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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 1 febbraio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   La IX Commissione,
   premesso che:
    il progetto dell'autostrada Tirreno-Brennero (ovvero il raccordo autostradale che dovrebbe collegare l'A15 con l'A22, progetto prima stralciato e poi declassato dalla giunta dell'Emilia Romagna), risale al 1974, ma, dei 68 chilometri previsti solo 9 sono passati dalla fase preliminare alla definitiva, e sono quelli che interessano il tratto parmense che collega Pontetaro a Trecasali;
    la Commissione europea ha adottato una strategia (Trasporti 2050) per un sistema di trasporti in grado di soddisfare le esigenze di mobilità, di rimuovere i principali ostacoli nelle aree essenziali e alimentare la crescita e l'occupazione, piano che prevede il trasferimento del 50 per cento del trasporto merci da quello su gomma a quello su rotaia e per via d'acqua;
    in Italia il 92 per cento delle merci viene ancora trasferito su gomma;
    il corridoio ferroviario Tirreno-Brennero rappresenta una infrastruttura di collegamento e distribuzione delle merci e di mobilità delle persone che attraversa territori ad alto sviluppo economico;
    il Ti-Bre ferroviario risulta essere un'opera fondamentale e inderogabile di interesse e valenza nazionale, una efficiente e moderna direttrice che, attraverso il Brennero, colleghi Europa e settentrione italiano al Tirreno interessando gli snodi strategici di Verona, Parma, La Spezia;
    da uno studio commissionato alla società Eidos dalla Ti-Bre Srl, società che coordina i progetti di collegamento lungo il suddetto asse, e reso pubblico nel novembre 2015 risulta quanto segue: «Il completamento della direttrice ferroviaria Tirreno Brennero mediante il potenziamento del collegamento Parma Piadena Mantova Verona risulta su linea di esclusiva proprietà e gestione Rfi. L'investimento per la soluzione Piadena ammonta a 80 milioni, a fronte di 700 milioni per la soluzione Suzzara, il percorso Piadena è più breve di 24,7 chilometri e presenta maggiori potenzialità di impiego per i treni merci, con tempi di percorrenza inferiori di 35 minuti, ha una tariffa media per chilometri di percorrenza, maggiore prossimità per scali e terminali intermodali»;
    il suddetto collegamento ferroviario, sostenuto dalle amministrazioni locali coinvolte e da numerose associazioni ambientaliste e comitati, verrebbe realizzato con un risparmio di oltre 600 milioni di euro;
    accanto all'investimento sulla linea ferroviaria, il progetto prevederebbe un potenziamento del tratto stradale già esistente della Pontremolese, che fa parte del corridoio Ti-Bre, evitando la realizzazione di una galleria, riducendo così i costi e creando uno sbocco efficiente per trasportare merci e persone dalla pianura Padana al nord Europa;
    il 13 ottobre 2015, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, si è tenuto un incontro con gli assessori competenti delle regioni Emilia Romagna, Toscana e Liguria in merito al raddoppio della linea ferroviaria La Spezia-Parma e il suo proseguimento verso Verona, in cui è stata ribadita la valenza nazionale dell'opera e la necessità che si vada verso la concretizzazione di tale obiettivo;
    in tutti i comuni che aderiscono alla «Consulta Casalasca» dell'area vasta cremonese sono stati approvati ordini del giorno in cui si chiede di dare priorità all'opera ferroviaria in questione, dando sostegno al progetto elaborato da Eidos per conto della società TI-BRE srl;
    in diverse occasioni, sindaci, associazioni e comitati contrari alla realizzazione del Ti-Bre autostradale hanno richiesto un incontro al Ministro Delrio per poter meglio illustrare la convenienza economica, sociale e ambientale del Ti-Bre ferroviario rispetto a quello autostradale,

impegna il Governo

ad intraprendere tutte le iniziative necessarie alla realizzazione del collegamento ferroviario Tirreno-Brennero sulla base del tracciato indicato dallo studio della società Eidos, elaborato per conto di TI-Bre srl, accantonando, in una prospettiva di riequilibrio intermodale, Ti-Bre autostradale, privo di sostenibilità  economica ed ambientale e avversato dai territori interessati, sospendendo le procedure per l'esecuzione dei 9 chilometri di una strada che finirebbe nel nulla, attivando altresì un accordo con la ditta aggiudicataria di tale lavori affinché gli stessi possano essere eseguiti nell'ambito della realizzazione dell'opera ferroviaria.
(7-00902) «Franco Bordo».


   L'XI Commissione,
   premesso che:
    con l'interrogazione n. 5-07165, presentata il 3 dicembre 2015, che non ha ancora ricevuto riscontro, è stata richiesta al Ministro del lavoro e delle politiche sociali l'adozione di provvedimenti per salvaguardare i posti di lavoro di 243 dipendenti della Saeco di Gaggio Montano in provincia di Bologna; la storica società, il cui marchio è stato acquistato nel 2009 dalla multinazionale olandese Philips, aveva infatti annunciato l'intenzione a procedere al licenziamento di tali lavoratori;
    nel tempo si sono susseguite una moltitudine di manifestazioni di protesta dei dipendenti con il sostegno dei sindacati Fim Cisl e Fiom Cgil, delle istituzioni del territorio e con la solidarietà di tutta la cittadinanza contro la politica aziendale di Saeco, che qualora procederà alle decine e decine di licenziamenti causerà conseguenze economiche e sociali devastanti per l'intera vallata del Reno che negli ultimi anni ha già assistito ad una lunga serie di crisi aziendali;
    il Ministro dello sviluppo economico, Federica Guidi, ha convocato i vertici della Philips per individuare ogni utile iniziativa per evitare gli onerosi tagli del personale è, a quanto è dato sapere, il 27 gennaio 2016, il Ministro e l'amministratore delegato di Philips, Frans Van Houten, hanno affrontato la questione in una video conferenza; tuttavia, in tale occasione, Van Houten ha confermato, ancora una volta, la previsione dei 243 licenziamenti nel piano industriale;
    non sono più accettabili condotte come quelle della Philips, società che dapprima ha ottenuto i propri vantaggi per l'insediamento in Italia ed adesso, in una fase successiva, vuole intraprendere una politica aziendale di delocalizzazione che, oltre a privare del posto di lavoro ben 243 lavoratori, determinerà l'ulteriore crisi delle imprese dell'indotto;
    tra l'altro, la Philips, a quanto è dato sapere, all'epoca dell'insediamento si era impegnata a mantenere a Gaggio Montano le produzioni di alta e media gamma ed aveva aderito a delle precise condizioni a tutela dei lavoratori;
    il Governo deve contrastare fermamente quella che ai firmatari del presente atto appare una selvaggia politica societaria non compatibile con princìpi fondamentali di etica aziendale e anche di legalità, se ci si trova di fronte alla violazione di impegni presi con l'insediamento in Italia della Philips; non è ammissibile che, da un giorno all'altro, la società affermi come indispensabile il licenziamento del considerevole numero di 243 persone con tutte le conseguenze che ne derivano; al riguardo, è ovvio porsi dei dubbi sulla meritevolezza della gestione aziendale svolta negli ultimi anni, visto il supposto dissesto che richiede il licenziamento in blocco di 243 lavoratori; ma ciò che in realtà appare nella vicenda in questione è che i reali motivi degli annunciati tagli di personale, risiedono nell'intenzione della società di portare a compimento un preciso piano di delocalizzazione, considerando che Philips ha già spostato tutte le produzioni in Romania;
    pertanto, a fronte dell'evidente condotta scorretta della Philips, vanno adottate incisive iniziative da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in concerto con il Ministero dello sviluppo economico, per la salvaguardia dei posti di lavoro dei 243 lavoratori in questione, anche a tutela delle loro famiglie. Tali iniziative saranno di conseguenza utili anche a tutela delle imprese dell'indotto,

impegna il Governo

ad adottare urgenti iniziative al fine di salvaguardare i livelli occupazionali nonché i redditi dei lavoratori della Saeco di Gaggio Montano.
(7-00901) «Rizzetto, Mucci, Prodani, Barbanti».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    il regolamento n. 607 del 2009 reca le modalità di applicazione del regolamento n. 479 del 2008 del Consiglio per quanto riguarda le denominazioni di origine protette e le indicazioni geografiche protette, le menzioni tradizionali, l'etichettatura e la presentazione di determinati prodotti vitivinicoli. In particolare all'allegato XV parte B riporta l'elenco delle varietà di uve da vino e dei loro sinonimi che possono figurare sull'etichettatura dei vini, ai sensi dell'articolo 62, paragrafo 4;
   i nomi di varietà di uve da vino e i loro sinonimi elencati nell'allegato XV, parte B, del suddetto regolamento che contengono in parte una denominazione di origine protetta o un'indicazione geografica protetta e si riferiscono direttamente all'elemento geografico della denominazione di origine protetta o dell'indicazione geografica protetta, possono figurare esclusivamente sull'etichetta di un prodotto a denominazione di origine protetta o indicazione geografica protetta o a indicazione geografica di un Paese terzo;
   la direzione generale per l'agricoltura e lo sviluppo rurale della Commissione europea sta valutando una revisione delle regole applicabili ai vari comparti della produzione agroalimentare al fine di perseguire l'obiettivo dell'allineamento normativo e della coerenza tra settori, alla, luce delle riforme introdotte dal Trattato di Lisbona. In particolare, per il settore vitivinicolo, si dovrà fare riferimento agli atti delegati e agli atti esecutivi così come previsti dal regolamento (UE) n. 1308/2013 sull'organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli;
   in particolare, la direzione generale per l'agricoltura e lo sviluppo rurale della Commissione europea ha rilevato che menzioni come «Aglianico», «Cesanese», «Lambrusco» non si riferiscano all'elemento geografico della denominazione protetta così come richiesto dall'articolo 62 paragrafo 4 del regolamento (CE) 607/2009 per poter essere inseriti nella lista di cui all'allegato XV lettera B dello stesso, e ha perciò sollevato dubbi sulla correttezza giuridica di tale menzione, ipotizzandone lo stralcio attraverso una eventuale futura modifica del regolamento in esame. Allo stesso modo ha argomentato per altri vitigni che attualmente si trovano contenuti nella medesima lista;
   secondo questa interpretazione della direzione generale per l'agricoltura e lo sviluppo rurale della Commissione europea in «Cesanese del Piglio» l'elemento geografico è «Piglio», non «Cesanese»; pertanto, questo escluderebbe il vitigno dalla lista di cui all'allegato XV lettera B, esponendo questo ed altri vitigni con lo stesso vulnus alla liberalizzazione della loro indicazione in etichetta. Se un viticoltore straniero decidesse di ricorrere alla Corte di giustizia europea per poter indicare sull'etichetta di prodotti senza nessuna indicazione geografica nomi di vitigni come Cesanese, Aglianico, Lambrusco, rischierebbe di vedersi riconosciuto tale diritto, con seri danni per la tutela delle denominazioni di origine,

impegna il Governo:

   alla luce dei rilievi sollevati dalla Commissione europea, ad assumere iniziative per impedire che venga stravolto l'attuale quadro normativo ed evitare che si realizzi una indiscriminata liberalizzazione dell'utilizzo della menzione di un vitigno fino ad ora regolamentato ex articolo 62 del regolamento n. 607/2009;
   ad assumere iniziative per individuare una opportuna correzione normativa che dia piena, effettiva e definitiva tutela al carattere locale e alla peculiarità dei vitigni di cui in premessa e delle produzioni vinicole DOP e IGP che da essi prendono il nome, rafforzandone il vincolo reciproco e con il territorio di cui sono originari e scongiurando il rischio di un pronunciamento giudiziale che, prendendo come fondamento i dubbi già espressi dalla Commissione europea, li privi della adeguata protezione.
(7-00900) «Benedetti, Paolo Nicolò Romano, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Lupo, Parentela».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GIACOBBE, BASSO, CAROCCI, TULLO e VAZIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Piaggio Aerospace è un gruppo aeronautico attivo nella progettazione, costruzione e supporto di velivoli per aviazione d'affari e da pattugliamento, di sistemi a pilotaggio remoto e di motori aeronautici ad alta tecnologia, operante sia in ambito civile sia in ambito di difesa e sicurezza;
   Piaggio Aerospace, fondata nel 1884 a Genova Sestri Ponente è passata dalla produzione di materiale ferroviario degli albori alla costruzione e progettazione di aerei di ultima generazione, rappresentando oggi una delle più importanti realtà italiane nel settore delle costruzioni aeronautiche e un tassello fondamentale del tessuto produttivo ligure e nazionale;
   nel 1998 sono cambiati gli asset del gruppo che sono passati dalla famiglia Piaggio ad un gruppo di imprenditori; successivamente acquistano capitale azionario la Mubadala Development, società di investimenti di Abu Dhabi (2006) e la Tata Limited, società britannica del gruppo Tata Group (2009);
   nel 2013 Mubadala Development Company ha partecipato a un aumento di capitale, incrementando il patrimonio netto a sostegno di un piano industriale incentrato sullo sviluppo delle attività core esistenti e sull'introduzione di nuovi programmi, arrivando a detenere il 100 per cento del capitale sociale di Piaggio Aerospace;
   il 15 aprile 2015 le rappresentanze sindacali unitarie degli stabilimenti di Villanova e Sestri Ponente, unitamente alle segreterie provinciali, sono state ricevute dal prefetto di Genova, per avere risposte alle preoccupazioni derivanti da un articolo di stampa che riportava notizie su documenti riguardanti il piano industriale della società che gettavano ombre sull'accordo siglato al Ministero dello sviluppo economico, relativamente al sito di Sestri Ponente; il prefetto ha fornito rassicurazioni evidenziato che durante un incontro tra l'amministratore delegato della Piaggio, il Presidente del Consiglio dei ministri ed il Ministro della difesa in data 14 aprile 2015 erano state fornite garanzie da Piaggio Aerospace sulla validità e sulla prosecuzione degli impegni siglati al Ministero;
   il 29 settembre 2015, presso la sede di Confindustria di Savona, è stato fornito ai sindacati un documento ufficiale da Piaggio Aerospace in cui si garantiva:
    a) che ricavi e utile erano in netto miglioramento;
    b) che il raggiungimento degli obiettivi del 2015 era fortemente legato alla capacità di mantenere i livelli di produzione degli ultimi 3 mesi, con particolare riferimento alla business unit velivoli e motori;
    c) che le criticità industriali legate al Ramp UP produttivo avrebbero potuto comportare lo slittamento di 35 milioni di euro di ricavi al 2016;
    d) che, anche nello scenario peggiore, il 2015 si sarebbe dovuto chiudere con un livello di ricavi superiore al piano industriale;
    e) che il pareggio di bilancio sarebbe stato raggiunto entro il 2016;
   successivamente a quell'incontro i sindacati hanno più volte segnalato, a differenza di quanto documentato dall'azienda, difficoltà di cassa e la mancanza della riorganizzazione delle attività velivolistiche al fine di ottemperare ai contenuti dell'accordo siglato in sede ministeriale e poter dare risposte convincenti ai lavoratori attualmente in cassa integrazione come eccedenze strutturali di Piaggio o in attesa di chiamata da LaerH;
   il 4 dicembre 2015, presso la sede di Confindustria Savona, l'amministrare delegato comunicava ai sindacati che il 2015 si sarebbe chiuso con uno scostamento più negativo, in termini di fatturato e quindi di perdite, di quanto previsto a settembre 2015 –:
   quali iniziative intendano adottare per garantire che l'azienda mantenga gli impegni presi con le istituzioni e le organizzazioni sindacali, considerato il livello strategico delle attività svolte da Piaggio Aerospace per cui la Presidenza del Consiglio dei ministri ha già in passato (29 aprile 2014) esercitato i poteri speciali nei settori della difesa e della sicurezza nazionale (ai sensi dell'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56), e in considerazione delle risorse fin qui messe in campo dallo Stato sia in termini di contributi alle aziende aeronautiche (legge n. 808 del 1985) sia in termini di ammortizzatori sociali. (5-07588)


   GALGANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la crisi del quotidiano Giornale dell'Umbria è giunta all'epilogo e la proprietà ha annunciato la messa in liquidazione della testata a partire dal 14 gennaio 2016 con il conseguente licenziamento dei 17 giornalisti e 9 poligrafici;
   una crisi, quella della testata locale, che ha avuto inizio nell'estate del 2012, sotto la proprietà del gruppo Colaiacovo, quando non furono rinnovati i contratti di tre giornalisti precari e venne dichiarata l'apertura dello stato di crisi perdurato fino al 2015;
   con una lettera datata 21 maggio 2015, firmata dal presidente del gruppo editoriale Umbria 1819 Giambaldo Traversini, infatti, ai giornalisti dell'azienda, allora di proprietà dell'imprenditore Carlo Calaiacovo, spiega che «stante il perdurare di una criticità gestionale» la proprietà «è chiamata a prendere in esame la possibilità di valutare la cessione»;
   tra le opportunità elencate c’è quella «di accogliere proposte avanzate da cooperative di giornalisti costituite allo scopo», perciò «l'azienda si rende disponibile a valutare eventuali manifestazioni di interesse promosse dalla redazione del giornale in ordine all'acquisto della testata»;
   la proposta della cooperativa non va in porto e, il 29 maggio 2015, il consiglio di amministrazione del Giornale dell'Umbria delibera la cessione. Il 27 agosto 2015, di fronte al notaio eugubino Enzo Paolucci, Francesca Colaiacovo, presidente del consiglio di amministrazione, e i membri del consiglio di amministrazione, il presidente di Confindustria, Umbria Ernesto Cesaretti, Giampiero Bianconi per la Bifin e il già citato Traversini, per la coop Transcommunication media management, formalizzano la vendita all'acquirente Giuseppe Incarnato, amministratore unico e legale rappresentante della Gifer Editori;
   il capitale sociale del Giornale ammonta a 50 mila euro: il 50,25 per cento è in mano alla Trasncommunication, il 37,3 alla Financo dei Colaiacovo e il 6,2 alla Scai di Cesaretti e alla Bifin. Nell'atto, reso noto dal consiglio di redazione della testata, vengono ricordate le difficoltà di bilancio, «gli ultimi esercizi in perdita» e un andamento di gestione che «non si è modificato nel primo semestre del corrente anno»;
   l'acquirente Incarnato condiziona la vendita «all'acquisto dell'intero capitale» e, come si legge nell'atto, la testata umbra viene ceduta al prezzo di 50 mila euro. Va ricordato che, ancora nel 2015, e negli anni precedenti, la testata ha beneficiato dei fondi pubblici di sostegno per l'editoria per un importo di poco inferiore al milione di euro;
   il bilancio del Giornale, tra il 2013 e il 2014, passa da un passivo di un milione di euro ad una perdita di 626 mila euro, con stipendi, oneri sociali e trattamenti di fine rapporto che pesano 1,2 milioni di euro;
   il nuovo editore Incarnato nomina Luigi Giacumbo, presidente della Geu 1819, e nuovo direttore della testata, Luigi Camilloni di Agenparl che, a distanza di tre mesi dall'insediamento, viene sfiduciato dalla redazione a causa della mancata presentazione di un piano editoriale di rilancio, da concordare con la proprietà e a seguito di una serie di decisioni circa la riorganizzazione del personale interno;
   il 30 ottobre 2015, infatti, la nuova proprietà del Giornale dell'Umbria invia una e-mail con la quale licenzia dieci collaboratori: «In riferimento al contratto tra lei e il Gruppo Editoriale Umbria – è il testo della mail reso noto nel comunicato inviato dal consiglio di redazione – sono a comunicare che per volontà della proprietà che io rappresento e su indicazione del direttore, Dott. Camilloni (direttore responsabile della testata), l'azienda non intende più avvalersi della sua collaborazione»;
   i giornalisti della testata iniziano da qui un difficile confronto con il nuovo editore, al fine di salvaguardare il ruolo insostituibile del quotidiano, nel più vasto panorama editoriale regionale, l'autonomia dei giornalisti e le loro prerogative professionali;
   il 5 novembre 2015 si è tenuto il primo incontro, durante il quale sono state confermate tutte le preoccupazioni legate alla critica situazione economico-finanziaria dell'azienda e alla mancanza di un piano industriale ed editoriale in grado di delineare una anche minima prospettiva di continuità delle attività;
   la trattativa non ha raggiunto esiti soddisfacenti e il consiglio di redazione e i giornalisti e i poligrafici della testata locale proclamano, supportati dall'ordine dei giornalisti, Asu e Cgil, per venerdì 6 novembre 2015 una giornata di sciopero e sabato 7 novembre il quotidiano umbro non è uscito ma le edicole ne sono rimaste sfornite anche domenica 8 novembre;
   tuttavia, il comitato di redazione ha precisato che la mancata uscita in edicola del quotidiano dell'8 novembre «non è stata dovuta ad azioni di sciopero da parte del personale giornalistico e poligrafico, ma è avvenuta per espressa volontà dell'editore»;
   quest'ultimo, infatti, con una e-mail notturna ha improvvisamente deciso di non autorizzare la pubblicazione e stampa dell'edizione cartacea del quotidiano, già confezionata dal personale giornalistico, fino a nuovo ordine, in quanto non rispecchiava la nuova foliazione prevista nel piano editoriale; su questo punto, il comitato di redazione ha ricordato che il direttore responsabile non ha mai presentato tale piano al suo insediamento e la nuova foliazione non è mai stata comunicata ufficialmente né al consiglio di redazione, né al personale giornalistico e poligrafico;
   un atto giudicato dai giornalisti «arbitrario e gravissimo per il lavoro e la dignità di ciascun lavoratore della testata, nonché, a nostro avviso, compiuto in violazione del comma 2 dell'articolo 21 della Costituzione italiana e dell'articolo 28 della legge 300»;
   si apre, a questo punto, un confronto duro tra il consiglio di redazione, la proprietà della testata, i sindacati e l'ordine dei giornalisti che chiedono la convocazione di diversi incontri ai quali, però, l'editore e il direttore responsabile non si presentano;
   a novembre 2015, intanto, lo stesso editore lancia un appello all'imprenditoria locale umbra per promuovere un aumento di capitale «fino a dieci milioni di euro», dando agli investitori interessati appuntamento al 18 dicembre 2015. Incontro andato deserto;
   il 5 gennaio 2016, il comitato di redazione del Giornale dell'Umbria, anche a nome del personale giornalistico e poligrafico, «si trova nuovamente costretto ad annunciare ed effettuare quattro giornate di sciopero nelle giornate del 6, 7, 11 e 12 gennaio 2016, a causa del permanere di una ormai precaria e difficile situazione economico-finanziaria, gestionale e organizzativa della testata»;
   nella nota «si esprime nuovamente grande preoccupazione per l'estrema incertezza circa le sorti del giornale e dei suoi dipendenti all'approssimarsi della data del 14 gennaio, termine della ricapitalizzazione della società editrice Geu1819»;
   la crisi culmina il 18 gennaio 2016 con l'annuncio da parte dello stesso comitato di redazione del quotidiano insieme a Rsa, Asu e Cgil della «formale comunicazione aziendale di avvio delle procedure di messa in liquidazione della società Geu1819 avvenuta in data 14 gennaio 2016 e nella quale si rende noto che il giorno 21 gennaio 2016 il liquidatore nominato dall'editore assumerà l'incarico»;
   l'assemblea ritiene, inoltre «che vada riconvocato immediatamente il tavolo di crisi, istituto presso la regione Umbria e disertato dall'azienda, richiedendo la presenza del liquidatore»;
   la riunione del 14 gennaio 2016 in cui si ufficializza la messa in liquidazione della testa si è tenuta a Roma, presso lo studio e in presenza del notaio Fabio Orlandi. Aperta alle ore 16:15, verrà dichiarata chiusa 25 minuti più tardi. Membri del consiglio presenti: 1, Luigi Camilloni, già direttore della testata umbra e anche consigliere di amministrazione;
   il resto del consiglio di amministrazione ovvero il presidente Luigi Giacumbo, l'amministratore delegato Giuseppe Ghezzi e gli altri membri Emanuele Mapelli e Guglielmo Mazzarino risultano assenti. Così come non ci sono Giuseppe Incarnato, amministratore unico di Gi.F.Er che detiene il 100 per cento delle quote di GEU1819, e il sindaco Marco Nicchi;
   quindi, il direttore della testata Camilloni, unico presente – come si legge nel verbale della seduta – procede alla sua nomina come liquidatore unico della società, supportato dallo studio legale Marrocco in tutte le fasi del suo compito;
   nel verbale della riunione del 14 gennaio 2016 vengono, altresì, annoverate presunte responsabilità della società cedente, anche sulla base di una recente due diligence che proverebbe «l'assenza del Trattamento di Fine Rapporto (TFR)», cifra che dovrebbe invece essere obbligatoriamente accantonata dai datori di lavoro e che costituisce voce attiva di bilancio. In questo caso, ammanco viene quantificato in un importo, a fine 2014 (ultimo bilancio approvato), di oltre mezzo milione di euro;
   a seguito dell'ufficializzazione della messa in liquidazione e della pubblicazione del verbale suddetto, gli ex soci della GEU1819 Srl (TMM Soc. Cooperativa, Financo Srl, Scai SpA, Bifin Srl) inviano una nota alla stampa locale nella quale evidenziano di «aver sempre prodotto tutti gli sforzi possibili, facendo fronte fino alla data di cessione a tutti gli impegni. Al momento della cessione, abbiamo provveduto, per quanto di nostra competenza – continuano – a creare le condizioni di continuità aziendale, per l'attuazione del nuovo piano industriale predisposto dalla nuova proprietà. Ci sono stati sempre nel nostro comportamento linearità, trasparenza e buona fede»;
   gli ex soci dichiarano, inoltre, di essere loro «i primi ad essere stupiti, colpiti e traditi da una gestione che ha messo in serissima difficoltà un patrimonio del giornalismo umbro» e di aver «dato mandato ai nostri legali affinché intraprendano nelle sedi opportune azioni civili e penali a nostra tutela in particolare relativamente al contenuto di atti formali della nuova gestione della società che stanno in queste ore circolando»;
   a fine febbraio 2016 dovrebbero essere inviate le lettere di licenziamento per i 17 giornalisti e i 9 poligrafici della testata;
   il 27 gennaio 2016, inoltre, la prima commissione del consiglio regionale dell'Umbria ha convocato in audizione il presidente dell'Ordine dei giornalisti dell'Umbria, Roberto Conticelli, e il presidente dell'Associazione stampa umbra, Marta Cicci che hanno evidenziato come «la chiusura del Giornale dell'Umbria è solo l'ultimo caso di una situazione molto preoccupante. Il panorama dell'informazione in Umbria è devastante»;
   grande è, quindi, la preoccupazione sia per le vicende legate alla testata) sia per una grave crisi che da tempo investe la carta stampata e il sistema radiotelevisivo locale nel suo complesso, crisi che mette a rischio posti di lavoro e il sistema regionale della comunicazione, a danno peraltro del pluralismo dell'informazione e del diritto dei cittadini ad essere informati –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti su esposti e quali iniziative, per quanto di competenza, ritenga opportuno assumere al fine di salvaguardare i diritti e le professionalità dei giornalisti della testata e quali iniziative si intendano mettere in campo per rilanciare il settore dell'editoria locale, colpito da una crisi durissima che rischia di minare il diritto all'informazione e il pluralismo. (5-07591)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la Marcia Gran Paradiso è una gara di sci di fondo organizzata con cadenza annuale a Cogne (AO), Valle d'Aosta cui partecipano anche atlete e atleti di altissimo livello;
   la manifestazione amatoriale che si ripete ogni anno dal 1975 offre la possibilità a tutti i partecipanti di godere della natura circostante e dei meravigliosi panorami del Parco Nazionale del Gran Paradiso;
   dall'anno 2016 l'evento è entrato a far parte del circuito internazionale Euroloppet;
   la Marcia si svolge suddivisa in tre giornate e propone per gli adulti due gare da 45 e 25 chilometri, la Classic e la Skating;
   quest'anno l'evento si svolgerà i prossimi 5-6 e 7 febbraio 2016;
   sul sito www.marciagranparadiso.it vengono riportate inoltre le quote dei premi destinati alla categoria adulti;
   il montepremi a parità di percorso e di costo d'iscrizione nella stessa disciplina e con la medesima difficoltà è differenziato per l'importo premiale tra competizione maschile e femminile;
   infatti, il primo premio destinato agli uomini è di euro mille mentre per le donne è di euro quattrocento; per chi si aggiudica il secondo posto, per gli uomini, è destinato un premio pari a euro seicento e, per le donne, di euro trecento, e così via;
   un evento così importante deve garantire l'esercizio dei valori fondanti dello sport, contro ogni forma di discriminazione e di sessismo, in considerazione che lo sport dovrebbe sempre e in ogni caso diffondere la partecipazione, l'inclusione e il rispetto di ogni atleta e partecipante alle competizioni sportive agonistiche, dilettantistiche e amatoriali;
   i principi fondamentali del CONI, cui le Federazioni devono attenersi, dicono che a parità di competizione i riconoscimenti in denaro non possono e non devono essere differenti;
   il libro bianco sullo sport dell'Unione europea così come il Comitato internazionale olimpico dichiara che in ambito sportivo non possono venire meno prima di tutto il rispetto e la dignità dell'atleta;
   alla luce delle numerose proteste pervenute ai media e social network relativamente alla differenza premiale tra concorrente uomo-donna, il Comitato organizzatore della Marcia del Gran Paradiso ha pubblicato sul proprio sito una rettifica e ha predisposto una riformulazione delle quote del montepremi in modo paritario tra le partecipanti donne e i partecipanti uomini –:
   se il Presidente del Consiglio sia stato informato di quanto occorso;
   se non ritenga, anche per il tramite del Comitato olimpico nazionale italiano, promuovere iniziative per ribadire e diffondere con maggiore efficacia, una cultura anti sessista e anti discriminatoria nello sport;
   considerato che la candidatura dell'Italia ad ospitare i XXXIII Giochi Olimpici è ovviamente legata ai valori sociali, antidiscriminatori che detta manifestazione e lo sport in generale trasmettono, quali iniziative urgenti di competenza intenda assumere al fine di adottare tutte le misure necessarie in grado di garantire effettivamente pari dignità nell'ambito di eventi sportivi che vengono disputati nel nostro Paese. (4-11874)


   NASTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo pubblicato dal quotidiano «Il Corriere della Sera», il 30 gennaio 2016, il contenuto del provvedimento di riforma della pubblica amministrazione, (approvato dal Consiglio dei ministri), che rientra all'interno degli undici decreti attuativi seguiti all'approvazione della legge delega n. 124 del 2015 approvata il 7 agosto 2015, non è stato ancora reso noto;
   al riguardo, il suindicato articolo di stampa evidenzia come tali ritardi siano oramai così frequenti che vengono considerati addirittura «normali», nel senso che, nonostante sia resa pubblica una determinata riforma, tuttavia pochissimi soggetti ne conoscono il contenuto, proprio come il cosiddetto «Testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale»;
   il medesimo provvedimento con cui il Parlamento aveva delegato il Governo a modernizzare la pubblica amministrazione, prosegue «Il Corriere della Sera» avrebbe dovuto essere uno dei passaggi più innovativi dell'intera riforma, con un obiettivo dichiarato: aprire alla concorrenza le migliaia di piccoli (o non tanto piccoli) regimi locali di monopolio nella fornitura di servizi come la gestione dei rifiuti, l'acqua, o i trasporti pubblici;
   la legge-delega pubblicata nella Gazzetta Ufficiale all'inizio dell'agosto 2015 stabilisce, infatti, come attraverso l'articolo 19 il Governo debba procedere alla «soppressione, previa ricognizione, dei regimi di esclusiva, comunque denominati, non conformi ai principi generali in materia di concorrenza e comunque non indispensabili per assicurare la qualità e l'efficienza del servizio»;
   le predette linee guida, a giudizio dell'interrogante, sebbene condivisibili ed urgenti, se si valuta che i concessionari monopolisti hanno contribuito a bloccare il mercato della concorrenza e della crescita economica nel Paese, risultano tuttora sconosciute (nonostante, come riportato, i decreti attuativi siano stati approvati da diversi giorni dal Consiglio dei ministri);
   i testi dei decreti, infatti, non sono ancora stati trasmessi al Parlamento, sebbene, secondo quanto riporta il quotidiano richiamato, il «testo unico» sui servizi pubblici locali sembra essere stato licenziato dal Consiglio dei ministri di giovedì della scorsa settimana, ridimensionato nei suoi passaggi fondamentali;
   in particolare, sarebbero state soppresse quasi tutte le norme dell'articolo 7, che riducevano drasticamente i «diritti di esclusiva» delle società municipalizzate sulle grandi città e, più specificamente, il comma 2, dove si stabilisce che «il regime di privativa cessa in ogni caso alla data del 31 dicembre 2016» e l'articolo 4, che almeno nella sostanza, sembra essere stato fortemente mutato rispetto alla versione originaria e che avrebbe dovuto prevedere una maggiore apertura degli enti locali al mercato della concorrenza nella gestione dei rifiuti, dell'acqua e del gas;
   in definitiva, secondo quanto riporta «Il Corriere della Sera», le suindicate disposizioni contenute nella legge-delega sarebbero state pienamente disattese dal Governo, con la conseguenza che la riforma dell'azione amministrativa e di razionalizzazione della spesa pubblica per centinaia di migliaia di società municipalizzate, a livello nazionale, rischia ancora una volta di essere rinviata;
   al riguardo, l'interrogante evidenzia come con riferimento ai principali settori delle public utilities, l'introduzione di elementi competitivi siano stati per decenni trascurati e non considerati adeguatamente nel nostro Paese, determinando gravissime conseguenze, in termini di spreco di risorse pubbliche e di inefficienza dei servizi resi ai contribuenti, i quali a fronte del pagamento dei tributi che gravano su di essi, non ricevono un'adeguata contropartita da parte delle istituzioni pubbliche, proprio in termine di competitività e precisione dei servizi pubblici ad essi erogati;
   a giudizio dell'interrogante, risulta pertanto urgente e necessario, da parte del Governo, un intervento esplicativo, al fine di chiarire l'effettiva intenzione dell'Esecutivo in carica, nel favorire l'apertura alla concorrenza nei servizi pubblici locali, che appare quanto mai necessaria per migliorare la crescita economica dell'intero sistema Paese –:
   se trovi conferma quanto indicato dall'articolo del quotidiano «Il Corriere della Sera», richiamato nella premessa, con particolare riferimento ai ritardi della pubblicazione del decreto attuativo riferito al cosiddetto «testo unico sui servizi pubblici locali», concernente i servizi della gestione dei rifiuti, l'acqua e dei trasporti pubblici;
   in caso affermativo, quali siano i motivi per i quali a distanza di diversi giorni dall'approvazione del Consiglio dei ministri, il Governo non abbia ancora reso noti i contenuti del provvedimento attuativo della legge delega approvata il 7 agosto 2015, di riforma della pubblica amministrazione, il cui obiettivo era di favorire la concorrenza dei servizi pubblici locali, migliorandone l'efficienza in termini di servizi resi agli utenti, nonché di risparmio della spesa pubblica;
   quali siano, in senso generale, le intenzioni del Governo, in merito al quadro regolatorio dell'organizzazione e del riordino dei servizi pubblici, in merito all'attribuzione dei compiti degli enti locali, in materia di servizi idrici, gas, energia e trasporti locali, le cui condizioni attuali, a giudizio dell'interrogante, continuano a rappresentare gravi ostacoli alla concorrenza, all'efficientamento dei servizi resi agli utenti e, nel complesso, allo sviluppo di un Paese come l'Italia che rappresenta, l'ottava potenza industriale a livello mondiale. (4-11879)


   BONAFEDE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la cooperativa UNICA, con sede a Firenze, è una società cooperativa edilizia di abitazione. La stessa è stata affidataria della costruzione di un piano di edilizia popolare convenzionata nel comune di Scandicci (Fi);
   a seguito di segnalazioni da parte di alcuni cittadini, i quali avevano rilevato che la cooperativa UNICA vendeva ad un prezzo superiore a quello risultante dalla convenzione, il comune di Scandicci, dopo opportune verifiche, riscontrava l'infrazione e comminava le penali, con le ordinanze n. 175 e n. 176 del 26 marzo 2012 n. 184-185-186 e 187 del 2 aprile 2012, n. 188-189-190 e 191 del 3 aprile 2012, per il mancato rispetto del prezzo previste dalla convenzione;
   dopo tale decisione del comune, la cooperativa UNICA, mentre continuava a vendere gli alloggi a prezzo maggiorato ignorando tali decisioni, faceva ricorso al TAR, che con sentenza n. 1959/2014 riconosceva legittime le sanzioni ed indicava il metodo di calcolo in base alla perizia del consulente tecnico d'ufficio; la cooperativa unica, altresì, si appellava al Consiglio di Stato con un procedimento, ad oggi, ancora in corso;
   successivamente, il comune di Scandicci presentava appello incidentale nel quale faceva rilevare alcuni errori nel calcolo delle superfici commesso dal CTU e nel metodo di calcolo delle sanzioni; inoltre, il comune notificava le sanzioni con ordinanza n. 287/2015 non come indicato nella sentenza del TAR, ma con criteri ritenuti corretti come esposto nell'appello incidentale;
   in data 23 luglio 2015 la cooperativa UNICA impugnava davanti al TAR l'ordinanza comunale n. 287/2015 chiedendone la sospensione delle sanzioni ed ottenendola, di seguito, con ordinanza del TAR del 24 settembre 2015 n. 638, in quanto tali sanzioni risultavano calcolate in modo difforme dalla sentenza del TAR;
   da allora la cooperativa è stata posta in regime di liquidazione coatta amministrativa, a causa del dissesto del suo bilancio soltanto in parte determinato dalle sanzioni comminate dal comune di Scandicci. Questa situazione pone a serio rischio i risparmi dei soci prestatori della cooperativa, per una cifra pari a circa euro 9.610.000;
   in data 25 gennaio 2016 il gruppo consiliare Movimento 5 Stelle del comune di Scandicci ha annunciato l'intenzione di presentare una mozione di sfiducia nei confronti del sindaco Sandro Fallani, mozione relativa alla scandalosa vicenda della cooperativa UNICA, che constata l'errore di notifica delle sanzioni in modo difforme dalla sentenza del TAR, vanificandone così l'esecutività ed aprendo, difatti, la strada alla loro sospensione –:
   se e quali iniziative di competenza intendano adottare per ovviare alla gravissima situazione debitoria venutasi a creare in seno alla cooperativa UNICA in liquidazione coatta amministrativa a tutela dei soci prestatori. (4-11884)


   LUIGI DI MAIO e BONAFEDE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende da fonti di stampa, in seguito all'entrata in vigore della norma che prevede l'obbligo di collocamento in pensione di tutti i magistrati amministrativi al compimento del settantesimo anno d'età, si sta venendo a creare una carenza d'organico tale da mettere a serio repentaglio la funzionalità dell'organo, che con l'inizio del 2016 potrebbe avere seri problemi di operatività;
   sempre secondo quanto riferito da fonti di stampa, mancherebbero ben 10 giudici di nomina governativa. La procedura di tale nomina prevede un previo parere, non vincolante, ma fino ad ora sempre seguito, del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa; inoltre, andrebbe a rilento la procedura di selezione concorsuale di ulteriori cinque giudici e l'Esecutivo starebbe anche rallentando le procedure di promozione dei giudici dei (TAR in totale mancherebbero circa 20 giudici del Consiglio di Stato e, in assenza di un cambiamento di rotta, le cose sono destinate a peggiorare nei prossimi mesi;
   non si coglie il senso di un simile atteggiamento del Governo, anche se, alla luce delle modalità di gestione del potere dell'attuale Esecutivo, è legittimo essere molto preoccupati circa il tentativo di ledere l'indipendenza della magistratura, in particolar modo di quella amministrativa che spesso si occupa di giudicare atti di provenienza governativa;
   in effetti, le modalità che hanno condotto il 24 dicembre 2015 alla nomina del nuovo Presidente del Consiglio di Stato confermano tali preoccupazioni. Infatti, la prassi prevedeva che il Consiglio dei ministri chiedesse l'indicazione di un nome al Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, il quale – sempre sulla base di una consolidata consuetudine – indicava come presidente il consigliere di Stato più anziano: tale prassi, nell'individuare di fatto un automatismo per l'individuazione del presidente, garantiva l'indipendenza della magistratura amministrativa;
   secondo quanto segnalato all'interrogante, prima di procedere alla nomina, nelle scorse settimane il Governo avrebbe chiesto al Consiglio di Presidenza una rosa di ben cinque nomi. Al netto di qualsiasi tipo di valutazione della persona nominata di recente, la quale peraltro risulta essere di grande competenza ed esperienza, è di tutta evidenza come ciò, ad avviso dell'interrogante, significhi consegnare in capo al Governo una discrezionalità totalmente indebita e inopportuna e del tutto incompatibile con l'autonomia della magistratura;
   tale precedente genera forti preoccupazioni in vista dell'imminente rinnovo della presidenza della Corte dei Conti prevista per i prossimi mesi –:
   per quali ragioni il Governo stia ponendo in essere una serie di comportamenti a giudizio degli interroganti evidentemente dilatori che a breve condurranno all'impossibilità del funzionamento del Consiglio di Stato;
   sulla base di quali motivazioni il Governo abbia deciso di non seguire più la consolidata prassi per la nomina del presidente del Consiglio di Stato creando un precedente molto pericoloso. (4-11888)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   LA MARCA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia, in passato, ha fatto ricorso allo strumento delle convenzioni bilaterali di sicurezza sociale per dare un quadro di certezza normativa alle questioni di natura previdenziale e assistenziale, oltre che a quelle di carattere tributario, a beneficio dei lavoratori che si spostavano in altri stati per permanenze temporanee o definitive;
   a partire dal 2008 le stipule e le ratifiche delle convenzioni bilaterali hanno subito un freno, per ragioni legate alla grave crisi economica e finanziaria cui il Paese è andato incontro e per la conseguente difficoltà di sostenere gli oneri che diverse di esse comportavano;
   negli ultimi anni si è registrata una ripresa delle ratifiche, alcune delle quali attendevano da anni la conclusione del loro iter, con benefici diretti dei lavoratori interessati e con indiscutibile vantaggio per le relazioni bilaterali del Paese;
   la scelta da parte dei partner di questo tipo di accordi ha dovuto tener conto nel corso del tempo sia dell'evoluzione intervenuta nei flussi di emigrazione legate ai fenomeni di «nuova mobilità» e di decentramento produttivo delle aziende italiane che del fatto che in Italia si sono costituite consistenti comunità di immigrati provenienti da diverse parti del mondo, i cui componenti hanno le stesse esigenze di tutela previdenziale dei nostri lavoratori;
   il Messico, in ragione delle forti dinamiche che hanno caratterizzato la sua economia e la sua società, è diventato a livello globale uno dei Paesi più dinamici, al punto da essere incluso nel novero dei Paesi di maggiore riferimento tra gli emergenti, al pari di Cina e India;
   i rapporti di scambio tra Italia e Messico, dopo il trattato di libero scambio Europa-Messico, sono cresciuti del 270 per cento, al punto che attualmente l'Italia è il terzo partner commerciale tra i Paesi dell'Unione europea, il nono a livello mondiale; il Messico, a sua volta, è per l'Italia il secondo partner tra i Paesi dell'America latina;
   nel Paese centroamericano operano circa 1400 imprese italiane, tra le quali 350 in modo strutturato e un centinaio con un proprio stabilimento; negli ultimi anni importanti imprese italiane, come Enel Green Power, Ferrero, Pirelli, FCA, Saipem, Bonatti, Elica, Stevanato, sono impegnate nella realizzazione di significativi progetti in quella realtà;
   i rapporti tra i due Stati sono improntati a spirito di dialogo e collaborazione che, come attesta il comunicato congiunto della IV riunione della Commissione binazionale svoltasi a Città del Messico nel marzo del 2015, si è estesa ai campi della sicurezza e della giustizia, del contrasto alla criminalità, dell'interscambio commerciale e degli investimenti, del turismo, della cooperazione culturale, nonché della cooperazione scientifica e tecnologica, pervenendo anche allo stipula di diversi accordi bilaterali, ad esempio nei settori strategici dell'energia, del turismo e delle infrastrutture;
   questa complessa trama di interrelazioni in via di costante sviluppo comporta una crescente presenza di operatori e di lavoratori italiani in Messico e di cittadini messicani in Italia, una presenza, per quanto riguarda i nostri connazionali, anche più diffusa e numerosa di quella che traspare dall'elenco degli iscritti all'AIRE, che al 31 dicembre 2014 ammontavano a oltre 15.000 unità;
   nello sviluppo dei rapporti di investimento, commerciali e culturali tra i due Paesi sono restati in secondo piano gli aspetti riguardanti le protezioni previdenziali e assistenziali dei lavoratori e dei pensionati, che pure sono strettamente collegati alle dinamiche di immigrazione, di insediamento e di lavoro in ciascuna delle due realtà;
   occorre risalire al 1977, infatti, per rintracciare un protocollo di intesa per la trasferibilità delle pensioni che consente ai cittadini italiani, titolari di pensione messicana, rimpatriati di ottenere il pagamento diretto della pensione in Italia, in deroga alle limitazioni che la legislazione di sicurezza sociale messicana impone in materia di pensioni;
   più di recente, precisamente nel giugno del 2015, è stato firmato a Milano un protocollo di intesa tra l'INPS e l'Istituto messicano di previdenza sociale (IMSS), volto a sviluppare la cooperazione tra i due istituti nel campo della conoscenza e dello scambio di buone pratiche, del sostegno alla collaborazione e alla professionalizzazione del rispettivo personale, della reciproca consultazione, dello scambio di banche dati, della formazione professionale, della individuazione delle autorità di coordinamento, e altro ancora –:
   se non ritengano di avviare gli opportuni contatti con le autorità messicane per verificare la disponibilità ad adottare le procedure di definizione di un accordo bilaterale di sicurezza sociale e di superamento della doppia imposizione fiscale, da portare in tempi ragionevoli all'approvazione dei rispettivi Parlamenti. (4-11876)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171, è stato emanato il regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, degli uffici della diretta collaborazione del Ministro e dell'Organismo indipendente di valutazione della performance, a norma dell'articolo 16, comma 4, del decreto-legge aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89. (14G00183) (Gazzetta Ufficiale serie generale n. 274 del 25 novembre 2014) con entrata in vigore del provvedimento al 10 dicembre 2014;
   il decreto, all'articolo 16 istituisce la direzione generale «Arte e architettura contemporanee e periferie urbane»;
   il Ministro interpellato ha dichiarato in varie occasioni pubbliche che dopo aver vinto nel secolo scorso la grande sfida dei centri storici delle nostre città, le periferie sono la grande sfida di questo secolo. «Siamo chiamati a riqualificare i luoghi in cui vive, lavora e sogna la gran parte della popolazione del Paese e in questo l'arte contemporanea può essere determinante»;
   «rivitalizzare le periferie attraverso l'azione dei giovani e del mondo dell'associazionismo è iniziativa positiva, che va proprio nella direzione dello sforzo che deve intraprendere il Paese per recuperare il forte ritardo nel sostegno e nella valorizzazione del contemporaneo. Un'azione che può e deve essere legata, come i progetti presentati oggi, alla riqualificazione delle periferie delle nostre città. Per questo nel riformare il Ministero ho fortemente voluto una nuova Direzione Generale per l'arte e l'architettura contemporanea e le periferie urbane che a breve varerà un bando di 3 milioni di euro per cofinanziare progetti culturali promossi dai comuni nelle periferie»;
   il Touring Club insieme al Ministro Franceschini hanno rilasciato dichiarazioni per la rivalutazione del «Patrimonio Periferia» affermando che oggi è necessario iniziare a rivalutare le periferie, luoghi «in cui si può sperimentare e osare di più che nei centri storici anche a livello architettonico. Queste aree, sempre più abitate, dovrebbero diventare sempre più vivibili e amabili», proseguendo poi «... le persone vivono in genere più frequentemente fuori dal centro e tornano in periferia solo per dormire. Vorrei contribuire a che questi luoghi diventassero meno dormitori» –:
   quale bilancio tragga il Ministro interpellato dell'attività della direzione generale «Arte e architettura contemporanee e periferie urbane» ad oltre un anno dalla sua costituzione, quali programmi siano stati realizzati, quali iniziative e attività siano state intraprese, quali incontri siano stati svolti con i cittadini, gli operatori culturali e sociali ed i cittadini operanti e/o residenti nelle periferie urbane del nostro Paese, come e dove siano state investite le risorse della suddetta direzione generale, quali siano le informazioni sullo stato attuale dell'avanzamento dei progetti di riqualificazione e se esista un coordinamento per una regia comune.
(2-01246) «Costantino, Airaudo, Franco Bordo, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zaratti, Zaccagnini».

Interrogazioni a risposta scritta:


   VEZZALI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Costituzione italiana tra i principi fondamentali annovera la promozione della cultura, della tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico della nazione;
   una gran parte del patrimonio storico immobiliare del nostro Paese è di proprietà di privati; questo patrimonio è sottoposto al vincolo delle soprintendenze che hanno il compito di valutarne la loro tutela e conservazione e di richiederne interventi di manutenzione;
   «il codice dei beni culturali e del paesaggio» (decreto legislativo n. 42 del 2004) prevede all'articolo 31 che in caso di restauro o altri interventi conservativi autorizzati su beni culturali ad iniziativa del proprietario, possessore o detentore del bene, la soprintendenza possa pronunciarsi — a richiesta dell'interessato — sull'ammissibilità dell'intervento ai contributi statali previsti e ne certifichi il carattere di necessità;
   il lento e farraginoso meccanismo di erogazione di questi contributi che si aggiunge ai limiti della disponibilità che il Ministero alloca annualmente ha avuto come inevitabile conseguenza l'accumulo di debiti nei confronti dei privati, che si possono stimare in oltre 100 milioni di euro;
   il Governo, nell'assestamento di bilancio 2015 (capitolo 7441), ha previsto 10 milioni di euro da destinare all'estinzione dei debiti pregressi nei confronti dei proprietari;
   l'esiguità dell'importo rispetto al volume dei crediti vantati dai privati fa presagire almeno 10 anni o più di attesa per i rimborsi delle somme già spese;
   questo tipo di patrimonio immobiliare ha comunque bisogno di interventi continui e questi ritardi nell'erogazione dei contributi statali rischiano di condizionare pesantemente le disponibilità finanziarie dei privati che, dopo tanti anni di attesa, hanno poche garanzie di recuperare le somme investite –:
   se non ritenga necessario assumere iniziative per aumentare le risorse destinate a questo tipo di interventi per recuperare una parte del debito pregresso;
   se non ritenga di dover predisporre con tempestività le erogazioni di acconti per coloro che finora non hanno ricevuto nulla e di provvedere ai saldi per quei privati che hanno i crediti più datati.
(4-11873)


   L'ABBATE, SCAGLIUSI e VACCA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il catasto onciario del 1752, precursore degli odierni catasti, fu uno strumento fiscale istituito nel 1740 da re Carlo III di Borbone affinché «i pesi siano con uguaglianza ripartiti e il povero non sia caricato più delle sue deboli forze ed il ricco paghi secondo i suoi averi». L'attuazione pratica delle norme dettate da re Carlo III di Borbone nella prima metà del XVIII secolo per un riordino fiscale del regno di Napoli prevedeva la redazione di due copie dell'Onciario: l'una da conservare presso l'Universitas di pertinenza e l'altra presso la Regia Camera della Sommaria;
   la consultazione dell'onciario, è una fonte preziosa ed esclusiva di informazioni di varia natura sugli anni settecenteschi nel meridione d'Italia;
   la copia di pertinenza dell'Universitas di Polignano (BA) non è mai stata riversata all'archivio di Stato di Bari in quanto distrutta in fatti d'arme del 1799, come è risultato da documenti storici rinvenuti da Carlo De Luca, studioso locale ed autore di numerose pubblicazioni, diffuse gratuitamente a totale beneficio delle comunità della provincia barese e non solo;
   lo stesso studioso ha potuto constatare personalmente che l'unica copia superstite – mai visionata da alcuno fino ad oggi – è formata da due volumi del Libro onciario, sette volumi di Rivele e due torni di Atti Preliminari e trovasi presso l'archivio di Stato di Napoli, in uno degli armadi della bellissima Sala catasti, all'interno del magnifico complesso dell'ex convento dei ss Severino e Sossio;
   detto Libro onciario, peraltro, è come se fosse andato distrutto anch'esso in quanto non è consultabile perché, a detta dei funzionari dell'Archivio, è giacente in uno degli armadi che – pur conservando decine di migliaia di importantissime carte d'epoca (p.e. i Libri onciari di Altamura, Conversano, Turi e altro) – sono irraggiungibili da anni a causa di «un ballatoio tarlato dal tempo e di una scala inaffidabile in quanto vetusta»;
   tanto risulta anche dopo fitta e datata corrispondenza e rapporti diretti: con la dottoressa Imma Ascione, direttrice dell'Archivio di Stato di Napoli (la quale testualmente ha di recente comunicato: «(...) ancora non è possibile accedere al ballatoio pericolante dove sono situati i volumi del Catasto Onciario di Polignano a mare. Per quanto riguarda i lavori di restauro, i fondi europei stanziati per il progetto sono andati persi e riassegnati sulla nuova programmazione 2016-2020, per cui i lavori stessi hanno subito uno slittamento a data da destinarsi. Per tale motivo non è possibile al momento indicare una data per il completamento delle lavorazioni e – di conseguenza – la possibilità di consultare il volume di cui sopra»); con un funzionario della Sovrintendenza ai beni architettonici e paesaggistici di Napoli e provincia; con un funzionario della direzione generale degli archivi; con la Soprintendenza BAEP di Napoli e provincia; con la Sottosegretaria per i beni e le attività culturali e del turismo Ilaria Borletti Buitoni. A costoro si aggiungono vari altri organi amministrativi, uno dei quali, dopo svariate insistenze e un'attesa di alcuni mesi, ha finalmente comunicato che «(...) La Direzione Generale procederà ad una verifica della situazione per individuare unitamente alla Direzione dell'Archivio di Stato di Napoli la possibilità di un intervento che risolva, almeno temporaneamente, la situazione, al fine di consentire la consultazione della documentazione da parte di tutti gli studiosi interessati (...)»;
   a parere degli interroganti, viene platealmente negato agli studiosi il diritto di accedere alle fonti del sapere, palesandosi in tal guisa, e incontrovertibilmente, oltre alla interruzione di un pubblico ed essenziale servizio che nell'immediato sarebbe stato facile efficacemente ripristinare mediante l'ausilio dei vigili del fuoco, soprattutto la perdurante violazione dell'articolo 9 della Carta Costituzionale, che dovrebbe essere sempre a mente soprattutto degli organi centrali o periferici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica) –:
   se il Ministro interrogato sia stato messo a conoscenza della vicenda e quali iniziative intenda intraprendere affinché l'eclatante episodio di lassismo burocratico a nocumento di tantissimi studiosi venga rimosso celermente, onde permettere agli studiosi stessi (a beneficio esclusivo della cultura italiana) di studiare sia il Libro di Polignano del catasto onciario del 1752, l'unico non esistente presso l'archivio di Stato di Bari, sia tutti gli aggiornamenti dei libri onciari che sono detenuti esclusivamente presso l'archivio di Stato di Napoli. (4-11880)

DIFESA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ZAPPULLA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da più di un decennio le Organizzazioni sindacali unitarie Rsu e territoriali di Marinarsela Augusta, le istituzioni politiche, gli enti locali, le forze economiche e sociali della provincia hanno promosso la «vertenza Arsenale»;
   la vertenza pone la necessità di attenzionare seriamente la politica del personale e delle risorse umane con lo sblocco del turn-over e l'aggiornamento professionale, con particolare interesse verso quelle qualifiche per le quali l'invecchiamento anagrafico del personale ha posto maggiori necessità di adeguamento;
   dal 2008 si è dato corso al piano «brin» con l'obiettivo di ristrutturare ed adeguare alle norme sulla sicurezza le vecchie strutture degli arsenali della Marina militare;
   in virtù di tale piano sono stati realizzati importanti investimenti pari a circa 50 milioni di euro per il completamento e ammodernamento di molte strutture lavorative;
   la pianta organica, dopo tutte le riduzioni previste dalle legge, prevede 334 unità a dispetto delle 250 reali in attività;
   in ragione del processo di fuoriuscita dal lavoro per pensionamento di diversi lavoratori è emerso con straordinaria pesantezza la carenza di figure tecniche;
   con un processo di lento ma costante depauperamento delle strutture e del personale di Augusta molte lavorazioni sono state inopinatamente spostate su altre strutture e particolarmente pare su Messina;
   tale processo sta producendo un intollerabile declino di uno stabilimento che ha espresso ricchezza professionale e tecnica fornendo un servizio prezioso e strategico allo Stato e alla Marina militare;
   si sta rischiando di mortificare la professionalità e la dignità del lavoro delle maestranze impegnate producendo ricadute negative anche sull'indotto e sull'economia del territorio e di Augusta in particolare;
   la scelta di ridurre le attività lavorative di Marinarsen di Augusta si muove in singolare contraddizione con la decisione assunta dal Consiglio dei ministri di individuare ad Augusta la sede della nuova autorità portuale di distretto della Sicilia orientale –:
   se e quali iniziative intenda assumere il Ministro per rilanciare l'Arsenale di Augusta in direzione sia di un aumento sensibile dei carichi di lavoro che di incremento del personale e dell'aggiornamento e della riqualificazione professionale;
   se e come si intenda rispondere alla richiesta pressante del personale di lavorare meglio per produrre attività e ricchezza;
   se e cosa intenda fare per non disperdere e vanificare circa 50 milioni di euro di risorse pubbliche e di investimenti in strutture e in officine che altrimenti rimarrebbero in larghissima parte inutilizzate;
   se intenda attivare le procedure per adeguare gli organici in riferimento alla pianta organica e con particolare urgenza del personale tecnico. (5-07587)


   DI BENEDETTO, BRESCIA, MARZANA, D'UVA, LUIGI GALLO, VACCA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da anni, la Missione di Speranza e Carità, nella città di Palermo, accoglie e assiste circa 800 persone che versano in condizioni disagiate. Inoltre, i fratelli e le sorelle missionari, insieme alle persone, a volontari e alle associazioni del territorio, recuperano le strutture abbandonate e lasciate al degrado, permettendo così, «una pietra dopo l'altra», il restauro e la ricostruzione delle stesse, trasformandole in case di accoglienza, pace e speranza. Un doppio merito che la città di Palermo dovrebbe riconoscere loro;
   al contrario, tra tutte le strutture recuperate, mai nessuna è stata concessa, neanche in affidamento, ai missionari. In alcuni casi, le stesse sono state vendute ai privati con doppio guadagno per il proprietario e doppio danno per i più poveri. Così è avvenuto per l'ex fonderia Basile, una struttura industriale, che era stata adattata al recupero e al reinserimento degli emarginati, come barboni, alcolisti e vagabondi. Oggi la struttura è stata venduta all'asta, senza alcun avviso, nonostante il comune di Palermo, insieme alla regione Siciliana, ne avesse promesso l'affidamento alla Missione;
   Biagio Conte ha lanciato un appello disperato con una missiva indirizzata unitamente a Papa Francesco e al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ribadendo l'impegno quotidiano della Missione che si trova costretta a scontrarsi con la noncuranza delle istituzioni. Poiché di competenza del Ministero della difesa, bisogna citare, in particolare, il caso dell'ex caserma dell'aeronautica di Via Decollati, oggi ristrutturata e adibita a centro di accoglienza e il cui affidamento è stato promesso, da oltre 15 anni, alla Missione ma che fatica a trovare compimento;
   per tali motivi il missionario Biagio Conte lamenta i tempi interminabili della burocrazia, indifferente rispetto alle esigenze dei più bisognosi ed emarginati, suggerendo come, al contrario, una semplificazione legislativa e burocratica potrebbe accorciare quel divario, attualmente esistente, tra istituzioni e i cittadini, facendole sentire parte di un'unica famiglia;
   è bene citare un altro passo della lettera di Conte, che mette in rilievo il senso primario che deve guidare l'azione dell'amministrazione: «il male di questa città continua a sopraffare il bene, così si perde la riqualificazione dei quartieri, le strutture sociali, ricreative e sportive per una sana e giusta crescita dei bambini e dei giovani. Lo stesso hanno fatto con padre Pino Puglisi ostacolandolo nel realizzare queste preziose strutture e opere indispensabili per il quartiere di Brancaccio e i quartieri della città di Palermo; si ripetono gli errori della storia. La nostra città non può chiudersi in se stessa solo con il commercio, i trasporti e le infrastrutture che fanno i propri interessi, ma deve anche aprirsi venendo incontro ai bisogni materiali e spirituali della città e dell'umanità. Bisogna creare le giuste strutture, i giusti spazi e recuperare quelli esistenti, per il bene di questa generazione e di quelle future. Dobbiamo tutti insieme lavorare per il bene comune, comune significa comunione, solidarietà, servizio, integrazione, vera fratellanza. Per queste giuste cause ho sempre sentito nel mio cuore di dare la mia vita, prendendo l'esempio di tanti giusti che hanno donato la loro vita per il bene di questa città, di questa terra di Sicilia, l'Italia, l'Europa e il mondo intero. Mi abbandono al Buon Dio, certo che Lui provvederà e spero anche nelle istituzioni preposte a migliorare questa società. Ognuno deve fare la sua parte»;
   si è sicuri che le istituzioni saranno sensibili alle criticità sollevate dalla Missione di Speranza e Carità di Palermo –:
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda assumere alla luce di quanto esposto in premessa;
   se il Ministro interrogato ritenga opportuno concedere l'utilizzo della caserma dell'aeronautica di Via Decollati alla Missione di Speranza e Carità. (5-07594)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   PISO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la ferrovia Roma-Lido è una linea ferroviaria urbana che collega la stazione di Porta San Paolo con il Lido di Ostia (Roma);
   la linea ha una lunghezza di 28,359 chilometri con 13 stazioni e ogni giorno vengono effettuate 86 corse da ogni capolinea (81 il sabato e 57 i festivi), con un trasporto medio intorno ai 90.000 passeggeri;
   la linea, di proprietà della regione Lazio, è affidata in gestione ad Atac, che opera in qualità sia di gestore dell'infrastruttura sia di impresa ferroviaria;
   in data 30 giugno 2014, un raggruppamento di imprese ha proposto un progetto di finanza per la ristrutturazione e gestione della ferrovia;
   il progetto, presentato dal raggruppamento di imprese RATP DEV Italia, ex AnsaldoBreda, ex Ansaldo STS, SALCEF SpA, Cilia Italia Srl, Architecna Engineering Srl, prevedrebbe l'utilizzo, a titolo gratuito, di beni del comune di Roma e dell'azienda Atac, quali treni, depositi e officine, nonché tutte le aree di pertinenza, senza un preventivo accordo;
   da notizie in possesso dall'interrogante, risulterebbe che il valore del progetto ammonterebbe a 447 milioni di euro (di cui 219 milioni dovrebbero essere anticipati dalla regione Lazio, che pagherebbe un mutuo di 44 milioni di euro per i primi 4 anni e di 78 milioni di euro per i successivi 21);
   in base alla normativa vigente, la regione Lazio avrebbe dovuto valutare e rispondere sull'esistenza del «pubblico interesse» entro 90 giorni dalla presentazione del progetto da parte del raggruppamento d'imprese e invece, a quanto risulta all'interrogante, con lettera datata 30 settembre 2014, ha concesso una proroga indefinita e ha convocato la conferenza di servizi per esaminare la sussistenza del pubblico interesse, in data 18 dicembre 2015;
   a giudizio dell'interrogante, le modalità messe in atto dalla regione sono inique, infatti procedendo in tale maniera, si rischia di avallare una concessione venticinquennale con costi enormi per le istituzioni pubbliche;
   occorrerebbe chiarire se la procedura messa in atto sia conforme alla normativa, ex articolo 153, comma 19, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, così come si legge nella lettera di convocazione della conferenza di servizi del 18 dicembre 2015 e dell'11 gennaio 2016 –:
   quali indicazioni siano state fornite, per la formulazione del parere sull'esistenza o meno del pubblico interesse, dall'ingegnere che ha preso parte alla conferenza di servizi, quale rappresentante della Direzione generale per sistemi di trasporto, impianti fissi e trasporto pubblico locale del Ministero. (4-11882)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   ha sede in Viadana (MN) la società Composad srl, azienda nata nel 2000 e leader nel mercato dei mobili componibili realizzati in truciolato da riciclo;
   la società impiega oltre 1.800 dipendenti nelle tre divisioni del gruppo, ha fatturato in crescita costante che realizza prevalentemente sui mercati esteri;
   all'interno dello stabilimento principale opera in appalto la cooperativa Viadana Facchini, con 250 lavoratori prevalentemente di origine straniera;
   da oltre 90 giorni è aperta una vertenza sindacale che coinvolge i lavoratori di Viadana Facchini, finalizzata al recupero del rispetto pieno del CCNL di categoria, a cui si era parzialmente derogato negli anni passati, e ad ottenere garanzie in caso di cambio di appalto, dato che questo scadeva il 31 dicembre 2015;
   si segnala inoltre il mancato regolare pagamento di alcune mensilità, senza che sia possibile sapere se questo derivi da problemi fra Composad e Viadana Facchini o da difficoltà di quest'ultima;
   la vertenza aveva avuto un primo, apparente sbocco positivo il 9 dicembre 2015, quando dopo uno sciopero la cooperativa si era impegnata al pieno rispetto del CCNL;
   all'accordo non veniva tuttavia dato seguito e nel frattempo interveniva l'incertezza circa l'avvenuto rinnovo del contratto di appalto, nonostante si persistesse a impiegare i lavoratori senza soluzione di continuità;
   le organizzazioni sindacali, con particolare riferimento a quella maggioritaria ADL Cobas in rappresentanza di 170 lavoratori, chiedevano quindi insistentemente l'apertura di un tavolo negoziale presso la locale prefettura, che coinvolgesse anche Viadana Facchini e Composad;
   in assenza di questa convocazione, nelle ultime due settimane si sono praticate forme di lotta sindacale quali il blocco degli straordinari e del lavoro nel fine settimana, fino ad arrivare allo sciopero a oltranza a partire dal giorno 28 gennaio 2016;
   lo sciopero ha già portato al mancato accesso allo stabilimento per decine di camion;
   si deve inoltre richiamare la denuncia da parte sindacale di minacce di denuncia penale a carico dei lavoratori in sciopero da parte delle forze di polizia –:
   se non si ritenga, a tutela di tutti gli interessi in campo e in particolare quello dei lavoratori a veder garantito il proprio posto di lavoro e il rispetto del contratto collettivo nazionale di lavoro, di promuovere presso la locale prefettura un tavolo di trattativa a cui partecipino tutte le organizzazioni sindacali, Composad e Viadana Facchini;
   se trovino conferma le notizie circa l'ipotesi di denuncia dei lavoratori e dei sindacalisti da parte delle forze di polizia, che a parere dell'interrogante risulta inaccettabile. (4-11875)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'aprile 2012 il comune di Casapesenna (Caserta) è stato sciolto per infiltrazioni mafiose secondo quanto previsto dall'articolo 143 del testo unico sugli enti locali;
   secondo quanto si apprende dalle fonti di stampa dell'epoca e secondo quanto segnalato, all'interrogante, a Casapesenna la commissione d'accesso per accertare eventuali infiltrazioni della camorra era stata inviata dalla prefettura di Caserta nel febbraio 2012 dopo l'arresto del sindaco Fortunato Zagaria, accusato dalla direzione distrettuale antimafia di violenza privata nei confronti del suo predecessore Giovanni Zara aggravata dall'aver agito per favorire un clan camorristico, quello facente capo all'ex latitante Michele Zagaria, arrestato nel dicembre 2011 dopo quasi sedici anni di latitanza;
   secondo quanto si apprende da fonti di stampa e secondo quanto segnalato all'interrogante, già qualche giorno dopo l'arresto dell’ex primo cittadino lo scioglimento era stato causato dalle dimissioni di 13 consiglieri comunali, ma in seguito la delibera del Consiglio dei ministri ha confermato la presenza dei condizionamenti posti in essere dal clan Zagaria; un pentito, Roberto Vargas, aveva parlato dell'ex sindaco Fortunato Zagaria come «un pupazzo nelle mani del boss»;
   anche la scoperta dei due bunker in uso a Zagaria nel periodo della latitanza, dotati di sistemi di comunicazione sofisticati ed estesi in tutto il paese, testimoniavano l'enorme numero di fiancheggiatori di cui il boss poteva godere. Gli stessi lavori per realizzare il bunker, secondo i pm della direzione distrettuale antimafia non potevano essere stati realizzati senza collusioni in comune;
   nel successivo mese di maggio 2014 si sono svolte le elezioni comunali che hanno visto la vittoria di Marcello De Rosa. Secondo quanto si apprende da fonti di stampa e secondo quanto segnalato all'interrogante, nelle ultime settimane la direzione distrettuale antimafia avrebbe accertato che tra lui e il suo predecessore Fortunato Zagaria, sospettato di aver favorito il clan dei Casalesi, vi erano continui contatti telefonici dal tono confidenziale durante i quali l'ex sindaco dispensava al candidato consigli, che spesso apparivano anche delle vere e proprie direttive;
   sempre secondo fonti di stampa e segnalazioni all'interrogante, gli inquirenti, alla luce degli appuntamenti presi subito dopo le elezioni, sarebbero indotti a ritenere l'esistenza di una relazione di subordinazione da parte di De Rosa nei confronti di Zagaria; nelle intercettazioni, vi sarebbe addirittura un SMS di De Rosa all'indirizzo di Fortunato Zagaria dal seguente contenuto: «Sei un grande grazie»;
   nel corso del mese di gennaio 2016, la lista civica di opposizione avrebbe deciso di dimettersi dal consiglio comunale, chiedendo anche ai subentranti di rinunciare alla surroga. Tale decisione sarebbe stata assunta dopo la pubblicazione delle citate interrogazioni che dimostrerebbero la totale contiguità tra l'amministrazione sciolta nel 2012 e l'attuale. Se si disponesse un nuovo scioglimento del consiglio comunale sarebbe il quarto negli ultimi anni;
   è evidente come la diffusione a mezzo stampa delle notizie sopra riportate non può che gettare ulteriore discredito sull'amministrazione di un territorio da anni martoriato dall'infiltrazione camorristica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto illustrato in premessa e se non ritenga, per quanto di competenza, di avviare iniziative finalizzate alla verifica della sussistenza dei presupposti per procedere nuovamente allo scioglimento del consiglio comunale di Casapesenna ai sensi di quanto previsto dall'articolo 143 del testo unico degli enti locali. (4-11883)


   FRACCARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con la legge regionale del 9 dicembre 2014 pubblicata sull'edizione straordinaria n. 1 del Bollettino unico regionale n. 49/I-II ed entrata in vigore il giorno successivo alla pubblicazione, il consiglio della regione Trentino-Alto Adige/Südtirol ha modificato la legge regionale n. 1 del 1993 (Nuovo ordinamento dei comuni della regione Trentino-Alto Adige) con l'obiettivo di migliorare gli strumenti referendari a disposizione dei cittadini per partecipare alle scelte politiche comunali. I comuni della regione avrebbero dovuto recepire le disposizioni entro il termine perentorio di 12 mesi dalla data di pubblicazione;
   con la predetta legge regionale n. 11 del 2014 sono stati introdotti nell'ordinamento dei comuni della regione: il referendum confermativo a quorum zero per le modifiche agli statuti comunali; l'opuscolo informativo per le votazioni comunali, una soglia massima per il quorum di partecipazione (30 per cento per i comuni con meno di 5.000 abitanti e 25 per cento per i comuni con più di 5.000 abitanti). È stato inoltre abbassato il numero massimo di elettori per richiedere un referendum (1 per cento degli aventi diritto al voto per l'elezione del consiglio comunale per i comuni con più di 20.000 abitanti) ed è stato definito un termine di almeno 6 mesi per la raccolta delle firme;
   l'articolo 82 del testo unico delle leggi regionali sull'ordinamento dei comuni della regione autonoma Trentino-Alto Adige (TULROC) prevede che qualora i comuni, sebbene invitati a provvedere entro congruo termine, ritardino od omettano di compiere atti obbligatori per legge, o quando non siano in grado di adottarli a causa dell'obbligo di astensione in capo alla maggioranza dei componenti il consiglio o la giunta comunale, la giunta provinciale vi provvede a mezzo di un commissario. Il termine assegnato non può essere inferiore a trenta giorni, salvo deroga motivata per i casi di urgenza;
   alla data del 25 gennaio 2016 gli organi elettivi dei comuni di Pergine Valsugana (Tn), Rovereto (Tn) e Bressanone (Bz), rispettivamente con popolazione di 21.155, 38.905 e 21.384 residenti, non hanno ancora recepito le disposizioni obbligatorie della menzionata legge regionale n. 11 del 2014 non rispettando quindi il termine perentorio del 9 dicembre 2015;
   nonostante l'inadempienza dei comuni di Pergine Valsugna, Rovereto e Bressanone e l'assenza di richieste di deroga riconducibili a casi di urgenza per il mancato recepimento della legge regionale n. 11 del 2014, in data 25 gennaio 2016 non risulta che la provincia autonoma di Trento e la provincia autonoma di Bolzano abbiano intrapreso provvedimenti per assicurare l'ottemperanza alla legge regionale n. 11 del 2014 come previsto dall'articolo 82 del TULROC;
   lo statuto di autonomia della regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, all'articolo 54, comma 1, n. 5, prevede che spetta alla giunta provinciale: la vigilanza e la tutela sulle amministrazioni comunali, sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, sui consorzi e sugli altri enti o istituti locali, compresa la facoltà di sospensione e scioglimento dei loro organi in base alla legge. Nei suddetti casi e quando le amministrazioni non siano in grado per qualsiasi motivo di funzionare spetta anche alla giunta provinciale la nomina di commissari, con l'obbligo di sceglierli. Restano, tuttavia, riservati allo Stato i provvedimenti straordinari di cui sopra allorché siano dovuti a motivi di ordine pubblico e quando si riferiscano a comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti;
   il mancato intervento della giunta della provincia autonoma di Trento e della giunta della provincia autonoma di Bolzano, a differenza di quanto previsto dall'articolo 82 del TULROC e dall'articolo 54 dello statuto di autonomia, che attribuiscono alla giunta provinciale il compito di vigilanza e di tutela sulle amministrazioni comunali e il potere di intervenire in caso di inadempienze e irregolarità, determina una situazione di pericolo per lo stato di diritto a causa della facoltà concessa alle amministrazioni comunali di svincolarsi dalla legge regionale n. 11 del 2014 che, nel caso di specie, disciplina i diritti politici fondamentali a livello locale;
   sulla base dell'interpretazione logico-sistematica delle citate disposizioni, lo Stato – tramite i commissari del Governo per le province di Trento e di Bolzano – a parere dell'interrogante deve adottare i provvedimenti per la nomina del commissario ad acta affinché proceda con l'adozione degli obblighi previsti dalla legge regionale n. 11 del 2014 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e se non ritenga di dover valutare la sussistenza dei presupposti per l'esercizio dei poteri di competenza, sulla base del richiamato articolo 54 dello statuto speciale della regione. (4-11889)


   SARTI, SPADONI, FERRARESI, DELL'ORCO, D'UVA e NUTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è tutt'ora in corso il processo Aemilia che riguarda la più grande operazione contro la `ndrangheta in Emilia Romagna e ha coinvolto anche altre regioni, tra cui Veneto, Lombardia, Piemonte, Calabria e Sicilia. Ad oggi gli imputati sono 219, nove dei quali attualmente sottoposti al regime di 41-bis e 189 i capi di imputazione. Si tratta di un avvenimento senza precedenti per la regione Emilia-Romagna, per i numeri e per le dimensioni dell'inchiesta. Un'indagine, condotta dalle forze dell'ordine e dalla direzione distrettuale antimafia di Bologna, segnata da due momenti fondamentali: il primo, alla fine di gennaio 2015, ha portato a 117 arresti. Il secondo, a metà luglio 2015, ha colpito la cosiddetta «`ndrangheta imprenditrice». Al centro delle indagini, coordinate dall'ex procuratore Capo di Bologna, Roberto Alfonso, c’è il clan Grande Aracri, originario di Cutro che aveva costituito una vera e propria organizzazione a delinquere di stampo mafioso autonoma dalla «casa madre» cutrese, con epicentro a Reggio Emilia;
   il dibattimento inizierà il 23 marzo 2016 ad oggi si stanno svolgendo le udienze dei riti abbreviati. Fra gli imputati rinviati a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa vi è, fra gli altri, il consigliere comunale di Reggio Emilia Giuseppe Pagliani (Forza Italia), che nel 2012, secondo quanto riportato dalle intercettazioni della richiesta di rinvio a giudizio, si mise completamente a disposizione di alcuni associati alla cosca Grande Aracri, pur consapevole dei precedenti penali di essi; lo stesso prese parte, inoltre, a diverse riunioni in cui strinse un patto volto ad allontanare i sospetti di appartenenza alla criminalità organizzata pendente su alcuni degli imprenditori colpiti da provvedimenti interdittivi prefettizi e partecipò anche alla cena con imprenditori cutresi presso il ristorante «Antichi Sapori» di Reggio Emilia, summit al quale erano presenti anche vari esponenti della suddetta cosca Grande Aracri come ad esempio Nicolino Sarcone. Pagliani oggi è imputato per concorso esterno in associazione mafiosa, in particolare «per aver concretamente contribuito, pur senza farne formalmente parte, al rafforzamento, alla conservazione ed alla realizzazione degli scopi dell'associazione mafiosa sfruttando il suo ruolo di vice-coordinatore vicario provinciale del PDL e capogruppo PDL nel consiglio Provinciale di Reggio Emilia che veniva messo al servizio della strategia pubblica dell'associazione (...) consentendo agli associati di affrontare un momento di particolare difficoltà incontrata da molti di loro e dall'associazione stessa, ottenendo anzi un «rilancio» delle possibilità e delle capacità di azione del sodalizio»;
   un altro imputato del processo Aemilia è Domenico Mesiano, ex assistente Capo della Polizia presso la questura di Reggio Emilia, autista del Questore, arrestato a fine gennaio 2015 e imputato per associazione mafiosa ex articolo 416bis c.p. Egli avrebbe partecipato alle riunioni del sodalizio, utilizzando costantemente il rapporto con gli altri associati per allargare la propria influenza e capacità affaristica nonché di inserimento nel sistema economico emiliano;
   Domenico Mesiano è anche colui che durante le primarie del Partito Democratico per la scelta del candidato sindaco alle elezioni amministrative del 2014, fece telefonate dalla Questura sconsigliando ad alcuni esponenti della comunità albanese di votare Franco Corradini, ex assessore alla coesione sociale e sicurezza del comune reggiano. Alla fine, le primarie furono vinte da Luca Vecchi, attuale sindaco di Reggio Emilia. Franco Corradini, appena ebbe notizia delle telefonate e delle pressioni di Mesiano, denunciò l'accaduto presentando un esposto alla procura di Reggio Emilia e dopo l'arresto di Mesiano del gennaio 2015 dichiarò: «A primarie svolte, la notizia trapelò, ma non ebbi la solidarietà dei miei concorrenti e nemmeno del PD. Ora, anche alla luce di quel che sta accadendo i miei dubbi rimango più forti che mai: forse le primarie furono inquinate dalla malavita organizzata? A vantaggio di chi? Chi traeva vantaggio dal poliziotto Domenico Mesiano oggi arrestato in occasione della maxi operazione anti Mafia?». Ancora, in un'intervista di pochi giorni fa, Corradini ribadisce le presunte irregolarità di quelle votazioni dichiarando che «Più passa il tempo e più vi è la consapevolezza che Mesiano che telefona per sconsigliare di votarmi non agiva isolatamente. Al netto dell'onestà personale di Vecchi è chiaro che tutto il sistema di potere – dalle cooperative in procinto di fallire a una Cgil in difficoltà, al Pd ridotto al lumicino, al sindaco uscente Delrio e in questo contesto anche il sistema illegale che esiste e si manifesta con la telefonata del poliziotto – fa scelte precise»;
   a quanto sopra esposto si aggiungano i brogli elettorali che hanno toccato le elezioni amministrative del comune di Reggio Emilia nel 2014, precisamente il seggio numero 7 che aveva come presidente Pietro Drammis. Trentuno schede sarebbero state alterate da Drammis per favorire due candidati poi diventati consiglieri comunali nelle file del Pd, Salvatore Scarpino e Teresa Rivetti, quest'ultima moglie dell'ex consigliere Carmine De Lucia. Per il presunto broglio Drammis è stato l'unico indagato e la procura ha chiesto che venga rinviato a giudizio. Le indagini sono state sollecitate dalle segnalazioni del Movimento 5 Stelle; in particolare sia la consigliera comunale Alessandra Guatteri e sia la deputata Maria Edera Spadoni avevano depositato interrogazioni ed esposti già in data 10 luglio 2014. Nel visionare le schede, i rappresentanti di lista notarono che la grafia di alcune di esse risultava apparentemente identica e ciò ora ha trovato conferma nell'esito delle indagini portate avanti dal pm Isabella Chiesi: «Secondo le analisi degli esperti di grafologia della Polizia scientifica di Roma, la mano che ha vergato i nomi di Scarpino e Rivetti sarebbe quella di Drammis»;
   in data 23 gennaio 2016, ad un anno di distanza dall'arresto di Francesco Macrì sempre nell'ambito dell'inchiesta Aemilia, è emerso che Maria Sergio, moglie del sindaco Luca Vecchi di Reggio Emilia, dirigente all'urbanistica del comune di Reggio Emilia tra il 2004 ed il 2014, attualmente dirigente presso il comune di Modena, in data 12 maggio 2012 aveva acquistato una casa al grezzo insieme a Luca Vecchi dalla M&F General Service Srl di proprietà del crotonese Francesco Macrì, imputato oggi nel processo Aemilia per ricettazione, riciclaggio ed impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, reati aggravati perché commessi al fine di agevolare la cosca Grande Aracri. Nel 2014 la Sergio era stata ascoltata come persona informata sui fatti dai magistrati della direzione distrettuale antimafia di Bologna nell'inchiesta Aemilia. Come risulta dai verbali della deposizione, la Sergio, a seguito della domanda dei PM se conoscesse imprese importanti di calabresi o cutresi, dichiarava: «Rispetto alle ditte cutresi...io non...come dire non ne ho incrociate molte perché poi spesso appunto le ditte cutresi lavorano sugli interventi diretti, che io gestisco di meno...»;
   Macrì, risulta essere stato, secondo l'accusa, il prestanome compiacente e consapevole degli `ndranghetisti Nicolino Grande Aracri, Michele Bolognino, Palmo e Giuseppe Vertinelli, attraverso l'utilizzo della società «Il Cenacolo s.r.l.»;
   il sindaco Vecchi e la moglie Maria Sergio hanno dichiarato che non sapevano nulla su Francesco Macrì al momento dell'acquisto della loro casa (Luca Vecchi 23 gennaio 2016 dichiarava: «mi cade un muro addosso»). In data 25 gennaio 2016, durante una seduta del consiglio comunale, il sindaco di Reggio Emilia ha dichiarato: «Quando sono usciti i nomi degli arrestati di Aemilia li ho letti, e mi sono interrogato più come amministratore che come un cittadino dal momento che, a tre anni di distanza, il tema della casa per me era derubricato». Il consigliere comunale M5S Norberto Vaccari, però, durante lo stesso consiglio comunale gli rispondeva che «non poteva non sapere. Che non ricordasse chi gli ha venduto la casa risulta difficilmente credibile. Non fosse altro per i dieci anni di garanzia che gravano per legge proprio sul costruttore»;
   la figura di Francesco Macrì non è nuova agli occhi dell'amministrazione comunale reggiana. Macrì, infatti, come riportato dagli organi di stampa locali, è stato prima socio amministratore e poi accomandatario della società «F.lli Macrì s.a.s. di Macrì Mario», titolare di un subappalto del valore di 9.800 euro nel 2009 e di svariati interventi nel settore privato, nonché vincitrice di due gare pubbliche nel 2006 per l'importo complessivo di 233.000 euro, tutto ciò quando Maria Sergio era dirigente all'urbanistica del comune, tale società risulta inoltre essere stata invitata nel settembre 2014 ad una procedura negoziata indetta dal comune di Reggio Emilia per l'assegnazione di lavori di manutenzione stradale;
   il 18 ottobre 2014, Domenico Lerose, oggi rinviato a giudizio con l'aggravante di aver agito con metodo mafioso, al termine di un comizio in piazza Martiri del 7 luglio a Reggio Emilia, si avvicinava con altre due persone alla deputata del Movimento 5 Stelle Maria Edera Spadoni, dicendole: «Lei Grande Aracri non lo deve neanche nominare». Poco prima, Spadoni aveva ribadito le sue prese di posizione critiche sulla videointervista in cui il sindaco di Brescello, Marcello Coffrini, parlava di Francesco Grande Aracri, condannato in via definitiva per associazione mafiosa. La condotta di Lerose, per i Pm, è aggravata dal fatto di aver agito ai danni di un pubblico ufficiale e al fine di costringerlo a modificare le proprie posizioni pubbliche. La deputata Spadoni, dopo essere stata minacciata, replicò fermamente e fece denuncia ai carabinieri –:
   se in considerazione della gravità dei fatti esposti, si intendano attivare le procedure di insediamento di una commissione di accesso, ai sensi dell'articolo 143 del testo unico degli enti locali, affinché possa essere verificata e accertata l'estraneità dell'operato dell'amministrazione comunale di Reggio Emilia rispetto a condizionamenti da parte della criminalità organizzata. (4-11890)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LUIGI GALLO, PETRAROLI, BATTELLI, DELL'ORCO, D'UVA e VACCA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con l'entrata in vigore della legge 16 luglio 2015, n. 107, numerose sono state le funzioni e i poteri conferiti ai dirigenti scolastici per la realizzazione dell'autonomia del sistema di istruzione;
   nello specifico, ai sensi del comma 79 dell'articolo 1 della suddetta legge, il dirigente scolastico, nel rispetto delle competenze degli organi collegiali deve garantire un'efficace ed efficiente gestione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche e materiali; svolgendo compiti di direzione, gestione, organizzazione e coordinamento, oltre ad essere responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio secondo quanto previsto dall'articolo 25 del decreto legislativo del 30 marzo 2001, n. 165;
   a decorrere dall'anno scolastico 2016/2017, è il dirigente scolastico a proporre gli incarichi ai docenti di ruolo assegnati all'ambito territoriale di riferimento, e gli è riservata anche la possibilità di utilizzare, in caso di bisogno, docenti in classi di concorso diverse da quelle per le quali sono abilitati:
   oltracciò, ha la facoltà di, individuare nell'ambito dell'organico dell'autonomia fino al 10 per cento di docenti che lo coadiuvano in attività di supporto organizzativo e didattico dell'istituzione scolastica e di ridurre il numero di studenti per classe rispetto a quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 81;
   ad aggiungersi alle già menzionate funzioni il dirigente scolastico ha anche pieni poteri di valutazione del personale docente ed educativo in periodo di formazione e prova, sulla base dell'istruttoria di un docente al quale vengono affidate le funzioni di tutor dal dirigente scolastico stesso, e di assegnare annualmente una somma di denaro, definita bonus al personale docente da lui stesso valutato come meritevole;
   da quanto si evince da diversi articoli apparsi ordine tra il 16 e il 22 dicembre 2015 il gruppo «Partigiani della Scuola Pubblica» (Psp) ha denunciato a gran voce i contenuti del documento dell'associazione nazionale presidi (Anp) che interpreta il piano triennale dell'offerta formativa secondo i parametri della riforma della scuola e che viene utilizzato nei seminari di lavoro dei dirigenti scolastici;
   i membri del Psp reputano aberrante l'ostilità che si vuole creare fra corpo docente e dirigenza, ritenendo che la frase contenuta nel documento dell'Anp «non “avere le mani legate” rispetto ai docenti contrastivi», metta in luce in modo emblematico il disegno arrogante e antidemocratico di chi ha, costruito questa riforma e di chi sta formando dirigenti scolastici;
   una siffatta conditio affermano i Psp, non può che generare indignazione e preoccupazione per le sorti dello scuola pubblica, che si vorrebbe programmata alla creazione di individui seriali, acritici, e «utili» al sistema, che non contrastino le volontà di presidi e Governo, violando, in tal modo, i diritti costituzionali quali la libertà di insegnamento e la libertà di pensiero;
   nelle stesse slide del documento dell'Anp si legge anche che nella preparazione del piano dell'offerta triennale, sarebbe valido, inter alia il principio dei Marines: don't ask don't tell (non chiedere, non dire), che rappresenterebbe il motto con cui, negli Stati Uniti è stata indicata la politica di esclusione degli omosessuali dell'esercito (i gay potevano arruolarsi a patto di non farsi riconosce «riconoscere»), e tale riferimento infelice secondo Pino Turi, segretario della Uil scuola, non sarebbe casuale, ma piuttosto un «linguaggio da caserma che illustra benissimo i pericoli di questa riforma»;
   tutto ciò contrasterebbe quelli che dovrebbero essere gli obiettivi primari che la scuola pubblica dovrebbe conseguire, secondo Pino Turi, avendo ben chiaro che i docenti di cui si avrebbe bisogno sono proprio quelli che per tradizione e cultura hanno sempre adottato un metodo di insegnamento non dogmatico e comparativo: in poche parole, «quelli che insegnano come pensare, non cosa pensare»;
   appare, dunque, chiaro come la nuova legge sulla scuola consegni nelle mani dei dirigenti scolastici, e al loro libero arbitrio, enormi poteri discrezionali che, se utilizzati impropriamente, potrebbero anche aumentare il rischio di sconfinare nell'abuso di potere, come si evince anche da quanto annunciato dalle diverse testate giornalistiche in numerosi articoli, tra cui quello apparso online sul portale www.orizzontescuola.it in data 15 luglio 2015 («La nuova figura del DS e i rischi dell'abuso di potere»);
   da quanto si evince dal documento dell'Associazione nazionale presidi (Anp) a pagina 11 si afferma che la classica cattedra su singola scuola va ad esaurimento sostituita dalla nuova titolarità su ambito territoriale e che nel tempo, esisterà solo questo secondo tipo;
   a pagina 28 del suddetto documento l'Anp invita il dirigente scolastico ad evitare con ogni cura la modifica del piano triennale dell'offerta formativa in consiglio d'istituto per trasformare l'operazione in una sostanziale ratifica in contrasto con lo spirito della norma –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro, per quanto di competenza, in relazione alle affermazioni contenute nelle slide del documento dell'Anp, che appaiono agli interroganti da censurare per la deriva e la cultura autoritaria che si rischia di diffondete nelle scuole;
   in che modo il Ministro intenda salvaguardare la libertà di insegnamento e proteggere la classe docente da eventuali abusi dei dirigenti che non intendono «“avere le mani legate” rispetto ai docenti contrastivi»;
   se il Ministro non intenda assumere iniziative per chiarificare e modificare la posizione e tutti i poteri dei dirigenti scolastici, in modo da evitare una deriva autoritaria nelle scuole e salvaguardare i diritti di tutto il personale docente;
   se l'organico dei posti comuni e di sostegno continuerà a coesistere con quello di potenziamento;
   se il Ministro ritenga di continuare a rispettare il turn over al 100 per cento ovvero in che modo cambieranno i criteri per il calcolo del fabbisogno annuale di docenti, considerando l'esaurimento della classica cattedra su singola scuola, le nuove misure sull'organico potenziato, gli ambiti territoriali e l'aumento dell'autonomia finanziaria dei singoli istituti.
(5-07586)

Interrogazione a risposta scritta:


   MARAZZITI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il dipartimento di scienze mediche, orali e biotecnologiche dell'università di Chieti ha bandito il 23 giugno 2015 una procedura pubblica di selezione per chiamata di un posto di professore di seconda fascia per il settore concorsuale 06/C1 – Chirurgia generale (profilo: settore scientifico-disciplinare MED/18 – chirurgia generale) ai sensi dell'articolo 24, comma 6, della legge 30 dicembre 2010, n. 240;
   il 5 agosto 2015 è stata costituita la commissione giudicatrice;
   il 9 settembre 2015 vi è stata l'accettazione dell'istanza di ricusazione nei confronti di uno dei membri della Commissione;
   il 29 settembre 2015 è stata ricostituita la commissione giudicatrice, tenuta, secondo il decreto rettorale, a concludere i lavori entro il 27 novembre 2015;
   il 15 dicembre 2015, dopo l'adozione di un decreto di proroga, la commissione giudicatrice ha concluso i propri lavori;
   il 15 gennaio 2016 un decreto rettorale ha prorogato di 45 giorni il termine per la approvazione degli atti della procedura selettiva, con la motivazione della chiusura dell'Ateneo dal 25 dicembre 2015 al 6 gennaio 2016;
   nel frattempo, sono stati approvati gli atti di commissioni giudicatrici, relativi a medesime procedure di altri settori scientifico disciplinari, ricevuti successivamente –:
   di quali elementi disponga il Governo sulla vicenda e se risponda ad una prassi l'andamento del citato procedimento;
   se non intenda fornire i dati relativi alla media della durata di analoghi procedimenti. (4-11885)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FOSSATI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane è la più grande infrastruttura di servizi in Italia, impiega 135.000 addetti ed ha segnato, nella relazione semestrale presentata il 31 luglio 2015 un utile netto di 435 milioni di euro e attualmente fornisce servizi logistico-postali, di risparmio e pagamento, assicurativi e di comunicazione digitale a oltre 32 milioni di clienti;
   il centro di meccanizzazione postale (CMP) di Sesto Fiorentino rappresenta un punto di eccellenza per capacità ed efficienza, che attualmente vede circa 680 persone impiegate oltre alle quali si aggiunge un cospicuo indotto occupazionale per un totale di oltre 850 lavoratori impiegati, direttamente o indirettamente, che lo rendono il più grosso sito industriale postale della Toscana;
   il piano industriale di Poste Italiane a livello nazionale prevede accorpamenti dei centri di smistamento nei quali sarebbe coinvolto anche il centro di Sesto Fiorentino, con conseguente trasferimento delle lavorazioni nelle altre sedi di Bologna, Torino e Roma;
   con la riorganizzazione dei servizi prevista verrebbe dunque smembrato un polo che oggi serve Toscana e Umbria con 11,8 milioni di pezzi consegnati al giorno e che a seguito di tali scelte rischia concretamente di svuotarsi di funzioni, con ripercussioni sull'aspetto occupazionale che di solito si traducono in prepensionamenti, trasferimenti di personale, trasformazione di contratti a tempo pieno in part time;
   si potrebbe valutare invece il possibile sviluppo di altre lavorazioni, in modo da consentire la piena attività di uno stabilimento che, per la sua collocazione e la professionalità degli addetti, è in grado di attrarre clienti esterni e ospitare nuove attività logistiche, in particolar modo con riferimento alla posizione strategica in cui è collocato sia rispetto alle infrastrutture che alle funzioni produttive di quell'area, utilizzando in questo quadro al meglio la forza lavoro qualificata presente nello stabilimento;
   il recente invio di lettere di licenziamento e la sospensione dal servizio di alcuni dipendenti, applicati ai CMP, che hanno in comune una situazione di idoneità parziale alle mansioni certificata dal medico competente, è interpretato dalle organizzazioni sindacali come una dimostrazione delle intenzioni dell'azienda di avviare una riduzione del numero dei lavoratori assecondando il disinvestimento sull'impianto –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione e quali iniziative di competenza intendano promuovere affinché sia garantito il futuro produttivo del CMP di Sesto Fiorentino e siano tutelati i posti di lavoro. (5-07589)


   LOMBARDI, COMINARDI, CIPRINI, TRIPIEDI, DALL'OSSO, CHIMIENTI, VILLAROSA e PESCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 26 giugno 2013 il Presidente dell'Eppi (Ente previdenziale dei periti industriali e dei Periti industriali laureati) propone un provvedimento d'urgenza per acquistare, con data regolamento 5 luglio 2013, un numero di diritti di opzione per la sottoscrizione dell'aumento di capitale della Banca dell'Etruria pari a 445.800 diritti verso il prezzo complessivo di euro 88.455,04 e la conseguente sottoscrizione di 1.515.720 azioni, al costo complessivo di euro 909.432,00;
   il Consiglio di amministrazione dell'Eppi, all'unanimità con delibera n. 560 del 2013 ha deciso di ratificare il seguente provvedimento d'urgenza assunto dal presidente in data 26 giugno 2013: acquisto di numero 445.800 diritti verso il prezzo complessivo di euro 88.455,04 e la conseguente sottoscrizione di 1.515.720 azioni al costo complessivo di euro 909.432,00. Il controvalore complessivo dell'operazione, di aumento di capitale (diritti e azioni) è di euro 997.887,04 e, pertanto, ciascuna azione sarà contabilizzata tra le immobilizzazioni finanziarie, alla voce partecipazioni in altre imprese, al valore di carico unitario di euro 0,65835;
   sempre nel 2013 il presidente dell'Eppi chiese ai signori consiglieri di valutare l'opportunità di sottoscrivere una convenzione con la Banca dell'Etruria a favore degli iscritti all'ente ed a sostegno della professione. In breve, i termini della concessione del finanziamento proposto dalla Banca Etruria sono così riassumibili: importo massimo finanziabile: euro 35.000,00; durata massima del finanziamento: 60 mesi; spese di istruttoria: euro 100,00; tasso di interesse fisso: del 2,5 per cento, al quale sommare uno spread del 3,40 per cento e del 4,00 per cento, a seconda delle classi dei richiedenti;
   il Consiglio di amministrazione di Eppi con delibera n. 580 del 2013 conferisce mandato al presidente dell'ente per la sottoscrizione della convenzione con la Banca Etruria con finalità assistenziale per gli iscritti ed a sostegno della professione e della regolarizzazione del rapporto previdenziale;
   ad oggi è ancora presente sul sito dell'EPPI la convenzione con Banca Etruria (https://www.eppi.it/index.php/conti-correnti?class=1&subltem=58idltem=1&idcast=4);
   fra il 2012 ed il 2013 crescono di 50 milioni di euro circa i depositi bancari (c/c) dell'Eppi in Banca Etruria e sono circa 51 milioni a fine 2014; sono di 184 milioni di euro circa i valori in conti correnti presso Monte dei Paschi di Siena, a fine 2013 e sono ancora di 51 milioni circa, a fine 2014, su un totale di 277 milioni di euro di depositi bancari nel 2013 e di 114 milioni di euro nel 2014;
   nel bilancio dell'Eppi del 2013 e del 2014 sono iscritti investimenti di 20 milioni di euro in obbligazioni ordinarie di BANCA POPOLARE DELL'ETRURIA E DEL LAZIO – ISIN IT0004747066 BANCA POP. ETRURIA 20/07/15 4.10 –:
   quale sia la reale esposizione di Eppi in depositi bancari, azioni ed obbligazioni o altri titoli della Banca Etruria;
   se Eppi detenga ancora azioni di Banca Etruria e a quale valore; se siano incorse perdite su tale titolo e di quali entità;
   se Eppi abbia avuto il rimborso integrale delle obbligazioni ordinarie in Banca Etruria in scadenza nel 2015;
   se anche altri enti previdenziali privatizzati o privati ex decreto legislativo n. 509 del 1994 e decreto legislativo n. 103 del 1996 abbiano depositi (presso), azioni, obbligazioni o altri titoli emessi da Banca Etruria, Banca Marche, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti, e se, per essi, le casse di previdenza citate abbiano subito perdite. (5-07593)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il progetto « youth garantee», il programma dell'Unione europea rivolto a tutti i giovani nella fascia 15-29 anni, inoccupati e che non studiano, per offrire loro l'inserimento in percorsi di tirocinio e/o di formazione ed un'opportunità per acquisire nuove competenze e per entrare nel mercato del lavoro, si è rivelato un « flop» come testimoniano gli stessi ragazzi/e intervistati sull'esperienza formativa maturata all'interno delle diverse aziende e nella maggior parte dei casi conclusasi prima del previsto a causa di una mancata corresponsione dello stipendio;
   il fallimento di questo progetto è stato evidenziato anche da Adapt (il centro studi sul lavoro fondato nel 2000 da Marco Biagi) con un rapporto intitolato «Garanzia Giovani, un anno dopo. Analisi e proposte» che ne denuncia le inefficienze, le criticità progettuali e realizzative nonché il mancato decollo dell'iniziativa;
   secondo quanto riportato nel report, infatti, la percentuale dei giovani che, una volta presi in carico dai servizi competenti, ha ricevuto una qualche forma di risposta in termini di lavoro o di stage si attesta ad un misero 3 per cento;
   nella regione Emilia Romagna il progetto ha preso il via a decorrere dal 1o maggio 2014, con uno stanziamento di risorse pari a 74,2 milioni di euro così di seguito ripartiti:
    accoglienza, presa in carico, orientamento: 8.827.358,60 euro;
    formazione: 24.002.241,00 euro;
    apprendistato: 519.256,39 euro;
    tirocinio extra curriculare, anche in mobilità geografica: 26.852.973,21 euro;
    servizio civile regionale: 2.095.161,75 euro;
    sostegno all'auto-impiego e all'auto-imprenditorialità: 6.461.698,58 euro;
    mobilità professionale transazionale e territoriale: 2.002.846,07 euro;
    bonus occupazionale: 3.417.948,40 euro;
   il piano di attuazione regionale di «Garanzia Giovani» è stato approvato con delibera di giunta n. 475 del 2014, e ratificato anche la convenzione tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e la regione Emilia Romagna, in base alla quale il compenso mensile per un tirocinio semestrale (30 ore settimanali) in un'azienda è di 450 euro di cui 300 sono a carico della regione Emilia Romagna, mentre i restanti 150 sono a carico dell'impresa;
   in Emilia Romagna i bandi sono stati in tutto tre: due scaduti il 5 maggio 2015 ed il terzo il 30 ottobre 2015;
   secondo i dati forniti dall'assessore regionale lo scorso ottobre 2015, il numero dei giovani emiliani-romagnoli che hanno aderito al Programma ammonta a 57.747, mentre 32.228 sono i ragazzi presi in carico dai servizi per l'impiego e che hanno sottoscritto un patto di servizio; 16.902 sono coloro cui è stata erogata una misura di politica attiva (percorso formativo, contratto di apprendistato, supporto all'autoimpiego) ed 8.708 i giovani con contratti di tirocinio;
   tuttavia, secondo quanto riportato dalla stampa locale, il progetto «Garanzia Giovani» continuerebbe a rivelarsi un totale fallimento a causa delle inefficienze strutturali, dei ritardi cronici nell'istruttoria amministrativa regionale e, soprattutto, della mancata erogazione, da parte della regione Emilia Romagna – di concerto con l'Inps – dell'assegno pattuito per il tirocinante (300 euro cadauno);
   il procrastinarsi dei pagamenti e lo «stato confusionale» in cui versano sia gli uffici regionali che quelli dell'Inps, incapaci di fornire informazioni certe ai ragazzi e assumersi responsabilità circa lo stallo del progetto, non fanno altro che alimentare la rabbia e la giustificata frustrazione dei tirocinanti che, dopo mesi di lavoro full time non retribuito, sono costretti ad abbandonare l'azienda presso la quale erano stati presi in carico;
   a quasi due anni di distanza dall'avvio dell'iniziativa (1o maggio 2014) non si riscontrano miglioramenti sia dal punto di vista dei risultati formativi conseguiti dagli aderenti al progetto, che per quanto concerne i tempi di erogazione delle indennità agli stagisti, e si stanno vanificando i 74,2 milioni di euro stanziati per la formazione dei nostri giovani disattendendone le speranze e le aspettative occupazionali –:
   se ed in che modo il Governo intenda tutelare tutti quei ragazzi/e che hanno aderito all'iniziativa «Garanzia Giovani» e hanno intrapreso un percorso formativo all'interno di imprese rimanendone delusi dal punto di vista della giusta retribuzione;
   quali siano le ragioni dei continui ritardi nell'erogazione delle indennità alle migliaia di giovani che hanno aderito al programma «Garanzia Giovani» – con particolare riguardo ai ragazzi emiliano romagnoli – e in che modo intenda farvi fronte;
   quali siano i problemi burocratici connessi all'attivazione delle procedure necessarie per l'erogazione dei fondi alle agenzie interinali (o società private di formazione) e successivamente agli stagisti ed in che termini il Ministero abbia provveduto a superarli;
   quale percentuale dei 74,2 milioni di euro riconosciuti alla regione Emilia Romagna nell'ambito dei piano di attuazione nazionale del programma « youth garantee» sia stata utilizzata per l'erogazione delle indennità ai tirocinanti aderenti al progetto e quanti siano quelli la cui posizione «economico-lavorativa» sia stata risolta;
   se e in quali tempi il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l'Inps, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze, intendano attivarsi per sanare la grave situazione di morosità che caratterizza la regione Emilia Romagna nei confronti delle migliaia di giovani che hanno aderito al programma «Garanzia Giovani», sopperendo il prima possibile alle deficienze procedurali fino ad oggi riscontrate nel decorso del progetto. (4-11877)


   GIANNI FARINA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 23 novembre 2015 è stata pubblicata l'interrogazione a risposta scritta n. 4-11233 presentata dall'interrogante, in cui si chiedeva di sapere se l'istituto paritario Diomede Carafa, già ditta individuale, ora srl, di Ariano Irpino (AV), di cui era amministratore unico tale Cecilia Majello, che risultava essere anche, come da lei stessa dichiarato, lavoratrice dipendente quale direttrice/gestore dell'istituto, corrispondesse i contributi INPS e INAIL;
   tale interrogazione non ha ancora ricevuto risposta dal Governo;
   l'interrogazione faceva seguito a precedenti atti di sindacato ispettivo, presentati nella XVI legislatura, nei quali si sottoponevano all'attenzione del Governo pro tempore osservazioni e rilievi sulla gestione dell'istituto Diomede Carafa e, in particolare, sulla posizione lavorativa della direttrice/gestore Cecilia Majello;

alla luce degli elementi sopra riportati e del considerevole tempo trascorso, appare necessario un chiarimento, nei limiti delle competenze del Governo, in ordine alla posizione della direttrice/gestore dell'istituto sul piano lavorativo, previdenziale e contributivo –:
   di quali elementi disponga il Governo riguardo alla situazione lavorativa della direttrice/gestore dell'istituto Diomede Carafa di Ariano Irpino e quali elementi possa fornire in merito alla posizione previdenziale e contributiva della stessa dall'inizio del suo rapporto di lavoro presso tale struttura. (4-11881)


   LOMBARDI, CHIMIENTI, CIPRINI, COMINARDI e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Mercedes-Benz Italia s.p.a. (MBI) ha avviato, per la terza volta nel settembre 2013 (2009 e 2010 le precedenti), una procedura di licenziamento collettivo ai sensi della legge n. 223 del 1991 e della legge n. 236 del 1993 ed effettuato a fine settembre 2014 tre licenziamenti individuali («riforma Fornero»);
   tra le motivazioni a base di avvio delle procedure di mobilità e del successivo licenziamento individuale, l'azienda in parola ha addotto la situazione di crisi economico finanziaria della stessa e del contesto del mercato in cui opera, sostenendo la necessità di dare al complesso aziendale un assetto più competitivo, nonché sollevando la necessità di attuare «improrogabili interventi di riorganizzazione aziendale e di revisione di alcuni assetti istituzionali»;
   in particolare, nella procedura di mobilità del 2013, la Mercedes-Benz Italia avrebbe dichiarato l'opportunità di ridurre i costi a fronte delle reali esigenze produttive e organizzative della società medesima. Tuttavia, dalla lettura dei bilanci 2012-2013-2014 della Mercedes-Benz Italia – resi disponibili solo dopo la chiusura della mobilità avvenuta a dicembre 2013 e dei licenziamenti individuali a settembre 2014, si evincerebbe che i valori e gli indici più importanti per stabilire lo stato di salute dell'azienda, risultano positivi, soprattutto quelli che indicano la capacità di generare ricchezza tramite la gestione caratteristica (core business). In questo caso l'azienda funzionerebbe e non sarebbe in crisi. Infatti, affinché un'azienda si trovi in una situazione economica sfavorevole, a prescindere dalla sua dimensione, deve essere in grado di dimostrare una perdita considerevole del capitale sottoscritto e tale perdita risulta da una alterazione sensibile dell'equilibrio economico-finanziario-patrimoniale;
   infatti, entrando nel merito della lettura dei bilanci 2012-2013, allegati all'esposto che i lavoratori interessati hanno recentemente prodotto contro Mercedes-Benz Italia (ma i valori economici sono ancor più positivi, ovviamente, nel bilancio 2014), contestando «l'utilizzo improprio di ammortizzatori sociali per dichiarazione di crisi economico finanziaria e conseguente licenziamento collettivo inefficace», si evincerebbe quanto segue:
    a) dalla relazione al consiglio di amministrazione di M.B.I. spa sulla gestione dell'esercizio chiuso al 31 dicembre 2013 risulterebbe che: «a fronte di un andamento operativo in linea con la difficile situazione del mercato italiano, la perdita di esercizio è riferibile alla complessiva svalutazione, pari ad euro migliaia 58.371, del valore di carico delle partecipazioni in Mercedes-Benz Financial Services, Mercedes-Benz Roma e Mercedes- Benz Milano resasi necessaria a seguito delle significative perdite consuntivate dalle summenzionate società controllate e ritenute non più recuperabili»;
    b) dalla documentazione contabile societaria e dai bilanci 2010/2011/2012/2013 emergerebbe che le chiusure in perdita non sarebbero collegate all'attività di compravendita di autovetture e parti di ricambio bensì a svalutazioni di attività finanziarie, ovvero svalutazioni del valore delle partecipazioni nelle controllate Mercedes-Benz Roma e Mercedes-Benz Milano e che la società ha realizzato un valore aggiunto (fatturato-costo del venduto) sempre positivo, così come il margine operativo lordo M.O.L. (valore aggiunto-costi del personale) e il capitale circolante netto (attivo corrente-passivo corrente);
    c) il margine operativo Lordo (MOL) risulterebbe negli anni sempre positivo ed in crescita nel 2013 rispetto al 2012. In effetti il predetto dato (MOL) è di basilare importanza per qualunque azienda, perché non influenzato da quelle che sono definite politiche di bilancio e rappresenta il risultato operativo in termini finanziari, evidenziando, nel caso di specie, la creazione di ricchezza, e non di perdita. La società Mercedes-Benz Italia avrebbe realizzato un valore aggiunto, indice della ricchezza internamente prodotta, in crescita dal 2012 al 2013. Inoltre, tale valore risulterebbe sempre più del doppio rispetto alla media del settore; ad esempio 13.9 per cento nel 2012 rispetto alla media di settore del 5,9 per cento;
    d) la posizione finanziaria netta della Merceds-Benz Italia risulterebbe positiva al 31 dicembre 2013. Positivi risulterebbero anche gli indicatori di solidità e solvibilità patrimoniale (indice di disponibilità, margine di tesoreria, margine di struttura) che garantiscono l'equilibrio finanziario. Inoltre, come sottolineato dai denuncianti del citato esposto, avendo l'azienda in parola la possibilità di ricorrere senza limiti di importo a finanziamenti passivi erogati dalla casa madre Daimler AG, risulterebbe evidente il vantaggio strategico per la Mercedes-Benz Italia, in termini di garanzia della flessibilità e indipendenza dai mercati bancari;
    e) l'indice ROA (reddito operativo su capitale, investito) indicatore di quanto l'azienda sia in grado di remunerare i mezzi investiti tramite il reddito operativo, risulterebbe per l'azienda in parola sempre positivo dal 2012 al 2013 e di gran lunga più alto delle medie di settore. Tale circostanza indicherebbe un giudizio positivo sull'andamento reddituale della società medesima. Conseguentemente, i valori positivi di ROA «non giustificherebbero i licenziamenti per situazioni economiche»;
    f) l'indice ROS – che misura la redditività delle vendite e la capacità remunerativa del flussi di ricavi tipici dell'impresa, in altre parole qual è il ricavo netto conseguito per ogni euro di fatturato ed il cui valore sarà tanto maggiore quanto maggiore è l'efficienza economica dell'impresa – risulterebbe dal 2012 sempre positivo e superiore a quello medio del Settore;
    g) i dati delle vendite vetture Mercedes 2013, a partire da luglio 2013 segnerebbero una confortante ripresa dei volumi. Per Mercedes-Benz il volume delle immatricolazioni comunicate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sarebbe stato di 45.546, dato in controtendenza rispetto all'andamento del mercato, che ha fatto registrare un incremento rispetto all'anno precedente del 8,2 per cento. In termini di quota di mercato Mercedes-Benz avrebbe raggiunto il valore record di 3,4 per cento (più 0,5 rispetto all'anno 2012). La gestione sarebbe proseguita nei primi mesi del 2014 in un contesto di mercato in ripresa rispetto all'anno precedente, comunque in linea con quanto programmato;
    h) con comunicato stampa del 9 gennaio 2015 la casa madre Daimler AG avrebbe reso noto che l'anno 2014 è stato per le vendite Mercedes il migliore anno nella storia della compagnia con una crescita del 9,4 per cento;
    i) con comunicato stampa del 5 febbraio 2015 sarebbe stato reso noto che nel 2014 Daimler AG avrebbe segnato un nuovo record di immatricolazioni con oltre 2,5 milioni di unità, + 8 per cento sul 2013 grazie in particolare ai risultati di Mercedes-Benz, evidenziando che sarebbe stata «particolarmente brillante la performance del comparto auto»;
    m) nel 2014 l'utile di bilancio si è chiuso con 31,5 milioni di euro di utile, ma l'azienda ha licenziato ugualmente tre persone, per crisi economica aziendale;
    n) a fronte dei 3 licenziamenti del 2014, dai bilanci ufficiali, risulta che il valore della produzione (ovvero il volume di ricavi prodotti nell'anno) è in grado di coprire non solo i costi di struttura (costi della produzione), ma anche tutte le altre componenti che governano il bilancio di MBI (gestione finanziaria, gestione straordinaria, imposte). Infatti il margine operativo lordo di gestione è positivo per euro 70.518, segno che i ricavi maturati nell'esercizio 2014 fronteggiano ampliamenti i costi per gli acquisti di merci e materie, prime, i servizi, il personale, gli ammortamenti e tutti gli altri oneri diversi di gestione necessari al conseguimento dell'oggetto sociale;
    o) sembra ancor più strano constatare, che da gennaio 2014 a dicembre 2015 (dopo una procedura di mobilità che ha visto l'uscita di circa 55 persone a fine 2013) se crisi vera ci fosse stata, l'azienda con i licenziamenti di tre sole persone abbia superato la crisi (misura risolutiva per far fronte come l'azienda dice, allo squilibrio tra fatturato e costo di gestione). Ma fortunatamente il bilancio 2014 afferma categoricamente il contrario, che la crisi non esiste;
    p) si fa inoltre presente che l'azienda ha anche concesso a tutti i collaboratori il premio di produzione del 2014 per gli obiettivi raggiunti;
   nel citato esposto, è stato inoltre evidenziata un'ulteriore importante considerazione:
    a) le normative fiscali prevedono che una società come la Mercedes-Benz Italia (MBI) compri le autovetture dalla casa madre estera a determinati «prezzi di trasferimento», nonché che l'attività di distribuzione produca in Italia un margine di reddito. Quindi, la Mercedes Benz Italia, in quanto società italiana dovrebbe tendenzialmente sempre avere un utile operativo (congruo margine sulle vendite – ROS). Il fisco italiano ritiene infatti che in linea di massima una società che svolga attività di distribuzione all'ingrosso di veicoli nuovi e parti di ricambio non dovrebbe generare una perdita operativa, ma avere un adeguato margine lordo, in linea con i valori di mercato. Da qui l'impegno da parte del gruppo Daimler nei confronti della società italiana Mercedes Benz Italia ad assicurare a quest'ultima un margine minimo di redditività;
   la suddetta circostanza, pertanto, secondo gli interroganti escluderebbe alla radice che la Mercedes-Benz Italia possa restare in balia delle diverse contingenze economiche del mercato;
   secondo i firmatari del citato esposto, l'insussistenza della crisi economica e, quindi, dell'illegittimità della procedura di mobilità aperta nell'anno 2013, sarebbe confermata dai dati seguenti:
    1) il livello di performance dell'azienda Mercedes-Benz Italia – nonostante il valore assoluto degli indicatori sia contenuto – risulterebbe superiore al livello ottenuto dal settore, e ciò sarebbe indice di una buona gestione dell'impresa;
    2) i risultati dell'azienda dal 2012 al 2013 sarebbero da considerare soddisfacenti visto il perdurare della situazione di crisi economica globale. Secondo i denuncianti in parola non si evidenzierebbero nella procedura di mobilità evidenti progressivi cali di prodotto interno lordo, al contrario si evidenzierebbe una ripresa;
    3) gli aspetti sopra citati dimostrerebbero come gli stessi siano elementi di notevole rilevanza, in quanto la MBI di fatto avrebbe indicatori di performance aziendale migliori del settore in cui è inserita e ciò, ad avviso dei denuncianti, non sarebbe considerato normale;
    4) se, in base ai sopra citati dati, si analizza il fatturato e il MOL (margine operativo lordo) di Mercedes-Benz Italia dal 2012 ad oggi con i relativi dati di bilancio 2013 e 2014, non si evincono ovviamente rilevanti risultati economici negativi tali da giustificare una ulteriore riduzione del personale avviata prima con la procedura di mobilità del 2013 e successivamente con i 3 licenziamenti individuali a fine settembre 2014, anno questo in cui si sarebbe verificata un'inversione positiva dell'andamento del mercato automobilistico italiano (già evidenziata nel secondo semestre 2013) e proseguita nel 2015. Inoltre l'azienda non avrebbe mai chiarito, sia per i licenziamenti collettivi che individuali, quale fosse il suo progetto riorganizzativo ipotizzato a fronte di tali licenziamenti, ma ha solo soppresso posizioni che successivamente ha di nuovo ricoperto;
    5) nella procedura di apertura del 2013 Mercedes-Benz Italia dichiarerebbe che sarebbero state adottate le misure per ridurre i costi quali ad esempio, blocco degli straordinari e delle consulenze. Ciò è un'anomalia, poiché la predetta misura avrebbe comportato sicuramente un aumento di utilizzo della banca delle ore; così come sarebbero aumentati, contrariamente a quanto sostiene la Mercedes-Benz Italia nella lettera di accordo mobilità, le spese di consulenza; infatti, come si evince nel bilancio allegato dai denuncianti al citato esposto, i costi della consulenza risultano essere: euro 16.716.000 nel 2013 rispetto agli 11.756.000 euro del 2012;
    6) secondo i firmatari dell'esposto in parola, nella dichiarazione dello stato di crisi effettuata nel 2013, la Mercedes Benz Italia prenderebbe come punto di riferimento il fatturato raggiunto nell'anno 2007; tuttavia – precisano i lavoratori – denuncianti – andrebbe precisato che, «all'interno di questo fatturato l'azienda avrebbe incluso volutamente ma erroneamente i risultati economici raggiunti con la distribuzione del marchio Chrysler (si noti che l'azienda allora si chiamava DaimlerChrysler Italia !)». Il rilievo consisterebbe, ad avviso dei lavoratori in parola, nel fatto che avendo Mercedes Benz Italia già attuato le due procedure di mobilità nel 2009 e nel 2010 e inserendo nuovo ulteriore personale nel corso dei suddetti anni e seguenti, l'azienda medesima non potrebbe e non dovrebbe considerare valido l'anno 2007, come inizio del risultato economico massimo raggiunto;
   a partire da giugno 2009 e poi nel marzo 2010, Mercedes Benz Italia ha avviato due distinte procedure di riduzione del personale, ai sensi della legge n. 223 del 1991 e della legge n. 236 del 1993;
   in forte contraddizione con le criticità economiche e organizzative formalizzate già a partire dal 2009 anno della prima mobilità e per gli anni successivi compreso il 2013, la Mercedes-Benz Italia avrebbe stipulato in tutti questi anni contratti di assunzione di nuove risorse oltre a lavoratori con contratto di somministrazione consolidando l'utilizzo di stager. Ciò, secondo i denuncianti, sarebbe verificabile (chiaramente solo per il personale a libro paga e non per i lavoratori a somministrazione (interinali) o stager) analizzando i soli dati di bilancio di Mercedes-Benz Italia di questi ultimi 5 anni e cioè dal 2009 al 2013; relativamente al personale in organico e ai dati comunicati per avviare le tre procedure di mobilità, si evidenzia che, pur dichiarando in modo ufficiale, una grande quantità di posizioni in esubero per crisi aziendale attraverso le tre mobilità, Mercedes Benz Italia avrebbe continuato ad assumere nuovi lavoratori. Complessivamente, durante il periodo 2009/2013, mentre l'azienda in parola dichiara crisi, secondo i lavoratori firmatari dell'esposto alla procura della Repubblica di Roma, essa scarica sulla collettività il costo dei 130 lavoratori usciti – su 276 richiesti – assumendo (facendo un calcolo) 69 nuovi lavoratori e scaricando di fatto i costi dei lavoratori messi in mobilità sulla collettività. Tale costo complessivo, secondo i calcoli effettuati velocemente dai denuncianti in parola, raggiungerebbe ben oltre 2 milioni di euro in indennità di disoccupazione;
   di seguito il dettaglio riepilogativo degli eventi:
    anno 2009, nel mese di giugno, viene aperta la prima procedura di mobilità volontaria: usciti 43 lavoratori su 110 richiesti;
    anno 2010, nel mese di marzo, viene aperta una seconda procedura di mobilità volontaria: usciti 32 lavoratori su 94 richiesti;
    anno 2009-2013 sono assunti 69 nuovi lavoratori;
    anno 2013, nel mese di settembre, viene aperta una terza procedura di mobilità «definita non volontaria»: sono usciti 55 lavoratori, a fronte di 72 posizioni richieste di cui 5 lavoratori ricollocati volontariamente dalla Mercedes Benz Italia. La «non volontarietà» sarebbe stata determinata dall'individuazione di circa 40 persone titolari della posizione richiesta;
   i firmatari dell'esposto in parola hanno altresì evidenziato che, mentre le prime due mobilità volontarie riferite agli anni 2009 e 2010, non avrebbero creato particolari problemi ai lavoratori usciti in modo volontario, la terza mobilità del 2013, invece, li avrebbe visti coinvolti a sottoscrivere una liberatoria (simile a quella utilizzata per i lavoratori usciti della mobilità 2009 e 2010) ma con la manifesta minaccia di licenziamenti individuali in applicazione della riforma Fornero;
   il personale uscito dalla suddetta ultima mobilità (persone lontane dalla pensione anche se con molti anni di anzianità di servizio e familiari a carico) sarebbe stato condizionato da tale spettro e dal rischio di un successivo licenziamento a seguito di presunta crisi economica e da possibili riorganizzazioni aziendali che avrebbero previsto la soppressione del loro settore di appartenenza e/o della cancellazione della propria posizione, dovuta anche a parcellizzazioni di attività verso altri colleghi e tutto ciò li ha influenzati pesantemente nel firmare la liberatoria. Tale timore si sarebbe concretizzato in pieno quando, a settembre 2014, tre lavoratori della Mercedes-Benz Italia sarebbero stati licenziati per le motivazioni su esposte, in ottemperanza alla «riforma Fornero». Su tale punto si è infatti espressa anche la Filcams CGIL prot. n. 2029 del 13 ottobre 2014 condannando tale comportamento;
   ad avviso dei firmatari dell'esposto in parola, la Mercedes Benz Italia in contraddizione con le criticità economico e organizzative formalizzate, traccerebbe un profilo politico gestionale del datore di lavoro della azienda stessa e del suo diretto management non conforme al rispetto delle leggi vigenti già all'avvio della procedura di mobilità dell'11 settembre 2013 in quanto:
    a) sarebbero stati a conoscenza dei reali dati di mercato e di performance omettendo alle rappresentanze sindacali di partecipare alla trattativa con piena consapevolezza di ogni rilevante dato per una obiettiva insufficienza e/o reticenza di tale iniziale comunicazione, negando alle stesse una adeguata e corretta informazione. Tutta la trattativa sindacale avrebbe sofferto di un iniziale « deficit» informativo in lesione di quella esigenza di oggettiva trasparenza del processo decisionale del datore di lavoro della Mercedes Benz Italia, il quale intimando i licenziamenti avrebbe violato palesemente le norme procedurali di cui alla legge n. 223 del 1991. La comunicazione FILCAMS CGIL e Agenquadri prot. 8107/U del 10 dicembre 2013, evidenzia alcuni fatti davvero incresciosi, di cui sarebbe stato testimone il rappresentante sindacale unitario nonché anche rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, concernenti atti di pressione ed intimidazione effettuati durante tutto il periodo di mobilità dai superiori gerarchici della Mercedes-Benz Italia, sia nei confronti dei lavoratori individuati nella lista di mobilità, sia nei confronti della sua diretta persona, tanto da indurlo a non firmare l'accordo sindacale del 24 ottobre 2013 per poi essere licenziato a dicembre del 2013;
    b) non avrebbe presentato un contenuto conforme e trasparente alle prescrizioni di cui all'articolo 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991, secondo cui devono essere indicati i motivi tecnici organizzativi e produttivi per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio a detta situazione di crisi, ed evitare la dichiarazione di mobilità, le eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale, dell'attuazione del medesimo programma, le comunicazioni di dati completi ed esatti e l'adozione dei criteri previsti dall'articolo 5 della legge sui criteri di scelta dei lavoratori (sentenza n. 7490 del 14 aprile 2005). Inoltre, nel numero fornito dall'azienda di 610 persone inserite nella lista dei profili professionali comparirebbero figure a tempo determinato. In tal caso, appare paradossale che l'azienda nel comunicare le 72 posizioni in esubero rispetto alle 610, non abbia eliminato in primis le posizioni a tempo determinato;
   nel caso di specie, la redazione del verbale di accordo sindacale, non assumerebbe rilievo al fine della completezza della comunicazione preventiva, qualora non fosse sanata dal successivo accordo sindacale intervenuto riguardo al licenziamento collettivo. Tale eventualità trova riscontro nella sentenza n. 5582 del 6 aprile 2012 e successivamente n. 7490 del 14 aprile 2015 della Corte di Cassazione; a tale proposito è stato presentato un ricorso da parte di alcuni dei licenziati contro l'azienda per omissione di dati economici e per mancanza di buona fede e trasparenza durante la trattativa dell'accordo sindacale (iniziativa condivisa con la Filcams CGIL Roma – Lazio);
   secondo le dichiarazioni sottoscritte dai lavoratori, firmatari del citato esposto, nessuna persona facente parte della lista dei mobilitati 2013 sarebbe stata ad oggi contattata dall'ufficio preposto al collocamento e dall'azienda per essere inserito nell'organico aziendale sebbene:
    a) subito dopo la procedura di mobilità e durante tutto l'anno 2014 MBI pare abbia inserito nuovo personale per posizioni vacanti, per attività straordinarie e inserito nuovamente personale in posizioni che avevano dichiarato in esubero;
    b) a fine giugno 2015 MBI abbia pubblicato una inserzione sul sito Lavoro24.it riportante il seguente titolo: «Mercedes-Benz assume nuovo personale anche senza esperienza». L'inserzione sembra rivolgersi per lo più a persone senza alcuna esperienza, ma anche come dice il testo pubblicato «a professionisti esperti» dunque con esperienza pregressa nei ruoli. L'annuncio scadeva il 7 agosto 2015 ma dopo un contatto avuto con uno dei mobilitati, che chiedeva all'azienda spiegazioni in merito a come mai non fosse stato contattato (in quanto appartenente ad una lista di mobilità), l'inserzione – secondo i firmatari dell'esposto in parola – sarebbe stata «inspiegabilmente» ritirata;
    c) per tutti gli anni 2013, 2014, 2015 fossero presenti bandi interni aziendali per ricollocarsi –:
   a fronte dei dati evidenziati dai lavoratori coinvolti nella procedura di licenziamento collettivo ed individuale e allegati al citato esposto volto a richiedere la verifica di eventuali profili di illiceità se si intendano assumere iniziative per quanto di competenza volte a determinare se la Mercedes-Benz Italia s.p.a. abbia correttamente applicato le norme nazionali vigenti in materia di fiscalità, mobilità e ammortizzatori sociali, anche al fine di escludere che per il loro tramite la Mercedes-Benz Italia abbia cercato di ottenere vantaggi a danno della collettività;
   nel caso, quali iniziative intendano intraprendere per tutelare i lavoratori licenziati, molti dei quali di età superiore ai 55 anni, non iscritti alle liste di mobilità istituite presso i centri per l'impiego, non possono usufruire della nuova e più favorevole prestazione – istituita dall'articolo 1 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22, in sostituzione delle precedenti indennità «ASpI», che i predetti soggetti hanno potuto utilizzare solo per la durata di un anno. (4-11887)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la produzione di prodotti base della dieta mediterranea Made in Italy, tra cui i pomodori, ha subito un grave rallentamento soprattutto a causa delle importazioni dal Marocco e dalla Tunisia;
   infatti, le importazioni di pomodori dalle due citate nazioni sono raddoppiate rispetto a gennaio del 2015 superando i contingenti di importazione fissati dall'accordo tra Unione europea e Marocco;
   l'accordo con il Marocco penalizza i produttori agricoli, perché nel paese africano è permesso l'uso di pesticidi pericolosi per la salute, vietati in Europa, ma anche perché le coltivazioni sono realizzate in condizioni di dumping sociale, per il basso costo della manodopera di quel Paese;
   la Commissione europea dovrebbe da subito attivare le clausole di salvaguardia previste dall'accordo citato vista la grave perturbazione del mercato dall'eccessivo aumento delle importazioni che rischia di ripercuotersi negativamente sul tessuto economico-sociale di territori come la Sicilia e la Calabria;
   l'Italia, infatti, produce oltre un milione di tonnellate di pomodoro da mensa in pieno campo ed in serra, con la Sicilia leader nel settore. Tra l'altro, è da sottolineare che con le importazioni di pomodoro dal Marocco, è aumentato il rischio di frodi, con il pomodoro marocchino venduto come italiano;
   inoltre, si rileva come le quotazioni al produttore agricolo siano crollate del 43,7 per cento nella prima settimana di gennaio;
   occorre, pertanto, intervenire non solo per salvaguardare un settore di grande importanza per la nostra economia soprattutto per la Sicilia, ma anche per garantire ai consumatori un prodotto di qualità –:
   quali iniziative urgenti intenda adottare, per quanto di competenza, in sede europea, affinché sia garantita la produzione italiana del pomodoro a tutto vantaggio dei produttori soprattutto siciliani e sia assicurata la tutela dei consumatori. (4-11886)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, PASTORINO e MATARRELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'applicazione della legge n. 194 del 1978 nelle strutture pubbliche è di difficile applicazione poiché circa il 70 per cento di medici e infermieri è obiettore e in alcune regioni come il Molise, dove l'obiezione è del 93 per cento;
   le lunghe liste d'attesa non consentono in molti casi di rispettare il limite delle 12 settimane di gestazione previsto dalla legge per compiere un'interruzione volontaria di gravidanza;
   praticare quindi l'interruzione volontaria di gravidanza può comportare alla donna un viaggio all'estero con tutti i disagi del caso;
   la quasi totalità dei medici obiettori fa sì che mentre da un lato diminuisce l'offerta del pubblico, dall'altro, aumentano le interruzioni di gravidanza clandestine o i casi di donne che si procurano l'aborto a casa prendendo pillole che si possono acquistare via internet o direttamente in farmacia;
   tali pratiche possono essere rischiose per la vita della donna, in considerazione del fatto che gli interventi clandestini sono effettuati in ambienti non sterili e senza nessun tipo di assistenza;
   il 22 gennaio 2016 sulla Gazzetta Ufficiale n. 17 è stato pubblicato il decreto legislativo n. 8 approvato il 15 gennaio 2016 dal Consiglio dei ministri, in materia di depenalizzazioni;
   l'articolo 1 – in materia di depenalizzazione di reati puniti con la sola pena pecuniaria – prevede che «non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell'ammenda»;
   tra queste rientra quanto previsto dal 2o comma dell'articolo 19 della legge n. 194;
   prima del decreto legislativo n. 8 del 2016, se la donna si sottoponeva ad aborto di là dalle condizioni previste dalla norma, era ingiunta, dopo un procedimento giudiziario, con una multa fino a 51 euro;
   oggi, con l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 8 del 2016, le donne che a causa della mancata applicazione della legge n. 194 si vedono costrette a interrompere la gravidanza clandestinamente rischiano una sanzione tra i 5.000 e i 10.000 euro –:
   se il Ministro interrogato sia consapevole che le nuove disposizioni del decreto legislativo n. 8 del 22 gennaio 2016 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 17, all'articolo 1, in materia di depenalizzazione di reati, peggiorino l'attuale situazione delle donne che decidano per più motivi di ricorrere all'interruzione volontaria di gravidanza, costrette in molti casi a ricorrere all'aborto clandestino per via della notevole percentuale di obiezione da parte del personale sanitario;
   poiché, ad avviso degli interroganti è improprio punire e colpevolizzare le donne che hanno il diritto di salvaguardare le loro scelte, se non intenda attivarsi per promuovere un'autorevole campagna di monitoraggio sul fenomeno dei moltissimi medici obiettori diffuso in tutto il territorio nazionale;
   se non ritenga opportuno garantire, per quanto di competenza, in tutte le strutture sanitarie, la piena applicazione della legge n. 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza e se non reputi urgente e improrogabile una campagna d'informazione nelle strutture pubbliche e accreditate al fine di assicurare la piena applicazione della legge n. 194 nel totale rispetto della libertà delle donne. (5-07590)


   BENI, PAOLA BOLDRINI, AMATO, PATRIARCA, BURTONE, CARNEVALI, SBROLLINI, MURER, CAPONE e FOSSATI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 1, comma 133, della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015) l'Osservatorio per il contrasto della diffusione del gioco d'azzardo e il fenomeno della dipendenza grave, precedentemente istituito presso l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, è stato trasferito al Ministero della salute;
   il medesimo comma ha, altresì, stabilito l'emanazione di un decreto interministeriale del Ministro della salute e del Ministro dell'economia e delle finanze per la rideterminazione della composizione dell'Osservatorio, assicurando la presenza di esperti in materia, di rappresentanti delle regioni e degli enti locali, nonché delle associazioni operanti nel settore;
   il decreto interministeriale del Ministro della salute e del Ministro dell'economia e delle finanze del 24 giugno 2015, previsto dal citato comma 133, ha stabilito la nuova composizione dell'Osservatorio;
   tale Osservatorio ha il compito di monitorare la dipendenza da gioco d'azzardo, l'efficacia delle azioni di cura e di prevenzione, di definire le linee di azione per garantire le prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette dal gioco d'azzardo patologico e di valutare le misure più efficaci per contrastare la diffusione del gioco d'azzardo e la dipendenza grave;
   la citata legge di stabilità 2015 aveva, altresì, destinato una quota di 50 milioni di euro a partire dal 2015, nell'ambito delle risorse destinate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, finalizzata alla prevenzione, cura e riabilitazione delle patologie connesse alla dipendenza dal gioco d'azzardo;
   con la legge n. 208 del 28 dicembre 2015 (legge di stabilità 2016) è stato istituito presso il Ministero della salute un fondo per il gioco d'azzardo patologico, al fine di garantire le prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette dal gioco d'azzardo patologico, con una dotazione di 50 milioni di euro annui a decorrere dal 2016;
   infine, il 25 novembre 2015 è stato firmato un accordo quadro tra l'Agenzia delle dogane e dei monopoli e l'Istituto superiore di sanità, finalizzato ad attivare una collaborazione quinquennale per lo sviluppo di attività scientifica di ricerca e di controllo volta alla tutela della salute pubblica nell'ambito delle tematiche riguardanti il gioco d'azzardo –:
   alla luce di quanto espresso in premessa, se l'Osservatorio per il contrasto della diffusione del gioco d'azzardo e il fenomeno della dipendenza grave sia stato attivato e quali iniziative siano state avviate nell'ambito delle competenze ad esso attribuite;
   in particolare, se l'Osservatorio abbia elaborato le linee di azione per garantire le prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette dal gioco d'azzardo patologico, finalizzate alla predisposizione del decreto regolamentare previsto dall'articolo 1, comma 133, della legge n. 190 del 2014;
   se siano state ripartite e in che modo siano state utilizzate le risorse economiche destinate alla prevenzione, alla cura e alla riabilitazione delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo;
   se siano state già avviate le attività di ricerca e di controllo nell'ambito delle tematiche riguardanti il gioco d'azzardo, previste dall'accordo quadro sottoscritto dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli e dall'Istituto superiore di sanità. (5-07592)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il progressivo smantellamento dello Stato sociale e della sanità pubblica avvenuto negli ultimi anni ha spesso creato situazioni in cui viene meno il costituzionalmente riconosciuto diritto alla cura;
   sempre più famiglie sono costrette a rinunciare o rimandare azioni di prevenzione e cura, con conseguenze spesso tragiche e disastrose;
   in molte zone d'Italia la chiusura di punti di primo soccorso territoriali ha prodotto seri danni ai cittadini più deboli, agli anziani e a chi vive in condizioni di disagio;
   essi, infatti, per accedere alla prima rete di emergenza sono stati costretti a rivolgersi ai presidi ospedalieri, pagando ticket altissimi per un'assistenza troppo spesso di infima qualità a causa dell'eccessivo carico di lavoro provocato dall'accorpamento dei presidi sanitari di urgenze territoriali (PSAUT) ai diversi ospedali della provincia;
   la delocalizzazione di vari PSAUT della provincia di Napoli ed il relativo accorpamento ai pronto soccorso ospedalieri è avvenuta ai sensi della delibera n. 881/2012 dell'Azienda sanitaria locale Na 2 Nord;
   alla base di tale delibera vi è la politica di soli tagli portata avanti in materia di sanità dalla regione Campania negli scorsi anni;
   il TAR Campania con la sentenza n. 4213/13 e, successivamente, il Consiglio di Stato con la sentenza n. 3027/14, hanno stabilito l'illegittimità della delibera in questione, imponendo la riapertura degli PSAUT;
   ciononostante, a tutt'oggi l'Azienda sanitaria locale Na 2 Nord è ancora inadempiente, non avendo ottemperato a quanto disposto dalla sentenza;
   il PSAUT di Marano, ad esempio, ha rappresentato a lungo per molti cittadini un punto di eccellenza per la qualità dell'accoglienza, dell'ascolto, della diagnosi e della cura;
   in quell'area attualmente la mancanza di un presidio e di una postazione 118 mettono a repentaglio la vita di persone costrette talvolta ad attendere anche un'ora per l'arrivo di un'ambulanza;
   in casi gravi, interventi così poco immediati possono fare la differenza tra la sopravvivenza e la morte –:
   quali iniziative intenda assumere per il tramite del Commissario ad acta per l'attivazione del piano di rientro dei disavanzi sanitari e anche di concerto con gli enti locali competenti, al fine di garantire a tutte e a tutti i livelli essenziali di assistenza e il diritto alla salute e alla cura. (4-11878)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Polverini e altri n. 1-01103, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Crimi.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza Scotto n. 2-01134, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Paglia.

Apposizione di una firma ad una interpellanza urgente ed indicazione dell'ordine dei firmatari.

  L'interpellanza urgente Brunetta ed altri n. 2-01241, pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 26 gennaio 2016, è stata sottoscritta anche dalla deputata Centemero.

  Conseguentemente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine dei firmatari si intende così modificato:
   Brunetta, Palmizio, Archi, Bergamini, Biasotti, Biancofiore, Carfagna, Castiello, Catanoso, Centemero, Luigi Cesaro, Crimi, De Girolamo, Fabrizio Di Stefano, Gregorio Fontana, Riccardo Gallo, Garnero Santanchè, Gelmini, Giacomoni, Giammanco, Alberto Giorgetti, Gullo, Laffranco, Lainati, Martinelli, Milanato, Nizzi, Occhiuto, Palmieri, Petrenga, Picchi, Polidori, Polverini, Prestigiacomo, Ravetto, Romele, Paolo Russo, Santelli, Sarro, Sandra Savino, Sisto, Squeri, Valentini, Vella, Vito.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Sibilia e altri n. 4-11803, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Micillo.

Cambio di presentatore di una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07573, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 gennaio 2016, è da intendersi presentata dall'onorevole Caparini, già cofirmatario della stessa.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Agostinelli n. 5-07466 del 20 gennaio 2016;
   interrogazione a risposta scritta Pastorelli n. 4-11817 del 27 gennaio 2016.

Ritiro di una firma da una interrogazione.

  Interrogazione a risposta orale Anzaldi e Amendola n. 3-01636, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 luglio 2015: è stata ritirata la firma del deputato Amendola.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Lombardi e altri n. 4-11842 del 28 gennaio 2016 in interrogazione a risposta Commissione n. 5-07593.

ERRATA CORRIGE

  Risoluzione in commissione Nicola Bianchi e Petraroli n. 7-00760 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 475 del 4 agosto 2015. Alla pagina 27895, prima colonna, alla riga undicesima deve leggersi: «n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014);» e non come stampato.