, la maggior parte di essi, non presenta alcun servizio di supporto socio-psicologico di base, sempre previsto dal bando di gara, sia per l'assenza di figure professionali idonee che per l'assenza di mediatori socio-culturali con proprietà di interpretazione linguistica;
   si registra l'assenza di qualsiasi supporto informativo rispetto al loro status e alla conoscenza dei loro diritti-doveri, soprattutto nelle strutture dimensionate previste dal bando, che interessano il delicato ambito legale e amministrativo soprattutto rispetto al particolare stato di richiedenti asilo;
   si riscontra l'assenza in tutte le strutture di percorsi di impegno socialmente utili che faciliterebbero il processo di integrazione locale e l'impegno costruttivo degli immigrati che in tal modo si vedono scandire le giornate solo dalla ridondanza, spesso inadeguata, dei pasti;
   si rileva la ritardata erogazione dei « money pocket» che in alcune situazioni arriva anche a 4 mesi, in particolare per coloro che si trovano nella condizione di lasciare la struttura di accoglienza e che necessitano, pertanto, in modo indifferibile di essi sia per assicurare a costoro un minimo di comunicazione, ove possibile, con le famiglie di origine sia per provvedere alle necessarie spese farmaceutiche di «fascia C», cioè quelle a proprio carico;
   si assiste a un notevole ritardo con cui la commissione territoriale di Caserta procede alla valutazione della richiesta di protezione internazionale;
   l'esperienza dimostra che per evitare il diffondersi di fenomeni di incomprensione e di tensione, nonché di intolleranza o di devianza sociale, è alquanto fuorviante attribuire l'esclusiva responsabilità della creazione di oggettive e comprensibili situazioni di disagio, alla pericolosità o alla non capacità di adattamento degli ospiti migranti;
   i motivi di tali situazioni di difficoltà sono dovuti per lo più alla legittima rivendicazione da parte degli ospiti delle condizioni minime di accoglienza che lo Stato italiano garantisce dietro corrispettivi di finanziamenti destinati alle cooperative sociali responsabili della gestione dei centri: si fa riferimento a non funzionamento degli impianti energetici e di riscaldamento, a una corresponsione non sempre congrua e puntuale del « pocket money», a un'assenza di un tutoraggio quotidiano, soprattutto rispetto all'insegnamento e all'apprendimento della lingua italiana;
   appare opportuna la revisione dei criteri di aggiudicazione dell'appalto di gestione dei servizi che prevedono il criterio del «massimo ribasso», quindi di fatto una riduzione della qualità dei servizi e del materiale offerto, e l'eventualità del ricorso «all'affidamento diretto, anche per estensione convenzionale» supportato dalla tesi della permanenza dello stato di emergenza dovuto al continuo flusso immigratorio;
   si rende necessaria l'individuazione di una struttura istituzionale di controllo, anche territoriale, che verifichi in modo documentato e diretto la corrispondenza tra quanto indicato nella convenzione stipulata dalla prefettura per conto del Ministero dell'interno con il soggetto appaltante e l'attività realmente svolta in termini quantitativi e qualitativi (vestiario, alimentazione, servizi di assistenza, pocket money, necessario igiene personale, tessere telefoniche, insegnamento della lingua italiana, attività culturali, e altro);
   occorre responsabilizzare maggiormente i sindaci nello svolgere la loro funzione istituzionale, in particolare per ciò che concerne l'agibilità e l'idoneità delle strutture nonché la qualità della somministrazione dei pasti, la profilassi igienico-sanitaria degli ambienti e degli ospiti presenti, l'integrazione sociale;
   occorre delineare in modo più specifico la competenza di supporto e di controllo delle ASL e dei comuni anche attraverso la valorizzazione dei piani di zona sociale;
   è necessario formalizzare dei protocolli di intesa con le strutture scolastiche presenti al fine di predisporre un programma integrato per quanto riguarda gli aspetti formativi, educativi e di conoscenza culturale del territorio nonché della conoscenza della lingua italiana –:
   quali iniziative urgenti il Ministro intenda intraprendere, alla luce di quanto innanzi esposto, certamente non limitato alla sola esperienza dei centri di accoglienza allocati nella provincia di Avellino;
   se il Ministro intenda assumere iniziative per superare questa forma di accoglienza straordinaria e passare a una gestione ordinaria, modello «S.P.A.A.R.», modificando l'attuale normativa, e superando, quindi, il decreto legislativo n. 163 del 2006, che ha mostrato ampie lacune nell'applicazione e nell'erogazioni dei servizi ivi previsti. (5-07681)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   desta particolare preoccupazione l’escalation criminale a danno dei gestori di attività commerciali a cui si sta assistendo negli ultimi mesi a Salerno;
   come titolano, infatti, le principali testate giornalistiche, i locali titolari di sale scommesse, bar e tabaccherie sarebbero finiti nel mirino della criminalità: dall'inizio del 2016 sono già sei i colpi messi a segno;
   l'ultimo caso risale a fine gennaio, quando intorno alle prime ore del mattino un malvivente a volto coperto e armato di pistola si è introdotto all'interno di un noto locale della movida e si è fatto consegnare l'incasso da chi era in quel momento dietro il bancone;
   l'episodio è solo l'ultimo di una serie di atti criminali, se si considera che, in dieci giorni, ci sono state in città ben quattro rapine, tutte a mano armata e tutte ai danni di tabaccherie o sale scommesse;
   solo nella giornata del 15 gennaio, a distanza di poche ore l'uno dall'altro, sono stati messi a segno due colpi con le stesse modalità, prima nel bar dei Giovani in via San Leonardo e poi in un centro scommesse;
   tra le vittime dei malviventi è finita anche Maria Santorufo, commissaria straordinaria di Giffoni Valle Piana e dirigente del Ministero dell'interno, che qualche giorno fa, mentre passeggiava su via Lungomare Tafuri, è stata avvicinata da due persone che, in pochi secondi, le hanno strappato la borsa che portava a tracolla;
   tale grave situazione alimenta sentimenti di sconforto, paura e un diffuso senso di insicurezza nella popolazione e a pagare il prezzo più alto di un centro storico, una volta cuore pulsante del commercio cittadino, lasciato in balia dei malviventi senza scrupoli che stanno scorrazzando indisturbati, così come denunciano molti residenti e negozianti del rione, sono soprattutto i commercianti, molti dei quali, sopravvissuti alla crisi economica, hanno deciso di abbassare le saracinesche;
   nonostante il riconosciuto e apprezzato contributo delle forze dell'ordine, la carenza di personale di polizia, vittima dei durissimi tagli, del blocco stipendiale e del blocco del turn-over che costringe il comparto sicurezza a un organico molto al di sotto delle reali necessità, registra ormai da tempo i suoi effetti nei, più volte denunciati, fatti di cronaca che interessano da tempo il territorio salernitano –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative anche di carattere normativo intendano assumere, in materia di prevenzione, controllo del territorio e contrasto alla criminalità organizzata affinché venga tutelata la sicurezza dei commercianti e cittadini di Salerno, soprattutto attraverso un effettivo rafforzamento, sia dei presidi dello Stato, con un incremento di supporto alle forze dell'ordine e ai militari, sia delle disposizioni normative in materia di repressione penale. (4-11939)


   GREGORIO FONTANA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   all'articolo 1-bis del decreto-legge 22 agosto 2014, n. 119, contenente «Disposizioni urgenti in materia di contrasto a fenomeni di illegalità e violenza in occasione di manifestazioni sportive, di riconoscimento della protezione internazionale, nonché per assicurare la funzionalità del Ministero dell'interno», convertito, con modificazioni dalla legge 17 ottobre 2014, n. 146 (Gazzetta Ufficiale 21 ottobre 2014, n. 245; entrata in vigore del provvedimento 23 agosto 2014) a seguito di emendamento presentato dal sottoscritto, si dispone quanto segue: «Con decreto del Ministro dell'interno, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, l'Amministrazione della pubblica sicurezza avvia, con le necessarie cautele per la salute e l'incolumità pubblica e secondo principi di precauzione e previa intesa con il Ministro della salute, la sperimentazione della pistola elettrica Taser per le esigenze dei propri compiti istituzionali»;
   il provvedimento di cui sopra è stato adottato in quanto la pistola elettrica Taser contribuisce a ridurre i rischi per l'incolumità personale degli agenti e allo stesso tempo a ridimensionare drasticamente il numero delle vittime nelle operazioni di pubblica sicurezza, come dimostra l'esperienza dei differenti Paesi nei quali tale arma è già in dotazione;
   da parte di associazioni delle forze dell'ordine viene da tempo sollecitata l'adozione di procedure idonee a fornire agli operatori della pubblica sicurezza armi non letali, che consentano all'agente di contrastare comportamenti aggressivi e criminali senza esporsi alle nefaste conseguenze che possano derivare dall'uso di armi da fuoco;
   recenti episodi di cronaca dimostrano l'utilità di prevedere la possibilità per i privati di disporre di una tale arma nella propria abitazione, al fine di avere la possibilità di contrastare eventuali aggressioni e intrusioni, senza mettere a repentaglio la vita altrui;
   la pistola Taser è da considerarsi, in base alla normativa italiana, arma propria diversa dall'arma da fuoco, per cui la sua detenzione e il suo utilizzo da parte di privati soggiacciono alla medesima disciplina prevista per quel tipo di arma;
   la suddetta pistola è di difficile reperibilità italiana e non risultano, al momento, regole o protocolli per il suo acquisto, la sua detenzione e il suo uso –:
   quali iniziative abbia adottato il Ministro per dare attuazione a quanto disposto nel citato articolo 1-bis del decreto legge n. 119 del 2014;
   se il Ministro non ritenga opportuno attivarsi, per quanto di propria competenza, affinché venga fatta chiarezza in merito all'acquisto, alla detenzione e all'utilizzo della pistola Taser, in quanto arma propria diversa dall'arma da fuoco, in modo da consentire ai privati di tenerla nella propria abitazione, al fine di proteggere la propria o altrui incolumità nonché i beni propri o altrui, in presenza di minacce e aggressioni, in alternativa alle tradizionali armi da fuoco. (4-11942)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il problema della sicurezza negli scali ferroviari è balzato, purtroppo, ancora una volta, agli onori della cronaca per un grave atto di violenza verificatosi il 10 gennaio 2016, mentre il regionale 7901 di Trenitalia, proveniente da Mercato San Severino e diretto a Buccino, stava raggiungendo la stazione di Eboli;
   secondo quanto riportato dalle cronache locali, il capotreno si era avvicinato a un gruppetto di immigrati di origine nigeriana per il controllo del titolo di viaggio ed essendone questi sprovvisti, il dipendente ha intimato loro, probabilmente per evitare sanzioni, di abbandonare il mezzo;
   tale richiesta avrebbe scatenato l'ira degli stranieri che hanno prima iniziato a spintonarlo e poi a colpirlo in modo violento con pugni e calci, mentre uno di loro trovava anche il tempo di filmare la scena con il suo cellulare;
   la violenta aggressione, iniziata all'interno della carrozza del treno, è addirittura proseguita sul piazzale dello scalo, creando panico tra gli altri passeggeri;
   sul posto sono immediatamente intervenuti i carabinieri della stazione di Eboli e solo la presenza massiccia delle forze dell'ordine ha consentito, oltre che di bloccare in tempi rapidi gli immigrati, anche di tranquillizzare i passeggeri visibilmente scossi;
   il capotreno è stato trasportato al pronto soccorso del nosocomio ebolitano ed è stato dimesso con una prognosi di dieci giorni, conseguenza di un trauma facciale causato dai colpi ricevuti;
   i tre aggressori nigeriani, profughi ospiti di un centro di accoglienza a Sicignano, sono stati arrestati dai carabinieri con l'accusa di lesioni, minacce a pubblico ufficiale e interruzione di pubblico servizio;
   nonostante la pericolosità sociale dimostrata e la flagranza di reato, i tre profughi nigeriani sono stati messi ai domiciliari, peraltro nello stesso centro di accoglienza Park Hotel di Sicignano degli Alburni;
   l'episodio di violenza, solo l'ultimo in ordine temporale, ha riproposto, semmai ce ne fosse stato bisogno, il problema della sicurezza dello scalo ferroviario cittadino, ridotto a una semplice fermata senza personale e senza un posto di polizia che, soprattutto nelle ore serali, diventa un luogo pericoloso perché buio e privo anche di un minimo sistema di videosorveglianza;
   in diverse occasioni l'interrogante ha denunciato la necessità di potenziare fortemente i controlli e i sistemi di sicurezza all'interno e all'esterno delle stazioni ferroviarie –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative intenda assumere per soddisfare l'esigenza di maggiore sicurezza all'interno e all'esterno delle stazioni ferroviarie, introducendo sistemi di controllo analoghi a quelli presenti negli scali aeroportuali;
   se non ritenga necessaria l'adozione di iniziative normative volte a garantire la permanenza in carcere degli autori di atti di violenza ai danni di un pubblico ufficiale, con la previsione per gli stranieri, al termine dell'esecuzione della pena, dell'immediata espulsione degli stessi e del loro rimpatrio nel Paese di origine e della revoca dello status di protezione internazionale. (4-11945)


   TAGLIALATELA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il tifo per una squadra di calcio spesso si identifica nei colori di una maglia o negli stemmi presenti all'interno di sciarpe o bandiere che vengono utilizzati come simbolo di aggregazione o come strumento per identificare le proprie radici;
   sono per questo immotivate talune scelte che mirano a discriminare la simbologia di determinate tifoserie, qualora questa non leda i princìpi del rispetto reciproco e della sicurezza;
   è il caso del sequestro sistematico che sta avvenendo all'interno dello Stadio San Paolo di Napoli di sciarpe e bandiere che presentano lo stemma del Regno di Napoli;
   la questura di Napoli ha, infatti, comunicato ufficialmente il divieto di esporre bandiere o di portare sciarpe che portino unicamente la simbologia del Regno di Napoli, senza che ad essa sia associata quella della squadra di calcio, in occasione delle competizioni del Calcio Napoli;
   tale disposizione della questura ha determinato e continua a determinare il sequestro di sciarpe e bandiere da parte della polizia ai tifosi che si recano allo stadio e che non sono informati del divieto;
   quest'ultimo, peraltro, appare ispirato da una logica del tutto incomprensibile, posto che i vessilli con la simbologia del Regno di Napoli non rappresentano né un rischio alla sicurezza, né un inneggiamento all'odio o alla violenza, ma esprimono esclusivamente l'appartenenza ad un dato territorio;
   nella nota della questura non si fa riferimento ad alcuna disposizione normativa o amministrativa posta a motivazione del provvedimento e, anzi, il gruppo operativo sicurezza che vigila sulle competizioni calcistiche ha chiarito che i simboli storici sono ammessi;
   si tratta di sequestri immotivati che, a giudizio dell'interrogante, rappresentano una vera e propria discriminazione nei confronti del popolo napoletano;
   in seguito ai sequestri di bandiere e sciarpe con lo stemma del Regno delle Due Sicilie avvenuti domenica 31 gennaio 2016 in occasione della partita Napoli-Empoli il Movimento Neoborbonico ha incaricato i propri legali di procedere «in sede amministrativa e penale» nei confronti dei responsabili;
   la pratica di esporre simboli della tradizione storica di determinate città o regioni in occasioni delle partite delle locali squadre di calcio è diffusa in tutta Italia, basti pensare che nel Veneto si può liberamente sventolare la bandiera della Repubblica di Venezia, o a Milano quella del Ducato –:
   quali siano le norme o le disposizioni di carattere amministrativo che motivano il provvedimento della questura di cui in premessa. (4-11949)


   NACCARATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il prefetto di Treviso ha emesso un provvedimento di interdittiva antimafia nei confronti di Gerardo Palumbo, cinquantatré anni, originario di Grazzanise, in provincia di Caserta, titolare di un'impresa edile nel comune di Vedelago, in provincia di Treviso;
   il provvedimento, che non è stato impugnato, provoca l'estromissione dell'impresa e dell'imprenditore da qualsiasi attività con la pubblica amministrazione;
   secondo l'autorità giudiziaria l'uomo sarebbe legato alla criminalità organizzata e in particolare al clan dei Casalesi;
   nel 2013 l'uomo era stato coinvolto nelle indagini e poi arrestato per gli attentati dinamitardi ad alcune caserme dei carabinieri in Campania;
   in seguito, dopo la condanna di primo grado, anche l'impresa, che nel frattempo aveva aperto una sede in provincia di Treviso è stata raggiunta dall'interdittiva;
   l'interdittiva emessa a Treviso segue quelle nei confronti della Nicofer di Moreno Nicolis, di Verona, della Grika costruzioni srl di San Bonifacio, di Maria Anna Vaccaro, titolare di una tabaccheria a Verona, e di Francesco Piserà, titolare di attività di ristorazione ed alberghiere in provincia di Verona;
   le organizzazioni criminali penetrano le imprese locali attraverso capitali di provenienza illecita, con l'obiettivo di riciclare i proventi dell'attività criminale e di utilizzare le imprese per partecipare ad appalti pubblici, inquinando la concorrenza e danneggiando le imprese oneste;
   queste interdittive, insieme alle inchieste che hanno coinvolto numerose aziende venete, sono la conferma della presenza della criminalità organizzata in Veneto, attraverso un sistema radicato costituito da imprenditori e professionisti che da anni conducono attività economiche apparentemente legali, in stretta relazione con le principali organizzazioni criminali;
   l'attività delle autorità competenti contro la criminalità organizzata è intensa e sta raggiungendo risultati positivi, ma la presenza dei gruppi mafiosi è stata oggetto negli ultimi anni di pericolose sottovalutazioni che hanno favorito l'insediamento e il radicamento dei clan e il rafforzamento delle attività illecite;
   per queste ragioni è necessario mantenere un elevato livello di attenzione e un diffuso controllo del territorio per prevenire e contrastare la criminalità organizzata attraverso un aumento degli organici dell'autorità giudiziaria e un potenziamento degli strumenti a disposizione delle forze dell'ordine –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti;
   in che modo il Ministro intenda attivarsi, per quanto di competenza, per prevenire e contrastare la presenza della criminalità organizzata in Veneto.
(4-11952)


   DAGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalla stampa che l'11 aprile 2015, sulla base di una richiesta del legale di Casapound, nel contesto della causa civile tra la figlia di Ezra Pound e lo stesso movimento di estrema destra CasaPound, che chiedeva al giudice di acquisire informazioni sulla natura del gruppo politico è stata depositata una nota della direzione centrale della polizia di prevenzione che porta con sigla in calce del direttore centrale, il prefetto Mario Papa;
   nella relazione si legge: «lo stile di militanza fattivo e dinamico ma rigoroso nelle rispetto delle gerarchie interne» e che ha l'obiettivo «di sostenere una rivalutazione degli aspetti innovativi e di promozione sociale del ventennio» e ancora «la tutela delle fasce deboli attraverso la richiesta alle amministrazioni locali di assegnazione di immobili alle famiglie indigenti, l'occupazione di immobili in disuso, la segnalazione dello stato di degrado di strutture pubbliche per sollecitare la riqualificazione e la promozione del progetto “Mutuo Sociale”»;
   e ancora si legge: «Il sodalizio organizza con regolarità, sull'intero territorio nazionale, iniziative propagandistiche e manifestazioni nel rispetto della normativa vigente e senza dar luogo ad illegalità e turbative dell'ordine pubblico». E se in effetti ci sono «all'interno del movimento militano elementi inclini all'uso della violenza, intesa come strumento ordinario di confronto e di affermazione politica oltre che quale metodo per risolvere controversie di qualsiasi natura», la colpa è anche della sinistra radicale che «sotto la spinta del cosiddetto “antifascismo militante” non riconosce il diritto alla agibilità politica alle formazioni di estrema destra»;
   sono molti gli episodi che hanno visto coinvolto il movimento Casapound in diverse città –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tale relazione, se non ravvisi profili di inopportunità e quali iniziative intenda avviare per procedere alle opportune verifiche. (4-11966)


   GALATI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   alla luce di una serie continua di atti intimidatori perpetrati, negli ultimi giorni, ai danni di numerosi esercizi commerciali nella città di Lamezia Terme, sorge la necessità ineludibile di una concreta presa di posizione da parte del Viminale;
   le troppe e ripetute intimidazioni e vessazioni che di fatto hanno subito e continuano a subire gli imprenditori lametini a chiaro scopo estorsivo, frenano lo sviluppo economico e sociale della terza città della Calabria. Non è possibile assistere inerti ai continui soprusi alle attività commerciali da parte di gruppi affiliati alla criminalità organizzata. A tale scopo, si esige un'azione forte e una decisa presa di posizione da parte delle istituzioni nazionali per garantire il ripristino della legalità e favorire il decollo di un'area a forte vocazione imprenditoriale. Proprio in questo particolare momento di crisi economica che attraversa tutto il Mezzogiorno d'Italia, sarebbe intollerabile non favorire coloro i quali, quotidianamente, alimentano l'economia, generando produttività e occupazione. Lo Stato deve far sentire la sua presenza sul territorio lametino attraverso una dura lotta contro ogni forma di illegalità, schierandosi al fianco della stragrande maggioranza dei cittadini onesti con azioni concrete e non aleatorie;
   ci troviamo di fronte ad una situazione che non tende certamente a migliorare, a causa delle intimidazioni subite nelle ultime ore da imprese lametine di ogni genere, radicate da tempo sul territorio, fino ad arrivare a colpire anche il cantiere dove si sta costruendo il nuovo Palazzetto dello Sport. Non solo piccoli e medi imprenditori, ma anche la gestione della cosa pubblica è gravemente minacciata dalla criminalità organizzata;
   l'auspicio dell'interrogante è, nella fattispecie, che vengano prese tutte le possibili contromisure per evitare l'avanzare degli ormai dilaganti atti intimidatori nei confronti degli imprenditori lametini, che con il loro quotidiano lavoro, puntano allo sviluppo della città, e tutelare il gravoso compito a cui è chiamata l'amministrazione comunale guidata dal sindaco Paolo Mascaro –:
   se i Ministri interrogati abbiano intenzione di intervenire, nell'ambito delle loro competenze, con azioni mirate per contrastare questi continui atti intimidatori che ostacolano lo sviluppo economico e la crescita dell'occupazione nella città di Lamezia;
   se i Ministri interrogati, nell'ambito delle loro competenze e vista la gravità delle situazioni verificatesi, intendano assumere iniziative che consentano un incremento negli organici delle forze dell'ordine e della magistratura. (4-11968)


   PASTORINO, CIVATI, BRIGNONE e ANDREA MAESTRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la stampa ha divulgato i contenuti di una nota informativa della direzione centrale della polizia di prevenzione prodotta l'11 aprile 2015 nell'ambito di una causa civile presso il tribunale di Roma e firmata dal direttore centrale Mario Papa, che reca diversi giudizi positivi nei riguardi dell'organizzazione neofascista Casa Pound;
   la nota non risparmia elogi verso l'organizzazione neofascista, che si caratterizzerebbe per «lo stile di militanza fattivo e dinamico ma rigoroso nel rispetto delle gerarchie interne». Addirittura, nel contesto del documento sembra quasi assurgere a merito il tentativo «di sostenere una rivalutazione degli aspetti innovativi di promozione sociale del ventennio»;
   Casa Pound è dipinta come un'associazione di brava gente impegnata nella «tutela delle fasce deboli», nella «lotta al precariato» e nella «difesa dell'occupazione attraverso l'appoggio ai lavoratori impegnati in vertenze occupazionali e le proteste contro le privatizzazioni delle aziende pubbliche»;
   il massimo, per così dire, la nota lo raggiunge in merito al tema dell'uso della violenza da parte di Casa Pound. Si legge che «il sodalizio Organizza con regolarità, sull'intero territorio nazionale, iniziative propagandistiche e manifestazioni nel rispetto della normativa vigente e senza dar luogo ad illegalità e turbative dell'ordine pubblico» e se in effetti «all'interno del movimento militano elementi inclini all'uso della violenza, intesa come strumento ordinario di confronto e di affermazione politica oltre che quale metodo per risolvere controversie di qualsiasi natura» la colpa è anche della sinistra radicale che «sotto la spinta del cosiddetto ‘antifascismo militante’ non riconosce il diritto alla agibilità politica» alle formazioni di estrema destra» –:
   se intenda assumere immediatamente le distanze dalla citata nota informativa e avviare un'indagine interna per verificare con rapidità se ricorrano presupposti per la rimozione del direttore centrale della polizia di prevenzione;
   se possa esporre la strategia del Ministro per l'effettiva e rigorosa applicazione, per quanto di competenza, della legge 20 giugno 1952, n. 645, norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione, cosiddetta legge Scelba, a fronte di quello che pare un sempre maggiore e preoccupante attivismo delle varie, organizzazioni neofasciste sul territorio.
(4-11972)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   CHIMIENTI, MARZANA, D'UVA, BRESCIA, LUIGI GALLO, VACCA, DI BENEDETTO e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   visti i limiti fissati dal complesso quadro normativo di riferimento, il comune di Torino non ha potuto sviluppare, negli anni, politiche assunzionali a tempo indeterminato coerenti con il mantenimento dei livelli quantitativi dei servizi educativi e scolastici erogati;
   ne è pertanto conseguito che anche il comune di Torino ha reiterato, negli anni, contratti a tempo determinato a personale che in molti casi ha superato il limite dei 36 mesi, già previsto dal decreto legislativo n. 368 del 2001 e confermato dal decreto legislativo n. 81 del 2015;
   il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione in data 2 settembre 2015 ha diramato la circolare numero 3/2015, avente per oggetto «Disciplina applicabile ai rapporti di lavoro a tempo determinato del personale delle scuole comunali, con particolare riferimento ai limiti di durata»;
   la circolare evidenzia le problematiche in merito all'imposizione del limite dei 36 mesi come massimo periodo di durata di rinnovi contrattuali del personale legato ai servizi educativi;
   la circolare, pertanto, concede ai comuni la facoltà di derogare ai limiti dei 36 mesi purché vi sia un piano assunzionale che abbia come obiettivo il superamento del precariato;
   il comune di Torino procederà nei prossimi mesi all'assunzione di personale a tempo determinato e indeterminato nel settore educativo;
   il comune di Torino ha creato, circa due anni fa, due graduatorie aperte per nidi e materne, riservate esclusivamente a personale con più di 36 mesi di servizio, con lo scopo di stabilizzare il precariato storico, e dalle quali il comune attingerà per i soli contratti a tempo indeterminato;
   il comune di Torino, per quanto concerne le chiamate a tempo determinato (supplenze) ha deciso, con determina dirigenziale n. 201543500 del 26 agosto 2015, di applicare in senso stretto il tetto massimo di 1080 giorni ai contratti individuali di lavoro a tempo determinato e di conferire gli incarichi al personale presente nelle graduatorie statali, nonostante la presenza in graduatoria del personale con più di 36 mesi di servizio;
   nei comuni di Roma e Milano si sta, invece, applicando la circolare sopracitata come elemento per superare temporaneamente i limiti imposti rispetto alla prosecuzione dei tempi determinati oltre ai 36 mesi –:
   se il Governo sia a conoscenza della questione che concerne la città di Torino e quale delle diverse interpretazioni date dai comuni alla circolare di cui in premessa sia corretta;
   se non si ritenga opportuno emanare una nuova circolare a chiarimento della possibilità di superare il limite dei 36 mesi in ambito educativo. (3-01986)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARAZZITI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il dipartimento di scienze mediche, orali e biotecnologiche dell'università di Chieti ha bandito il 23 giugno 2015 una procedura pubblica di selezione per chiamata di un posto di professore di seconda fascia per il settore concorsuale 06/C1 – Chirurgia generale (profilo: settore scientifico-disciplinare MED/18 – chirurgia generale) ai sensi dell'articolo 24, comma 6, della legge 30 dicembre 2010, n. 240;
   il 5 agosto 2015 è stata costituita la commissione giudicatrice;
   il 9 settembre 2015 vi è stata l'accettazione dell'istanza di ricusazione nei confronti di uno dei membri della Commissione;
   il 29 settembre 2015 è stata ricostituita la commissione giudicatrice, tenuta, secondo il decreto rettorale, a concludere i lavori entro il 27 novembre 2015;
   il 15 dicembre 2015, dopo l'adozione di un decreto di proroga, la commissione giudicatrice ha concluso i propri lavori;
   il 15 gennaio 2016 un decreto rettorale ha prorogato di 45 giorni il termine per la approvazione degli atti della procedura selettiva, con la motivazione della chiusura dell'Ateneo dal 25 dicembre 2015 al 6 gennaio 2016;
   nel frattempo, sono stati approvati gli atti di commissioni giudicatrici, relativi a medesime procedure di altri settori scientifico disciplinari, ricevuti successivamente –:
   di quali elementi disponga il Governo sulla vicenda e se risponda ad una prassi l'andamento del citato procedimento;
   se non intenda fornire i dati relativi alla media della durata di analoghi procedimenti. (5-07668)


   PILI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a sedici anni dalla emanazione della legge n. 508 del 1999, nonostante le continue sollecitazioni e le continue promesse la situazione non solo non è progredita, anzi è peggiorata;
   continuano a mancare i decreti attuativi previsti dalla legge;
   manca la messa ad ordinamento del II livello accademico;
   mancano la progettualità e le risposte da parte del Ministro;
   l'autonomia è di fatto negata;
   le risorse assegnate sono sempre più inadeguate rispetto alle esigenze delle istituzioni;
   manca il regolamento per il reclutamento stabilito dall'articolo 2, comma 7, della legge;
   i continui tagli agli enti locali e le conseguenti ricadute finanziarie a carico delle istituzioni mettono in seria difficoltà i conservatori;
   ultimo e non meno importante il problema del precariato, ancora irrisolto;
   da queste poche analisi si comprende la grave disattenzione verso il valore nazionale che i conservatori rappresentano e il lavoro che tutti i giorni offrono i docenti e discenti;
   i conservatori mantengono viva la tradizione storica, artistica e culturale e testimoniano quanto questa sia invidiata in tutto il mondo;
   i soli conservatori, che hanno il 56 per cento di studenti in tutto il comparto A.F.A.M., hanno programmato, solamente lo scorso anno, tra concerti, manifestazioni e conferenze più di 7.000 eventi: un patrimonio culturale enorme;
   in tema di Internazionalizzazione i conservatori hanno il triplo dei numeri delle università e rappresentano quindi un « brand» fondamentale per il Paese;
   le conferenze nazionali dei conservatori statali e non statali dei presidenti, dei direttori e dei presidenti delle consulte e degli studenti, riunite congiuntamente a Roma nella sede del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il 27 gennaio 2016, hanno espresso la più grande preoccupazione per la situazione del sistema dei conservatori statali e non statali italiani e più in generale, per la formazione musicale in Italia;
   in particolare, viene lamentato il blocco ormai da anni del processo di riforma del sistema avviato dalla legge n. 508 del 1999 cui si accompagnano una grave carenza di risorse pubbliche nonché una problematicità costante nella interlocuzione con il livello politico-istituzionale;
   le conferenze hanno denunciato il persistere di un'assenza di progettualità politica e culturale che riguarda il sistema formativo in un contesto di costante sottovalutazione di fatto del valore della musica nell'intero contesto culturale e sociale complessivo del Paese;
   a distanza di sedici anni mancano ancora fondamentali passaggi normativi, come il decreto sul reclutamento del personale docente, la messa a ordinamento dei bienni, l'organo consultivo di sistema scaduto e non rinnovato da tre anni (CNAM);
   le stesse conferenze riunite ribadiscono con determinazione la necessità di essere riconosciute e considerate come dai decreti ministeriali istitutivi: «quali organismi stabili di interlocuzione tra l'amministrazione e i conservatori», statali e non statali;
   le conferenze hanno espresso la ferma contrarietà all'annuncio di norme che favorirebbero le istituzioni private a discapito delle istituzioni pubbliche;
   le conferenze nazionali riunite hanno chiesto immediate risposte e azioni concrete alle istanze poste, non oltre il mese di febbraio 2016, da realizzarsi in tempo utile per garantire l'efficacia delle procedure per l'avvio del prossimo anno accademico;
   è indispensabile l'attuazione della riforma, con significativi incrementi delle risorse a disposizione del sistema;
   tutto ciò risulta indispensabile anche al fine di provvedere alla statalizzazione entro il 2016 dei conservatori non statali che stanno vivendo una condizione di gravissima crisi e rischiano la chiusura delle attività formative;
   per segnalare all'opinione pubblica la difficilissima situazione che sta vivendo il settore dell'alta formazione musicale è stata promossa una giornata di protesta e di proposta il 13 febbraio 2016 con iniziative e attività musicali in ogni istituto su tutto il territorio italiano –:
   se non ritenga il Ministro di dover attivare le procedure per l'adozione dei decreti attuativi previsti dalla legge;
   se non ritenga di dover intervenire per la messa ad ordinamento del II livello accademico;
   se non ritenga di dover attivare una seria e concreta progettualità con significative risposte da parte del Ministro;
   se non ritenga di dover attivare iniziative tese a riconoscere ai conservatori l'autonomia di fatto negata;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per stanziare risorse congrue rispetto a quelle assegnate sempre più inadeguate rispetto alle esigenze delle Istituzioni;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per la predisposizione e adozione del regolamento per il reclutamento stabilito dall'articolo 2, comma 7, della legge;
   se non ritenga di dover evitare, per quanto di competenza, i continui tagli agli enti locali e le conseguenti ricadute finanziarie a carico delle istituzioni che mettono in seria difficoltà i conservatori;
   se non ritenga di, dover svolgere un'azione seria e concreta tesa ad eliminare il gravissimo problema del precariato, ancora irrisolto. (5-07671)

Interrogazione a risposta scritta:


   ANDREA MAESTRI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con un comunicato stampa pubblicato sui siti dei rispettivi Ministeri, si è venuti a conoscenza che il 22 dicembre 2015, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo hanno firmato, presso il Centro sperimentale di cinematografia di Roma il decreto per il riconoscimento dell'equipollenza, rispetto alla laurea, alla laurea magistrale e al diploma di specializzazione, dei titoli di studio rilasciati dalle scuole e istituzioni formative di rilevanza nazionale che operano nei settori audiovisivo e cinema, teatro, musica, danza e letteratura di competenza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   il decreto attua una norma contenuta nella cosiddetta legge «buona scuola» e prevede un apposito iter di riconoscimento dei titoli che passa, innanzitutto, da una stretta verifica dei requisiti di qualità degli istituti coinvolti;
   il comunicato non specifica quali siano le istituzioni «di rilevanza nazionale che operano nei settori di competenza del Mibact»;
   ciononostante il 24 dicembre 2015 si è appreso da fonti di stampa e dai siti degli stessi istituti interessati, che del gruppo fanno parte sicuramente: le scuole di cinema e di teatro del comune di Milano; l'Accademia pianistica di Imola; l'Accademia di danza della Scala; il Centro sperimentale di cinematografia di Roma; la Scuola di scrittura creativa Holden di Alessandro Baricco;
   non si comprende perché l'individuazione di alcune istituzioni ammesse all'equipollenza con l'università possa essere già avvenuta, come dimostrato dalle dichiarazioni degli istituti interessati, mentre essi avrebbero dovuto essere individuati in base alle norme contenute in un decreto, come previsto dalle disposizioni contenute nella «buona scuola», in cui si specifica che si devono stabilire «modalità e criteri» per accedere all'equipollenza;
   il comma 21 della legge n. 107 del 13 luglio 2015, infatti recita: «al fine di promuovere l'eccellenza italiana nelle arti, è riconosciuta, secondo le modalità e i criteri stabiliti, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, l'equipollenza, rispetto alla laurea, alla laurea magistrale e al diploma di specializzazione, dei titoli rilasciati da scuole e istituzioni formative di rilevanza nazionale operanti nei settori di competenza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, alle quali si accede con il possesso del diploma di istruzione secondaria di secondo grado»;
   premettendo che si considera condivisibile nel merito il riconoscimento dato alle istituzioni di alta reputazione summenzionate, nasce spontanea la domanda di come sia possibile ritenerle già in possesso del titolo di equipollenza, dato che il decreto non risulta ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale;
   il comunicato stampa, infatti, non contiene gli estremi che consentano di identificare il decreto stesso, non è reperibile in rete, né sul sito del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca né su quello del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   l'unica forma di conoscibilità del decreto consiste nella possibilità di reperirne una copia sul sito dell'Unione Artisti Unams di Roma (http://www.unams.it/normativa/index_decreti.htm), come «bozza di decreto interministeriale del 22 dicembre 2015 non ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale»;
   secondo notizie riportate dalla stampa, nel provvedimento rientrerebbero nuove istituzioni che non facevano parte dell'istruzione terziaria come disegnata dalla riforma dell'Afam (alta formazione artistica e musicale) e dell'università, come nel caso dello stesso Centro sperimentale di cinematografia di Roma, o della Scuola di cinema e televisione del comune di Milano. Mentre in altri casi si tratta di scuole che operano in settori che sono presenti già nell'Afam Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Non si vede in base a quale criterio, ad esempio, l'Accademia pianistica di Imola possa essere considerata di competenza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, mentre il conservatorio di Bologna o quello di Cesena del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   sempre da fonti di stampa (http://www.iltempo.it) si apprende che «in base al decreto anche altri centri potranno fare domanda per ottenere il riconoscimento. Tra i requisiti è richiesta l'esistenza della scuola o dell'istituto da più di dieci anni e la dimostrazione di una stabile sostenibilità economica. Sarà istituita una commissione tecnico-consultiva, in carica per tre anni e composta dai membri dei due ministeri, che esprimerà parere sull'istanza di riconoscimento»;
   se questa informazione fosse veritiera, tale iter verrebbe applicato alle richieste future, mentre le istituzioni di cui si è parlato otterrebbero l'equipollenza dei titoli ope legis. Ma anche se così non fosse, si tratterà in ogni caso di un iter valutativo del tutto nuovo ed estraneo a quello finora praticato per l'accreditamento Afam di istituzioni non statali, previsto dall'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 2005, n. 212, dal quale, peraltro, non risulta sia mai derivato l'accreditamento simultaneo, o l'equipollenza simultanea, dei tre titoli di studio: triennale, magistrale e diploma di perfezionamento;
   l'accesso all'equipollenza per le istituzioni «operanti nei settori di competenza del Mibact» (fra i quali, si osserva, è citata la musica) si presenta dunque percorribile, grazie a questo decreto, mentre quello indicato per l'Afam/Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dal decreto del Presidente della Repubblica n. 212 del 2005, discendente dalla legge di riforma, è oggi reso impossibile a causa dell'assenza del Cnam (Consiglio nazionale per l'alta formazione artistica e musicale);
   il settore dell'alta formazione artistica, oggetto in tempi più recenti di soli piccoli interventi legislativi «spot», attende da oltre 15 anni una riforma –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero, e quali iniziative urgenti intendano assumere per rendere possibile l'accesso all'equipollenza nel settore dell'alta formazione artistica attraverso l'accredito sia tramite il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, che attraverso l'Alta formazione artistica e musicale/Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. (4-11965)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BARUFFI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto 30 gennaio 2015 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e il Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione, ha dato piena attuazione alla disciplina di cui all'articolo 4 del decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 16 maggio 2014, n. 78, semplificando la materia relativa al documento unico di regolarità contributiva (Durc);
   con il citato decreto ministeriale sono stati definiti, in particolare, i requisiti di regolarità, i contenuti e le modalità della verifica per il rilascio del Durc;
   sulle puntuali modalità applicative sono poi intervenute nel dettaglio prima la circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 19 dell'8 giugno 2105, poi le circolari Inail n. 61 e Inps n. 126 del 26 giugno 2015;
   a fare data dal 1o luglio 2015, come fissato dal citato decreto-legge n. 34 del 2014, la verifica della regolarità contributiva nei confronti dell'Inps, dell'Inail e delle Casse edili, avviene dunque con modalità esclusivamente telematiche, semplificate ed in tempo reale: il cosiddetto « Durc online»;
   a seguito dell'avvio della nuova procedura, in questi mesi, le associazioni di categoria e le casse edili hanno segnalato talune situazioni di difficoltà incontrate da parte delle aziende richiedenti: in particolare emergerebbe un problema legato alla modalità di rinnovo del Durc, laddove obbliga l'impresa ad inoltrare la richiesta solo nel momento in cui risulti scaduto il Durc precedente;
   risulterebbe critica, a questo punto, la condizione di chi abbia in corso procedure di regolarizzazione contributiva Inps – tramite rateizzo, per le quali l'azienda abbia già operato i versamenti previsti – o per cui vi siano note di rettifica non visibili nel cassetto bidirezionale, o differenze contributive dovute ai flussi mensili, per cui si rende necessario il reinvio della denuncia e altro;
   tutte condizioni per le quali si può verificare la sospensione temporanea del rilascio del Durc in attesa della reale presa in carico e verifica della specifica posizione aziendale da parte dell'Istituto;
   come noto, ciò può comportare per le imprese interessate, di volta in volta, la sospensione dei pagamenti da parte della stazione appaltante, oppure il fermo cantiere per il tempo necessario a verificare e rettificare la posizione e altro;
   essendo, giustamente, la regolarità contributiva condizione imprescindibile per l'acquisizione di lavoro da parte delle imprese del settore, nonché per il suo regolare svolgimento, pare quanto mai necessario accertare eventuali disfunzioni del sistema e, nel caso, apportare i relativi correttivi affinché la procedura funzioni nei tempi e nei modi previsti, con piena soddisfazione delle imprese e nel massimo rispetto dei criteri di regolarità fissati –:
   se il Governo sia a conoscenza di tali criticità, quali iniziative abbia assunto o intenda, nel caso, assumere e se non ritenga, in particolare, di poter anticipare il momento della domanda rispetto al momento effettivo della scadenza della regolarità in corso, per consentire utilmente all'Inps (e all'Inail) la verifica della posizione contributiva effettiva e al datore di lavoro la piena regolarizzazione di eventuali inadempienze e/o errori, tenendo conto dell'insieme dei flussi informativi inerenti la posizione aziendale. (5-07663)


   CHIMIENTI, DALL'OSSO, TRIPIEDI, LOMBARDI, COMINARDI e CIPRINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la All Foods è una società, con sede direzionale a Terni (TR) e sede legale ad Albano Laziale in provincia di Roma che si occupa della gestione delle mense ospedaliere, scolastiche ed aziendali in diverse regioni italiane;
   dal 1o novembre 2015 la società All Foods è subentrata nell'appalto delle mense della Città della Salute di Torino, un complesso che comprende gli ospedali Molinette, Sant'Anna, Regina Margherita, e Cto, erogando circa cinque mila pasti al giorno;
   il 1o dicembre 2015 la All Foods ha aperto la procedura di mobilità per 67 dipendenti su 257, giustificata come esubero di personale;
   l'azienda aveva fatto domanda per la cassa in deroga ancor prima di subentrare all'appalto di ristorazione f. ma il provvedimento è stato respinto per vizio di forma;
   secondo la società gli esuberi sono stati annunciati a causa di una diminuzione nell'erogazione dei pasti ma, come viene sottolineato in un comunicato unitario dei sindacati Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil, è recentemente arrivata notizia ufficiale che i pasti subiranno un forte incremento numerico a causa dell'arrivo presso la Città della Salute di centinaia di operatori e di degenti spostati da altri presidi sanitari. Il comunicato è stato anche riportato in un articolo pubblicato in data 18 gennaio 2016 dal sito askanews.it;
   nella succitata nota i sindacati affermano, inoltre, che: «La All Foods, pur di aggiudicarsi l'appalto ha fatto un'offerta economica per essa insostenibile e questo lo sapeva già prima di subentrare nell'appalto stesso, visto che già allora aveva denunciato degli "esuberi" nel numero dei lavoratori che avrebbe dovuto assumere nel cambio d'appalto. Dal suo, subentro ha cercato pervicacemente di recuperare i costi di un'offerta inadeguata, tagliando sul costo del lavoro perseguendo cassa integrazione e licenziamenti»;
   a parere degli interroganti, questa situazione è dovuta, in parte, anche alla prassi adottata dalle ASL di affidare gli appalti al massimo ribasso, con conseguenze che ricadono sui pazienti e sui, lavoratori;
   si rende necessario prendere provvedimenti che tutelino sia i lavoratori esuberi che gli utenti del servizio –:
   quali urgenti iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato a tutela dei 67 lavoratori in esubero di cui in premessa, viste anche le leggi e gli accordi sindacali a tutela dei livelli occupazionali nel subentro degli appalti. (5-07680)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il sistema sanzionatorio dell'Istituto nazionale della previdenza sociale sui contributi previdenziali omessi o versati in ritardo, vigente ante 2000 prevedeva, oltre agli interessi legali, multe pari al 200 per cento;
   tale sistema ha subito profonde modifiche con la legge finanziaria del 2001 (legge 23 dicembre 2000, n. 388) e, in particolare, con l'articolo 116, il cui comma 18 ha disposto che «Per i crediti in essere e accertati al 30 settembre 2000 le sanzioni sono dovute nella misura e secondo le modalità fissate dai commi 217, 218, 219, 220, 221, 222, 223 e 224 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662. Il maggiore importo versato, pari alla differenza fra quanto dovuto ai sensi dei predetti commi del citato articolo 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e quanto calcolato in base all'applicazione dei commi da 8 a 17 del presente articolo, costituisce un credito contributivo nei confronti dell'ente previdenziale che potrà essere posto a conguaglio ratealmente nell'arco di un anno, tenendo conto delle scadenze temporali previste per il pagamento dei contributi e premi assicurativi correnti, secondo modalità operative fissate da ciascun ente previdenziale.»;
   successivamente, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 7981 del 5 aprile 2006, ha precisato che il sistema sanzionatorio più grave previsto dal citato articolo 1 della legge n. 662 del 1996 si applica, alla stregua del nuovo articolo 116, comma 18, della legge n. 388 del 2000, ai «crediti accertati e in essere al 30 settembre 2000», considerando tali quelli ammessi espressamente nella denuncia resa dal contribuente prima di detta data;
   con tale sentenza la Corte di Cassazione, ribaltando un precedente orientamento giurisprudenziale, cassava la decisione di merito che aveva applicato il regime sanzionatorio più favorevole previsto dalla recente legge n. 385 del 2000, sul presupposto della notifica della cartella esattoriale in epoca successiva al settembre 2000;
   l'intervento della Cassazione ha avuto ricadute più che pesanti su coloro che, anche per mancanza di disponibilità immediata di liquidità, si sono ritrovati nell'impossibilità di chiudere la propria posizione debitoria nei confronti dell'Inps a causa della «riattivazione» del regime sanzionatorio più sfavorevole;
   la citata sentenza ha altresì pregiudicato le società cessate, per le quali la legge invece non si è pronunciata, provocando un evidente vuoto normativo e quelle che, a parte la difficoltà di pagare ingenti somme, non potrebbero comunque più beneficiare del cosiddetto «credito contributivo» previsto dalla legge;
   l'evidente disparità di trattamento determinata dal tempo (crediti accertati e in essere o non accertati al 30 settembre 2000) e dalla pronta disponibilità di liquidità si pone in palese contrasto, a giudizio dell'interrogante, con la Carta Costituzionale e, in particolare, con gli articoli 3 e 53 –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, quali urgenti iniziative di competenza ritenga opportuno adottare per evitare che l'interpretazione giurisprudenziale provochi situazioni discriminatorie e se non ritenga opportuno assumere iniziative normative volte a riaprire i termini per quanti non hanno potuto beneficiare della possibilità di sanare la propria posizione debitoria, peraltro nel frattempo ulteriormente aggravatasi, anche al fine di salvaguardare realtà occupazionali e garantire più certe entrate nel bilancio dello Stato. (4-11951)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   D'AGOSTINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione commercio internazionale del Parlamento europeo si è recentemente espressa per la autorizzazione alla importazione di 70 mila tonnellate di olio di oliva tunisino adducendo ragioni di ordine umanitario;
   tale decisione rischia di avere ripercussioni sugli olivicoltori italiani, in particolare sui produttori meridionali già provati dalla crisi e dalla concorrenza estera, molto spesso decisamente sleale;
   se il Parlamento europeo dovesse confermare la decisione della Commissione Inta ci si ritroverebbe con una notevole quantità di olio che sarà importato a dazio zero già dal mese di febbraio di quest'anno fino al 31 dicembre del 2017;
   a giudizio dell'interrogante e di tutte le organizzazioni che rappresentano gli olivicoltori, si tratta di una misura dannosissima per la produzione di olio italiano che, com’è noto, presenta un elevato standard di qualità e, conseguentemente, costi di produzioni sicuramente più elevati di quelli tunisini;
   è evidente che le conseguenze di questa importazione rischiano di dare il colpo di grazia ai produttori meridionali che speravano di conseguire quest'anno quei margini di guadagno che purtroppo non realizzano da molto tempo;
   nel 2014 la produzione di olio di oliva italiano è calata di oltre il 35 per cento (fonte: Ismea), passando dalle 464 mila tonnellate della campagna 2013 a meno delle 300 mila di quella del 2014;
   i produttori hanno dovuto subire non solo l'andamento negativo del clima, ma anche gli attacchi di alcune specie patogene che hanno arrecato danni ingenti agli uliveti;
   si comprendono le ragioni che hanno portato la Commissione Inta ad autorizzare la importazione di olio dalla Tunisia, ma è evidente che l'organismo non ha valutato le conseguenze sulla produzione di olio di oliva in Italia e, in particolare, nel Mezzogiorno;
   è necessario, pertanto, che il Governo adotti iniziative che scongiurino la conferma di quanto deciso dalla commissione Inta del Parlamento europeo o che, in mancanza, preveda misure compensative a vantaggio degli olivicoltori meridionali –:
   quali iniziative il Ministro interrogato ritenga di dover intraprendere per evitare che la decisione di autorizzare la importazione senza dazi di 70 mila tonnellate di olio di oliva dalla Tunisia abbia gravi ripercussioni sugli olivicoltori italiani e, in particolare, su quelli operanti nelle regioni meridionali. (4-11943)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BRIGNONE, ANDREA MAESTRI, PASTORINO e MATARRELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di un lungo periodo d'indagini, i carabinieri della stazione di Clusone (Bergamo), il 18 dicembre 2015 hanno sequestrato le cartelle cliniche di 89 malati, deceduti o finiti in coma negli ultimi due anni a seguito di ricovero presso l'Ospedale di Piario (Bergamo);
   circa un mese e mezzo fa, in conseguenza delle indagini, la stampa riportava l'iscrizione nel registro degli indagati il nome di un'infermiera in servizio al reparto di medicina dell'ospedale di Piario, accusata di omicidio preterintenzionale per aver somministrato, in particolare durante il turno di notte, forti dosi di tranquillanti ai pazienti – alcuni dei quali sono poi deceduti;
   nei giorni scorsi nuove fonti di stampa e tv riportavano la notizia che la procura di Bergamo ha iscritto nel registro degli indagati altre dieci persone tra medici e infermieri, tutti accusati in concorso colposo di omicidio preterintenzionale;
   secondo l'accusa, i colleghi dell'infermiera – allontanata dall'ospedale nel mese di novembre – non avrebbero impedito comportamenti dei quali erano – si presume – a conoscenza, e cioè che l'infermiera somministrasse i tranquillanti ai pazienti;
   la procura di Bergamo inoltre ha disposto le riesumazioni di sei corpi di pazienti deceduti l'anno scorso e ha affidato l'incarico a tre periti che si dovranno occupare di verificare se vi siano tracce di Valium e altri psicofarmaci nei corpi dei defunti sui quali si sono concentrate le attenzioni degli inquirenti –:
   se il Ministro interrogato sia stato informato di quanto accaduto nei mesi scorsi presso l'ospedale di Piario (Bergamo);
   quali siano le iniziative di competenza che intende mettere sin da subito in atto per contribuire a fare chiarezza nella grave situazione creatasi, presso il citato ospedale. (5-07679)


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, PASTORINO e CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nell'intento di applicare il comma 425 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 27 dicembre 2013, l'accordo in Conferenza Stato-regioni rep atti 1/csr siglato in data 22 gennaio 2015 all'articolo 1, comma 1, stabilisce che «ai fini del rilascio della certificazione dell'esperienza professionale svolta nella rete delle Cure Palliative, possono presentare istanza i medici privi di specializzazione (...) che alla data di entrata in vigore della legge 27 dicembre 2013 n. 147, erano in servizio presso le reti dedicate alla cure palliative pubbliche o private accreditate (...)»;
   la specificazione dell'essere in servizio proprio nel giorno dell'entrata in vigore della legge n. 147 del 2013, non è prevista nella fattispecie contenuta dal comma 425 che, invece, riserva l'entrata in vigore della legge stessa al mero raggiungimento del requisito dei pregressi 3 anni di esperienza in cure palliative, senza considerare in alcun modo la temporalità specifica sopra detta;
   ciò potrebbe rappresentare una potenziale problematica per chi, pur in possesso del requisito essenziale dell'esperienza triennale, non si trovasse invece propriamente in servizio in tale data o periodo specifico, pur essendolo stato in precedenza per oltre 3 anni;
   inoltre, l'accordo in Conferenza Stato-regioni n. 87/CSR del 10 luglio 2014, relativamente all’«Individuazione delle figure professionali competenti nel campo delle Cure Palliative e Terapia del Dolore (...)», all'articolo 1, sancisce che le cure palliative dell'adulto vengono garantite attraverso l'integrazione dei medici in possesso di una delle specialità equipollenti alla disciplina cure palliative, assieme al medico di medicina generale, allo psicologo specialista, all'infermiere, al fisioterapista, al dietista, all'assistente sociale, all'operatore socio-sanitario, con integrazione dell'assistente spirituale;
   l'accordo inoltre, all'articolo 6, fa propri i contenuti dell'allegato tecnico che elenca i contenuti formativi minimi obbligatori per tutti gli operatori delle cure palliative, seppur non siano ancora specificate né le obbligatorietà formative prima di intraprendere l'attività in assenza di esperienza specifica, ne le modalità di acquisizione dei contenuti;
   va precisato, in relazione allo «psicologo specialista» così menzionato nel testo dell'accordo, che tale figura dovrebbe corrispondere a quella dello «specialista  psicoterapia», oppure in «psicologia clinica»;
   suddette qualifiche specialistiche sono conseguibili sia dai laureati in psicologia, che dai laureati in medicina e chirurgia;
   la dicitura utilizzata di «psicologo specialista», appare quindi imprecisa e potrebbe far pensare ad una limitazione d'accesso, apparentemente non contemplando la presenza di medici – pur in possesso della specializzazione in psicoterapia – fra gli specialisti citati come «psicologo specialista»;
   peraltro nei servizi psicologici di cure palliative sono già presenti psicoterapeuti e psicologi clinici con laurea in medicina avendo, rispetto ai colleghi laureati in psicologia, il vantaggio peculiare di poter anche prescrivere, in quanto medici, eventuali psico-farmaci spesso necessari nel caso di somministrazione di cure palliative;
   va evidenziata la grave carenza attuale di personale medico disponibile a effettuare cure palliative, carenza alla quale contribuiscono anche i restrittivi requisiti posti dai Master di alta formazione e qualificazione in cure palliative (istituiti dal decreto del 4 aprile 2012), i quali oltre ad aver solo valenza curriculare, presentano da un lato ancora una grave limitazione d'accesso (salvo deroghe di talune università in virtù dell'autonomia loro propria), non essendo aperti a tutti i medici, ma solo a quelli in possesso delle specialità menzionate nella legge, richiedendo un impegno temporale eccessivo, non tanto a livello didattico in sé, quanto correlato al tirocinio obbligatorio, consistente in 1500 ore, e quindi, difficilmente ottemperabile da parte di personale medico che nel frattempo non può interrompere per così lungo tempo la propria attività lavorativa in essere;
   nei fatti i servizi di somministrazione cure palliative per sopperire alla carenza di personale specializzato si trovano spesso costretti ad utilizzare personale non formato alla specifica terapia;
   l'articolo 1, comma 425, della legge 27 dicembre 2014, n. 147 dispone che: «Al fine di garantire la compiuta attuazione della legge 15 marzo 2010, n. 38, i medici in servizio presso le reti dedicate alle cure palliative pubbliche o private accreditate, anche se non in possesso di una specializzazione, ma che alla data di entrata in vigore della presente legge possiedono almeno una esperienza triennale nel campo delle cure palliative, certificata dalla regione di competenza, tenuto conto dei criteri individuati con decreto del Ministro della salute di natura non regolamentare, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sono idonei ad operare nelle reti dedicate alle cure palliative pubbliche e private accreditate»;
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e se siano a conoscenza del Ministro e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intenda assumere per dare soluzione a quanto descritto, per superare il disagio e le difficoltà che incontrano le figure professionali citate relativamente ai servizi di cure palliative in ente ospedaliero;
   se non ritenga necessario assumere iniziative per rendere più facilmente agibile l'accesso ai master di alta formazione e qualificazione in cure palliative, facendo sì che siano aperti a tutti i medici, snellendo l'impegno richiesto e rendendo effettivamente professionalizzante il titolo conseguito;
   se non ritenga necessario assumere iniziative per regolamentare l'uso di personale non formato specialista o non specialista in casi eccezionali di carenze di personale impiegato ai servizi di cure palliative, prevedendo una forma di tutoraggio, unitamente alla partecipazione ad eventi formativi durante l'attività, al fine di conseguire i requisiti minimi menzionati dalla Conferenza Stato-regioni 87 del 10 luglio 2014;
   se non ritenga di valutare l'opportunità di chiarire l'interpretazione della nota del Ministero della salute, dell'11 novembre 2015 0053142-P-11/11/2015 in riferimento all'articolo 1, comma 425, della legge 27 dicembre 2014, n. 147, di cui in premessa, poiché la stessa, seppur autorevole, a giudizio degli interroganti, non supera i dettami di carattere normativo regolamentanti la partecipazione ai concorsi ospedalieri, che rendono di fatto inderogabile il possesso di una specialità per poter accedere ai concorsi pubblici riferiti alle attività concernenti le cure palliative. (5-07682)

Interrogazioni a risposta scritta:


   L'ABBATE, LUPO, GAGNARLI, MASSIMILIANO BERNINI, PARENTELA e GALLINELLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel 2015, il sito internet Il Fatto Alimentare ha pubblicato 70 segnalazioni di allerta alimentari e prodotti richiamati e ritirati dal mercato per difetti di produzione, contaminazioni batteriche, presenza di corpi estranei, eccessiva concentrazione di pesticidi, errori in etichetta, mancanza di avvertenze sulla presenza di allergeni, errori nella data di scadenza e altro, nonché riferito di lotti di pesce spada contaminato da metalli pesanti e di decine di lotti di spezie e pistacchi con troppe micotossine. Si tratta di segnalazioni ricavate dalle lettere inviate in redazione dai lettori, dai dossier pubblicati dal sistema di allerta europeo di Bruxelles (Rasff) e da comunicazioni in parte diffuse volontariamente dalle aziende sui loro siti o sulle pagine Facebook o attraverso cartelli esposti nei punti vendita;
   il Ministero della salute, pur avendo sul sito una pagina specifica che si occupa di diffondere informazione su allerte alimentari e sui prodotti pericolosi in commercio ritirati dal mercato, cosiddetti «avvisi di sicurezza», nel corso dello scorso anno ha pubblicato appena 6 segnalazioni (di cui una peraltro segnalata dallo stesso Fatto Alimentare);
   da anni viene denunciata l'incapacità del servizio di allerta alimentare del Ministero della salute che si distingue per un livello di comunicazione ritenuto «disastroso» come nel caso, di tre anni fa, relativo al sospetto botulino (poi rientrato) per un lotto di pesto venduto dalle catene Coop, Conad ed Esselunga e altri. Nonostante il livello altissimo di rischio e la concreta possibilità di incidenti mortali a causa delle tossine, il Ministero della salute intervenne con quattro giorni di ritardo senza pubblicare le foto dei prodotti. Ulteriore esempio è quello delle 1.800 persone colpite da epatite A tra il 2013 e il 2014 per avere assunto frutti di bosco surgelati contaminati con il dicastero che lancia l'allerta con qualche mese di ritardo e in modo alquanto poco incisivo. Vicenda al centro dell'interrogazione a risposta in Commissione 5/02661;
   a metà 2015, la direzione generale per l'igiene e la sicurezza degli alimenti e della nutrizione del Ministero della salute pubblicava la bozza di un dossier sul richiamo dei prodotti e sulle allerta alimentari. Il testo invita le aziende (in virtù del regolamento 178/2002/CE) ad informare i consumatori ogni qual volta ritirano e richiamano dal mercato un alimento indicando: nome del prodotto, marchio, lotto data di scadenza, sede dello stabilimento e altri particolari utili per la corretta identificazione, oltre alla fotografia, al motivo del richiamo, alle modalità per sostituirlo o per riavere il denaro e al numero verde per chiedere informazioni. In ogni caso le aziende devono informare entro 48 ore l'assessorato alla salute della regione cui spetta il compito di controllare che tutte le procedure di richiamo e ritiro previste siano rispettate. Anche i supermercati e i negozianti hanno l'obbligo di esporre nei punti vendita cartelloni per avvisare i clienti. Il documento spiega che anche il Ministero della salute riporterà le informazioni su una sua pagina del sito denominata «avvisi di sicurezza» affiancandole a quelle del sistema di allerta europeo Rasff e da altre fonti come: Asl, regioni, Aifa, arpa e nas e che, contrariamente a quanto fatto sino ad ora, dovrebbe informare la popolazione in caso di epidemia o di crisi alimentare attraverso comunicati;
   mentre le catene di supermercati come Esselunga, che non hanno mai pubblicato in rete le campagne di richiamo, hanno iniziato a dare notizia dei richiami e ritiri ed altre hanno aperto uno spazio sul sito destinato ad ospitare le campagne di richiamo, il Ministero della salute, ad avviso degli interroganti, continua a ignorare le allerte e i ritiri che si susseguono settimanalmente nei punti vendita;
   nel variegato mondo di internet, non mancano siti poco affidabili che incutono timore nei consumatori parlando, ad esempio, di lotti di pomodori cinesi contaminati oppure di partite di grano duro importato dall'Ucraina con micotossine –:
   se il Ministro interrogato, sia nell'interesse collettivo sia di quello delle imprese agroalimentari, intenda finalmente adoperarsi affinché venga data ai consumatori una informazione chiara, trasparente, verificata e completa sui pericoli alimentari, e quali siano gli ostacoli e le resistenze che abbiano impedito sinora il raggiungimento di questo obiettivo.
(4-11948)


   VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività», convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, all'articolo 11, reca misure per il potenziamento dei servizi farmaceutici;
   in particolare, al comma 2, per favorire l'accesso alla titolarità delle farmacie prevede, tra l'altro, che ciascun comune, sulla base dei dati Istat sulla popolazione residente al 31 dicembre 2010, individui le nuove sedi farmaceutiche disponibili nel proprio territorio e invii i dati alla regione entro e non oltre 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto;
   secondo quanto stabilito dal comma 3, entro 60 giorni dall'invio dei dati da parte dei comuni e regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano bandiscono il concorso straordinario per soli titoli, per la copertura delle sedi farmaceutiche di nuova istituzione e provvedono, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, ad assicurare la conclusione dei concorsi per l'assegnazione delle sedi a coloro che risultano essere in possesso dei requisiti di legge;
   il Ministero della salute, in stretta collaborazione con le regioni, ha messo a punto una piattaforma tecnologica unica con l'obiettivo di rendere trasparenti, tempestive ed uniformi le procedure concorsuali e di assicurare lo scambio e la tempestiva diffusione delle informazioni tra gli utenti e gli enti interessati;
   ai sensi dell'articolo 23, comma 12-septiesdecies, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 951 recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario, tale piattaforma tecnologica consente a ciascuna regione di attivare le procedure concorsuali (pubblicazione del bando e graduatorie, presentazione delle candidature, risposta agli interpelli, e altro) e ai candidati di partecipare al bando di concorso in sole due regioni attraverso la compilazione di un modulo online;
   in applicazione del decreto-legge n. 1 del 2012 in quello stesso anno è stata per la prima volta bandita su scala nazionale (fermo restando le competenze delle singole regioni) una procedura concorsuale straordinaria per soli titoli volta all'assegnazione di nuove sedi farmaceutiche sul territorio. Tale procedura prevedeva eccezionalmente la partecipazione in forma associata e l'attribuzione del punteggio anche alle nuove figure professionali previste dal decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale, convertito con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248;
   i singoli bandi regionali del concorso straordinario erano configurati in modo che le modalità di assegnazione delle sedi farmaceutiche fossero uniformi in tutte le regioni e, a tal fine, erano stati pubblicati secondo gli indirizzi interpretativi e applicativi formulati nell'ambito dei lavori del tavolo tecnico interregionale della farmaceutica;
   una recente sentenza del Consiglio di Stato (sentenza n. 5667 del 14 dicembre 2015) che accoglie un ricorso contro la regione autonoma della Sardegna e riforma la sentenza del T.A.R. Sardegna n. 1457/2009 afferente a un concorso ordinario del 2005, ha radicalmente modificato il sistema di calcolo del punteggio per anzianità di servizio;
   nonostante la sentenza del Consiglio di Stato riguardasse un concorso ordinario, la regione autonoma della Sardegna, ha ritenuto di chiedere un parere al Ministero della salute in merito alla possibile applicazione della stessa sentenza anche in relazione alla procedura concorsuale straordinaria per soli titoli bandita nel 2012, rinviando in tal modo la pubblicazione della graduatoria definitiva;
   al di là del merito della sentenza del Consiglio di Stato, l'eventuale applicazione della stessa anche al concorso straordinario rischia secondo l'interrogante di violare il principio di uniformità di cui all'articolo 11 del decreto-legge n. 1 del 2012 in materia di assegnazione delle sedi farmaceutiche nelle diverse regioni;
   attualmente, infatti, la situazione relativa all'assegnazione delle sedi farmaceutiche sul territorio nazionale è molto difforme: nelle regioni in cui sono stati osservati i sistemi di calcolo concordati dal tavolo tecnico interregionale della farmaceutica previsti dai bandi regionali e dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 marzo 1994, n. 298 «Regolamento di attuazione dell'articolo 4, comma 9, della legge 8 novembre 1991, n. 362, concernente norme di riordino del settore farmaceutico» sono state pubblicate le graduatorie definitive e sono scaduti i termini per i ricorsi, mentre in altre regioni sono già state effettuale le assegnazioni definitive con relativa apertura delle sedi;
   nella regione autonoma della Sardegna l’iter della procedura concorsuale per l'assegnazione di nuove sedi farmaceutiche è al momento ancora sospesa ed un cospicuo numero di farmacisti inseriti in posizioni utili nella graduatoria provvisoria regionale rischia di non riuscire ad aprire mai le nuove sedi, con conseguente danno per i cittadini che da anni aspettano l'attivazione di questo importante servizio sul proprio territorio;
   tale inaccettabile ritardo ha una esiziale ricaduta anche dal punto di vista occupazionale per gli stessi farmacisti i quali, in attesa dell'apertura delle nuove sedi, sono attualmente disoccupati o sottooccupati;
   un'eventuale interpretazione difforme da quella prevista dal bando di concorso originale con conseguente cambiamento dei parametri per l'attribuzione dei punteggi rischia peraltro di provocare numeri ricorsi da parte dei concorrenti che hanno partecipato al bando in forma associata proprio in funzione delle regole e dei criteri stabiliti dalla normativa e dai bandi stessi e che subirebbero una lesione dei propri diritti con il cambiamento in corso d'opera o a posteriori (nelle regioni in cui le commissioni hanno già terminato i lavori) delle stesse regole –:
   quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, per far sì che i criteri stabiliti dai bandi e dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 298 del 1994 (con particolare riferimento all'impossibilità di superare il tetto massimo di 35 punti per il calcolo dei titoli di servizio) siano rigorosamente osservati come è avvenuto in alcune regioni, ove l'iter concorsuale si è già concluso nel pieno rispetto del criterio di uniformità che ha ispirato il suddetto concorso;
   quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, al fine di rimuovere i motivi del ritardo che impediscono la normale conclusione delle procedure concorsuali di cui in premessa e l'assegnazione di nuove sedi farmaceutiche sul territorio specie in aree svantaggiate, penalizzate dalla cessazione di insularità.
(4-11967)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AGOSTINELLI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il 27 gennaio 2015 si sono chiuse le indagini preliminari sui presunti casi di assenteismo nel comando dei vigili urbani del comune di Ancona. Le indagini sono state condotte dal pubblico ministero Paolo Gubinelli;
   i vigili raggiunti da avviso di garanzia sono stati 6, cinque dei quali accusati di essersi assentati ingiustificatamente dal lavoro: tra questi il tenente Mauro Mancini (« Il Resto del Carlino» del 1o febbraio 2015);
   l'accusa formulata nei loro confronti dal pubblico ministero Paolo Gubinelli è di truffa e di violazione dell'articolo 55-ter del decreto legislativo n. 165 del 2001 (cosiddetta «Legge Brunetta»), che prevede anche il licenziamento per i dipendenti pubblici assenteisti. Mentre il procedimento giudiziario è ancora in itinere, si è appreso da fonti stampa che proprio il tenente Mancini, nonostante le accuse nei suoi confronti, con determinazione del dirigente del comune di Ancona n. 92 del 26 gennaio 2016, avente ad oggetto «atti non comportanti impegno di spesa – provvedimenti organizzativi di micro organizzazione della Direzione Ambiente, Green Economy (energie rinnovabili), verde pubblico, cimiteri – affidamento deleghe di firma al signor Mauro Mancini», sarebbe stato addirittura promosso a responsabile del settore cimiteriale del comune di Ancona. Sotto il Mancini, al vertice del servizio, vi sarebbero altri tre collaboratori diretti – il Resto del Carlino del 2 febbraio 2016, «Il tenente indagato e ora promosso»];
   prima di essere nominato responsabile dei servizi cimiteriali, Mancini, proprio a causa del procedimento penale che lo ha visto coinvolto, era stato spostato al settore verde del comune con una mansione ordinaria;
   ora, invece, si apprende perfino dello scatto di carriera [il Resto del Carlino del 2 febbraio 2016, «Il tenente indagato e ora promosso»];
   si tratta di un onere di responsabilità molto importante, in un settore molto delicato, in quanto dal Mancini passeranno le firme per i trasporti delle salme e ceneri in altri comuni, per le cremazioni, per i passaporti mortuari, per la dispersione ceneri, per le autorizzazioni degli affidi delle urne cinerarie, per il recupero dei crediti vantati dal comune nei confronti di cittadini privati e di imprese di pompe funebri insolventi, per le rateizzazioni dei pagamenti per i loculi dei defunti, per l'accesso agli atti ed altro ancora. Si può, dunque, parlare di una posizione di assoluto rilievo nella tabella organica –:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in relazione a quanto esposto in premessa e se non intenda assumere iniziative normative volte a rafforzare le misure di contrasto ai fenomeni di assenteismo e di violazione dei doveri di ufficio nella pubblica amministrazione evitando che possano determinarsi casi paradossali come quello descritto. (5-07678)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BENAMATI e DE MARIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'apertura della variante di valico dell'autostrada Firenze-Bologna il 23 dicembre 2015, sembrerebbe aver determinato un calo delle percorrenze sul tratto originale dell'A1, calo da alcuni stimato fino al 75 per cento del traffico e, in particolare, del traffico di mezzi pesanti;
   si registrerebbe, a seguito di questo calo di traffico, un sensibile calo del fatturato per le aree di servizio e servizi ristoro di Roncobilaccio ovest e Roncobilaccio est, che attualmente occupano 67 persone;
   nel giro di un mese inoltre, tra Pian del Voglio e Barberino, tratta autostradale interessata dal calo di traffico dirottato sulla variante, hanno chiuso tre bar all'uscita dei rispettivi caselli, un albergo, un ristorante, una stazione di servizio;
   nella tratta autostradale in questione, l'area di Roncobilaccio ovest è gestita da «Sarni» per le attività di ristoro, e «Total-erg» per il rifornimento di carburanti: Sarni ha già dichiarato 19 esuberi su 30 dipendenti, attualmente in cassa integrazione fino a marzo, mentre sembrerebbe volontà di Total-erg arrivare al dimezzamento degli attuali 10 dipendenti;
   l'area di Roncobilaccio est è gestita da «Mychef» per il ristoro, dove impiega 17 dipendenti, e «Tamoil» per i carburanti, che impiega una decina di dipendenti, in proroga, poiché è scaduto il contratto di concessione e la gara per il rinnovo è attualmente aperta;
   sul nuovo tratto della variante è prevista per la prossima primavera, l'apertura, di una nuova area di servizio chiamata «Badia» che sarà gestita da «Lagardere Food» e Tamoil e che a regime dovrebbe occupare circa 25 persone;
   la città metropolitana di Bologna ha già convocato il tavolo di crisi per le aree di Roncobilaccio ovest e Roncobilaccio est con la presenza delle rappresentanze sindacali, Autostrade per l'Italia, Sarni, MyChef, i gestori dei distributori ed i rappresentanti di Lagardère Food Services –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa, quale sia l'orientamento del Governo in merito e quali siano le possibili iniziative che si intendano porre in atto per concorrere alla tutela dell'occupazione in questa situazione. (5-07665)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nonostante la tanto sbandierata ripresa economica, nel 2015, il bilancio tra aperture e chiusure di attività quali negozi, bar e ristoranti rimane nettamente in rosso, con un saldo negativo per oltre 29 mila imprese che hanno dovuto chiudere;
   lo stesso Osservatorio Confesercenti ha confermato che prosegue la «desertificazione di attività commerciali e pubblici esercizi nei centri urbani», posto che il lieve calo delle chiusure risulta quasi annullato dalla frenata delle aperture;
   particolarmente segnato dalla crisi è anche il settore tessile e dell'abbigliamento, con riferimento alla specifica categoria dei contoterzisti, che vendono manodopera alle grandi aziende e spesso scontano l'assoluta mancanza di potere contrattuale nei confronti della committenza;
   se confermata tale grave situazione, appare opportuno adottare misure concrete a sostegno di questo delicato comparto, non riconducibile semplicisticamente al settore del tessile, che, invece, comprende anche le grandi aziende committenti e produttrici con marchio proprio –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, ritenga opportuno adottare per supportare la categoria dei contoterzisti del settore tessile, la cui contrattazione collettiva nazionale di pertinenza, specifica ed adeguata alle peculiarità del settore, non viene riconosciuta dagli enti previdenziali sino a dichiararla priva di ogni possibile efficacia, di fatto costringendo gli stessi contoterzisti ad adottare, nei confronti dei propri lavoratori dipendenti, contratti collettivi nazionali di lavoro non di loro pertinenza in quanto riservati, per esplicita previsione, ai grandi produttori, con aggravio di costi non più sostenibili e giustificabili. (4-11944)


   RIGONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le imprese del settore conserviero-alimentare sono gravate da un tributo che, risalente ad un regio decreto del 1923, appare, a parere dell'interrogante, sempre più anacronistico e andrebbe profondamente rivisto o, addirittura, abolito;
   la Stazione sperimentale per l'industria delle conserve alimentari (SSICA), istituita come ente pubblico dal regio decreto 2 luglio 1922, n. 1396, successivamente trasformata in ente pubblico economico dal decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 540, è stata soppressa dall'articolo 7, comma 20, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, e le rispettive funzioni sono state trasferite alla Camera di commercio, industria e artigianato di Parma che ha provveduto a costituire, quale sua articolazione amministrativa, l'azienda speciale «Stazione sperimentale per l'industria delle conserve alimentari»;
   le imprese del settore alimentare sono tenute a versare detto tributo, che raggiunge anche le diverse centinaia di euro annui, calcolato sulla base dell'ammontare lordo degli stipendi erogati nell'anno precedente per operai, impiegati e dirigenti, indipendentemente dal fatto che le stesse si rivolgano o meno alla SSICA per avere dei servizi, i quali, peraltro, si pagano a parte –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a rivedere l'attuale disciplina che prevede l'obbligatorietà del contributo a favore della SSICA o, quanto meno, a modificarne i criteri di calcolo, basandoli non più sul costo del personale, bensì sul fatturato;
   quali siano i dati relativi alle entrate della SSICA derivanti dalle attività di ricerca, dalle convenzioni e dagli accordi di programma, anche internazionali, con amministrazioni e soggetti pubblici e privati, rispetto alle entrate derivanti dalla contribuzione a carico delle imprese.
(4-11946)


   PAGLIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2001 la multinazionale cinese Haier acquista uno stabilimento per la produzione di frigoriferi a Campodoro (PD), costituendo la Haier Italy Appliances spa;
   nel corso degli anni successivi provvede a effettuare investimenti per aggiornare la linea produttiva, cambiando anche la tipologia del prodotto, dagli originali mini-frigo per albergo a prodotti per la casa di gamma medio-alta;
   in questo modo riesce a posizionarsi positivamente sul mercato, con particolare proiezione su Spagna e Tunisia, superando anche la fase più acuta della crisi;
   l'ultimo ciclo di investimenti è del 2012, finalizzato alla messa in produzione di una nuova generazione di frigoriferi;
   nel settembre 2015 alle 104 lavoratrici e lavoratori viene annunciata la chiusura della fabbrica, a causa di un calo della domanda di frigoriferi, senza che sia possibile sapere se questa sia dovuta allo spostamento della produzione in altri siti europei collegati al gruppo;
   da allora è iniziata una vertenza tuttora perdurante, che ha portato le lavoratrici in cassa integrazione a presidiare i cancelli dello stabilimento per impedire che questo venga svuotato di impianti e magazzino;
   Haier è in una fase di grande espansione sul piano globale, che si è concretizzata nell'acquisizione nel mese di gennaio dell'intero ramo elettrodomestici di General Electric, per oltre 5 miliardi di euro;
   nonostante questo, in Italia anziché incrementare la propria base produttiva si ritrae anche dall'unico insediamento esistente;
   si deve notare che il costo del lavoro nel sito di Campodoro è molto ridotto, dato che storicamente veniva applicato solo il CCNL, senza alcuna forma di integrativo aziendale;
   il Governo avrebbe quindi un evidente interesse a comprendere quali siano le ragioni che inducono una primaria multinazionale, residente in un Paese significativo come la Cina, ad abbandonare l'Italia dopo una presenza marginale durata 15 anni;
   sulla base di tale comprensione, si dovrebbero quindi porre le condizioni per superare l'attuale scelta di Haier, puntando invece ad un suo maggiore coinvolgimento in Italia –:
   quali passi il Governo intenda compiere a tutela di 104 posti di lavoro e per la conferma della presenza di Haier sul territorio nazionale. (4-11953)


   RAMPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la compagnia aerea irlandese «Ryanair» ha annunciato la propria decisione di cancellare a partire dal mese di ottobre 2016 tutti i voli da Crotone, a causa dell'aumento delle tasse aeroportuali scattato lo scorso primo gennaio;
   in una nota la compagnia ha, infatti, dichiarato che «Il Governo Italiano ha aumentato le tasse di circa il 40 per cento (da euro 6,50 a euro 9) per ciascun passeggero in partenza dall'Italia dal 1o gennaio di quest'anno per sussidiare il fondo per la cassa integrazione degli ex piloti Alitalia», e «come conseguenza, a Ryanair non è stata lasciata altra scelta se non: spostare aeromobili e posti di lavoro Ryanair fuori dall'Italia verso altre basi Ryanair in Spagna, Grecia e Portogallo (dove non vengono addebitate tali tasse per passeggero); chiudere le sue basi di Alghero e Pescara e cancellare tutti i voli da Crotone a partire da ottobre; tagliare rotte e traffico da e verso altri aeroporti italiani; spostare la capacità dagli aeroporti regionali a Roma e Milano»;
   la decisione di «Ryanair» impatterà in modo pesantissimo sulle tre realtà aeroportuali citate e, in modo particolare, sullo scalo di Crotone, alimentato per la maggior parte da voli della suddetta compagnia, nel quale il taglio delle rotte operate sarà totale e dove i soli dipendenti diretti che rimarranno senza impiego saranno circa duecento, senza contare i lavoratori dell'indotto;
   secondo una nota della società incaricata della gestione dell'aeroporto di Pescara, la compagnia irlandese avrebbe «comunque indicato una disponibilità a rivalutare le decisioni assunte in caso della prospettazione di forme compensative a tali incrementi resi disponibili entro le prossime settimane»;
   le decisioni di «Ryanair», colpendo gli aeroporti regionali, quelli cioè più piccoli, incide drammaticamente sull'economia di intere regioni e sulle loro prospettive di sviluppo, soprattutto con riferimento alle potenzialità turistiche dei territori –:
   se il Governo sia informato dei fatti esposti in premessa e quali urgenti iniziative, di competenza, intenda assumere al riguardo. (4-11958)


   D'INCÀ e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con decreto ministeriale 16 maggio 2014, il Ministero dell'economia e delle finanze ha stabilito l'alienazione di una quota delle partecipazioni in Poste Italiane S.p.A, mantenendo almeno il 60 per cento delle quote;
   in una nota del 25 giugno 2015, il Consiglio dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha definito le due istruttorie avviate a seguito delle proposte presentate da Poste Italiane: una sulle nuove modalità di recapito degli invii postali a giorni alterni, l'altra sulle tariffe e gli standard di qualità del servizio postale universale di corrispondenza, sulla base di quanto previsto dalla legge di stabilità 2015. L'obiettivo è ridurre (modalità di recapito) o coprire (prezzo dei servizi) i costi del servizio universale, in modo coerente con i mutati bisogni dei cittadini e dei consumatori; nel contempo, consentire maggiore flessibilità nel modulare offerte alla clientela, per testare nuove formule che diano risposta alla minore domanda dei servizi tradizionali di corrispondenza e possano invertire la tendenza di forte calo nei volumi;
   l'attuazione del recapito a giorni alterni (secondo lo schema bisettimanale, lunedì-mercoledì-venerdì-martedì-giovedì) avverrà in tre fasi successive che saranno avviate rispettivamente il 1o ottobre 2015, il 1o aprile 2016 e non prima del mese di febbraio 2017. La prima fase coinvolgerà una ristretta fascia di popolazione (pari allo 0,6 per cento della popolazione nazionale) fino al massimo del 25 per cento nella fase conclusiva. Dopo la prima fase, nel caso in cui si verifichino criticità, l'autorità ha il potere di intervenire inibendo l'ulteriore prosecuzione del recapito a giorni alterni o stabilendo particolari condizioni volte a salvaguardare la regolarità del servizio o la realizzazione degli obiettivi previsti di contenimento dei costi;
   il 20 gennaio 2016 il Fatto Quotidiano ha pubblicato un'inchiesta «Poste, l'imbroglio sui tempi di consegna delle lettere test: partono i primi licenziamenti», in cui emerge un sistema consolidato per alterare la qualità del servizio di consegna, che ha portato le stesse Poste Italiane a prendere provvedimenti con decine di licenziamenti e la sospensione di migliaia di persone, accusate di comportamento illecito e di aver fatto «risultare una qualità del servizio divergente da quella reale». L'unità antifrode di Poste Italiane ha scandagliato le e-mail aziendali di migliaia di dipendenti: nella corrispondenza intercorsa tra una quarantina di dirigenti e i loro sottoposti si legge che i dipendenti creavano una corsia preferenziale per consegnare le «lettere test» nei tempi prestabiliti. E dimostrare così che il coefficiente di qualità, previsto dal contratto tra Poste Italiane e lo Stato, veniva rispettato;
   a partire dalla certificazione di qualità, il Governo affida a Poste Italiane il servizio di posta universale, che lo Stato paga in media circa 300 milioni di euro l'anno. Poste Italiane può essere costretta a pagare fino a 500 mila euro l'anno di sanzione se non rispetta i parametri prefissati. A monitorare e certificare il servizio di qualità, fino pochi mesi fa, è stata la Izi srl, che sceglieva circa 8 mila persone che spediscono lettere tra loro. E tutte annotano in quanto tempo la corrispondenza – in gergo, si chiamano «lettere civetta» – viene inviata e recapitata. Il punto è che Poste Italiane ha conosciuto, per anni, molti nominativi dei controllori scelti da Izi. In altre parole: il controllato conosceva i suoi controllori. Ed è grazie alla conoscenza di questi nominativi che riusciva a creare una corsia preferenziale per consegnare le «lettere civetta» nei tempi previsti. Le e-mail analizzate dall'unità anti frode di Poste Italiane dimostrano che questa prassi è stata adottata dal 2003 al 2014;
   il piano di ristrutturazione di Poste italiane 2015-2019 della funzione Posta, comunicazione, logistica (Pcl) prevede l'avvio del recapito a giorni alterni, approvato da Governo ed Agcom nelle zone regolate, e l'introduzione di diversi sistemi di recapito per zone commercialmente diverse. È partita la sperimentazione con un primo step che copre il 6 per cento per cento del territorio nazionale (Nord Italia), con l'obiettivo per Poste Italiane di arrivare alla copertura della consegna a giorni alterni per circa il 25 per cento della popolazione nel 2017, mentre sembra che il modello di consegna consueto (tutti i giorni) verrà mantenuto in sole 8 città in tutta Italia;
   in particolare nel bellunese è partito il bacino di Feltre, Agordino, Cadore e parti alte della provincia, mentre al momento sono esclusi Belluno, Limana, Sedico e Ponte nelle Alpi, che partiranno con la sperimentazione ad aprile 2016. Il servizio di consegna avviene a giorni alterni, mentre è prevista la «linea plus» per la consegna giornaliera di raccomandate, 1 gg, atti urgenti e abbonamento di quotidiani;
   Agcom con delibera 342/14/CONS, ha introdotto specifiche garanzie a tutela degli utenti, in particolare per coloro che si avvalgono degli uffici postali ubicati in comunità montane e nelle isole minori. Si prevede inoltre che «Poste Italiane, nella logica del potenziamento e di una maggiore efficienza dei servizi, dovrà valutare il rapporto costi-ricavi non sulla base del singolo ufficio postale ma in un ambito territoriale più ampio fino anche, ad esempio, a coprire una scala regionale. La società poste Italiane dovrà valutare, prioritariamente alla decisione di rimodulazione e razionalizzazione, iniziative proposte da enti e istituzioni territoriali in grado di aumentare la redditività della rete degli uffici postali in un ambito territoriale. Tali proposte dovranno pervenire, a regime, entro il 30 settembre di ogni anno. Per l'anno 2015, tale termine è posticipato al 31 marzo 2016. La Società è tenuta a trasmettere il suddetto Piano all'Autorità entro il 1 luglio 2016»;
   nel bellunese, già in fase di avvio del servizio di recapito a giorni alterni, sono emerse forti criticità, segnalate sia dagli operatori del servizio, che dai sindacati: la «linea plus» non è operativa e la consegna giornaliera dei quotidiani non è stata avviata. La risposta di Poste Italiane alle lamentele per il disservizio è stata semplicemente quella di comunicare che si sarebbe occupata del problema, senza specificare come, con che tempi o se il servizio verrà esternalizzato;
   laddove la consegna giornaliera viene effettuata, questa avviene con gravi ritardi: i quotidiani vengono consegnati nel tardo pomeriggio, spesso dopo le 17;
   una forte criticità segnalata riguarda la consegna di atti urgenti agli enti pubblici (ad esempio municipi): spesso questi non vengono recapitati in tempo, prima della chiusura della sede, e quindi la consegna avviene con 2 giorni di ritardo perché il servizio funziona a giorni alterni;
   un altro problema è quello del posticipo dell'orario di consegna della posta: l'inizio del turno di lavoro è stato spostato di 30 minuti o 1 ora (dalle 7.30 alle 8.30 circa), aumentando così i ritardi nelle consegne e facendo accumulare la posta in giacenza, che verrà quindi recapitata dopo due giorni;
   si segnala inoltre una continua carenza di personale operativo, anche se sulla carta il personale risulta al completo +10,6 per cento di scorta: in realtà non vengono conteggiate la lunga degenza (infortuni o malattia) e le maternità, che di fatto riducono il numero del personale effettivamente disponibile, costringendolo a continui cambi nei percorsi e delle aree di competenza, per coprire le zone lasciate scoperte dai colleghi in malattia o maternità;
   il 20 gennaio 2016, a Mestre, è avvenuto un incontro tra Poste Italiane e le rappresentanze sindacali dei lavoratori per analizzare le criticità emerse nella partenza della sperimentazione nel bellunese: nell'accordo contrattuale sono previsti monitoraggi cadenzati per evidenziare criticità ed eventuali messe a punto del sistema, mentre, nell'incontro, l'azienda ha negato l'esistenza di problematiche affermando che procederà come stabilito dal piano di ristrutturazione; gli standard di sicurezza e di qualità del lavoro, che, nella realtà, non esistono. Nel Bellunese i mezzi in dotazione ai postini non sono a sufficienza e, di questi il 95 per cento sono pluriincidentati e non a regola (luci dei fari e delle frecce mancanti, parafanghi e specchietti fermati con lo scotch, freni a mano rotti, impianti elettronici in tilt –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti di cui in premessa e quali iniziative normative intendano adottare, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di garantire l'efficienza e la qualità del servizio pubblico postale;
   se si intendano mettere in atto iniziative di verifica nei confronti di Poste Italiane, tese ad accertare se i fatti accaduti dal 2003 al 2014 abbiano causato un disservizio alla collettività e provocato anche un danno economico allo Stato, che paga, in media, circa 300 milioni di euro l'anno per l'affidamento del servizio di posta universale;
   se intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, per verificare se Poste Italiane ha rispettato effettivamente i parametri prefissati per il servizio e, in caso negativo, se si intenda procedere al recupero delle penali (50 mila euro per ogni mezzo punto percentuale sforato);
   se si intendano valutare, per quanto di competenza i dati forniti da Poste Italiane ad Agcom, per il piano di ristrutturazione della funzione Posta comunicazione logistica, sui tempi di consegna della corrispondenza e sulla disponibilità di personale effettivamente operativo, anche alla luce di quanto emerso dalle indagini in corso;
   se si intenda applicare immediatamente, alla fine del primo step, la clausola di revoca della ristrutturazione, se il piano non dovesse rispondere agli esiti preventivati e non abbia risolto le forti criticità finora segnalate. (4-11970)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Borghi e altri n. 1-00952, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Tacconi, Paolo Rossi.

  La mozione Miccoli e altri n. 1-01129, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Miotto, Marroni.

  La mozione Andrea Maestri e altri n. 1-01136, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Marzano.

Apposizione di firme a una risoluzione
e indicazione dell'ordine dei firmatari.

  La risoluzione in commissione Paolo Nicolò Romano e altri n. 7-00898, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Mannino, Zolezzi, Terzoni, De Rosa, Micillo, Busto e, conseguentemente, l'ordine dei firmatari si intende così modificato: Paolo Nicolò Romano, Mannino, Nicola Bianchi, Petraroli, De Lorenzis, Zolezzi, Terzoni, De Rosa, Micillo, Busto.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Lavagno e altri n. 2-01260, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Santerini.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Pesco e altri n. 5-07662, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Gagnarli.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Borghi n. 1-00952, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 464 del 17 luglio 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    in questi mesi è in corso di definizione il negoziato tra il nostro Paese e la Confederazione elvetica, negoziato che disciplinerà, oltre ai rapporti fiscali tra i due Paesi, anche importanti competenze ad oggi soggette a precedenti accordi quali ad esempio quelle sul lavoro frontaliero;
    il quadro delle relazioni con la Confederazione elvetica risulta essere complesso a seguito delle prese di posizione dei massimi responsabili istituzionali del Canton Ticino, e all'assunzione di specifiche iniziative unilaterali lesive dei principi di libera circolazione delle persone, di libertà della concorrenza e di intrapresa e di uguaglianza di fronte alla legge;
    risultano essere infatti ormai quotidiane le dichiarazioni pubbliche di esponenti istituzionali del Canton Ticino tese a mettere in discussione sia i diritti dei numerosi cittadini italiani occupati regolarmente presso imprese e aziende ticinesi, sia lo stato delle relazioni Italia-Svizzera, concentrate oggi sui negoziati fiscali e sull'accordo per l'imposizione fiscale dei lavoratori frontalieri;
    ad oggi i lavoratori frontalieri in territorio elvetico provenienti dall'Italia risultano essere circa 60.000, e numerose sono le piccole e medie aziende dei territori di confine della Valle d'Aosta, del Piemonte, della Lombardia e della Provincia Autonoma di Bolzano ad essere interessate nei processi di fornitura e di assistenza nell'ambito del mercato elvetico;
    nei confronti dei lavoratori frontalieri si è assistito negli ultimi mesi, complice anche la campagna elettorale in territorio elvetico, ad un continuo ed ingiustificato attacco di natura discriminatoria e xenofoba;
    in particolare, hanno destato scalpore, a questo riguardo, la decisione del Canton Ticino tesa ad obbligare ogni cittadino italiano in via di occupazione in Svizzera a presentare il certificato dei carichi pendenti in allegato alla richiesta di assunzione;
    in questa direzione si è inserito anche l'avvio dell'elaborazione da parte del Consiglio di Stato del Ticino di una clausola fortemente restrittiva sul reddito dei cittadini italiani occupati in Ticino mediante una maggiorazione del trattamento fiscale sulla base della nazionalità italiana dei lavoratori, circostanze ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo in palese contrasto con l'accordo sulla libera circolazione delle persone sottoscritto tra Unione europea e Confederazione elvetica;
    è da sottolineare altresì la volontà di introdurre su base cantonale un limite restrittivo di quote dei frontalieri, smentendo in tal modo la competenza del Consiglio federale e ponendo di fatto un'azione di messa in mora dell'accordo sulla libera circolazione delle persone;
    a ciò si aggiunga il fatto che il 24 marzo 2015, con provvedimento n. 24 del 2015, il Gran Consiglio della Repubblica e Cantone Ticino ha approvato la legge sulle imprese artigianali per l'esercizio della professione di imprenditore nel settore artigianale, introducendo elementi che vanno nella direzione di ostacolare la libera circolazione delle imprese estere in Canton Ticino;
    nello specifico agli articoli 3 e 4 della legge si è decretata l'istituzione di un albo delle imprese artigianali, la cui iscrizione da parte delle stesse costituisce condito sine qua non per l'esercizio della professione, ed è subordinata al rispetto di determinati requisiti professionali, così come previsto dall'articolo 6 della legge stessa, la cui identificazione è rimandata all'approvazione di apposito regolamento pubblicato sul Bollettino Ufficiale delle leggi del Canton Ticino il 20 gennaio 2016;
    i contenuti del suddetto regolamento prevedono, tra le altre cose, il rispetto dei seguenti requisiti:
   diplomi e titoli di studio prevedendo il riconoscimento unilaterale dei diplomi e certificati esteri da parte della Segreteria di Stato Svizzera – SEFRI –;
   attestati e referenze concernenti l'attività pratica;
   certificato di solvibilità personale;
   dimostrazione di lavorare in Svizzera da almeno 5 anni;
   eventuali infrazioni saranno sanzionate con multe sino a 50.000 franchi;
    una disposizione che, così concepita, necessita di approfondimenti sia rispetto al percorso formativo abilitante e sia rispetto alla modalità per il riconoscimento dell'esperienza professionale;
    in merito all'omologazione dei titoli di specializzazione professionale degli artigiani italiani con quelli riconosciuti in Svizzera, come già emerso in passato, e ribadito in occasione nell'incontro tenutosi il 30 giugno 2015 presso il Ministero dello sviluppo economico – Divisione VI cooperazione economica bilaterale in merito alla professionalità degli elettricisti ed idraulici italiani, l'ostacolo è rappresentato dal diverso percorso formativo adottato nei due paesi; impedimento che non può essere superato, così come prospettato dalla Svizzera, con l'introduzione di obbligo di frequentazione da parte delle imprese italiane di idoneo corso professionale riconosciuto dal legislatore svizzero e successivo superamento di un esame di pratica;
    la disamina della questione dovrebbe tener conto anche di quanto previsto dalle direttive europee 2005/36/CE e 2013/55/UE, che nell'istituire un regime di riconoscimento delle qualifiche professionali nell'Unione Europea, estesa anche ad altri Paesi dello spazio economico europeo (SEE) e alla Svizzera, mira a rendere i mercati del lavoro più flessibili, a liberalizzare ulteriormente i servizi, a favorire il riconoscimento automatico delle qualifiche professionali e a semplificare le procedure amministrative;
    in tal senso sembra significativo quanto sancisce l'articolo 16 della direttiva 2005/36/EU che recita «Se in uno Stato membro l'accesso a una delle attività legate all'allegato IV o il suo esercizio è subordinato al possesso di conoscenze e competenze generali, commerciali o professionali, lo Stato membro riconosce come prova sufficiente di tali conoscenze e competenze l'aver esercitato l'attività considerata in un altro Stato membro»;
    in questa direzione va anche la Direttiva 2013/55/UE, applicabile dal 18 gennaio 2016 che nel prevedere la creazione di una tessera professionale europea consente ai cittadini di poter chiedere il riconoscimento delle proprie qualifiche professionali;
    si evidenzia altresì che esiste un apposito Accordo tra la Confederazione Svizzera, da una parte, e la Unione europea ed i suoi Stati membri, dall'altra, sulla libera circolazione delle persone i cui lavori si sono conclusi il 21 giugno 1999, approvato dall'Assemblea federale Svizzera l'8 ottobre 1991, ratificato con strumenti depositati il 16 ottobre 2000, entrato in vigore il 1o giugno 2002;
    il provvedimento adottato coinvolge 4.548 ditte artigiane individuali e 9.835 dipendenti di società, per un totale di 14.383 italiani che nel corso del 2015 hanno prestato, per un periodo di tempo inferiore ai 90 giorni anno, lavoro in Svizzera nel Canton Ticino. Questi lavoratori, imprenditori e loro dipendenti, sono per lo più di provenienza lombarda e piemontese, in particolare delle province di Varese, Como, Verbano Cusio Ossola, che, per il ruolo che giocano a supporto dell'economia cantonale, quale importante forma di collaborazione per lo sviluppo di alcuni comparti economici (in primis quelli legati alla filiera dell'abitare), sono sempre stati al centro del dibattito in Canton Ticino in quanto ingiustamente accusati di sottrarre opportunità di lavoro alle imprese locali;
    le richiamate gravi prese di posizione nei confronti dei cittadini italiani lavoratori frontalieri in Svizzera sono diventate pressoché quotidiane, creando una forte tensione nei rapporti con la Confederazione elvetica, per evitare la quale si ritiene indispensabile che quest'ultima in maniera esplicita smentisca formalmente con propri atti alcune iniziative condotte dalle autorità cantonali ticinesi a scapito dei principi della libera circolazione delle persone;
    mentre tutto ciò si è andato realizzando, in data 22 dicembre 2015 l'Italia e la Svizzera hanno parafato un accordo sull'imposizione fiscale dei lavoratori frontalieri, unitamente ad un protocollo che modifica le relative disposizioni della Convenzione contro le doppie imposizioni, al fine di concretizzare uno dei principali impegni assunti dai due Stati nella «road map», firmata nel febbraio 2015 in occasione dei procedimenti connessi con l'approvazione della «voluntary disclosure». Il nuovo accordo, chiamato a sostituire quello del 1974, allo stato non risulta essere stato ancora firmato da parte di entrambi i governi né tantomeno approvato da parte dei rispettivi Parlamenti, e i governi hanno annunciato che il testo sarà reso disponibile e pubblico al momento della firma;
    secondo quanto reso pubblico con un comunicato congiunto del Ministero dell'Economia e delle Finanze della Repubblica Italiana e dalla Segreteria di Stato per le Questioni Finanziarie Internazionali della Confederazione Elvetica, l'accordo comprende i seguenti principali elementi:
   si fonda sul principio di reciprocità;
   fornisce una definizione di aree di frontiera che, per quanto riguarda la Svizzera, sono i Cantoni dei Grigioni, del Ticino e del Vallese e, nel caso dell'Italia, le Regioni Lombardia, Piemonte, Valle d'Aosta e Provincia Autonoma di Bolzano;
   fornisce una definizione di lavoratori frontalieri al fine dell'applicazione dell'accordo e include i lavoratori frontalieri che vivono nei comuni i cui territori ricadono, per intero o parzialmente, in una fascia di 20 chilometri dal confine e che, in via di principio, ritornano quotidianamente nel proprio Stato di residenza;
   per quanto riguarda l'imposizione, lo Stato in cui viene svolta l'attività lavorativa imporrà sul reddito da lavoro dipendente al 70 per cento al massimo dell'imposta risultante dall'applicazione delle imposte ordinarie sui redditi delle persone fisiche. Lo Stato di residenza applicherà le proprie imposte sui redditi delle persone fisiche ed eliminerà la doppia imposizione;
    viene effettuato uno scambio di informazioni in formato elettronico relativo ai redditi da lavoro dipendente dei lavoratori frontalieri;
    l'accordo sarà sottoposto a riesame ogni cinque anni;
    il comparto del frontalierato risulta essere interessato, sul fronte interno, da un provvedimento relativo ad una controversa interpretazione normativa relativa al paventato rischio di pagamento da parte dei lavoratori frontalieri dell'assistenza sanitaria italiana, a seguito dell'emanazione di una Circolare del Ministero della Salute che, richiamando un accordo Stato-Regioni in data 20 dicembre 2012, lascerebbe supporre che per i lavoratori italiani occupati in Svizzera e per i titolari di pensione svizzera possa essere prevista l'iscrizione volontaria al servizio sanitario nazionale, mediante il pagamento alla ASL di residenza di un contributo fissato dal decreto ministeriale 8 ottobre 1986 e successive modificazioni e integrazioni, circostanza che sta aprendo numerosi dubbi e interrogativi circa la fondatezza giuridico-costituzionale del provvedimento a causa della sua onerosità, della lesione del principio di universalità sul quale si fonda il servizio sanitario nazionale e sulla circostanza che si renderebbe impossibile una pratica uniforme del provvedimento in assenza da parte dell'Italia dell'elenco anagrafico dei frontalieri;
    l'intera questione relativa allo stato delle relazioni tra Italia e Svizzera deve essere colta dal Governo nella sua globalità e complessità, e che le determinazioni da assumersi in merito non possono essere astratte rispetto al quadro complessivo delle situazioni in campo, ivi compresa la necessaria corrispondenza di risposte ufficiali da parte delle competenti istituzioni elvetiche in termini di positiva cooperazione e di effettiva disponibilità,

impegna il Governo:

   a richiedere un chiarimento formale alla Confederazione elvetica in merito alle decisioni discriminatorie assunte dal Canton Ticino in contrasto con gli accordi di libera circolazione delle persone;
   a rivalutare l'accordo tra Italia e Svizzera in materia fiscale in relazione alla formulazione, da parte delle competenti autorità federali e cantonali svizzere, di specifiche assicurazioni formali tendenti ad escludere la validità e l'applicazione di qualsivoglia iniziativa discriminatoria e lesiva dell'accordo di libera circolazione delle persone intercorrente tra Unione europea e Confederazione elvetica nei confronti di cittadini italiani occupati o occupabili in Svizzera e di aziende italiane potenzialmente interessate al mercato elvetico, nonché alla rimozione di ogni forma di discriminazione sin qui messa in campo, ivi compresa l'individuazione da parte della Svizzera di una soluzione euro-compatibile di adeguamento della propria legislazione al risultato del voto popolare sull'iniziativa del 9 febbraio 2014;
   a fare in modo che in ogni caso, modalità e tempistiche relative all'armonizzazione fiscale tra cittadini italiani frontalieri compresi entro la fascia dei 20 chilometri e cittadini italiani frontalieri fuori fascia siano disciplinate, per quanto di competenza del Governo italiano, nel disegno di legge di ratifica dell'accordo tra Repubblica italiana e Confederazione elvetica o in altre iniziative normative;
   ad operare affinché in tale contesto venga prevista l'introduzione della franchigia per i lavoratori frontalieri di cui alla legge di stabilità 2015 in termini di permanente agevolazione Irpef anche per i lavoratori frontalieri presenti all'interno della fascia di 20 chilometri dal confine italo-elvetico;
   ad assumere iniziative per garantire che nel nuovo quadro giuridico si provveda ad assicurare ai comuni di frontiera l'erogazione dell'equivalente dell'attuale ristorno delle imposte versate dai lavoratori frontalieri secondo l'accordo del 1974, mediante specifica disposizione legislativa italiana che commisuri la ripartizione fiscale spettante ai comuni di frontiera alla dinamica del monte salari complessivamente prodotto dal comparto transfrontaliero avendo come montante minimo di partenza il valore complessivo dei ristorni fiscali generato nell'ultimo anno fiscale di vigenza dell'accordo Italia-Svizzera del 1974;
   ad avviare, in conformità a specifiche mozioni già adottate dal Parlamento italiano, il percorso finalizzato alla realizzazione dello «statuto del frontaliere» come parte integrante e sostanziale del processo di ratifica del futuro accordo tra Italia e Svizzera;
   ad adoperarsi per un costante coinvolgimento delle istituzioni locali interessate (Regioni Valle d'Aosta, Piemonte e Lombardia, Provincia Autonoma di Bolzano, Province di Sondrio e del Verbano Cusio Ossola, in considerazione anche delle loro nuove competenze in materia di cooperazione frontaliera a seguito della legge 56 del 2014, Province di Como, Lecco e Varese) e dalle rappresentanze sindacali dei lavoratori frontalieri;
   ad analizzare i contenuti dei provvedimenti legislativi e regolamentari assunti dal Canton Ticino richiamati in premessa, e – qualora siano in contrasto con accordi bilaterali o con l'Unione europea – ad assumere iniziative presso le sedi opportune affinché venga modificato quanto disposto unilateralmente;
   ad intervenire per quanto di competenza sospendendo ogni iniziativa tendente ad introdurre un'impropria modalità di pagamento da parte di lavoratori italiani occupati in Svizzera e per i titolari di pensione svizzera ai fini dell'iscrizione volontaria al servizio sanitario nazionale;
   ad assumere iniziative per prevedere che le prestazioni corrisposte ai lavoratori frontalieri dalla previdenza professionale per la vecchiaia, i superstiti e l'invalidità Svizzera (LPP), in qualunque forma erogate, ivi comprese le prestazioni erogate dai diversi enti o istituti svizzeri di prepensionamento, vengano assoggettate, ai fini delle imposte dirette a una tassazione forfettaria in analogia alla normativa sulla collaborazione volontaria.
(1-00952)
«Borghi, Braga, Marantelli, Tentori, Guerra, Fragomeli, Senaldi, Gadda, Baruffi, Realacci, Tacconi, Paolo Rossi».

Ritiro di una firma da una interrogazione.

  Interrogazione a risposta scritta Parentela e altri n. 4-11782, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 gennaio 2016: è stata ritirata la firma del deputato Dieni.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Segoni e altri n. 5-05410 del 22 aprile 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-01987;
   interrogazione a risposta in Commissione Chimienti e altri n. 5-06523 del 30 settembre 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-01986;
   interrogazione a risposta scritta Marazziti n. 4-11885 del 1o febbraio 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07668.

ERRATA CORRIGE

  Risoluzione in Commissione Paolo Nicolò Romano e altri n. 7-00898 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 557 del 28 gennaio 2016. Alla pagina 33229, prima colonna, alla riga terza, deve leggersi: «L'VIII e la IX Commissione,», e non come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ARLOTTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il progetto TRC – Trasporto Rapido Costiero è stato inserito nel 1° programma nazionale delle opere strategiche (legge obiettivo n. 443/01 e successive modificazioni e integrazioni);
   la realizzazione della prima tratta, Rimini FS-Riccione FS, ha ricevuto con delibera Cipe n. 86 del 2004, n. 70 del 2005 e n. 93 del 2006 un finanziamento statale;
   il progetto TRC, prima tratta, è stato approvato in sede di conferenza di servizi deliberante presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   il 22 gennaio 2008 l'Agenzia mobilità ha aggiudicato all'associazione temporanea di impresa che vede capogruppo Cogel Spa l'appalto integrato dei lavori di realizzazione del trasporto rapido costiero (TRC) Rimini/Fiera-Cattolica, 1° stralcio funzionale tratta Rimini FS-Riccione FS Metropolitana leggera di superficie in affiancamento;
   in data 15 luglio 2008 è stato sottoscritto tra tutti i sindaci interessati dalla realizzazione dell'infrastruttura Metrò della Costa l'accordo di programma sulle modalità operative di esecuzione dell'opera stessa, sul riparto dei costi in capo a ciascun comune firmatario;
   i lavori relativi all'infrastruttura principale hanno avuto inizio nel luglio 2012 e sono attualmente in fase di esecuzione;
   nel settembre 2013 i lavori hanno avuto inizio anche nel territorio del comune di Riccione;
   ogni eventuale modifica all'opera, tranne quelle che il codice degli appalti riserva alla stazione appaltante, può essere decisa esclusivamente in sede di comitato di coordinamento del TRC, composto da regione Emilia-Romagna, provincia e comuni di Rimini, Misano Adriatico e Riccione, Agenzia della mobilità, stazione appaltante dell'opera;
   già nel maggio 2015 l'allora Ministro Maurizio Lupi, in occasione di una sua visita istituzionale a Riccione, aveva ribadito come l'opera TRC si potesse modificare solo a condizioni che eventuali varianti fossero approvate dal comitato di coordinamento;
   lo stesso comitato nel luglio 2014 aveva respinto le proposte di modifica avanzate dal comune di Riccione;
   lo stesso comune di Riccione ha promosso l'impugnazione della decisione del comitato di coordinamento, avanti al TAR dell'Emilia Romagna;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si è costituito in giudizio contro l'annullamento unitamente alla stazione appaltante agenzia mobilità della provincia di Rimini e la regione Emilia Romagna;
   il comune di Riccione, una volta risultato soccombente presso il TAR dell'Emilia Romagna (con sentenza del 30 ottobre 2014), ha proposto appello al Consiglio di Stato;
   anche nel secondo grado di giudizio il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si è costituito in giudizio unitamente alla stazione appaltante Agenzia mobilità della provincia di Rimini e la regione Emilia Romagna;
   il Consiglio di Stato ha rigettato l'appello proposto dal comune di Riccione con sentenza dell'11 febbraio 2015;
   con determinazione dirigenziale n. 877 del 21 settembre 2015 il comune di Riccione ha disposto l'affidamento dell'incarico professionale per la redazione di una perizia tecnica sulla corretta esecuzione dei lavori del trasporto rapido costiero all'ingegnere Henry Del Greco, mediante cottimo fiduciario con affidamento diretto;
   obiettivo dell'affidamento dell'incarico è per l'amministrazione comunale di Riccione «verificare che i lavori di esecuzione dell'infrastruttura sopra specificata siano eseguiti correttamente e nel pieno rispetto dell'accordo di programma sopra richiamato nonché della normativa di riferimento», nonché «verificare la sussistenza di possibili varianti o miglioramenti al progetto dell'infrastruttura in corso di realizzazione mediante specifica valutazione progettuale di fattibilità»;
   l'incaricato nello specifico dovrà redigere una relazione tecnica avente ad esame e commento il progetto definitivo della linea trasporto rapido costiero Rimini FS-Riccione FS con approfondimento della fattibilità tecnica di eventuali variazioni planoaltimetriche del percorso e di quota utili per mitigare l'impatto architettonico/ambientale prodotto dalle infrastrutture in progetto nelle aree centrali del tessuto urbano del comune di Riccione;
   l'ingegner Henry Del Greco risulta essere dirigente di II fascia presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, direzione generale per le dighe e le infrastrutture idriche ed elettriche, divisione 1, nonché dirigente ad interim dell'ufficio tecnico per le dighe di Milano;
   con nota pervenuta al comune di Riccione, prot. n. 30029 del 21 luglio 2015, il direttore generale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha autorizzato l'ingegner Henry Del Greco all'incarico professionale in questione ai sensi dell'articolo 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001 e successive modificazioni e integrazioni –:
   se ritenga opportuno l'affidamento all'ingegner Del Greco, dirigente dipendente del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di una consulenza per la verifica di un'opera finanziata dallo Stato, approvata e realizzata sotto il controllo del medesimo Ministero;
   se non ritenga che si possa configurare per l'ingegner Del Greco un conflitto di interessi fra i ruoli che riveste;
   se l'ingegner Del Greco, con il proprio curriculum, rappresenti una professionalità adeguata all'incarico affidato;
   chi abbia valutato e autorizzato l'ingegner Del Greco all'incarico professionale affidatogli dal comune di Riccione.
(4-11443)

  Risposta. — L'intervento di realizzazione del progetto TRC (Trasporto rapido costiero) si sviluppa prevalentemente in superficie e in affiancamento alla esistente linea FS Bologna-Ancona; la lunghezza del tracciato è pari a 9,8 chilometri circa, di cui circa 5,8 chilometri a semplice via di corsa e per il restante sviluppo a doppia via di corsa, in sede propria protetta. Il sistema utilizzato è di tipo filoviario, con veicoli bimodali dotati di dispositivi di guida tali da consentire loro la marcia su un percorso guidato (tecnologia Phileas).
  È prevista la realizzazione di numerose opere d'arte per la sostituzione di alcuni passaggi a livello presenti sulla linea ferroviaria FS in affiancamento, per la realizzazione di attraversamenti del rilevato ferroviario e per il superamento di torrenti.
  Per opportuna conoscenza, si fa presente che il detentore del sistema tecnologico Phileas è fallito nel dicembre 2014 e, pertanto, il soggetto attuatore ha in corso una verifica con l'appaltatore per l'individuazione di una diversa tipologia di veicoli.
  I lavori erano stati appaltati nel gennaio 2008.
  L'intervento, con la dizione «Costa romagnola metropolitana», rientra tra le opere inserite nel primo programma delle infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale di cui alla deliberazione Cipe n. 121 del 21 dicembre 2001.
  Con delibera n. 86/2004, il Cipe ha approvato il progetto preliminare dell'intervento per un importo di euro 92.961.800,41, rinviando l'assegnazione del finanziamento alla fase di approvazione del progetto definitivo, e ha preso atto che il soggetto aggiudicatore è l'Agenzia TRAM (ora Agenzia Mobilità).
  Con successiva delibera n. 70/2005, il Cipe ha assegnato programmaticamente all'intervento in questione un finanziamento, in termini di volume di investimento, di euro 42.856.861,00.
  Poi, con delibera n. 93/2006, il Cipe ha approvato il progetto definitivo del «Trasporto rapido costiero (TRC) Rimini Fiera-Cattolica: 1o stralcio funzionale tratta Rimini FS-Riccione FS», per un importo di euro 92.053.217,95 assegnando in via definitiva all'Agenzia TRAM (ora Agenzia Mobilità) il finanziamento di euro 42.856.861,00, a valere sui fondi di cui all'articolo 13 della legge n. 166/2002.
  Con riferimento specifico alla problematica esposta, si evidenzia che, recentemente, il comune di Riccione ha inviato una documentazione tecnica con la quale formalizza una richiesta di revisione del progetto nel tratto interessante l'ultimo miglio nel territorio del comune di Riccione. Tale richiesta si sostanzia nella sostituzione dei viadotti con una infrastruttura a raso con semaforizzazione preferenziale nelle intersezioni stradali.
  A supporto della proposta progettuale, il comune di Riccione ha presentato una relazione sulla fattibilità redatta dall'ingegnere Henry Del Greco su incarico del comune medesimo.
  Per lo svolgimento dell'incarico in argomento, l'ingegnere Henry Del Greco, già dirigente della direzione generale delle infrastrutture ferroviarie e per l'interoperabilità di questo Ministero, è stato autorizzato con direttoriale n. 14657, datata 17 luglio 2015, della direzione generale per le dighe e le infrastrutture idriche ed elettriche, ove lo stesso presta servizio dal 23 febbraio 2015.
  Tale autorizzazione è stata rilasciata sulla base delle dichiarazioni e della documentazione allegata dall'interessato all'istanza di autorizzazione, in ottemperanza a quanto disciplinato dalle disposizioni legislative e regolamentari in materia di incarichi dei pubblici dipendenti richiamate nella nota medesima e, in particolare, dall'articolo 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001.
  L'interessato, nell'istanza di autorizzazione ha dichiarato testualmente che si tratta di un incarico:
   di natura occasionale, senza vincoli di subordinazione col soggetto conferente;
   che per contenuto e settore di competenza, non risulta in alcun modo connesso con le attività e le mansioni svolte nell'attuale incarico dirigenziale;
   che prevede una specifica attività professionale (consulenza) di breve durata, che può essere pacificamente svolta al di fuori del proprio orario di servizio;
   rispondente ai vincoli normativi e procedurali dettati dalla vigente direttiva ministeriale sugli incarichi professionali extra-contrattuali (n. 7263 del 25 maggio 2007);
   di importo limitato (inferiore a euro 7.500) che una volta espletato verrà corrisposto (direttamente) al medesimo, in quanto riferita a prestazione professionale non connessa con i doveri di ufficio e con l'amministrazione di appartenenza.

  Da un punto di vista procedurale, sulla base degli elementi forniti dall'ingegnere Del Greco, le valutazioni svolte dal direttore della direzione generale per le dighe e le infrastrutture idriche ed elettriche appaiono corrette, non sussistendo alcuna incompatibilità con il ruolo svolto dal suddetto ingegnere nell'ambito dell'ufficio di appartenenza.
  Purtuttavia, in considerazione del ruolo svolto dal Ministero nel settore dei trasporti rapidi di massa, l'espletamento dell'incarico appare inopportuno e tale circostanza avrebbe dovuto essere attentamente valutata innanzitutto dall'interessato e, in ogni caso, la richiesta di autorizzazione avrebbe dovuto meglio dettagliare lo specifico contesto per mettere in condizione il direttore generale di disporre di tutti gli elementi utili alle conseguenti valutazioni.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   DORINA BIANCHI e SCOPELLITI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   a causa delle forti precipitazioni che si sono abbattute sulla regione Calabria nella notte tra il 31 ottobre ed il 1° novembre 2015 (in 48 ore sono caduti 600 mm di pioggia, con venti che hanno raggiunto gli 80 chilometri orari), ingenti danni sono stati riportati sulla rete ferroviaria e sulla statale 106 Jonica, lasciando interi centri abitati praticamente isolati;
   le abbondanti precipitazioni hanno provocato un generale e considerevole innalzamento dei livelli idrometrici di tutti i corsi d'acqua (ad esempio, sulle Serre vibonesi il torrente Ancinale che sfocia nello Ionio nella zona di Noverato, è stato raggiunto il livello di 4,95 metri);
   oltre che nella zona del Reggino, la circolazione ferroviaria è stata interrotta anche fra Roccella Jonica e Monasterace, sulla linea Catanzaro-Roccella Jonica, così come reso noto da un comunicato delle Ferrovie dello Stato italiane;
   la strada statale 106 jonica è stata chiusa momentaneamente al traffico in quattro diversi tratti, sempre nel Reggino, a causa di alcune frane e dello straripamento del torrente Ferruzzano che hanno completamente travolto la sede stradale. In entrambe le direzioni, dal chilometro 50 al chilometro 65, è chiuso il tratto compreso tra Palazzi Marina e Brancaleone Marina;
   il secondo tratto interessato si estende dal chilometro 65,8 al 67,20 in località Marinella di Ferruzzano. Stessa situazione si presenta dal chilometro 83 al 92 tra Bovalino ed Ardore, mentre il quarto tratto chiuso è compreso fra il chilometro 121 e 122 tra Marina di Paulonia e Riace Marina;
   a causa di queste interruzioni, il traffico è stato deviato su strade locali, con il tempestivo intervento sul posto delle forze dell'ordine, dei Vigili del fuoco e del personale dell'ANAS;
   per quanto concerne la fascia costiera tirrenica, una frana ha fatto crollare circa 70 metri di muro tra Scilla e Favazzina, mentre a Gioia Tauro le condizioni del fiume Budello, a rischio esondazione, sono tenute sotto stretta osservazione sebbene non siano considerate da criticità rossa;
   è in questa zona, inoltre, che i vigili del fuoco hanno recuperato la salma di un uomo inizialmente disperso che era stato sorpreso in auto con la figlia (quest'ultima tratta in salvo da alcuni passanti) dalla piena di un torrente straripato;
   allo stato attuale, risultano ancora isolati i comuni di Platì, Ferruzzano e Bruzzano, con ingenti danni riportati anche da numerosi altri comuni colpiti dalla violenza delle precipitazioni e dalla straripamento dei torrenti –:
   alla luce di quanto espresso in premessa, se non sia opportuno dichiarare lo stato di emergenza per calamità naturale nelle regione Calabria, visti i danni riportati in seguito alle ultime precipitazioni ed in considerazione di un livello di dissesto idrogeologico che già interessava il territorio dell'intera regione e che non può che essersi aggravato. (4-11302)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si riferisce quanto segue.
  In merito ai fenomeni meteorologici a cui fa riferimento l'interrogante, occorsi nella regione Calabria tra il 31 ottobre e il 1o novembre 2015, si rappresenta che sono stati colpiti, in particolare, i territori delle province di Reggio Calabria e Catanzaro, ove sono stati registrati dissesti idrogeologici ed ingenti danni, oltre che disagi per la popolazione.
  In particolare, nei giorni suindicati, su alcune aree, le cumulate di pioggia hanno raggiunto massimi precipitativi di 690 millimetri (Chiaravalle Centrale – Catanzaro) ed in altre località hanno superato abbondantemente i 500 millimetri (Canolo Nuovo, Sant'Agata del Bianco – Reggio Calabria –, Cassari e Fabrizia – Vibo Valentia –, interessando così tutte le province meridionali della regione, con precipitazioni diffuse e molto elevate.
  Conseguentemente alle piogge, il reticolo principale e secondario dei vari bacini coinvolti ha rilevato, nelle sezioni monitorate, consistenti innalzamenti del livello idrometrico, in particolare l'Ancinale a Chiaravalle ha fatto registrare un incremento di 4,7 metri in 36 ore (da 0,2 metri alle ore 00 UTC del 31 ottobre 2015 a 4,9 metri alle ore 12 UTC del 1o novembre 2015).
  Diverse esondazioni si sono verificate lungo i corsi d'acqua, anche in aree antropizzate, così come diversi fenomeni di versante; in particolare, riattivazioni di frane esistenti e scivolamenti superficiali, dovuti principalmente all'elevata quantità d'acqua presente nel terreno.
  A seguito dell'avviso meteo emesso il 30 ottobre 2015, il dipartimento della protezione civile ha seguito costantemente l'intera fase emergenziale, rafforzando le attività di monitoraggio, attraverso uno specifico presidio operativo, al fine di recepire eventuali richieste di supporto del sistema nazionale di protezione civile provenienti dal territorio.
  Le prime segnalazioni di allagamenti ed esondazioni sono arrivate nella notte tra il 30 ed il 31 ottobre, a causa delle precipitazioni abbondanti che hanno interessato, in particolare, la provincia di Reggio Calabria.
  Le maggiori criticità si sono registrate a partire dal pomeriggio del 31 ottobre per le intense precipitazioni insistenti sulla provincia di Reggio Calabria.
  Nel pomeriggio del 31 ottobre, un uomo, inizialmente dato per disperso, che viaggiava a bordo della propria auto con la figlia, è stato travolto dalle acque del torrente «San Nicola» nel comune di Taurianova ed è stato ritrovato dai Vigili del Fuoco privo di vita nel corso della mattina del 1o novembre.
  Le maggiori criticità nel versante Jonico sono state registrate sulla viabilità principale e secondaria della provincia di Reggio Calabria. In particolare, la statale 106 è stata chiusa al traffico tra i comuni di Palizzi Marina e Brancaleone Marina e tra i comuni di Ardore e Bovalino dove i torrenti «Malachia», «Ardore Marina» e «Schiavo» sono esondati. L'interruzione più grave è stata determinata dal crollo del ponte sulla Fiumara «Ferruzzano» nell'omonimo comune.
  Per quanto riguarda le strade provinciali, due sono risultate quelle maggiormente colpite, la SP2 BIS, chiusa per frana, e la SP2dir, chiusa per il crollo del ponte «Ancone».
  Il crollo del ponte sulla fiumara «Ferruzzano» ha interessato anche la tratta ferroviaria tra Roccella Jonica e Monasterace. Nella tratta sono stati attivati alcuni servizi sostitutivi con bus, previa definizione da parte del centro coordinamento soccorsi (CCS) di percorsi alternativi. Dal 5 novembre, è stato attivato il servizio di bus sostitutivo nella tratta ferroviaria Brancaleone-Melito di Porto Salvo, mentre dal 6 novembre è stata ripristinata la tratta ferroviaria Roccella Jonica-Bovalino. L'intera linea ferroviaria jonica è stata ripristinata il 10 novembre 2015.
  Nel versante tirrenico, l'esondazione del torrente «Pettogallico», nel comune di Reggio Calabria, ha causato la rottura della condotta che porta acqua al locale acquedotto. L'intervento di squadre di pronto intervento ha risolto la problematica, (
bypass con altre condotte) sebbene si registri un calo di pressione.
  Anche sul versante tirrenico si sono verificate diverse criticità sulla viabilità principale e secondaria, in particolare, è stata chiusa al traffico la strada statale 18, tra Favazzina e Scilla a causa di una frana; su richiesta del sindaco di Scilla sono state previste fermate straordinarie dei treni, in località Favazzina, allo scopo di consentirne l'accessibilità.
  Nel comune di Gioia Tauro, il torrente Budello è stato monitorato per rischio esondazione, ma in considerazione della diminuzione dei livelli idrometrici, non è stato necessario evacuare la popolazione.
  Nel corso della giornata del 1o novembre un'interruzione per allagamenti, nella tratta compresa tra le stazioni di Bagnara Calabra e Villa San Giovanni, ha causato ripercussioni anche sulla circolazione dei convogli a lunga percorrenza.
  A scopo precauzionale diversi sindaci hanno disposto la chiusura degli istituti scolastici (province di Reggio Calabria, Cosenza, Catanzaro e Vibo Valentia).
  Per quanto riguarda la risposta della protezione civile, a livello locale, per rispondere alle necessità della popolazione, sono stati attivati dai sindaci i centri operativi comunali nei comuni di Ardore, Benestare, Bova, Bruzzano Zeffirio, Taulonia, Gioia Tauro, Melito Porto Salvo, Plati, Reggio Calabria, Roccella Ionica, San Luca, Cittanova e Grotteria.
  Per coordinare gli interventi a livello provinciale, dal 31 ottobre, presso la prefettura di Reggio Calabria, è stata attivata l'unità di crisi e, in considerazione del peggioramento delle condizioni meteo e delle numerose criticità riscontrate, alle ore 17.30 del 1o novembre è stato attivato, presso la prefettura di Reggio Calabria, il centro coordinamento soccorsi. Dal 2 al 5 novembre un
team del dipartimento della protezione civile è stato presente presso il centro coordinamento soccorsi per supportare le attività di coordinamento degli interventi sul territorio e favorire lo scambio delle informazioni tra gli enti e le strutture operative presenti sul territorio.
  Numerosi gli interventi a favore della popolazione sono stati condotti durante l'emergenza dalle associazioni di volontariato locale e dalle altre strutture operative di protezione civile, in particolare sono state attivate le sezioni dei Vigili del fuoco provenienti da Cosenza, Vibo Valentia, Catania, Napoli, Avellino, Taranto e Potenza.
  Infine, riguardo alla richiesta di informazioni avanzata dall'interrogante circa l'opportunità di «dichiarare lo stato di calamità naturale nella regione Calabria, visto i danni riportati in seguito alle ultime precipitazioni ed in considerazione di un livello di dissesto idrogeologico che già interessava il territorio dell'intera Regione e che non può che essersi aggravato» si rende noto che la regione, con delibera di giunta n. 452 del 3 novembre 2015, ha deciso di chiedere lo stato di emergenza ai sensi dell'articolo 5 della legge 24 febbraio 2002, n. 225 per gli eventi alluvionali e di dissesto idrogeologico che hanno colpito il territorio calabrese nei giorni 30 e 31 ottobre e 1o e 2 novembre 2015.
  La richiesta è stata quindi trasmessa al dipartimento della protezione civile e, successivamente, integrata da una relazione preliminare, pervenuta in data 17 novembre 2015 con nota prot. 344556. La documentazione fornita con le citate note non risulta conforme con quanto previsto dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri dei 26 ottobre 2012, pertanto è in fase di predisposizione, da parte del dipartimento della protezione civile, una nota di richiesta di ulteriori elementi in ottemperanza alla richiamata direttiva presidenziale al fine di concludere l'istruttoria prevista finalizzata all'eventuale deliberazione da parte del Consiglio dei ministri.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha rappresentato che, per mitigare le situazioni a maggiore rischio del territorio regionale, a causa di precedenti fenomeni di dissesto, aveva stipulato con la regione Calabria, in data 25 novembre 2010, un accordo di programma che finanziava 185 interventi per complessivi 220 milioni di euro.
  Tra gli interventi finanziati sono compresi 12 interventi, per un importo complessivo di euro 23.400.000, che ricadono proprio nelle aree colpite dagli eventi alluvionali che si sono verificati a partire dal mese di agosto.
  Il soggetto attuatore degli interventi, nominato dal presidente della regione in qualità di commissario di Governo, ha comunicato che i medesimi interventi sono immediatamente cantierabili. Saranno pertanto avviati quanto prima i lavori per la loro realizzazione.
  Al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico e tempestivamente cantierabili, caratterizzati da un livello prioritario di rischio e ricadenti nell'ambito delle aree metropolitane nonché delle aree urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio idrogeologico, d'intesa con la struttura di missione, è stato varato il piano stralcio aree metropolitane. Il piano è stato approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2015. Si segnala che i 7 interventi per la regione Calabria, per un importo richiesto totale di 9.800.000,00 euro, sono inseriti nella sezione programmatica del piano stralcio aree metropolitane (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2015), in quanto ancora mancanti di progettazione definitiva o esecutiva.
  In aggiunta a tale piano, le richieste di finanziamento relative alle diverse tipologie di dissesto saranno comunque inserite in un nuovo piano nazionale di mitigazione del rischio idrogeologico che sarà varato non appena saranno disponibili le relative risorse.
  La procedura, infatti, prevede che ciascuna regione inserisca e validi, attraverso la compilazione di apposita scheda, le richieste di finanziamento nel sistema ReNDiS –
web (Repertorio nazionale degli interventi di difesa); tali richieste saranno poi valutate secondo procedure, modalità e criteri fissati dal decreto del Presidente del consiglio dei ministri 28 maggio 2015, condiviso con le regioni e le province autonome. Ciò consentirà di garantire la necessaria trasparenza nella programmazione delle risorse finanziarie rese disponibili e la migliore efficacia nell'utilizzo delle stesse rispetto agli obiettivi di protezione dell'incolumità di persone e beni esposti a rischio idrogeologica.
  Allo stato risulta che la regione abbia fatto richiesta, con inserimento nel sistema telematico ReNDiS, di ulteriori interventi – articolati sui vari livelli di progettazione – che, a seguito di istruttoria tecnica e selezione alla luce dei criteri definiti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, sulla base delle disponibilità finanziarie e delle priorità individuate con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri medesimo, potranno essere inseriti nel piano nazionale contro il dissesto idrogeologico. Tra queste richieste di finanziamento, che ammontano complessivamente a circa 876 milioni di euro, si segnala che 482 interventi, pari ad una richiesta di circa 729 milioni di euro, sono al livello di progettazione preliminare, mentre 30 progetti presentano un livello di progettazione esecutiva, per una richiesta di ammontare pari a circa 36 milioni di euro.

Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriClaudio De Vincenti.

(Risposta del Governo del 30 novembre 2015)


   BRIGNONE e CIVATI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Associazione Italiana Celiachia Onlus da anni è impegnata a favore dei diritti dei celiaci. AIC diffonde i principi generali di educazione alimentare che prevedono una dieta varia ed equilibrata, consigliando il corretto consumo per porzioni e frequenza di tutti gli alimenti, che, di per sé, non vanno demonizzati;
   la celiachia colpisce un italiano su 100 e, di conseguenza, si stima che a fronte di circa 180 mila pazienti diagnosticati a oggi ce ne siano 400 mila sommersi;
   la celiachia è una malattia genetica caratterizzata da un'intolleranza permanente al glutine, proteina presente in molti alimenti e, se non curata causa seri e gravi disturbi quali malnutrizione, anemie, osteoporosi, aborti ricorrenti, fino a tumori intestinali;
   dunque, chi soffre di celiachia è costretto a escludere dalla dieta una varietà vastissima di alimenti come pane, pasta, biscotti e sottovalutare la malattia e la necessità della dieta può esporre il paziente a complicanze anche irreversibili;
   questa patologia è dichiarata malattia sociale in base alla legge del 4 luglio 2005, n. 123, anche perché incidere sulla vita quotidiana dei pazienti poiché li costringe a pensare ogni pasto, che non si è come gli altri.
   il 18 ottobre 2015 la trasmissione Report andata in onda su Rai 3 ha mandato in onda un servizio sulla celiachia con l'obiettivo di far esaltare i costi proibitivi degli alimenti senza glutine e la fornitura gratuita attraverso i «buoni» mensili ai pazienti diagnosticati. Il servizio tuttavia è stato a giudizio degli interroganti approssimativo e nebuloso, addirittura è stata banalizzata la malattia;
   banalizzare la terapia è pericoloso perché per la celiachia non esistono farmaci e solo il cibo può essere, la cura. Una dieta se non seguita con rigore, secondo gli esperti, comporta rischi per la salute dei pazienti e il celiaco che non la segue correttamente al Servizio sanitario nazionale costerebbe molto più che curarlo;
   l'accesso ai prodotti senza glutine sostitutivi di pane, pasta e dolci tramite i buoni del Servizio sanitario nazionale (SSN), entro il tetto massimo di spesa previsto dalla legge di 99 euro mensili per le donne e 140 per gli uomini, è un diritto essenziale dei pazienti perché li protegge dal rischio di mancata aderenza alla dieta senza glutine, che deve essere seguita per tutta la vita per evitare complicanze anche gravi e le spese per il loro trattamento;
   è importante sottolineare che anche il celiaco ha il diritto di poter consumare prodotti che rientrano normalmente nella dieta delle persone non affette da celiachia, come biscotti e merendine. Secondo un recente studio, i prodotti senza glutine hanno profili nutrizionali analoghi ai prodotti con glutine presenti al supermercato e, in alcuni casi, addirittura migliori, con più fibre e meno olio di palma;
   tali prodotti sono fondamentali perché permettono ai pazienti, in particolare bambini e adolescenti di non allontanarsi dalla dieta consentendo di condurre una vita sociale che non li faccia sentire diversi in un momento così importante e quotidiano come quello della nutrizione;
   tuttavia, è corretto rilevare che il Servizio sanitario nazionale non rimborsa in modo indiscriminato prodotti superflui o addirittura dannosi come sembrerebbe emergere dal servizio di Report;
   lo Stato, come previsto dalla legge, copre solo il 35 per cento del fabbisogno calorico complessivo del celiaco, calcolato su prezzi degli alimenti che risalgono al 2001 ed eroga prodotti controllati dal Ministero che non comportano alcun danno alla salute, ma sono strumento di cura equo e sicuro, accessibile anche a chi non potrebbe permetterselo per i costi più elevati dei prodotti senza glutine. La garanzia di un diritto fondamentale al costo di poco più dello 0,1 per cento della spesa sanitaria complessiva;
   non bisogna perdere di vista il problema principale legato alla celiachia: nel nostro Paese solo il 25 per cento dei celiaci è diagnosticato, gli altri non sanno di esserlo e mettono a rischio ogni giorno la loro salute. Servono in media ancora 6 anni per giungere alla diagnosi sprecando denaro pubblico con esami inutili e costosi;
   il recente aggiornamento delle linee guida per la diagnosi da parte del Ministero della salute va proprio verso l'obbiettivo di miglioramento della diagnosi e qualsiasi abuso del diritto alla dieta senza glutine va scoraggiato e andrebbe sanzionato;
   il presidente di Aic, Giuseppe Di Fabio ha recentemente dichiarato «L'AIC da anni è impegnata a stimolare la diversificazione dei canali distributivi anche a supermercati e negozi oltre al circuito tradizionale delle farmacie, in quanto unico strumento a oggi in grado di ridurre in misura significativa i prezzi dei prodotti». Ma l'obiettivo centrale è evitare sprechi, indirizzando e sensibilizzando i pazienti alla scelta dei prodotti anche in base ai prezzi, consapevoli che solo il risparmio della spesa complessiva che ammonta ogni anno a euro 215 milioni di euro, può garantire anche in futuro la sostenibilità dell'assistenza a chi soffre di celiachia, in linea con l'obiettivo di crescita delle diagnosi in Italia;
   è bene ricordare che gli alimenti naturalmente privi di glutine come, ad esempio, il riso o le patate non sono rimborsati perché hanno lo stesso prezzo e la stessa accessibilità per tutti;
   Caterina Pilo, direttore generale di Aic, ha dichiarato che il Ministero della salute, in accordo con le parti sociali, pazienti e produttori, ha già previsto da tempo la revisione del registro, che segue le recenti modifiche alla normativa europea, escludendo i prodotti non essenziali come ad esempio gli alimenti panati. L'impegno dello Stato riguarda solo i prodotti contenuti nel registro nazionale alimenti (RNA) dei quali il Ministero della salute verifica la sicurezza rispetto all'assenza di glutine –:
   se il Ministro ritenga di intervenire a difesa del decreto 8 giugno 2001 concernente «l'assistenza sanitaria integrativa relativa ai prodotti destinati a un'alimentazione particolare»;
   se ritenga opportuno difendere il diritto alla dieta senza glutine, terapia e «salvavita» per la popolazione affetta da celiachia;
   se intenda rassicurare circa una prossima revisione del registro nazionale dei prodotti senza glutine in modo da confermare quanto disposto dall'articolo 4 della legge 4 luglio 2005, n. 123, cioè il diritto all'erogazione gratuita di prodotti dieto-terapeutici senza glutine;
   se ritenga di escludere l'erogazione gratuita del così detto «buono mensile» pari a euro 99 per le donne e 140 euro per gli uomini dai livelli essenziali di assistenza;
   se non ritenga doveroso un confronto con le aziende produttrici di alimenti dietetici specifici per la celiachia al fine di moderare i prezzi di vendita al pubblico e i prodotti pari marca e contenuto che nel nostro Paese risultano essere maggiorati del 50 per cento circa rispetto ad altri Paesi europei; 
   se, per consentire l'erogazione di prodotti aglutinati mediante il buono mensile anche attraverso i canali della grande distribuzione organizzata con costi minori rispetto alle farmacie per pari marca e prodotto, non ritenga importante trovare soluzioni che possano permettere al celiaco la libera scelta di acquisizione dei prodotti necessari alla propria dieta terapeutica. (4-10883)

  Risposta. — La tutela del paziente celiaco, costretto a seguire in permanenza una dieta rigorosamente priva di glutine per la sua forte vulnerabilità sul piano alimentare, è una esigenza da sempre considerata prioritaria dal Ministero della salute.
  Fin dal 1982, come misura di protezione dal rischio della mancata esclusione del glutine dalla dieta, con un apposito decreto ministeriale (decreto ministeriale 1o luglio 1982) è stata prevista l'erogazione, a carico del servizio sanitario nazionale, degli alimenti dietetici senza glutine destinati all'uso dei celiaci, in sostituzione dei comuni alimenti contenenti tale sostanza.
  Nel 2005, quale ulteriore misura di protezione dei celiaci, è intervenuta la legge 4 luglio 2005, n. 123, volta ad assicurare la somministrazione di pasti senza glutine nella ristorazione a livello territoriale, nonché una adeguata formazione degli operatori del settore alimentare.
  Attualmente, in ambito europeo, per esigenze di semplificazione normativa, è in corso una evoluzione dell'assetto della legislazione alimentare, che porterà, nel luglio 2016, all'abrogazione del settore dei prodotti dietetici per effetto del regolamento (UE) 609/2013.
  Di conseguenza, gli alimenti senza glutine specificamente formulati per celiaci sono destinati a perdere lo
status attuale di «dietetici», a cui è correlata la loro erogazione a carico del servizio sanitario nazionale, per diventare comuni alimenti.
  La motivazione sta nel fatto che, a livello europeo, come già avviene per gli allergeni, si è deciso di disciplinare l'indicazione sull'assenza di glutine nei prodotti alimentari nel quadro della disciplina normativa generale sull'etichettatura, rappresentata dal regolamento (UE) 1169/2011, dove sarà considerata una informazione da fornire su base volontaria, nel rispetto delle condizioni attualmente stabilite a garanzia della sua veridicità.
  Alla luce dei descritti mutamenti della legislazione comunitaria che si profilano, è in corso nel nostro Paese la rivalutazione della situazione complessiva relativa agli alimenti senza glutine erogati ai celiaci, che prevede la partecipazione di tutti gli «attori» del sistema, finalizzata ad individuare le iniziative maggiormente idonee al riadattamento nel nuovo quadro normativo.
  Il Ministero della salute assicura la propria costante e consueta attenzione ai vari aspetti dell'evoluzione in atto, riaffermando l'intento di continuare ad assicurare la massima tutela a tali pazienti.

La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 19 giugno 2015, il questore di Ragusa ha vietato la manifestazione della Confcommercio di Vittoria, indetta dall'associazione di categoria per protestare contro la chiusura del mercato settimanale ad opera del sindaco del comune ragusano;
   il divieto del questore di Ragusa fa seguito ad un'ordinanza sindacale, la n. 46 del 2015, attraverso la quale si stabilisce la chiusura straordinaria del mercato settimanale degli ambulanti a causa di un'operazione di pulizia straordinaria dei luoghi interessati al mercato;
   da una parte, il sindaco lamenta comportamenti poco civili da parte degli ambulanti e dei clienti del mercato in ordine al decoro ed alla pulizia dei luoghi destinati al mercato, mentre dall'altra, la Confcommercio lamenta una mancanza di controlli da parte dell'amministrazione nei riguardi di coloro che «insudicerebbero» i luoghi destinati al mercato;
   a giudizio dell'interrogante, l'azione amministrativa del sindaco di Vittoria ed il conseguente divieto del questore di Ragusa sono viziati dalla polemica politica e dalla partigianeria piuttosto che dalla buona amministrazione;
   innanzitutto, secondo l'interrogante è gravissimo che sia stato leso il diritto costituzionale a manifestare il proprio dissenso in maniera così superficiale e frettolosa. Bastava spostare il luogo della manifestazione/sit-in;
   in secondo luogo, l'opera di pulizia dei luoghi dove ha sede il mercato settimanale, come di tutti i luoghi pubblici della città di Vittoria, dovrebbe avere carattere di ordinarietà e non di eccezionalità e, caso strano, per la durata di ben 5 giorni come se si dovesse ripulire l'intera città;
   in terzo luogo, il Corpo della polizia municipale avrebbe dovuto essere incaricato di effettuare i controlli e di irrogare le dovute sanzioni a tutti coloro che sporcano ed insudiciano la città di Vittoria; 
   la verità, a giudizio dell'interrogante, sta nelle parole del comunicato stampa che il sindaco Giuseppe Nicosia ha trasmesso all'indomani dell'ordinanza n. 46 in merito alla persona del rappresentante di categoria degli ambulanti di Vittoria, qualificato come «presentatore di una lista di opposizione di destra»;
   oltre agli aspetti di opportunità politica, a giudizio dell'interrogante, vi sarebbero degli aspetti di natura giuridica omessi, appunto, dal sindaco e che hanno indotto in errore il questore di Ragusa;
   anche l'eccessivo uso del potere di ordinanza da parte del sindaco di Vittoria dovrebbe essere soggetto di analisi e di giudizio. Appare all'interrogante eccessivo che per ripulire un piazzale destinato ad un mercatino settimanale occorrono un'ordinanza e 5 giorni di tempo per l'attività degli operatori ecologici –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione alla vicenda di cui in premessa e quali valutazioni abbiano portato il questore di Ragusa a vietare la manifestazione della Confcommercio di Vittoria. (4-09680)

  Risposta. — L'ordinanza del sindaco del comune di Vittoria del 18 giugno 2015, con la quale è stata disposta la sospensione del mercatino settimanale del sabato presso l'area dell'ex campo di concentramento per la giornata del successivo 20 giugno, è stata emanata al fine di consentire la rimozione dei rifiuti e garantire il ripristino delle ottimali condizioni igienico sanitarie di quell'area.
  L'ordinanza sindacale, nel richiamare una relazione del 16 giugno 2015 del direttore dell'azienda SEA – affidataria del servizio di igiene ambientale nel territorio comunale di Vittoria – fa esplicito riferimento ad una specifica documentazione dell'ufficio direzione sviluppo economico del comune che evidenziava condizioni igieniche del sito talmente precarie da rendere urgenti ed improcrastinabili interventi di pulizia straordinaria dello stesso.
  Successivamente all'emanazione dell'ordinanza, il presidente della locale sezione della Confcommercio ha trasmesso al commissariato di pubblica sicurezza di Vittoria un preavviso di pubblica manifestazione, annunciando un
sit in di protesta contro la possibile chiusura del mercato settimanale da tenersi il 20 giugno in via Garibaldi, ovvero nell'area antistante l'ingresso del suddetto mercato, interessato – come detto – da operazioni di pulizia.
  All'iniziativa preannunciata avrebbero partecipato gli aderenti alla citata associazione di categoria e commercianti ambulanti provenienti da vari comuni siciliani, per un numero stimato di alcune centinaia di persone.
  Considerata l'eccezionalità dei lavori di ripristino igienico-sanitario da eseguire, con l'impiego di specifici mezzi meccanici e numerosi operai, nonché la concomitante presenza
in loco dei manifestanti, la questura di Ragusa ha ravvisato il concreto rischio di turbative all'ordine ed alla sicurezza pubblica, motivo per cui ha suggerito al promotore della manifestazione la rimodulazione della stessa e l'individuazione di un sito diverso.
  Si soggiunge che il preavviso di pubblica manifestazione per il 20 giugno, presentato dalla Confcommercio di Vittoria solamente in data 18 giugno, non è risultato conforme, sotto il profilo temporale, al disposto dell'articolo 18, comma 1, del Tulps, in base al quale il preavviso medesimo deve essere comunicato all'Autorità di pubblica sicurezza con almeno tre giorni di anticipo.
  In relazione a ciò, il questore di Ragusa, con ordinanza del 19 giugno, ha disposto il divieto, per ragioni di ordine e sicurezza pubblica, della manifestazione nei luoghi e con le modalità indicate nel preavviso, rappresentando, tuttavia, che eventuali manifestazioni pubbliche avrebbero potuto essere consentite in aree diverse purché regolarmente preavvisate.
  A seguito del divieto, la manifestazione non ha avuto luogo. Tuttavia, va registrato che, nella mattinata del 20 giugno, un centinaio di commercianti ambulanti, con i relativi mezzi, si sono radunati davanti all'ingresso del mercato, da cui sono stati fatti spostare immediatamente in modo da non creare turbative.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   CIPRINI, GALLINELLA e TRIPIEDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   da informazioni giornalistiche (Il Tempo mobile in Cronache del 11 gennaio 2014 a firma di Vincenzo Imperitura) il dottor Lucio Pascale, funzionario e, fino al maggio del 2013, dirigente dell'ufficio centrale audit interno dell'Agenzia delle dogane, ha presentato alla procura generale della Corte dei conti di Roma un esposto lamentando e censurando il comportamento dell'Agenzia delle dogane per alcune assunzioni di posizioni dirigenziali «assegnate» senza tener conto dei requisiti minimi individuati dalla legge, che prevede che possa accedere ai posti da dirigente negli enti pubblici solo chi ha «svolto attività in organismi ed enti pubblici e privati con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali» o che abbia «conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e post universitaria» (articolo 19, comma 6, decreto legislativo n. 165 del 2001);
   da quanto segnalato, in molti dei curriculum dei dirigenti nominati non v’è traccia del requisito di laurea normativamente previsto e di altri requisiti previsti dalla legge (articoli 19 e seguenti del decreto legislativo n. 165 del 2001);
   è noto il principio in forza del quale l'accesso ai pubblici impieghi — e segnatamente il reclutamento dei dirigenti delle amministrazioni dello Stato — è soggetto al principio della stretta legalità, con la conseguenza che è solo nella legge che la relativa disciplina deve trovare fondamento ed attuazione, di modo tale da avvenire in condizioni di effettiva e sostanziale uguaglianza, in stretta osservanza degli indefettibili principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità dell'amministrazione;
   i dirigenti ricoprono l'incarico per tre anni e percepiscono retribuzioni medio alte, cosicché il danno per l'Agenzia delle dogane sarebbe notevole: di qui l'esposto alla Corte dei conti;
   l'interrogante con interrogazione a risposta scritta (n. 4/00493) e interrogazione a risposta orale (n. 3/00525), rimaste tuttora prive di riscontro, chiedeva al Ministro l'attivazione di misure di verifica e controllo delle procedure di assegnazione di incarichi dirigenziali ai funzionari dell'amministrazione doganale e la trasparenza dell'assegnazione degli incarichi dirigenziali –:
   se rispondano a verità i fatti esposti e denunciati e quali misure anche di carattere ispettivo/amministrativo intenda adottare il Ministro interrogato per verificare la regolarità delle nomine, le responsabilità connesse e l'eventuale danno all'erario. (4-03383)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, è stato evidenziato che l'Agenzia delle dogane e dei monopoli sembrerebbe aver assegnato alcune posizioni dirigenziali, senza tener conto dei requisiti minimi individuati dalla legge; tale comportamento sarebbe stato oggetto di un esposta alla procura generale della Corte dei conti di Roma.
  Al riguardo, sentita l'agenzia delle dogane e dei monopoli, si fa presente quanto segue. Nella prima metà dell'anno 2014, la Corte dei conti, procura regionale presso la sezione giurisdizionale per il Lazio, ha interessato l'agenzia per accertamenti istruttori – condotti ai sensi dell'articolo 74, del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214 e dell'articolo 5, legge 14 gennaio 1994, n. 19 – riguardanti l'attribuzione di incarichi dirigenziali e l'applicazione dell'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001.
  Al riguardo, l'Agenzia ha rappresentato che, a seguito della richiesta della procura regionale della Corte dei conti, ha provveduto a fornire tutti gli elementi informativi utili, ottenendo nell'ottobre 2014 notizia dell'archiviazione della problematica evidenziata.

La Sottosegretaria di Stato per l'economia e le finanzePaola De Micheli.


   CIRIELLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   con atto di sindacato ispettivo n. 4-09032 del 4 maggio 2015, l'interrogante chiedeva delucidazioni su una anomala e irrituale azione di «pressione» del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale italiano che aveva portato alla revoca dell'ing. Alfredo Cestari a Commissario generale del Burundi per l'Expo 2015 a pochi giorni dall'inizio della manifestazione;
   in particolare, nell'atto si rilevava come, nonostante l'intensa e documentata attività dell'Ingegner Cestari nell'interesse delle imprese italiane, delle istituzioni pubbliche e dei Governi d'Africa affinché l'Expo di Milano potesse rappresentare per essi un'occasione di sviluppo economico bilaterale, in data 31 marzo 2015, a soli 30 giorni di distanza dall'apertura dell'Expo, il Ministro degli esteri burundese comunicava al proprio ambasciatore in Italia la sostituzione del Commissario con il suo vice;
   tale decisione veniva maturata in accoglimento di una precisa richiesta del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale italiano, così come emerso dalla comunicazione dell'omologo Ministero del Burundi del 31 marzo 2015;
   con risposta del 5 agosto il Ministro rilevava, innanzitutto, che nell'ottobre 2013, un mese prima della nomina a commissario generale, «l'ingegner Cestari, già console onorario della Repubblica Democratica del Congo, aveva sottoscritto una procura del commissario generale del Governo di Kinshasa che lo delegava a rappresentare quel Paese in tutte le fasi della programmazione, della definizione dei contenuti e della partecipazione all'esposizione universale di Milano, ivi compresa la riscossione di qualsiasi tipo di contributo e finanziamento che la società Expo 2015 avrebbe erogato per la partecipazione del Paese»;
   non risulta all'interrogante alcuna «procura» in tal senso, ma l'unico documento sottoscritto tra la camera di commercio ItalAfrica Centrale, in persona del suo presidente Alfredo Cestari, ed il commissariato generale di sezione della Repubblica democratica del Congo è il «protocollo d'accordo» per la partecipazione del Paese ad Expo 2015, accordo con il quale la Repubblica democratica Del Congo conferiva incarico alla camera di commercio ItalAfrica Centrale di assistere il Paese in tutte le fasi preparatorie e di svolgimento dell'importante manifestazione in programma;
   nella sua risposta il Governo precisa poi che l'ingegner Cestari risultava l'unico commissario generale per l'esposizione universale di Milano di cittadinanza italiana nominato da un partecipante straniero, motivo per cui l'Agenzia delle entrate avrebbe espresso riserve e perplessità;
   ferma restando l'irrilevanza dell'osservazione ai fini del quesito posto nell'atto di sindacato ispettivo, si osserva come la nomina dell'ingegner Cestari, pervenuta in ragione della grande fiducia personale e professionale che i vertici politici del Paese africano nutrivano nei confronti del professionista, risulti perfettamente in linea con la normativa in materia dettata dal Bureau International des Exposition;
   ad ulteriore riprova di ciò anche la Liberia aveva nominato un Commissario italiano nella persona del dottore Marco Conca, senza che tale nomina abbia mai ingenerato alcuna censura e/o contestazione da parte di Expo 2015 s.p.a. ovvero dai vertici del Ministero, come invece accaduto nel caso in esame;
   a dispetto di quanto affermato, ad avviso dell'interrogante, pretestuosamente ad oggi non risulterebbero evidenze formali di «riserve e perplessità» manifestate dall'Agenzia delle entrate sulla nomina dell'ingegner Cestari, che pure gode pienamente di tutti i diritti civili e politici, in ragione dell'estensione allo stesso del benefici previsti dalla normativa italiana per i commissari generali di Expo;
   secondo il Ministero i rapporti di conflittualità con l'Ingegner Cestari andrebbero ricondotti «non solo agli aspetti connessi all'organizzazione della partecipazione del Burundi ad Expo, ma anche al suo tentativo di accreditarsi come interlocutore della società organizzatrice per la partecipazione di diversi altri Paesi africani; tale interlocuzione è stata respinta dalla società alla luce del fatto che quei Paesi avevano regolarmente nominato i propri commissari generali, che sono gli unici interlocutori previsti dal «Bureau International des Exposition»”;
   quanto al primo aspetto non si comprende sulla base di quale specifico accadimento sarebbero insorti «rapporti di conflittualità» tra Expo 2015 s.p.a. e l'ingegner Cestari, posto che tra il commissariato generale di sezione diretto dall'ingegner Cestari ed il personale addetto da EXPO 2015 s.p.a. al Burundi esiste, a quanto consta all'interrogante, una fitta corrispondenza interamente tesa a concordare le modalità di partecipazione del Paese, senza che tali interlocuzioni siano mai sfociati in conflitti o in tensioni;
   con riferimento, invece, al secondo aspetto, sempre a quanto risulta all'interrogante, non vi sarebbe traccia di alcun tentativo del presidente Cestari di «accreditarsi come interlocutore della società organizzatrice per la partecipazione di diversi altri Paesi africani», semmai, raccogliendo le sollecitazioni e le richieste provenienti dalle rappresentanze diplomatiche e politiche di altri Paesi africani, lo stesso avrebbe unicamente sollecitato i vertici dirigenziali di Expo 2015 s.p.a. ad una maggiore attenzione ai Paesi del continente africano, segnalando come molti di loro fossero stati completamente abbandonati dall'organizzatore ed offrendo, in maniera completamente gratuita, la propria esperienza ed il supporto organizzativo della camera di commercio commercio ItalAfrica Centrale a sostegno di un maggior coinvolgimento di questi Paesi nelle fasi di progettazione e realizzazione del sito di Expo 2015, nonché al fine di intensificare i contatti tra le istituzioni partecipanti ed il tessuto imprenditoriale italiano;
   in conclusione, il Governo sosteneva che tali Paesi hanno autonomamente proceduto a rescindere i contratti di collaborazione che avevano a suo tempo sottoscritto col dottor Cestari ed in questo quadro che «lo scorso, mago l'ambasciata del Burundi a Roma ha comunicato al commissario unico Sala, informandone anche questo Ministero, la revoca dell'incarico all'ingegner Cestari»;
   i contratti con la Repubblica democratica Del Congo e con la Repubblica del Madagascar sono stati risolti rispettivamente il 14 e 23 luglio 2015, dopo rispetto a quanto indicato nella risposta del Sottosegretario Della Vedova, laddove invece si lascerebbe intendere che i contratti con ItalAfrica sarebbero stati «risolti» prima dell'inizio di Expo 2015 (cfr. «in questo quadro»), vale a dire nel momento in cui veniva inspiegabilmente revocato l'incarico di commissario generale del Burundi all'Ingegner Cestari (marzo del 2015);
   tutta la risposta del Governo sembrerebbe all'interrogante essere volta a creare confusione con ciò screditando di fatto l'operato dell'Ingegner Cestari e distogliendo l'attenzione dal vero oggetto del quesito, il quale permane ancora senza alcuna risposta puntuale e circostanziata –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali siano le motivazioni alla base della richiesta del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale italiano di revoca dell'ingegner Alfredo Cestari a commissario generale del Burundi a pochi giorni dall'inizio dell'Expo 2015 ad avviso dell'interrogante, con prevedibili gravi ricadute economiche e di immagine, anche a danno dell'Italia. (4-10684)

  Risposta. — Nel confermare quanto già comunicato in risposta alla precedente interrogazione a risposta scritta n. 4-09032, vorrei ribadire che la decisione di revocare l'ingegner Alfredo Carmine Cestari (presidente della camera di commercio ItalAfrica centrale e già console onorario in Italia della Repubblica democratica del Congo) dall'incarico di commissario generale di sezione del Burundi presso Expo Milano 2015 è di competenza esclusiva dello Stato del Burundi, che, per il tramite della sua Ambasciata in Italia, l'ha comunicata al commissario unico Sala e, per conoscenza, alla Farnesina con nota verbale del 31 marzo 2015.
  Con la medesima nota, la detta Ambasciata ha altresì informato circa la sostituzione dell'ingegner Cestari con il signor Amatus Burigusa, consigliere presso il gabinetto del Ministro del commercio, dell'industria, delle poste e del turismo del Burundi.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Confederazione sindacale autonoma di polizia (CONSAP) si è rivolta al deputato interrogante per segnalare la situazione che si è creata da alcuni mesi presso la questura di Campobasso;
   dal mese di luglio 2014, il dottor Raffaele Pagano, dirigente superiore della polizia di Stato, è stato nominato questore reggente di Campobasso, provincia in cui è però teoricamente e formalmente preposta la più elevata qualifica di dirigente generale;
   la questura di Campobasso ha competenza nel relativo ambito provinciale (230.000 abitanti circa) dove risulta esservi un unico commissariato di pubblica sicurezza sito nella città di Termoli (CB);
   il numero complessivo del personale in servizio presso la suddetta questura e commissariato, nonché presso le sezioni di polizia giudiziaria esistenti presso le procure della Repubblica dei tribunali del capoluogo molisano e del comune di Larino, ammonta a circa 230 unità, ovvero sotto organico rispetto alle ordinarie attività proprie dei suddetti uffici;
   il questore reggente Raffaele Pagano, dal momento del suo insediamento, secondo quanto segnalato dalla CONSAP, ha inteso attuare una generale rivoluzione dell'intero apparato intervenendo drasticamente: sulle modalità di attuazione di consolidati e funzionali progetti consistenti in turni di straordinario per il raggiungimento di particolari obiettivi specifici dei servizi di polizia, effettuati su base volontaria, che hanno già comportato la mancata adesione di un consistente numero di operatori non escludendo l'aggravarsi di tale situazione nell'immediato futuro; sugli orari di servizio, disponendo variazioni a consolidate e funzionali tipologie ed articolazioni che nel tempo avevano consentito una proficua organizzazione (peraltro, alla luce delle innovazioni, risultano presentarsi negative ripercussioni sia sulle attività prettamente burocratiche che su quelle operative che potrebbero determinare ripercussioni anche sulla sicurezza in senso generale); sull'organizzazione degli uffici ovvero sulla movimentazione interna del personale operata talune volte in maniera impropria rispetto alle previsioni normative (mancanza di formali provvedimenti o in assenza di necessari doveri motivazionali) che hanno riguardato il personale dei diversi ruoli della Polizia di Stato nonché di quello civile del Ministero dell'interno in forza presso la questura di Campobasso;
   inoltre, sempre secondo quanto segnalato dalla CONSAP il questore reggente: intratterrebbe rapporti interpersonali con i suoi dipendenti censurabili dal punto di vista del rispetto della dignità dei singoli operatori e del corretto modo di agire, proprio di un'autorità provinciale di pubblica sicurezza; ha recentemente disposto l'impiego di personale dipendente per l'identificazione di un consistente numero di immigrati provenienti dal continente africano avvalendosi di una struttura (commissariato di Termoli) non idonea per la circostanza a causa degli esigui spazi e della mancanza di sale specifiche per l'accoglienza dei profughi, mettendo a repentaglio la sicurezza degli agenti che hanno operato in precarie condizioni di igiene e sicurezza;
   sempre secondo quanto segnalato dalla CONSAP, questa situazione avrebbe determinato un forte malcontento nel personale appartenente ai ruoli della polizia di Stato e dell'amministrazione civile del Ministero dell'interno, con conseguenze negative in ordine all'efficacia dei servizi, come peraltro evidenziato mediante comunicati anche da altre organizzazioni sindacali (SILP-CGIL, SAP, UGL-Polizia), al punto che è stata anche inviata richiesta al capo della polizia di Stato di valutare l'opportunità di inviare una accurata visita ispettiva per fare luce sulla vicenda –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga doveroso intervenire con gli strumenti a sua disposizione per ripristinare una situazione che consenta una adeguata tutela del lavoro degli operatori e della sicurezza della cittadinanza.
(4-06512)

  Risposta. — Come riportato nell'interrogazione presentata dall'onorevole, dal mese di luglio 2014 la questura di Campobasso è diretta dal dottor Raffaele Pagano che, dopo essersi insediato e aver acquisito ogni utile elemento di valutazione sulla situazione socio-politica del territorio, ha subito proceduto ad approntare un piano di razionalizzazione delle risorse umane e ad ottimizzare le relazioni con le altre Forze di polizia, in modo da assicurare più elevati standard di sicurezza e un controllo del territorio più aderente alle necessità della comunità locale.
  Detta riorganizzazione e i conseguenti movimenti interni di personale sono stati finalizzati anche a consentire l'attivazione di una seconda volante per turno nell'arco della giornata, in un contesto di ridotta consistenza dell'organico della sede.
  In sostanza, il questore, nel realizzare il progetto, ha bilanciato l'esigenza di garantire maggior sicurezza e controllo del territorio con la presenza di una dotazione ridotta, valutando in prospettiva anche la riorganizzazione degli uffici amministrativi.
  Nel contempo, l'organo in questione ha inoltrato al dipartimento della pubblica sicurezza una dettagliata richiesta di assegnazione di personale appartenente alle diverse qualifiche, al fine di superare il gap tra la dotazione organica reale e quella necessaria a realizzare la progettualità elaborata.
  Per quanto riguarda l'inadeguatezza della struttura del commissariato di Termoli quale centro per l'identificazione dei profughi, si rappresenta che le relative operazioni si sono sempre svolte correttamente senza mettere mai a repentaglio la salute degli operatori, ai quali sono state assicurate sia la protezione fisica che le indicazioni di profilassi sanitaria di tutela, nel rispetto delle disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro.
  Comunque, il commissariato di Termoli è oggetto di una profonda rivisitazione non solo per quanto concerne le relative articolazioni, ma anche e soprattutto con riferimento alle procedure poste in essere.
  Da ultimo, si informa che il 6 ottobre 2015 scorso si è svolta presso Officio relazioni sindacali del dipartimento della pubblica sicurezza una riunione con i rappresentanti nazionali e locali dell'organizzazione sindacale Consap per approfondire le motivazioni di una manifestazione di protesta programmata per il successivo 8 ottobre in occasione della visita del Capo della polizia a Campobasso.
  Nel corso dell'incontro è emersa la disponibilità dell'Amministrazione ad approfondire le problematiche riguardanti la questura di Campobasso, ragion per cui la citata sigla sindacale ha sospeso la protesta programmata.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 10 del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217, stabilisce che il ruolo dei capi squadra e dei capi reparto del Corpo nazionale dei vigili del fuoco è articolato in quattro qualifiche che assumono le seguenti denominazioni: a) capo squadra; b) capo squadra esperto; c) capo reparto; d) capo reparto esperto;
   gli articoli 14 e 17 del citato decreto legislativo n. 217 del 2005 dispongono che la promozione, rispettivamente dalla qualifica di capo squadra e di capo reparto, a quella superiore di «esperto» è conferita a ruolo aperto secondo l'ordine di ruolo a coloro che, alla data dello scrutinio, abbiano compiuto 5 anni di effettivo servizio nella qualifica inferiore e che, nel triennio precedente lo scrutinio medesimo, non abbiano riportato una sanzione disciplinare più grave della sanzione pecuniaria;
   in conseguenza della seduta del consiglio di amministrazione per gli affari concernenti il personale del Ministero dell'interno del 12 aprile 2012, il capo dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, con decreto n. 2027 del 13 aprile 2012, ha disposto la promozione a ruolo aperto ai sensi dell'articolo 14, del predetto decreto legislativo n. 217 del 2005, dalla qualifica di capo squadra alla qualifica superiore di capo squadra esperto, del personale divenuto capo squadra a seguito delle procedure concorsuali aventi decorrenza giuridica 1° gennaio 2006 e 1° gennaio 2007;
   analogamente, in conseguenza della seduta del consiglio di amministrazione per gli affari concernenti il personale del Ministero dell'interno del 14 febbraio 2013, il capo dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, con decreto n. 1143 del 5 marzo 2013, ha disposto la promozione a ruolo aperto ai sensi dell'articolo 14, del predetto decreto legislativo n. 217 del 2005, dalla qualifica di capo Squadra alla qualifica superiore di capo squadra esperto, del personale divenuto capo squadra a seguito delle procedure concorsuali aventi decorrenza giuridica 1° gennaio 2008;
   diverso e deteriore trattamento è stato invece riservato ai vigili del fuoco inquadrati capo squadra a seguito del decreto ministeriale n. 158 del 1° agosto 2012 (bando di concorso a n. 1268 posti di capo squadra del Corpo nazionale dei vigili del fuoco – posti disponibili al 31 dicembre 2008 decorrenza 1° settembre 2009) e del decreto ministeriale n. 159 del 1° agosto 2012 (bando di concorso a n. 660 posti di capo squadra del Corpo nazionale dei vigili del fuoco – posti disponibili al 31 dicembre 2009 – decorrenza 1° gennaio 2010), nonché a quelli inquadrati capo reparto a seguito del decreto ministeriale n. 141 dell'11 luglio 2012 (bando di concorso a n. 338 posti di capo reparto del Corpo nazionale dei vigili del fuoco – posti disponibili al 31 dicembre 2006 – decorrenza 1° gennaio 2007), del decreto ministeriale n. 142 dell'11 luglio 2012 (bando di concorso a n. 528 posti di capo reparto del Corpo nazionale dei vigili del fuoco – posti disponibili – al 31 dicembre 2007 – decorrenza 1° gennaio 2008), del decreto ministeriale n. 143 dell'11 luglio 2012 (bando di concorso a n. 363 posti di capo reparto del Corpo nazionale dei vigili del fuoco – posti disponibili al 31 dicembre 2008 – decorrenza 1° gennaio 2009) e del decreto ministeriale n. 144 dell'11 luglio 2012 (bando di concorso a n. 264 posti di capo reparto del Corpo nazionale dei vigili del fuoco – posti disponibili al 31 dicembre 2009 – decorrenza 1° gennaio 2010);
   in sintesi quindi mentre per i concorsi interni a capo squadra decorrenze 2006, 2007 e 2008 la promozione ad «esperto» è avvenuta computando i 5 anni a decorrere dalla data della rilevazione del posto vacante, con evidente disparità di trattamento, per i concorsi interni a capo reparto dal 2007 in poi e a capo squadra dal 2009 in poi, la promozione ad esperto avverrà computando i 5 anni a decorrere dalla data della promozione a capo squadra (decorrenza economica) e non più dalla data dei posti vacanti (decorrenza giuridica), come specificato nella nota del dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile prot. n. 7375 del 14 luglio 2015, inviata alle organizzazioni sindacali;
   il Conapo sindacato autonomo dei vigili del fuoco con note prot. n. 91/15 del 5 maggio 2015 e prot. n. 176/15 del 15 luglio 2015 ha contestato la differenza di trattamento ed il danno alla carriera per il personale capo squadra decorrenze dal 2009 in poi e capo reparto decorrenze dal 2007 in poi, chiedendo per detto personale misure di equiparazione e parità di trattamento rispetto ai capo squadra decorrenze 2006, 2007 e 2008, se del caso anche legislative, per sanare la grave ingiustizia;
   secondo la predetta organizzazione sindacale, infatti, la locuzione «effettivo servizio» di cui agli articoli 14 e 17 del decreto legislativo n. 217 del 2005 è da intendersi come «servizio comunque prestato» dalla «decorrenza giuridica» della promozione (e non dalla decorrenza economica), riferendosi il legislatore ad eventuali interruzioni del servizio causate da aspettative e/o sanzioni disciplinari; viceversa, non si comprende per quale finalità il legislatore abbia diversificato la «decorrenza giuridica» della promozione dalla «decorrenza economica» (commi 6 e 16 dell'articolo 12 del decreto legislativo n. 217 del 2005), posto che, con l'interpretazione del dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile di cui alla nota prot. n. 7375 del 14 luglio 2015 inviata alle organizzazioni sindacali, la «decorrenza giuridica» delle promozioni verrebbe svuotata da ogni effetto –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno promuovere un'iniziativa normativa che sani la questione ed applichi gli articoli 14 e 17 del decreto legislativo n. 217 del 2005 in maniera uniforme per il personale del Corpo, alla stessa stregua dei personale capo squadra con decorrenze 2006, 2007 e 2008, secondo i princìpi costituzionali di imparzialità e parità di trattamento. (4-10016)

  Risposta. — La questione su cui verte l'interrogazione presentata posta all'attenzione dall'interrogante è disciplinata, come è noto, dal decreto legislativo n. 217/2005, recante l'ordinamento del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che, agli articoli 14 e 17, stabilisce i criteri per le promozioni a capo squadra esperto e a capo reparto esperto. Promozioni che sono conferite a ruolo aperto, secondo l'ordine di ruolo, a coloro che abbiano compiuto l’«effettivo servizio» per cinque anni nella qualifica inferiore, rispettivamente, di capo squadra e di capo reparto.
  Al riguardo, l'Avvocatura dello Stato, a seguito di apposito quesito formulato dal competente dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, ha espresso il proprio parere, evidenziando come le norme di cui ai citati articoli 14 e 17, distinguono gli effetti giuridici della nomina a capo squadra e a capo reparto, che decorrono dal 1o gennaio dell'anno successivo a quello nel quale si sono verificate le carenze in organico, dagli effetti economici, che decorrono dalla data di conclusione del corso di formazione.
  Pertanto, ha aggiunto l'organo legale, «il computo degli anni di effettivo servizio nella qualifica inferiore, utile al fine del conferimento della promozione a ruolo aperto a capo squadra esperto e capo reparto esperto, va calcolato sulla base del servizio effettivo, inteso in senso rigorosamente restrittivo, corrispondente al servizio effettivamente svolto nel livello prescritto e decorrente dalla data di attribuzione delle funzioni».
  Sulla materia si è formata una vasta giurisprudenza, per cui solo l'effettiva prestazione del servizio determina il diritto alla corrispondente retribuzione, con una stretta correlazione tra trattamento economico corrispondente alla funzione e l'effettività del servizio prestato.
  Nel caso di specie, l'avvocatura dello Stato ha evidenziato, inoltre, che il criterio in base al quale determinare il numero di anni di effettivo servizio richiesti dagli articoli 14 e 17 del citato decreto legislativo, per la promozione alla qualifica superiore, deve coincidere con il calcolo dalla decorrenza economica della qualifica inferiore.
  Si rappresenta, comunque, che l'intero complesso ordinamentale che disciplina il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco verrà complessivamente rivalutato nell'esercizio della delega di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), della legge n. 124 del 2015, in corso di elaborazione da parte del Dipartimento dei vigili del fuoco.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   FORMISANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la parte III del decreto legislativo n. 163 del 2006 prevede una disciplina ad hoc per i cosiddetti settori speciali (ex settori esclusi) caratterizzati, per ragioni oggettive ex lege, dalla peculiarità delle prestazioni e dalla conseguente, specializzazione degli operatori economici interessati;
   tanto il giudice comunitario (cfr. C.G.C.E. 20.4.2008, causa C-393/06) quanto il Consiglio di Stato (cfr. Adunanza plenaria 1 agosto 2011, n. 16) hanno univocamente ritenuto che le norme inerenti l'ambito di applicazione degli articoli 206 e seguenti del decreto legislativo n. 163 del 2006 vanno applicate in modo assai restrittivo al fine di salvaguardare la «regola madre» della tutela della concorrenza sicché gli schemi di bando adottati nei «settori speciali» non devono differenziarsi rispetto a quelli tipici dei «settori ordinari», con particolare riguardo ai princìpi di parità di trattamento degli operatori economici ed all'obbligo di trasparenza;
   in sede di prassi applicativa, si ravvisano talune distorsioni dai modelli di selezione fissati dalla cornice normativa comunitaria;
   nei settori in esame è frequente il ricorso ai cosiddetti accordi quadro;
   l'articolo 222 del decreto legislativo n. 163 del 2006, al comma 3, chiarisce che «gli enti aggiudicatori non possono ricorrere agli accordi quadro in modo abusivo, per ostacolare, limitare o falsare la concorrenza»;
   conformemente al quadro normativo, il Ministro, in risposta all'interrogazione n. 4-09017 del 4 maggio 2015, ha chiarito, anche alla luce del Considerando n. 61 della direttiva 2014/24/UE, la natura legittima degli accordi quadro che non consente di avallare prassi elusive o distorsive della concorrenza;
   ai sensi dell'articolo 59 del codice dei contratti pubblici, gli accordi quadro dovrebbero essere riservati alle sole attività di manutenzione, intesa come serie di interventi («programmati» e/o «straordinari») finalizzati a preservare l'efficienza di un quid già esistente;
   in molti settori speciali, gli enti aggiudicatori ricorrono agli accordi quadro in violazione dei principi generali fissati dall'ordinamento;
   in particolare, vengono sovente banditi accordi quadro anche per l'affidamento di attività e/o opere diverse dalla «manutenzione», gestite poi nello specifico attraverso uno o più ordini di lavori, che sono privi, «a monte», della necessaria e realistica progettazione esecutiva;
   l'elusione dallo schema classico, che impone di procedere all'affidamento di commesse pubbliche solo quando la stazione appaltante abbia minuziosamente predeterminato modelli e costi dell'acquisizione, sembrerebbe connessa alle note difficoltà di cassa degli enti aggiudicatori;
   una prassi di questo genere, che sottrae agli affidamenti le preordinate fasi di progettazione e copertura finanziaria, determina il rischio di sacrificare la «programmazione» delle opere sull'altare del «risparmio» che, in periodo di austerity, pur costituendo un «valore aggiunto» dell'azione amministrativa, non può certamente giustificare l'iterazione di modelli illegittimi;
   d'altro canto, l'accorpamento degli «ipotetici» ordini di lavori, finisce paradossalmente per determinare un ingiustificato incremento della soglia dei requisiti di partecipazione ed il consequenziale assottigliarsi della platea dei concorrenti, a fronte di rendicontazioni ben inferiori all'importo complessivo presunto, come confermato dal tenore della risposta scritta del Ministro all'interrogazione n. 4-08989 del 29 aprile 2015;
   più chiaramente viene richiesto, in sede di partecipazione, il possesso di requisiti pregressi pari all'importo complessivo dell'accordo quadro indipendentemente dall'effettiva esecuzione dell'intera commessa;
   non meno rilevanti appaiono le criticità in tema di all'alimento ai fini della qualificazione prevista con ambiti ingiustificatamente più restrittivi rispetto alle previsioni del combinato disposto articoli 50 e 232 del decreto legislativo n. 163 del 2006;
   secondo l'articolo 50, nel sistema cosiddetto ordinario, le S.O.A. sono tenute a riconoscere la possibilità di avvalimento ai fini della qualificazione alla sola condizione che tra l'ausiliaria e l'ausiliata esista un rapporto di controllo ai sensi dell'articolo 2359, commi 1 e 2, del codice civile oppure entrambe le imprese siano controllate da una stessa impresa ai sensi dell'articolo 2359, commi 1 e 2, del codice civile;
   nel sistema del cosiddetti settori speciali, l'articolo 232, comma 6, del decreto legislativo n. 163 del 2006, statuisce espressamente che «se chi chiede la qualificazione intende avvalersi dei requisiti di capacità economica e finanziaria o tecnica e professionale di altri soggetti, il sistema di qualificazione deve essere gestito garantendo il rispetto dell'articolo 50, con esclusione del comma 1, lettera a)»;
   il considerato n. 79 della direttiva 2014/25/UE «sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE» al paragrafo 3, ha evidenziato che «se le norme e i criteri oggettivi per l'esclusione e la selezione degli operatori economici che richiedono di essere qualificati in un sistema di qualificazione comportano requisiti relativi alle capacità economiche e finanziarie dell'operatore economico o alle sue capacità tecniche e professionali, questi può far valere, se necessario, la capacità di altri soggetti, indipendentemente dalla natura giuridica dei legami con essi»;
   in molti sistemi di qualificazione «speciali» appaiono richiami, più o meno espliciti, all'articolo 50 del decreto legislativo n. 163 del 2006, ciò vale a dire che, contrariamente alle prescrizioni del codice dei contratti pubblici e della citata direttiva, per l'avvalimento in sede di attestazione viene richiesto il collegamento e/o il controllo inter societario;
   siffatta prassi, a giudizio dell'interrogante, oltre che palesemente contraria alla norma, finisce inevitabilmente per restringere l'ambito concorrenziale siccome garantito dai principi fissati dalle vigenti direttive comunitarie;
   sa il Ministro condivida gli anzidetti rilievi e intenda, anche attraverso formale coinvolgimento e dell'Avvocatura dello Stato e delle altre istituzioni competenti, promuovere, per quanto di competenza, un'indagine amministrativa sulla corretta applicazione dei principi comunitari nei settori speciali al fine di garantire la massima concorrenzialità e concorrenza, assumendo ogni iniziativa utile a superare ostacoli e limitazioni all'effettiva contendibilità delle commesse e paritaria concorrenza. (4-11015)

  Risposta. — Le questioni poste nelle premesse dall'interrogante attengono a due distinte questioni, entrambe relative alla disciplina dei settori speciali:
   l'istituto degli accordi quadro per gli appalti di lavori, e in specie una loro non corretta applicazione che si traduce in una sorta di «barriera» per la partecipazione delle imprese di minori dimensioni alle gare di appalto;
   l'istituto dell'avvalimento, e in specie una prassi che, per gli appalti lavori, applicherebbe, ai fini della qualificazione, una disciplina più restrittiva di quella prevista dalla legge. Ancora una volta, limitando la possibilità degli operatori di prendere parte alle gare per l'affidamento degli stessi.

  Quanto al primo profilo, punto di doglianza è la circostanza che le stazioni appaltanti (SA) richiedono il possesso di requisiti pregressi pari all'importo complessivo dell'accordo quadro (AQ), indipendentemente dall'esecuzione dell'intera commessa.
  Al riguardo, si rappresenta quanto segue.
  È pacifico che nei cosiddetti settori speciali – la cui individuazione ex lege è motivata dalla peculiarità delle prestazioni e dalla conseguente specializzazione degli operatori economici interessati – la relativa disciplina non vada applicata in modo tanto restrittivo da risolversi in una elusione del principio di concorrenza.
  Numerose, in tal senso, le pronunce giurisprudenziali.
  In sede europea, la Corte di giustizia della Comunità europea, in tal senso, ha più volte richiamato anche il Considerando n. 61 della direttiva 2014/24/UE: ...omissis... Non si dovrebbe ricorrere ad accordi quadro in modo improprio o in modo da ostacolare, limitare o distorcere la concorrenza... omissis...
  In senso assolutamente conforme si è espresso in più occasioni anche il Consiglio di Stato. Si consideri, ad esempio, la sentenza n. 16 resa nell'adunanza plenaria del 1o agosto 2011, che così si esprime: ...omissis... la direttiva 2004/17/CE, di cui il decreto legislativo n. 163 del 2006 costituisce attuazione, come già la direttiva sui settori speciali che la ha preceduta (e recepita in Italia con il decreto legislativo n. 158/1995), è stata varata al precipuo fine di garantire la tutela della concorrenza in relazione a procedure di affidamento di appalti da parte di enti operanti in settori sottratti, per il passato, alla concorrenza e al diritto comunitario dei pubblici appalti, i cosiddetti settori esclusi, che, dopo l'intervento comunitario, sono divenuti i settori speciali (ex esclusi); l'intervento del normatore comunitario, finalizzato ad attrarre alla disciplina di evidenza pubblica settori in precedenza ritenuti regolati dal diritto privato, ha però ritenuto di mantenere i connotati di specialità di detti settori, rispetto a quelli ordinari, mediante una disciplina più flessibile, che lascia maggiore libertà alle stazioni appaltanti, e soprattutto restrittiva quanto all'ambito oggettivo e soggettivo di applicazione; conseguentemente, il diritto comunitario ha delimitato in modo rigoroso non solo l'ambito soggettivo dei settori speciali (articolo 207, decreto legislativo n. 163 del 2006; articoli 2 e 8, direttiva 2004/17/CE), ma anche quello oggettivo, descrivendo in dettaglio l'ambito di ciascun settore speciale; ...omissis....
  Del resto, il più volte su richiamato principio trova il suo enunciato, nella disciplina nazionale, nell'articolo 222, comma 3, del citato codice: gli enti aggiudicatori non possono ricorrere agli accordi quadro in modo abusivo, per ostacolare, limitare o falsare la concorrenza.
  Conformemente, infine, si è già espresso anche questo Ministero, tra l'altro rispondendo all'interrogazione n. 4-09017 del 4 maggio 2015, presentata dallo stesso deputato Formisano.
  Tanto premesso, l'interrogante – dopo aver ricordato che l'articolo 59, comma 1, del codice dei contratti pubblici prevede, in tema di appalti di lavori, la possibilità per le stazioni appaltanti di stipulare accordi quadro, esclusivamente in relazione ai lavori di manutenzione definiti come una serie di interventi ordinari (cioè programmati e periodici) o straordinari (connessi a esigenze sopravvenute e non prevedibili), volti a preservare l'integrità di un bene già esistente – stigmatizza come non conforme ai principi su esposti, e qualifica quindi prassi elusiva o distorsiva della concorrenza, la messa a bando, con anche per l'affidamento di attività e/o opere diverse dalla manutenzione, gestite poi nello specifico attraverso uno o più ordini di lavori, che sono privi, a monte, della necessaria e realistica progettazione esecutiva.
  In particolare, censura tali comportamenti quando – a fronte di tale accorpamento – le amministrazioni aggiudicatrici richiedono ai concorrenti requisiti pregressi commisurati all'intero importo dell'accordo quadro, anche se i lavori da eseguire concretamente si risolvono in importi di modesta entità, restringendo di fatto la platea dei potenziali concorrenti; o, infine, quando sia adito lo strumento dell'accordo quadro a fronte di commesse non riconducibili alla nozione di manutenzione quale quella su ricordata, sfociando in lavori nuovi, sottraendo agli affidamenti le preordinate fasi di progettazione con indubbi riflessi sulla qualità organizzativa.
  In merito al rappresentato stato di cose – che giova ricordare deriva non da norma di legge ma da una prassi operativa degli accordi quadro e degli ordini di lavori – si segnala che i competenti uffici del Ministero opereranno i necessari ed opportuni approfondimenti.
  Il secondo profilo dell'interrogazione sottolinea una serie di criticità nei settori speciali in parola in sede di ricorso all'istituto dell'avvalimento: ancora una volta stigmatizza una prassi per gli appalti di lavori, che si risolve nell'applicazione, ai fini della qualificazione, di una disciplina più restrittiva di quella prevista dalla legge, producendo nuovamente l'effetto di limitare la possibilità degli imprenditori di prendere parte alle gare per l'affidamento dei lavori.
  Rilevano in questo caso gli articoli 49, 50 e 232 del Codice dei contratti pubblici.
  Ai sensi del primo, in relazione a una specifica gara di lavori, servizi, forniture, un concorrente singolo o consorziato o raggruppato (cosiddetta impresa ausiliata) può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico, organizzativo, ovvero di attestazione della certificazione SOA, avvalendosi dei requisiti o dell'attestazione SOA di altro soggetto (cosiddetta impresa ausiliaria).
  In particolare, poi, il comma 1, lettera a), dell'articolo 50, precisa che per i lavori l'avvalimento dell'attestazione SOA, necessaria per la partecipazione alla gara di appalto, si può conseguire a condizione che tra l'impresa ausiliata e l'impresa ausiliaria esista un rapporto di controllo, oppure che entrambe siano controllate da una stessa impresa. Per la definizione di controllo, il rinvio esplicito è all'articolo 2359, commi 1 e 2, del codice civile.
  Tale previsione, tuttavia, è espressamente esclusa nel caso di avvalimento nei settori speciali, giusta articolo 232, comma 6, del più volte citato codice.
  Ne deriva che, nel sistema dei settori speciali per gli appalti di lavori, ai fini della qualificazione l'impresa ausiliata può avvalersi di impresa ausiliaria, anche se tra le due non vi è rapporto di controllo nei termini su ricordati.
  Come giustamente ricorda l'interrogante, tale previsione è assolutamente conforme anche al dettato dell'articolo 79, paragrafo 1, della recependa direttiva 2014/25/UE sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali (cosiddetti settori speciali) e che espressamente prevede che se le norme e i criteri oggettivi per l'esclusione e la selezione degli operatori economici che richiedono di essere qualificati in un sistema di qualificazione comportano requisiti relativi alle capacità economiche e finanziarie dell'operatore economico o alle sue capacità tecniche e professionali, questi può far valere, se necessario, la capacità di altri soggetti, indipendentemente dalla natura giuridica dei legami con essi... omissis.
  Anche in tal caso, è posta all'attenzione del Governo una prassi che richiama l'articolo 50 del codice dei contratti pubblici anche nei sistemi di qualificazione dei settori in parola – e che dunque richiede per l'avvalimento in sede di attestazione il collegamento e/o il controllo inter-societario di cui al comma 1, lettera a), di tale articolo – mentre la disposizione da applicarsi più correttamente è quella di cui all'articolo 232, comma 6, su ricordato, che espressamente ne esclude l'applicazione.
  Dal che, fatalmente, deriva un indesiderato effetto contra ius ovvero il restringimento dell'ambito delle imprese legittimamente potenziali concorrenti.
  Tutto ciò premesso e condiviso sotto un profilo di interpretazione delle disposizioni vigenti e applicabili, e atteso che trattasi di una non omogenea applicazione della normativa, si rappresenta l'impegno del Governo ad individuare idonei meccanismi procedurali, nonché ad investire l'Anac, organo principe nella materia di che trattasi, di un quesito circa la corretta interpretazione delle disposizioni applicabili con riferimento ai due profili posti dallo stesso interrogante e, se del caso, della vigilanza sulle relative attività poste in essere dai soggetti aggiudicatori.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   LABRIOLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 5 febbraio 1992, n. 104 «Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate», all'articolo 33 comma 5, prevede che «il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato abbia diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio senza poter essere trasferito ad altra sede in mancanza di previo accordo»;
   detta legge ha rappresentato un importante traguardo legislativo venendo in assistenza delle persone disabili per mezzo d'un sostanziale «mirato collocamento» di coloro i quali, anche per il vincolo parentale, devono essere posti nella condizione di essere da sostegno ai propri cari;
   la medesima normativa sin dall'origine della sua emanazione avrebbe incontrato delle serie difficoltà a trovare applicazione, specialmente presso gli appartenenti all'organico dell'INPS ove – a fronte di una chiara prescrizione normativa che rigorosamente assume l'inopponibilità, per l'amministrazione, al trasferimento per motivazioni basate sulla discrezionalità amministrativa e/o esigenze organizzative – risulterebbe viceversa elevato il numero di contenziosi innanzi l'autorità giudiziaria finalizzati all'ottenimento del su descritto pacifico diritto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della descritta situazione e quanti siano i contenziosi contro INPS inerenti alle richieste ex articolo 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992;
   quali iniziative intenda adottare al fine di verificare la corretta applicazione del comma 5 dell'articolo 33 della legge 104 del 1992 con specifico riferimento ai dipendenti INPS. (4-01032)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con cui si chiede quali iniziative si intendano assumere per verificare la corretta applicazione dell'articolo 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, con specifico riferimento ai dipendenti dell'INPS, si rappresenta quanto segue.
  L'articolo 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, novellato dall'articolo 24, comma 5, lettera b, della legge 4 novembre 2010 n. 183, stabilisce che il lavoratore, dipendente pubblico o privato, che assiste una persona in situazione di grave disabilità, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.
  Al riguardo, occorre precisare che l'inciso «ove possibile», già presente nella formulazione originaria della norma, assolve alla funzione di contemperare il diritto del lavoratore che assiste una persona in situazione di grave disabilità con le esigenze organizzative del datore di lavoro.
  Sul punto, è intervenuta più volte la giurisprudenza precisando che il diritto del lavoratore alla scelta della sede di lavoro all'atto dell'assunzione (così come l'eventuale successivo trasferimento) non può essere fatto valere in astratto ma dev'essere, di volta in volta, rapportato alle effettive esigenze organizzative ed economiche del datore di lavoro, con la conseguenza che quest'ultimo, in presenza di tali esigenze, può respingere la domanda di trasferimento del lavoratore che assiste un familiare disabile.
  Con particolare riferimento al rapporto di lavoro pubblico, la Corte di Cassazione Sezioni unite, con sentenza del 9 luglio 2009, ha precisato che la locuzione «ove possibile» vale ad indicare che l'esercizio del diritto in parola non deve, in ogni caso, comportare una lesione delle esigenze organizzative ed economiche della pubblica amministrazione sì da compromettere il buon andamento e l'efficienza dell'azione amministrativa.
  Inoltre, il dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, con circolare n. 13 del 6 dicembre 2010, ha precisato che l'articolo 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, rispondendo all'esigenza di tutela della persona disabile, accorda al lavoratore un diritto che può essere mitigato solo in presenza di circostanze oggettive impeditive, come ad esempio la mancanza di posto corrispondente nella dotazione organica della sede ove il lavoratore ha presentato istanza di trasferimento, mentre non può essere subordinato a valutazioni discrezionali o di opportunità da parte dell'amministrazione.
  Tanto premesso, con specifico riferimento all'applicazione, nei confronti dei dipendenti dell'Inps, dell'articolo 33, comma 5, della legge 104 del 1992, l'istituto ha precisato di aver respinto le istanze di trasferimento ogniqualvolta abbia accertato l'impossibilità di provvedere alla copertura del posto che si sarebbe reso vacante a seguito del trasferimento stesso.
  Ad avviso dell'Inps, infatti, la garanzia delle esigenze organizzative e funzionali richiede un'equilibrata ed omogenea distribuzione del personale su tutte le sedi territoriali, in mancanza della quale una fascia consistente di utenza verrebbe pregiudicata nella tutela dei propri diritti previdenziali ed assistenziali.
  Tale orientamento, peraltro, ha trovato conferma nelle ultime sentenze aventi ad oggetto il preteso diritto al trasferimento da parte di dipendenti dell'Inps, ai sensi dell'articolo 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, nelle quali i giudici hanno avuto modo di precisare che l'inciso «ove possibile» non consente di prescindere dalle esigenze poste dall'amministrazione a fondamento della necessità di dare copertura al posto che rimarrebbe vacante, esigenze che la norma in esame riconosce meritevoli di tutela, dovendo essere garantito il principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione (articolo 97 Costituzione).
  Da ultimo, con riferimento a quanto richiesto dall'interrogante in ordine al numero dei contenziosi contro l'Inps inerenti alle richieste ex articolo 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, l'istituto ha reso noto che, allo stato, risultano pendenti due giudizi, di cui: uno è stato definito in primo grado con sentenza favorevole allo stesso, attualmente impugnata; l'altro, è stato instaurato con ricorso ai sensi dell'articolo 702-bis codice di procedura civile da un dipendente soccombente nella precedente fase cautelare.
  L'Inps ha altresì precisato di essere risultato vittorioso nei contenziosi finora definiti.
La Sottosegretaria di Stato per il lavoro e le politiche socialiFranca Biondelli.


   MELILLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a Pescara i collezionisti Di Persio e Pallotta intendono realizzare un museo con le circa 200 importanti opere reperite in tutto il mondo per consentirne una fruizione collettiva e lasciare alla comunità abruzzese e nazionale una formidabile struttura culturale;
   attualmente dieci di queste opere rappresentano l'Abruzzo nella mostra «Il tesoro d'Italia» curata da Vittorio Sgarbi a EXPÒ 2015 a Milano, a testimonianza del valore artistico nazionale e internazionale della suddetta collezione privata;
   la collezione raccoglie fondamentali dipinti della pittura meridionale dell'Ottocento e del primo Novecento ed è riconosciuta come una delle più importanti raccolte private del nostro Paese;
   i proprietari di questa collezione vogliono realizzare a loro spese il museo e hanno acquistato il palazzo ormai fatiscente che ospitava la ex Banca d'Italia a Pescara in Viale Gabriele D'Annunzio per ristrutturarlo secondo le normative urbanistiche in vigore;
   le istituzioni locali, a partire dal comune di Pescara, plaudono alla iniziativa per gli evidenti riflessi culturali ed anche economici e turistici;
   ma da anni la soprintendenza per i beni storici e architettonici della regione Abruzzo frappone ostacoli incredibili opponendo il suo diniego alla ristrutturazione di un Palazzo rispetto ad un elemento del tutto secondario (il cavedio che insiste all'interno di questo Palazzo di stile eclettico, costruito nel 1925, di ignoto progettista, sinora adibito ad uso bancario, per ultima la Cassa di Risparmio). All'esterno il progetto di ristrutturazione non prevede nessuna modifica. La guerra giudiziaria che si è aperta ha determinato sinora il blocco del progetto del nuovo museo con vivo disappunto della comunità e delle istituzioni pescaresi e abruzzesi (il TAR ha dato ragione ai collezionisti mentre il Consiglio di Stato ha accolto la posizione della Soprintendenza che sostiene che il cavedio è una corte interna e dunque non può essere rimosso, impedendo: così la realizzazione dello spazio museale);
   sarebbe razionale che la soprintendenza attraverso uno studio accurato potesse riconsiderare il suo parere attivando una misura di autotutela circa la valutazione tecnica data sul presunto valore del «cavedio» interno –:
   quali siano le ragioni di questa posizione della soprintendenza che appare irragionevole e immotivata, sul piano storico e tecnico;
   se non si intenda riconsiderare la vicenda favorendo e non ostacolando la nascita di un nuovo museo nella città di Pescara di sicura valenza nazionale senza alcun costo per la finanza pubblica;
   perché un ufficio regionale del Ministero dei beni ed attività culturali assuma scelte così disinvolte assumendosi nei fatti la responsabilità di non volere istituire un nuovo museo a Pescara. (4-10285)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, con il quale l'interrogante, premesso che è intenzione dei collezionisti d'arte signori Di Persio e Pallotta realizzare un museo a Pescara nel quale ospitare importanti opere pittoriche dell'Ottocento e dei primi del Novecento, e che tale museo dovrebbe nascere nel palazzo, ormai fatiscente, della ex Banca d'Italia, per il cui restauro i suddetti collezionisti provvederebbero personalmente a proprie spese, chiede di sapere se si intendano rivedere le ragioni che hanno portato il Ministero a opporre diniego alla ristrutturazione di tale edificio, quale finora proposta, impedendo, in tal modo, la nascita di un nuovo museo senza alcun costo per la finanza pubblica.
  A tal proposito si comunica quanto segue, sulla base degli elementi forniti dai competenti uffici.
  L'edificio denominato «Palazzetto ex Banca d'Italia» di Pescara, dichiarato di interesse culturale con decreto del 19 luglio 2011 n. 294, in questi ultimi anni è stato al centro di una complessa vicenda amministrativa e giudiziaria che ha visto coinvolta sia l'allora soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici dell'Abruzzo, sia l'attuale soprintendenza belle arti e paesaggio dell'Abruzzo.
  Fin dalla presentazione del primo progetto, denominato «Interventi di restauro conservativo», acquisito agli atti nell'ottobre 2011, la soprintendenza paesaggistica competente, pur apprezzando «la volontà di intervenire sul bene tutelato in oggetto, ai fini dell'approvazione ex articoli 21 e 22 del decreto legislativo n. 42 del 2004», aveva segnalato le criticità delle soluzioni proposte, che miravano essenzialmente ad un mero recupero di superfici, ed aveva suggerito diverse soluzioni per rendere ancora rileggibili gli elementi caratterizzanti l'edificio, per i quali esso era stato ritenuto degno di tutela.
  Suggerimenti che sono stati peraltro disattesi nella successiva rielaborazione del progetto. Pertanto la soprintendenza ha respinto tale rielaborazione, con un diniego del febbraio 2012, specificando tuttavia che la ditta proprietaria in ogni caso poteva procedere «alla realizzazione di opere di manutenzione finalizzate alla tutela e alla conservazione dell'immobile». È anche da sottolineare che in questa proposta non vi era alcun riferimento alla realizzazione di un museo o di uno spazio espositivo, essendo gli ambienti dei vari livelli destinati esclusivamente ad uffici.
  Il secondo progetto presentato dalla ditta proprietaria dell'immobile, denominato parimenti «Interventi di restauro conservativo», acquisito agli atti nel gennaio 2013, pur essendo stato giudicato particolarmente invasivo dalla soprintendenza, sia dal punto di vista dell'intervento strutturale, sia da quello più strettamente tipologico/formale, fu approvato nel febbraio 2013, seppur con precise e puntuali prescrizioni, al fine di conformare le soluzioni progettuali alle esigenze di tutela. In ogni caso, nella stessa autorizzazione, si specificava che erano comunque ammessi «i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria del tetto anche tramite la sostituzione di elementi ammalorati».
  A tutto ciò seguiva il ricorso al Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo promosso dalla ditta proprietaria dell'immobile, per l'annullamento del decreto del 19 luglio 2011 n. 294 di riconoscimento dell'interesse culturale. Detto tribunale, con sentenza n. 00193 del 2012, pur riconoscendo i limiti del sindacato del giudice amministrativo, travisava in parte il giudizio tecnico della soprintendenza — che individuava nella tipologia dell'originario progetto, evoluzione liberty del palazzo signorile rinascimentale con corte interna, trasformata a spazio coperto al piano terra tramite una volta a padiglione in vetro e metallo, un segno storico-artistico e non nel manufatto esistente in sé, evocato come mero segno di quell'originaria caratteristica progettuale — dichiarando illegittimo l'atto impugnato nella parte in cui vincolava anche la parte interna dell'edificio.
  Tuttavia la successiva sentenza del Consiglio di Stato, n. 2019 del 2014, a seguito di ricorso del Ministero, deducendo l'erroneità della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, accoglieva pienamente le ragioni della soprintendenza riaffermando che «la qualità culturale dell'immobile non è riconosciuta per il suo valore di riferimento storico astratto ma in ragione della sua particolare caratteristica concreta di avere una corte interna coperta, la cui mancata tutela potrebbe comportare la cancellazione con la perdita di un segno tangibile e leggibile della conformazione strutturale originaria e propria del manufatto».
  Infine, per l'esame dell'ultimo progetto presentato dalla ditta di «Ristrutturazione ex palazzetto Banca D'Italia», acquisito dalla soprintendenza competente nell'aprile 2015, sono state create due distinte commissioni. La prima commissione, riunitasi nel giugno 2015, con lo specifico compito di valutare la rispondenza dell'intervento proposto alle esigenza di tutela, si è espressa in senso negativo, giudicando il progetto lesivo degli elementi che hanno determinato la sottoposizione a tutela dell'immobile in oggetto.
  La seconda commissione, istituita per la valutazione delle osservazioni presentate dalla Ditta proprietaria, ha ritenuto le stesse non meritevoli di accoglimento, esprimendo un diniego in data 26 agosto 2015.
  Tutti i progetti sin qui esaminati prevedevano in particolare, oltre ad altri interventi sulla copertura e sulle strutture portanti, tutti ugualmente lesivi dei valori storici, artistici e tipologici dell'immobile, anche l'eliminazione del padiglione vetrato posto a chiusura della corte centrale al piano terra e la sua sostituzione con un solaio piano, costituendo di fatto una profonda alterazione della spazialità interna del piano terra.
  Nel merito si chiarisce che la corte coperta dell'edificio, costruito a partire dal 1925 appositamente per fornire il nuovo capoluogo di provincia, Pescara, di un'adeguata rappresentanza della Banca d'Italia, non è un elemento secondario della costruzione ma, come è stato rimarcato anche nella citata sentenza del Consiglio di Stato n. 2019 del 2014, un segno strutturale della tipologia dell'edificio destinato a sede bancaria.
  L'interesse culturale dell'edificio in questione, infatti, è stato riconosciuto sia sotto il profilo storico, sia sotto quello più propriamente architettonico e tipologico, anche per la particolare qualificazione di edificio a corte coperta fin dal progetto originario; ed elemento essenziale per la lettura ed il suo riconoscimento — caratterizzante la specificità delle funzioni originarie dell'edificio «ex Banca d'Italia» — è la copertura vetrata a padiglione, che tutti i progetti presentati dalla ditta proprietaria prevedevano di demolire. Se tali progetti fossero stati realizzati, avrebbero trasformato il principale ambiente interno, esaltato da una copertura luminosa e dinamica, in un ambiente con copertura piana e parzialmente compresso a causa dall'abbassamento della sua quota, ottenendo un edificio completamente diverso dall'attuale.
  In conclusione, questo Ministero, dopo aver richiamato le valutazioni espresse dai propri organi tecnici – confortate come si è detto dal massimo organo della giustizia amministrativa – non può che esprimere apprezzamento per l'intendimento, espresso da privati cittadini, di dar vita a un nuovo museo, facendosi carico dei relativi oneri. Manifesta quindi la piena disponibilità dei propri organi locali e centrali a proseguire il confronto, al fine di pervenire a soluzioni progettuali capaci di conciliare gli auspicati obiettivi di riuso culturale del «Palazzetto ex Banca d'Italia» di Pescara con le sopra illustrate esigenze di tutela.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   MURA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i minori soli non accompagnati, anche giovanissimi, sono il volto più vulnerabile delle decine di migliaia di migranti che hanno affrontato l'attraversata del Mediterraneo fino a oggi;
   i minori che hanno affrontato da soli un terribile viaggio, iniziato nei loro Paesi di origine, sono la maggioranza tra tutti i minori che sono sbarcati nelle coste italiane;
   hanno una età tra i 9 e i 17 anni, in maggioranza maschi ma ci sono anche ragazze, sono originari principalmente di Paesi come il Gambia, la Somalia, l'Eritrea, o altri Paesi dell'Africa sub-sahariana e occidentale, ma anche Siria e Palestina;
   sono fuggiti da conflitti, dittature, fame, violenze, dall'assenza totale di una possibilità di futuro;
   per molti il viaggio è stato terribile, hanno sofferto fame o disidratazione, sono stati rapiti, venduti, ricattati, picchiati, torturati o violentati, prima e dopo l'arrivo in Libia, ultima tappa del loro percorso;
   molti sono stati sfruttati e abusati dai trafficanti, ammanettati e picchiati nei centri di detenzione in Libia con la richiesta di un riscatto per poter essere liberati;
   tutti hanno provato il terrore di morire in mare, alcuni nella traversata hanno perso parenti o amici che non sono stati salvati, o sono morti loro stessi tra le centinaia di vittime dei naufragi che si sono susseguiti anche nelle ultime settimane;
   l'Italia, dal canto suo, non sta facendo abbastanza per accogliere e proteggere i minori soli non accompagnati sopravvissuti ai naufragi e alle lunghe traversate nel Mediterraneo;
   i minori non accompagnati vengono inviati, per disposizione delle prefetture, nelle strutture di prima accoglienza e lì rimangono per settimane o mesi in condizioni non adeguate invece di stare per il tempo stretto necessario al trasferimento nelle comunità per minori –:
   quali iniziative intenda adottare per impedire il protrarsi di questa situazione, per accogliere e proteggere al meglio i minori soli non accompagnati sopravvissuti ai naufragi, anche perché i comuni, soprattutto quelli più piccoli, sono in grandi difficoltà nel gestire situazioni delicate che richiedono personale specializzato e strutture adeguate ad ospitare i minori stranieri;
   quali iniziative concrete intenda assumere per attivare al più presto in Italia un sistema di accoglienza e protezione strutturato dei minori soli non accompagnati, giovani migranti fuggiti da conflitti, dittature, fame, violenze e dall'assenza totale di una possibilità di futuro.
(4-10216)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame viene chiesto al Ministro dell'interno quali iniziative concrete intenda assumere per attivare al più presto in Italia un sistema di accoglienza e protezione strutturato dei minori stranieri non accompagnati.
  Si rappresenta che gli arrivi, in numero crescente negli ultimi anni, di minori stranieri non accompagnati sul territorio nazionale hanno evidenziato l'esigenza di ricondurre il fenomeno ad una governance di sistema.
  In tale direzione è intervenuta l'intesa sul Piano nazionale per fronteggiare i flussi migratori, sancita in sede di Conferenza unificata il 10 luglio 2014, che definisce un nuovo sistema di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, di supporto a quello gestito dai comuni (articoli 403 e seguenti del codice civile; legge n. 184 del 1983 come modificata dalla legge n. 149 del 2001; legge n. 328 del 2000, in particolare articolo 6, comma 4). Tale intesa, peraltro, ha trovato copertura normativa anche con il decreto legislativo n. 142 del 2015.
  In sostanza, al fine di assicurare una maggiore tutela nei confronti di questa particolare categoria di migranti, il piano nazionale elimina, ai soli fini dell'accoglienza, ogni distinzione tra minori stranieri non accompagnati che siano richiedenti asilo o meno.
  Il dispositivo prevede una fase di prima accoglienza in strutture governative ad alta specializzazione e un'accoglienza di secondo livello nell'ambito del Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) dedicato ai minori stranieri non accompagnati, adeguatamente potenziato nella capienza.
  In attesa che il nuovo sistema funzioni a pieno regime, il Ministero dell'interno deve coordinare la costituzione di strutture temporanee di accoglienza, individuate ed autorizzate dalle regioni, di concerto con le prefetture e gli enti locali.
  I contenuti del piano nazionale sono stati poi confermati dalla legge di stabilità 2015 che ha ribadito l'eliminazione, ai soli fini dell'accoglienza, di ogni distinzione tra i minori stranieri non accompagnati che siano richiedenti asilo o meno (articolo 1 comma 183).
  Inoltre la stessa legge, all'articolo 1, comma 181, ha trasferito al Ministero dell'interno le risorse del Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, già operante presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
  Al fine di dare tempestiva e concreta attuazione ai contenuti del piano nazionale, presso il Ministero dell'interno è stata istituita, fin dal luglio 2014, una struttura di missione prorogata fino al 31 luglio 2016.
  La struttura si è attivata per realizzare i due livelli di accoglienza come delineati dal piano nazionale.
  Nell'ambito della misura emergenziale Fondo asilo migrazione e integrazione (F.A.M.I.) – Miglioramento della capacità del territorio italiano di accogliere minori stranieri non accompagnati –, essa ha emanato due avvisi pubblici per la presentazione di progetti volti alla realizzazione di strutture temporanee di accoglienza, per un importo di 13.277.400 euro, di cui 11.949.660 euro di quota comunitaria e 1.327.740 euro di quota nazionale.
  Sono stati ammessi al finanziamento 15 progetti, già attivi, per complessivi 737 posti giornalieri, nei territori delle regioni Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Puglia, Sicilia e Toscana.
  Fin dal momento della nascita di queste strutture di prima accoglienza, si è avuto cura di coinvolgere i territori; infatti, i bandi hanno previsto che gli enti locali potessero presentare — in qualità di capofila o di partner — i progetti correlati da «prese d'atto» del comune, dell'azienda sanitaria locale e della prefettura.
  Analogamente, la procedura prevede che le prefetture territorialmente interessate dalla presenza dei minori ne richiedano il trasferimento al Ministero dell'interno – Struttura di missione per l'accoglienza –, curando le necessarie comunicazioni ai competenti attori istituzionali (autorità giudiziaria minorile, comuni, prefetture, questure).
  L'accoglienza nei centri è rivolta ai minori stranieri non accompagnati provenienti da sbarchi, per una durata di 60 giorni, prorogabili a 90 in caso di motivate esigenze, in vista del trasferimento degli stessi nel sistema di seconda accoglienza (Sprar) loro dedicato, nei limiti delle attuali disponibilità di 941 posti, risultato del potenziamento di tale rete di seconda accoglienza.
  Considerato il perdurare delle esigenze di accoglienza in favore dei minori stranieri non accompagnati, è stata chiesta all'Unione europea la proroga delle attività dei 15 centri di prima accoglienza finanziati con fondi comunitari.
  Il sistema delineato, in ogni caso, verrà consolidato con la predisposizione di un bando per la creazione di strutture governative di prima accoglienza ad alta specializzazione, da finanziare con il citato Fondo asilo, migrazione e integrazione.
  Per quanto riguarda la seconda accoglienza, la struttura ha elaborato un nuovo bando Sprar, sempre dedicato al target minori. Il relativo decreto è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 23 maggio 2015 e le 104 domande presentate entro il termine del 22 luglio 2015.
  Con decreto del Ministro dell'interno del 3 dicembre 2015, sono stati ammessi al contributo 73 progetti che assicureranno, da dicembre 2015 a dicembre 2016, l'attivazione di 1.010 nuovi posti per l'accoglienza di minori stranieri non accompagnati nella rete del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati.
  Come già accennato, la legge di stabilità 2015 ha trasferito al Ministero dell'interno le risorse del Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, per supportare economicamente comuni per i servizi di accoglienza, erogati ai sensi della normativa vigente.
  In tal senso, il Ministero dell'interno, con circolari del 5 maggio e del 14 luglio 2015, ha impartito alle prefetture le indicazioni necessarie affinché i comuni che hanno erogato i servizi di accoglienza dal 1o gennaio 2015 possano accedere al contributo a carico del Fondo per un massimo di 45 euro al giorno pro capite (Iva inclusa).
  Nei primi dieci mesi del 2015, la struttura di missione ha già autorizzato il pagamento di circa 22 milioni di euro per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati offerta dai comuni nel primo e nel secondo trimestre 2015.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   NICCHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende da fonti di stampa da aprile a settembre centinaia di grossi pullman si spostano carichi di lavoratrici tra le province di Brindisi, Taranto e Bari per la stagione delle fragole, delle ciliegie e dell'uva da tavola. Grottaglie, Francavilla Fontana, Villa Castelli, Monteiasi, Carosino, sono solo alcuni dei nomi della geografia del caporalato italiano che sfrutta le donne. Il nome del caporale è scritto in grande, stampato sulla fiancata dei bus, insieme al numero di cellulare. «E per questo che nessuno li ferma», dice Teresa, nome di fantasia dell'inchiesta giornalistica;
   il potere del caporale si misura dal numero di pullman che possiede, perché questo è indice anche della quantità di lavoratori che riesce a controllare. Si va dalle cinquanta alle oltre 200 persone. Il caporale prende dall'azienda circa 10 euro a donna e sui grandi numeri guadagna migliaia di euro a giornata. «Nel magazzino per il confezionamento dell'uva da tavola dove lavoro ci sono mille operaie italiane, portate lì da più di dieci caporali diversi», racconta Antonio, bracciante della provincia di Taranto. In questi giorni i pullman percorrono quasi cento chilometri, dalla Puglia fino alle aziende agricole che producono fragole nel Metapontino, tra Pisticci, Policoro e Scanzano Jonico, in provincia di Matera;
   questi proprietari conferiscono il prodotto a dei consorzi di commercianti con sede nel nord Italia che hanno magazzini in loco. L'intermediario prende una percentuale variabile, almeno del 2 percento, poi si aggiungono i costi delle cassette e la tariffa del 12 per cento pagata al «posteggiante», il personaggio che la espone in vendita ai mercati generali. Alla fine si arriva a un prezzo al consumatore anche di 7 euro al chilo nei supermercati di Milano;
   gli orari di lavoro e la paga variano a seconda del tipo di raccolta. Ma la regola sono impieghi massacranti e sottosalario. Alle fragole si lavora per sette ore, ma se sono mature e vanno raccolte subito si arriva anche a 10 ore. Nei magazzini di confezionamento si arriva anche a 15 ore. Ogni donna deve raccogliere una pedana di uva pari a 8 quintali. Se ci mette più tempo la paga resta uguale, per cui alla fine il salario reale è meno di 4 euro l'ora. «C’è il pregiudizio che le donne iscritte negli elenchi agricoli siano false braccianti – spiega Giuseppe Deleonardis, segretario della Flai Cgil Puglia – invece vivono una condizione di sfruttamento pari agli immigrati. Nel sottosalario, a parità di mansioni con gli uomini, c’è un'ulteriore differenza retributiva: se la paga provinciale sarebbe di 54 euro e all'uomo ne danno in realtà 35, la donna non va oltre 27 euro»;
   il salario ufficiale è di 50-60 euro. Ma vengono segnate la metà delle giornate di lavoro effettivamente lavorate. Le braccianti vengono costrette a firmare buste paga che rispettano i contratti, perché le aziende hanno bisogno di dimostrare che sono in regola per poter accedere ai finanziamenti pubblici. Di fatto continuano a pagare un terzo o al massimo la metà del salario dovuto, richiedendo indietro i soldi conteggiati in busta paga;
   «In provincia di Taranto, con inquadramento minimo, posso avere una busta paga ufficiale di 47 euro lordi, però in realtà me ne arrivano 27, massimo 28 a giornata – racconta Antonietta – L'azienda ci dà il foglio di assunzione, noi dobbiamo portarlo con noi tutti i giorni nel caso ci dovesse essere un controllo. L'autista del pullman risulta essere un dipendente dell'agenzia di viaggio». I datori di lavoro mettono la paga del caporale sull'assegno che percepiscono le lavoratrici, le quali riscuotono e danno al caporale la sua parte in nero;
   nei campi italiani succede di tutto, approfittando della disperazione e della crisi economica. C’è chi aspira a diventare una «fissa» della squadra del caporale come se fosse una specie di nota di merito in graduatoria. Chi subisce molestie sessuali o la richiesta di prostituirsi per poter lavorare. Ci sono donne caporali che sono anche proprietarie di pullman. Ma la figura più ambigua è quella che tutti chiamano «la fattora», una sorta di kapò al femminile con una funzione di ricatto. È lei la persona di fiducia del caporale che controlla le lavoratrici sul campo. «Il suo ruolo è di subordinare psicologicamente le braccianti, garantendo loro assunzioni se rinunciano ai diritti», spiega Deleonardis. «Alla minima protesta, rimostranza o insubordinazione si resta a casa per punizione – dice Teresa –. Anche se ti lamenti perché non vuoi viaggiare nel cofano del pulmino»;
   il fenomeno del caporalato in Italia è una piaga sempre più profonda. E la novità è che negli ultimi due anni c’è stato un aumento costante della manodopera femminile: donne ghettizzate, violentate e sfruttate che vanno lentamente a sostituire i braccianti di sesso maschile: oggi – dicono i dati che sta raccogliendo la Flai Cgil e che si pubblicano in anteprima – le straniere schiavizzate in agricoltura sono 15 mila (contro i 5 mila uomini). Sono quasi sempre giovani mamme, ricattabili proprio perché hanno figli piccoli da mantenere. Un dato impressionante, che si somma ad un altro elemento preoccupante: il numero sempre crescente delle lavoratrici italiane, che, se non schiavizzate, sono comunque gravemente sfruttate; sempre secondo le stime del sindacato, in Campania, Puglia e Sicilia, le tre regioni a maggiore vocazione agricola, sono almeno 60 mila, in proporzione crescente rispetto alle straniere. Vengono pagate 3-4 euro l'ora, ma anche meno in alcuni territori, e costrette a turni massacranti;
   i caporali che operano in Puglia vanno a reclutare le ragazze soprattutto nelle zone agricole della Romania, nelle campagne intorno a Timisoara o a Iasi, zona al confine con la Moldavia. Le imbarcano su pullman da 50 posti. Il viaggio dura un giorno e una notte. «Organizzano viaggi verso il sud Italia – racconta Concetta Notarangelo, coordinatrice del progetto Caritas in Puglia – ma sappiamo per certo che arrivano anche in Emilia Romagna. Ma nessuno ha il coraggio di denunciare. Qui non si tratta di caporali e basta, si tratta di organizzazioni criminali. Malavita. Il caporale è solo un anello della catena. Gli annunci per questi lavori escono addirittura su un giornale romeno. Non è solo un passaparola. E le donne hanno paura. Ma senza denunce nessuno viene punito. In tre anni che seguo il progetto Caritas abbiamo raccolto in tutto 15 denunce. E poi è comunque difficile provare il reato, ci sono alcuni processi in corso, ma per ora nessuna condanna»;
   in Campania ad essere schiavizzate sono le donne africane. «Se non accettano di avere rapporti sessuali con il datore di lavoro (quasi sempre italiano, ndr) non vengono pagate – spiega Cinzia Massa, responsabile immigrazione Flai Campania –. Non hanno permesso di soggiorno, ed essendo clandestine sono le più ricattabili»;
   secondo i dati della Flai Cgil solo in Puglia sono tra le 30 e le 40 mila le donne gravemente sottopagate, a cui vanno aggiunte diverse altre migliaia in Campania e in Sicilia. A volte partono alle tre di notte e tornano a casa di pomeriggio. I caporali intascano 12 euro per ogni donna che hanno «procurato». Anche se hanno un regolare contratto, vengono pagate 20-25 euro al giorno. Mentre sulla busta paga ne risultano 45. Succede soprattutto nel Casertano e nel Salernitano. «Mentre lavorano – denuncia ancora il sindacato – le donne vengono controllate da un guardiano, che grida continuamente di non distrarsi e di essere più veloci. Per andare in bagno hanno 10 minuti a turno. E se qualcuna si rifiuta di andare sui campi in un giorno di festa, come il 15 agosto, viene «punita»: per qualche giorno non la fanno lavorare». E se una ragazza è considerata troppo ribelle non viene scelta. Le donne selezionate vengono caricate sui furgoni o ammassate – anche in 30 – in camion telonati. Per questo «trasporto bestiame» ogni lavoratrice paga fino a 7 euro a viaggio;
   gli addetti all'agricoltura in Italia sono un milione e 200 mila. Nel 43 per cento dei casi – è il dato dell'Istat – si tratta di lavoro sommerso. E il giro d'affari legato al business delle agromafie, secondo le stime della direzione nazionale antimafia, è di 12,5 miliardi di euro all'anno. «Il caporalato – spiega Stefania Crogi, segretario generale Flai Cgil nazionale – è stato riconosciuto come reato penale solo nell'agosto 2011, ed è punibile con l'arresto da 5 a 8 anni. Prima era prevista solo una sanzione pecuniaria. Ma non sempre si riesce a provarlo, anche a causa delle difficoltà che incontrano le vittime nel denunciare. Serve un percorso di protezione –:
   se non ritengano di assumere un'iniziativa normativa al fine di prevedere che si completi e rafforzi l'articolo 12 del decreto legislativo n. 138 del 2011 che ha modificato il 603-bis del codice penale che individua il caporalato come reato penale, introducendo esplicitamente che tali reati sono applicabili alle aziende utilizzatrici della manodopera, oggetto di intermediazione illecita di manodopera, prevedendo altresì forme di sostegno e protezione a quanti denunciano i casi di violazione;
   se non ritengano di recepire le proposte delle organizzazioni sindacali nazionali in materia di rete di qualità come già parzialmente previsto con le misure di (Campo libero) decreto legislativo n. 91 del 2014, articolo 6, e sollecitate recentemente anche dalle organizzazioni di rappresentanza sociale europea, circa l'introduzione e previsione di strumenti trasparenti pubblici d'incontro tra la domanda e offerte di lavoro (come le liste di prenotazioni), all'interno della rete di qualità, l'istituzione degli indici di congruità quale strumento di controllo e contrasto al lavoro nero e la certificazione etica d'impresa quale elemento premiale per l'accesso alla fiscalizzazione degli oneri sociali e altre agevolazioni;
   se non ritengano di prevedere maggiori interventi ispettivi sia in campo che nei magazzini ortofrutticoli atteso che gli interventi ispettivi in Puglia, pari a 1818, di poco superiori agli interventi 2013, hanno accertato oltre l'80 per cento di violazione e inadempienze a vario titolo da parte delle aziende di cui oltre il 50 per cento solo per lavoro nero, con provvedimenti di revoca delle fiscalizzazioni degli oneri sociali e finanziamenti pubblici per le aziende inadempienti e se le aziende interessate dalle ispezioni e infrazioni siano state oggetto di tali misure di revoca. (4-09379)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo indicato in esame, concernente il fenomeno del caporalato nel nostro Paese, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, occorre evidenziare che il Governo, insieme al Parlamento, è fortemente impegnato a contrastare questo deplorevole fenomeno, anche attraverso il coinvolgimento di tutte le istituzioni territoriali e nazionali, delle associazioni di categoria, nonché delle organizzazioni sindacali e dei cittadini stessi.
  Più in particolare, per quanto di competenza, si rappresenta che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nell'ambito del documento di programmazione dell'attività di vigilanza per l'anno 2015, ha pianificato una serie di interventi nel settore agricolo in specifici ambiti regionali, quali la Puglia, la Campania, la Calabria e la Basilicata.
  La vigilanza è stata programmata e svolta in sinergia con altri soggetti istituzionali (Arma dei carabinieri, ASL, Corpo forestale dello Stato, Guardia di finanza), consentendo, in tal modo, di verificare i rapporti di lavoro agricoli sotto diversi profili e valutando, tra l'altro, le possibili connessioni con fattispecie penalistiche (ad esempio il traffico di esseri umani).
  In tale quadro di sinergie interistituzionali, costantemente promosse dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, è stato anche stipulato uno specifico protocollo d'intesa con l'Automobile Club d'Italia (ACI) così da consentire agli ispettori del lavoro di accedere alla banca dati del P.R.A. per poter verificare, in tempo reale, la titolarità dei mezzi di trasporto utilizzati e confrontare queste informazioni con altre raccolte durante le ispezioni o provenienti dalla consultazione di altre banche dati a disposizione.
  Nel mese di agosto 2015, partendo da una analitica mappatura delle aree geografiche che negli ultimi anni hanno fatto registrare la maggiore concentrazione dei fenomeni di irregolarità, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha dato ulteriore impulso alle attività di contrasto al caporalato ed al lavoro «nero» ed irregolare in agricoltura. L'attività ispettiva si è concentrata, in particolare, in quelle regioni del sud Italia dove tali problematiche sono più evidenti ed è stata realizzata, anche con il coinvolgimento delle Asl, al fine di verificare il rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro.
  A tal proposito, sono state realizzate attività di vigilanza straordinaria nelle aree geografiche interessate da lavorazioni a carattere stagionale e maggiormente colpite da tali fenomeni, mediante la costituzione di task force interprovinciali e interregionali.
  Rispetto all'anno precedente, si è registrato un sensibile aumento degli accertamenti in agricoltura: infatti nel 2014 sono state effettuate circa 5 mila ispezioni, mentre nei primi sei mesi del 2015 sono stati già effettuati oltre 3 mila accertamenti, all'esito dei quali sono stati riscontrati circa 2.300 lavoratori irregolari, di cui oltre 1.000 sono risultati in «nero» e, tra questi, 50 lavoratori extracomunitari privi di regolare permesso di soggiorno.
  Inoltre, per il 2016, è stato già predisposto un piano ispettivo mirato e capillare, concordato fra tutte le istituzioni centrali e locali, proprio per contrastare, in tutti i territori, il fenomeno in questione.
   Nell'ottica di un rafforzamento delle politiche di contrasto al fenomeno del caporalato, il decreto-legge n. 91 del 2014 ha istituito la «Rete del lavoro agricolo di qualità», con la quale si è introdotto un meccanismo che premia, con un minor carico di controlli nei loro confronti, le imprese che si contraddistinguono per la regolarità nei vari ambiti dell'attività da esse svolte.
  Alla «Rete del lavoro agricolo di qualità» sovraintende una cabina di regia composta da un rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, del Ministero dell'economia e delle finanze, dell'Inps e della Conferenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano. La stessa è presieduta dal rappresentante dell'Inps.
  Tale struttura ha il compito di deliberare sulle istanze di partecipazione alla «Rete del lavoro agricolo di qualità», escludendovi quelle imprese che perdono i requisiti, di redigere e aggiornare l'elenco delle imprese che partecipano alla «Rete del lavoro agricolo di qualità» e, infine, di formulare proposte al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali in materia di lavoro e di legislazione sociale nel settore agricolo.
  Si evidenzia, altresì, che, con il decreto legislativo n. 149 del 2015, è stato istituito l’«Ispettorato nazionale del lavoro» che integra in un'unica struttura i servizi ispettivi del Ministero del lavoro, dell'Inps e dell'Inail, determinando, in tal modo, un'ulteriore razionalizzazione e una maggiore efficacia delle ispezioni, evitando una duplicazione di interventi ed una più meditata programmazione dell'attività di vigilanza.
  Si ritiene, inoltre, di notevole importanza la recente approvazione alla Camera dei deputati del testo – trasmesso al Senato per il relativo esame – delle disposizioni normative nell'ambito del codice antimafia che dispongono la confisca obbligatoria e allargata delle cose utilizzate per commettere il reato e di ciò che ne costituisce il prodotto o il profitto, con la finalità di colpire non solo i caporali, erogatori di servizi criminali alle imprese, ma anche gli imprenditori che illecitamente traggono ricchezza dallo sfruttamento e dalla riduzione in schiavitù.
  Inoltre – dopo l'approvazione in prima lettura al Senato – è attualmente all'esame della Commissione XIII della Camera dei deputati l'atto Camera (A.C.) n. 3119, recante: «Deleghe al Governo e ulteriori disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitività dei settori agricolo, agroalimentare, della pesca e dell'acquacoltura» (cosiddetto collegato agricoltura) che, all'articolo 30, prevede l'introduzione di una serie di integrazioni e modifiche alla disciplina istitutiva della «Rete del lavoro agricolo di qualità».
  Nello specifico, tale atto prevede che alla «Rete del lavoro agricolo di qualità» possano aderire – attraverso apposite convenzioni – gli sportelli unici per l'immigrazione, le istituzioni locali, i centri per l'impiego e gli enti bilaterali costituiti dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori in agricoltura.

  Si segnala ancora che, nella riunione del 13 novembre 2015, il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge contenente disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni di lavoro nero e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura. Tale iniziativa legislativa mira a garantire una complessiva e maggiore efficacia dell'azione di contrasto, introducendo modifiche significative in diversi testi normativi al fine di prevenire e colpire in modo organico e mirato tale fenomeno criminale nelle sue diverse manifestazioni.
  Da ultimo, si precisa che il 2 dicembre 2015, sono state approvate nelle, Commissioni riunite XI e XIII della Camera dei deputati le risoluzioni in materia di caporalato, nell'ambito delle quali il Governo si è impegnato, tra l'altro:
   ad intensificare i controlli per l'emersione del lavoro nero e consolidare, al contempo, nuovi strumenti utili al contrasto permanente del fenomeno del caporalato;
   a dare piena attuazione alla «Rete del lavoro agricolo di qualità», implementando le iniziative elaborate dalla cabina di regia attraverso la promozione dell'offerta, da parte dei centri per l'impiego, pubblici di servizi adeguati alle peculiarità del lavoro agricolo prevedendo un ruolo attivo e collaborativo degli enti territoriali con le altre istituzioni preposte all'azione di prevenzione e contrasto del lavoro irregolare e del caporalato.
La Sottosegretaria di Stato per il lavoro e le politiche socialiTeresa Bellanova.

(Risposta del Governo del 22 dicembre 2015)


   OLIVERIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da recenti notizie diffuse a mezzo stampa da diverse testate giornalistiche calabresi, si apprende che a Strongoli, in provincia di Crotone, sulla strada provinciale 53 che collega Strongoli Marina a Strongoli, una frana avvenuta nel mese di ottobre 2014, causa ancora un grave pericolo per la circolazione e la salvaguardia delle persone;
   la strada interessata dalla problematica è stata prontamente segnalata dalla popolazione, la quale si è riunita in comitato per chiedere aiuto alle autorità interessate per l'adozione di opportuni provvedimenti;
   gli abitanti di Strongoli che quotidianamente si spostano verso Crotone, chi per lavoro chi per studio, lamentano da mesi di essere stati costretti a vedersi privati del diritto ad avere delle infrastrutture che consentano lo spostamento senza rischi;
   con l'interruzione della strada provinciale 53 gli abitanti delle zone interessate dalla problematica sono costretti a vivere un forte isolamento sociale che condiziona la loro vita, vedendosi sempre più abbandonati;
   Strongoli è anche una delle località più rinomate del turismo estivo nella provincia di Crotone e con la stagione estiva alle porte la situazione di una delle strade maggiormente interessate dai flussi turistici del territorio crotonese risulta essere al centro di molta attenzione e preoccupazione tra i cittadini;
   l'obbiettivo primario di gran parte della cittadinanza che da mesi vive questo disagio è quello di avere risposte concrete per la soluzione di questa grave emergenza di viabilità che sta affliggendo la comunità rendendola di fatto isolata dall'intera provincia di Crotone;
   troppo spesso la Calabria soffre di grave carenza infrastrutturale e manutentiva e questo, purtroppo, aumenta sempre di più la distanza della regione con il resto del Paese –:
   se il Governo sia a conoscenza delle informazioni diffuse da diverse testate giornalistiche calabresi e quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, per mettere in sicurezza la viabilità ed evitare rischi per l'incolumità pubblica alla luce delle criticità che hanno colpito da mesi la cittadina di Strongoli, promuovendo, se possibile, un tavolo di discussione con le amministrazioni comunali interessate, e l'amministrazione provinciale di Crotone. (4-08103)

  Risposta. — In merito alla questione della messa in sicurezza della strada provinciale 53 nel tratto che collega l'abitato di Strongoli alla strada statale 106, la prefettura di Crotone ha reso noto che, effettivamente, negli ultimi anni quel tratto di strada è stato interessato da alcuni movimenti franosi che hanno portato all'emissione di un'ordinanza di chiusura al transito nel tratto compreso tra i chilometri 4+000 e 8+600.
  Il traffico dei mezzi pesanti è stato immediatamente dirottato sulla strada provinciale 16, mentre, al contempo, è stato effettuato un intervento manutentivo su una strada comunale alternativa, per permettere il transito dei mezzi leggeri.
  L'amministrazione provinciale di Crotone, per consentire la riapertura al transito della strada provinciale 53, ha previsto, nell'elenco annuale delle opere pubbliche del 2013, con fondi propri, l'esecuzione di opere di consolidamento mirato a risolvere le principali criticità di tipo geologico, per un costo complessivo di 650.000 euro.
  Tuttavia, a causa delle sopravvenute problematiche di carattere economico-finanziario che hanno investito la suddetta amministrazione provinciale e per consentire di verificare l'effettiva disponibilità delle risorse, l’iter della gara è stato in un primo tempo sospeso.
  Da ultimo, la prefettura ha informato che l'amministrazione provinciale ha previsto un pre-finanziamento di 450.000 euro e che la gara di riferimento è già stata regolarmente espletata.
  A brevissima scadenza sarà definito il finanziamento complessivo. Subito dopo si procederà all'effettivo espletamento dei lavori.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   PES. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'ordinanza 6/2014 del 27 maggio 2014 del prefetto di Oristano avrebbe disposto, dal giorno 4 giugno 2014 sino alla fine del mese, lo sgombero di persone e animali nel comprensorio del lago Omodeo, per permettere lo svolgimento di esercitazioni di addestramento periodico a fuoco, da parte di alcuni reparti delle forze dell'ordine che operano in Sardegna;
   l'area oggetto dell'addestramento è dichiarata sito di interesse comunitario (Sic), tutelata ai sensi della direttiva 92/43 CEE; essa è situata nella zona centrale della Sardegna, in provincia di Oristano, è attraversata dal fiume Tirso e comprende il lago Omodeo;
   la suddetta area ricade quasi totalmente su substrati vulcanici, con morfologia prevalente di altopiano, incisa dai corsi d'acqua che hanno determinato profonde vallate, è presente una grande varietà ambientale e di paesaggio, vi sono 11 habitat d'importanza comunitaria per la tutela della biodiversità; sono presenti anche habitat tipici di piccola estensione con elevato interesse bio-geografico e grande valore conservazionistico, come gli stagni temporanei mediterranei, denominati «pauli» o «pischine» in lingua sarda, che si formano sugli altopiani basaltici;
   il lago Omodeo e gli stagni temporanei degli altopiani rappresentano zone umide molto importanti per la sosta e lo svernamento degli uccelli acquatici lungo le linee di migrazione tra l'Africa ed il continente europeo;
   a tutti è noto che le esercitazioni militari comportano pericolo per l'incolumità delle persone e degli animali;
   anche se l'ordinanza del prefetto specifica che le esercitazioni termineranno il 30 giugno, la situazione di emergenza per il pericolo per uomini e animali potrebbe proseguire anche nel futuro, a causa di proiettili inesplosi rimasti nel terreno che potrebbero esplodere successivamente;
   nei giorni scorsi i cittadini e amministratori del territorio in questione hanno presidiato il ponte di Ghilarza, nella strada tra Abbasanta e Olbia per manifestare la propria avversità alle esercitazioni militari suddette –:
   se siano state intraprese tutte le precauzioni necessarie per evitare che da queste operazioni derivino pericoli per la salute dei cittadini e per l'integrità della flora e della fauna della zona interessata;
   se il Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, possa individuare un sito più adatto all'addestramento militare in questione, evitando di coinvolgere siti di interesse comunitario, nel pieno rispetto della fauna, del paesaggio e dell'ambiente;
   se Presidente del Consiglio sia a conoscenza delle svolgimento delle esercitazioni suddette e se possa adottare provvedimenti urgenti in osservanza alla direttiva 92/43 CEE, recepita dallo Stato italiano con il decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 che dispone la tutela e la salvaguardia delle zone protette.
(4-05300)

  Risposta. — Con l'interrogazione in oggetto l'interrogante, nel richiamare l'ordinanza del prefetto di Oristano che dispone il divieto di accesso nell'area intorno al lago Omodeo per consentire lo svolgimento delle operazioni di addestramento da parte di alcuni reparti della Polizia di Stato che operano in Sardegna, evidenzia che dette attività non sono in linea con le disposizioni, anche comunitarie, a tutela di aree protette come quella in esame.
  Alla fine degli anni ’70, a seguito dell'intensificarsi degli attentati contro personalità delle istituzioni (e non solo), venne istituito, nel comune di Abbasanta, il Centro di addestramento ed istruzione professionale della Polizia di Stato (Caip) con l'obiettivo di dare agli operatori di polizia un addestramento tecnico qualificato e specialistico rispetto alla formazione di base.
  Negli anni, il centro è diventato l'unico polo formativo nazionale in materia di attività di polizia antiterrorismo e cura, in particolare, l'addestramento degli operatori preposti ai delicati servizi di protezione di persone particolarmente esposte a rischio di attentato. Inoltre il centro è il riferimento generale per tutte le attività addestrative di polizia preposte a garantire la sicurezza aeroportuale.
  La scuola di Polizia svolge anche compiti di formazione interforze nazionali ed internazionali.
  Sin dall'inizio della sua attività, il centro ha sempre avuto la disponibilità di un'area per l'addestramento al tiro nei pressi del vicino bacino lacustre del lago Omodeo.
  Il territorio del lago Omodeo è inserito nell'elenco dei siti di importanza comunitaria (S.I.C. – ITB031104 – Media Valle del Tirso e Altopiano di Abbasanta / Rio Siddu). Si tratta di un'area interna della Sardegna centrale, che interessa ben 12 comuni delle regioni geografiche del Guilcer e del Barigadu.
  Il poligono sul lago Omodeo costituisce il fulcro di tutte le attività addestrative e risulta indispensabile per la sua collocazione a breve distanza dall'istituto scolastico, soprattutto per la sua caratteristica di «poligono a cielo aperto». Questo connotato consente di svolgere gli addestramenti specifici caratterizzati da movimenti appiedati, altrimenti non effettuabili in un poligono al chiuso cosiddetto «in galleria».
  Nel 2003, a causa del progressivo innalzamento del livello del lago per le procedure di invaso della diga sul fiume Tirso (curate dal consorzio di bonifica dell'Oristanese) il poligono venne spostato (previo nulla osta degli enti competenti e dietro autorizzazione alla consegna da parte dell'Agenzia del demanio) in una diversa zona del lago ricadente nel territorio del comune di Ghilarza (frazione di Zuri).
  L'Agenzia del demanio, previa perizia balistica e relativo collaudo, assegnò il nuovo sito – di proprietà dello Stato – al Caip perché lo adibisse ad uso «poligono di tiro occasionale all'aperto». L'abilitazione riguardava esclusivamente l'utilizzo di munizionamento leggero e prevalentemente per armi corte.
  Il poligono non costituisce, pertanto, area soggetta a servitù militare, in quanto «poligono occasionale». In questo modo, la fruibilità dell'area, compreso il limitato specchio d'acqua interessato, non viene inibita alle comunità locali se non per il tempo strettamente necessario alle esercitazioni.
  Al termine di ciascuna esercitazione il sito viene completamente bonificato dai bossoli. Esso, inoltre, è oggetto periodicamente di una ulteriore bonifica da ogni residuo di pallottole, le quali vengono poi regolarmente smaltite.
  Non risulta che, nel corso degli anni, il poligono abbia prodotto trasformazioni ambientali, considerando che è costituito da un semplice riporto di terra senza strutture fisse o costruzioni di qualsiasi genere. E, inoltre, all'atto del suo ricollocamento si è provveduto anche al rimboschimento della flora, proprio al fine di non alterare l’habitat.
  Riguardo all'impatto sonoro delle esercitazioni, si rappresenta che esso è attenuato dalla struttura a fossa determinata dalla conformazione del riporto di terra.
  Si tratta, pertanto, di un semplice sito addestrativo per lo svolgimento di esercitazioni necessarie alla formazione e al mantenimento degli operatori dell'ordine e della sicurezza pubblica, gestito secondo i criteri dettati da una pubblicazione dello Stato maggiore dell'Esercito, Ispettorato delle armi di fanteria e cavalleria.
  Si precisa che, per poter utilizzare il poligono per le esercitazioni a fuoco, di volta in volta, il direttore della scuola richiede alla questura di Oristano l'adozione di un provvedimento di sgombero (di persone ed animali) e di divieto temporaneo di accesso al sito. La richiesta viene successivamente inviata alla locale prefettura.
  La prefettura, valutati i requisiti di tutela della sicurezza pubblica, adotta quindi il provvedimento con le limitazioni di orario e per i giorni richiesti dal direttore della Scuola. In ogni caso, lo sgombero e il divieto di accesso al sito dove si svolgono le esercitazioni di tiro sono limitati alle ore antimeridiane, con esclusione del mese di agosto.
  Si soggiunge, infine, che il centro di addestramento ha da tempo avviato le procedure per una eventuale riallocazione del poligono in una diversa località situata comunque a breve distanza dal centro di addestramento.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   PETRAROLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Servizio di continuità assistenziale – ex guardia medica – è parte integrante del Servizio sanitario nazionale e garantisce la continuità dell'assistenza medica al termine dell'orario di servizio dei medici di famiglia e dei pediatri;
   le modalità di erogazione del servizio, i compiti e gli orari di accesso alle strutture sono normati dall'Accordo collettivo nazionale (ACN) di categoria (atto di intesa Conferenza Stato-regioni rep. 2272 del 23 marzo 2005);
   uno dei principali compiti del medico di guardia è la visita domiciliare, un servizio che espone il professionista a diversi rischi;
   molti episodi di aggressione a giovani dottoresse si sono registrate nei vari anni, come ad esempio la storia di una giovane dottoressa che veniva uccisa a Gagliano del Capo da un tossicodipendente, generando la reazione della Federazione dei medici di famiglia (Fimmg) e del sindacato nazionale autonomo dei medici italiani (Snami) che denunciavano «l'irresponsabilità di un sistema che non tutela adeguatamente» il personale di guardia medica (27 aprile 1999 – Corriere della Sera – pagina 17);
   il 5 luglio 2003 il Corriere della Sera alla pagina 16, raccontava un'altra drammatica storia di una dottoressa uccisa a Solarussa (Oristano), paesino di 3000 abitanti. I carabinieri la ritrovano nuda nell'ambulatorio dove prestava servizio, trafitta da 20 coltellate;
   il presidente della Federazione nazionale degli ordini Giuseppe Del Barone protestava per l'insicurezza del servizio. Bersaglio delle critiche erano le aziende Usl e regione: «il servizio di guardie giurate che facevano vigilanza negli ambulatori sono state soppresse da anni, le hanno abolite per i tagli alla sanità. Abbiamo chiesto che fossero ripristinate, ma la risposta è stata silenzio e indifferenza»;
   nel 2010, dopo lo stupro a Scicli (Ragusa) avvenuto il 18 marzo dello stesso anno, il servizio di guardia medica veniva descritta come «pericolosa e anacronistica». La vittima dello stupro, una dottoressa 53enne che svolgeva il turno di lavoro notturno, durante l'aggressione riportò anche una frattura alla tibia;
   questi citati in premessa sono solo alcuni dei casi, moltissimi episodi analoghi si potrebbero ancora raccontare. Nonostante i casi di donne morte o violentate non sono ancora stati presi seri provvedimenti;
   il servizio di guardia medica continua ad essere ancora oggi un lavoro molto pericoloso. Diverse sono state le interrogazioni parlamentari su questo tema: dall'interrogazione a risposta scritta 4/12281 depositata il 20 luglio 1995 ai giorni nostri, il problema risulta ancora non risolto –:
   quali provvedimenti urgenti per quanto di competenza intenda prendere il Ministro interrogato per tutelare la sicurezza e l'incolumità del personale medico femminile durante il servizio di guardia medica notturno. (4-07834)

  Risposta. — Con l'interrogazione indicata in esame, l'interrogante, nel richiamare una serie di atti delittuosi compiuti in danno del personale medico femminile durante il servizio di guardia medica notturno, ha chiesto l'adozione di provvedimenti urgenti volti a tutelarne la sicurezza e l'incolumità.
  In proposito, si informa che le indagini svolte dai reparti dell'Arma dei carabinieri in ordine a ciascuno degli episodi citati si sono concluse con l'identificazione dei responsabili.
  Si precisa inoltre che, nella generalità dei casi, le sedi della guardia medica sono vigilate, nell'ambito dei servizi di controllo del territorio espletati dalle forze dell'ordine.
  In particolare, nella provincia di Ragusa le sedi stesse sono dotate di un sistema di allarme collegato alla centrale operativa del Comando provinciale dei carabinieri.
  Nella provincia di Oristano, invece, dal 17 luglio 2003, le sedi della guardia medica sono presidiate da un istituto di vigilanza privato a cui l'ASL ha affidato la sicurezza con apposito contratto.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   PRATAVIERA, MATTEO BRAGANTINI, CAON e MARCOLIN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il cosiddetto «Fondo Letta-Lanzillotta», è un fondo per la valorizzazione e la promozione delle aree territoriali svantaggiate confinanti con le regioni a statuto speciale istituito nel 2007 e destinato ai comuni adiacenti alle regioni a statuto speciale;
   il rifinanziamento del predetto fondo garantirebbe ai comuni beneficiari la possibilità di mantenere e garantire alcuni servizi fondamentali per i cittadini quali il trasporto scolastico, gli ambulatori, la cura delle aree boschive e altro;
   per fare un esempio, per quanto riguarda il Veneto, il fondo interessa ben 64 amministrazioni comunali confinanti con il Trentino Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia (29 comuni in provincia di Belluno, 8 comuni in provincia di Treviso, 7 comuni in provincia di Venezia, 12 comuni in provincia di Vicenza, 8 Comuni in provincia di Verona);
   a tale fondo va a sommarsi il «Fondo Odi» per lo sviluppo dei comuni di confine, meglio conosciuto come «Fondo Brancher», istituito nel 2010 e destinato ai comuni confinanti con il Trentino;
   di recente, il Comitato per i comuni di confine veneti ha dato il via libera a 35 milioni di finanziamenti dall'ex fondo Odi. La notizia giunge con un comunicato stampa da parte della regione Veneto (n. 953 del 27 luglio 2015) nel quale si legge testualmente che: «Il Comitato ha assegnato i fondi messi a bando nel biennio 2013-2014 che le due province autonome destinano ai comuni limitrofi delle due regioni confinanti nell'arco alpino, in base all'intesa Brancher di perequazione tra regioni a statuto speciale e regioni a statuto ordinario»;
   questo è solo una piccola goccia nel mare e non interessa neanche tutti i comuni di confine i quali, in generale, attraverso il rifinanziamento dei fondi sopra citati potrebbero ridurre le differenze con i confinanti che godono di un'autonomia finanziaria più ampia;
   la questione è nota da diverso tempo anche a questo Governo; il 4 giugno 2013, con un comunicato stampa è stato reso noto che una delegazione di sindaci dell'associazione dei comuni di confine aveva incontrato l'allora Ministro per gli affari regionali: «Al centro dell'incontro, la revisione delle norme sul patto di stabilità ed il rifinanziamento di due fondi per lo sviluppo di quelle aree, comprese tra regioni a statuto ordinario e regioni a Statuto speciale. Il Ministro ha riconosciuto le obiettive difficoltà dei comuni di confine e dei piccoli comuni e ha ribadito l'impegno del Governo a rivedere il patto di stabilità, come dichiarato dallo stesso Presidente del Consiglio al momento dell'insediamento. In modo da permettere anche a questi comuni, particolarmente virtuosi, di poter utilizzare le risorse già a disposizione (...). Per ciò che riguarda, invece, il rifinanziamento del fondo Letta-Lanzillotta e del fondo Odi, il Ministro ha spiegato che in un momento in cui il Paese si trova costretto a fronteggiare emergenze economiche urgenti ed indifferibili sarà difficile arricchire questi fondi, ma ha garantito che della questione informerà il Consiglio dei Ministri nel tentativo di trovare una soluzione»;
   da allora purtroppo per i comuni di confine nulla è cambiato nonostante le sollecitazioni dirette da parte dei sindaci e delle associazioni che rappresentano questi comuni –:
   quali iniziative urgenti il Governo abbia intenzione di porre in essere al fine di prevedere una deroga al patto di stabilità per i comuni di confine tale che possa permettere almeno di far fronte agli interventi indifferibili ed urgenti che queste regioni si trovano ad affrontare;
   quali iniziative abbia intenzione di porre in essere, anche attraverso l'istituzione di un tavolo permanente di cui facciano parte i rappresentanti dei comuni di confine, al fine di trovare adeguate misure finanziarie tali da permetterle di superare lo storico divario esistente.
(4-10767)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione a risposta scritta in esame, si rappresenta quanto segue.
  Il Fondo per la valorizzazione e la promozione delle aree territoriali svantaggiate confinanti con le regioni a statuto speciale – annualità 2008-2011, per un importo complessivo di euro 56.123.984,78, è stato ripartito con decreto del capo del dipartimento per gli affari regionali, il turismo e lo sport in data 14 settembre 2012, con successivo decreto del capo del dipartimento, in data 2 ottobre 2012, è stata disposta l'erogazione dei fondi ai comuni destinatari:
   per la macroarea regione Friuli Venezia Giulia, euro 23.187.025,35;
   per la macroarea regione Valle d'Aosta, euro 16.715.690,16;
   per la macroarea regione Trentino Alto Adige, euro 16.221.269,27 (solo annualità 2008-2009).

  I comuni beneficiari sono un totale di 99, così suddivisi geograficamente:
   macroarea regione Friuli Venezia Giulia: 29 comuni,
   macroarea regione Valle d'Aosta: 22 comuni
   macroarea regione Trentino Alto Adige: 48 comuni.

  I comuni della macroarea confinante con la regione Trentino Alto Adige, a partire dall'annualità 2010, ricevono finanziamenti grazie ai fondi che le province autonome di Trento e Bolzano mettono a loro disposizione (cosiddetto «Fondo ODI»), pari a 80 milioni di euro annui, per effetto delle disposizioni contenute nella legge 23 dicembre 2009, n. 91, articolo 2, commi dal 117 al 121.
  Il fondo per la valorizzazione e la promozione delle aree territoriali svantaggiate, a gestione statale, non è stato finanziato successivamente al 2011.
  Da parte di comuni beneficiari sono state avanzate richieste di esclusione dal patto di stabilità interno dei finanziamenti erogati con il fondo e, di recente, di proroga dei termini per la conclusione dei lavori stante le difficoltà a procedere per via del patto di stabilità interno.
  Le richieste che riguardavano la esclusione dal patto di stabilità interno, inoltrate dai comuni fin dal 2013, non hanno trovato possibilità di risposta.
  In merito alla proroga dei termini di realizzazione dei lavori si fa presente che ad oggi, del totale dei 99 comuni beneficiari del fondo ne risultano 23 che lamentano il mancato avvio per difficoltà a rientrare nei vincoli del patto di stabilità interno, che, complessivamente, non hanno ancora speso circa 15 milioni di euro, e che potrebbero essere soggetti alla revoca del finanziamento.
  Al riguardo, si assicura che la problematica è attentamente seguita al fine di individuare possibili soluzioni che consentano agli enti interessati di poter utilizzare le risorse loro assegnate.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriGianclaudio Bressa.


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso che il 29 settembre il Ministro interrogato e il capo della polizia Alessandro Pansa hanno partecipato alla festa organizzata a Catania in occasione della ricorrenza di, San Michele Arcangelo, finanziata con denaro pubblico;
   tali festeggiamenti non si limitavano esclusivamente alla funzione religiosa: sono proseguiti con banchetti ed eventi musicali in cui erano coinvolti oltre 90 musicisti che compongono la banda della polizia di Stato, suscitando l'indignazione degli agenti di polizia che, a fronte di tale investimento, tramite il comunicato stampa diramato dalle organizzazioni sindacali Siulp, Siap e Ugl-Polizia, evidenziano e contestano la riduzione delle spese per l'acquisto delle divise, i tagli sugli straordinari dei poliziotti, le diminuzioni delle somme destinate alla riparazione dei veicoli utilizzati per il controllo del territorio, il decremento della spesa per le pulizie effettuate presso gli uffici e l'esigenza di trovare una struttura che possa unificare gli uffici di polizia della città di Catania attualmente dislocati le cui spese annuali ammontano a circa 4 milioni di euro per sanare gli sprechi;
   alle critiche degli agenti, si sono accodati anche i commercianti, gli artigiani e gli esercenti che reclamano maggiore sicurezza visti i reati che quotidianamente denunciano e dei quali sono vittime;
   le polemiche sollevate hanno interessato anche i cittadini e i residenti del centro storico della città di Catania che, ignari dell'evento non debitamente preannunciato, hanno subito le conseguenze delle misure di sicurezza e di ordine pubblico adottate per consentire i festeggiamenti;
   sulla testata online «Il Post Viola» si apprende che circa 48 vetture in coda durante la parata abbiano, avuto funzione di scorta al Ministro interrogato, al capo della polizia Alessandro Pansa, al sindaco Enzo Bianco e alle altre personalità politiche presenti alla manifestazione, per raggiungere a fini privati il ristorante Pitti sito a ridosso di Piazza Manganelli resa parcheggio riservato al e vetture in questione, dopo aver rimosso e multato le vetture dei residenti di zona che, a quanto è dato sapere, non erano stati avvisati per tempo del divieto di sosta straordinario indetto il 29 settembre 2015;
   si ritiene che l'evento in questione sia stato caratterizzato da un inconcepibile sfarzo, reso evidente, tra l'altro, non solo dalla presenza di una moltitudine di vetture di servizio, ma addirittura anche di una Lamborghini con i colori d'istituto di proprietà dello Stato –:
   a quanto ammonti complessivamente la somma utilizzata per coprire le spese organizzative dell'evento, comprensive delle indennità di missione e delle strutture alberghiere e ricettive impiegate per ospitare le alte cariche dello Stato partecipanti;
   se non ritenga il Ministro interrogato che i costi dell'evento in questione siano oltremodo onerosi, anche considerando che poi si adducono esigenze di spending review rispetto a quelli che l'interrogante ritiene assurdi tagli effettuati al comparto sicurezza;
   se non ritenga che l'evento in questione abbia cagionato un ingiusto disagio ai cittadini che hanno subito multe e rimozioni delle vetture, perché non debitamente avvisati del disposto divieto di sosta straordinario. (4-10610)

  Risposta. — Con l'interrogazione indicata in esame si chiedono chiarimenti in merito alla manifestazione tenuta a Catania 29 settembre 2015 in occasione della ricorrenza di San Michele Arcangelo alla quale hanno preso parte il Ministro dell'interno e il Capo della Polizia.
  La Polizia di Stato, al pari di altre Forze di Polizia, ha due momenti solenni di celebrazione: la ricorrenza dell'anniversario di fondazione e quella dedicata al Santo Patrono che, nel caso specifico, ricorre il 29 settembre, giorno in cui si festeggia San Michele Arcangelo. Entrambi i momenti sono dedicati agli appartenenti all'amministrazione della Pubblica sicurezza, ai loro familiari e al ricordo dei caduti in servizio.
  Quest'anno le celebrazioni di San Michele Arcangelo si sono svolte a Catania.
  Come avvenuto negli anni passati in altre città italiane, è stata celebrata la Santa Messa nella cattedrale di Sant'Agata. Successivamente, la banda musicale della Polizia di Stato ha tenuto un concerto presso il teatro Massimo Bellini, concesso a titolo gratuito, offrendo alla cittadinanza un momento di condivisione e vicinanza con l'istituzione.
  Giova precisare che l'orchestra, al pari delle formazioni musicali delle altre Forze di polizia e Forze armate, ha tra i compiti istituzionali quello di esibirsi su tutto il territorio nazionale, anche nelle celebrazioni pubbliche più importanti, contribuendo, attraverso la musica, ad avvicinare i cittadini alla legalità.
  Poco prima dell'inizio del concerto al Teatro Bellini, nell'omonima piazza sono stati esposti due mezzi storici disponibili in sede e l'autovettura Lamborghini Huracan, mezzo ceduto dalla citata casa automobilistica alla Polizia di Stato in comodato d'uso gratuito.
  È opportuno aggiungere che, per la celebrazione, la Polizia di Stato non ha sostenuto alcuna spesa né per momenti conviviali né per l'utilizzo del teatro messo a disposizione dall'amministrazione comunale.
  Le spese di missione sostenute per i musicisti, peraltro contenute, rientrano nel capitolo di spesa appositamente dedicato alle iniziative della banda musicale e non intaccano i fondi predisposti sui capitoli destinati al comparto sicurezza.
  Relativamente agli oneri di missione, nell'ottica del contenimento della spesa pubblica, l'invito alla cerimonia è stato esteso esclusivamente alle autorità territoriali siciliane e ai poliziotti in sede, con la sola presenza delle autorità di vertice del Ministro dell'interno e del capo della Polizia.
  Si segnala, infine, che, nell'occasione, il comune ha adottato apposita ordinanza con la quale sono state temporaneamente modificate la circolazione e la sosta dei veicoli in alcune zone della città. Del provvedimento è stata data informazione alla cittadinanza con congruo anticipo.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   TAGLIALATELA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in occasione della visita a Napoli del Presidente della Repubblica dal 26 al 28 settembre 2015 si vi è stato un imponente dispiegamento di forze dell'ordine;
   nella città di Napoli si assiste ormai da anni ad un cronico sottodimensionamento di uomini e mezzi delle forze di polizia che mette a rischio la sicurezza dei cittadini –:
   a quanto siano ammontate le spese sostenute dal Governo per la sicurezza del Presidente della Repubblica, con particolare riferimento a quelle dovute alle forze dell'ordine, anche per il pagamento di straordinari e trasferte;
   se e quanti agenti delle forze dell'ordine siano stati sottratti al loro consueto impiego presso altri incarichi ed altre province della Campania. (4-10724)

  Risposta. — Con l'interrogazione indicata in esame, l'interrogante chiede chiarimenti circa le spese sostenute dal Governo per la sicurezza del Presidente della Repubblica in occasione della visita a Napoli dal 26 al 29 settembre 2015.
  Il 23 settembre, in vista della citata visita, si è tenuta a Napoli una riunione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, al fine di assicurare i servizi di vigilanza e controllo territoriale per la protezione del Capo dello Stato e delle altre autorità presenti.
  Il dispositivo di sicurezza attivato nell'occasione ha richiesto il dispiegamento in via prioritaria di aliquote dei reparti destinati ai servizi di ordine pubblico e di personale «territoriale» delle varie Forze dell'ordine della provincia.
  Il personale impiegato è stato selezionato da più articolazioni delle Forze di polizia, in modo da non incidere sulla funzionalità delle stesse e da assicurare così, nel contempo, il regolare svolgimento degli altri servizi e compiti istituzionali.
  L'orario di impiego è stato definito in modo tale da limitare il ricorso al lavoro straordinario.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   TARTAGLIONE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la signora M.U., cittadina italiana, di padre italiano, nata l'8 gennaio 1970 a Bukavu, risiede a Vico Equense (Napoli) ed è coniugata con un cittadino italiano;
   la signora M.U. ha richiesto il ricongiungimento familiare con R.U., figlia dell'istante, ed A.M., nipote dell'istante, risiedenti in Ruanda;
   nel caso della signora M.U. si applicherebbe il decreto legislativo n. 30 del 6 febbraio 2007 che, in attuazione della direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, annovera espressamente all'articolo 2, n. 3, nella nozione di familiare «i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b)»;
   nel dettaglio, agli uffici consolari sarebbe stata esibita dall'istante la seguente documentazione:
    a) certificato di matrimonio dell'istante cittadina italiana;
    b) certificato di residenza dell'istante cittadina italiana;
    c) certificati di cittadinanza e nascita dell'istante cittadina italiana;
    d) provvedimenti dell'autorità giudiziaria ruandese per comprovare, il legame di parentela intercorrente con R.U., figlia dell'istante, ed A.M., nipote dell'istante, compresa l'autorizzazione delle suddette autorità per l'espatrio del minore, sostitutivo dell'atto di assenso dell'altro genitore, in quanto nella fattispecie, il bambino non è stato riconosciuto alla nascita dal padre;
   il 15 settembre 2014 sarebbe stata trasmessa all'ambasciata italiana di Kampala, la documentazione attestante lo stato di disoccupazione di R.U. e i versamenti di denaro effettuati periodicamente dalla signora M.U. per provvedere al loro mantenimento e sostentamento, a riprova che R.U., conformemente alla normativa sopracitata, pur essendo maggiorenne, è a carico della madre in quanto non titolare di un proprio reddito e priva di occupazione lavorativa, insieme a suo figlio A.M., anch'egli da intendersi a carico dell'istante M.U.;
   a tutt'oggi non sembra esserci stato alcun riscontro da parte dell'ambasciata italiana a Kampala, la quale continuerebbe a trattenere i passaporti di R.U. e di suo figlio A.M.;
   oltre alla delicatezza degli interessi coinvolti, costituzionalmente garantiti, quali il diritto alla unità ed alla coesione familiare, l'assoluta urgenza di addivenire ad una risoluzione della vicenda sembra emergere anche dalla difficile situazione socio-politica che sembra stia caratterizzando il Paese dalla fine dello scorso anno –:
   quali siano le iniziative che il Ministero ha compiuto o sta compiendo per garantire il ricongiungimento familiare tra M.U., R.U. ed A.M.;
   quali siano i tempi entro i quali detto ricongiungimento familiare sarà garantito e, soprattutto, se corrisponda a verità il fatto che i passaporti di R.U. ed A.M. siano in possesso dell'ambasciata italiana di Kampala. (4-11322)

  Risposta. — La signor R.U. ed il figlio, nel 2013, avevano presentato due domande di visto «turistico»: la prima presso il consolato belga a Kigali (con cui l'Italia ha un accordo di rappresentanza) e la seconda presso la nostra ambasciata a Kampala. Entrambe le richieste furono oggetto di diniego, in quanto la documentazione esibita era risultata insufficiente ai sensi della normativa vigente.
  Il 18 agosto 2014, la signora R.U. ed il figlio hanno presentato una nuova richiesta di visto presso la nostra ambasciata a Kampala, invocando questa volta il ricongiungimento familiare con la signora M.U. madre di R.U., ai sensi del decreto-legge n. 30 del 2007. A sostegno della domanda di visto, hanno allegato un biglietto aereo di sola andata, i documenti anagrafici e l'assicurazione sanitaria, mentre non vi era alcun documento che dimostrasse che i due richiedenti erano a carico della signora M.U.
  Alla Signora R.U. è stato fatto presente che la domanda risultava essere inammissibile in quanto la normativa invocata, in vigore per i visti Schengen di ricongiungimento familiare in favore di figli di cittadini dell'Unione europea, può essere applicata ai soli figli di cittadini europei di età inferiore ai 21 anni, mentre l'interessata – nata l'11 marzo 1990 – al momento della richiesta risultava essere ormai ventiquattrenne.
  La sede ha altresì precisato alla signora R.U. che avrebbe potuto presentare una domanda di visto turistico per una durata massima di 90 giorni, esibendo la documentazione prevista della normativa vigente.
  La signora R.U. ha però preferito ritirare la domanda, riservandosi di presentarla nuovamente con la documentazione completa (cosa fino ad oggi non avvenuta). In tale ottica, si è fatto presente all'interessata che avrebbe potuto sottoporre la richiesta, oltre che presso la nostra ambasciata a Kampala, anche presso l'ambasciata belga a Kigali, evitando un secondo dispendioso viaggio in Uganda. Si è anche precisato che aver ottenuto precedenti dinieghi non rappresenta alcun pregiudizio e che una nuova domanda di visto sarebbe stata esaminata esclusivamente sulla base della congruità della documentazione presentata a quanto prescritto dalla normativa in vigore.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   TENTORI e TERROSI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   si riscontrano diversi casi, in particolare in alcune zone d'Italia quali le aree pedemontane lombarde, in cui si presenta l'indisponibilità dei proprietari terrieri a sottoscrivere contratti di affitto con gli agricoltori;
   nonostante ad oggi vi sia una reale convenienza nel regolarizzare i rapporti di conduzione in essere sottoscrivendo i relativi contratti, tale indisponibilità permane ed è frutto di diverse cause, tra le quali l'elevata frammentazione delle particelle fondiarie ed in particolare una consuetudine che si è tramandata per molto tempo, ma anche l'approssimativa e spesso distorta conoscenza delle norme che regolamentano i rapporti fra proprietà fondiaria ed aziende agricole;
   la circolare ALEA del 29 febbraio del 2012 (ACIU.2012.90) ha stabilito che a decorrere dal 25 novembre del 2011 non possono più essere utilizzati ai fini della costituzione del fascicolo aziendale i contratti di affitto cumulativi sottoscritti unilateralmente dal conduttore dei terreni, di conseguenza non è più possibile ottenere gli interventi comunitari per tutti quei fondi agricoli condotti con contratto agrario verbale, nonostante questo sia tuttora previsto dalle normative che disciplinano i contratti agrari quali il Codice Civile e la legge 203 del 1982;
   la regione Lombardia, disponendo di un proprio organismo pagatore e dunque di una propria autonomia per quanto riguarda le regole di gestione del fascicolo, non ha mai precluso l'utilizzo di tale tipologia di contratto anche in assenza di dichiarazioni da parte dei proprietari;
   il decreto ministeriale n. 1922 del 20 marzo 2015 all'articolo 9 comma 2 disciplina la questione dei contratti verbali per il periodo 2006/2014 e al contempo intende che sia da considerare valida per le attività in essere dal 2015 in poi;
   nonostante ciò il comma 1 del suddetto decreto secondo alcune interpretazioni sembra circoscrivere gli effetti del provvedimento ai controlli dell'operazione bonifica del 2013;
   il 1° luglio 2015 la regione Lombardia ha approvato il manuale di gestione del fascicolo aziendale, recependo le disposizioni della circolare ALEA n. ACIU.2012.90 del 29 febbraio 2012, e non sembra quindi aver recepito l'articolo 9 del decreto ministeriale n.1922 del 20 marzo 2015;
   tale epilogo ha comportato la sottrazione di migliaia di particelle fondiarie dai fascicoli aziendali degli agricoltori lombardi, in particolare nella fascia pedemontana caratterizzata da una più alta frammentazione fondiaria, e di conseguenza la perdita dei premi comunitari e dei requisiti fondamentali per la sussistenza stessa di molte aziende agricole –:
   se sia a conoscenza della situazione sopra descritta e se esistano riscontri di quanto esposto in premessa;
   quali iniziative intenda promuovere, qualora tali premesse siano confermate, a favore degli agricoltori coinvolti e se non ritenga urgente fornire un'interpretazione autentica delle norme esistenti al fine di chiarire in maniera inequivocabile la questione descritta in premessa per evitare la sottrazione di migliaia di ettari di superfici coltivate dai fascicoli delle aziende agricole, in conseguenza dell'indisponibilità dei proprietari a sottoscrivere contratti bilaterali di affitto;
   se non ritenga utile prevedere azioni di sensibilizzazione ed informazione tra proprietà fondiarie e aziende agricole per promuovere la sottoscrizione di regolari contratti di affitto, e valutare sanzioni non solo per i conduttori, che già ne sono soggetti, ma anche per i proprietari che, disponendo di terreni coltivati in assenza di regolari contratti di affitto, non siano in grado di dimostrare all'amministrazione finanziaria con quali mezzi e con quali modalità vengano coltivate tali superfici. (4-11066)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, faccio presente che il Governo è impegnato per garantire la massima trasparenza nella gestione dei fondi pubblici in agricoltura. In particolare, proprio perché il titolo di conduzione è un valido strumento per prevenire anomalie bloccanti dovute a parcelle agricole dichiarate da due beneficiari che ne rivendicano il possesso e contrastare fraudolenti utilizzi, siamo già intervenuti per rafforzare la normativa vigente e valuteremo con AGEA coordinamento eventuali modifiche dello status quo.
  Ricordo infatti che, in applicazione dei criteri di cautela e di tutela del bilancio dell'Unione stabiliti dalla Commissione europea, sono stati introdotti in questi mesi ulteriori elementi necessari e propedeutici alla dichiarazione resa dal soggetto che intende inserire nel proprio fascicolo superfici oggetto di richiesta di aiuti dell'Unione europea.
  Gli elementi aggiuntivi si sono resi necessari anche alla luce delle sostanziali modifiche apportate allo scenario normativo nazionale nell'ambito del fascicolo aziendale.
  Infatti, il decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, recante «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo», all'articolo 25, comma 2, dispone che: «i dati relativi alla azienda agricola contenuti nel fascicolo aziendale elettronico di cui all'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 1o dicembre 1999, n. 503, e all'articolo 13, del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, fanno fede nei confronti delle pubbliche amministrazioni per i rapporti che il titolare della azienda agricola instaura ed intrattiene con esse».
  Alla luce di tale disposizione, gli organismi pagatori competenti per la gestione e l'aggiornamento dei fascicoli aziendali devono mettere a disposizione delle altre pubbliche amministrazioni informazioni dotate del più elevato livello possibile di attendibilità.
  Occorre poi tener presente che il decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, consente all'Agenzia del territorio di acquisire le modifiche degli usi del suolo dichiarati dagli agricoltori nelle domande di aiuto ai fini degli aggiornamenti dei redditi dominicali.
  Ad ogni buon fine, evidenzio che, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera f), del decreto del Presidente della Repubblica n. 503 del 1999, il titolo di conduzione deve essere presente all'interno del fascicolo aziendale.
  Peraltro, la deroga a tale obbligo è prevista per le particelle di estensione inferiore a 5.000 metri quadrati nelle zone montane dall'articolo 1-bis, comma 12, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116.
  Vorrei poi chiarire che le circolari emanate dall'AGEA hanno disciplinato ulteriormente la fattispecie del contratto verbale – senza peraltro precluderla – tenendo conto della normativa europea e delle citate modifiche alla normativa nazionale, anche al fine di garantire i proprietari dei terreni da dichiarazioni di conduzione dei terreni abusive o illegittime tali da generare indebite percezioni di aiuti.
  Al riguardo, preciso che la circolare ACIU n. 90 del 29 febbraio 2012 non ha eliminato la possibilità di inserire nel fascicolo aziendale superfici condotte in affitto o comodato verbale, che risulta quindi ancora prevista.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   ZAPPULLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'Inda (Istituto nazionale dramma antico) rappresenta per la cultura e il turismo italiani uno straordinario veicolo di promozione e attrazione. Il ciclo delle rappresentazioni classiche rappresenta uno degli appuntamenti di eccellenza culturale e artistica di assoluto prestigio e interesse nazionale;
   nel mese di luglio 2015; la Guardia di finanza di Siracusa ha notificato la conclusione delle indagini preliminari e informazione di garanzia nei confronti di 16 soggetti tra funzionari dell'Inda, dell'assessorato regionale al turismo e un revisore contabile accusati a vario titolo di truffa aggrava e falso ideologico;
   si tratta di una complessa ed articolata attività d'indagine a tutela del bilancio dell'Unione europea scaturita da una segnalazione da parte dell'assessorato regionale al turismo, in relazione a contributi comunitari relativi al Programma operativo del Fondo Europeo di sviluppo regionale concessi per gli anni 2009 e 2010;
   le indagini che egregiamente la procura della Repubblica di Siracusa sta portando avanti sulla gestione dell'Inda pongono obiettivamente ombre inquietanti sulla regolarità, trasparenza e legalità e impone all'intera classe dirigente l'assunzione di precisi atti e iniziative politiche;
   permangono ancora ombre e vuoti di comunicazione e informazione sulla gestione e l'affidamento di servizi fondamentali a partire dagli investimenti sulla pubblicità. Settore questo rilevantissimo per offrire una giusta copertura informativa; pare non si conoscano ancora ufficialmente i soggetti che hanno gestito per l'Inda la vicenda, i criteri di selezione e di assegnazione né addirittura chi alla fine ha pubblicizzato il ciclo delle rappresentazioni anche di quelle recenti –:
   se sia a conoscenza delle problematiche relative alla gestione dell'INDA e se non ritenga necessario avviare un'indagine amministrativa interna al fine di approfondire e fare chiarezza su tale vicenda.
(4-10369)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame con il quale l'interrogante, premesso che l'Inda (Istituto nazionale del dramma antico) rappresenta per la cultura e il turismo italiani uno straordinario veicolo di promozione e attrazione, e che, nel mese di luglio 2015, la Guardia di finanza di Siracusa ha notificato la conclusione delle indagini preliminari e informazione di garanzia nei confronti di 16 soggetti tra funzioni dell'Inda, dell'assessorato regionale al turismo e un revisore contabile accusati a vario titolo di truffa aggravata e falso ideologico, e che tali indagini pongono ombre sulla regolarità, trasparenza e legalità della gestione e l'affidamento di servizi fondamentali, a partire dagli investimenti sulla pubblicità, chiede di sapere se il Ministero sia a conoscenza delle problematiche relative alla gestione dell'Inda e se non ritenga necessario avviare un'indagine amministrativa interna al fine di approfondire e fare chiarezza su tale vicenda.
  A tal proposito si rappresenta quanto segue.
  La Fondazione istituto nazionale del dramma antico, costituita per trasformazione dell'Istituto nazionale del dramma antico, ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo 29 gennaio 1998, n. 20, come modificato dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 33, è sottoposta alle disposizioni dettate dai citati decreti legislativi, dal codice civile, dalle norme di attuazione del medesimo, dalle leggi speciali, nonché dallo Statuto.
  La predetta fondazione, che è un'organizzazione non lucrativa di utilità sociale (decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460), ha come finalità il coordinamento dell'attività teatrale presso i teatri greco-romani, la promozione della rappresentazione del teatro classico greco e latino, la produzione e rappresentazione dei testi drammatici greci e latini, la pubblicazione dei testi classici, monografie, studi specializzati e della rivista della medesima.
  Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è titolare del potere di vigilanza sulla gestione dell'istituto e può disporre lo scioglimento del consiglio di amministrazione quando si verifichi una delle condizioni indicate nell'articolo 9 del decreto legislativo n. 20 del 1998.
  Ai sensi dell'articolo 10 dello Statuto, approvato con decreto interministeriale del 14 febbraio 2014, sono organi della fondazione, il presidente, il consiglio di amministrazione e il collegio dei revisori dei conti.
  Il presidente è il sindaco pro tempore di Siracusa e ha la rappresentanza legale della fondazione.
  Con decreto ministeriale 8 agosto 2014, è stato nominato il Consiglio di amministrazione, composto dal Presidente, signor Giancarlo Garozzo, dal consigliere delegato designato dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, dottor Walter Pagliaro e dai consiglieri, dottor Arnaldo Colasanti, designato dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, signor Antonio Presti, designato dalla regione siciliana e professor Paolo Giansiracusa, designato dalla Conferenza unificata.
  Accanto ai tre organi opera il sovrintendente, professor Gioacchino Lanza Tornasi, nominato con decreto ministeriale 29 dicembre 2014, i cui poteri sono definiti dall'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 29 gennaio 1998, n. 20, come modificato dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 33.
  Fatte queste premesse, giova rappresentare la delicata situazione in cui versa attualmente la fondazione, sia per le ben note vicende giudiziarie che per i rapporti conflittuali esistenti all'interno del consiglio di amministrazione.
  A seguito delle notizie apparse sugli organi di stampa, concernenti la conclusione delle indagini preliminari e le informazioni di garanzia nei confronti di dipendenti della predetta fondazione, la direzione generale spettacolo del Ministero, nell'ambito dell'esercizio delle sue funzioni di vigilanza, si è subito attivata per richiedere, con nota del luglio 2015, elementi conoscitivi in merito alla questione.
  Dalle notizie fornite dal presidente della Fondazione con note del luglio 2015 e dell'ottobre 2015, si è appreso di due procedimenti pendenti avanti alla procura della Repubblica presso il tribunale di Siracusa.
  Uno dei procedimenti vede coinvolti dipendenti e componenti del precedente consiglio di amministrazione dell'Inda, in concorso con funzionari della regione siciliana, assessorato al turismo, allo sport e allo spettacolo.
  L'attività investigativa svolta dalla Guardia di finanza è scaturita dalla trasmissione di una nota da parte dell'assessorato al turismo, allo sport e allo spettacolo della regione siciliana, con la quale veniva segnalato che, dall'attività di controllo eseguita dal dipartimento competente in ordine alle pratiche relative al cofinanziamento con i fondi POFESR 2007-2013 della manifestazione «Rappresentazioni Classiche 2009» organizzata dall'Inda, erano emerse delle criticità che hanno determinato l'avvio del procedimento di revoca del finanziamento concesso alla medesima Fondazione.
  I reati contestati riguardano presunti intrecci tra funzionari della fondazione dell'Istituto nazionale del dramma antico e dirigenti e funzionari della regione siciliana i quali, non facendo osservare tutte le prescrizioni richieste dal bando di partecipazione al cofinanziamento, avrebbero consentito alla Fondazione di percepire indebitamente contributi comunitari per le rappresentazioni classiche messe in scena negli anni 2009 e 2010.
  Per maggior completezza di informazione, si rende noto che il Tar di Palermo, con la sentenza emessa il 3 giugno 2015, sul ricorso promosso dall'Inda avverso il provvedimento di revoca del cofinanziamento per l'anno 2009, ha annullato il provvedimento impugnato.
  Si evidenzia, altresì, che il giudice delle indagini preliminari, riqualificati giuridicamente i fatti contestati, ha rigettato le richieste del pubblico ministero di sequestro dei beni per equivalente e di adozione di misure cautelari, non ricorrendo gravi indizi di reità.
  L'altro procedimento penale si riferisce ai presunti reati di associazione a delinquere e truffa per l'utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti. Secondo l'accusa, una società, la cui compagine è riconducibile ad una dipendente della Fondazione, non avrebbe potuto svolgere l'attività oggetto delle fatture in quanto inesistente. L'indagine investigativa ha comportato l'acquisizione di una copiosa documentazione da parte della Guardia di finanza e si è avvalsa della consulenza di periti che hanno esaminato e approfondito le spese sostenute dall'Inda negli anni dal 2005 al 2011, con particolare attenzione alle somme spese per servizi di pubblicità e all'affidamento degli stessi.
  Dopo un'attenta disamina della documentazione trasmessa dall'Inda, la direzione generale spettacolo, con una nota di ottobre 2015, nel raccomandare al presidente della fondazione la corretta e la puntuale osservanza degli obblighi previsti dalla legge 6 novembre 2012, n. 190, e successive modificazioni, nonché delle linee guida emanate dall'Autorità nazionale anticorruzione con la determinazione n. 8 del 17 giugno 2015, ha chiesto di conoscere se fossero state poste in essere tutte le azioni finalizzate a prevenire e a contrastare il fenomeno della corruzione.
  In particolare, è stato chiesto se la Fondazione avesse provveduto ad effettuare la mappatura dei processi, nel quadro dei procedimenti attuati e nel rispetto dei termini di conclusione dei procedimenti, la valutazione del rischio e l'individuazione delle misure per neutralizzarlo, nonché le azioni di monitoraggio volte alla verifica dell'efficacia dei sistemi di prevenzione adottati.
  Nel caso specifico delle dipendenti indagate, tenuto conto che fondazione ha ritenuto controproducente adottare procedimenti disciplinari, senza avere la prova certa della loro responsabilità, è stato chiesto se fosse stata data attuazione nei loro confronti alle disposizioni in materia di rotazione del personale, dettate dall'articolo 1, comma 5, lettera b), e comma 10, lettera b), della citata legge n. 190 del 2012.
  In riscontro a tali richieste, il presidente della fondazione, con una nota di novembre 2015, ha reso noto che la sentenza del Tar del 3 giugno 2015 è diventata definitiva in quanto l'assessorato della regione siciliana non ha proposto gravame.
  In ordine alle misure cautelari, con la stessa nota del 4 novembre 2015, viene comunicato che il tribunale del riesame di Catania, competente in materia, ha respinto l'appello del pubblico ministero, avverso il provvedimento del GIP del tribunale di Siracusa.
  Da notizia apparse sugli organi di stampa, si è appreso che il tribunale del riesame di Siracusa ha respinto anche l'appello avverso il rigetto della richiesta di sequestro preventivo dei beni per equivalente.
  Per quanto concerne l'attuazione delle misure di cui all'articolo 1, comma 5, lettera b), e comma 10, lettera b), della legge n. 190 del 2012, il presidente della Fondazione ha rappresentato che l'esiguità del personale a tempo indeterminato non consente la rotazione dei dipendenti, precisando che nessuno di essi ha poteri deliberativi, né poteri di rappresentanza all'esterno.
  In contrasto con tale ultima affermazione, si pone la nota in data 9 novembre 2015 con la quale il consigliere delegato e il consigliere designato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca hanno portato all'attenzione di questo Ministero la posizione di due dipendenti dell'Inda indagate che continuerebbero a tenere i gangli vitali, produttivi e amministrativi della Fondazione.
  Inoltre, secondo i due consiglieri sembrerebbe che siano stati erogati centinaia di migliaia di euro alle società di pubblicità Faan e Archimedea che fanno capo al consorte e ad altri congiunti di una delle dipendenti.
   Nel contempo, si coglie l'occasione per evidenziare che il consigliere Giansiracusa, con nota del 3 novembre 2015, nel mettere in discussione l'operato del consigliere delegato, ha chiesto di valutare la possibilità di rimuoverlo dall'incarico.
  In pari data, il sovrintendente della fondazione ha posto la questione della governance della fondazione stessa e della necessità di una delimitazione delle competenze del consiglio di amministrazione, del consigliere delegato, del sovrintendente e del presidente, suggerendo di riportare le funzioni del consigliere delegato a quelle di segretario generale o direttore amministrativo.
  Inoltre, il consigliere delegato e il consigliere designato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con la suddetta nota del 3 novembre 2015, nel contestare la condotta del presidente, hanno richiesto un intervento a livello centrale da parte del Ministero.
  Da ultimo, il presidente dell'Associazione Amici dell'Inda, con una recente nota, ha manifestato il suo disagio a partecipare ai lavori del Consiglio di amministrazione per le continue polemiche che determinano un ritardo nei lavori per la prossima stagione e gettano discredito sull'Inda.
  Si rende, altresì, noto che il Presidente della Fondazione ha segnalato, con nota del 3 agosto 2015, il mancato rispetto, nel provvedimento di nomina del consiglio di amministrazione, della norma dettata dall'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 251 del 2012.
  A quanto sopra riferito, va aggiunto che il Ministero ha appreso dalla relazione della Corte dei conti, assunta con determinazione 20 novembre 2015, n. 115, a norma degli articoli 2, 7 e 12 della legge 21 marzo 1959, n. 259, i risultati del controllo eseguito circa la gestione finanziaria della fondazione per l'esercizio 2014 e le principali criticità con riferimento alle attività di gestione intervenute nel corso del medesimo esercizio.
  Sebbene complessivamente l'Inda chiuda l'esercizio 2014 con un avanzo economico di gestione di euro 142.486,00, e il valore della produzione, si attesti intorno ad euro 5.955.775,00 segnando un incremento rispetto al precedente esercizio 2013 (il cui importo era attestato su euro 5.496.378,00), i ricavi dell'attività teatrale e, in generale, le entrate proprie, benché in aumento rispetto al passato, rimangono ancora insufficienti – riferisce la Corte – in un'ottica di autonomia e di indipendenza economica di Inda, che continua a dipendere dai contributi pubblici e a contare su un apporto da parte di soggetti privati modesto. Anche una complessiva situazione di alta rischiosità, con riferimento alla esigibilità dei crediti vantati da Inda nei confronti della regione (oggetto di contenziosi in atto), rende assai precario, ad avviso della Corte, l'equilibrio economico-finanziario della gestione.
  Per i costi, permane, nell'esercizio 2014, una strutturale rigidità di quelli correnti, mentre, per quelli della produzione artistica, si assiste ad un incremento notevole, censurato anch'esso dalla relazione della Corte che ha ribadito, altresì, la necessità di un puntuale e generalizzato ricorso alle procedure concorsuali in merito agli affidamenti.
  Con la ricostituzione degli organi ordinari di governo – conclude la relazione – si è tentato di avviare un processo di attenta programmazione e costante controllo delle attività da parte dei medesimi organi, in modo da garantire la massima efficienza nell'uso delle risorse e assicurare, per l'avvenire, avanzi di esercizio che possano assorbire le perdite pregresse.
  Alla luce di quanto sopra espresso, la direzione generale spettacolo ha ritenuto opportuno richiedere al Ministero di avviare un'indagine ispettiva volta ad accertare, con riferimento ai fatti descritti, se sussistano nella gestione dell'Inda gravi irregolarità tali da costituire i presupposti per lo scioglimento del consiglio di amministrazione o per l'adozione di eventuali altre iniziative. Conseguentemente, il segretariato generale – servizio ispettorato del Ministero sta predisponendo gli atti necessari per l'avvio di una urgente indagine ispettiva.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.