Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 3 febbraio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    l'assunzione dei vincitori e degli idonei delle procedure concorsuali indette dalla pubblica amministrazione privilegia il criterio del merito e si conforma all'articolo 97 della Costituzione: il concorso pubblico si fonda, infatti, sul merito, valutato comparativamente mediante procedure che garantiscono imparzialità ed eguaglianza nel rispetto dei valori costituzionali;
    i vincitori di concorsi pubblici «non assunti» e gli «idonei» sono persone, spesso giovani, che, pur avendo sostenuto una prova concorsuale e avendola vinta, si trovano a non poter accedere al posto per il quale hanno superato prove e sacrifici;
    l'articolo 35, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 165 del 2001 ha disposto che: «Le graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche rimangono vigenti per un termine di tre anni dalla data di pubblicazione»;
    lo scorrimento delle graduatorie concorsuali vigenti è stato negli ultimi anni tema ampiamente dibattuto soprattutto in sede giurisprudenziale: i provvedimenti legislativi tesi al contenimento della spesa pubblica hanno contribuito alla proroga, di anno in anno, della vigenza delle graduatorie, ingenerando aspettative nei vincitori e negli idonei e provocando un ampio contenzioso, che ha dato luogo ad interpretazioni varie e a sentenze dei tribunali amministrativi e del Consiglio di Stato completamente diverse e in opposizione l'una all'altra;
    la battaglia per adottare il principio dello scorrimento delle graduatorie nei concorsi pubblici, parte per i firmatari del presente atto di indirizzo da lontano: già nel 2007 era stato raggiunto un risultato molto importante con l'approvazione della mozione n. 1-00137 che impegnava il Governo ad assumere iniziative urgenti per l'assunzione dei vincitori e degli idonei;
    in seguito, in data 22 giugno 2011, sul fronte governativo, il dipartimento della funzione pubblica ha avviato, nei confronti di tutte le amministrazioni dello Stato, una rilevazione atta a conoscere lo stato e l'effettività delle graduatorie vigenti per ogni singola amministrazione, prevedendo poi, con il decreto-legge n. 216 del dicembre 2011, all'articolo 1, comma 4, che: «L'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per le assunzioni a tempo indeterminato, relative alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni, approvate successivamente al 30 settembre 2003, (fosse) prorogata fino al 31 dicembre 2012, compresa la Presidenza del Consiglio dei ministri»;
    inoltre, nel decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini», cosiddetto spending review, l'articolo 14, al comma 4-bis, ha disposto che «in relazione all'esigenza di ottimizzare l'allocazione del personale presso le amministrazioni soggette agli interventi di riduzione organizzativa previsti dall'articolo 2 del presente decreto ed al fine di consentire ai vincitori di concorso una più rapida immissione in servizio, per il triennio 2012-2014, le amministrazioni pubbliche di cui al comma 1 del predetto articolo 2, fermo restando quanto previsto dal comma 13 del medesimo articolo, che non dispongano di graduatorie in corso di validità, possono effettuare assunzioni con le modalità previste dall'articolo 3, comma 61, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, anche con riferimento ai vincitori di concorso presso altre amministrazioni. Le assunzioni di cui al presente comma sono effettuate nei limiti delle facoltà e delle procedure assunzionali vigenti e nell'ambito dei posti vacanti all'esito del processo di riorganizzazione di cui al comma 5 dell'articolo 2 del presente decreto»;
    il principio dello scorrimento delle graduatorie è stato ribadito dal decreto-legge 31 agosto 2013 n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni»;
    tale provvedimento prevede che «per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, gli enti pubblici non economici e gli enti di ricerca, l'autorizzazione all'avvio di nuove procedure concorsuali, ai sensi dell'articolo 35, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, è subordinata alla verifica: a) dell'avvenuta immissione in servizio, nella stessa amministrazione, di tutti i vincitori collocati nelle proprie graduatorie vigenti di concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato per qualsiasi qualifica, salve comprovate non temporanee necessità organizzative adeguatamente motivate; b) dell'assenza, nella stessa amministrazione, di idonei collocati nelle proprie graduatorie vigenti ed approvate a partire dal 1o gennaio 2007, relative alle professionalità necessarie anche secondo un criterio di equivalenza»;
    secondo questa previsione, pertanto, i posti che oggi si rendono fisiologicamente vacanti devono essere coperti attingendo dalla specifica graduatoria già formata per il medesimo profilo professionale;
    conseguentemente, si può affermare che allo stato attuale la decisione di scorrimento della graduatoria preesistente dovrebbe rappresentare la regola generale che deve condurre l'azione della pubblica amministrazione, mentre l'indizione del nuovo concorso costituisce l'eccezione e richiede un'apposita e approfondita motivazione, che dia conto del sacrificio imposto ai concorrenti idonei e delle preminenti esigenze di interesse pubblico, contraddicendo, peraltro, i principi di economicità ed efficienza dell'azione amministrativa;
    allo stato attuale, però, l'unica amministrazione obbligata ad attingere dalla graduatoria ancora efficace è la stessa che aveva precedentemente bandito il concorso relativamente al quale vi è ancora una graduatoria di vincitori non assunti, ma non anche le altre amministrazioni (Consiglio di Stato, sezione 3, sentenza 23 febbraio 2015, n. 909 che richiama i principi cristallizzati nella decisione dell'Adunanza plenaria n. 14 del 2011, nella quale: «Si evidenzia che tale identità tra i due concorsi non sussiste qualora il secondo concorso risulti stato bandito da un altro ente e solo successivamente è intervenuto un semplice accordo tra gli enti che prevede la facoltà di avvalersi reciprocamente delle graduatorie in corso di validità presso enti diversi per le assunzioni da compiere»);
    in tal caso, pertanto, non sussiste alcun dovere di utilizzare una graduatoria già formata per il medesimo profilo nella quale vi sono diverse persone in attesa di essere assunte;
    è il caso di ricordare, tuttavia, che, secondo l'articolo 3, comma 61, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004) –, «le amministrazioni pubbliche ivi contemplate, nel rispetto delle limitazioni e delle procedure di cui ai commi da 53 a 71, possono effettuare assunzioni anche utilizzando le graduatorie di pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni, previo accordo tra le amministrazioni interessate»: tale previsione è stata ribadita dall'articolo 4, comma 3 del decreto-legge 31 agosto 2013 n. 101, ed è applicabile anche alle regioni ed agli enti locali, in virtù dell'articolo 3, comma 5-ter, del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90;
    a tal proposito, la previsione di far transitare i dipendenti delle province presso altri settori della pubblica amministrazione dimostra come sia possibile adottare il principio della copertura dei posti con medesimi profili professionali;
    inoltre, la proroga della validità di molti concorsi, anche nel settore della scuola, ha dimostrato che il principio dello scorrimento delle graduatorie riguarda anche settori specifici: tale proroga è tuttavia perfettibile, visto che non ha equiparato la situazione dei candidati utilmente inseriti nella graduatoria di merito della scuola dell'infanzia, costituita a seguito del concorso di cui al decreto del direttore generale per il personale scolastico 24 settembre 2012, n. 82, alle situazioni dei soggetti utilmente collocati nelle graduatorie della predetta procedura concorsuale per le scuole primaria, secondaria di primo e secondo grado, le cui immissioni in ruolo sono state implementate dai posti di potenziamento di cui alla Tabella 1 allegata alla legge 13 luglio 2015, n. 107;
    esistono poi altri casi specifici come quello riguardante l'assunzione di 170 uomini e 44 donne, allievi agenti di polizia penitenziaria, che hanno vinto il concorso di cui al alla Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale «Concorsi ed Esami», n. 92 del 23 novembre 2012;
    inoltre, è ormai annosa la questione del completamento dell'organico dei vigili del fuoco e della proroga della validità delle graduatorie dei concorsi all'uopo banditi, dalle quali non si attinge, privilegiando invece l'indizione di nuovi concorsi pubblici;
    infine, con deliberazione n. 252 del 27 marzo 2015 il consiglio di amministrazione dell'ICE – Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane ha approvato, in considerazione della natura temporanea ed eccezionale degli adempimenti a cui sarà destinata, l'assunzione di personale a tempo determinato attingendo alla graduatoria dei vincitori ed idonei di concorso a tempo indeterminato per n. 107 posti in Area C, posizione economica C1, (ora posizione economica F1 Area III) dell'ex ICE-Istituto commercio estero, come pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – IV serie speciale – Concorsi ed esami del 13 agosto 2013, n. 64;
    ad oggi nessun idoneo ha un diritto soggettivo all'assunzione, ma ogni qualvolta l'amministrazione decida di assumere, deve tener conto delle graduatorie concorsuali vigenti;
    l'orientamento giurisprudenziale e le misure legislative più recenti tendono a favorire l'utilizzo dello scorrimento delle graduatorie;
    qualora si decida per nuove procedure concorsuali, si deve procedere a modalità di reclutamento diverse o per profili diversi e, in caso di selezione per il medesimo profilo, dovrà motivarsi adeguatamente il ricorso alla procedura concorsuale – definita eccezionale dal Consiglio di Stato, rispetto all'ordinario scorrimento della graduatoria;
    persino una motivazione accurata e puntuale che spieghi il mancato ricorso alla graduatoria, non pone al riparo da eventuali contenziosi e da possibili pronunce negative, considerate le recentissime pronunce favorevoli all'obbligo del ricorso alle graduatorie,

impegna il Governo:

   ad adottare le opportune iniziative normative per rendere obbligatorio per le amministrazioni pubbliche, che non dispongano di graduatorie in corso di validità, effettuare assunzioni con le modalità previste dall'articolo 3, comma 61, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, anche con riferimento ai vincitori di concorso presso altre amministrazioni;
   ad adottare specifiche iniziative normative al fine di garantire la possibilità di scorrimento delle graduatorie e, quindi, della durata delle graduatorie stesse concernenti il concorso a posti per la scuola dell'infanzia di cui al decreto direttoriale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, 24 settembre 2012, n. 82, ove le predette graduatorie non risultino esaurite;
   a garantire l'assunzione di 170 uomini e 44 donne, allievi agenti di polizia penitenziaria, di cui alla Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale «Concorsi ed Esami», n. 92 del 23 novembre 2012;
   ad adottare specifiche iniziative normative al fine di garantire la possibilità di scorrimento delle graduatorie dei concorsi per vigili del fuoco;
   ad assumere, a tempo indeterminato, i vincitori ed idonei di concorso per 107 posti in area C, posizione economica C1 (ora posizione economica F1, area III) dell'ex ICE-Istituto nazionale per il commercio estero, di cui alla graduatoria pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – IV serie speciale – «Concorsi ed Esami» del 13 agosto 2013, n. 64.
(1-01134) «Occhiuto, Sarro, Russo, Centemero, Crimi».


   La Camera,
   premesso che:
    le limitazioni introdotte nell'assunzione di personale da parte delle pubbliche amministrazioni hanno fatto emergere il problema di quanti pur avendo vinto un concorso per l'accesso al pubblico impiego, non siano stati assunti dalle suddette pubbliche amministrazioni che avevano bandito il concorso;
    si tratta di una situazione che certo non può essere accettata, dato che si è di fronte a persone che hanno avuto la capacità di vincere un concorso pubblico, bandito dall'amministrazione centrale o periferica dello Stato, e che senza motivo si vedono negare non un privilegio ma il diritto al lavoro;
    questa realtà causa danni non solo ai cittadini vincitori di concorso, ma anche alle stesse pubbliche amministrazioni che hanno bandito i concorsi e che, per ragioni indipendenti dalla loro volontà, sono costrette a rinunciare per molto tempo a professionalità importanti, spesso giovani e motivate, e capaci, una volta in servizio, di rendere più efficace la stessa azione della pubblica amministrazione;
    va ricordato che il Governo, attraverso i decreti legislativi che attuano la legge n. 124 del 2015 (cosiddetta «legge Madia»), è intervenuto per affrontare concretamente la situazione, ripensando profondamente tutta la pubblica amministrazione;
    non si tratta del solo intervento legislativo significativo: infatti, il decreto-legge n. 101 del 2013 ha previsto a decorrere dal 1o gennaio 2014 il concorso pubblico unico per reclutamento dei dirigenti e delle figure professionali comuni a tutte le pubbliche amministrazioni;
    il decreto-legge n. 101 del 2013 ha poi prorogato le graduatorie concorsuali sino al 31 dicembre 2016, per consentire il progressivo assorbimento dei vincitori di concorso non assunti;
    importante appare essere l'abrogazione della doppia autorizzazione a bandire concorso e, successivamente, ad assumere i vincitori di concorso, previsto dal decreto n. 90 del 2014;
    si tratta certamente di una decisione significativa e che semplifica, per il futuro però e non per il pregresso, la procedura di assunzione di nuovo personale, cancellando l'imposizione della doppia autorizzazione che appariva ormai priva di senso e che certo era una delle cause della situazione illustrata;
    inoltre, la legge di stabilità 2015, n. 190 del 2014, ha introdotto ulteriori misure per favorire la mobilità del personale delle province in via di abolizione, destinando anche quote di assunzioni negli enti locali che devono assorbire il personale delle province, ai vincitori di concorso pubblico collocati nelle proprie graduatorie vigenti o approvate, entro il 1o gennaio 2015;
    si tratta di interventi importanti, come importante è il chiarimento del Governo che si è impegnato a tutelare il diritto dei vincitori di concorso, tenendo conto della differenza tra questi e gli idonei, ma considerando anche la posizione di questi ultimi;
    appare, però, necessario un intervento urgente, compatibile ovviamente con le leggi attuali e con la situazione economica, per rimediare ad una situazione quale quella dei vincitori di concorso e degli idonei, non assunti dalle pubbliche amministrazioni che avevano bandito i concorsi;
    pur comprendendo l'opinione del Governo sulla differenza di posizione tra vincitori di concorso e idonei, sopra ricordato, non si può non preoccuparsi della situazione degli idonei;
    è evidente che vi è una priorità per coloro che il concorso lo hanno vinto, ma non è possibile non considerare che anche gli idonei hanno, di fatto, ottenuto il riconoscimento di titoli per l'assunzione;
    sentenze della magistratura hanno disposto che quando una pubblica amministrazione si trovi nella necessità di assumere personale, in particolare dirigenziale, i posti vacanti vadano assegnati tenendo conto in modo vincolante delle graduatorie in vigore al momento delle nuove assunzioni, e considerando prioritariamente gli idonei dei concorsi pubblici effettuati dalla pubblica amministrazione che procede all'assunzione per coprire posti vacanti;
    dati forniti dallo stesso Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, relativi al luglio 2015, informano che circa 4000 sono i vincitori di concorso nella pubblica amministrazione non assunti;
    mentre, sempre il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione calcola che, sempre al luglio 2015, quasi 150 mila sono gli idonei compresi nelle graduatorie;
    si tratta di numeri importanti che non possono essere certo considerati fisiologici o «normali», ma che richiedono interventi per un graduale assorbimento in servizio delle persone ancora escluse;
    comunque, non si può non esprimere apprezzamento per la scelta del Governo di non considerare più il principio delle dotazioni organiche, sostituendolo con quello del monitoraggio costante dei concreti fabbisogni delle varie pubbliche amministrazioni,

impegna il Governo:

   a individuare le soluzioni più adatte per risolvere con rapidità e giustizia il problema dei vincitori di concorso, proseguendo il cammino intrapreso con la legge n. 124 del 2015;
   a riconoscere, nell'ambito della normativa vigente, agli idonei la possibilità di essere assunti nelle pubbliche amministrazioni, quando se ne presenterà la necessità, senza dover passare per un nuovo concorso pubblico, che sarebbe una ripetizione inutile e costosa di quanto già fatto in precedenza;
   a valutare l'introduzione di ulteriori nuovi principi che regolino il reclutamento nelle pubbliche amministrazioni, concentrandosi sul monitoraggio delle effettive necessità e superando definitivamente il principio della pianta organica, che nel corso del tempo aveva di fatto creato «feudi» nei vari settori e rallentato in maniera intollerabile l'assunzione in servizio dei vincitori di concorso.
(1-01135) «Fauttilli, Dellai, Baradello, Capelli, Fitzgerald Nissoli, Marazziti, Sberna».


   La Camera,
   premesso che:
    nel rapporto del 2015 « Global gender gap» del World economic forum relativo alla disparità di genere negli ambiti lavoro, istruzione, salute e rappresentanza politica, l'Italia guadagna quest'anno 28 postazioni, salendo ai più alti livelli mai raggiunti finora;
    infatti, nell'indice stilato dal Forum svizzero, il nostro Paese migliora consecutivamente da tre anni passando dal 69o al 41o posto (dati riportati da uno studio condotto in 145 Paesi) per quanto riguarda la discriminazione di genere tra uomo e donna, sia per l'applicazione delle cosiddette «quote rosa» in Parlamento, sia per la presenza femminile nelle istituzioni. Ma se andiamo a cercare approfonditamente nei dati del rapporto, possiamo scoprire che le donne vivono meno e peggio: in base ai dati del rapporto le donne italiane sono al 74o posto per «salute e sopravvivenza». L'Italia, poi, ha «ancora molto da lavorare in campo economico», trovandosi alla 111a posizione a livello mondiale, tra le più basse in Europa davanti a Malta e Turchia, piazzandosi 91a riguardo alla forza lavoro e 109a per equità nei salari;
    ad alzare la posizione nella classifica del rapporto, stilato in base ai dati del 2014, contribuisce l'Esecutivo, poiché risultiamo 24esimi anche grazie alla presenza femminile tra i componenti il Governo, allora composto in modo quasi paritetico, migliorando di molto la rappresentanza equivalente di genere rispetto ai Governi precedenti;
    con l'elezione di 8 Ministri donne, il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi, volle dare un segnale simbolicamente molto forte, tanto da non ritenere necessaria l'istituzione di un Ministero per le pari opportunità, data la sua sensibilità e attenzione verso l'equilibrio di genere dimostrate con le nomine. In seguito furono nominate, solo 9 donne su 44 sottosegretari, di cui 9 viceministri e negli ultimi due anni il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale il dipartimento per gli affari regionali sono passati a due uomini;
    nel 2014, Annalisa Rosselli, professoressa ordinaria in storia dell'economia politica all'università di Roma di Tor Vergata, su richiesta della Commissione europea FEMM (Diritti della donna e uguaglianza di genere), ha redatto un'analisi approfondita dal titolo «La politica sull'uguaglianza di genere in Italia»;
    il documento offre una panoramica della legislazione e delle politiche in materia di parità di genere esistenti in Italia, concentrandosi sui loro recenti sviluppi e sui risultati raggiunti negli ultimi decenni. Si affrontano temi come l'uguaglianza di genere nel lavoro, l'esigenza di conciliare lavoro e famiglia, la presenza delle donne nelle posizioni decisionali, le recenti misure per combattere la violenza contro le donne, nonché la salute e i diritti riproduttivi. L'Italia è ancora lungi dal raggiungere risultati soddisfacenti, nonostante i progressi conseguiti sotto la pressione del movimento delle donne, della società civile e della legislazione europea;
    in base all'Indice europeo dell'uguaglianza di genere, l'Italia si classifica fra i Paesi dell'Unione europea con la minore uguaglianza di genere. La sua performance è superiore alla media dell'Unione europea in un solo settore, quello della salute, grazie alla longevità delle donne italiane. In tutti gli altri campi la situazione è lontana dall'essere soddisfacente. Le politiche per affrontare lo squilibrio di genere sono state caute e i progressi in ambito giuridico sono stati promossi principalmente da direttive provenienti dall'Unione europea o dalle pressioni esercitate dalla società civile;
    l'autrice del documento denuncia una situazione dove «l'attuale grave crisi finanziaria e le politiche di austerità minacciano alcune delle recenti conquiste delle donne in termini di reddito, di occupazione per le donne con un elevato grado d'istruzione e di infrastrutture sociali, ma nel contempo offrono la possibilità di ripensare il modello italiano di Stato sociale che poggia ampiamente sul lavoro non retribuito delle donne per fornire servizi di assistenza»;
    il documento si conclude nel modo seguente: «all'Italia manca un'adeguata infrastruttura di genere a livello centrale per promuovere, coordinare e monitorare le iniziative a favore dell'uguaglianza di genere»;
    è bene ricordare a questo punto che la storia degli organismi di parità in Italia, spesso, è stata contrastata dai Governi che nel corso degli anni si sono succeduti, considerandoli più o meno necessari, limitandone o rafforzandone le competenze in maniera schizofrenica. Nel lontano 1983, fu creato il Comitato nazionale di patria presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale. Nel 1996, sulla scia della Conferenza mondiale sulle donne di Pechino, nacque il Ministero per le pari opportunità, nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei ministri, a cui ha fatto seguito nel 1997, il Dipartimento per le pari opportunità, modificato nell'ordine, con il decreto ministeriale del 30 novembre 2000, con il decreto ministeriale del 30 settembre 2004, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o marzo 2011 e con il decreto ministeriale del 4 dicembre 2012. Poi, nel 2013, il Governo Letta coniò un nuovo e a giudizio dei presentatori del presente atto di sindacato ispettivo sconcertante Ministero per le pari opportunità, lo Sport e le Politiche giovanili alla guida di Josepha Idem e, in seguito alle sue dimissioni, il Presidente Letta relegò le pari opportunità a un dipartimento del Ministero del lavoro, dando la delega alla Sottosegretaria Cecilia Guerra;
    il 1o ottobre 2014, il Presidente Renzi ha nominato consigliera a giudizio dei presentatori del presente atto di sindacato ispettivo del Presidente del Consiglio dei ministri per le pari opportunità, la deputata Giovanna Martelli che, fin dall'esordio del suo incarico dichiarò di sentirsi particolarmente sensibile alle difficoltà delle donne a raggiungere posizioni apicali, ma soprattutto, ai temi legati ai flussi migratori e alle persone provenienti da Paesi in guerra. Le sue priorità: «garantire l'efficacia dei meccanismi di tutela in favore delle vittime di discriminazione, anche attraverso azioni di sostegno in ambito legale», considerando che «la cronaca ci mostra casi sempre più gravi di violenza verbale e fisica verso le categorie più esposte, ossia immigrati, donne, omossessuali, persone transessuali». Dimostrando così attenzione non solo ai temi relativi alle donne, ma a tante, delle prerogative della delega alle pari opportunità, di cui spesso ci si dimentica;
    la consigliera Giovanna Martelli ha lasciato il suo incarico il 25 novembre 2015, dimettendosi anche dal Gruppo del partito democratico. Da, allora il posto è vacante;
    il 28 gennaio 2016 il Consiglio dei ministri ha dato il suo via libera alle nomine di 7 nuovi sottosegretari e del Ministro agli affari regionali, Enrico Costa, cui dovrebbe essere assegnata la delega alla famiglia, e ha omesso le pari opportunità;
    da questo momento lo squilibrio di presenze di donne al Governo è nuovamente in linea con le consuetudini italiane: i Ministri sono di nuovo 16, ma solo 6 le donne, per non parlare delle viceministre e delle sottosegretarie, che, come nella prima composizione, non rispetta il 50 e 50;
    in questi ultimi due anni, esponenti della società civile, delle associazioni, politici, attivisti, giornalisti, semplici cittadine e cittadini si sono appellati al Presidente del Consiglio dei ministri di lasciare la delega alle pari opportunità e di nominare un'apposita Ministra. All'estero, nei partiti e nelle organizzazioni, in primis quelli anglosassoni, il rapporto con i cittadini viene curato con attenzione, in particolare, ora che attraverso internet e i social network le opinioni corrono veloci, e quindi i rappresentanti sono in contatto diretto e assiduo con i loro potenziali o effettivi elettori ed elettrici per conquistarne di nuovi e per preservare quelli passati. In Italia, invece, il silenzio assordante alle richieste e agli appelli, non viene interpretato come parere contrario alle richieste, ma dimostra disinteresse e sottovalutazione per le questioni che le cittadine e i cittadini pongono, creando un ulteriore allontanamento dalla politica;
    la Ministra per le pari opportunità in Italia manca dal 24 giugno 2013: è necessario prendere atto che la Ministra pari opportunità non dovrebbe essere considerata una figura accessoria, ed è inammissibile per i firmatari del presente atto di indirizzo che, ad ogni cambio di Governo, sia nominata «a discrezione», nonostante il ruolo primario che riveste per assicurare l'efficacia dell'azione del Governo nell'adempimento delle sue obbligazioni internazionali e competenze;
    a titolo informativo quindi è bene elencare le funzioni che per i firmatari del presente atto di indirizzo dovrebbero competerle:
     a) l'indirizzo, la proposta e il coordinamento delle iniziative normative e amministrative in tutte le materie attinenti alla progettazione e alla attuazione delle politiche di pari opportunità;
     b) l'acquisizione e l'organizzazione di informazioni, anche attraverso la costituzione di banche dati, nonché la promozione e il coordinamento delle attività conoscitive, di verifica, di controllo, di formazione e informazione nelle materie della parità e delle pari opportunità;
     c) l'adozione e il coordinamento delle iniziative di studio e di elaborazione progettuale inerenti le problematiche della parità e delle pari opportunità;
     d) la definizione di nuove politiche di intervento, di studio e promozione di progetti ed iniziative, nonché di coordinamento delle iniziative delle amministrazioni e degli altri enti pubblici nelle materie della parità e delle pari opportunità;
     e) l'indirizzo e il coordinamento delle amministrazioni centrali e locali competenti, al fine di assicurare la corretta attuazione delle normative e degli orientamenti governativi nelle materie della parità e delle pari opportunità;
     f) la promozione delle necessarie verifiche in materia da parte delle amministrazioni competenti, anche ai fini della richiesta, in casi di particolare rilevanza, di specifiche relazioni o del riesame di particolari provvedimenti ai sensi dell'articolo 5, comma 2, lettera c), della legge 23 agosto 1988, n. 400;
     g) l'adozione delle iniziative necessarie all'adeguamento dell'ordinamento nazionale ai principi ed alle disposizioni dell'Unione europea e per la realizzazione dei programmi comunitari nelle materie della parità e delle pari opportunità;
     h) la cura dei rapporti con le amministrazioni statali, regionali, locali, nonché con gli organismi operanti in materia di parità e di pari opportunità in Italia e all'estero, con particolare riguardo all'Unione europea, all'Organizzazione mondiale delle Nazioni Unite, al Consiglio d'Europa e all'Ocse;
     i) l'adozione delle iniziative necessarie alla rappresentanza del Governo italiano, in materia, nei rapporti internazionali e in organismi nazionali e internazionali, anche mediante la designazione di rappresentanti;
     j) l'organizzazione ed il funzionamento della segreteria della Commissione per le pari opportunità tra uomo e donna;
     l) l'acquisizione e l'organizzazione di informazioni, anche attraverso banche dati, nonché la promozione di iniziative conseguenti, in ordine alle materie della prevenzione, assistenza e tutela dei minori dallo sfruttamento e dall'abuso sessuale dei minori, oggetto della delega di funzioni al Ministro di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 febbraio 2002;
     m) lo svolgimento delle funzioni di cui all'articolo 7 del decreto legislativo 9 luglio 2003 n. 215 e all'articolo del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 dicembre 2003, recanti disciplina dell'uffici per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni di cui all'articolo 29 della legge comunitaria 1o marzo 2002, n. 39 (che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica);
    le attività del Dipartimento per le pari opportunità sono ferme, come risulta dalla homepage del suo sito, al 25 novembre 2015, vale a dire alle attività e iniziative in occasione del 25 novembre 2015 Giornata internazionale contro la violenza sulle donne e alla stessa data delle dimissioni della consigliera Giovanna Martelli;
    il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato che «il 2016 sarà l'anno dei diritti civili» la nomina quindi di una Ministra per le pari opportunità non è più prorogabile per i presentatori del presente atto di indirizzo. Su di essa gravano le emergenze relative ai diritti civili di cui l'Italia è sofferente negli ultimi anni:
     violenza fisica e psicologica sulle donne, stupri, maltrattamenti connessi a convinzioni religiose o di altro tipo, molestie sessuali e atti, persecutori, nonché violenza domestica, anche a causa delle nuove tecnologie e di internet, mediante un linguaggio misogino, minacce e ingiurie online, e che, purtroppo, come dimostrano i fatti di cronaca, sfociano in femminici;
     il gap delle donne legato alla crisi economica che continua a colpire maggiormente i loro diritti economici, sociali e culturali. La sottorappresentazione delle donne nei processi decisionali, nelle imprese e nei consigli di amministrazione, nei contesti scientifici e politici;
     l'abuso e lo sfruttamento dei minori che continua a rappresentare una piaga della nostra società;
     le manifestazioni di estremismo nazionalista, razzismo, xenofobia e intolleranza che, anziché diminuire, dopo i recenti attacchi terroristici, sono in aumento;
     discriminazioni e violenze a danno di persone lesbiche, gay, transessuali, bisessuali e intersessuali (LGBTI), rese possibili anche dalla difficoltà di adottare leggi e politiche per contrastare l'omofobia e la transfobia e di delineare strategie per eliminare gli ostacoli di natura giuridica e amministrativa sulla base dell'orientamento di genere e dell'identità di genere, come ripetutamente chiesto dal Parlamento europeo,

impegna il Governo

in seguito a quanto esposto, alle richieste e agli appelli della società civile, delle associazioni, delle cittadine e dei cittadini e per allinearsi agli altri Stati membri dell'Unione europea che ne danno per scontata la presenza e per garantire la riattivazione delle indispensabili funzioni del relativo dipartimento, e proporre la nomina in tempi brevi di una Ministra senza portafoglio, cui assegnare la delega per le pari opportunità.
(1-01136) «Andrea Maestri, Artini, Baldassarre, Bechis, Brignone, Civati, Matarrelli, Pastorino, Segoni, Turco».

Risoluzioni in Commissione:


   La II Commissione,
   premesso che:
    da anni una parte consistente delle acque interne del nostro Paese – in particolare il fiume Po nel tratto tra l'Emilia-Romagna e il Veneto – sono teatro di un vero e proprio fenomeno criminale: il «bracconaggio ittico» ovvero la pesca, il traffico ed il commercio clandestino di pesce;
   la pesca viene praticata da soggetti privi di licenza, che fanno uso di attrezzi illegali, prelevano tutte le specie, pescano in zone vietate sottoposte a vincoli ambientali, non rispettano i periodi di sospensione della pesca, commerciano il pesce senza preventivi controlli igienico-sanitari e lo trasportano all'estero illegalmente;
   il danno all'ecosistema conseguente alla pesca di frodo è evidentemente enorme: si depredano le acque pubbliche – negli anni si è perduto quasi l'80 per cento del patrimonio ittico – distruggendo gli stock ittici con prelievi indiscriminati e lesivi delle specie autoctone e alloctone che trovano il loro habitat naturale nelle zone umide del nostro paese;
   utilizzando metodi di pesca illegali e invasivi come le reti, la corrente elettrica, il bisolfito di sodio e altri tipi di trappole non selettive, i bracconieri danneggiano anche irreversibilmente il letto dei fiumi e dei laghi e uccidono i microrganismi alla base della catena alimentare;
   al danno ambientale si sommano il rischio sanitario connesso alla commercializzazione di prodotti non controllati, l'evasione fiscale e i problemi di ordine pubblico;
   è un sodalizio di organizzazioni dell'Est europeo, in particolare Romania e Ungheria, a gestire questo florido mercato clandestino basato sulla cattura e la commercializzazione di pesce non sempre idoneo all'alimentazione umana; merce che, dopo essere stata lavorata sul posto, viene proposta sui mercati italiani ed esteri come «pesce d'allevamento». L'efficienza dei sistema criminale prevede l'organizzazione di campi clandestini dislocati vicino alle zone di pesca e di gruppi di vedette che danno l'allarme quando si avvicinano le forze dell'ordine e la complicità di imprenditori senza scrupoli che coprono le azioni illecite tramite lo schermo delle loro aziende;
   si tratta di un fenomeno in crescita che rappresenta un pezzo di economia sommersa del valore di decine di milioni di euro l'anno; le bande di bracconieri sono una realtà molto potente e pervasiva, controllano il territorio e minacciano pesantemente, anche con le armi, i pescatori regolari;
   nonostante le segnalazioni e le denunce che ormai da anni arrivano da parte soprattutto delle organizzazioni di categoria, la situazione si sta aggravando: non manca il costante impegno della pubblica amministrazione e delle forze dell'ordine nella lotta alla pesca di frodo, ma si rende necessaria un'azione decisa per bloccare i bracconieri, contro i quali le attuali sanzioni risultano inefficaci;
   il 90 per cento delle multe non vengono pagate, dato che i pescatori di frodo presentano documenti falsi; occorre quindi un intervento normativo che offra strumenti giuridici più adeguati prevedendo ad esempio il sequestro definitivo delle attrezzature, dei veicoli e delle imbarcazioni dei bracconieri,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per un inasprimento delle norme relative alla prevenzione e repressione degli illeciti a danno della fauna ittica nelle acque interne, che preveda sanzioni non solo economiche ma anche la possibilità di sequestro dei beni e che superi l'attuale assenza di limiti precisi per la quantità e le specie pescate, al fine di bloccare i flussi di bracconaggio ittico collegati all'attività di pesca professionale.
(7-00904) «Iori, Carra, Oliverio, Venittelli, Luciano Agostini, Crivellari, Bratti, Pagani, Paola Boldrini, Romanini, Marchi, Incerti, Gandolfi, Patrizia Maestri».


   L'XI Commissione,
   premesso che:
    con l'introduzione del «lavoro accessorio» nel nostro ordinamento si intendeva perseguire l'obiettivo di regolamentare, nell'ottica di una maggiore tutela del lavoratore, quelle attività lavorative che si collocano al di fuori della legalità. Si tratta infatti di prestazioni non riconducibili alle tipologie contrattuali tipiche del lavoro subordinato o del lavoro autonomo, ma aventi la finalità di assicurare le tutele minime previdenziali e assicurative, attraverso una forma di retribuzione costituita dai cosiddetti voucher (o buoni lavoro) e che garantiscono anche una copertura contributiva presso l'Inps e l'Inail;
    tale fattispecie lavorativa è stata introdotta nel nostro ordinamento da uno dei decreti legislativi attuativi della legge Biagi, decreto legislativo n. 273 del 2003), che definisce e disciplina le «prestazioni occasionali di tipo accessorio» con lo scopo dichiarato di regolamentare tutte le attività lavorative «occasionali». Il decreto legislativo ha previsto che tali prestazioni siano retribuite dal committente attraverso buoni lavoro (voucher), il cui valore nominale è stato fissato, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, in 10 euro non riferito a nessun limite orario;
    l'ambiguità derivante dalla non chiara definizione di «occasionalità» ed «accessorietà» era stata in un secondo momento limitata, circoscrivendo la nuova disciplina ad una serie di attività tassativamente elencate (ad esempio i lavori di giardinaggio, di pulizia, di manutenzione di edifici, di manifestazioni sportive e altro), nonché limitando l'istituto ad alcune categorie di lavoratori (giovani con meno di 25 anni regolarmente iscritti ad un ciclo di studi, limitatamente ai periodi estivi e festivi e altro);
    la riforma «Fornero» del mercato del lavoro (legge n. 92 del 2012) ha apportato una radicale trasformazione della originaria disciplina del «lavoro accessorio», le cui conseguenze, non del tutto previste dal legislatore, rischiano di stravolgere il mercato del lavoro, soprattutto quello a carattere stagionale. Infatti, la stessa legge, pur ribadendo «la natura meramente occasionale» dei rapporti di lavoro «accessorio», ha radicalmente ridefinito i limiti di applicazione dell'istituto, eliminando l'elenco delle attività previste dalla disciplina previgente e stabilendo che si definisce «lavoro accessorio» quello per il quale il prestatore di lavoro, nel corso dell'anno solare, non percepisca più di euro 5.000,00 netti complessivi e non più di euro 2.000,00 netti quando il committente sia imprenditore o professionista. Pertanto, tale tipo di rapporto di lavoro è ora definito dai soli limiti economici dei compensi a prescindere dalla tipologia della attività svolta. Esso può essere svolto per ogni tipo di attività (lavoro autonomo o subordinato, full time o part-time) e da qualsiasi soggetto (disoccupato, inoccupato, pensionato, studente, percettore di prestazioni a sostegno del reddito);
    con la legge cosiddetta Jobs Act, è stata estesa la possibilità di fare ricorso a prestazioni di lavoro accessorio per le attività lavorative discontinue e occasionali nei diversi settori produttivi, fatta salva la piena tracciabilità dei buoni lavoro acquistati, con contestuale rideterminazione contributiva. Nella seduta del 25 novembre 2014, il Governo aveva accolto l'ordine del giorno Palazzotto e altri (ordine del giorno 9/02660-A/024), con il quale lo si impegnava a creare un argine all'incremento del ricorso improprio alle prestazioni di lavoro accessorio;
    tuttavia, il Governo, a parere dell'interrogante, non ha tenuto conto dell'ordine del giorno in occasione dell'emanazione del decreto legislativo di attuazione della delega legislativa. Infatti, il decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, recante «Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell'articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183», ha innalzato a 7.000 euro netti, rivalutabili annualmente, il limite massimo del compenso che il prestatore può percepire dalla totalità dei committenti nel corso dell'anno civile e ha confermato il tetto di 2.000 euro per le prestazioni rese nei confronti di committenti imprenditori e professionisti, oltre a quello di 3.000 euro per i percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito (articolo 48, comma 1);
    la disciplina dell'istituto, così come si è sviluppata nella successione delle leggi descritte, appare all'interrogante subito di difficile armonizzazione con l'insieme del diritto del lavoro vigente nel nostro ordinamento. La nuova disciplina del lavoro accessorio, estesa a qualsiasi tipologia di prestazione, abbandonato il requisito dell'occasionalità – che sembrava limitarla alle sole prestazioni lavorative non continuative, marginali, prevalentemente «autonome» o perlomeno border line – e stabilendo un criterio distintivo esclusivamente economico, prescinde del tutto dalla qualificazione del rapporto di lavoro, in quanto consente di disciplinare allo stesso modo sia rapporti di lavoro, di fatto, subordinati che rapporti di lavoro senza il requisito della subordinazione;
    la disciplina in esame deroga inoltre all'obbligo del versamento dei contributi Inps secondo le aliquote proprie dei vari fondi previdenziali ed assicurativi per i lavoratori dipendenti, che risultano ben più alte di quella unica (13 per cento) prevista per il lavoro accessorio a favore della gestione separata. In tal modo, il lavoratore perde implicitamente il diritto di beneficiare del trattamento previdenziale previsto per il fondo al quale sarebbe stato iscritto in base ad un corretto inquadramento della sua attività lavorativa. Inoltre, il lavoro accessorio non dà diritto alle prestazioni per malattia, maternità, disoccupazione ed assegni familiari;
    considerata la maggiora convenienza e facilità per i datori di lavoro di ricorrere al lavoro accessorio, complice la crisi economica, tale tipologia contrattuale viene sempre più usata per «mascherare» o trasformare «legalmente» rapporti di lavoro subordinato, soprattutto quelli a tempo determinato e stagionali, in rapporti di lavoro accessori e dunque ancor più precari. Esattamente l'opposto di quello che l'introduzione del rapporto di lavoro accessorio intendeva realizzare, consentendo la regolarizzazione di autentici rapporti di lavoro «occasionali», che sarebbero altrimenti rimasti nella illegalità;
    la banca dati dell'Osservatorio sul lavoro occasionale accessorio pubblicata dall'Inps sul suo sito, mostra che la vendita dei voucher in Italia è aumentata in maniera esponenziale dal 2008, quando i voucher venduti furono 535.985, al 2012, quando i voucher furono 23.813.978, al 2014, quando i voucher sono passati a 69.186.250;
    i dati pubblicati, relativi al 2015, riportano che sono stati venduti nel solo primo semestre 49.952.229. Ma i dati dell'Osservatorio sul precariato dell'Inps hanno anticipato che, nei primi undici mesi del 2015, sono stati venduti ben 102,4 milioni di buoni, il 67,5 per cento in più rispetto al corrispondente periodo del 2014, con punte del 97,4 per cento in Sicilia, dell'85,6 per cento in Liguria e dell'83,1 per cento e 83 per cento, rispettivamente, in Abruzzo e in Puglia;
    con riguardo ai vari settori professionali, uno degli incrementi più significativi dell'utilizzo dei voucher si è avuto nel settore del turismo nel quale il ricorso ai voucher è passato da 1.836.887 del 2012 (7,7 per cento del totale) a 11.396.525 del 2014 (16,5 per cento), fino ai 7.471.377 del primo semestre 2015 (15 per cento). Contestualmente, nel medesimo settore sono diminuiti gli occupati con contratti di tipo subordinato;
    la preoccupazione per il ricorso abusivo al lavoro accessorio in agricoltura è stato espresso nel testo unificato delle risoluzioni in materia di interventi per la prevenzione e il contrasto del lavoro irregolare e del caporalato in agricoltura (risoluzione conclusiva n. 8-00158), approvato dalle Commissioni riunite XI e XIII della Camera il 2 dicembre 2015. La risoluzione ha preso atto della volontà espressa congiuntamente dai Ministri delle politiche agricole, alimentari e forestali e della giustizia di varare uno specifico atto legislativo finalizzato, tra gli altri, ad assicurare interventi per evitare un uso distorto dei voucher e ha impegnato il Governo a intensificare l'attività di vigilanza e di controllo finalizzata al corretto utilizzo dei voucher per prestazioni di lavoro accessorio in agricoltura e a prendere in considerazione l'opportunità di rendere obbligatoria la procedura sperimentale FastPOA;
    la crescita inarrestabile del lavoro accessorio – più conveniente e senza tutele per i lavoratori – ha fatto ridurre il ricorso ad altre tipologie contrattuali in molti settori economici, con il paradosso i settori per i quali il lavoro accessorio era stato inizialmente pensato, al fine di favorire l'emersione del «lavoro nero» (agricoltura, lavoro domestico, piccole manutenzioni e altro), oggi risultano residuali rispetto a quelli in cui è maggiormente diffuso (commercio, servizi e turismo);
    il lavoro accessorio non prefigura un contratto di lavoro, ma uno scambio di prestazioni ai minimi termini, senza ferie, malattia, trattamento di fine rapporto, indennità di disoccupazione. Non serve ad accrescere la competitività delle aziende, ma semmai la loro redditività. Non è un investimento sulle persone, ma un risparmio immediato per le aziende, che si traduce anche in un abbassamento della qualità del lavoro che, nel tempo, porterà ad una perdita di competitività nei settori professionali nei quali vi si ricorre in maniera abusiva;
    i voucher si prestano ad una colossale evasione contributiva, in quanto, a fronte di un mese di lavoro, vengono erogati pochi voucher e tutto il resto viene retribuito in nero – come alcune testimonianze confermano;
    gli stessi numeri dimostrano che i voucher venduti non valgono neanche in minima parte a compensare il contratto a tempo determinato che sono andati perduti. In buona sostanza, quello che si verifica è che i voucher vengono utilizzati come una sorta di «parafulmine» in previsione di sempre possibili visite ispettive di Inps o dell'Ispettorato del Lavoro;
    nel maggio 2015, il presidente dell'Inps Tito Boeri ha definito il lavoro accessorio e i voucher «la nuova frontiera del precariato», aggiungendo che «il loro incremento può significare problemi futuri ed è bene guardare questo fenomeno con grande attenzione»;
    la Sottosegretaria Bellanova, rispondendo all'interrogazione a risposta in commissione n. 5-07007, il 13 gennaio 2016, ha ricordato che il citato decreto attuativo del Jobs Act decreto legislativo n. 81 del 2015 (all'articolo 50), prevede «un coordinamento informativo da realizzarsi tramite apposita convenzione stipulata dall'INPS e l'INAIL con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, proprio al fine di verificare, mediante apposita banca dati informativa, l'andamento delle prestazioni di carattere previdenziale e delle relative entrate contributive, conseguenti allo sviluppo delle attività di lavoro accessorio anche al fine di formulare proposte per adeguamenti normativi delle disposizioni vigenti»;
    la sottosegretaria ha poi aggiunto che «che sono state avviate le attività necessarie per la stipula della convenzione anche al fine di acquisire, in collaborazione con l'INPS, dati dettagliati sul tipo di prestazione e sul numero dei lavoratori impiegati con i voucher». Ha quindi concluso che «all'esito delle verifiche, verrà intrapresa ogni iniziativa volta a sanzionare nonché a reprimere l'uso improprio di tale strumento»;
    il problema che la Sottosegretaria del partito democratico e il Governo trascurano è che il tempo per realizzare la convenzione, procedere alle verifiche, analizzare i dati e adottare provvedimenti conseguenti, secondo il costume italico, saranno talmente lunghi da rischiare di risultare inefficaci, posto che i dati esposti mostrano senza dubbio che il ricorso abnorme e abusivo al lavoro accessorio e ai voucher, in danno al mercato e ai lavoratori, è già una realtà consolidata e in continua espansione. È un segno che le attività di monitoraggio e verifica sull'utilizzo dei voucher, nelle quali – secondo la Sottosegretaria – il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sarebbe massimamente impegnato, sono, a giudizio dell'interrogante, di poco o nullo impatto,

impegna il Governo:

   ad assumere le iniziative normative necessarie per contrastare l'ulteriore diffusione di questo strumento il cui ambito di applicazione dovrebbe tornare ad essere circoscritto a limitati settori caratterizzati da una effettiva occasionalità delle prestazioni e per predispone meccanismi (analoghi a quelli già introdotti nel 2012 per il lavoro a chiamata) atti ad impedire l'utilizzo dello strumento con finalità elusive dal punto di vista assicurativo e contributivo, nonché come strumento di concorrenza sleale fra le imprese e di diminuzione;
   a istituire da subito tavoli di monitoraggio a livello regionale, con il coinvolgimento delle parti sociali, al fine di contrastare il ricorso abusivo al lavoro accessorio.
(7-00903) «Airaudo, Ricciatti, Placido, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Quaranta, Sannicandro, Scotto, Zaratti, Zaccagnini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
   la Soprintendenza agli scavi e ai musei archeologici della Puglia venne istituita nella città di Taranto nel 1907, individuando tale presidio come strumento di tutela dell'inestimabile patrimonio archeologico, architettonico, paesaggistico e ambientale di Taranto e della sua provincia;
   tale decisione derivò dalla valutazione della assoluta predominanza in termini di presenza sul territorio ionico di un patrimonio storico, archeologico, di portata straordinaria rispetto a qualunque altra area regionale;
   tali ragioni non solo restano invariate ma assumono una valenza ancora più significativa nel momento in cui si prevede, a fortiori, di valorizzare le potenzialità del territorio ionico in termini di sviluppo turistico-storico-culturale;
   recenti provvedimenti legislativi, adottati in presenza della nota crisi economica-occupazionale, principalmente correlata alle vicende che interessano lo stabilimento Ilva, ma non solo, individuano nel settore turistico-storico-culturale un percorso di possibile sviluppo alternativo e/o associato all'esistente, si veda tra tutti la legge 4 marzo 2015 nr. 20;
   la presenza a Taranto della sede della Soprintendenza con competenza sui diversi settori della tutela (archeologia, beni architettonici, beni artistici e storici, paesaggio) è fondamentale in un momento in cui si avviano importanti interventi di riqualificazione urbana come previsto dalla citata legge 4 marzo 2015 n. 20;
   rispetto a tale orientamento la Sopraintendenza ricopre un ruolo essenziale ed insostituibile, laddove mantenga a Taranto una propria specifica autonomia;
   la riorganizzazione in atto, motivata essenzialmente da questioni di spesa (spending review), prevede il declassamento di fatto della sede di Taranto della Sopraintendenza che assume ruolo di dipendenza organizzativa e funzionale da altra sede regionale;
   il territorio ionico, per la sua antica storia, tradizione, patrimonio archeologico, assume particolare rilevanza, anche alla luce di un auspicato sviluppo e valorizzazione delle sue potenzialità in ambito turistico culturale;
   la popolazione ionica ha manifestato con forza la propria opinione in merito al provvedimento, attraverso iniziative spontanee e con la sottoscrizione di un manifesto per la sopraintendenza tarantina al quale hanno aderito circa 150 associazioni, movimenti, singoli cittadini;
   in attività di riorganizzazione di altri settori, sempre finalizzata alla riduzione dei costi, anche in Puglia, si è preso atto della presenza di situazioni specifiche, derogando quindi dai principi generali e incontrando le istanze provenienti dagli operatori del settore e dalle istituzioni locali, come nel caso dell'istituzione della doppia autorità portuale –:
   fatti salvi gli obiettivi di riduzione della spesa, se si intendano assumere iniziative per integrare il provvedimento di riorganizzazione, assicurando la piena autonomia organizzativa e funzionale della sede di Taranto della Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio, e la contestuale assegnazione dell'attuale sede (Chiostro di San Domenico in Taranto) alla istituenda Sopraintendenza di Taranto e/o al Museo Marta.
(2-01259) «Chiarelli».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VII Commissione:


   GIANCARLO GIORDANO e PANNARALE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi giorni la stampa ha resi noti i primi risvolti della bufera abbattutasi sul calcio italiano nel maggio del 2015 e della requisitoria avanzata, nell'ambito del secondo filone del processo federale scaturito dall'inchiesta «Dirty soccer» della Procura di Catanzaro legato alla presunta esistenza di un'organizzazione delinquenziale specializzata in scommesse illecite su partite di calcio dei campionati di Serie B, LegaPro e Campionato nazionale dilettanti, dalla Procura della Federcalcio;
   dalla suddetta inchiesta, che ha preso avvio grazie ad una vasta operazione della Polizia di Stato che all'alba di martedì 19 maggio 2015 ha eseguito gli ordini emessi dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia presso la procura di Catanzaro, è emersa una fitta rete di giocatori, manager, allenatori, dirigenti ed imprenditori delle società calcistiche della serie «D» dilettantistica, della Lega Pro (ex serie «C») e di serie «B» che truccava le partite del campionato italiano, e sui quali pende l'accusa di associazione per delinquere finalizzata alla frode calcistica e con l'aggravante di aver favorito le organizzazioni mafiose;
   il questore di Catanzaro dottor Giuseppe Racca, città da dove è partita la ragnatela delinquenziale, ha reso noto che la scoperta di una stabile organizzazione criminale dedita al calcio scommesse dimostra che l'attività delinquenziale legata al settore è sempre attiva e fiorente non solo in Italia dove abbiamo scoperto una stabile organizzazione criminale che grazie a calciatori, dirigenti e tesserati e non, ha messo in atto condotte finalizzate ad alterare i risultati di varie partite;
   nell'ambito della stessa inchiesta, oltre ai suddetti protagonisti sportivi, sono stati arrestati anche dieci scommettitori di nazionalità straniera, come maltesi, kazaki, russi, cinesi e serbi, a dimostrazione di come il fenomeno delle scommesse sportive illecite abbia assunto una veste internazionale e la ramificazione della criminalità organizzata abbia raggiunto non solo i settori malavitosi tradizionali ma anche quelli dello sport dilettantistico;
   questi «finanziatori» stranieri irrorano le casse delle organizzazioni delinquenziali fornendo denaro ai criminali italiani che a loro volta lo usano in primis per «corrompere» i calciatori in modo da ottenere partite combinate su cui scommettere e realizzare ingenti guadagni, ricorrendo, non poche volte, alle minacce, ivi compresa quella, estrema, del sequestro di persona, qualora non si fosse rispettata l'indicazione del gruppo organizzato;
   la Federcalcio (FIGC), parte lesa nel relativo processo, a mezzo del suo Presidente Carlo Tavecchio ha dichiarato che: «Quando le scommesse sono state allargate alla serie «D» io dissi, pur non essendo consultato, che era un gravissimo errore e oggi i risultati li vedono tutti... cinque-sei anni fa la scommessa era un reato. Il giorno in cui si è entrati nell'ottica che la scommessa non è reato porta a far sì che ognuno si debba prendere le proprie responsabilità» palesando una evidente posizione di contrarietà a chi ha invece insistito perché il mondo rischioso del calcio scommesse invadesse anche il delicato settore del calcio dilettantistico;
   quattro anni or sono, nonostante il mondo del calcio professionistico fosse ciclicamente investito da scandali, il Governo italiano, attraverso il Ministero competente, ha deciso, nonostante il parere contrario della Federazione italiana gioco calcio, di estendere la pratica del gioco delle scommesse al settore dilettantistico, determinando il coinvolgimento di un mondo già di per sé esposto agli interessi delle organizzazioni criminali nazionali e internazionali;
   infatti, il settore non professionistico della serie «D» e di quelle minori è un ambito non interessato dai grandi flussi finanziari che investono le categorie superiori, dove le società sportive calcistiche operano tra forti difficoltà economiche e gestionali riservando ai calciatori ingaggi incerti e modesti che non offrono alcuna sicurezza di stabilità reddituale;
   per queste ragioni le organizzazioni criminali italiane hanno posto la loro attenzione su questo settore del calcio esposto a forti condizionamenti realizzando un sistema di collaborazione con le mafie internazionali, in particolare dell'Est europeo e asiatico, dove il sistema delle scommesse « on line» è totalmente fuori controllo e può, di conseguenza, canalizzare gli eventi calcistici che si possono più agevolmente manipolare, trasformando l'incontro di calcio di una serie minore in un evento catalizzatore di scommesse dall'incomparabile budget finanziario;
   da quando si è diffuso questo fenomeno di scommesse illegali, il calcio dilettantistico ha praticamente smesso di svolgere la sua meritoria funzione di leva, trasformandosi di fatto in uno strumento di capitalizzazione dell'economia mafiosa internazionale e penalizzando fortemente la diffusione di una sana cultura e pratica sportiva, al punto che obiettivo dei presidenti non è più tanto quello di investire sul conseguimento di traguardi agonistici, quanto quello di strutturare un «capitale» funzionale a dinamiche di pura imprenditoria finanziaria;
   i bassi budget di partecipazione ai rispettivi campionati rendono le società sportive «minori» oggettivamente più esposte al ricatto ed ai condizionamenti della criminalità organizzata detentrice di ingenti risorse finanziarie –:
   se non ritenga urgente ed ineludibile, alla luce di quanto premesso, di promuovere, di concerto con le autorità sportive competenti, gli stati generali del calcio dilettantistico italiano, al fine di avviare una profonda riforma del settore, ivi compreso quello delle categorie giovanili e «primavera», che lo riconduca alla sua meritoria missione originaria. (5-07657)


   VEZZALI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   è accertato come lo sport sia uno straordinario veicolo di socializzazione, un eccellente mezzo di trasmissione di valori ed, inoltre, come attestato dall'Organizzazione mondiale della sanità, se praticato con metodo, fin dalla giovane età e sotto la guida di personale qualificato e adeguatamente formato, sia in grado di contribuire ad una vita sana e a scongiurare patologie gravi nell'età adulta;
   inoltre, se ad esso si associa una corretta alimentazione, lo sport diventa anche un utile strumento contro l'obesità (anche infantile);
   con l'introduzione dello jus soli sportivo, che consente ai giovanissimi stranieri di essere tesserati nelle società sportive italiane, lo sport diventa anche un veicolo per la reale integrazione sociale;
   negli ultimi anni, l'Italia sta compiendo numerosi passi avanti nel processo di sostegno, sviluppo ed incentivo alla pratica sportiva;
   ciò che manca ancora al nostro ordinamento è, però, la possibilità di praticare sport a livello agonistico e, al contempo, non subire la discriminazione nei percorsi scolastici e di formazione culturale;
   migliaia di giovani talenti, oggi, sono costretti a scegliere tra l'attività agonistica ad alto livello ed un percorso di crescita didattica e culturale. In alcuni casi, le assenze dovute a sessioni di allenamenti, ritiri, partecipazione a tornei ed a competizione varie, sono viste come vulnus insuperabili ed addirittura causa di bocciature ed interruzioni di carriere scolastiche;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ed il Coni, hanno avviato delle iniziative, in via sperimentale, utili a garantire agli atleti il diritto allo studio. Tra queste iniziative vi è quella dell'apprendimento a distanza;
   apprezzando le iniziative sperimentali poste in essere dal Governo e dal CONI, si ritiene necessario avviare una seria riflessione ed un'azione parlamentare decisa, al fine di giungere ad una soluzione strutturale che preveda un quadro legislativo chiaro in materia, permettendo così di superare una palese discriminazione, sgravare le famiglie dei costi di una formazione privata, la sola che permette a chi pratica sport agonistico, di non perdere anni scolastici, ma anche di preservare i talenti per il futuro dello sport azzurro –:
   se non ritenga necessario sollecitare, anche nell'esercizio del suo potere l'indirizzo ai sensi dell'articolo 95 della costituzione, l'adozione di misure volte a tutelare i percorsi scolastici e formativi a garantire il diritto allo studio, non solo di quegli atleti tutt'ora inseriti in specifici istituti, accademie, collegi o licei sportivi, ma anche di coloro i quali, segnalati dalle singole Federazioni sportive nazionali, su tutto il territorio nazionale, si trovano dinanzi al bivio di scelta tra carriera agonistica ad alto livello ed il percorso di accrescimento culturale. (5-07658)


   COSCIA, COCCIA, GHIZZONI, MALPEZZI, ASCANI, D'OTTAVIO, PES, MANZI, RAMPI, NARDUOLO, ROCCHI, SGAMBATO, VENTRICELLI, DALLAI, CRIMÌ, MALISANI, BLAZINA e BOSSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   ai fini del potenziamento dell'attività sportiva agonistica nazionale e, soprattutto, dello sviluppo della relativa cultura in aree svantaggiate e zone periferiche urbane, con l'obiettivo di rimuovere gli squilibri economico-sociali e incrementare la sicurezza urbana, l'articolo 15 del decreto-legge 25 novembre 2015, n. 185, ha previsto l'istituzione sullo stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, per il successivo trasferimento al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Fondo «Sport e Periferie», a sua volta da trasferire al Comitato olimpico nazionale italiano (CONI);
   per questo è stata autorizzata la spesa complessiva di 100 milioni di euro nel triennio 2015-2017, di cui 20 milioni nel 2015, 50 milioni di euro nel 2016 e 30 milioni di euro nel 2017;
   il fondo è finalizzato ai seguenti interventi: a) ricognizione degli impianti sportivi esistenti sul territorio nazionale; b) realizzazione e rigenerazione di impianti sportivi con destinazione all'attività agonistica nazionale, localizzati nelle aree svantaggiate del Paese e nelle periferie urbane e diffusione di attrezzature sportive nelle stesse aree con l'obiettivo di rimuovere gli squilibri economici e sociali ivi esistenti; c) completamento e adeguamento di impianti sportivi esistenti, con destinazione all'attività agonistica nazionale e internazionale; d) attività e interventi finalizzati alla presentazione e alla promozione della candidatura di Roma come sede dei Giochi olimpici del 2024;
   la norma individua come finalità il potenziamento dell'attività sportiva non solo agonistica come strumento di integrazione e inclusione sociale, lo sviluppo della relativa cultura, la rimozione degli squilibri economico-sociali, l'incremento della sicurezza;
   per la realizzazione degli interventi di cui all'articolo 15, comma 2, del decreto-legge n. 185 del 2015 il Coni avrebbe dovuto presentare, alla Presidenza del Consiglio dei ministri per l'approvazione, entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, un piano riguardante i primi interventi urgenti e, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il piano pluriennale degli interventi, che può essere rimodulato entro il 28 febbraio di ciascun anno –:
   se il piano sia stato presentato e quali siano i suoi contenuti fondamentali concernenti i primi interventi urgenti predisposti dal Coni, ivi compreso l'elenco delle strutture interessate per l'anno 2016.
(5-07659)


   BORGHESI e BUSIN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   molti presidenti, dirigenti e allenatori di società sportive di hockey su pista, nonché genitori di ragazzi che praticano tale disciplina nelle squadre giovanili, riferiscono che è stato recentemente fatto divieto di utilizzare la griglia protettiva di cui sono dotati i caschi, in applicazione del nuovo testo dell'articolo 74 del regolamento gare e campionati, come modificato dalla delibera del Consiglio federale n. 49 del 29 maggio 2015 e recepito nell'ulteriore delibera del 2 ottobre 2015 (CU n. 25 del 7 ottobre 2015), nonché dall'articolo 4.2.5. delle «Norme per l'attività giovanile 2015-2016»;
   tale divieto espone gli atleti a rischi gravissimi, come già inutilmente rappresentato da più parti: da ultimo, anche in un esposto alla procura della Repubblica di Roma e ad altre istituzioni;
   già nei primissimi tempi di applicazione si sono verificati gravi incidenti con danni alle parti del corpo in precedenza coperte dalla griglia del casco: solo per citarne uno, lo scorso 31 Ottobre durante il «Trofeo del Mago» di Valdagno, un bambino dell'Hockey Breganze è stato colpito al volto dalla stecca di un avversario, riportando una profonda ferita all'interno dell'orbita oculare che ha reso necessari 7 punti di sutura e accertamenti alla vista tuttora in corso, per la vicinanza (solo pochi millimetri) con l'occhio. A parte il danno fisico, tutti i presenti hanno subito lo shock della scena terribile e la maggior parte dei bambini è scoppiata in pianti a dirotto e, probabilmente, non dimenticherà mai l'accaduto. Incidenti gravi risultano essersi verificati nelle scorse settimane anche su altre piste dove — secondo quanto riferito all'interrogante – almeno due bambini sono stati colpiti al volto dalla pallina, riportando gravi traumi;
   è appena il caso di rilevare che tali incidenti non si sarebbero verificati se appunto ai giovani atleti fosse stato imposto — come accadeva in precedenza — o perlomeno consentito l'uso della griglia protettiva; la norma suddetta, invece, detta un espresso divieto al riguardo, fatto che fa dubitare che l'emanazione di essa sia stata preceduta da una compiuta istruttoria (l'acquisizione di pareri da parte di medici pediatri, odontoiatri e oculisti avrebbe certamente confermato i gravi rischi di giocare senza protezioni); a parte ciò, essa appare vistosamente contrastante con altre norme — addirittura di rango costituzionale — che tutelano il diritto alla salute e che non già consentono, ma impongono ai cittadini (anche a costo di comprimere altri diritti fondamentali di pari rango, come quello all'autodeterminazione) di prevenire quanto più possibile danni a sé e agli altri: è il caso dell'obbligo di usare il casco alla guida dei motocicli o quello di indossare le cinture di sicurezza allorché si conducono automobili, per non parlare della normativa sempre più stringente in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, la cui applicazione è stata espressamente estesa alle Associazioni Sportive Dilettantistiche dal decreto legge n. 69 del 2013, cosiddetto «del fare», convertito nella legge 9 agosto 2013 n. 98.
   la FIHP si è adeguata al regolamento internazionale e cioè che a hockey su pista si gioca senza proteggere il viso con casco e visiera, ma con le altre protezioni ammesse dal regolamento. Dal punto di vista tecnico, si toglie la visiera per un miglior apprendimento dei fondamentali di questo sport; ma la censurabilità delle norme in parola è evidente, se è vero che in altri Paesi dove non sono utilizzati dispositivi di protezione si insegna ai bambini ad utilizzare la stecca facendo particolare attenzione a non farsi male e a non far male agli avversari, sin da quando iniziano a praticare la disciplina — cosa che avrebbe dovuto consigliare perlomeno una disciplina transitoria che consentisse ai piccoli atleti di abituarsi gradualmente alle nuove norme o, meglio, valutare l'utilizzo di protezioni diverse (ad esempio, le maschere in plexiglas);
   alla luce dei fatti già accaduti, dell'assoluta probabilità che essi si ripetano e delle correlative responsabilità, nonché della posizione assunta da una parte davvero significativa di soggetti destinatari della norma regolamentare (famiglie, ma anche giocatori, allenatori e società sportive), sarebbe opportuno che la Federazione sospendesse, in via cautelare, con effetto immediato, la norma in questione, per poi modificarla, consentendo l'utilizzo di casco e griglia protettiva come in precedenza (o dispositivi di protezione equivalenti), considerato che molti genitori hanno già preannunciato di essere pronti a rifiutarsi di far giocare le partite ai propri figli se non con l'adeguata attrezzatura protettiva, cosa che potrebbe provocare — fra l'altro – il ritiro di diverse squadre dai campionati –:
   come si concili l'eliminazione della griglia protettiva di cui sono dotati i caschi dei giocatori di hockey con il rispetto della normativa in materia di tutela della salute e di sicurezza sul luogo di lavoro e se e quali iniziative, anche normative, intenda assumere per garantire l'incolumità degli interessati. (5-07660)


   VACCA, SIMONE VALENTE, LUIGI GALLO, BRESCIA, D'UVA, MARZANA e DI BENEDETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 3 della legge n. 376 del 2000 viene istituita la Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive (Cvd);
   la Commissione, in base a quanto disposto dall'articolo n. 3 della legge 4 novembre 2010, n. 183, prevede la presenza di:
    cinque componenti designati dal Ministro della salute, di cui uno con funzioni di Presidente;
    cinque componenti designati dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega allo sport, di cui uno con funzioni di Vice Presidente;
    tre componenti designati dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano;
    un componente designato dal CONI;
    un componente designato dall'Istituto superiore di sanità;
    un ufficiale del Comando Carabinieri per la tutela della salute designato dal Comandante;
   nel corso del 2014, l'attività di controllo antidoping della commissione ha interessato sia le manifestazioni organizzate dalle Federazioni sportive nazionali (Fsn) e dalle discipline sportive associate (Dsa), che dagli enti di promozione sportiva (Eps). Nel corso di questi eventi sono stati sottoposti a controllo antidoping 1427 atleti, di cui 976 maschi (68,4 per cento) e 451 femmine (31,6 per cento). Il 27,2 per cento (n=388) degli atleti sottoposti a controllo antidoping dalla Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping, sono stati esaminati su specifica richiesta del comando carabinieri per la tutela della salute — Nas, che, ai sensi del decreto ministeriale del Ministro della salute 14 febbraio 2012, partecipano all'individuazione preliminare di gare e atleti «con elevati profili di rischio», selezionati attraverso attività informative e operative svolte e raccolte sul territorio. Infatti, con le modifiche apportate dal decreto ministeriale del Ministro della salute 14 febbraio 2012, i carabinieri dei Nas hanno assunto innovativi compiti in materia di contrasto al doping nelle manifestazioni sportive agonistiche amatoriali, dilettantistiche e giovanili. I Nas partecipano a tali verifiche con l'individuazione preliminare di gare e atleti «con elevati profili di rischio», selezionati da attività informative e operative svolte e raccolte sul territorio, proposti alla Commissione di vigilanza doping per l'inserimento nel calendario dei controlli antidoping;
   in data 9 febbraio 2015 il presidente del Coni Malagò ha annunciato un innovativo accordo con i Nas per una Nado (Organizzazione nazionale antidoping) libera da condizionamenti esterni;
   l'accordo, con il coinvolgimento dei Nas dell'Arma dei carabinieri nell'effettuazione dei controlli, ha come obbiettivi principali una più elevata efficienza ed efficacia del sistema italiano antidoping, così come una sempre maggiore autonomia e totale indipendenza della Nado italiana;
   in particolare, l'accordo prevede l'interazione fra la Coni e la Nado ed il Comando dei Nas nelle seguenti attività di contrasto al doping:
    attività di intelligence finalizzata alla pianificazione dei controlli In&out of competition;
    attività di investigazione indirizzata alla scoperta ed alla repressione delle attività contrarie alla normativa antidoping;
    il coinvolgimento e l'ausilio, nelle operazione di controllo antidoping, di ispettori investigativi dei NAS, appositamente formati e specializzati ai sensi del Codice mondiale antidoping WADA e delle norme sportive antidoping;
   l'articolo 3, al comma 1, lettera c) della legge n. 376 del 2000 stabilisce che la Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive effettua, tramite i laboratori di cui all'articolo 4, anche avvalendosi di medici specialisti di medicina dello sport, i controlli anti-doping e quelli di tutela della salute, in gara e fuori gara; essa inoltre predispone i programmi di ricerca sui farmaci, sulle sostanze e sulle pratiche mediche utilizzabili a fini di doping nelle attività sportive;
   nell'atto d'intesa del 16 ottobre 2007, che parrebbe essere almeno praeter legem, il Ministro della salute, il Ministro per le politiche giovanili e le attività sportive e il Presidente del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) hanno concordato di considerare le attività sportive agonistiche di livello nazionale e internazionale (delegate dagli organismi sportivi internazionali) oggetto prevalente dell'attività antidoping del Coni e, al contrario, di considerare le attività sportive non agonistiche e le attività sportive agonistiche, non aventi rilievo nazionale oggetto prevalente dell'attività antidoping della Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative per vedere l'attuale attribuzione delle competenze in materia di lotta al doping, anche affidando il complesso delle attività antidoping ad una riformata Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive in grado di garantire la necessaria terzietà ed indipendenza sia dalle federazioni sportive, che dal CONI. (5-07661)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BARUFFI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea ha lanciato un'importantissima consultazione pubblica finalizzata a valutare diversi aspetti del ruolo sociale ed economico degli intermediari su internet, anche rispetto alle politiche adottate dagli stessi per combattere i contenuti illeciti, ovvero la presentazione e la vendita di prodotti contraffatti o piratati;
   si tratta di una questione molto rilevante in quanto, in questi anni, si è registrato un sostanziale regime di esenzione di responsabilità di questi grandi player, cui è corrisposta una scarsa, o quantomeno insufficiente, collaborazione relativamente alla tempestiva rimozione dei contenuti illecitamente commercializzati o caricati; il risultato è stata l'esplosione della contraffazione/pirateria sul web;
   l'Italia è sempre stata attenta a questi temi, come bene attesta il paper del Governo sul digital single market del 2015, dove tra l'altro si ribadiva che «per un'efficace tutela del diritto d'autore nell'era digitale occorre bilanciare l'accesso alla conoscenza e all'informazione (...) chiamando ad un ruolo più deciso, anche in termini di responsabilità, gli intermediari/operatori delle reti elettroniche»;
   tale posizione è stata riaffermata con nettezza dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri on. Sandro Gozi nell'audizione del 20 gennaio 2016 presso la Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo nell'ambito dell'indagine in corso sulla «contraffazione via web»;
   il 6 gennaio si è conclusa la Consultazione della Commissione europea sulla responsabilità degli intermediari online (internet provider liability): i primi risultati sintetici, resi noti nei giorni scorsi, testimoniano dell'enorme interesse circa questo dossier, nonché della rilevanza degli interessi coinvolti: in particolare, ben 27 Paesi avrebbero risposto alla consultazione;
   forti dell'autorevole e non ambigua posizione tenuta dal Governo sul tema, tutte le categorie economiche che operano nei settori più esposti (segnatamente audiovisivo, musicale, culturale, e altro) hanno partecipato a tale consultazione, anche coordinandosi al fine di rendere maggiormente efficace il proprio intervento –:
   se il Governo abbia partecipato alla consultazione della Commissione europea richiamata in premessa, quale posizione abbia tenuto e quali proposte concrete abbia avanzato. (5-07619)


   SBROLLINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nelle ultime settimane nel mondo del calcio si sono registrati diversi episodi spiacevoli, sia di carattere discriminatorio che di carattere legale. Episodi di razzismo, omofobia, discriminazione sessuale sono ancora troppo presenti e non sporadici in tutta Italia, da Milano a Locri;
   solo per citare i casi più recenti: la lite tra gli allenatori di Napoli e Inter Maurizio Sarri e Roberto Mancini, gli episodi del derby di Milano tra Milan ed Inter, le minacce alle calciatrici a Locri, le battute discriminatorie di dirigenti federali e di Lega fino ad arrivare all'indagine «Operazione Fuorigioco». La procura di Napoli che fatto emergere un meccanismo fraudolento di evasione fiscale dovuta a fatturazioni non consentite così da garantire ai calciatori e agenti un maggior vantaggio economico facendo in modo che fossero le società a dedurre i costi relativi alla prestazioni degli agenti e detrarre l'IVA;
   si tratta di situazioni che delineano una condizione precaria dei buoni valori sportivi, che fanno difficoltà ad emergere ed imporsi nei cittadini lasciando spazio a reazioni di emulazione, offese che perpetuano un clima di razzismo, omofobia violenza verbale e illegalità;
   lo sport è potenzialmente uno straordinario strumento educativo, divenuto sempre più negli anni un fenomeno popolare, sempre più prestigioso, seguito da milioni di persone ed in particolare da milioni di giovani e giovanissimi. Sia modelli positivi che negativi di allenatori, sportivi, dirigenti e tifoserie organizzate spesso diventano modello e fonte d'ispirazione nel pensiero e nel comportamento dei più giovani. Essendo lo sport, ed in particolare il calcio, un fenomeno di massa che genera un importante impatto sociale ed economico, è seguito settimanalmente con passione da un importante numero di cittadini italiani ed è opportuno che possa garantire la trasmissione di valori positivi quali il rispetto delle regole, il rispetto dell'avversario e del prossimo, il rispetto dell'arbitro e il rispetto del risultato «del campo»;
   la Costituzione e molte altri leggi ordinarie indicano chiaramente la necessità di reprimere e condannare condotte discriminatorie e fraudolente –:
   se e come il Governo intenda agire, per quanto di competenza, per monitorare e migliorare la condizione del calcio italiano;
   se il Governo abbia considerato l'ipotesi di audire le principali organizzazioni deputate alla gestione e al controllo del calcio italiano ed in particolare CONI, Federazione italiana giuoco calcio, Lega Nazionale Professionisti Serie A, Lega Nazionale Professionisti Serie B, Lega PRO, Lega Nazionale Dilettanti (LND), Associazione italiana arbitri (AIA), Associazione italiana calciatori (AIC), Associazione italiana allenatori calcio (AIAC). (5-07629)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   con interrogazione n. 2316/XV, depositata presso il consiglio della provincia autonoma di Trento in data 2 novembre 2015, si segnalava alla giunta provinciale che all'esito dell'attività di monitoraggio per la verifica della conformità ai diversi obblighi di pubblicazione e la trasparenza sui siti istituzionali di tutte le pubbliche amministrazioni previsti dal decreto legislativo n. 33 del 2013, sulla sezione «Bussola della trasparenza» (http://www.magellanopa.it/bussola/), risultava che i comuni di Dro e Ala non soddisfacevano nessuno dei 66 indicatori contenuti nella predetta sezione;
   con interrogazione n. 2438/XV, depositata presso il consiglio della provincia autonoma di Trento in data 1o dicembre 2015 si segnalava che dalla verifica effettuata per il comune di Tione di Trento risultava che il punteggio attribuito al comune sulla sezione «Bussola della Trasparenza» era di 20 punti rispetto ai 66 indicatori che avrebbero dovuto essere soddisfatti;
   in entrambe le predette interrogazioni, considerato che lo statuto di autonomia della regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, all'articolo 54, comma 1, n. 5, prevede che spetta alla giunta provinciale la vigilanza e la tutela sulle amministrazioni comunali e che ad essa è riservato il potere sostitutivo per il recepimento degli atti obbligatori per legge, si chiedeva alla giunta quali iniziative intendeva avviare per rendere immediatamente disponibili i dati richiesti, con le caratteristiche e le modalità previste dalla normativa, sui siti istituzionali dei comuni citati e per verificare eventuali responsabilità per la situazione attuale;
   alle predette interrogazioni la giunta provinciale ha risposto, rispettivamente in data 20 gennaio 2016 all'interrogazione n. 2316/XV e in data 7 gennaio 2016 all'interrogazione n. 2438/XV. In entrambi i casi la giunta provinciale ha affermato che per soddisfare la necessaria uniformità nella pubblicazione delle informazioni e delle modalità di rappresentazione delle medesime, imposta dalla legge statale, l'articolo 1 della legge regionale n. 10 del 2014 rinvia in gran parte alle disposizioni contenute nel decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 «Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni» e all'allegato schema di pubblicazione, prevedendo peraltro alcune disapplicazioni e varie specificazioni, in considerazione della peculiarità degli ordinamenti dei vari enti rientranti nell'ambito soggettivo di applicazione della legge regionale, nonché dell'eterogeneità delle attività – e conseguentemente dei dati e delle informazioni – dei medesimi enti;
   la giunta provinciale ha ricordato che con nota circolare n. 4 del 19 novembre 2014 la regione Trentino-Alto Adige ha precisato, che per l'applicazione delle disposizioni contenute nell'articolo 1 della legge regionale n. 10 del 2014, per le parti che rinviano al decreto legislativo n. 33 del 2013, si deve tener conto delle indicazioni contenute nelle intese in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 1, comma 61, della legge n. 190 del 2012 o contenute nelle deliberazioni e negli orientamenti dell'ANAC. Ricorda inoltre che la legge regionale n. 10 del 2014 prevede la diretta applicazione di gran parte degli articoli contenuti nello stesso decreto n. 33, fra i quali gli articoli 1, 2, 4, 5 (accesso civico), 6, 7 (dati aperti e utilizzo), 8 (decorrenza e durata dell'obbligo di pubblicazione), 9 (accesso alle informazioni pubblicate in siti);
   la giunta provinciale rileva tuttavia che risultano direttamente applicabili agli enti locali della regione gli articoli 43 e 45 del decreto, in particolare nelle parti in cui individuano nell'Autorità nazionale anticorruzione e nella Commissione per la valutazione, l'integrità e la trasparenza delle pubbliche amministrazioni (CIVIT) i soggetti destinatari delle segnalazioni di inesatta applicazione o inadempimento degli obblighi di pubblicazione, in quanto preposti alla funzione di vigilanza su tale applicazione; il decreto prevede infatti che la Commissione eserciti «poteri ispettivi mediante richiesta di notizie, informazioni, atti e documenti alle amministrazioni pubbliche e ordinando l'adozione di atti o provvedimenti richiesti dalla normativa vigente, ovvero la rimozione di comportamenti o atti contrastanti con i piani e le regole sulla trasparenza». Da questa ultima disposizione si deduce che le funzioni di vigilanza e controllo per il settore particolare dell'applicazione delle disposizioni in materia di pubblicità e trasparenza sono state attribuite dal legislatore nazionale a specifici organismi, attivi per tutti gli enti destinatari della disciplina;
   infine, la giunta provinciale esclude di poter esercitare, con riferimento ai comuni trentini, un ruolo di controllo nella materia specifica, apparendo evidente come il legislatore statale abbia inteso affidare la funzione «regolatrice» sull'applicazione delle disposizioni in materia di trasparenza a soggetti che operano su tutto il territorio nazionale, in modo da garantire un adeguamento uniforme alla normativa;
   ad avviso dell'interrogante, la giunta non interpreta correttamente gli articoli 43 e 45 del decreto legislativo n. 33 del 2013, o comunque li interpreta in forma restrittiva, poiché, se è vero che questi attribuiscono chiaramente la funzione regolatrice all'ANAC, è anche vero che i medesimi articoli non dispongono che le province autonome di Trento e Bolzano o le regioni debbano rinunciare alle funzioni di vigilanza e di tutela sulle amministrazioni comunali al fine di garantire il rispetto degli obblighi di legge, i quali, nella fattispecie, tendono allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche;
   la giunta provinciale di Trento, in qualità di organo deputato alla vigilanza sull'osservanza delle leggi da parte degli enti locali, nel caso in cui rilevi la non corretta applicazione delle leggi statali, è tenuta a darne notizia al soggetto vigilato e a segnalare il fatto all'organo competente per sollecitarne l'intervento. Diversamente opinando, un atteggiamento di inerzia rispetto alle previsioni del decreto legislativo n. 33 del 2013 metterebbe a repentaglio i principi di buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell'utilizzo delle risorse pubbliche –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e se ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza anche normativa, per meglio definire il ruolo e le responsabilità degli organi istituzionali titolari dei poteri di vigilanza su enti locali, camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, aziende pubbliche di servizi alla persona, aziende dei comuni e consorzi dei comuni in riferimento all'osservanza del decreto legislativo n. 33 del 2013, anche con riferimento alla segnalazione da parte di tali soggetti all'autorità nazionale anticorruzione in merito ad inadempienze degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente. (4-11927)


   VILLAROSA, D'UVA, MARZANA, DI BENEDETTO, RIZZO, CANCELLERI, LUPO, MANNINO, GRILLO, LOREFICE e DI VITA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   gli eventi meteorici e alluvionali che hanno interessato le province di Agrigento, Caltanissetta, Enna, Catania, Messina e Siracusa, dall'8 settembre al 3 novembre 2015, hanno indotto la regione siciliana a richiedere lo stato di emergenza, con le delibere 256/2015 e 261/2015;
   a seguito di tale richiesta da parte della regione siciliana, pervenuta con nota del 15 ottobre 2015 e successivamente integrata con nota del 9 novembre 2015, al dipartimento della protezione civile, in data 1o dicembre 2015, il primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo, ha ricevuto via mail una prima risposta alle richieste di informazioni effettuate in vari momenti;
   l'ingegnere Curcio, ad inizio dicembre, informava il sottoscritto che il dipartimento della protezione civile stava effettuando l'istruttoria tecnico-amministrativa di propria competenza condotta sugli elementi conoscitivi forniti dalla amministrazione regionale siciliana e sulla base dei sopralluoghi che gli uffici tecnici del dipartimento della protezione civile hanno effettuato nelle zone colpite dagli eventi in questione;
   in risposta ad una successiva mail, inviata in data 12 gennaio 2016, sempre dal primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo, il capo dipartimento della protezione civile, ingegnere Fabrizio Curcio, con risposta via mail in data 28 gennaio 2016, mette a conoscenza del fatto che in merito all'istruttoria concernente la richiesta della dichiarazione dello stato d'emergenza relativo agli eventi del periodo 8 settembre-3 novembre 2015, richiesto dalla regione siciliana con le DD.G.R. n. 256 del 13 ottobre 2015 e n. 261 del 5 novembre 2015, relativamente alle province di Agrigento, Caltanissetta, Catania, Enna, Messina e Siracusa, il dipartimento della protezione civile, a seguito dell'invio dell'ulteriore documentazione da parte del dirigente generale del dipartimento regionale della protezione civile, ha concluso la propria istruttoria in ottemperanza a quanto disciplinato dalla direttiva della Presidente del Consiglio dei ministri 26 ottobre 2012, ravvisando in forma preliminare la sussistenza dei requisiti che potrebbero dar luogo alla dichiarazione dello stato di emergenza da parte del Consiglio dei ministri;
   considerato il fatto che la fase istruttoria è stata ormai completata e che il dipartimento della protezione civile ha constatato la sussistenza dei requisiti necessari alla dichiarazione dello stato di emergenza, sembra arrivato il momento, a parere degli interroganti, di mettere all'ordine del giorno di uno dei prossimi Consigli dei ministri, l'argomento in modo da poter quantificare l'importo da mettere a disposizione del commissario delegato per la predisposizione del piano relativo alla effettuazione dei primi interventi urgenti –:
   se sia a conoscenza di tutti i fatti esposti in premessa;
   se intenda assumere iniziative affinché in tempi brevissimi il Consiglio dei ministri esamini l'eventuale dichiarazione dello stato di emergenza per gli eventi meteorici e alluvionali che hanno interessato le province di Agrigento, Caltanissetta, Enna, Catania, Messina e Siracusa, dall'8 settembre al 3 novembre 2015. (4-11928)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si legge in un articolo con data 30 gennaio 2016 di Adriano Mollo sul portale di Il Quotidiano del Sud, il 28 gennaio 2016, è morta la signora Teresa Bitonti, settantacinquenne di San Giovanni in Fiore che era stata accompagnata dai familiari presso il pronto soccorso dell'ospedale locale a causa di dolori addominali e difficoltà respiratorie;
   arrivata in ospedale intorno alle ore 17 di mercoledì 27 gennaio, si legge nelle cronache della stampa, la signora Bitonti è stata presa in carico dai sanitari dopo oltre due ore d'attesa in pronto soccorso;
   il medico di turno, visitata la donna dopo le ore 19, ha provveduto a sottoporla a un elettrocardiogramma per valutare lo stato dell'apparato cardiocircolatorio;
   a seguito delle anomalie riscontrate nel referto, sono stati eseguiti ulteriori accertamenti sanitari;
   i valori degli enzimi cardiaci estremamente fuori norma avrebbero fatto decretare al personale medico la necessità di attendere ancora, per capire che cosa stesse accadendo;
   trascorse altre tre ore senza alcun intervento che potesse scongiurare o bloccare un eventuale infarto in corso, l'anziana ha ripetuto gli esami degli enzimi cardiaci, con valori ancora al di sopra della norma;
   sul sito web della testata giornalistica quicosenza.it, si legge, in proposito, che la signora è stata trattata con una flebo di diuretico e che poi è rientrata a casa;
   sempre sul sito della testata summenzionata si legge che «il disperato tentativo dei familiari di far ricoverare l'anziana che continuava a respirare con difficoltà non avrebbe infatti sortito alcun effetto», intanto perché «nell'ospedale non c'erano posti letto disponibili» e nemmeno «nei reparti di Rianimazione e Terapia Intensiva di Cosenza, Crotone e Catanzaro», mentre al pronto soccorso di San Giovanni in Fiore pare che «di posti liberi ve ne fossero almeno tre»;
   «dalla denuncia sporta al mattino successivo nei confronti di tutto il personale medico e paramedico del presidio – si legge su quicosenza.it – appare evidente il rifiuto dei sanitari che avrebbero giustificato il proprio “no” con l'eventualità di future ipotetiche emergenze»;
   i familiari della donna dopo essersi resi disponibili a riportare a casa la signora in caso di urgenze e aver ricevuto un nuovo diniego, si legge su quicosenza.it, hanno rifiutato di firmare le dimissioni, sottoposte alla firma dell’«anziana ormai stremata alle 01,30»;
   rientrata a casa la donna è morta, si legge nell'articolo apparso su quicosenza.it, dopo poco più di due ore, alle ore 4;
   sul cadavere sequestrato dalla magistratura sono stati eseguiti gli esami necroscopici;
   dall'autopsia eseguita alla presenza dei tre medici legali nominati dalla procura di Cosenza, dall'accusa e dalla difesa pare che la causa del decesso dell'anziana signora sia da collegare a un infarto coronarico;
   un episodio con punti di analogia si verificò a San Giovanni in Fiore, nel novembre 2014, in ordine al decesso della signora di mezza età Ester Comito, che, per quanto si legge nelle cronache di allora, fu trattenuta in ospedale senza le rapide cure del caso, nonostante segnali d'infarto confermati dai primi accertamenti;
   altro episodio analogo capitò al signor Francesco Scalise, di 42 anni, venuto a mancare alla vigilia di Natale del 2013;
   il giorno precedente il signor Scalise si recato all'ospedale di San Giovanni in Fiore, lamentando dolori al petto e a un braccio e dal medico di turno ricevendo, per come si legge sulla stampa, cure con farmaci antinfiammatori, sino alle dimissioni dopo l'elettrocardiogramma;
   durante la notte però, il signor Scalise avvertì dolori più forti e la mattina successiva la moglie lo caricò in auto per portarlo a Crotone, ma il quarantaduenne morì senza riuscire ad arrivare in ospedale;
   con lettera del 3 aprile 2015, indirizzata al direttore generale e al direttore sanitario dell'Asp di Cosenza, da cui dipende l'ospedale di San Giovanni in Fiore, nonché al governatore regionale, onorevole Mario Oliverio, al commissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario regionale, ingegner Massimo Scura, e ai Ministeri vigilanti, l'interrogante segnalava, a seguito dell'ispezione parlamentare in loco del 12 marzo 2015, che «il servizio di Cardiologia andrebbe potenziato, almeno con la presenza di un cardiologo per 12 ore su 24, che servirebbe anzitutto a cogliere prima eventuali gravi patologie cardiache acute. A questo proposito, si segnala che per evento cardiaco lì si sono verificati, purtroppo, decessi di pazienti tenuti in lunga osservazione, i quali si sarebbero magari salvati, se sul posto vi fosse stato pure uno specialista»;
   in un articolo pubblicato su Il Quotidiano della Calabria del 7 settembre 2013, a pagina 15, con testo disponibile al link http://bit.ly/1WWINna, con riferimento a un caso di infarto in corso risoltosi positivamente per la presenza del cardiologo di turno nelle 6 ore del servizio cardiologico attivo nel presidio ospedaliero di San Giovanni in Fiore, si sottolineava: «Nell'immediato serve portare il servizio da 6 a 12, possibilmente 24 ore. E poi ci vuole un altro cardiologo a tempo pieno: a 38 ore. Perché l'infarto non avvisa, non concede respiro, non guarda al portafogli di nessuno. E perché l'abbandono di un servizio così essenziale, lasciato esclusivamente alla responsabilità degli addetti, ha un peso enorme nello spopolamento della città, i cui costi sono molto più alti del potenziamento indicato»;
   diverse difficoltà e necessità del medesimo servizio cardiologico erano state evidenziate ancora prima, in un articolo pubblicato dal plurisettimanale Il Crotonese e consultabile al link http://www.ilcrotonese.it/san-giovanni-cardiologia-senza-strumenti-e-personale/ –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti;
   quali urgenti iniziative, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario regionale, intendano adottare per migliorare la capacità d'intervento del servizio cardiologico attivo presso l'ospedale di San Giovanni in Fiore e, in ogni caso, a garanzia dei livelli essenziali di assistenza e della locale popolazione rispetto a casi di emergenza per infarto. (4-11935)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
III Commissione:


   PALAZZOTTO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 gennaio 2015 il Consiglio dei ministri ha nominato Carlo Calenda Rappresentante permanente d'Italia presso l'Unione europea al posto dell'Ambasciatore Stefano Sannino conseguentemente nominato capo della nostra Rappresentanza diplomatica a Madrid;
   Carlo Calenda, vice Ministro allo Sviluppo economico all'atto della nomina, è il primo non diplomatico che viene nominato capo di una missione diplomatica così importante dal dopoguerra ed è la prima volta in assoluto che la «politica» occupa un posto di ambasciatore;
   ferma restando la legittimità della scelta sul profilo normativo e procedurale, suscita perplessità la nomina di un «politico» in un posto così delicato anche considerate le indiscrezioni che vorrebbero Leonardo Bellodi, ex capo delle relazioni istituzionali dell'ENI, come probabile futuro ambasciatore in Libia non appena verrà riaperta la sede diplomatica italiana nel Paese;
   alla luce di questa scelta non è chiaro all'interrogante se sia intenzione del Governo sposare il «modello Usa» che prevede la nomina di ambasciatori «politici», un'eventualità certamente possibile anche in Italia, eppure senza precedenti negli ultimi 60 anni, oppure se sia in corso un conflitto con il Corpo Diplomatico e se quindi questo non sia ritenuto all'altezza dei compiti assegnatigli –:
   se il Governo intenda proseguire su questa linea che prevede la nomina di ambasciatori cosiddetti «politici» e, in particolare, se a fondamento di questa linea esista un conflitto con il Corpo Diplomatico non ritenuto dal Governo all'altezza dei compiti assegnatigli. (5-07652)


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il Governo italiano da tempo si dichiara disponibile a partecipare, eventualmente assumendone anche la guida, ad una missione militare di stabilizzazione e protezione delle nuove istituzioni libiche, qualora ciò sia richiesto dal legittimo Governo di Tripoli e consentito da una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite;
   nelle more della formazione del nuovo Governo libico «unitario», però, la stampa nazionale ed internazionale riporta con crescente frequenza notizie relative ai preparativi intrapresi da alcuni alleati occidentali — segnatamente Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti — in vista dell'effettuazione di una campagna integrata di raid aerei ed incursioni di forze speciali, che starebbero già operando sul terreno, forse in collaborazione con le unità dipendenti dal generale Haftar;
   bersaglio dell'offensiva sarebbero basi ed effettivi del Daesh a Sirte;
   qualora si concretizzi davvero, è molto verosimile che l'Italia riceva pressioni ad aderire all'intervento, in una posizione che sarebbe evidentemente subordinata a quella degli alleati che lo stanno pianificando;
   secondo alcune fonti di stampa nazionali, peraltro, anche l'Italia avrebbe elementi della sua intelligence e forse commandos in azione sul terreno libico –:
   che cosa il Governo italiano intenda fare in Libia qualora si materializzi un'azione militare anglo-franco-americana contro il Daesh. (5-07653)


   TACCONI, GIANNI FARINA, FEDI, GARAVINI, LA MARCA e PORTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità 2016 ha stanziato 9.400,000 euro sul Capitolo 3153 – Contributo agli enti gestori di corsi di lingua e cultura italiana all'estero;
   un emendamento approvato al Senato intendeva incrementare il capitolo in questione di euro 3.400,000, portando la dotazione effettiva ai livelli del bilancio assestato 2015, pari ad euro 11.918.796;
   tale importo si riteneva e si ritiene infatti necessario per assicurare il regolare funzionamento dei corsi organizzati dagli «enti gestori», molti dei quali sono stati da questi rilevati a seguito della notevole riduzione del personale di ruolo inviato all'estero;
   l'importo iniziale indicato per il capitolo in questione nella tabella 6 del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale era pari a euro 8.625.548;
   contestualmente alla tabella 6, come di consueto, venivano fornite al Parlamento relazioni illustrative e relazioni tecniche, in cui si prevedevano i contributi che ciascun ministero avrebbe dovuto dare alla manovra di finanza pubblica ai sensi dell'articolo 33, comma 1, della legge di stabilità 2016;
   per il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale tale contributo era quantificato in complessivi euro 8.226.000 di cui 2.625.548 a carico del Capitolo 3153, il cui importo iniziale veniva quindi ridotto a euro 6.000.000, divenuti 9.400.000 a seguito dell'emendamento sopra riportato;
   la dotazione del capitolo si attesta in tal modo ad un livello inferiore di oltre 2.500.000 a quella del 2015, il che rende problematica la stessa sopravvivenza dei corsi che ora viaggiano a pieno ritmo;
   le prospettive dei corsi di lingua e cultura per il prossimo triennio sono altrettanto allarmanti in quanto i livelli di spesa previsti saranno quelli proposti quest'anno a seguito della rimodulazione di spesa richiesta al Ministero degli affari esteri e cooperazione internazionale –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato in relazione all'esigenza di ripristinare la dotazione del capitolo 3153 almeno al livello del 2015, in diretto dialogo con il Ministero dell'economia e delle finanze, in modo da rendere possibile corrispondere alla forte domanda che viene da un'utenza di stranieri e discendenti di italiani, anche alla luce dell'esigenza, più volte richiamata dai responsabili politici e istituzionali, di dare maggiore coerenza e valore strategico alla azione di promozione linguistica e culturale.
(5-07654)


   MANLIO DI STEFANO, SIBILIA, SPADONI, SCAGLIUSI, GRANDE, DEL GROSSO e DI BATTISTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   da qualche tempo circola con insistenza l'ipotesi che i Tornado italiani possano partecipare all'azione di bombardamento delle postazioni del Daesh in Iraq, questione che deve in ogni caso essere discussa e approvata dal Parlamento; peraltro, i caccia italiani hanno già in altre occasioni effettuato bombardamenti nell'ambito di missioni internazionali; è già accaduto negli anni scorsi in Libia, in Afghanistan, in Kosovo, nel Golfo Persico;
   inoltre, da dichiarazioni stampa rilasciate dal Presidente del Consiglio Renzi e dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Gentiloni si apprende che il contingente attualmente presente a Erbil con la funzione di addestramento dei peshmerga sarà ulteriormente aumentato e che, contestualmente, oltre 450 militari dovrebbero essere dispiegati a difesa della diga di Mosul, atteso che è stato ufficialmente assegnato alla ditta Trevi un appalto di messa in sicurezza della stessa per 210 milioni di dollari;
   i Ministri direttamente coinvolti in un'eventuale decisione in tal senso (esteri e difesa) hanno ribadito che la situazione in Iraq è aperta; che è in atto una discussione tra gli alleati sul modo migliore per partecipare all'operazione e che eventuali nuove esigenze verranno valutate e passeranno al vaglio del Parlamento;
   tuttavia, l'articolo 11 della Costituzione nella sua prima parte recita il «ripudio della guerra» (passo che nel suo discorso d'insediamento è stato ricordato proprio dal Presidente Sergio Mattarella), e dunque serve un passaggio parlamentare per dare il via alla missione «offensiva»;
   ciò che, a parere degli interroganti, viene sottaciuto, o quantomeno sottovalutato, è che qualora i caccia italiani dovessero iniziare a bombardare in Iraq occorrerebbe di conseguenza elevare ulteriormente il livello di allerta nel nostro Paese contro il rischio di attentati terroristici;
   il ritardo con il quale, ormai abitualmente, viene varato il decreto-legge di rifinanziamento delle missioni internazionali sembrerebbe avvalorare l'ipotesi di un coinvolgimento dell'Italia in un questo teatro di guerra attraverso l'inserimento di contingenti militari nel contesto delle operazioni di «pace» che semestralmente vengono sottoposte all'attenzione del Parlamento –:
   se non reputi che questo sempre più intenso impegno militare italiano in Iraq, sostegno delle iniziative unilaterali degli Stati Uniti, possa riconfigurarsi come una nuova partecipazione all'occupazione del Paese, pregiudicando sia la sicurezza dei militari sia la paventata esposizione del nostro Paese ad attentati terroristici.
(5-07655)


   LOCATELLI, PASTORINO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI, SEGONI e TURCO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il peschereccio «Mina», specializzato nella pesca al gamberone sanremese, è stato sequestrato dalla Guardia costiera francese per presunto sconfinamento nelle acque territoriali della Repubblica transalpina; ha quindi dovuto versare una cauzione pari a 8.300 euro per poter liberamente far rientro nel proprio porto;
   in seguito a successivi accertamenti effettuati dalle nazionali risulta che, al contrario di quanto affermato dalle autorità francese, al momento del sequestro il peschereccio si trovasse entro gli attuali confini delle acque territoriali dell'Italia. Infatti, lo sconfinamento si sarebbe realizzato sulla base dei nuovi confini delimitati dall'accordo bilaterale del 21 marzo 2015, ma poiché tale accordo non è ancora vigente – visto che la necessaria autorizzazione alla ratifica da parte del Parlamento italiano non è stata ancora effettuata — le azioni delle Autorità francesi, a giudizio degli interroganti, non hanno alcuna base legale;
   la modifica del confine nel Mar Ligure occidentale, così come configurate dall'accordo bilaterale non ancora ratificato, se realizzate effettivamente penalizzerebbe in modo grave le attività economiche locali basate principalmente sulla pesa al gamberone sanremese –:
   se sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa, se trovino conferma e quali iniziative urgenti intenda assumere, se fosse confermata l'illegittimità delle azioni delle autorità francesi, per garantire la più adeguata tutela al peschereccio Mina e degli altri pescherecci italiani della zona, sia in sede europea sia attraverso gli opportuni canali bilaterali, anche alla luce del fatto che l'accordo bilaterale citato non è stato ratificato dal Parlamento italiano. (5-07656)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   le carceri israeliane sono, purtroppo, tristemente famose per il trattamento disumano nei confronti dei prigionieri palestinesi;
   tra questi, Mohamed Al-Qeek, giornalista di 33 anni, è in stato di arresto dal 21 novembre 2015, a quanto risulta all'interrogante, senza conoscerne i motivi e senza processo. Per questo sta attuando, assieme ad altri, uno sciopero della fame sin dal 25 novembre 2015. Lo stesso versa attualmente in gravissime condizioni, ed è stato trasportato presso l'ospedale Afula, dove «vegeta» con mani e piedi legati, in coma, in stato pietoso e con scarsissime e minime cure;
   la comunità palestinese internazionale esprime fortissima preoccupazione; è di oggi un comunicato stampa dell'ambasciata di Palestina in Italia che fa il punto sullo stato della situazione e del prigioniero e si appella alla comunità internazionale, perché si adoperi per ripristinare i diritti umani in quei territori e chiede che ci si attivi affinché al più presto a Mohamed Al-Qeek venga restituita la libertà, a lui e a tutti quei prigionieri che versano in analoghe situazioni –:
   se non ritenga il Ministro di chiedere alle autorità israeliane la scarcerazione del signor Al-Qeek ponendo l'accento sul rispetto dei diritti umani nei confronti dei detenuti politici in carcere;
   se non si ritenga sia il caso di richiamare con forza il rispetto della carta dei diritti umani, votata dall'Onu e fortemente elusa in tanti dei suoi articoli fondamentali, in particolare l'articolo 3 secondo il quale «Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona», l'articolo 5 in base al quale «Nessun individuo potrà essere sottoposto, a tortura o a trattamento o a punizioni crudeli, inumani o degradanti», ed infine l'articolo 9 per il quale «Nessun individuo potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato», articoli che nelle carceri israeliane paiono essere completamente disattesi. (4-11924)


   LODOLINI e GIULIETTI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   lo scenario geopolitico creatosi negli ultimi venti anni ha aperto nuovi scenari e continui conflitti locali, sempre più caratterizzati da confronti e sfide asimmetriche, ben diverse rispetto alla tradizionale contrapposizione tra blocchi, tipica dell'immediato dopoguerra;
   le recenti e drammatiche crisi esplose in Libia, Siria, Iraq e Ucraina, solo per citare alcuni dei conflitti che in questi giorni preoccupano la comunità internazionale, dimostrano tutti i limiti di un sistema in cui la stessa comunità non riesce a costruire una sintesi tra i diversi e contrastanti interessi degli attori in campo nei vari teatri di crisi;
   tale incapacità della comunità internazionale di ricercare un modello inclusivo tra USA, Europa, Paesi Arabi, Russia, Cina, che potesse affrontare e gestire le crisi umanitarie e contrastare la minaccia senza confini dello Stato islamico, ha ulteriormente lacerato i rapporti bilaterali tra l'Occidente (Europa e USA) e la Russia;
   negli ultimi tempi, la cosiddetta «questione Ucraina», ha fatto sì che l'Unione europea e gli USA applicassero pesanti sanzioni alla Russia nell'ambito dei propri rapporti commerciali;
   prima che le tensioni geopolitiche alzassero la «barriera dell'embargo e delle sanzioni», la Russia era tra i primi tre mercati di sbocco commerciale per il sistema manifatturiero delle Marche, insieme a Stati Uniti e Francia;
   a seguito di tale provvedimento, il valore delle esportazioni dell'industria manifatturiera marchigiana, nel 2014 è sceso a poco più di 600 milioni di Euro contro i quasi 750 del 2012;
   tale trend negativo comunque non si ferma, dato che nei primi tre mesi del corrente anno le aziende marchigiane hanno perso oltre 70 milioni di euro, un valore che si somma ai 123,5 milioni di euro sfumati nel corso del 2014, con una diminuzione del fatturato pari al 42,3 per cento (dati forniti nel corso del Forum Italia-Russia, promosso, l'estate scorsa, dalla Camera di Commercio di Pesaro-Urbino);
   ai danni derivanti dalle sanzioni si aggiunge un'altra conseguenza, forse ancora più pericolosa nel tempo, che è rappresentata dalla perdita di quote di mercato delle aziende marchigiane a favore di prodotti provenienti da altri mercati. Secondo le analisi di Federalimentare, da quando la Russia ha risposto alle sanzioni occidentali, bandendo i prodotti agro-alimentari, sarebbero cresciuti a dismisura le importazioni in Russia di prodotti provenienti da Brasile, Argentina, Israele, Turchia e Cile. L'agroalimentare marchigiano sta dunque soffrendo non solo per il calo dell'interscambio, ma anche perché altri Paesi stanno cercando di inserirsi nel mercato russo, e in molti casi lo stanno anche facendo con prodotti contraffatti che imitano quelli italiani;
   analoghe grosse difficoltà stanno incontrando i settori del mobile, del calzaturiero e dell'abbigliamento. In particolare, quello del mobile ha visto svanire il 12,5 per cento dei ricavi, percentuale che si somma a quel 21,4 per cento di flessione che ha eroso sensibilmente i fatturati nel 2014, portandoli da oltre 84 milioni uro, a poco più di 56,6 milioni;
   le imprese marchigiane ed umbre non possono più sostenere questa grave situazione, in quanto tali perdite si vanno a sommare ad una condizione di crisi ancora latente, e al momento, non possono essere recuperate né attraverso una crescita dei fatturati sul mercato italiano, né su nuovi, altri, mercati significativi;
   oltre al danno diretto dell’export, sono a rischio anche gli investimenti russi in Italia, che si sono notevolmente ridotti, confermando le ipotesi che dette sanzioni danneggiano più l'Italia che la Russia –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per superare lo strumento sanzionatorio nel confronti della Federazione russa, sollecitando altresì un maggiore impegno dell'Euro a nel facilitare le relazioni tra Stati Uniti e Russia, condizione tra l'altro imprescindibile per la stabilità dello stesso Occidente;
   se intenda chiedere, alla Commissione europea di assumere iniziative per l'istituzione di un fondo comune straordinario, tra gli Stati membri, al fine di contenere parzialmente o totalmente, le ingenti perdite riscontrate, tra l'altro dalle imprese marchigiane colpite dalle contromisure russe alle sanzioni. (4-11930)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   vari organi di stampa riferiscono che, nel corso dell'estate, a seguito del parere dell'Istituto superiore di sanità dell'11 agosto 2015, prot. n. 0024565, il Ministero della salute ha aumentato le soglie di tolleranza dei cosiddetti «perfluorati» nelle acque;
   soglie che sono state immediatamente recepite dalla regione Veneto, la più colpita dal «Caso PFAS», in ragione della presenza dello storico stabilimento chimico Miteni spa di Trissino, in località Colombare, provincia di Vicenza;
   queste sostanze comunemente indicate come Pfas (sostanze perfluoroalchiliche) e che includono sia il Pfoa (acido perfluoroottanoico) sia Pfos (perfluorottano sulfonato) sono sostanze diffusamente utilizzate come impermeabilizzanti per i tessuti, ovvero nei rivestimenti antiaderenti per le pentole da cucina, sono altresì presenti in vernici, detersivi e in moltissime altre applicazioni di uso comune di derivazione industriale;
   tali molecole sintetiche, non presenti in natura, una volta entrate nel ciclo dell'acqua o dell'aria sono in grado di contaminare gli esseri umani, gli animali ed i vegetali, sia direttamente, sia mediante l'ingestione di acque o alimenti contaminati, provocando gravi interferenze con il sistema ormonale umano;
   negli anni si sono susseguiti una serie di studi per verificare la portata del fenomeno ed i risultati del monitoraggio dei Pfas nella catena alimentare della regione Veneto confermerebbero la presenza, negli alimenti di consumo quotidiano, oltre che nell'acqua potabile, di elevate concentrazioni di contaminanti;
   nella deliberazione della giunta regionale del Veneto n. 1517 del 29 ottobre 2015 che ha recepito i nuovi tassi soglia si ritrova questo passo: «Con riferimento alla presenza delle sostanze Pfas nelle acque destinate al consumo umano, il Ministero della salute con nota del 29.01.2014, prot. n. 0002565, sulla base del parere dell'Istituto Superiore di Sanità del 16.01.2014, prot. n. 0001584, ha indicato i livelli di performance (obiettivo) nei valori di seguito specificati: Pfos: < 0,03 ug/litro; Pfoa: < 0,5 ug/litro; altri PFAS: < 0,5 ug/litro. Tali livelli sono stati acquisiti dalla Regione del Veneto con D.G.R. n.168 del 20 febbraio 2014. Di recente, con parere dell'11.08.2015, prot. n. 0024565, l'Istituto Superiore di Sanità ha indicato i livelli di performance per le acque destinate al consumo umano relativamente ai composti acido perfluorobutansolfonico (PFBS) e acido perfluorobutanoico (PFBA) enucleati dalla somma «altri PFAS». Secondo quanto espresso nel parere le concentrazioni nelle acque destinate al consumo umano di Pfba fino a 0,5 ug/L e di Pfbs fino a 0,5 ug/litro, non configurano rischi per la salute umana. Mentre per quel che riguarda gli «altri PFAS» viene confermato il rispetto del valore di performance di 0,5 ug/litro e per Pfos e Pfoa vengono confermati i valori di performance già indicati. Tali indicazioni vengono pertanto acquisite, sottolineando che esse vanno applicate tenendo conto dell'intero contenuto del parere dell'Istituto Superiore di Sanità in quanto contesto di riferimento delle valutazioni in esso espresse»;
   nella regione Veneto, tale grave situazione è nota dal 30 settembre 2013, quando Arpa Veneto diffuse uno studio dettagliato intitolato: «Stato dell'inquinamento da sostanze Perfluoroalchiliche (PFAS) in provincia di Vicenza, Padova e Verona» nel quale evidenziava la presenza di queste pericolose sostanze nel sistema idrico di tutta la zona occidentale del Veneto; in particolare al capitolo «5.1 Acque sotterranee» si dice: «Per quanto riguarda le acque sotterranee, la matrice ambientale più seriamente colpita dall'inquinamento, allo stato attuale i comuni rilevati con valori di contaminazione nelle acque sotterranee maggiori o uguali a 100 ng/l sono 21, dei quali 15 in provincia di Vicenza, 3 in provincia di Verona e 3 in provincia di Padova»;
   le concentrazioni di perfluorati, sono allarmanti, almeno duecento volte superiori rispetto anche ai più recenti tassi soglia; siamo, quindi, di fronte ad un'emergenza che tocca il Vicentino, il Veronese ed il Padovano e che potenzialmente coinvolgerebbe un bacino di 350-400 mila cittadini su di un territorio che è circa un quarto, per superficie, di tutto il Veneto;
   circa un 10 per cento dei campioni studiati di pesci e vegetali, sarebbero risultati pesantemente contaminati da Pfas è soprattutto da Pfos (perfluorottano sulfonato), sebbene questo sia stato eliminato dal commercio all'inizio degli anni 2000, a causa della sua conclamata pericolosità;
   l'inquinamento delle falde acquifere non appare arrestarsi in quanto, oggi, alcune tracce d'inquinamento cominciano ad apparire anche in provincia di Rovigo, in linea con il deflusso idrico del sistema fluviale dell'Agno-Guà-Fratta-Gorzone che porta le acque sino al mare, sfociando nel Mar Adriatico, in prossimità della cittadina di Chioggia;
   l'attuale persistenza di tali sostanze nelle falde acquifere, nei terreni e nei cibi, nonostante il considerevole lasso di tempo intercorso dalla fine della commercializzazione, induce a ritenere che la contaminazione dell'ambiente veneto possa essere considerata quasi irreversibile –:
   se i Ministri interrogati, siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se e con quali metodi si intenda procedere alle opportune verifiche ambientali, per quanto di competenza, finalizzate all'organizzazione di un sistema diffuso di monitoraggio di tali e pericolosissime sostanze inquinanti;
   se e per mezzo di quali iniziative di competenza, intenda il Governo promuovere i controlli di sicurezza alimentare sulla commercializzazione di beni alimentari al fine di verificare le concentrazioni di Pfas; ed eventualmente ritirare dal mercato gli alimenti contaminati;
   se e quali strumenti si intendano utilizzare, per quanto di competenza, per fare chiarezza sulla vicenda in merito allo svolgimento dei controlli di sicurezza, anche approfondendo le eventuali responsabilità che possano venire ravvisate, relazione alle zone inquinate da Pfas;
   se il Governo abbia considerato l'opportunità di attuare piani di sensibilizzazione ed informazione dell'opinione pubblica su tali fenomeni d'inquinamento volti alla tutela dell'ambiente e della salute;
   se si stiano svolgendo studi che portino ad una definizione dei tassi della soglia dei contaminanti certi e che possano evitare il rischio di contaminazione dell'ambiente e lo sviluppo conseguente di patologie gravi nella popolazione residente nelle zone inquinate. (5-07634)


   DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI e PETRAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con, il decreto del Presidente della Repubblica del 5 giugno 1995 è stato istituito in provincia di Foggia, ai sensi della legge del 6 dicembre 1991 n. 394, «Legge quadro sulle aree protette», il parco nazionale del Gargano con il fine principale, in attuazione degli articoli 9 e 32 della Costituzione, di tutelare, valorizzare ed estendere le caratteristiche di naturalità, integrità territoriale ed ambientale, con particolare riferimento alla natura selvaggia dell'area protetta. Il parco nazionale del Gargano si estende su una superficie territoriale di circa 120.530 ettari e interessa il territorio di 18 comuni, con una popolazione di circa 200 mila abitanti, ed include anche la magnifica area marina protetta delle Isole Tremiti, isole che rappresentano l'unico arcipelago italiano in Adriatico;
   in data 28 aprile 2015, a norma degli articoli 2 e 7 della legge del 21 marzo 1958 n. 259, la Corte dei Conti, sezione di controllo sugli enti, ha depositato la determinazione n. 47 del 2015 nella quale si comunica alle Presidenze delle due Camere del Parlamento il risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'ente. Nella richiamata determinazione vi sono allegate anche le considerazioni della Corte insieme al conto consuntivo per l'esercizio 2013, corredato delle relazioni del Presidente e degli organi di revisione, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 31 maggio 2011;
   le conclusioni a cui giunge la Corte dei Conti, espresse nella documentazione sopraccitata, evidenziano che:
    il Piano del parco, pur deliberato dalla comunità del parco nel 2010 e confermato dal commissario straordinario, risulta ancora in fase di approvazione presso la regione Puglia;
    il regolamento ed il piano pluriennale economico sociale non sono stati ancora sottoposti alle procedure regionali per la loro approvazione;
    la comunità del parco non si è mai riunita nel 2013;
    il consiglio direttivo è scaduto il 21 maggio 2008. A tale riguardo l'ente, su sollecitazione della Corte, ha provveduto a designare con delibera n. 2/2013 i propri rappresentanti ma ad oggi, attende la nomina dei rappresentanti di competenza del Ministero dell'ambiente delle politiche agricole alimentari e forestali delle Associazioni ambientaliste e dell'ISPRA;
    la Corte, come nel referto precedente, ribadisce l'anomalia di detta situazione, considerato che l'organo determina l'indirizzo programmatico dell'Ente definendo gli obiettivi da perseguire;
    il parco, dall'ottobre 2010, è sprovvisto del direttore di nomina ministeriale;
    il conto consuntivo 2013 non è stato approvato dall'Ente entro il termine di legge del 30 aprile dell'anno successivo (articolo 38, comma 4, del decreto Presidente della Repubblica cit.);
    relativamente alla ritardata approvazione del conto consuntivo in esame la Corte, anche in considerazione della ripetitività del fenomeno, richiama l'Ente al puntuale rispetto della normativa in materia;
    dall'esame dei principali risultati gestionali emerge una situazione finanziaria ed economico-patrimoniale dell'Ente Parco in sostanziale peggioramento;
    l'esercizio 2013 si è chiuso, con un disavanzo di competenza di euro 566.576 (-226,0 per cento) ed un avanzo economico di euro 1.741.006 (-58,14 per cento), entrambi in diminuzione rispetto al 2012;
    la quota prevalente di entrate correnti è costituita dai trasferimenti statali (pari al 98,4 per cento) del totale per l'esercizio in esame), sui quali grava la quasi totalità della spesa di parte corrente, di cui la parte maggiore è assorbita da quella istituzionale e da quella per il personale;
    i contributi correnti degli enti territoriali, sono pari allo 0,6 per cento;
    la quota dell'autofinanziamento rapportata al quadro complessivo delle entrate correnti costituisce soltanto lo 0,7 per cento del totale consentendo la copertura di una parte trascurabile della spesa corrente;
    l'analisi delle spese correnti pone in evidenza per l'esercizio in esame che nel rapporto di composizione l'incidenza delle spese per il personale in attività di servizio è pari al 40,96 per cento del totale delle spese, in diminuzione del 6,8 per cento sul 2012;
    le spese istituzionali, che rappresentano il 33,40 per cento del totale della spesa corrente, registrano un incremento del 31,7 per cento nel 2013;
    la quasi totalità dei residui attivi, che al termine del 2013 registrano una diminuzione del 16,83 per cento è costituita da crediti che l'Ente vanta nei confronti dello Stato e di altri soggetti pubblici (euro 2.449.462);
    la massa dei residui passivi, registri una significativa flessione nel 2013 attestandosi al valore di euro 6.214.458 (-20,08 per cento);
    la situazione amministrativa, al 31 dicembre 2013, mostra una giacenza di cassa pari a euro 14.380.805, indice di una elevata liquidità, ed un avanzo di amministrazione che presenta un incremento attestandosi a euro 10.615.809;
    il conto economico registra un avanzo pari ad euro 1.741.006 (-58 per cento rispetto all'esercizio precedente). Si rileva come il valore della produzione sia inferiore ai costi della produzione: l'equilibrio si riscontra solo grazie alle sopravvenienze attive che, nel confronto con l'esercizio precedente, risultano, peraltro dimezzate;
    il patrimonio netto di euro 14.300.724 (+13,86 per cento) rispetto al 2012;
   il comma 4 dell'articolo 9 della legge del 6 dicembre 1991 n. 394, «Legge quadro sulle aree protette» e successive modificazioni interne, sancisce tra l'altro che il consiglio direttivo è formato dal presidente e da otto componenti nominati con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, individuati tra esperti particolarmente qualificati in materia di aree protette e biodiversità, secondo la seguente modalità:
    a) quattro su designazione della comunità del parco, con voto limitato;
    b) uno su designazione delle associazioni di protezione ambientale individuate ai sensi dell'articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349;
    c) uno su designazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
    d) uno su designazione del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali;
    e) uno su designazione dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA);
   in data 23 aprile 2015 è stato nominato, con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il consiglio direttivo dell'ente parco del Gargano che tra gli altri vede nominati;
   per designazione della comunità del parco:
    Rocco Ruo, che secondo il curriculum pubblicato sul sito web del Parco del Gargano è un avvocato che dal 2007 presta servizio, in qualità di funzionario, presso l'INPS di Rodi Garganico, attualmente è anche assessore all'urbanistica del comune di Carpino (Foggia) e vanta senza soluzione di continuità dal 1994 la carica di consigliere comunale del comune di Carpino e dal 2008 consigliere provinciale, rivestendo in alcune occasioni anche il ruolo di assessore. È abilitato all'insegnamento di materie giuridiche ed economiche presso le scuole superiori, collaborando occasionalmente con vari Ministeri;
    Francesco Tavaglione, attuale sindaco del comune di Peschici che non vede pubblicato sul sito web del Parco del Gargano il proprio curriculum. Tuttavia anche sul sito web del comune di Peschici non si evince nulla in merito alle proprie competenze;
    Nicola Pinto, attuale sindaco del comune di Rodi Garganico che non vede pubblicato sul sito web del Parco del Gargano il proprio curriculum. Tuttavia sul sito web del comune di Rodi Garganico si evince che è un laureato in sociologia, eletto sindaco per la quarta volta, assessore provinciale per due volte e ha ricoperto la carica di presidente dell'ASL FG/4;
    Damiano Totaro, ex consigliere del comune di Monte Sant'Angelo, sciolto dal Consiglio dei Ministri per accertate forme di condizionamento da parte della criminalità organizzata con deliberazione del 17 luglio 2015, infatti sul sito web del Parco si evince che è decaduto dalla carica di consigliere ai sensi dell'articolo 9, comma 5, della legge 394 del 1991, come modificato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 73 del 2013;
   per designazione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali:
    Pasquale Coccia, perito industriale capotecnico specializzato in elettrotecnica, formato come   responsabile sicurezza, che ha esperienze lavorative passate nei mesi estivi nel settore agro-forestale, senza alcuna specificazione del ruolo adempiuto. Ex dirigente di un consorzio di Autotrasporto a Manfredonia, ex dipendente dell'amministrazione provinciale di Foggia nel settore stradale per il rispetto ambientale, ex addetto al personale e segretario particolare del direttore SGA e del dirigente scolastico e ad oggi capo settore dell'ufficio didattico e personale. Fondatore della sezione di Forza Italia di cui è stato anche coordinatore e dal 2013 dirigente del partito NCD, a Monte Sant'Angelo, comune di cui è stato dal 2002 al 2006 consigliere comunale;
   per designazione delle Associazioni di protezione ambientale:
    Marco Lion, iscritto al Touring club italiano di cui è responsabile ambiente. Nel corso della sua vita vanta numerose azioni atte alla salvaguardia e alla preservazione ambientale e facente parte dal 2010 del Consiglio nazionale per l'ambiente del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in rappresentanza delle associazioni riconosciute. Tuttavia le sue qualifiche e formazione scolastica sono nel campo della letteratura, filosofia, disciplina delle arti, della musica e dello spettacolo. È stato uno dei fondatori della lista Verde Marche e parlamentare della Camera nella XIV e XV legislatura;
   per designazione dell'ISPRA:
    Francesco Riga che dal curriculum pubblicato sul sito web del parco sembra rispettare quanto sancito dalla legge quadro in merito a esperienza e qualifiche in materia di aree protette e biodiversità;
   per designazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare:
    Massimo Monteleone che dal curriculum pubblicato sul sito web del parco sembra rispettare quanto sancito dalla legge quadro in merito a esperienza e qualifiche in materia di aree protette e biodiversità;
   ad avviso degli interroganti, a parte le designazioni di ISPRA e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, gli altri nominati non rispettano il criterio sancito dal comma 4 dell'articolo 9 della legge del 6 dicembre 1991 n. 394, «legge quadro sulle aree protette» e successive modificazioni, in merito alla parte riguardante i membri del consiglio direttivo individuati tra esperti particolarmente qualificati in materia di aree protette e biodiversità;
   lo stesso sito web del parco, in merito al consiglio direttivo, riporta tra l'altro una dicitura errata e non più vigente in quanto vi è scritto che i membri vengono «scelti tra persone particolarmente qualificate per le attività in materia di conservazione della natura» dicitura alla quale è aggiunto erroneamente anche «o tra i rappresentanti della Comunità del Parco». Tale dicitura era presente nella prima stesura della legge del 6 dicembre 1991, n. 394, ma, a seguito del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 73 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 26 giugno 2013 n. 148), in applicazione del comma 634 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, la stessa dicitura riportata nel sito web del parco è stata superata per cui attualmente è previsto solo che i membri designati siano «individuati tra esperti particolarmente qualificati in materia di aree protette e biodiversità»;
   il comma 5 dell'articolo 9 della legge del 6 dicembre 1991 n. 394, «Legge quadro sulle aree protette» e successive modificazioni prevede, tra l'altro, espressamente che «Qualora siano designati membri della Comunità del parco sindaci di un comune oppure presidenti di una comunità montana, di una provincia o di una regione presenti nella Comunità del parco, la cessazione dalla predetta carica a qualsiasi titolo comporta la decadenza immediata dall'incarico di membro del consiglio direttivo e il conseguente rinnovo, entro quarantacinque giorni dalla cessazione, della designazione. La stessa norma si applica nei confronti degli assessori e dei consiglieri degli stessi enti»;
   il Consiglio dei ministri, nella seduta del 17 luglio 2015, ha disposto lo scioglimento del Consiglio comunale di Monte Sant'Angelo ai sensi dell'articolo 143 del testo unico dell'ordinamento degli enti locali (decreto legislativo n. 267 del 2000). Il prefetto di Foggia, con proprio decreto n. 0024429 del 18 luglio 2015, ha sospeso il Consiglio comunale in attesa del perfezionamento del decreto del Presidente della Repubblica, nominando la commissione straordinaria. Il Presidente della Repubblica, con proprio decreto in data 20 luglio 2015 ha definitivamente disposto lo scioglimento del consiglio comunale per la durata di diciotto mesi affidando alla Commissione straordinaria le attribuzioni spettanti al Consiglio comunale, alla giunta e al sindaco, nonché ogni altro potere ed incarico connesso alle medesime cariche;
   pur riportando sul sito web del parco che il consigliere Damiano Totaro è «decaduto dalla carica di consigliere ai sensi dell'articolo 9, comma 5, delle legge n. 394 del 1991, come modificato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 73 del 2013 – in quanto il comune di Monte Sant'Angelo è stato sciolto per accertate forme di condizionamento da parte della criminalità organizzata a luglio del 2015, – sono pubblicate sul sito web del parco delibere del consiglio direttivo di dicembre 2015 che riportano la presenza tra i presenti dei componenti del direttivo, di Damiano Totaro. Le delibere sono:
    n. 19 del 7 dicembre 2015, «Riaccertamento dei residui articolo 40 decreto del Presidente della Repubblica 97/2003 – Approvazione»;
    n. 20 del 7 dicembre 2015, «Conto consuntivo esercizio 2014 – Approvazione»;
    n. 21 del 7 dicembre 2015, «Variazioni al bilancio 2015 ai sensi dell'articolo 19 comma 2 del reg. di amministrazione e contabilità dell'Ente parco»;
    n. 22 del 7 dicembre 2015, «Piano della Performance 2015/2017, di cui all'articolo 10, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150. Modifiche ed integrazioni alla deliberazione del Consiglio Direttivo n. 8 del 26/06/2015. Determinazioni»;
   da fonti stampa del sito WEB di informazione «L'immediato» dell'11 settembre 2015 dal titolo «Mafia a Monte, “chi si fa i fatti suoi campa cento anni”», si apprende che Damiano Totaro, sia il cugino di un giovane boss di Monte Sant'Angelo, tale Matteo Fabiola Pettinicchio: «Suo cugino Damiano Totaro (con interessi nel Monte Calcio e consigliere direttivo del Parco del Gargano) gestisce la RSSA che, stando alla relazione, è stata oggetto di atti di intimidazione già poche settimane dopo il rilascio dell'autorizzazione al funzionamento. Dagli accertamenti effettuati dall'organo ispettivo è emerso che tra i dipendenti della residenza per anziani c’è proprio la compagna di Matteo Pettinicchio oltre a quella di Enzo Miucci, anche quest'ultimo esponente di spicco della criminalità organizzata»;
   dal statuto dell'Ente parco nazionale del Gargano, all'articolo 1, comma 2, si apprende che «L'Ente parco ha sede legale in Foresta Umbra e sede amministrativa nel comune di Monte Sant'Angelo. Il Consiglio Direttivo ha la facoltà di individuare uffici periferici nell'ambito del territorio dell'Ente parco»;
   con il decreto n. 384 del 12 maggio 2010 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Stefania Prestigiacomo, eletta, nelle liste del Popolo della Libertà, nominava per tre mesi Stefano Sabino Francesco Pecorella commissario straordinario dell'ente parco nazionale del Gargano. Con il decreto n. 1045 del 27 ottobre 2010 del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stato confermato commissario straordinario dell'ente parco nazionale del Gargano per la durata di altri tre mesi e comunque non oltre la nomina del presidente. Con decreto n. 123 del 3 marzo 2011 Stefano Sabino Francesco Pecorella è nominato nuovamente commissario straordinario dell'ente parco nazionale del Gargano per la durata di tre mesi e comunque non oltre la nomina del presidente. In queste occasioni la nomina di commissario è avvenuta senza l'intesa prevista con la regione Puglia e infatti la Corte Costituzionale ha annullato con sentenza n. 255 del 2011 (Pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 5 ottobre 2011 n. 42) i sopra richiamati decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di nomina del commissario Stefano Sabino Francesco Pecorella;
   in data 28 dicembre 2011, il presidente della regione Puglia, Nichi Vendola con nota prot. 14232, ha espresso formale intesa sulla nomina di Stefano Sabino Francesco Pecorella quale presidente dell'ente parco nazionale del Gargano;
   in data 15 marzo 2012 con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Corrado Clini è stato eletto presidente dell'ente parco nazionale del Gargano, Stefano Sabino Francesco Pecorella, già commissario, è stato nominato dall'allora Ministro Clini con pareri favorevoli della 13a Commissione permanente, territorio ambiente, beni ambientali, del Senato rilasciato in data 1o febbraio 2012 e della 8a Commissione permanente ambiente della Camera dei deputati in data 15 febbraio 2012;
   dallo stenografico delle Commissioni sopra richiamate in sede di parere per la nomina del presidente dell'ente parco nazionale del Gargano si evince che in sede parlamentare è emerso, per conto dell'On. Zamparutti che: «dalla lettura del curriculum del designato non emergono quelle specifiche competenze in campo ambientale che dovrebbero caratterizzare i candidati alla carica di presidente dei parchi nazionali. Richiama per questo il Governo ad una più attenta valutazione dei requisiti di tali candidati ed ad attenersi alla massima trasparenza nella loro designazione». Infatti lo stesso relatore, l'On. Ugo Lisi del Partito delle Libertà, della proposta di nomina a presidente dell'ente Parco descrive il curriculum di Pecorella: «Già laureato in giurisprudenza, l'avvocato Pecorella ha maturato una significativa esperienza in diversi ambiti (società consortile operante nel settore dell'energia, società operante nel settore del gas, consorzio operante nel settore della lavorazione del sale), in particolare nel territorio del Parco Nazionale del Gargano». Si rivela dagli stenografici per menzione dell'On. Piffari, che al tempo il Pecorella ricopriva «la carica di assessore provinciale all'ambiente e che potrebbe diventare senatore della Repubblica in questa legislatura, non possieda, al di là dei profili tecnico-giuridici relativi alla compatibilità fra la carica politica che già ricopre e quella amministrativa per la quale viene proposto, quelle caratteristiche che sono indispensabili a svolgere bene il ruolo di presidente di un ente importante, come è un Parco nazionale. Conclude, quindi, denunciando il carattere politico delle proposte di nomina in esame particolarmente evidente nel caso sopra evidenziato –, a conferma di una cattiva politica che appare sempre più impegnata a tutelare se stessa e i propri privilegi anziché a fare gli interessi delle collettività e dei territori)»;
   dai curricula pubblicati sul sito del parco del Gargano di Stefano Sabino Francesco Pecorella, effettivamente si evince che è un avvocato e ha svolto un corso di aggiornamento e formazione professionale in «Tecnica di polizia giudiziaria ambientale», in quanto presidente dell'ente parco del Gargano, è anche coordinatore regionale Federparchi Puglia e componente del consiglio direttivo nazionale di Federparchi. È nel consiglio d'amministrazione di ATI SALE s.p.a., azienda produttrice di sale di origine marina anche nel mercato del sale cristallizzato e proprietaria delle saline di Margherita di Savoia. Il pacchetto azionario di Atisale s.p.a. è stato privatizzato nel 2003 quando il 100 per cento delle quote è stato rilevato dalla società Salapia Sale s.r.l. di Margherita di Savoia (Foggia). Da fonti stampa si apprende che la Atisale s.p.a. sia in regime di concordato preventivo a causa di un enorme debito quantificato in 60 milioni di euro;
   Pecorella è stato anche Commissario Liquidatore del Consorzio Agrario provinciale di Foggia e commissario governativo del Consorzio agrario provinciale di Foggia. Ha svolto ruoli di consulenza legale e giuridica per importanti soggetti istituzionali, incluso l'Istituto di diritto del lavoro dell'università degli studi di Perugia. Inoltre ha svolto consulenze per l'Associazione degli industriali di Capitanata e per la SE.R.I. S.r.l., per i servizi reali alle Imprese dell'AssIndustria di Capitanata, per la società consortile Ambiente e Territorio S.C.P.A., per la società Confenergia spa nel settore energetico e del gas e per il consorzio «Margherita Sviluppo», per la Manfredonia Vetro s.p.a. e Sangalli Vetro s.p.a.;
   anche la sua carriera politica è riportata nel curriculum risultando alle elezioni politiche del 2008 al Senato della Repubblica, 1o dei non eletti. Assessore provinciale di Foggia e consigliere comunale di Manfredonia, presidente del Comitato per la Libertà di Manfredonia, vice coordinatore provinciale del Popolo delle Libertà e infine componente del direttivo regionale del Popolo delle Libertà;
   a giudizio dell'interrogante, ad eccezione dei componenti designati da ISPRA e dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con qualche riserva del componente designato dalle associazioni di protezione ambientale, gli altri componenti designati dalla comunità del parco e dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, non sembrano rispettare i criteri stabiliti per legge essendo evidentemente non individuati tra esperti particolarmente qualificati in materia di aree protette e biodiversità, così come sancito dal comma 4 dell'articolo 9 della legge del 6 dicembre 1991, n. 394 «Legge quadro sulle aree protette»;
   anche il presidente, sempre ad avviso dell'interrogante, non sembra avere competenze specifiche in materia di aree protette e biodiversità, ma la sua nomina appare essere stata definita per altri fattori come ad esempio l'appartenenza politica e soprattutto appaiono evidenti i propri conflitti d'interesse nell'essere allo stesso tempo commissario (poi decaduto per sentenza di Corte Costituzionale) e poi presidente dell'ente parco quando svolge consulenze per industrie della capitanata;
   il «consiglio direttivo, nonostante la decadenza di Damiano Totaro a consigliere comunale avvenuta nel luglio 2015 a seguito del scioglimento del comune di Monte Sant'Angelo, per accertamenti dovuti alla presenza della criminalità organizzata, vede la presenza del Totaro in almeno 4 delibere del consiglio direttorio a dicembre 2015 riportate in premessa, nonostante il comma 5 dell'articolo 9 della legge del 6 dicembre 1991, n. 394, «Legge quadro sulle aree protette», preveda che la cessazione dalla predetta carica a qualsiasi titolo comporta la decadenza immediata dall'incarico di membro del consiglio direttivo, con conseguenze direttamente incidenti sul regime di validità e legittimità delle delibere stesse;
   nel sito web del parco nazionale del Gargano vi sono diverse sezioni, come ad esempio quella riguardante i bandi di concorso, che non sembrano rispettare la trasparenza sancita dal decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, riguardante il «Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti espressi in premessa, se condividano le considerazioni sopra riportate e quali urgenti iniziative intendano adottare al fine di risolvere le criticità espresse in premessa, anche alla luce di quanto deliberato dalla Corte dei Conti;
   quali iniziative utili intendano adottare al fine di promuovere l'immagine del magnifico parco nazionale del Gargano e della straordinaria area marina protetta delle Isole Tremiti che non meriterebbero di esser gestite secondo criteri politici, bensì con criteri meritocratici e con indiscussa competenza in merito alla salvaguardia, alla valorizzazione e alla promozione delle stesse, vista anche la rilevante disoccupazione in Italia che affligge anche il settore degli esperti in materie riguardanti la tutela della biodiversità. (5-07637)

Interrogazione a risposta scritta:


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante, in data 18 febbraio 2015 a presentato l'atto di sindacato ispettivo n. 4-08024, rimasto ancora senza risposta, denunciando la realizzazione di un complesso turistico-alberghiero a «Punta Scifo», in località di Capo Colonna e Alfieri, in spregio a quanto disposto dalla soprintendenza archeologica;
   il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo in data 30 aprile 2015, rispondendo all'atto di sindacato ispettivo 4-03792, ha affermato: «per quel che riguarda, infine, l'ultima questione sollevata dall'interrogante, e concernente il cosiddetto mega villaggio turistico progettato e realizzato limitatamente ad alcune delle piazzole di ancoraggio a terra dei relativi bungalows, in località punta Scifo, a poco più di un chilometro dall'area archeologica di Capo Colonna, il Direttore generale Archeologia riferisce che: «a margine del sopralluogo di cui si è finora riferito, egli ha anche effettuato una ispezione nella detta località, ed ha potuto constatare, su segnalazione degli stessi archeologi della Soprintendenza, la presenza nell'area di estese superfici di frammenti fittili e di materiali di crollo, che individuano la presenza, altamente diffusa, di insediamenti (fattorie), sia ellenistici che romani, per cui ha deciso di fornire alla Soprintendenza per l'Archeologia della Calabria le necessarie risorse finanziarie per avviare una campagna di indagini archeologiche finalizzate alla tutela archeologica dell'area, nelle forme e con le modalità che risulteranno più coerenti con gli eventuali rinvenimenti, dei detti siti» –:
   a quanto ammontino e se siano già state fornite alla Soprintendenza per archeologia della Calabria le risorse finanziare per avviare le indagini archeologiche in località Punta Scifo e, nel caso non fosse avvenuto, se non intenda assumere iniziative per accelerare l'erogazione delle stesse per tutelare un'area, archeologica unica nel suo genere. (4-11922)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, PANNARALE, GIANCARLO GIORDANO, COSTANTINO, PIRAS, QUARANTA, SANNICANDRO, MELILLA, DURANTI, PLACIDO, AIRAUDO e FERRARA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Montefeltro, regione storica delle Marche situato prevalentemente nella provincia di Pesaro Urbino, è un territorio ricco di storia e con un grande patrimonio artistico e culturale distribuito in diverse città d'arte e borghi, che ne fanno a buon titolo un «museo diffuso»;
   una parte importante di questo patrimonio è esposta nella Galleria nazionale delle Marche, situata nel prestigioso Palazzo Ducale di Urbino;
   tuttavia una parte altrettanto importante del patrimonio prodotto in tale territorio è situata al di fuori della regione Marche, a seguito di varie vicissitudini storiche che hanno portato le singole opere in diverse collezioni ed esposizioni in altri poli museali;
   tra le opere di maggior rilievo attualmente fuori dalle Marche si segnalano: «Il polittico di Valle Romita» di Gentile da Fabriano, attualmente presso la Pinacoteca di Brera (Milano); il «Doppio ritratto dei duchi di Urbino» (dittico con Federico e Battista Sforza), di Piero della Francesca, attualmente conservata presso la Galleria degli Uffizi (Firenze); Pala Montefeltro (Sacra Conversazione con la Madonna col Bambino, sei santi, quattro angeli e il donatore Federico da Montefeltro), anch'esso di Piero della Francesca, conservato presso la Pinacoteca di Brera (Milano); le opere di Raffaello «Autoritratto», «Ritratto di Guidobaldo da Montefeltro», «Ritratto di Elisabetta Gonzaga» e «Ritratto di giovane con la mela» (Ritratto di Francesco Maria Della Rovere), tutte presso la Galleria degli Uffizi di Firenze; il «Ritratto di Francesco Maria Della Rovere» e il «Ritratto di Eleonora Gonzaga Della Rovere» di Tiziano, sempre presso la Galleria degli Uffizi di Firenze;
   tali opere costituiscono una parte significativa della identità culturale del territorio del Montefeltro, e il loro ritorno nella terra dove sono state concepite e realizzate rappresenterebbe un importante momento di valorizzazione di tutto il patrimonio culturale dell'area, oltreché una importante occasione per rilanciare il turismo culturale in un territorio con fortissime potenzialità non ancora pienamente valorizzate –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno sostenere, anche mediante lo stanziamento di fondi ad hoc, l'organizzazione di un evento culturale finalizzato a restituire alla città di Urbino la fruizione diretta delle opere d'arte richiamate in premessa, al fine di rilanciare il turismo culturale nella provincia di Pesaro e Urbino e nei territori circostanti. (5-07616)


   VIGNALI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   le edizioni nazionali rispondono alla funzione di valorizzazione del patrimonio di pensiero e di arte comune alla tradizione culturale della nazione;
   a partire dalla fine del 1870 lo Stato unitario, per iniziativa dell'allora Ministro della pubblica istruzione Francesco De Sanctis, promosse con fondi pubblici la pubblicazione delle opere latine di Giordano Bruno, a cui seguirono le edizioni delle opere di Galileo Galilei e il progetto degli scritti di Machiavelli;
   con legge 1o dicembre 1997, n. 420, si è inteso ricondurre ad unità l'intervento statale a favore di comitati nazionali per lo svolgimento di edizioni nazionali;
   a tal fine, la legge richiamata ha previsto l'istituzione presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo della Consulta dei comitati nazionali e delle edizioni nazionali;
   la Consulta dei comitati nazionali e delle edizioni nazionali, di ultima nomina (17 marzo 2015), ha ripartito le risorse disponibili per l'anno finanziario 2015 e per il triennio 2015-2018;
   le risorse economiche ripartite sono di troppo modesto valore considerata l'importante funzione che le edizioni nazionali rivestono nel nostro Paese, rispondendo esse «alla fondamentale esigenza scientifica di garantire la tutela, la valorizzazione e la fruizione del patrimonio letterario e di pensiero costituito dei nostri autori...», così come riportato dallo stesso sito internet del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, direzione generale biblioteche e istituti culturali;
   peraltro, a fronte di tale esiguo o nullo finanziamento, permangono a carico dei proponenti, obblighi di legge eccessivamente onerosi –:
   se il Ministro abbia intenzione di assumere iniziative per incrementare il finanziamento per le edizioni nazionali, anche alla luce delle maggiori risorse derivanti dalla legge di stabilità, legge 28 dicembre 2015, n. 208, ed in particolare dal comma 335 dell'articolo 1. (5-07633)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FASSINA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dei beni e le attività culturali è stato oggetto di una riforma nel 2014, riforma in cui la distribuzione funzionale degli organici stava raggiungendo il necessario assestamento dopo oltre un anno di modifiche dovute alla introduzione dei poli museali, dell'accorpamento delle Sopraintendenze e dei musei autonomi;
   il 22 gennaio 2016 è stata varata una nuova riforma senza confronto, né dialogo, con le parti sociali, le associazioni di categoria, e con i comitati tecnico scientifici;
   tale riforma introduce le Soprintendenze archeologia belle arti e paesaggio, 10 nuovi poli museali autonomi, accorpa le soprintendenze archivistiche e bibliografiche;
   tale riforma presenta aspetti di criticità rilevati dalle associazioni di settore e dai lavoratori del Ministero, con particolare riguardo a: cancellazione della tutela archeologica; parcellizzazione di aree come il Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo e dei poli museali appena creati in ulteriori poli autonomi, come il Polo dell'Eur o il polo tiburtino nel Lazio; soppressione dei ruoli dirigenziali in capo all'Istituto centrale per la demoetnoantropologia a favore dell'istituzione di una nuova dirigenza del polo museale dell'Eur, polo volto esclusivamente alla valorizzazione dei musei delle civiltà; accorpamento della tutela delle biblioteche già in capo alle regioni alle Soprintendenze archivistiche, attualmente senza personale e senza competenze adeguate per la tutela delle biblioteche;
   appena approvata tale riforma, il Ministero ha inteso emanare il 25 gennaio 2016 un provvedimento interno di mobilità volontaria proponendo ai lavoratori le destinazioni pre-riforma, vale a dire posti di lavoro in via di soppressione o modifica, quali quelli presso il Museo nazionale romano di Palazzo Massimo, l'Istituto centrale per la demoetnoantropologia e la Soprintendenza per il Lazio e l'Etruria. Tale decisione ha avuto l'effetto di generare confusione e incertezza nei lavoratori interessati alla procedura –:
   se il Ministro interrogato intenda avviare iniziative, anche normative, al fine di favorire un confronto con le associazioni di settore e le parti sindacali e di procedere a un percorso condiviso legato ai contenuti della nuova riorganizzazione delle attività e delle competenze del Ministero dei beni e le attività culturali e del turismo;
   se s'intendano avviare iniziative volte al ritiro del provvedimento di mobilità volontaria, così da adeguarlo alla nuova geografica funzionale del Ministero e dare possibilità ai lavoratori di assumere volontariamente scelte lavorative corrispondenti alle competenze acquisite nel tempo nelle varie sedi di assegnazione, e ancora, se il Ministro interrogato non intenda promuovere iniziative a carattere ispettivo per verificare se l'effettiva risistemazione legata al nuovo Polo museale dell'Eur sia effettivamente adeguata. (4-11917)


   PARENTELA, NESCI e DIENI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in località, Cofino, nel territorio di Stefanaconi, a ridosso del comune di Vibo Valentia, a quanto consta agli interroganti, vi sono ripetitori posti nelle vicinanze di un'area espropriata diversi anni orsono per la realizzazione del parco archeologico urbano di Hipponion – Vibo Valentia;
   il sito, di rilevante interesse archeologico, era stato indagato in maniera sistematica per la prima volta da Paolo Orsi. Colpito dalla posizione panoramica e preminente del luogo, il celebre archeologo fece effettuare degli scavi tramite trincee in lungo e in largo sull'altura, fino all'individuazione di una struttura sacra: ciò che rimaneva di un tempio ionico costruito sul finire del V sec. a.C., delle dimensioni di m 27,5 x 18,10. Negli anni ’70, in aree ricadenti all'interno dello stesso santuario, sotto la direzione dell'allora ispettore di soprintendenza Claudio Sabbione e del dottor Ermanno Antonio Arslan, furono riportati alla luce a più riprese, con scavi di emergenza, altri edifici di carattere sacro. Poco più est del Tempio si rinvennero un muro di contenimento e una seconda struttura; a breve distanza emerse una statua marmorea a grandezza naturale, oggi esposta presso il Museo archeologico nazionale di Vibo Valentia. Nei pressi delle vicine case popolari, durante i lavori intrapresi dalla Gescal, furono trovate altre strutture di età greca, una delle quali era stata sovrapposta ad un deposito votivo di statuette e vasi di età più antica. Un grosso muro in blocchi calcarei venne identificato nelle vicinanze. Dei numerosi reperti rinvenuti, diversi sono esposti nel locale museo archeologico. Altri siti localizzati nella stessa nella zona restituirono invece strutture e materiali di età romana;
   con i fondi attivati di recente dal comune, le strutture antiche presenti nella zona sono state riportate alla luce. I lavori, effettuati fra settembre e dicembre del 2015, hanno infatti messo a vista una serie di edifici di età greca, alcuni già scoperti nel corso del XX secolo e re-interrati, altri emersi oggi per la prima volta;
   l'edificio templare scavato e poi coperto nuovamente dall'Orsi nel 1921 è stato riportato in luce e, nonostante le pesanti spoliazioni subite in antico, presenta ancora oggi una certa monumentalità, grazie ai possenti blocchi del basamento e ai due rocchi di colonna superstiti. Davanti all'ingresso del tempio è emerso, inoltre, qualche metro più a Sud, un manufatto in blocchi di calcare nel quale, quasi certamente, è possibile riconoscere l'altare. Nei pressi dello stesso, ancora non del tutto scavate sono altre due strutture: una in laterizi e ciottoli, l'altra in blocchi di calcare. In un altro settore, il muro di contenimento e la struttura già rinvenuti negli anni ’70 sul lato est, sono tornati visibili;
   l'articolo 45 del decreto legislativo 42 del 2004 (codice dei beni culturali e del paesaggio) prevede che: «1. Il Ministero ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l'integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro. 2. Le prescrizioni di cui al comma 1, adottate e notificate ai sensi degli articoli 46 e 47, sono immediatamente precettive. Gli enti pubblici territoriali interessati recepiscono le prescrizioni medesime nei regolamenti edilizi e negli strumenti urbanistici.»;
   nel complesso, la località Cofino è un sito di interesse paesaggistico che copre una visuale molto ampia, dall'Etna allo Stromboli, fino alle tutte le Isole Eolie nei giorni più limpidi. La sua rilevanza nel complesso circondariale è notevole, per il controllo visivo esteso sul golfo di Sant'Eufemia, la valle del Mesima, le Serre, da dove le strutture sacre ivi presenti dovevano essere ben riconoscibili;
   i ripetitori esistenti, oltre a deturpare l'ambiente circostante il tempio, sono, altresì, posizionati sul ciglio di un burrone che, in caso di cedimento del suolo, danneggerebbe di certo la struttura di età greca ivi ubicata;
   a giudizio degli interroganti l'importanza dei reperti trovati nel sottosuolo e la persistenza di strutture fisse a carattere monumentale rende necessaria ed urgente l'apposizione, sull'area in esame, del vincolo archeologico –:
   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato in merito alla vicenda esposta in premessa con riguardo agli aspetti di competenza e se non ritenga opportuno, da un lato, che venga imposto un vincolo indiretto, per scongiurare l'eventuale futura realizzazione di altre strutture fisse o temporanee che danneggino il decoro del parco archeologico urbano di Hipponion – Vibo Valentia, e dall'altro di consentire la contestuale rimozione e il dislocamento in altra sede dei ripetitori ivi presenti;
   se la Soprintendenza abbia verificato lo stato in cui versa il parco archeologico e se non ritenga che sia in pericolo l'integrità dei beni culturali immobili e che siano danneggiate la prospettiva e la luce, oltre ad essere alterate le condizioni generali di ambiente e di decoro;
   se il Governo non ritenga opportuno elaborare con urgenza un progetto di recupero di tutta l'area che coinvolga enti locali, soggetti privati e associazioni accomunati dall'impegno per la tutela e la conservazione del patrimonio archeologico. (4-11920)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARRA. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sindaco del comune di Suzzara ha posto da tempo la questione relativa all'opportunità che la caserma dell'Arma dei carabinieri del suddetto comune torni nell'ambito del comando di compagnia di Gonzaga;
   da notizie apprese e apparse anche a mezzo stampa la caserma di Borgoforte, che è sotto il comando della compagnia di Viadana, sembrerebbe andare incontro ad un possibile ridimensionamento passando sotto il comune di Borgovirgilio;
   ove confermata tale notizia avrebbe i suoi effetti anche per la caserma di Suzzara che potrebbe tornare benissimo sotto il comando più funzionale anche sotto l'aspetto operativo del comando di Gonzaga;
   Suzzara è un importante centro in cui nell'ultimo anno sono stati denunciati 643 reati, di cui 438 furti e di questi 120 in abitazione;
   vi è un'alta sensibilità dell'opinione pubblica sul tema della sicurezza a tal punto che i cittadini hanno manifestato anche la disponibilità ad autotassarsi pur di avere un numero maggiore di pattuglie a presidio del territorio;
   la proposta del sindaco di Suzzara ha quindi una valenza molto rilevante per assicurare una migliore e più funzionale copertura del territorio da parte dell'Arma dei carabinieri –:
   quali iniziative, in considerazione di quanto esposto in premessa, intenda assumere il Governo al fine di consentire il ritorno della caserma dei carabinieri di Suzzara sotto il comando della compagnia di Gonzaga, assicurando un migliore e più efficace controllo del territorio anche dal punto di vista logistico, nonché di potenziarne i mezzi e la dotazione organica. (5-07617)

Interrogazione a risposta scritta:


   MARANTELLI, SCANU, D'ARIENZO, FERRO, FUSILLI, SALVATORE PICCOLO, STUMPO, PAOLO ROSSI e VILLECCO CALIPARI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il consiglio comunale di Varese con delibera n. 48 del 14 novembre 2013 ha chiesto che il Gonfalone della città venga insignito di una medaglia «al valore» per i fatti risorgimentali del maggio del 1859;
   nella stessa delibera si ricordano gli avvenimenti storici che hanno portato alla liberazione di Varese, prima tra le città italiane, e l'eroismo delle donne della città che in quei combattimenti hanno assistito e curato sia feriti sia austriaci che italiani creando così i presupposti per la nascita della Croce rossa italiana;
   alla richiesta hanno aderito oltre 120 associazioni cittadine;
   la Prefettura di Varese, con lettera firmata dal prefetto Giorgio Zanzi, ha inoltrato in data 27 dicembre 2013 la «richiesta di riconoscimento alla Città di Varese» al gabinetto del Ministro della difesa sottolineando come questo atto «costituirebbe un premio apprezzatissimo per fatti che ebbero nel contesto risorgimentale rilievo ed importanza e che purtroppo non risulta siano stati nel tempo valorizzati come sarebbe stato opportuno» –:
   se il Ministro intenda assumere le iniziative di competenza per corrispondere, con ogni possibile sollecitudine, alla richiesta in premessa. (4-11921)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   GEBHARD, ALFREIDER, PLANGGER e SCHULLIAN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   quest'anno, per la prima volta, nel bando di concorso per gli ufficiali dell'Accademia della guardia di finanza non è stato riservato alcun posto ai possessori dell'attestato di bilinguismo da arruolare nella regione Trentino-Alto Adige, nonostante permanga una grave carenza di ufficiali bilingui;
   attualmente vi sono, infatti, solo quattro ufficiali bilingui, di cui tre con il patentino di bilinguismo già ottenuto ed entrati nel Corpo con i posti riservati ed uno che sta facendo gli esami per conseguirlo;
   complessivamente nella provincia di Bolzano o nella provincia di Trento, nei reparti con competenza sulla provincia di Bolzano, sono previsti 39 ufficiali in pieno organico, mentre gli ufficiali effettivamente presenti sono solo 36, di cui solo 3 entrati con i posti riservati ai bilingui (8,5 per cento);
   va notato che nel bando di concorso vengono espressamente richiamati il decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, recante lo statuto speciale del Trentino-Alto Adige ed il decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1976, n. 752, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di proporzione negli uffici statali siti nella provincia di Bolzano e di conoscenza delle due lingue nel pubblico impiego», poi però nelle riserve di posti non ne compare alcuna per i candidati bilingui;
   ciò porta a ritenere che la posizione dell'amministrazione sia quella di aver preso in considerazione l'opportunità di riservare dei posti per i bilingui, ma di aver valutato, nell'ambito dell'autonomia delle scelte amministrative, che l'8,5 per cento sia una percentuale sufficiente a soddisfare le esigenze di legge;
   se dovesse passare questo principio l'amministrazione, anziché tendere ad arrivare al 100 per cento degli ufficiali bilingui, creerebbe un precedente secondo il quale una certa percentuale di personale bilingue – decisa autonomamente dall'amministrazione – è sufficiente a garantire l'assolvimento dell'obbligo giuridico di garantire l'uso di entrambe le lingue nella provincia di Bolzano, con conseguenze anche sull'interpretazione della più recente modifica normativa intervenuta con il decreto legislativo 21 gennaio 2011, n. 11 proprio in materia di riserva di posti per i candidati in possesso dell'attestato di bilinguismo nelle forze dell'ordine –:
   come ritenga di intervenire affinché sia garantito il dettato statutario in materia di uso della lingua tedesca in provincia di Bolzano, che viene invece sistematicamente disatteso, con particolare riguardo all'impiego della guardia di finanza in Alto Adige. (5-07642)


   MORETTO e PELILLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 10, comma 1, n. 20), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, recante istituzione e disciplina dell'Imposta sul valore aggiunto, prevede l'esenzione IVA per le prestazioni educative dell'infanzia e della gioventù e quelle didattiche di ogni genere, anche per la formazione, l'aggiornamento, la riqualificazione e riconversione professionale, rese da istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni e da ONLUS, comprese le prestazioni relative all'alloggio, al vitto e alla fornitura di libri e materiali didattici, ancorché fornite da istituzioni, collegi o pensioni annessi, dipendenti o funzionalmente collegati, nonché le lezioni relative a materie scolastiche e universitarie impartite da insegnanti a titolo personale;
   la suddetta disposizione normativa subordina l'applicazione dell'agevolazione fiscale dell'esenzione da imposta al verificarsi congiunto dei seguenti due requisiti: a) requisito oggettivo: le prestazioni devono essere di natura educativa dell'infanzia e della gioventù o didattica di ogni genere, ivi compresa l'attività di formazione, aggiornamento, riqualificazione e riconversione professionale; b) requisito soggettivo: le prestazioni devono essere rese da istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni;
   al fine di soddisfare il citato requisito soggettivo, l'Agenzia delle entrate, con la circolare ministeriale 22/E del 18 marzo 2008 ha chiarito che sono riconducibili nell'ambito applicativo del beneficio, dell'esenzione dall'Iva anche «le prestazioni educative, didattiche e formative approvate e finanziate da enti pubblici» in quanto nel finanziamento del progetto educativo e didattico sarebbe insita l'attività di controllo e di vigilanza da parte dell'ente pubblico (amministrazioni statali, regioni, enti locali, università e altro) avente ad oggetto i requisiti soggettivi e la rispondenza dell'attività resa agli obiettivi formativi di interesse pubblico che l'ente è preposto a tutelare;
   alla luce di questa interpretazione il finanziamento del progetto da parte dell'ente pubblico costituisce in sostanza il riconoscimento per atto concludente della specifica attività didattica e formativa posta in essere;
   la medesima circolare precisa che l'esenzione in questi casi è limitata all'attività di natura educativa e didattica specificatamente approvata e finanziata dall'ente pubblico e non si riflette sulla complessiva attività svolta dall'ente;
   la circolare nulla dice invece circa le modalità alternative di riconoscimento e non fornisce indicazioni in ordine all'entità o alle modalità di effettuazione del finanziamento da parte di enti pubblici utile ai fini dell'agevolazione; sarebbe pertanto necessario un chiarimento in merito ai predetti aspetti;
   la citata interpretazione dell'Agenzia delle entrate prevede l'applicazione dell'agevolazione a taluni soggetti escludendone tuttavia altri che non sono nelle condizioni di richiedere finanziamenti ad enti pubblici o nell'ipotesi in cui lo stesso ente pubblico non sia nelle condizioni di erogarlo –:
   al fine di una corretta interpretazione delle disposizioni volta ad evitare il contenzioso con l'amministrazione finanziaria, quali sino l'entità e la modalità di effettuazione del finanziamento da parte di enti pubblici necessario ai fini dell'applicazione dell'esenzione Iva di cui all'articolo 10, comma 1, n. 20), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, ma soprattutto quali le modalità alternative al finanziamento ai fini del riconoscimento del medesimo requisito soggettivo. (5-07643)


   SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva europea BRRD (bank recovery and resolution directive) ha introdotto regole armonizzate per prevenire e gestire le crisi delle banche e ha regolamentato il «bail in», il cosiddetto «salvataggio interno»;
   tale direttiva fornisce alle cosiddette «autorità di risoluzione», ruolo che in Italia è svolto dalla Banca d'Italia, poteri e strumenti per: a) pianificare la gestione delle crisi; b) intervenire per tempo, prima della completa manifestazione della crisi; c) gestire al meglio la fase di «risoluzione»;
   in caso di crisi bancarie si ricorre alla risoluzione quando una banca è in dissesto, quando misure alternative di natura privata come la ricapitalizzazione non evitano in tempi brevi il dissesto e quando la liquidazione non salvaguarderebbe la stabilità sistemica e l'interesse pubblico;
   con il termine « bail in» si definisce la svalutazione di azioni e crediti e la loro conversione in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in difficoltà (o una nuova entità che ne continui le funzioni essenziali);
   l'articolo 48 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, recante modifiche del decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, e del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, in attuazione della direttiva 2014/59/UE che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica le direttive 82/891/CEE, 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE, 2011/35/UE, 2012/30/(UE) e 2013/36/UE e i regolamenti (UE) n. 1093/2010 e (UE) n. 648/2012 (208) prevede che il bail-in è disposto: a) per ripristinare il patrimonio di una banca o società bancaria sottoposta a risoluzione nella misura necessaria al rispetto dei requisiti prudenziali e idonea a ristabilire la fiducia del mercato, se l'applicazione del bail-in, anche unitamente alle misure di riorganizzazione aziendale, è sufficiente a prospettarne il risanamento; o b) in caso di cessione ai sensi della Sezione II, per ridurre il valore nominale delle passività cedute, inclusi i titoli di debito, o per convertire queste passività in capitale;
   ai sensi del successivo articolo 49 sono soggette al « bail-in» tutte le passività ad eccezione delle seguenti: 1) i depositi di importo fino a centomila euro (protetti dal sistema di garanzia dei depositi); 2) passività garantite come covered bonds e altri strumenti garantiti; 3) passività derivanti dalla detenzione di beni della clientela (come ad esempio il contenuto delle cassette di sicurezza) o in virtù di una relazione fiduciaria (come i titoli detenuti in un conto apposito); 4) passività interbancarie (ad esclusione dei rapporti infragruppo) con durata originaria inferiore a 7 giorni; 5) passività derivanti dalla partecipazione ai sistemi di pagamento con una durata residua inferiore a 7 giorni; 6) debiti verso dipendenti, debiti commerciali e quelli fiscali purché privilegiati dalla normativa fallimentare;
   in particolare, il medesimo articolo al comma 1, lettera c), esclude dal « bail in» «qualsiasi obbligo derivante dalla detenzione da parte dell'ente sottoposto a risoluzione di disponibilità dei clienti, inclusa la disponibilità detenuta nella prestazione di servizi e attività di investimento e accessori ovvero da o per conto di organismi d'investimento collettivo o fondi di investimento alternativi, a condizione che questi clienti siano protetti nelle procedure concorsuali applicabili»;
   in base a tale disposizione sembrerebbe, quindi, che le passività derivanti dalla detenzione di beni della clientela o per relazione fiduciaria (ad esempio, il contenuto delle cassette di sicurezza, i titoli detenuti in un conto apposito) sarebbero esenti dal « bail in» –:
   se non ritenga utile ed opportuno, anche per rassicurare i risparmiatori italiani, assumere iniziative per prevedere espressamente che tra le esclusioni del « bail in» sia considerato il cosiddetto «conto titoli», di cui all'articolo n. 1838 del codice civile (deposito di titoli in amministrazione), comprendendo sia i relativi interessi e/o dividendi sia le somme accreditate dei titoli venduti o cessati senza limite d'importo, eccetto gli eventuali titoli afferenti la banca depositaria. (5-07644)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi giorni, nell'ambito dell'avvio di un'indagine da parte di una task force in seno al Single supervisory mechanism incaricata di studiare il tema dell'accumulo dei non performing loan presso gli istituti credito europei, nell'ottica di individuare best practices per la loro ordinata gestione, si è palesato un interessamento da parte della Bce sui livelli esposizione e sulla valutazione del portafogli di crediti deteriorati di sei banche italiane: Mps, Banca Carige, Banco Popolare, Banca popolare Milano, Bper e Unicredit;
   il sistema bancario italiano vanta il triste primato europeo dell'esposizione, con un ammontare di crediti deteriorati compreso tra il 16,5 per cento e il 17 per cento del totale degli impieghi, pari a 360 miliardi di euro, ovvero il 16,7 per cento degli impieghi contro il 7 per cento della Spagna;
   il 26 gennaio 2016, dopo un incontro durato oltre 5 ore con la commissaria dell'Unione europea alla concorrenza, la danese Margrethe Vestager, il Ministro interrogato ha dichiarato che sarebbe stato trovato un accordo in sedete di Unione europea, i cui dettagli tecnici saranno messi a punto nei prossimi giorni, al fine di liberare i bilanci delle banche italiane dal peso dei crediti non esigibili, attraverso una garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze (Gacs) che dovrebbe aiutare a smaltire in modo efficiente le stesse –:
   quale sia la stima dei non-performing loan che, in virtù del suddetto accordo, potrebbero essere smobilizzati, con particolare riferimento a quelli aventi un sottostante immobiliare, sia di natura residenziale sia di natura produttiva. (5-07645)


   ALBERTI, PESCO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 febbraio 2012 la società Brescia Infrastrutture s.r.l. — costituita mediante scissione parziale proporzionale della Brescia Mobilità spa e preposta alla gestione della proprietà delle infrastrutture del comune di Brescia e alla erogazione dei connessi servizi pubblici locali – sottoscrive, con Cassa depositi e prestiti, un contratto di prestito con pre-ammortamento a tasso variabile ed ammortamento a tasso fisso, assistito da garanzia fideiussoria dell'Ente di Riferimento e mandato irrevocabile;
   ai sensi dell'articolo 11 del medesimo contratto in caso di rimborso anticipato la società Brescia Infrastrutture dovrà corrispondere a Cassa depositi e prestiti l'intera rata comprensiva di quota capitale e quota interessi in scadenza alla data di pagamento prescelta per il rimborso, eventuali ulteriori interessi, anche di mora, maturati e non pagati e la somma da rimborsare. Altresì, a fronte dell'esercizio della facoltà di rimborso anticipato la società dovrà corrispondere un indennizzo per estinzione pari al differenziale — se positivo — tra la somma dei valori attuali delle rate residue relative alla somma da rimborsare e la somma da rimborsare. I valori attuali delle rate residue relative alla somma da rimborsare sono calcolati con riferimento alla data di pagamento prescelta per il rimborso impiegando i fattori di sconto calcolabili sulla base della curva dei tassi depositi-swap rilevabile dalle pagine Euribor01 e ISDAFIX2 (11:00 AM Frankfurt) del circuito Reuters il terzo venerdì antecedente alla data di pagamento prescelta per il rimborso. Nel caso in cui tali fattori di sconto non fossero disponibili i valori attuali delle rate di ammortamento relative alla somma da rimborsare come risultanti dal piano di ammortamento della somma da rimborsare sono calcolati sulla base di un tasso di reimpiego pari al tasso Interest Rate Swap (IRS) quotato, il terzo venerdì antecedente la data di pagamento prescelta per il rimborso, per una scadenza pari alla metà della durata residua del prestito, arrotondata all'intero superiore corrispondente ad una scadenza per cui è rilevabile una quotazione dalla pagina ISDAFIX2 (11:AM Frankfurt) del circuito Reuters. Infine, qualora il venerdì non sia un giorno target e/o non sia un giorno lavorativo bancario sulla piazza di Roma, si farà riferimento al giorno target che sia anche un giorno lavorativo bancario sulla piazza di Roma immediatamente antecedente;
   l'istituto dell'estinzione anticipata è disciplinato dal testo unico bancario di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385 (TUB) in modo disomogeneo, infatti:
    a) per il credito fondiario l'articolo 40 del TUB definisce l'estinzione anticipata come compenso omnicomprensivo che il contraente riconosce all'istituto di credito a fronte del diritto ad esercitare il recesso anticipato dal contratto con il rimborso del capitale residuo;
    b) per il credito al consumo l'articolo 125-sexies del TUB qualifica l'estinzione anticipata come indennizzo preposto ad assolvere una funzione riparatoria del pregiudizio arrecato al patrimonio del «danneggiato»;
    c) nell'ambito della disciplina dei mutui finalizzati all'acquisto o ristrutturazione di unità immobiliari, ovvero finalizzati allo svolgimento della propria attività economica o professionale, l'articolo 120-ter del TUB attribuisce all'estinzione anticipata natura sia di compenso sia di penale ovvero di ogni altra prestazione;
   così come sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 350 del 2013, ai fini dell'applicazione dell'articolo 644 del Codice penale e dell'articolo 1815 del Codice Civile comma 2, si qualificano usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori: tale principio è stato ribadito anche dalla Corte costituzionale con la sentenza del 25 febbraio 2002, n. 29 in riferimento all'applicazione dell'articolo 1, comma 1, del decreto legge n. 394 del 2000 («Interpretazione autentica della legge 7 marzo 1996, n. 108, recante disposizioni in materia di usura»);
   il tribunale di Pescara, con l’obiter del 28 novembre 2014, ha precisato che la mora e la penale per estinzione anticipata possono essere tra loro accomunate in quanto entrambe rappresentano un costo del mutuo erogato: in riferimento al comma 4 dell'articolo 644 del codice penale («Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito») il tribunale di Pescara di Pescara precisa che deve ritenersi rilevante; ai fini della disciplina anti-usura e del superamento del tasso soglia, qualsiasi onere collegato alla erogazione del credito, quindi anche il costo pattuito per l'estinzione anticipata del mutuo;
   l'evoluzione giurisprudenziale ha consacrato, perciò, il principio in base al quale ai fini dell'applicazione della disciplina anti-usura e del superamento del tasso soglia è rilevante ogni genere di onere collegato all'erogazione del credito, quindi anche il costo pattuito per l'estinzione anticipata del mutuo; la mora e la penale per estinzione anticipata possono essere tra loro accomunate, in quanto entrambe rappresentano un costo del mutuo erogato, seppur solo incerto e potenziale circa i verificarsi in concreto, visto che entrambe dipendono da un evento legato al mutuatario –:
   se la somma pattuita per l'estinzione anticipata del mutuo del contratto stipulato tra Brescia Infrastrutture e Cassa depositi e prestiti, in considerazione di ogni altro genere di onere collegato all'erogazione del credito previsto nel medesimo contratto, determini il superamento della soglia rilevante ai fini dell'applicazione della disciplina anti-usura e quali siano le iniziative di competenza che intende assumere al fine di consentire agli utenti, pubblici e privati, di procedere alla risoluzione automatica e gratuita del contratto di credito nell'ipotesi di previsioni contrattuali che violino la disciplina anti-usura e di ottenere il risarcimento del danno nelle ipotesi in cui abbiano già effettuato il pagamento di somme in violazione della medesima disciplina anti-usura. (5-07646)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PESCO, VILLAROSA, ALBERTI, TERZONI, CASTELLI, TRIPIEDI, CIPRINI, COMINARDI, GALLINELLA, FERRARESI, BONAFEDE, CASO, SIBILIA e GRANDE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo del 28 gennaio 2016, a firma Enrica Cherici su Arezzo Notizie intitolato «Banca Etruria, la memoria di Lacroce: «Crack studiato a tavolino, non poteva fallire ecco perché» si legge di una intervista a Vincenzo Lacroce, presidente dell'Associazione Amici di Banca Etruria dalla quale si apprende che ha preparato una memoria nella quale ha chiesto di poter presentare presso la cancelleria fallimentare, in occasione della discussione del ricorso del commissario Giuseppe Santoni per lo stato di insolvenza di Banca Etruria: «Una memoria da depositare in tribunale ... per spiegare e far mettere agli atti nell'udienza dell'8 febbraio che Banca Etruria non poteva fallire». Dichiara Lacroce: «Considero illegittimo quello che è stato fatto con il decreto del 22 novembre, perché a quella data la Banca aveva un patrimonio positivo di 22,5 milioni. Come si fa a svalutare a tavolino le obbligazioni, le azioni e a mettere in liquidazione coatta amministrativa una banca che ha un patrimonio positivo? ... «Il commissario Santoni ha composto il suo ricorso partendo dalle perdite al 31 dicembre 2014 che si attestavano a 526 milioni di euro, poi ha sommato i 61 milioni di euro che emergono dalla relazione dei commissari al 30 settembre 2015, abbiamo quindi una somma di 587 milioni di euro di perdite che sono però ampiamente coperte dal patrimonio, sia a dicembre 2014 che a settembre 2015. Le ulteriori perdite per 580 milioni derivano dalle svalutazioni effettuate a tavolino dal fondo di risoluzione nazionale presso Bankitalia che porta così al famoso crack di Banca Etruria di 1 miliardo e 167 milioni di euro. Noi vogliamo dimostrare che il crack è stato dichiarato a tavolino dal fondo di risoluzione nazionale». Nel proseguo dell'intervista, si entra nei dettagli delle possibili alternative: «Avevamo preparato una proposta ben chiara da presentare ai commissari ai quali abbiamo chiesto come associazione in maniera firmale e scritta di essere ricevuti per ben 3 volte nell'arco del commissariamento, ma non ci hanno mai ascoltato. La proposta sarebbe stata quella di svalutare le azioni e concedere agli azionisti dei warrant per un nuovo aumento di capitale di 200 milioni, la banca poi avrebbe comunicato la conversione delle obbligazioni subordinate in azioni a valore intero per un totale di 252 milioni. Così avremmo avuto un capitale di 452 milioni di euro, superiore anche a quello della costituita Nuova Banca Etruria ed i titoli dei risparmiatori esisterebbero ancora.». Prosegue poi l'intervista, affrontando il tema delle cessioni dei crediti in sofferenza, già cominciate sotto la guida dei commissari: «...si deve sapere che la vendita di quei 302 milioni di euro di sofferenze al Credito Fondiario effettuata dai commissari ha portato un utile di 3 milioni di euro, hanno reso più del 34 per cento. Con una vendita di ulteriori tranches tutto si sarebbe appianato, grazie soprattutto al recupero fiscale, al credito d'imposta di cui avrebbe beneficiato la banca. Le soluzioni quindi c'erano, invece i soci sono stati espropriati dei propri diritti. La Banca d'Italia avrebbe dovuto quanto meno convocarci in assemblea per la trasformazione in Spa e la convertibilità delle obbligazioni e azioni»;
   da Il Fatto Quotidiano, articolo di Giorgio Meletti del 2 febbraio 2016, arrivano conferme indirette su quanto affermato da Lacroce: «...mediamente le banche italiane stimano di recuperare 43 euro ogni 100 euro di sofferenze (crediti inesigibili), Etruria fino al 22 novembre stimava di recuperarne solo 37. Il 22 novembre Bankitalia ha abbassato la stima di valore a 17,6 euro ogni 100 di sofferenze, provocando la cancellazione di circa 400 milioni dagli attivi patrimoniali»;
   il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, in attuazione della direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014, istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento. Le disposizioni contenute nel Titolo IV, Capo IV, Sezione III del medesimo decreto legislativo sono dedicate all'istituto del bail-in ovverosia alla procedura di compensazione tra le perdite della banca ed azioni e altri strumenti finanziari posseduti da investitori e risparmiatori della stessa banca. La disciplina sul bail-in – ai sensi dell'articolo 106, comma 2, del medesimo decreto legislativo – è entrata in vigore «solo» a decorrere dal 1o gennaio 2016;
   in sede di audizione presso la Commissione finanze della Camera dei deputati del 9 dicembre 2015 il capo del dipartimento vigilanza della Banca d'Italia, dottor Carmelo Barbagallo, ha postulato la necessità di rinviare l'applicazione del bail-in al 2018 al fine di: «..consentire la sostituzione delle obbligazioni ordinarie in circolazione con altre emesse dopo l'entrata in vigore del nuovo quadro di gestione delle crisi e, dunque, collocate e sottoscritte avendo presenti i nuovi scenari di rischio»; non solo: anche il Governatore della Banca d'Italia, al Forex di Torino di sabato 30 gennaio ha asserito «Le regole europee del bail in sui salvataggi bancari sono sbagliate, e vanno cambiate prima del 2018» (Italia Oggi, «Visco (Bankitalia) si autoassolve. Per lui la colpa è di Consob e dei depositati voraci», 2 febbraio 2016). «Non è previsto, e non ci sono piani per farlo”, hanno risposto in tempo reale da Bruxelles. Un botta e risposta mai visto finora, che rimette al centro dell'attenzione il ruolo della Banca d'Italia nella vicenda che ha portato il governo di Matteo Renzi a decretare, il 22 novembre 2015, il fallimento di quattro banche minori...» –:
   se trovino conferma i dati forniti dal signor Lacroce o se possa fornire i dati ufficiali derivanti dal bilancio oggetto della risoluzione, provvedendo in ogni caso a indicare anche i costi diretti e indiretti (pro quota addebitati a Banca Etruria e previsti a carico delle banche in risoluzione dalla normativa) legati all'accesso del fondo di risoluzione e all'anticipazione dei tre istituti di credito; se sia al corrente delle richieste ignorate di audizione presso Banca d'Italia e i suoi commissari, da parte dell'associazione di cui in premessa, che oggi si oppone al decreto per la sempre più presunta e ormai quasi certa illegittimità dello stesso. (5-07662)

Interrogazione a risposta scritta:


   MELILLA e PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con la circolare n. 288 del 3 aprile 2015 la Banca d'Italia ha formulato disposizioni di vigilanza per gli intermediari finanziari, estendendo di fatto i criteri stringenti adottati per la vigilanza delle banche anche agli enti finanziari minori e giustificando tale scelta con la necessità di presidiare, in linea con gli orientamenti internazionali, il rischio del così detto «shadow banking;
   l'Unione finanziarie italiane ha inviato alla Banca d'Italia, in sede di pubblica consultazione, puntuali osservazioni indicando tra le altre cose che: la motivazione appare non condivisibile in quanto, sulla base delle definizioni internazionali, lo shadow banking si riferisce a soggetti non regolamentati o ad attività non regolamentate svolte da soggetti regolamentati;
   ricondurre pertanto gli intermediari finanziari iscritti nell'albo di cui all'articolo 106 del TUB – che sono puntualmente regolamentati – nella predetta categoria al fine di imporre normative che riguardano l'attività bancaria (che presuppone per sua natura e definizione la raccolta del risparmio presso il pubblico con i conseguenti rischi che derivano dall'impiego dello stesso), utilizzando la problematica dello shadow banking, a soggetti che non svolgono tale attività, potrebbe apparire come un eccesso di prudenza da parte della Banca d'Italia e possibile causa di distorsioni sul mercato;
   il principale rischio dello shadow banking è stato individuato nella mancanza per i soggetti individuati del requisito di un patrimonio adeguato in rapporto a crediti concessi, mentre tale rischio risulta invece, nel caso degli intermediari iscritti nel nuovo albo, dettagliatamente disciplinato e presidiato;
   secondo la Banca d'Italia il potere di imporre la vigilanza equivalente discenderebbe dall'articolo 33, comma 1, lettera d) della legge delega n.  88 del 2009 dal decreto legislativo n. 141 del 2010 che ha introdotto l'albo unico e richiesto l'autorizzazione della banca d'Italia per l'iscrizione allo stesso, benché la norma richiamata trovi la sua attuazione nel decreto legislativo n. 141 del 2010 che evidentemente non può avere applicazioni a cascata in sede di normativa secondaria, mentre nella stessa norma si prescrive l'introduzione di «strumenti di controllo più efficaci modulati anche sulla base delle attività svolte dall'intermediario»;
   l'inserimento degli «intermediari minori» tra i soggetti sottoposti a vigilanza equivalente, porterebbe oltre che a un severo ridimensionamento del settore e a una riduzione e concentrazione delle società finanziarie, con il conseguente aggravamento del problema del credit crunch che da anni attanaglia l'economia italiana, disallineando la normativa nazionale rispetto a quella degli altri Stati dell'Unione europea, alla creazione di oggettivi ostacoli per gli enti finanziari di altri Stati della Unione europea che vogliano svolgere tale attività in Italia; infatti non risulterebbe che in altri Paesi dell'Unione europea (e soprattutto nei maggiori) gli enti finanziari debbano sottostare alla normativa di vigilanza ivi prevista per gli enti creditizi;
   equiparare soggetti che non possono raccogliere il pubblico risparmio, e che debbono quindi finanziarsi ricorrendo al credito bancario, alle stesse banche, potrebbe causare uno squilibrio nella competitività imponendo di fatto una doppia vigilanza sullo stesso credito, danneggiando il principio della concorrenza, compromettendo il livellamento del playing field, e riducendo notevolmente i vantaggi per i soggetti ricorrenti al credito;
   peraltro il decreto-legge n. 91 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, ha esteso la possibilità di concedere finanziamenti di qualsiasi genere alle piccole e medie imprese, senza alcuna iscrizione nell'albo di cui all'articolo 106 del TUB, ad assicurazioni, veicoli di cartolarizzazioni e OICR, creando di fatto un vulnus al principio di coerenza e di uniformità normativa, nonché alla concorrenza;
   l'intermediazione finanziaria non bancaria presenta delle specificità delle quali regolatore non può non tener conto, prendendo atto che gli operatori «minori» dovranno sostenere il pesante impatto delle nuove disposizioni, mentre gli intermediari maggiori, appartenenti nella quasi totalità a gruppi bancari, non sosterranno in gran parte gli oneri di adeguamento alla nuova disciplina di vigilanza proprio in quanto facenti parte di gruppi bancari;
   gli intermediari «minori» peraltro, in specifici settori sono altamente specializzati (factoring, cessione del quinto dello stipendio e della pensione, prestito su pegno) e svolgono un ruolo rilevante di sostegno economico a favore delle piccole medie imprese e delle famiglie –:
   se non ritenga opportuno, il Ministro interrogato assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché, nell'ambito anche della forte azione promossa dall'Autorità governativa volta a favorire la semplificazione, sia a livello della pubblica amministrazione che di privato, il rilancio dell'imprenditoria privata, la creazione di canali alternativi al credito bancario e di promozione dell'occupazione al fine di ottenere finalmente l'auspicata «crescita», sia differenziata maggiormente e sostanzialmente la nuova disciplina della intermediazione finanziaria, dando adeguata attuazione al principio di proporzionalità dettato dall'articolo 108, comma 6, del TUB, sulla base della natura dei destinatari, operatori «maggiori» e «minori», prevedendo, altresì, per questi ultimi, ad autorizzazione concessa, adeguati tempi per la compiuta realizzazione degli adempimenti previsti dalle nuove disposizioni;
   se non si ritenga opportuno intervenire, anche attraverso iniziative normative urgenti, al fine di garantire la concorrenza e il mantenimento di un pluralismo di società finanziarie, per esempio estendendo agli intermediari «minori» alcune delle norme previste nel citato decreto-legge n. 91 del 2014. (4-11938)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GIUSEPPE GUERINI, SANGA, MISIANI e CARNEVALI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 27 gennaio 2016 il presidente del tribunale di Bergamo ha annunciato di dover procedere ad una diminuzione delle udienze penali programmate ogni settimana, ridotte da un totale di 26 a 18, nonché alla chiusura delle cancellerie della sezione Gip e Gup per due giorni lavorativi alla settimana, ed infine ad una limitazione dei ruoli di udienza ad un numero massimo di 12 procedimenti;
   tali misure si sono rese necessarie per la carenza di personale amministrativo in forza al tribunale, considerato che a fronte di una pianta organica che dovrebbe prevedere 131 addetti amministrativi, gli effettivi sono soltanto 94;
   in esito ad una recente ispezione a cura del Ministero della giustizia, è stato peraltro rilevato che il tribunale di Bergamo è caratterizzato da una produttività estremamente elevata, mentre nel rapporto tra personale amministrativo e magistrato risulta essere uno dei tribunali più penalizzati d'Italia, così come per quanto concerne il rapporto tra numero di magistrati e popolazione residente (uno ogni 22.600 abitanti circa);
   l'annunciata riduzione dell'operatività del tribunale ha un impatto evidentemente negativo non solo per gli operatori della giustizia e per gli avvocati, che non hanno mancato di sottolineare, con un comunicato dell'Ordine di Bergamo, l'esigenza di affrontare la situazione, ma anche e soprattutto per l'utenza e la cittadinanza nel suo complesso –:
   quali iniziative intenda assumere per incrementare l'organico del personale amministrativo del tribunale di Bergamo, in modo da consentire a quest'ultimo di poter continuare ad erogare un servizio efficiente. (5-07615)


   RICCIATTI, COSTANTINO, NICCHI, PANNARALE, DURANTI, PELLEGRINO, GREGORI, FRATOIANNI, PIRAS, MELILLA e QUARANTA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 4 febbraio 2016 andrà in onda, nella trasmissione «Storie maledette» su Rai 3, una intervista esclusiva a Luca Varani, attualmente detenuto presso il carcere di Teramo, imputato condannato in appello a 20 anni di reclusione, con l'accusa di essere il mandante dell'aggressione con l'acido della giovane avvocatessa Lucia Annibali (www.storiemaledette.rai.it);
   la vicenda, oggetto dell'intervista, ha avuto una ampia eco mediatica;
   l'intervista, secondo quanto riportato dagli organi di stampa, è stata autorizzata dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap);
   sulla vicenda intervenuto pubblicamente il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Pesaro dottor Manfredi Palumbo, che ha sostenuto l'accusa nel primo grado di giudizio, manifestando sconcerto per l'annunciata intervista e denunciando come ciò avvenga in pendenza di giudizio innanzi alla Corte di Cassazione e nei confronti di un imputato che si è sempre rifiutato — durante i due gradi di giudizio conclusi — di rispondere alle domande della pubblica accusa, cercando inoltre «di distruggere o inquinare il materiale probatorio che era stato raccolto nei suoi confronti» (Il Resto del Carlino, 2 febbraio 2016);
   a opinione dell'interrogante la messa in onda dell'intervista citata, rappresenterebbe un fatto quantomeno inopportuno, perché consentirebbe a un imputato, in attesa del terzo grado di giudizio, in un processo particolarmente delicato di fornire alla pubblica opinione una ricostruzione dei fatti parziale, al di fuori delle deputate sedi giudiziarie e del necessario contraddittorio, basato su elementi probatori acquisiti nel corso del procedimento con le dovute garanzie processuali anche a tutela dell'imputato stesso –:
   se al Ministro interrogato risulti il fatto riportato in premessa e se ritenga opportuno, stante la discrezionalità del provvedimento, che il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria conceda autorizzazioni a intervistare un imputato, attualmente in pendenza di giudizio innanzi alla Corte di Cassazione, che non abbia peraltro mai risposto nelle sedi giudiziarie opportune alle domande della pubblica accusa;
   se risulti al Ministro interrogato che ai fini della concessione dell'autorizzazione all'intervista sia stato richiesto da parte del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria un parere all'autorità giudiziaria competente per il giudizio;
   se il Ministro non intenda fornire chiarimenti sulla vicenda riportata in premessa e sui criteri adottati dal dipartimento per l'amministrazione giudiziaria per il rilascio dell'autorizzazione all'intervista;
   se non ritenga opportuno revocare l'autorizzazione rilasciata, assumendo ogni iniziativa di competenza affinché non vada in onda l'intervista a Luca Varani, in attesa degli opportuni chiarimenti sulla vicenda. (5-07625)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   presso il Ministero della giustizia opera il «reparto sicurezza del Ministero», facente parte dell'ufficio per la sicurezza personale e per la vigilanza (USPEV);
   tale reparto, a cui sono assegnate 247 unità di polizia penitenziaria, ha il compito di garantire la sorveglianza ed il controllo della sede ministeriale e delle strutture decentrate, nonché la sicurezza e la tutela delle autorità dipendenti dal Ministero stesso, assicurando loro un servizio di scorta e tutela;
   a quanto consta all'interrogante sembrerebbe che il capo di gabinetto del Ministero abbia recentemente avviato minuziose indagini sul personale del reparto volte a verificare l'esistenza di procedimenti disciplinari e/o penali, pendenti e non, connessi a fatti di servizio, avvalendosi delle collaborazioni di soggetti non appartenenti alla polizia penitenziaria;
   in particolare, sembrerebbe che vi sia l'intenzione di adottare provvedimenti di allontanamento del personale del predetto reparto, alla luce delle risultanze delle «indagini», anche per fatti di lieve entità e di molti anni fa, anche se chiusi addirittura con archiviazioni o assoluzioni o con semplici sanzioni disciplinari –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative ritenga opportuno adottare per interrompere ogni azione eventualmente non conforme alle norme nei riguardi del personale del reparto sicurezza del Ministero;
   se non sussistano profili di dubbia legittimità nell'operato di cui in premessa, con particolare riferimento alla violazione della privacy;
   se non ritenga opportuno che le questioni inerenti al reparto di polizia penitenziaria siano affidate e gestite esclusivamente da un appartenente al Corpo e, nello specifico, dal comandante del reparto che, allo stato, sembrerebbe all'interrogante essere stato delegittimato.
(4-11926)


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il procuratore generale presso la Corte d'appello di Cagliari, Roberto Saieva, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario ha pronunciato la seguente affermazione: «Nella esecuzione di questi delitti si è trasfuso l'istinto predatorio (tipico della mentalità barbaricina) che stava alla base dei sequestri di persona a scopo di estorsione»;
   si tratta di un'affermazione, ad avviso dell'interrogante, intrisa di ignoranza e razzismo;
   le affermazioni pronunciate nella relazione davanti a magistrati e funzionari dell'amministrazione giudiziaria sarda e davanti a un rappresentante del Ministero della giustizia sono, secondo l'interrogante, di una gravità inaudita e necessitano di provvedimenti immediati;
   parlando degli assalti ai portavalori, «organizzati con grande dispiegamento di uomini e mezzi», il procuratore ha detto che «è agevole la considerazione che nella esecuzione di questi delitti si sia principalmente trasfuso l'istinto predatorio (tipico della mentalità barbaricina) che stava alla base dei sequestri di persona a scopo di estorsione, crimine che sembrerebbe ormai scomparso»;
   parlando di omicidi, ha affermato che «sono delitti di impeto, talora connessi a situazioni di disagio personale e sociale, o riconducibili a dinamiche di criminalità comune, ovvero sorretti – e più spesso – da moventi che si radicano nella cultura degli ambienti agro-pastorali»;
   è secondo l'interrogante semplicemente inaccettabile parlare di «istinto predatorio tipico della mentalità barbaricina»;
   si tratta di concetti che appaiono all'interrogante dovuti a pregiudizi e vergognosi luoghi comuni, espressi in una occasione e in un luogo ufficiale come l'inaugurazione dell'anno giudiziario –:
   se non intenda valutare l'opportunità di adottare le iniziative di competenza ai fini dell'esercizio dell'azione disciplinare con riferimento a tale esponente della procura;
   se non intenda valutare la sussistenza dei presupposti per avanzare la richiesta di cui all'articolo 13 del decreto legislativo n. 109 del 2006. (4-11931)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


   BORGHI, GIACOBBE e TULLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il trasporto delle rinfuse-sbarcate presso il Terminal Alti Fondali del porto di Savona, sino ai parchi deposito di San Giuseppe di Cairo, oltre l'Appennino ligure, tramite un sistema integrato di trasporto costituito da nastri trasportatori e da due linee funiviarie, viene effettuato da Funivie spa, a cui il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nel 2007, ha assegnato gli impianti di trasporto in concessione venticinquennale;
   nella convenzione fra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – dipartimento trasporti terrestri – e la società «Funivie s.p.a.» stipulata il 15 novembre 2007 a seguito dell'accordo di programma per l'attuazione degli interventi di rilancio dello sviluppo della Valle Bormida del 18 marzo 2006, era prevista la copertura dei parchi carbone di Cairo Montenotte – località Bragno;
   sin dall'inizio, il comune di Cairo M.tte ha sostenuto la necessità di esecuzione di tale opera, indispensabile in termini di ambientalizzazione del sito e ha gestito le conferenze di servizi al fine di vagliare e autorizzare il progetto di copertura parchi, così come presentato dalla società proponente Funivie spa;
   le risorse necessarie per la copertura dei parchi sono state messe a disposizione da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nell'ambito della convenzione stipulata con Funivie spa;
   nel marzo 2012 il comune di Cairo M.tte (prot. 6989 dell'8 marzo 2012) aveva segnalato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti criticità e ritardi nell'esecuzione dell'opera, confermando inoltre di avere realizzato tutte le procedure e tutti gli atti di propria competenza, e aveva sottolineato la necessità di avere chiarezza e rassicurazioni da parte del Ministero in merito alla effettiva realizzazione del progetto;
   nel riscontrare (con prot. R.U. 4374 CC: 1212.TPL) la nota del comune di Cairo M.tte, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – direzione generale per il trasporto pubblico locale – divisione 4, il 22 giugno 2012, ha precisato che quella direzione «ha più volte, fermamente, sollecitato la società esercente Funivie s.p.a. affinché venisse concluso celermente l'iter relativo all'intervento in oggetto», e che verificato l’iter della procedura, «non risultano – a conoscenza della scrivente – ulteriori elementi impeditivi atti a ritardare l'avvio dei lavori»;
   la comunicazione dell'inizio lavori era pervenuta al comune da parte dalla società con dichiarazione del 20 maggio 2013 prot. 12855. Gli uffici competenti del comune di Cairo M.tte hanno eseguito un primo sopralluogo presso le aree interessate al fine di verificare l'avvenuto inizio lavori;
   una ulteriore visita al fine di accertare lo stato di avanzamento dei lavori è avvenuta il 29 giugno 2015; in tale occasione è stato verificato che, nella sostanza, sono state realizzate solo opere di rimozione, demolizione e posa in opera della recinzione di cantiere;
   successivamente rappresentanti della società Funivie spa hanno comunicato al comune di Cairo M.tte, che è in atto contenzioso tra la parte committente e il consorzio esecutore delle opere per gravi-inadempienze contrattuali per lavori derivanti dall'appalto con revoca dell'incarico;
   la documentazione relativa a queste ultime fasi, che testimonia come risulti sospesa la realizzazione del progetto di copertura dei parchi carbone, è stata inviata al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il 15 luglio 2015 e ulteriormente sollecitata nei giorni successivi, con la richiesta di un incontro di approfondimento con carattere d'urgenza, al fine di verificare lo stato dell'arte e attuare le iniziative necessarie allo sblocco della situazione –:
   se intenda riscontare la richiesta del comune relativa alla segnalazione della sospensione dei lavori di copertura dei parchi carbone in località Bragno del comune di Cairo M.tte, presso l'impianto esercito da Funivie spa e quindi quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per assicurare che tali lavori riprendano e siano portati a compimento, secondo gli accordi stipulati a suo tempo. (5-07647)


   PASTORELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il tormentato completamento della superstrada Rieti-Terni, per decenni una sorta di «tela di Penelope» sembra ad un punto di svolta quando, nel 2014, la conferenza servizi di Anas-direzione generale dei lavori, raccolti tutti i pareri necessari aveva dato «l'ok» per la realizzazione degli ultimi 800 metri ed, in particolare, aveva rilasciato il nulla osta per la costruzione del sistema di rotatorie e svincoli che avrebbero collegato la superstrada a Colli sul Velino e da lì all'intera dorsale dei comuni reatini confinanti con l'Umbria, fino a Leonessa;
   il nulla osta di cui sopra si riferiva agli ultimi 800 metri della superstrada, quelli ancora mancanti che, dalla galleria di Piè di Moggio, avrebbero definitivamente unito Rieti con la provincia di Terni;
   da anni oramai gli abitanti del luogo aspettavano la realizzazione dell'uscita per Colli sul Velino senza il quale il territorio a nord-ovest della provincia di Rieti sarebbe uscito «monco» in quanto avrebbe consentito di collegare direttamente tutti i comuni della dorsale reatina, compresi Cantalice e Leonessa, alla superstrada Rieti-Terni con innegabili ricadute turistiche per l'intero territorio ma anche avvantaggiando coloro che, per raggiungere la Valnerina ternana non sarebbero più stati costretti ad attraversare Terni;
   la consegna prevista per fine 2015 nella zona ternana, tutt'oggi, non si è ancora realizzata a causa non solo dei ritardi, nell'esecuzione dei lavori dovuti alla realizzazione del ponte sul Velino ma soprattutto dell'inchiesta che ha investito la Tecnis che ha creato un'interruzione dei lavori che non sono più ripresi;
   a tal proposito è opportuno ricordare la recente indagine sugli appalti dell'Anas ha coinvolto anche i vertici della società Tecnis, considerata un colosso delle costruzioni con 1.200 lavoratori in organico. Alla bufera giudiziaria è seguita l'interdittiva antimafia emessa dal prefetto di Catania a carico dell'azienda che è stata quindi commissariata –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'annosa vicenda che interessa il cantiere in questione e quali iniziative, per quanto di competenza, anche intervenendo presso l'ANAS, intenda adottare per arrivare al completamento di quel tratto di strada che viene rinviato da troppi anni e la cui ultimazione è di fondamentale importanza per l'intero territorio. (5-07648)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 45, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, è stato inserito nell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), il comma 2-bis, in base al quale l'esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria di importo inferiore alla soglia comunitaria, funzionali all'intervento di trasformazione urbanistica del territori, è a carico del titolare del permesso di costruire e non trova applicazione il codice dei contratti;
   con deliberazione n. 1117 del 10 giugno 2013, la giunta comunale di Milano ha approvato le linee guida per la realizzazione delle opere di urbanizzazione e dei servizi pubblici e di interesse pubblico o generale, nell'ambito dei procedimenti urbanistici ed edilizi, precisando nel capitolo 2, punto 5 – in merito all'applicazione del comma 2-bis dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 – che «le opere di urbanizzazione primaria si considerano funzionali se necessarie per dare autonomia ad un insediamento urbano»;
   nel successivo capitolo 6, punto 2 delle stesse linee guida, in merito alla determinazione dell'importo globale delle opere e delle attrezzature da considerare ai fini dell'applicazione del codice dei contratti – così come già messo in rilievo nell'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04648 del 5 febbraio 2015 e nell'interrogazione a risposta scritta n. 4/11205 del 19 novembre 2015 ancora senza risposta – si stabilisce che, dall'importo globale delle opere e delle attrezzature, sono escluse le opere di urbanizzazione primaria funzionali all'intervento sotto soglia ai sensi dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380, nonché le attrezzature private realizzate su aree oggetto di cessione al comune, su aree private asservite all'uso pubblico, su aree private, che non sono ammesse a scomputo e che non concorrono nella dotazione territoriale dovuta e le opere e le attrezzature pubbliche in immobili privati e le opere aggiuntive realizzate con risorse private;
   l'articolo 29, comma 7, del codice dei contratti – in merito ai metodi di calcolo del valore stimato dei contatti pubblici – stabilisce, invece, che per i contratti relativi a lavori, opere, servizi, quando un'opera prevista o un progetto di acquisto di servizi possono dare luogo ad appalti aggiudicati contemporaneamente per lotti distinti, il valore complessivo da considerare è quello dato dalla totalità di tali lotti, e che quando quest'ultimo valore è pari o superiore alle soglie comunitarie, le norme dettate per i contratti di rilevanza comunitaria si devono applicare all'aggiudicazione di ciascun lotto;
   la Commissione europea, il 5 ottobre 2015, ha informato i presentatori di una denuncia per violazione del diritto comunitario – avente come oggetto proprio l'articolo 16, comma 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 e la sua applicazione con le modalità previste dalle ricordate linee guida della giunta di Milano – che la loro denuncia è stata trasferita all'applicazione EU-Pilot con numero di riferimento 7994/15/GROW;
   dalla risposta dell'assessore per l'urbanistica, edilizia privata, agricoltura del comune di Milano all'interrogazione n. 871 del consigliere comunale Marco Cappato, risulta che il sindaco di Milano, il 26 novembre 2015, abbia trasmesso i chiarimenti richiesti dalla struttura di missione per le procedure di infrazione operante presso il dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio per poter corrispondere alle autorità comunitarie –:
   se, nell'ambito della procedura EU-Pilot 7994/15/GROW, la Commissione abbia chiesto alle autorità italiane di fornire informazioni e chiarimenti – e/o di adottare misure correttive – soltanto rispetto alle disposizioni delle linee guida della giunta di Milano richiamate nelle premesse, ovvero rispetto a quanto stabilito dall'articolo 16, comma 2-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 380 del 2001 ed alla compatibilità di quest'ultima disposizione con l'articolo 29 del codice dei contratti e più in generale con il diritto comunitario. (5-07649)


   PELLEGRINO e ZARATTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 9 del 2007, con l'obiettivo di contenere il disagio abitativo presente soprattutto nei comuni metropolitani, ha sospeso le procedure esecutive di sfratto per finita locazione nei confronti di nuclei familiari in possesso dei seguenti requisiti: reddito annuo lordo complessivo familiare inferiore a 27 mila euro; che siano o abbiano nel proprio nucleo familiare persone ultrasessantacinquenni, malati terminali o portatori di handicap con invalidità superiore al 66 per cento, purché non in possesso di altra abitazione adeguata al nucleo familiare nella regione di residenza. La sospensione si applica, alle stesse condizioni, anche ai conduttori che abbiano, nel proprio nucleo familiare, figli fiscalmente a carico;
   il Governo nonostante l'emergenza abitativa, e le categorie di cittadini coinvolti, che sono le più esposte, ha deciso di non rifinanziare il fondo locazioni, né di prorogare il blocco degli sfratti, né di aumentare le risorse a favore del fondo morosità incolpevole e provvedendo a superare le criticità legate all'utilizzo di questo fondo;
   sotto questo aspetto, l'11 settembre 2015, rispondendo all'interpellanza urgente n. 2-01034 sulle procedure di sfratto per finita locazione, il sottosegretario Del Basso De Caro ammetteva riguardo al Fondo inquilini morosi incolpevoli, l'esistenza di un quadro desolante: «Su un totale di 83,39 milioni di euro disponibili (di cui 68,46 statali) le risorse assegnate dalle regioni si attestano a 23,49 milioni mentre quelle effettivamente trasferite sono pari a poco più di 12 milioni. (...) A fronte del quadro sopra descritto, che restituisce un utilizzo non soddisfacente delle risorse impiegate da parte degli enti beneficiari, è intenzione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti precisare, mediante apposita circolare, le iniziative da assumere per un coinvolgimento più incisivo degli enti locali al fine di ridurre l'impatto degli sfratti innalzando l'efficacia delle misure di sostegno poste in essere»;
   sarebbe interessante sapere cosa in questi mesi il Governo abbia fatto per superare le criticità suesposte;
   in materia di emergenza abitativa, l'Esecutivo ha puntato, e continua a puntare molto su misure che avrebbero dovuto garantire il passaggio da casa a casa dei soggetti interessati da procedure di sfratto;
   la realtà, come evidenzia la recente indagine realizzata da Nomisma in collaborazione con Federcasa, è che solo 700 mila famiglie italiane, cioè circa un terzo di quelle che si trovano in condizione di disagio abitativo, ha accesso a una casa popolare. Al di fuori dell'edilizia residenziale pubblica esiste un disagio economico che ha coinvolto nel 2014, ben 1,7 milioni di nuclei familiari in affitto. Famiglie che, versando oggi in una condizione di disagio abitativo, e che corrono un concreto rischio di scivolamento verso forme di morosità e di possibile marginalizzazione sociale. A fronte della portata del problema le risposte pubbliche, evidenziano gli analisti di Nomisma e Federcasa, «sono state fino qui complessivamente inadeguate» –:
   come sia stato finora garantito il passaggio da casa a casa, quanti soggetti interessati dalle procedure esecutive di rilascio per finita, locazione abbiamo finora beneficiato del medesimo «passaggio da casa a casa», e quanti siano i soggetti che, pur trovandosi davanti alle medesime procedure esecutive di rilascio per finita locazione, non solo non hanno potuto beneficiare del provvedimento di proroga del blocco degli sfratti, ma non sono neanche stati messi in condizione di beneficiare di un'altra abitazione. (5-07650)


   GRIMOLDI e GIANLUCA PINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nonostante l'approvazione del progetto del piano regolatore del porto di Ravenna e nonostante le opere di infrastrutturazione del porto siano inserite nell'elenco delle opere strategiche della legge-obiettivo ai fini dell'accelerazione della relativa realizzazione, a tutt'oggi i cantieri non riescono ad avviarsi;
   problemi burocratici hanno bloccato i dragaggi per l'abbassamento dei fondali che rappresentano la parte del progetto più importante ai fini dell'operatività del porto;
   nel comunicato stampa del 24 dicembre 2015, riportato da «RavennaToday», il presidente dell'autorità portuale, Galliano Di Marco, ha illustrato tre soluzioni progettuali diverse per le infrastrutture portuali e la deposizione dei fanghi di dragaggio con trattamento provvisorio e definitivo: «la soluzione “madre” con escavo a 13,5 metri, banchine, casse a mare e aree logistica 1 e 2 per accogliere i fanghi. Costo 283 milioni di euro di cui 47 per il nuovo terminal container che slitta nei tempi. La soluzione “figlia”, con solo casse a mare e 12,50 metri. Spesa da 172 milioni già tutti a disposizione. Infine la “figliastra”, senza casse a mare, ma a terra in logistica 1 e 2 e nelle aree S3 da espropriare a una ventina di privati. Costo 229 milioni»;
   i tre progetti sembra che siano sul tavolo tecnico del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; secondo il comunicato la scelta della soluzione definitiva deve avvenire entro il corrente mese di febbraio, affinché l'autorità portuale possa «presentare entro luglio-agosto il nuovo progetto definitivo per non perdere i 240 milioni di euro di investimento, 60 di avanzo, 60 dal CIPE e 120 da Bei»;
   in un comunicato stampa del 25 gennaio 2016, pubblicato su RavennaToday, il presidente dell'autorità portuale ha dichiarato di aver inviato, il 19 gennaio 2016, al tavolo tecnico, in sinergia con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il provveditore alle opere pubbliche di Lombardia ed Emilia Romagna, la relazione di rimodulazione per il CIPE con tre soluzioni, due con casse a mare e una senza casse a mare, evidenziando di ogni soluzione vantaggi e svantaggi e costi e benefici; il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dovrà inviare il documento alla regione Emilia Romagna e al comune di Ravenna per poi convocare nuovamente il tavolo tecnico, anche con gli enti locali, al fine di decidere quale soluzione adottare per il dragaggio del porto;
   pertanto, il comune di Ravenna prende parte attiva all'approvazione del progetto e la prossima scadenza della giunta comunale, il 12 giugno 2016, peraltro incrociata con la scadenza del mandato del presidente dell'autorità portuale, il 3 marzo 2016, non può che incidere sulle decisioni e sulle scelte progettuali –:
   se il Ministro sia giunto ad una soluzione progettuale definitiva da proporre al CIPE per l'infrastrutturazione del porto di Ravenna e se non ritenga opportuno attendere il rinnovo dell'amministrazione comunale ai fini della nomina del nuovo presidente dell'autorità portuale, nelle more nominando un commissario per la prosecuzione delle attività tecniche di competenza per l'approvazione del progetto delle infrastrutture portuali e della deposizione dei fanghi di dragaggio.
(5-07651)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARCO DI STEFANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la città di Roma ha la possibilità di collegarsi al mare attraverso una linea ferroviaria dedicata che può raggiungere attualmente il litorale nell'arco temporale di mezz'ora;
   ciò costituisce un'indubbia valida soluzione trasportistica per le centinaia di migliaia di cittadini che devono spostarsi quotidianamente per ragioni di studio e di lavoro;
   il collegamento rapido al mare, al sito archeologico di Ostia Antica, alla monumentale pineta di Castelfusano e alla riserva naturale di CastelPorziano arreca alla Città Capitale un indubbio vantaggio che la colloca tra le città europee in una posizione esclusiva, con importanti ricadute anche dal punto di vista turistico;
   la Ferrovia Roma Lido di proprietà della regione Lazio, è stata affidata sia per la gestione della rete che del servizio di trasporto all'ATAC, azienda partecipata interamente dal comune di Roma, con pessimi risultati, tanto che gli utenti lamentano continuamente disservizi quali sospensione improvvisa di treni, carrozze ormai vetuste, come peraltro i media hanno spesso riportato;
   l'assessore regionale ai trasporti Civita ha riferito pubblicamente che ATAC non ha neanche speso i fondi che le erano stati messi a disposizione dallo Stato per le ferrovie concesse;
   dalle dichiarazioni del presidente della regione Lazio, Zingaretti, apparse sui media, sembrerebbe emergere la volontà di procedere alla trasformazione della linea in una vera e propria metropolitana, con relativi tempi di percorrenza e cadenze di orari;
   sempre dai media, si apprende che l'assessore regionale Civita avrebbe ricevuto in tal senso una proposta di project financing da una associazione temporanea di imprese con in testa Ratp Italia e Ansaldo, la quale prevedrebbe investimenti per la trasformazione della linea in metropolitana, e l'implementazione del parco mezzi a fronte di una gestione ventennale di tale linea da parte del proponente;
   inoltre, l'assessore Civita riferisce di aver rinnovato la richiesta al Ministro Del Rio di poter utilizzare sempre allo stesso scopo una parte dei fondi Fas che ammonterebbero a circa 180-200 milioni di euro;
   la regione Lazio risulta anche proprietaria, oltre della Roma Centocelle, ferrovia concessa a scartamento ridotto, della ferrovia concessa Roma Viterbo che collega molti comuni del nord Lazio a piazza del Popolo;
   tali tratte, che trasportano quotidianamente un elevato numero di pendolari, vivono le stesse identiche problematiche relative alla tratta Roma Ostia –:
   se risponde al vero che il Governo stia per autorizzare la regione Lazio all'utilizzo dei fondi Fas per le finalità di cui in premessa;
   qualora ciò trovasse conferma, se, al fine di avere certezza dell'utilizzo ottimale dei fondi predetti, non ritenga necessario acquisire elementi stanti anche le affermazioni contraddittorie apparse sui media, su quali procedure amministrative, propedeutiche alla trasformazione della tratta Roma Ostia in metropolitana, si intendano adottare per la scelta del contraente, considerata la ovvia ricaduta che tali scelte avranno sul costo del biglietto che dovranno pagare gli utenti del servizio stesso;
   se non ritenga opportuno porre eguale attenzione, per quanto di competenza, in ordine all'ammodernamento della tratta Roma-Viterbo. (5-07614)


   CATALANO, VEZZALI, D'AGOSTINO, MOLEA, VARGIU, QUINTARELLI, VECCHIO, GALGANO, OLIARO, PINNA, CAPUA, MATARRESE, BOMBASSEI e LIBRANDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 60 della legge n. 120 del 2010 prevede che, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti da emanare, sentita la Conferenza Stato-città e autonomie locali, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge (e quindi entro il 12 ottobre 2010), siano definite le caratteristiche per l'omologazione e per l'installazione di dispositivi finalizzati a visualizzare il tempo residuo di accensione delle luci dei nuovi impianti semaforici, di impianti impiegati per regolare la velocità e di impianti attivati dal rilevamento della velocità dei veicoli in arrivo (cosiddette «luci semaforiche intelligenti»);
   in risposta all'interrogazione n. 5-01353, il Governo, in data 12 dicembre 2013, ha comunicato di essere in attesa «della conclusione delle diverse sperimentazioni avviate»;
   in risposta alla successiva interrogazione n. 5-04035, il Governo ha comunicato, in data 8 gennaio 2015, di essere ancora in attesa della conclusione delle sperimentazioni avviate;
   con tale ultima risposta, il Governo ha esposto le ragioni della protrazione dei tempi e l'oggetto delle sperimentazioni in atto, ma ha omesso di individuare le strutture presso le quali esse sono poste in essere –:
   a quale punto siano le sperimentazioni di cui in premessa, e presso quali strutture;
   in caso di conclusione delle stesse, quale sia il loro esito;
   se il Governo sia ora in grado di prevedere una tempistica per l'attuazione del citato articolo 60 della legge n. 120 del 2010. (5-07622)


   AMODDIO, ROMANINI, IACONO, CAPODICASA, ALBANELLA e PAOLO ROSSI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della circolare n. 20/D del 21 dicembre 2015 della direzione centrale legislazione e procedure doganali dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli avente per oggetto: «Provvedimento riepilogativo delle istruzioni tecnico-operative e procedurali fino a qui emanate inerenti il pagamento dei diritti doganali mediante bonifico bancario o postale. – Concetto di «pagamento» – Ritardi – Applicabilità della sanzione di cui all'articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997, nonché degli interessi ex articolo 86 del decreto del Presidente della Repubblica n. 43/3, l'ufficio delle dogane di Siracusa – Area gestione tributi con comunicazione prot. 000731/RU del 12 gennaio 2015, inviata per posta elettronica, informava che, a decorrere dal 1o febbraio 2016, data di entrata in vigore del provvedimento del 23 ottobre 2015, sulle modalità tecnico operative per il pagamento dei «diritti doganali» con bonifico bancario o postale, non sarebbe stato più possibile effettuare il versamento in Banca d'Italia degli assegni bancari circolari non trasferibili intestati alle Tesorerie provinciali dello Stato e, conseguentemente a decorrere dal 25 gennaio 2016, gli uffici delle dogane non potranno più accettare assegni bancari circolari con tale intestazione;
   la circolare 20/D della direzione centrale fa derivare l'impossibilità ad accettare gli assegni bancari circolari all'articolo 47 del decreto ministeriale del 29 maggio 2007 (Approvazione delle istruzioni sul servizio di tesoreria dello Stato) in cui, nell'elenco delle specie dei valori e dei titoli ammessi in versamento a favore delle Tesorerie, sono stati esclusi gli assegni circolari sin qui accettati in deroga. Ne consegue pertanto che tutti i pagamenti di somme dovute in dogana dovranno essere effettuati esclusivamente a mezzo di bonifici bancari e/o postali;
   la citata circolare n. 20/D distingue le procedure di pagamento con rimessa bancaria o postale in: effettuate da soggetti titolari di conto di debito (cioè che hanno depositato in dogana idonea fideiussione ed effettuano pertanto i pagamenti differiti di 30 giorni) e soggetti sprovvisti di tale conto di debito che effettuano il bonifico di volta in volta;
   occorre fare una distinzione tra «diritti doganali», ai quali si riferisce espressamente la circolare – che sono quelli gravanti sulle merci in importazione e/o esportazione e le «tasse e diritti marittimi», in massima parte «di ancoraggio» delle navi, che compiono operazioni commerciali nei porti nazionali e che le dogane riscuotono per conto delle autorità marittime (Capitanerie di porto – ai sensi dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 30 Agosto 1966 n. 1340);
   il decreto del Presidente della Repubblica 28 maggio 2009 n. 107 – Regolamento concernente la revisione della disciplina delle tasse di ancoraggio e dei diritti marittimi all'articolo 1 comma 9, recita: «alla tassa di ancoraggio si applicano le procedure di riscossione previste dall'articolo 1, comma 119, della legge 24 dicembre 2007, n. 244;
   nelle more dell'adozione del decreto del Capo del dipartimento finanze, la tassa di ancoraggio è riscossa secondo la procedura di cui all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 30 agosto 1966 n. 1340;
   l'articolo 1, comma 119, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 recita: «al fine di consentire la semplificazione degli adempimenti degli operatori doganali e la riduzione dei costi gestionali a carico dell'amministrazione finanziaria, è consentito il pagamento o il deposito dei diritti doganali mediante bonifico bancario o postale...»;
   i bonifici bancari o postali – che dovrebbero sostituire gli assegni bancari circolari non trasferibili intestati alle tesorerie provinciali dello Stato – necessitano, nella migliore delle ipotesi, di tre giorni lavorativi, pertanto non è possibile dimostrare subito il pagamento per ottenere la quietanza della tassa di ancoraggio da presentare alla Capitaneria di porto e consentire la ripartenza della nave. Infatti, il pagamento delle tasse di ancoraggio prevede che la nave arrivi in porto (la tassa decorre dalla data di arrivo), che esibisca in Capitaneria il «certificato di stazza» originale, sulla base del quale è emesso l'ordine d'introito con la cifra da versare in Dogana. Molto spesso le navi arrivano e ripartono nello stesso giorno o al massimo entro il successivo. La predisposizione anticipata (prima dell'arrivo della nave) dei bonifici non risulta quindi essere praticabile a giudizio degli interroganti, al contrario di quanto avviene per il pagamento dei diritti doganali sulle merci;
   la dogana di Siracusa, nella propria comunicazione del 12 gennaio 2016 agli operatori interessati (spedizionieri doganali, agenzie marittime, case di spedizione) auspica vivamente «l'esclusivo utilizzo dei pagamenti attraverso il «conto di debito» (il deposito di fideiussione di ammontare pari allo stimato valore dei pagamenti relativi a 30 giorni);
   i diritti doganali relativi alla movimentazione delle merci, avendo gli interessati a disposizione per tempo le fatture ed ogni altra idonea documentazione, sono nelle condizioni di calcolare e predisporre per tempo i relativi pagamenti a mezzo bonifici bancari o postali necessari allo svincolo delle merci senza ritardi;
   il citato articolo 47 del decreto ministeriale 29 maggio 2007 – Capo II, Valori e titoli ammessi in versamento – Specie dei valori e titoli – elenca una serie di titoli che possono essere utilizzati per i versamenti alle tesorerie provinciali dello Stato;
   da tutto quanto sopra evidenziato, è possibile fare alcune considerazioni e più precisamente valutare che:
    l'utenza è estranea ai rapporti tra Agenzia delle dogane e la Banca d'Italia e, pertanto quanto, eventualmente stabilito all'articolo 47 del decreto ministeriale 29 maggio 2007 non riveste per essa alcun interesse;
    l'auspicato utilizzo del conto di debito da parte degli operatori per il pagamento delle tasse di ancoraggio rappresenterebbe, per questi ultimi, un rilevante ingiustificato costo rappresentato dalla fideiussione da prestare in dogana, finalizzata a garantire il pagamento differito di una «TASSA» che potrebbe benissimo essere pagata prima della partenza della nave con un assegno bancario circolare nei termini riportati dalla citata Circolare 20/D;
    l'esclusivo utilizzo del conto di debito, a seguito di deposito di congrua fideiussione, anche in presenza della capacità dell'utenza di versare, nei termini temporali utili, un assegno circolare non trasferibile, oltre a rappresentare un rilevante ed ingiustificato costo da parte degli armatori nei riguardi delle agenzie marittime, opera, a parere degli interroganti, un'indebita restrizione di accesso al mercato nei riguardi di quelle piccole aziende che non sono in grado di poter prestare la necessaria fideiussione, oppure non sono in grado di sostenere il costo della fideiussione di cui trattasi, anche disponendo, di volta in volta, delle necessarie somme per il pagamento delle predette tasse di ancoraggio. Tale comportamento discriminatorio favorisce i pochi gruppi multinazionali e le grandi agenzie marittime, a discapito di quelle minori e della forza lavoro da queste rappresentata;
    risulta che le dogane di Genova e di Ravenna continuano ad accettare gli assegni bancari circolari non trasferibili, con la sola differenza che questi devono essere intestati all'Agenzia delle dogane e non più alle tesorerie provinciali della Stato;
   si verifica un contrasto tra norme perché, mentre da una parte il decreto del Presidente della Repubblica del 1973 prevede diverse forme di pagamento e non esclude il versamento o deposito a mezzo di assegni bancari circolari, la legge 24 dicembre 2007 n. 244, all'articolo 1, comma 119, stabilisce il pagamento o il deposito dei diritti doganali mediante bonifico bancario o postale;
   a maggiore chiarimento si riportano i testi delle norme sopracitate:
    il decreto del Presidente della Repubblica n. 23 del 1973 (Testo unico delle leggi doganali – Tuld –, all'articolo 77, recita: presso gli uffici doganali, il pagamento o il deposito cauzionale di somme a titolo di diritti doganali può essere eseguito in contanti, per un importo non superiore a lire un milione, riferito a ciascuna dichiarazione. È in facoltà del capo della dogana di consentire, quando particolari circostanze lo giustificano, il versamento in contanti di più elevati importi, fino al limite massimo di dieci milioni di lire;
   per gli importi anzidetti, quando l'operatore non si avvale della facoltà del versamento in contanti, e per gli importi superiori, il pagamento o il deposito deve essere eseguito in uno dei modi seguenti:
    a) mediante accreditamenti in conto corrente postale, nei limiti di importo stabiliti dall'amministrazione postale;
    b) mediante vaglia cambiari della Banca d'Italia, del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia, assegni circolari o assegni bancari a copertura garantita, nonché mediante assegni bancari emessi da istituti ed aziende di credito anche internazionali espressi in lire italiane;
    b-bis) mediante bonifico bancario con valuta fissa. Le modalità per l'attuazione delle disposizioni di cui al comma precedente e per il successivo versamento delle relative somme in tesoreria sono stabilite con decreto del Ministro per le finanze, di concerto con i Ministri per il tesoro e per le poste e le telecomunicazioni;
   il decreto del Presidente della Repubblica 30 agosto 1966 n. 1340, all'articolo 1, statuisce che le tasse di ancoraggio e i diritti marittimi vengono riscossi dalle dogane;
   la legge 24 dicembre 2007 n. 244, all'articolo 1, comma 119, ha stabilito il pagamento o il deposito dei diritti doganali mediante bonifico bancario o postale. L'agenzia delle dogane è autorizzata ad aprire, presso la Banca d'Italia, un conto dove far affluire le somme;
   il decreto del Presidente della Repubblica 28 maggio 2009 n. 107, all'articolo 1, comma 9, stabilisce che alle tasse di ancoraggio si applicano le procedure di riscossione previste dall'articolo 1, comma 119, della legge n. 244 del 24 dicembre 2007;
   l'articolo 47 del decreto ministeriale 29 maggio 2007 stabilisce la specie dei valori ammessi in versamento alla Banca d'Italia. Articolo che non interessa gli utenti afferendo ai rapporti tra agenzia delle dogane e Banca d'Italia;
   la Circolare 20/D del 21 dicembre 2015 dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli riepiloga le istruzioni operative e procedurali inerenti il pagamento dei diritti doganali mediante bonifico bancario o postale sul conto intrattenuto presso la Banca d'Italia e ne fornisce l'IBAN. La predetta circolare inoltre, in ossequio all'articolo 77 del Tuld, segnalando la possibilità di utilizzo di sistemi elettronici di pagamento (bonifici bancari o postali) detta le condizioni per l'utilizzo degli assegni bancari circolari e, tra l'altro, stabilisce, autonomamente e senza che vi sia alcun apparente riscontro legislativo, che tale utilizzo debba essere limitato solo a casi eccezionali comunque preventivamente autorizzati;
   la nota prot. 000731/RU del 12 gennaio 2016 dell'Agenzia delle dogane di Siracusa – Area gestione tributi informa gli operatori interessati che a decorrere dal 25 gennaio 2016 gli uffici delle dogane non potranno più accettare assegni circolari intestati alle tesorerie provinciali dello Stato, ma che gli stessi, nei casi eccezionali preventivamente autorizzati, dovranno essere intestati all'Agenzia delle dogane e dei monopoli – Ufficio delle dogane di Siracusa. La nota auspica pure che i pagamenti relativi a singole operazioni (anche tasse di ancoraggio) siano effettuati con l'esclusivo utilizzo del conto di debito, conto che presuppone il preventivo deposito di congrua fideiussione da parte dell'utenza;
   l'esclusivo impiego di bonifici bancari o postali per il pagamento delle tasse di ancoraggio sembra agli interroganti rispondere esclusivamente ad esigenze interne dell'Agenzia delle dogane, non trovando nessun riscontro legislativo. L'utilizzo del bonifico va inteso come una facilitazione rispetto al versamento con assegno ed è pertanto facoltativo e come si è avuto modo di chiarire, nel caso delle tasse di ancoraggio, spesso, tale sistema di pagamento non risponde alle necessarie esigenze di celerità e pertanto non identificabile come una facilitazione. Il doversi sobbarcare i costi di una fideiussione per rendere il sistema «fluido» non è ritenuto giusto dagli interroganti. Nel caso specifico, l'esclusivo utilizzo di un conto di debito per il pagamento delle tasse di ancoraggio, in tempi compatibili con la operatività e permanenza delle navi in porto, il cui alto costo è posto a carico degli operatori, rappresenta per gli interroganti una tassa sulla tassa oltre che sulla competitività. Non da ultimo la mancanza di un uniforme comportamento amministrativo, ancora una volta sembra penalizzare il Sud minando alla radice ogni possibilità di sviluppo e ripresa della notoriamente fragile economia –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto descritto in premessa;
   se il Governo intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per chiarire se gli operatori del settore abbiano la possibilità di versare le tasse in dogana con assegni bancari circolari.
(5-07623)


   FABBRI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 17 novembre 2015 il Governo rispondeva all'interrogazione n. 5-05852 relativa a quanto accaduto nelle giornate del 5 e 6 febbraio 2015 lungo l'autostrada A1 da Milano a Firenze e la A14 da Bologna a Cesena, laddove le intense nevicate hanno comportato da parte di Autostrade per l'Italia, la chiusura dell'autostrada ai mezzi pesanti in via del tutto precauzionale, prima dell'inizio delle nevicate, con evidenti e pesanti ripercussioni, soprattutto di carattere economico, sui comuni a ridosso del tratto appenninico, in particolare Casalecchio di Reno e Sasso Marconi a loro volta impegnati con i propri soli mezzi per prepararsi all'emergenza;
   il Governo rispondeva altresì che la struttura di vigilanza del MIT, a seguito degli eventi succitati, aveva avviato un procedimento ispettivo secondo quanto previsto dall'atto convenzionale, aveva convocato la Concessionaria già il giorno 6 febbraio al fine di acquisire ogni elemento utile alla valutazione degli accadimenti e quindi aveva proceduto a contestare il blocco della circolazione lungo i tronchi interessati dall'evento nevoso;
   ad oggi risulta essere ancora in fase di definizione la procedura di contestazione, con la prevista applicazione alla concessionaria di una sanzione e di una penale;
   non appare ammissibile che i comuni, sopramenzionati durante l'emergenza neve, abbiano dovuto provvedere con proprie risorse a gestire le conseguenze derivanti dal blocco dell'arteria autostradale deciso da Autostrade per l'Italia –:
   se sia ipotizzabile che la procedura di contestazione nonché sanzionatoria nei confronti del concessionario, possa contemplare il rimborso delle spese sostenute da queste amministrazioni nella nevicata in questione per mezzi e uomini dirottati al fine di assolvere ai compiti teoricamente spettanti a società autostrade o derivanti dalle scelte di chiusura come citato in premessa. (5-07626)


   MATARRESE, VARGIU, D'AGOSTINO, DAMBRUOSO, VECCHIO e PIEPOLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nell'anno 2002 è stata ultimata la costruzione della nuova stazione ferroviaria di Noicattaro, in provincia di Bari;
   dalla data di ultimazione dei lavori ad oggi, la stazione, l'area antistante e il parcheggio multipiano interrato si presentano in evidente stato di abbandono con grave disagio non solo per la popolazione residente ma anche per coloro che quotidianamente utilizzano la struttura ferroviaria per gli spostamenti in quanto costretti a sopportare un evidente e totale disservizio;
   sui binari di testa della stazione di Noicattaro sono presenti, da anni, carrozze ferroviarie abbandonate, oggetto di ripetuti atti di vandalismo e di fatto non più utilizzabili. I convogli sono ormai ricovero di persone non autorizzate, situazione questa che determina evidenti problemi di sicurezza per gli utenti che si aggiungono alla mancanza di un presidio di vigilanza e ad un sistema di illuminazione insufficiente;
   il piazzale antistante la stazione si presenta, nell'aspetto generale, molto lontano dagli standard minimi di decoro urbano. Nell'area, infatti, è presente un giardino totalmente incolto che non è mai stato oggetto di interventi di manutenzione e la cui illuminazione è insufficiente a tal punto che la zona risulta decisamente poco sicura per i cittadini che lo percorrono di sera per giungere ai binari;
   nel corso degli anni, la totale incuria della zona ha determinato due problematiche rilevanti dal punto di vista ambientale, del decoro e della sicurezza della cittadinanza ovvero la presenza di alcune zone divenute discariche a cielo aperto e di una discarica di rilevanti dimensioni all'interno di un parcheggio interrato peraltro mai completato e reso fruibile per la cittadinanza;
   il parcheggio, anche secondo quanto riferito dagli organi di stampa, dopo dieci anni non è mai entrato in esercizio ed è di fatto ancora un cantiere aperto. Le sbarre di accesso sono divelte, sono ben visibili carcasse d'auto abbandonate e fatte precipitare dalla rampa di accesso, il piano interrato risulta completamente allagato, tutto il materiale elettrico è stato rubato e persistono rifiuti di ogni genere depositati al proprio interno;
   da quanto riferiscono gli organi di stampa, pare che questo parcheggio sia stato realizzato proprio da Ferrovie Sud Est unitamente ad altri due costruiti nei comuni di Capurso e Triggiano utilizzando risorse pari a circa 6 milioni di euro inclusi «...fondi che il Ministero dei trasporti avrebbe messo a disposizione per la realizzazione delle Metropolitane...»;
   con particolare riferimento al parcheggio di Noicattaro, sembra che sussista un contenzioso tra Ferrovie Sud Est e la ditta appaltatrice poiché non ci sarebbe stato accordo sulle varianti e sulla gestione del cantiere. Pertanto, pare che la FSE non abbia mai preso in consegna il parcheggio e che il collaudo tecnico amministrativo non sia mai avvenuto;
   secondo quanto si evince da fonti di stampa, questo stato di fatto sembrerebbe dovuto al persistere di un'indeterminatezza sull'ente pubblico responsabile della riqualificazione, gestione e manutenzione dell'area antistante la stazione;
   secondo quanto si evince da documenti pubblicati sul sito della regione Puglia, sembrerebbe che la stazione di Noicattaro, unitamente a quelle di Bari, Triggiano e Capurso, sia stata oggetto di un intervento di «Adeguamento e potenziamento delle ferrovie locali» denominato «Bretella ferroviaria del sud-est barese», previsto dall'asse 5 – reti e collegamenti per la mobilità del PO – FESR 2007-2013, per un ammontare euro 136.000.000,00;
   dai predetti documenti risulterebbe che la progettazione e l'intervento avrebbero dovuto prevedere «... anche la riqualificazione delle aree esterne contermini con l'obiettivo di generare luoghi a servizio dell'utenza ferroviaria e dei residenti, nonché di migliorare la qualità urbana di questo luogo centrale nel rispetto del contesto urbanistico ed architettonico esistente...» –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quale sia il soggetto pubblico responsabile della riqualificazione, gestione e manutenzione delle aree antistanti la stazione ferroviaria di Noicattaro, e quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di risolvere le criticità sopra descritte.
(5-07628)


   LODOLINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in seguito alla partecipazione ad una gara di appalto indetta da Anas, Compartimento della viabilità per l'Abruzzo (gara europea GU/S112 del 13 giugno 2014 - GU Repubblica Italiana n. 67 del 16 giugno 2014) le ditte Faro S.r.l. e 2torri società cooperativa consortile, entrambe con sede in Argenta (FE), risultavano aggiudicatarie di 7 lotti di viabilità ove svolgere servizi invernali per il triennio 2014/2017 riguardanti lo sgombero della neve e il trattamento antighiaccio;
   esperite tutte le procedure di legge e divenuta definitiva l'aggiudicazione venivano stipulati i sette contratti di appalto relativi ai sette lotti aggiudicati;
   con provvedimento CAQ - 0031071-P del 24 dicembre 2015, emesso dall'Anas, Compartimento della viabilità per l'Abruzzo, veniva disposto il recesso contrattuale anticipato, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 1373 del codice civile, del contratto d'appalto, Rep. 24690 Racc. 14025 del 12 febbraio 2015, registrato all'Aquila il 16 febbraio 2015 al n. 543, Serie 1T, stipulato con l'impresa due torri, soc. coop. consortile, con sede in via Garibaldi 3, 44011 Argenta (FE), cf/p.iva 02071850412, il servizio triennale, onnicomprensivo di sgombraneve e trattamento antighiaccio (codice MOS AQNEVE 1413-CUP F29j14000150001-CiG (5792853D82);
   con altro provvedimento CAQ - 0000185-I-P dell'8 gennaio 2016, emesso dall'ANAS Compartimento della viabilità per l'Abruzzo, veniva disposto altresì il recesso contrattuale anticipato, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 1373 del codice civile, del contratto d'appalto Rep. 24687 Racc. 14022 del 12 febbraio 2015, registrato all'Aquila il 16 febbraio 2015 al n. 546 Serie 1T, stipulato con l'Impresa FARO SRL, con sede in via Vandini 6/b, 44011 Argenta (FE) cf/p.iva 01538260389, il servizio triennale onnicomprensivo di sgombraneve e trattamento antighiaccio (codice SIL AQNEVE 1406-CUP F29j14000170001-CiG (5792853D82);
   in entrambi i casi, le ragioni addotte per il recesso contrattuale anticipato venivano espresse nel modo seguente: che nelle premesse al contratto d'appalto (omissis) Rep. (omissis) Racc. (omissis), registrato a L'Aquila il 16 febbraio 2016 al n. (omissis) serie 1T sottoscritto dall'impresa in data (omissis) e agli articoli 1 e 10 è riportata la clausola di salvaguardia per i contratti triennali e che quindi ricorrano gli estremi per attuare la procedura di recesso anticipato proposto ai sensi e per gli effetti dell'articolo 1373 del CC. Che il Compartimento ha avviato un programma di efficientamento del personale e dei mezzi aziendali disponibili che consente un migliore impiego delle suddette risorse umane e strumentali, anche in relazione alla qualità del servizio oggi offerte dalle Ditte esterne incaricate, eseguendo in amministrazione diretta i servizi in argomento»;
   il comportamento del Compartimento dell'Anas di Abruzzo, alla luce di quanto sopra esposto, suscita alcuni interrogativi ancora inevasi. Ci si chiede infatti:
    a) perché mai l'Anas abbia indetto ed espletato una gara di appalto di rilevanza europea per poi cambiare decisione ad appalto aggiudicato, contrattualizzato ed attuato;
    b) se siano stati valutati eventuali danni richiedibili dall'originaria aggiudicataria dell'appalto;
    c) se sia stato valutato che, in conseguenza dell'appalto indetto da Anas, le imprese aggiudicatarie abbiano dovuto sostenere costi rilevanti ed impegni di natura economica ed organizzativa sia per affrontare la gara che, successivamente, per dar corso agli obblighi contrattuali;
    d) che cosa si sia modificato nel periodo intercorrente tra la stipula dei contratti ed i provvedimenti di recesso nelle dotazioni di Anas, Compartimento della viabilità per l'Abruzzo in termini di dotazione di risorse umane e di attrezzature, ossia di quanto siano aumentate rispetto al momento della stipula del contratto tanto da far decidere di svolgere il servizio in amministrazione diretta;
    e) in che cosa il programma Anas di «efficientamento del personale e dei mezzi» ha migliorato la qualità del servizio rispetto a quello offerto dalle ditte aggiudicatrici dell'appalto e perché mai Anas, anziché indire una gara, stipulare contratti, coinvolgere aziende nell'operazione non abbia da subito deciso di procedere con amministrazione diretta del servizio, visto che ad un solo anno di distanza si scopre in grado di farlo;
    f) se corrisponda al vero che il recesso notificato alla ditta DUE TORRI SOC. COOP. CONSORTILE riguarda il lotto assegnato con gara esperita il 21 dicembre 2015 (in piena vigenza contrattuale) alla ditta COGEMA SRL di Brecciarola (CH) per lo svolgimento del servizio invernale, peraltro con un contratto a misura, anziché a corpo come quello oggetto di recesso, cosa che più che efficientamento fa pensare ad una pura sostituzione di azienda;
   quanto sopra riportato appare all'interrogante in evidente contrasto con i meccanismi di trasparenza nel rapporto intercorrente tra il pubblico ed il privato sui quali il Governo è fermamente impegnato nel loro rafforzamento, anche alla luce delle riforme introdotte in questa legislatura;
   la presenza di elementi discrezionali, motivati da ragioni valutabili da una sola parte, lede ad avviso dell'interrogante il rapporto di trasparenza, nonché la fiducia di aziende che, nel rispetto della legge, si sono aggiudicate appalti all'interno di procedure legali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e se non ravveda gli estremi per avviare una attività di approfondimento rispetto all'intero iter di recesso e nuova aggiudicazione del servizio anti neve per i lotti interessati al fine di assicurare la massima trasparenza e l'applicazione corretta delle norme vigenti e di realizzare le migliori condizioni di trasparenza su problematiche così delicate. (5-07635)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PARENTELA, NESCI e DIENI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il primo firmatario del presente atto ha presentato in data 1o ottobre 2013 l'atto di sindacato ispettivo n. 5-01104, rimasto senza risposta, chiedendo al Ministro interrogato se avesse intenzione di intervenire mediante lo stanziamento di circa 320 milioni di euro necessari al completamento della strada del Medio Savuto. In data 21 settembre 2015 è stata, altresì, presentata, sempre dal primo firmatario del presente atto la mozione n. 1-00990 con la quale si impegna il Governo «ad individuare le risorse necessarie al completamento di tutto il tracciato della strada del Medio Savuto e ad intervenire affinché vengano realizzati nel più breve tempo possibile gli interventi già finanziati ricompresi nel secondo lotto»;
   fin dall'inizio dei lavori, i rapporti di gestione dell'appalto con l'impresa esecutrice SO.CO.STRA.MO. S.r.l., hanno avuto notevoli criticità. Da notizie a mezzo stampa si apprende che da circa un mese l'impresa ha inopinatamente abbandonato le aree di cantiere sospendendo arbitrariamente l'esecuzione dell'opera e disattendendo tutte le disposizioni della direzione dei lavori;
   l'amministrazione provinciale ha proceduto ad attivare le procedure previste per la risoluzione del contratto per grave inadempimento ai sensi dell'articolo 136, comma 3, del decreto legislativo 163 del 2006 e successive modificazioni e pertanto i lavori risultano sospesi e non conclusi;
   la storia di quella che è, a tutti gli effetti, l'infrastruttura viaria più importante della Calabria centrale, risolutiva per lo sviluppo delle zone interne del Reventino parte dal lontano 1989, anno in cui la provincia di Catanzaro ottenne un finanziamento da 98 miliardi di lire. Fu, quindi, espletata una gara con l'obiettivo di realizzare un lotto fra la strada statale 616 e Serrastretta (16 chilometri) con l'utilizzo dei fondi disponibili e predisponendo, nel contempo, il progetto per l'intera strada. I lavori, però, ebbero solo una parziale realizzazione, e subirono una sospensione e una successiva revoca del finanziamento concesso. L'opera, lasciando una serie di opere monche sul territorio, venne definita «La strada che non c’è», e fu oggetto di alcune note vicende giudiziarie. Nel 2004 l'amministrazione provinciale riuscì ad ottenere un finanziamento di circa 60 milioni di euro, che consentì di riprendere i lavori e risolvere i gravi contenziosi lasciati in vita da vecchio appalto. Successivamente nel 2011 furono assegnati ulteriori 40 milioni di euro che portano le disponibilità sugli attuali lavori in corso a 100 milioni di euro circa. Il tratto realizzabile con i 100 milioni disponibili è di circa 9 chilometri dallo svincolo sulla strada statale 616 in provincia di Cosenza fino a Decollatura. Nel 2011 furono, poi, inseriti nel cosiddetto «piano per il Sud» ulteriori 70 milioni di euro: tale cifra risulta dell'entità necessaria per arrivare ad ultimare l'originario lotto fino a Serrastretta. Nella stessa delibera del Cipe fu quantificata in 334 milioni di euro la dotazione finanziaria necessaria per completare definitivamente l'opera e vennero assegnati 30 milioni di euro «programmatici» per il secondo lotto, finalizzati a porre le basi di progettazione e garantire il finanziamento degli stralci successivi;
   nei mesi scorsi la regione Calabria ha chiesto al Governo di eliminare dal piano per il Sud la previsione di spesa dei 70 più 30 milioni di euro per destinare tali fondi al ripianamento del debito sanitario e di quello del trasporto pubblico locale –:
   se i Ministri non ritengano, per quanto di competenza, opportuno fare piena luce e chiarezza sui fatti accaduti in ragione delle legittime aspettative dei portatori di interesse, cittadini e contribuenti che, esasperati, da oltre 30 anni aspettano la realizzazione dell'opera;
   quali siano le iniziative che i Ministri intendono adottare per garantire la realizzazione della strada del Medio Savuto al fine di evitare l'ennesimo sperpero di danaro pubblico;
   quali iniziative di competenza si intendano assumere per la salvaguardia delle maestranze e delle imprese subappaltatrici calabresi operanti sul cantiere, che unico torto eventualmente hanno di avere prestato con serietà ed onestà la loro opera ed attività, anteponendo in primo luogo l'interesse pubblico connesso al completamento di un'opera importante, la cui conclusione è attesa da anni e certamente ritardata e vanificata da quello che appare agli interroganti un torbido connubio protrattosi per troppi anni tra l'ente e l'impresa. (4-11929)


   FRANCO BORDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il TiBre autostradale è un'opera fortemente osteggiata dalle amministrazioni comunali e dalla cittadinanza dei territori coinvolti, come si è evinto dalla grande partecipazione alle assemblee pubbliche e alle manifestazioni e dal numero di associazioni e comitati coinvolti nella protesta;
   le diverse associazioni, comitati e amministrazioni locali i cui territori risultano coinvolti nella realizzazione del TiBre autostradale in più occasioni hanno richiesto un incontro con il Ministro delle infrastrutture e trasporti Delrio, al fine di sollecitare l'adozione di una soluzione alternativa a tale inutile e devastante opera. L'incontro non risulta mai fissato dal Ministro;
   gli attori coinvolti e contrari alla realizzazione del TiBre autostradale propongono che venga realizzata la TiBre ferroviaria, ritenuta meno dispendiosa, più sostenibile dal punto di vista ambientale e più utile al Paese;
   Goito è un comune in provincia di Mantova, da sempre importante snodo viario a causa della sua posizione strategica. È collocato sulla sponda destra del Mincio, lungo tre direttrici principali: l'interprovinciale Mantova-Brescia (236 Goitese), il percorso che collega Mantova e il lago di Garda e il tracciato dell'antica via Postumia fra Cremona e Verona. Appare quindi evidente quanto il comune di Goito subisca un intenso traffico;
   dal 1986 cittadini e varie istituzioni goitesi chiedono che venga realizzata una tangenziale ove possa confluire l'intenso traffico che attraversa il paese;
   la realizzazione della tangenziale è stata strumentalmente ipotizzata in qualità di opera accessoria nel piano di realizzazione del TiBre autostradale, senza che le due opere siano tra loro collegate –:
   quali iniziative di competenza intenda mettere in atto il Ministro affinché la tangenziale di Goito venga realizzata, indipendentemente dalle sorti del TiBre autostradale, per permettere ai residenti del comune di Goito di poter finalmente evitare l'altissima concentrazione di traffico con tutti i disagi e rischi che comporta per la salute, il benessere ambientale e la sicurezza dei cittadini. (4-11932)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il movimento politico italiano CasaPound Italia nasce in qualità di primo centro sociale di ispirazione fascista il 26 dicembre 2003 a Roma, con l'occupazione di uno stabile nel rione Esquilino. Successivamente, il fenomeno, diffondendosi con ulteriori occupazioni, mobilitazioni e iniziative di vario genere, divenne un movimento politico. Nel giugno del 2008 CasaPound si costituisce come associazione di promozione sociale ed assume l'attuale denominazione CasaPound Italia – CPI. Pur non riconoscendosi ufficialmente nelle definizioni classiche di destra e sinistra, CPI viene comunemente inserita nel panorama dei gruppi e movimenti politici della destra radicale italiana;
   il nome, ispirato al poeta Ezra Pound, fa particolare riferimento ai suoi Cantos contro l'usura, alle posizioni economiche di critica tanto al capitalismo quanto al marxismo ed alla sua adesione alla Repubblica Sociale Italiana. I riferimenti politici dell'associazione sono più precisamente legati all'ideologia fascista, con particolare attenzione al Manifesto di Verona, alla Carta del Lavoro ed alla legislazione sociale del fascismo stesso. Il simbolo scelto è una tartaruga stilizzata, dal guscio ottagonale;
   l'associazione CasaPound, come si legge sul sito www.casapound.org, «si propone di sviluppare in maniera organica un progetto ed una struttura politica nuova, che proietti nel futuro il patrimonio ideale ed umano che il Fascismo italiano ha costruito con immenso sacrificio»;
   nel suo programma, al punto 18, si propone di riscrivere la Costituzione: «La Costituzione della Repubblica Italiana va riscritta. Essa è opera di uomini che la compilavano all'indomani della guerra civile ed adempivano a quel compito nella scia dei carri armati stranieri»;
   i suoi esponenti in numerose interviste e comunicati si definiscono «fascisti del terzo millennio» e si rifanno esplicitamente al programma di San Sepolcro, elaborato da Mussolini nel marzo 1919, con il quale furono fondati i Fasci di combattimento, e alla Repubblica di Salò;
   la prima occupazione fatta utilizzando il nome CasaPound, fu quella del 26 dicembre 2003 a Roma da parte di un gruppo di giovani facente riferimento all'area ONC/OSA (acronimo di «Occupazioni Non Conformi e Occupazioni a Scopo Abitativo») e provenienti dall'esperienza precedente di CasaMontag alle porte di Roma. L'edificio, un ex palazzo governativo al n. 8 di via Napoleone III, è diventato in seguito la sede nazionale del movimento e dell'associazione CasaPound Italia;
   nel 2006 CasaPound decise di entrare nel partito Movimento Sociale – Fiamma Tricolore. Il periodo è contraddistinto da azioni dimostrative, come l'assalto alla «bolla» del programma televisivo Grande Fratello nel 2008 a Roma, insieme ad altre occupazioni di edifici. Nel 2008, per protesta contro la mancata organizzazione di un congresso nazionale, CasaPound occupò la sede centrale romana della Fiamma Tricolore, venendone espulsa;
   un articolo pubblicato dal quotidiano la Repubblica edizione romana in data 23 marzo 2009 a firma Rori Cappelli dal titolo «Casa Pound, slogan choc contro i disabili», si dà conto di come militanti di CasaPound avessero esibito uno striscione con la dicitura «travestiti da disabili, ma con le pance piene, siete sempre e solo iene». La giornalista, nell'articolo, riporta la reazione di un ragazzo minorenne down il quale alla vista dello striscione, piangente, dice «io non sono travestito da disabile, io sono down»;
   l'articolo pubblicato dal quotidiano la Repubblica del 6 febbraio 2009 a firma del giornalista Paolo Berizzi, narra di come un circolo neofascista milanese denominato «Cuore Nero» e gemellato con Casa Pound, avesse pubblicato una fanzine la cui copertina rappresentava un brindisi all'olocausto. Un fotomontaggio, al posto della famigerata scritta «il lavoro rende liberi» posta sopra il varco di accesso al campo di sterminio di Auschwitz, compare «Cuore nero brewery»: letteralmente, «Birrificio Cuore nero». La copertina è del numero di giugno 2008;
   in altra occasione un esponente di Casa Pound, consigliere della circoscrizione ovest di Prato per il partito delle libertà, inneggiava ad Adolf Hitler, come risulta dall'articolo pubblicato il 23 aprile 2011, pubblicato sul sito del quotidiano «Il Tirreno» dal titolo «Consigliere del PDL fa l'elogio di Hitler»;
   altro episodio di xenofobia e razzismo si è verificato in occasione dell'anteprima nazionale dello spettacolo teatrale di Ascanio Celestini dal titolo «Il razzismo è una brutta cosa», tenutasi a Viterbo il 24 settembre 2009. In quella occasione, Casa Pound Viterbo, con numerose scritte murali attaccò l'assessore provinciale Picchiarelli, il consigliere Riccardo Fortuna e l'attore Ascanio Celestini volantini vennero affissi sui muri della città e buttati dentro la sede dell'Arci di Viterbo: le scritte murali ed i volantini attaccavano le persone, ma in realtà il bersaglio politico era lo spettacolo di Ascanio Celestini contro il razzismo;
   nel gennaio 2013, un'inchiesta della procura di Napoli, portava all'arresto di 7 esponenti di Casa Pound e dell'applicazione dell'obbligo di dimora per altri 3 nelle città di Napoli, Salerno e Latina. In rete è possibile reperire diversi articoli sulla vicenda pubblicati dal quotidiano Corriere del Mezzogiorno tra il 24 ed il 29 gennaio 2013 nei quali si dà conto della vicenda, al di là degli sviluppi processuali di cui pure si dirà ciò che interessa è quanto emerge dalle intercettazioni captate tra gli aderenti di Casa Pound i quali esprimono chiaramente sentimenti antisemiti: si arriva a dire di voler violentare una studentessa ebrea, che gli ebrei con la kippah fanno schifo, altri dicono che le camere a gas non sono esistite, ma non bisogna dirlo pubblicamente, altri discutono del «Mein Kampf» di Adolf Hitler e si ricostruiscono episodi di pestaggi ai danni di giovani di sinistra in occasione di una campagna elettorale;
   nel 2014, è accaduto che a seguito del diffondersi di una falsa notizia relativa ad una presunta aggressione compiuta da nomadi, gli aderenti al «Blocco studentesco», articolazione di CasaPound, abbiano di fatto impedito a 90 ragazzi e ragazze del campo nomadi di Via Cesare Lombroso a Roma di recarsi rispettivamente, alle scuole materne, elementari e medie. I giovani di CasaPound, si sono presentati in circa 500 esibendo uno striscione con su scritto «No alle violenze dei Rom. Alcuni italiani non si arrendono», accendendo fumogeni e scandendo cori contro i nomadi. Tale iniziativa, che ha visto la partecipazione di 500 persone di fronte alle quali i genitori dei bambini non si sono sentiti sicuri di uscire venne stigmatizzata dall'allora vice-sindaco di Roma come un gesto meschino, un atto di razzismo che va contro ogni principio democratico;
   la senatrice Albertina Soliani, presentò in due occasioni atti di sindacato ispettivo durante la XVI Legislatura in data 22 dicembre 2009 interrogazione n. 4-02467 e in data 15 maggio 2012 interrogazione n. 3-02858 per eventi di violenza avvenuti nella città di Parma. Dalle risposte ai due atti si evidenzia come il Governo pro tempore intendesse porre la massima attenzione nel prevenire e reprimere tutte le iniziative dei gruppi e movimenti politici, sia di estrema destra che di estrema sinistra, che possano sfociare in episodi di violenza. In riferimento all'attività di CasaPound si sottolinea come l'associazione, nel tempo, ha organizzato diverse manifestazioni, tra cui la presentazione di opere letterarie di revisionismo storico sul fascismo e volantinaggi denigratori della Resistenza;
   per quanto concerne gli esiti dell'azione di contrasto nei confronti dell'estremismo di destra, nell'ultimo anno sono stati arrestati 11 militanti e ne sono stati denunciati 147. In particolare, nel novembre 2011 la DIGOS di Roma ha arrestato un noto elemento di CasaPound, tuttora sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, accusato di una violenta aggressione nel quartiere romano di Montesacro contro alcuni militanti di opposto orientamento intenti ad affiggere manifesti. Il successivo 19 marzo, la DIGOS di Lecce ha dato esecuzione a quattro ordinanze di custodia cautelare in carcere a carico di elementi, sempre di CasaPound, accusati di aggressione ai danni di un militante leccese di diversa ideologia politica;
   da quanto si apprende, un documento (protocollo N.224/SIG. DIV 2/Sez.2/4333) della direzione centrale della polizia di prevenzione che porta la data dell'11 aprile 2015, con sigla in calce del direttore centrale, prefetto Mario Papa, allegato dal legale di CasaPound Italia in una causa civile che oppone la figlia di Ezra Pound, signora Mary Pound vedova de Rachewiltz, a Gianluca Iannone, definisce CasaPound sodalizio di giovani molto disciplinati, con «uno stile di militanza fattivo e dinamico ma rigoroso nel rispetto delle gerarchie interne» sospinti dal dichiarato obiettivo «di sostenere una rivalutazione degli aspetti innovativi e di promozione sociale del ventennio»;
   nel testo della informativa non viene opportunamente mai citato il termine fascismo, né tantomeno si precisa che fu una dittatura, al suo posto si usa un sinonimo neutralizzante come «ventennio», di cui si da acriticamente atto della possibilità di rivalutarne «gli aspetti innovativi di promozione sociale»;
   la nota informativa descrive l'attività del Movimento, quasi esaltando «l'impegno primario» di CasaPound volto alla «tutela delle fasce deboli attraverso la richiesta alle amministrazioni locali di assegnazione di immobili alle famiglie indigenti, l'occupazione di immobili in disuso, la segnalazione dello stato di degrado di strutture pubbliche per sollecitare la riqualificazione e la promozione del progetto “Mutuo Sociale”», «lo stile di militanza fattivo e dinamico ma rigoroso nel rispetto delle gerarchie interne» e che ha l'obiettivo «di sostenere una rivalutazione degli aspetti innovativi e di promozione sociale del ventennio»; poi si riferisce che «l'attenzione del sodalizio è stata rivolta anche alla lotta al precariato ed alla difesa dell'occupazione attraverso l'appoggio ai lavoratori impegnati in vertenze occupazionali e le proteste contro le privatizzazioni delle aziende pubbliche, in passato predominio esclusivo della contrapposta area politica, quali il sovraffollamento delle carceri, o la promozione di campagne animaliste contro la vivisezione e l'utilizzo di animali in spettacoli circensi». Si racconta poi del collegamento tra CasaPound e la nuova Lega Nord di cui si condividono le istanze di sicurezza e l'opposizione alle politiche immigratorie attraverso la creazione del cartello elettorale denominato «Sovranità»;
   pur affermando che «all'interno del movimento militano elementi inclini all'uso della violenza» la nota sembra voler relegare la natura violenta di cui, come si è visto, è costellata la storia di CasaPound, quasi esclusivamente all'ambito sportivo, luogo tra gli altri di proselitismo all'interno delle tifoserie ultras, dove «l'elemento indennitario si coniuga a quello sopperivo divenendo spesso il pretesto per azioni violente nei confronti di esponenti di opposta ideologia anche fuori dagli stadi» –:
   se il Ministro interpellato sia a conoscenza delle problematiche sopra esposte;
   se esista una mappatura delle sedi e delle iniziative di CasaPound su tutto il territorio nazionale e, in caso negativo, il Ministro interpellato abbia intenzione di predisporla;
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, intenda intervenire prontamente adottando una posizione di netta contrarietà al testo della informativa della direzione centrale della polizia n. 224/SIG. DIV 2/Sez.2/4333 verificando eventuali responsabilità affinché si riaffermino con decisione i principi fondanti della Repubblica italiana;
   quali iniziative di competenza intenda assumere per impedire la diffusione di una propaganda ad avviso degli interpellanti di chiara ispirazione neofascista, razzista e xenofoba e manifestamente contraria ai valori costituzionali.
(2-01260) «Lavagno, Schirò, Luciano Agostini, Boccadutri, Bossa, Carocci, Cassano, Chaouki, Cimbro, Cominelli, Coppola, Dallai, Di Salvo, Fiorio, Fregolent, Gasparini, Gribaudo, Kronbichler, Lacquaniti, Marchi, Moretto, Nardi, Oliverio, Piazzoni, Pilozzi, Giuditta Pini, Rampi, Romanini, Rossi, Sbrollini, Scuvera, Tullo, Zampa, Zan, Verini».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
I Commissione:


   NUTI, PISANO, SILVIA GIORDANO, COLONNESE, MICILLO, FICO, LUIGI GALLO, CECCONI, COZZOLINO, DADONE, D'AMBROSIO, DIENI e TONINELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il prefetto di Salerno, a seguito della sentenza della corte di appello di Salerno di rigetto dell'appello del dottor Vincenzo De Luca in cui lo stesso veniva dichiarato decaduto dalla carica di sindaco a far data dal maggio 2013, comunicava al consiglio comunale di Salerno che la procedura di scioglimento, del consiglio sarebbe intervenuta solo all'esito del passaggio in giudicato della sentenza di ultima istanza. Il De Luca infatti aveva proposto ricorso in Cassazione, così impedendosi il passaggio in giudicato della citata sentenza della corte di appello;
   nelle more aveva provveduto a nominare un sindaco facente funzioni, nella persona del signor Vincenzo Napoli, in luogo della vicesindaco Eva Avossa nominata nel 2011;
   tale nomina del sindaco facente funzioni è stata effettuata quindi in costanza di decadenza decorrente dal maggio 2013, quindi, ad avviso degli interroganti si tratta di una nomina in contrasto con la normativa vigente;
   a metà del mese di settembre 2015, De Luca notificava ad alcuni dei firmatari del presente atto, atto di rinuncia al ricorso in Cassazione. Tale rinuncia ha prodotto l'effetto della estinzione della impugnazione e della determinazione della fase di ultima istanza della sentenza della corte di appello con declaratoria di decadenza a far data dal maggio 2013;
   i suddetti firmatari si sono tempestivamente attivati, comunicando alle autorità competenti – prefetto di Salerno, Ministro dell'interno e Presidente della Repubblica – dell'intervenuta notifica dell'atto di rinuncia al fine dell'avvio della procedura di scioglimento del consiglio comunale;
   sembrerebbe che il Ministro dell'interno abbia richiesto l'idoneo parere all'Avvocatura generale dello Stato che, al momento, non risulta aver dato risposta;
   da indirizzo del Consiglio di Stato, con l'elezione diretta del sindaco vi sarebbe un legame stretto e fiduciario tra gli organi: la decadenza del sindaco, dunque, coinvolgerebbe gli altri organi comunali –:
   se sia a conoscenza dei motivi del ritardo del parere da parte dell'Avvocatura generale dello Stato e, comunque, se non intenda assumere le iniziative di competenza ai fini dello scioglimento del consiglio comunale di Salerno. (5-07638)


   QUARANTA, SCOTTO, DANIELE FARINA, COSTANTINO e D'ATTORRE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a quanto si apprende da organi di stampa nazionali il blog Insorgenze ha reso noto il documento (protocollo N.224/SIG. DIV 2/Sez.2/4333 dell'11 aprile 2015) con cui la lezione centrale della polizia di prevenzione, con sigla in calce del direttore centrale, prefetto Mario Papa, definisce CasaPound Italia una organizzazione di bravi ragazzi molto disciplinati, con «uno stile di militanza fattivo e dinamico ma rigoroso nel rispetto delle gerarchie interne» sospinti dal dichiarato obiettivo «di sostenere una rivalutazione degli aspetti innovativi e di promozione sociale del ventennio». Il documento è stato allegato dall'avvocato di CasaPound Italia in una causa civile che oppone la figlia di Ezra Pound, signora Mary Pound vedova de Rachewiltz, a Gianluca Iannone, leader indiscusso della controversa formazione di «fascisti del III millennio»;
   la signora Pound contesta da tempo l'uso del nome del poeta da parte dell'organizzazione. Il legale di CasaPound ha chiesto al giudice di acquisire informazioni sulla natura del gruppo politico al Ministero dell'interno. Dall'ordinanza emessa dalla giudice Bianchini è scaturita la nota della polizia di prevenzione che i fascisti di via Napoleone III stanno tentando di utilizzare come un biglietto da visita anche in altre cause vista la frequenza con cui personaggi vicini a Cpi affollano i titoli delle cronache nere;
   il testo della informativa pubblicato integralmente su Insorgenze fa ricorso ad un'abile strategia linguistica evitando in modo sistematico l'utilizzo della parola fascismo, né tantomeno il riferimento al fatto che si trattasse di una dittatura «al suo posto si usa un sinonimo neutralizzante come “ventennio”, di cui si dà acriticamente atto della possibilità di rivalutarne “gli aspetti innovativi di promozione sociale”- si può leggere nell'analisi redatta dal blog – la prosa, del tutto inusuale per una nota informativa degli organismi di Polizia, lascia trasparire una chiara empatia, quasi una sorta di compiacimento che rasenta l'agiografia quando si valorizzano le capacità politiche del gruppo “facilitato dalla concomitante crisi delle compagini della destra radicale e dalla creazione di ampi spazi politici che Casa Pound si è dimostrata pronta ad occupare”. Il passaggio successivo è palesemente compiacente: “Il risultato è stato conseguito anche attraverso l'organizzazione di innumerevoli convegni e dibattiti cui sono frequentemente intervenuti esponenti politici, della cultura e del giornalismo anche di diverso orientamento politico”»;
   in seguito, si valorizza la «progettualità» chiaramente xenofoba del gruppo «tesa al conseguimento di un'affermazione del sodalizio al di là dei rigidi schemi propri delle compagini d'area», come se in passato tra le «compagini d'area» non ci fossero state alleanze politico-elettorali con il centrodestra. Prova ne sarebbero – prosegue la nota – «le recenti intese con la Lega Nord, di cui si condividono le istanze di sicurezza e l'opposizione alle politiche immigratorie, con la creazione della sigla "Sovranità Prima gli Italiani" a sostegno della campagna elettorale del leader leghista»;
   dal punto di vista politico è quanto illustrato il fulcro della informativa, redatta in prossimità di quello che i giornali hanno definito il «patto del Brancaccio», ovvero alla venuta di Salvini a Roma. La velina descrive «l'impegno primario» di CasaPound volto alla «tutela delle fasce deboli attraverso la richiesta alle amministrazioni locali di assegnazione di immobili alle famiglie indigenti, l'occupazione di immobili in disuso, la segnalazione dello stato di degrado di strutture pubbliche per sollecitare la riqualificazione e la promozione del progetto "Mutuo Sociale"», riportando «L'attenzione del sodalizio è stata rivolta anche alla lotta al precariato ed alla difesa dell'occupazione attraverso l'appoggio ai lavoratori impegnati in vertenze occupazionali e le proteste contro le privatizzazioni delle aziende pubbliche»;
   la strategia dissimulativa e imitativa di CasaPound viene descritta nella nota come un ampliamento delle tematiche di intervento «in passato predominio esclusivo della contrapposta area politica, quali il sovraffollamento delle carceri, o la promozione di campagne animaliste contro la vivisezione e l'utilizzo di animali in spettacoli circensi» e per finire ci sono anche gli aspetti ludici;
   riguardo agli atti di violenza ascrivibili al gruppo, la tesi del poliziotto compilatore è quella di addossarne la colpa a militanti indisciplinati magari troppo facinorosi per via della frequentazione delle curve ultras «ambito in cui l'elemento identitario si coniuga a quello sportivo divenendo spesso il pretesto per azioni violente nei confronti di esponenti di opposta ideologia anche fuori dagli stadi». CasaPound, associazione «rigorosa nel rispetto delle gerarchie interne», non c'entra. «Il sodalizio organizza con regolarità, sull'intero territorio nazionale, iniziative propagandistiche e manifestazioni nel rispetto della normativa vigente e senza dar luogo ad illegalità e turbative dell'ordine pubblico». L'utilizzo della violenza, inoltre, è considerato come una conseguenza, attribuendo la responsabilità alla sinistra radicale che «sotto la spinta del cosiddetto “antifascismo militante” non riconosce il diritto alla agibilità politica» alle formazioni di estrema destra –:
   se non ritenga necessario ed urgente assumere chiare istanze dalla posizione espressa nel documento della direzione centrale della polizia di prevenzione, con sigla in calce del direttore centrale, prefetto Mario Papa, e avviare un'indagine interna volta ad appurare al più presto se ricorrano o meno i presupposti per procedere alla rimozione dall'incarico del prefetto. (5-07639)


   FAMIGLIETTI e FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda dei trasporti pubblici di Napoli (Anm) ha deciso di sospendere le corse degli autobus nelle ore serali e notturne per quanto riguarda le linee che interessano il quartiere di Scampia;
   la decisione sarebbe dovuta a seguito del ripetersi di atti di vandalismo contro i mezzi e delle aggressioni ai danni di personale e passeggeri;
   le linee urbane interessate da questa sospensione sono, la N5, la N8 e la R5, blocco che scatterà ogni giorno a partire dalle 21 «fino a nuova disposizione»;
   l'ultimo episodio di violenza risale al 27 gennaio 2015 quando attorno alle 23, in via Monterosa, un gruppo di ragazzini ha accerchiato un autobus e ha cominciato a bersagliarlo con sassi e oggetti vari provocando la rottura dei finestrini laterali e con il conducente che fortunatamente è riuscito a mettersi in salvo;
   nei mesi scorsi il ripetersi degli assalti aveva indotto i vertici dell'azienda comunale a chiedere la scorta armata nelle ore serali;
   l'ampia eco avuta dalla notizia necessita di una adeguata risposta da parte delle autorità pubbliche per ripristinare la legalità consentendo ad un servizio pubblico di poter essere garantito nella piena tutela della incolumità di lavoratori e passeggeri –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare per assicurare il rispetto della legalità e il contrasto dei fenomeni di violenza sopracitati, anche al fine di consentire quanto prima il ripristino del regolare servizio del trasporto pubblico locale di Napoli, anche dopo le ore 21, in particolare per quanto riguarda le linee citate in premessa. (5-07640)


   SISTO e SANTELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è in corso in Calabria un pesante attacco alla autonomia degli enti locali da parte della politica regionale;
   sarebbero purtroppo, all'ordine del giorno tentativi di avvicinamento effettuati da consiglieri regionali di maggioranza ed amministratori dell'attuale maggioranza regionale, nei confronti di consiglieri comunali di maggioranza, affinché questi abbandonino le fila della stessa;
   la questione riguarda in particolare il comune di Cosenza ed in parte quello di Catanzaro: al fine di ottenere il «cambio di casacca» verrebbero offerte opportunità di lavoro a consiglieri o a loro congiunti presso le strutture regionali istituzionali o amministrative;
   attraverso l'utilizzo improprio di risorse pubbliche si tenta quindi di effettuate un mercimonio che costituisce a tutti gli effetti una palese forma di «corruzione politica»;
   a prescindere dagli estremi di reato, di cui eventualmente si occuperanno le competenti autorità giudiziarie, rimane in capo al Governo e al Ministro interrogato la necessità di tutelare, per quanto di competenza, l'integrità, l'indipendenza e la libertà degli enti locali –:
   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato rispetto a comportamenti simili, e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per vigilare sul corretto esercizio della vita democratica nei consigli comunali, al fine di garantire libertà ed indipendenza degli enti locali. (5-07641)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LATRONICO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la pericolosità della ’ndrangheta è un dato ormai acclarato in numerose inchieste ed analisi ed oggi è considerata la più pericolosa consorteria di stampo mafioso operante in Italia ed all'estero;
   nei giorni scorsi hanno destato preoccupazione le dichiarazioni del procuratore aggiunto di Reggio Calabria, dottor Nicola Gratteri, alla trasmissione «Punto di Vista» su Raidue dove ha affermato che in Basilicata sono attivi 7 gruppi di ’ndrangheta;
   nel corso della trasmissione il procuratore di Reggio Calabria ha parlato di come le `ndrine siano diventate sempre più potenti imponendosi nel traffico di droga, infiltrandosi nel tessuto economico e insinuandosi nella politica;
   la Basilicata non è di fatto immune dalla criminalità organizzata, nonostante gli sforzi compiuti negli ultimi anni da forze dell'ordine e magistratura che hanno portato a inchieste, arresti, processi e condanne contro il clan dei Basilischi e quelli operanti nella zona del Vulture-Melfese;
   nel potentino la direzione investigativa antimafia ha segnalato la presenza di diversi sodalizi criminali dediti al traffico di stupefacenti con la disponibilità di armi, e si registrano anche episodi di danneggiamento di mezzi ed infrastrutture produttive che mirano ad assoggettare le aziende e gli imprenditori del luogo;
   è noto che l'attività della criminalità organizzata ha concentrato la propria attività su settori diversificati, dall'energia alla gestione dei rifiuti, dai servizi sanitari alle opere infrastrutturali e negli ultimi tempi l'area del materano, nella fascia ionica, è stata interessata da un intenso traffico di droga e da una serie di episodi incendiari e di estorsioni svolte dai clan malavitosi lucani collegati ad analoghi gruppi criminali delle vicine Calabria e Puglia;
   oltre all'incremento di quasi il 30 per cento dei reati contro il patrimonio, sono in crescita le denunce per usura ed estorsione, nonostante molti casi restino nell'ombra per paura o omertà. C’è anche un aumento dei reati in materia ambientale, che segna un +9,7 per cento con riferimento al traffico di rifiuti –:
   se non ritenga il Governo di avviare un monitoraggio, per quanto di competenza, sulle potenziali attività che in Basilicata possano essere oggetto di attenzioni da parte delle organizzazioni criminali e quali iniziative intenda promuovere per frenare questi fenomeni. (5-07610)


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sono allarmanti i dati dei migranti minorenni che risultano scomparsi dopo l'arrivo in Europa; l'Europol denuncia che sono almeno 10.000 i bambini di cui non si hanno più tracce, di cui addirittura 5.000 sono scomparsi in Italia, mentre altri 1.000 sembra siano scomparsi in Svezia;
   si teme, dunque, l'esistenza di un'organizzazione criminale a livello europeo che sfrutta i migranti; su più di 10.000 bambini scomparsi, non è certo che siano finiti nelle mani di criminali, alcuni potrebbero essersi ricongiunti ai famigliari, ma è grave che le autorità non siano al corrente di dove e con chi siano;
   è assurdo che anche in Italia le autorità preposte non siano in grado di avere un controllo sui migranti che arrivano e sostano sul territorio, tanto da aver perso le tracce di circa 5.000 bambini su più di 10.000 scomparsi, in base ai dati Europol;
   è urgente predisporre tutte le iniziative necessarie non solo affinché siano ritrovati i bambini di cui non si hanno più notizie, ma anche per escludere che in futuro si verifichino altre scomparse –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro sui fatti esposti in premessa e come sia possibile che sul territorio vi sia una mancanza di controllo tale sui migranti da non essere rintracciabili almeno 5.000 bambini;
   se e quali iniziative di competenza intenda adottare per rintracciare i minorenni scomparsi e per evitare il rischio che in futuro si verifichino nuovamente fatti così gravi;
   se e quali iniziative di competenza intenda promuovere per individuare un'eventuale organizzazione criminale che agisce sul territorio italiano e che sfrutta i migranti. (5-07613)


   MOGNATO, MARTELLA, MARCON, MORETTO, MURER e ZOGGIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la circoscrizione di decentramento comunale, denominata municipalità nello statuto del comune di Venezia, nell'ordinamento italiano costituisce, come noto, un organismo di partecipazione, consultazione e gestione dei servizi di base nonché di esercizio di funzioni delegate istituito dal comune con competenze su di una parte del suo territorio comprendente uno o più quartieri;
   la disciplina è contenuta nell'articolo 17 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 che al comma 1 ne rende obbligatoria l'istituzione per i comuni, quale è il comune di Venezia, con popolazione superiore ai 250.000 abitanti;
   il comma 2 del medesimo articolo 17 prevede poi che l'organizzazione e le funzioni delle circoscrizioni siano disciplinate dallo statuto e da apposito regolamento;
   il comma 4, del medesimo articolo, in merito al ruolo che le municipalità svolgono nel territorio, stabilisce che gli organi delle circoscrizioni «rappresentano le esigenze della popolazione delle circoscrizioni nell'ambito dell'unità del comune e sono eletti nelle forme stabilite dallo statuto e dal regolamento»;
   ne emerge un quadro dal quale si desume come il principio di sovranità popolare, garantito dalla Carta costituzionale all'articolo 1, è strettamente legato al principio del decentramento politico, garantito dal successivo articolo 5, la cui funzione è quella di avvicinare il più possibile il Governo al singolo cittadino permettendogli di esercitare quanto più strettamente e tangibilmente la sua parte di sovranità;
   le circoscrizioni di decentramento comunale sono nate proprio per garantire nel modo migliore dei modi l'attuazione di tali principi;
   lo scopo è quello di consentire la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica e all'amministrazione di essere più puntuale e capace di adeguare la propria azione alle esigenze del territorio;
   lo statuto del comune di Venezia, in attuazione dei principi sopra richiamati, prevede all'articolo 22 l'istituzione di circoscrizioni territoriali costituite in municipalità per «rappresentare le rispettive comunità, curarne gli interessi»;
   il successivo articolo 23 individua le funzioni delle municipalità prevedendo che «le Municipalità esercitano le funzioni ad esse attribuite dallo statuto e dal regolamento» sovraintendono a tutti i servizi, le attività, i procedimenti a loro assegnati e le deleghe sono attribuite secondo il principio di sussidiarietà;
   dal combinato disposto delle previsioni costituzionali, del testo unico degli enti locali e delle linee tracciate nello statuto del comune di Venezia emerge il ruolo importante dell'organismo di municipalità che rappresenta ed è esponenziale dei cittadini presenti nel territorio che, attraverso la scelta dei propri rappresentanti ne consiglio di municipalità, ha manifestato in modo chiaro la propria volontà nel contesto e con i presupposti presenti al momento della espressione del voto;
   è quindi chiaro che ogni intervento riguardante i compiti e le funzioni della municipalità deve tenere conto dell'assetto normativo e del principio di sovranità popolare per non incorrere in una attività svolta in difetto di attribuzione;
   è quello che sembra prospettarsi ora nella attuale amministrazione del comune di Venezia nella quale, per ragioni più politiche che tecniche, è programmata la discussione in consiglio comunale di una serie di delibere nelle quali è prevista:
    l'abrogazione del «regolamento del sistema bibliotecario comunale», svuotando in tal modo di ogni competenza i municipi;
    la modifica del regolamento comunale del servizio trasporti scolastici all'articolo 15, commi 1 e 4, relativi alle competenze interne del procedimento, eliminando le competenze degli uffici dei consigli di municipalità in materia di esenzione dal pagamento del servizio di trasporto scolastico;
    la modifica del regolamento comunale del servizio refezioni scolastiche all'articolo 14, commi 1,3 e 5, relativi alle competenze interne del procedimento eliminando le competenze degli uffici dei consigli di municipalità in materia di esenzione dal pagamento del servizio;
    la modifica al regolamento per la concessione di patrocini, sovvenzioni, contributi e altri vantaggi economici e dell'albo delle associazioni eliminando le competenze delle municipalità in materia;
    la modifica del regolamento per l'erogazione di interventi di natura economica di competenza delle municipalità;
    la modifica al «regolamento comunale delle municipalità» (articoli 4, 5, 34, 38-bis, 41, 42 e 44), con le quali vengono svuotate di poteri e funzioni, nei vari ambiti, le municipalità;
   tutte queste modifiche, valutate nel loro complesso, a giudizio degli interroganti svuotano l'organismo della municipalità di ogni funzione e di ogni rappresentatività;
   è evidente, che una tale scelta, se ricondotta nell'alveo delle norme anche di rango costituzionale sopracitate, non rientra nell'ambito delle attribuzioni del consiglio comunale perché, ad avviso degli interroganti lede il principio di sovranità dei cittadini, il principio del decentramento politico attraverso il quale tale sovranità ha modo di esprimersi, la previsione dell'obbligatorietà dell'istituzione degli organismi circoscrizionali per i comuni con popolazione superiore ai 250.000 abitanti e contrasta con quanto previsto agli articoli 22 e 23 dello statuto del comune di Venezia –:
   quali siano le iniziative di competenza, anche sul piano normativo, che il Governo intende intraprendere per assicurare all'organismo della municipalità effettive funzioni al fine di esercitare la sua parte di sovranità e di rappresentanza delle rispettive comunità. (5-07632)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 gennaio 2016 con interrogazione a risposta scritta veniva posto il tema della vertenza in corso presso lo stabilimento di Nek srl a Monselice (PD);
   si sottolineava in particolare come dall'8 dicembre fosse in corso il blocco ai cancelli messo in essere dopo il licenziamento di 26 lavoratrici che avevano protestato contro il taglio unilaterale dei buoni pasto;
   in data 1o febbraio 2016 le forze di polizia intervenivano per sgomberare il presidio, senza peraltro raggiungere alcun risultato, vista la resistenza passiva opposta dalle lavoratrici che si arrampicavano sui cumuli di rifiuti accatastati nei piazzali dello stabilimento;
   si ricorda infatti che Nek srl si occupa di riciclaggio di materia plastica, grazie ad una convenzione col consorzio COREPLA –:
   sulla base di quali presupposti le locali prefettura e questura abbiano valutato di dover procedere allo sgombero anziché alla composizione della vertenza nel pieno rispetto del CCNL, coinvolgendo tutti i soggetti interessati. (4-11918)


   GREGORIO FONTANA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 21 dicembre 2015 il prefetto di Milano Alessandro Marangoni, tracciando il bilancio annuale del lavoro delle commissioni territoriali per i richiedenti asilo, ha dichiarato tra l'altro: «il Ministro dell'interno Alfano si è preso l'impegno di potenziare la commissione di Milano» e «in prospettiva verrà aperta un'altra commissione a Monza e un'altra è in previsione di apertura a Bergamo»;
   il lavoro svolto dalle commissioni territoriali richiede, come rileva anche il prefetto Milano, particolari competenze di carattere culturale, nonché un impegno esclusivo e a tempo pieno dei suoi membri –:
   in che termini e in quanto tempo sarà realizzato il rafforzamento della commissione territoriale di Milano;
   in quanto tempo saranno operative le commissioni di Bergamo e di Monza e se queste ultime saranno istituite come commissioni autonome o, invece, come sezioni delle commissioni, rispettivamente, di Brescia e di Milano;
   se il Governo non ritenga necessario intervenire per modificare la disciplina vigente in materia di commissioni territoriali, attraverso iniziative normative urgenti, per garantire sia una presenza diffusa e capillare delle suddette commissioni sul territorio sia una loro composizione professionalmente adeguata. (4-11923)


   PARENTELA, MASSIMILIANO BERNINI, DIENI e NESCI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 26 gennaio 2016 si è svolta in prefettura, a Reggio Calabria, una riunione
finalizzata a definire in maniera conclusiva le iniziative necessarie per superare le criticità nella tendopoli per immigrati di San Ferdinando;
   in quella sede il dirigente responsabile della protezione civile ha confermato uno stanziamento di fondi da parte della regione Calabria per 300 mila euro che vanno ad unirsi ad altri 10 mila euro finanziati dalla provincia di Reggio finalizzati al ripristino della vivibilità e della dignità abitativa;
   dalla relazione del prefetto si evince che verranno prese le seguenti misure:
    1) continuare le operazioni di controllo nelle aziende per combattere lavoro irregolare e caporalato;
    2) tamponare l'emergenza abitativa attraverso lo smantellamento della vecchia tendopoli e la creazione di una nuova – temporanea – che riconduca il campo ad una situazione di vivibilità;
    3) creare politiche di integrazione nel tessuto urbano (housing sociale);
   i medici per i diritti umani (MEDU) durante la riunione hanno presentato le seguenti osservazioni condivise in toto dall'interrogante:
    creare per la terza volta una tendopoli in estate non ha senso: significa investire 300mila euro per qualcosa che si trasformerà – se non vi sono altre risorse – in una cosa già nota. Si ricrea una situazione di precarietà senza risolvere il nodo delle problematiche cioè la mancanza di una programmazione della stagione agrumicola che unisca la questione lavoro a quella dell'accoglienza. Era meglio investire già i 300mila euro in un progetto pilota per politiche sui territori e riqualificare stabili in buone condizioni ma in disuso;
   occorre iniziare un monitoraggio da subito delle strutture sfitte e parallelamente avviare una mappatura dei terreni coltivati ad agrumi per avviare una programmazione insieme ai centri per l'impiego sul territorio (creazione liste di prenotazione, indici di congruità);
   il prefetto ha ringraziato per l'intervento prezioso, invitando a partecipare ad un tavolo tecnico regionale. Ma la tendopoli si farà in ogni caso per tamponare l'emergenza perché in un anno – vista la lentezza della burocrazia e della politica;
   non sarà possibile avviare delle politiche più «complesse»;
   a fine riunione la posizione di Medu è stata sopportata dal capo della protezione civile e dai commissari dei comuni di Rosarno e San Ferdinando che si dicono concordi su tutta la linea, ma di fatto nessuno in sede di riunione operativa ha avuto il coraggio di contraddire pubblicamente la posizione del prefetto –:
   se il Governo non ritenga condivisibile la posizione dell'associazione Medu e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, al fine di giungere ad una più opportuna programmazione della stagione agrumicola calabrese con risposte concrete e durature in termini di lavoro ed accoglienza. (4-11925)


   ATTAGUILE, GIANLUCA PINI, FEDRIGA, MOLTENI e BUSIN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel porto di Augusta è presente una struttura d'accoglienza temporanea costituita da due grandi tende e alcune più piccole capaci di ospitare centinaia di persone. Le cronache riportano come in alcuni momenti la presenza di migranti abbia raggiunto le mille unità;
   la baia di Augusta è inserita nelle reti TEN-T come porto strategico dell'Unione europea per la sua posizione baricentrica lungo le rotte del traffico internazionale. È il più grande porto naturale del basso Mediterraneo all'interno del quale si trovano un'importante porto commerciale, un polo industriale, una base militare ed un porto/città con due darsene in pieno centro storico;
   benché fosse destinata a durare solo pochi mesi il Ministero dell'interno ha deciso di convertire l'esistente struttura temporanea in struttura permanente piegandosi di fatto a quella che gli interroganti ritengono una imposizione dell'Unione europea che prescrive la realizzazione di centri di identificazione;
   il bando di gara per la realizzazione del centro di accoglienza si è chiuso il 9 dicembre 2015 e se ne attendono gli esiti;
   sia il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sia l'autorità portuale, che ha espresso parere negativo, sono contrari alla realizzazione dell’hot spot che andrebbe a danneggiare pesantemente gli investimenti fatti per la rinascita e lo sviluppo del porto di Augusta, a fortissima vocazione commerciale, i cui benefici ricadrebbero su tutto il territorio;
   la permanente presenza di migranti non solo non si concilierebbe con le ambizioni di sviluppo commerciale dell'area portuale ma costituirebbe un ulteriore e grave problema per la sicurezza del porto e della vicina area militare –:
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative per una sospensione immediata delle procedure di gara al fine di approfondire le criticità sollevate dal territorio, dall'autorità portuale e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. (4-11934)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, LOMBARDI, CHIMIENTI, DALL'OSSO, CARINELLI, DE ROSA, BUSTO, ZOLEZZI, PESCO, ALBERTI, VILLAROSA, CASO, LUIGI GALLO, SIMONE VALENTE, VACCA, CANCELLERI, MARZANA e D'UVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   tramite la legge n. 107 del 13 luglio 2015, dal 1o settembre 2015 sono cambiate le modalità di erogazione degli stipendi dei docenti che effettuano supplenze, erogazione che avviene mediante l'immissione dei dati contrattuali da parte delle scuole nel sistema informativo (SIDI) del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il successivo pagamento delle competenze a carico del Ministero dell'economia e delle finanze, il quale emette un cedolino unico;
   il sopraindicato sistema, elaborato a seguito di un lungo iter legislativo, avrebbe dovuto snellire e velocizzare le procedure di pagamento degli stipendi, ma, ad oggi, sono migliaia i docenti con contratto di supplenza temporanea che lamentano il ritardo nell'emissione di quanto a loro dovuto;
   la lentezza della procedura di pagamento è attribuibile, in piccola parte, anche alle istituzioni scolastiche, le quali hanno riscontrato problemi di funzionamento del sistema informatico quali l'impossibilità di convalidare cumulativamente i contratti immessi nel sistema e problemi nell'inserimento dei dati di quei supplenti per i quali non vi era una data certa di fine supplenza;
   migliaia di docenti e di collaboratori scolastici precari attendono da diversi mesi la corresponsione degli stipendi e versano ormai in una situazione di estrema difficoltà insieme alle loro famiglie. Tra questi, come riportato in data 30 gennaio 2016 sul quotidiano «Il Giorno», nelle pagine della Brianza, vi sono anche i circa 400 insegnati supplenti precari della provincia di Monza e Brianza;
   in data 24 dicembre 2015 e 22 gennaio 2016, il Ministero dell'economia e delle finanze ha erogato due versamenti estemporanei che hanno coperto circa la metà degli arretrati, ma non per tutti i richiedenti. Paradossalmente, non hanno ricevuto alcuno stipendio quegli insegnati precari che dal mese di settembre hanno lavorato più di altri, coprendo ore di maternità e malattia dei docenti da loro sostituiti;
   a detta di Enzo Palumbo, segretario CGIL funzione pubblica, ad essere sbagliato è il meccanismo di elargizione degli stipendi deciso dal Governo. Il Ministero dell'economia e delle finanze, infatti, non prevede un capitolo di spesa per la copertura delle supplenze nelle scuole. Ogni istituto scolastico, di volta in volta, notifica al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca i supplenti di cui sta usufruendo; il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca a sua volta richiede il pagamento al Ministero dell'economia e delle finanze. Questo porta a far sì che dall'ammissione in cattedra del supplente al pagamento dello stesso passano mesi e gli insegnanti non ricevono i dovuti stipendi. Il Ministero dell'economia e delle finanze, con le cosiddette «immissioni speciali», tende però a coprire solo le supplenze brevi e meno costose, a scapito di chi lavora per un maggior numero di ore. Tale singolare scelta di erogare gli stipendi, porta molti dei numerosi supplenti con difficoltà economiche a mettersi in malattia per ricevere i compensi a loro spettanti, lasciando però le cattedre vuote;
   il 22 ottobre 2015 si è svolta una riunione presieduta dai rappresentanti della direzione dei sistemi informativi e da alcuni esponenti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca tra cui il vicecapo di gabinetto, per risolvere i problemi legati al mancato pagamento delle supplenze del personale docente e ATA e le disfunzionalità del sistema SIDI. Dalla riunione è emerso che entro il 13 novembre 2015, sarebbe avvenuta un'emissione straordinaria che avrebbe coperto le retribuzioni dei supplenti di settembre e ottobre 2015. In quella sede veniva inoltre assicurato che il Ministero dell'economia e delle finanze avrebbe garantito la somma necessaria per la copertura degli stipendi relativi anche al mese di novembre e di dicembre 2015, come dichiarato sul sito della FLC CGIL in una nota del 10 novembre 2015;
   a giudizio degli interroganti, resta indubbio che la suddetta riunione effettuata in data 22 ottobre 2015, non abbia portato agli effetti voluti, ossia quelli di coprire le retribuzioni di tutti i supplenti a partire dal mese di settembre 2015. Gli interroganti ricordano che molti dei numerosi supplenti che non ricevono stipendi da mesi, versano in gravi difficoltà economiche e che pertanto una risoluzione in tempi brevissimi del loro problema, risulta essere di fondamentale importanza per gli stessi –:
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati intendano adottare al fine di garantire, nel più breve tempo possibile, il pagamento a tutti i docenti scolastici che effettuano supplenze, non escludendo nessuno, della totalità delle somme arretrate a loro dovute;
   quali iniziative si intendano adottare per risolvere, con la massima rapidità, i gravi problemi registrati in relazione al sopraindicato portale SIDI, allo scopo di garantire il corretto inserimento dei dati per tutti i docenti e al fine di erogare con regolarità a tutti i docenti che effettuano supplenze, non escludendo nessuno, gli stipendi a loro spettanti. (5-07627)


   D'UVA, DI BENEDETTO, VACCA, MANNINO, VILLAROSA, GRILLO, SIMONE VALENTE, BRESCIA, SIBILIA, MARZANA, LUIGI GALLO e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 1o febbraio 2016 il quotidiano nazionale, « Il Corriere della Sera» pubblicava un articolo firmato dal noto giornalista Gian Antonio Stella circa alcune gravi irregolarità avvenute in sede di abilitazione a professore ordinario in letteratura italiana contemporanea presso il dipartimento di scienze cognitive, psicologiche, pedagogiche e degli studi culturali;
   dalla lettura della notizia si rilevano possibili anomalie nel buon andamento della prova, laddove si riporta come «un docente messinese ha portato all'abilitazione in Letteratura italiana contemporanea testi qua e là platealmente copiati di sana pianta. Fin qui, capita. Non è la prima volta, difficile sia l'ultima. Molto più grave è risposta del ministero. Dove si spiega che la commissione, messa davanti alle prove del plagio, ha deciso di non modificare il giudizio»;
   secondo quanto riportato dall'articolo, protagonista della vicenda sarebbe Dario Tomasello, professore associato di letteratura italiana contemporanea all'università degli studi di Messina, figlio dell'ex Rettore dell'università degli studi di Messina, il professore Francesco Tomasello;
   l'allora rettore Tomasello fu imputato nel processo sul concorso di II fascia per l'assegnazione di un posto da professore presso la facoltà di veterinaria dell'università degli studi di Messina, e per il quale venne condannato in primo grado di giudizio dalla prima sezione penale del tribunale di Messina in data 20 febbraio 2013 per tentata concussione e abuso d'ufficio, alla pena di 3 anni e 6 mesi di reclusione, più l'interdizione dai pubblici uffici per 5 anni;
   a seguito di quei fatti veniva depositata un'interpellanza parlamentare al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca a prima firma D'Uva, la n. 2-00050, presentata il 15 maggio 2013 e attualmente ancora senza risposta, attraverso la quale veniva denunciata la situazione dell'ateneo circa possibili irregolarità nella sua corretta gestione;
   nonostante tale segnalazione il Ministero ritenne di non dover assumere alcun provvedimento, nell'ambito delle sue prerogative e in accordo con il principio dell'autonomia universitaria;
   dalla lettura del su citato articolo si apprende come «nei lavori del Tomasello non solo i pensieri, ma le parole stesse di Giuseppe Amoroso», storico luminare della materia, venivano riportate come proprie, con la presenza di «pagine e pagine non ispirate ma riprese da questo o quel libro con il copia incolla. Senza virgolette e citazione dei testi originali»;
   l'accusa, ad opera di Giuseppe Fontanelli, anch'egli professore associato presso l'ateneo messinese, viene provata dal quotidiano attraverso la presenza di numerosi parti dell'elaborato prodotto dal Tomasello, con interi passi integralmente pubblicati e resi noti dal quotidiano, i quali accrescono notevolmente la preoccupazione circa la regolarità e il corretto andamento della procedura pubblica;
   a seguito della denuncia, presentata anche alla procura della Repubblica di Milano, grazie al materiale utile alle indagini fornito dall'attuale rettore dell'università degli studi di Messina Pietro Navarra, che per primo ha inteso far chiarezza sull'accaduto, si è appresa dalle pagine del quotidiano non soltanto la volontà del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca di non procedere all'immediato annullamento della prova, bensì di disporne la convalida, dal momento che lo stesso direttore generale del Ministero, Daniele Livon, avrebbe riferito di avere visionato la relativa documentazione e di aver ritenuto, allo stesso tempo, non modificare giudizio di abilitazione già reso nei riguardi del professore Dario Tomasello;
   il Ministero, infatti, avrebbe chiesto nei mesi successivi alla segnalazione della vicenda alla commissione esaminatrice che si è occupata delle abilitazioni di rivedere il proprio giudizio in merito all'elaborato prodotto dal docente messinese, la quale ha inteso confermare interamente la propria valutazione e, quindi, la relativa abilitazione;
   la stessa commissione esaminatrice, tra l'altro, avrebbe lodato, secondo quanto concluso dall'articolo, il professore Dario Tomasello per i suoi «contributi originali», suscitando l'inevitabile richiesta di chiarimenti;
   è motivo di preoccupazione per gli interroganti, infatti, la scelta del Ministero di non chiarire, a oggi, gli elementi reali che hanno caratterizzato tale vicenda, ovvero le ragioni e le scelte assunte dal direttore generale Livon, il quale, benché a conoscenza dei principi di esclusiva imputabilità ai dirigenti della responsabilità per l'attività gestionale, così come stabiliti dalle legge 7 agosto 2015 n. 124, ha ritenuto di non dover approfondire la questione ovvero di non rendere note le proprie motivazioni –:
   se non intenda rendere note le motivazioni che la commissione esaminatrice ha fornito al Ministero a seguito delle richieste dallo stesso avanzate per verificare la sussistenza di possibili irregolarità nella prova per l'abilitazione a professore ordinario in letteratura italiana contemporanea;
   se non intenda chiarire, in particolare, per quale motivo il direttore generale del Ministero, Daniele Livon, non abbia ritenuto necessario effettuare ulteriori verifiche sui fatti esposti in premessa, anche in considerazione delle disposizioni normative in materia di responsabilità per l'attività gestionale. (5-07630)


   TURCO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 18 gennaio 2016 una ragazzina di 12 anni di Pordenone ha deciso di lanciarsi dalla finestra della sua camera nel tentativo di suicidarsi;
   a quanto riferiscono i mezzi di stampa, la studentessa avrebbe riportato diversi traumi con il sospetto della frattura di una vertebra; subito ricoverata all'ospedale di Udine al momento sono state escluse complicazioni ed i medici hanno sciolto la prognosi; guarirà ma ci vorrà un po’ di tempo;
   il gesto è stato spiegato dalla ragazzina con due lettere lasciate nella sua camera prima del gesto disperato: la prima lettera era destinata ai genitori e conteneva le scuse per il suo gesto, la seconda ai suoi compagni di classe dove si trova una laconica frase «adesso sarete contenti»;
   la madre s’è accorta del gesto, quando, dopo essere entrata nella stanza della figlia, e non trovandola, si è affacciata dalla finestra aperta e l'ha vista nel giardino sdraiata che veniva soccorsa da un vicino di casa; il soccorritore riferisce che la ragazza ferita per terra avrebbe detto «Volevo urlare quello che avevo dentro e non ci riuscivo. Non trovavo il coraggio di dirlo...»;
   il gesto della ragazzina è da imputare alle angherie subite, a scuola, dai propri compagni di classe che l'avevano presa di mira con atti di bullismo e le rendevano difficile superare la quotidianità, all'interno delle mura scolastiche;
   nelle sue lettere ai genitori riporta i suoi stati d'animo con le parole «io stavo soffrendo e morendo dentro di me», aggiungendo che certe parole ferivano più di coltelli e «mi facevano piangere»;
   nella lettera ai compagni di classe scrive: «per alcuni di voi sarà certo una notizia bellissima», si rivolge a coloro che la tormentano nelle sue giornate, i bulli, facendola sentire sopraffatta dalle loro prese in giro e cattiverie; augura felicità agli altri che le vogliono bene;
   confidandosi con i soccorritori del 118 la ragazzina dice che: «a scuola me lo dicevano: perché non ti uccidi ? Ucciditi», ad oggi nessuno sa dire chi e perché l'avrebbe istigata al suicidio; nemmeno la preside dell'istituto scolastico frequentato dalla ragazzina aveva colto alcun segnale d'allarme;
   la procura dei minori di Trieste, dopo aver disposto il sequestro delle apparecchiature tecnologiche della ragazza, provvederà alle audizioni dei compagni di classe al fine di accertare se e chi abbia avuto un ruolo nella decisione della ragazzina di tentare il suicidio;
   questo ennesimo grave episodio di bullismo che ha portato una 12enne di Pordenone a tentare il suicidio è assolutamente inaccettabile;
   il fenomeno del bullismo nella letteratura scientifica avente ad oggetto la descrizione e l'analisi psicologica, indica questo comportamento come tutti quegli atti che si sostanziano delle prepotenze perpetrate da bambini e ragazzi nei confronti di altri loro coetanei, soprattutto durante le ore di lezione scolastiche;
   il bullismo spesso viene sottovalutato sebbene si presenti di frequente ed in modo continuo; sia la scuola, sia le organizzazioni giovanili avrebbero il dovere di affrontare il problema con un approccio attivo, tenendo sotto controllo le manifestazioni di bullismo sin dalla giovane età, senza relegare questi preoccupanti segnali a banali scherzi tra ragazzi;
   la scuola dovrebbe essere la prima istituzione sociale a svolgere questo delicato compito attuando azioni d'educazione, sensibilizzazione e monitoraggio, soprattutto in un mondo come quello attuale dove, grazie all'avvento di tecnologie di comunicazione sempre più mobili, che consentono una diffusione molto più ampia dei fenomeni ed i «social network» che permettono alla condivisione di un contenuto su diari virtuali, di diventare diffusissimi e virali; gli utenti, interagendo e commentando i contenuti li portano quindi all'attenzione di un pubblico sempre più ampio;
   l'istituzione scolastica dovrebbe, perciò, concentrarsi sull'aspetto educativo e di prevenzione, auspicabilmente finanziando progetti d'informazione e prevenzione a contrasto del bullismo, in tutti i cicli scolastici;
   solo predisponendo un percorso educativo che ponga particolare attenzione all'integrazione scolastica e sociale, alla cultura del rispetto reciproco, si potranno prevenire fenomeni di emarginazione, bullismo ed isolamento in età scolare, insegnando il rispetto verso l'altro, si otterrà una società responsabile e attenta alle persone –:
   se sia a conoscenza dei fatti descritti;
   se e per mezzo di quali strumenti intenda provvedere all'attivazione di progetti che coinvolgano gli insegnanti dei cicli scolastici delle scuole italiane volti all'informazione, alla prevenzione e al contrasto del bullismo;
   se e quali iniziative anche di carattere normativo, intenda adottare al fine di promuovere l'inserimento nelle scuole di programmi dedicati alla, sensibilizzazione e prevenzione del bullismo, attraverso la definizione di azioni intese all'educazione degli studenti, all'integrazione scolastica e sociale ed alla cultura del rispetto reciproco. (5-07636)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   gli insegnanti delle accademie di belle arti e dei conservatori, già inseriti nella graduatoria nazionale della legge n. 128 del 2013, hanno superato una selezione nazionale per titoli, almeno un concorso nazionale per titoli artistici, professionali e culturali presso le varie Istituzioni AFAM e, mediamente, hanno dai 5 ai 10 anni di continuità di servizio per le discipline in cui siamo stati selezionati;
   per nessuna delle passate graduatorie nazionali AFAM ad esaurimento era stato richiesto una tale mole di passaggi concorsuali, selezioni per titoli, professionalità certificate e servizi svolti quanti quelli richiesti agli attuali docenti AFAM per accedere alla nuova graduatoria nazionale di cui alla legge n. 128 del 2013;
   in questi anni hanno assolto a tutte le richieste avanzate dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e ora, per ottenere l'immediata, e doverosa, stabilizzazione, saranno costretti, molto probabilmente, a rivolgersi alla giustizia amministrativa;
   al momento il Comitato dei professori AFAM, inseriti nella graduatoria nazionale di cui alla legge n. 128 del 2013, ha chiesto un incontro urgente al Ministro Giannini e indetto una manifestazione che si è tenuta davanti al Ministero il 1o febbraio;
   contemporaneamente, hanno lanciato un appello sul web, rivolgendosi anche a vari esponenti del mondo artistico e culturale italiano ed europeo chiedendo loro di aderire per sollecitare le istituzioni preposte affinché intervengano urgentemente per sanare questa grave ferita all'equità normativa, ottenendo più di 1000 adesioni;
   gli insegnanti chiedono urgentemente al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca la stabilizzazione, senza ulteriori passaggi concorsuali, dei professori delle accademie di belle arti e dei conservatori inseriti nella graduatoria nazionale di cui alla legge n. 128 del 2013, istituita tramite selezione per titoli ed in vigore dall'ottobre del 2014;
   si ricorda che la graduatoria nazionale di cui alla legge n. 128 del 2013 ha selezionato professori, in servizio già da anni, i quali dovevano aver precedentemente superato almeno un altro concorso nazionale per titoli artistici, professionali e culturali presso le varie istituzioni AFAM;
   risulta, pertanto, a parere dell'interrogante, incomprensibile ed in contrasto con il dettato costituzionale e con la normativa vigente che chi abbia superato più di un concorso selettivo nazionale per la stessa disciplina non sia stabilizzato nel ruolo già ricoperto da almeno 5 anni con continuità nelle accademie di belle arti e nei conservatori italiani –:
   come intenda intervenire per l'inserimento definitivo degli insegnanti AFAM nella graduatoria nazionale di cui alla legge n. 128 del 2013 e per la loro stabilizzazione senza ulteriori passaggi concorsuali, in ottemperanza al dettato costituzionale e alla normativa vigente e per il ripristino dei principi di civiltà giuridica. (4-11914)


   BORGHESI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale n. 850 del 27 ottobre 2015 è un provvedimento applicativo della legge 107 del 2015 della riforma della scuola, voluta da questo Governo;
   il provvedimento ministeriale include tra i destinatari del periodo di formazione del personale docente neo-assunto, anche i docenti che abbiano ottenuto il passaggio di ruolo, nonostante si tratti di insegnanti già titolari di contratto a tempo indeterminato, che hanno già effettuato l'anno di prova e formazione all'atto della loro originaria immissione in ruolo;
   inoltre la disciplina riguardante l a mobilità dei docenti, compresa quella professionale, è riservata per espressa previsione dei decreti legislativi n. 165 del 2001 e n. 297 del 2004 alla contrattazione collettiva e pertanto non può soggiacere a decisioni discrezionali dell'amministrazione;
   la stessa amministrazione, con la nota 3699 del 29 febbraio 2008, aveva peraltro precisato con chiarezza che «l'anno di formazione va effettuato una sola volta nel corso della carriera», riconoscendo come illogico e irragionevole richiedere a un docente che passa a un diverso ordine di scuola, avendo già maturato una consistente esperienza di servizio, la medesima formazione prevista per un docente neo-immesso in ruolo. A tutto ciò si aggiunge il fatto che al momento della presentazione delle domanda di passaggio di ruolo la legge n. 107 non era ancora legge dello Stato –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro e se intenda apportare le necessarie modifiche al decreto ministeriale n. 850 del 2015 alla luce di quelle che l'interrogante ritiene notevoli forzature e degli effetti retroattivi di dubbia legittimità descritti in premessa nonché della invasione delle competenze riservate alla contrattazione in materia di organizzazione del lavoro. (4-11915)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GNECCHI, FABBRI e PATRIZIA MAESTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con l'atto di sindacato ispettivo n. 5-03498 presentato dalla prima firmataria del presente atto furono a suo tempo segnalate alcune criticità nella gestione degli esuberi da parte dell'INPS;
   in particolare, si segnalava che sono state collocate coattamente a riposo dall'Inps, donne che avevano 61 anni se iscritte all'Inpdap e 60 anni se iscritte all'AGO/Inps al 31 dicembre 2011 e solo 20 anni di contributi a quella data, a volte addirittura frutto del riconoscimento della maternità al di fuori del rapporto di lavoro o grazie al riscatto del congedo facoltativo per maternità; quindi, una delle poche norme a favore delle donne si è trasformata in un danno per le stesse, tutto questo senza rispettare l'articolo 30 del decreto legislativo 198 del 2006 che avrebbe permesso loro di rimanere in servizio fino a 66 anni e 3 mesi; l'articolo 30 infatti recita testualmente: «Le lavoratrici, anche se in possesso dei requisiti per aver diritto alla pensione di vecchiaia, possono optare di continuare a prestare la loro opera fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini da disposizioni legislative, regolamentari e contrattuali, previa comunicazione al datore di lavoro da effettuarsi almeno tre mesi prima della data di perfezionamento del diritto alla pensione di vecchiaia.». La norma è valida sia per il settore pubblico che privato;
   all'atto di sindacato ispettivo di cui sopra, il sottosegretario Bobba a nome del Governo rispondeva: «In siffatto contesto, i competenti uffici del Ministero che rappresento espressamente interpellati sulla questione dall'INPS, hanno valutato positivamente l'orientamento dell'Istituto volto al superamento delle criticità dallo stesso evidenziate mediante l'esclusione dalla riduzione del personale eccedentario delle due categorie di dipendenti (1. Soggetti che maturano i requisiti pensionistici ai sensi dell'articolo 24 del decreto-legge 201 del 2011, ma che non raggiungeranno al 31 ottobre 2015 un'età anagrafica tale da evitare la riduzione percentuale del trattamento ai sensi del comma 10 del citato articolo 24; 2. Soggetti di sesso femminile iscritti all'AGO, che hanno maturato il diritto a pensione di vecchiaia al raggiungimento del sessantesimo anno di età entro il 31 dicembre 2011, in base alla normativa precedente alla riforma pensionistica di cui al decreto-legge 201 del 2011, con il numero minimo di 20 di contribuzione. Per questi ultimi soggetti, l'ordinamento pensionistico prevede un'età anagrafica inferiore rispetto a quella del personale civile femminile iscritto alla gestione ex Inpdap), ed il ricorso alla risoluzione del rapporto di lavoro nei confronti del personale, presente nell'apposita graduatoria, che ha già dichiarato la propria disponibilità al collocamento a riposo, e che ha maturato, o maturerà – entro il 31 gennaio 2015 – i requisiti pensionistici in deroga ai requisiti ordinari previsti dalla «Riforma Fornero». Alla luce di tale orientamento, pertanto, le dipendenti INPS potranno accedere al trattamento pensionistico di vecchiaia secondo le regole della gestione cui sono iscritte, nonché richiedere di permanere in attività lavorativa fino alla età pensionabile di vecchiaia prevista per i dipendenti di sesso maschile al fine di costruirsi una posizione pensionistica più adeguata nella misura. Quanto detto appare, peraltro, avallato dai criteri di carattere generale enunciati nella circolare n. 3 del Dipartimento della Funzione pubblica, laddove è sottolineato che, nell'attuazione dei prepensionamenti, vanno tenuti presenti, da un lato, il principio di arrecare il «minor pregiudizio dal punto di vista pensionistico degli interessati» e, dall'altro, «l'interesse dei dipendenti a non veder pregiudicate le proprie aspettative professionali». Conseguentemente, le problematiche evidenziate con il presente atto parlamentare stanno ottenendo una soluzione che va proprio nella direzione indicata dall'interrogante in quanto l'INPS – al fine di completare la gestione degli esuberi – procederà prioritariamente alla risoluzione del rapporto di lavoro nei confronti del personale – presente nell'apposita graduatoria – che ha già dichiarato la propria disponibilità al collocamento a riposo in deroga ai requisiti ordinari previsti della «Riforma Fornero»;
   a fronte della suddetta risposta del Governo sulla gestione degli esuberi, che peraltro è perfettamente coerente con quanto comunicato dal Ministero all'Inps con la nota n. 13772 del 9 ottobre 2014, lo stesso Istituto non ha rivisto le graduatorie per stabilire gli esuberi e soprattutto non ha dato la precedenza ai dipendenti che hanno manifestato la disponibilità e volontà di pensionamento, non ha revocato i provvedimenti di pensionamento coatto nei confronti delle dipendenti iscritte all'assicurazione generale obbligatoria, che hanno maturato i previgenti requisiti per la pensione di vecchiaia entro il 31 dicembre 2011 e al compimento del sessantacinquesimo anno di età le ha licenziate; ormai tutte le dipendenti iscritte all'Inpdap e che avevano 61 anni al 31 dicembre 2011 ne hanno già compiuti 65; quanto alle dipendenti iscritte all'assicurazione generale obbligatoria potrebbero ancora esserci dipendenti che non hanno compiuto 65 anni e che quindi potrebbero rimanere fino al compimento dell'età per la pensione di vecchiaia dei colleghi maschi, ossia 66 anni e 7 mesi –:
   se non ritenga il Ministro interrogato di intervenire urgentemente affinché l'Inps rimuova le criticità sulla gestione degli esuberi dello stesso Istituto e renda operative le indicazioni fornite nella risposta all'atto di sindacato ispettivo citato in premessa e gli indirizzi emanati dallo stesso Ministero con la nota sopra richiamata, riconoscendo il pensionamento prioritariamente ai dipendenti che abbiano dichiarato disponibilità al pensionamento;
   quali siano i motivi per i quali l'Inps non abbia dato seguito all'esaurimento della graduatoria del personale che ha dichiarato espressa disponibilità al pensionamento (cosiddetta tabella 3) e quante donne siano state pensionate coattivamente sia iscritte all'Inpdap che all'assicurazione generale obbligatoria e con quale anzianità contributiva. (5-07620)

Interrogazione a risposta scritta:


   DI GIOIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   durante la cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario a Bari, il presidente della corte di appello, ha dichiarato che la Puglia ha stabilito, nel periodo luglio 2014-giugno 2015, il triste «primato» degli infortuni mortali sul lavoro al Sud di Italia con 33 morti bianche;
   tale situazione è la dimostrazione evidente di come siano tuttora inadeguate e insufficienti le misure di controllo e di prevenzione;
   a questo fattore si aggiungono le piaghe non debellate del lavoro nero e caporalato che affliggono la regione Puglia, soprattutto nell'agricoltura;
   tale fenomeno è stato più volte reso pubblico, da ultima vi è stata la denuncia del sindacato che aveva svelato l'esistenza di 55 ghetti con oltre 50 mila «schiavi»;
   in particolare era stato reso noto il sistema di sfruttamento, da parte della malavita che gestisce questo fiorente mercato, dei migranti che lavorano nei campi;
   non solo gli stessi lavorano con salari da fame, ma devono subire le prepotenze dei «caporali» che richiedono parte dei loro miseri salari per farli vivere in «bidonville» o per dare loro da mangiare quel tanto che è necessario per farli lavorare;
   ovviamente in molte aziende tale sistema di sfruttamento non esiste, tanto è vero che vi è stato un incremento importante dei lavoratori a tempo determinato, ma ciò non toglie che i controlli e le ispezioni si sono rivelate del tutto insufficienti rispetto all'entità del fenomeno;
   tale sistema di sfruttamento del lavoro penalizza in enorme misura le aziende sane e gli imprenditori onesti che, seguendo le regole, sono ovviamente meno competitivi sul mercato e hanno utili notevolmente minori;
   appare del tutto incomprensibile, non solo in Puglia ovviamente, che tali realtà, conosciute e di dimensioni notevoli, possano continuare a esistere, favorendo realtà gestite dalla malavita che ne ricava enormi utili, senza che sia stato predisposto un piano per arrivare a debellare in maniera importate se non definitiva, tale fenomeno –:
   se non si ritenga necessario intervenire per predisporre un ulteriore incremento dei controlli sui posti di lavoro, in Puglia come in tutta Italia, affinché siano maggiormente rispettate le norme sulla sicurezza nei posti di lavoro, prevedendo ove necessario un aumento delle figure professionali degli addetti a tali controlli;
   se non si ritenga necessario accompagnare a tali iniziative una campagna di prevenzione e repressione del lavoro nero e del caporalato a partire dallo smantellamento dei ghetti gestiti dalla malavita che rappresentano un possibile focolaio di forti contraddizioni sociali, ristabilendo in questi territori la forte presenza dello Stato. (4-11916)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   AMODDIO, ROMANINI, IACONO, ZAPPULLA, CAPODICASA e ALBANELLA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la coltivazione, la distribuzione, il mercato e tutto l'indotto che ruota intorno alla produzione del pomodoro di Pachino IGP sta vivendo una profonda crisi strutturale. La grande distribuzione e le importazioni di pomodoro dai Paesi del nord Africa (Marocco e Tunisia) e dalla Turchia hanno saturato il mercato e abbattuto i prezzi. Oggi si calcola che la quotazione del pomodoro oscilla tra i venti centesimi ed i sessanta centesimi di euro al chilo. Si tratta di un crollo drastico del mercato che penalizza gli agricoltori con perdite economiche irreparabili se si calcola che per produrre un chilo di pomodoro italiano occorrono tra i sessanta ed i settanta centesimi. A questo si somma la concorrenza sleale delle produzioni dei Paesi esteri che, non vincolate dalle rigide norme europee sulla produzione e sulla qualità del prodotto, sono più aggressive sul mercato perché possono contare su un milione e mezzo di lavoratori minori, su un salario medio di 5 euro e sull'utilizzo di prodotti fitosanitari che in Europa non sono più consentiti da 15 anni. Se si confrontano i dati sulle importazioni di pomodoro si registra immediatamente un dato allarmante: le esportazioni di pomodoro dal Marocco sono aumentate del 75/100 per cento rispetto l'anno precedente, un incremento molto superiore a quanto stabilito dal Patto Unione europea-Marocco. L'accordo commerciale con il Marocco prevedeva sì l'aumento delle quote di scambio per alcuni prodotti importati a tariffe doganali basse (55 per cento sui prodotti agricoli), ma bilanciava con una serie di misure di salvaguardia tra le quali la variabilità stagionale delle quote di scambio per evitare distorsioni sul mercato e l'obbligo per i prodotti marocchini di rispettare gli standard sanitari europei. Purtroppo, questo non è avvenuto e questa concorrenza spietata, sta invadendo il mercato con un prodotto che sembra simile all'IGP di Pachino ma che costa infinitamente meno e non garantisce in termini di qualità. Il pomodoro di Pachino, eccellenza gastronomica e vanto del made in Italy in tutto il mondo, rischia di restare sulle piante perché mancano gli ordini dai mercati europei. La tutela dei prodotti IGP dovrebbe costituire obiettivo prioritario dell'azione istituzionale sia in ambito nazionale che in quello comunitario ed internazionale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza degli avvenimenti descritti e se e quali opportune iniziative intenda assumere con riferimento alle problematiche esposte in premessa al fine di tutelare la produzione ortofrutticola del pomodoro Pachino Igp;
   se il Ministro intenda adottare le opportune iniziative, anche in sede di Unione europea, per attuare la clausola di salvaguardia prevista dal trattato commerciale. (5-07611)


   RICCIATTI, ZACCAGNINI, FRANCO BORDO, PALAZZOTTO, SANNICANDRO, MELILLA, PIRAS, QUARANTA, DURANTI, COSTANTINO, FERRARA e KRONBICHLER. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il direttore di Confagricoltura Denis Bernabucci, insieme ai direttori della Coldiretti Tommaso di Sante e della Confederazione agricoltori Gianfranco Santi, della provincia di Pesaro Urbino, ha sollevato, in un articolo apparso sulla testata Il Resto del Carlino del 2 febbraio 2016, l'allarme per la tenuta del comparto agricolo provinciale dovuta alla preoccupante siccità causata dalle anomale condizioni meteo che stanno caratterizzando la stagione invernale;
   secondo gli esponenti delle organizzazioni citate, le riserve idriche attualmente a disposizioni nella provincia sono sufficienti ad irrigare le colture invernali, ma potrebbero essere – stante le perduranti alte temperature registrate sino ad oggi – drammaticamente inconsistenti per i raccolti della primavera ed estate prossime;
   inoltre, sempre a causa delle condizioni meteo anomale per l'inverno, alcune colture come albicocchi, ciliegi ed ulivi sarebbero in forte anticipo nel processo di fioritura rispetto ai tempi ordinari, con il rischio di gravi danni nel caso di possibili gelate;
   il clima insolitamente caldo di questa stagione incide sulla presenza di parassiti che potrebbero creare problemi alla salute delle piante, oltre al conseguente aumento dei costi di gestione delle stesse;
   a destare particolari preoccupazioni sono le magre dei fiumi Foglia, Metauro e Cesano, dovute alle scarse precipitazioni degli ultimi mesi (si registra un –60 per cento rispetto alle precipitazioni considerate ordinarie per la stagione invernale), insieme alla mancanza di neve nelle aree montuose che riforniscono la provincia di risorse idriche;
   la falda del Foglia è più bassa di un metro e mezzo rispetto alle rilevazioni dello stesso periodo dell'anno precedente;
   a risentirne è anche la produzione idroelettrica estremamente ridotta, con una attività di turnazione del 10 per cento rispetto alle medie del periodo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e se non intenda predisporre un monitoraggio della situazione, nell'ambito delle proprie competenze;
   quali misure, anche di carattere compensativo, intenda promuovere in ordine agli allarmi riportati. (5-07618)


   GUIDESI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2015, n. 91, all'articolo 1, consente di effettuare il pagamento del prelievo supplementare sul latte bovino dovuto per il periodo 1o aprile 2014-31 marzo 2015, su richiesta, in tre rate annuali senza interessi, previa prestazione — da parte del produttore richiedente — di fideiussione bancaria o assicurativa, esigibile a prima e semplice richiesta, a favore dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), a copertura delle rate relative agli anni 2016 e 2017;
   al netto dei ricorsi per i quali i tribunali hanno emesso sospensive in attesa del giudizio di merito, risulta all'interrogante che vi siano ancora 1.670 aziende, sull'intero territorio nazionale, che non hanno aderito alle rateizzazioni e che non hanno sospensive, per un prelievo ancora dovuto pari a circa 45 milioni di euro, dei quali circa 10 milioni in Lombardia (485 aziende) e per 21 milioni in Veneto (255 aziende);
   il decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009 n. 33, prevede, al comma 1, l'intimazione, da parte di AGEA, a ciascun debitore del versamento delle Somme che risultino ancora esigibili, fino alla campagna 2008-2009. Inoltre, l'articolo 8-quinquies, comma 2, prevede, oltre alla possibilità di rateizzare gli importi dovuti, la sospensione di tutte le procedure di recupero nonché l'interruzione dei termini di impugnazione, per dar modo alle aziende di aderire alla rateizzazione prevista. Il comma 10-ter, infine, prevede il subentro di AGEA al gruppo Equitalia, nelle procedure di riscossione coattiva sospese;
   l'AGEA sta ultimando le attività tecniche relativamente alla chiusura della campagna 2014/2015 – l'ultima del regime quote latte scaduto il 31 marzo 2015 – ed alla presa in carico delle cartelle esattoriali emesse dalle Regioni e da AGEA stessa, sospese ai sensi dell'ex articolo 8-quinquies, comma 2, del suddetto decreto-legge n. 5 del 2009, dall'agente riscossore Equitalia;
   sono pari a circa 255 milioni di euro le cartelle esattoriali emesse, delle quali circa 162 milioni da AGEA, 75 milioni dalla Regione Lombardia, 13 milioni dal Piemonte e così via;
   se è vero che il recupero del prelievo 2014/2015 vede un ruolo in prima persona dalla regione è altrettanto vero che l'impatto maggiore e più immediato è quello riferito alla riattivazione delle cartelle esattoriali sospese con l'entrata in vigore della legge n. 33 del 2009, sia per quanto riguarda l'ammontare degli importi dovuti sia per l'immediatezza dell'azione che potrebbe portare anche alla riattivazione delle procedure esecutive e le relative eventuali ipoteche poste in essere;
   mentre l'avvio di procedure di recupero coattivo per la campagna 2014/2015 è quantificabile in alcune decine di milioni di euro, la riattivazione delle cartelle esattoriali sospese potrebbe ammontare alcune centinaia di milioni di euro;
   non si deve dimenticare che la questione della riscossione delle quote è oggetto di attenta osservazione da parte della Commissione europea che ha già posto sotto procedura di infrazione il nostro Paese relativamente all'inerzia del sistema di recupero dei prelievi dovuti –:
   come intenda chiarire la questione della riattivazione delle cartelle esattoriali sospese ai sensi della legge n. 33 del 2009, e come intenda rendere partecipi le amministrazioni regionali di una questione di notevole impatto economico che va ad interessare un comparto come quello della zootecnia da latte che è già fortemente in crisi a causa del prezzo del latte non ancora adeguato rispetto ai costi sostenuti dai produttori. (5-07631)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ATTAGUILE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la crisi del comparto agricolo in Sicilia ha raggiunto livelli che superano di gran lunga il livello di allarme tanto da poter parlare di una vera e propria emergenza che sta facendo contrarre l'economia della regione mettendo in ginocchio migliaia di lavoratori e le loro famiglie;
   le analisi di mercato riportano ad esempio come il pomodoro ciliegino sia svenduto nei mercati a 70 centesimi e le arance marciscano sugli alberi visto che i ricavi delle vendite non coprirebbero i costi della raccolta;
   in merito al settore oleario si assiste alla crisi dei mercati dell'agrigentino e di Vittoria, ormai in ginocchio, viste le stringenti regole europee che l'Italia e la Sicilia sono costrette a rispettare;
   mentre si subisce impotenti la distruzione del comparto oleario siciliano, l'Unione europea, in questi giorni, ha accordato un aumento temporaneo di import di olio tunisino per aiutare l'economia di quel Paese;
   la Commissione commercio internazionale del Parlamento europeo ha, infatti, approvato il «via libera», a ulteriori 35 mila litri nel 2016 e altrettanti nel 2017 di olio tunisino esportabili nell'Unione europea a dazio zero;
   da quanto si apprende, le associazioni di categoria, hanno inviato una lettera all'Alto rappresentate dell'Unione europea per gli affari esteri, Federica Mogherini, ai commissari europei del commercio e dell'agricoltura e agli eurodeputati italiani, per chiedere di riscrivere l'accordo sul libero scambio con il Marocco che frutta al Paese nordafricano 30 milioni di euro l'anno;
   solo durante il primo semestre 2015, l'Europa ha ricevuto 428.396 tonnellate di ortaggi dal Marocco, di cui 228 mila tonnellate di pomodoro, pari all'81 per cento dell’import dei Paesi dell'Unione europea;
   il pomodoro ciliegino nei nostri mercati viene svenduto a 70 centesimi, cioè meno del costo di produzione per la concorrenza sleale del prodotto marocchino di minor costo, cui si aggiunge il dubbio che possa essere spacciato per prodotto siciliano –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative per dare con urgenza completa attuazione agli accordi sottoscritti che prevedevano sia misure compensative per gli agricoltori sia la sospensione dei flussi di merce dal nord Africa durante le campagne di raccolta;
   se intenda attivarsi al fine di intensificare i controlli alle dogane affinché sulla tavola degli italiani arrivi un prodotto di cui è certificata la provenienza ed è garantita la certezza della filiera.
(4-11919)


   GALLINELLA, GAGNARLI, L'ABBATE e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la normativa in materia di indicazione in etichetta delle informazioni riguardanti i prodotti privi di glutine è recata dal regolamento (CE) n. 41/2009 relativo alla composizione e alla etichettatura dei prodotti alimentari adatti alle persone intolleranti al glutine, che a decorrere dal 20 luglio 2016 sarà abrogato e sostituito dal regolamento di esecuzione della Commissione n. 828/2014 recante prescrizioni riguardanti l'informazione dei consumatori sull'assenza di glutine o sulla sua presenza in misura ridotta negli alimenti;
   il suddetto regolamento di esecuzione sancisce il principio secondo il quale un alimento contenente ingredienti naturalmente privi di glutine dovrebbe poter recare una etichettatura indicante l'assenza di glutine sempre che siano rispettate le condizioni generali sulle pratiche leali di informazione di cui al vigente regolamento (UE) n. 1169/2011;
   in particolare, come recita la circolare MiSa DGSAN 0006989-P-14/03/2010 relativamente alla dizione «senza glutine» in etichetta, le informazioni apposte sulle etichette degli alimenti non devono in alcun caso indurre in errore il consumatore magari evidenziando che un dato prodotto possieda particolari caratteristiche quando, di fatto, tutti i prodotti analoghi, per loro natura possiedono quelle stesse caratteristiche;
   a parere dell'interrogante la dicitura «senza glutine» sarebbe pertanto da apporsi solo nei casi in cui tale assenza non risulti scontata e non certo quindi su prodotti, come ad esempio confezioni di lenticchie secche messe in vendita in confezioni monoingrediente e non processate, posto che tale legume è naturalmente privo di glutine;
   con riferimento all'esempio di cui sopra appare evidente la violazione di quanto sancito all'articolo 7 del regolamento (UE) 1169/2011 poiché l'etichetta, evidenziando in modo esplicito l'assenza di glutine, sembra suggerire particolari caratteristiche a questo specifico tipo di prodotto, quando tutte le lenticchie, per loro natura, non possiedono glutine –:
   di quali ulteriori elementi dispongano in riferimento a quanto espresso in premessa e se ritengano che la dicitura «senza glutine» apposta in una confezione di lenticchie non processate e vendute in confezione monoingrediente sia corretta o meno e, in questo ultimo caso come intendano intervenire. (4-11933)


   L'ABBATE e SCAGLIUSI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'enfiteusi è un diritto reale ormai quasi completamente in disuso; fu usato soprattutto nell'800 per permettere agli agricoltori di avere pieni poteri sui fondi che coltivavano, con la possibilità per l'enfiteuta di affrancare il fondo divenendone proprietario. La costituzione dell'enfiteusi avviene per contratto, testamento o usucapione sia del diritto del concedente, che di quello dell'enfiteuta. L'enfiteuta ha molte delle facoltà che avrebbe il proprietario sul fondo (articolo 959 c.c.) ma non può alienarlo; può disporre del suo diritto sia per atto tra vivi che per testamento (articoli 965 e 967 c.c.), la forma scritta è richiesta a pena di nullità (articoli 1350, 2, c.c.) può affiancare il fondo in qualsiasi momento pagando al proprietario una somma pari a 15 volte il canone annuo (articolo 1, comma 4 della legge n. 607 del 1966) (articolo 971 c.c.), l'atto di affrancazione costituisce un diritto potestativo contro il quale il proprietario non può opporsi. Non è, inoltre, ammessa la subenfiteusi (articolo 968 c.c.) e l'enfiteuta ha l'obbligo di migliorare il fondo e ha l'obbligo di pagare un canone periodico che può consistere anche in una quantità fissa di prodotti naturali (articolo 960 c.c.). Il proprietario può chiedere la devoluzione (cioè la liberazione) del fondo enfiteutico se l'enfiteuta deteriora il fondo o non adempie all'obbligo di migliorarlo o, infine, è in mora nel pagamento di due annualità di canone (articolo 972 c.c.); quando cessa l'enfiteusi deve rimborsare l'enfiteuta dei miglioramenti e delle addizioni effettuate (articolo 975 c.c.); deve subire l'affrancazione del fondo. L'enfiteusi non può avere durata inferiore a venti anni, salvo il diritto di affrancazione e si può costituire in maniera perpetua; si prescrive per non uso ventennale. L'estinzione dell'enfiteusi può avvenire per decorso del termine eventualmente stabilito, per prescrizione ventennale, per affrancazione, per devoluzione, per perimento totale del fondo (articolo 963 c.c.);
   l'Agenzia del territorio, con circolare protocollo 29104 dell'11 maggio 2011, conferma l'esatta determinazione dei canoni enfiteutici periodici e del corrispondente capitale di affrancazione per fondi gravati, da enfiteusi. Nello specifico, vengono trattati i terreni di proprietà del Fondo edifici di culto concessi in enfiteusi e quindi tutti i terreni gravati da enfiteusi di cui al codice civile, da livello (equiparato ad un diritto di enfiteusi dalla giurisprudenza di legittimità – Cass. Civ. sez. III n. 64 del 1997 e, meno recentemente, Cass. n. 1366/1961 e Cass. 1682/1963 – E1) e da canoni (demaniali) di natura enfiteutica che fanno espresso riferimento all'utilizzo del reddito dominicale (legge n. 607 del 1966, legge n. 1138 del 1970, articolo 9 della legge regionale della Basilicata 57 del 2000 e successive modificazioni e integrazioni e altre norme). Viene dedotto che il capita di affrancazione è pari a 15 volte il canone, come stabilito dalla legge n. 607 del 1966 e dalla legge n. 1138 del 1970. Viene menzionata la precedente nota dipartimentale DC STE protocollo n. E2/1517 del 26 ottobre 2000, che ha statuito che il canone debba essere equiparato al reddito dominicale opportunamente attualizzato tramite idonei criteri di aggiornamento;
   in ossequio alla pronuncia della Corte Costituzionale, sentenza n. 143 del 1997, è stato precisato che, per le enfiteusi successive al 28 ottobre 1941 un'utile criterio di aggiornamento è quello individuato dalla legge n. 1138 del 1970 che fa riferimento all'indennità di esproprio dei fondi rustici per il calcolo del canone enfiteutico; se consegue che ogni qualvolta il reddito dominicale rivalutato risulti inferiore a tale soglia, il canone andrà di fatto rapportato a tale diversa misura pari alla quindicesima parte dell'indennità di esproprio, con conseguente aggiornamento anche del capitale di affrancazione che sarà pari per l'appunto all'indennità di esproprio. Per le enfiteusi antecedenti al 1941, avendo al Corte Costituzionale statuito, con la citata sentenza 143 del 1997, che «la diversità di trattamento non trova ragionevole giustificazione», è stato suggerito di utilizzare idonei coefficienti di aggiornamento del canone quali, ad esempio, quelli usati per calcolare le imposte sui redditi. Sulla scia di tale orientamento, la nota dipartimentale su citata del 2000 determinava il canone periodico moltiplicando il reddito dominicale per il coefficiente 1,80, posto che l'articolo 3, comma 50, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 prevede una rivalutazione del reddito dominicale dei terreni pari all'80 per cento;
   l'ultimo coefficiente di rivalutazione dei redditi dominicali (non soggetto a revisione dal lontano 1979) pare essere ancora quello dell'80 per cento, l'Agenzia del territorio ha rilevato che, operando in tal senso, si perviene comunque alla determinazione di somme non adeguatamente corrispondenti alla realtà economica. Per questo, l'Agenzia del territorio ha ritenuto più opportuno utilizzare, anche con riferimento alle enfiteusi antecedenti al 1941, il criterio dell'indennità di esproprio dei fondi rustici, sostanzialmente in linea con quanto statuito dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 406 del 1988) in merito alla necessità di rapportare i canoni ed il capitale di affrancazione «alla effettiva realtà economica» (si veda anche, in proposito, il parere dell'Avvocatura distrettuale de L'Aquila CS 260 del 1999, recepito nella circolare del Ministero dell'interno n. 118 del 9 settembre 1999). Per tutte le enfiteusi su fondo agricola, il capitale di affrancazione ed i canoni andranno determinati facendo ricorso al criterio dell'indennità di esproprio e non piuttosto a quello del reddito dominicale rivalutato non più rispondente all'effettiva realtà economica;
   per quel che concerne, invece, le enfiteusi urbane l'Agenzia del territorio ha dichiarato di continuare a seguire il criterio di calcolo già esposto nella nata dipartimentale del 2000, determinando il canone con l'applicazione al valore dell'area edificabile e un equo saggio di rendimento, in quanto se si considerasse il valore venale del bene si determinerebbe un capitale di affrancazione eccessivamente oneroso per l'enfiteuta;
   in merito alla problematica dell'estinzione ex lege delle enfiteusi di cui all'articolo 60 della legge n. 222 del 1985 (che riguarda esclusivamente i terreni concessi dal Fondo edifici di culto) secondo cui si estinguono di diritto i rapporti enfiteutici per i quali il Fec abbia riscosso canoni inferiori alle lire 60.000 annue, il corrispondente canone per l'Agenzia del territorio andrà calcolato in relazione al valore del fondo accertato all'anno 1987;
   da qualche tempo, ad alcuni piccoli proprietari (per lo più braccianti o contadini) della provincia di Brindisi viene richiesto il pagamento di un canone enfiteutico, preteso da alcuni eredi di un vecchio concedente. Il canone vien chiesto in base a contratti di cui spesso neppure si trova traccia e che comunque risalgono ad almeno 70 anni. Gli eredi si rivolgono ad un giudice e ottengono una ingiunzione di pagamento del canone degli ultimi cinque anni (poiché le annualità precedenti sono prescritte), calcolato anche sulle migliorie apportate dal contadino-enfiteuta, mentre l'enfiteusi prevede che il canone sia calcolato sulla rendita iniziale, escluse le migliorie stesse. Questa situazione ha portato alla creazione del «Comitato No-Enfiteusi» che è riuscito a far approvare da diversi comuni del territorio brindisino una mozione dal testo seguente: «I Cittadini chiedono che il Consiglio Comunale si faccia parte attiva – insieme con i Consigli Comunali dei Paesi limitrofi interessati – presso i competenti organi democratico-rappresentativi e in particolare presso il Parlamento e il Presidente della Repubblica, per una soluzione legislativa al problema, poiché appare sommamente ingiusto che sia possibile ancora oggi chiedere i Canoni sui miglioramenti, a distanza di così tanto tempo, da considerare l'enfiteusi stesso un diritto non più effettivo»;
   con la delibera di giunta comunale n. 242 del 21 dicembre 2010, avente per oggetto la «Statuizione della somma minima e delle modalità di rogito e rappresentanza per gli atti di affrancazione dal diritto di enfiteusi», il comune di Ceglie Messapica (Brindisi) ha stabilito in 600 euro per ettaro e proporzionalmente, per maggiori estensioni (da introitare preventivamente sul Cap. 4020/0 «Proventi derivanti da alienazioni di immobili») la somma minima da versare per l'affrancazione dei fondi gravati da enfiteusi per il quale il comune brindisino è concedente –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se e con quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere ai fini delle modifica di una norma che, caso dopo caso, dimostra, a parere dell'interrogante, tutta la sua vetustà ed il suo anacronismo di applicazione, sia per quanto concerne i soggetti dei rapporto enfiteutico sia per la tipologia di terreno e che ha determinato, ad oggi, la situazione espressa in premessa. (4-11937)

SALUTE

Interpellanza:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   il commissariamento della regione Calabria per il rientro dal disavanzo sanitario è stato disposto ai sensi dell'articolo 4 della legge n. 159 del 2007, con deliberazione del Consiglio dei ministri del 30 luglio 2010;
   la succitata norma di legge è richiamata nella deliberazione del Consiglio dei ministri del 12 marzo 2015, con la quale l'ingegnere Massimo Scura e il dottor Andrea Urbani sono stati nominati, rispettivamente, commissario ad acta e sub-commissario per l'attuazione del piano di rientro;
   la succitata norma prevede che ove «si prefiguri il mancato rispetto da parte della regione degli adempimenti previsti dai medesimi Piani (di rientro) (...) il Presidente del Consiglio dei ministri, con la procedura di cui all'articolo 8, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131, (...) diffida la regione ad adottare entro quindici giorni tutti gli atti normativi, amministrativi, organizzativi e gestionali idonei a garantire il conseguimento degli obiettivi previsti nel Piano»;
   la stessa norma stabilisce che soltanto «ove la regione non adempia alla diffida di cui al comma 1, ovvero gli atti e le azioni posti in essere, valutati dai predetti Tavolo e Comitato, risultino inidonei o insufficienti al raggiungimento degli obiettivi programmati, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, sentito il Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, nomina un commissario ad acta per l'intero periodo di vigenza del singolo piano di rientro»;
   è opportuno evidenziare che, ai sensi dell'articolo 4 della legge n. 159 del 2007, la nomina del commissario ad acta è prevista «per l'intero periodo di vigenza del singolo piano», ossia, stando alla prima deliberazione del Consiglio dei ministri, del 30 luglio 2010, per tutta la vigenza del piano di rientro 2010-2012;
   va rimarcato che la legge non contempla alcuna proroga al riguardo, con la conseguenza, che già al 1o gennaio 2013, essendo terminato il primo piano di rientro, i cosiddetti «Piani operativi in prosecuzione del Piano di rientro per il periodo 2013-2015» dovevano rientrare nella gestione ordinaria della regione Calabria, alla quale avrebbe potuto fare seguito un altro commissariamento, stando al citato articolo 4 della legge n. 159 del 2007, soltanto a condizione che «nel procedimento di verifica e monitoraggio dei singoli Piani di rientro, effettuato dal Tavolo di verifica degli adempimenti e dal Comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza» si fosse prefigurato «il mancato rispetto da parte della regione degli adempimenti previsti dai medesimi Piani», e comunque solo previa nuova diffida e successivo inadempimento regionale;
   l'articolo 2, comma 88, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, sancisce che a «seguito dell'approvazione del nuovo piano cessano i commissariamenti, secondo i tempi e le procedure definiti nel medesimo piano per il passaggio dalla gestione straordinaria commissariale alla gestione ordinaria regionale», con il che è legalmente comprovata la decadenza del commissariamento al termine di ogni singolo piano di rientro (o piano operativo);
   la società italiana di medicina generale ha un sistema in rete di ampio monitoraggio delle patologie nelle regioni italiane, con dati, anche sulla spesa sanitaria, utilizzati dall'Istituto superiore di sanità, dall'Aifa, dall'Agenas, dall'Istat, dall'Osmed, dalla Banca d'Italia;
   l'associazione di medici «Mediass», operante nel territorio di Catanzaro e collegata con la suddetta società anche per l'inserimento dei dati funzionali al predetto monitoraggio, ha diffuso un compiuto elaborato statistico, in relazione al quale la farmaceutica lorda pro capite è, in Italia, depurata dei farmaci Pht (Prontuario della distribuzione diretta per la continuità assistenziale), è di 197,94 euro, mentre in Calabria è di 232,1 euro, con una differenza del 17,3 per cento;
   la regione Calabria spende in farmaci più del resto d'Italia perché ha molti più malati cronici, rispetto alla media italiana;
   a fronte di questo ultimo elemento sui malati cronici, la Calabria riceve meno finanziamenti per la sanità, che comunque sono inadeguati, poiché i fondi sanitari regionali vengono ripartiti con il calcolo della popolazione pesata;
   il riferito sistema di ripartizione, in vigore dal 1999, penalizza le regioni che hanno qualche giovane in più, come la Calabria, che avendo più malati cronici e meno risorse sfora naturaliter il tetto di spesa, con conseguente e ingiusto piano di rientro dal disavanzo;
   contenuto nel predetto elaborato statistico, il rapporto dei ricercatori – Healt Search – della società italiana di medicina generale conferma, per diverse patologie, che i malati cronici sono, in Calabria, superiori alla media nazionale, con una maggiorazione di 1,26 su cento abitanti per l'ulcera gastrica, di 1,3 per il diabete mellito, di 0,64 per l'ipertensione arteriosa, di 0,1 per l'infarto del miocardio, di 2,55 per l'artrosi, di 0,24 per malattie del cuore, di 0,24 per ictus cerebrale, di 0,18 per cirrosi epatica, di 0,57 per osteoporosi, di 1,54 per la broncopneumopatia cronica ostruttiva e di 1,22 per la funzionalità della tiroide;
   dal 30 settembre 2015, il quadro fornito dai ricercatori della Società italiana di medicina generale ne trova uno di pari entità e significanza nel decreto n. 103 del 2015 del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Calabria, che recepisce «il documento dell'intesa Stato-Regioni del marzo 2015»;
   nel suindicato decreto del commissario ad acta, in Calabria, si evidenziano, per diverse patologie, valori di prevalenza più elevati – almeno del 10 per cento –, rispetto al resto del Paese, ad esempio per ipertensione, artrosi, cefalea/emicrania, osteoporosi, diabete, bronchite cronica/enfisema, ulcera gastrica o duodenale e cataratta;
   nel menzionato decreto si certifica, come anche riportato nell'elaborato statistico più volte qui citato, che la Calabria ha almeno il dieci per cento di malati cronici in più del resto d'Italia;
   quanto testé riassunto è corroborato dalle informazioni contenute alla pagina 33 dell'allegato n. 1 al Dca n. 103 del 2015, per cui un confronto delle prevalenze di cui al riferito decreto con i dati cd, «Heath Search» e con i dati Istat conferma, inesorabilmente, una maggiore presenza di malati cronici in Calabria rispetto al resto d'Italia;
   il Dca n. 103 del 2015 dà ancora una significativa maggiore prevalenza rispetto ai predetti dati, per cui, a parere dell'interrogante chi ha firmato e validato quel decreto dovrebbe dedurre che in una regione come la Calabria, in cui il numero dei malati cronici è maggiore, è necessario aumentare la spesa per le relative cure e dunque cessare l'attuazione del piano di rientro;
   inoltre, in Calabria l'indice di comorbilità, come anche rilevato nell'elaborato statistico dell'associazione «Mediass» è maggiore rispetto alla media nazionale;
   la maggiore spesa annua per la cura dell'ipertensione arteriosa, del diabete mellito, della broncopneumopatia cronica ostruttiva e dello scompenso cardiaco è stimata in 108 milioni 826 mila e 600 euro, in rapporto ai 16 anni di vigore dell'attuale criterio di ripartizione del fondo sanitario regionale;
   i dati messi in evidenza nel rapporto di «Mediass» evidenziano che la condizione della Calabria di maggiore prevalenza è piuttosto comune a tutto il Sud dell'Italia;
   il «X Rapporto Sanità», presentato nell'ottobre 2014 alle competenti commissioni congiunte del Parlamento, mostra, per esempio, che la Valle d'Aosta spende di spesa sanitaria – sia pubblica che privata – pro capite ben 3179 euro, mentre la Calabria ne spende 2200;
   nonostante quanto appena sopraevidenziato, la Valle d'Aosta e le regioni del Nord, che spendono sempre più della Calabria, sono ritenute virtuose, mentre la Calabria è in piano di rientro e commissariata;
   dal «X Rapporto Sanità» emerge che il piano di rientro realizza, a giudizio dell'interrogante, una grande diseguaglianza, in primo luogo sul piano costituzionale, a danno dei cittadini della Calabria, costretti ad affrontare in proprio aggravi molto maggiori rispetto a quelli di aree settentrionali del Paese, benché la regione in parola abbia meno finanziamenti sanitari, più patologie croniche e comorbilità;
   a parere  dell'interrogante, il riferito piano di rientro serve a perpetrare una remota logica di marginalizzazione dell'estrema punta del Sud italiano, coperta dalla vulgata degli sprechi locali e delle ridondanti necessità di correttivi, spesso funzionali a mere mire affaristiche, consentite e alimentate a più livelli istituzionali;
   a parere dell'interrogante il commissariamento per l'attuazione del piano di rientro presenta profili di dubbia legittimità e lo stesso piano di rientro è infondato in ragione della spesa effettiva per la cura dei pazienti cronici della regione Calabria;
   a parere dell'interrogante il commissariamento per l'attuazione del piano di rientro si traduce, nei fatti, in un mezzo per cancellare servizi sanitari essenziali, comprimere il diritto alla salute e attivare forzatamente delle consulenze (per esempio per i pagamenti senza tracce dell'Asp di Reggio Calabria, per la valutazione dell'offerta sanitaria regionale e per la revisione dei conti della sanità calabrese, con affidamento di servizi aggiuntivi in violazione della normativa sugli appalti pubblici);
   a parere dell'interrogante lo stesso mezzo (del piano di rientro con relativo commissariamento) in sostanza, ha favorito, ad avviso dell'interrogante, strutture sanitarie, come il policlinico dell'università di Catanzaro, che hanno già utilizzato in scioltezza ingenti risorse pubbliche – pure elargite con modalità, secondo l'interrogante, di dubbia a conformità alle norme e in mancanza dello strumento giuridico del protocollo d'intesa –, con conseguenti disavanzi e vicende ancora da chiarire come ad esempio quella del declino della Fondazione Tommaso Campanella –:
   quali urgenti iniziative di competenza si intendano assumere per l'immediata revisione del criterio di ripartizione del fondo sanitario alle regioni e se non si ritenga di dover assumere iniziative per l'erogazione, in favore della regione Calabria e delle altre regioni con analoghi dati sui malati cronici, le risorse negli anni non elargite a causa del criterio finora seguito per la ripartizione del predetto fondo.
(2-01258) «Nesci».

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'istituzionalizzazione delle posizioni organizzative speciali (POS) e le posizioni organizzative a tempo (POT) nella pubblica amministrazione, si distinguono da quelle disciplinate dalla contrattazione collettiva al punto che il trattamento economico risulta ancorato a quello del dirigente di seconda fascia, con esclusione della retribuzione di posizione;
   dette posizioni costituiscono, di fatto, un'area intermedia tra la categoria dei dirigenti e quella impiegatizia; al riguardo, nella pubblica amministrazione non è stata ancora istituita l'area quadri, come invece esiste nel mondo del lavoro privato; la creazione di tale area anche nel settore pubblico è necessaria allo scopo di evitare nomine discrezionali, in particolare, nelle agenzie fiscali che come è noto hanno dato luogo ad un grande marasma a causa della moltitudine di incarichi dirigenziali illegittimi, dichiarati dalla giustizia amministrativa e successivamente dalla Corte costituzionale;
   difatti, per supplire alle posizioni decadute dei dirigenti ritenuti illegittimi, le agenzie fiscali hanno fatto ricorso all'assegnazione di ulteriori incarichi illegittimi, a parere dell'interrogante, proprio attraverso l'istituzione di posizioni speciali e organizzative a tempo;
   con la creazione della carriera intermedia, ossia dell'area quadri, si provvederebbe legittimamente alla sostituzione del dirigente nel rispetto delle regole previste dall'ordinamento e si eliminerebbe un'evidente disuguaglianza tra il lavoro pubblico e quello privato;
   tale necessità è stata già espressa dall'interrogante con ulteriori atti di sindacato ispettivo tra cui, la risoluzione in Commissione n. 7-00787 e il question time in Assemblea n. 3-01812; in particolare, a quest'ultimo, il Ministro Marianna Madia ha fornito una risposta ad avviso dell'interrogante del tutto insoddisfacente e priva di fondamento, per quanto riguarda specifici profili; in tale sede, infatti, l'interrogante, proprio a denuncia della situazione di illegalità che vige all'interno delle agenzie fiscali, dove da anni si procede a nomine illegittime nell'attribuzione delle funzioni dirigenziali, ha richiesto l'istituzione di un'area quadri che determinerebbe la fine dell'affidamento di incarichi fiduciari e la corresponsione illegittima di laute indennità in danno alle casse dello Stato; a tale richiesta, il Ministro Madia ha affermato la non opportunità dell'istituzione dell'area quadri o vicedirigenza, prevista nell'abrogato articolo 17-bis del Testo unico del pubblico impiego del 2001, lamentando che tale norma ricomprendeva anche personale non laureato e ritenendo che «la questione della selezione del personale direttivo e quella della progressione in carriera nelle pubbliche amministrazioni debbano essere affrontate con una prospettiva d'insieme, una prospettiva che tenga conto (...omissis...) dei principi costituzionali, prima di tutto quello dell'accesso agli impieghi pubblici per concorso». Ebbene, si evidenzia che la norma in questione dell'anno 2001 faceva riferimento, oltre al personale laureato, al personale non laureato che, in possesso degli altri requisiti richiesti, sia risultato vincitore di procedure concorsuali per l'accesso alla ex carriera direttiva anche speciale (articolo 17-bis — decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165). Si trattava, dunque, di personale che aveva superato delle procedure concorsuali e che, solo in una prima fase dell'applicazione della norma, avrebbe ricoperto il ruolo in questione, al pari dei laureati, solo perché si trattava di un aspecifica categoria di vincitori di concorso per carriera direttiva;
   come l'interrogante ha già prospettato al Ministro, è evidente che l'istituzione dell'area quadri debba attualmente rivolgersi esclusivamente a personale laureato, di elevata preparazione professionale e individuato in base a criteri meritocratici, proprio affinché non vengano invece istituite posizioni speciali illegittime, con personale scelto discrezionalmente ed in violazione del principio dell'accesso per pubblico concorso nella pubblica amministrazione, anche quando si tratta di un avanzamento di carriera;
   dunque, il Ministro Madia ha espresso, secondo l'interrogante erroneamente, l'inopportunità di istituire un'area quadri nella pubblica amministrazione prospettando ingiustificatamente che non venga poi rispettato il principio dell'accesso alla posizione attraverso un pubblico concorso; il che, ad avviso dell'interrogante, è assurdo nel merito e risulta anche paradossale, posto che il Ministro Madia non ha adottato alcun provvedimento, proprio per porre fine all'affidamento di incarichi illegittimi nella pubblica amministrazione e che spesso vengono riconosciuti anche a personale non laureato e comunque senza i requisiti curriculari prescritti –:
   quali siano gli orientamenti del Governo sui fatti espressi in premessa;
   se il Governo intenda adottare iniziative per porre fine all'istituzione delle Pos e delle Pot e delle relative indennità illegittime che vengono corrisposte in danno allo Stato, prevedendo l'istituzione dell'area quadri nel settore pubblico e della relativa figura giuridica, dotata di elevata preparazione professionale, che ricopra la posizione nel rispetto dei principi previsti per l'accesso e l'avanzamento di carriera nel pubblico impiego. (5-07621)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GIULIETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   attualmente l'impianto di Pietrafitta (Piegaro - PG) comprende la nuova centrale, nata nel 2003, alimentata a metano (ciclo combinato) con una potenza massima di 370 megawatt, con relativo metanodotto (uno dei più grandi che passano nella zona). Oltre alla nuova centrale l'impianto comprende anche due gruppi a gasolio (ciclo aperto) da 80 megawatt ciascuno, costruiti negli anni ’80, in relazione ai quali Enel ha chiesto e ottenuto dal Ministero dello sviluppo economico l'autorizzazione a metterli in sicurezza e a cessarne l'esercizio a far data dal 10 marzo 2014;
   Enel sta sempre più concentrando altrove i centri direzionali della rete, come l'area della distribuzione, a discapito della permanenza dei siti a livello locale (e ci si riferisce all'Umbria), alla luce anche della chiusura già annunciata nel 2019 (da ultime indiscrezioni forse anticipata addirittura al 2017) dell'impianto a carbone di Bastardo (Giano dell'Umbria - PG). Pietrafitta non ha una situazione di immediata criticità, ma comunque ha avuto un funzionamento negli ultimi anni al di sotto dal 10 per cento delle proprie potenzialità. Inoltre, tardano ad arrivare quegli investimenti, anche di entità modesta, utili alla messa in rete nei tempi stabiliti a livello ministeriale (capacity market);
   è fondamentale che Enel investa anche nella centrale di Pietrafitta in miglioramenti tecnologici per avviamenti sempre più rapidi (capacity market): i problemi di stabilizzazione della rete richiedono un utilizzo coordinato del parco termoelettrico con la definizione della riserva di potenza necessaria per fornire al sistema attraverso la capacity payment/market i servizi di flessibilità di cui ha bisogno. Occorre garantire la copertura del fabbisogno di lungo periodo attraverso il mercato della capacità che entrerà in funzione nel 2017;
   è possibile e auspicabile attraverso Enel Green Power collocare all'interno del sito attuale impianti ad energia rinnovabile che possano rilanciare l'interesse di Enel nei confronti dell'area interessata, creando le condizioni perché si possano avviare attività di produzione elettrica ed energetica da affiancare all'attuale sito –:
   quali siano gli intendimenti di Enel circa la centrale di Pietrafitta (PG);
   se ed in quale modo il Governo intenda e possa intervenire, per quanto di competenza, affinché sia garantito il mantenimento della centrale di Pietrafitta (PG) e siano messi in atto da parte di Enel i necessari miglioramenti tecnologici per garantire un futuro all'impianto stesso e, di conseguenza, la permanenza di Enel nel sito umbro. (5-07612)


   RICCIATTI, FERRARA, GREGORI, AIRAUDO, PLACIDO, MELILLA, DURANTI, QUARANTA, PIRAS, SANNICANDRO e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Unioncamere Marche ha reso noto, in data 1o febbraio 2016, il saldo delle imprese che hanno cessato l'attività nell'anno 2015 nella regione;
   tra gennaio e dicembre 2015 sono state iscritte al registro imprese delle camere di commercio 9.605 nuove aziende a fronte delle 10.175 che, sempre nello stesso anno, hanno cessato l'attività. Una perdita di 570 aziende e di 1.500 posti di lavoro (Ansa, 1o febbraio 2016);
   dal rapporto di Unioncamere Marche si evince come le imprese artigiane abbiano subito gli effetti maggiori della crisi. Tra i settori più colpiti si segnalano l'agricoltura (dove le cessazioni sono state 643) e le costruzioni (-629). Anche nel settore manifatturiero si registra un calo di aziende, imputabile secondo il Centro studi di Unioncamere Marche, alle imprese operanti nei settori calzaturiero (-55 unità), dei metalli (-80) e del legno (-47);
   dati negativi riguardano anche i settori del commercio e del trasporto, che perdono rispettivamente 217 e 78 unità;
   pur in presenza di alcuni segnali positivi, soprattutto sul fronte delle società di capitale e cooperative, a destare particolari preoccupazioni sono le condizioni di sofferenza delle piccole e medie imprese, più volte segnalate dagli interroganti in diversi atti di sindacato ispettivo, che rappresentano il tratto tipico dell'imprenditoria regionale, e che escono fortemente ridimensionate dalla lunga crisi economica –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato, al fine di sostenere e rilanciare l'attività delle piccole e medie imprese della regione Marche, ancora in sensibile difficoltà. (5-07624)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CORDA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è da tempo ormai che la zona di San Lorenzo, nella piccola frazione di Osilo, vive una insostenibile vicenda a causa dei disservizi telefonici e radiotelevisi, per cui gli abitanti, in particolare anziani, vivono nell'isolamento totale;
   da più parti si segnala l'incredibile condizione in cui vivono i residenti delle frazioni di San Lorenzo e San Lorenzo Valle del Comune di Osilo, due comunità-gioiello dal punto di vista storico e paesaggistico completamente tagliate fuori sul versante delle comunicazioni telefoniche e televisive;
   si evidenziano continui malfunzionamenti nella rete telefonica fissa, che costringono gran parte dei circa 170 residenti ad avere il telefono inutilizzabile anche per quindici giorni di fila, a fronte di costi fissi comunque sostenuti nella bollettazione telefonica, la quasi totale assenza di segnale dal punto di vista della telefonia mobile, per la carenza di appositi ripetitori, la conseguente quasi totale impossibilità di connettersi a interne l'assenza di segnale video del digitale terrestre, che ha costretto la totalità dei residenti a ricorrere alle parabole satellitari e quindi ad affrontare ulteriori costi;
   la conseguenza immediata di questi disservizi è di rendere critica la situazione dal punto di vista della salute pubblica – per l'impossibilità di accedere tempestivamente ai servizi di emergenza sanitaria – come dal punto di vista della protezione civile, considerata la particolare conformazione della vallata di San Lorenzo e il collegato rischio idrogeologico. La valle ha bisogno di essere collegata stabilmente con il resto del mondo e si chiede di intervenire presso i soggetti gestori competenti per superare al più presto un disservizio che mette a rischio la stessa incolumità dei cittadini;
   negli ultimi tempi la situazione è peggiorata in quanto si stanno verificando anche disservizi elettrici e la situazione è peggiorata con l'arrivo del freddo, poiché le abitazioni utilizzano acqua calda attraverso l'utilizzo di scaldabagni elettrici; inoltre, l'acqua viene pompata alle case per mezzo di motori elettrici e prima che gli operai possano intervenire molti rimangono anche senza il servizio idrico;
   riepilogando, ci si ritrova senza rete mobile e spesso senza rete fissa, senza corrente elettrica e senza acqua. Sembrerebbe di parlare di un villaggio disperso nelle steppe dell'Asia, mentre si tratta di una piccola frazione a circa dieci chilometri di distanza da Sassari, in cui la maggior parte degli abitanti è anziana e inferma a letto, motivo per il quale necessiterebbe di una maggior tutela e attenzione;
   gli abitanti di San Lorenzo hanno più volte segnalato la difficoltà e l'impossibilità a mettersi in contatto con un familiare, un medico, e con gli stessi mezzi di soccorso in caso di emergenza, sanitaria o ambientale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di questa situazione e se abbia assunto, per quanto di competenza, iniziative per la risoluzione del problema in modo da consentire agli abitanti di San Lorenzo di non vivere nel completo isolamento nell'epoca della digitalizzazione, posto che non può definirsi civile un Paese in cui alcuni suoi cittadini sono costretti a vivere in questo modo. (4-11913)


   FANTINATI, BUSINAROLO, BRUGNEROTTO, COZZOLINO, D'INCÀ e SPESSOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 27 gennaio 2016 le cronache dei quotidiani locali hanno riferito di un'indagine della Guardia di finanza di Verona su una serie di appalti truccati per oltre 1 miliardo di euro nelle forniture di gas ed energia elettrica agli enti pubblici;
   5 le persone raggiunte da ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari, tra imprenditori del settore energetico e professionisti;
   in esecuzione di decreti emessi dalla procura della Repubblica di Verona, le Fiamme gialle hanno compiuto 20 perquisizioni domiciliari e locali in Veneto, Lombardia e Friuli Venezia Giulia;
   l'indagine riguarda l'acquisto di energia elettrica e gas da parte di oltre 1.100 enti pubblici, in gran parte comuni medio-piccoli, riuniti nel Consorzio Energia Veneto (Cev) con sede in Verona;
   nel mirino dei finanzieri sono finiti tre bandi di gara: due del valore di 600 milioni di euro ciascuno per la fornitura di energia elettrica ed uno del valore di 100 milioni di euro per la fornitura di gas;
   il Cev — nato per occuparsi dell'approvvigionamento di energia a favore degli enti consorziati in modo da consentire loro concrete riduzioni di spesa rispetto alle convenzioni Consip o a quelle delle centrali di acquisto territoriali di riferimento — secondo l'ipotesi accusatoria, sarebbe stato in realtà gestito dagli stessi imprenditori vincitori delle gare per le forniture di energia;
   tra le cinque persone arrestate c’è il direttore del Consorzio Energia Veneto, nonché presidente della Vittoria srl, a capo di altre due società — Global Service e Global Power — che risultano vincitrici degli appalti che sarebbero stati truccati;
   gli altri arrestati un componente del collegio sindacale della Global Service, ma con un ruolo anche al Cev; un commercialista vicentino, due avvocati veronesi che preparavano le gare d'appalto, un consigliere Cev già commissario delle gare di appalto, e un veronese commissario nelle tre gare oggetto dell'indagine;
   per gli inquirenti, il Cev sarebbe stato una «scatola vuota» senza una struttura propria, senza personale, senza nemmeno un numero di telefono e avrebbe coinciso quasi «perfettamente» con il gruppo imprenditoriale facente capo al presidente del Cev, e direttore di Vittoria Srl, E-Global Service e Global Power, risultate vincitrici delle gare;
   nel 2015, l'Anac, presieduta da Raffaele Cantone, aveva scoperto l'identità tra la governance del consorzio e quella delle aziende private che si aggiudicavano gli appalti, e aveva stabilito un'esclusione con riserva del Cev, inviando una segnalazione al nucleo speciale anticorruzione della Guardia di finanza;
   il Ministero dello sviluppo economico, con il decreto interministeriale 12 novembre 2011, n. 226, ha regolato i criteri di gara e per la valutazione dell'offerta per l'affidamento del servizio della distribuzione del gas naturale, in attuazione dell'articolo 46-bis del decreto-legge 1o ottobre 2007, n. 159, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222 –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del sistema di appalti sopra descritto e quali iniziative di competenza intendano attuare a garanzia di trasparenza e pari opportunità per le imprese, in tutte le modalità e le fasi dei procedimenti di gara della pubblica amministrazione;
   se non ritengano, di dover attuare tutte le iniziative di competenza, anche allo scopo di prevenire fenomeni di corruzione, onde garantire la totale regolarità nella gestione delle gare di appalto nonché nella condotta delle aziende e di tutti i soggetti coinvolti, anche alla luce dei fatti descritti in premessa. (4-11936)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Miccoli e altri n. 1-01129, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vico.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Pinna e altri n. 4-11847, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bombassei.

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Molteni n. 1-00950, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 464 del 17 luglio 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    ciò che distingue il lavoratore frontaliero dal tradizionale lavoratore migrante è il fatto di essere residente in uno Stato e di lavorare in un altro. Mentre il secondo lascia il suo Paese di origine, con o senza la sua famiglia, per abitare e lavorare in un Paese diverso dal suo, il frontaliere ha una doppia cittadinanza nazionale per il luogo di residenza e il luogo di lavoro;
    tuttavia risulta impossibile stabilire un concetto univoco che comprenda criteri obiettivi per la definizione del lavoro frontaliero. Tale concetto copre infatti realtà diverse, a seconda che si consideri l'accezione comunitaria – enunciata in particolare in materia di sicurezza sociale – o le numerose definizioni contenute nelle convenzioni bilaterali di doppia imposizione – valide per la determinazione del regime fiscale applicabile ai lavoratori frontalieri;
    l'espressione «lavoratore frontaliero» designa qualsiasi lavoratore occupato sul territorio di uno Stato membro e residente sul territorio di un altro Stato membro (criterio politico), dove torna in teoria ogni giorno o almeno una volta alla settimana (criterio temporale). Questa definizione, che, oltre agli elementi intrinseci dello spostamento dal domicilio al luogo di lavoro attraverso una frontiera, conserva la condizione temporanea del ritorno quotidiano o settimanale al domicilio, si applica tuttavia solamente alla protezione sociale dei lavoratori in questione all'interno dell'Unione europea;
    la situazione dei frontalieri abitanti nell'Unione europea che si spostano per lavorare nella Confederazione Elvetica presenta alcune notevoli peculiarità rispetto a quella dei frontalieri che lavorano e risiedono nell'Unione europea;
    mentre all'interno dell'Unione europea il loro statuto si fonda sulla libera circolazione, definita dal trattato di Roma, che si concretizza nell'affermazione del principio della non discriminazione tra i frontalieri e i residenti, la Svizzera ha un regime di soggiorno e di occupazione fondato sul permesso di lavoro;
    tale permesso è concesso, in generale, per un anno; vi è specificata la retribuzione, che deve rispettare il minimo salariale del cantone, definito dall'Ufficio cantonale del lavoro. Il permesso è concesso solo se il lavoratore ha trovato un datore di lavoro, e dopo aver verificato che non vi siano iscritti nelle liste locali di collocamento per lo stesso genere di incarico. La concessione dei permessi in ciascun cantone è subordinata a una quota minima di lavoratori nazionali presenti in ogni impresa;
    stando alle recenti comunicazioni dell'Ufficio federale di statistica (UST), anche nel 2014 è aumentato il numero dei frontalieri in Svizzera, saliti a 287.100 a livello nazionale, lo stesso trend si registra anche in Ticino, con un numero di lavoratori abitanti in Italia che si attesta a 61.593;
    secondo i dati, a livello elvetico la crescita è risultata inferiore a quella del 2013 e rappresenta anche il valore più basso degli ultimi cinque anni, ma sull'arco di un lustro l'incremento è del 29,6 per cento. In Ticino nello stesso periodo la percentuale è maggiore, pari a +34,8 per cento: nel 2009 i frontalieri erano infatti ancora solo 45.68; nel febbraio 2015 il Governo italiano e il Consiglio federale svizzero hanno siglato il Protocollo che modifica la Convenzione tra i due Paesi per evitare le doppie imposizioni. Il Protocollo, che prevedendo lo scambio di informazioni su richiesta ai fini fiscali secondo lo standard Ocse pone fine al segreto bancario, è stato firmato per l'Italia dal Ministro dell'economia e delle finanze Pier Carlo Padoan, e per la Svizzera dal capo del dipartimento federale delle finanze Eveline Widmer-Schlumpf;
    unitamente al Protocollo è stata anche sottoscritta una road map, un documento politico che fissa il percorso per la prosecuzione dei negoziati su altre questioni tra cui revisione dell'accordo del 1974 sulla tassazione dei lavoratori frontalieri, ad oggi ancora in vigore e che prevede la tassazione esclusiva in Svizzera con il ristorno del 40 per cento del gettito ai comuni italiani della zona di confine;
    il nuovo accordo tra Roma e Berna, perfezionato il 22 dicembre 2015, rappresenta una rivoluzione per gli equilibri consolidati nell'economia transfrontaliera, in quanto abolisce due meccanismi sinora inamovibili: i ristorni ai comuni di frontiera, una partita da 60 milioni di euro annui destinata a comuni e province di frontiera, e la tassazione alla fonte per circa 62 mila lavoratori italiani, di cui 25 mila varesini, 20 mila comaschi ed i restanti sondriesi e piemontesi;
    il nuovo accordo, invece, nel porre fine al meccanismo del ristorno, prevedendo che sia lo Stato italiano a compensare i comuni di frontiera, lascia una preoccupante incognita sulla garanzia dell'attuale gettito ai medesimi comuni, in un quadro più ampio di incertezza italiana della propria posizione fiscale;
    quanto alla tassazione, i lavoratori italiani frontalieri in Svizzera saranno assoggettati ad imposizione sia nello Stato in cui esercitano l'attività che nello Stato di residenza, ritrovandosi a pagare le tasse sui redditi per il 70 per cento in Svizzera e per il restante 30 per cento in Italia, con un aumento graduale del carico fiscale che – a regime – assume la connotazione di una vera e propria stangata;
    il processo, infatti, non sarà immediato. Dall'entrata in vigore dell'accordo, prevista per il 2018, inizierà il cosiddetto split fiscale che dovrà portare la tassazione a pieno regime dieci anni dopo, nel 2028, con un aumento progressivo che si valuta del 10 per cento annuo;
    secondo prime stime, trattasi di 200 milioni di euro di tassazione in più da versare ogni anno allo Stato italiano e 15 milioni di euro in più alle casse del Canton Ticino, con una media di oltre 3.000 euro all'anno in più da versare per ogni contribuente;
    i nuovi termini dell'accordo hanno già prodotto i primi effetti negativi: dallo scorso 7 luglio sui circa 62 mila lavoratori italiani frontalieri grava l'onere dell'assicurazione malattia e spese per le cure mediche;
    in un momento storico dove l'economia ha difficoltà globalizzate, l'INPS deve ancora spiegazioni a tutti i frontalieri che si chiedono dove sia finito il tesoretto da 200 milioni che finanziava la legge n. 147 del 1997 (un fondo che, ricordiamo, venne formato con i contributi di disoccupazione pagati dai frontalieri in Svizzera e da questa ristornati all'Italia);
    va ricordata altresì la giacenza a Berna del cosiddetto tesoretto di 3 miliardi di franchi (2,8 miliardi di euro), dovuto al versamento contributivo per il secondo pilastro da parte di cittadini italiani frontalieri che hanno lavorato nei diversi cantoni della Confederazione elvetica,

impegna il Governo:

  ad assumere iniziative per prevedere che nel nuovo regime fiscale vengano puntualmente disciplinati i ristorni dei frontalieri verso i comuni di residenza, con certezza dell'ammontare dei ristorni e delle modalità di distribuzione, al fine di salvaguardare i comuni di frontiera e garantire che inattuale gettito non sia messo in discussione;
   ad assumere iniziative per stabilire, tramite accordi di programma definiti dai territori di confine interessati – stante la reciprocità prevista nell'accordo del 22 dicembre 2015, nell'ambito del quale sono ricompresi anche i frontalieri svizzeri che lavorano in Italia – che parte della tassazione sia vincolata per il progresso socio-economico e lo sviluppo delle infrastrutture strategiche delle rispettive nazioni;
   ad assumere iniziative per garantire che il nuovo sistema fiscale una volta a regime-comporti per i lavoratori italiani frontalieri in Svizzera una tassazione simile a quella previgente al rinnovo della Convenzione;
   a prevedere lo sblocco da parte dell'INPS dei fondi per il finanziamento della legge n. 147 del 1997;
   a prevedere nell'ambito del disegno di legge di ratifica il perfezionamento di accordi di interscambio scolastico e formativo per i giovani delle zone di confine;
   a intervenire sospendendo l'applicazione della norma sulle spese mediche, ricordando come questa, oltre ad un ulteriore aggravio impositivo per i lavoratori, porterebbe ad una disparità di trattamento tra i frontalieri che già lavorano in Ticino rispetto ai nuovi frontalieri, per i quali le casse malati svizzere saranno da oggi un'opzione più interessante;
   ad assumere iniziative per garantire il recupero di tutte le posizioni e l'individuazione di tutti i nominativi dei legittimi titolari delle somme giacenti a Berna.
(1-00950)
«Molteni, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in commissione Fregolent n. 5-07387, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 548 del 15 gennaio 2016.

   FREGOLENT, AMATO, BARUFFI, BONOMO, BRAGA, CARLONI, CIMBRO, CRIVELLARI, D'INCECCO, DAL MORO, MARCO DI MAIO, DI SALVO, FANUCCI, GADDA, GIORGIS, GRIBAUDO, GIUSEPPE GUERINI, IACONO, IORI, LODOLINI, MALISANI, MALPEZZI, MANFREDI, MANZI, MARANTELLI, MONGIELLO, MORANI, MORETTO, MURA, PIAZZONI, SALVATORE PICCOLO, ROMANINI, SENALDI, SGAMBATO, TARICCO e VICO. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo il 49o rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese sono 3.167.000 (il 5,5 per cento della popolazione) i non autosufficienti in Italia. Tra questi, le persone con non autosufficienza grave, in stato di confinamento, costretti quindi in via permanente a letto, su una sedia o nella propria abitazione per impedimenti fisici o psichici, sono 1.436.000;
   si tratta di dati che hanno anche gravi risvolti sociali ed economici non solo per la finanza pubblica: per fronteggiare questa grave situazione infatti il 50,2 per cento delle famiglie con una persona non autosufficiente ha a disposizione risorse scarse o insufficienti. Per fronteggiare il costo privato dell'assistenza ai non autosufficienti 910.000 famiglie italiane si sono dovute «tassare» e 561.000 famiglie hanno utilizzato tutti i propri risparmi, si sono indebitate o sono state costrette a vendere beni immobili;
   la maggior parte dei cittadini non autosufficienti del nostro Paese sono anziani: dai recenti dati emersi dal «5o rapporto l'assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia» sono circa 2,5 milioni gli anziani che hanno limitazioni funzionali che li rende parzialmente o totalmente non autonomi;
   si tratta di cifre destinate ad aumentare nel corso dei prossimi anni: se ad oggi infatti oltre il 21 per cento della popolazione italiana ha oltre 65 anni (13,2 milioni di anziani in termini assoluti) di cui la metà con oltre 75 anni, il progressivo invecchiamento della società raggiungerà il suo picco soltanto nella decade 2050-2060;
   l'assistenza sanitaria e socio-assistenziale degli anziani non autosufficienti rappresenta quindi una delle grandi sfide che la società italiana si trova ad affrontare;
   in questo contesto va puntualizzato come l'Italia sia ancora in ritardo, rispetto agli altri Paesi europei e non, rispetto ai servizi pubblici rivolti agli anziani (ed in particolare al cosiddetto «Longterm Care Ltc»: appropriata assistenza continuativa); basta infatti pensare alle riforme fatte in Germania (assicurazione obbligatoria sulla non autosufficienza), Francia (sussidio personalizzato per l'autonomia), Spagna (promozione dell'autonomia personale), Regno Unito («Care Act»). In Italia risultano invece ancora non pienamente attuate le norme vigenti che assicurano il sistema di continuità terapeutica (come sancito dalla legge n. 883 del 1978 e dalla legge n. 289 del 2002);
   in caso di non autosufficienza il principale intervento considerato è l'assistenza domiciliare integrata (Adi) fornita dalle aziende sanitarie locali (Asl) che ha l'obiettivo di assicurare un insieme integrato di trattamenti sanitari e sociosanitari, erogati a casa della persona non autosufficiente. La copertura del servizio, benché teoricamente assicurata su tutto il territorio nazionale, risente ancora di una forte frammentazione territoriale, solo parzialmente colmata negli ultimi anni. Secondo alcuni recenti dati infatti solamente il 5 per cento degli anziani invalidi usufruirebbe di servizi di assistenza domiciliare pubblica;
   tale opzione non ha solamente benefici sociali e terapeutici per i pazienti (accuditi in un ambiente familiare) ma anche risvolti positivi per le finanze pubbliche: l'importo delle prestazioni domiciliari sono infatti di gran lunga meno onerose delle stesse praticate in un'apposita struttura residenziale (mediamente 25 euro contro 50 euro);
   gli anziani non autosufficienti che ricevono prestazioni domiciliari, avendo la necessità in molti casi di essere assistiti 24 ore al giorno, vengono accuditi molto spesso anche da personale (badanti o familiari) non «professionista». Tale personale si occupa di prestazioni definite «di assistenza tutelare alla persona» che comprendono comunque anche interventi di natura sanitaria (come ad esempio medicazioni semplici, iniezioni o flebo). Fino ad oggi le regioni potevano erogare finanziamenti per le cure domiciliari di lunga assistenza anche per le prestazioni erogate da personale non professionale;
   il Consiglio di Stato con la sentenza n. 05538/2015 (smentendo peraltro quanto deciso precedentemente dal Tar del Piemonte) ha sancito che non spetta al sistema sanitario regionale coprire i costi per le prestazioni socio-assistenziali a domicilio dal momento che tali prestazioni non rientrano nei Lea (livelli essenziali di assistenza) stabiliti a livello nazionale e soprattutto quando le regioni interessate sono sottoposte ai «Piani di rientro»;
   il tavolo tecnico congiunto tra Ministero dell'economia e delle finanze e Ministero della salute relativo alla spesa sanitaria regionale ha infatti disposto che dal primo gennaio 2014 le asl non potessero più iscrivere a bilancio risorse per prestazioni aggiuntive oltre i lea previsti a livello nazionale; le prestazioni non professionali di assistenza tutelare alla persona sono infatti attualmente al di fuori di tale categoria;
   moltissimi utenti saranno quindi obbligati a pagare ulteriori quote elevate di compartecipazione alle spese per sanità e servizi sociali locali;
   la Corte costituzionale ha ribadito, in numerose occasioni, come la tutela della salute, pur essendo condizionata dalle esigenze di finanza pubblica e da altri interessi costituzionalmente protetti, garantisce in ogni caso un «nucleo irriducibile» di diritti garantiti dalla Carta, come ambito inviolabile della dignità umana;
   in particolare nella sentenza n. 36 del 2013 la Corte Costituzionale ha precisato che «l'attività sanitaria e socio-sanitaria a favore di anziani non autosufficienti è elencata tra i livelli essenziali di assistenza sanitaria dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001» (decreto che definiva i Lea). Nella stessa sentenza la Corte Costituzionale ha definito non autosufficienti le «persone anziane o disabili che non possono provvedere alla cura della propria persona e mantenere una normale vita di relazione senza l'aiuto determinante di altri»;
   un finanziamento adeguato per garantire la reale e continua assistenza sanitaria e socio-sanitaria domiciliare, semiresidenziale e residenziale delle persone non autosufficienti, peraltro presente nei lea, è stata richiesta nel corso degli anni da numerose cittadini, associazioni di malati, da onlus, da enti locali, anche attraverso petizioni popolari;
   nelle ultime legislature anche il Parlamento si è espresso in tale direzione:
    nella XVIesima legislatura la Commissione XII affari sociali della Camera dei deputati ha approvato una risoluzione (n. 8-00191) che impegna il Governo «anche ad assumere le iniziative necessarie per assicurare la corretta attuazione e la concreta esigibilità delle prestazioni sanitarie e delle cure socio-sanitarie, previste dai Lea, alle persone con handicap invalidanti, agli anziani malati cronici non autosufficienti, ai soggetti colpiti dal morbo di Alzheimer o da altre forme neurodegenerative e di demenza senile e ai pazienti psichiatrici, assicurando loro l'erogazione delle prestazioni domiciliari, semiresidenziali e residenziali, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001, concernente i livelli essenziali di assistenza»;
   nella XVIIesima legislatura l'Assemblea del Senato della Repubblica ha approvato una mozione (n. 1-00148) che impegna il Governo anche a definire nei tempi più brevi la revisione dei Lea e a promuovere la definizione di apposite linee guida per la prevenzione, la diagnosi precoce e il trattamento terapeutico e assistenziale dei pazienti affetti dal morbo di Alzheimer, al fine di migliorare la qualità delle prestazioni e uniformarne l'efficacia e l'efficienza;
   appare quindi evidente che l'obiettivo sia quello di riuscire a soddisfare la crescente complessità dei bisogni degli anziani non autosufficienti con adeguati interventi da parte del sistema sanitario e di protezione sociale, nel rispetto dell'equilibrio di bilancio, restando salvo in ogni caso quel nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come diritto individuale della dignità umana, nel quale rientrano le prestazioni sociosanitarie Lea;
   un obiettivo che sembra condiviso dallo stesso Governo. Il Sottosegretario di Stato alla salute, Vito De Filippo, rispondendo alla Camera dei deputati alla interrogazione n. 5-03543 il 12 novembre 2014 ha infatti dichiarato: Il «Ministero della salute è consapevole della rilevanza e della ineludibile necessità di garantire e potenziare l'assistenza sanitaria territoriale, ed in particolar modo, quella rivolta alle persone non autosufficienti, atteso che è oramai comunemente condivisa la centralità di un approccio multidisciplinare, integrato con prestazioni sociali, ed erogato in regimi assistenziali alternativi al ricovero ospedaliero. Tuttavia, l'attuale offerta socio-sanitaria territoriale, sia essa domiciliare che residenziale e semiresidenziale, è ancora disomogenea nel territorio nazionale, ed è maggiormente critica in quelle realtà regionali che patiscono un grave disavanzo economico e che il Ministero della salute sta sostenendo attraverso la sottoscrizione dei Piani di rientro. Per tale motivo il Ministero della salute, in accordo con le regioni, ha avviato, negli ultimi anni, una serie di attività volte a sostenere e monitorare l'implementazione e la qualità dell'assistenza agli anziani non autosufficienti, che di seguito si descrivono nei loro elementi essenziali»;
   lo stesso Sottosegretario ha inoltre aggiunto: «Emerge nelle regioni in disavanzo una scarsa offerta di assistenza territoriale, sia ambulatoriale che domiciliare e residenziale, che ha come conseguenza l'elevata inappropriatezza di molti accessi al pronto soccorso e di molti ricoveri di persone anziane e/o affette da patologie cronico-degenerative. Per tale motivo, i piani di rientro prevedono anche azioni di riorganizzazione delle attività sanitarie e socio-sanitarie, soprattutto per quanto riguarda: il potenziamento della rete territoriale, del ruolo dei distretti e delle unità di cure primarie, delle cure domiciliari (adozione di linee guida omogenee sul territorio); la ridefinizione e riorganizzazione della rete delle strutture extraospedaliere residenziali e semiresidenziali (nei termini di quota di posti letto, accreditamento, linee guida sui percorsi di cura, ruolo delle asl e delle Unità di Valutazione Multidisciplinare). Da ultimo, si rappresenta che il nuovo Patto per la salute 2014-2016, sancito con Intesa tra Governo, regioni e province Autonome il 10 luglio 2014, stabilisce all'articolo 1, comma 3, che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri si provveda, entro il 31 dicembre 2014, all'aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica. Per tale motivo, è stato attivato un gruppo di lavoro composto dai rappresentanti del Ministero della salute e del Ministero della economia e delle finanze, delle regioni e dell'agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, appositamente dedicato alla revisione dell'assistenza socio-sanitaria e delle prestazioni in essa incluse, che devono essere garantite dal servizio sanitario nazionale –:
   a quali conclusioni sia giunto il gruppo di lavoro sopracitato dedicato «alla revisione dell'assistenza socio-sanitaria e delle prestazioni in essa incluse, che devono essere garantite dal Servizio Sanitario Nazionale»;
   quale sia posizione del Governo, in relazione a quanto esposto in premessa, e in particolare sulla opportunità di inserire tra i lea le prestazioni non professionali di assistenza tutelare alla persona, al fine di garantire pienamente i principi presenti nella Costituzione, migliorare la situazione degli anziani non autosufficienti e sostenere conseguentemente i nuclei familiari coinvolti;
   se il Governo non ritenga necessario promuovere, come già accaduto negli altri Paesi europei, un «longterm care», proprio in relazione al repentino invecchiamento della popolazione residente, che preveda comunque un adeguato finanziamento pubblico il quale consenta al servizio sanitario nazionale di assicurare prestazioni domiciliari socio-sanitarie e di assistenza tutelare ai pazienti non autosufficienti. (5-07387)

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Spadoni n. 4-11851, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 557 del 28 gennaio 2016.

   SPADONI, DI VITA, SCAGLIUSI, SIBILIA e DI BATTISTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 1o agosto 2014 è entrata in vigore la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, o Convenzione di Istanbul;
   la Convenzione, adottata a Istanbul nel 2011, costituisce il primo strumento internazionale vincolante sul piano giuridico per prevenire e contrastare la violenza contro le donne e la violenza domestica;
   è stata ratificata da 19 Paesi, compresa – nel giugno 2013 – l'Italia;
   il testo della Convenzione si fonda su tre pilastri: prevenzione, protezione e punizione;
   la Convenzione ha l'obiettivo di: proteggere le donne da ogni forma di violenza e prevenire, perseguire ed eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica; contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne e promuovere la concreta parità tra i sessi, ivi compreso rafforzando l'autonomia e l'autodeterminazione delle donne; predisporre un quadro globale, politiche e misure di protezione e di assistenza a favore di tutte le vittime di violenza contro le donne e di violenza domestica; promuovere la cooperazione internazionale al fine di eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica; sostenere e assistere le organizzazioni e autorità incaricate dell'applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente, al fine di adottare un approccio integrato per l'eliminazione della violenza contro le donne e la violenza domestica;
   la violenza di genere costituisce una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne e comprende tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata;
   gli Stati che hanno firmato e ratificato la Convenzione dovranno adottare le misure legislative e di altro tipo necessarie per promuovere e tutelare il diritto di tutti gli individui, e specialmente delle donne, di vivere liberi dalla violenza, sia nella vita pubblica che privata;
   ai sensi dell'articolo 4, comma 2, «le Parti condannano ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne e adottano senza indugio le misure legislative e di altro tipo necessarie per prevenirla, in particolare: inserendo nelle loro costituzioni nazionali o in qualsiasi altra disposizione legislativa appropriata il principio della parità tra i sessi e garantendo l'effettiva applicazione di tale principio; vietando la discriminazione nei confronti delle donne, ivi compreso procedendo, se del caso, all'applicazione di sanzioni; abrogando le leggi e le pratiche che discriminano le donne»;
   il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, recante «Disposizione urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province», convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 15 ottobre, n. 119, all'articolo 5 prevede in capo al Ministro delegato per le pari opportunità l'elaborazione e l'adozione di un Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere;
   il suddetto Piano d'azione straordinario è stato adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2015 e registrato dalla Corte dei conti il 25 agosto 2015;
   gli obiettivi del Piano d'azione sono: prevenire il fenomeno della violenza contro le donne; promuovere l'educazione alle relazioni non discriminatorie nei confronti delle donne; potenziare le forme di sostegno e assistenza alle donne e a loro figli; garantire adeguata formazione per tutte le professionalità che entrano in contatto con la violenza di genere e lo stalking; prevedere una adeguata raccolta dati e un sistema strutturato di governance tra tutti i livelli di Governo;
   ai sensi dell'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, spetta al Presidente del Consiglio dei ministri promuovere e coordinare le azioni di Governo volte, tra l'altro, ad assicurare pari opportunità;
   nel dicembre 2014, durante la riunione a Parigi della Commissione Uguaglianza e non discriminazione dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, la prima firmataria del presente atto, è stata nominata rapporteur sulla mozione Systematic collection of data on violence against women proprio sul tema della raccolta dati per dare una concreta attuazione alla Convenzione di Istanbul;
   nel nostro ordinamento i figli delle donne vittime di violenza non sono riconosciuti come vittime dirette della violenza –:
   se allo stato attuale venga fornita e/o rafforzata, e secondo quali modalità, la formazione delle figure professionali che si occupano delle vittime o degli autori di tutti gli atti di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione in materia di prevenzione e individuazione di tale violenza, uguaglianza tra le donne e gli uomini, bisogni e diritti delle vittime, e su come prevenire la vittimizzazione secondaria;
   quale sia la tempistica dell'istituzione della Banca dati nazionale dedicata al fenomeno della violenza sulle donne basata sul genere prevista dal Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere (articolo 5 del decreto-legge n. 93 del 14 agosto 2013, convertito dalla legge n. 119 del 2013), adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2015 e registrato dalla Corte dei conti il 25 agosto 2015;
   quali siano le modalità di attuazione dell'articolo 11, comma 1, lettera b), della Convenzione in questione, ossia il sostegno alla ricerca su tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione, al fine di studiarne le cause profonde e gli effetti, la frequenza e le percentuali delle condanne, come pure l'efficacia delle misure adottate ai fini dell'applicazione del presente trattato;
   se e secondo quali criteri e modalità siano state e/o verranno realizzate indagini sulla popolazione, a intervalli regolari, allo scopo di determinare la prevalenza e le tendenze di ogni forma di violenza che rientra nel campo di applicazione della citata Convenzione;
   quali siano le modalità di attuazione dell'articolo 12 della Convenzione sopracitata, ovvero quali misure siano state e/o verranno adottate per incoraggiare tutti i membri della società, e in particolar modo gli uomini e i ragazzi, a contribuire attivamente alla prevenzione di ogni forma di violenza che rientra nel campo di applicazione del citato trattato;
   quali misure siano state e/o verranno realizzate per promuovere programmi e attività destinati ad aumentare il livello di autonomia e di emancipazione delle donne;
   quali iniziative normative e di ogni altro tipo siano state e/o verranno prese per garantire che siano debitamente presi in considerazione, nell'ambito dei servizi di protezione e di supporto alle vittime, i diritti e i bisogni dei bambini testimoni di ogni forma di violenza rientrante nel campo di applicazione della presente Convenzione;
   se e quali siano i programmi esistenti rivolti agli autori di atti di violenza domestica, al fine di prevenire nuove violenze e modificare i modelli comportamentali violenti e per prevenire la recidiva, in particolare per i reati di natura sessuale;
   quali siano le iniziative normative per l'applicazione dell'articolo 33 della Convenzione di cui in premessa relativo alla violenza psicologica, ovvero quali iniziative normative o di altro tipo sono e/o verranno messe in atto per penalizzare un comportamento intenzionale mirante a compromettere seriamente l'integrità psicologica di una persona con la coercizione o le minacce;
   in che modo sia stato e/o verrà incoraggiato il settore privato, il settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione e i mass-media, nel rispetto della loro indipendenza e libertà di espressione, a partecipare all'elaborazione e all'attuazione di politiche e alla definizione di linee guida e di norme di autoregolamentazione per prevenire la violenza contro le donne e rafforzare il rispetto della loro dignità;
   in che modo sia stata e/o verrà promossa, in collaborazione con i soggetti del settore privato, la capacità dei bambini, dei genitori e degli insegnanti di affrontare un contesto dell'informazione e della comunicazione che permette l'accesso a contenuti degradanti potenzialmente nocivi a carattere sessuale o violento;
   a quanto risale l'ultima campagna di sensibilizzazione del dipartimento delle pari opportunità sul tema diffusa tramite canali mediatici pubblici. (4-11851)

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Cristian Iannuzzi n. 4-11909, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 560 del 2 febbraio 2016.

   CRISTIAN IANNUZZI, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI e BASILIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la stampa nazionale e locale, da anni, rivela come nel basso Lazio, in particolare nei comuni di Formia, Gaeta, Fondi, Itri e Sperlonga si assista a fenomeni speculativi fuori norma, grazie anche a massicci investimenti immobiliari, di probabile provenienza illecita, specialmente nel settore edilizio – turistico, che hanno comportato la distruzione di bellezze naturali di inestimabile valore ambientale e naturalistico;
   già nel 2010, all'apertura dell'anno giudiziario, il presidente della corte d'appello di Roma, Giorgio Santacroce, riprendendo quanto già affermato dall'ex procuratore nazionale antimafia Luigi De Ficchy, evidenziava che la mafia investe nel turismo, nelle attività alberghiere e nella ristorazione e che la provenienza dei capitali costituisce l'elemento fondamentale per il monitoraggio delle infiltrazioni della malavita organizzata;
   nell'articolo «Programma integrato per costruire villette. Dimenticati servizi ed edilizia sociale», apparso sul quotidiano Latina Editoriale Oggi in data 18 luglio 2015, viene mostrato come il piano integrato del 2002 avrebbe potuto rappresentare un'occasione per dotare Sperlonga di opere e servizi necessari per gli abitanti e riportato quanto evidenziato dal gip Mara Mattioli, nel decreto di sequestro: in generale, al piano regolatore si sono autorizzati interventi di edilizia speculativa in una percentuale volumetrica di gran lunga superiore rispetto a quella residenziale pubblica. Il programma integrato la cui approvazione è molto più semplice rispetto ad una variante urbanistica sarebbe stato usato, quindi, per eludere la procedura ordinaria di variante;
   come dichiarato dall'articolo «Marcianise e dintorni» pubblicato in data 17 luglio 2015 sul quotidiano Latina Editoriale oggi, Sperlonga non è immune da fenomeni di penetrazioni malavitose. Vengono così ricordati i sequestri e le confische di beni immobili operati su ordine delle direzioni distrettuali antimafia nei confronti di appartenenti al clan del casalesi (Cipriano Chianese, re del traffico illecito di rifiuti in Campania) e manifestate preoccupazioni circa il massiccio investimento di capitali nel Piano Integrato oggetto di sequestro, da parte di numerosi soggetti e società di provenienza campana, anche in riferimento all'emergere dalle utenze, di cognomi famosi negli annali della criminalità organizzata casertana e campana;
   il comune di Sperlonga è stato gestito per oltre 25 anni, direttamente ed indirettamente da Armando Cusani, prima vice-sindaco e poi sindaco di Sperlonga dall'anno 1996 all'anno 2006, consigliere comunale e capogruppo di maggioranza dai 2006 al 2014, presidente della provincia di Latina dal 2007 al 2013, anno in cui è stato sospeso in conseguenza del decreto prefettizio per applicazione della «legge Severino»;
   Cusani, sembra si sia avvantaggiato dei rapporti interpersonali intercorrenti con funzionari e sindaci succedutesi e, del sostanziale vincolo di subordinazione e asservimento degli stessi al medesimo, tale da garantirsi il controllo delle attività comunali e del territorio attraverso la nomina di suoi sodali nei punti chiave dell'amministrazione comunale (sindaco, vice-sindaco, assessori e consiglieri). La stampa, riferendosi a tali fatti, ha coniato la denominazione di «sistema Cusani»;
   secondo l'articolo «Sperlonga, 50 sequestri di cantieri», apparso sul Quotidiano di Latina del 15 luglio 2015, dopo anni di denunzie rimaste inascoltate, solo nel luglio 2015, grazie anche ad uno specifico esposto presentato da appartenenti all'Associazione Caponnetto, la procura della Repubblica di Latina, ha sequestrato una vasta area di circa 150.000 metri quadrati e indiziato di reato l'allora sindaco Armando Cusani il responsabile dell'ufficio tecnico comunale Antonio Faiola e il progettista storico del comune, architetto Conte dello studio Tecnè di Fondi. A giudizio della procura di Latina si sarebbe proceduto alla creazione abusiva di una vasta area lottizzata, approvata in modo illegittimo dal consiglio comunale, ed alla trasformazione di un'area destinata a parcheggio in area edificabile. Di tutto ciò, ne avrebbero goduto illegittimamente il Cusani e l'attuale sindaco pro-tempore, che ivi, hanno realizzato un palazzo e un albergo, il «Ganimede»;
   per meglio inquadrare il clima di illegalità diffusa esistente nell'amministrazione del comune di Sperlonga, gli interroganti evidenziano che l'albergo «Grotta di Tiberio» in località Angolo, di proprietà del Cusani, pur essendo stato dichiarato totalmente illegale da una sentenza della Corte di cassazione (sent. n. 6768/14 della 3a sez. penale C.C.) ed essendo parte di una lottizzazione abusiva sempre sancito da parte della stessa Cassazione, non risulta agli interroganti oggetto di alcun provvedimento di confisca amministrativa o di abbattimento da parte del comune, né la regione Lazio, ancorché diffidata in tal senso dai soggetti interessati, applica i suoi poteri sostitutivi previsti dalla legge n. 47 del 1985;
   tale complesso turistico si trova a ridosso del famoso sito archeologico «Grotta di Tiberio», in prossimità di un'area protetta e gravata dal vincolo dell'attiguo parco naturale, senza che la soprintendenza sia mai intervenuta;
   sembra che anche la Marina di Bazzano a Sperlonga, 80.000 metri quadrati di terreno fronte mare su una delle più belle spiagge del Lazio, di proprietà privata, sia entrata nel mirino di questo giro di interessi con l'illegittimo tentativo di espropriazione messo in atto da personaggi legati a Cusani in cui si adombrano fini di espansionismo edilizio di dubbia pubblica utilità;
   secondo l'articolo del Giornale di Latina del 2 gennaio 2015 «Mazzette Sperlonga trema» risulterebbe che diversi imprenditori, davanti ai p.m. Giuseppe Miliano e Valerio De Luca e in presenza dei carabinieri avrebbero dichiarato di aver ottenuto permessi edilizi illegali dietro pagamento di mazzette o elargendo immobili a costo zero ad amministratori pubblici;
   incuriosito da un atto, affisso all'albo pretorio del comune di Sperlonga (Latina), per il pagamento di diecimila euro a un legale incaricato di presentare dieci esposti-querela per diffamazione a mezzo stampa presso il tribunale di Latina, Federico Domenichelli, giornalista di Latina Editoriale Oggi, il 7 dicembre 2015 ha scoperto di essere proprio lui il destinatario di otto delle dieci denunce, mentre le altre due riguardano la giornalista Graziella di Mambro, sua collega. Le querele sono tutte del sindaco facente funzione Francescoantonio Faiola e riguardano gli articoli – inerenti all'urbanistica del borgo e alla costruzione di Sperlonga 2, la zona all'ingresso nord della città sequestrata a giugno 2015 per lottizzazione abusiva e sotto inchiesta della procura – che sono stati pubblicati tra novembre 2014 e maggio 2015, in parte su Il Quotidiano di Latina, giornale che ha cessato le pubblicazioni a gennaio 2015, e in parte su Latina Editoriale Oggi per il quale lavorano entrambi i giornalisti –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra riportato;
   se il Governo intenda valutare se sussistano i presupposti per avviare le iniziative di competenza ai sensi degli articoli 141 e seguenti del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, alla luce dei gravi fatti descritti in premessa che riguardano il comune di Sperlonga;
   quali iniziative, per quanto di competenza, ritengano opportuno adottare al fine di garantire la libertà di stampa e la libertà d'espressione e di tutelare chi è addetto a informare l'opinione pubblica;
   se il Governo non ritenga di intervenire immediatamente, nell'ambito delle proprie competenze, adottando iniziative volte a tutelare l'area protetta, gravata dal vincolo dell'attiguo parco naturale, e a sollecitare l'intervento della Soprintendenza per effettuare i dovuti controlli;
   se il Governo intenda valutare se sussistano i presupposti per segnalare i fatti di cui in premessa alla Corte dei Conti per accertare l'eventuale danno erariale e la relativa entità, causato delle condotte illecite sopra denunciate.
(4-11909)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Giancarlo Giordano n. 4-09307 del 22 maggio 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Giacobbe n. 5-06344 del 9 settembre 2015;
   interrogazione a risposta scritta Mannino n. 4-11205 del 19 novembre 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Pisano n. 5-07127 del 30 novembre 2015;
   interrogazione a risposta scritta Lavagno n. 4-11912 del 2 febbraio 2016.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Cristian Iannuzzi e altri n. 4-11909 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 560 del 2 febbraio 2016. Alla pagina 33451, prima colonna, dalla riga ventiseiesima alla riga ventisettesima, deve leggersi: «CRISTIAN IANNUZZI, BENEDETTI, BASILIO e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'interno, al», e non come stampato.

  Interrogazione a risposta scritta Lavagno n. 4-11912 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 560 del 2 febbraio 2016. Alla pagina 33455, prima colonna, dalla riga seconda alla riga nona, deve intendersi fumogeni e scandendo cori contro i nomadi. Tale iniziativa, che ha visto la partecipazione di 500 persone di fronte alle quali i genitori dei bambini non si sono sentiti sicuri di uscire, è stata stigmatizzata dall'allora vice-sindaco di Roma come un gesto meschino, un atto di razzismo che va contro ogni principio democratico; e non come stampato.