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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 2 febbraio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la legge n. 190 del 2014, (legge di stabilità per il 2015), all'articolo 1, commi 424 e 425, al fine di gestire gli oltre 20.000 esuberi generati dalla soppressione delle province, ha imposto a tutte le amministrazioni pubbliche, sia territoriali che centrali, il blocco delle assunzioni degli idonei dei concorsi pubblici, prevedendo una clausola di salvaguardia ad esclusivo appannaggio dei candidati risultati vincitori di concorso collocati in proprie graduatorie vigenti o approvate entro il 1o gennaio 2015, che obbliga regioni ed enti locali a destinare, per gli anni 2015 e 2016, tutte le risorse per la loro immissione nei ruoli a tempo indeterminato, nelle percentuali stabilite dalla normativa vigente, prevedendo, inoltre, che solo una volta esaurita la graduatoria dei vincitori di concorso, tutte le rimanenti posizioni vacanti siano destinate ad assorbire quei dipendenti delle province non ancora collocati;
    tale procedura, bloccando per gli anni 2015 e 2016 lo scorrimento delle graduatorie dei concorsi ancora vigenti, ha de facto inibito il reclutamento e le aspettative di quell'esercito di idonei che, confidando nel precedente regime giuridico di cui all'articolo 4, comma 3 del decreto-legge n. 101 del 2013 (c.d. decreto D'Alia), speravano di essere assunti entro il 2016 grazie alla facoltà concessa per intervenute esigenze alle amministrazioni di appartenenza di attingere alle varie graduatorie per i profili d'interesse;
    ed invero, il citato «decreto D'Alia», facendo proprie le numerose sentenze giurisprudenziali in favore degli idonei, al fine di contenere la spesa per le strutture amministrative e di razionalizzare l'uso delle risorse umane ed economiche in ossequio al principio del buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'articolo 97 della Costituzione, e preso anche atto dell'imminente scadenza di centinaia di graduatorie, ne aveva prorogato l'efficacia sino a tutto il 2016. Lo stesso decreto ha inoltre il merito di riconoscere agli idonei in graduatoria di essere assunti prima dell'avvio di nuove procedure concorsuali, equiparandoli così, di fatto, ai vincitori;
    il «decreto D'Alia», oltre ad aver apposto un forte limite all'indizione di nuovi concorsi in presenza di graduatorie ancora vigenti approvate successivamente al 1o gennaio 2007 (per vincitori ed idonei) ed al 30 settembre 2003 (per i soli vincitori) ha, al contempo, al fine di far periodicamente luce sul personale già reclutato a disposizione dello Stato, fatto convogliare tutte le graduatorie stilate dalle singole amministrazioni all'interno di un unico elenco gestito dal dipartimento della funzione pubblica, dando a quest'ultimo il compito, una volta stabilito il fabbisogno di personale per ogni amministrazione, di valutare la possibilità di indire o meno un concorso;
    tale sistema, basato sul principio della doppia autorizzazione per le amministrazioni pubbliche, a bandire il concorso e ad assumere, fondata non sui reali fabbisogni delle stesse ma sulle piante organiche, è il principale responsabile dell'ipertrofia delle graduatorie;
    inoltre, la circostanza legata alla valorizzazione delle professionalità già acquisite, altrimenti nota come «stabilizzazione dei precari», ha comportato che, a decorrere dall'entrata in vigore del citato «decreto D'Alia», al fine di favorire una maggiore utilizzazione del personale già contrattualizzato ed, al contempo, ridurre il numero di contratti a termine, e sino a tutto il 2016: «le amministrazioni pubbliche possono bandire, nel rispetto del limite finanziario fissato dall'articolo 35, comma 3-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, a garanzia dell'adeguato accesso dall'esterno, nonché dei vincoli assunzionali previsti dalla legislazione vigente e, per le amministrazioni interessate, previo espletamento della procedura di cui all'articolo 35, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, procedure concorsuali, per titoli ed esami, per assunzioni a tempo indeterminato di personale non dirigenziale riservate esclusivamente a coloro che sono in possesso dei requisiti di cui all'articolo 1, commi 519 e 558, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e all'articolo 3, comma 90, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, nonché a favore di coloro che alla data di pubblicazione della legge di conversione del presente decreto hanno maturato, negli ultimi cinque anni, almeno tre anni di servizio con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato alle dipendenze dell'amministrazione che emana il bando, con esclusione, in ogni caso, dei servizi prestati presso uffici di diretta collaborazione degli organi politici. Il personale non dirigenziale delle province, in possesso dei requisiti di cui al primo periodo, può partecipare ad una procedura selettiva di cui al presente comma indetta da un'amministrazione avente sede nel territorio provinciale, anche se non dipendente dall'amministrazione che emana il bando. Le procedure selettive di cui al presente comma possono essere avviate solo a valere sulle risorse assunzionali relative agli anni 2013, 2014, 2015 e 2016, anche complessivamente considerate, in misura non superiore al 50 per cento, in alternativa a quelle di cui all'articolo 35, comma 3-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Le graduatorie definite in esito alle medesime procedure sono utilizzabili per assunzioni nel quadriennio 2013-2016 a valere sulle predette risorse. Resta ferma per il comparto scuola la disciplina specifica di settore»;
    questo significa che dell'esiguo numero di posti che vengono messi a concorso, anche in perduranza di validità delle graduatorie, una riserva pari al 50 per cento degli stessi avrebbe dovuto essere destinata alla stabilizzazione dei precari;
    di più. La sopracitata legge di stabilità per il 2015, al successivo articolo 1, comma 426, ha prorogato fino al 31 dicembre 2018 il termine per la stabilizzazione dei precari, ed il successivo decreto-legge n. 192 del 2014 (cosiddetto decreto mille proroghe 2015) ha allungato al 31 dicembre 2015 il termine per consentire alle province di prorogare i contratti col personale precario;
    a complicare ulteriormente il suddetto scenario è intervenuta la recente legge di riforma della pubblica amministrazione, n. 124 del 2015 (cosiddetta legge Madia), che nel dettare norme transitorie finalizzate solo ed esclusivamente all'assunzione di vincitori di procedure selettive pubbliche (articolo 17, comma 1, lettera c) ultimo periodo), nulla ha invece previsto per quelle migliaia di professionalità certificate tramite un concorso pubblico e certamente utili alle pubbliche amministrazioni che confidavano in un regime transitorio ad hoc che prorogasse la validità, almeno sino al 2018, e sbloccasse lo scorrimento delle graduatorie ingessate dai suddetti provvedimenti;
    il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, recentemente interrogato in Parlamento, riferendosi a tutte le graduatorie la cui vigenza è in imminente scadenza, ha precisato che qualsiasi ulteriore iniziativa del Governo che contempli una loro proroga potrà essere valutata solo a consuntivo dell'applicazione della normativa in materia di mobilità e di ricollocazione del personale delle province, lasciando ancora una volta intendere che il destino degli idonei è legato a doppio filo a quello del personale soprannumerario delle province, esacerbando ulteriormente quel conflitto d'interesse tra chi si è visto spodestato del proprio rapporto di lavoro dall'intervenuta riforma Delrio e chi, invece, nonostante abbia meritoriamente e con sacrifici personali ed economici superato un concorso pubblico, non si è ancora visto riconosciuto il diritto soggettivo all'immediata immissione in ruolo;
    al 28 gennaio 2016 la rilevazione (consultabile sul sito istituzionale) avviata dal dipartimento della funzione pubblica presso la Presidenza del Consiglio dei ministri sulla base delle previsioni di cui all'articolo 4, comma 5, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, che obbliga tutte la pubbliche amministrazioni a comunicare lo stato delle proprie graduatorie ancora aperte e vigenti, restituisce i seguenti dati: su un totale di 4.073 enti registrati, 16.338 graduatorie e 39.023 posti banditi, i vincitori che risultano assunti sono pari a 33.864, gli idonei che risultano assunti sono pari a 39.417, i vincitori ancora da assumere risultano 4.471, mentre gli idonei ancora da assumere risultano 151.473. Quest'ultimo è un dato macroscopico e peraltro sottostimato visto che non tutte le amministrazioni obbligate hanno effettivamente partecipato al censimento;
    la macroscopica ipertrofia del numero degli idonei che, unito a quello dei vincitori di concorso non ancora assunti ed a quello degli occupanti le graduatorie di amministrazioni che non hanno ancora comunicato al Dipartimento della funzione pubblica l'andamento delle stesse, potrebbe superare quota 160.000, è stata frutto di una concausa di eventi: da un lato il reiterato protrarsi negli anni di una disciplina vincolistica che, complice la crisi finanziaria, ha imposto di contenere la spesa per il personale entro un certo tetto e di limitare le nuove assunzioni alla parziale reintegrazione dei cessati (cosiddetto turnover), dall'altro la violazione da parte del legislatore di quanto previsto dal già richiamato articolo 4, comma 4, del decreto-legge n. 101 del 2013, secondo il quale tutti i posti che a partire dall'entrata in vigore dello stesso si fossero resi fisiologicamente vacanti dovevano essere coperti attingendo, grazie allo scorrimento, dalla specifica graduatoria già formata e vigente per il medesimo profilo professionale;
    ed invero, lo stesso Governo, con la circolare n. 5 del 2013 del Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione, nel fornire degli indirizzi volti a chiarire la procedura di reclutamento del personale, ha previsto che: «Nel quadriennio 2013-2016 l'ammontare delle risorse finanziarie da destinare allo scorrimento di graduatorie di vincitori ed idonei non potrà essere inferiore al 50 per cento di quelle utili secondo la normativa vigente in materia di assunzioni. Tali risorse potranno superare il valore del 50 per cento a decremento di quelle destinabili al reclutamento speciale»;
    con la recente sentenza n. 280 del 2016 la sezione lavoro della Corte di Cassazione, dimostrando molta attenzione verso tutte le graduatorie valide fino al 31 dicembre 2016, con riferimento alla questione della compresenza di più graduatorie valide per il medesimo profilo, ha dichiarato che in linea con i principi di correttezza e buona fede, imparzialità e buon andamento previsti dall'articolo 97 della Costituzione, le pubbliche amministrazioni debbano ricorrere al criterio cronologico, e procedere allo scorrimento della graduatoria di data anteriore in quanto destinata a scadere per prima, criterio che potrà essere derogato solo in presenza di «circostanze di fatto o ragioni di interesse pubblico prevalenti», come del resto affermato in più occasioni anche dalla giustizia amministrativa;
    pertanto, alla luce della suddetta sentenza sono da considerare viziate da eccesso di potere tutte le condotte della pubblica amministrazione difformi da tale criterio, perché prive della motivazione necessaria a spiegare le ragioni per cui la stessa ha ritenuto di non privilegiare il criterio cronologico nell'uso delle graduatorie a scorrimento, anche in quanto lesive e limitative di posizioni di diritto soggettivo (il diritto allo «scorrimento prioritario») sul quale invece potevano fare legittimo affidamento in qualità di idonei tutti coloro che risultavano inseriti nella graduatoria più datata. Ne deriva che la condotta lesiva da parte della pubblica amministrazione protrattasi nel tempo sarebbe configurabile, per la Cassazione, come inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre un danno risarcibile;
    quanto premesso fa presagire un aumento esponenziale del contenzioso nei confronti della pubblica amministrazione, con inimmaginabili ripercussioni sul bilancio statale qualora la stessa dovesse soccombervi;
    il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, strettamente legato, con rapporto di tipo strumentale, alle regole del concorso pubblico, oltre a rappresentare il vero cardine della vita amministrativa è precondizione, in quanto fonte di tutela di tutte le posizioni acquisite, per un ordinato svolgimento della vita sociale,

impegna il Governo:

   ad adottare immediate iniziative normative atte a superare il blocco delle assunzioni nelle pubbliche amministrazioni e l'imminente perdita di efficacia delle graduatorie dei concorsi indette dalle stesse attraverso:
    a) il giusto riconoscimento del merito e delle competenze dei vincitori e degli idonei di concorso, garantiti dallo svolgimento di una selezione pubblica e trasparente basata su criteri meritocratici, attraverso la loro chiamata, anche prorogando la vigenza delle relative graduatorie;
    b) l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di coprire i propri fabbisogni di personale attingendo dalle graduatorie dei concorsi pubblici fino al loro esaurimento, prima di procedere con l'indizione di un nuovo concorso;
    c) la proroga sine die, o comunque fino al loro esaurimento, delle graduatorie relative a tutti i concorsi indetti dalle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni.
(1-01128) «Placido, Airaudo, Scotto, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti, Zaccagnini».


   La Camera,
   premesso che:
    dopo anni di paralisi e incertezza sulla missione e sul modello di organizzazione della pubblica amministrazione, il Governo, attraverso l'emanazione dei decreti legislativi attuativi della legge 7 agosto 2015, n. 124, sta portando avanti una profonda azione di ripensamento e ammodernamento della macchina amministrativa, all'interno del più complessivo processo di riforma dello Stato, che ha visto il primo capitolo con l'attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56, (legge Delrio), e che vedrà il suo coronamento con la riforma costituzionale;
    si tratta di un intervento necessario per restituire credibilità ed efficacia al lavoro e alle professionalità della stragrande maggioranza dei dipendenti pubblici, anche approfittando delle opportunità offerte dalla rivoluzione digitale della pubblica amministrazione, quale strumento per offrire servizi migliori a 60 milioni di italiani, tramite un accesso ai servizi rapido, trasparente e uguale per tutti, vero e proprio fattore di democrazia prima ancora che di modernità;
    in tale contesto di profonde innovazioni e di grandi opportunità, appare ineludibile la necessità di individuare una soluzione strutturale ed equa al problema dei vincitori di concorso pubblico, in attesa del riconoscimento di un diritto che permetta loro di essere assunti, trattandosi spesso di giovani che non riescono ad entrare nel mondo del lavoro, pur avendo acquisito tale diritto;
    al contempo, è opportuno che siano individuati strumenti in grado di affrontare la questione degli idonei dei concorsi pubblici, da un lato verificando meccanismi che consentano di tenere in considerazione la loro specifica e peculiare posizione, dall'altro mettendo le amministrazioni pubbliche nelle condizioni di dare concreta attuazione alle misure che la legislazione vigente già oggi prevede;
    il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, al fine di contenere la spesa per le strutture amministrative e di razionalizzare l'uso delle risorse umane ed economiche, ha prorogato l'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici già espletati per assunzioni a tempo indeterminato, fino al 31 dicembre 2016, relative alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni;
    le politiche di assunzione di diverse amministrazioni, che hanno spesso bandito concorsi senza preventivamente verificare le effettive esigenze e fabbisogni di impiego, nonché le più stringenti regole di turnover degli ultimi anni, hanno reso più evidente il problema di quanti, pur vincitori di concorsi per l'accesso al pubblico impiego con contratto a tempo indeterminato, non siano ancora stati assunti dalle pubbliche amministrazioni che li hanno banditi;
    il Governo, anche per rispondere a queste esigenze, ha già opportunamente previsto, con il decreto-legge n. 90 del 2014, l'abolizione della doppia autorizzazione a bandire i concorsi e ad assumere da parte delle amministrazioni pubbliche, con ciò cercando di rendere più immediata l'immissione in ruolo dei vincitori dei concorsi pubblici;
    la legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190 del 2014), ai commi 424 e 425 dell'articolo 1, ha poi introdotto ulteriori misure per facilitare la mobilità del personale delle province, consentendo – comunque – a regioni ed enti locali di destinare, per gli anni 2015 e 2016, le risorse per le assunzioni a tempo indeterminato, nelle percentuali stabilite dalla normativa vigente, non soltanto all'assorbimento del personale delle amministrazioni provinciali, ma anche ai «vincitori di concorso pubblico collocati nelle proprie graduatorie vigenti o approvate» entro il 1o gennaio 2015;
    parallelamente, allo stato di perfezionamento del processo complessivo di riforma della pubblica amministrazione, appare necessario portare avanti un accurato monitoraggio delle corrispondenti esigenze di integrazione degli organici, eventualmente provvedendo ad un'ulteriore proroga delle graduatorie,

impegna il Governo:

   ad andare avanti con l'individuazione delle più appropriate soluzioni strutturali per superare l'annoso problema dei vincitori dei concorsi pubblici, favorendone l'assunzione in tempi il più possibile rapidi;
   a valutare l'opportunità di riconoscere, nell'ambito di quanto già previsto dalla legislazione vigente, la posizione degli idonei dei concorsi pubblici, non solo nella prospettiva che le amministrazioni pubbliche possano eventualmente valorizzarli in future procedure concorsuali, ma anche facendo sì che non sia necessaria l'indizione di nuovi concorsi nei casi in cui le medesime amministrazioni pubbliche possano – sussistendone i requisiti e le condizioni – attingere a graduatorie vigenti per la copertura di specifici fabbisogni professionali;
   a valutare più in generale, anche nell'ambito delle misure finalizzate all'implementazione della riforma della pubblica amministrazione, l'introduzione – dopo avere già abolito il principio della «doppia autorizzazione» – di nuovi principi che regolino il reclutamento nelle amministrazioni pubbliche, secondo logiche che partano dagli effettivi fabbisogni dei diversi enti e dalla razionalizzazione delle relative procedure.
(1-01129) «Miccoli, Damiano, Gnecchi, Patrizia Maestri, Albanella, Baruffi, Boccuzzi, Casellato, Cuomo, Di Salvo, Giacobbe, Gribaudo, Incerti, Paris, Giorgio Piccolo, Rostellato, Rotta, Simoni, Tinagli, Zappulla».


   La Camera,
   premesso che:
    le limitazioni introdotte negli ultimi anni all'assunzione di personale da parte delle pubbliche amministrazioni hanno fatto emergere il problema di quanti, (pur vincitori di concorsi per l'accesso al pubblico impiego con contratto a tempo indeterminato), non sono stati successivamente assunti dalle pubbliche amministrazioni che li hanno banditi;
    il legislatore è ripetutamente intervenuto sul tema con la proroga delle graduatorie concorsuali. Infatti il decreto-legge sulla pubblica amministrazione (decreto-legge n. 101 del 2013, articolo 4, comma 4) ha disposto un'ulteriore proroga delle graduatorie fino al 31 dicembre 2016 ed ha previsto, (al fine di assicurare il progressivo assorbimento dei vincitori di concorso non assunti), che fino a tale data l'autorizzazione all'avvio di nuovi concorsi, per le amministrazioni dello Stato, sia subordinata alla verifica dell'assenza di graduatorie concorsuali approvate dal 1o gennaio 2007, per ciascun soggetto pubblico interessato, relative alle professionalità necessarie, anche secondo criteri di equivalenza;
    al fine di evitare, per il futuro, il perpetuarsi del fenomeno dei vincitori di concorso non assunti e, più in generale, per consentire una programmazione complessiva degli accessi alla pubblica amministrazione coerente con le politiche di contenimento delle assunzioni e delle spese per il personale, il decreto-legge n. 101 del 2013 ha introdotto, a decorrere dal 1o gennaio 2014, l'istituto del concorso pubblico unico per il reclutamento dei dirigenti e delle figure professionali comuni a tutte le pubbliche amministrazioni (con esclusione di regioni ed enti locali) la cui organizzazione spetta al dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri;
    il dipartimento, nella ricognizione del fabbisogno, verifica le vacanze riguardanti le sedi delle amministrazioni ricadenti nella medesima regione: ove le vacanze risultino riferite ad una singola regione, il concorso unico si svolge in ambito regionale;
    le amministrazioni pubbliche, quindi, possono assumere personale solo attingendo alle nuove graduatorie di concorso, fino al loro esaurimento, provvedendo a programmare le quote annuali di assunzioni e possono essere autorizzate a svolgere i concorsi pubblici solo per specifiche professionalità;
    l'articolo 1, comma 5, del decreto-legge n. 192 del 2014, recante la proroga di disposizioni normative, nel disporre l'utilizzo delle risorse destinate alle pubbliche amministrazioni ai fini della realizzazione di percorsi di mobilità del personale degli enti di area vasta ai sensi della legge n. 56 del 2014, ha comunque salvaguardato le assunzioni in favore dei vincitori di concorso;
    il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, al fine di contenere la spesa delle strutture amministrative e di razionalizzare l'uso delle risorse umane ed economiche, ha prorogato l'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici già espletati per le assunzioni a tempo indeterminato, relative alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni fino al 31 dicembre 2016;
    la legge di stabilità per il 2015 prevede l'obbligo per le regioni e per gli enti locali di destinare, per gli anni 2015 e 2016, tutte le risorse economiche per le assunzioni a tempo indeterminato (nelle percentuali stabilite dalla normativa vigente) all'immissione nei ruoli dei vincitori di concorso pubblico collocati nelle proprie graduatorie vigenti o approvate entro il 1o gennaio 2015. In tal modo, esaurita la graduatoria dei vincitori di concorso, le restanti posizioni aperte saranno destinate ad assorbire i dipendenti delle province che ancora non sono stati collocati;
    la stessa legge di stabilità per il 2015, prevedendo la mobilità dei dipendenti delle province, impedirà di assumere a tempo indeterminato i precari (di cui all'articolo 4, comma 6 e 8, del citato decreto-legge n. 101 del 2013) e ha bloccato per almeno due anni (2015 e 2016) la possibilità di scorrere le graduatorie dei concorsi inibendo dunque il reclutamento degli idonei così come previsto dall'articolo 4, comma 3, del decreto-legge n. 101 del 2013;
    il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Marianna Madia, ha sottolineato che il Governo si è impegnato in primo luogo a tutelare il diritto dei vincitori dei concorsi ad essere assunti, tenendo conto della differenza esistente tra la loro condizione e quella degli idonei, mentre per altro verso prosegue la ricollocazione del personale delle province e l'efficace utilizzo del personale in servizio attraverso la mobilità tra le pubbliche amministrazioni;
    il Governo ha comunque rispettato l'impegno di mantenere i livelli occupazionali dei dipendenti degli enti di area vasta con la loro ricollocazione presso gli enti che maggiormente evidenziano maggiori carenze di personale;
    sempre secondo quanto riferito dal Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, le pubbliche amministrazioni, che hanno assolto al compito di riassorbire il personale proveniente dalle province, a partire dall'anno 2016, potranno bandire nuovi concorsi per l'assunzione di personale;
    si è favorevoli all'impostazione fornita dal Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione secondo cui «si è dimostrata l'inefficacia delle modalità di reclutamento del personale che sono state seguite in passato, fondate sulle dotazioni organiche e non sui reali fabbisogni degli enti». Infatti, il sistema previgente, basato sul principio della doppia autorizzazione a bandire il concorso e ad assumere, ha in effetti dato luogo a graduatorie lunghissime, con lunghe liste di idonei;
    appare giusto ed equo che il Governo proceda ad una verifica dei fabbisogni, superando il principio della dotazione organica e adottando una procedura unica di selezione, evitando in tale modo l'eccessivo e irragionevole ricorso ad una pluralità di concorsi;
    l'articolo 17 della legge n. 124 del 2015 prevede al comma 1, lettera c), la definizione di limiti assoluti e percentuali, in relazione al numero dei posti banditi, per gli idonei non vincitori, la riduzione dei termini di validità delle graduatorie per le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2011, n. 165, e l'introduzione di norme transitorie finalizzate esclusivamente all'assunzione dei vincitori di concorsi pubblici, le cui graduatorie siano state approvate e pubblicate entro la data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015,

impegna il Governo:

   a dare attuazione alle norme dirette all'assunzione dei vincitori di concorsi pubblici, le cui graduatorie siano state approvate e pubblicate entro la data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015;
   a tener conto, in tale contesto, delle procedure sulle stabilizzazioni e di mobilità per inquadrare il personale delle province nonché dei processi di riduzione e di accorpamento degli enti e delle strutture, previste dalla legge n. 124 del 2015;
   a verificare i fabbisogni delle pubbliche amministrazioni e a superare il principio della dotazione organica, per introdurvi nuovi profili mancanti.
(1-01130) «Pizzolante, Tancredi, Pagano, Lupi».


   La Camera,
   premesso che:
    la legge 28 dicembre 2015, n. 208, legge di stabilità per il 2016, al comma 227 dell'articolo 1, ha rimodulato le percentuali di turn over per le amministrazioni dello Stato, le agenzie, gli enti pubblici non economici, e gli enti di ricerca in cui la spesa per il personale di ruolo non superi l'ottanta per cento delle entrate;
    rispetto al precedente intervento normativo, il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, che aveva fissato le quote per il turn over per gli anni 2016, 2017 e 2018, rispettivamente, al sessanta, all'ottanta e al cento per cento, la legge di stabilità 2016 ha operato una drastica riduzione, fissando le aliquote, per tutte e tre le annualità, al venticinque per cento;
    il successivo comma della legge n. 208 del 2015 stabilisce, per il medesimo triennio e nella medesima percentuale, il limite al turn over anche per le regioni e gli enti locali sottoposti al patto di stabilità interno, escludendo, inoltre, anche la possibilità, sinora prevista in favore degli enti «virtuosi», di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato nel limite del cento per cento della spesa relativa al personale di ruolo cessato dal servizio nell'anno precedente;
    la normativa sulle limitazioni alle facoltà assunzionali a tempo indeterminato delle pubbliche amministrazioni è stata oggetto negli ultimi anni di molteplici interventi, e soprattutto per quanto attiene alle amministrazioni dello Stato appare alquanto articolata e stratificata, basandosi su un impianto che da un lato ha determinato percentuali minime di reintegrazione dei cessati e, dall'altro, ha progressivamente posticipato l'anno di superamento del regime limitativo delle assunzioni, al contempo prevedendo un maggiore ricorso alle procedure della mobilità;
    nel frattempo, si è accumulato un numero sconcertante di giovani vincitori e idonei di concorsi pubblici, che ad oggi supera i centocinquantamila, che non si vedono riconosciuto il proprio diritto soggettivo all'assunzione dopo aver espletato e vinto il concorso, e per i quali, anzi, l'immissione nei ruoli continua a rimanere un'effimera chimera;
    nonostante la presenza di una così cospicua riserva di giovani che potrebbero prendere servizio con decorrenza immediata, avendo già superato con profitto il relativo concorso, e in spregio alle norme per il contenimento della spesa nelle pubbliche amministrazioni, non solo queste ultime continuano a bandire nuovi concorsi, ma si sta anche moltiplicando l'emanazione di norme di iniziativa governativa per assunzioni definite straordinarie e spesso realizzate in spregio a procedure concorsuali e con ricorso alla mobilità;
    sarebbe, invece, un esempio di buon senso, ricorrere alle graduatorie già vigenti per tutte le immissioni in ruolo che si rendano disponibili a legislazione vigente;
    allo stesso modo il Governo dovrebbe finalmente mettere in atto il progressivo allargamento delle quote di cessati dal servizio da reimmettere nei ruoli, riconoscendo finalmente la giusta dignità ai tanti giovani che hanno partecipato ai concorsi già svolti e attendono, invano, da anni di veder premiato il proprio impegno;
    con riferimento alle graduatorie vigenti non va, peraltro, dimenticato il parere reso dall'adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 28 luglio 2011, n. 14, che ha imposto alle pubbliche amministrazioni di «tenere nel massimo rilievo la circostanza che l'ordinamento attuale afferma un generale favore per l'utilizzazione delle graduatorie degli idonei, che recede solo in presenza di speciali discipline di settore o di particolari circostanze di fatto o di ragioni di interesse pubblico prevalenti, che devono, comunque, essere puntualmente enucleate nel provvedimento di indizione del nuovo concorso»;
    inoltre, come osservato dalla giurisprudenza amministrativa, le norme susseguitesi nel tempo in tema di scorrimento di graduatorie «ne hanno rafforzato il ruolo di modalità ordinaria di provvista del personale, tanto più giustificata in relazione alla finalità primaria di ridurre i costi gravanti sulla amministrazione per gestione delle procedure selettive»;
    il comma 5-ter dell'articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001, fissando la validità delle graduatorie dei concorsi in tre anni, risponde all'evidente esigenza di riduzione dei costi connessi all'espletamento di dette procedure, senza, tuttavia, svilire la funzione assolta dai concorsi, e appare evidente che in assenza di una puntuale disciplina derogatoria, l'amministrazione non può decidere sic et simpliciter di bandire un concorso, prescindendo dalla vigenza di una graduatoria;
    il Consiglio di Stato, inoltre, con le recentissime sentenze n. 3407 del 4 luglio 2014 e n. 4119 del 1o agosto 2014, ha ribadito che in presenza di graduatorie valide ed efficaci l'amministrazione deve provvedere all'assunzione di nuovo personale attraverso lo scorrimento delle stesse, e che, in tale situazione, la possibilità di bandire un nuovo concorso costituisce ipotesi eccezionale, considerata con sfavore in quanto contraria ai principi di economicità ed efficacia dell'azione amministrativa;
    la questione dello scorrimento delle graduatorie interessa in modo particolare anche il settore delle forze dell'ordine, nell'ambito del quale migliaia di giovani aspettano di vedersi riconosciuto il diritto a prendere servizio;
    la stragrande maggioranza dei soggetti che sono collocati nelle graduatorie dei concorsi delle forze dell'ordine sono, di fatto, dei precari, che hanno già prestato servizio per almeno un anno, ma a volte anche per tre o quattro anni, e che non sono stati assorbiti dalle forze di polizia o armate di provenienza proprio a causa dei vincoli imposti con il turn over;
    l'età media dei componenti le forze di polizia è superiore a quarantacinque anni e questo segna un record negativo a livello mondiale, e i suoi organici hanno subito, negli anni, pesanti rimaneggiamenti;
   a fronte dell'aumento dei rischi derivanti dal terrorismo internazionale, che vanno ad aggiungersi alle problematiche croniche in materia di sicurezza nazionale, quali, solo per citare un esempio, la malavita organizzata, occorre assolutamente mettere le forze dell'ordine in condizione di garantire gli adeguati livelli di sicurezza nel Paese;
    l'indizione di nuovi concorsi nonostante la vigenza delle graduatorie di quelli già svolti non solo rappresenta uno spreco di denaro pubblico, ma è anche contrario alle esigenze di efficienza ed economicità che dovrebbero regolare l'attività del settore pubblico;
    il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, intervenuto in materia di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni, ha prorogato fino al 31 dicembre 2016 l'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato vigenti alla data di entrata dello stesso decreto, ma dopo quella data si aprono scenari del tutto imprevedibili,

impegna il Governo:

   ad adottare le iniziative utili a garantire l'immissione in servizio di tutti i soggetti già presenti nelle graduatorie dei concorsi già svolti, a tal fine prorogandone, se necessario, la validità, bloccando l'indizione di nuovi concorsi e ricorrendo anche allo scorrimento delle medesime graduatorie, al fine di dare il giusto riconoscimento ai diritti dei tanti giovani che attendono da anni di poter cominciare a lavorare, e di garantire la piena attuazione dell'articolo 97 della Costituzione;
   ad assumere iniziative per introdurre un progressivo allargamento delle quote per le nuove assunzioni, mettendo la pubblica amministrazione in condizioni di lavorare in modo efficiente, e cominciando a realizzare il giusto ricambio generazionale.
(1-01131) «Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Taglialatela, Rampelli, Maietta, Nastri, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    rispetto alla vasta ondata di delocalizzazione verso le economie emergenti che ha interessato, e continua ad interessare, diversi Paesi, fra cui l'Italia, in vista di poter sfruttare i benefici derivanti dai più bassi costi del lavoro, si è affermata, negli ultimi anni, una tendenza contraria, nota come reshoring, cioè il rientro in Patria di attività industriali, che sta producendo benefici effetti sulle economie dei Paesi che l'hanno sperimentata;
    negli ultimi anni aziende come Apple, Google, GE, Whirlpool e Lenovo hanno riportato negli Stati Uniti parte delle loro attività, ponendo le basi per contrastare i danni all'economia nazionale causati dalla delocalizzazione che soltanto negli USA ha portato alla perdita di 6 milioni di posti di lavoro;
    il reshoring è favorito da diversi fattori: l'aumento del costo del lavoro nei Paesi emergenti, l'incertezza dei costi dei fattori di produzione causata dalle fluttuazioni valutarie, la maggiore incidenza dell'innovazione tecnologica nel processo produttivo e nella riduzione dei costi in primo luogo legati ai dazi doganali e ai trasporti, la minore qualità del prodotto finito e, soprattutto per le imprese ad alto tasso tecnologico, la necessità di vicinanza ai centri italiani di ricerca e sviluppo;
    in Italia il fenomeno del reshoring, anche se è in fase iniziale, fatica ad affermarsi e il numero di aziende che delocalizzano rimane sempre allarmante;
    l'Italia, rispetto ad altri Paesi in Europa, sconta il fatto di avere un'economia meno competitiva a causa, in primo luogo, della mancanza di politiche strutturali per il rilancio del sistema industriale del Paese che siano in grado di porre le basi per riagganciare la ripresa e creare occupazione;
    in Italia, il peso del manifatturiero sul totale dell'economia continua a ridursi passando dal 17,7 per cento del 2007 al 15,5 per cento del 2014 (dati Bnl-Bnp Paribas) e tuttavia è incontrovertibile che solo una netta ripartenza dell'industria manifatturiera può generare una effettiva riscossa per l'economia nazionale;
    il reshoring è disincentivato a causa della tassazione abnorme e asfissiante, dall'incapacità di attrarre e trattenere gli investimenti esteri, per non parlare poi degli alti costi dei fattori di produzione, primo fra tutti lavoro ed energia, sostenuti dalle imprese che sono una delle principali cause del svantaggio competitivo del nostro Paese;
    il reshoring italiano riguarda soprattutto le produzioni di qualità, in particolare quelle legate alla filiera del « made in Italy» e quelle complesse e di alta specializzazione. In tali settori se da un lato la delocalizzazione ha prodotto vantaggi immediati legati all'abbattimento dei costi di produzione, dall'altro è stata una delle principali cause della perdita di qualità dei manufatti;
    in Italia il reshoring è soprattutto nel tessile e calzaturiero (oltre 43 per cento del totale), settori per eccellenza del « made in Italy», e nell'elettronica-elettrotecnica (quasi 19 per cento), seguiti da automotive, meccanica, mobili e arredo (meno del 5 per cento ciascuno); per riportare la manifattura in Italia è importante dunque sostenere il riposizionamento delle aziende nei settori strategici dell'economia italiana, aumentare i legami con il territorio e sostenere i processi di rinnovamento aziendale, crescita ed innovazione tecnologica;
    gli interventi fino ad oggi adottati dal Governo per favorire il rientro in patria di attività produttive e di lavoro qualificato si giudicano assolutamente inadeguati e, in alcuni casi, contrari alla necessità stessa di favorire il rilancio dell'industria italiana;
    il comma 4, dell'articolo 16, del decreto legislativo, 14 settembre 2015, n. 147, recante misure per la crescita e l'internazionalizzazione delle imprese ha annullato i benefici della legge 30 dicembre 2010, n. 238 – cosiddetta normativa controesodo – introdotta per favorire il rientro dei lavoratori in Italia. Un intervento incomprensibile dal momento che la fiscalità di vantaggio di cui alla citata legge 238 del 2010 era stata recentemente prorogata a tutto il 2017 con l'articolo 10, comma 12-octies, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, di proroga di termini;
    il citato articolo 16 del decreto legislativo n. 147 del 2015, che ha introdotto nuove disposizioni per incentivare il trattamento fiscale al rientro dei lavoratori in Italia, anche se con un bonus ridotto, non è ancora entrato in vigore. L'attuale incertezza normativa ha messo in stato di agitazione i lavoratori che sono rientrati in Italia rendendo estremamente incerto il loro futuro e rischiando, di conseguenza, di disperdere il grado di conoscenza e professionalità fino ad oggi acquisito con l'applicazione della legge sul controesodo;
    secondo il « Sole 24 Ore» soltanto nei primi due anni di applicazione della legge «controesodo» (2011-2012, ultimi dati disponibili) sono stati circa 5.925 espatriati che, rientrando in Italia, hanno usufruito dei benefici fiscali della legge n. 238 del 2010: è evidente quindi che senza un tempestivo intervento il fenomeno del controesodo rischia di subire una battuta d'arresto,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa utile a favorire la diffusione del fenomeno del reshoring in Italia, in primo luogo sostenendo le imprese, attraverso incentivi mirati, nelle diverse fasi del procedimento per il rientro in patria delle attività industriali precedentemente delocalizzate;
   a dare immediata applicazione alle iniziative di sostegno ai lavoratori rimpatriati riconoscendo in loro favore misure di maggior vantaggio, tali da rendere più appetibile il rientro in Patria.
(1-01132) «Caparini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Busin, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    le elezioni amministrative del 2016 si terranno in una data compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno nei comuni con scadenza naturale del mandato degli organi eletti nel 2011 ed in quelli alle elezioni anticipate perché commissariati o per motivi diversi;
    saranno chiamati alle urne gli elettori di 1.338 comuni, di cui 1.144 appartenenti a regioni ordinarie e 194 a regioni a statuto speciale;
    si voterà in venticinque comuni capoluogo di provincia, fra cui capoluoghi di Regione e città che superano i 100.000 abitanti come nel caso di Bologna, Bolzano, Cagliari, Latina, Milano, Napoli, Novara, Ravenna, Rimini, Roma, Salerno, Torino e Trieste;
    il voto amministrativo non sarà l'unico che si terrà in quest'anno. Si consideri che la richiesta di sottoporre al vaglio della cittadinanza 6 referendum in materia di estrazione di idrocarburi, chiesti da numerose regioni per fermare le trivellazioni in mare finalizzate alla scoperta e l'estrazione di petrolio e gas, non è tramontata;
    sei di esse hanno sollevato un conflitto di attribuzioni con il Parlamento innanzi la Corte Costituzionale la quale, pochi giorni fa, ha stabilito che nonostante gli interventi normativi contenuti nella legge di stabilità per superare il voto referendario, essi non sono apparsi al giudice delle leggi sufficienti per sterilizzare la consultazione referendaria;
    uno dei quesiti referendari ha superato il vaglio dei giudici costituzionali ed è stato ammesso al voto primaverile dalla Consulta; si tratta di quello riguardante la durata delle autorizzazioni a delle esplorazioni e trivellazioni dei giacimenti già rilasciate;
    le norme della legge attuativa, di cui all'articolo 34 della legge n. 352 del 1970, fissano la data di convocazione degli elettori «in una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 15 giugno», ovvero nel medesimo periodo previsto per lo svolgimento di elezioni amministrative;
    fonti di stampa hanno reso noto il fatto che, pochi giorni or sono, si è costituito il comitato referendario per il «no» alla riforma costituzionale, nonostante essa non abbia ancora terminato il proprio iter parlamentare. È quindi molto probabile che gli elettori, sempre nel 2016, saranno chiamati per una terza volta ad esprimersi con il referendum confermativo;
    naturalmente, lo svolgimento in un'unica data di tutte le elezioni previste nel 2016 consentirebbe di non depauperare risorse preziose, garantirebbe un'agevole espressione di volontà popolare alla maggior parte di elettori in un'unica tornata elettorale, il cosiddetto election day, e gli elettori potrebbero votare utilizzando le schede elettorali e referendarie per esprimere la propria volontà nello stesso giorno. L'indizione in un unico giorno compreso tra il 15 aprile e il 15 giugno delle elezioni amministrative, quelle per il referendum abrogativo e quelle per l'eventuale referendum confermativo, comunemente noto come election day consentirebbe un risparmio per le finanze pubbliche stimabile in circa 400 milioni di euro,

impegna il Governo

ad adottare le iniziative di competenza affinché la celebrazione dei referendum abrogativi si tenga nella medesima giornata prevista per il primo turno delle prossime elezioni amministrative della primavera 2016.
(1-01133) «Baldassarre, Artini, Bechis, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino, Segoni, Turco».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
   il 17 dicembre 2015 la maggioranza di centrodestra della regione Liguria ha approvato il «piano casa», contingentando il dibattito e decidendo unilateralmente di non procedere con la discussione degli emendamenti presentati dalle opposizioni;
   l'epilogo del voto ha visto però un dibattito molto acceso nella società civile riportato dai media locali: domenica 18 ottobre 2015 il Secolo XIX titolava in prima pagina «Piano casa. In Liguria via libera al cemento». L'articolo faceva riferimento ad una prima lettura della bozza del Piano Casa che la giunta regionale di Toti avrebbe presentato nei giorni successivi. All'interno del quotidiano si legge: «Le principali novità, in un territorio così sensibile, dopo i ripetuti disastri alluvionali, faranno molto discutere. Perché l'impianto riprende e «potenzia» non poco le facoltà – in teoria provvisorie, studiate per contrastare la crisi – concesse dalla norma del 2009. Come? Estendendo le possibilità di costruzione nei Parchi naturali, ad esempio, e cancellando alcuni vincoli che erano diventati un incubo per i costruttori liguri». Vengono poi evidenziati cospicui incrementi volumetrici concessi in caso di riqualificazione e l'impossibilità dei sindaci di opporsi;
   pochi giorni dopo, il piano casa viene approvato in giunta con qualche modifica all'impianto originale. Un testo che il Secolo XIX giudica «spregiudicato» (Secolo XIX di martedì 20 ottobre). Quello che è evidente è che il piano casa riprende e potenzia quello della precedente giunta Burlando del 2009 a favore di una maggiore deregolamentazione: ammette la possibilità di costruire nei parchi, concede a chi riqualifica edifici residenziali un aumento dei volumi del 35 per cento, per quelli non residenziali ancora superiore, sparisce il vincolo di destinare il 29 per cento dei nuovi alloggi al social housing, prevede la possibilità di cambiamento di destinazione d'uso; i comuni e i sindaci avranno solo armi spuntate dal momento che tra le disposizioni che decadono c’è anche la facoltà dei comuni di potere individuare aree nelle quali le norme non si applicano;
   sono molte le critiche che da giorni accompagnano il disegno di legge. Tra i primi ad esprimersi è Salvatore Settis, archeologo e storico dell'arte che su Repubblica del 23 ottobre 2015 dichiara: «Fare un Piano casa del genere in una regione martoriata come la Liguria, con un eccesso di costruito e con un dissesto idrogeologico che la rende fragilissima, e che ha già prodotto purtroppo una sequenza di eventi luttuosi, la ritengo un'azione semplicemente irresponsabile» e invoca l'intervento di Renzi per impugnare l'atto. Dello stesso avviso è il presidente dell'Ente Parco delle Cinque Terre Vittorio Alessandro che così si esprime: «Il mio timore è che in quella legge il pregiudizio sia a favore del cemento. Temo che quel Piano non tuteli né riqualifichi la casa di tutti, inteso come bene comune, ma appesantisca soltanto il carico di cemento che la Liguria sopporta» (La Repubblica 21 ottobre 2015); Santo Grammatico presidente regionale di Legambiente sottolinea invece il carattere speculativo che il Piano Casa, se mantenesse queste caratteristiche, avrebbe: «Il piano casa non è lo strumento col quale si possa rilanciare l'edilizia, nella nuova legge è assente uno studio sullo stato del patrimonio edilizio e abitativo e per come è formulato risulta solo uno strumento per aggredire i territori di maggior pregio lungo la costa, favorendo le rendite e la speculazione. Per questo la novità più significativa è la forzatura sulle aree protette vista mare» (La Repubblica 25 ottobre 2015);
   particolarmente significativi risultano i dati contenuti nel report dell'ISPRA, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale che evidenziano come nell'area comunale genovese, il suolo consumato ha raggiunto il 20,4 per cento del territorio. I dati di territorio cementificato della Liguria sono leggermente superiori alla media: tra il 5,9 e l'8 per cento. Alla domanda se sia ipotizzabile pensare a un ulteriore sviluppo edilizio della regione, Michele Munafò, ricercatore responsabile del rapporto così risponde al giornalista: «Se si parla di nuovo suolo sicuramente no, il territorio è saturo. Si può invece intervenire con piani di riqualificazione e rigenerazione urbana»;
   nel cosiddetto piano casa appena varato dalla giunta Toti che sostituisce la precedente legge regionale del 3 novembre 2009, n. 49, della giunta Burlando in scadenza il 31 dicembre 2015, non è segnata alcuna data di scadenza;
   si tratta di un piano casa così dettagliato e specifico che indica persino i volumi precisi e deroga alla legge urbanistica generale sembra agli interroganti un'intrusione illegittima nella potestà amministrativa dei comuni, riconosciuta dall'articolo 118 della Costituzione, senza contare che in questo caso verrebbe a mancare l'aspetto di leale collaborazione a cui le regioni sono tenute rispetto ai rapporti con i relativi comuni;
   negli ultimi anni la Liguria ha fatto fronte a due alluvioni che ne hanno profondamente segnato il territorio. È stato inoltre evidenziato come i danni siano stati amplificati dalla cementificazione selvaggia presente su tutto il territorio regionale;
   a fronte di ciò, secondo gli interroganti il piano casa con le caratteristiche fino a qui descritte andrebbe in conflitto con gli articoli 9 e 32 della Costituzione, che tutelano le aree naturali protette (mentre aumentando le aree edificabili metterebbe a rischio centinaia di persone che vivono in aree già fortemente segnate dal dissesto idrogeologico), con l'articolo 117, terzo comma, tra le altre cose disattendendo la normativa quadro dello Stato in materia di parchi naturali, con la Strategia «Europa 2020» che pone obiettivi specifici nel campo dei cambiamenti climatici e della sostenibilità energetica e con la direttiva europea 2012/27/UE in materia di efficienza energetica in quanto nel piano non sono indicati una serie di obblighi a proposito di riduzione dei consumi energetici ed efficientamento dell'edilizia pubblica –:
   se possano garantire il più rigoroso esame della nuova normativa ligure in sede di Consiglio dei ministri, valutando se sussistano i presupposti per impugnare la legge regionale n. 22 del 2015 dinanzi alla Corte costituzionale qualora siano confermate tutte le scelte sopra indicate, in contrasto con i principi costituzionali e gli obblighi dell'ordinamento europeo.
(2-01251) «Quaranta, Scotto, Pastorino, Ricciatti, Piras, Pellegrino, Zaratti».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   l'adozione è uno strumento fondamentale a favore dell'infanzia, in quanto garantisce ai bambini il diritto ad avere una famiglia e, pertanto, deve essere messo al centro dell'attenzione delle istituzioni e concretizzarsi in un sistema organico di politiche per l'infanzia ancora non pienamente realizzato;
   in particolare, nel sistema delle adozioni internazionali riveste un ruolo essenziale il corretto funzionamento della Commissione per le adozioni internazionali (CAI), l'autorità centrale del nostro Paese in materia, istituita presso la Presidenza del Consiglio con la funzione di garantire che le adozioni di bambini stranieri avvengano nel rispetto dei principi stabiliti dalla Convenzione de L'Aja del 29 maggio 1993 sulla tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale;
   da più parti vengono denunciate gravi anomalie nella gestione della Commissione adozioni internazionali che compromettono il delicato ruolo politico di coordinamento, supervisione e monitoraggio delle procedure di adozione internazionale affidato all'organismo e che si concretizza principalmente nel rilascio delle autorizzazioni agli enti attraverso quali si realizza l’iter adottivo, nelle competenze riguardanti l'ingresso dei minori provenienti dagli stati stranieri, nella gestione dei rapporti con i Paesi esteri e con le altre autorità nazionali;
   attualmente la Presidenza della Commissione per le adozioni internazionali è in capo al Presidente del Consiglio dei ministri, dottor Matteo Renzi, e per delega di funzioni da parte dello stesso, alla consigliera Silvia Della Monica;
   la consigliera Silvia della Monica è, quindi, allo stesso tempo presidente e vicepresidente della Commissione, benché il decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2007, n. 108, tenga distinte le due figure;
   risulta, poi, che l'organismo si sia riunito una sola volta nel giugno 2014 per costituirsi e prendere atto della nomina. Nel 2015 non consta che la Commissione sia stata convocata, mentre la prassi normale, in passato, era che si riunisse sei o sette volte l'anno, senza contare gli incontri con gli enti autorizzati sulla situazione nei singoli Paesi;
   la Commissione adozioni internazionali, quindi, non pare abbia adottato alcuna delibera in forma collegiale, neppure per ratificare provvedimenti della presidente-vicepresidente;
   famiglie ed enti, inoltre, lamentano l'accentramento in capo alla consigliera Della Monica di tutti gli atti e le decisioni formali della Commissione e conseguentemente il venir meno della «cooperazione tra i soggetti che operano nel campo della protezione dei minori» che la Commissione, ai sensi dell'articolo 39 della legge n. 184 del 1993 dovrebbe invece promuovere. Ve ne sono numerosi esempi, da ultimo la lettera in data 10 dicembre 2015 nella quale la presidente-vicepresidente non solo intima agli enti di non intrattenere rapporti con autorità straniere, ma censura anche non meglio precisate «iniziative assunte da alcuni enti autonomamente nei rapporti con autorità e istituzioni italiane»;
   un altro adempimento rispetto al quale si registra una grave inefficienza della Commissione è quello relativo alla pubblicazione dei dati gestiti: l'ultimo report statistico elaborato – «Dati e prospettive nelle adozioni internazionali: rapporto sui fascicoli dal primo gennaio al 31 dicembre 2013, in collaborazione con l'Istituto degli Innocenti» – è stato pubblicato nel 2014;
   mancano, dunque, per gli anni 2014 e 2015 dati ufficiali relativi alle adozioni internazionali e infatti diverse fonti riportano che l'Italia è stata oggetto di richiamo da parte del Permanent Bureau della Conferenza di diritto internazionale privato de L'Aja per il mancato rispetto delle linee guida sull'operatività della Convenzione sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a il 29 maggio 1993, e per la mancata trasmissione dei dati relativi alle adozioni internazionali;
   pur in assenza di dati statistici ufficiali aggiornati sull'andamento delle adozioni internazionali, si stima che nel 2014 le adozioni internazionali siano state meno di 2 mila, contro le 4130 del 2010 e viene segnalato da più parti che tale significativo decremento derivi dalla persistenza di problematiche rilevanti che incidono non solo sul dato quantitativo, ma anche su quello qualitativo del percorso adottivo;
   le principali criticità, sono legate proprio ad una burocrazia interna farraginosa ed inefficiente e alla mancanza di trasparenza, aspetti che si riflettono direttamente sui tempi per l'ottenimento dell'idoneità all'adozione, sui tempi per la conclusione del procedimento adottivo all'estero, sui rallentamenti e blocchi subiti dalle famiglie adottive in attesa di completare il percorso adottivo di bambini provenienti dalla Colombia, dal Mali, dall'Etiopia, dal Kirghzistan dalla Repubblica Democratica del Congo, sui costi delle adozioni insostenibili per molte famiglie;
   con riferimento al profilo della trasparenza delle informazioni, nel dossier adozioni presentato dal CARE – Coordinamento delle Associazioni familiari adottive e affidatarie in rete –, viene segnalata la necessità e l'urgenza della «strutturazione di un sito della Commissione Adozioni Internazionali in open data su diverse sezioni quali ad esempio gli ingressi dei minori su base trimestrale suddivise per Paesi ed enti»; si sottolinea, poi, come risulti «cruciale ristabilire la Linea CAI che ha avuto un ottimo feedback dalle famiglie che ne hanno potuto usufruire negli anni passati sino a che è stata mantenuta attiva»;
   ancora, sulla trasparenza dei dati relativi ai costi per le pratiche in Italia e all'estero proposti dagli enti autorizzati il citato dossier evidenzia la necessità che la Commissione adozioni internazionali provveda, come negli anni passati, a stabilire tetti di spesa per ciascun Paese e che i relativi aggiornamenti vengano prontamente pubblicati sui siti della CAI e di ogni ente autorizzato;
   alla luce di quanto evidenziato, non è, dunque, accettabile una condizione di ridotta operatività, se non di vera e propria paralisi, della Commissione per le adozioni internazionali tanto più che l'articolo 1, comma 411, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016) – ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, un autonomo fondo per le adozioni internazionali, dotato di 15 milioni di euro annui, a decorrere dal 2016 proprio al fine di sostenere le politiche in materia di adozioni internazionali e di assicurare il funzionamento della Commissione per le adozioni internazionali –:
   quali siano le motivazioni per le quali la Presidenza del Consiglio dei ministri non si attiva fattivamente per far sì che la Commissione si riunisca regolarmente per adempiere i compiti che le sono propri;
   come intenda agire per sanare in via di grave urgenza le palesi illegittimità che, a giudizio degli interpellanti, viziano l'operato della Commissione per le adozioni internazionali;
   quali iniziative intenda assumere per salvaguardare i minori oggetto di adozione internazionale e i genitori disponibili ad offrire loro una famiglia;
   quali iniziative intenda adottare per garantire l'operatività della Commissione per le adozioni internazionali al fine di consentire all'organo di esercitare un ruolo più incisivo soprattutto nella vigilanza e nel controllo delle procedure di adozione, in particolare nell'operatività degli enti autorizzati all'estero;
   quale percentuale delle risorse del fondo per le adozioni internazionali il Governo intenda destinare al funzionamento della commissione e quali alle misure di sostegno delle adozioni internazionali, come il rimborso delle spese sostenute dai genitori adottivi per l'espletamento della procedura di adozione e la defiscalizzazione di tali spese e delle spese sostenute dalle famiglie adottive di minori con bisogni speciali (special needs).
(2-01257) «Brambilla, Brunetta, Prestigiacomo, Carfagna».

Interpellanze:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 26 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, promosso dal Tribunale ordinario di Milano – sezione specializzata in materia di impresa, nel procedimento vertente tra M.M. ed altri e la Banca d'Italia ed altri, con ordinanza del 28 aprile 2014, iscritta al n. 19 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 2015, la Corte costituzionale si è espressa con la sentenza n. 216 del 2015, pubblicata in G. U. il 5 novembre 2015;
   la Corte Costituzionale ha giudicato incostituzionale la seguente norma: «Prescrizione anticipata delle lire in circolazione 1. In deroga alle disposizioni di cui all'articolo 3, commi 1 ed 1-bis, della legge 7 aprile 1997, n. 96, e all'articolo 52-ter, commi 1 ed 1-bis, del decreto legislativo 24 giugno 1998, n. 213, le banconote, i biglietti e le monete in lire ancora in circolazione si prescrivono a favore dell'Erario con decorrenza immediata ed il relativo controvalore è versato all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnato al Fondo ammortamento dei titoli di Stato»;
   numerosi sono gli argomenti giuridici posti a supporto del rispetto dello Stato di diritto costituzionale contenuti nella sentenza citata poiché la norma cassata dall'ordinamento giuridico come rilevato dal giudice a quo: «contrasta, in primo luogo, con gli articoli 3 e 97 Costituzione, sotto i profili della lesione dell'affidamento nella sicurezza giuridica, dell'irragionevolezza e dell'ingiustificata preferenza accordata ai possessori di titoli del debito pubblico, perché avrebbe disposto, in via anticipata rispetto alla scadenza dell'originario termine di prescrizione, fissata al 28 febbraio 2012, una vera e propria estinzione immediata del diritto di convertire in euro le banconote, i biglietti e le monete in lire ancora in circolazione»;
   in secondo luogo, come evidenziato dal giudice a quo, sono stati violati «gli articoli 42, terzo comma, e 117, primo comma della Costituzione, quest'ultimo in riferimento all'articolo 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, in quanto realizzerebbe, di fatto, una sorta di espropriazione ai danni dei possessori delle banconote in lire, della quale beneficiano in prima battuta lo Stato, mediante il trasferimento del relativo controvalore al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato, e in ultima analisi i possessori dei titoli del debito pubblico, che vedono così rafforzata la garanzia dei loro crediti»;
   ad avviso della Corte Costituzionale, «Per effetto della cessazione del corso legale della lira, quindi, il diritto di convertire in euro le banconote e le monete metalliche in lire poteva essere esercitato fino alla scadenza del termine decennale di prescrizione stabilito, in via generale, a favore dell'erario, e cioè fino al 28 febbraio 2012»;
   prosegue la Corte sostenendo che «In questo quadro si è inserito l'articolo 26 del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, il quale, al dichiarato fine di ridurre il debito pubblico (la disposizione è contenuta nel Capo V del decreto, intitolato «Misure per la riduzione del debito pubblico») e in deroga alle norme sopra richiamate, ha disposto la prescrizione anticipata, con effetto immediato, delle lire ancora in circolazione, e ha stabilito, altresì, che il relativo controvalore fosse versato all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnato al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato;
   la Corte conclude la sentenza con la seguente, tombale, censura: «Va pertanto dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'articolo 26 del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, per violazione dei principi di tutela dell'affidamento e di ragionevolezza di cui all'articolo 3 della Costituzione. Rimangono assorbiti gli altri profili sollevati, con riferimento agli articoli 97, 42, terzo comma, e 117, primo comma, Costituzione, in relazione all'articolo 1 del Protocollo addizionale alla CEDU;
   si ricorda che la norma di iniziativa governativa fu varata nel novembre 2011; con la stessa si anticipò il termine finale per ottenere la conversione della vecchia moneta con la nuova. Ciò non ha permesso a un numero indefinito di cittadini, probabilmente non molto consistente, di convertire lire in euro sino al termine ultimo fissato dalla precedente normativa. Il controvalore degli importi in lire non convertito è confluito nelle casse dell'erario;
   in seguito alla sentenza ampiamente citata, la Banca di Italia dichiarò di non conoscere le conseguenze della sentenza stessa;
   si precisa però che, ad avviso della Banca d'Italia, la norma che prevedeva i versamenti all'erario di tutto l'ammontare delle lire non convertite non era stata abrogata dalla sentenza della Corte Costituzionale;
   l'istituto bancario centrale affermò che erano necessari approfondimenti molto attenti per valutare il da farsi, quindi tutte le richieste di cambio pervenute successivamente la pronuncia della Corte avrebbero dovuto attendere il tempo necessario per effettuare gli approfondimenti detti e non meglio specificati, sia nel contenuto che nei tempi, per poter essere esaudite;
   l'inerzia successiva del Ministro competente e del Presidente del Consiglio nel fornire informative o predisporre le opportune misure finanziarie in sede di presentazione del disegno di legge di stabilità ha fatto sì che non sia stata prevista alcuna risorsa necessaria a coprire l'eventuale richiesta dei cittadini in un provvedimento normativo, l'unico in grado di colmare il vuoto lasciato dalla sentenza della Corte;
   si consideri che la cifra potenziale massima necessaria a coprire gli oneri, se tutte le lire ancora in possesso dei cittadini fossero oggetto di effettiva richiesta di conversione, sarebbe pari a 1 miliardo e cinquecentomila euro, ipotesi improbabile come affermato nella sentenza stessa; né è stata fornita alcuna informativa;
   il primo firmatario del presente atto ha presentato emendamenti nel corso dei lavori che hanno recentemente impegnato il Parlamento per l'approvazione della manovra di bilancio e finanziaria, senza alcun successo, nella speranza che si potesse così sanare un vulnus all'ordinamento giuridico e ai diritti dei cittadini ampiamente stigmatizzati dal giudice delle leggi, che miravano a dare tutela ai diritti conculcati;
   con un mero, semplice, insoddisfacente comunicato stampa della Banca d'Italia del 21 gennaio 2016 è stato reso noto il fatto che si provvederà nuovamente al cambio, ma limitatamente a coloro i quali potranno dimostrare per iscritto di averne fatto richiesta per tempo;
   nel comunicato infatti si legge: «A partire da domani, 22 gennaio, chi è in grado di documentare di aver richiesto di convertire lire tra il 6 dicembre 2011 e il 28 febbraio 2012, specificandone l'importo, potrà eseguire la conversione presso una qualsiasi delle Filiali della Banca d'Italia che svolgono il servizio di Tesoreria dello Stato (...) Gli interessati potranno recarsi allo sportello portando – oltre alle lire da convertire – idonea documentazione della richiesta fatta a suo tempo, in particolare: richieste scritte (cartacee con sottoscrizione, tramite PEC o semplici e-mail), ovvero dichiarazioni relative alla mancata effettuazione del cambio da parte di una Filiale della Banca d'Italia, purché sottoscritte da parte del personale dell'Istituto, con data non successiva al 28 febbraio 2012. La conversione potrà avvenire anche sulla base di una diversa documentazione, purché la stessa presenti analoghe caratteristiche di affidabilità, che saranno valutate caso per caso dalla Banca d'Italia»;
   la soluzione proposta appare agli interroganti in contrasto con il dettato della sentenza, poiché restringe iniquamente la platea degli aventi diritto –:
   quali iniziative urgenti di competenza il Governo intenda assumere per ripristinare la tutela del principio del legittimo affidamento dei cittadini, del principio di eguaglianza e, in generale, del più ampio principio del rispetto dello Stato di diritto;
   se intenda assumere iniziative normative per disciplinare la materia, sanando l'ulteriore vulnus arrecato all'ordinamento giuridico e ai diritti dei cittadini, come emergerebbe dalla lettura del comunicato stampa della Banca d'Italia, considerato che la sentenza della Corte Costituzionale ha correttamente limitato il suo ambito d'azione alla sola abrogazione della norma incostituzionale senza indicare come ripristinare la legalità costituzionale;
   se il Governo nel rispetto del principio del legittimo affidamento e del principio di uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione, principi su cui contano i possessori delle vecchie lire, intenda assumere iniziative per riconoscere il diritto integrale di questi ultimi alla conversione, senza gli ulteriori limiti resi noti dalla Banca d'Italia, fissando eventualmente con la prima iniziativa normativa utile, un periodo pari a un trimestre nel quale si possa garantire a chiunque sia in possesso di lire la possibilità di effettuare il cambio in euro senza sottostare alle condizioni dagli interroganti considerate inique, come comunicate dalla Banca d'Italia;
   se, intenda assumere iniziative normative che recepiscano i contenuti di proposte di legge presentate sull'argomento al fine di raggiungere lo scopo sopra evidenziato.
(2-01248) «Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco».


   La sottoscritta chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   la giunta comunale del comune di Afragola, ha approvato la deliberazione n. 125 del 18 dicembre 2015 con la quale ha, modificando la dotazione organica del comune e la macrostruttura, incrementato da 7 a 9 le posizioni dirigenziali del comune stesso. Tale atto è stato approvato nonostante il parere tecnico non favorevole e il parere contabile non favorevole resi dal dirigente competente ai sensi dell'articolo 49 del TUEL;
   la giunta, discostandosi dal parere negativo espresso ha chiesto, per le vie brevi, un parere al segretario generale, riportandolo integralmente all'interno della deliberazione che però, lungi dallo sconfessare quanto argomentato dal dirigente competente, con una prolissa dissertazione, in larga parte inconferente, ad avviso dell'interpellante evita di entrare nel merito dei gravi rilievi espressi nei pareri;
   il TUEL non prevede la possibilità che altre figure, e tra queste il segretario generale dell'ente, possano sostituirsi ai dirigenti responsabili per esprimere i richiesti pareri sugli atti amministrativi;
   la deliberazione citata, riporta i seguenti pareri: «Parere tecnico non favorevole con la seguente motivazione: Una proposta di incremento della dotazione organica dei dirigenti non può prescindere da una analisi dei fabbisogni che tenga conto di quanto esiste e quali sono i punti di forza e di debolezza del sistema vigente come previsto, tra l'altro, dall'articolo 6 del decreto legislativo 165/2001. L'atto pertanto è carente di motivazioni. Il presente atto è predisposto in violazione dell'articolo 1, comma 557, lettera b) della Legge 296/06 e smi. Anche a voler interpretare tale previsione come “norma di principio” (e non lo è stante la previsione di apposita sanzione al comma 557-ter ed a quanto interpretato in merito alla Corte dei Conti in differenti pronunce, per tutte, Basilicata 174/2012/PAR) lo spirito del citato Decreto 165 e di tutte le manovre che hanno comportato effetti o modifiche su tale norma è di ridurre la percentuale della spesa per la dirigenza. Questo atto è in controtendenza con lo spirito della norma ... L'incremento della consistenza numerica dei dirigenti in dotazione organica è il titolo giuridico per l'incremento della contrattazione decentrata in violazione dell'articolo 1, comma 557, lettera c) della legge 296/06 e smi. ... L'indirizzo di assunzione di personale ex articolo 110, previsto nella Deliberazione è difatti inapplicabile in quanto non vi sono i termini per la conclusione di eventuali procedure che dunque andrebbero riprogrammate a valere sull'esercizio finanziario 2016. Parere contabile non favorevole con la seguente motivazione: La spesa è priva di copertura finanziaria in quanto le cessazioni vanno integralmente destinate ai fini di cui all'articolo 1, comma 424 e 425 della Legge n. 190/2014 e dunque non vi sono le necessarie coperture per il tabellare dei nuovi assunti. L'assunzione di ulteriori 2 dirigenti ex articolo 110 viola l'articolo 1, comma 424 e 425 della Legge 190/2014 e l'articolo 1, comma 557, lettera b) della Legge 296/06 e smi.»;
   a seguito di tale atto di esplicite minacce di ritorsioni disciplinari, il dirigente competente ha dovuto rendere esecutiva la determinazione di indizione del concorso a tempo determinato per n. 2 dirigenti, nonostante tale concorso non avesse alcuna possibilità di concludersi nel corso dell'anno 2015 e dunque dovesse essere riprogrammato nel 2016;
   lo stesso dirigente responsabile, in conseguenza delle pressioni ricevute si è visto costretto, in data 25 dicembre 2015, con un dettagliato esposto depositato presso la locale stazione dei carabinieri ad esporre tutta la questione, chiedendo di perseguire eventuali reati commessi;
   successivamente a tale deliberato è stata approvata la legge di stabilità che, al comma 219, così recita: «Nelle more dell'adozione dei decreti legislativi attuativi degli articoli 8, 11 e 17 della legge 7 agosto 2015, n. 124, e dell'attuazione dei commi 422, 423, 424 e 425 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, e successive modificazioni, sono resi indisponibili i posti dirigenziali di prima e seconda fascia delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, (...) vacanti alla data del 15 ottobre 2015, (...) Gli incarichi conferiti a copertura dei posti dirigenziali di cui al primo periodo dopo la data ivi indicata e fino alla data di entrata in vigore della presente legge cessano di diritto alla medesima data di entrata in vigore, con risoluzione dei relativi contratti»;
   nonostante questa chiarissima disposizione normativa che vieta l'attività posta in essere dal comune, qualora non sufficientemente tacciata di manifesta illegittimità, l'amministrazione comunale prosegue nel reclutamento di dubbia legittimità dei 2 dirigenti, avendo richiesto la pubblicazione del relativo «avviso» sulla Gazzetta Ufficiale e propagandando tale procedura come atto di rilevanza primaria per gli obiettivi dell'amministrazione;
   dall'insediamento, l'attuale amministrazione comunale di Afragola, ha modificato in continuazione la macrostruttura e la dotazione organica dei dirigenti e lo stesso regolamento degli uffici e dei servizi, finendo di fatto per confermare la macchina comunale ad evidenti obiettivi gestionali e politici;
   sembra evidente, a parere dell'interpellante, e per notizie diffuse nell'ambito del confronto delle forze politiche e dei gruppi consiliari, che questa pretesa avanzata e sostenuta con forza dal sindaco in carica, porterebbe di fatto a sviluppare una catena di gestione nell'apparato comunale ed in particolare nella gestione del nuovo PUC, che starebbe al centro di discussi ed imponenti interessi legati, in particolare, a tutta l'area di contorno della costruenda stazione dell'alta velocità;
   appare all'interpellante necessario che la locale prefettura si attivi per monitorare le attività poste in essere dall'amministrazione comunale di Afragola in diversi ambiti, dagli appalti pubblici, come quello per i rifiuti solidi urbani, molto discusso ed oggetto di altro atto di sindacato ispettivo, alle attività edilizie e urbanistiche, anch'esse contestate e denunciate da altri atti ispettivi parlamentari –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto sopra riportato e se non ritenga che sussistano i presupposti, alla luce dei fatti richiamati in premessa, per assumere iniziative, ai sensi degli articoli 141 e seguenti del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali;
   se il Governo non ritenga altresì di valutare se sussistano i presupposti per avviare una verifica congiunta dei servizi ispettivi di finanza pubblica e dell'ispettorato per la funzione pubblica in relazione alla vicenda relativa al reclutamento dei due dirigenti di cui in premessa.
(2-01250) «Castiello».

Interrogazioni a risposta scritta:


   BORGHESE e MERLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 38 della Carta costituzionale prevede che ciascun cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale;
   tale principio viene applicato attraverso una serie di leggi ordinarie italiane che riconoscono particolari benefici a carattere economico e non, ai soggetti che si trovano in condizioni fisiche tali da determinare l'esistenza di una invalidità civile;
   le prestazioni che vengono offerte dall'Inps si definiscono in questi casi assistenziali perché vengono riconosciute a prescindere dallo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa, e pertanto, dalla sussistenza di un rapporto assicurativo con un ente previdenziale. L'invalidità infatti si definisce invalidità civile proprio perché la sua esistenza non è legata al verificarsi di alcuna altra condizione oltre a quella strettamente fisica;
   le prestazioni di invalidità civile spettano ai cittadini italiani residenti in Italia. Ad essi sono equiparati, purché sempre residenti in Italia, i cittadini comunitari, nonché i cittadini extracomunitari in possesso del permesso di soggiorno o della carta di soggiorno e di minori che risultino iscritti nella loro carta di soggiorno o permesso di soggiorno;
   di recente la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della legge 388 del 2000 nella parte in cui si subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato il riconoscimento delle prestazioni economiche correlate all'invalidità civile;
   in Italia, in linea generale, la domanda per ottenere il riconoscimento dell'invalidità civile, si presenta telematicamente all'Inps, attraverso i patronati o le associazioni di categoria dei disabili (A.N.M.I.C. per gli invalidi civili, U.I.C. per i ciechi civili, E.N.S. per i sordomuti) a ciò autorizzati oppure viene chiesta personalmente da chi è in possesso del Pin che consente di accedere ai servizi telematizzati dell'Inps;
   le domande devono essere accompagnate dal certificato introduttivo del medico curante che attesta le infermità invalidanti dei richiedenti;
   entro 30 giorni circa dalla presentazione della domanda di invalidità, oppure entro 15 giorni in caso di patologia oncologica, l'interessato viene convocato a visita alla quale occorrerà esibire un documento d'identità valido, il certificato medico introduttivo in originale e tutta la documentazione sanitaria recente;
   dopo la visita, l'Inps provvederà a inviare alle persone interessate, il verbale, contenente il giudizio espresso dalla commissione; a questo punto se ai richiedenti è stato accordato il riconoscimento dell'invalidità avranno diritto a determinate prestazioni, economiche e socio-sanitarie, da parte dello Stato italiano;
   in questi ultimi anni, però si è fatta una campagna contro i cosiddetti «falsi invalidi», che è stata prima di tutto una pubblicità strumentale e mediatica, assumendo in alcuni momenti anche toni drammatici, e che non ha portato i risultati sperati –:
   se il Governo non ritenga opportuno promuovere accertamenti più rigorosi e mirati al fine di erogare tale indennità solo e soltanto ove sussista l'effettivo diritto della persona disabile, in quanto in questi anni numerosi sono stati i controlli sui cosiddetti falsi invalidi, ma la situazione rimane ancora in parte irrisolta, creando pertanto disastri sul bilancio italiano.
(4-11896)


   TERZONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   oggi, martedì 30 giugno, il giornale «L'Unità», la storica testata fondata da Antonio Gramsci, dopo una lunga assenza, è tornato in edicola;
   la scorsa estate, la società che pubblicava il giornale, Nuova Iniziativa Editoriale, nonostante i 60 milioni di contributi pubblici incassati nel corso dei suoi 14 anni di gestione, aveva portato i libri in tribunale e il giornale aveva sospeso la pubblicazione;
   la trasmissione televisiva Report, in un eccellente servizio giornalistico, ha ricostruito la surreale vicenda che aveva portato alla chiusura del giornale del quale il Partito Democratico, nonostante detenesse appena lo 0,1 per cento delle azioni, controllava la linea editoriale;
   nel servizio di Report viene evidenziato che i debiti dell’Unità, pari a 125 milioni di euro, attraverso un'abile operazione, erano stati trasferiti quasi totalmente allo Stato;
   il direttore dell’Unità è il dottor Erasmo D'Angelis, esponente del Partito Democratico, già Sottosegretario di Stato nel Governo Letta; che al momento attuale riveste l'incarico di coordinatore responsabile della struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche, presso la presidenza del Consiglio, come confermato dalla pagina web di «Italiasicura» all'interno del portale del Governo –:
   se il Governo non intenda revocare l'incarico di coordinatore responsabile della struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche e comunque escludere qualsiasi incarico nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei ministri in capo al dottor Erasmo De Santis posto che appare del tutto inopportuno che il giornale del quale il principale partito di Governo, attraverso la fondazione Eyu, detiene il 20 per cento sia diretto proprio da un dirigente presso la Presidenza del Consiglio, dando vita ad un inquietante corto circuito tra politica, istituzioni e media. (4-11898)


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a giudizio dell'interrogante, il combinato disposto della presenza di rappresentanti del Partito democratico e del Movimento 5 stelle nelle amministrazioni locali siciliane e nel Governo nazionale sta causando disastri su ogni aspetto della vita economica, sociale e politica della Sicilia;
   come riportano i maggiori quotidiani dell'isola ed anche la cronaca nazionale, per una settimana intera, i cittadini di Gela hanno bloccato gli accessi alla città in attesa di una qualunque forma di «cenno» da parte delle istituzioni regionali e nazionali;
   diecimila persone, secondo quanto riferiscono i quotidiani, hanno manifestato per le strade della cittadina siciliana in solidarietà ai lavoratori petrolchimico Eni;
   questo sciopero generale è stato proclamato dal consiglio comunale e vi ha aderito l'intero tessuto cittadino: professionisti, dipendenti pubblici, politici, studenti ed anche sacerdoti hanno marciato all'ombra del petrolchimico, voluto 53 anni fa da Enrico Mattei;
   dopo anni di crisi e disimpegni economici, a Gela, la situazione è praticamente precipitata e circa tremila operai aspettano un segnale dalle istituzioni politiche locali e nazionali e dall'Eni;
   si fanno riunioni su riunioni in luoghi che appaiono all'interrogante senza alcun potere decisionale come il Ministero del lavoro e delle politiche sociali per poi ritornare in Sicilia e riferire di difficoltà di ogni tipo;
   la quota dell'Eni di proprietà del Governo è in carico al Ministero dell'economia e delle finanze ed è lì che si dovrebbero svolgere le riunioni ed è al Ministro dell'economia e delle finanze che si dovrebbero porre le questioni;
   la riunione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, a cui hanno partecipato il presidente della regione siciliana ed il sindaco di Gela, è stata convocata per definire misure straordinarie sull'uso degli ammortizzatori sociali. Si dà, ormai, per scontata la chiusura dello stabilimento di Gela quando, invece, v’è un accordo firmato nel novembre scorso tra l'Eni, la regione siciliana e il ministero dello sviluppo economico: 2,2 miliardi di euro d'investimenti, bonifiche sul territorio e la riconversione del petrolchimico in una bio-raffineria. Un piano che rilancerebbe la zona industriale gelese, salvando i posti di lavoro, ma che ad oggi è bloccato a causa del mancato rilascio delle autorizzazioni ministeriali per la riconversione degli impianti;
   se si pensa che il presidente della regione siciliana è di Gela si comprende il livello di capacità amministrativa dello stesso, mentre il sindaco di Gela è stato già espulso dal Movimento 5 stelle per aver avallato l'accordo con l'Eni;
   anche il parroco della chiesa che frequentava il presidente della regione siciliana è intervenuto in difesa della popolazione con dichiarazioni chiare e gravissime: «Il più autorevole cittadino di Gela, che oggi fa il presidente della regione siciliana, ha il privilegio di potere sedere al tavolo del consiglio dei ministri, quando si affrontano problemi relativi alla nostra terra. Ebbene dov’è il governatore? Dov’è Rosario? Perché non ha fatto di più? La situazione è stata gestita malissimo: un'intera città è sul lastrico. Come faranno gli operai a pagare i mutui che avevano acceso? Come faranno ad arrivare a fine mese? Non dimentichiamo che Gela è una città complicata. È una città dove le organizzazioni criminali continuano ad esistere, ed è una città dove la mafia non aspetta altro che inserirsi in queste situazioni di difficoltà, per prosperare e ricattare»;
   l'Eni, dal canto suo, ha confermato la volontà d'investire sul territorio;
   il progetto delle bonifiche da effettuare prima di poter rilanciare il nuovo piano industriale è secondo l'interrogante del tutto inverosimile e se assecondato, farà fare al petrolchimico di Gela la stessa fine dell'Ilva di Taranto;
   al momento vi sono centinaia di lavoratori che non hanno più accesso agli ammortizzatori sociali e da mesi sono completamente tagliati fuori da ogni tipo di remunerazione. Senza considerare che moltissimi lavoratori dell'indotto, ogni mese, si vedono arrivare buste paga anche da ottanta o cento euro, perché vengono pagati praticamente a cottimo –:
   quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-11900)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   dopo anni in cui il lupo in Italia ha rischiato di estinguersi, numericamente ridotto a pochi branchi insediati prevalentemente in Appennino centrale, oggi è presente dalla Calabria fino a diversi settori delle Alpi, si possono distinguere una popolazione appenninica e una alpina con situazioni ecologiche e dinamiche diverse ma che necessiterebbero comunque una gestione coordinata e a larga scala;
   la direttiva «habitat» (92/43/CEE) recepita dall'Italia con decreto del Presidente della Repubblica dell'8 settembre 1997, n. 357, inserisce il lupo negli allegati B, specie la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione e D, specie prioritaria, di interesse comunitario che richiede una protezione rigorosa, proibendone la cattura, l'uccisione, il disturbo, la detenzione, il trasporto, lo scambio e la commercializzazione;
   la convenzione di Berna inserisce il lupo nell'allegato II (specie strettamente protette), prevedendone quindi una speciale protezione e proibendone in particolare la cattura, l'uccisione, la detenzione ed il commercio;
   l'articolo 1, comma 1, della legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante «norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio» stabilisce che la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale ed internazionale». All'articolo 2, comma 1, lettera a), inoltre, si riconosce il lupo tra le specie «particolarmente protette»;
   nel 1995 il WWF internazionale ed il Consiglio d'Europa hanno istituito un gruppo di esperti «Large Carnivore Initiative for Europe» (LCIE) dedicato alla gestione e conservazione dei grandi carnivori del nostro continente. LCIE ha lo scopo di «conservare, in coesistenza con l'uomo, popolazioni vitali di grandi carnivori come parte integrante degli ecosistemi e dei paesaggi europei»;
   la consistente presenza di cani vaganti costituisce un pericolo per il rischio di ibridazione, ed aumenta il conflitto con gli allevatori per i danni che possono essere attribuiti erroneamente al lupo;
   l'attuale quadro normativo, di cui all'articolo 1 della legge 14 agosto 1991 n. 281, in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo prevede: «Lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l'ambiente». Al successivo articolo 2, comma 6, si stabilisce che i cani ricoverati in canili e rifugi per cani «possono essere soppressi, in modo esclusivamente eutanasico, ad opera di medici veterinari, soltanto se gravemente malati, incurabili o di comprovata pericolosità»;
   in Italia il lupo è stato oggetto dello svolgimento di 18 progetti cofinanziati dalla Commissione europea, concentrati su due aspetti principali: la qualità dell’habitat ed il conflitto con le attività umane;
   nei rilievi effettuati nell'ambito del progetto LIFE Medwolf (LIFE11 NAT/IT/069) risulta che sul territorio toscano, per buona parte interessato, le predazioni sono messe in atto da cani mal gestiti e tra le aziende zootecniche che hanno subito predazioni nel 2014 il 98 per cento non è sorvegliata dal pastore, l'85 per cento non ha recinti anti predatore, il 57 per cento non ha cani da guardia, il 41 per cento ha solo 2 cani ogni 500 pecore;
   il medesimo progetto Life Medwolf, sulla base del registro ufficiale delle predazioni, indica in appena 0,3 per cento la percentuale del patrimonio zootecnico ovino colpito dalle predazioni nel 2014;
   già nel febbraio 2014 la Commissione europea ha espresso la sua preoccupazione considerando le azioni nei confronti dei lupi «una minaccia per la salute dell'ambiente naturale, in particolare per il conseguimento degli obiettivi della direttiva Habitat e del primo obiettivo della strategia dell'UE per la biodiversità. È di competenza degli Stati membri assicurare il rispetto delle norme sulla protezione delle specie previste dalla direttiva Habitat»;
   la Commissione garantisce che gli Stati membri si conformino a tale obbligo. Essa ha condotto una serie di attività volte a promuovere un dialogo costruttivo tra le parti interessate nella speranza di ridurre i conflitti sulla questione dei grandi carnivori e ha direttamente sostenuto vari progetti e misure con il medesimo obiettivo. Inoltre, ha finanziato diversi progetti nell'ambito del programma LIFE, mirati specificamente alla conservazione del lupo in Italia» (risposta all'interrogazione parlamentare E-002258-14);
   negli ultimi tempi, come denunciato dall'interrogante nell'interrogazione n. 5-06442 del 28 settembre 2015, ancora in attesa di risposta, si sono registrati un aumento degli atti di bracconaggio che rappresenta probabilmente la principale causa di mortalità del lupo in Italia, dal numero complessivo di lupi rinvenuti morti, e la successiva esposizione intimidatoria delle carcasse;
   manca uno schema di monitoraggio nazionale e quindi un quadro univoco e condiviso della popolazione del lupo, in termini numerici e di distribuzione reale;
   il primo piano quinquennale d'azione nazionale per la conservazione del lupo, redatto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, già scaduto nel 2007, non è stato ancora rinnovato ma è rimasto praticamente inapplicato. E attualmente in corso la revisione del piano di azione su iniziativa del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dove sembra prospettarsi la concessione di deroghe come soluzione alla gestione delle popolazioni di lupi –:
   quali iniziative intenda mettere in atto al fine di prevenire azioni di bracconaggio nei confronti di lupi e ibridi;
   quali iniziative intenda, intraprendere al fine di garantire, anche all'interno della revisione del Piano di azione la tutela dei lupi. (5-07599)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   ancora una volta gli abitanti di Valli, frazione del comune di Chioggia, denunciano lo stato di degrado e di abbandono del canale Novissimo;
   i residenti continuano a fare i conti con argini «colabrodo», abitazioni a rischio di allagamenti e colture minacciate da incursioni saline, denunciando lo stato di continua emergenza in cui sono costretti a vivere. Nonostante le denunce e le proteste la situazione, però, sembra non trovare soluzione;
   la vicenda è stata, di recente, riportata da diverse testate giornalistiche che hanno raccolto l'indignazione e la protesta dei cittadini che hanno visto andare deserto il vertice, convocato la scorsa settimana, tra tutti gli enti coinvolti — Dipartimento difesa del suolo della regione, genio civile, amministratori del comune di Codevigo, provveditorato regionale delle opere pubbliche, e capitaneria di porto;
   sino ad oggi, dunque, nulla è stato fatto per risolvere lo stato di degrado di un'arteria d'acqua fondamentale per l'equilibrio idrogeologico dell'area sud della provincia di Venezia;
   il comitato cittadino della frazione di Valli ha anche posto l'attenzione sul problema del moto ondoso che si è intensificato negli ultimi anni e sulla velocità dei natanti che raggiungono velocità incompatibili con le tenute delle sponde. I residenti fanno notare, infatti che, da aprile a ottobre i transiti nei giorni festivi raggiungono il migliaio, numero destinato ad aumentare dato che dovrebbe nascere nelle vicinanze una darsena da 700-800 posti. «Quando passano le imbarcazioni da diporto e da pesca — osservano i rappresentanti del Comitato — si crea un'onda importante che scava alla base della massicciata. Se si moltiplica per 1000 barche al giorno nelle domeniche, per 30 domeniche di bella stagione si intuisce l'effetto»;
   questo non è l'unico problema se si pensa che le abitazioni sono sotto il livello zero e con un'esondazione del canale sarebbero travolte; infatti, la massicciata in più punti è crollata, i pali che reggono l'argine sono erosi, i punti di infiltrazione sono ovunque;
   la totale mancanza di manutenzione degli argini e delle sponde sta causando seri e preoccupanti problemi di tenuta idraulica e di difesa del territorio circostante –:
   se il Governo non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza affinché siano individuati al più presto gli interventi necessari per la messa in sicurezza degli argini e delle sponde del canale Novissimo allo scopo di salvaguardare un importante canale navigabile della laguna sud di Venezia ed i residenti che vedono, ogni giorno, minacciate le case, le attività e le colture. (4-11903)


   BECHIS, BALDASSARRE, ARTINI, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il COSMAN (Consorzio regionale per lo smaltimento dei rifiuti di origine animale), istituito dalla regione Piemonte, era un ente preposto ad assicurare la raccolta, il deposito, il trattamento, il coincenerimento o l'incenerimento dei rifiuti di origine animale, proveniente da allevamenti, da industrie alimentari o da trasformazione per impieghi non alimentari. Inoltre, aveva il compito di promuovere ed organizzare forme assicurative contro le malattie del bestiame ed i danni dell'attività zootecnica, oltre alla raccolta e allo smaltimento dei capi morti;
   prima della trasformazione in Consorzio di difesa, al COSMAN erano demandate funzioni di interesse pubblico (controllo dello smaltimento dei rifiuti di origine animale e promozione di forme assicurative riguardo alle malattie ad alta diffusività del bestiame) con un ingente impegno di spesa per la regione Piemonte, ente pubblico demandante, che erogava un contributo del 50 per cento dei costi (passato poi al 70 per cento);
   il COSMAN a pochi giorni dall'entrata in vigore del «codice delle assicurazioni» indisse una gara di appalto, con termine ultimo al 24 luglio 2006, per l'assegnazione del servizio di brokeraggio assicurativo in relazione allo smaltimento e al recupero di rifiuti di origine animale;
   la gara venne assegnata in modo frettoloso alla Willis Italia S.p.a., escludendo le altre due partecipanti (G.&A. s.r.l. – costituita in associazione temporanea d'imprese (ATI) con Marsh S.p.a e A&A s.r.l. – e la ATI CB Broker associati s.r.l.);
   dopo che la Marsh s.p.a. il 22 agosto 2006 impugnò il provvedimento, la commissione aggiudicatrice del COSMAN revocò il mandato alla Willis s.p.a. il 25 settembre 2006 per poi assegnarglielo nuovamente il 12 ottobre 2006;
   nel 2007 il rappresentante legale della G.&A., Franco Pellegrino, presentò denuncia riguardo alla regolarità dell'aggiudicazione della gara di appalto, presso la procura della Repubblica di Torino;
   a seguito di indagini il signor Becotto Lorenzo (direttore del COSMAN), ed i signori Mantegazza Massimo e Campoli Fabio (rispettivamente dirigente Willis s.p.a. e collaboratore presso la sede di Torino della Willis s.p.a.) vennero rinviati a giudizio «per aver turbato con collusioni e mezzi fraudolenti la regolarità della gara d'appalto, per l'assegnazione del servizio di consulenza brokeraggio assicurativo», avendo redatto il bando in funzione delle caratteristiche della Willis Italia S.p.a.;
   in definitiva, nella vicenda in esame venne permesso a chi aveva formulato le regole della gara di partecipare alla stessa, così violando il fondamentale principio della parità di trattamento tra i partecipanti;
   i suddetti soggetti vennero condannati con una sentenza del tribunale di Torino, del 29 febbraio 2012, per il reato a loro ascritto con una «pena di anni 1 e mesi 2 di reclusione ed euro 400 di multa» – e al risarcimento dei danni non patrimoniali di euro 30.000,00 cagionati alla G. e A. e stranamente pagati non dai medesimi soggetti, ma dalla Willis Italia s.p.a. – vennero assolti, infine, dalla Corte d'appello di Torino con il provvedimento del 10 aprile 2014 poiché «il fatto non sussiste e, conseguentemente, revoca le statuizioni civili»;
   a sostegno della decisione, il giudice d'appello ha evidenziato che: «per il tempo trascorso i reati sarebbero prescritti, restando la sola disamina delle statuazioni civili»; che i primi rapporti con la Willis Italia s.p.a. furono tenuti da Ceirano Chiaffredo (Presidente del Consiglio di Amministrazione della COSMAN) e che Becotto intervenne solo in fase di attuazione, limitandosi a ricercare informazioni per predisporre un bando per il brokeraggio; che il bando non era in concreto idoneo a falsare l'aggiudicazione, in quanto «basato su criteri oggettivi e dando alla commissione ampio spazio discrezionale»; «non vi è alcuna prova in atti circa l'idoneità dei comportamenti in essere a turbare in concreto la gara», essendosi Becotto limitato a porre in essere un'attività esecutiva; che «la gara in sé non è stata turbata, in quanto i criteri oggettivi posti a base della scelta erano del tutto leciti» e conformi al bando e che non vi sono elementi che possano configurare «una corresponsabilità dei dirigenti della Willis s.p.a.»;
   su ricorso della G.&A., la sentenza della corte di appello di Torino è stata impugnata dalla Corte di Cassazione, la quale ha reputato travisate ed erronee le conclusioni a cui è giunta la corte di merito ed ha identificato i responsabili del reato nelle persone dei signori Becotto, Mantegazza e Campoli, così come ha ascritto alla Willis S.p.a. il ruolo di beneficiario diretto delle irregolarità della gara, «circostanza obiettiva che è stata, tuttavia, illogicamente e apoditticamente svalutata dalla Corte d'appello, per di più, a fronte della diversa valutazione espressa sul punto dal decidente di primo grado»;
   la sentenza della Corte di Cassazione ha annullato i soli effetti civili con rinvio davanti alla Corte d'appello civile e il signor Campoli, come accertato nel giudizio penale, dopo essersi adoperato per favorire l'assegnazione alla Willis S.p.a., redasse il capitolato d'oneri per una pre-qualifica per la successiva gara d'appalto del 5 novembre 2007 e venne assunto il 1o novembre 2007 dal gruppo FATA Assicurazioni, società che si aggiudicò la gara del COSMAN per le coperture assicurative;
   il valore dell'appalto assegnato negli anni arrivò ad ammontare a circa, euro 9.000,000,00 annui dei quali circa euro 6.000,000,00 a carico della regione Piemonte;
   dal dicembre 2014 la regione Piemonte ha revocato la legge istitutiva del COSMAN, non a seguito delle vicende penali ma a causa degli alti costi della gestione del COSMAN, che hanno quasi azzerato le risorse del settore;
   l'assessorato ha concesso al COSMAN di trasformarsi in Consorzio di difesa; in tal modo lo stesso ha continuato ad essere di fatto il broker esclusivo di se stesso, e quindi a beneficiare dei contributi statali, europei e regionali per una percentuale del 65-70 per cento del premio corrispondente (pagati per almeno il 65 per cento attraverso fondi pubblici);
   i contributi erogati dalla regione Piemonte per le coperture gestite dal COSMAN ammontano a circa 24 milioni di euro e, considerando che rispetto al 2008 (anno in cui la contribuzione della regione Piemonte ha rappresentato il 50 per cento dei premi pagati dalla COSMAN) il contributo è salito al 70 per cento, è evidente che il valore totale degli appalti ha superato la somma di 38 milioni di euro, cifra ben superiore a quelle che hanno suscitato recentemente scandalo;
   appare agli interroganti non opportuno che il COSMAN continui ad essere il broker esclusivo di se stesso, percependo così il 65 per cento di contributi derivanti da fondi pubblici e sarebbe appropriato prevederne un'eventuale restituzione –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa, se il Cosman abbia beneficiato di fondi statali, a quanto essi ammontino e se intendano assumere iniziative per la loro restituzione;
   se non ritengano di assumere iniziative normative finalizzate a impedire che vi possano essere collegamenti, anche indiretti, tra i soggetti istituzionali che si occupano della stesura dei bandi di gara e le imprese che vi partecipano, in tal modo evitando casi come quello descritto in premessa. (4-11905)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   in data 24 febbraio 2015 Finmeccanica ed Hitachi hanno annunciato di aver sottoscritto un accordo vincolante in base al quale: Finmeccanica si è impegnata a vendere ad Hitachi la propria partecipazione, pari al 40 per cento del capitale, in Ansaldo STS, società ad azionariato diffuso, quotata alla borsa di Milano, al prezzo di 9,65 euro per azione, successivamente corretto a 9.5 euro per azione, a fronte di un dividendo pagato di 0.15 euro per azione; mentre Hitachi si è impegnata ad acquistare da Finmeccanica la totalità delle attività di Ansaldo Breda Spa («Breda»), società privata controllata al 100 per cento da Finmeccanica, con l'esclusione dello stabilimento di Carini (Palermo) e di alcuni contratti, per un valore di 53 milioni di euro;
   secondo i termini dell'accordo concluso tra Finmeccanica ed Hitachi, le due operazioni di acquisto e di vendita di Breda ed Ansaldo STS dovranno essere eseguite contemporaneamente, ossia la vendita da parte di Finmeccanica della partecipazione in una società quotata (Ansaldo STS) è stata subordinata all'acquisto da parte di Hitachi del 100 per cento di una società privata posseduta da Finmeccanica;
   successivamente al perfezionamento dell'operazione tra Finmeccanica ed Hitachi, il 2 novembre 2015, in base all'articolo 102 del Testo unico della finanza (TUF), Hitachi è tenuta ad annunciare l'offerta pubblica di acquisto (OPA) rivolta a tutti gli azionisti di Ansaldo STS per la totalità degli strumenti finanziari in loro possesso (articolo 106 del TUF) ad un prezzo «non inferiore a quello più elevato pagato» (articolo 106 del TUF) da Hitachi per acquisire le azioni di Ansaldo STS nei precedenti dodici mesi. Pertanto il prezzo comunicato da Hitachi, a cui sarebbe stato concordato l'acquisto del 40 per cento di azioni Ansaldo STS, posseduto da Finmeccanica (ovvero 9,5 euro per azione) ha diretta rilevanza sulla posizione degli azionisti di minoranza di Ansaldo STS, posto che quel prezzo costituisce il valore minimo a cui Hitachi è obbligata a lanciare l'offerta pubblica di acquisto;
   avendo Hitachi già acquisito il controllo acquistando il 40 per cento del capitale di Ansaldo STS, ceduto da Finmccanica, è un fatto pacifico che Hitachi non avrebbe alcun particolare interesse a fissare un prezzo per l'offerta pubblica di acquisto superiore al prezzo dichiarato di 9,5 euro per azione, a cui avrebbe acquistato le azioni;
   in base all'accordo tra Finmeccanica ed Hitachi, Hitachi ha attribuito a Breda un valore positivo di 53 milioni di euro. Breda è una società che, solo negli ultimi cinque anni (2010-2014), ha registrato perdite cumulate (margine operativo lordo) per 1,6 miliardi di euro, ha bruciato cassa per 975 milioni di euro ed ha costretto Finmeccanica a ricapitalizzare la società per 1,3 miliardi di euro. Non può essere seriamente messo in discussione, a quanto consta agli interpellanti, che Breda abbia un valore negativo, come anche riconosciuto da primari analisti finanziari internazionali che attribuiscono a Breda un valore negativo tra 200 milioni e 400 milioni di euro, ovvero fino a 453 milioni di euro più alto del valore che Hitachi, apparentemente, avrebbe accettato per acquistare Breda da Finmeccanica: «Attualmente stiro amo un costo d'uscita negativo da Breda di euro 250 milioni» (Deutsche Bank, 21 marzo 2014). «Le perdite rendono Breda un problema irrisolvibile (le perdite cumulate del margine operativo lordo ammontano a circa 0.9 miliardi negli ultimi 8 anni). Ansaldo Breda ha un valore negativo pari a euro 200 MM. Dal nostro punto di vista è impossibile che riesca a trovare una soluzione in modo indipendente. (Equita, 26 giugno 2014). «Il valore negativo di Breda è tra meno euro 200 e meno euro 400 milioni. Crediamo c e Finmeccanica dovrà pagare un “badwill” per facilitare la vendita di Breda» (ESN, 18 September 2014);
   come riportato nel bilancia di Ansaldo Breda 2014, le attività acquisite da Hitachi rappresentano circa il 93 per cento delle vendite complessive (in base ai dati del 31 dicembre 2014). D'altra parte, durante una conferenza con gli analisti il 24 febbraio del 2015, il Chief Financial Officer di Finmeccanica, Piero Cutilo ha dichiarato: «Il business che rimane in Finmeccanica sarà solo il piccolo sito di Palermo, con attività nel complesso per non più di euro 30 milioni, euro 40 milioni di ricavi annuali ricorrenti in pareggio a livello operativo. Nessuna passività pensionistica o altri oneri di ristrutturazione. Vorrei anche ribadire che dal 2015 in poi, non ci saranno né attività né effetti significativi sul bilancio del gruppo, sia a livello di EBITDA, sia a livello di flussi di cassa operativi» (Finmeccanica, 24 febbraio 2015). Questo vuol dire per gli interpellanti che tutte le attività in perdita di Breda fanno parte del perimetro ceduto ad Hitachi e che il prezzo più alto pagato da Hitachi, rispetto a quanto stimato dagli analisti, non trova alcun presupposto nel fatto che Finmeccanica possa aver mantenuto la parte improduttiva del business che è stata, invece, interamente trasferita ad Hitachi;
   mentre Hitachi ha accettato di pagare per Breda (100 per cento posseduta da Finmeccanica) un prezzo fino a circa 450 milioni di euro in più del valore negativo massimo stimato dagli analisti, Hitachi si è impegnata a corrispondere a Finmeccanica un prezzo (9.5 di euro per azione) per il 40 per cento di Ansaldo STS che valorizza la società – un autentico «gioiello» di tecnologia – circa 450 milioni euro in meno del valore stimato per Ansaldo STS usando le basi di valutazione per operazioni paragonabili nello stesso settore (Siemens Invensys, Alstom/divisione di segnalamento di GE, Wabtec/Faivele Transport);
   dai dati sopra riportati sembrerebbe, dunque, emergere, a parere degli interpellanti, che, che nell'operazione concordata tra Hitachi ed Finmeccanica il prezzo a cui Hitachi avrebbe acquistato le azioni Ansaldo STS da Finmeccanica risulti significativamente inferiore rispetto al valore stimato, facendo al contempo apparire il prezzo di acquisto di Breda molto più alto del apparire suo valore stimato, con effetti compensativi che si corrispondono in toto (450 milioni si euro). Sebbene l'allocazione del valore tra le due operazioni risulti neutra nei rapporti tra Hitachi e Finmeccanica, ne risulterebbero, invece a giudizio degli interpellanti fortemente penalizzati gli azionisti di minoranza di Ansaldo STS che si vedranno offrire un prezzo di acquisto ai fini dell'offerta pubblica di acquisto;
   il prezzo effettivo pagato da Hitachi a Finmeccanica per il 40 per cento di Ansaldo STS, attribuendo a Breda una valutazione di 450 milioni di euro inferiore rispetto a quella dichiarata, in linea con la forchetta indicata dagli analisti ed in linea con il minor valore corrisposto per Ansaldo STS, risulterebbe pari a circa 15.0 euro per azione, ossia il 58 per cento in più del prezzo dichiarato da Hitachi (9,5 euro). Dal punto di vista di Finmeccanica, attribuire una valutazione (a) di 9,5 euro per azione al 40 per cento di Ansaldo STS e 53 milioni di euro a Breda oppure di (b) 15.0 euro per azione al 40 per cento di Ansaldo STS e 450 milioni di euro al 100 per cento di Breda, è perfettamente equivalente, ma non dal punto di vista di Hitachi. Infatti, grazie al modo particolare con cui il valore è stato distribuito tra l'acquisto di Breda ed il 40 per cento di Ansaldo STS, Hitachi potrà lanciare l'offerta pubblica di acquisto agli azionisti di minoranza ad un prezzo non inferiore a 9,5 euro per azione, invece che ad un prezzo non inferiore a 15 euro per azione: tutto questo va, secondo gli interroganti, a discapito degli azionisti di minoranza di Ansaldo STS che ne posseggono il 60 per cento;
   a parere degli interpellanti, la vendita congiunta e condizionata delle due attività cedute da Finmeccanica, ossia (a) Breda, una società privata interamente posseduta da Finmeccanica e (b) la quota di controllo (40 per cento) in un'azienda quotata (Ansaldo STS) che, in base al Testo unico della finanza, fa scattare l'obbligo di un'offerta pubblica di acquisto sul 60 per cento del capitale di Ansaldo STS, danneggia gli azionisti di minoranza di Ansaldo STS in quanto: l'aver assoggettato la vendita della partecipazione in Ansaldo STS all'acquisto di Breda non può che aver ridotto il numero di potenziali acquirenti interessati unicamente ad acquisire Ansaldo STS senza acquistare anche il 100 per cento di Breda, tanto più che Breda genera flussi di cassa negativi; l'obiettivo da parte di Finmeccanica di massimizzare il valore aggregato della vendita congiunta di Ansaldo STS e Breda non coincide con l'interesse degli azionisti di minoranza di Ansaldo STS di massimizzare il corrispettivo della sola vendita di Ansaldo STS; la possibile non corretta attribuzione del valore della transazione, tra i due cespiti ceduti da Finmeccanica ed acquisiti da Hitachi, sebbene possa   risultare neutrale dal punto di vista di Finmeccanica, incide direttamente sugli interessi degli azionisti di minoranza di Ansaldo STS, perché condiziona il livello del prezzo minimo di acquisto a cui Hitachi è obbligata a lanciare l'offerta pubblica di acquisto sul restante 60 per cento in mano alla minoranza; l'operazione riduce le potenziali «opzioni» a disposizione degli azionisti di minoranza e/o di altri potenziali acquirenti dal momento che, se le quote di controllo di un'azienda quotata vengono acquisite precedentemente all'offerta pubblica d'acquisto ed eccedono 1/3 dei diritti di voto, conferiscono il controllo dell'assemblea straordinaria (esattamente il caso nell'accordo di vendita del 40 per cento della quota di Ansaldo STS), rendendo inefficace qualunque iniziativa a protezione delle minoranza; riduce la trasparenza, rendendo del tutto opaca l'attribuzione del valore alle operazioni concluse privatamente tra Finmeccanica ed Hitachi; potrebbe rappresentare a giudizio degli interpellanti una manipolazione dei prezzi di mercato (ex articolo 185 del TUF) dal momento in cui il prezzo delle azioni Ansaldo STS incorpora il prezzo di 9.5 euro dichiarato da Hitachi per l'acquisto del 40 per cento di Ansaldo STS, ceduto da Finmeccanica ed il conseguente livello dell'offerta pubblica d'acquisto, esattamente come dimostrato dall'andamento di borsa del titolo Ansaldo STS che si tratta intorno a 9,5 euro –:
   se il Ministro interpellato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare per tutelare gli interessi degli azionisti di minoranza di Ansaldo STS, per assicurarsi che società tecnologicamente avanzate non siano «svendute» a multinazionali estere a spese delle minoranze, e per tutelare il mercato prima che l'operazione di offerta pubblica di acquisto di Hitachi su Ansaldo STS sia perfezionata.
(2-01252) «Sibilia, Da Villa, Cancelleri, Crippa, Della Valle, Fantinati, Vallascas, Cominardi, Corda, Cozzolino, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Dell'Orco, Di Battista, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Silvia Giordano».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GALGANO, MATARRESE, VECCHIO, LIBRANDI, BOMBASSEI, CATALANO, OLIARO, FITZGERALD NISSOLI, PINNA, CATANIA, LOCATELLI, QUINTARELLI, SOTTANELLI, MOLEA, VARGIU, VEZZALI, CAPUA, D'AGOSTINO, BARADELLO e DAMBRUOSO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nonostante il crollo del costo del petrolio registrato negli ultimi tempi, i prezzi della benzina in Italia non sono diminuiti in proporzione in quanto a gravare in maniera decisiva sui prezzi alla pompa sono soprattutto le imposte;
   considerate le quotazioni attuali del greggio, il cui costo è sceso del 19 per cento rispetto al 2008, il prezzo del carburante alla pompa non dovrebbe superare i 44 centesimi, se si escludessero le imposte che gravano sul costo totale;
   negli ultimi anni il peso fiscale sui carburanti è cresciuto in modo vertiginoso ed inarrestabile, fino ad arrivare alla situazione attuale in cui le imposte (accise ed Iva) rappresentano ben oltre i due terzi del costo di un litro di benzina alla pompa;
   facendo qualche calcolo, si potrebbe dire che, neanche se il prezzo del petrolio dovesse raggiungere il suo minimo storico, che fu toccato il 10 dicembre 1998 quando le quotazioni del greggio calarono a 9 dollari e 55 centesimi, la benzina costerà meno di un euro al litro, in quanto attualmente circa il 70 per cento del prezzo totale del carburante è destinato all'erario;
   la pervicacia del fisco sui carburanti emerge da un confronto fatto dall'ufficio studi della Confartigianato fra i prezzi attuali e quelli di sette anni fa, quando il costo del greggio sui mercati internazionali era pressoché agli stessi livelli;
   nel dicembre 2008, tenendo conto che la moneta europea era decisamente più forte di oggi sul dollaro, le quotazioni del brent si attestavano intorno ai 29 euro e il prezzo medio alla pompa del gasolio per autotrazione era di un euro e 111. Oggi, con un costo medio del petrolio a circa 30 euro, il prezzo medio della nafta è invece di un euro e 251, con un aumento complessivo del 12,6 per cento. E questo nonostante il prezzo al netto delle imposte sia sceso del 18,8 per cento;
   questo significa che nel corso degli ultimi sette anni si è verificato un rincaro del gasolio del 31,4 per cento esclusivamente attribuibile alle imposte: nel dettaglio, in questo arco di tempo le accise sono aumentate del 46 per cento e il peso dell'Iva è cresciuto del 21,8 per cento. Va poi rilevato che l'Iva non si calcola sul prezzo netto del carburante, ma anche sulle accise, con il risultato surreale che sulle imposte grava un'altra imposta;
   proseguendo nel confronto, alla fine del 2008 le imposte toccavano 60,82 centesimi, rappresentando il 54,7 per cento del prezzo finale del gasolio, mentre ad inizio 2016 si è arrivati a 84,31 centesimi e la percentuale è salita al 67,4 per cento del totale. Si tratta di una differenza di oltre 23 centesimi al litro che, considerando i 22 milioni di tonnellate di gasolio che ogni anno vengono consumate in Italia, determina per il fisco un maggiore introito di quali 5,2 miliardi di euro ogni dodici mesi. Il solo effetto delle imposte sulle imposte è di quasi 14 centesimi al litro, pari a circa 3 miliardi di euro sui consumi totali di gasolio;
   se si considerano i prezzi della benzina le cose non vanno meglio: su ogni litro le accise gravano per quasi 73 centesimi e, se si aggiunge anche l'Iva (con il solito meccanismo dell'imposta sulle imposte), il prelievo fiscale è praticamente di un euro su un costo alla pompa di 1,421 euro. Dato che, escludendo le imposte e con le quotazioni attuali del greggio un litro di benzina non dovrebbe costare più di 44 centesimi, se ne deduce che poco meno del 70 per cento del prezzo finale va al fisco;
   l'analisi dell'ufficio studi della Confartigianato dimostra che i consumatori italiani pagano il gasolio più caro in Europa, con le uniche eccezioni di Svezia e Regno Unito, nonostante il prezzo netto italiano sia appena al ventesimo posto nel continente. Anche il prezzo italiano della benzina è il più alto in Europa (solo nei Paesi Bassi è maggiore). Nel nostro Paese un litro costa 1,421 euro, mentre la media europea è di 1,273 (tralasciando i prezzi negli Stati Uniti, 47 centesimi, e Arabia Saudita, 23 centesimi) e la differenza è interamente dovuta al meccanismo dell'imposta sull'imposta, ovvero dell'Iva anche sulle accise. Negli Stati Uniti un litro costa solo 47 centesimi di euro, in Arabia Saudita 23 centesimi;
   come denunciato dalle Associazioni dei consumatori, le attuali imposte applicate sui carburanti in Italia si traducono in un pesante aggravio per i cittadini «pari a ben +72 euro annui in termini diretti (vale a dire per i pieni di carburante) e a +59 euro annui in termini indiretti (a causa all'impatto del costo dei carburanti sui prezzi dei beni di prima necessità che, nel nostro Paese, sono distribuiti per l'86 per cento su gomma)». Un totale che ammonta a 131 euro annui –:
   alla luce di quanto esposto in premessa, quali iniziative il Governo intenda intraprendere per evitare che in Italia il prezzo totale del carburante, sia in termini di benzina che di gasolio, nonostante il costo del greggio sia negli ultimi tempi notevolmente diminuito, continui ad essere tra i più cari in Europa, nonché quali iniziative intenda adottare affinché le imposte non gravino in maniera così pesante sui prezzi alla pompa e soprattutto si eviti quel meccanismo perverso dell'imposta sulle imposte, ossia dell'Iva calcolata anche sulle accise. (5-07595)


   CAPARINI, BUSIN, GUIDESI, MOLTENI, INVERNIZZI e SALTAMARTINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 15, commi 4 e 5, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, recante «Misure urgenti per la crescita del Paese», convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, si è introdotto l'obbligo del pagamento elettronico per le prestazioni professionali. La disciplina prevede infatti che «a decorrere dal 30 giugno 2014, i soggetti che effettuano l'attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito». Il decreto ministeriale, così come stabilito dal decreto-legge, ha successivamente stabilito a 30 euro l'importo minimo oltre il quale si rende obbligatorio per gli esercenti accettare il pagamento elettronico da parte del cliente;
   nel corso dell'esame della legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015) presso la V Commissione della Camera è stato approvato un emendamento per agevolare i pagamenti elettronici anche per importi inferiori a 5 euro, prevedendo anche delle sanzioni, a partire dall'aprile del 2016, per coloro che non si adegueranno alla nuova normativa;
   in più, dal 1o luglio 2016, è stata prevista l'estensione dell'obbligo per i commercianti e i professionisti di accettare pagamenti elettronici anche mediante dispositivi di controllo di durata della sosta, nonostante il rilievo dei tecnici che stimano di difficile comprensione la norma «considerando che i dispositivi richiamati sono adibiti alla riscossione del corrispettivo per il parcheggio in aree comunali»;
   l'obbligo del POS, nell'intento del legislatore, segnava un ulteriore spinta alla diffusione dell'utilizzo degli strumenti elettronici di pagamento, quale metodo per il contrasto all'uso del denaro contante, e dunque all'evasione fiscale. Tale imposizione, che per i clienti avrebbe dovuto portare un miglioramento del servizio, per le imprese è stato o diviene un onere aggiuntivo non indifferente. Infatti, il pagamento con carta di debito ha un inconveniente non indifferente: il costo a forfait è, secondo gli interroganti, una vera beffa quando si parla di piccoli importi. Per tutti questi motivi, il POS obbligatorio continua a far discutere molto. A meno che non si decida, a parere degli interroganti, di dare a imprese, artigiani e professionisti un supporto economico per incentivare l'adeguamento alle nuove regole;
   l'Associazione artigiani di Brescia e Provincia ha più volta proposto una proposta affinché venga applicato un credito d'imposta fiscale alle imprese che in parte compensi il «balzello» preteso dai circuiti bancari sulle transazioni effettuate. Ora il comma 900 della legge n. 208 del 2015 interviene sull'obbligatorietà ad accettare i pagamenti per il tramite di bancomat e carte di credito. È infatti prevista l'emanazione di un apposito decreto ministeriale che fisserà le modalità attuative e il regime sanzionatorio per chi non si adeguerà alla norma;
   una simile previsione secondo gli interroganti aggraverebbe gli oneri a carico degli esercenti senza alcun particolare vantaggio per i consumatori, la maggior parte dei quali, secondo ripetute stime, non sente la necessità di dover cambiare le proprie abitudini di pagamento;
   mentre, per i consumatori, normalmente, non sono previste commissioni, non è così per gli esercenti che sono costretti a versare alle banche delle esose commissioni, quasi fosse un'imposta aggiuntiva gravante su questa parte di contribuenti. La percentuale di commissioni da versare agli istituti di credito, calcolata sugli importi incassati mediante carta di credito o di debito, è pari a: in caso di bancomat, dallo 0,5 per cento allo 0,7 per cento e, in caso di carte di credito o prepagate, dall'1 per cento fino al 4 per cento. A questi costi si devono poi sommare la spesa per l'affitto del POS per un costo totale che raggiunge del 2-3 per cento del fatturato;
   nonostante le proteste degli esercenti e delle loro rappresentanze (Confesercenti ha infatti subito stimato una spesa aggiuntiva per le piccole e medie imprese pari a 5 miliardi di euro ogni anno), i Governi che si sono succeduti dal 2012 ad oggi sono sempre rimasti impassibili di fronte alle difficoltà che questi hanno sollevato nei confronti dei maggiori oneri a cui sono stati sottoposti, continuando a ritenere tali misure come strumenti adeguati per la lotta all'evasione, mentre invece sembra essere agli interroganti più una normativa molto vantaggiosa per il settore bancario che in questo modo aumenta in modo certo i propri profitti;
   quanto sopra evidenziato si aggiunge al mare magnum delle altre commissioni pagate dai clienti agli istituti bancari, che a loro volta si aggiungono agli adempimenti e agli oneri a cui si è sottoposti anche solo per aprire un conto corrente o i mille artifizi che le banche riescono a scovare per gravarli di ulteriori spese. Si pensi, ad esempio, alla disciplina degli sconfinamenti, per cui i clienti sono costretti a pagare, oltre ad un tasso di interesse di dubbia legittimità, anche una commissione;
   tra questi balzano sicuramente all'occhio le commissioni dovute per i servizi in home banking che, a ben vedere, non avrebbero per gli interroganti alcuna ragione di esistere: le operazioni, infatti, essendo svolte in proprio dal cliente e attuate in pieno automatismo telematico dovrebbero essere esenti da qualsiasi costo; le eventuali spese di gestione del sito dovrebbero infatti essere assorbite dai considerevoli «balzelli» che un sistema a giudizio degli interroganti, piegato al potere delle banche ha permesso di imporre, anche preater legem;
   ugualmente, l'attuale Governo, ha perseverato nel sostenere i poteri economici del Paese, anche alla luce dei recenti provvedimenti nel settore creditizio, rivelandosi per gli interroganti incurante delle problematiche ricadenti sulle piccole e medie imprese, sui commercianti e i professionisti in generale, anche di fronte alle gravi difficoltà economiche che questi si sono trovati a dover affrontare –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative normative volte a riconoscere alle imprese un credito di imposta da calcolarsi sul totale annuo delle spese bancarie per oneri di installazione/manutenzione degli apparecchi POS e sulle commissioni bancarie pagate al circuito Pagobancomat e Carte di credito per i pagamenti accettati con l'utilizzo del POS;
   se il Ministro interrogato, nell'ambito dell'annunciata riforma del sistema creditizio, intenda assumere iniziative normative per prevedere una revisione della disciplina in merito alle commissioni bancarie e alle spese di liquidazione trimestrale al fine di definire per il sistema bancario una normativa più equa e garantista nei confronti dei clienti assicurando, da un lato, un azzeramento delle commissioni per i pagamenti elettronici e il relativo costo del dispositivo per commercianti e professionisti, e, dall'altro, la previsione del divieto di imporre commissioni per le operazioni svolte in proprio in home banking. (5-07608)

Interrogazione a risposta scritta:


   GUIDESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le detrazioni fiscali per l'efficienza energetica e le ristrutturazioni edilizie rappresentano un valido strumento per conseguire l'ammodernamento del patrimonio immobiliare italiano;
   tali meccanismi incentivanti hanno permesso nel tempo considerevoli risparmi energetici ed economici per le famiglie, con effetti assolutamente benefici per l'ambiente a seguito del contenimento delle sostanze più inquinanti;
   le stesse hanno rappresentato, e rappresentano, un concreto sostegno alle imprese che operano in diversi settori economici, con particolare riguardo alle aziende del settore edilizio impegnate sul fronte della sostenibilità;
   l'articolo 37 della legge 23 luglio 2009, n. 99, ha ridefinito il ruolo e le competenze dell'ENEA – Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile;
   la procedura che consente il riconoscimento delle detrazioni di imposta per gli interventi di risparmio energetico sugli edifici esistenti implica precisi obblighi di documentazione tecnica che vanno inviati all'ENEA, la quale detiene l'incarico di effettuare verifiche e controlli dei requisiti richiesti dalle norme nell'ordine del conseguimento del risparmio energetico;
   l'Agenzia delle entrate invece ha specifiche competenze in merito al riconoscimento delle agevolazioni fiscali in sede di dichiarazione dei redditi;
   gli incentivi fiscali, pur correlati da suddetti vantaggi, rappresentano un esborso consistente per l'Erario –:
   se e quali siano i canali di comunicazione tra ENEA e Agenzia delle entrate ai fini dello scambio delle informazioni possedute, ciascuna per parti di competenza, in merito alla certificazione degli interventi di efficienza energetica sugli immobili;
   se l'amministrazione finanziaria, al fine dei controlli tecnici delle opere di risparmio energetico, abbia mai fatto ricorso all'operato di ENEA e se, qualora vi abbia fatto ricorso, intenda ricorrervi anche in futuro, al fine di realizzare i necessari controlli delle opere per verificarne l'adeguatezza al raggiungimento di un effettivo risparmio energetico, poiché soltanto in base a questa congruità il richiedente ha diritto alle relative agevolazioni fiscali, come specificato in premessa. (4-11899)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   COVELLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la relazione del presidente della corte di appello di Catanzaro, Domenico Introcaso, nel corso della cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario 2016 ha posto in evidenza una serie di criticità presenti nell'ambito dell'amministrazione della giustizia in territorio calabrese;
   gli uffici giudiziari calabresi secondo il presidente della corte di appello, vivono una condizione di «disagio», con il «rischio di paralisi incombente sull'attività dei tribunali di Catanzaro, Paola e Vibo Valentia per i quali è stata inoltrata richiesta di applicazione extradistrettuale»;
   la media delle scoperture del personale magistratuale è del 30 per cento, ma con una punta massima del 61 per cento nella procura di Paola che rappresenta il dato più alto in Italia;
   le piante organiche di tutti gli uffici del distretto, sia requirente che giudicante – ha affermato il presidente – sono inadeguate sia in relazione al numero dei magistrati che a quello del personale amministrativo, scoperture giudicate «endemiche dal punto di vista quantitativo», e aggravate dal fenomeno del «movimento migratorio costante in uscita con entrate costituite da magistrati ordinari di prima destinazione che, per vincoli ordinamentali, non possono svolgere funzioni penali di Maggior rilievo, tanto da determinare la paralisi in taluni uffici»;
   a suddetti disagi la relazione ha anche posto l'accento su una questione «strutturale» presente in Calabria, a partire dalla «inadeguatezza» dei locali della corte d'appello e del tribunale di Crotone e dai «ritardi» concernenti i lavori di ampliamento del tribunale di Catanzaro, salvando solo la nuova struttura realizzata a Castrovillari;
   esiste anche la questione concernente i «precari» della giustizia che in Calabria, sono quasi 700 unità, persone in mobilità, che hanno già perso il loro lavoro e sono stati impiegati negli anni per lo più come amministrativi negli uffici giudiziari sotto forma di tirocini, che di fatto hanno svolto funzioni importanti sopperendo a carenze di personale e per i quali occorre individuare una soluzione definitiva;
   è evidente che tali limiti incidono in maniera rilevante in uno dei territori più complessi del Paese anche in relazione ad un quadro dei reati commessi definito «allarmante» e con una ‘ndrangheta che viene definita «in continua evoluzione e dal profilo sempre più internazionale» –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro, per quanto di competenza, al fine di rafforzare gli organici della magistratura operanti in Calabria e del personale amministrativo nonché per quanto concerne l'ammodernamento degli uffici giudiziari territoriali con l'obiettivo di migliorare la risposta dello Stato nel contrasto del crimine e della illegalità. (3-01973)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BECHIS, ARTINI, BALDASSARRE, SEGONI e TURCO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   per la tutela della salute del personale penitenziario e della popolazione detenuta, a seguito dei due recenti casi di contagio da legionella accertati nel carcere di Alba (Cuneo), il provveditorato regionale e la Direzione generale detenuti ha provveduto al trasferimento dei 122 detenuti presso gli istituti penitenziari del Piemonte e ha reso noto che anche il personale penitenziario sarà temporaneamente reimpiegato presso altre strutture, in attesa di determinazioni sulla mobilità; inoltre, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha comunicato di aver «tempestivamente avviato tutte le procedure per la bonifica dell'impianto idrico della casa circondariale»;
   la legionella è un batterio che si trova negli ambienti naturali in cui sono presenti acque dolci, ed è in questo habitat che trova facile insediamento, ovvero dove siano presenti sedimenti organici, ruggini, depositi di materiali sulle superfici dei sistemi di stoccaggio e distribuzione delle acque;
   essa non si trasmette da persona a persona, ma viene trasmessa da flussi di aerosol e di acqua contaminata, come nel caso di ambienti chiusi che utilizzino condizionati o umidificatori; il batterio, infatti, si riproduce soprattutto in ambienti umidi, tiepidi o riscaldati, come i sistemi di tubature, i condensatori, le colonne di raffreddamento dell'acqua, sui quali forma un film batterico;
   le «Linee guida per la prevenzione ed il controllo della legionellosi» sono state aggiornate il 5 maggio 2000;
   a febbraio del 2005 sono stati pubblicati, due accordi tra il Ministero e le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, «Linee guida recanti indicazioni sulla legionellosi per i gestori di strutture turistico-ricettive e termali», e «Linee guida recanti indicazioni ai laboratori con attività di diagnosi microbiologica e controllo ambientale della legionellosi»;
   nel 2008, presso il Ministero, è stato istituito un gruppo di lavoro multidisciplinare, ai fini della stesura di linee guida aggiornate per la prevenzione ed il controllo della legionellosi; tale tavolo di lavoro ha portato alla pubblicazione delle nuove linee guida nel maggio del 2015;
   meno di 2 anni fa, mentre il tavolo di cui sopra emanava le nuove linee guida, nel carcere di Alba, erano stati ultimati i lavori per la creazione di una struttura adibita ai detenuti collaboratori, con un costo per la collettività di circa un milione e mezzo di euro –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero, se il Ministro interrogato ne sia a conoscenza e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intenda assumere per garantire tempi certi e rapidi per il finanziamento e il completamento dei lavori, oltre alla trasparenza nelle procedure di affido degli stessi;
   se siano sufficienti le verifiche e le conseguenti opere di profilassi che attualmente vengono effettuate sugli impianti idrici degli istituti penitenziari;
   se abbia intenzione di promuovere un piano di intervento strutturale riguardante il complesso degli istituti detentivi italiane al fine di evitare il ripetersi di casi analoghi a quello verificatosi ad Alba e in altre case circondariali, con particolare attenzione alle strutture che ospiteranno i 122 detenuti e il personale provenienti dal carcere di Alba. (5-07596)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   la decisione di esecuzione (UE) 2015/2415 della Commissione europea del 17 dicembre 2015, notificata pochi giorni fa al Governo italiano, impone una nuova scrittura del documento sulla regolamentazione del traffico aeroportuale di Linate e Malpensa;
   l'Unione europea ha bocciato, infatti, il cosiddetto «decreto Lupi», approvato dal Governo il 1o ottobre 2014 che consentiva la possibilità di collegare lo scalo Forlanini anche con aeroporti di città europee non capitali, fermo restando il tetto massimo di 18 movimenti orari;
   l'accusa indirizzata all'Italia è di «non aver consultato le parti interessate prima di emendare le norme di distribuzione del traffico relative al sistema aeroportuale milanese». Per questo motivo – si legge ancora nell'atto dell'Unione europea — «le misure di cui al decreto ministeriale numero 395 non possono essere approvate»;
   il «decreto Lupi», se da una parte ha consentito a Linate un aumento di circa 500 mila passeggeri all'anno con l'ampliamento di destinazioni, dall'altra parte, ha penalizzato di fatto il mercato della principale compagnia aerea tedesca, Lufthansa, e le varie proteste ed esposti presentati, dalle diverse compagnie aree straniere hanno trovato accoglimento secondo l'interpellante da parte delle istituzioni europee;
   sembra, da fonti riconducibili agli addetti ai lavori, che sia imminente un nuovo decreto per la liberalizzazione di Linate, che aumenterebbe il numero degli slot fino a 24, riservandone una parte ad Alitalia e il resto alle altre compagnie che già operano o che opereranno sullo scalo;
   nei fatti, probabilmente secondo l'interpellante la compagnia Alitalia ne trarrebbe dei benefici, ma ancor di più sarebbe agevolata Ethihad che potrebbe potenzialmente alimentare il suo mini hub di Abu Dhabi a Linate, confinando Emirates a Malpensa;
   la preoccupazione diffusa è che la decisione europea rischia di portare alla perdita dei voli extra europei per lo scalo di Malpensa, che subirebbe così un drastico ridimensionamento; si avrebbero inoltre problemi in tutti e tre gli scali di Malpensa, Linate e Orio al Serio;
   è fondamentale mettere in atto azioni che valorizzino i tre scali lombardi, ognuno in base alla sua specifica diversa funzione, attraverso un piano aeroportuale lombardo teso ad evitare concorrenza e conflitti tra i singoli scali;
   la regione Lombardia sta cercando di differenziare i business in modo preciso così da garantire la sopravvivenza dei vari scali: Malpensa come hub intercontinentale, incrementando il numero e le destinazioni dei voli a lungo raggio; Linate come city airport per i voli a breve raggio; Bergamo specializzata nei low cost e Brescia come snodo per le merci e riserva di capacità per la collocazione territoriale in una delle poche aree ancora non densamente urbanizzata;
   Milano-Malpena e Milano-Linate, si ricorda, sono stati indicati nel primo rapporto annuale al Parlamento dell'Autorità di regolazione dei trasporti, del 16 luglio 2015, rispettivamente, aeroporto strategico e aeroporto di interesse nazionale, per bacino di traffico; tuttavia lo stesso rapporto rileva che «l'andamento del trasporto aereo in Italia è stato condizionato da una forte esposizione ai fenomeni macroeconomici» nonché «da una peculiare flessione dei vettori tradizionali a favore dei vettori low cost e della crescente concorrenza dei treni ad alta velocità su alcune importanti rotte del Paese»;
   investire sul sistema aeroportuale lombardo e su Malpensa in particolare, che ha circa il triplo di volume di traffico merci rispetto a Fiumicino, significa investire sull’import-export italiano, visto che in questo aeroporto transita circa il 70 per cento del traffico merci aereo, creando un perno per un unico sistema aeroportuale aperto a sinergie con gli scali del Nord Italia, in una logica di sistema macroterritoriale che faccia da volano per l'intero sistema economico;
   assecondare le richieste delle compagnie per operare un nuovo servizio quotidiano fra Milano e New York, concedendo il beneficio dei diritti di quinta libertà, cioè dei voli in prosecuzione, che consentirebbero al vettore che giunge in Italia e prosegue verso gli Usa, di imbarcare passeggeri e merci anche da Milano verso New York;
   sono circa 130.000 i passeggeri che, annualmente, si recano da Linate in hub europei come Heathrow, Paris Charles De Gaulle, Francoforte e Amsterdam per imbarcarsi sui voli per New York, senza calcolare il numero di viaggiatori che raggiunge questi hub europei dalle aree limitrofe a Malpensa – la cosiddetta catchment area – come Torino, Bergamo, Verona, Bologna e Genova;
   tale tendenza ha un impatto sui flussi commerciali aeroportuali di Malpensa e su quelli dell'intero Paese, poiché comporta che dinamiche economiche quali la creazione di occupazione, l'ingaggio di fornitori e il pagamento delle tasse e delle tariffe aeroportuali si svolgano in altri Paesi, generando allo stesso tempo una dilatazione dei tempi e dei costi per i passeggeri della catchment area di Malpensa –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interpellato abbia in programma per agevolare la differenziazione dell'offerta degli aeroporti presenti su un'unica regione, nello specifico la Lombardia, al fine di promuovere il superamento delle rivalità degli scali e creando le condizioni per potenziare specifici business;
   se il Ministro interpellato non reputi fondamentale, a fronte dell'indotto di tipo economico, produttivo e industriale generato dal comparto aeroportuale, assumere iniziative, per quanto di competenza, per programmare un piano di investimenti per Malpensa al fine di rilanciare l'aeroporto come hub intercontinentale, anche prevedendo l'apertura di nuove rotte in regime di quinta libertà.
(2-01247) «Guidesi».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il regolamento gestionale del porto di Portovesme in tema di accosti prevede al punto 3)  n: 4 (quattro) – banchina traghetti – la lunghezza di metri 50 (cinquanta);
   quanto ai limiti alle unità in ormeggio si prevede:
    «a) LFT massima metri 70 (settanta) – ormeggio riservato ai mototraghetti passeggeri in servizio da e per Carloforte»;
   tale norma regolamentare attualmente vigente nasce da valutazioni di sicurezza del porto stesso ed è alla base della gestione del porto di Portovesme;
   il 26 gennaio 2016 la capitaneria di porto di Portovesme ha formalizzato il diniego all'idoneità di due traghetti di proprietà di una società privata, Delcomar, che avevano fatto richiesta di un documento apposito;
   il diniego è riconducibile alla tipologia dei due traghetti e, in particolar modo, alla lunghezza degli stessi;
   in tal senso, la lunghezza dei due traghetti è censita dal registro navale in metri 77,05 ovvero 7,05 metri in più di quanto prevede il regolamento vigente;
   è fin troppo evidente che tale limite appare immodificabile proprio per i codici di sicurezza applicati nella predisposizione del regolamento;
   nella giornata del 29 gennaio 2016 la società Delcomar ha chiesto di poter svolgere una prova dei traghetti in porto e ha sostanzialmente avanzato la richiesta di una modifica del regolamento;
   tale richiesta attualmente al vaglio dei soggetti competenti, ad avviso dell'interrogante, risulta in modo inequivocabile irricevibile per due ordini di motivi:
    1) quello della sicurezza;
    2) quello della trasparenza e del trattamento equo e non discriminatorio tra concorrenti alla gara d'appalto per la gestione del servizio di collegamenti, che oltre per la sua dubbia legittimità di fondo, verrebbe ulteriormente viziata da una modifica di condizioni a favore di un concorrente;
   l'idoneità dei traghetti rispetto al porto per lo svolgimento del servizio è elemento fondamentale e vincolante per la gestione delle rotte;
   i traghetti che svolgevano tale servizio sono stati con modalità di dubbia legittimità sottratti ad una società pubblica la Saremar attraverso una procedura secondo l'interrogante del tutto arbitraria che ha praticamente sottoposto a procedura concordataria una società pubblica in house;
   si tratta di traghetti venduti con un'asta le cui risultanze appaiono dubbie proprio perché non solo la valutazione originaria dei traghetti è stata palesemente smentita dall'offerta stessa, ma perché il giorno stesso dell'acquisto all'asta, a quanto consta all'interrogante, gli stessi traghetti sarebbero stati venduti ad un terzo armatore operante in Sicilia, tale Caronte Tourism –:
   se non ritenga, per quanto di propria competenza, di negare qualsiasi tipo di deroga al regolamento del porto e degli accosti;
   se non ritenga di dover segnalare tale richiesta di deroga all'ANAC al fine di evitare possibili violazioni nelle procedure di gara legate appunto a tale richiesta di deroga;
   se non ritenga di dover intervenire sulla gestione dei servizi di continuità territoriale al fine di valutare il pericolo evidente di interruzione di un servizio pubblico di rilevante interesse disciplinato da una legge dello Stato. (5-07609)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA e ZARATTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la società Aeroporti di Roma è controllata dalla società Gemina, a sua volta detenuta dalla famiglia Benetton (attraverso la società Sintonia che controlla la Investimenti e Infrastrutture che a sua volta controlla Gemina). Sintonia è anche il maggiore azionista di Atlantia spa una holding company attiva nel settore delle infrastrutture (autostrade, aeroporti);
   la famiglia Benetton, attraverso la Edizioni Holding ha anche acquistato 3300 ettari di una delle più grandi aziende agricole d'Italia: la Maccarese confinante con l'aeroporto;
   è al vaglio un progetto per allargare lo scalo aereo di Fiumicino che prevede il raddoppio dell'attuale area aeroportuale invadendo 1300 ettari di Maccarese;
   il piano di investimenti prevede 6 piste, alberghi, un centro commerciale, sale convegni, ristoranti e un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) del 21 dicembre 2012 ha autorizzato l'Enac (Ente nazionale aviazione civile) a stipulare il contratto di programma con Aeroporti di Roma per il raddoppio dell'aeroporto di Fiumicino;
   il primo effetto del faraonico progetto di «Fiumicino due» sarà l'esproprio dei terreni per il raddoppio dell'aeroporto. 1300 ettari di terreno agricolo saranno espropriati dallo Stato ad un prezzo triplo del valore. Questa manovra frutterà alla famiglia Benetton l'intero ammontare del loro investimento per l'acquisto di tutti i 3300 ettari di Maccarese. L'agente incaricato degli espropri è la stessa Aeroporti di Roma;
   anche se l'ampliamento di Fiumicino non venisse attuato, sui terreni espropriati Aeroporti di Roma potrebbe comunque costruire un mega centro commerciale e fieristico; il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 dicembre 2012, firmato da Mario Monti, infatti, autorizza Aeroporti di Roma ad avviare gli espropri a partire già dal 2014 e a terminarle entro il 2019, cioè ben prima non solo di aver presentato il progetto definitivo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed aver acquisito tutte le necessarie autorizzazioni e pareri (valutazione di impatto ambientale, valutazione ambientale strategica e altro) previsti dalle normative nazionali ed europee, ma addirittura ancora prima di sapere se la condizione stabilita dal contratto di programma sarà stata raggiunta. Secondo l'accordo di programma infatti Aeroporti di Roma potrà passare alla fase del raddoppio se e solo se nel 2021 avrà raggiunto i 51 milioni di passeggeri all'anno;
   nell'accordo di programma è previsto che, in caso di mancata realizzazione dell'opera, per qualunque motivo, Aeroporti di Roma riceva un indennizzo, rapportato allo stato di avanzamento dei lavori, in base al «mancato guadagno»;
   la spesa prevista è di 12,5 miliardi di euro per la realizzazione di Fiumicino sud (ammodernamento dell'attuale infrastruttura) e per Fiumicino nord (il raddoppio);
   inoltre, sono previsti altri 5,5 miliardi di euro per le infrastrutture di connessione con l'aeroporto (strade, ferrovie, autostrade, e altro). In tutto 18 miliardi di euro;
   «Fiumicino due» viene finanziato, in buona parte, dallo Stato con le tasse aeroportuali, aumentate di 10 euro a passeggero, che sono diventate le più alte d'Europa;
   ogni anno, le tariffe aeroportuali potranno essere aumentate da Aeroporti di Roma in automatico, sulla base di indici e fattori da essa stessa elaborati: se il traffico passeggeri è previsto in aumento, potrà aumentare le tariffe per adeguare le strutture al fabbisogno, nel caso di riduzione di passeggeri superiore al 5 per cento Aeroporti di Roma potrà aumentare le tariffe per compensazione;
   il traffico aereo non potrà aumentare a dismisura per motivi di sicurezza: tra un aereo e l'altro devono esserci debite distanze di spazio e di tempo. Già oggi molti ritardi sono dovuti alla congestione del traffico aereo. Ad agosto 2012, periodo di massimo traffico, ci sono stati 29127 movimenti di aeromobili, circa 939 al giorno;
   altri aeroporti europei hanno 50-60 milioni di passeggeri e solo due o massimo quattro piste. L'aeroporto di Londra Heatrow, ad esempio, movimenta all'incirca lo stesso numero di voli ma con aerei di più grande portata, e riceve 70 milioni di passeggeri con due sole piste;
   a Fiumicino atterrano molti voli low-cost (unico hub in Europa). Questa anomalia avrebbe dovuto essere sanata con la costruzione di un aeroporto dedicato a questi voli (a Viterbo o a Frosinone); quindi ci sarebbe un ulteriore calo di traffico, su Fiumicino. Lo sviluppo del traffico aereo infatti è conseguenza dell'aumento dei voli low-cost;
   il Governo Letta, il 5 settembre 2013, ha proposto il declassamento a city airport dell'aeroporto di Ciampino e lo spostamento di tutti i voli (low cost) su Fiumicino;
   l'aeroporto di Fiumicino ricade su un terreno argilloso, e già nel 1961 un'apposita Commissione Parlamentare di Inchiesta espresse seri dubbi sulla scelta del suolo su cui era stato edificato l'aeroporto. Sono gli stessi sui quali ricadrebbe il raddoppio del Leonardo da Vinci: terreni sotto il livello del mare, che prima della bonifica erano ricoperti dallo Stagno di Maccarese;
   hanno espresso perplessità rispetto alla realizzazione dell'opera, già solo per Fiumicino Sud: il WWF – ITALIA NOSTRA – IL FAI – LA LIPU con lettera del 18 febbraio 2012 indirizzata a vari Ministeri;
   l'ANCI (Associazione nazionale comuni italiani) si è recentemente espressa contro il raddoppio dell'aeroporto e il trasferimento dei voli low-cost da Ciampino a Fiumicino;
   è stata riparametrata la riserva statale del litorale romano: Ministero dell'ambiente – regione Lazio – comune di Fiumicino – comune di Roma – e la commissione di tutela della riserva hanno esteso la zona 1 ( di tutela assoluta) nell'area di espansione dell'aeroporto; mettendo vincoli più stringenti;
   Assaereo, l'associazione di confindustria dei vettori e degli operatori del trasporto aereo, ha presentato ricorso al Tar del Lazio contro la delibera con la quale si è dato vita all'accordo di programma tra Enac e Aeroporti di Roma; in particolare contro il sistema di adeguamento tariffario che per legge dovrebbe avvenire dopo l'entrata in funzione delle nuove opere;
   nell'attesa di porre mano agli interventi di raddoppio dello scalo, anche a causa dell'incendio che ha recentemente colpito l'aeroporto, l'infrastruttura di Fiumicino risulta particolarmente compromessa, soprattutto a causa di un lungo periodo di mancanza di investimenti importanti. Come indicato nello studio della Cassa depositi e prestiti del mese di luglio 2015 –:
   se i Ministri interrogati non intendano verificare con maggiore attenzione i risvolti economici e ambientali di questa opera, in particolare valutando se questo ampliamento sia effettivamente necessario, e se i costi, per lo Stato, ma anche per i viaggiatori, non siano eccessivi e non possano portare un nocumento in termini di concorrenzialità ed efficienza del principale Aeroporto della Capitale;
   se non si ritenga urgente promuovere, per quanto di competenza, un serio piano integrato di trasporti per Roma Capitale valutando l'utilizzo di altri aeroporti anche in altre città del Lazio, magari predisponendo appunto dei servizi ferroviari veloci di collegamento, con costi verosimilmente inferiori sia in termini economici che in termini ambientali.
(4-11895)


   SCOTTO, PELLEGRINO, ZARATTI, FRANCO BORDO, FASSINA, MELILLA, AIRAUDO, FAVA, PLACIDO, GREGORI, RICCIATTI, D'ATTORRE, FERRARA, MARCON, CARLO GALLI, DURANTI, PIRAS, FOLINO, FRATOIANNI, QUARANTA, ZACCAGNINI, COSTANTINO, DANIELE FARINA, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE e SANNICANDRO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato nell'ultima relazione della struttura di vigilanza sulle concessionarie autostradali (SVCA) del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT), intitolata «Relazione sulle attività 2013», la rete autostradale italiana (la cui estensione complessiva è pari a 7.447 chilometri, di cui 6.784 chilometri in esercizio e 663 chilometri in programmazione o esecuzione) è affidata in concessione a società con diversi concedenti: 1) il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, subentrato ad Anas s.p.a. in tale ruolo a far data dal 1o ottobre 2012. Al Ministero, che opera attraverso la SVCA istituita con decreto ministeriale n. 341 del 1o ottobre 2012, fa capo la maggior parte della rete in concessione. La rete autostradale a pedaggio data in concessione dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (che si sviluppa per 5.830 chilometri ed è tutta in esercizio) è gestita da 24 società (i rapporti concessori in essere sono però 25, dato che SATAP S.p.A. risulta titolare della concessione per la A21 Torino-Piacenza e la A4 Torino-Milano); 2) l'Anas s.p.a., società pubblica sottoposta alla vigilanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che gestisce alcune tratte direttamente, mentre per altre svolge il ruolo di concedente in via indiretta, partecipando al 50 per cento al capitale sociale in società regionali; alcune società regionali che svolgono il ruolo di concedente di infrastrutture poste esclusivamente nel territorio della regione cui fanno riferimento. In proposito si evidenzia, peraltro, segnala la norma contenuta nell'articolo 5-bis del decreto-legge n. 133 del 2014, che consente al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di subentrare alla regione Emilia-Romagna nelle funzioni di concedente (e conseguentemente in tutti i rapporti attivi e passivi derivanti dalla concessione di costruzione e gestione) dell'asse autostradale denominato «Autostrada Cispadana», previo parere del CIPE;
   per quanto riguarda la rete data in concessione dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nel «primo rapporto annuale al Parlamento» dell'Autorità di regolazione dei trasporti del luglio 2014 veniva riportata una tabella che riportava lo stato delle concessioni autostradali e indicava le date di scadenza delle medesime;
   nel commentare la tabella l'Autorità di regolazione dei trasporti ricordava l'approvazione ex lege delle convenzioni uniche sottoscritte nel 2007, operata dalla legge n. 101 del 2008 (di conversione del decreto-legge n. 59 del 2008), nonché delle convenzioni stipulate tra il 2009 ed il 2010, operata dalla legge n. 191 del 2009 (legge finanziaria 2010);
   dall'elenco delle concessionarie italiane attualmente in vigore si può notare «come la durata delle concessioni sia solitamente molto lunga e la scadenza in molti casi ancora lontana. Inoltre, fino alla fine degli anni ’90 tutte le concessioni sono state periodicamente prorogate (generalmente senza bando di gara), giustificando i rinnovi con la necessità di effettuare nuovi investimenti e, quindi, di permettere il recupero del capitale necessario». Le uniche eccezioni sono rappresentate dalle seguenti concessioni scadute: 1) A21 Piacenza-Cremona-Brescia, già gestita dalla Società concessionaria Centro Padane; 2) A3 Napoli-Salerno, già gestita dalla Società concessionaria Autostrade Meridionali; 3) A22 Modena-Brennero, già gestita dalla Società concessionaria Autostrada del Brennero;
   con riferimento a tali concessioni, nel secondo rapporto annuale, presentato nel luglio 2015, l'Autorità di regolazione dei trasporti sottolinea (a pagina 48) che «il Gruppo Gavio si è recentemente aggiudicato la gara per la concessione dell'autostrada Piacenza-Cremona-Brescia (tratta A21) in attesa dell'aggiudicazione definitiva spettante al Ministero delle Infrastrutture. Inoltre, è in corso di svolgimento la gara per l'affidamento della concessione relativa all'Autostrada A3 Napoli-Pompei-Salerno»;
   per quanto riguarda l'A22, è stato recentemente siglato il protocollo d'intesa tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e le amministrazioni pubbliche socie di Autostrada del Brennero s.p.a. che prevede il rinnovo trentennale della concessione ad una società interamente partecipata dalle amministrazioni pubbliche territoriali e locali contraenti;
   come noto sulla materia delle concessioni è intervenuto, nel corso dell'attuale legislatura, l'articolo 5 del decreto-legge n. 133 del 2014 (cosiddetto decreto sblocca Italia) che — al fine di assicurare gli investimenti necessari per gli interventi di potenziamento e adeguamento delle autostrade nazionali, nonché per assicurare tariffe e condizioni di accesso più favorevoli per gli utenti — ha previsto l'avvio, da parte dei concessionari di tratte autostradali nazionali, di una procedura di modifica del rapporto concessorio, articolata in due fasi e secondo una tempistica predeterminata. La procedura, come modificata sulla base delle proroghe di termini operate dall'articolo 8, comma 10, del decreto-legge n. 192 del 2014, prevede che: 1) entro il 30 giugno 2015, il concessionario sottopone al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti le modifiche del rapporto concessorio in essere finalizzate a procedure di aggiornamento o revisione anche mediante l'unificazione di tratte interconnesse, contigue o tra loro complementari, ai fini della loro gestione unitaria. Entro la medesima data il concessionario sottopone al medesimo Ministro un nuovo piano economico-finanziario (PEF) corredato di idonee garanzie e di asseverazione da parte di soggetti autorizzati; 2) entro il 31 dicembre 2015 deve intervenire la stipulazione di un atto aggiuntivo o di un'apposita convenzione unitaria;
   l'attuazione delle disposizioni citate è tuttavia subordinata al rilascio del preventivo assenso da parte dei competenti organi dell'Unione europea. Sotto tale profilo si evidenzia che nel rispondere all'interrogazione parlamentare E-005234 la rappresentante della Commissione europea, in data 29 giugno 2015, ha dichiarato che «L'Italia non ha notificato, ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, la disposizione generale che autorizza la modifica delle concessioni autostradali, né alcuna applicazione specifica di tale disposizione. Tuttavia, la Commissione è in contatto con le autorità italiane ed è disposta a valutare la compatibilità di eventuali modifiche alle concessioni in corso con le norme in materia di aiuti di Stato e di appalti pubblici. Qualora dovesse concludere che tali modifiche non sono compatibili con il diritto dell'Unione, la Commissione adotterà le misure opportune per assicurarsi che venga rispettato»;
   successivamente sulle modalità di affidamento delle concessioni autostradali sono intervenuti i criteri dettati dalle lettere lll) e mmm) dell'articolo 1 della recente legge che delega il Governo a recepire le direttive europee in materia di appalti pubblici e di concessioni, nonché a riordinare la normativa vigente (legge n. 11 del 2016). In particolare, la lettera lll) prevede l'avvio delle procedure ad evidenza pubblica per l'affidamento delle nuove concessioni autostradali non meno di 24 mesi prima della scadenza di quelle in essere. Si prevede, inoltre, una revisione del sistema delle concessioni autostradali, con particolare riferimento all'introduzione di un divieto di clausole e disposizioni di proroga, in conformità alla nuova disciplina generale dei contratti di concessione dettata dalla direttiva 2014/23/UE. Inoltre la lettera mmm) prevede l'introduzione di una disciplina transitoria per l'affidamento delle concessioni autostradali che, alla data di entrata in vigore del decreto legislativo di recepimento delle direttive, siano scadute o prossime alla scadenza, al fine di assicurare il massimo rispetto del principio dell'evidenza pubblica. Si prevede che, nei casi di concessione in cui l'amministrazione aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore esercita sul concessionario un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi (concessioni in house), sia assicurato il massimo rispetto dei principi desumibili dall'articolo 17 della direttiva 2014/23/UE, che regolano le concessioni tra enti nell'ambito del settore pubblico;
   nonostante i principi recentemente introdotti dalla citata legge che delega il Governo a recepire le direttive europee in materia di appalti pubblici e di concessioni, nonché a riordinare la normativa vigente, continua a risultare vigente nell'ambito del nostro ordinamento giuridico l'articolo 143 del decreto legislativo n. 163 del 2006 che, oltre a prevedere al comma 6 che «La concessione ha di regola durata non superiore a trenta anni», stabilisce all'ultimo periodo del comma 8 del medesimo articolo che «Al fine di assicurare il rientro del capitale investito e l'equilibrio economico finanziario del Piano Economico Finanziario, per le nuove concessioni di importo superiore ad un miliardo di euro, la durata può essere stabilita fino a cinquanta anni»;
   dal 1o gennaio 2016 sono entrati in vigore gli adeguamenti delle tariffe di pedaggio autostradale; sono stati firmati i decreti interministeriali di concerto tra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministro dell'economia e delle finanze. Quest'anno, in particolare, per tutte le società per le quali è in fase di aggiornamento il relativo, piano economico finanziario, gli aumenti tariffari sono stati provvisoriamente sospesi, posticipandone l'eventuale adeguamento all'approvazione dei suddetti piani. L'aumento medio attualmente riconosciuto, calcolato sui veicoli-chilometro che si prevede saranno percorsi sull'intera rete autostradale nel 2016, risulta pari allo 0,86 per cento.
   nel dettaglio, i decreti interministeriali hanno riconosciuto i seguenti adeguamenti: Asti-Cuneo S.p.A. 0,00 per cento, ATIVA S.p.A. 0,03 per cento; Autostrade per l'Italia S.p.A. 1,09 per cento; Autostrada del Brennero S.p.A. 0,00 per cento; Autovie Venete S.p.A. 0,00 per cento; Brescia-Padova S.p.A. 0,00 per cento; Consorzio Autostrade Siciliane 0,00 per cento; CAV S.p.A. 0,00 per cento; Centro Padane S.p.A. 0,00 per cento, Autocamionale della Cisa S.p.A. 0,00 per cento, Autostrada dei Fiori S.p.A. 0,00 per cento, Milano Serravalle Milano Tangenziali S.p.A. 0,00 per cento; Tangenziale di Napoli S.p.A. 0,00 per cento; RAV S.p.A. 0,00 per cento; SALT S.p.A. 0,00 per cento; SAT S.p.A. 0,00 per cento; Autostrade Meridionali (SAM) S.p.A. 0,00 per cento, SATAP Tronco A4 S.p.A. 6,50 per cento, SATAP Tronco A21 S.p.A. 0,00 per cento; SAV S.p.A. 0,00 per cento; SITAF S.p.A. 0,00 per cento; Torino-Savona S.p.A. 0,00 per cento; Strada dei Parchi S.p.A. 3,45 per cento; Bre.be.mi. 0,00 per cento, TEEM 2,10 per cento e Pedemontana Lombarda 1,00 per cento;
   l'aumento maggiore interessa Satap tronco A4 (Torino-Milano) +6,5 per cento. Seguono Strada dei Parchi +3,45 per cento, Tangenziale Est Spa +2,10 per cento, Autostrade per l'Italia +1,09 per cento, Pedemontana Lombarda +1 per cento e Ativa +0,03 per cento;
   l'aumento ingiustificato e sistematico dei pedaggi, come ben noto, incide in maniera fortemente negativa sulle situazione di pendolarismo giornaliero per lavoro, studio o per cure sanitarie specialistiche sulla rete autostradale italiana;
   non esistono di fatto strumenti per rendere trasparenti all'utenza i meccanismi di adeguamento delle tariffe autostradali e vincolarli agli investimenti effettivamente realizzati su ogni singola arteria;
   è inaccettabile, che a fronte delle innumerevoli polemiche che hanno accompagnato in questi ultimi mesi l'approvazione del cosiddetto «decreto sblocca Italia» e il lavoro profuso dal Parlamento attraverso l'approvazione della recente legge n. 11 del 2016 di recepimento delle direttive europee in materia di appalti pubblici e di concessioni, risulti ancora vigente nell'ambito del nostro ordinamento giuridico una disposizione che consente addirittura la possibilità di prorogare la durata di una concessione autostradale da 30 fino a 50 anni al fine di assicurare il rientro del capitale investito e l'equilibrio economico finanziario del piano economico finanziario, qualora si tratti di nuove concessioni di importo superiore ad un miliardo di euro (articolo 143 del decreto legislativo n. 163 del 2006) –:
   se, quali e quante siano le concessioni autostradali potenzialmente ricadenti nell'ambito applicativo di tale disposizione;
   quali urgenti iniziative si intendano assumere per calmierare l'entrata in vigore dal 1o gennaio 2016 dei recenti adeguamenti tariffari di pedaggio autostradale citati in premessa e rendere trasparenti all'utenza i meccanismi di adeguamento delle tariffe autostradali, vincolandoli agli investimenti effettivamente realizzati su ogni singola arteria;
   se il Governo abbia assunto recentemente apposite iniziative affinché le società concessionarie, anche tramite adeguamento delle relative concessioni, applichino ai pendolari sconti e agevolazioni, anche progressivi almeno entro i 100 chilometri di percorrenza per le situazioni di pendolarismo giornaliero per lavoro, per studio o per cure sanitarie specialistiche. (4-11908)


   DELL'ORCO, SPADONI, DALL'OSSO, SARTI, DE LORENZIS e NICOLA BIANCHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dal 13 dicembre 2015 è in vigore il nuovo orario invernale di Trenitalia destinato, almeno sulla carta, a migliorare il servizio, aumentando il numero di treni Freccia. In particolare, per quanto riguarda la Toscana, è stata aggiunta una coppia di treni di collegamento tra Arezzo e Milano, il treno n. 9500 in direzione nord e il treno n. 9555 in direzione sud. Il treno FR9500 parte da Arezzo la mattina alle ore 6.15, per fermarsi a Firenze Santa Maria Novella e poi nella stazione Medio Padana e giungere a Milano Centrale alle ore 8.40. In direzione opposta viaggia il Frecciarossa FR9555, che parte da Milano Centrale alle ore 18.50 per concludere la sua corsa ad Arezzo alle ore 21.22;
   il collegamento mattutino Arezzo-Milano dovrebbe essere sostitutivo di quello che, nell'orario precedente, partiva alle 7.00 direttamente da Firenze ma, secondo fonti stampa, un gruppo di pendolari avrebbe firmato una petizione di protesta indirizzata a Trenitalia lamentando che, con la modifica di quella tratta, il treno, partendo da Arezzo, ovvero da località fuori dal percorso dell'alta velocità, registra costantemente un ritardo in partenza da Firenze, provocando un disservizio ai viaggiatori e non permettendo più ai lavoratori che affollano numerosi quel treno di raggiungere Milano in orario;
   l'assessore ai trasporti della regione Toscana ha dichiarato alla stampa che, dopo avere verificato con i dirigenti dell'azienda di trasporto, sarebbe da escludere che il treno da Arezzo arrivi a Firenze tardi e che quindi la causa del ritardo lamentato vada cercata più a nord;
   sebbene si stia parlando di treni a servizio di mercato è del tutto evidente che queste tratte svolgano un importante servizio pubblico primario, consentendo a centinaia di lavoratori pendolari di recarsi tutti i giorni sul posto di lavoro. Non solo dunque il servizio su questo tipo di tratte dovrebbe essere caratterizzato da un elevato tasso di puntualità ma ogni variazione dovrebbe essere attentamente studiata;
   secondo il comitato di pendolari in protesta, dietro questa scelta di Trenitalia, potrebbero esserci invece ragioni più politiche che di servizio: tali pendolari affermano infatti che la scelta di collegare Arezzo con la linea dell'alta velocità potrebbe derivare da una richiesta del Ministro Boschi nel tentativo di compiacere il suo bacino elettorale. A parere dei pendolari, ad avvalorare questa tesi sarebbe il numero di viaggiatori, in quanto sul treno delle ore 6.15 in partenza da Arezzo salirebbero appena 30 persone, 20 delle quali poi scenderebbero a Firenze, utilizzando in pratica il treno alta velocità come si utilizza un convoglio regionale. Di fatto, dunque, si sarebbe previsto, a quanto consta agli interroganti, un collegamento diretto alta velocità da Arezzo per appena 10 persone, creando al contempo disagio a centinaia di altri cittadini;
   sarebbe dunque da chiarire quale sia stata la valutazione effettuata da Trenitalia nella predisposizione del nuovo orario e, qualora effettivamente i numeri denunciati dai pendolari corrispondessero al vero, a parere dell'interrogante, sarebbero da mettere in discussione anche gli studi di fattibilità per la stazione Medio Etruria. Questo nuovo snodo ad alta velocità, che manca ancora di un approfondito studio sul bacino di utenza, è però risulterebbe già previsto, a quanto consta agli interroganti, nei piani dei trasporti delle regioni Umbria e Toscana e, secondo le regioni promotrici, dovrebbe servire un bacino di un milione di persone tra Umbria e bassa Toscana, riguardante le province di Arezzo, Siena e Perugia, e dovrebbe intercettare almeno il 10-12 per cento dei circa 180 treni transitanti ogni giorno su questa tratta;
   benché il Governo al momento non faccia parte del tavolo tecnico per la realizzazione della stazione Media Etruria, il 28 gennaio 2016 il sottosegretario Del Basso De Caro, rispondendo ad un'interrogazione, si è dimostrato estremamente informato sui suoi sviluppi ed ha fatto cenno ad un modello di domanda finalizzato a inquadrare la popolazione potenzialmente interessata all'utilizzo della nuova stazione Medio/Etruria che, nell'ipotesi di localizzazione ad Arezzo, interesserebbe potenzialmente 2,6 milioni di persone –:
   se il Governo sia informato dei fatti esposti in premessa e se, benché la realizzazione del progetto di cui in premessa si ponga al di fuori dal perimetro del contratto di Servizio, non intenda intervenire nell'ambito delle proprie competenze anche coinvolgendo l'Autorità di regolazione dei trasporti, per garantire un servizio di qualità, rispettoso della puntualità, sui treni Freccia di collegamento tra la Toscana e Milano citati in premessa e, più in generale, sui treni a media e lunga percorrenza particolarmente utilizzati dai pendolari, considerata l'importante funzione pubblica che di fatto ormai svolgono questi convogli;
   se il Governo, all'autorità di regolazione dei trasporti e alle regioni interessate, non intenda di assumere iniziative di competenza per ridefinire gli ambiti di servizio pubblico sui treni di media e lunga percorrenza, ponendo particolare attenzione alle tratte principalmente utilizzate dai pendolari;
   se il Governo sia informato sulle motivazioni che hanno spinto Trenitalia, nella revisione dell'orario invernale, a creare un collegamento diretto tra la stazione di Arezzo e la linea alta velocità;
   se il Governo, anche alla luce dello studio sulla stazione Media Etruria, intenda richiedere a Trenitalia un confronto delle performance sulla tratta alta velocità Firenze-Milano citata in premessa, prima e dopo la modifica dell'orario;
   se il Governo, considerata la denuncia dei pendolari riportata in premessa sull'uso di un treno Freccia per collegare una tratta regionale e anche alla luce del possibile sviluppo della stazione Media Etruria, non intenda verificare con Trenitalia i dati effettivi sui passeggeri del treno FR 9500 da Arezzo a Milano Centrale. (4-11911)

INTERNO

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   molti sistemi di videosorveglianza comunale sono dotati di varchi di lettura delle targhe in grado di rilevare anche alcuni tipi di infrazione previsti dal codice della strada, grazie a collegamenti diretti con le banche dati di motorizzazione e pubblico registro automobilistico. Esistono collegamenti analoghi con le banche dati del Ministero dell'interno sui veicoli rubati ma sono limitati per legge;
   infatti, a parere del Ministero, tale accesso può avvenire solo attraverso il sistema centralizzato nazionale targhe e transiti attivato per le forze di polizia dello Stato. Dunque, i cosiddetti controlli massivi, necessari per il controllo automatico delle targhe degli autoveicoli che transitano attraverso i varchi, sarebbero riservati alle forze di polizia, secondo una lettura particolare dall'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica del 3 maggio 1982 n. 378;
   questi controlli seriali, sarebbero però contemplati nel successivo articolo 10-bis del medesimo decreto del Presidente della Repubblica n. 378 del 1982 che disciplina, invece, l'accesso in banca dati SDI del personale della polizia municipale, addetto ai servizi di polizia stradale in possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza;
   peraltro, lo stesso schema di regolamento di modifica del decreto del Presidente della Repubblica n. 378 del 1982 (in attuazione degli articoli 16-quater, comma 3, del decreto-legge n. 8 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 68 del 1993, e 8-bis, comma 3, del decreto-legge n. 92 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2008), sul quale il Garante della privacy, ha espresso parere favorevole con osservazioni, il 3 ottobre 2013, non è mai stato licenziato definitivamente –:
   per quale motivo non si sia adottato il regolamento previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 378 del 1982 che consentirebbe alla polizia locale l'accesso allo SDI per le normali attività istituzionali compresa la consultazione massiva ed automatica delle targhe dei veicoli rubati attraverso i diffusi sistemi di videosorveglianza comunale.
(2-01254) «Pagani, Lattuca, Morassut, Currò, Mura, D'Arienzo, Narduolo, Montroni, Mongiello, Mognato, Carloni, Camani, Peluffo, Pelillo, Paola Boldrini, Petrini, Piccione, Tino Iannuzzi, Iacono, Falcone, Lodolini, Lauricella, Berretta, Giulietti, Laforgia, Zan, Manciulli, Bargero, Arlotti, Paola Bragantini, Baruffi, Romanini, Braga, Mariani».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   la questura di Bologna ha aperto nei confronti del signor Gianni Tonelli, segretario generale del Sindacato autonomo di polizia (SAP), un procedimento disciplinare per la «condotta non conforme al decoro delle funzioni degli appartenenti ai ruoli della pubblica sicurezza» a causa dell'uso promiscuo di capi della divisa con altri non pertinenti alla stessa, proponendo anche l'applicazione di una sanzione pecuniaria;
   per un'azione di denuncia pubblica del pessimo stato degli equipaggiamenti in dotazione al comparto sicurezza è stato accusato e sospeso anche un altro rappresentante del sindacato;
   per protesta contro la sospensione dello stato di democrazia interna al corpo della polizia di Stato, il signor Tonelli ha messo in atto la misura estrema dello sciopero della fame –:
   se non ritenga che si ponga una grande questione democratica e che tali misure disciplinari limitino le libertà sindacali delle donne e degli uomini in divisa.
(2-01256) «Vito, Brunetta».

Interrogazioni a risposta immediata:


  SCOTTO, PELLEGRINO, ZARATTI, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO e ZACCAGNINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 gennaio 2016, la Corte costituzionale ha dichiarato ammissibile il referendum contro le trivellazioni in tema di durata delle concessioni;
   a breve, in particolare sembrerebbe tra il 10 e 15 febbraio 2016, dovrebbe essere adottata la decisione relativa alla fissazione della data per lo svolgimento di tale referendum;
   le elezioni amministrative, pure in programma per il corrente anno, si terranno a giugno 2016;
   è evidente che l'accorpamento del voto referendario con le elezioni amministrative garantirebbe, oltre che un risparmio di circa 300 milioni di euro, anche la massima partecipazione rispetto ad una consultazione referendaria attinente un tema particolarmente delicato, quale è quello di un diverso futuro energetico del nostro Paese, che come noto, per la sua validità, richiede il raggiungimento di un quorum;
   l'accorpamento del voto referendario con la tornata delle elezioni amministrative, meglio ancora se con il primo turno previsto per il 6 giugno 2016, è opportuno dunque sia per ragioni economiche, soprattutto in tempi di spending review – visto che si raddoppierebbero i costi, in caso di consultazioni in tempi diversi – nonché per la promozione della più ampia partecipazione alle urne rispetto al voto referendario, uno dei più importanti strumenti di democrazia diretta –:
   se non ritenga di assumere le iniziative di competenza volte ad «accorpare» il voto referendario sulle trivellazioni con il primo turno delle elezioni amministrative, onde garantire la più ampia partecipazione dei cittadini al voto, nonché un risparmio di circa 300 milioni di euro, che certamente sarebbe impedito, invece, nel caso tali consultazioni si svolgessero in giorni diversi. (3-01980)


  SARTI, SPADONI, DELL'ORCO, FERRARESI, PAOLO BERNINI, DALL'OSSO, NUTI, CECCONI, COZZOLINO, DADONE, DIENI, D'AMBROSIO, TONINELLI, BONAFEDE, AGOSTINELLI, BUSINAROLO, COLLETTI e D'UVA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è tuttora in corso il processo Aemilia che riguarda la più grande operazione contro la ’ndrangheta in Emilia Romagna e ha coinvolto anche altre regioni, tra cui Veneto, Lombardia, Piemonte, Calabria e Sicilia. Ad oggi gli imputati sono 219, nove dei quali attualmente sottoposti al regime di 41-bis e 189 i capi di imputazione. Si tratta di un avvenimento senza precedenti per la regione Emilia-Romagna, per i numeri e per le dimensioni dell'inchiesta. Un'indagine, condotta dalle forze dell'ordine e dalla direzione distrettuale antimafia di Bologna, segnata da due momenti fondamentali: il primo, alla fine di gennaio 2015, ha portato a 117 arresti. Il secondo, a metà luglio 2015, ha colpito la cosiddetta «’ndrangheta imprenditrice». Al centro delle indagini, coordinate dall'ex procuratore capo di Bologna, Roberto Alfonso, c’è il clan Grande Aracri, originario di Cutro che aveva costituito una vera e propria organizzazione a delinquere di stampo mafioso autonoma dalla «casa madre» cutrese, con epicentro a Reggio Emilia;
   il dibattimento inizierà il 23 marzo 2016, ad oggi si stanno svolgendo le udienze dei riti abbreviati. Fra gli imputati rinviati a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa vi è, fra gli altri, il consigliere comunale di Reggio Emilia Giuseppe Pagliani (Forza Italia), che nel 2012, secondo quanto riportato dalle intercettazioni della richiesta di rinvio a giudizio, si mise completamente a disposizione di alcuni associati alla cosca Grande Aracri, pur consapevole dei precedenti penali di essi, prese parte, inoltre, a diverse riunioni in cui strinse un patto volto ad allontanare i sospetti di appartenenza alla criminalità organizzata pendente su alcuni degli imprenditori colpiti da provvedimenti interdittivi prefettizi e partecipò anche alla cena con imprenditori cutresi presso il ristorante «Antichi Sapori» di Reggio Emilia, summit al quale erano presenti anche vari esponenti della suddetta cosca Grande Aracri come ad esempio Nicolino Sarcone. Pagliani oggi è imputato per concorso esterno in associazione mafiosa, in particolare «per aver concretamente contribuito, pur senza farne formalmente parte, al rafforzamento, alla conservazione ed alla realizzazione degli scopi dell'associazione mafiosa sfruttando il suo ruolo di vice-coordinatore vicario provinciale del PDL e capogruppo PDL nel consiglio provinciale di Reggio Emilia che veniva messo al servizio della strategia pubblica dell'associazione (...) consentendo agli associati di affrontare un momento di particolare difficoltà incontrata da molti di loro e dall'associazione stessa, ottenendo anzi un «rilancio» delle possibilità e delle capacità di azione del sodalizio»;
   un altro imputato del processo Aemilia è Domenico Mesiano, ex assistente capo della polizia presso la questura di Reggio Emilia, autista del questore, arrestato a fine gennaio 2015 e imputato per associazione mafiosa ex articolo 416-bis c.p. Egli avrebbe partecipato alle riunioni del sodalizio, utilizzando costantemente il rapporto con gli altri associati per allargare la propria influenza e capacità affaristica nonché di inserimento nel sistema economico emiliano;
   Domenico Mesiano è anche colui che, durante le primarie del Partito Democratico per la scelta del candidato sindaco alle elezioni amministrative del 2014, fece telefonate dalla questura sconsigliando ad alcuni esponenti della comunità albanese di votare Franco Corradini, ex assessore alla coesione sociale e sicurezza del comune reggiano. Alla fine, le primarie furono vinte da Luca Vecchi, attuale sindaco di Reggio Emilia. Franco Corradini, appena ebbe notizia delle telefonate e delle pressioni di Mesiano, denunciò l'accaduto presentando un esposto alla procura di Reggio Emilia e dopo l'arresto di Mesiano del gennaio 2015 dichiarò: «A primarie svolte, la notizia trapelò, ma non ebbi la solidarietà dei miei concorrenti e nemmeno del PD. Ora, anche alla luce di quel che sta accadendo i miei dubbi rimango più forti che mai: forse le primarie furono inquinate dalla malavita organizzata? A vantaggio di chi? Chi traeva vantaggio dal poliziotto Domenico Mesiano oggi arrestato in occasione della maxi operazione anti Mafia?». Ancora, in un'intervista di pochi giorni fa, Corradini ribadisce le presunte irregolarità di quelle votazioni dichiarando che: «Più passa il tempo e più vi è la consapevolezza che Mesiano che telefona per sconsigliare di votarmi non agiva isolatamente. Al netto dell'onestà personale di Vecchi è chiaro che tutto il sistema di potere – dalle cooperative in procinto di fallire a una Cgil in difficoltà, al Pd ridotto al lumicino, al sindaco uscente Delrio e in questo contesto anche il sistema illegale che esiste e si manifesta con la telefonata del poliziotto – fa scelte precise»;
   a quanto sopra esposto si aggiungano i brogli elettorali che hanno toccato le elezioni amministrative del comune di Reggio Emilia nel 2014, precisamente il seggio numero 7 che aveva come presidente Pietro Drammis. Trentuno schede sarebbero state alterate da Drammis per favorire due candidati poi diventati consiglieri comunali nelle file del Pd attualmente componenti della commissione controllo e garanzia del comune, Salvatore Scarpino e Teresa Rivetti, quest'ultima moglie dell'ex consigliere Carmine De Lucia. Per il presunto broglio Drammis è stato l'unico indagato e la procura ha chiesto che venga rinviato a giudizio. Le indagini sono state sollecitate dalle segnalazioni del Movimento 5 Stelle, in particolare sia la consigliera comunale Alessandra Guatteri, rappresentante di lista nel seggio presieduto da Pietro Drammis, e sia la deputata Maria Edera Spadoni avevano depositato interrogazioni ed esposti già in data 10 luglio 2014. Nel visionare le schede, i rappresentanti di lista notarono che la grafia di alcune di esse risultava apparentemente identica e ciò ora ha trovato conferma nell'esito delle indagini portate avanti dal pubblico ministero Isabella Chiesi: «Secondo le analisi degli esperti di grafologia della polizia scientifica di Roma, la mano che ha vergato i nomi di Scarpino e Rivetti sarebbe quella di Drammis»;
   in un'intervista del 3 ottobre 2012, l'ex consigliere comunale Antonio Olivo, imprenditore edile cutrese (a cui nel novembre 2005 era stato bruciato il tetto di un edificio di sua proprietà e ciò costituisce uno dei capi di accusa nei confronti di Gaetano Blasco imputato per 416-bis nel processo Aemilia), dichiarò: «Vedrò di organizzarmi con Salvatore Scarpino – attualmente consigliere comunale – per vedere se abbiamo un minimo margine di manovra per aiutare Sarcone e gli amici cutresi. Siamo tutti in difficoltà, mica solo l'amico paesano Sarcone»;
   Gianluigi Sarcone, personaggio a cui si riferisce l'ex consigliere comunale Antonio Olivo nell'intervista di cui sopra, è imputato oggi nel processo Aemilia ex articolo 416-bis del codice penale e nel 2012 figuravano già a suo carico due procedimenti penali: il primo per estorsione, usura e appropriazione indebita, il secondo per impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita;
   in data 23 gennaio 2016, ad un anno di distanza dall'arresto di Francesco Macrì nell'indagine Aemilia, è emerso che Maria Sergio, moglie del sindaco Luca Vecchi di Reggio Emilia, dirigente all'urbanistica del comune di Reggio Emilia tra il 2004 ed il 2014, attualmente dirigente presso il comune di Modena, in data 12 maggio 2012 aveva acquistato una casa al grezzo insieme a Luca Vecchi dalla M&F General Service Srl di proprietà del crotonese Francesco Macrì, imputato oggi nel processo Aemilia per ricettazione, riciclaggio ed impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, reati aggravati perché commessi al fine di agevolare la cosca Grande Aracri. Nel 2013 la Sergio era stata ascoltata come persona informata sui fatti dai magistrati della direzione distrettuale antimafia di Bologna nell'inchiesta Aemilia. Come risulta dai verbali della deposizione, la Sergio, a seguito della domanda dei pubblici ministeri, se conoscesse imprese importanti di calabresi o cutresi, dichiarava: «Rispetto alle ditte cutresi... io non... come dire non ne ho incrociate molte perché poi spesso appunto le ditte cutresi lavorano sugli interventi diretti, che io gestisco di meno...»;
   Macrì risulta essere stato, secondo l'accusa, il prestanome compiacente e consapevole degli ’ndranghetisti Nicolino Grande Aracri, Michele Bolognino, Palmo e Giuseppe Vertinelli, attraverso l'utilizzo della società «Il Cenacolo s.r.l.»;
   il sindaco Vecchi e la moglie Maria Sergio hanno dichiarato che non sapevano nulla su Francesco Macrì al momento dell'acquisto della loro casa (Luca Vecchi il 23 gennaio 2016 dichiarava: «mi cade un muro addosso»). In data 25 gennaio 2016, durante una seduta del consiglio comunale, il sindaco di Reggio Emilia ha dichiarato: «Quando sono usciti i nomi degli arrestati di Aemilia li ho letti, e mi sono interrogato più come amministratore che come un cittadino dal momento che, a tre anni di distanza, il tema della casa per me era derubricato». Il consigliere comunale del MoVimento 5 Stelle Norberto Vaccari, però, durante lo stesso consiglio comunale gli rispondeva: «Non poteva non sapere e il fatto che non ricordasse chi gli ha venduto la casa risulta difficilmente credibile. Non fosse altro per i dieci anni di garanzia che gravano per legge proprio sul costruttore»;
   la figura di Francesco Macrì non è nuova agli occhi dell'amministrazione comunale reggiana. Macrì, infatti, come riportato dagli organi di stampa locali, è stato prima socio amministratore e poi accomandatario della società «F.lli Macrì s.a.s. di Macrì Mario», aggiudicataria dal 2003 al 2012 di 12 appalti pubblici nel territorio reggiano per un valore totale di 339.756 euro e di svariati interventi nel settore privato, tutto ciò quando Maria Sergio era dirigente all'urbanistica del comune; tale società risulta inoltre essere stata invitata nel settembre 2014 ad una procedura negoziata indetta dal comune di Reggio Emilia per l'assegnazione di lavori di manutenzione stradale; inoltre il comune approvò alla stessa M&F General Service un piano particolareggiato nel 2004;
   il 18 ottobre 2014, Domenico Lerose, oggi rinviato a giudizio con l'aggravante di aver agito con metodo mafioso, al termine di un comizio in piazza Martiri del 7 luglio a Reggio Emilia, si avvicinava con altre due persone alla deputata del Movimento 5 Stelle Maria Edera Spadoni, dicendole: «Lei Grande Aracri non lo deve neanche nominare». Poco prima, Spadoni aveva ribadito le sue prese di posizione critiche sulla videointervista in cui il sindaco di Brescello, Marcello Coffrini, parlava di Francesco Grande Aracri, condannato in via definitiva per associazione mafiosa. La condotta di Lerose, per i pubblici ministeri, è aggravata dal fatto di aver agito ai danni di un pubblico ufficiale e al fine di costringerlo a modificare le proprie posizioni pubbliche. La deputata Spadoni, dopo essere stata minacciata, replicò fermamente e fece denuncia ai carabinieri;
   in data odierna è emerso da notizie di stampa che uno degli imputati ex articolo 416-bis del codice penale nel processo Aemilia, Pasquale Brescia, ha recapitato, tramite il suo legale, alla redazione de Il Resto del Carlino di Reggio Emilia una lettera indirizzata al sindaco Luca Vecchi;
   le giornaliste Sabrina Pignedoli e Benedetta Salsi scrivono che Brescia parla di «precedenti penali» ed esclusioni dalla white list per la ricostruzione del dopo terremoto di parenti della Sergio, gli stessi che le avrebbero ultimato la casa. Ricorda anche il funerale del suocero del sindaco, dicendo di essere stato lui stesso presente «così come tanti altri imputati del processo Aemilia» e cita alcuni dei nomi dei presunti esponenti di vertice della cosca. Tornando a chiedere le dimissioni di Vecchi, l'imputato cita a paragone il comportamento dell'ex sindaco di Reggio e attuale Ministro Graziano Delrio che, a suo tempo, «andò dal prefetto De Miro per tutelare i cutresi dalla criminalizzazione mediatica». Nella lettera c’è poi un riferimento alla campagna elettorale di Vecchi dove in un circolo cittadino avrebbe fatto promesse e stretto mani. «A chi c'era in quei circoli – si chiede – sa quali mani ha stretto?». Alcune persone, ora escluse dalla white list, avrebbero fatto campagna elettorale in suo favore, così come per Delrio –:
   se in considerazione della gravità dei fatti esposti, si intendano attivare le procedure di insediamento di una commissione di accesso, ai sensi dell'articolo 143 del testo unico degli enti locali, affinché possa essere verificata e accertata l'estraneità dell'operato dell'amministrazione comunale di Reggio Emilia rispetto a condizionamenti da parte della criminalità organizzata. (3-01981)


  SANTELLI e OCCHIUTO. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   di recente la regione Calabria è stata interessata da un’escalation di attentati e intimidazioni che ha raggiunto livelli a dir poco allarmanti;
   l'ennesimo episodio si è consumato nei giorni scorsi a Locri: all'interno del deposito della società di autolinee «Federico» un incendio ha distrutto 14 mezzi. Non sembrano esserci dubbi sulla natura dolosa del rogo, visto che sarebbe stata trovata una tanica con ancora tracce di benzina;
   si sta indagando per capire se, dietro l'intimidazione, c’è una richiesta estorsiva o soggetti legati alla criminalità organizzata. Le modalità, infatti, sono quelle che adotta la ’ndrangheta per piegare imprenditori e commercianti. La stessa società (che opera con oltre 200 dipendenti e 40 automezzi con corse di linea in tutta la Calabria) è stata tra l'altro oggetto di ben quattro attentati negli ultimi tre anni;
   a ciò si aggiungano i numerosi episodi intimidatori perpetrati a danno degli amministratori locali che operano nel territorio; sono i dati a confermare che il 60 per cento dei comuni calabresi ha denunciato episodi di micro e macro criminalità ai danni della pubblica amministrazione. Una percentuale che supera di gran lunga la soglia di sopportabilità per un Paese che si possa definire civile;
   lo stesso figlio del procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, uno dei magistrati maggiormente esposti nella lotta alla ’ndrangheta, è stato vittima di un episodio non ancora pienamente chiarito, che ha visto lo stesso essere contattato da falsi poliziotti;
   è necessario altresì rilevare la non più sopportabile carenza di organico degli uffici giudiziari calabresi: basta citare la direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, che ha competenza su quattro delle cinque province della Calabria, e su sette circondari, rappresentando il terzo distretto italiano, e che registra la presenza di soli sei magistrati. Un presidio, che dovrebbe vigilare su una situazione di criminalità che ha assunto rilievo nazionale per la sua pericolosità, tanto di radicamento nel territorio regionale quanto di collegamento ed estensione nell'intero territorio nazionale e transnazionale, non consente neanche la copertura minima dell'assegnazione di un magistrato per circondario. A tal proposito, una presa di posizione appare non più rinviabile: è pertanto necessario che lo stesso Ministero dell'interno intervenga con una puntuale segnalazione per procedere ad un'integrazione immediata dell'organico degli uffici giudiziari calabresi, senza dover attendere necessariamente la revisione delle piante organiche della magistratura –:
   quali misure effettive intenda adottare per innalzare il livello di attenzione sulla regione Calabria, per tutelare maggiormente gli amministratori locali e le imprese dopo gli attentati e le intimidazioni subite, nonché per garantire una maggiore presenza dello Stato in Calabria, e se, a tal proposito, il Governo intenda prevedere un'apposita riunione del Consiglio dei ministri da tenersi in territorio calabrese. (3-01982)


  LA RUSSA, RAMPELLI, CIRIELLI, MAIETTA, GIORGIA MELONI, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   risulta che i profughi ospitati presso la struttura della Croce rossa italiana di Bresso, in provincia di Milano, siano trasportati quasi quotidianamente da quella struttura verso la città di Forlì al fine di comparire davanti alla commissione per la concessione dello status di rifugiato;
   i mezzi di trasporto a tal fine utilizzati sono veicoli della Croce rossa italiana che, a causa di questo servizio, percorrono quasi quotidianamente oltre seicento chilometri tra andata e ritorno;
   il 20 novembre 2015 un mezzo della Croce rossa è incorso in un grave incidente in autostrada, nel quale gli occu- panti hanno subito gravi lesioni personali e a causa del quale il veicolo è andato distrutto;
   non appare chiaro chi sopporti i costi di tali trasferimenti e per quali motivi gli immigrati non siano trasferiti in luogo più vicino alla commissione incaricata di esaminare le loro domande d'asilo, o, viceversa, per quale motivo essi non siano assegnati ad altra commissione, ubicata in luogo più vicino, per la valutazione;
   nei trasferimenti è, inoltre, impropriamente impiegato anche il personale della Croce rossa, invece di svolgere le attività istituzionali dell'ente –:
   se sia informato dei fatti di cui in premessa e quali urgenti iniziative intenda assumere in merito. (3-01983)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LATTUCA e VILLECCO CALIPARI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di dicembre 2015 i vertici del Policlinico Umberto I di Roma e dell'Università statale «La Sapienza» di Roma, da cui dipende il dipartimento di medicina legale, hanno lanciato l'allarme concernente la situazione dell'obitorio e la necessità di garantire la massima efficienza della morgue;
   il direttore generale dell'Umberto I, e il Rettore dell'Università, hanno inviato una lettera al presidente dell'Ama, al commissario straordinario del Campidoglio, al prefetto di Roma e, per conoscenza, al capo della procura della Repubblica, per portarli a conoscenza della suddetta criticità;
   la causa di questa situazione è legata a un contenzioso insorto con l'Ama, la municipalizzata responsabile, in quanto dovrebbero essere gli addetti dell'azienda comunale ad attivare la polizia mortuaria e a procedere al seppellimento, ma ciò non avviene dal mese di luglio 2015;
   policlinico e università si sono fatte carico fino a oggi della custodia e conservazione delle salme anche di quelle che hanno già ricevuto il nulla osta della magistratura ai fini della sepoltura;
   a quanto risulta vi è la necessità di liberare le celle frigorifere subito, senza ulteriori indugi, in modo da ottenere la disponibilità di un numero congruo di posti (50-70), utili a fronteggiare qualsiasi evenienza, anche in considerazione della presenza di un allarme 2 in termini di sicurezza e per i rischi che esistono in relazione al Giubileo;
   il mancato rinnovo della convenzione tra Ama e medicina legale e l'incertezza amministrativa tra rinnovo o gara di appalto stanno di fatto determinando questa situazione;
   non può essere ignorata la necessità di procedere al riconoscimento dei cadaveri non identificati che giacciono presso gli istituti di medicina legale e gli obitori comunali; tra i quali quello di Piazzale del Verano, il cui elenco (1.421 i corpi registrati ad ottobre 2015) è contenuto nel registro nazionale dei cadaveri non identificati istituito nel 2007;
   è evidente che in una situazione del genere anche la necessità di avere un maggior numero di disponibilità si scontra con la questione del riconoscimento di persone scomparse;
   il suddetto problema è stato portato all'attenzione delle istituzioni competenti, in maniera articolata, dalla associazione Penelope che nel nostro Paese si occupa di persone scomparse e che, da tempo, si batte per ottenere il riconoscimento in capo ai familiari di scomparsi del diritto a confrontare il proprio dna con quello dei cadaveri non identificati –:
   se il Governo sia a conoscenza di tale criticità e quali iniziative di competenza intenda assumere in merito alla paradossale vicenda di Roma affinché le istituzioni coinvolte possano rapidamente procedere alla individuazione delle possibili soluzioni e, al contempo garantire il diritto di chi è alla ricerca di persone scomparse, consentendo procedure di identificazione attraverso prelievo del dna su base volontaria dei familiari ed evitando sbrigative sepolture dei cadaveri non identificati.
(5-07606)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BUENO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   recentemente il Parlamento ha preso in esame la problematica relativa al riconoscimento della cittadinanza italiana, finora regolamentata dalla legge del 5 febbraio 1992 «Nuove norme sulla cittadinanza» e dal decreto del Presidente della Repubblica 362 del 1994 «Regolamento recante disciplina dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana»;
   il 13 ottobre 2015, la Camera dei deputati a grande maggioranza: 310 sì, 66 no e 83 astenuti ha approvato e inviato, per l'approvazione definitiva, al Senato della Repubblica una proposta di legge contenente «Nuove norme in materia riconoscimento della cittadinanza italiana»;
   oggi la procedura di riconoscimento della cittadinanza, secondo la normativa vigente si dovrebbe concludere entro 730 giorni dalla data di presentazione dei relativi documenti, invece, in media ne passano molti di più e i richiedenti sono costretti ad aspettare fino a tre, quattro, addirittura cinque anni prima di ottenere l'esito della richiesta;
   si tratta di una situazione inaccettabile che di fatto limita le opportunità di quanti potrebbero accedere a concorsi pubblici, ad ottenere le prestazioni assistenziali, a votare alle elezioni politiche ed amministrative, a viaggiare senza dover chiedere visti: in poche parole concorrere appieno alla società civile in qualità di cittadino italiano;
   per ovviare a questa vera e propria discriminazione, è stata proposta nel febbraio 2012 una vera e propria class action al Tar del Lazio, promossa da Cgil, Inca, Federconsumatori e 109 richiedenti la cittadinanza italiana, per chiedere l'ottemperanza alle disposizioni di legge vigenti da parte delle amministrazioni statali nei procedimenti di concessione della cittadinanza italiana agli aventi diritto;
   si tratta di uno dei primi ricorsi allo strumento della azione collettiva (class action) introdotto di recente nel nostro ordinamento;
   il Tar del Lazio (sezione seconda quater) con sentenza del 26 febbraio 2014, nell'accogliere l'istanza dei richiedenti ha intimato al Ministero dell'interno di rispettare i tempi: cioè rispettare il termine dei 730 giorni entro i quali lo Stato deve concludere la procedura di riconoscimento della cittadinanza. Nonostante ciò, i tempi di attesa sono sempre di gran lunga superiori;
   la sentenza del Tar riconosce la «violazione generalizzata dei termini di conclusione del procedimento sull'istanza di rilascio della concessione della cittadinanza italiana» e intima al Ministero dell'interno di «porre rimedio a tale situazione mediante l'adozione degli opportuni provvedimenti entro il termine di un anno»;
   questa sentenza, oltre a rappresentare un passaggio importante delle legittime aspettative di quanti chiedono il riconoscimento di un proprio diritto fondamentale come quello della cittadinanza, indica soluzioni idonee ad ottemperare, nei tempi prestabiliti, nella conclusione dell'iter di richiesta di cittadinanza come: modalità di utilizzo delle risorse economiche (200 euro per ogni richiedente), eliminazione di prassi burocratiche che impongono la presentazione di documentazione inutile o addirittura la ripresentazione di certificati che, a causa dei ritardi e delle responsabilità degli enti coinvolti, nel frattempo scadono. In molti casi, basterebbero la digitalizzazione delle informazioni amministrative e il collegamento in rete dei diversi uffici preposti all'iter per il rilascio della cittadinanza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali siano i suoi orientamenti al riguardo;
   quali iniziative urgenti intenda adottare per far sì che gli uffici ministeriali ottemperino alla sentenza del Tar del Lazio, sia per quanto riguarda il rispetto dei tempi, sia per lo snellimento burocratico dell'iter di riconoscimento della cittadinanza italiana. (4-11906)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 29 gennaio 2016 a Napoli, e per la precisione all'ingresso del liceo «Elio Vittorini», alcuni studenti sono stati violentemente aggrediti;
   gli autori dell'aggressione, avvenuta immediatamente prima dell'inizio delle lezioni, sono stati identificati come alcuni attivisti di Blocco Studentesco, organizzazione studentesca dichiaratamente neofascista e collegata al movimento politico CasaPound, anch'esso dichiaratamente neofascista;
   uno degli studenti aggrediti è rimasto a terra privo di sensi a causa di un violento colpo alla testa;
   poche ore dopo, all'uscita da scuola, altri tre studenti sono stati vittima di un agguato da parte di tre attivisti di CasaPound nei pressi della vicina stazione della metropolitana «Rione Alto»;
   gli aggressori erano armati di martelli e bastoni su cui apparivano simboli e stemmi di chiara derivazione fascista;
   i tre studenti colpiti sono stati feriti gravemente al capo e al volto;
   non è la prima volta che a Napoli militanti e simpatizzanti di CasaPound si macchiano di vili atti di violenza a sfondo politico;
   poche settimane fa a via Caldieri, nella stessa municipalità di Napoli una ragazza era stata aggredita da alcuni attivisti neofascisti, salvandosi solo per l'intervento di un passante;
   negli ultimi anni non si contano più, inoltre, le aggressioni ai danni di studenti etichettati «di sinistra» nell'area che va da via Foria a piazza Carlo III, in pieno centro storico di Napoli;
   nella stessa zona CasaPound ha una sede;
   il comune denominatore di queste violenze è sempre l'appartenenza degli aggressori a CasaPound;
   la costituzione di movimenti politici dichiaratamente e direttamente ispirati al fascismo è vietata –:
   quali iniziative intenda assumere per evitare il ripetersi di ulteriori atti di violenza. (4-11907)


   CRISTIAN IANNUZZI, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI e BASILIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la stampa nazionale e locale, da anni, rivela come nel basso Lazio, in particolare nei comuni di Formia, Gaeta, Fondi, Itri e Sperlonga si assista a fenomeni speculativi fuori norma, grazie anche a massicci investimenti immobiliari, di probabile provenienza illecita, specialmente nel settore edilizio – turistico, che hanno comportato la distruzione di bellezze naturali di inestimabile valore ambientale e naturalistico;
   già nel 2010, all'apertura dell'anno giudiziario, il presidente della corte d'appello di Roma, Giorgio Santacroce, riprendendo quanto già affermato dall'ex procuratore nazionale antimafia Luigi De Ficchy, evidenziava che la mafia investe nel turismo, nelle attività alberghiere e nella ristorazione e che la provenienza dei capitali costituisce l'elemento fondamentale per il monitoraggio delle infiltrazioni della malavita organizzata;
   nell'articolo «Programma integrato per costruire villette. Dimenticati servizi ed edilizia sociale», apparso sul quotidiano Latina Editoriale Oggi in data 18 luglio 2015, viene mostrato come il piano integrato del 2002 avrebbe potuto rappresentare un'occasione per dotare Sperlonga di opere e servizi necessari per gli abitanti e riportato quanto evidenziato dal gip Mara Mattioli, nel decreto di sequestro: in generale, al piano regolatore si sono autorizzati interventi di edilizia speculativa in una percentuale volumetrica di gran lunga superiore rispetto a quella residenziale pubblica». Il programma integrato la cui approvazione è molto più semplice rispetto ad una variante urbanistica sarebbe stato usato, quindi, per eludere la procedura ordinaria di variante;
   come dichiarato dall'articolo «Marcianise e dintorni» pubblicato in data 17 luglio 2015 sul quotidiano Latina Editoriale oggi, Sperlonga non è immune da fenomeni di penetrazioni malavitose Vengono così ricordati i sequestri e le confische di beni immobili operati su ordine delle direzioni distrettuali antimafia nei confronti di appartenenti al clan del casalesi (Cipriano Chianese, re del traffico illecito di rifiuti in Campania) e manifestate preoccupazioni circa il massiccio investimento di capitali nel Piano Integrato oggetto di sequestro, da parte di numerosi soggetti e società di provenienza campana, anche in riferimento all'emergere dalle utenze, di cognomi famosi negli annali della criminalità organizzata casertana e campana;
   il comune di Sperlonga è stato gestito per oltre 25 anni, direttamente ed indirettamente da Armando Cusani, prima vice-sindaco e poi sindaco di Sperlonga dall'anno 1996 all'anno 2006, consigliere comunale e capogruppo di maggioranza dai 2006 al 2014, presidente della provincia di Latina dal 2007 al 2013, anno in cui è stato sospeso in conseguenza del decreto prefettizio per applicazione della «legge Severino».
   Cusani, sembra si sia avvantaggiato dei rapporti interpersonali intercorrenti con funzionari e sindaci succedutesi e, del sostanziale vincolo di subordinazione e asservimento degli stessi al medesimo, tale da garantirsi il controllo delle attività comunali e del territorio attraverso la nomina di suoi sodali nei punti chiave dell'amministrazione comunale (sindaco, vice-sindaco, assessori e consiglieri). La stampa, riferendosi a tali fatti, a coniato la denominazione di «sistema Cusani»;
   secondo l'articolo «Sperlonga, 50 sequestri di cantieri», apparso sul Quotidiano di Latina del 15 luglio 2015, dopo anni di denunzie rimaste inascoltate, solo nel luglio 2015, grazie anche ad uno specifico esposto presentato da appartenenti all'Associazione Caponnetto, la procura della Repubblica di Latina, ha sequestrato una vasta area di circa 150.000 metri quadrati e indiziato di reato l'allora sindaco Armando Cusani il responsabile dell'ufficio tecnico comunale Antonio Faiola e il progettista storico del comune, architetto Conte dello studio Tecnè di Fondi. A giudizio della procura di Latina si sarebbe proceduto alla creazione abusiva di una vasta area lottizzata, approvata in modo illegittimo dal consiglio comunale, ed alla trasformazione di un'area destinata a parcheggio in area edificabile. Di tutto ciò, ne avrebbero goduto illegittimamente il Cusani e l'attuale sindaco pro-tempore, che ivi, hanno realizzato un palazzo e un albergo, il «Ganimede»;
   per meglio inquadrare il clima di illegalità diffusa esistente nell'amministrazione del comune di Sperlonga, gli interroganti evidenziano che l'albergo «Grotta di Tiberio» in località Angolo, di proprietà del Cusani, pur essendo stato dichiarato totalmente illegale da una sentenza della Corte di cassazione (sent. n. 6768/14 della 3a sez. penale C.C.) ed essendo parte di una lottizzazione abusiva sempre sancito da parte della stessa Cassazione, non risulta agli interroganti oggetto di alcun provvedimento di confisca amministrativa o di abbattimento da parte del comune, né la regione Lazio, ancorché diffidata in tal senso dai soggetti interessati, applica i suoi poteri sostitutivi previsti dalla legge n. 47 del 1985;
   sembra che anche la Marina di Bazzano a Sperlonga, 80.000 metri quadrati di terreno fronte mare su una delle più belle spiagge del Lazio, di proprietà privata, sia entrata nel mirino di questo giro di interessi con l'illegittimo tentativo di espropriazione messo in atto da personaggi legati a Cusani in cui si adombrano fini di espansionismo edilizio di dubbia pubblica utilità;
   secondo l'articolo del Giornale di Latina del 2 Gennaio 2015 «Mazzette Sperlonga trema» risulterebbe che diversi imprenditori, davanti ai p.m. Giuseppe Miliano e Valerio De Luca e in presenza dei carabinieri avrebbero dichiarato di aver ottenuto permessi edilizi illegali dietro pagamento di mazzette o elargendo immobili a costo zero ad amministratori pubblici;
   incuriosito da un atto, affisso all'albo pretorio del comune di Sperlonga (Latina), per il pagamento di diecimila euro a un legale incaricato di presentare dieci esposti-querela per diffamazione a mezzo stampa presso il tribunale di Latina, Federico Domenichelli, giornalista di Latina Editoriale Oggi, il 7 dicembre 015 ha scoperto di essere proprio lui il destinatario di otto delle dieci denunce, mentre le altre due riguardano la giornalista Graziella di Mambro, sua collega. Le querele sono tutte del sindaco facente funzione Francescoantonio Faiola e riguardano gli articoli – inerenti all'urbanistica del borgo e alla costruzione di Sperlonga 2, la zona all'ingresso nord della città sequestrata a giugno 2015 per lottizzazione abusiva e sotto inchiesta della procura – che sono stati pubblicati tra novembre 2014 e maggio 2015, in parte su Il Quotidiano di Latina, giornale che ha cessato le pubblicazioni a gennaio 2015, e in parte su Latina Editoriale Oggi per il quale lavorano entrambi i giornalisti –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra riportato;
   se il Governo intenda valutare se sussistano i presupposti per avviare le iniziative di competenza ai sensi degli articoli 141 e seguenti del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, alla luce dei gravi fatti descritti in premessa che riguardano il comune di Sperlonga;
   quali iniziative, per quanto di competenza, ritengano opportuno adottare al fine di garantire la libertà di stampa e la libertà d'espressione e di tutelare chi è addetto a informare l'opinione pubblica;
   se il Governo non ritenga di intervenire immediatamente, nell'ambito delle proprie competenze, adottando iniziative volte a tutelare l'area protetta, gravata dal vincolo dell'attiguo parco naturale, e a sollecitare l'intervento della Soprintendenza per effettuare i dovuti controlli;
   se il Governo intenda valutare se sussistano i presupposti per segnalare i fatti di cui in premessa alla Corte dei Conti per accertare l'eventuale danno erariale e la relativa entità, causato delle condotte illecite sopra denunciate.
(4-11909)


   LAVAGNO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il movimento politico italiano CasaPound Italia nasce in qualità di primo centro sociale di ispirazione fascista il 26 dicembre 2003 a Roma, con l'occupazione di uno stabile nel rione Esquilino. Successivamente, il fenomeno, diffondendosi con ulteriori occupazioni, mobilitazioni e iniziative di vario genere, divenne un movimento politico. Nel giugno del 2008 CasaPound si costituisce come associazione di promozione sociale ed assume l'attuale denominazione CasaPound Italia-Cpi. Pur non riconoscendosi ufficialmente nelle definizioni classiche di destra e sinistra, Cpi viene comunemente inserita nel panorama dei gruppi e movimenti politici della destra radicale italiana;
   il nome, ispirato al poeta Ezra Pound, fa particolare riferimento ai suoi Cantos contro l'usura, alle posizioni economiche di critica tanto al capitalismo, quanto al marxismo ed alla sua adesione alla Repubblica Sociale Italiana. I riferimenti politici dell'associazione sono più precisamente legati all'ideologia fascista, con particolare attenzione al Manifesto di Verona, alla Carta del Lavoro ed alla legislazione sociale del Fascismo stesso. Il simbolo scelto è una tartaruga stilizzata, dal guscio ottagonale;
   l'associazione CasaPound, come si legge sul sito www.casapound.org, «si propone di sviluppare in maniera organica un progetto ed una struttura politica nuova, che proietti nel futuro il patrimonio ideale ed umano che il Fascismo italiano ha costruito con immenso sacrificio»;
   nel suo programma, al punto 18, si propone di riscrivere la Costituzione: «La Costituzione della Repubblica Italiana va riscritta. Essa è opera di uomini che la compilavano all'indomani della guerra civile ed adempivano a quel compito nella scia dei carri armati stranieri»;
   i suoi esponenti, in numerose interviste e comunicati, si definiscono «fascisti del terzo millennio» e si rifanno esplicitamente al programma di San Sepolcro, elaborato da Mussolini nel marzo 1919, con il quale furono fondati i Fasci di combattimento, e alla Repubblica di Salò;
   la prima occupazione fatta, utilizzando il nome CasaPound, fu quella del 26 dicembre 2003 a Roma da parte di un gruppo di giovani facente riferimento all'area ONC/OSA (acronimo di «Occupazioni Non Conformi e Occupazioni a Scopo Abitativo») e provenienti dall'esperienza precedente di CasaMontag, alle porte di Roma. L'edificio, un ex palazzo governativo al n. 8 di via Napoleone III, è diventato in seguito la sede nazionale del movimento e dell'associazione CasaPound Italia;
   nel 2006, CasaPound decise di entrare nel partito Movimento sociale – Fiamma Tricolore. Il periodo è contraddistinto da azioni dimostrative, come l'assalto alla «bolla» del programma televisivo Grande Fratello nel 2008 a Roma, insieme ad altre occupazioni di edifici. Nel 2008, per protesta contro la mancata organizzazione di un congresso nazionale, CasaPound occupò la sede centrale romana della Fiamma Tricolore, venendone espulsa;
   un articolo pubblicato dal quotidiano la Repubblica edizione romana, in data 23 marzo 2009, a firma Rori Cappelli dal titolo «CasaPound, slogan choc contro i disabili», si dà conto di come militanti di CasaPound avessero esibito uno striscione con la dicitura «travestiti da disabili, ma con le pance piene, siete sempre e solo iene». La giornalista, nell'articolo, riporta la reazione di un ragazzo minorenne down il quale alla vista dello striscione, piangente, dice «io non sono travestito da disabile, io sono down»;
   l'articolo pubblicato dal quotidiano la Repubblica del 6 febbraio 2009, a firma del giornalista Paolo Berizzi, narra di come un circolo neofascista milanese denominato «Cuore Nero» e gemellato con CasaPound, avesse pubblicato una fanzine, la cui copertina rappresentava un brindisi all'olocausto. Un fotomontaggio, al posto della famigerata scritta «il lavoro rende liberi» posta sopra il varco di accesso al campo di sterminio di Auschwitz, compare «Cuore nero brewery»: letteralmente, «Birrificio Cuore nero». La copertina è del numero di giugno 2008;
   in altra occasione, un esponente di CasaPound, consigliere della circoscrizione ovest di Prato per il partito delle libertà, inneggiava ad Adolf Hitler, come risulta dall'articolo pubblicato il 23 aprile 2011, pubblicato sul sito del quotidiano «Il Tirreno» dal titolo «Consigliere del PDL fa l'elogio di Hitler»;
   altro episodio di xenofobia e razzismo si è verificato in occasione dell'anteprima nazionale dello spettacolo teatrale di Ascanio Celestini dal titolo: «Il razzismo è una brutta cosa», tenutasi a Viterbo il 24 settembre 2009. In quella occasione, CasaPound Viterbo, con numerose scritte murali attaccò l'assessore provinciale Picchiarelli, il consigliere Riccardo Fortuna e l'attore Ascanio Celestini; volantini vennero affissi sui muri della città e buttati dentro la sede dell'Arci di Viterbo: le scritte murali ed i volantini attaccavano le persone, ma in realtà il bersaglio politico era lo spettacolo di Ascanio Celestini contro il razzismo;
   nel gennaio 2013, un'inchiesta della procura di Napoli portava all'arresto di 7 esponenti di CasaPound e all'applicazione dell'obbligo di dimora per altri 3 nelle città di Napoli, Salerno e Latina. In rete è possibile reperire diversi articoli sulla vicenda, pubblicati dal quotidiano Corriere del Mezzogiorno tra il 24 ed il 29 gennaio 2013, nei quali si dà conto della vicenda, al di là degli sviluppi processuali, di cui pure si dirà, ciò che interessa è quanto emerge dalle intercettazioni captate tra gli aderenti di CasaPound, i quali esprimono chiaramente sentimenti antisemiti: si arriva a dire di voler violentare una studentessa ebrea, che gli ebrei con la kippah fanno schifo, altri dicono che le camere a gas non sono esistite, ma non bisogna dirlo pubblicamente, altri discutono del «Mein Kampf» di Adolf Hitler e si ricostruiscono episodi di pestaggi ai danni di giovani di sinistra in occasione di una campagna elettorale;
   nel 2014 è accaduto che, a seguito del diffondersi di una falsa notizia relativa ad una presunta aggressione compiuta da nomadi, gli aderenti al «Blocco studentesco», articolazione di CasaPound, hanno di fatto impedito a 90 ragazzi e ragazze del campo nomadi di Via Cesare Lombroso a Roma di recarsi, rispettivamente, alle scuole materne, elementari e medie. I giovani di CasaPound, si sono presentati in circa 500, esibendo uno striscione con su scritto «No alle violenze dei Rom. Alcuni italiani non si arrendono», accendendo fumogeni e scandendo cori contro i nomadi. Tale iniziativa venne stigmatizzata dall'allora vice-Sindaco di Roma, che ha visto la partecipazione di 500 persone di fronte alle quali i genitori dei bambini non si sono sentiti sicuri di uscire, un gesto meschino, un atto di razzismo che va contro ogni principio democratico»;
   la senatrice Albertina Soliani presentò in due occasioni atti di sindacato ispettivo durante la XVI Legislatura: in data 22 dicembre 2009, l'interrogazione n. 4-02467 e, in data 15 maggio 2012, l'interrogazione n. 3-02858 per eventi di violenza avvenuti nella città di Parma. Dalle risposte ai due atti si evidenzia come il Governo intendesse porre la massima attenzione nel prevenire e reprimere tutte le iniziative dei gruppi e movimenti politici, sia di estrema destra che di estrema sinistra, che possano sfociare in episodi di violenza. In riferimento all'attività di CasaPound è stato affermato che l'associazione, nel tempo, ha organizzato diverse manifestazioni, tra cui la presentazione di opere letterarie di revisionismo storico sul fascismo e volantinaggi denigratori della Resistenza;
   per quanto concerne gli esiti dell'azione di contrasto nei confronti dell'estremismo di destra, nell'ultimo anno sono stati arrestati 11 militanti e ne sono stati denunciati 147. In particolare, nel novembre 2011, la Digos di Roma ha arrestato un noto elemento di CasaPound, tuttora sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, accusato di una violenta aggressione nel quartiere romano di Montesacro contro alcuni militanti di opposto orientamento intenti ad affiggere manifesti. Il successivo 19 marzo, la Digos di Lecce ha dato esecuzione a quattro ordinanze di custodia cautelare in carcere a carico di elementi, sempre di CasaPound, accusati di aggressione ai danni di un militante leccese di diversa ideologia politica;
   da quanto si apprende, un documento (protocollo N.224/SIG. DIV 2/Sez.2/4333) della Direzione centrale della Polizia di prevenzione, che porta la data dell'11 aprile 2015, con sigla in calce del direttore centrale, prefetto Mario Papa, allegato dal legale di CasaPound Italia in una causa civile che oppone la figlia di Ezra Pound, signora Mary Pound, vedova de Rachewiltz, a Gianluca Iannone, definisce CasaPound un sodalizio di giovani molto disciplinati, con «uno stile di militanza fattivo e dinamico, ma rigoroso nel rispetto delle gerarchie interne», sospinti dal dichiarato obiettivo «di sostenere una rivalutazione degli aspetti innovativi e di promozione sociale del ventennio»;
   nel testo della informativa non viene, a giudizio dell'interrogante opportunamente, mai citato il termine Fascismo, né tantomeno si precisa che fu una dittatura; al suo posto si usa un sinonimo neutralizzante come «ventennio», di cui si dà acriticamente atto della possibilità di rivalutarne «gli aspetti innovativi di promozione sociale»;
   la nota informativa descrive l'attività del Movimento, quasi esaltando «l'impegno primario» di CasaPound volto alla «tutela delle fasce deboli attraverso la richiesta alle amministrazioni locali di assegnazione di immobili alle famiglie indigenti, l'occupazione di immobili in disuso, la segnalazione dello stato di degrado di strutture pubbliche per sollecitare la riqualificazione e la promozione del progetto “Mutuo Sociale”», «lo stile di militanza fattivo e dinamico ma rigoroso nel rispetto delle gerarchie interne» e che ha l'obiettivo «di sostenere una rivalutazione degli aspetti innovativi e di promozione sociale del ventennio», e poi «l'attenzione del sodalizio è stata rivolta anche alla lotta al precariato ed alla difesa dell'occupazione, attraverso l'appoggio ai lavoratori impegnati in vertenze occupazionali e le proteste contro le privatizzazioni delle aziende pubbliche, in passato predominio esclusivo della contrapposta area politica, quali il sovraffollamento delle carceri, o la promozione di campagne animaliste contro la vivisezione e l'utilizzo di animali in spettacoli circensi». Si racconta poi del collegamento tra CasaPound e la nuova Lega Nord di cui si condividono le istanze di sicurezza e l'opposizione alle politiche immigratorie attraverso la creazione del cartello elettorale denominato «Sovranità»;
   pur affermando che «all'interno del movimento militano elementi inclini all'uso della violenza» la nota sembra, a giudizio dell'interrogante, voler relegare la natura violenta di cui, come si è visto, è costellata la storia di CasaPound, quasi esclusivamente all'ambito sportivo, luogo tra gli altri di proselitismo all'interno delle tifoserie ultras, dove «l'elemento indentitario si coniuga a quello sportivo divenendo spesso il pretesto per azioni violente nei confronti di esponenti di opposta ideologia anche fuori dagli stadi» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle problematiche sopra esposte;
   se esista una mappatura delle sedi e delle iniziative di CasaPound su tutto il territorio nazionale e se, in caso negativo, il Ministro interrogato abbia intenzione di predisporla;
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, intenda intervenire prontamente adottando una posizione di netta contrarietà al testo della informativa della direzione centrale della polizia N.224/SIG. DIV 2/Sez.2/4333, verificando eventuali responsabilità affinché si riaffermino con decisione i principi fondanti della Repubblica italiana;
   quali iniziative di competenza intenda assumere per impedire la diffusione di una propaganda ad avviso dell'interrogante di chiara ispirazione neofascista, razzista e xenofoba e manifestamente contraria ai valori costituzionali. (4-11912)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   il comma 114 dell'articolo 1 della legge 107 del 2015 ha previsto l'indizione di un concorso per titoli ed esami per l'assunzione di personale docente entro il 1o dicembre 2015;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha disatteso il termine ordinatorio fissato per l'adozione del bando di concorso dalla disposizione richiamata; la principale causa del ritardo è stata la scelta di procedere preventivamente alla modifica delle classi di concorso;
   la fretta e la superficialità hanno guidato, secondo gli interpellanti, la stesura degli atti presupposti all'indizione del concorso come dimostra la scelta della stessa sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato, nella seduta del 10 settembre 2015, di sospendere l'esame dello schema di regolamento recante la razionalizzazione e l'accorpamento delle classi di concorso e richiedere al Governo una relazione integrativa ove «l'Amministrazione chiarisca l'iter logico seguito nella elaborazione delle proprie scelte ai fini della definizione delle tabelle allegate al provvedimento in esame»;
   la relazione integrativa inviata dal Governo non ha pienamente soddisfatto il Consiglio di Stato che nell'esprimere il parere, nella seduta del 22 ottobre 2015, ha auspicato rilevanti modifiche rilevando «come la attuale formulazione dello schema di regolamento, al di là delle argomentazioni contenute nella relazione integrativa trasmessa dall'amministrazione non sembri adeguatamente garantire la salvaguardia delle posizioni e dei titoli acquisiti per effetto dei percorsi formativi sino ad ora in vigore, né di conseguenza le posizioni degli insegnanti attualmente inseriti nelle graduatorie. Non sembra, invero, sufficiente ad assicurare tale salvaguardia la previsione, indicata dall'Amministrazione, della possibilità da parte dei docenti accorpati di poter insegnare nella nuova classe di concorso e, di conseguenza, di poter partecipare alle prossime procedure concorsuali, non facendosi cenno nel provvedimento di quale sorte subiranno le posizioni dei docenti già inseriti in valide graduatorie al momento della entrata in vigore del regolamento»;
   lo stesso schema di regolamento è stato, peraltro, adottato senza che si procedesse alle prescritte, in base al combinato disposto dell'articolo 14 della legge 246 del 2005 e dell'articolo 6 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 170 del 2008, procedure di consultazione come risulta dall'Analisi d'impatto della regolamentazione, redatta dallo stesso Ministero ed allegata al provvedimento trasmesso alle Commissioni parlamentari per l'espressione del parere;
   rilevanti sono state, inoltre, le condizioni e le osservazioni apposte dalla stessa maggioranza parlamentare al parere favorevole. Nonostante l'approvazione definitiva in Consiglio dei ministri sia avvenuta il 20 gennaio 2016 il testo definitivo non è ancora stato pubblicato;
   un iter, se possibile, ancor più travagliato sta seguendo il bando di concorso. Nonostante i continui annunci e il tempo trascorso dal termine fissato dalla legge n. 107 circolano solo bozze informali. Formale, al contrario, è il parere espresso dal Consiglio superiore della pubblica istruzione il 28 gennaio 2016 ove le osservazioni critiche riguardano, per un verso, questioni simmetriche rispetto a quanto rilevato dal Consiglio di Stato rispetto alla necessità di tutelare tutti i soggetti potenzialmente destinatari del provvedimento. Il CSPI dubita, infatti, della legittimità della scelta di riservare il concorso ai docenti abilitati, con riferimento, in particolare, agli insegnanti tecnico-pratici per i quali non è mai stato attivato un percorso abilitante ordinario nonché alla questione relativa alle classi di concorso di nuovissima istituzione per le quali naturalmente non vi sono ancora abilitati. Lo stesso parere con riferimento alle prove d'esame e a programmi rileva:
    a) l'assenza di qualsivoglia riferimento alla normativa relativa agli studenti con disturbi specifici dell'apprendimento;
    b) sui contenuti delle prove, addirittura «si suggerisce di rivedere tutto l'allegato»;
    c) sugli aspetti nozionistici-disciplinari, si lamenta la prevalenza dell'aspetto nozionistico a discapito delle competenze didattiche, metodologiche e relazionali;
    d) sulle prove in lingua inglese, si chiede di ridurre l'incidenza della verifica della conoscenza di una lingua straniera;
   sulla valutazione dei titoli e del servizio, si lamenta l'esiguità del punteggio riconosciuto al servizio (0,5 per anno), la paradossale attribuzione di 0 punti in caso di abilitazione conseguita con un punteggio inferiore a 75 a fronte dell'attribuzione di 2,5 punti in tutti i casi in cui non sia indicato alcun punteggio nonché l'eccessivo valore riconosciuto alle pubblicazioni scientifiche;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 dicembre 2015 si è provveduto ad autorizzare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ad avviare le procedure di reclutamento a tempo indeterminato per n. 63712 unità di personale docente della scuola, per il triennio 2016/2018, ai sensi dell'articolo 35, comma 4 del decreto legislativo n. 165 del 2001;
   il numero di unità da assumere è stato individuato a seguito della nota firmata dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, protocollo n. AOOUFGAB.31764 del 3 novembre 2015, con la quale si chiede l'autorizzazione ad avviare la procedura concorsuale di cui sopra al fine di assumere a tempo indeterminato n. 63712 docenti di cui n. 52828 docenti comuni, n. 5766 docenti di sostegno e n. 5118 posti di potenziamento;
   non essendo stata la citata nota del Ministro pubblicata online, non è possibile conoscere i dati del fabbisogno stimato, sulla base dei quali il Governo ha calcolato le unità da assumere;
   la legge 27 dicembre del 1997, n. 449, al comma 3, prevede che il Consiglio dei ministri provveda alla individuazione del numero massimo complessivo delle assunzioni anche in funzione delle cessazioni relative all'anno precedente;
   la legge n. 107 del 13 luglio 2015 prevede, inoltre, al comma 181, lettera b) dell'articolo 1, tra le diverse deleghe, quella relativa al «Riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria»;
   successivamente al concorso a cattedra del 2016, secondo quanto contenuto nel testo della succitata delega inserita nella legge n. 107 del 2015 l'accesso alla professione di docente non avverrà più, attraverso i percorsi abilitanti tuttora vigenti, bensì sostenendo nuove tipologie di concorsi a cui seguiranno periodi di tirocinio a scuola di durata triennale;
   in fine, il comma 131 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015 stabilisce che, a decorrere dal 1o settembre 2016, i contratti di lavoro a tempo determinato stipulati con il personale docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario presso le istituzioni scolastiche ed educative statali, per la copertura di posti vacanti e disponibili, non possono superare la durata complessiva di trentasei mesi, anche non continuativi –:
   quali iniziative intenda assumere per dar seguito ai pareri espressi dagli organi consultivi;
   quale sia il numero di pensionamenti stimati, nel triennio 2017/2019, del personale docente della scuola;
   quanti contratti di supplenza annuale al 30 giugno 2016 o al 31 agosto 2016, compresi i posti di sostegno, siano stati assegnati;
   quali siano stati i criteri utilizzati per la quantificazione in 63712 delle unità di personale docente da assumere per il triennio 2016/2018;
   quale sia il numero dei docenti ancora iscritti nelle graduatorie ad esaurimento ed in che tempi e con quali modalità si procederà alla loro assunzione;
   se non ritenga opportuno prevedere una fase transitoria nel periodo intercorrente tra il concorso 2016 e l'entrata in vigore del nuovo sistema di formazione e reclutamento dei docenti, al fine di garantire la copertura dell'intero fabbisogno delle istituzioni scolastiche e di valorizzare, garantendo nuove procedure concorsuali, le competenze dei docenti in possesso di abilitazione.
(2-01249) «Chimienti, Vacca, Luigi Gallo, Simone Valente, Marzana, Brescia, D'Uva, Di Benedetto, Agostinelli, Alberti, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Ciprini, Colletti, Colonnese».

Interrogazioni a risposta immediata:


  SANTERINI. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto ministeriale n. 850 del 2015 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha emanato le disposizioni per le attività di formazione e dell'anno di prova dei docenti neo assunti;
   i succitati docenti neo assunti in ruolo sono tenuti a espletare tali attività ai fini dell'immissione definitiva in ruolo;
   si tratta di una scelta doverosa e che sottolinea l'importanza della formazione dei docenti neo assunti;
   lo stesso vale, però, anche per i docenti che abbiano richiesto e ottenuto, con le operazioni di mobilità, un passaggio di ruolo;
   il decreto ministeriale è stato emanato in applicazione dei commi da 115 a 120 della legge n. 107 del 2015, detta comunemente «Buona Scuola»;
   la stessa legge richiama gli articoli 437, 438 e 439 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 297 del 1994 in quanto compatibili con le nuove norme approvate a luglio 2015;
   in base al decreto legislativo n. 297 del 1994 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha sempre dato indicazioni per l'anno di formazione e di prova dei docenti, distinguendo tra docenti neo immessi in ruolo per la prima volta e docenti che già di ruolo avevano ottenuto il passaggio in altro ruolo o in altro insegnamento;
   per richiedere il passaggio sopra ricordato, il docente di ruolo doveva aver svolto la formazione iniziale nell'anno di nomina ed era soggetto al giudizio di conferma da parte del dirigente, sentito il comitato di valutazione;
   in caso di giudizio sfavorevole poteva essere restituito al ruolo di provenienza;
   vi era, come detto, una chiara distinzione tra docenti appena nominati e docenti che avevano chiesto ed ottenuto il passaggio;
   al contrario, le disposizioni del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca obbligano oggi anche i docenti, che hanno ottenuto il passaggio, alla frequenza e allo svolgimento di tutte le attività formative dei neo immessi in ruolo;
   tra queste attività è prevista anche la ripetizione dell'anno di prova, già svolto, come detto sopra, al momento dell'assunzione a tempo indeterminato, nonostante i docenti che hanno ottenuto il passaggio abbiano già effettuato l'anno di prova necessario e siano stati immessi in ruolo da tempo;
   da sempre in caso di passaggio ad altro ruolo il docente ha avuto l'obbligo di 180 giorni di servizio per superare l'anno di prova, ma non è stato mai obbligato, come invece si prevede ora, all'intera ripetizione dell'anno di prova;
   che il docente che per la prima volta è nominato in ruolo sia tenuto alla formazione iniziale e al superamento dell'anno di prova è indiscutibile ed è coerente con tutte le norme del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e del pubblico impiego;
   tuttavia, in questo caso i docenti che passano da un ruolo all'altro sono assimilati ai docenti neo nominati, obbligando i primi a ripetere l'anno di prova;
   il decreto ministeriale n. 850 del 2015 citato in precedenza proprio per questo è stato impugnato dai sindacati rappresentativi della scuola davanti al Tar Lazio, ma sembra necessario non attendere la risposta della magistratura per affrontare concretamente la vicenda;
   si ricorda che la legge n. 107 del 2015 non interviene nel merito, anzi il Ministero stesso aveva escluso l'anno di formazione dalla replica per i docenti già di ruolo nel caso di passaggio ad altro ordine di scuola –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda predisporre per evitare che docenti che già hanno effettuato tutte le attività formative necessarie debbano ripetere l'anno di prova. (3-01975)


  GALATI, PARISI e ABRIGNANI. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   ha suscitato forte turbamento, negli scorsi giorni, la notizia di una maestra coordinatrice di una scuola statale per l'infanzia di Pavullo, in provincia di Modena, arrestata a seguito di ordinanza di custodia cautelare del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Modena perché ritenuta responsabile di maltrattamenti aggravati sui bambini a lei affidati, di età compresa tra i 3 ed i 5 anni. Si tratta di un fatto ancora in fase di accertamento il quale però si configura quale campanello d'allarme rispetto alla questione della violenza nelle scuole e nelle altre strutture educative statali. Milioni di bambini trascorrono infatti più tempo a contatto con gli adulti nelle strutture scolastiche che in qualsiasi altro posto fuori dall'ambiente familiare, pertanto è indispensabile che lo Stato adotti tutte le misure necessarie a garantire che la disciplina scolastica sia impartita in modo da assicurare l'integrità fisica e morale dei bambini nel momento in cui sono affidati alle strutture scolastiche ed educative, istituzionali e statali;
   sul caso di Pavullo è dunque necessario che il Ministro interrogato faccia chiarezza e che, in caso di accertamento del reato, l'amministrazione pubblica assicuri, oltre che i profili di risarcimento per i danni fisici e morali ai danni dei bambini e delle famiglie coinvolte, che restano da quantificare, anche un provvedimento sanzionatorio esemplare e che il Ministero adotti tutte le misure necessarie a prevenire con opportuni provvedimenti il ricorso a metodi violenti da parte degli insegnanti nei confronti dei bambini;
   il contrasto alla violenza sui bambini in ogni forma ed in ogni luogo, ed in special modo all'interno di strutture statali e pubbliche, è di una questione cruciale, al pari dei provvedimenti adottati per contrastare la violenza sulle donne, che deve essere affrontata prioritariamente per tutelare la società civile in un momento essenziale come quello educativo e scolastico –:
   quali provvedimenti il Ministro interrogato ritenga di poter adottare per contrastare ogni forma di violenza contro i bambini all'interno delle istituzioni scolastiche e per prevenire con opportune forme di controllo e prevenzione la tutela dell'integrità fisica e morale dei bambini. (3-01976)


  CAROCCI, COSCIA, ROCCHI, MALPEZZI, ASCANI, D'OTTAVIO, GHIZZONI, BOSSA, SGAMBATO, MALISANI, VENTRICELLI, PES, RAMPI, MANZI, BLAZINA, COCCIA, CRIMÌ, DALLAI, NARDUOLO, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con le emissioni di gennaio 2016 il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, in accordo con il Ministero dell'economia e delle finanze, ha erogato gli stipendi per le supplenze brevi e saltuarie dei docenti precari relative ai mesi di ottobre, novembre e dicembre 2015. Tuttavia, la procedura e i criteri di tassazione applicati hanno penalizzato alcuni docenti;
   le competenze, infatti, sono state assoggettate a tassazione separata, ciò significa che è stato preso in considerazione il solo reddito medio percepito nei due anni precedenti ed è stato escluso il riconoscimento delle detrazioni fiscali spettanti, come, ad esempio, quelle relative alla cosiddetta «produzione del reddito», quelle spettanti per gli eventuali carichi familiari, o anche quelle concernenti l'applicazione di quanto previsto dal decreto-legge n. 66 del 2014 circa il bonus di 80 euro che è, peraltro, attribuito dal sistema in automatico così come previsto dalle linee guida «NoiPA»;
   chi sembra essere maggiormente colpito da tale meccanismo sono i supplenti temporanei con una retribuzione complessiva annua non superiore a euro 8.000: costoro, infatti, con il riconoscimento delle detrazioni fiscali, sarebbero stati totalmente esenti dalla tassazione Irpef;
   per i redditi a tassazione separata l'Agenzia delle entrate procede autonomamente alla riliquidazione dell'imposta: in caso sia dovuta una imposta maggiore, provvede ad inviare apposito avviso di pagamento al contribuente; in caso le imposte dovute siano di ammontare inferiore a quanto trattenuto dal datore di lavoro, provvede ad effettuare il rimborso dell'eccedenza pagata, ma solo se il credito risulti superiore ad euro 100;
   la riliquidazione di cui sopra è effettuata a seguito di dichiarazione dei redditi, che nel caso in esame, poiché le retribuzioni sono state corrisposte nel 2016, potrà essere presentata solo nel 2017 con la conseguenza che la corresponsione del rimborso avverrà ad anni di distanza rispetto alla trattenuta subita;
   in tal senso il problema sembra risiedere nel fatto che «NoiPA» abbia liquidato gli stipendi come se si trattasse di «arretrati» –:
   come intenda intervenire, per quanto di propria competenza, per favorire una rapida soluzione del problema. (3-01977)


  DAMBRUOSO. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nella visita in Giappone del mese di agosto 2015 il Presidente del Consiglio dei ministri ha evidenziato l'importanza dei rapporti tra Italia e Giappone e, come si legge da fonti giornalistiche, ha assicurato l'appoggio del nostro Paese affinché «l'Unione europea dia un'approvazione rapida sia dell'accordo di libero scambio Ue-Giappone sia per il partenariato strategico»;
   sulla base di queste premesse un primo passo potrebbe essere fatto proprio sul piano culturale rendendo più semplice il soggiorno studio nei due Paesi e favorendo gli scambi tra università e scuole di specializzazione;
   la normativa attuale sui permessi per gli studenti che vogliono trascorrere periodi di studio o di studio/lavoro in Italia prevede una possibilità di soggiorno senza visto per soli 3 mesi e non consente di svolgere attività retributive in quel periodo, per studiare e lavorare per periodi più lunghi, invece, le procedure di ottenimento di un visto sono molto più complesse;
   diversamente avviene per altri Paesi europei, tra cui Germania, Francia, Gran Bretagna, Danimarca e Irlanda, con i quali il Giappone ha concluso un accordo sulle vacanze di lavoro (working holiday agreement). Tale accordo prevede che gli studenti dai 18 ai 30 anni possano ottenere un permesso di soggiorno per un anno e incoraggia questi giovani a cercare un lavoro per coprire le spese;
   sarebbe, pertanto, opportuno adeguare la normativa nei rapporti bilaterali tra Italia e Giappone anche in questo campo e la celebrazione – ormai prossima – dei 150 anni dalla firma del primo trattato diplomatico tra i due Paesi potrebbe rappresentare l'occasione perfetta per un impulso significativo agli scambi culturali e umani (tra l'altro a costo zero) proprio nell'anno in cui si festeggia l'amicizia italo-nipponica –:
   quali iniziative intenda adottare per favorire lo scambio culturale tra studenti dei due Paesi, avviando un'interlocuzione con le autorità giapponesi su questi temi. (3-01978)


  VIGNALI. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i Conservatori sono uno straordinario patrimonio del Paese;
   la legge 21 dicembre 1999, n. 508, finalizzata alla riforma del sistema di alta formazione e specializzazione artistica e musicale (AFAM), ha disciplinato in modo organico la struttura, l'organizzazione e le finalità delle Accademie di belle arti, dell'Accademia nazionale di danza, dell'Accademia nazionale di arte drammatica, degli Istituti superiori per le industrie artistiche, dei Conservatori di musica e degli Istituti musicali pareggiati;
   al netto delle parti inattuate della riforma del ’99, per quanto riguarda i Conservatori, con riferimento al percorso formativo si riscontrano diverse criticità. Il passaggio da scuola superiore sui generis a livello accademico, non sufficientemente approfondito e monitorato, dimostra oggi tutti i propri limiti. Il test più evidente di questo giudizio è che gli studenti transitati dall'ordinamento precedente all'attuale costituiscono casi eccezionali. Allo stesso modo, il sistema dei crediti formativi, trasposto assai meccanicamente ai conservatori, condiziona significativamente il percorso formativo, in particolare peggiorando fortemente la preparazione dello strumento principale;
   pur se poco più della metà degli insegnanti dei conservatori insegnano anche nei corsi preaccademici, in molte realtà si è appaltato a soggetti esterni questo livello di formazione senza alcun controllo didattico. Inoltre, non vi sono garanzie per gli allievi per il passaggio da un preaccademico ad un altro;
   le conferenze nazionali dei Conservatori statali e non statali dei presidenti, dei direttori e dei presidenti delle consulte degli studenti, riunite congiuntamente a Roma nella sede del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il 27 gennaio 2016, hanno espresso la più grande preoccupazione per la situazione del sistema dei Conservatori statali e non statali italiani e più in generale per la formazione musicale nel nostro Paese;
   in particolare le suddette conferenze hanno lamentato il blocco ormai da anni del processo di riforma del sistema avviato dalla legge n. 508 del 1999, cui si accompagna una grave carenza di risorse pubbliche, nonché una problematicità costante nella interlocuzione con il livello politico-istituzionale. Le conferenze hanno denunciato il persistere di un'assenza di progettualità politica e culturale che riguarda il sistema formativo in un contesto di una costante sottovalutazione di fatto del valore della musica nell'intero contesto culturale e sociale complessivo del paese;
   a distanza di sedici anni dall'entrata in vigore della legge di riforma mancano ancora fondamentali passaggi normativi, come il decreto sul reclutamento del personale docente, la messa a ordinamento dei bienni, la statizzazione degli Istituti superiori di studi musicali, l'organo consultivo di sistema scaduto e non rinnovato da tre anni (CNAM). Le stesse conferenze riunite hanno ribadito con determinazione la necessità di essere riconosciute e considerate come dai decreti ministeriali istitutivi quali organismi stabili di interlocuzione tra l'amministrazione e i conservatori, statali e non statali;
   hanno inoltre espresso la ferma contrarietà all'annuncio di norme che favorirebbero le istituzioni private a discapito delle istituzioni pubbliche;
   a tal fine le conferenze nazionali riunite hanno chiesto immediate risposte e azioni concrete alle istanze poste, non oltre il mese di febbraio 2016, da realizzarsi in tempo utile per garantire l'efficacia delle procedure per l'avvio del prossimo anno accademico;
   inoltre, il passaggio al sistema universitario ha spinto molte province a disinteressarsi dell'edilizia dei Conservatori (manutenzione ordinaria e straordinaria e utenze) e la carenza di fondi dovuta alla loro soppressione ha costretto anche quelle ben disposte a non sostenere questi costi, senza una conseguente assunzione degli stessi da parte dello Stato. Il recente caso della chiusura dell'Accademia di Firenze per mancanza di riscaldamento è l'emblema di questa situazione;
   pare dunque necessario effettuare una ricognizione esaustiva della situazione e cercare soluzioni a brevissimo periodo, per non pregiudicare l'esistenza dei Conservatori, ma nel quadro prospettico della riforma e quindi di una sostenibilità nel medio-lungo periodo –:
   come intenda operare il Ministro interrogato per attuare, anche modificandola, la riforma dei Conservatori e degli Istituti superiori di studi musicali, considerando il percorso formativo, la struttura del sistema, il reclutamento e la valutazione, per garantire loro la necessaria autonomia, la funzionalità nell'immediato e la sostenibilità a regime. (3-01979)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GHIZZONI, COSCIA, DALLAI, MALISANI, NARDUOLO, MANZI, SGAMBATO e ROCCHI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 28 marzo 1991, n. 113, come modificata dalla legge 6 gennaio 2000, n. 6, è intesa a favorire iniziative per la promozione e il potenziamento delle istituzioni impegnate nella diffusione della cultura tecnico-scientifica e comprende tre strumenti di intervento: il contributo triennale ad enti, strutture scientifiche, fondazioni e consorzi che hanno la finalità prevista dalla legge; i contributi annuali ad attività di promozione della cultura scientifica; i contributi alla promozione di accordi e intese tra enti e amministrazioni in tema di diffusione della cultura scientifica;
   con decreti direttoriali n. 1523 e n. 1524 dell'8 luglio 2015 sono stati emanati i bandi per la concessione del contributo triennale alle istituzioni che si occupano di promozione della cultura scientifica e, rispettivamente, dei contributi annuali e alla promozione di accordi e intese;
   con decreti ministeriali n. 138 del 20 febbraio 2014 e n. 300 del 21 maggio 2015 è stato nominato e poi integrato il comitato tecnico-scientifico incaricato di funzioni di consulenza e coordinamento per le attività della legge n. 113 del 1991, e, in particolare, di formulare una proposta relativa all'assegnazione dei finanziamenti previsti dalla legge;
   a inizio 2016 risultano ancora non assegnati né il finanziamento triennale relativo al triennio 2015-2017, né i finanziamenti annuali del 2015, circostanza che evidenzia un grave ritardo della procedura e, soprattutto, mette in seria crisi grandi musei scientifici, università, scuole e altre importanti istituzioni che promuovono e diffondono la cultura scientifica;
   la legge di stabilità per il 2016 ha peraltro ridotto di tre milioni di euro (-33,2 per cento) finanziamento del capitolo 7230/5 del bilancio dello Stato relativo all'applicazione della legge 113 del 1991 per ciascuno degli anni 2016-2017-2018 –:
   a quale stadio della procedura si trovi la proposta definitiva di assegnazione dei contributi triennali, di quelli annuali e di quelli per accordi e intese e quali tempi possano essere previsti per la sua conclusione con l'assegnazione dei finanziamenti;
   come il Ministro pensi di poter ovviare alla pesante riduzione del finanziamento statale per la diffusione della cultura scientifica che rischia di soffocare definitivamente questo settore così importante per una consapevole formazione scientifica degli studenti delle scuole e di tutti i cittadini, per le migliori sperimentazioni degli insegnanti e per la ricerca in questo campo. (5-07598)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 13 luglio 2015, n. 107, recante «Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti», aveva previsto la pubblicazione entro il 1o dicembre 2015, di un concorso per titoli ed esami per l'assunzione a tempo indeterminato di personale docente per le istituzioni scolastiche ed educative statali;
   la pubblicazione del bando di concorso è stata rimandata a data successiva all'adozione da parte del Governo del regolamento di revisione delle classi di concorso – di cui all'articolo 64 del decreto-legge n. 412 del 2008 – affinché lo stesso si svolgesse sulla base delle nuove indicazioni;
   il regolamento prevede una riduzione del numero della attuali classi di concorso da 168 a 118; tra le classi di concorso soppresse risulta esserci l'arte del mosaico, che non risulta tra le nuove arti della scuola superiore secondaria;
   le arti applicate risultano essere un fiore all'occhiello della produzione artistica italiana e cancellarle dall'insegnamento penalizza la trasmissione alle giovani generazioni di un bagaglio di conoscenze e competenze di fondamentale importanza per la continuità e lo sviluppo di una vocazione artistica fortemente radicata in specifici ambiti territoriali; per quanto riguarda l'insegnamento del mosaico, in particolar modo, l'ex Istituto d'arte per il mosaico di Ravenna, ora liceo artistico, si è distinto per rappresentare un'eccellenza nel panorama nazionale –:
   se non ritenga il Ministro di dover adottare le necessarie iniziative per reintrodurre la classe di concorso «mosaico», al fine di valorizzare questa materia nello specifico e, in generale, se intenda assumere iniziative finalizzate a sostenere l'esperienza che alcune realtà come quella di Ravenna per il mosaico, quella delle ceramiche di Faenza, quella del libro di Urbino, quella del design e dell'architettura per l'ambiente di Monza e Brianza, rappresentano, realtà che si sono distinte quali scuole di eccellenza, legate ad una specificità produttiva locale. (4-11893)


   BORGHESI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la classe di concorso 60/A (scienze naturali chimica geografia microbiologia) diventerà A-50 «scienze naturali chimica e biologia»;
   prima della cosiddetta «riforma Giannini», l'istituto tecnico commerciale prevedeva nel biennio l'insegnamento di «scienze della materia» (3 ore di teoria +1 di laboratorio settimanale con docente ITP), che altro non era che l'insegnamento di chimica e fisica, sia pure trattati in maniera più approfondita con più ore e relazioni di laboratorio;
   nel dettaglio, era riconosciuto l'insegnamento di:
    a) scienze integrate fisica nelle classi prime degli istituti tecnici economici, visto che negli indirizzi del precedente ordinamento, ora confluiti nel tecnici settore economico (decreto del Presidente della Repubblica n. 88 del 2010 tabella di confluenza degli indirizzi del vecchio ordinamento e nuovo ordinamento), il possesso dell'abilitazione 60/A consentiva l'attribuzione dell'insegnamento di fisica all'interno della disciplina chiamata Scienza della materia e laboratorio (decreto ministeriale n. 39 del 1998);
    b) scienze integrate chimica nelle classi seconde degli istituti tecnici economici, visto che negli indirizzi del precedente ordinamento, ora confluiti nei tecnici del settore economico (decreto del Presidente della Repubblica n. 88 del 2010 tabella confluenza degli indirizzi del vecchio ordinamento e nuovo ordinamento), il possesso dell'abilitazione 60/A consentiva l'attribuzione dell'insegnamento di chimica all'interno della disciplina chiamata Scienza della materia e laboratorio (decreto ministeriale n. 39 del 1998);
    c) geografia nel primo biennio degli istituti tecnici economici visto che negli indirizzi:
     a) perito aziendale corrispondente in lingue estere (ERICA) e perito corrispondente in lingue estere (PACLE), entrambi confluiti nei tecnici del settore economico (decreto del Presidente della Repubblica n. 88 del 2010 tabella confluenza degli indirizzi del vecchio ordinamento e nuova ordinamento), il possesso dell'abilitazione 60/A consentiva l'attribuzione dell'insegnamento di geografia (decreto ministeriale n. 39 del 1998);
     b) negli indirizzi economo-dietista e dirigente di comunità, anch'essi confluiti nei tecnici del settore economico (decreto del Presidente della Repubblica n. 88 del 2010 tabella confluenza degli indirizzi del vecchio ordinamento e nuovo ordinamento), il possesso dell'abilitazione 60/A consentiva anche in questo caso l'insegnamento della geografia;
   la nuova tabella A, invece, impedirebbe a chi da decenni insegna scienza della materia negli istituti tecnologici e nei professionali di continuare ad insegnare nel biennio chimica o fisica;
   il «declassamento» a «scienze integrate» (scienze della Terra e biologia), per soli 2 ore la settimana, comporterebbe per un insegnante il danno di districarsi fra almeno 3 sedi per svolgere le 18 ore, e per gli alunni lo snaturamento del senso delle scienze integrate, dove la chimica – e la fisica negli ITE – è appunto correlata con la scienza;
   a parere dell'interrogante è alquanto discriminante riconoscere ai docenti in possesso delle vecchie abilitazioni (12/A, 13/A e 66/A) la possibilità di insegnare anche biologia e scienza, attribuendo ex novo taluni insegnamenti ad alcune classi di concorso, ed al contempo sottrarre ad altre classi come appunto la 60/A insegnamenti fino ad oggi previsti –:
   se non convenga sull'opportunità di mantenere per i «vecchi» abilitati della classe di concorso 60/A, fino ad esaurimento dei titolari presenti negli istituti tecnici economici, oltre a biologia e scienza della terra, i seguenti insegnamenti: scienze integrate – fisica nelle classi prime degli istituti tecnici economici; scienze integrate – chimica nelle classi seconde degli istituti tecnici economici e geografia nel primo biennio degli istituti tecnici economici, atteso che il decreto ministeriale n. 39 del 1998 attribuiva tali insegnamenti alla classe 60/A negli indirizzi del vecchio ordinamento ora confluiti nei tecnici del settore economico. (4-11894)


   ASCANI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in un complesso scenario di transizioni demografiche e trasformazioni sociali, la valutazione del quadro epidemiologico e del sistema delle vaccinazioni a scopo preventivo assume una grande rilevanza. Lo stesso Comitato nazionale di bioetica ha recentemente espresso la necessità di recuperare la rete di sicurezza a favore dei soggetti non vaccinati (Mozione del 24 aprile 2015): la tendenziale diminuzione della copertura vaccinale, infatti, ha determinato un sensibile incremento di casistiche di malattie infettive che, molto spesso, hanno determinato il prematuro decesso dei soggetti contagiati (World Health Organization — International travel and health 2015);
   sebbene il piano nazionale di prevenzione vaccinale 2016-2018 del Ministero della salute (PNPV del 9 giugno 2015), abbia tenuto conto di questi dati estendendo, raccomandando ed offrendo gratuitamente ulteriori vaccinazioni, occorre registrare che, attualmente, il nostro ordinamento demanda al singolo individuo, la scelta di provvedere, o meno, alla vaccinazione. Nel caso dei minorenni, poi, tale scelta ricade in capo ai genitori, alcuni dei quali sembrerebbero negare la vaccinazione ai propri figli poiché influenzati dalle false percezioni, veicolate soprattutto via web sulla loro inutilità — o addirittura dannosità — (Rapporto Eurispes 2016);
   d'altro canto, il nostro ordinamento giuridico non prevede particolari conseguenze per le mancate vaccinazioni del minore: l'articolo 1, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 26 gennaio 1999, n. 355, recante le modifiche in materia di certificazioni relative alle vaccinazioni obbligatorie, infatti, precisa che «la mancata certificazione delle vaccinazioni non comporta il rifiuto di ammissione dell'alunno alla scuola dell'obbligo o agli esami». Pertanto, nonostante la comunità scientifica internazionale sia concorde nel ritenere le vaccinazioni in età scolare uno strumento insostituibile per la prevenzione di malattie infettive (World Health Organization — Congresso di Antalya, 18 marzo 2014), può accadere di registrare alunni frequentanti la scuola dell'obbligo privi delle vaccinazioni necessarie;
   in effetti, ciò è proprio quello che si è verificato nel recente episodio di Greve in Chianti (FI): 8 alunni, su una classe di 18, sono risultati privi di vaccinazioni ed hanno costretto un'altra alunna, affetta da una grave immunodeficienza che le impedisce di sottoporsi alle rivaccinazioni, al trasferimento immediato in un'altra classe elementare in cui, invece, la totalità degli alunni risultava vaccinato;
   orbene, oltre al fatto che la percentuale di alunni non vaccinati riscontrati nella classe elementare in questione può dirsi ben superiore alla soglia di rischio calcolata dall'Organizzazione mondiale della sanità, si rileva una sostanziale disparità di trattamento. Infatti, mentre i genitori degli alunni privi di vaccinazione hanno potuto scegliere di non provvedervi, senza alcun detrimento del diritto all'istruzione dei propri figli, i genitori dell'alunna affetta dalla patologia sono stati costretti a trasferire la propria figlia in un ambiente per lei sicuro, incidendo profonda ente sul momento formativo della bambina;
   come noto, infatti, nella scienza educativa il concetto di continuità educativo – didattica si riferisce al diritto di ogni alunno in situazioni svantaggiate di formarsi senza soluzioni di continuità, per ricercare un'integrazione funzionale ed armonica delle esperienze e degli apprendimenti) compiuti dal bambino. Nel caso di specie tale diritto, pur garantito dall'ordinamento vigente (Legge 5 giugno 1990, n. 148 e successive modificazioni ed integrazioni), non sembra sia stato equamente bilanciato con il diritto, ugualmente previsto, di non vedersi estromessi dal sistema scolastico, in quanto alunni privi dei certificati attestanti le vaccinazioni necessarie –:
   se il Ministro interrogato fosse a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali siano le iniziative che intende adottare a tutela della continuità educativa in situazioni analoghe. (4-11902)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   la Costituzione sancisce «l'inviolabilità, la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione» (articolo 15) e la Corte di Cassazione (5 ottobre 1982) ha sentenziato che tra gli esercenti di servizio pubblico possono rientrare i portalettere e i fattorini postali;
   per quanto riguarda diversi aspetti della corrispondenza e delle comunicazioni, lo Stato italiano assegna specifici compiti all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e al Garante per la protezione dei dati personali;
   la Gepin Contact spa (azienda del gruppo Gepin) dopo il riassetto societario è proprietaria del 70 per cento di Uptime spa, l'altro 30 per cento e di Sda Express Courier (gruppo Poste Italiane) e dal 2003 cura l'assistenza dei clienti Sda Express Courier, per tutto ciò che concerne il servizio «pacchi», la gestione del call center e i servizi di back office (pratiche reclami e altro);
   i lavoratori impegnati nell'azienda sono 559 tra la sede di Roma (347) e Napoli (212); vi sono alcune altre unità tra Firenze e Milano;
   nel febbraio 2015 il presidente di Gepin Contact è stato oggetto di un provvedimento della magistratura per fatti relativi ad una società da egli gestita in anni precedenti, la Getek Information Communication Technology srl, fallita nel 2012;
   nel marzo 2015, presso il Ministero dello sviluppo economico si è tenuto un incontro con il gruppo Gepin, le organizzazioni sindacali e le rappresentanze sindacali unitarie. In apertura, il Ministero dello sviluppo economico ha chiesto all'azienda di dare informazioni precise rispetto ai fatti che stanno coinvolgendo alcuni amministratori del Gruppo. Nel corso della riunione l'azienda, ha evidenziato che i fatti sui quali la magistratura sta svolgendo indagini non riguardano le società del gruppo Gepin e che il collegio sindacale, dopo i passaggi di rito ha comunicato al gruppo dirigenziale le modalità operative da attuare con immediatezza e ha chiesto alle strutture aziendali e ai dipendenti di proseguire le attività secondo i piani aziendali;
   per quanto riguarda la situazione finanziaria di Gepin Contact s.p.a., a seguito della perdita delle commesse di Poste Italiane ed Enel, si è aperta una crisi economica che potrebbe portare ad una revisione drastica del numero degli addetti, 60 per cento in meno (130/213);
   nella azienda Gepin, a maggio del 2015, inizia la cassa integrazione ordinaria (CIGO): tredici settimane, dall'11 maggio all'8 agosto 2015 a Roma, nelle sedi di via degli Artificieri 53 e in via Cornelia 498. Ad essere interessate sono state 287 unità su un totale organico di 347 lavoratori, dirigenti inclusi, per un 20 per cento del monte ore. Poi ancora si è proceduto ad altre fasi di Cigo: dal 10 agosto al 7 novembre 201 e dal 9 novembre al 5 dicembre 2015, a zero ore in regime di rotazione. Nella sede di Casavatore (NA) Napoli, fino ad agosto, la cassa integrazione ha coinvolto il 60 per cento degli addetti e si protrarrà fino al 18 gennaio 2016;
   Poste Italiane, tra agosto e settembre 2015, tra le altre, ha indetto una gara telematica con scadenza 17 settembre 2015 per l'accordo quadro riguardante «L'erogazione di servizi di Customer Services del gruppo Poste Italiane» per la durata di 24 mesi, per un valore complessivo di euro 59.073.296 divisa in quattro lotti alla quale possono partecipare imprese specializzate in servizi di «Contact Center» multicanale tra i quali: customer care; informazioni sui prodotti del gruppo Poste Italiane; assistenza e tracciatura delle spedizioni; telemarketing; assistenza pre e post vendita; indagini telefoniche - campagne promozionali, nonché gestione dei contatti per e-mail, internet, skype, chat, social network e altro;
   il 21 settembre 2015 la Gepin Contact ha inviato una lettera a SDA Express Courier Spa e Poste Italiane, avente ad oggetto «la risoluzione unilaterale da parte del Gruppo Poste Italiane dei contratti di fornitura industriale in essere tra Gruppo Gepin Contact Spa, Uptime Spa e Gruppo Poste Italiane», nella quale l'azienda ha presentato tre proposte per una «risoluzione equilibrata e stragiudiziale del rapporto industriale con Poste Italiane» e dove Gepin ha esternato tutti i propri timori riguardo al modus operandi di Poste, la quale, decidendo di dismettere la propria partecipazione nel gruppo genererebbe una «deflagrazione in termini di avvitamento negativo e di mancate referenze sull'intero gruppo Gepin contact»;
   il 16 ottobre 2015 Poste Italiane spa, ai sensi del decreto legislativo n. 163 del 2006, ha pubblicato il bando gara per una «Procedura aperta in modalità telematica per l'istituzione di Accordi Quadro per la fornitura di servizi per la gestione integrata delle comunicazioni di atti amministrativi e di servizi a valore aggiunto» suddivisa in due lotti non cumulabili tra loro. La gara riguarda i servizi di categoria n. 7 (servizi informatici e affini) per una durata di 36 mesi con possibilità di un rinnovo per un massimo di 12 mesi ed un valore iniziale complessivo di euro 10.998.720. La scadenza di presentazione era il 26 novembre 2015;
   la materia di cui trattasi rientra, almeno in parte, tra i settori strategici di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 agosto 2014, il cosiddetto golden power;
   gli attuali poteri delle autorità per le garanzie nelle comunicazioni e le risorse ad esse destinate potrebbero risultare insufficienti a far fronte al crescente numero di fatti illeciti a danno della collettività, danni morali e materiali alle persone ma anche all'immagine dello Stato italiano;
   per quanto riguarda la gara per «l'erogazione di servizi di Customer Services del gruppo Poste Italiane» si lamentano una non corretta ponderazione con riferimento alla qualità dei servizi erogati e all'affidabilità professionale, una generale insufficiente valutazione e/o certificazione circa la professionalità del personale delle imprese candidate, ovvero sia delle singole figure professionali da adibire che dei relativi addetti;
   nella successiva gara d'appalto, nonostante la formula della «offerta economicamente più vantaggiosa» prevale l'aspetto economico-finanziario (60 per cento su quello tecnico del (40 per cento). La valutazione sul capitolato tecnico si basa esclusivamente su valori quantitativi (giorni) e non qualitativi. Anche in quest'ultima gara, infatti, i parametri riguardanti ogni aspetto professionale, quindi di know-how appaiono limitati solo alla formale partecipazione dell'azienda ad altre gare ed esperienze, senza specifici, dettagliati e certificabili criteri di valutazioni riguardanti le esperienze acquisite e/o gli studi o approfondimenti d'ogni specifica qualifica del personale adibito;
   la logica sottintesa alle gare, quindi, pare agli interpellanti basarsi quasi esclusivamente sull'efficienza, ovvero sulla abilità di espletare il servizio pubblico impiegando le risorse minime, anziché sull'efficacia: relazionare gli obiettivi di tale servizio all'accuratezza e completezza dei risultati raggiunti anche nella tutela dell'utente che appare, anch'essa, solo formale o residuale, come la certezza dei tempi di esecuzione;
   per i motivi di cui sopra la soluzione di ogni potenziale turbativa della continuità e qualità del servizio in argomento non può essere rimessa solo alle Poste Italiane, né gli effetti possono ricadere sull'utenza;
   il Governo, nel rispetto della garanzia per l'iniziativa privata (Poste Italiane), ha facoltà d'iniziativa politica e legislativa, anche ricorrendo a strumenti d'urgenza quando ne ricorrano i presupposti;
   delle responsabilità derivanti dall'esercizio del servizio pubblico svolto da Sda Express Courier per Poste italiane e dagli addetti alle molte funzioni e mansioni previste dalle gare, mansioni dalle quali emergono delicate attività, ma anche altre a queste sottese, possono attraversare o estendersi alle telecomunicazioni e ad altre aree;
   in alcuni servizi pubblici la qualità degli stessi non è determinata da enti certificatori terzi, ma dallo stesso aggiudicatore e la stessa qualità, in alcune gare, potrebbe essere rimessa solo alla partecipazione dell'azienda ad altre gare simili o ad una sorta di autocertificazione;
    in alcune delle gare in questione, i parametri per il calcolo sulla congruità del prezzo potrebbero condurre a valori inferiori a quelli di mercato trasformando, di fatto, le gare stesse da «offerta economicamente vantaggiosa» a «massimo ribasso»;
   va tenuto conto del delicato servizio di garanzia svolto dagli organi e delle autorità di cui in premessa –:
   se i Ministri interpellati siano a conoscenza dei fatti e delle dinamiche dei fatti descritti in premessa;
   se i Ministri interpellati intendano nelle more dell'emanazione dei decreti legislativi previsti a seguito dell'approvazione della legge delega in materia di appalti pubblici, assumere iniziative al fine di potenziare il sistema di controllo e vigilanza sugli enti appaltanti;
   se intendano adottare iniziative finalizzate a potenziare la sfera di autonomia ed i poteri sanzionatori delle autorità di garanzia, di cui in premessa, per una maggiore e prioritaria tutela degli interessi degli utenti, nonché degli stakeholder;
   se intendano intervenire, per quanto di competenza a tutela della dignità degli addetti al servizio pubblico di Poste Italiane, nonché a tutela dei livelli occupazionali delle maestranze di Gepin Contact spa.
(2-01255) «Miccoli, Damiano, Giacobbe, Patrizia Maestri, Vico, Terrosi, Carloni, Mognato, Marzano, Gnecchi, Albanella, Montroni, Minnucci, Gribaudo, Mariano, Giorgio Piccolo, Tidei, Piazzoni, Di Salvo, Rotta, Laforgia, Rostellato, Palma, Rostan, Manfredi, Sgambato, Carra, Cuomo, Baruffi, Marroni, Marrocu, Crivellari».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MINNUCCI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 gennaio 2016 si è tenuto, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali-direzione territoriale del lavoro di Roma – Servizio Politiche del lavoro – unità operativa 1, l'ennesimo incontro riguardante il cambio di appalto (a far data dal 1o febbraio 2016) presso la stazione appaltante: Aeroporto Leonardo da Vinci (Cargo City) e Pastine di Ciampino lotto A e B (committente)/ Travis Group Security srl (uscente)/ Securitas Metronotte srl (subentrante);
   nonostante altri precedenti incontri, tenutisi nel mese di gennaio 2016; le parti in questione ancora non sono addivenute a un accordo in merito soprattutto all'assorbimento dei dipendenti della società uscente; ai fini della salvaguardia dei posti di lavoro attuali;
   mentre la società uscente, infatti, richiedeva l'assorbimento da parte della subentrante di n. 17 guardie giurate (GpG), questa in un primo momento offriva l'assorbimento di n. 13 unità, per poi ritirare anche detta proposta alla riunione sopra citata;
   la Securitas Metronotte srl, infatti, in quella sede dichiarava di non essere più in grado di assorbire i lavoratori coinvolti essendo stata colpita da ordinanza di reintegra di n. 16 di lavoratori, con pari mansioni, in precedenza licenziati a seguito di procedura di mobilità ex legge n. 223 del 1991;
   la Securitas Metronotte, inoltre, affermava che proprio a causa di tale ordinanza doveva considerarsi esonerata dalla procedura di appalto ai sensi degli articoli 25 e seguenti del CCNL di categoria;
   alla riunione del 29 gennaio 2016, dunque, la Travis Group rilanciava la proposta di assorbimento di n. 14 GpG da parte della subentrante e il mantenimento di n. 3 GpG alle proprie dipendenze;
   le organizzazioni sindacali intervenute alla predetta riunione, richiedevano il rispetto del CCNL e del contratto integrativo territoriale (CIT) di categoria con l'assunzione di n. 17 GpG alle condizioni previste dagli articoli 24 e seguenti del CCNL e articolo 4.5 del CIT, ritenendo peraltro incompatibili con gli stessi le motivazioni addotte dalla subentrante in merito all'esonero dall'appalto;
   la riunione veniva, pertanto, aggiornata al 3 febbraio 2016 con specifica richiesta alla direzione territoriale del lavoro, prevedendo la presenza anche del committente ADR al fine di risolvere la questione relativa alla salvaguardia dei posti di lavoro;
   si tratta evidentemente di una situazione molto critica, non solo perché sono a rischio 17 posti di lavoro, ma anche perché le lungaggini delle predette trattative rischiano di creare disagi gravi nella gestione della sicurezza degli aeroporti romani che, in questo particolare momento storico, non possono essere tollerati –:
   quali iniziative intendano adottare al fine di salvaguardare i diritti dei lavoratori della società Travis Group srl, nonché per garantire  adeguati livelli di sicurezza negli scali romani, soprattutto in considerazione della particolare contingenza coincidente con l'anno giubilare. (5-07601)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XIII Commissione:


   RUSSO e CATANOSO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   è recente la notizia dell'avvio, da parte delle competenti istituzioni dell'Unione europea, del processo di revisione delle norme che disciplinano l'etichettatura dei vini. Parrebbe infatti imminente l'ipotesi di una modifica, da parte della Commissione europea, del regolamento (CE) n. 607/2009 sulle «denominazioni di origine protette e le indicazioni geografiche protette, le menzioni tradizionali, l'etichettatura e la presentazione di determinati prodotti vitivinicoli»;
   il mondo della viticoltura italiana è in allarme, perché, nella fase di preparazione della proposta di modifica del regolamento, la direzione generale agricoltura e sviluppo rurale della Commissione europea avrebbe ipotizzato di liberalizzare l'uso nell'etichettatura di tutti i vini, compresi quelli senza indicazione geografica, di quei nomi di varietà che oggi sono riservati in virtù delle norme comunitarie vigenti;
   il che vorrebbe dire che potrebbe essere consentita anche ai vini stranieri di riportare in etichetta nomi quali Aglianico, Barbera, Brachetto, Cortese, Fiano, Lambrusco, Greco, Nebbiolo, Picolit, Primitivo, Rossese, Sangiovese, Teroldego, Verdicchio, Negroamaro Falanghina, Vermentino o Vernaccia, solo per fare alcuni esempi;
   in pratica si tratta di consentire l'uso di denominazioni senza un riferimento geografico ma con solo il nome del vitigno, banalizzando alcune tra le più note denominazioni nazionali che si sono affermate sul mercato nazionale e in quello estero grazie al lavoro dei vitivinicoltori italiani;
   ad essere in pericolo è il futuro dell'agricoltura italiana ed europea, che dipende dalla capacità di promuovere e tutelare le distintività territoriali, che hanno determinato l'affermazione e il successo dell'Italia nel settore del vino;
   nel 2015, il nostro Paese ha superato la Francia ed è diventato il primo produttore mondiale di vino con un quantitativo di produzione stimato a 48,9 milioni di ettolitri. La produzione made in Italy è destinata per oltre il 45 per cento ai 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc) e ai 73 vini a denominazione di origine controllata e garantita (docg), quasi il 30 per cento ai 118 vini a indicazione geografica tipica (lgt) riconosciuti in Italia e il restante a vini da tavola. In Italia il vino genera quasi 9,5 miliardi di fatturato solo dalla vendita del vino e che dà occupazione a 1,25 milioni di persone. I vini made in Italy identificati da denominazioni che rischiano ora di essere oggetto della liberalizzazione dell'uso nel etichettatura varrebbero almeno 3 miliardi –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'avvio di un processo di revisione delle norme comunitarie che disciplinano l'etichettatura dei vini e, in ogni caso, quali iniziative di competenza intenda intraprendere, in particolare in sede europea, per tutelare il mondo della viticoltura italiana, ed evitare che si proceda ad una liberalizzazione dell'uso nell'etichettatura, che danneggerebbe in maniera pericolosa e determinante l'intero settore, fiore all'occhiello del nostro Paese.
(5-07602)


   ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il rinvenimento di focolai di Aethina tumida, un coleottero parassita delle api, rinvenuto nella zona di Gioia Tauro e successivamente anche in Sicilia, risale al settembre 2014. Secondo le risultanze comunicate dal Governo in risposta ad una precedente interrogazione parlamentare del sottoscritto; tutti gli alveari colpiti si trovano solo nell'area di 10 chilometri intorno al focolaio iniziale e le pertinenti disposizioni europee prevedono, in tale contesto, la chiusura di un territorio di 100 chilometri di raggio dal luogo di rinvenimento. Fu quindi deciso di portare avanti l'obiettivo dell'eradicazione dell'infestazione con la distruzione degli apiari colpiti;
   tuttavia, l'evoluzione del fenomeno, con la persistenza dell'infestazione, ha giustificato la convocazione di una riunione per approfondire il confronto con dette associazioni, il 1o dicembre 2014 presso il Ministero della salute. All'incontro parteciparono, oltre al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali che coinvolse anche i responsabili scientifici del CRA (oggi CREA) che si occupano della materia, gli assessorati agricoli delle regioni Calabria e Sicilia. Nel corso della riunione furono esaminati i dati più recenti sulla diffusione dell’Aethina tumida e si prospettò la necessità di studiare eventuali linee di intervento non più volte alla eradicazione, bensì solo al contenimento. A tal riguardo il Ministero della salute si dichiarò disponibile ad esaminare le condizioni normative europee per un adattamento della strategia, ferme restando le garanzie sul controllo della movimentazione da assicurare all'Unione europea;
   ad oggi l’Aethina Tumida sembra circoscritta nell'area di rinvenimento originario. La strategia dell'eradicazione non ha portato al debellamento radicale, probabilmente è necessario un salto di qualità nella strategia di contenimento provvedendo da parte delle istituzioni a creare un corridoio di protezione sanitaria che isoli la zona interessata della Calabria dall'attività apistica;
   riguardo al settore apistico in generale, il Governo intese confermare nel 2014 il progetto denominato BEENET, nell'ambito del quale è stata definita una rete di monitoraggio nazionale sullo stato di salute degli alveari, anche al fine di approfondirne le cause di moria delle api e di spopolamento;
   è un progetto che ha coinvolto 3.000 alveari situati in ogni regione e provincia autonoma, attraverso periodici controlli e successive analisi di laboratorio sulle diverse matrici raccolte (api morte, api vive, covata, cera, polline);
   a supporto del monitoraggio ci sono poi le «segnalazioni» che permettono di rilevare eventi anomali in alveari che non fanno parte della rete. Il sistema delle segnalazioni prevede che l'apicoltore segnali al servizio veterinario dell'ASL competente per territorio l'episodio di mortalità e che lo stesso proceda al necessario sopralluogo con raccolta di campioni e al loro invio all'Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie per le analisi del caso, in collaborazione anche con la rete BEENET;
   il progetto si è concluso a giugno 2015 e non è stato rifinanziato dal Mipaaf, nonostante sia stata avanzata dal gruppo di coordinamento la richiesta di dare seguito al progetto Beenet. È una grave mancanza che si protrae già da vari mesi e sarebbe incomprensibile una mancata conferma della continuità del progetto, viste le difficoltà che il mondo delle api sopporta e cui potrebbe incorrere in futuro –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario aggiornare la strategia di contenimento ed eradicazione, avvalendosi anche di una commissione apistica permanente da istituire al Mipaaf con il coinvolgimento delle associazioni apistiche, e se non ritenga doveroso, all'interno di una strategia complessiva di monitoraggio e tutela dello stato di salute delle api, di riconfermare il progetto Beenet fermatosi nel giugno 2015. (5-07603)


   GALLINELLA, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della riunione del Consiglio affari generali del luglio 2015, nella quale si è affrontata tra le altre, la questione relativa alla grave instabilità politica che caratterizza la Repubblica tunisina, la Commissione europea ha proposto, in sostegno all'economia del Paese maghrebino, l'adozione di una misura commerciale autonoma consistente in un contingente tariffario senza dazio, temporale ed unilaterale, di 35.000 tonnellate all'anno per le esportazioni tunisine di olio di oliva nell'Unione;
   il contingente, precisa la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'introduzione di misure commerciali autonome di emergenza a favore della Repubblica tunisina COM (2015) 460, sarà disponibile per due anni, dal 1o gennaio 2016 al 31 dicembre 2017; tale volume supplementare sarà aperto una volta esaurito il contingente tariffario senza dazio di 56.700 tonnellate già iscritto nell'accordo euromediterraneo di associazione;
   il 25 gennaio 2016 la Commissione per il commercio internazionale del Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla citata proposta di regolamento che, di fatto, ancorché in attesa della pronuncia formale dell'intera assemblea, dà il via libera alla attuazione della misura preferenziale per il 2016;
   l'olio di oliva è il principale prodotto agricolo esportato dalla Tunisia verso l'Unione e il relativo settore occupa un posto importante nell'economia del Paese, in quanto da lavoro, direttamente ed indirettamente, ad oltre un milione di persone; la misura in questione, se da un lato rappresenta uno straordinario aiuto all'economia del Paese africano, dall'altro appare come una vera e propria minaccia per le produzioni unionali, posto che l'aumento delle importazioni avrà un impatto pesantissimo sulla olivicoltura europea e segnatamente quella italiana;
   la Repubblica tunisina è uno dei Paesi con il maggior numero di giovani che sposano la causa del califfato e si arruolano come combattenti nell'Isis, specie dopo il rapido tradimento delle speranze coltivate a seguito delle proteste del 2011 e della conseguente gravissima crisi occupazionale; è indispensabile che l'Unione europea intervenga a sostegno della creazione di posti di lavoro e tuttavia tale obiettivo può essere conseguito attraverso la predisposizione di particolari programmi di aiuto da iscriversi nell'ambito dell'accordo euro mediterraneo di associazione, cui destinare anche le risorse derivanti dal mantenimento dei dazi, posto che, comunque, la loro mancata riscossione avrebbe una incidenza negativa sul bilancio comunitario;
   l'utilizzo da parte dell'Unione europea di strumenti di politica commerciale a sostegno della stabilità dei Paesi beneficiari, oltre a danneggiare spesso le produzioni degli Stati membri come nel caso delle sanzioni imposte alla Russia a seguito della crisi con l'Ucraina, non consente la rimozione delle cause strutturali della disoccupazione, non favorisce programmi di sviluppo endogeno in grado di eliminare le dinamiche di esclusione ed anzi rischia di favorire fenomeni speculativi, poiché, come noto, a beneficiare in larga misura delle misure in questione saranno i grandi gruppi industriali a cui fa capo la produzione tunisina di olio di oliva e nessuna certezza può aversi, ad oggi, circa le eventuali ricadute positive sui tassi di occupazione giovanile nazionale;
   è in corso di definizione un partenariato commerciale privilegiato tra l'Unione europea e Tunisia al fine di conseguire un livello elevato di integrazione economica; tuttavia è indispensabile che tale operazione costituisca una opportunità di crescita reciproca e produca rapidi benefici tanto per le economie europee che per quella tunisina, senza gravare ulteriormente su settori sensibili per l'economia europea e mediterranea in particolare come quello dell'olio –:
   se non ritenga urgente intervenire nelle competenti sedi europee, affinché si riveda la proposta di regolamento di cui in premessa e si proceda alla predisposizione di adeguati programmi di aiuto, o di ogni altra utile azione in favore della Repubblica tunisina, da finanziare nell'ambito degli stanziamenti previsti nell'accordo euro mediterraneo di associazione e destinati a sostenere progetti di formazione finalizzati all'occupazione di giovani nel settore agricolo ed in particolare in quello olivicolo. (5-07604)


   MONGIELLO, OLIVERIO, VICO, PELILLO, BOCCIA, MICHELE BORDO, CAPONE, CASSANO, GINEFRA, GRASSI, LOSACCO, MARIANO, MASSA, VENTRICELLI, LUCIANO AGOSTINI, ANTEZZA, CAPOZZOLO, CARRA, COVA, DAL MORO, FALCONE, FIORIO, LAVAGNO, MARROCU, PALMA, PRINA, ROMANINI, SANI, TARICCO, TENTORI, TERROSI, VENITTELLI e ZANIN. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 25 gennaio 2016, la Commissione per il commercio internazionale del Parlamento europeo ha approvato la risoluzione per l'avvio di negoziati per un accordo di libero scambio tra l'Unione europea e la Tunisia (INTA/8/03886 2015/2791(RSP), con la quale, tra l'altro, si dà parere favorevole alle conclusioni del Consiglio del 20 luglio 2015 e alla successiva proposta della Commissione del 17 settembre che raccomanda di offrire alla Tunisia un contingente tariffario senza dazio, temporaneo e unilaterale di 35.000 tonnellate all'anno per le esportazioni tunisine di olio d'oliva nell'Unione soltanto per un periodo di due anni;
   il 17 settembre 2015 la Commissione europea ha adottato una proposta legislativa (COM(2015)460 final), che autorizza un accesso temporaneo supplementare dell'olio d'oliva tunisino nel mercato dell'Unione europea al fine di sostenere la ripresa della Tunisia dall'attuale periodo di difficoltà;
   il meritevole e condivisibile atto compiuto dalla Commissione europea mira a mantenere l'impegno di sostenere il Governo e i cittadini tunisini, approfondire le relazioni tra l'Unione europea e la Tunisia e proteggere l'economia tunisina a seguito dei recenti attentati terroristici del 26 giugno 2015 a Sousse;
   la Commissione europea propone di mettere a disposizione dal 1o gennaio 2016 al 31 dicembre 2017, con apertura a decorrere dall'esaurimento del già vigente contingente tariffario senza dazio di 56.700 tonnellate iscritto nell'accordo di associazione euromediterraneo, un contingente tariffario senza dazio unilaterale di ulteriori 35.000 tonnellate all'anno per le esportazioni tunisine di olio d'oliva nell'Unione europea in aggiunta alle predette 56.700 tonnellate previste dall'accordo di associazione Unione europea-Tunisia;
   le relazioni commerciali tra l'Unione europea e la Tunisia sono disciplinate dall'accordo euromediterraneo di associazione, firmato nel 1995, che prevede un contingente annuo senza dazio di 56.700 tonnellate;
   la proposta di regolamento sarà trasmessa al Consiglio e al Parlamento europeo per l'esame e l'adozione formale prima dell'entrata in vigore. Il suo esame da parte del Parlamento europeo è previsto per il 24 febbraio 2016;
   è utile ricordare che l'accordo euromediterraneo del 1995 ha posto le basi di una zona di libero scambio, con progressiva liberalizzazione dell'agricoltura;
   in tale ambito, nell'ottobre 2015 la Tunisia e l'Unione europea avvieranno i negoziati per istituire un accordo di libero scambio globale e approfondito che provvede ri in particolare a liberalizzare ulteriormente gli scambi del settore agricolo;
   seppure nella relazione tecnica correlata alla proposta legislativa si indichi che le misure in questione potrebbero comportare solo un leggero aumento netto delle importazioni europee, in quanto la maggior parte dell'incremento del contingente sostituirà probabilmente l'attuale traffico di perfezionamento attivo (circa 50.000 tonnellate/anno sotto il regime di perfezionamento attivo), il che si tradurrebbe in una riduzione delle importazioni sotto questo regime e che inoltre, l'incidenza sul bilancio comunitario (riscossione del dazio), al momento non quantificabile, si presumerebbe irrilevante, appare certo invece che gli effetti del maggior quantitativo preferenziale di olio d'oliva tunisino nel mercato europeo recheranno seri danni quasi solo e soprattutto alle produzioni d'olio d'oliva italiano, segnatamente a quelle delle regioni mediterranee come la Puglia o la Sicilia;
   infatti, dopo le mancate produzioni degli ultimi due periodi del 2013-2014 e del 2014-2015, dovute alle avversità climatiche ed alla fitopatologia della Xylella, criticità che hanno determinato una perdita di quota di mercato di circa il 40 per cento annuo di volumi di olio di oliva, il rischio è che il nuovo contingente tariffario di 35.000 tonnellate di olio di oliva tunisino senza dazio potrebbe rimpiazzare proprio i precedenti livelli di esportazioni occupate dall'olio italiano, consolidandosi irrimediabilmente a detrimento delle produzioni delle regioni meridionali italiane;
   se è pur vero che la proposta di regolamento preveda che per prevenire le frodi, le misure commerciali autonome previste saranno subordinate al rispetto, da parte della Tunisia, delle norme dell'Unione europea sull'origine dei prodotti e relative procedure, nonché ad una cooperazione amministrativa efficiente della Tunisia con l'Unione, ciò non garantisce affatto che l'olio tunisino, una volta entrato nell'Unione europea possa essere falsamente etichettato come olio di origine comunitaria se non addirittura di origine italiana, come già spesso purtroppo le autorità di controllo italiane accertano avvenga quotidianamente;
   appare indispensabile che il Governo italiano, in sede di Consiglio europeo, al momento di deliberare sull'approvazione della proposta legislativa adottata dalla Commissione, ponga condizioni più esplicite e rigorose affinché l'olio tunisino ammesso all'importazione senza dazio sia accompagnato da misure di tracciabilità e di commercializzazione che impediscano la possibilità che sia etichettato come di origine europea o peggio come di origine made in Italy;
   per tutelare in maniera trasparente il settore olivicolo-oleario italiano, senza quindi pregiudicare il lodevole intento europeo di venire incontro alle difficoltà del popolo tunisino, a livello interno il Governo italiano dovrebbe adoperarsi senza indugi per rendere compiutamente applicabili tutte le misure previste dalla legge 14 gennaio 2013, n. 9, ad iniziare dal cosiddetto «tappo antirabbocco», passando per i criteri specifici della «ammissione al regime di perfezionamento attivo per gli oli di oliva vergini», fino alle nuove «Norme contro il segreto delle importazioni agroalimentari»;
   al fine di consentire agli agricoltori ed ai produttori di olio di oliva italiani di superare con maggior facilità le crisi produttive e di mercato registrate negli ultimi anni e di assicurare all'intero Paese di riassumere una posizione di vertice nella produzione europea ed internazionale di olio di oliva, si rende necessario dare immediata attuazione al «piano di interventi nel settore olivicolo-oleario», previsto dall'articolo 4 del decreto-legge n. 51 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 91 del 2015 –:
   quali iniziative si intendano assumere per tutelare gli interessi del settore olivicolo-oleario nazionale nell'ambito del Consiglio dell'Unione che sarà impegnato nell'approvazione, per quanto di competenza, della proposta di regolamento approvata dalla Commissione europea il 17 settembre 2015 in materia di «Introduzione di misure commerciali autonome di emergenza a favore della Repubblica tunisina» ed, in particolare, se non intenda adottare iniziative urgenti volte a consentire l'immediata applicazione del «piano di interventi nel settore olivicolo-oleario» di cui all'articolo 4 del decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, convertito, con modificazioni, dalla legge luglio 2015, n. 91.
(5-07605)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la stagione venatoria 2015/2016 si è chiusa il 31 gennaio 2016 con un bilancio di 17 morti e 67 feriti per armi da caccia in ambito venatorio;
   proprio di pochi giorni fa l'ennesima tragedia in provincia di Padova, dove un ragazzo di 15 anni ha perso la vita al termine di una battuta di caccia;
   questi episodi riaprono la riflessione sull'esercizio dell'attività venatoria, distanze e accorgimenti obbligatori che non sembrano essere rispettati; inoltre è oramai noto che chi esercita oggi in Italia l'attività venatoria ha spesso un'età compresa tra i 65 e i 75 anni, ma la normativa attuale non prevede alcun obbligo di accertamenti per l'idoneità psicofisica all'utilizzo delle armi che sarebbe invece necessario almeno dopo aver oltrepassato una determinata soglia di età;
   l'articolo 842 del codice civile consente ai cacciatori, e soltanto a loro, di entrare nella proprietà privata altrui. Una peculiarità giuridica pressoché unica in Europa, una sorta di abdicazione del diritto di proprietà privata costituzionalmente protetto. Il comma 1 dell'articolo suddetto recita: «Il proprietario di un fondo non può impedire che vi si entri per l'esercizio della caccia, a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia o vi siano colture in atto suscettibili di danno»;
   altro aspetto importante da segnalare è sul fronte del bracconaggio, dove per Cabs (Committee Against Bird Slaughter), il 78 per cento reati venatori sono commessi da persone munite di licenza di caccia o che l'hanno posseduta in passato;
   in Italia fino a 8 milioni di uccelli selvatici protetti cadono ogni anno vittime illegali di trappole e fucili, è quello emerso dalla Lipu nel corso della conferenza internazionale sull'antibracconaggio nell'Europa mediterranea, svoltasi a maggio 2015 a Roma. Dallo studio si evince che le 5 specie più «bracconate» in Italia risultano il fringuello, la pispola, il pettirosso, il frosone e lo storno;
   è preoccupante inoltre il dato sul bracconaggio ai danni di specie fortemente minacciate: sono abbattuti ogni anno 50-150 individui di nibbio reale, che equivalgono al 30 per cento della popolazione nidificante in Italia, tra 1 e 5 individui di capovaccaio (20 per cento della popolazione nidificante), tra 1 e 5 individui di anatra marmorizzata, che corrispondono addirittura al 50 per cento circa della popolazione nidificante;
   in questo scenario preoccupa la scelta di sopprimere il corpo forestale dello Stato come forza di polizia autonoma e la soppressione delle province, che di fatto ha cancellato la polizia provinciale, e che hanno generato una situazione di quasi totale impossibilità di effettuare controlli in campo venatorio, ormai limitati alle guardie volontarie e a poco altro –:
   se il Ministro interrogato, alla luce dei gravi incidenti che ogni anno colpiscono il nostro Paese durante la stagione venatoria, non ritenga opportuno adottare tutte le iniziative volte a prevenire i rischi connessi all'uso di armi da caccia, al fine di garantire la sicurezza e l'incolumità dei cittadini;
   se non intenda assumere iniziative per prevedere l'introduzione di accertamenti di idoneità psicofisica, all'utilizzo delle armi nel caso in cui si sia oltrepassata una determinata soglia di età;
   se non si ritenga altresì di prendere in seria considerazione l'opportunità di assumere iniziative per l'abrogazione dell'articolo 842 del codice civile al fine di tutelare al contempo il diritto alla proprietà privata e la sicurezza dei cittadini;
   se, visto l'evidente incremento dei reati contro gli animali, non ritenga opportuno, per quanto di competenza, intervenire in maniera più stringente sul fenomeno del bracconaggio in Italia. (5-07600)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   pur riconoscendo l'importanza del potenziamento delle cure palliative domiciliari e residenziali (hospice), che appaiono essere le uniche considerate dagli standard ospedalieri, è altresì fondamentale la presenza delle cure palliative in ospedale per acuti;
   il nodo delle cure palliative ospedaliere, nell'ambito della rete delle cure palliative, costituisce un vero e proprio caposaldo, in quanto garantisce la palliazione del dolore e dei sintomi sin dal luogo primario ove solitamente inizia e prosegue la cura di tutte le gravi malattie (oncologiche e non);
   le gravi patologie, infatti, necessitano solitamente di iniziale ricovero ospedaliero in reparti per acuti, quindi di una lunga fase di trattamento e monitoraggio specialistico negli ambulatori e day hospital (tipico percorso delle malattie oncologiche) ai quali dovrebbe affiancarsi, come diritto garantito a tutti i malati (LEA), la palliazione dei sintomi disturbanti e del dolore spesso già presente all'esordio;
   tali attività sono svolte proprio dalle cure palliative ospedaliere essenzialmente nell'ambito di quelli che sono definiti come «servizi senza posti letto», ovvero sia in regime consulenziale per lenire la sofferenza acuta (nei reparti e nel pronto soccorso), sia in regime ambulatoriale, ove viene eseguito il monitoraggio delle sintomatologie che accompagnano in maniera altalenante le varie fasi di malattia, in affrancamento ai trattamenti specifici per la patologia di base;
   in tal modo sarà anche prontamente intercettato il volgere verso la terminalità, evitando o limitando inappropriati accessi in pronto soccorso, con avvio dei percorsi di cure palliative domiciliari (a partire dallo stesso ospedale come in molte realtà lombarde che beneficiano di maggior continuità di cura, oppure erogate da servizi esclusivamente territoriali) o residenziali (hospice, in alcune realtà presenti negli stessi ospedali);
   qualora sia intercettato invece un dolore suscettibile di metodiche invasive, il trattamento verrà affidato ai medici della terapia del dolore (talora ancora presenti nella stessa unità di cure palliative e terapia del dolore, altre volte in servizi separati) in grado di attuare le appropriate tecniche, anche chirurgiche risolutive;
   le cure palliative pertanto non sono solo i trattamenti del fine vita che si pongono in atto quando «non c’è più nulla da fare», ma sono delle vere e proprie cure estremamente utili ed efficaci in quanto volte, in ogni fase delle gravi patologie, al trattamento del sintomo che genera sofferenza (sofferenza e dolore considerabili come malattia in sé), al di là della possibilità o meno di cura eziologica della malattia di base che lo ha generato ed al di là della fase di malattia;
   la vera missione delle cure palliative è proprio quella «umanizzazione delle cure», posta come principio ispiratore di quegli stessi standard ospedalieri che poi purtroppo, per una verosimile svista, ne omettono la menzione;
   laddove tale controllo sintomatologico specialistico è assente od insufficiente a livello ospedaliero, accadrà facilmente che il paziente si trovi ad accedere in pronto soccorso per sintomi non tollerabili, dando luogo a ricoveri (peraltro molto costosi rispetto alle prestazioni di palliazione) potenzialmente evitabili, se sin dalla fase iniziale fosse stato posto in essere il trattamento palliativo a livello consulenziale e/o ambulatoriale;
   non è realisticamente pensabile che tali attività di palliazione divengano competenza esclusiva territoriale, poiché tali problematiche insorgono primariamente in ospedale, ove solamente è attuabile il confronto con gli altri specialisti di patologia che curano il paziente, fondamentale per erogare sinergicamente corrette cure palliative –:
   se i servizi sanitari regionali saranno ancora autorizzati ad accreditare specifiche unità di cure palliative ospedaliere (almeno senza posti letto), oppure se questo risulterà non essere più possibile, nel caso in cui la tabella delle discipline ospedaliere, allegata ai nuovi « standard ospedalieri», non dovesse essere emendata, includendo in qualche modo la disciplina delle stesse cure palliative;
   in tal caso, come potrà avvenire l'erogazione delle cure palliative anche negli ospedali, prevista proprio dalla legge 38 del 2010 e dall'intesa in sede di conferenza Stato-regioni n. 151 del 25 luglio 2012.
(2-01253) «Binetti, Lupi».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, PASTORINO e MATARRELLI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 26 del 2014, all'articolo 18, prevede la «la definizione di programmi, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, per la condivisione, tra gli utilizzatori interessati, di organi e tessuti di animali soppressi ai fini sperimentali», ciò «al fine di ridurre il numero degli animali impiegati nelle procedure»;
   il medesimo decreto, all'articolo 37, afferma la «formazione e aggiornamento per gli operatori degli stabilimenti autorizzati» al fine di «promuovere lo sviluppo e la ricerca di approcci alternativi» e l'individuazione di «laboratori specializzati e qualificati per gli studi di convalida di metodi alternativi» su piano nazionale;
   l'articolo 47, comma 4, della direttiva europea «assicura la divulgazione delle informazioni concernenti, lo sviluppo di approcci alternativi»;
   l'articolo 34, comma 2, del decreto legislativo n. 26 del 2014 dichiara che «il Ministero pubblica le sintesi non tecniche dei progetti e le eventuali relative revisioni entro tre mesi dalla data del rilascio dell'autorizzazione di cui all'articolo 31»;
   il Ministro della salute, a distanza di due anni dall'entrata in vigore del suddetto decreto, non ha ancora provveduto a emanare i decreti attuativi e gli atti previsti al fine di poter adottare metodi sostitutivi e alternativi alla sperimentazione animale;
   inoltre, nulla è stato ancora erogato, sulla cifra stanziata per tre anni – dal 2014 – pari a un milione e mezzo di euro che, secondo il decreto legislativo n. 26 del 2014 doveva essere destinata ai metodi alternativi;
   presso l'università La Sapienza di Roma, grazie ai dipartimenti di scienze politiche e scienze biochimiche è stato fatto il punto sull'avanzamento dei metodi di ricerca scientifica che non utilizzano animali;
   lo studio ha fatto emergere che i progetti di ricerca presentati nei quasi due anni di vita del nuovo decreto legislativo n. 26 del 2014 – che regola la materia – su quasi 2.000 richieste di autorizzazioni, nessuna riportava la possibilità di utilizzare test alternativi o sostitutivi e questo senza che il Ministero della salute obiettasse alcunché;
   il recentissimo bando nazionale prin-progetti di rilevante interesse nazionale, per il quale il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca assegnerà 92 milioni di euro, mantiene il silenzio sulla necessità di dare preminenza in ambito biomedico ai metodi scientifici di ricerca senza animali, mentre lo sta facendo Horizon 2020 dell'Unione europea per il 7o programma quadro;
   nei giorni scorsi, il professor Thomas Hartung dal CAAT Usa-Europa ha annunciato il finanziamento ottenuto da 300 progetti per oltre 200 milioni di euro di diverse linee di ricerca compresa quella sul cervello artificiale;
   ciò a dimostrazione che i test sostitutivi sono in grande sviluppo in tutto il mondo, anche grazie alla sensibilizzazione dell'associazioni animaliste e in particolare della Lega Anti Vivisezione e da ricercatori e Governi;
   tuttavia, resta l'interesse economico di impiegare gli animali per la ricerca di base, anche se non obbligatoria secondo legge, anzi, risulta in aumento nei laboratori dell'Unione europea e quelli pubblici come le università;
   la sperimentazione su animali costa in termini di denaro molto di più di quell'alternativa e sono sempre maggiori i tagli generalizzati alla ricerca –:
   se il Governo non ritenga urgente assumere iniziative per l'adozione dei decreti attuativi del decreto legislativo n. 26 del 2014 al fine di consentire la ricerca con metodi alternativi;
   quali siano i motivi che a oggi non hanno permesso l'erogazione dei finanziamenti previsti dal decreto legislativo n. 26 del 2014, pari a un milione e mezzo di euro da destinarsi ai metodi alternativi;
   se il Governo sia a conoscenza dei dati riportati dalla banca dati europea ufficiale EURL-ECVAM e, in considerazione dei costi maggiori che prevede la tradizionale ricerca su animali e in virtù della sempre maggiore sensibilizzazione che i cittadini italiani hanno nei confronti degli animali, se non si ritenga opportuno valutare una campagna di sensibilizzazione al fine di stimolare una ricerca con metodi alternativi;
   se il Ministero della salute abbia di fatto prodotto un dossier relativo agli animali usati ai fini della ricerca e quali siano gli esiti prodotti. (5-07597)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ROSTAN. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nella città di Napoli, da moltissimi anni, opera una struttura assistenziale molto nota e dai grandi meriti sociali quale è il «centro Don Orione»;
   il centro di riabilitazione «Don Orione» di Napoli è una filiale della provincia religiosa Santi Apostoli Pietro e Paolo, ente ecclesiastico con personalità giuridica agli effetti civili dello Stato italiano;
   più precisamente, la RSA H Don Orione (residenza socioassistenziale per disabili) è una struttura pubblica di 25 posti letto che ospita pazienti gravemente disabili, quasi tutti tutelati;
   la residenza è all'interno del più noto Centro Don Orione di Via Donnalbina, a Napoli, dove la struttura è ospitata fisicamente, pur essendo la stessa direttamente gestita dalla ASL Napoli 1 Centro;
   il Centro opera nell'ambito dell'azienda sanitaria napoli 1 Centro, occupandosi di riabilitazione accreditata con il S.S.N. per l'erogazione di prestazioni sanitarie dirette alla riabilitazione fisica, psichica e sensoriale dei soggetti portatori di handicap secondo le vigenti norme di legge;
   vengono quindi abilitati, riabilitati ed educati, in particolare nella forma residenziale, persone con disabilità neuro-psico-motorie;
   l'intervento riabilitativo è rivolto maggiormente a soggetti affetti da:
    ritardo mentale;
    disabilità motorie di origine neurologica ed ortopedica;
    danni encefalici;
    disturbi cognitivi, emotivi e comportamentali disturbi neuropsicologici;
   alcune settimane fa, l'interrogante ha appreso dell'inizio di una istruttoria che prevede la chiusura del centro da parte della dirigenza del relativo distretto sanitario (DSB 31);
   avverso tale ipotesi di chiusura si sono mobilitate le maestranze, nonché le famiglie degli assistiti, le quali hanno definito lo smembramento della struttura come un anticipo di spostamento traumatico dei poveri afflitti in essa ricoverati;
   i degenti, infatti, a seguito della chiusura della struttura dove vengono gestiti con attività dal contorno e dal contesto particolarmente familiare, saranno trasferiti anche presso strutture «private» dove saranno costretti a soffrire ulteriormente per essere stati allontanati da chi, per anni, ha rappresentato in moltissimi casi, l'unica famiglia su cui contare;
   da ciò, inoltre, conseguirà un inevitabile innalzamento dei costi di gestione e trattamento di ogni singolo paziente;
   dall'esame della documentazione prodotta a supporto dell'istruttoria di chiusura, emergerebbero notevoli e gravi incongruenze ed inesattezze circa i presupposti amministrativi ed economici della stessa, tali da far sorgere più di un dubbio circa l'opportunità della chiusura del centro e la regolarità di tale scelta, anche da un punto di vista giuridico;
   ad oggi la sanità in Campania è commissariata dal Governo, motivo per il quale si rende assolutamente indispensabile un ulteriore approfondimento circa la vicenda di cui in premessa, nonché una valutazione concreta, da parte del Ministero e della struttura commissariale inviata in Campania, finalizzata a verificare con maggior rigore gli effetti della chiusura del Centro Don Orione, tenendo conto, in tal guisa, non soltanto dell'impatto finanziario per l'amministrazione sanitaria, ma anche e soprattutto dell'impatto sociale, economico e medico che essa avrà sui degenti, sulle loro famiglie e sulle maestranze impegnate nella struttura –:
   se il Governo sia a conoscenza di tali fatti e se intenda approfondire, per quanto di competenza, mediante un supplemento istruttorio, la sussistenza o meno dei presupposti per la chiusura del Centro Don Orione;
   se il Governo sia a conoscenza dei drammatici effetti che la eventuale chiusura del Centro Don Orione potrà avere sui pazienti ricoverati presso la struttura e se, in considerazioni di tali conseguenze, non intenda compiere, per quanto di competenza, ogni sforzo utile al fine di scongiurare tale scenario, assicurando il pieno rispetto dei livelli essenziali di assistenza. (4-11897)


   ATTAGUILE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   alla regione siciliana sono stati assegnati un numero di posti-letto ospedalieri per acuti pari al 3 per mille, con distribuzione provinciale, e di 0,6 per mille per riabilitazione e lungodegenza;
   la regione siciliana aveva decretato una distribuzione in linea con i suddetti parametri a livello provinciale: tale metodica permetteva una salvaguardia della distribuzione dell'offerta sanitaria omogenea anche a livello periferico nel rispetto dei LEA;
   con un successivo provvedimento è stato modificato il confine provinciale per cui attualmente la parametrazione ai LEA avviene soltanto a livello regionale;
   il suddetto provvedimento permette di spostare posti-letto ospedalieri dalla periferia verso altre sedi senza tenere conto delle necessità reali del territorio;
   secondo i LEA la zona sud della provincia di Siracusa, comprendente i comuni di Noto (comune capofila), Avola, Pachino, Portopalo e Rosolini per un totale di 100.000 abitanti, avrebbe diritto a 300 posti ospedalieri per acuti e 60 posti-letto per lungodegenza e riabilitazione, invece ne sono stati attivati 120 per acuti e nessuno per lungodegenza e riabilitazione come ha più volte denunciato il Comitato per la tutela della salute nella zona sud di Siracusa;
   la zona Sud è dotata di 3 presidi ospedalieri: Noto comune capofila con presidio ospedaliero di 352 posti-letto; Avola con 121 posti-letto; Pachino senza posti-letto;
   l'ospedale di Noto, progettato e costruito con una dotazione di 352 posti letto, ne vede attivati soltanto 60 circa, pur essendo dotato di locali di degenza comprendenti anche un reparto attrezzato per assistere reclusi e di locali per la rianimazione;
   in una cornice che voleva la progressiva alienazione di posti-letto ospedalieri dalla zona sud si poteva osservare che nel 2009 la regione siciliana decretava che l'ospedale di Avola, più piccolo e strutturalmente fragile, doveva essere trasformato in poliambulatorio;
   a tal scopo fu nominata una commissione super partes di cui facevano parte i comuni di Noto e di Avola e dei tecnici dell'AGENAS. Una relazione dell'AGENAS, rielaborando i dati in suo possesso, arrivò alla conclusione che l'ospedale di Noto e di Avola erano equivalenti dal punto di vista strutturale, anzi, che l'ospedale di Avola era migliore di quello di Noto. Ma per attivare ad Avola una capienza pari a quella dell'ospedale di Noto bisognava spendere un totale di 25 milioni di euro necessari alla realizzazione di una piazzola per l'elisoccorso e di un pronto soccorso a norma e all'ampliamento del reparto adibito alle degenze e delle sale operatorie;
   le determinazioni della commissione super partes, comprendente la relazione dell'AGENAS e la relazione del tecnico del comune di Noto non sono mai state recepite né dalla regione siciliana né dalla ASP 8 di Siracusa –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione, e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere al fine di tutelare il diritto costituzionale alla salute, poiché non può sfuggire che 151 posti-letto rappresentano soltanto 1,5 per mille contro un tasso di offerta sanitaria del 3 per mille; se risulti dove siano stati dirottati i posti-letto ospedalieri di pertinenza dei cittadini di Noto e della zona sud della provincia di Siracusa e quando verranno attivati i posti letto per lungodegenza e riabilitazione;
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative, per quanto di sua competenza, per scongiurare la chiusura del pronto soccorso di Noto, l'unico capace di garantire un'assistenza a norma nella provincia di Siracusa, essendo dotato anche di camera calda e di sala operatoria.
(4-11901)


   RIZZETTO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   negli anni ’90, i laboratori nazionali del Sud dell'Istituto nazionale di fisica nucleare e vari dipartimenti dell'università di Catania hanno avviato un'intensa attività di ricerca e sperimentazione per la cura dei tumori, attraverso l'impiego di un fascio di protoni generato da un acceleratore di particelle (sincrotrone) che permette di dosare la quantità necessaria alla distruzione del cancro, riducendo il danneggiamento dei tessuti sani come invece avviene con l'irraggiamento della radioterapia classica: tale metodo di cura è definito protonterapia;
   il Ministero della ricerca scientifica ha finanziato nel 1999 un progetto per la realizzazione di un centro sperimentale per i trattamenti di tumori, utilizzando il fascio di protoni del laboratorio catanese e applicato per la cura dei melanomi oculari, che statisticamente interessano ogni anno circa 200 pazienti in tutto il territorio nazionale;
   il centro catanese ha avviato ufficialmente la sua attività nel marzo del 2002, regolarmente autorizzata dal Ministero dalla salute, sulla base di un accordo clinico stipulato con l'università di Catania, l'Azienda policlinico universitario di Catania ed il Centro siciliano di fisica nucleare e struttura della materia (CSFNSM), ed è diventato il primo centro italiano di protonterapia, ancora oggi l'unico centro italiano per il trattamento dei tumori della regione oculare: fino ad oggi sono stati trattati 350 pazienti, di cui il 45 per cento siciliani e il 55 per cento provenienti da altre regioni italiane, conseguendo risultati molto positivi considerato che oltre il 90 per cento dei pazienti è guarito senza recidive;
   per estendere l'impiego del metodo di cura protonterapica e applicarlo a tumori più profondi nel resto del corpo umano, è stato redatto dai dottori Luciano Calabretta e Giacomo Cuttone, dirigenti di ricerca nell'Infn, assieme al professor Salvatore Lo Nigro, ordinario di fisica nucleare nell'università di Catania, il progetto per la realizzazione di un centro di trattamenti dotato di un acceleratore capace di fornire protoni ad energia più elevata, approvato nel 2003 dall'Assessorato Regionale alla salute e dalla Direzione Generale dell'Azienda ospedaliera Cannizzaro di Catania, inserito nel programma quadro sanità del 2003, confermato dal piano oncologico nazionale del 2010: si tratta dell'unico centro di protonterapia nel Meridione, promosso insieme ai centri di Pavia, Trento, rientrati nel decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70 sul riordino dei livelli essenziali di assistenza;
   il progetto per la realizzazione del centro di protonterapia di Catania è stato perciò recepito nelle strategie regionali per, l'innovazione, convalidato con la sottoscrizione dell'accordo di collaborazione tra l'Infn e la regione siciliana per lo sviluppo delle attività di fisica nucleare e particellare alla medicina e alla salute, e inserito il 15 febbraio 2011 dalla direzione generale competente della Commissione europea tra progetti strategici delle risorse del PO-FERS 2007/2013, per un importo di 112 milioni di euro: l'azienda ospedaliera Cannizzaro di Catania il soggetto beneficiario;
   per la realizzazione del centro di protonterapia di Catania si prevedeva perciò un investimento da 112 milioni di euro per coprire i costi di forniture, di costruzione, pianificazione e progettazione; le fonti di finanziamento per i costi d'investimento si individuavano: nel contributo comunitario PO FESR, per il 25 per cento circa, in fondi nazionali per il 32 per cento, in risorse private per il 25 per cento, in fondi dell'azienda ospedaliera per 4 milioni di euro e in finanziamenti regionali per il 9 per cento pari a circa 10 milioni di euro; i fondi necessari per coprire i costi d'esercizio sarebbero derivati dalle prestazioni effettuate e rimborsate dal servizio sanitario nazionale;
   nel mese di maggio 2012 è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale della comunità europea il bando per la gara indetta ai sensi dell'articolo 58 del decreto legislativo n. 163 del 2006, in modalità di partenariato pubblico-privato per la selezione dei concorrenti partecipanti al dialogo competitivo che, nel mese di agosto 2012, ha visto prequalificarsi tre raggruppamenti temporanei d'impresa (RTI);
   durante un'audizione presso la VI Commissione ARS/Sicilia, che ha avuto luogo il 12 marzo 2013, e alla quale hanno partecipato in teleconferenza esperti del settore tra i quali scienziati di fisica nucleare, oncologi e radioterapisti, veniva ribadita la validità scientifica, clinica ed economica del centro di protonterapia previsto e programmato nella città di Catania. A seguito della suddetta audizione, il 15 maggio 2013 l'assessorato regionale ha proposto una tariffa della prestazione pubblicata sulla Gazzetta ufficiale della comunità europea n. 36 del 2 agosto 2013 — DA 28 giugno 2013;
   il termine ultimo per permettere ai raggruppamenti temporanei d'impresa, prequalificatisi al dialogo competitivo, di presentare l'offerta veniva fissato per il 31 ottobre 2013, ma la gara è andata deserta presumibilmente a giudizio dell'interrogante a causa di una criticità sollevata dall'amministrazione appaltante che ha richiesto ai concorrenti aggiudicatari di contro-garantire l'intera quota di finanziamento pubblico con bond e/o con la prestazione di fidejussione per l'intero periodo: tale condizione – non prevista nel codice degli appalti di fornitura – si è palesata oltremodo gravosa e ha finito per scoraggiare a giudizio dell'interrogante la presentazione delle offerte, tenuto conto che nei tre Rti per la fornitura degli acceleratori erano presenti ditte straniere quotate in borsa, non abituate a queste richieste;
   a quanto risulta all'interrogante il 15 gennaio 2016 si è tenuta una riunione presso l'assessorato alla salute della regione Siciliana alla quale era presente il direttore generale dell'azienda ospedaliera Cannizzaro, Angelo Pellicanò, per comunicare che il finanziamento del progetto centro di protonterapia è stato stornato per altre iniziative;
   attualmente sono funzionanti nel mondo 57 centri di protonterapia, di cui 19 in Europa, 17 negli Stati Uniti e 13 in Giappone e nei quali sono stati trattati con questa nuova terapia oltre 140.000 pazienti, con risultati molto incoraggianti come viene documentato da diverse pubblicazioni scientifiche;
   realizzare il centro di protonterapia di Catania eviterebbe i continui e dolorosi «viaggi della speranza» a tanti malati del Sud Italia che sono costretti a migrare e sostenere costose cure che la sanità regionale siciliana paga circa 200 milioni di euro l'anno, come da bilancio;
   nella prospettiva di rilancio del Meridione, il centro di protonterapia nella città di Catania potrebbe costituire un importante punto di riferimento sanitario per i pazienti provenienti da altre regioni italiane e dall'estero insieme ai loro parenti che, usufruendo dell'importante servizio e con la loro presenza in funzione di accompagnatori assistenziali, andrebbero a incentivare e incrementare gli indotti delle attività produttive generali e turistico-ricettive;
   riuscire ad avviare il centro di protonterapia nella città di Catania significherebbe anche favorire la formazione di professionisti di settore che non sarebbero costretti a raggiungere altri centri per specializzarsi, evitando la cosiddetta «fuga di cervelli», e andrebbe a creare nuove forme di impiego occupazionale che, abbandonando questo progetto, verrebbero a mancare –:
   se il Governo sia a conoscenza di quali progetti saranno beneficiati dai finanziamenti stornati e dai quali è stato escluso il Centro di protonterapia di Catania, confermandone, per quanto di competenza, la loro validità;
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere, affinché il centro di protonterapia la cui realizzazione, programmata nella città di Catania non ha avuto luogo, possa essere ripresa e portata a compimento per le cure dei malati oncologici del Centro-Sud d'Italia, a vantaggio dell'economia nazionale e della regione Sicilia non solo sanitaria. (4-11904)


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, PASTORINO, MATARRELLI e SEGONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 31 dicembre 2015 era prevista la proroga concessa dall'Unione europea al nostro Paese per mettere a norma i sistemi di depurazione;
   in Italia più del 20 per cento della popolazione scarica le acque reflue delle fognature, non depurate versandole nei fiumi e nei mari, con una percentuale territoriale suddivisa tra il 15 per cento al Centro-nord, il 20 per cento al Centro e oltre il 30 per cento al sud;
   sono 111 le infrazioni che hanno portato ad una condanna dell'Italia in sede europea, per le quali quindi dovrà pagare una multa pari a circa 200 milioni di euro all'Unione europea;
   è stato dichiarato dal Ministero che l'Unione europea sta valutando altre 870 infrazioni commesse dal nostro Paese e se anche queste infrazioni dovessero portare a una condanna, le sanzioni si aggirerebbero circa a un importo di 500 milioni di euro;
   si ricorda che, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, può essere attivata la procedura di esercizio del potere sostitutivo del Governo secondo quanto previsto dall'articolo 8, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131, anche con la nomina di appositi commissari straordinari;
   i suddetti commissari sono nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed esercitano comunque i poteri di cui ai commi 4, 5 e 6 dell'articolo 10 del decreto-legge n. 91 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 116 del 2014 –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero, se siano a conoscenza del Ministro interrogato e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intenda assumere a partire da una misura considerata dagli interroganti fondamentale per l'ambiente e il benessere della collettività, ovvero l'applicazione immediata ed effettiva dei principi contenuti nella direttiva CEE 91/271/CEE la cui attuazione ha subito l'ennesimo slittamento;
   se il Ministro interrogato non ritenga doveroso che l'Italia recepisca le prescrizioni contenute nella direttiva europea 91/271/CEE in materia di trattamento delle acque reflue urbane, benché tale adempimento comporti per i cittadini consistenti apporti di risorse finanziarie, senza ulteriori proroghe;
   se, a fronte delle procedure d'infrazione attivate nei confronti dell'Italia in materia di sistemi di depurazione, non si intendano attivare campagne d'incentivazione al recepimento della normativa sovranazionale, al fine di applicare la disciplina della direttiva CEE 91/271 anziché pagare all'Unione europea circa 100 milioni di euro – che potrebbero potenzialmente aumentare sino 500 milioni – in caso di ulteriori condanne. (4-11910)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta immediata:


  SIMONETTI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI e SALTAMARTINI. – Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto pubblicato su Il Corriere della Sera di lunedì 1o febbraio 2015, l'attività illecita di circa 7.000 dipendenti pubblici infedeli e corrotti ha creato in dieci mesi un danno record di quasi 4 miliardi di euro (esattamente 3.837.273.698 euro);
   500 milioni di euro è la quota di «buco» accumulata in soli quattro mesi, da giugno ad ottobre 2015, per atti illeciti, omissioni e/o abusi d'ufficio, compiuti da dirigenti, funzionari ed impiegati pubblici; cifra inquietante che denuncia un trend di oltre 100 milioni di euro di danno erariale ogni trenta giorni;
   le cause sono le più svariate: medici e funzionari assenteisti; truffe nel settore sanitario con falsificazioni di cartelle e di tabulati marcatempo, nonché indebiti rimborsi di medicinali; appalti truccati e gonfiati; consulenze inutili; illegittime erogazioni di pensioni, prestazioni ed indennità varie;
   a titolo di esempio si cita il caso del geometra dipendente comunale di Potenza, che nell'orario di servizio svolgeva altrove attività libero-professionale, per una somma «rubata» di 70 mila euro, ma anche il caso dei 500 milioni di euro sottratti alle casse dell'Inps a Viterbo, dove compiacenti impiegati modificavano i moduli di riscatto della laurea o di ricongiunzione di periodi contributivi per «scontare» l'effettiva somma da versare all'Istituto previdenziale;
   ciò dimostra, quindi, che la «piaga» della pubblica amministrazione va ben oltre l'assenteismo e che, dunque, il tanto decantato licenziamento in 48 ore dell'assenteista colto in flagrante non è altro che «una piccola goccia in un mare di necessità» –:
   se ed in che termini il Governo intenda urgentemente affrontare la complessa problematica di situazioni quali quelle descritte in premessa che sostanzialmente determinano un rilevante danno erariale e quali misure intenda porre in essere per procedere al recupero di quanto indebitamente sottratto alle casse pubbliche. (3-01974)

Interrogazione a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 16 del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, ha previsto alcune misure di riduzione dei costi relativi alla rappresentanza politica nei comuni;
   in particolare, il comma 20 del succitato articolo 16 ha disposto che le riunioni della giunta debbano tenersi preferibilmente in un arco temporale non coincidente con l'orario dei partecipanti, ed il successivo comma 21 ha stabilito che i lavoratori dipendenti pubblici e privati componenti dei consigli comunali, provinciali, metropolitani, delle comunità montane e delle unioni di comuni, hanno diritto di assentarsi dal servizio per il tempo strettamente necessario per la partecipazione a ciascuna seduta dei rispettivi consigli e per il raggiungimento del luogo di suo svolgimento, e non più «per l'intera giornata in cui sono convocati i rispettivi consigli»;
   tale norma pone alcune problematiche per gli appartenenti alla polizia penitenziaria eletti consiglieri, qualora il consiglio comunale sia indetto in concomitanza dell'orario di servizio e non abbia durata superiore all'orario di lavoro e ciò in quanto il loro contratto di lavoro non contempla i permessi per riduzione di orario (cosiddetti ROL) –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della problematica esposta in premessa e quali siano le modalità per assentarsi dal servizio previste per i consiglieri comunali appartenenti al Corpo della polizia penitenziaria. (4-11891)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAPOZZOLO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'8 gennaio 2016 il Consiglio dei Ministri ha approvato con decreto la costruzione della centrale nel comune di Capaccio;
   già nei mesi scorsi il gruppo parlamentare del Pd aveva presentato una serie di atti di sindacato ispettivo ponendo al Governo il problema della ubicazione di suddetto impianto;
   molteplici sono infatti le ragioni che permangono in merito alla opposizione alla realizzazione di una centrale per la produzione di energia elettrica alimentata a biomasse, in località Sabatella/Sorvella nell'ambito del comune di Capaccio;
   con risposta all'interrogazione a prima firma del deputato Tino Iannuzzi, in data 20 novembre 2015, il Governo confermava con congrua motivazione il parere contrario e negativo nei confronti dell'impianto;
   la centrale in quei territorio costituiva, in base alle ragioni addotte dalla Soprintendenza belle arti e paesaggio di Salerno e Avellino e dalla competente direzione generale del Ministero dei beni e delle attività culturali, una scelta inopportuna perché la zona interessata dal progetto è vicina al sito archeologico di Paestum, iscritto nella lista del patrimonio mondiale dell'umanità – Unesco ed è visitata da rilevanti flussi turistici;
   nelle vicinanze ricadono aree naturali protette ed il territorio del comune parzialmente rientra nel perimetro del parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano ed Alburni, mentre la restante parte è inserita nelle aree contigue del Parco, assimilate alle aree di protezione esterna dei parchi e come tali sottoposte a tutela paesistica;
   la zona, poi, è caratterizzata da produzioni agroalimentari di alta qualità e dalla presenza di centri di eccellenza in particolare legati alla filiera lattiero-casearia ed alla produzione di mozzarella di bufala campana DOP;
   di particolare rilevanza è anche la produzione del carciofo che ha avuto il riconoscimento IGP ed è presente una significativa attività nell'ambito del settore olivicolo di pregiata qualità;
   Capaccio, nel 2015, ha ottenuto anche la bandiera blu della FEE per la qualità del mare elemento di grande richiamo per il turismo;
   lo stesso Istituto superiore di sanità ha affermato che, per i limiti e la carenza delle informazioni legate al progetto, non è possibile valutare il reale impatto ambientale e sanitario dell'impianto considerata comunque la particolarità del sito e i rischi di contaminazione;
   gli scarti ed i materiali residui derivanti dalle attività di coltivazione agricola di quel comprensorio mai potrebbero garantire l'autosufficienza dell'impianto;
   il Governo della regione Campania precedente guidato dall'Onorevole Stefano Caldoro, non ha mai dato ai funzionari regionali indirizzi contrari alla realizzazione dell'impianto nella località predetta consentendo all’iter procedimentale di approdare, in tal modo, sul tavolo del Consiglio de Ministri senza nessun ostacolo;
   la decisione del CdM ha suscitato grande preoccupazione nella popolazione locale e tra gli amministratori comunali che hanno promosso, per il prossimo fine settimana, una iniziativa di mobilitazione generale del territorio per ribadire la contrarietà alla installazione del citato impianto a biomasse –:
   se il Governo, in considerazione di quanto esposto in premessa e anche del mutato quadro politico regionale e della mutata sensibilità istituzionale della nuova giunta regionale campana rispetto alla problematica de quo, intenda rivedere suddetta decisione e sospendere l'autorizzazione rilasciata per scongiurare tensioni sul territorio e avviare una nuova fase di confronto, anche per individuare soluzioni alternative a salvaguardia della tutela della salute e delle prospettive di sviluppo delle comunità locali. (5-07607)

Interrogazione a risposta scritta:


   RICCIATTI, FERRARA, AIRAUDO, PLACIDO, GREGORI, PIRAS, DURANTI, QUARANTA, MELILLA, SANNICANDRO, COSTANTINO e KRONBICHLER. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 1o febbraio 2016 le maggiori agenzie e testate nazionali hanno riportato il dato dell'indice Pmi manifatturiero di Markit relativo all'Eurozona;
   per quanto riguarda l'Italia, il dato, pur restando al di sopra della soglia dei 50 punti, che segna il confine tra una economia in crescita e una economia in contrazione, registra un calo a 52,3 punti: un vero e proprio crollo rispetto ai 55,6 punti rilevati soltanto a dicembre 2015;
   l'indice Pmi è uno dei principali indicatori dello stato di salute dei settori che costituiscono il motore dell'economia nazionale; la forte oscillazione registrata in Italia nelle ultime rilevazioni è indice di una crescita economica ancora instabile e fragile, soggetta a brusche inversioni di tendenza;
   l'indagine di Markit ha rilevato, inoltre, come il livello di crescita dei nuovi ordini sia passato dai 58 punti di dicembre ai 54,4 dell'ultima rilevazione;
   il dato è in forte controtendenza rispetto alle stime della comunità economica che ipotizzava un livello di 55 punti per la rilevazione di gennaio (Milano Finanza) –:
   se il Ministro interrogato sia in grado di chiarire quali siano le ragioni della forte contrazione dell'indice Pmi manifatturiero;
   quali iniziative stia attuando il Governo per rendere stabile la ripresa economica. (4-11892)

Apposizione di firme a risoluzioni.

  La risoluzione in Commissione Zolezzi e altri n. 7-00871, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 dicembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Parentela.

  La risoluzione in Commissione Gnecchi e altri n. 7-00895, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rostellato.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Albanella e Miccoli n. 5-06907, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Damiano.

  L'interrogazione a risposta scritta Tancredi n. 4-11853, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Capua.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta orale Terzoni n. 3-01063, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 300 del 1o ottobre 2014.

   TERZONI, CECCONI, AGOSTINELLI, ZOLEZZI, DE ROSA, DAGA, MANNINO, SEGONI, BUSTO, MICILLO e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Ascoli Piceno in una zona adiacente al centro storico e alla stazione ferroviaria insiste l'area ex-Carbon, uno storico insediamento industriale oggi di proprietà del consorzio Restart;
   in questa area che si estende per circa 27 ettari sono presenti opifici dismessi, l'attività è cessata nel 2008, ricoperti di amianto in stato di disfacimento come evidenziato da due relazioni di ASUR Marche 5 e dell'ARPAM di Pesaro (n. 0034516 del 3 luglio 2014 e la n. 37758 del 11 luglio 2014). Nella relazione dell'ASUR in particolare si legge che «considerando la vastità della superficie interessata, è come avere una bomba inquinante che esplode silente in ogni istante ma nessuno vede consapevolmente i rischi per l'ambiente e l'uomo» (nota ASUR del 23 aprile 2014 da www.areacarbon.it);
   nelle due relazioni viene indicato chiaramente che esiste la necessità di messa in sicurezza urgente dell'amianto i cui tempi non possono essere gli stessi della bonifica dell'intera area;
   il 28 maggio del 2007 si tenne una conferenza dei servizi presso il comune di Ascoli alla quale partecipavano sia la SGL Carbon che Restart che poi sarebbe diventata proprietaria dell'area solo tre anni dopo. Oggetto della conferenza dei servizi era proprio la caratterizzazione del sito per la bonifica;
   nel dicembre 2009 il comune approvò un progetto preliminare di bonifica e formulò espressa e formale richiesta alla SGL Carbon di essere messo a conoscenza di eventuali intenzione di vendita dell'area e a quali condizioni (Determinazione n. 1571 del 14 dicembre 2009);
   nonostante questo il comune non ha tutelato l'interesse pubblico chiedendo garanzie economiche alla SGL Carbon come avrebbe potuto e dovuto fare, ma ha addirittura facilitato e appoggiato l'operazione di subentro della RESTART – cordata di imprenditori locali – nell'assumersi tutti i costi della bonifica, pur senza avere adeguato capitale sociale per far fronte ai circa 35 milioni di euro di costi per la bonifica che ben conoscevano per essere stati dichiarati nell'atto pubblico di acquisto dell'area. (http://www.picusonline.it);
   nel 2013 con ordinanza sindacale n. 449 del 2013 l'amministrazione chiede alla Restart di produrre una relazione dello stato di conservazione degli immobili che contenesse in particolare indicazioni circa la presenza di amianto e con l'indicazione di nominare un responsabile rischio amianto. Nell'ordinanza in riferimento alla presenza dell'amianto si fa richiesta di un piano di lavoro per la messa in sicurezza e/o rimozione dei materiali pericolosi;
   Restart risponde a tale richiesta confermando la presenza dell'amianto e nominando di conseguenza il RRA il quale relaziona che l'amianto presente nella quasi totalità è «compatto, senza affioramento di fibre, con pochissime crepe e rotture e con assenza di stalattiti» concludendo che la situazione non desta preoccupazione;
   nel mese di aprile 2014 l'ASUR 5 analizza la documentazione presentata da Restart registrando l'assenza di un'idonea certificazione e di rispondenza tra la situazione reale e le risultanze delle analisi condotte dal RRA;
   nella relazione prodotta dall'ARPAM di Pesaro inviata all'ASUR 5 e quindi trasmessa al sindaco e alla procura della Repubblica, vengono descritte le condizioni della copertura in amianto in netto contrasto con quanto in precedenza dichiarato dal RRA. Infatti viene evidenziata la presenza di fibre affioranti visibili ad occhio nudo nonché la presenza di stalattiti;
   la Restart nel frattempo ha effettuato una messa in sicurezza basata su tecniche che solitamente vengono adottate preliminarmente alle operazioni di rimozione e bonifica mediante l'uso di vernici tipo «Fixet» a base d'acqua, interventi che hanno una durata molto limitata nel tempo;
   l'ultimo atto di una lunghissima trafila burocratica è stato l'emissione di un'ordinanza sindacale, la n. 180 del 24 aprile 2014, con la quale si intimava il consorzio Restart la messa in sicurezza del sito che rimane l'azione più urgente da affrontare;
   tale atto è stato però sospeso dal TAR per la incongrua previsione temporale per l'attuazione delle misure necessarie alla messa in sicurezza di un sito di così grandi dimensioni e per l'assenza di un approfondimento istruttorio in merito alla scelta del metodo di bonifica più opportuna nonostante sia stata ribadita la necessità di intervenire per la bonifica dell'amianto;
   il 4 settembre 2014 si è tenuta udienza alla Corte di giustizia del Lussemburgo nella procedura per infrazione che pende contro l'Italia; dalle conclusioni presentate dall'Avvocato generale risulta che il sito di Ascoli è addirittura nel ristretto gruppo dei 13 siti contenenti rifiuti pericolosi;
   la sentenza della Corte di Giustizia ha condannato l'Italia al pagamento di multe milionarie per non avere adottato tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza Commissione/Italia (C-135/05, EU:C:2007:250)
   nel progetto di bonifica presentato da Restart si parla di un'edificazione per circa 350.000 metri cubi destinati a edilizia abitativa nonostante che nel comune di Ascoli si registri un indice di non utilizzazione degli immobili di civile abitazione pari a circa il 7,2 per cento superiore sia rispetto al 4,7 per cento delle Marche che al 5,7 per cento dell'Italia;
   in un incontro tenutosi ad Ascoli a inizio agosto 2014 il presidente della Regione Gianmario Spacca in relazione alle operazioni di bonifica dell'area ha affermato che «C’è la disponibilità della giunta a sostenere il progetto con Fondi Fse (3 milioni) e Fesr (17 milioni) per circa 20 milioni di euro» ammettendo quindi che le spese per la bonifica dell'area ricadranno non su chi ha inquinato come stabilito dalla direttiva europea 2004/35, ma sulla collettività;
   dal sito di Picenooggi si apprende che Il 29 ottobre 2015 si è tenuta la «conferenza dei servizi» con la presentazione del P.O.B. (Progetto Operativo di Bonifica) con il quale la ditta Restart procederà alla bonifica del sito previa, entro il termine massimo di 60 giorni (scadenza 20 gennaio 2016), trasmissione di integrazioni progettuali a completamento di quanto richiesto dalle valutazioni tecniche dell'Asur;
   un sopralluogo effettuato in data 21 dicembre 2015 da parte dei tecnici del servizio igiene e sanità pubblica rimette in discussione l’iter avviato con la conferenza dei servizi. Il verbale inviato alla procura della Repubblica evidenzia la pericolosità del sito a seguito di parziali crolli delle strutture in fibrocemento contenente amianto con la dispersione delle fibre di amianto. Viene quindi fatta richiesta di rimuovere in tempi strettissimi i materiali in fibrocemento;
   in data 13 gennaio 2016 si apre un altro capitolo su questo sito inquinato con uno scambio di raccomandate tra il dirigente Asur, dottor Amadio, e il sindaco Guido Castelli, entrambi tutori della salute pubblica. Entrambi risoluti nelle loro posizioni:
    «...visto il verbale ispettivo del 21 dicembre 2015, – scrive il dottor Amadio – la rimozione dei m.c.a. (materiali contenenti amianto) dal sito ex Sgl Carbon non sono tutt'ora stati rimossi, si significa che la situazione di pericolo relativo alla liberazione di fibre di amianto ha superato anche il tempo massimo previsto dalla valutazione Arpam di Pesaro. Avendo preso atto del fatto che la ditta Restart ha inteso inserire la rimozione amianto nel Piano Operativo di Bonifica (P.O.B.) del sito inquinato, il sindaco vorrà ordinare in via alternativa, l'immediato inizio dei lavori previsti e qualora ciò non avvenisse per disattesa da parte dei soggetti obbligati sarà necessario che provveda l'amministrazione comunale...» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se il Governo intenda attivare immediatamente, anche avvalendosi del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, una procedura ispettiva in merito a quanto citato in premessa e promuovere la messa in sicurezza del sito;
   se non si intenda rafforzare i controlli e definire per il tramite dell'istituto superiore di sanità una mappa epidemiologica della zona, utile a dare l'esatta misura del fenomeno e a consentire agli eventuali aventi diritto di vedersi riconosciuto il giusto risarcimento per i danni alla salute provocati dall'esposizione ad agenti cancerogeni. (3-01063)

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Di Benedetto n. 5-07551, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 556 del 27 gennaio 2016.

   DI BENEDETTO, BRESCIA, MARZANA, D'UVA, LUIGI GALLO, VACCA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da fonti giornalistiche la notizia del cantiere per la costruzione di un bar sulla terrazza del «Palazzaccio», come viene chiamata la sede della Corte di cassazione. L'opera, che inizia a essere visibile, presumibilmente in ferro e vetro, si staglierà nel panorama romano in perfetta linea con il cupolone di San Pietro e di Castel Sant'Angelo;
   lo storico palazzo di giustizia, sottoposto a vincolo, fu costruito tra il 1889 e il 1911, sulla sponda destra del Tevere, nel cuore della città, area, anch'essa, sottoposta a tutela;
   è difficile credere che un bar sulla terrazza di un edificio storico e in un'area centrale della città sia stato ritenuto di minimo impatto visivo tale da non deturpare panorama. Desterebbe stupore leggere di un provvedimento della Soprintendenza ai beni culturali motivato in tal senso;
   sicuramente un bar a esclusivo beneficio dei magistrati non costituisce un servizio che valorizza l'immobile. L'elegante bar, anche se pagato con risorse pubbliche, sarà privilegio solo di pochi;
   inoltre, sono altre le priorità che necessitano di pronto intervento all'interno dell'edificio, come, ad esempio, la riparazione e manutenzione degli ascensori, il rifacimento dell'impianto di riscaldamento e dei servizi igienici al primo piano;
   si è consapevoli che il paesaggio, nonché il patrimonio storico e artistico della Nazione devono essere tutelati, come sancito dall'articolo 9 della Carta costituzionale e non possono, in alcun modo, subire una compensazione con quelli che, presumibilmente, sono privilegi e non diritti –:
   se il Governo sia a conoscenza dell'opera in corso e del costo di quest'ultima;
   se siano state date autorizzazioni, per quanto di competenza, e secondo quali criteri logico-giuridici;
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare a salvaguardia del patrimonio storico-artistico;
   se sia a conoscenza dell'ammontare dei costi dell'opera;
   se sia a conoscenza dei capitoli di bilancio ai quali tali costi siano imputati;
   se non ritenga doverosa la pubblicazione del bilancio della Corte di Cassazione. (5-07551)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Dambruoso n. 4-10901 del 28 ottobre 2015;
   interrogazione a risposta scritta Sibilia n. 4-11047 del 10 novembre 2015;
   interrogazione a risposta scritta Quaranta n. 4-11587 dell'11 gennaio 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Cancelleri n. 5-07479 del 21 gennaio 2016;
   interrogazione a risposta scritta Sarti n. 4-11890 del 1o febbraio 2016.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore:
   interrogazione a risposta orale Terzoni e altri n. 3-01588 del 1o luglio 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-11898.