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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 26 gennaio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    l'uso degli autovelox rappresenta uno strumento essenziale per assicurare l'efficacia della sicurezza stradale, la tutela delle vite umane e il rispetto delle norme di velocità del codice della strada;
    come dimostrato da numerose esperienze comunali, vi è una diretta correlazione tra l'impiego dell'autovelox e la diminuzione degli incidenti stradali. Secondo i dati del comune di Milano, ad esempio, gli incidenti con feriti nelle 7 strade dove nel mese di marzo 2014 sono stati posizionati gli autovelox per il controllo delle velocità. Nei primi 9 mesi del 2014, infatti, sono stati 106, con una media mensile di 11,7. Nel 2013 erano stati 288 con una inedia mensile di 24 (un totale di 216 se, a titolo di raffronto, volessimo considerare solo i primi 9 mesi del 2013);
    con sentenza n. 113 del 2015, la Corte Costituzionale, pur ricordando l'importanza dello strumento come mezzo impiegato per l'accertamento di violazioni del codice della strada, ha richiamato l'attenzione delle autorità competenti e delle società costruttrici degli impianti sull'importanza di effettuare regolari e costanti opere di manutenzione e verifica del corretto funzionamento degli autovelox stessi;
   come sottolineano numerose associazioni di settore, dall'Aci all'Asaps, appare rilevante stabilire un diretto legame tra i ricavi in capo agli enti locali derivanti dal pagamento delle sanzioni amministrative per multe accertate sulla base dell'impiego dell'autovelox e il loro utilizzo per solo per finalità, comunque, legate alla sicurezza stradale, alla manutenzione stradale e all'educazione al codice della strada;
    al Governo, per il tramite dei due ministeri competenti, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministero dell'interno, spetterebbe un ruolo di maggiori impulso e coordinamento anche rispetto all'introduzione di un quadro sanzionatorio per quegli enti locali che non rispettino le previsioni normative che prevedono l'utilizzo di una quota del 50 per cento delle entrate provenienti da sanzioni comminate attraverso l'utilizzo degli autovelox per la realizzazione di interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali, ivi comprese la segnaletica e le barriere, e dei relativi impianti, nonché al potenziamento delle attività di controllo e di accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale, ivi comprese le spese relative al personale;
    il comma 12-bis dell'articolo 142 del codice della strada prevede espressamente che: «I proventi delle sanzioni derivanti dall'accertamento delle violazioni dei limiti massimi di velocità stabiliti dal presente articolo, attraverso l'impiego di apparecchi o di sistemi di rilevamento della velocità ovvero attraverso l'utilizzazione di dispositivi o di mezzi tecnici di controllo a distanza delle violazioni ai sensi dell'articolo 4 del decreto-legge 20 giugno 2002, n. 121, convertito, con modificazioni, dalla legge 1o agosto 2002, n. 168, e successive modificazioni, sono attribuiti, in misura pari al 50 per cento ciascuno, all'ente proprietario della strada su cui è stato effettuato l'accertamento o agli enti che esercitano le relative funzioni ai sensi dell'articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 381, e all'ente da cui dipende l'organo accertatore, alle condizioni e nei limiti di cui ai commi 12-ter e 12-quater. Le disposizioni di cui al periodo precedente non si applicano alle strade in concessione. Gli enti di cui al presente comma diversi dallo Stato utilizzano la quota dei proventi ad essi destinati nella regione nella quale sono stati effettuati gli accertamenti»,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa, anche normativa, finalizzata ad accertare la piena osservanza da parte degli enti locali di quanto previsto dall'articolo 142, comma 12-bis, del codice della strada;
   a porre in essere ogni iniziativa, di competenza finalizzata a garantire i più elevati standard costruttivi, l'affidabilità tecnica e l'innovazione tecnologica dei dispositivi di rilevazione automatica della velocità al fine di tutelare la sicurezza e gli interessi dell'utente della strada;
   ad adottare ogni iniziativa di competenza finalizzata a migliorare, lungo ogni tipo di strada, la segnaletica relativa alla presenza di dispositivi di rilevazione automatica della velocità.
(1-01116) «Franco Bordo, Melilla, Pellegrino, Folino, Scotto, Fassina, Airaudo, Fava, Placido, Gregori, Ricciatti, D'Attorre, Ferrara, Marcon, Carlo Galli, Duranti, Piras, Fratoianni, Quaranta, Zaccagnini, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Sannicandro, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    la crisi economica ha inciso e sta incidendo in misura significativa sulla produzione, sui consumi, sull'attività delle piccole e medie imprese, soprattutto allocate nel Mezzogiorno d'Italia;
    la crisi economica evidenzia ogni giorno di più l'esigenza di una rinnovata e prioritaria attenzione, in particolare per il Sud, ai problemi dell'occupazione, del lavoro, dei redditi e dell'impresa;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'attuate politica governativa, per molti aspetti sembra non abbia ancora una strategia precisa finalizzata ad ottenere il miglioramento e l'innovazione del contesto, con un evidente vuoto d'iniziativa che emerge come grave di fronte ad una crisi che colpisce particolarmente l'economia meridionale dispiegando effetti drammatici, anche se talvolta meno visibili a causa della frammentazione del tessuto imprenditoriale e del peso dell'economia cosiddetta a-legale, sospesa tra sommerso e illegalità;
    a fronte di questa situazione disastrosa l'impegno del Governo per il Mezzogiorno sembrerebbe racchiuso nell'unica promessa del raccordo dei fondi strutturali, cosa di per sé positiva ma del tutto insufficiente a risolvere l'enorme problema;
    v’è sovente inefficienza o vero e proprio spreco, nel mancato utilizzo delle risorse europee per le regioni del Sud. Ma è noto anche che non basta mettere, in elenco le risorse dei fondi europei per risolvere la questione perché i dati che sono sotto gli occhi di tutti non possono essere modificati con le semplici buone intenzioni, né con la sola stigmatizzazione delle regioni inadempienti. Occorre viceversa comprendere che la crisi del Mezzogiorno è la crisi dell'intero Paese e occorre agire di conseguenza con interventi urgenti e prioritari;
    al Sud vi è un gap infrastrutturale, in termini di trasporti, logistica, ricerca e innovazione, rispetto al resto del Paese le conseguenze della presenza delle associazioni mafiose nel Mezzogiorno si intrecciano in modo complesso con l'economia del sud, stravolgendo le regole del «fare impresa» e scoraggiando gli investimenti stranieri, oltre che creando un grave e indiscusso disagio sociale. Tutto ciò appare paradossale se solo si pensa che ogni iniziativa di carattere pubblico adottata nella storia repubblicana in favore del Sud va regolarmente a patire gli effetti della corruzione e dello sperpero. A tal proposito, è opportuno fare appena cenno a quanto accaduto negli ultimi decenni: il Sud ha fruito, infatti, dapprima dei fondi della Cassa per il Mezzogiorno, durata dal 1950 al 1992, la quale dal 1957 in avanti erogò contributi a fondo perduto e crediti agevolati. Nel primo ventennio circa di attività la Cassa per il Mezzogiorno sembrò funzionare, ma la qualità del suo servizio andò progressivamente declinando mano a mano che i partiti invadevano e inquinavano la vita pubblica. La Cassa per il Mezzogiorno tramontò malinconicamente, abbandonata agli scandali e rappresentò uno dei più gravi esempi di corruzione e di interrelazione fra affari, politica e malavita nel Sud;
    poi fu la volta dei fondi della legge n. 488 del 1992, oggetto di frodi e di truffe fino alla sua conclusione avvenuta nel 2008. La legge n. 488 del 1992 è stata lo strumento attraverso il quale l'allora Ministero delle attività produttive aveva messo a disposizione delle imprese che intendevano promuovere programmi di investimento, nelle aree depresse, agevolazioni sotto forma di contributi in conto capitale («a fondo perduto»);
    nel frattempo si erano aggiunti i fondi europei, destinati dall'Unione europea alle politiche di coesione, ma anche questi non hanno fatto una fine migliore. La sintesi migliore la offrì il Governatore della Banca d'Italia pro tempore Draghi nelle «considerazioni finali» di una delle sue relazioni in Banca d'Italia: «Il Mezzogiorno ha goduto in questo decennio (1998-2008) di fondi paragonabili per entità a quelli dell'intervento straordinario e che equivalevano a circa 45 miliardi di euro o a quasi tre punti di PIL». E tuttavia non esiste evidenza di vantaggi visibili;
    un esempio su tutti è quello legato al capitolo di spesa privilegiato dalla riprogrammazione dei programmi della convergenza, ossia dell'Agenda digitale europea; 1.140 milioni di euro destinati agli investimenti nel Sud per la banda ultralarga, 118,9 milioni di euro per la banda larga fino a 2 mega, 320 milioni di euro per data center;
    allo stesso modo si rammentano i 1.242 milioni di euro destinati esclusivamente alle quattro regioni obiettivo convergenza (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia), o i 142 milioni di euro per il credito di imposta per l'occupazione, o ancora le risorse per la rete dei trasporti, cui erano stati assegnati 1,2 miliardi di euro; per strade (866 milioni di euro) e aeroporti (28 milioni di euro);
    la sequenza di interventi che tardano a dispiegare effetti non finisce qui: si pensi alla legge n. 191 del 2009 che ha previsto la nascita di una banca con l'obiettivo di finanziare progetti di investimento nel Mezzogiorno, di erogare credito alle piccole e medie imprese; di favorire la nascita di nuove imprese e l'imprenditorialità giovanile e femminile, nonché di promuovere l'aumento dimensionale e l'internazionalizzazione di tali imprese, di finanziare attività di ricerca e innovazione, il tutto come detto, nelle regioni del Sud Italia. Per questo motivo, il 1o agosto 2011 Poste Italiane spa aveva acquisito, per 136 milioni di euro, il 100 per cento di Unicredit Mediocredito Centrale e, pertanto, da settembre 2011, la nuova denominazione societaria è Banca del Mezzogiorno Mediocredito Centrale spa operativa dal 2 febbraio 2012;
    tuttavia, anche in questo caso, nonostante siano i Fondi pubblici a sostenere l'impresa, non pare che detto strumento abbia dato respiro alle piccole e medie imprese del Sud. Nel corso della XVII legislatura sono stati già presentati diversi atti di sindacato ispettivo nei quali vengono richiesti i dettagli delle erogazioni della Banca del Mezzogiorno perché sovente destinati a gruppi industriali estranei alla «mission» meridionalista dell'istituto finanziario;
    da tali esperienze consegue che, per uscire dall'angolino dove la storia lo ha confinato, il Mezzogiorno ha bisogno di buona amministrazione, di correttezza, di lungimiranza e non di farsesche vicende di comuni, di municipalizzate e di privilegi regionali;
    è fondamentale che lo Stato rafforzi la propria presenza in tali territori, consolidando i tribunali, presidio di legalità e freno alla criminalità occorre un intervento capace di promuovere sviluppo ed occupazione nel Mezzogiorno, al fine di favorire la ripresa dell'economia meridionale, come base per la crescita e lo sviluppo dell'intero Paese anche favorendo, sin dall'età scolare, percorsi educativi volti a stimolare un cambio culturale che determini già in età giovanile l'educazione all'impresa. In questo momento di crisi molte Imprese sono costrette alla chiusura, non rientrando nei parametri degli studi di settore e il complesso scenario economico italiano, aggravato dalle conseguenze della crisi finanziaria, pone ancora una volta in primo piano la questione di un Paese con due differenti velocità di sviluppo: nel Mezzogiorno si produce solo un quarto del prodotto interno e si genera soltanto un decimo delle esportazioni italiane;
    il Mezzogiorno italiano è ancora privo di quella rete di infrastrutture essenziale per lo sviluppo e negli ultimi anni si è avvertita l'assenza, nei programmi di Governo, di un respiro strategico, volto a ridurre il gap economico, infrastrutturale e sociale del Sud;
    come già descritto nel presente atto di indirizzo, per lungo tempo si è assistito alla distorsione delle risorse destinate al Sud perché oggetto di dissennati tagli operati sulla dotazione del fondo per le aree sottoutilizzate per finanziare interventi di diversa natura o fatti oggetto di corruttela o non sempre corrispondenti a finalità di sviluppo e quasi sempre non localizzati nel Mezzogiorno. Ed invece il Meridione, grazie alla posizione geografica ed alla dotazione di porti e aeroporti, potrebbe svolgere un ruolo di cerniera negli scambi commerciali tra Europa, Mediterraneo e Paesi del far east e raccogliere le nuove opportunità del contesto competitivo internazionale;
    si consideri altresì che oltre un terzo dei laureati del Mezzogiorno under 34 è inattivo e la differenza con le regioni settentrionali diventa enorme se si considera il tasso di inattività dei diplomati under 34; i tassi di scolarizzazione in Italia presentano divari sfavorevoli al Meridione e sono accompagnati da un parallelo aumento del tasso di abbandono, dovuto alle condizioni di degrado sociale e familiare. Negative sono anche le evidenze in termini di «qualità» della formazione, dal momento che gli studenti meridionali che terminano la loro carriera accademica hanno maggiori difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro. Si genera così un ampio fenomeno migratorio dei «cervelli» che lasciano le regioni del Sud, provocando un depauperamento del capitale umano disponibile;
    il sistema produttivo del Mezzogiorno è legato a fattori strutturali di debolezza che riguardano le dimensioni piccole o piccolissime delle imprese di quest'area, spesso a gestione familiare, operanti prevalentemente in settori a basso valore aggiunto e con una conseguente scarsa propensione a investire nell'innovazione e in ricerca e sviluppo;
    inoltre, come già detto, permane una forte presenza della criminalità organizzata, che tenta di infiltrarsi nei grandi appalti per opere pubbliche e tenta di condizionare l'attività di impresa, e della microcriminalità che peggiora la qualità della vita nei centri urbani, aumentando il disagio sodale;
    eppure il Sud avrebbe modo di risollevare le sorti occupazionali già solo attraverso l'industria del turismo, tuttavia i dati relativi al turismo nel Meridione sono paradossali: su 100 stranieri che visitano l'Italia, meno di 1 va in Calabria (0,9 per cento per chi ama l'esattezza), ancora meno in Molise. In Basilicata si raggiunge lo 0,1 per cento e in Abruzzo lo 0,6 per cento. Sommando le otto regioni meridionali, includendo Sicilia e Sardegna, si arriva al 13,2 per cento. Fa di più il solo Trentino Alto Adige, con il 14,2 per cento. Le politiche del turismo sono pertanto fallimentari;
    vari studi hanno tentato di quantificare, in termini di ritorno economico e occupazionale, lo sviluppo turistico del Sud anche per sollecitare un cambiamento culturale in tal senso, ma nulla sembra essersi modificato in questi anni e la causa non è la mancanza di fondi (le recenti difficoltà del programma operativo interregionale «Attrattori culturali, naturali e turismo» confermano che le criticità sono spesso politiche): i contributi europei arrivati al Sud non hanno generato virtuose sinergie tra destinazioni, operatori e investitori esterni, né hanno dato vita a poli di eccellenza che potessero «contaminare» positivamente i territori;
    si aggiungano a quanto descritto i dati drammatici contenuti nell'ultimo rapporto pubblicato dallo Svimez dove la situazione del Mezzogiorno appare bisognoso di interventi urgentissimi: secondo l'importante istituto di ricerca il prodotto interno lordo è calato nel Mezzogiorno dell'1,3 per cento rallentando la caduta dell'anno precedente (-2,7 per cento), con un calo superiore di oltre un punto percentuale rispetto al Centro-nord (-0,2 per cento). Da rilevare che per il settimo anno consecutivo il prodotto interno lordo del Mezzogiorno registra segno negativo, a testimonianza della permanente criticità nell'area. Il peggior andamento del prodotto interno lordo meridionale;
    anche gli andamenti di lungo periodo confermano un Paese spaccato e diseguale: negli anni di crisi 2008-2014 il Sud ha perso –13 per cento, circa il doppio del pur importante –7,4 per cento del Centro-nord. Il divario di Pil pro capite tra Centro-nord e Sud nel 2014 ha toccato il punto più basso degli ultimi 15 anni, tornando, con il 53,7 per cento, ai livelli del 2000. La crisi nel 2014 si attenua nella maggior parte delle regioni del Centro-nord, molto meno in tutte quelle del Sud;
    dal 2001 al 2014 il tasso di crescita cumulato è stato +15,7 per cento in Germania, +21,4 per cento in Spagna, +16,3 per cento in Francia. Negativa la Grecia, con -1,7 per cento, ma mai quanto il Sud, che, con -9,4 per cento tira giù al ribasso il dato nazionale (-1,1 per cento) contro il +1,5 per cento del Centro-nord. Pil per abitante e divari storici – in termini di prodotto interno lordo pro capite, il Mezzogiorno è sceso al 53,7 per cento del valore nazionale, un risultato mai registrato dal 2000 in poi. In valori assoluti, a livello nazionale, il prodotto interno lordo è stato di 26.585 euro, risultante dalla media tra i 31.586 euro del Centro-Nord e i 16.976 del Mezzogiorno;
    i consumi continuano a calare al Sud, mentre riprendono a crescere nel resto del Paese; i consumi delle famiglie meridionali sono ancora scesi, continuando a ridursi nel 2014 dello 0,4 per cento a fronte di un aumento del +0,6 per cento nelle regioni del Centro-nord;
    durante gli anni di crisi 2008-2014, la caduta cumulata dei consumi delle famiglia ha superato del Mezzogiorno i 13 punti percentuali (-13,2 per cento) risultando di oltre due volte maggiore di quella registrata nel resto del Paese (-5,5 per cento). In particolare, negli anni 2008-2014 il calo cumulato della spesa è stato al Sud del –15,3 per cento per i consumi alimentari, a fronte del –10,2 per cento del Centro-nord;
    gli investimenti fissi lordi hanno segnato una caduta maggiore al Sud rispetto al Centro-nord: –4 per cento rispetto al -3,1 per cento. Dal 2008 al 2014 sono crollati del 38 per cento nel Mezzogiorno e del 27 per cento nel Centro-nord, con una differenza tra le due ripartizioni di 11 punti percentuali;
    le previsioni per il 2015 e il 2016 – Secondo stime SVIMEZ aggiornate a settembre 2015, nel 2015 il Pil italiano dovrebbe crescere dello 0,8 per cento, quale risultato del +1 per cento del Centro-nord e del timidissimo +0,1 per cento del Sud;
    sul fronte occupazionale, si prevede un aumento nazionale del +0,8 per cento, +0,9 per cento al Centro-nord e +0,6 per cento al Sud. Quanto all'industria nel Sud: il crollo degli investimenti erode la base produttiva e accresce i divari di competitività;
    in deciso ribasso anche la capacità produttiva; rispetto ai livelli pre crisi il Sud ha perso oltre il 30 per cento, contro il –17 per cento del Centro-nord e il –5 per cento della media dell'Unione europea a 28. Tra il 2007 e il 2013 è sceso anche lo stock di capitale lordo, –7,4 per cento nel Sud, +3,1 per cento nel resto del Paese. Quanto agli occupati, nel 2014 gli addetti al comparto scendono dello 0,2 per cento al Sud contro il +0 per cento dell'altra ripartizione;
    nell'intero periodo 2008-2014, comunque, la caduta dell'occupazione è stata di oltre il – 20 per cento al Sud, contro il –13,4 per cento del Centro-nord. In continua discesa anche la produttività del manifatturiero meridionale, sceso al 58,2 per cento nel Centro-nord nel 2014 (nel 2000 era pari al 74,5 per cento dell'altra ripartizione);
    negative al Sud nel 2014 anche le esportazioni, –4,8 per cento che sono cresciute invece nel Centro-nord (+3 per cento). Stesse dinamiche se si osservano gli anni 2008-2014: –2,1 per cento al Sud, +11,1 per cento al Centro-nord. In questo quadro pesa decisamente il crollo delle agevolazioni concesse alle imprese private: dal 2008 al 2013 sono scese al Centro-nord del –17 per cento passando da 3,2 a 2,6 miliardi di euro, mentre al Sud sono sprofondate del 76 per cento, passando da 5,5 a 1,3 miliardi di euro. Le agevolazioni alle imprese del Mezzogiorno sul totale nazionale si sono quindi dimezzate: erano il 63,5 per cento nel 2008, sono diventate il 33,2 per cento nel 2013;
    è necessario quindi promuovere lo sviluppo sostenibile del territorio e coniugare il tutto alle imprescindibili logiche di mercato del turismo che impongono prodotti, servizi e infrastrutture in grado di far fronte a una domanda che ha sempre più alternative a disposizione. Occorre selezionare, previa individuazione, le strutture, i siti, i beni di più grande interesse siti nel Meridione e abbandonati a se stessi – ve ne sono di innumerevoli – e procedere per la loro valorizzazione sul piano nazionale,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per assegnare al tema dello sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno una valenza prioritaria nell'ambito della politica economica nazionale e di quella comunitaria di coesione;
   ad intervenire in sede comunitaria, al fine di introdurre in favore delle regioni del Mezzogiorno una serie di misure, di carattere eccezionale, sia di alleggerimento fiscale e contributivo per le aziende che assumono nuovi dipendenti, almeno fino al 2020, che di carattere finanziario in grado di rilanciare l'economia reale del meridione, in considerazione della fase socio-economica di estrema emergenza che investe le macro-aree delle regioni interessate con la individuazione sperimentale di aree ZES;
   a sfruttare l'enorme potenziale che il Mezzogiorno possiede, in virtù della sua posizione geografica, per favorire la diffusione di micro e mini impianti energetici che utilizzano fonti rinnovabili quali vento, sole e geotermia;
   ad intraprendere ogni azione necessaria per contrastare e mitigare il rischio idrogeologico nel Mezzogiorno, con particolare riguardo ad interventi così detti «non strutturali» come la revisione dei piani d'emergenza o il miglioramento dei sistemi di previsione ed allettamento;
   ad intensificare maggiormente nelle aree di cui in premessa i controlli sui luoghi di lavoro garantiti dagli ispettori del lavoro al fine di incrementare la vigilanza sulla regolarità dei rapporti di lavoro, sia nella fase costitutiva che in quella del loro svolgimento, alla luce delle leggi in materia di lavoro al fine di estirpare la piaga del «lavoro nero» e il fenomeno del caporalato nel settore agricolo;
   ad adoperarsi perché vi sia un ripensamento in merito ai provvedimenti che consentono nuove trivellazioni nei tratti di mare, antistanti alle coste delle regioni meridionali e che saranno sottoposte al voto popolare referendario, poiché in questo modo sarà possibile mantenere intatto il territorio, salvaguardare le coste e, quindi, il turismo, le attività economiche e i posti di lavoro garantiti dallo stesso. Attività economica molto conveniente e senza rischio di danni ambientali come nel caso delle estrazioni petrolifere;
   a porre in essere iniziative più incisive in grado di migliorare l'attività dell'Agenzia per la coesione territoriale prevedendo la piena possibilità di esercitare poteri sostitutivi in caso di ritardi o inefficienze delle regioni e a relazionare semestralmente al Parlamento circa l'attività della stessa.
(1-01117) «Baldassarre, Artini, Brignone, Bechis, Civati, Segoni, Andrea Maestri, Turco, Pastorino, Matarrelli».


   La Camera,
   premesso che:
    l'analisi degli indicatori degli ultimi anni di crisi economica e sociale del nostro Paese, riferiti in particolare al periodo 2007-2014, evidenzia un quadro di insieme decisamente complesso. Il dibattito parlamentare ha recentemente generato atti di indirizzo politico per impegnare il Governo ad assumere iniziative, non solo per porre le basi di rilancio economico dell'Italia, ma anche e soprattutto per ridurre gradualmente e secondo obiettivi definiti e programmati, il divario tra le regioni del Nord e quelle del Sud, così come indicato anche dalle mozioni del gruppo di Scelta Civica, approvate dalla Camera dei deputati, n. 1-00765, n. 1-01001 e n. 1-00648;
    il quadro generale della situazione economica e sociale del Paese e, soprattutto, del Mezzogiorno è ancora e decisamente critico anche se i dati relativi al 2015 mostrano per la prima volta timidi segnali positivi. Non sussiste certamente una netta crescita, ma traspare una positiva inversione di tendenza che potrebbe da un lato confermare la stabilizzazione dell'economia meridionale dopo sette anni di turbolenza e dall'altro potrebbe aiutare ad individuare alcuni aspetti della crisi sui quali Parlamento e Governo potranno maggiormente puntare per individuare percorsi di sviluppo;
    secondo le recenti stime di Confindustria e SRM, infatti, nella prima parte del 2015 i segnali di crescita sono aumentati a tal punto da far prevedere la possibilità di valori leggermente positivi per il Pil del Mezzogiorno già alla fine dello stesso anno;
    il prodotto interno lordo del Mezzogiorno dovrebbe infatti tornare a salire dello 0,2 per cento nel 2015 ed in maniera leggermente più rilevante nel 2016 attestandosi al +1 per cento. In ogni caso, la crescita stimata è decisamente inferiore rispetto a quella del Paese e comunque non sufficiente al suo rilancio strutturale;
    secondo i dati del rapporto di Confindustria, segnali cautamente positivi provengono innanzitutto dal mondo delle imprese. Il clima di fiducia delle imprese manifatturiere meridionali si mantiene sui più alti valori degli ultimi quattro anni, facendo segnare (ad ottobre) un valore di due punti più elevato rispetto ad un anno fa. Un segnale analogo proviene dai consumatori presso i quali si registra un clima di fiducia favorevole, anch'esso ai massimi rispetto agli ultimi quattro anni. Particolarmente significativa è la crescita della fiducia relativa al clima economico, in forte incremento soprattutto nella seconda parte dell'anno;
    ciò che ha contribuito ad aumentare e migliorare le aspettative e ad invertire i trend è certamente la lieve crescita dell'occupazione al Sud: rispetto al 2014, infatti, nei primi nove mesi del 2015 si registrano 136.000 occupati in più nelle regioni meridionali;
    questo incremento riporta il dato delle persone che hanno un lavoro vicino alla soglia psicologica dei sei milioni di occupati (5 milioni e 970 mila). Rispetto al 2014, il tasso di occupazione sale al Sud dell'1,1 per cento, ovvero dello 0,4 per cento in più della media nazionale: a sua volta, il tasso di disoccupazione cala di 2 punti percentuali (sempre rispetto al terzo trimestre del 2014), scendendo al 17,6 per cento;
    secondo le ultime rilevazioni dell'ISTAT, diminuiscono, per la seconda volta consecutiva, gli scoraggiati, coloro che non ricercano più un posto di lavoro, soprattutto al Centro e nel Mezzogiorno;
    si tratta certamente solo di timidi segnali perché la disoccupazione, soprattutto giovanile (ben rappresentata dal 38,9 per cento, di NEET meridionali) è rimasta pressoché invariata con lievissimi miglioramenti. È però un segnale, per la prima volta, di segno chiaramente positivo. Lo sgravio per le nuove assunzioni a tempo indeterminato si è rivelato efficace nel determinare un incremento degli occupati: nei primi 9 mesi dell'anno, infatti, sono state quasi 290 mila le assunzioni agevolate al Sud su un totale di 900 mila e quasi 1/3 di esse riguarda la regione Campania. Il dato sulla Cassa Integrazione, tornato (per tutte e tre le forme di ammortizzatore sociale considerate) sui livelli pre-crisi, contribuisce a sua volta a confermare la stabilizzazione dell'economia meridionale dopo sette anni di turbolenza;
    in modo lieve i dati fanno registrare la stabilizzazione, se pur in negativo, del saldo delle imprese attualmente attive, che si attesta a -0,1 per cento rispetto al III trimestre del 2014. Si nota un irrobustimento del tessuto produttivo del Mezzogiorno e infatti le società di capitali aumentano e sono ormai più di 270 mila, indice di un processo molto più sostenuto di quello che si registra nel Centro-nord (+5,4 per cento rispetto a +2,6 per cento). A conferma dei segnali di stabilizzazione economica della crisi al Sud si rileva una diminuzione media delle procedure fallimentari delle imprese nel 2015 (tranne la Sardegna), mentre torna positivo nel 2014, rispetto all'anno precedente, il fatturato delle grandi (+4,6 per cento) e delle medie imprese (+1,9 per cento), ma non ancora quello delle piccole (ancora in calo del 2,3 per cento) condizionando in tal modo il risultato di insieme. Questi dati evidenziano come la crisi abbia colpito duramente il tessuto produttivo delle piccole e medie imprese che caratterizza il sistema industriale italiano soprattutto al Sud ed al contempo come la ripresa interessi le aziende di maggiore dimensione che hanno una buona componente di esportazioni all'estero;
    un altro elemento che fa registrare un'inversione di tendenza lievemente positiva è certamente l'aumento di fatturato, seppur ridotto, nelle esportazioni. A spingere, infatti, il risultato del manifatturiero meridionale contribuisce in modo significativo l’export che, rispetto al terzo trimestre 2014, fa registrare +3,1 per cento, trainato da un +26,3 per cento dei mezzi di trasporto e dalla crescita (che continua) dell'agroalimentare (+9 per cento). Nei primi 9 mesi del 2015, le esportazioni meridionali sono state pari, in valore, ad oltre 31,4 miliardi di euro (di cui 29,6 relativi al manifatturiero in senso stretto), oltre 1 miliardo di euro in più rispetto al corrispondente periodo del 2014;
    se si analizzano le esportazioni sotto il profilo territoriale, è facile osservare che 6 regioni meridionali su 8 fanno registrare una dinamica positiva. La Puglia si attesta ad un valore sostanzialmente stabile, mentre l'unica regione che vede ridursi la propria quota di esportazioni è la Sicilia. Fra le province esportatrici, fanno registrare dinamiche positive oltre a Potenza (+206,7 per cento) anche Chieti (+5,4 per cento), Salerno (+5,6 per cento), Bari (+2,2 per cento) e Cagliari (+2,7 per cento). Negative, viceversa, le performance di Napoli (-1,5 per cento) e Siracusa (-12,9 per cento). Anche l'andamento dell’export dei distretti meridionali, nei primi sei mesi del 2015, conferma questa tendenza positiva, con un incremento (+11,6 per cento) anche più robusto di quelli del Centro-nord (con aumenti compresi tra +4 e +5 per cento);
    un elemento che descrive e consente l'aumento della «voglia di fare impresa» al Sud Italia, soprattutto tra i giovani, è quello relativo all'aumento di domanda creditizia e dalla sostanziale diminuzione delle relative offerte. Nonostante crescano gli indici di sofferenza, che hanno ormai superato la soglia dei 40 miliardi di euro (pari al 14,3 per cento del totale dei crediti concessi) su un totale di 140 sul piano nazionale, resta alta la voglia di fare impresa proprio fra i giovani. Sono, infatti, 226 mila le imprese meridionali condotte da giovani nel 2014 (oltre il 40 per cento del totale). Continua, inoltre, la crescita delle imprese che aderiscono a Contratti di Rete: sono 3.164, con un incremento del 10 per cento (maggiore rispetto a quello del Centro-nord, che si ferma a +8 per cento) rispetto al 2014;
    uno dei dati forse più significativi del 2014 è l'incremento delle presenze e della spesa turistica nelle regioni meridionali, elemento che deve far ben sperare e che deve essere adeguatamente valorizzato e gestito nel prossimo futuro; crescono, infatti, del 3,6 per cento gli arrivi (anche più della media nazionale, +2,7 per cento) e le presenze (+1,1 per cento), che restano viceversa stabili nel Centro-nord. Nel 2015, per quanto lievi e relativi, sono incoraggianti i dati sull'incremento del traffico aereo che, nei primi 9 mesi dell'anno, rileva un +2,2 per cento rispetto allo stesso periodo del 2014. I passeggeri internazionali degli aeroporti del Mezzogiorno sono ormai il 33,7 per cento del totale. Fanno ben sperare le previsioni più recenti (Fonte: Italian Cruise Watch, 2015) che prevedono per il 2016 un nuovo record storico per il traffico crocieristico per il nostro Paese, e dunque anche per i principali porti meridionali;
    è necessario però evidenziare che all'incremento del turismo e alla grande ricchezza del tessuto culturale del Mezzogiorno non corrisponde, però, un'altrettanto ampia fruizione del patrimonio storico e culturale per problemi legati alla sua gestione e valorizzazione, non all'altezza delle sue potenzialità;
    nelle regioni del Sud e nelle Isole è presente il 25 per cento del patrimonio culturale nazionale (musei, monumenti e aree archeologiche), vale a dire 1.150 dei 4.588 siti culturali italiani. Con riferimento al patrimonio statale si rileva che nel Sud si trovano 145 siti tra musei, monumenti e aree archeologiche pari al 34,3 per cento del totale nazionale. Cifra che sale a 256 se si aggiungono i 111 siti siciliani (non di competenza MiBACT), diventando il 48 per cento del totale italiano. Tra i beni culturali del Meridione 15 fanno parte della lista del Patrimonio dell'Umanità, il 30 per cento dei 49 siti Unesco italiani. Questi sono numeri che da soli basterebbero a innescare procedimenti di crescita dell'economia turistica del meridione eppure in assenza di politiche di sviluppo e di gestione questo settore resta quasi abbandonato al proprio destino;
    se sarà fondamentale migliorare e investire sul piano della fruizione del patrimonio culturale del meridione, sarà altrettanto necessario intervenire con energia sul tema dell'istruzione, visti i divari tuttora perduranti in termini di abbandono scolastico e di livello delle competenze degli studenti, e dell'efficienza del sistema universitario meridionale, stretto tra calo delle immatricolazioni (diminuite di circa un quarto dell'ultimo decennio) e tagli al fondo di funzionamento ordinario;
    da recenti indagini condotte dalla Fondazione RES sul sistema universitario si evincono dati allarmanti: la tendenza a diminuire le risorse impiegate in questo settore è evidente se si osservano i dati relativi al Fondo di finanziamento ordinario, diminuito, in termini reali, del 22,5 per cento. In valore: 7 miliardi che, se comparati agli oltre 26 investiti della Germania, rendono l'idea di quanto sia diversa la gestione di queste risorse da parte della amministrazione italiana rispetto a quelle in corso in tutti i Paesi avanzati;
    i cambiamenti introdotti nei meccanismi di ripartizione dei finanziamenti del fondo di finanziamento ordinario, con un aumento fino al 20 per cento della quota premiale legata a risultati conseguiti nella didattica e nella ricerca, paradossalmente aggravano il quadro perché penalizzano le università del Mezzogiorno. La situazione delle università meridionali necessita sicuramente di un indirizzo di governo diverso rispetto a quanto fatto negli ultimi anni con particolare riferimento alla auspicabile rideterminazione dei parametri di ripartizione delle risorse pubbliche per le università che sono risultati penalizzanti per tutte le università del Sud;
    proseguendo nell'analisi dei dati del 2015, che riprovano una timida inversione di tendenza, si evidenziano segnali confortanti dall'indice sintetico dell'economia meridionale del 2015, indicatore composito (aggiornato con cadenza semestrale) che fotografa anno per anno lo stato di salute economica dell'Italia meridionale. La comparazione dei valori 2014-2015 dell'indice, infatti, riportato nella ricerca elaborata da Confindustria e da Srm-Studi e ricerche per il Mezzogiorno, riporta per la prima volta un trend in miglioramento;
    il dato riferito al 2015 dovrebbe far segnare, per la prima volta dal 2011, un valore sia pur di poco positivo. Sono, infatti, tre su cinque gli indicatori che fanno registrare valori in crescita ovvero Pil, export e occupazione. L'indicatore delle imprese è invece di poco negativo, mentre solo l'indicatore degli investimenti continua, anche per il 2015, a far segnare valori negativi, anche se il calo è minore di quello degli anni precedenti;
    i dati in premessa sono quindi utili a comprendere lo stato attuale dell'economia del Mezzogiorno che per invertire decisamente la tendenza e poter intraprendere una auspicabile ripresa necessita di investimenti in tempi brevi. Infatti, la variabile che purtroppo condiziona fortemente le prospettive di ripresa è rappresentata dal continuo calo del valore degli investimenti sia pubblici che privati, malgrado proposizioni ed aspettative ben diverse promulgate negli anni scorsi. Questa circostanza penalizza soprattutto imprese e lavoratori, che per primi e in modo più diretto risentono degli effetti della «crisi di domanda interna», caratterizzata, cioè, da minori consumi e, appunto, minori investimenti;
    il trend degli investimenti nel range di periodo 2007-2014 è dunque in calo, così come rilevato dai report di Confindustria: dal picco del 2007, infatti, gli investimenti fissi lordi sono diminuiti di oltre 34 miliardi di euro fino a toccare il valore minimo nel 2014 di 55 miliardi di euro, ben al di sotto dei quasi 67 miliardi di vent'anni fa. Guardando al lungo periodo, particolarmente sensibili sono stati i decrementi nel settore dell'industria in senso stretto e delle costruzioni: dal 2000 ad oggi, la riduzione degli investimenti in questi due comparti è superiore al 50 per cento;
    anche gli investimenti pubblici fanno registrare decrementi grosso modo simili e negli stessi anni e questo malgrado vi siano risorse stanziate e risorse comunitarie non spese nei tempi programmati. Al netto delle partite finanziarie, tra il 2009 ed il 2013, infatti, la spesa in conto capitale della Pubblica Amministrazione si è ridotta di oltre 5 miliardi di euro, ben al di sotto dei valori del 2000. In questa contrazione della spesa è rilevante anche il contenimento dell'indebitamento per esigenze di finanza pubblica, malgrado vi sia una strutturale sperequazione tra fondi statali per il nord Italia e per il Sud Italia, da sempre compensata, impropriamente, dall'apporto dei fondi comunitari: secondo gli ultimi dati disponibili, i mutui erogati per il finanziamento degli investimenti degli enti locali hanno raggiunto la quota di 136 milioni di euro, con un calo del 43,6 per cento rispetto all'anno precedente: rispetto al dato pro capite, l'importo registrato per il Mezzogiorno è pari a 6,6 euro per abitante, ben al di sotto di una media nazionale di 10,3 euro per abitante;
    l'elemento principale che dovrà caratterizzare, dunque, l'azione di Governo dei prossimi anni è il rilancio degli investimenti al Sud Italia che si conferma, quindi, la priorità delle priorità: saranno di fondamentale importanza sia gli investimenti delle imprese di fatto fermi negli ultimi sette anni, sia quelli promossi dalla pubblica amministrazione, stretti da un rigore di bilancio che li ha compressi a livelli difficilmente sopportabili per una economia che, invece, da questi investimenti ancora molto dipende;
    tramite il DEF 2016 il Governo ha prospettato un profilo di ripresa per gli investimenti pubblici (+1,9 per cento) per quest'anno e soprattutto per il prossimo (+4,6 per cento). Ma è soprattutto con la Legge di Stabilità 2016 che il Governo ha deciso di dar seguito a questo intento agendo su tre fattori che hanno riflessi positivi proprio sul Mezzogiorno;
    il primo fattore è quello relativo all'accelerazione della spesa dei fondi europei utilizzando la flessibilità rispetto al patto di stabilità europeo attraverso la cosiddetta «clausola degli investimenti» con l'intento quindi di spendere al meglio e il massimo possibile delle risorse dei fondi strutturali. Una parte rilevante di questa spesa, che vale nel complesso circa 11 miliardi di euro, di cui circa 5 di cofinanziamento nazionale, riguarda proprio le regioni meridionali, per un valore stimato di circa 7 miliardi di euro;
    il secondo fattore è relativo ad un cambiamento strutturale strettamente collegato al precedente ed è costituito dal superamento del patto di stabilità interno in favore del cosiddetto pareggio di bilancio, sia per le regioni, sia per gli enti locali. I meccanismi introdotti determinano di fatto il superamento del Patto di Stabilità interno e dunque la fine dell'impossibilità forzata di utilizzare risorse disponibili per investimenti, costituendo un volano per il ritorno alla crescita della spesa in conto capitale al Sud, anche grazie a meccanismi di ottimizzazione che consentono di incrementare le opportunità per gli enti locali più virtuosi;
    il terzo fattore riguarda la scelta di tornare a sostenere in maniera significativa gli investimenti delle imprese meridionali, così come dimostra la misura che introduce un credito d'imposta automatico per gli investimenti in beni strumentali nel Mezzogiorno. Con questo intervento saranno messi a disposizione delle imprese che investono nel Mezzogiorno 2,4 miliardi di euro per i prossimi 4 anni, per un valore di 617 milioni di euro l'anno. Se si considera che l'effettiva erogazione per incentivi nel 2014 da parte di amministrazioni centrali è stata pari a 1 miliardo e 100 milioni di euro circa, si tratta per il Mezzogiorno di una crescita di oltre il 50 per cento spesa per incentivi, capace di far salire considerevolmente gli investimenti;
    sotto il profilo della politica da intraprendere per la risoluzione dei problemi, che da anni concorrono a rendere negativo il quadro del Mezzogiorno, e delle risorse e degli interventi da individuare ed attuare secondo programmi definiti, ha particolare rilevanza in termini di programmazione integrata il masterplan per il Mezzogiorno. Questo strumento sarà certamente utile a tracciare un percorso sinergico ed integrato nell'azione del governo e di tutti gli Enti interessati dai Ministeri, alle Regioni agli Enti locali allo scopo di promuovere un utilizzo più efficace delle risorse già a disposizione del mezzogiorno, con una metodologia capace di far emergere proposte e progetti strategici da parte delle Regioni in una logica economica comune di livello nazionale che eviti duplicazioni di spesa o investimenti senza ritorno economico e sociale;
    come è noto, le risorse stanziate sono ingenti, ma non lo è altrettanto la relativa spesa che risulta nettamente insufficiente per dare inizio alla ripresa economica. È, infatti, necessario ridurre drasticamente la mancanza di capacità di utilizzo delle risorse da parte dei soggetti attuatori. L'azione di governo dovrà essere tesa ad istituire nuovi meccanismi di supporto che possano accompagnare le amministrazioni beneficiarie dei finanziamenti nella elaborazione dei progetti e nelle relative procedure attuative e di spesa affinché possano avvenire nel rispetto dei tempi programmati. In questa direzione va evidenziata la necessità di concludere in tempi brevi il quadro della programmazione dei fondi sviluppo e coesione del periodo 2014/2020 il cui calendario, fissato dalle due ultime leggi di stabilità del settembre 2014 e dell'aprile 2015, è stato disatteso. Così come indicato anche dal masterplan per il Mezzogiorno, tra Fondi strutturali (FESR e FSE) 2014-20 pari a 56,2 miliardi euro, di cui 32,2 miliardi di euro europei e 24 miliardi nazionali, cui si aggiungono fondi di cofinanziamento regionale per 4,3 miliardi di euro, e Fondo Sviluppo e Coesione, per il quale sono già oggi disponibili 39 miliardi di euro sulla programmazione 2014-20, vi sono circa 95 miliardi di euro a disposizione da qui al 2023 per politiche di sviluppo del Mezzogiorno;
    il masterplan però, deve ancora essere completato: manca la declinazione operativa dei 16 patti per il Sud che per ogni regione e per ogni città metropolitana stabilirà gli interventi prioritari e trainanti, le azioni da intraprendere per attuarli, gli ostacoli da rimuovere, la tempistica e le reciproche responsabilità;
    nel contesto delle regioni meridionali e insulari, merita una riflessione speciale la situazione della Sardegna che sconta l’handicap strutturale dell'insularità, che rappresenta un freno allo sviluppo di qualsiasi politica di rilancio economico endogeno ed è stato pesante concausa del fallimento dei piani di rinascita che avevano l'obiettivo di azzerare i gap economici e sociali che affliggono l'isola;
    ancora oggi, gli indicatori economici che fotografano la situazione sarda mettono in evidenza un residuo fiscale negativo tra i peggiori d'Italia in un quadro di impoverimento di tutte le attività di produzione legate al settore primario;
    appare, dunque, indispensabile agire sulle leve della continuità territoriale per i passeggeri e per le merci ma sopratutto investire sui vantaggi competitivi sardi per strutturare un tessuto produttivo legato a nuove politiche di brand e alle attività ecocompatibili che possano consentire il superamento delle logiche assistenzialistiche e garantire sostenibilità nel tempo,

impegna il Governo:

   a garantire, in tempi brevi, il completamento del masterplan e quindi la sottoscrizione dei 16 patti per il Sud che declineranno concretamente i provvedimenti che ne costituiscono l'asse portante, al fine di poter dare inizio alla programmazione degli interventi prioritari ed alle azioni da intraprendere per attuarli, rimuovendone gli ostacoli, definendone le tempistiche e le responsabilità;
   a garantire che nei singoli patti per il Sud vi siano disposizioni che possano favorire concretamente la semplificazione delle procedure di spesa e di rendicontazione delle risorse, nonché il monitoraggio degli adempimenti e dei tempi prefissati di realizzazione delle opere e di utilizzo delle risorse;
   a garantire che il masterplan preveda nel suo cronoprogramma interventi per gli anni 2016 e 2017 al fine di consentire investimenti in questi anni particolarmente utili e necessari per contrastare l'attuale crisi economica per mancanza di investimenti al Sud;
   ad istituire presso la Presidenza del Consiglio dei ministri una struttura di coordinamento e controllo dell'attuazione del masterplan e delle politiche e degli investimenti nel Mezzogiorno con un responsabile delegato dal Governo che possa sovraintendere e coordinare i programmi dei singoli patti per il Sud e intervenire con poteri sostitutivi per risolvere problematiche contingenti e garantire il conseguimento degli obiettivi di spesa prefissati;
   a garantire maggiore supporto all'Agenzia per la coesione territoriale affinché possa affiancare efficacemente le regioni del Mezzogiorno e risultare sempre più incisiva nel sostenere, promuovere ed accompagnare i programmi e i progetti per lo sviluppo e la coesione economica, rafforzando, al fine di una sempre più rapida e puntuale attuazione degli interventi indicata da specifici impegni temporali, l'azione di programmazione e sorveglianza, nonché promuovendo la semplificazione delle procedure di autorizzazione degli interventi e della conseguente spesa dei fondi, anche assumendo iniziative per prevedere poteri sostitutivi in caso di inadempienze e/o colpevoli ritardi da parte degli enti beneficiari di finanziamenti;
   a prevedere adeguate iniziative economiche e finanziare al fine di rilanciare l'economia delle regioni del Mezzogiorno ed al fine di sostenere in misura ancora più ampia gli investimenti delle imprese che operano su questi territori, contribuendo ad irrobustire il relativo tessuto produttivo e puntando soprattutto alla crescita delle piccole e medie imprese ed all'aumento consequenziale dei livelli occupazionali;
   a favorire, nel corso della programmazione 2014-2020, l'utilizzo di risorse del fondo sociale europeo per la realizzazione di politiche attive di inserimento nel mondo del lavoro dei giovani meridionali disoccupati;
   a garantire che la programmazione delle infrastrutture, degli interventi di riqualificazione urbana, di recupero dei centri storici e di collegamento viario e ferroviario delle regioni del Sud alla rete nazionale siano elementi centrali dei programmi dei fondi strutturali europei e FSC 2014-2020, impedendo di utilizzare impropriamente questi fondi per finanziare altre esigenze nell'attuale difficile contesto di finanza pubblica;
   a favorire l'accelerazione dei tempi necessari al completamento della programmazione FSC 2014-2020 per il recupero dei ritardi ad oggi maturati rispetto ai tempi stabiliti dalle leggi di stabilità del 2014 e 2015 allo scopo di consentire la spesa delle relative risorse nello stesso periodo di programmazione e, successivamente, a garantire la celere assegnazione delle risorse ai progetti di sviluppo pianificati a seguito della definizione delle priorità di interventi che saranno indicate nel prossimo «Allegato infrastrutture» al documento di economia e finanza;
   a garantire l'accelerazione degli interventi di manutenzione e messa in sicurezza dei territori meridionali a maggior rischio idrogeologico favorendo lo stanziamento delle risorse allo scopo necessario in termini prioritari;
   ad assumere iniziative per ridurre gradualmente e secondo obiettivi definiti e programmati il divario infrastrutturale nel settore dei trasporti e della logistica tra le regioni del Sud Italia e quelle del Centro-nord, con particolare riferimento alla rete autostradale e ferroviaria;
   a monitorare e garantire il rispetto degli obiettivi e dei tempi di realizzazione prefissati per la realizzazione delle opere strategiche per il Sud con particolare riferimento alla rete ferroviaria di alta velocità tra Bari e Napoli ed alla tratta autostradale Salerno-Reggio Calabria;
   a valutare l'opportunità di prevedere iniziative per l'incremento del fondo di finanziamento ordinario per le università tenendo in debita considerazione, ai fini della distribuzione delle risorse, della necessità da parte delle università del Sud Italia di colmare un evidente divario rispetto a quelle del Nord relativo alle infrastrutture e alle offerte formative;
   a valutare l'opportunità di istituire una commissione di esperti presso il Miur, che coinvolga anche i rappresentanti delle università del Sud Italia, per monitorare e valutare gli effetti degli attuali criteri di ripartizione delle risorse pubbliche tra le università del nord e del sud Italia per eliminare le cause che hanno penalizzato il sistema universitario meridionale e rivalutare conseguentemente i criteri di distribuzione delle risorse del fondo di finanziamento ordinario affinché possa risultare utile anche a colmare il divario che si è aggravato negli ultimi anni;
   a garantire lo sviluppo nel settore dell'edilizia scolastica meridionale in particolar modo monitorando, e dove possibile, accelerando gli interventi già previsti dalle linee di finanziamento volte alla costruzione di nuovi edifici, alla ristrutturazione e alla messa in sicurezza completa di quelli esistenti, alla eliminazione delle barriere architettoniche, alla rimozione dell'amianto nonché a garantire lo sviluppo delle strutture in senso sostenibile ed ecoefficiente;
   a prevedere iniziative per l'incremento degli investimenti pubblici per la promozione e la valorizzazione, secondo programmi definiti ed integrati, del patrimonio culturale, artistico e turistico delle regioni del Mezzogiorno adottando adeguate politiche che siano volte allo sviluppo dell'economia turistica meridionale ed alla creazione di reti e percorsi tematici anche di interesse sovraregionale;
   a programmare investimenti pubblici volti a migliorare la rete ed i servizi di welfare al fine di aumentare i livelli assistenziali per i cittadini meridionali con particolare riferimento a quelli che vivono in condizioni di povertà assoluta, prevedendo entro il 2016 un'attività di monitoraggio e verifica dei livelli essenziali di assistenza in ambito sanitario;
   a prevedere iniziative per favorire, promuovere e tutelare le produzioni agricole di qualità tipiche delle regioni del Mezzogiorno attraverso l'individuazione e l'utilizzo di fondi europei e statali e lo sviluppo di programmi adeguati al fine di sviluppare l'economia di settore e le relative esportazioni dei prodotti;
   a monitorare lo stato di efficienza e le presenze di attività imprenditoriali nelle aree industriali del Mezzogiorno e la loro attrattività in termini economici e logistici per elaborare un piano integrato di interventi per la messa in rete e sviluppo delle stesse che abbia come finalità la ricerca di potenziali investitori interessati ad insediarvi attività industriali;
   ad assumere iniziative per istituire zone economiche speciali nel Mezzogiorno in aree effettivamente già predisposte e funzionali ad attrarre investimenti, quali il porto di Taranto, Cagliari e Gioia Tauro, da parte di grandi gruppi internazionali operanti nel settore della logistica e dell'indotto;
   a monitorare e a garantire il buon andamento e lo sviluppo degli interventi previsti dal nuovo programma operativo nazionale legalità 2014-2020 affinché risultino effettivamente utili a ridurre l'influenza della criminalità organizzata nelle regioni del Sud e a favorire la diffusione della legalità nelle aree ad alta esclusione sociale, nonché a valutare l'opportunità di prevedere nuovi investimenti pubblici volti all'aumento della pubblica sicurezza nel Mezzogiorno;
   ad affrontare in modo specifico la questione della continuità territoriale sarda e del nuovo modello di sviluppo della Sardegna, affinché si possa consentire il superamento delle logiche assistenziali, costruendo azioni virtuose di sviluppo endogeno, coerenti con la naturale vocazione del territorio.
(1-01118) «Matarrese, Monchiero, D'Agostino, Vargiu, Dambruoso, Antimo Cesaro, Vecchio».


   La Camera,
   premesso che:
    gli ultimi rapporti sul Mezzogiorno rivelano che, nel Paese, la coesione economica, sociale e territoriale non è una realtà, a causa del persistente divario fra l'economia del Centro-Nord e delle regioni meridionali, fatto che, come sostiene l'Eurostat, rappresenta anche un ostacolo alla ripresa economica dell'economia italiana, che appare lenta rispetto all'area dell'Unione europea;
    il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, all'articolo 174, stabilisce che per promuovere uno sviluppo armonioso dell'insieme dell'unione, questa sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale. In particolare, l'Unione mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite;
    il comma 6 dell'articolo 119 della Costituzione della Repubblica italiana prevede che, per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati comuni, province, città metropolitane regioni;
    secondo il Libro bianco dell'Unione europea – COM(2011) 144 definitivo – sulla «Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti – Per una politica dei trasporti competitiva e sostenibile», l'infrastruttura determina la mobilità ed inoltre non è possibile realizzare cambiamenti di grande portata nel mondo dei trasporti senza il sostegno di una adeguata rete e un uso più intelligente della stessa. Globalmente, gli investimenti nell'infrastruttura di trasporto hanno un impatto positivo sulla crescita economica, creano ricchezza e occupazione e migliorano gli scambi commerciali, l'accessibilità geografica e la mobilità delle persone, ma devono essere pianificati in modo da massimizzarne l'impatto positivo sulla crescita economica e da ridurne al minimo le conseguenze negative per l'ambiente;
    dall'analisi regionale delle opere del programma di attuazione della legge obiettivo (legge n. 443 del 2001) riportata nel 9o rapporto per la VIII Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati, n. 157/1 del marzo 2015, si evince che il valore complessivo delle opere di cui all'allegato infrastrutture, alla Nota di aggiornamento del DEF 2014, al 31 dicembre 2014, è pari a poco più di 285 miliardi di euro, di cui il 67,4 per cento (192 miliardi e 137 milioni di euro), per opere che interessano le regioni del Centro-Nord e il 31,7 per cento (90 miliardi 469 milioni di euro) per opere nell'Italia meridionale, con uno 0,9 per cento di opere non ripartibili (2 miliardi e 577 milioni di euro), a fronte di una superficie pari, rispettivamente, al 59,2 per cento e al 40,8 per cento e ad una distribuzione della popolazione residente pari al 65,6 per cento e al 34,4 per cento in base ai dati demografici Istat aggiornati al 1o gennaio 2014. Nel precedente rapporto, le quote di competenza territoriale rispetto agli interventi presenti nella tabella 0 dell'11o allegato infrastrutture alla Nota di aggiornamento del DEF 2013, trasmesso al Parlamento il 30 settembre 2013, erano rispettivamente del 67,3 per cento per le opere che interessano le regioni del Centro-Nord, del 32,1 per cento per le opere del Mezzogiorno, con uno 0,6 per cento di opere non ripartibili. In totale, i costi delle infrastrutture strategiche espressi in variazioni assolute sono passati da 233 miliardi di euro per 228 infrastrutture nel 2004 a 383 miliardi di euro al 31 dicembre 2014 per 419 opere infrastrutturali, con una variazione del 64,5 per cento, rispetto al 2004;
    dal medesimo rapporto si apprende che tra le infrastrutture strategiche del Mezzogiorno, finanziate con le risorse della «legge obiettivo» e approvate dal Cipe vi sono soprattutto le strade come l'autostrada Salerno-Reggio Calabria (circa 2 miliardi di euro previsti Fondi Legge Obiettivo) e il Megalotto 3 della SS 106 Jonica (698 milioni) per un importo totale di 2,7 miliardi e quindi il 62 per cento dei 4,3 miliardi assegnati a infrastrutture localizzate nell'Italia meridionale;
    gli interventi approvati dal CiPE alla fine del 2014 ammontano nel Centro-Nord a quasi 113 miliardi di euro, 11 miliardi in più rispetto all'ottobre del 2013, nel Mezzogiorno il costo delle opere ammonta a circa 36 miliardi di euro, quasi un miliardo in meno dell'anno precedente. Nelle regioni centro-settentrionali gli interventi deliberati dal CIPE rappresentano il 58,6 per cento di quelli previsti nell'allegato al DEF, mentre nel Mezzogiorno si fermano ad appena il 39,5 per cento. Inoltre, le opere con delibera Cipe ultimate nel Centro-nord sono il 38,4 per cento di quelle ultimate nell'Allegato DEF, e solo il 20,9 per cento nel Mezzogiorno;
    l'Allegato infrastrutture al DEF 2015 presenta alcune novità rilevanti che rispondono a esigenze da tempo emerse a livello europeo e nazionale, il documento, opera una significativa riduzione del numero delle opere strategiche identificando 25 opere prioritarie, per un costo totale di 70,9 miliardi di euro e coperture finanziarie pari a 48 miliardi di euro. Tali opere infrastrutturali prioritarie sono state selezionate – ai sensi di quanto disposto dal comma 1-bis dell'articolo 161 di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006, inserito dall'articolo 41, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011 – sulla base di una valutazione di coerenza con l'integrazione con le reti europee e territoriali, dello stato di avanzamento e della possibilità di prevalente finanziamento con capitale privato;
    il programma delle infrastrutture strategiche (PIS) 2015 – nella individuazione di quelle opere che possono essere definite le «priorità delle priorità» su scala nazionale presenta, altresì, alcune criticità importanti quali la totale mancanza, tra le priorità indicate, di interventi nei settori portuale, aeroportuale e interportuale (le cosiddette piastre logistiche), che rivestono un ruolo rilevante per la funzionalità logistico-infrastrutturale del Paese; l'incertezza delle prospettive di utilizzo della «leva» prevista dal piano Juncker per infrastrutture a livello nazionale, mentre risultano praticamente inesistenti per situazioni di ritardo strutturale come il Mezzogiorno; una programmazione dei TEN, già impostata su una limitata attenzione al Mezzogiorno, di cui potranno beneficiare solo gli interventi nel Centro-nord e con limitati effetti nelle regioni meridionali riferibili a programmi tecnologici disinteresse nazionale; un eccessivo sbilanciamento sulle priorità di intervento localizzate nel Centro-nord (circa 2/3 dei costi totali di investimento) ed una conseguente marginale attenzioni) al Mezzogiorno; la deficitaria capacità di spesa delle risorse provenienti dai Fondi Strutturali dell'Unione europea (destinati soprattutto al Sud), con forti rischi di inutilizzo dei residui 2007-2013 e di incertezze sui nuovi stanziamenti 2014-2020 (in particolare per le risorse nazionali del Fondo sviluppo e coesione);
    dall'analisi del PIS 2015, pertanto, appaiono persistere i fenomeni di marcato squilibrio nella dotazione infrastrutturale tra le varie macro-aree del Paese: si ricorda che, per ciò che concerne il settore ferroviario, rispetto a un'estensione delle linee in esercizio pari a circa il 65 per cento dell'intera rete nazionale, nelle regioni più sviluppate sono collocate circa il 76 per cento delle linee a doppio binario ed elettrificate. Nelle regioni meno sviluppate, invece, sono collocate il 21 per cento delle linee, ma solo il 25 per cento (delle linee elettrificate e il 20 per cento di quelle a doppio binario. In Sicilia, in particolare, si registra una grave mancanza di offerta di servizi veloci regionali di collegamento tra i vari capoluoghi – su una rete ferroviaria di 1378 chilometri, infatti, soltanto 178 chilometri sono a doppio binario e ben 1200 chilometri a binario semplice – la Sicilia può contare su 800 chilometri di linee elettrificate (di cui 178 chilometri a doppio binario e 622 chilometri a binario semplice) ed addirittura 578 chilometri di linee non elettrificate;
    sono numerosi i problemi di gestione della rete ferroviaria esistente e le criticità infrastrutturali: a mero titolo esemplificativo si ricorda che, in data 25 febbraio 2013, a causa di continui smottamenti sui binari, viene chiusa la tratta ferroviaria Trapani-Alcamo, Via Milo; nel 2003 erano stati stanziati 300 milioni di euro per l'ammodernamento e la velocizzazione della ferrovia Palermo-Trapani e, a distanza di dodici anni circa, tale opera viene inserita nel decreto-legge «Sblocca Italia» per un importo di 491 milioni di euro e risorse finanziarie pari a 2 milioni soltanto;
    situazione molto simile anche per il settore stradale: la rete stradale italiana si estende per oltre 180.000 chilometri di cui circa 6.700 di autostrade e 19.800 di strade statali. Da un punto di vista territoriale, l'Italia Settentrionale ha la maggiore dotazione di Autostrade sia rispetto alla popolazione (chilometri 1,25 ogni 10.000 abitanti), sia rispetto alla superficie (chilometri 2,90 ogni 100 chilometri quadrati) e sia rispetto ai mezzi in circolazione (chilometri 2,06 ogni 10.000 autovetture) – nel Mezzogiorno, la dotazione autostradale è significativamente inferiore;
    la sistematica sottovalutazione dell'importanza della manutenzione stradale, inoltre, sta mettendo a rischio la stabilità di ponti e viadotti e l'agibilità di molte strade e autostrade, soprattutto nel Sud ed in particolare quelle costruite ai tempi della Cassa del Mezzogiorno: occorre, dunque, incrementare il monitoraggio sullo stato di conservazione di ponti, viadotti e gallerie attraverso un piano di manutenzione straordinaria per intervenire in modo rapido ed efficace sulle infrastrutture che presentano maggiori criticità;
    le infrastrutture destinatarie di altri finanziamenti pubblici, e quindi finanziamenti statali, finanziamenti europei e locali, di Anas e RFI, risale, rispetto ai 115 monitoraggi avvenuti precedentemente, a 33,4 miliardi di euro cui il 53,2 per cento dei complessivi di altri fondi pubblici spetta alle infrastrutture del Centro-Nord contro il 46,3 per cento del Sud-Italia. Il restante 0.5 per cento spetta ai «non ripartibili»;
    secondo quanto evidenziato dal documento di SIPOTRA sui «Sistemi di trasporto nel Mezzogiorno» presentato nel 2015, il sistema infrastrutturale nel Sud Italia risulta decisamente meno infrastrutturato rispetto il resto del Paese ed inoltre il «Mezzogiorno» ha soprattutto bisogno di una forte spinta alla coesione interna, sostenuta da migliori collegamenti inter-regionali e inter-urbani e da una maggiore integrazione fra i nodi urbani e metropolitani. Inoltre, nel rapporto, spazio è riservato in merito all'accessibilità all'infrastruttura riportando alcuni dati e nozioni. Infatti l'accessibilità all'infrastruttura è una pre-condizione per l'obiettivo Unione europea di coesione economica, sociale e territoriale per una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva, così come riportato dalla Commissione Europea nel 2010 in merito a «Europa 2020» ed inoltre nel 2013, la Commissione Europea pone, tra gli altri, un obiettivo specifico entro l'anno 2050 e quindi che, progressivamente, la grande maggioranza dei cittadini e delle imprese europei non disti più di 30 minuti di viaggio dalla rete TEN-T. Inoltre l'accordo di partenariato Italia-Unione europea del 2014 pone l'obiettivo di accesso rapido (si intendono 30 minuti) alle imprese agricole o mercati contadini, mentre attualmente è agevole solo per il 12,7% della popolazione italiana. Infine nel rapporto « UK connectivity» (UK Department for Transport, 2014) su i tempi di accesso massimi ai nodi stradali, ferroviari ed aeroportuali, posta l'accessibilità media dell'Unione europea uguale al valore «100», si evince che tutte le regioni del SUD hanno un valore inferiore a «70»;
    risultano preoccupanti al fine della coesione economica, sociale e territoriale, i dati che SIPOTRA rivela in merito al gap infrastrutturale del Sud rispetto al resto d'Italia; nel Sud Italia vi sono il 25,7 per cento delle autostrade presenti sul territorio nazionale e il 25,6 per cento delle linee ferroviarie convenzionali ed il 13,4 per cento di quelle alta velocità;
    l'inadeguatezza del network infrastrutturale e la frammentarietà dell'approccio al problema traspare piuttosto chiaramente dal quadro nazionale disomogeneo; infatti, esaminando la posizione delle regioni italiane nella classifica europea della dotazione infrastrutturale, sulla base delle elaborazioni Isfort-Ufficio Studi Confcommercio su dati Espon 2013, «si avverte, dunque, un chiaro senso di inferiorità del Paese circa la propria dotazione infrastrutturale, in generale, e trasportistica, in particolare». Nella classifica della dotazione infrastrutturale delle 270 regioni d'Europa, la prima regione d'Italia è la Lombardia al 44o e l'ultima è la Sardegna al 231: Lazio al 67, Piemonte al 70, Veneto all'80, Liguria al 90, ma poi Campania al 112, Abruzzo al 144, Marche al 154, Puglia al 171, Molise al 177, Basilicata al 184, Sicilia al 194, Calabria al 211;
    incide altresì l'indice di accessibilità regionale in Italia che va dal Piemonte al 70,6, dalla Lombardia al 68,4, dal Veneto al 63,8, alla Puglia al 49,8, alla Basilicata 38,7, alla Sardegna 32,3: i livelli di accessibilità scendono da Nord verso Sud. Una maggiore accessibilità attiva e passiva del territorio meridionale potrebbe contribuire – se non ad annullare tale distanza – quanto meno a ridurne la dimensione. Migliori livelli di accessibilità consentirebbero una riduzione del costo del trasporto con alcuni rilevanti effetti non solo sulle singole imprese, ma anche sul livello di competitività del Mezzogiorno;
    la constatazione dell'inadeguatezza infrastrutturale, della scarsa accessibilità materiale e digitale impone di individuare alcuni assi strategici intorno ai quali migliorare la capacità dell'offerta complessiva di trasporto anche grazie all'evoluzione digitale verso nuovi scenari del trasporto sostanzialmente più «leggeri», in cui la tradizionale dimensione «pesante» della mobilità legata alle opere ed ai mezzi cede progressivamente il passo alla dimensione «immateriale», cosiddetto «Infostruttura», che riguarda la progressiva integrazione delle moderne tecnologie dell'informazione e della comunicazione nel mondo dei trasporti);
    nel piano operativo nazionale «Infrastrutture e reti», relativo al prossimo ciclo di finanziamenti europei 2014-2020, (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, programma operativo nazionale «Infrastrutture e reti» regioni meno sviluppate 2014-2020, settembre 2015) tra le azioni prioritarie è stato inserito lo sviluppo di sistemi di trasporto intelligenti al fine di promuovere interventi che mirano all'ottimizzazione della filiera procedurale e doganale attraverso l'integrazione delle piattaforme telematiche dedicate da ciascun attore di tale filiera;
    secondo i dati ANAS la regione Basilicata, di cui Matera è stata designata Capitale europea della cultura 2019, è interessata da 25 lavori in corso di cui 3 nuove costruzioni e 22 di manutenzione straordinaria per un importo totale di 135.005.090,08 euro (IVA esclusa). Le strade statali Basentana (n. 407) e Bradanica (n. 655) sono due collegamenti viari fondamentali per la Basilicata, una regione che versa in un forte stato di isolamento, priva di infrastrutture e collegamenti in grado di assicurare una adeguata mobilità regionale e interregionale. Nell'ultimo documento di economia e finanza 2014-2015 oltre alla strada statale «Jonica» e alla autostrada Salerno-Reggio Calabria, non è stata indicata nessun'altra opera per la Basilicata. Inoltre, secondo il rapporto Pendolaria 2014, la Lucania resta fanalino di coda in un sistema di trasporti ferroviario, quasi inesistente, vessato da costanti disagi e tagli dei servizi, solo nell'anno precedente pari all'11 per cento. L'importanza delle strade statali 407 e 655 deriva quindi dal fatto che il collegamento viario sia nella quasi totalità dei casi, l'unico modo per spostarsi fuori e dentro una regione in cui non è neanche assicurata l'intermodalità tra gli stessi esigui servizi di trasporto pubblico locale;
    i percorsi ciclabili in Italia potrebbero essere in grado di offrire ai turisti elementi sempre più ricercati nell'ambito del «turismo green» grazie agli straordinari paesaggi e alle città d'arte, con un patrimonio storico e architettonico di primo ordine nonché gli innumerevoli siti archeologici e splendidi borghi antichi;
    la Federazione europea dei ciclisti (ECF) sta coordinando lo sviluppo di una rete di piste ciclabili di alta qualità che collegano l'intero continente. I percorsi possono essere utilizzati da cicloturisti a lunga distanza, oltre che dalla popolazione locale che fanno corse giornaliere. EuroVelo attualmente comprende 14 rotte e si prevede che la rete sarà sostanzialmente completa entro il 2020. Gli obiettivi di EuroVelo sono: promuovere uno sviluppo economico, ambientale e turistico socialmente sostenibile; migliorare la qualità degli itinerari EuroVelo in tutti i paesi europei partecipanti; promuove la firma uniforme dei percorsi EuroVelo in conformità con gli standard pubblicati; offrire a livello europeo informazioni sui percorsi e piste ciclabili EuroVelo in ambito nazionale; sostenere lo sviluppo di centri di coordinamento nazionali sui percorsi nazionali di EuroVelo promuovere lo scambio di esperienze e di buone pratiche tra gli Stati e le regioni europee, stimolando le strategie sulla mobilità sostenibile e relative infrastrutture di alta qualità;
    Bicitalia rappresenta un network di grande respiro, di dimensione sovraregionale o di collegamento con i paesi confinanti (EuroVelo), sul modello delle diverse reti ciclabili ormai realizzate con successo in diversi Paesi dell'Europa;
    in data 5 novembre 2015 la Commissione europea ha avviato una nuova iniziativa per stimolare gli investimenti in Europa indicendo il secondo invito a presentare proposte del meccanismo per collegare l'Europa (Connecting Europe facility – CEF) con una dotazione di circa 7,6 miliardi di euro destinati a finanziare progetti chiave nel campo dei trasporti. 6,5 miliardi di euro sono destinati a progetti negli Stati membri ammissibili a fruire del Fondo di coesione dell'Unione europea al fine di permettere una maggiore integrazione dei Paesi nel mercato interno;
    oltre allo stato di arretratezza delle infrastrutture nel Sud, è interessante esaminare gli ultimi rapporti Svimez e Istat, che denunciano lo stato grave di arretratezza economica delle regioni del Mezzogiorno, dove la disoccupazione giovanile si attesta al 44 per cento, per comprendere il fallimento delle politiche fino ad oggi adottate ed avere una visione generale per valutare gli interventi di politica economica da adottare senza continuità con il passato;
    è interessante analizzare i dati riportati da uno specifico rapporto sul Mezzogiorno, redatto dallo Svimez in collaborazione con l'università degli studi di Napoli Federico II, da cui emerge un quadro preoccupante;
    nel periodo 2011-2014, caratterizzato dalla più grave recessione subita dal Paese, l'impatto delle manovre di correzione, in particolar modo le misure di rigore e di « spending review» adottate già a partire dal 2000 e acuitesi dal 2011, hanno avuto effetti asimmetrici sulle aree del Centro-nord rispetto al Mezzogiorno e hanno contribuito ad ampliare il divario fra l'economia delle regioni del Centro-nord rispetto a quelle del Sud;
    la spesa corrente pubblica, ridottasi nel periodo 2009-2010 in modo omogeneo sul territorio nazionale, ha registrato una contrazione più accentuata al Sud, pari a una media annua di –2,6 per cento rispetto a –1,3 nel Centro-nord nel periodo 2011-2012;
    in Italia alle politiche di rigore di finanza pubblica, iniziate negli anni ‘90 si è aggiunto anche l'orientamento restrittivo della Unione europea in materia di aiuti di Stato alle imprese, che ha fatto registrare una notevole riduzione del sostegno pubblico in Italia, che nel periodo 2007-2012 risultava pari a 0,27 per cento del prodotto interno lordo rispetto alla media europea dello 0,47 per cento;
    si rileva, peraltro, che dal 2008 al 2013 il calo del prodotto interno lordo registrato nel Mezzogiorno è stato del 13,3 per cento a fronte del 7 per cento nel Centro-nord;
    nel quadriennio 2009-2012 si rileva una cospicua riduzione nelle regioni meridionali della spesa per l'istruzione, pari al 14,6 per cento contro l'8,1 per cento nel Centro-nord e della spesa sanitaria nella misura del 6,7 per cento rispetto al 2,9 per cento nel Centro-nord;
    nel periodo 2013-2015 la riduzione della spesa pubblica, al netto delle prestazioni sociali e altre spese correnti, si è ridotta a –6,2 per cento nel Mezzogiorno, mentre nel Centro-Nord a –2,9 per cento;
    nel medesimo periodo la correzione complessiva ha pesato nel Mezzogiorno nella misura del 9,5 per cento rispetto al 6,0 per cento nel Centro-nord;
    nel triennio 2013-2015 l'imposizione diretta media a livello nazionale è pari al 2,3 per cento del prodotto interno lordo ma nelle due macro-aree si è rilevato un 2,8 per cento al Sud contro il 2,1 per cento al Centro-nord;
    nel 2015, i tagli di spesa in conto capitale, con particolare riguardo alle riduzioni delle risorse del Fondo sviluppo e coesione, nel Mezzogiorno sono stati più penalizzanti in rapporto al prodotto interno lordo risultando pari a –2,1 per cento contro lo 0,8 per cento del Centro-nord;
    da quanto sopra esposto si deduce che le politiche economiche attuate sino ad oggi dai Governi, soprattutto nel periodo critico 2011-2015, non sono state né adeguate né risolutive per superare progressivamente il divario dell'economia delle regioni del Centro-nord rispetto a quella meridionale;
    nei recenti documenti di politica economica si è mai evidenziata una fotografia realistica dell'economia dell'Italia a due velocità, peggiorata dal 2011 con le misure restrittive adottate per il rispetto dei parametri europei dettati dal « fiscal compact», infatti nel biennio 2014-2015 la politica economica di rigore ha avuto effetti sostanzialmente neutrali nel Centro-nord, mentre nel Mezzogiorno i tagli alle spese in conto capitale hanno esercitato un effetto depressivo sull'economia meridionale, amplificandone il divario con il Centro-nord;
    anzi le precedenti politiche economiche sono andate in direzione opposta, visto che dal rapporto emerge che l'aggregato di spesa per investimenti e per il sostegno alle imprese dal 2001 si è ridotta del 20 per cento al Nord e del 33,7 per cento nel Mezzogiorno;
    anche il DEF 2015 e le correlate misure adottate per il sud dal Governo nella legge di stabilità per il 2016 non sono supportate da una visione realistica d'insieme sull'arretratezza dell'economia meridionale;
    dai rapporti Svimez emerge la fotografia di una economia meridionale drammaticamente peggiorata, dati che però non sono contemplati nell'ultimo DEF 2015, che risulta uno strumento carente di informazioni sull'economia a due velocità del Paese, mentre sarebbe auspicabile una valutazione dell'andamento degli indici più rilevanti di finanza pubblica differenziati per aree territoriali, nonché la previsione differenziata dell'impatto delle misure economiche nelle diverse aree territoriali, affinché gli interventi di politica economica siano finalizzati al superamento delle asimmetrie economiche fra Centro-nord e Mezzogiorno;
    inoltre, i dati esposti nel DEF non sono elaborati con l'ausilio degli «indicatori di benessere», nonostante da anni è acceso il dibattito sull'esigenza di valutare l'indice di benessere di una collettività e si prende atto dell'insufficienza di adottare a tale scopo solo la crescita della ricchezza di una nazione (PIL), in quanto il totale della produzione di ricchezza di un Paese non dà alcuna informazione sulla qualità della vita della collettività, in merito alla sostenibilità ambientale, alla qualità dei servizi offerti ai cittadini, all'accesso ai servizi, alla parità fra i sessi, al grado di istruzione e alla possibilità di accesso all'istruzione e alla diversa distribuzione della ricchezza interna;
    al contrario, l'utilizzo di indicatori di benessere aiuterebbero a rilevare le diseguaglianze fra le classi sociali nel nostro Paese e il grave fenomeno di diffusione dello stato di povertà e indigenza, nonché la presenza di una spaccatura nel territorio, caratterizzato da aree in cui l'economia è in ripresa ed aree territoriali che sono in stato di regressione economica, con poche speranze di risollevarsi nel medio periodo;
    alcuni importanti studi hanno identificato utili indicatori di benessere quali le analisi dell'economista Kuznets, gli studi dell'OCSE, volti al superamento del PIL come unico indicatore di valutazione del benessere, e che hanno introdotto il Better Life Index;
    inoltre, si ricordano le analisi effettuate nel nostro Paese dall'ISTAT, in collaborazione con il CNEL ed altri organi pubblici, che hanno portato all'adozione del BES (benessere equo e sostenibile),

impegna il Governo

   in materia di infrastrutture e trasporti:
    a) ad assumere ogni iniziativa utile volta a garantire il reale godimento da parte dei cittadini dell'Italia meridionale del diritto alla mobilità anche attraverso lo stanziamento di ulteriori risorse da destinare al ripristino, valorizzazione e implementazione delle linee ferroviarie, comprese quelle considerate a scarso traffico, attraverso lo studio di nuovi programmi di mobilità, favorendo, ove possibile, il trasporto su ferro rispetto a quello su gomma;
    b) ad assumere ogni iniziativa utile volta ad implementare un sistema «a rete», che integri le varie linee ferroviarie e ne consenta un loro utilizzo più efficiente sia in termini di distribuzione dei traffici sia in termini di riduzione dell'impatto ambientale garantendo alla cittadinanza il diritto alla mobilità;
    c) ad adoperarsi affinché venga garantita nell'Italia meridionale una rete di collegamenti ferroviari che permetta ai passeggeri un minor tempo di percorrenza rispetto i tempi di percorrenza della rete stradale;
    d) ad assumere ogni iniziativa utile al fine di elettrificare le tratte ferroviarie dell'Italia meridionale che ancora non sono elettrificate, con particolare riferimento alla tratta Martina Franca – Galliano del Capo;
    e) ad assumere ogni iniziativa utile al fine di realizzare interventi di riqualificazione e valorizzazione delle stazioni passeggeri dell'Italia meridionale;
    f) ad adoperarsi affinché vengano resi efficienti i collegamenti tra le principali direttrici nazionali – autostrade e strade di grande comunicazione – e delle regioni meridionali, assicurando una integrazione modale con porti, aeroporti e stazioni ferroviarie;
    g) ad assumere ogni iniziativa utile volta a realizzare e migliorare i collegamenti dei porti e degli aeroporti dell'Italia meridionale e insulare con la rete ferroviaria, al fine di rendere più funzionale ed efficiente il traffico merci e passeggeri, sviluppando contestualmente la rete dei poli logistici;
    h) ad assumere ogni iniziativa utile volta a finanziare e realizzare con priorità – effettuando, ove risultano mancanti, gli studi di fattibilità con le relative «analisi costi-benefici», prevedendo la partecipazione della cittadinanza, garantendo informazioni puntuali ed una corretta ed accurata valutazione degli impatti ambientali – le seguenti opere infrastrutturali ed i seguenti interventi ed opere di carattere ferroviario: nodo ferroviario di Bari; direttrice sabatica: raddoppio della tratta Termoli-Lesina; tratta ferroviaria Bari-Napoli: (AC); Bari-Lecce, velocizzazione linea ferroviaria, potenziamento tecnologico e soppressione dei passaggi a livello; Bari-Taranto; completamento del raddoppio della linea Bari-Taranto, velocizzazione linea ferroviaria, potenziamento tecnologico e soppressione dei passaggi a livello; Taranto-Metaponto: raddoppio Taranto-Metaponto, soppressione dei passaggi a livello; collegamento ferroviario del porto di Taranto 1A, 4A, 5A sporgente, con la rete nazionale, potenziamento stazione di Cagioni, nuovo scalo ferroviario e suo collegamento alla piattaforma logistica; potenziamenti tecnologici dorsale appenninica (Campania-Basilicata-Calabria), realizzazione dell'alta capacità sulla tratta ferroviaria Salerno-Reggio Calabria e potenziamento della linea Lamezia-Catanzaro Lido; Taranto-Sibari-Reggio Calabria; potenziamento tecnologico e velocizzazione della linea ferroviaria, soppressione dei passaggi a livello; interventi sui nodi urbani di Villa San Giovanni e Messina; tratta ferroviaria Messina-Catania-Palermo (AC), raddoppio tratte Catania-Siracusa, riapertura della linea ferroviaria Caltagirone-Niscemi-Gela chiusa dall'8 maggio 2011, velocizzazione della linea Siracusa-Ragusa-Gela; metropolitana di superficie di Ragusa; velocizzazione linea Palermo-Agrigento; velocizzazione linea Palermo-Trapani; riapertura della linea ferroviaria Alcamo-Trapani via Milo chiusa dal 25 febbraio 2013; nodo ferroviario di Palermo; nodo ferroviario di Catania; riqualificazione e valorizzazione delle stazioni ubicate nelle regioni meridionali e insulari dell'Italia; tecnologie di telecomunicazione (rispondenti al nuovo standard europeo, per la trasmissione mobile fonia/dati tra personale di bordo e impianti di terra, compresa la radiocopertura delle tratte in galleria, anche per le esigenze di comunicazione dei viaggiatori); soppressione passaggi a livello; realizzazione delle opere di «risanamento acustico» mediante la costruzione di barriere antirumore; realizzazione di collegamenti ferroviari con gli aeroporti di Brindisi, di Grottaglie, di Catania e Comiso e realizzazione e finanziamento del «piano per lo sviluppo degli aeroporti strategici-infrastrutture di allaccio» per la regione Calabria;
    i) ad intervenire per verificare insieme ad Anas, autorità di bacino ed enti locali la progettazione delle infrastrutture volte al contrasto del dissesto idrogeologico della Sardegna, della Campania, del Molise, della Puglia, della Calabria, della Sicilia e della Basilicata, al fine di individuare soluzioni definitive al problema;
    l) ad attivarsi presso l'Anas per la messa in sicurezza delle strade meridionali e insulari a gestione diretta dell'ente, anche al fine di ridurne l'incidentalità;
    m) ad assumere ogni iniziativa utile volta a finanziare e realizzare con priorità – effettuando, ove risultano mancanti, gli studi di fattibilità con le relative «analisi costi-benefici» e prevedendo la partecipazione della cittadinanza, garantendo informazioni puntuali ed una corretta e dettagliata valutazione degli impatti ambientali, risolvendo definitivamente ogni problema dovuto al dissesto idrogeologico e definendo in tempi brevi e certi tutti gli interventi necessari – le seguenti opere infrastrutturali: ammodernamento SS.7 – SS.106, prevedendo l'integrazione con la Ciclovia dei Tre Mari; SS.7 e SS.7-ter, «itinerario Bradanico-Salentino» e completamento delle opere incomplete collegate; completamento della A3/asse autostradale Salerno-Reggio Calabria; completamento del corridoio ionico «Taranto-Sibari-Reggio Calabria» – SS.106 «Jonica»; messa in sicurezza della SS.18 (Calabria); completamento della strada del Medio Savuto (Calabria); completamento della SS.96-SS.99 Bari-Matera, SS.407 – Basentana e SS.655 – Bradanica;
    n) ad assumere ogni iniziativa utile al fine di porre in sicurezza, eliminando definitivamente anche i problemi di dissesto idrogeologico per i seguenti tratti stradali: A19 «Palermo-Catania» (crollo viadotto Imera I, crollo Ponte 5 archi e lavori in corso sul viadotto Barratina sino al 12 giugno); SS.643 di Polizzi (cedimento strutturale); svincolo SS.514 di Chiaramonte con la SS.115 «Sud Occidentale Sicula»; Svincolo SS.194 «Ragusana» con la SS.114 «Orientale Sicula»; SS.115 (crollo viadotto Verdura); SS.626 della «Valle del Salso» (crollo viadotto Petrulla e viadotto Geremia II); SS.121 «Palermo-Agrigento»; SS.288 di Aidone (interventi di manutenzione – sino al 10 agosto); SS.417 di Caltagirone (lavori di adeguamento strutturale viadotto Simeto – sino al 31 luglio); SS.615 «Agrigento-Sciacca» (inondazione); SS.188 «Centro Occidentale Sicula» (inondazione); SS.290 di Alimena (frane); SS.640 di Porto Empedocle (colate di fango); SS.120 dell'Etna e delle Madonie (cedimento del rilevato stradale);
    o) ad assumere ogni iniziativa utile al fine di finanziare e realizzare – integrando con le relative infrastrutture già esistenti o in corso di realizzazione, favorendo la più ampia partecipazione della cittadinanza in ambito di pianificazione, garantendo informazioni puntuali – i percorsi EuroVelo e le Ciclovie appartenenti alla rete ciclabile nazionale Bicitalia che sono previste nell'Italia meridionale tra cui: la ciclovia francigena BI3 appartenente alla EuroVelo n.5 nelle parti riguardanti le regioni Campania, Basilicata e Puglia; la Ciclopista del Sole BI1 appartenente alla EuroVelo n.7 nelle parti riguardanti le regioni Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia; la ciclovia adriatica BI6 nelle parti riguardanti le regioni Abruzzo, Molise e Puglia; la ciclovia dei Borboni BI10 che riguarda le regioni Puglia, Basilicata e Campania; la ciclovia degli Appennini BI11 nella parte riguardante le regioni Molise, Puglia, Basilicata, Calabria; la ciclovia dei Tre Mari BI14 che riguarda le regioni Puglia, Basilicata, Campania;
    p) a modificare il progetto esistente al fine di mettere in sicurezza il tratto stradale della strada statale 275 senza ulteriore consumo di suolo;
    q) ad assumere iniziative per stralciare i progetti esistenti e cancellare definitivamente il ponte sullo Stretto di Messina;

   in materia economica e finanziaria:
    a) a valutare l'opportunità di assumere iniziative per modificare lo strumento del DEF, previsto all'articolo 10 della legge n. 196 del 2009, prevedendo che, in sede di programmazione economica e finanziaria, siano utilizzati oltre al prodotto interno lordo, gli «indicatori di benessere», al fine di valutare lo stato di sviluppo dell'economia, in particolare quella meridionale, non solo in termini numerici, ma soprattutto in termini di qualità della vita, per poter indirizzare la politica economica e le misure correlate per il sud al miglioramento del benessere collettivo equo e sostenibile;
    b) in occasione del completamento della riforma del bilancio dello Stato, ad adottare iniziative per la modifica dell'articolo 10 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 «Legge di contabilità e finanza pubblica», recante il contenuto obbligatorio del DEF, inserendo come parte integrante del DEF apposito documento, finalizzato ad evidenziare le diverse proiezioni per il medesimo periodo di programmazione delle previsioni tendenziali e programmatiche dei saldi di finanza pubblica, degli obiettivi in materia di occupazione, innovazione, istruzione, integrazione sociale, sostenibilità ambientale, degli effetti attesi dalle misure economiche previste dal piano nazionale di riforme nelle regioni meridionali, al fine di rilevare gli scostamenti rispetto alle proiezioni nazionali ed indicare le apposite misure di programmazione economica e di bilancio, finalizzate al superamento degli squilibri macroeconomici fra i territori del Centro nord e le aree del Mezzogiorno.
(1-01119) «De Lorenzis, Castelli, Nicola Bianchi, Carinelli, Dell'Orco, Liuzzi, Paolo Nicolò Romano, Spessotto, Caso, Brugnerotto, Cariello, D'Incà, Sorial».


   La Camera,
   premesso che:
    il Mezzogiorno versa da tempo in uno stato di crisi economica che si alimenta anche dell'errore di aver favorito, a livello statale e locale, il proliferare di interventi di tipo assistenzialistico e la dispersione di ingenti risorse in progetti che poi sono risultati inservibili allo sviluppo del territorio, ostacolandone la crescita e rendendolo sempre più dipendente da questi stessi interventi;
    il rapporto Svimez 2015 rivela come negli ultimi tredici anni, dal 2000 al 2013, l'Italia nel suo complesso sia stato il Paese con la crescita più bassa nell'area euro, con il +20,6 per cento, a fronte di una media del 37,3 per cento, ma la situazione è particolarmente critica al Sud dove la crescita è stata inferiore di oltre 40 punti percentuali rispetto alla media delle regioni Convergenza dell'Europa a 28, con il +53,6 per cento;
    lo stesso rapporto denuncia il calo degli investimenti industriali al Sud (in undici anni, tra il 2001 ed il 2012 è stato quasi del 50 per cento): la caduta degli Investimenti fissi lordi dichiara l'impossibilità di realizzare gli ammortamenti e quindi, de facto, la distruzione del capitale da impegnare;
    sul fronte del lavoro il numero degli occupati nel Mezzogiorno, ancora in calo nel 2014, arriva a 5,8 milioni;
    il numero di famiglie povere è cresciuto a livello nazionale, dal 2011 al 2014, di 390 mila nuclei, con un incremento del 37,8 per cento al Sud e del 34,4 per cento al Centro-nord;
    sempre a livello nazionale, nel 2014, il valore aggiunto del manifatturiero è diminuito dello 0,4 per cento rispetto al 2013, quale media tra il –0,1 per cento del Centro-nord e il –2,7 per cento del Sud. Complessivamente, negli anni 2008-2014, il valore aggiunto del settore manifatturiero è crollato in Italia del 16,7 per cento, con un peso maggiore nel Mezzogiorno, contro una flessione dell'area euro del –3,9 per cento;
    il divario del prodotto interno lordo pro capite tra Centro-nord e Sud, tornato ai livelli del secolo scorso, contribuisce a disegnare un quadro economico assolutamente desolante del Mezzogiorno, mettendo in luce il fallimento delle politiche di tipo assistenzialistico che negli anni hanno contribuito ad alimentare ancora di più il divario economico tra Nord e Sud, oltre a comportare una consistente dispersione di risorse;
    il rischio di desertificazione industriale, che è ormai reale in tutto il Paese, acquisisce una forte rilevanza al Sud dove lo stato di arretramento impedisce a quest'area di agganciare la possibile ripresa, con il pericolo che la crisi si trasformi in un sottosviluppo permanente, a danno dell'economia dell'intero Paese;
    a ciò si aggiunge il problema dei pagamenti dei debiti da parte della pubblica amministrazione; secondo un'indagine di Openpolis del 2014, ad un Nord virtuoso nei pagamenti dei debiti con percentuali che si attestano all'88 per cento dei debiti pagati di Treviso (saldati con risorse proprie), seguita da Venezia con l'86 per cento, 47 per cento, Bolzano con l'85,95 per cento, Trento con l'81,10 per cento, Verona con l'80,40 per cento, corrisponde un Centro-Sud fallimentare con Napoli che riesce a pagare solo il 45,37 per cento e Reggio Calabria che addirittura si attesta al 38,76 per cento;
    in fondo alla classifica i Comuni grandi e piccoli della Calabria che, dal 1992 ad oggi, è la regione che ha avuto più dissesti e la regione in cui i cui comuni in difficoltà sono molti più di quelli dichiarati nelle statistiche, i quali, per rinviare la dichiarazione effettiva di dissesto, utilizzano i residui attivi, ovvero i tributi indicati a bilancio come ancora non incassati, trasferiti da un anno all'altro senza essere mai incassati;
    inoltre, esiste per le ragioni commissariate il problema dei pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione che, appunto, non possono essere regolati perché i debiti delle regioni commissariate sono esclusi dal sistema di certificazione del Ministero dell'economia e delle finanze;
    gli interventi contenuti nella legge di stabilità per il 2016 – si auspica – possano costituire una diversa politica per il Sud, caratterizzata da più competitività e sviluppo e meno assistenzialismo;
    finora, infatti, variabili come la mancanza di infrastrutture, l'inadeguatezza dei servizi e l'incertezza di investitori perché ampi territori sono in mano alla criminalità organizzata, hanno portato ad interventi a carattere puramente assistenzialistico, tutt'altro che fruttuosi in termini di sviluppo e rilancio del Mezzogiorno, ma molto esosi in termini di spreco delle risorse pubbliche;
    la vera politica di rilancio passa per un concreto sostegno e implementazione della piccola e media imprenditoria affinché lo sciagurato utilizzo della delocalizzazione di grandi industrie non produca più solo assistenzialismo e cattedrali nel deserto;
    un esempio è dato dal cantiere infinito della Salerno-Reggio Calabria, opera di rilevanza strategica per lo sviluppo del Sud ma ad oggi ancora incompleta non già per insufficienti finanziamenti ad essa destinate, bensì per sperpero di risorse a ripetute perizie di varianti in corso d'opera, ad appalti truccati, e reiterati episodi di corruzione e concussione dei soggetti coinvolti;
    si ritiene, di contro, che l'offerta concreta e reale di opportunità di lavoro veritiere (e non fittizi come l'impiego in LSU-LPU), il completamento delle infrastrutture e l'apertura a nuove linee di comunicazione per volontà di amministratori onesti, meno inclini alla propria rendita e più interessati ad un autentico rilancio del territorio, possa ridurre il peso specifico della criminalità organizzata e rappresentare un'occasione di crescita del Mezzogiorno;
    è impensabile, d'altro canto, proseguire nella logica dei tagli lineari da parte dello Stato centrale per reperire risorse da destinare al Mezzogiorno, né tanto meno è possibile ipotizzare – come qualcuno si diletta a fare – che le regioni più prospere debbano offrire il loro aiuto a quelle economicamente più in difficoltà, perché in tal modo si contribuisce solo ad inasprire il divario socio-culturale tra Nord e Sud;
    sarebbe quindi necessario portare a termine la riforma del federalismo fiscale, premiando i territori più virtuosi e penalizzando chi, invece, gestisce in maniera irrazionale e con sprechi le risorse pubbliche;
    la pubblica amministrazione, infatti, è il fronte sul quale va combattuta la principale battaglia per l'efficienza e il risparmio: il tasso di spreco medio è nell'ordine del 20-25 per cento, il che significa che, se si adottassero pratiche incisive, si potrebbero risparmiare almeno 100 miliardi di euro l'anno;
    gli sprechi della pubblica amministrazione non possono e non devono essere attribuiti soltanto ed esclusivamente alle situazioni patologiche di illegalità e incuria, ma anche nelle situazioni di normalità, a causa di una gestione non ottimale (o meglio non professionale) dell'azione amministrativa. Si parla, ovviamente di situazioni nelle quali la spesa, sebbene utilizzata dagli attori per finalità pubbliche non è impiegata nel modo migliore, più produttivo e più efficace, a causa di un approccio non rigoroso, sul piano del metodo, alla progettazione delle politiche e dei servizi pubblici;
    la riforma del federalismo fiscale segna una svolta senza precedenti nel nostro sistema Stato. Una riforma che contiene un rinnovato corpus volto a definire un sistema di finanza multilivello che declina in modo nuovo ed originale i rapporti tra Stato, autonomie ed Unione europea, al fine di assicurare un coordinamento unitario e coerente non solo della finanza pubblica, ma delle stesse politiche pubbliche che si dipanano oggi tra i diversi livelli di Governo;
    per poter tagliare la spesa in maniera selettiva occorre rispettare un principio basilare che è quello dell'individuazione dei fabbisogni standard e dell'applicazione consequenziale dei costi standard,

impegna il Governo:

   ad attuare efficaci iniziative di contrasto allo spreco della spesa pubblica attraverso un più efficiente impiego di risorse in progetti che siano in grado di garantire un reale sviluppo dei territori del Mezzogiorno, favorendo l'immediata ripresa dei consumi e degli investimenti;
   ad adottare imminenti iniziative normative per dare immediata applicazione sistemica alla disciplina sul federalismo fiscale in merito all'entrata in vigore e alla reale applicazione delle norme relative all'individuazione dei fabbisogni e dei relativi costi standard, al fine di responsabilizzare gli amministratori rispetto agli effettivi risultati raggiunti;
   a relazionare semestralmente alle competenti Commissioni parlamentari sull'attuazione degli interventi previsti nella legge di stabilità per il 2016 per il rilancio dell'economia del Mezzogiorno;
   a relazionare al Parlamento in maniera dettagliata sulle risorse finora impegnate per l'ammodernamento infrastrutturale del Mezzogiorno rapportate all'effettiva realizzazione delle relative opere, con particolare riguardo al corridoio 1 «Palermo-Berlino»;
   ad assumere le opportune iniziative per garantire la realizzazione della banda larga e di tutte quelle infrastrutture minori ma comunque fondamentali per rendere anche il Meridione competitivo.
(1-01120) «Saltamartini, Attaguile, Fedriga, Allasia, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Molteni, Rondini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    è comunemente ritenuto che i grandi eventi sportivi fanno bene all'economia del Paese ospitante in quanto elemento in grado di intensificare il turismo per via di un aumento degli arrivi, delle presenze di stranieri e, dunque, del giro d'affari ad essi connesso;
    campionati del mondo ed olimpiadi rappresentano una ribalta per i Paesi/le città che li organizzano, una vetrina mediatica con un duplice effetto: maggiori incassi è vero, ma anche e soprattutto maggiori risorse pubbliche impegnate per la necessità di ampliare e adeguare le infrastrutture, di riqualificare le aree urbane e rigenerare le periferie, di costruire e/o ammodernare gli impianti sportivi;
    un'analisi relativa alle Olimpiadi invernali di Torino del 2006, pubblicata sul sito di Altroconsumo, riguardo quanto è stato speso, chi è stato a spendere, quanto è stato guadagnato e chi ha guadagnato, conclude che «non è affatto certo che le Olimpiadi si rivelino sempre, perlomeno sotto il profilo economico, un successo. Le risorse investite per organizzare l'evento, prevalentemente di origine pubblica, potrebbero essere destinate a impieghi alternativi caratterizzati da una più elevata redditività. A beneficiare degli investimenti necessari, inoltre, è spesso una ristretta comunità locale, mentre i costi gravano sulla collettività nazionale»;
    è indubbio che le entrate sono sempre sovrastimate, per il presupposto di un'impennata nell'afflusso di turisti e per l'altrettanta ipotesi di una crescita dell'occupazione, ma purtroppo gli eventi passati smentiscono questo ottimismo. Basti considerare le ultime 2 olimpiadi: durante i Giochi Olimpici del 2008, a Pechino erano previsti circa 400.000 turisti, ma ne sono effettivamente giunti 235.000 con una diminuzione di presenze nella capitale cinese del 30 per cento rispetto all'agosto dell'anno precedente; a Londra 2012, il calo è stato del 6,1 per cento rispetto al 2011;
    tali risultati rappresentano le ragioni per cui sempre meno città sono oggigiorno interessate ad ospitare le olimpiadi o altri grandi eventi sportivi e, di conseguenza, sempre meno formalizzano la candidatura. Per i giochi olimpici dei 2024, sono rimaste soltanto in 4. Boston si è tirata indietro per i rischi finanziari eccessivi e la città di Amburgo, nel mese di novembre 2015 – anche essa inizialmente candidata – si è ritirata dalla corsa per l'assegnazione dei giochi a seguito di un referendum cui sono stati chiamati i cittadini della città tedesca, cittadini che poi, grazie al voto referendario hanno respinto la candidatura;
    Roma quindi è in corsa per accogliere il grande evento sportivo per eccellenza e si trova a gareggiare con città quali Parigi, Budapest e Los Angeles;
    si ritiene, pertanto, non solo necessario ma fondamentale garantire un confronto partecipativo con i cittadini che hanno un ruolo fondamentale e dovrebbero poter esprimere la propria volontà prima di assumere la decisione finale relativa all'ipotesi di ospitare i XXXIII Olimpici a Roma nel 2024;
    il presidente del Coni, Giovanni Malagò, ha dichiarato che soltanto la candidatura costerà all'Italia 10 milioni i euro. Le città che negli anni passati hanno ospitato i Giochi Olimpici hanno creato perdite economiche che sono ricadute sui cittadini;
    indubbiamente ospitare le Olimpiadi è un sogno ricorrente di tante città, sia per il messaggio positivo che lo sport trasmette, sia per il rinnovamento delle strutture e la creazione di nuovi posti di lavoro. Tutti processi positivi valutabili e quantificabili nel medio-lungo periodo, e che spesso non giustificano sufficientemente l'investimento stanziato;
    nel momento in cui una città valuta l'opportunità di presentare la propria candidatura, deve includere nelle analisi costi-benefici anche i costi di preparazione;
    un altro aspetto delicato da considerare è la trasparenza e la tempistica della realizzazione delle opere necessarie per i Giochi: Il modello previsionale del Governo e del Comitato Roma 2024 dà per scontato che tali opere saranno portate a termine nella modalità e nei tempi previsti senza alcun aggravio in termini di costi rispetto a quanto già preventivato, ma la valutazione di compatibilità economica presuppone l'osservanza di condizioni di efficienza amministrativa in un clima di trasparente cooperazione istituzionale da parte di tutti i soggetti coinvolti nell'organizzazione dei Giochi;
    la candidatura di Roma dovrebbe valorizzare un importante parco di strutture già esistenti da integrare con nuovi investimenti, dunque il Governo assumersi l'impegno di garanzia della trasparenza e soprattutto candidarsi con l'ottica che i miglioramenti infrastrutturali agli impianti sportivi in essere e la realizzazione di nuovi devono comportare solo effetti positivi sia in fase di realizzazione sia in futuro, cosa che purtroppo guardando agli ultimi grandi eventi sportivi come i mondiali di calcio del ’90 e quelli del nuoto del 2009 – non è stata del tutto garantita e molte strutture di nuova realizzazione sono state dismesse e abbandonate subito dopo il loro impiego con inevitabili costi e disservizi per la comunità cittadina;
    oggi la Capitale non è più rappresentata da un sindaco, ma da un commissario nominato dal Governo, Governo che inoltre ad oggi non ha un Ministro dello sport e nemmeno un rappresentante con delega allo sport;
    la situazione finanziaria e il dissesto delle casse del comune di Roma hanno portato al commissariamento della città e la candidatura per il 2024 rappresenta per i cittadini una forte fonte di preoccupazione in merito alla quantificazione e all'utilizzo delle risorse che si renderà necessario investire al fine di adeguare le infrastrutture sportive e ricettive, quelle relative alla mobilità e rendere così il tessuto urbano in grado di ospitare un evento di tale portata;
    il disavanzo strutturale della città di Roma, infatti, ha portato negli ultimi 3 anni ad un aumento esponenziale della pressione fiscale sui propri cittadini (nel comune di Roma l'addizionale Irpef è la più alta d'Italia), i quali si ritrovano a pagare esose tasse che servono non già a finanziare i servizi erogati, bensì a ripianare i debiti accumulati;
    proprio perché, come già evidenziato, ospitare le Olimpiadi richiederebbe interventi importanti sia dal punto di vista strutturale che finanziario sul territorio urbano e nazionale; risulta, pertanto, fondamentale che i costi di realizzazione, di gestione e manutenzione delle strutture necessarie dovranno essere attentamente valutati sotto il profilo della fattibilità e sostenibilità economico-finanziaria, anche per evitare l'eventuale abbandono o degrado degli stessi al termine dei Giochi Olimpici;
    non sono da sottovalutare i possibili rischi che un simile impegno potrebbe comportare in termini di sprechi di risorse economiche e di interventi errati sul territorio; in questo senso assume importanza fondamentale porre la dovuta attenzione affinché un'occasione di sviluppo non si trasformi in uno spreco di denaro pubblico e affinché non si assista alla lievitazione delle spese rispetto al budget iniziale,

impegna il Governo:

   ad assumere le opportune iniziative di competenza affinché l'eventuale svolgimento delle Olimpiadi nel 2024 a Roma sia oggetto di referendum consultivo comunale, per dare ai cittadini romani la possibilità di decidere sulla candidatura Olimpica 2024 mediante un voto referendario che consenta loro una partecipazione diretta, quindi effettiva e democratica;
   ad assumere iniziative per redigere e rendere pubblico ed accessibile un dossier con l'indicazione di un piano dei costi certi, comparati ai presunti benefici, da parte del Comitato Olimpico Roma 2024 per una valutazione attenta dei costi e dei benefici legati all'operazione nel suo complesso;
   a garantire l'assoluta trasparenza e legalità di ogni atto finalizzato alla candidatura e ad effettuare studi sulla compatibilità economica, alla luce delle scarse risorse disponibili sia nel bilancio pubblico che in quello municipale, per ottenere la candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024;
   ad assumere iniziative per nominare una Commissione nazionale anticorruzione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l'integrità sui contratti pubblici di lavoro, servizi e forniture;
   a porre in essere una campagna informativa per il Paese e per i cittadini romani sullo stato di avanzamento degli studi di fattibilità, anche mediante la pubblicazione degli stessi in un apposito sito web;
   a presentare al Parlamento, un elenco dettagliato delle esigenze infrastrutturali connesse all'evento sportivo, con le relative stime dei costi, e un altrettanto dettagliato elenco degli interventi, in termini di maggiori e migliori servizi ai cittadini, che potrebbero attuarsi impegnando le medesime risorse.
(1-01121) «Saltamartini, Attaguile, Fedriga, Allasia, Borghesi, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Rondini».


   La Camera,
   premesso che:
    poco più di un anno fa, nel novembre 2014, dopo che aveva suscitato grande clamore la pubblicazione del rapporto annuale dello SVIMEZ sulla condizione del Mezzogiorno, nell'Aula della Camera si è svolto un importante dibattito su tale tema;
    le mozioni presentate in quell'occasione, e per larghissima parte approvate dal Governo, non hanno, tuttavia, trovato neanche parziale attuazione nel tempo passato da allora;
    analogo dibattito su mozioni presentate sul tema del Mezzogiorno si è svolto appena sei mesi più tardi, nell'aprile dello scorso anno;
    la continua calendarizzazione di atti di indirizzo aventi ad oggetto la difficile questione meridionale si dimostra in modo evidente come il tentativo di questo Governo di tacitare le istanze che da quelle Regioni provengono con sempre maggiore urgenza e drammaticità, senza, al contrario, assumere alcuna iniziativa concreta capace di rilanciare quel territori;
    nello scenario economico italiano, aggravato dalle conseguenze della crisi finanziaria, continua a porsi in primo piano la questione di un Paese ancorato a due differenti velocità di sviluppo, la cui più diretta evidenza sono sia l'inasprimento del divario e delle divergenze tra le regioni settentrionali e quelle meridionali, sia le diseguaglianze interne alle stesse aree del Mezzogiorno;
    è un dato di fatto che le regioni del sud del nostro Paese hanno subito con molta più forza i segni della crisi economica, e lo evidenziano i dati relativi alla disoccupazione giovanile, come anche quelli relativi al reddito e alla povertà;
    le cause primarie possono essere rinvenute in una condizione complessiva del Mezzogiorno che è data dalle infrastrutture, dall'impianto economico produttivo, dalla crisi imprenditoriale, e che rende questi territori particolarmente vulnerabili;
    il rapporto SVIMEZ sull'Economia del Mezzogiorno del 2014 ha rilevato che: «Il lascito della peggiore Crisi economica dal dopoguerra è un Paese ancor più diviso del passato e sempre più diseguale. La flessione dell'attività produttiva è stata molto più profonda ed estesa nel Mezzogiorno che nel resto del Paese. Come temuto, gli effetti appaiono non più solo transitori ma strutturali: cambia la struttura produttiva, con un peso dell'apparato industriale sempre minore; la forte riduzione degli investimenti diminuisce lo stock di capitale, che non venendo rinnovato perde in competitività; le migrazioni e i minori flussi in entrata nel mercato del lavoro contemperano la riduzione di possibilità di occupazione. Il Mezzogiorno appare collocarsi in un equilibrio statico di minore produttività, minore occupazione e quindi, inevitabilmente, minore benessere»;
    la distanza tra il Centro-Nord e il Sud non si limita al prodotto interno lordo pro-capite, ma a tanti altri indicatori, come la continua migrazione delle forze giovanili verso altri regioni e verso l'estero, l'elevato numero di giovani che abbandonano gli studi (25,5 per cento contro il 16,8 per cento del Centro-nord), gli studenti con scarse competenze in lettura e matematica (14,2 per cento rispetto al 7 per cento del Centro-nord), l'irrilevante capacità di attrazione di investimenti dall'estero, il peso ancor maggiore rispetto al resto del Paese della burocrazia, dell'inefficienza istituzionale, della corruzione, della lentezza giudiziaria, dell'economia sommersa, sinanche del trattamento dei rifiuti;
    II rapporto SVIMEZ presentato il 30 luglio 2015 descrive un Paese diviso e diseguale, dove il Sud scivola sempre più nell'arretramento, con il divario di Pil pro capite che nel 2013 è tornato ai livelli del 2003, il crollo degli investimenti nell'industria, il calo dei consumi delle famiglie e dei tassi di iscrizione all'Università, e nel quale il numero di occupati è sceso sotto la soglia dei sei milioni, il livello più basso dal 1977;
    nel Mezzogiorno d'Italia in cinque anni le famiglie assolutamente povere sono aumentate di due volte e mezzo, da 443 mila a 1 milione e 14 mila nuclei, e le previsioni 2014-2015 contenute nel Rapporto di previsione territoriale SVIMEZ 01/2014 confermano il trend negativo;
    negli anni tra il 2008 e il 2013 l'economia meridionale è calata di circa il doppio rispetto al resto del Paese (-13,3 per cento rispetto al -7 per cento del Centro-nord), mentre negli stessi anni il Mezzogiorno ha subito una caduta dell'occupazione del 9 per cento quattro volte superiore a quella del Centro-nord (-2,4 per cento); dei circa 985 mila posti di lavoro persi in Italia nello scorso sessennio, ben 583 mila sono nel Sud, e l'impatto della caduta dell'occupazione è stato così forte da provocare un crollo dei consumi delle famiglie meridionali di quasi 13 punti percentuali (-12,7 per cento), più del doppio di quello registrato nel resto del Paese (-5,7 per cento);
    inoltre, a dispetto dei deboli segni di ripresa pur registrati in alcune parti d'Italia nel corso del 2013, nello stesso periodo la flessione dell'attività economica si è accentuata in Basilicata (dal -3,7 per cento del 2012 al -6,1 per cento), in Puglia (dal -2,9 per cento al -5,6 per cento), Calabria (dal -2,1 per cento al -5 per cento) e Molise (dal -1,8 per cento al -3,2 per cento) e restano stabili sui livelli negativi dell'anno precedente in Campania (-2,1 per cento rispetto a -2 per cento) e Sardegna (-4,4 per cento rispetto a -4,3 per cento), mentre segnali di attenuazione della crisi rispetto al 2012 si sono avuti solo in Abruzzo (dal -2,7 per cento al -1,8 per cento) e in Sicilia (dal -4,8 per cento al -2,7 per cento);
    al contempo, i tassi di scolarizzazione, già molto inferiori nel Mezzogiorno rispetto al resto del Paese, sono accompagnati da un aumento del tasso di abbandono dovuto alle condizioni di degrado sociale e familiare, mentre negative sono anche le evidenze in termini di «qualità» della formazione, dal momento che gli studenti che terminano la loro carriera accademica hanno notevoli difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro, determinando la cosiddetta fuga dei cervelli e la progressiva desertificazione del capitale umano;
    la ripresa del Mezzogiorno non dipende dall'entità del trasferimenti pubblici ma dal grado di efficienza delle istituzioni e dalla capacità di mobilitare le risorse disponibili, determinando una crescita delle imprese e della loro capacità concorrenziale nei mercati, nonché ristabilendo una capacità di attrazione di capitali esteri, fondamentali nel processo di generazione del reddito oltre ad essere lo specchio della credibilità internazionale di un Paese;
    in questo quadro, i fondi dell'Unione europea, pur mantenendo un ruolo centrale nell'ambito delle politiche di sostegno ad occupazione e sviluppo del territori, non possono costituire l'unica risorsa ma vanno inseriti in un piano più generale, governato da Stato, regioni ed enti locali, al fine di un migliore e più spedito impiego delle risorse disponibili;
    negli anni l'esistenza di distorsioni e malfunzionamenti all'interno del sistema a supporto delle attività produttive, ha dato luogo alla riforma di alcuni degli strumenti esistenti e alla creazione del fondo unico per le aree sottoutilizzate (FAS), secondo una linea guida di concentrazione, basata sulla riduzione delle risorse e la loro rassegnazione a poche e selettive politiche di sviluppo funzionali al raggiungimento di obiettivi nel lungo periodo, nel tentativo di «responsabilizzare» le imprese sulla qualità degli investimenti proposti e garantire una ricaduta efficace sul tessuto produttivo locale in termini di occupazione;
    tra le regioni meridionali, particolare attenzione merita la Calabria, che sta vivendo una crisi dell'occupazione particolarmente significativa che la condanna al record europeo di disoccupazione giovanile;
    i dati ufficiali dicono, infatti, che nella regione il 65 per cento dei giovani sotto i 25 anni non trova lavoro, contro la media nazionale del 26,2 per cento, ed europea del 17 per cento, che il tasso di disoccupazione femminile è al 41 per cento, mentre il dato relativo alla disoccupazione totale è pari al 17,3 per cento, con un incremento annuo di quasi il sei per cento; al contrario, il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni è il più basso tra le regioni italiane, attestandosi poco sopra al 37 per cento a fronte di una media nazionale del 55,1 per cento;
    la Calabria detiene altresì il triste primato del lavoro nero e irregolare, che sfiora il ventotto per cento, con una differenza di circa venti punti percentuali rispetto alla regione d'Italia più virtuosa in questo campo;
    secondo l'istituto di indagine Demoskopika, in Calabria nel 2013 poco più di 386 mila nuclei familiari – per un totale di quasi un milione di persone – vivevano in condizione di disagio economico, il che equivale a dire che circa il 48,3 per cento delle famiglie calabresi versa in uno stato di quasi o totale indigenza socio-economica;
    in modo analogo, anche la Campania ha visto negli ultimi anni un costante aumento della povertà e della contrazione della capacità di spesa della popolazione, che sta determinando uno stravolgimento del tessuto sociale;
    la base economica della Campania è stata gravemente condizionata e ridimensionata per effetto di fenomeni di crisi, contrazione produttiva e chiusura d'impianti che trovano la prima e più evidente espressione nella crescita abnorme del ricorso agli ammortizzatori sociali, che è più che triplicato;
    la mortalità aziendale che, nelle condizioni attuari, è arrivata a compromettere anche segmenti tradizionali e imprese di punta del sistema produttivo campano, rappresenta non solo un elemento che ha ricadute drammatiche dirette e indirette sull'occupazione e sull'offerta ma, soprattutto, può pregiudicare seriamente la capacità di ripresa futura dell'economia regionale;
    in Campania, peraltro, pesano in modo particolare anche le difficoltà di bilancio di Napoli, ulteriormente aggravate dal taglio dei trasferimenti dal Governo centrale, e che compromettono seriamente il suo enorme patrimonio archeologico, architettonico e storico, come le impediscono di svolgere il suo ruolo come punto di riferimento per un vasto retroterra e come avamposto strategico al centro del Mediterraneo, lasciando scivolare la città sempre più verso il declino, testimoniato dalla perenne emorragia di residenti;
    la valorizzazione e il rilancio del Meridione d'Italia non possono prescindere dal rilancio del settore turistico, posto l'immenso patrimonio artistico, architettonico e culturale che detengono e che deve essere trasformato in ricchezza vitale attraverso cui creare occupazione, favorire lo sviluppo, applicare all'antico le nuove tecnologie, imprimere a ciò che è statico la velocità della modernità, aggiungere a ciò che è locale la dimensione della globalità;
    in questo ambito appaiono di fondamentale importanza sia il sostegno dell'imprenditoria legata al turismo, sia la tutela e la salvaguardia dei prodotti tipici e delle tradizioni locali di cui proprio il Meridione è così ricco, sia la salvaguardia ambientale e paesaggistica e il contrasto dell'abusivismo edilizio, anche attraverso un processo di riqualificazione delle coste realizzato con meccanismi premiali in ordine alla ricollocazione delle cubature;
    la gravissima crisi occupazionale che affligge le regioni meridionali non può essere affrontata solo con i programmi di sostegno ai giovani di derivazione europea, quali garanzia giovani o i progetti NEET, o attraverso il reimpiego o la stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili, soprattutto se si considera che si tratta di una regione con milioni di abitanti e, quindi, con centinaia di migliaia di giovani alla ricerca di un lavoro, ma necessita di interventi mirati e strutturali;
    nel Mezzogiorno bisogna puntare con decisione sullo sviluppo della portualità, migliorando la competitività dei porti, sostenendo il ruolo dell'Italia come hub nel Mediterraneo e piattaforma logistica europea, semplificando le procedure per facilitare il transito di merci e passeggeri, e avviando la creazione di zone con fiscalità di vantaggio in collegamento alla autorità portuali;
    l'analisi delle difficoltà strutturali che opprimono il Sud italiano, sia in termini di struttura produttiva che di assetto istituzionale, evidenzia una situazione complessiva di fragilità che impone la ricerca di radicali elementi di discontinuità nelle politiche di sviluppo;
    appare indispensabile ed urgente disegnare nuove e più efficaci azioni che consentano al Mezzogiorno di intraprendere un percorso di sviluppo, autonomo e responsabile, in grado di valorizzare i tanti elementi positivi comunque presenti in questi territori, al contempo dando nuovo slancio al tessuto economico e produttivo del Mezzogiorno,

impegna il Governo:

   a valutare l'adozione di un piano di azioni coordinate per l'intera area del Meridione, nell'ambito del quale prevedere ed attuare tempestivamente meccanismi di sostegno e di incentivazione, anche attraverso l'impiego di modalità di agevolazione fiscale, mirati a salvaguardare le strutture produttive esistenti e ad attrarre nuovi investimenti;
   ad adottare le iniziative necessarie a combattere efficacemente il gravissimo problema degli abbandoni scolastici, che di fatto priva questi territori anche della possibilità di investire nel futuro attraverso le giovani generazioni;
   ad individuare con rapidità quali comuni, tra quelli che ne abbiano fatto richiesta, abbiano i requisiti per costituire al proprio interno le zone franche urbane di cui alla legge 24 dicembre 2007, n. 244, al fine di rafforzare la crescita imprenditoriale e occupazionale delle micro e piccole imprese;
   ad elaborare un piano di monitoraggio delle risorse destinate dallo Stato e dall'Unione europea al contrasto della disoccupazione e agli altri programmi di sviluppo in favore delle regioni dell'obiettivo convergenza, al fine di verificare che esse siano effettivamente impiegate per i fini previsti e non siano disperse, e al fine di contrastare la lentezza nelle procedure di spesa;
   ad individuare politiche atte alla conservazione e valorizzazione delle risorse naturali delle regioni meridionali, al fine di rilanciare il turismo e la produzione ed il commercio dei prodotti tipici;
   in questo ambito a valutare l'attivazione di procedimenti di sostituzione edilizia, in collaborazione con soggetti privati, volti ad eliminare gli edifici sorti in seguito a fenomeni di abusivismo edilizio e a ripristinare i territori, con particolare riferimento alle fasce costiere;
   a promuovere una rapida individuazione degli interventi infrastrutturali di primaria importanza per il Mezzogiorno, anche ai fini del rilancio turistico, e ad individuare misure per garantire la loro tempestiva realizzazione;
   ad elaborare un programma per la messa in sicurezza, nelle regioni del Mezzogiorno, dei territori e degli edifici, con particolare riguardo a quelli scolastici, di recupero dei centri urbani, attraverso opere di restauro degli edifici storici, per il completamento dei programmi già avviati nei settori dell'edilizia sanitaria, universitarie e carceraria;
   ad adottare le iniziative normative idonee a consentire la creazione di zone con fiscalità di vantaggio nelle aree portuali, con autorità site nelle regioni dell'obiettivo convergenza;
   con particolare riferimento alla Campania, ad adoperarsi al fine di rilanciare i progetti per il centro storico, la metropolitana e il porto di Napoli, per Napoli Est, per l'aeroporto di Salerno, per la valorizzazione e lo sviluppo dell'ex area industriale di Bagnoli e dell'intera area flegrea, nonché per ripristinare e restituire pienamente al pubblico i siti turistici di maggiore importanza, tra i quali Pompei e la Reggia di Caserta.
(1-01122) «Taglialatela, Rampelli, Cirielli, Giorgia Meloni, La Russa, Maietta, Nastri, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    da alcune settimane il Molise è interessato da uno sciame sismico che sta generando particolare apprensione tra la popolazione;
    suddetto sciame in base ai dati dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia è iniziato il 12 gennaio 2016 e in data 16 gennaio ha fatto registrare la scossa di magnitudo più elevata con 4,3 gradi della scala Richter, con epicentro tra Baranello, Vinchiaturo e Campobasso;
    anche in concomitanza con una ondata di maltempo le scuole sono state chiuse alcuni giorni prima di tornare alla normalità;
    nei giorni successivi le scosse sono state molte e di intensità avvertita dalla popolazione e dopo alcuni giorni di attenuazione il fenomeno ha ripreso con scosse che variano intorno al 2 grado della scala Richter;
    secondo gli esperti, ogni anno, in Italia, ci sono in media una trentina di sciami sismici: alcuni durano pochi giorni altri un mese e il 20-25 per cento supera i 30 giorni e c’è un 10 per cento, come nel caso della Garfagnana e del comprensorio del Pollino che superano i 4 mesi;
    anche il sisma dell'Aquila fu preceduto da uno sciame sismico durato moltissimo tempo;
    la zona in cui si stanno ripetendo da giorni scosse di terremoto «è» secondo i sismologi «ad alta pericolosità sismica», come tutta la catena dell'Appennino centro meridionale, anche se questi eventi nell'area di Campobasso non sono stati frequentissimi mentre nell'area molisana di scosse sismiche ce ne sono state spesso;
    nella comunità molisana è ancora vivo il ricordo della tragedia di San Giuliano di Puglia che, nell'ottobre del 2002 costò la vita a 27 bambini nel crollo della scuola e, storicamente, del terremoto del 1805 che colpì Bojano costò la vita ad oltre 5 mila persone;
    lo spettro della faglia del Matese, capace di rilasciare energia per magnitudo anche superiori a 7 punti della scala Richter, vede il mondo scientifico studiare la serie sismica in corso con la massima vigilanza e attenzione;
    secondo i geologi il 70 per cento delle scuole del territorio è a rischio sismico e così buona parte degli edifici pubblici;
    la convivenza con questo fenomeno alimenta preoccupazioni sulla stabilità degli edifici e sulle misure di prevenzione da adottare,

impegna il Governo:

   ad adottare attraverso la protezione civile e tutti gli organi competenti, d'intesa con la regione Molise le seguenti iniziative:
    a) verificare la sicurezza antisismica in via prioritaria degli edifici scolastici e delle strutture ospedaliere della regione nonché di tutti gli edifici e le infrastrutture pubbliche in particolare viadotti, gallerie, dighe;
    b) ed avviare una campagna di informazione sui comportamenti da tenere in caso di sisma, rivolto in particolare alle scuole;
    c) verificare che, in ogni comune, sia stato predisposto e sia operativo un piano di emergenza per affrontare un eventuale grave evento sismico;
    d) stanziare specifiche risorse per l'adeguamento sismico degli edifici pubblici a partire dalle scuole;
    e) finanziare progetti sismologici per il Molise al fine di monitorare la faglia del Matese, coinvolgendo l'università e l'ordine dei geologi.
(1-01123) «Venittelli, Mongiello, Carloni, Cimbro, Covello, D'Incecco, Fedi, Giuliani, Malisani, Oliverio, Porta, Preziosi, Valeria Valente».


   La Camera,
   premesso che:
    il 27 novembre 2015, l'Istat ha pubblicato i dati sul monitoraggio delle nascite relativi all'anno 2014. Lo studio a confermato la recente tendenza del nostro Paese al decremento demografico;
    in particolare, emerge dai dati una forte flessione negativa del tasso di natalità: l'anagrafe ha, infatti, registrato quasi 12.000 nuovi nati in meno rispetto al 2013 e all'incirca 74.000 in meno rispetto al 2008;
    secondo l'ente di ricerca, la media aggiornata di figli per donna è di 1,37 (ancora in diminuzione rispetto a 1,46 del 2010); tale media è di 1,29, se il campione è composto di sole donne italiane. La natalità si è abbassata significativamente anche per le cittadine straniere residenti; si è passati da una media di 2,65 del 2008 a una di 1,97 del 2014;
    tali cifre evidenziano la profonda trasformazione demografica e sociale in atto in Italia – analogamente, peraltro, a quanto accade anche nell'intero continente europeo – caratterizzata dall'accelerazione del processo di invecchiamento della popolazione e da profondi mutamenti della struttura delle famiglie. Parallelamente, gli attuali tassi di natalità non sono considerati sufficienti a garantire il ricambio generazionale. Difatti, se si prendono in esame le coppie di genitori italiani, le nascite sono quasi 86.000 in meno negli ultimi sei anni. Le donne italiane in età riproduttiva sono sempre meno e hanno una propensione ad avere figli sempre più bassa. Le ultime stime evidenziano un dato allarmante: la popolazione femminile in età feconda in soli tre anni è passata dal 45 al 43,6 per cento, perdendo mezzo punto percentuale all'anno (a questo ritmo la popolazione fertile scenderebbe a zero in 90 anni);
    la soluzione alla cosiddetta «questione demografica» non può nemmeno essere rinvenuta nei flussi migratori. Ciò è vero per l'Italia, come per l'intera Europa, o meglio, questa sostituzione di popolazione è possibile, e già viene prevista dai più attenti demografi, che però ne sottolineano il carattere e le conseguenze traumatiche, di vera e propria decadenza di una intera esperienza storica di civilizzazione;
    la sostituzione morbida immaginata dalle consolatorie utopie multiculturali non è possibile per i presentatori del presente atto di indirizzo perché se (e fino a quando) i flussi immigratori non superano determinate soglie dimensionali, anche gli immigrati rapidamente invertono la tendenza: in Italia, la popolazione immigrata è passata da livelli di fecondità largamente superiori alla soglia di ricambio generazionale, a livelli che ne permettono appena il ricambio e tendono ad abbassarsi ulteriormente. In assenza di politiche specifiche, infatti, le coppie straniere incontrano le stesse difficoltà che incontrano le coppie italiane ad avere figli e spesso le madri si trovano nella condizione di non poter scegliere la maternità senza rinunciare al lavoro. Inoltre, gli immigrati non possono essere considerati – in termini di capitale sociale – sostitutivi dei quasi 4,6 milioni di italiani residenti all'estero, una grande percentuale dei quali costituita da giovani talenti che si spostano perché altrove ci sono condizioni per ottenere maggiori gratificazioni;
   i rischi sociali ed economici di queste tendenze non sono ancora adeguatamente valutati dall'opinione pubblica e dalle stesse istituzioni politiche che hanno, finora, dedicato a questo tema un'attenzione molto parziale ed iniziative sporadiche;
    tralasciando l'essenziale ruolo di coesione sociale della famiglia, colpisce che tutto il dibattito, ormai pervasivo sulla crescita economica, sottovaluti clamorosamente il tema demografico. Eppure, analisi economiche, ormai consolidate, evidenziano come una popolazione giovane, in crescita nel numero, nella collocazione sociale e nel livello di coscienza di sé, sia un fattore essenziale per la riproduzione di quel capitale sociale qualificato richiesto dall'economia della conoscenza, ma sia anche la base necessaria di un adeguato livello di domanda di beni e servizi e quindi di tenuta e sviluppo del mercato. Al contrario, l'invecchiamento demografico rappresenta un vero e proprio freno ad una crescita duratura, sia dal lato del calo della produttività, che da quello dell'aumento della spesa pubblica incomprimibile: la crescita percentuale di anziani e pensionati, infatti, è destinata a pesare come un macigno sulle principali voci del bilancio pubblico. Si parla a questo proposito di «debito demografico», contratto dal Paese nei confronti delle generazioni future, soprattutto in termini di previdenza, spesa sanitaria e assistenza;
    a fronte di questi trend sociali appaiano sempre più scopertamente il ritardo culturale e la disinformazione di coloro che sottovalutano l'importanza dei temi valoriali legati alla famiglia e alla natalità, senza comprendere come proprio l'indebolimento di questi fattori culturali sia la causa più profonda di quella che rischia di diventare una catastrofe sociale;
    la supponenza e l'egemonia su importanti canali di trasmissione comunicativa e mediatica, esercitate da un ristretto ceto pseudointellettuale, che ha sempre bollato i valori della famiglia con il marchio della arretratezza, hanno contribuito a rafforzare le tendenze più regressive della società contemporanea;
   ma, rispetto a questi fenomeni profondi e di lunga durata, non va sottovalutato il ruolo dell'azione di Governo: in Italia, nella fase più recente, non sono mancati provvedimenti che vanno nella giusta direzione, ma fa ancora fatica a concretizzarsi un'iniziativa politica e legislativa ad ampio raggio per il riorientamento dell'intero welfare verso la famiglia e per la progressiva trasformazione dell'organizzazione del lavoro in direzione della conciliazione fra lavoro e famiglia;
    ma ciò che è essenziale, nel breve periodo, è incrementare immediatamente un insieme di misure di sostegno economico alla famiglia e alla natalità. Sebbene, infatti, negli ultimi anni l'azione del Governo si sia già orientata in questa direzione, le iniziative normative adottate sono state sporadiche e i loro effetti non omogenei su tutto il territorio nazionale;
    indagini socioeconomiche accurate dimostrano, infatti, che uno dei freni principali allo sviluppo del nucleo familiare è costituito proprio dalla mancanza di risorse economiche, indispensabili soprattutto nei primi anni di vita del bambino, quando l'offerta educativa e di relazione è decisiva per farne emergere le potenzialità;
    è senz'altro apprezzabile che nella legge di stabilità per il 2016 siano state inserite misure quali il rifinanziamento del «bonus bebè», ovvero di un contributo economico, operativo già dal 2015, che viene riconosciuto ai neogenitori che rispettano determinati requisiti reddituali e che viene erogato fino al terzo compleanno del bambino. Analogo apprezzamento deve riconoscersi alle previsioni del diritto alla «maternità Inps» per le neomamme; alle disposizioni riguardanti il riconoscimento del congedo parentale anche ai neopapà, allo scopo di coinvolgere entrambi i genitori nella cura dei figli, nonché a favorire la conciliazione del lavoro con il nuovo ruolo genitoriale; all'istituzione della carta della famiglia, destinata, su richiesta, alle famiglie con almeno 3 figli minori a carico, grazie alla quale si possono ottenere sconti per l'acquisto di beni e di servizi ovvero riduzioni tariffarie con i soggetti pubblici o privati che intendano aderire all'iniziativa;
    queste misure di sostegno economico non basteranno, da sole, ad aggredire le cause meno palesi di quel trend negativo che si è ricordato, che ha radici profonde e che richiederebbe un ripensamento delle politiche sociali, delle politiche per l'occupazione e, date le sue implicazioni culturali, anche della comunicazione radiotelevisiva e delle politiche educative;
    ma queste misure di sostegno economico, se costantemente sviluppate e arricchite, possono cominciare a incidere sulle decisioni di migliaia di persone e avere l'effetto di far percepire il senso di un salto di qualità nelle politica del Governo;
    un esempio virtuoso – sotto questo profilo – ci viene dalla Francia, che in pochi anni è riuscita a invertire il trend demografico avverso, dando vita ad un sistema organico nel quale le famiglie con più di un figlio ricevono sostanziosi contributi e quelle con un reddito più basso possono beneficiare anche di altre forme di sostegno, come contributi per l'alloggio, per i libri scolastici e addirittura per le vacanze. È previsto, inoltre, un contributo economico in favore della prima infanzia dal settimo mese di gravidanza fino al compimento del terzo anno di età;
    le famiglie italiane e i giovani che sono nell'età di dare vita a una nuova famiglia attendono un segnale in questa direzione, che sia, al tempo stesso, una risposta credibile del Governo alle concrete difficoltà che attendono chi intraprende la strada della costruzione di una famiglia e della genitorialità e un chiaro messaggio di favore da parte di uno Stato che si dimostri capace di attuare principi costituzionali fra i più condivisi dagli italiani;
    l'incoraggiamento attivo dello Stato – attraverso idonee misure – a dare vita a quella «società naturale fondata sul matrimonio» (articolo 29 della Costituzione), basata sulla genitorialità, cioè in grado di «mantenere, istruire ed educare i figli (articolo 30 della Costituzione) non può essere né contrapposto strumentalmente al riconoscimento di altri diritti, né equiparato a un processo di progressiva estensione di diritti individuali che l'evoluzione sociale richiede;
    confondere questi piani è rischioso, mentre l'azione di allargare e portare su un livello superiore le politiche per la famiglia, coraggiosamente avviate dal Governo, permette di affrontare con lungimiranza un problema economico e sociale molto reale nonché di venire incontro a bisogni concreti e largamente diffusi e di riavvicinare milioni di persone alle istituzioni;
    le misure di maggiore impatto dovrebbero affermare il principio che la parte del reddito che serve a mantenere i figli non deve essere tassata, riconoscendo una no tax area che copra il reddito di sussistenza della famiglia (principio affermato in Germania a livello costituzionale); in termini di provvedimenti di più immediata implementazione, si dovrebbe puntare all'elevazione degli attuali massimali per i figli a carico, riconoscendo una più accentuata progressione per le famiglie via via più numerose e riconoscendo una specifica detrazione aggiuntiva per i genitori a carico del contribuente, al fine di incentivare il sostegno dei genitori in difficoltà economiche o non autonomi da parte dei figli;
    avrebbe una notevole efficacia sulla fascia della prima infanzia una deduzione ai fini dell'Irpef per le spese sostenute per la cura e per la tutela della salute della puerpera e del bambino; analogamente, potrebbero essere adottate una serie di misure per la realizzazione dei piani relativi agli asili nido;
    parallelamente, occorrerebbe intervenire – tramite un meccanismo di credito di imposta – in favore delle imprese che assumono donne lavoratrici per evitare che le difficoltà della crisi si scarichino indirettamente proprio sulle donne lavoratrici che affrontano la difficile sfida della conciliazione della vita familiare e di quella lavorativa;
    ma, soprattutto, occorrerebbe dare alle famiglie e ai giovani italiani un forte segnale di fiducia e di speranza nel futuro e, questo, è uno dei modi più diretti ed efficaci per farlo oggi a disposizione del Governo,

impegna il Governo:

   a promuovere una politica trasversale di sostegno della famiglia, quale nucleo fondamentale della società, rispondendo – al tempo stesso – ad una grave emergenza economica e sociale e ad un'esigenza di attuazione della Costituzione;
   a riconoscere, quale priorità inderogabile nelle linee politico-programmatiche dell'azione di Governo, la prosecuzione della politica per l'accesso alla casa in affitto e in proprietà da parte delle giovani famiglie, nonché l'attuazione di interventi in materia di servizi socio-educativi per l'infanzia, rinforzando – in parallelo – le politiche attive di sostegno alla conciliazione di lavoro e doveri genitoriali;
   ad assumere iniziative per la revisione del regime fiscale della famiglia, che operi da efficace stimolo alla genitorialità, e rappresenti un reale sostegno ai nuclei familiari con più figli e a quelli di nuova costituzione.
(1-01124) «Lupi, Buttiglione, Alli, Dorina Bianchi, Binetti, Sammarco, Tancredi, Vignali, Bosco, D'Alia, Garofalo, Minardo».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Alleanza del Nord Atlantico (Nato), un patto militare figlio della spartizione in due aree d'influenza del mondo (gli accordi di Yalta), appare oggi come l'istituzionalizzazione di ideologie e equilibri superati;
    smantellata la cortina di ferro, sciolto il Patto di Varsavia, è lecito chiedersi quale sia il ruolo della Nato sullo scacchiere della difesa internazionale. Ufficialmente creata per contenere l'espansione del comunismo, la Nato necessiterebbe almeno di una corposa revisione sia per quanto riguarda lo statuto, sia per le sue modalità operative;
    dopo la caduta dell'Unione Sovietica, gli Stati Uniti, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, hanno destituito la Nato del proprio carattere eminentemente difensivo, consono agli equilibri della «guerra fredda», trasformandola in una sorta di «gendarme globale» e plasmandola in un nuovo strumento di offesa, capace di imporre la propria volontà e quella dei propri alleati, anche in contraddizione con la lettera e lo spirito delle Nazioni Unite;
    con la fine della contrapposizione tra i blocchi, la Nato ha perso, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, il proprio ruolo originario e quindi, spesso, i suoi scopi non coincidono con quelli degli Stati membri;
    la sfavorevole congiuntura economica ha determinato seri problemi riguardo la compatibilità tra tagli alla spesa pubblica e necessità dei bilanci della difesa. Gli Stati membri, infatti, dovranno attenersi alle disposizioni, indicate dalla stessa Nato, che prevedono una spesa militare equivalente al 2 per cento del Pil complessivo dell'anno. Per l'Italia, si tratterebbe di una spesa complessiva di 100 milioni di euro al giorno;
    con gli accordi di Washington (1999) e Lisbona (2003), la Nato ha di fatto profondamente modificato il dettame dello statuto del 1949 e la clausola di intervento collettivo prevista all'articolo 5 dello stesso, senza che il Parlamento italiano sia stato mai interpellato;
    l'appartenenza alla Nato, a parere dei presentatori del presente atto di indirizzo, ha rafforzato la sudditanza dell'Italia agli Stati Uniti, esemplificata dalla rete di basi militari sul territorio italiano, che ha trasformato il nostro Paese in una sorta di portaerei statunitense nel Mediterraneo; particolarmente grave per i presentatori del presente atto di indirizzo, è il fatto che, in alcune di queste basi, vi sono bombe nucleari statunitensi e che anche piloti italiani vengono addestrati al loro uso. L'Italia, tra l'altro, viola in tal modo il Trattato di non-proliferazione nucleare, che ha sottoscritto e ratificato;
    inoltre, l'attuale approccio strategico sta dimostrando in modo sempre più evidente secondo i presentatori del presente atto di indirizzo, i propri limiti e la propria inadeguatezza ad affrontare pericoli che non sono più determinati da conflittualità di tipo «tradizionale» tra gli Stati, ma da cause ben diverse – legate molto spesso agli squilibri socio-economici imposti dai Paesi più ricchi – che, sempre più spesso, generano fenomeni terroristici di livello globale, contro i quali nessuna funzione di deterrenza possono svolgere gli insediamenti militari di tipo convenzionale che anzi, paradossalmente, acuiscono l'eventualità di attentati e, dunque, l'insicurezza per i paesi che li ospitano;
    appare, dunque, necessario superare la cosiddetta «logica securitaria», sottesa alle ragioni costituenti della Nato e prendere atto che il modello di sicurezza che a esse si ispirava dimostra, oggi, tutta la sua inefficacia e obsolescenza proprio nell'adozione di tecniche e strumenti che sono intrinsecamente in contraddizione con gli obiettivi che si prefiggono: la pace e la sicurezza dei Paesi;
    l'espansione della Nato a Est, avvenuta negli ultimi due decenni, è una delle principali cause dell'attuale stato di tensione, tra la Russia e la Nato, tanto da aver comportato la rottura degli accordi di partenariato tra Mosca e la stessa Alleanza Atlantica (di fatto si è assistito al dissolvimento degli accordi di partenariato e di cooperazione) generato dall'istituzione del Consiglio Nato-Russia – NRC – nel 2002);
    lo stesso ingresso nell'Unione europea dei Paesi dell'Est europeo è potuto avvenire solo dopo la loro preventiva adesione alla Nato, contribuendo per questa via a ridurre e marginalizzare il positivo peso politico svolto nell'Unione europea dai Paesi neutrali (Austria, Finlandia e Irlanda), subordinando così la politica estera e di sicurezza comune (PESC) a quella degli Stati Uniti;
    le esperienze in Kosovo, Afghanistan e Libia sono, in tal senso, per i firmatari del presente atto di indirizzo, la prova che la Nato oggi, non risulta essere uno strumento efficace per il mantenimento della pace; l'organizzazione, inoltre, non ha saputo far fronte all'attuale crisi dei rifugiati in arrivo sulle coste europee,

impegna il Governo:

   nel considerare esaurite le motivazioni dell'adesione italiana alla Nato per le ragioni addotte in premessa, a sottoporre al Parlamento un'agenda per il progressivo disimpegno dell'Italia dalla Nato a partire dall'indisponibilità a ospitare sul proprio territorio, e a utilizzare armi di sterminio di massa (nucleari, batteriologiche e chimiche);
   ad informare i Governi dei Paesi alleati che l'Italia intende ritirare il proprio consenso al concetto strategico della Nato in ordine alla legittimità del cosiddetto strike nucleare;
   ad assumere iniziative per prevedere il progressivo disimpegno dei contingenti militari dalle varie missioni internazionali della Nato;
   ad assumere iniziative per ricondurre, sotto la sovranità nazionale, le basi e le infrastrutture militari ad oggi concesse in uso alle forze armate degli Stati Uniti;
   al termine della destinazione militare delle basi, caserme e installazioni, a predisporre un serio progetto di riconversione civile di tali strutture, quando non necessarie alla difesa nazionale, che preveda di garantire il riassorbimento di tutti i lavoratori civili impiegati e indichi l'entità e le modalità di reperimento delle necessarie risorse economiche;
   a proporre, nelle opportune sedi europee, che gli eventuali nuovi ingressi nell'Unione europea prevedano come requisito fondamentale lo status di Paese neutrale.
(1-01125) «Manlio Di Stefano, Frusone, Sibilia, Basilio, Spadoni, Di Battista, Corda, Scagliusi, Rizzo, Del Grosso, Tofalo, Grande, Paolo Bernini».

Risoluzione in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:
    nelle prime fasi della guerra in Siria, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è stato il più esplicito tra i leader mondiali nel richiedere la deposizione del presidente siriano Bashar al-Assad; tuttavia, il ruolo giocato dalla Turchia nella destabilizzazione della Repubblica Araba di Siria è una concausa del massiccio afflusso di rifugiati siriani verso l'Europa;
    l'Unione europea, sebbene preferisca non riconoscerlo, ha addirittura stipulato un accordo che vedrà confluire, nelle casse di Ankara, oltre tre miliardi di euro per il controllo del flusso di persone richiedenti asilo che dal Medio Oriente cercano di arrivare in Europa;
    il coinvolgimento della Turchia nel traffico illecito di petrolio dell'Isis è stato confermato da prove satellitari presentate dalla Russia, mentre il vicepresidente americano Joe Biden ha accusato Ankara di non prendere adeguate misure di contrasto ai movimenti jihadisti e di facilitare il passaggio di armi e miliziani attraverso il confine con la Siria;
    la Turchia sta essenzialmente usando, a giudizio dei presentatori del presente atto di indirizzo, una finta campagna contro lo Stato islamico per giustificare un nuovo conflitto con il PKK e le milizie curde; tra l'altro, la decisione del Governo turco di abbattere un caccia Su-24 russo che transitava sui cieli siriani ha impresso una nuova drammatica escalation alla guerra per procura in Siria; la risposta del governo russo si è limitata all'adozione di sanzioni economiche contro la Turchia, evitando, per il momento, ritorsioni belliche che potrebbero attivare il meccanismo di mutua difesa di cui all'articolo 5 dello statuto della Nato;
    per il carattere complesso e delicato del ruolo della Turchia, recentemente, è stato proposto dal presidente della Commissione europea Junker, un nuovo piano di azione per la sicurezza delle frontiere esterne dell'Unione europea che individua proprio questo Paese come partner primario, fornendo anche aiuti sostanziali per l'emergenza rifugiati. Al contempo, però, appare necessario ricordare l'ambiguità della Turchia, che fino a oggi ha fatto mancare il proprio sostegno alla lotta al terrorismo dell'Isis, bloccando le forniture anche umanitarie verso i curdi e avendo avuto un comportamento che appare ai presentatori del presente atto di indirizzo alquanto ambiguo nei confronti degli estremisti islamici;
    proprio questa ambiguità non ha messo al riparo la Turchia dal diventare anch'essa vittima di Daesh, come dimostra il recente attentato nel quartiere turistico di Sultanahmet a Istanbul che ha causato 10 vittime di cui 8 tedeschi;
    il comportamento di un membro della Nato come la Turchia, con cui l'Unione europea ha intrapreso una stretta collaborazione, mirante alla costruzione di una Europa solidale e democratica, espone dunque la regione, nonché l'intero pianeta e quindi anche il nostro Paese, al serio rischio di un nuovo conflitto mondiale;
   a parere dei presentatori del presente atto di indirizzo, il presidente turco Erdogan, dopo aver vinto una campagna elettorale basata sulla strategia della tensione (stragi, arresti arbitrari, repressione del dissenso fino al divieto, in alcune zone del Kurdistan, per il partito di opposizione Hdp di svolgere liberamente campagna elettorale) continua nel suo accanimento contro la libertà di stampa. Eclatante il caso dei giornalisti di Comhuriyet, il direttore Dundar e il capo redattore Gul, incarcerati dal 26 novembre 2015, con l'accusa di sostegno al terrorismo, i quali rischiano la vita per aver pubblicato le prove della consegna delle armi dai servizi segreti a uomini del Daesh. Nel mirino della repressione di Erdogan risulterebbe anche il programma tv Beyaz Show, sul canale Kanal D, contro il quale la procura di Istanbul ha aperto una indagine per «propaganda terroristica» per aver osato trattare l'uccisione di civili turchi da parte dell'esercito a sud est del Paese,

impegna il Governo:

   a farsi promotore, in sede europea, della proposta di condizionare la ripresa del processo di adesione della Turchia all'Unione europea all'assunzione da parte della stessa dei seguenti fondamentali impegni;
   garantire il rispetto dei diritti umani a cominciare da quelli delle minoranze etniche e politiche;
   assicurare la totale cessazione di arresti che risulterebbero arbitrari e delle limitazioni delle libertà di espressione e di manifestazione;
   consentire l'avvio di una missione dell'Unione europea nell'ambito della politica di sicurezza e difesa comune, tesa al monitoraggio della frontiera turco/siriana al fine di assicurare che, effettivamente, non vi sia passaggio dei foreign fighters e l'esecuzione dell'embargo sulle armi e della compravendita di petrolio con Daesh;
   procedere all'immediato cessate il fuoco nei confronti dei curdi e delle loro organizzazioni, nonché porre fine alla repressione poliziesca nelle città del Kurdistan turco, avviando la ripresa del dialogo di pace interrotto prima delle elezioni politiche;
   assicurare l'avvio di una inchiesta indipendente sulle stragi di Soruc (21 luglio 2015), Ankara (10 ottobre 2015) e dell'assassinio del Presidente dell'Ordine degli avvocati di Diyarbakir Tahir Elci (28 novembre 2015) assicurando alla giustizia mandanti, complici ed esecutori;
   assicurare la riapertura dei valichi tra la Turchia e la regione siriana del Rojava al fine di far affluire, sotto controllo internazionale, il necessario aiuto umanitario alla popolazione siriana;
   ad assumere iniziative volte a condizionare l'erogazione dei tre miliardi di aiuti alla Turchia per i rifugiati all'effettiva e dignitosa accoglienza degli stessi sul territorio e a contrastare efficacemente il traffico di esseri umani e le organizzazioni criminali che lo gestiscono;
   a promuovere, in sede Nato, una necessaria e opportuna riflessione sulla permanenza della Turchia nell'Alleanza Atlantica.
(7-00892) «Manlio Di Stefano, Sibilia, Spadoni, Di Battista, Scagliusi, Del Grosso, Grande».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   Invitalia, l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa, ha pubblicato, sul proprio sito e sulla Gazzetta Ufficiale n. 183 dell'8 agosto 2015, un avviso che comunica che dal 9 agosto 2016 non è più possibile presentare la richiesta di accesso alle agevolazioni all'autoimpiego a causa dell'esaurimento delle risorse disponibili;
   in conseguenza di ciò, startup, progetti innovativi e investimenti per tutti coloro che volevano accedere al bando per gli incentivi per l'autoimpiego, previsto dal titolo II del decreto legislativo n. 185 del 2000, sono stati bloccati;
   occorre tenere presente due considerazioni: la prima è che Invitalia avrebbe dovuto deliberare le domande entro e non oltre sei mesi dalla data di presentazione, quindi ci ritroviamo già alla data del 31 agosto 2015 con circa 700 domande presentate senza essere ammesse a valutazione; la seconda considerazione è che tutte e società che hanno deciso di intraprendere un percorso imprenditoriale grazie all'aiuto posto dal decreto legislativo n. 185 del 2000, hanno dovuto sostenere dei costi iniziali (costituzione società, atti notarili, iscrizione CCIAA, attribuzione partita iva, costi di realizzazione format di domanda), i quali non ottenendo più nessun aiuto, si trasformerebbero in perdite pure;
   oltre alle 700 domande in attesa di valutazione, si aggiungono altre 180 domande circa, che sono state già valutate, sono state ammesse alle agevolazioni e che attendono la delibera e la convocazione per la stipula del contratto; attualmente, nella sola Sicilia ci sono circa 700 domande in attesa di valutazione per l'ammissione alle agevolazioni concesse dal decreto legislativo n. 185 del 2000, presentate a partire dal mese di marzo sino al 31 agosto 2015 (data del blocco) e circa 2.200 domande, nel complesso delle altre regioni meridionali interessate alla misura;
   alcune di queste 180 domande sono state presentate nel 2014 e tali attese stanno solo causando perdite e debiti ad attività nascenti;
   è ovvio che detta situazione, oltre ad aver creato un danno economico ai tanti soggetti che avevano con entusiasmo, intra reso una iniziativa di lavoro autonomo o imprenditoriale, con riferimento alle suddette misure agevolative, ha generato sconforto e sfiducia nello Stato e nelle istituzioni tutte. Occorre pertanto che le istituzioni recuperino in termini di credibilità;
   a giudizio degli interpellanti, uno strumento finanziario importante come quello previsto dal decreto legislativo n. 185 del 2000, non può essere soppresso in un momento così delicato per lo sviluppo economico del nostro Paese e specialmente per il Meridione;
   in data 10 febbraio 2015, a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 febbraio 2014, n.121, attuato con successivo decreto ministeriale 4 novembre 2014, la direzione generale degli ammortizzatori sociali e degli incentivi all'occupazione, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha assunto la titolarità della materia de quo;
   alle interrogazioni sullo stesso tema, presentate da diversi colleghi, alla fine dell'anno scorso, era stato risposto che il Governo stava reperendo le risorse per rifinanziare Invitalia, anche in vista della legge di stabilità 2016, impegno rispettato con l'approvazione di ordini del giorno alla stessa legge di stabilità 2016;
   tale rifinanziamento non può essere ulteriormente rinviato o ritardato, proprio perché si tratta di una misura che, in tutti questi anni ha sempre prodotto risultati significativi ed importanti per la intera comunità e, in particolare, nel Mezzogiorno, con la nascita di tantissime piccole e valide imprese e con tanti nuovi effettivi e stabili posti di lavoro in favore di donne e di giovani disoccupati o alla ricerca di prima occupazione e con effetti assolutamente positivi per tanti giovani professionisti (commercialisti, fiscalisti, consulenti del lavoro) che hanno seguito le relative pratiche. Del resto, sono diversi mesi che gli interpellanti si stanno adoperando, anche con ripetute ed argomentate sollecitazioni nei confronti di diversi rappresentanti del Governo –:
   se i Ministri interpellati, per quanto di propria competenza intendano assumere iniziative per rifinanziare la misura prevista dal decreto legislativo n. 185 del 2000 Titolo II ed, eventualmente, quali siano i tempi previsti per il rifinanziamento e la riapertura delle agevolazioni;
   quali provvedimenti intenda adottare Invitalia, nei riguardi delle 2.206 domande presentate precedentemente al blocco dell'8 agosto 2015 e quanto debbano ancora attendere le 180 aziende le cui domande sono già state valutate e attendono solo la delibera.
(2-01238) «Ribaudo, Culotta, Tino Iannuzzi, Ventricelli, Currò, Moscatt, Censore, Iacono, Cinzia Maria Fontana».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DI BATTISTA, MARZANA, BRESCIA, DI BENEDETTO, D'UVA, LUIGI GALLO, VACCA e SIMONE VALENTE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i diritti connessi al diritto d'autore sono situazioni giuridiche che la legge riconosce non direttamente all'autore dell'opera ma che presentano forme, più o meno forti, di collegamento con il diritto d'autore stesso; i più importanti sono i diritti connessi riconosciuti in favore degli artisti interpreti ed esecutori, ai produttori di dischi fonografici o supporti analoghi, ai produttori di opere cinematografiche o audiovisive;
   si tratta di diritti patrimoniali che si sostanziano in situazioni ed interessi giuridici che trovano il loro fondamento nell'esigenza di proteggere il risultato di attività professionale, di carattere prevalentemente artistico, dalla indiscriminata utilizzazione da parte di terzi (ad esempio, radio e televisioni, in caso di ritrasmissione, devono corrispondere un ristoro economico);
   la legge italiana sul diritto d'autore (legge n. 633 del 1941), le Convenzioni internazionali – a partire dalla convenzione di Roma del 26 ottobre 1961 (ratificata dall'Italia con legge n. 865 del 1973) sulla protezione degli artisti o esecutori, dei produttori di fonogrammi e degli organismi di radiodiffusione – e le direttive dell'Unione europea riconoscono, pertanto, i cosiddetti diritti connessi al diritto d'autore, agli artisti, interpreti ed esecutori e ai produttori;
   i compensi per i diritti connessi sono poi, nello specifico, disciplinati dagli articoli 71-septies, 71-octies, 73, 73-bis, 80, 84, e 180-bis della legge 22 aprile 1941, n. 633, e 5 e 7 della legge 5 febbraio 1992, n. 93;
   nel 1976 viene istituito l'IMAIEM (poi IMAIE), su iniziativa dei sindacati, quale Istituto preposto alla tutela e alla gestione dei diritti degli artisti, interpreti ed esecutori di opere musicali, e dal 1998 preposto anche alla gestione dei diritti connessi spettanti agli artisti interpreti ed esecutori di opere cinematografiche e audiovisive in genere;
   a partire dal 1994, in forza del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 25 ottobre 1994 (adottato ai sensi della legge n. 93, del 1992), viene riconosciuta all'Istituto per la tutela dei diritti degli artisti, interpreti ed esecutori (IMAIE), la personalità giuridica;
   da una relazione del 17 ottobre 2008 del collegio dei revisori dell'Istituto, sono però emersi alcuni aspetti di particolare gravità e criticità;
   in particolare si è dato atto della presenza di un regolamento per l'assegnazione di contributi di cui all'articolo 7 della legge n. 93 del 1992 – ai sensi del quale i compensi non distribuibili sono devoluti all'IMAIE che li utilizza «per le attività di studio e di ricerca nonché per i fini di promozione, di formazione e di sostegno professionale degli artisti interpreti o esecutori» – del tutto «lacunoso ed impreciso»;
   è dunque emerso che l'Istituto abbia gestito tali fondi, destinati alle attività di studio, ricerca e formazione, in modo assolutamente clientelare e che l'attività di riscossione dei diritti connessi è stata, inoltre, completamente trascurata dall'Istituto con la conseguenza che, al momento della redazione della relazione, tutti i contratti del settore audiovisivo erano scaduti e non ancora rinegoziati;
   sono state altresì riscontrate problematiche relative alla mancata distribuzione dei diritti agli artisti, determinando, così, una crescita spropositata del patrimonio che, si legge sempre nella predetta relazione, «lungi dal configurarsi come un elemento positivo di buona gestione, si rivela la conseguenza dell'incapacità di individuare e adottare le modalità necessarie a soddisfare i diritti della categoria tutelata»;
   l'IMAIE, inoltre, non ha proceduto ad un'attenta e puntuale ricerca dei soggetti aventi diritto ai compensi, per tale via assicurando una costante crescita esponenziale delle somme da poter distribuire ed elargire ai sensi del citato articolo 7 della legge n. 93 del 1992;
   a dimostrazione di tale circostanza l'IMAIE, annualmente, ha distribuito, per quanto risulta agli interroganti, compensi per soli 3 milioni di euro (circa 50 euro per 60.000 artisti), quando il valore di mercato complessivo ammontava a ben 30 milioni di euro;
   sulla scorta di tale relazione la prefettura della provincia di Roma, in persona del prefetto Pecoraro, ha dichiarato estinto l'IMAIE — che è stato dunque posto in liquidazione — per l'impossibilità dell'istituto di raggiungere i propri scopi statutari;
   a seguito dell'estinzione dell'IMAIE, gli aventi diritto — decine di migliaia di musicisti e attori italiani e stranieri — non hanno ancora riscosso i compensi loro spettanti che ammontano a circa 100 milioni di euro;
   nonostante l'esperienza oggettivamente fallimentare dell'IMAIE, il Governo Berlusconi, con l'articolo 7 del decreto-legge n. 64 del 2010 (convertito dalla legge 29 giugno 2010, n. 100) ha deciso di ricostituire un nuovo istituto mutualistico artisti interpreti esecutori (cosiddetto Nuovo IMAIE) – operante sotto la vigilanza congiunta di Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento per l'informazione e l'editoria, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e Ministero del lavoro e delle politiche sociali — al quale sono trasferiti tutti i compiti e le funzioni dell'IMAIE in liquidazione ed, in particolare, il compito di incassare e ripartire tra gli artisti interpreti ed esecutori aventi diritto i compensi di cui alla legge n. 633 del 1941 ed alla legge n. 93 del 1992;
   sulla base delle disposizioni normative di cui in precedenza, emerge come, in sostanza l'IMAIE ed il Nuovo IMAIE abbiano operato nel mercato dell'intermediazione dei diritti connessi in una situazione di monopolio di fatto, essendo impedito, agli artisti, di decidere come gestire le risorse finanziarie relative ai loro diritti patrimoniali;
   successivamente con l'articolo 39 del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito dalla legge n. 27 del 2012, si è invece proceduto alla liberalizzazione del settore in quanto viene stabilito, a livello di legge ordinaria, che «Al fine di favorire la creazione di nuove imprese nel settore della tutela dei diritti degli artisti interpreti ed esecutori, mediante lo sviluppo del pluralismo competitivo e consentendo maggiori economicità di gestione nonché l'effettiva partecipazione e controllo da parte dei titolari dei diritti, l'attività di amministrazione e intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore di cui alla legge 22 aprile 1941, n. 633, in qualunque forma attuata, è libera» (comma 2);
   lo stesso decreto-legge aggiunge che «Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e previo parere dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, sono individuati, nell'interesse dei titolari aventi diritto, i requisiti minimi necessari ad un razionale e corretto sviluppo del mercato degli intermediari di tali diritti connessi» (comma 3);
   conseguentemente, ai sensi del predetto comma 3 dell'articolo 39 del decreto-legge n. 1 del 2012, come convertito in legge, viene emanato l'apposito decreto attuativo, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 dicembre 2012, con il quale sono stati fissati i requisiti minimi per le imprese operanti nel settore della tutela dei diritti degli artisti interpreti ed esecutori e per un razionale e corretto sviluppo del mercato;
   in sostanza, si è data definitiva attuazione alla liberalizzazione con la conseguenza che gli artisti possono scegliere da chi farsi rappresentare e da chi far negoziare e gestire i loro diritti patrimoniali;
   in seguito, il Governo è intervenuto in materia con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri emanato in data 17 gennaio 2014 — di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali — adottato in attuazione dell'articolo 7 del citato decreto-legge n. 64 del 2010 (convertito dalla legge n. 100 del 2010), istitutivo del Nuovo IMAIE, ai sensi del quale il Governo avrebbe dovuto riordinare «con proprio decreto l'intera materia del diritto connesso»;
   con riferimento al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 17 gennaio 2014, gli interroganti evidenziano, in primo luogo, come tale provvedimento intenda dare attuazione ad una normativa (il decreto-legge n. 64 del 2010, come convertito in legge) che potrebbe dirsi ormai superata dall'entrata in vigore dell'articolo 39 del decreto-legge n. 1 del 2012;
   in secondo luogo si ritiene che alcune disposizioni del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri succitato potrebbero avere effetti distorsivi della concorrenza in violazione della normativa europea e dello stesso decreto-legge n. 1 del 2012 poiché il regolamento del 17 gennaio 2014 sembra intervenire direttamente sulla libertà negoziale degli operatori del mercato;
   all'articolo 2 del citato regolamento, ad esempio, vengono individuati criteri di favore per alcune categorie, clausole di riserva (del 30 per cento) in favore degli artisti comprimari, accantonamenti in misura pari al 25 per cento delle somme annualmente riscosse;
   all'articolo 3, inoltre, il regolamento determina specifiche modalità di ripartizione dei compensi derivanti da riproduzione privata (di cui agli articolo 71-septies e 71-octies della legge sul diritto d'autore (legge n. 633 del 1941)): si sancisce un meccanismo secondo il quale i compensi per copia privata sono attribuiti, ai soggetti intermediari dei diritti degli artisti, in misura percentuale rapportata all'ammontare dei diritti (diversi da quelli per copia privata) amministrati da ciascun intermediario secondo il principio contabile di competenza;
   tale ultima disposizione – letta in combinato disposto con l'articolo 6 del medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che stabilisce la data a partire dalla quale i nuovi operatori economici possono svolgere attività di gestione ed intermediazione dei diritti, individuata, non in quella dell'entrata in vigore della legge sulle liberalizzazione, bensì in quella, di gran lunga successiva, dell'ottenimento dei requisiti minimi a svolgere l'attività di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 dicembre 2012 – rimanda l'operatività dei nuovi intermediari che non hanno potuto gestirei compensi, spettanti ai loro artisti, maturati tra la data di entrata in vigore del decreto-legge n. 1 del 2012, e la data di effettuazione delle comunicazioni di cui all'articolo 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 dicembre 2012, creando seri problemi interpretativi;
   le disposizioni di attuazione dovrebbero, invece, andare nella direzione di lasciare la più ampia libertà agli artisti di decidere da chi far gestire i compensi maturati tra la data di entrata in vigore della legge sulla liberalizzazione e le date di effettiva operatività delle collecting, a seguito delle comunicazione di cui al predetto articolo 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 dicembre 2012;
   le società di intermediazione, nate dopo la liberalizzazione della gestione e distribuzione dei diritti connessi, lamentano che il suddetto decreto di riordino avrebbe in tal modo rafforzato, proprio nell'avvio del nuovo mercato, una posizione di anticoncorrenziale preminenza dell'ex monopolista –:
   se alla luce delle problematiche emerse non ritengano che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 gennaio 2014 abbia generato problemi interpretativi in relazione alle disposizioni di legge in materia riportate in premessa;
   se non intendano intervenire al fine di procedere ad una modifica del predetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 gennaio 2014, nelle parti in cui sembra comprimere le libertà negoziali degli operatori del libero mercato e sembra violare la normativa europea in materia di libera concorrenza, nonché le disposizioni del medesimo decreto-legge n. 1 del 2012, convertito dalla legge n. 27 del 2012, sulla liberalizzazione del settore;
   se non ritengano comunque di garantire la più ampia libertà agli artisti di decidere a chi affidare la gestione e l'intermediazione dei propri diritti e compensi. (5-07499)

Interrogazione a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con l'approvazione del decreto con cui il Governo ha di fatto smembrato il Corpo forestale dello Stato, prevedendo l'assorbimento nell'Arma dei Carabinieri, si è varato, a giudizio dell'interrogante, un provvedimento che va ben oltre quanto previsto dalla legge delega;
   si sono creati, con esso, i presupposti per militarizzare detta funzione di polizia e si è calpestato il diritto costituzionale di questi poliziotti di associarsi in sindaca che è diritto che gode di tutela di rango costituzionale;
   con questo decreto, se non si prevede contestualmente la possibilità di introdurre per l'Arma dei carabinieri il diritto di potersi associare in sindacato, come peraltro più volte ribadito nelle proprie sentenze dalla Corte europea per i diritti dell'uomo, in relazione al diritto dei militari di associarsi in sindacato, è evidente che si consumano due pericolose strategie per la sicurezza, la libertà e i diritti dei cittadini del nostro Paese: la prima riguarda l'attuazione della militarizzazione della funzione di polizia, come in tempo di guerra con conseguente e ovvia compressione dei diritti di libertà dei cittadini; la seconda attiene invece alla militarizzazione «coatta» di lavoratori che godevano del diritto costituzionali di potersi associare in sindacato con evidente e stridente «sospensione» delle tutele previste dalla carta costituzionale per i poliziotti della forestale;
   la legge delega consentiva al Governo la possibilità di una riforma radicale della Forestale senza necessariamente un accorpamento ad altre forze della polizia;
   questa ipotesi, che per le rappresentanze sindacali della Forestale e per l'interrogante era di gran lunga la più ragionevole ed efficace per le esigenze del nostro Paese, non è stata presa nemmeno in considerazione dall'esecutivo;
   il Governo ha predisposto una norma che accorpa la Forestale ai carabinieri prevedendone, di fatto, lo smembramento;
   è stato previsto anche uno spacchettamento delle competenze, quindi della funzione, atteso che la gran parte dovrebbe andare ai carabinieri, ma è altrettanto vero che una parte di competenze andrà alla Guardia di finanza e ai vigili del fuoco statuendo che il passaggio ai carabinieri dei forestali sarà solo su base volontaria;
   il Parlamento ha scelto in modo chiaro e incontrovertibile che la riforma della pubblica amministrazione si doveva attuare mantenendo l'unitarietà delle funzioni e il bilanciamento delle risorse per garantire l'attuazione della stessa;
   oggi, con il provvedimento varato, tutti i forestali potrebbero scegliere, con le stesse garanzie previste nel caso di transito nell'Arma poiché diversamente ci si troverebbe di fronte non ad una forzatura della norma ma in piena violazione della stessa, di transitare nella polizia di Stato oppure nella polizia penitenziaria, entrambe civili e con il diritto ai sindacati;
   in questo caso si avrebbe la palese violazione della delega e dello spirito che l'ha ispirata in quanto si avrebbero le funzioni attribuite ai carabinieri, alla finanza e ai vigili del fuoco, mentre tutto il personale del corpo forestale, cioè la risorsa primaria che dovrebbe garantirne la continuità, potrebbe transitare nelle forze di polizia ad ordinamento civile per garantirsi il diritto costituzionale di continuare ad avere il sindacato;
   per evitare questo, a giudizio dell'interrogante e della rappresentanza sindacale del Corpo forestale dello Stato, vi sono solo due strade prima che si inneschi l'inevitabile pubblica protesta e il relativo contenzioso con ricorsi anche in sede giudiziaria europea: o si prevede una norma che introduca la sindacalizzazione nell'Arma dei carabinieri oppure l'unica scelta da fare è quella di incardinare la Forestale, come specialità per la tutela dell'ambiente e per la lotta alle ecomafie nell'alveo delle altre specialità della polizia di Stato garantendo così sia il processo riformatore sia l'unitarietà della funzione –:
   quali iniziative di competenza intenzione di adottare i ministri interrogati per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-11796)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   da notizie uscite su vari organi di informazione si è appreso che la rete televisiva francese Canal plus trasmetterà lunedì 25 gennaio 2016 un documentario dal titolo «Il disastro di Ustica: un errore francese ?», firmato dal giornalista francese, Emmanuel Ostian;
   l'inchiesta rilancia l'ipotesi secondo la quale l'abbattimento del DC 9 nella notte del 27 giugno 1980 sarebbe avvenuto, come sostenuto anche dall'ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, ad opera di alcuni aerei da caccia dell'aviazione francese, avvalorando questa tesi con testimonianze di militari in servizio all'epoca che smentirebbero almeno due delle affermazioni rese al tempo dalle autorità di Parigi;
   dal documentario, infatti, risulterebbe innanzitutto falsa la dichiarazione resa dalle autorità francesi in merito alle presunta chiusura della base militare di Solenzara, in Corsica, a partire dalle 17.00 del pomeriggio del 27 giugno 1980, ossia ben quattro ore prima che il Dc9 precipitasse; secondo quanto dichiarato, infatti, da militari presenti nella base, vi sarebbe invece stata una intensa attività al suo interno fino a tarda sera, con «decine di aerei» decollati dalla Corsica, mentre il DC 9 di Itavia era in volo tra Bologna e Palermo;
   l'inchiesta televisiva smentirebbe, altresì, l'affermazione resa dalle autorità francesi che «nessuna portaerei era in mare il giorno della tragedia»; secondo la ricostruzione degli autori del programma in mare vi sarebbe stata invece la portaerei «Foch», come risulterebbe da documenti inediti che certificherebbero l'attività della nave il 27 giugno del 1980;
   trascorsi più di trentacinque anni dalla tragedia di Ustica, è un documentario francese a riproporre la ricostruzione, da molto tempo ormai chiara, secondo la quale le 81 vittime di quella strage, di cui ben 13 bambini, furono in realtà una sorta di «danno collaterale» di un'operazione militare in corso, nella quale i caccia francesi intendevano abbattere un Mig libico che stava seguendo da vicino il DC9 e lanciando un missile avrebbero colpito per errore l'aereo di linea Itavia;
   tuttavia, la Francia ha continuato a mantenere una sorta di segreto di Stato sui fatti avvenuti quella sera e le rogatorie internazionali avanzate più volte dei magistrati italiani non hanno ottenuto risposta –:
   quali iniziative urgenti, anche sul piano politico-diplomatico, il Governo intenda adottare al fine di ottenere, anche sulla scorta delle nuove rivelazioni e conferme rese dall'inchiesta francese, un quadro finalmente chiaro di quanto realmente avvenne la notte del 27 giugno 1980 sopra i cieli di Ustica, restituendo così, sia pur con trentacinque anni di ritardo, almeno una parte di verità ai familiari delle vittime di quella tragedia.
(2-01242) «Verini, De Maria, Bolognesi, Fabbri, Lenzi, Zampa, Censore, Argentin, Ascani, Benamati, Stella Bianchi, Borghi, Capozzolo, Cenni, Coscia, D'Ottavio, Ermini, Fiano, Fontanelli, Fossati, Giorgis, Laforgia, Misiani, Nardi, Orfini, Peluffo, Giuditta Pini, Quartapelle Procopio, Rampi, Realacci, Rocchi, Rossomando, Rostan, Rubinato, Scuvera, Valiante, Zoggia».

Interrogazioni a risposta scritta:


   QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 27 settembre 2013 la direzione nazionale delle migrazioni della Repubblica democratica del Congo ha informato le ambasciate dei Paesi di accoglienza dei bambini dati in adozione della sospensione per 12 mesi, a partire dal 25 settembre 2013, delle operazioni per il rilascio dei permessi di uscita per i bambini adottati dalle famiglie straniere;
   nel mese di maggio 2014, il lavoro messo in atto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha determinato l'esito positivo della vicenda che vedeva 24 famiglie inizialmente bloccate a Kinshasa, poiché i permessi di uscita per i minori venivano loro negati, e successivamente separate dai bambini, malgrado l'iter di adozione fosse stato regolarmente completato in Italia e in Congo;
   le famiglie italiane, che avevano i documenti pronti e l'iter burocratico dell'adozione concluso già prima del 25 settembre 2013, ma con il volo di rientro prenotato per qualche giorno dopo quella data, erano rimaste in un limbo, che si era concluso il 27 maggio 2014, con l'arrivo a Roma da Kinshasa di 31 bambini;
   allo scadere dei 12 mesi di sospensione annunciati, tuttavia, il 26 settembre del 2014, il Ministero dell'interno e della sicurezza della Repubblica democratica del Congo ha dichiarato che «la misura di sospensione dei visti d'uscita dei minori congolesi adottati da genitori stranieri è estesa fino a nuovo ordine»;
   il presidente Kabila e il Governo congolese hanno affermato che il motivo della sospensione risiede nell'esigenza di operare una revisione delle procedure di adozione, al fine di aumentare il livello di tutela e di salvaguardia dei bambini congolesi destinati all'adozione; i tempi necessari per tale intervento restano incerti;
   tale decisione incide gravemente sulla vita delle restanti circa 130 coppie che hanno regolarmente avviato, e in alcuni addirittura completato, l’iter di adozione, ma che sono soggette al blocco dei permessi d'uscita dei minori da parte delle autorità congolesi;
   nel novembre 2015 il governo della Repubblica democratica del Congo ha deciso che 69 bambini, le cui adozioni da parte di famiglie straniere, anche italiane, erano state bloccate più di due anni fa, potevano raggiungere i loro nuovi genitori;
   secondo i dati della commissione adozioni internazionali (Cai), dei 69 bambini adottati con sentenza definitiva da famiglie straniere, 10 sono adottati da famiglie italiane e sono giunti a Roma il 16 gennaio 2015 dopo oltre due anni di attesa; nel frattempo, altri 7 bambini che nell'autunno 2013 avevano l’iter praticamente concluso, sono arrivati in Italia, ricongiungendosi con le loro famiglie;
   la mozione Quartapelle Procopio ed altri, n. 1-00326, approvata all'unanimità il 15 luglio 2014, ha impegnato il Governo a dare rinnovata, palese e concreta attenzione alle politiche in materia di adozioni internazionali, alla Cai, agli enti e alle famiglie adottive, e «a sostenere con convinzione ogni iniziativa volta a sbloccare le pratiche adottive di famiglie italiane in quei Paesi nei quali per ragioni sociali e politiche queste hanno subito un rallentamento». Ad oggi si sono ricongiunti alle nuove famiglie d'adozione in Italia 17 bambini –:
   quale sia lo stato delle iniziative diplomatiche programmate dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale per risolvere la situazione dei restanti bambini e assicurare qua il sollecito congiungimento dei bambini congolesi con le famiglie adottive. (4-11790)


   BOSSA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 dicembre 2015, due concittadini italiani, mentre erano in vacanza a Berlino, sono stati fermati dalla polizia tedesca e sottoposti – secondo il loro racconto, raccolto dalla sottoscritta – ad un trattamento che avrebbe violato i loro diritti fondamentali, senza al tempo stesso ricevere adeguata tutela e assistenza dalla ambasciata;
   i due concittadini (Michele Punzo e Francesco Signoriello) riferiscono di essere stati brutalmente e improvvisamente prelevati dal ristorante «Luna», sito all'angolo tra le strade «Martin-Luther-str.» e «Motzstratz», alle ore 15 del 13 dicembre 2015, da due poliziotti in divisa (un uomo e una donna) che, in malo modo, tra urla e strattonamenti, li hanno portati fuori dal locale;
   i due poliziotti hanno perquisito i concittadini per strada, continuando ad urlare in tedesco, lingua non parlata da Punzo e Signoriello; successivamente, sono sopraggiunti altri due poliziotti che hanno continuato ad esprimersi in tedesco senza, quindi, dare spiegazioni su quanto stava avvenendo;
   solo dopo le rimostranze di Punzo e Signoriello, i poliziotti hanno messo in contatto telefonicamente i due con una terza persona, che, senza qualificarsi, con un italiano stentato, ha fatto intendere atti stessi che dovevano essere arrestati perché «visti in un'auto», senza altre spiegazioni;
   i nostri concittadini hanno provato subito a far capire che era impossibile averli avvistati in un'automobile, dal momento che utilizzavano, da turisti, per i loro spostamenti solo mezzi pubblici;
   indifferenti ad ogni spiegazione, i poliziotti hanno condotto i nostri concittadini nella loro abitazione, presa in fitto per la vacanza, e distante poche centinaia di metri; qui sono stati visionati i documenti di identificazione e ai due è stato detto che dovevano essere condotti in una stazione della «Polizia criminale»;
   a richiesta di spiegazione, sempre l'ignoto interlocutore telefonico, in un italiano incomprensibile spiegava ai nostri concittadini che c'era una denuncia contro di loro e che dovevano essere portati via per le foto segnaletiche e le impronte digitali;
   condotti presso una caserma, i due nostri concittadini, senza che nessuno fosse in grado di spiegare con chiarezza di cosa fossero accusati e cosa stesse accadendo, sono stati perquisiti, privati di tutto (le carte d'identità, i telefoni cellulari, sigarette, chiavi di casa, fiammiferi), separati e chiusi ciascuno in una cella;
   i due concittadini hanno continuato a chiedere – a gesti e grida, visto che nessuno dei poliziotti era in grado di parlare una lingua differente dal tedesco – cosa stesse accadendo, senza avere risposta;
   Punzo e Signoriello hanno anche chiesto subito di chiamare l'ambasciata italiana e non solo non hanno avuto ascolto ma sono stati ripetutamente aggrediti verbalmente e costretti al silenzio;
   solo dopo un paio d'ore, i due sono stati prelevati singolarmente e portati in un ufficio per essere fotografati; i poliziotti hanno preso le impronte digitali, l'altezza, il peso, il numero di scarpe; solo in quel momento, una delle agenti presenti ha spiegato in inglese che i due erano accusati di aver rubato in una macchina lo stereo e il navigatore;
   al termine di tutti i rilievi, ai due sono stati fatti firmare alcuni fogli scritti in tedesco, che i due non erano chiaramente in grado di comprendere;
   i concittadini hanno chiesto che fossero tradotti, ma nessuno lo ha fatto; spaventati dalla situazione, hanno firmato e solo dopo la firma, uno per volta, senza sapere nulla l'uno dell'altro, sono stati rilasciati;
   una volta liberi, i due hanno contattato immediatamente l'ambasciata italiana che avrebbe detto di non poter garantire alcun tipo di intervento; i due avrebbero portato secondo il loro racconto – con la signora Marina Abbruzzetti, che avrebbe fatto loro domande relativamente al possesso di sostanze stupefacenti, cosa di cui i due concittadini non sapevano assolutamente nulla;
   i due concittadini sono tornati il giorno dopo all'ambasciata italiana, chiedendo un intervento sulle autorità tedesche sia per capire cosa fosse successo, sia per protestare per le modalità con cui erano stati trattati, senza alcuna informazione, senza alcuna tutela, senza rispetto dei diritti fondamentali, «costretti» e firmare documenti ignorandone il contenuto;
   secondo i due concittadini, l'ambasciata italiana avrebbe rifiutato qualunque azione di protesta verso le autorità tedesche e si sarebbe limitata a fornire ai due, vari nominativi di avvocati, tra cui scegliere un legale di fiducia che i due avrebbero dovuto pagare a loro spese, in modo da raccogliere informazioni e attivare una tutela;
   i due concittadini hanno così dato mandato, a loro spese, ad un legale tedesco per essere seguiti e hanno fatto poi rientro in Italia, dove ancora attendono di conoscere i dettagli di quanto accaduto;
   i due concittadini lamentano di non aver avuto adeguata tutela dall'Ambasciata italiana che non si sarebbe attivata neppure per avere almeno notizie, informazioni, chiarimenti rispetto ad azioni che li hanno privati dei più elementari e fondamentali diritti;
   nei giorni scorsi, l'ambasciata, dopo le reiterate richieste scritte dei due concittadini, ha inviato al signor Punzo una nota con cui si comunicava di aver chiesto «alla Polizia di Berlino una formale di presa di posizione sulla vicenda», ma di non poter contare su una risposta in tempi brevi e di non poter promuovere nessuno ulteriore azione prima del riscontro formale da parte della polizia tedesca –:
   se non ritenga di attivarsi, nell'ambito delle sue competenze, in merito a quanto sopra esposto, al fine di verificare presso le autorità tedesche e presso l'ambasciata italiana le motivazioni dei comportamenti sopra menzionati e per quali motivi ai due concittadini siano state negate un'adeguata assistenza dalla ambasciata italiana e le misure minime di tutela dei diritti e della dignità dalla polizia tedesca. (4-11801)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FIORIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   i cambiamenti climatici in atto producono impatti drammatici in ogni area del pianeta. Il riscaldamento globale, secondo gli scienziati, è legato all'attività umana e in particolare, all'uso di combustibili fossili e dunque di carbone, petrolio e gas. Dalle osservazioni empiriche si riscontra una crescente tendenza all'aumento della temperatura media globale, legata all'aumento delle emissioni di gas serra, che stanno modificando la composizione dell'atmosfera;
   la temperatura media globale è aumentata di 0,85 gradi tra il 1880 e il 2012, mentre il decennio 2000-2010 è stato il più caldo dall'inizio delle rilevazioni climatiche;
   secondo quanto reso noto dal Noaa (l'Agenzia americana per l'atmosfera e gli oceani) e dal Met Office (l'Ufficio meteorologico britannico), il 2015 è stato l'anno più caldo da quando esistono rilevamenti meteorologici affidabili, cioè da 136 anni. L'anno appena trascorso ha battuto il record precedente, che era stato stabilito appena l'anno prima: cioè nel 2014. In pratica, gli ultimi due anni sono stati i più caldi mai registrati;
   la concentrazione di CO2 equivalente in atmosfera ha già superato le 400 parti per milione essendo 456 parti per milione la soglia prudenziale alla quale corrisponde un aumento stimato di due gradi della temperatura media globale rispetto al periodo precedente alla rivoluzione industriale;
   se l'aumento della temperatura media globale non verrà contenuto, le conseguenze saranno quindi catastrofiche. Gli effetti dei cambiamenti climatici sono molteplici e colpiscono, direttamente o indirettamente, quasi tutti i settori del sistema economico mondiale. Il riscaldamento globale avrà conseguenze drammatiche sulle condizioni di vita in moltissime aree del pianeta e, se non corretto, porterà a fenomeni di migrazione di massa e allo scatenarsi o inasprirsi di conflitti sociali o a vere e proprie guerre causate dalla scarsità di risorse naturali come acqua o terre abitabili e coltivabili con enormi rischi per la salute umana e con la compromissione di ecosistemi naturali essenziali alla vita;
   le emissioni di gas nocive impattano drammaticamente sulla salute umana: tra i 28 Paesi dell'Unione europea l'Italia è infatti quello con il più alto numero di morti premature rispetto alla normale aspettativa di vita, a causa dell'inquinamento dell'aria. Ad attestarlo è un rapporto dell'Agenzia europea dell'ambiente (Aea): il nostro Paese nel 2012 ha registrato 84.400 decessi di questo tipo, su un totale di 491.000 a livello dell'Unione europea;
   è stato stimato che la mortalità nei Paesi dell'Unione europea aumenti dall'1 al 4 per cento per ogni grado centigrado di incremento della temperatura sopra la soglia specifica;
   la Commissione dell'Unione europea ha recentemente fissato nuovi obiettivi, rispetto al 1990, da raggiungere entro l'anno 2030 che riguardano anche la riduzione delle emissioni di CO2 del 40 per cento;
   tra gli accordi raggiunti nel mese di dicembre a Parigi, corso della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP 21) vi è quello relativo all'obbiettivo di contenere l'aumento della temperatura media globale al disotto della soglia di 1,5 oC, entro la fine del secolo e quello relativo all'obiettivo di arrivare, nella seconda parte del secolo, ad un bilanciamento tra emissioni e accumulo di CO2;
   in base a tali indicazioni, l'Europa dovrebbe rivedere rapidamente i propri obiettivi al 2030 portando al 50 per cento il taglio delle emissioni, al 35-40 per cento la riduzione dei consumi tendenziali e al 33 per cento la quota delle energie rinnovabili;
   appare quindi evidente che, oltre alle politiche messe in campo fino ad oggi occorrono, sia a livello nazionale che globale, altri interventi atti a contenere il riscaldamento globale e a ridurre le emissioni di CO2;
   la Commissione europea stima che il 20 per cento delle emissioni di CO2 dell'uomo siano catturate dal suolo e che il carbonio nel suolo sia pari a 3 volte quello in atmosfera;
   negli ultimi 5 anni, a causa del consumo di suolo in Italia, c’è stata una riduzione dello stock di carbonio nel suolo di 5 milioni di tonnellate, pari a una emissione di CO2 in atmosfera potenzialmente pari a 18 milioni di tonnellate. È come se oggi ci fossero quasi 4 milioni di auto in più, l'11 per cento dei veicoli circolanti;
   il verde (ed in particolare quindi il verde pubblico nelle città) è un importante regolatore del clima urbano, e può ridurre significativamente l'aumento delle temperature estive, il cui incremento è misurabile fino a 10 gradi rispetto alle zone rurali;
   conseguentemente, questa problematica, nota come «effetto isola di calore», può rendere necessarie maggiori forniture di energia elettrica per l'aria condizionata, con costi in termini economici anche per le utenze;
   ridurre le temperature elevate significa limitare la formazione di ozono troposferico, componente principale dello smog;
   in media, la temperatura rilevata sotto un albero risulta inferiore di 3 gradi rispetto a quella su un marciapiede direttamente esposto al sole, quando la temperatura ambientale è di circa 30 gradi;
   si stima che un albero catturi in un anno, in media, circa 100 grammi netti di polveri sottili;
   secondo l'ultimo rapporto sulla qualità dell'ambiente urbano, realizzato dal sistema nazionale per la protezione dell'ambiente, che ha raccolto i dati relativi a 85 aree urbane, il totale di verde pubblico sulla superficie comunale incide in misura piuttosto scarsa nella maggior parte dei comuni (meno del 5 per cento in 64 comuni);
   aumentare il verde urbano (pubblico e privato) rappresenta una misura irrinunciabile di «bio compensazione»: il suolo concorre ad assorbire l'anidride carbonica e le piante contribuiscono a limitare lo smog ed a ridurre la temperatura dell'aria;
   su circa 135 chilometri quadrati l'1,5 per cento all'incirca della città dovrebbe essere trasformato in area verde al fine di ridurre la temperatura di 3 gradi;
   per aumentare la presenza di verde urbano sarebbe quindi opportuno introdurre, nell'ordinamento nazionale, strumenti che diano la possibilità di mettere a punto misure di incentivazione di tipo fiscale e contributiva che stimolino le pratiche di rigenerazione urbana; in tal senso sarebbe utile:
    promuovere la «depavimentazione» del 5 per cento della superficie impermeabilizzata cittadina e costiera (sia pubblica che privata), al fine di favorire un aumento dello stoccaggio di CO2 nel suolo urbano;
    predisporre una campagna di piantumazione di nuovi alberi lungo le maggiori infrastrutture viarie delle città, al fine di abbattere le polveri sottili e i metalli pesanti, purificando l'aria e riattivando il regolare ciclo di evapotraspirazione –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario ed urgente, in relazione a quanto esposto in premessa, assumere iniziative, per quanto di competenza, per introdurre misure specifiche per favorire il recupero del verde urbano, in particolare per promuovere la depavimentazione della superficie impermeabilizzata dei centri abitati ed attuare campagne mirate per la piantumazione di alberi lungo le principali arterie di comunicazione urbane, prevedendo incentivi fiscali per i soggetti privati e risorse adeguate per gli enti locali.
(5-07504)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta immediata:


   GALGANO, MOLEA, VEZZALI, MONCHIERO, CAPUA, CATALANO, CATANIA, DAMBRUOSO, D'AGOSTINO, MATARRESE, OLIARO, PALLADINO, PINNA, SOTTANELLI, VARGIU e BOMBASSEI. – Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. – Per sapere – premesso che:
   l'Italia è caratterizzata dalla presenza di uno dei più ricchi patrimoni artistici dell'umanità. Con 3.609 musei, quasi 5 mila siti culturali tra monumenti, musei, aree archeologiche, 46.025 beni architettonici vincolati; 34 mila luoghi di spettacolo; 49 siti Unesco (pari al 5 per cento di quelli iscritti nelle liste del patrimonio mondiale e all'11 per cento di quelli europei), oltre a centinaia di festival e iniziative culturali che animano i territori, il nostro Paese si posiziona in testa alla graduatoria di quelli a vocazione culturale. Per fare un paragone a livello europeo, basti pensare che la Francia ha un terzo dei musei italiani (1.218) e la Spagna poco meno della metà (1.530);
   nonostante l'Italia sia in testa alle classifiche mondiali per consistenza del patrimonio artistico-culturale, i finanziamenti stanziati per la cultura sono sempre meno e confrontando i dati con il resto dei Paesi europei, si evince che l'Italia è fanalino di coda: il budget del Ministero dei beni, delle attività culturali e del turismo è praticamente pari a quello della Danimarca (circa 1.400 milioni di euro) ed è circa un terzo di quello della Francia, che, anche a seguito degli attentati terroristici che hanno colpito Parigi, ha confermato i 4 miliardi di euro per il suo dicastero della cultura previsti ogni anno in bilancio. In Italia, quindi, la spesa in cultura per abitante è di soli 25,4 euro l'anno ovvero la metà di quella della Grecia che ne impegna 50;
   il patrimonio italiano, per di più, è distribuito in un gran numero di siti e nel caso dei musei, alcuni fanno capo ad enti statali che, per legge, devono provvedere in forma autonoma alla propria protezione anticrimine, ma un grandissimo numero è gestito da istituzioni locali, come amministrazioni regionali, provinciali o comunali o fondazioni private, che disponendo di risorse limitate, si trovano a dover provvedere in maniera autonoma alla sicurezza dei siti;
   va tenuto conto che i problemi di sicurezza di un museo sono numerosi e, secondo gli esperti, sono perfino superiori a quelli di una banca. Mentre infatti in una banca i valori sono accuratamente tenuti lontani dalla portata del pubblico, in un museo gli oggetti più preziosi sono quelli che più frequentemente sono visitati e si trovano quindi a maggior rischio, proprio perché il frequente contatto con i visitatori potrebbe portare a danneggiamenti, anche accidentali, vandalismi o altro, pur senza arrivare al furto vero e proprio;
   occorre inoltre ricordare che le opere d'arte esposte in un museo rappresentano di solito una piccola percentuale del patrimonio dei reperti, che sono invece custoditi in appositi e speciali depositi e che necessitano di protezioni in particolare durante le fasi di apertura/chiusura e durante le fasi di accesso di studiosi o addetti alla manutenzione o al restauro;
   proprio la ricchezza del patrimonio artistico-culturale espone il nostro Paese a consistenti rischi in termini di furti, rapine e danneggiamenti. Stando ai dati resi noti dall'Associazione italiana di vigilanza e servizi fiduciari (Assiv), dopo il «colpo» al museo di Castelvecchio avvenuto il 19 novembre 2015, ogni anno in Italia vengono denunciati oltre 1,5 milioni di furti. Secondo i dati Istat elaborati dall'Osservatorio Assiv sulla sicurezza sussidiaria e complementare, i furti di opere d'arte e materiale archeologico denunciati nella più recente rilevazione annuale del 2013 sono stati 592. I furti nei siti dotati di vigilanza e sistemi di sicurezza, come musei e sedi di enti pubblici e privati, sono pari al 16 per cento del totale;
   le regioni più colpite sono Lazio e Lombardia, rispettivamente con 81 e 77 casi denunciati, seguite da Campania (55), Toscana (54) e Emilia Romagna (47). Nessuna regione è però immune dai furti di opere d'arte. Fra le province al primo posto c’è Roma con 64 casi denunciati, poi Napoli (34), Milano (26) Torino (24) e Bologna (17);
   i musei, quindi, devono essere protetti da intrusioni e furti, atti vandalici, deterioramento, danni, incendi e altri rischi, e contemporaneamente devono garantire la sicurezza dei visitatori e del personale. Necessità che richiedono ingenti costi per il personale di vigilanza e sorveglianza tanto che, frequentemente, i siti sono costretti a ridurre la quantità di opere in esposizione perché non riescono a garantire sufficienti misure di sicurezza;
   la stessa Commissione sicurezza ed emergenza nei musei (Icom Italia), nel ribadire che il patrimonio culturale si trova oggi esposto a rischi che superano i livelli di sicurezza che una singola struttura è in grado di assicurare, ha lanciato un appello a tutte le amministrazioni responsabili per dotare gli istituti e i luoghi di cultura dei mezzi necessari per disporre tutte le misure, attive e passive necessarie;
   Icom Italia ha, inoltre, chiesto in particolare al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo di promuovere il più stretto coordinamento possibile con il Ministero dell'interno, con le prefetture e tutti gli altri Ministeri interessati per assicurare ai musei e al patrimonio culturale un'attività di prevenzione e controllo per offrire a tutti gli istituti e i luoghi della cultura, indipendentemente da chi ne detiene la proprietà, i necessari indirizzi in materia di sicurezza rispetto alle nuove minacce che incombono, oltre che sulle popolazioni, anche sul patrimonio culturale;
   proprio per garantire maggiore tutela tenendo conto dei fondi limitati a disposizione, sia in Italia che all'estero sono stati messi a punto sistemi innovativi come sensori intelligenti, sistemi «self-aware» e ambienti reattivi che consentono di aumentare i livelli di sicurezza, comfort e personalizzazione dei servizi ed al contempo di ridurre i costi sia di impianto che di gestione;
   il problema della sicurezza nei musei è, in conclusione, una questione di interesse generale del nostro Paese, considerando non solo l'immenso valore storico e culturale delle opere, ma il fatto che attraggono ogni anno milioni di turisti e che il circuito museale garantisce anche centinaia di migliaia di posti di lavoro –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere al fine di verificare la turnazione degli addetti alla vigilanza nei musei statali per garantire sicurezza ventiquattro ore su ventiquattro ed evitare che si verifichi la presenza di un solo responsabile cui è demandato il controllo di interi siti nelle ore notturne, come accaduto nel museo civico di Castelvecchio, e monitorare i sistemi e i modelli organizzativi di controllo aumentando, ove necessario, le risorse stanziate per tali scopi. (3-01957)

Interrogazione a risposta scritta:


   BRUNETTA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a Roma, in località Falcognana, al chilometro 15,300 della via Ardeatina, è attivo l'impianto di discarica per rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi gestito dalla società Ecofer Ambiente srl che nel 2013 era stata individuata come possibile luogo dove realizzare una discarica per rifiuti solidi urbani a servizio della città di Roma;
   in data 9 dicembre 2015 la direzione infrastrutture, ambiente e politiche abitative della regione Lazio ha emanato la determinazione n. G15359 con la quale ha autorizzato la società Ecofer Ambiente srl ad ampliare per oltre 100 nuove tipologie di rifiuti da trattare all'interno dell'impianto di Falcognana;
   il quadrante all'interno del quale è ubicata la discarica Ecofer è stato sottoposto, nel gennaio 2010, a vincolo paesaggistico con la «Dichiarazione di notevole interesse pubblico», emessa dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ai sensi dell'articolo 136 del decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modifiche, con decreto ministeriale del 25 gennaio 2010;
   su tale ampliamento di codici CER in sede di conferenza dei servizi, con nota n. 23806 del 16 dicembre 2013, la direzione regionale dei beni culturali e paesaggistici del Lazio del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, considerata la richiesta della, soprintendenza dei beni architettonici e paesaggistici per il comune di Roma, ha espresso parere negativo alla realizzazione dell'ampliamento proposto;
   nell'area sono presenti siti di altissimo pregio come l'area monumentale del Santuario del Divino Amore (a circa 1 chilometro di distanza dal sito individuato per la discarica), luogo di culto famoso in tutto il mondo, che attira giornalmente migliaia di pellegrini ed è sottoposto a vincolo monumentale, nonché aree archeologiche e dimore storiche di valore;
   gran parte della località Falcognana è, inoltre, ricompresa all'interno del parco regionale di Decima-Malafede, istituito con la legge regionale 6 ottobre 1997, n. 29;
   nel sito individuato si è in presenza di un'alta permeabilità del terreno testimoniata dal fitto reticolo idrografico secondario dell'affluente fosso dei Radicelli al fiume Tevere;
   secondo quanto previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006, il codice ambientale, l'eventuale estensione dei codici europei dei rifiuti, sarebbe comunque una modifica sostanziale dell'autorizzazione allo smaltimento di rifiuti nell'impianto attuale della Falcognana e quindi in contrasto con la normativa vigente;
   nella zona interessata da tale decisione sono attive importanti aziende agricole e vinicole che verrebbero a trovarsi in difficoltà a causa dell'inquinamento che potrebbe essere causato dalla realizzazione di questa enorme discarica di rifiuti;
   la vigente normativa europea, recepita dalla legislazione italiana, impone agli Stati membri processi progressivi di riduzione dei rifiuti e la stessa normativa indica come elemento determinante la limitazione al ricorso alle discariche per rifiuti;
   tra l'altro, l'articolo 13 della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 prevede che la gestione dei rifiuti sia effettuata senza danneggiare la salute umana, senza recare pregiudizio all'ambiente ed, in particolare, senza creare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo, la flora o la fauna, né causare inconvenienti da rumori od odori, né danneggiare il paesaggio o i siti di particolare interesse;
   la Commissione europea ha già avviato nei confronti dell'Italia numerose procedure di infrazione riguardo alla situazione di molte discariche presenti sul territorio nazionale; in particolare, nel marzo 2013 l'Italia è stata denunciata alla Corte di giustizia dell'Unione europea dalla Commissione europea, in quanto parte dei rifiuti di Roma non avrebbero subito il trattamento meccanico biologico richiesto dai regolamenti europei per ridurre la consistenza volumetrica dei rifiuti e facilitare un loro eventuale possibile recupero;
   la presenza di numerosi insediamenti abitativi di decine di migliaia di cittadini nelle immediate adiacenze ai siti interessati — Castel di Leva, Divino Amore, Falcognana, Spregamore, Selvotta, Monte Migliore, Colle dei Pini, Santa Palomba, Santa Fumia, Palazzo Morgana, Paglian Casale – determina uno stato di grande agitazione sociale in vari quartieri (in particolare, tra la popolazione dei quartieri Selvotta, Schizzanello, Trigoria, Monte Migliore, Spregamore, Falcognana, Santa Fumia, Castel Di Leva, Santa Palomba), che rischia di innescare situazioni di pericolo per l'ordine pubblico;
   nel territorio del municipio Roma IX sono, tra l'altro, già operanti numerose discariche: due a Porta Medaglia, due in via Ardeatina, una a Fioranello, una a Selvotta, nonché diversi recuperi ambientali tra via Laurentina e Santa Palomba ed una discarica di rifiuti pericolosi a Falcognana;
   nei territori limitrofi è presente la discarica di Albano, l'inceneritore del Roncigliano e la discarica di amianto di Pomezia;
   in data 3 ottobre 2013 è stato accolto l'ordine del giorno n. 9/1628/23 con il quale il Governo si impegna «.... ad assicurare il rispetto del notevole interesse pubblico e dei valori del paesaggio agrario dell'area compresa tra le zone storiche della Laurentina e Ardeatina e dell'area archeologica limitrofa al Santuario del Divino Amore, potenziandone l'attrattiva turistica e salvaguardando la bellezza salubrità e il valore artistico dei suoi monumenti, anche contrastando fenomeni di abusivismo in coerenza con il vincolo paesaggistico apposto con Decreto Dirigenziale del gennaio 2010...»;
   si rendono, quindi, assolutamente necessari opportuni approfondimenti e una valutazione della sostenibilità dell'impatto sull'ambiente e la salute pubblica che l'ampliamento di tali codici CER per materiali pericolosi provocherebbe –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano assicurare al fine di fugare qualsiasi dubbio in merito alla completa, corretta e trasparente sequenza autorizzatoria ed alla legittimità procedimentale della preesistente discarica in relazione alla determinazione della regione Lazio sopra menzionata, con particolare riferimento alla correttezza della procedura rispetto a quanto prescritto dal decreto legislativo n. 42 del 2004, cosiddetto decreto Bondi;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del degrado in cui incorrerebbero l'ambiente, i beni culturali e l'area archeologica interessata nell'ipotesi in cui si procedesse ad ampliare ulteriormente il trattamento dei rifiuti pericolosi in questa area;
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati abbiano intrapreso, vista la persistente emergenza rifiuti e la concomitanza con il Giubileo, al fine di risolvere la questione inerente alla gestione dei rifiuti pericolosi, non pericolosi e dei rifiuti solidi urbani nella città di Roma. (4-11792)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata:


   PISICCHIO. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   nonostante l'abbassamento record del prezzo del petrolio, sceso intorno ai trenta dollari a barile e con previsioni di ulteriore diminuzione, il prezzo della benzina in Italia è aumentato, rispetto al 2008, del 30 per cento;
   gli italiani pagano la benzina il 14,4 per cento in più dei francesi, il 18,9 per cento in più rispetto agli sloveni fino ad arrivare al 30,7 per cento in più degli austriaci (fonte CGIA, La Stampa 24 dicembre 2015);
   il costo dell'energia incide fortemente sul bilancio delle nostre imprese, arrivando anche al 30 per cento per alcuni comparti di Confindustria, e quindi sulla loro competitività, sia sul mercato interno sia su quello globale;
   il prezzo del carburante incide sul bilancio delle famiglie e dei cittadini italiani ed ha una forte influenza anche sui consumi, quindi sull'economia dell'intero sistema-Paese;
   a incidere sul prezzo del carburante è, secondo la CGIA, la componente fiscale;
   le accise che attualmente gravano sul carburante risalgono a periodi storici superati da tempo, come si evince chiaramente da questo elenco:
    a) euro 0,000981: finanziamento della guerra d'Etiopia del 1935-1936;
    b) euro 0,00723: finanziamento della crisi di Suez del 1956;
    c) euro 0,00516: ricostruzione post disastro del Vajont del 1963;
    d) euro 0,00516: ricostruzione post alluvione di Firenze del 1966;
    e) euro 0,00516: ricostruzione post terremoto del Belice del 1968;
    f) euro 0,0511: ricostruzione post terremoto del Friuli del 1976;
    g) euro 0,0387: ricostruzione post terremoto dell'Irpinia del 1980;
    h) euro 0,106: finanziamento della guerra in Libano del 1983;
    i) euro 0,0114: finanziamento della missione in Bosnia del 1996;
    l) euro 0,02: rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004;
    m) euro 0,005: acquisto di autobus ecologici nel 2005;
    n) euro 0,0051: terremoto dell'Aquila del 2009;
    o) euro 0,0073: finanziamento della manutenzione e la conservazione dei beni culturali, di enti ed istituzioni culturali nel 2011;
    p) euro 0,04: arrivo di immigrati dopo la crisi libica del 2011;
    q) euro 0,0089: alluvione in Liguria e Toscana nel novembre 2011;
    r) euro 0,082 (euro 0,113 sul diesel): decreto «Salva Italia» nel dicembre 2011;
    s) euro 0,02: finanziamento post terremoti dell'Emilia del 2012;
   da anni associazioni dei consumatori, comitati, forze politiche e singoli cittadini, anche attraverso petizioni online, l'ultima delle quali sulla piattaforma change.org, hanno posto all'attenzione dei diversi governi la questione –:
   quali urgenti iniziative il Governo intenda assumere per rendere possibile una diminuzione dei costi del carburante attraverso l'eliminazione delle accise più antiquate, prive di una ragione reale e per questo del tutto inique sul piano sociale ed economico. (3-01959)


   PELILLO, MARTELLA, BONIFAZI, CAPOZZOLO, CARELLA, CAUSI, COLANINNO, CURRÒ, DE MARIA, MARCO DI MAIO, FRAGOMELI, FREGOLENT, GINATO, GITTI, GUTGELD, LODOLINI, MORETTO, PETRINI, RAGOSTA, RIBAUDO, SANGA, ZOGGIA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   l'incertezza che continua a caratterizzare lo scenario economico internazionale, significativamente accentuata dalla persistenza di alcuni fattori di instabilità relativi al deprezzamento del petrolio, al rallentamento delle economie emergenti e alle crisi geopolitiche, sta determinando continue tensioni sui mercati finanziari, incluso quello italiano;
   sebbene nel corso degli ultimi giorni siano stati principalmente i titoli bancari ad essere oggetto di pesanti perdite, in Italia il sistema bancario e la stabilità finanziaria rimangono solidi, grazie anche alle misure già adottate dal Governo, fra cui la riforma delle banche popolari, l'intervento relativo alla gestione della risoluzione degli istituti in crisi e quello in materia di procedure di recupero dei crediti inesigibili e di deducibilità delle svalutazioni e delle perdite su crediti, e quelle di prossima definizione, che dovrebbero comprendere il progetto di riforma delle banche di credito cooperativo;
   è tuttavia necessario alleggerire ulteriormente l'elevato livello di partite deteriorate ereditato dalla lunga recessione, che appesantisce i bilanci bancari e riduce l'erogazione di prestiti al settore privato: a tal fine, prosegue la trattativa fra le autorità italiane ed europee per concordare una soluzione efficace e al contempo compatibile con le regole in materia di aiuti di Stato in grado di accrescere la fiducia nella solidità del sistema bancario, contrastando le tensioni dovute anche a movimenti speculativi –:
   quale sia lo stato dell'interlocuzione in corso con gli organi europei, anche sulla base dei dettagli tecnici emersi dall'ultimo incontro con la Commissaria europea alla concorrenza Margrethe Vestager, sulle modalità di attuazione e sui tempi di approvazione delle annunciate iniziative finalizzate al rafforzamento del sistema bancario, in particolare volte alla realizzazione di un meccanismo di gestione dei crediti bancari deteriorati. (3-01960)


   LUIGI GALLO, VACCA, MARZANA, BRESCIA, SIMONE VALENTE, D'UVA e DI BENEDETTO. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   con interpellanza urgente n. 2-00357 presentata in data 10 gennaio 2014, il primo firmatario della presente interrogazione avvertiva il Ministro dell'economia e delle finanze circa le perplessità sulla gestione della società Consip s.p.a., in qualità di centrale di committenza, e sui danni a carico della collettività e del Ministero stesso emerse dall'inchiesta giornalistica del programma televisivo Report trasmessa il 2 dicembre 2013;
   dall'interpellanza di cui sopra, inter alia, emergono: il cosiddetto «sistema Romeo» e la presunta «sinergia» esistente tra la cooperativa Fiorita e la Manutencoop società cooperativa, che aderisce al Consorzio Nazionale Servizi società cooperativa e che l'anno precedente si era aggiudicata 3 dei 13 lotti (il massimo consentito) appaltati nel 2012 da Consip riguardanti la fornitura di servizi di pulizia per le scuole di tutto il territorio nazionale, alimentando già da allora il lecito sospetto di trovarsi dinanzi ad uno scenario complesso e torbido di attività e accordi anticoncorrenziali oltreché sulla capacità del Ministero di vigilare sull'operato della Consip, società in house;
   come appena ricordato, dunque, in data 11 luglio 2012, Consip, per conto del Ministero dell'economia e delle finanze, ha indetto una gara comunitaria a procedura aperta per la convenzione relativa all'affidamento dei servizi di pulizia e di altri servizi per il mantenimento del decoro e della funzionalità delle scuole pubbliche italiane di ogni ordine e grado, nonché dei centri di formazione della pubblica amministrazione suddiviso in 13 lotti geografici del valore totale di circa 1,63 miliardi di euro, più un eventuale importo aggiuntivo di 163 milioni di euro come plafond, per un periodo di due anni, rinnovabili per un altro anno;
   relativamente a tale gara, con delibera n. 21125 dell'8 ottobre 2014, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, rilevando talune anomalie che lasciavano ipotizzare una violazione della normativa a tutela della concorrenza, ha disposto l'avvio di un procedimento nei confronti delle seguenti società: Consorzio Nazionale Servizi, Manutencoop, Kuadra ed Exitone; il procedimento è stato in seguito esteso anche nei confronti di Roma Multiservizi s.p.a.;
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nella sua adunanza del 22 dicembre 2015, ha deliberato che «le società CNS – Consorzio nazionale Servizi società cooperativa, Manutencoop Facility Management S.p.A., Kuadra S.p.A. e Roma Multiservizi S.p.A. hanno posto in essere un'intesa restrittiva della concorrenza contraria all'articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) consistente in una pratica concordata avente la finalità di condizionare gli esiti della gara Consip, attraverso l'eliminazione del reciproco confronto concorrenziale e la spartizione dei lotti da aggiudicarsi nel limite massimo fissato dalla lex specialis»;
   attraverso questa intesa, le quattro imprese, due delle quali sono i maggiori operatori del mercato, hanno de facto annullato il reciproco confronto concorrenziale nello svolgimento della gara Consip con lo scopo di spartirsi i lotti più appetibili e aggiudicarsene il numero massimo consentito (tre su tredici);
   dal verbale dell'adunanza, si evince che «la collusione si sarebbe realizzata attraverso un utilizzo distorto dello strumento consortile. Pur concorrendo formalmente in maniera autonoma, infatti, il Consorzio Nazionale Servizi e la consorziata Manutencoop Facility Management avrebbero concordato, d'intesa con le altre parti del procedimento (Kuadra in associazione temporanea d'impresa con il Consorzio Nazionale Servizi e Roma Multiservizi, partecipata in misura rilevante da Manutencoop), la rispettiva strategia per perseguire obiettivi condivisi e alterare così gli esiti della gara, anche avvalendosi di affidamenti in subappalto per la tutela delle rispettive posizioni di mercato»;
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha così sanzionato il Consorzio Nazionale Servizi per euro 56.190.090, Manutencoop per euro 48.510.000, Roma Multiservizi per euro 3.377.910 e Kuadra per euro 5.763.882;
   il comma 22 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, impone obbligatoriamente agli enti pubblici di aderire alle convenzioni stipulate ai sensi dell'articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, che si traduce nell'obbligo di utilizzare Consip per ciò che concerne l'approvvigionamento di beni e servizi;
   se da un lato, infatti, l'avvento di Consip avrebbe permesso il risparmio di discrete somme di danaro pubblico come illustrato dalle slide pubblicate dall’account Twitter del Ministero dell'economia e delle finanze il 20 gennaio 2016, dall'altra sembra lasciare campo libero a imprese e imprenditori vicini ai partiti politici, come nel caso di Alfredo Romeo, principale finanziatore di numerose campagne elettorali di politici del centro-destra e del centro-sinistra, in grado di organizzarsi con lo scopo di creare veri e propri «cartelli di imprese» al fine di condizionare l'ampia fetta di mercato concernente la pubblica amministrazione;
   ciò grazie all'avvento combinato di Consip, in qualità di unica centrale di committenza per la pubblica amministrazione, e al conseguente taglio alla spesa pubblica che ha portato lo stanziamento di fondi finalizzati alla pulizia nelle scuole dai 390 milioni di euro del 2013 ai 280 milioni di euro per il 2014, imponendo, con il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, alle istituzioni scolastiche ed educative statali, a decorrere dall'anno scolastico 2013/2014, un limite alla spesa per l'acquisto di servizi «esternalizzati» abbinato all'obbligo di avvalersi delle convenzioni quadro della Consip s.p.a.;
   riducendo la spesa e mantenendo le esternalizzazioni gestite da Consip sono stati, inoltre, posti in grave difficoltà tutti i lavoratori coinvolti, portando come conseguenza prevedibile, inter alia, l'immancabile riduzione delle ore di lavoro e il conseguente crollo della retribuzione, con molte scuole di fatto sporche e inagibili;
   successivamente il Governo, dimostrando nei fatti il fallimento della scelta di esternalizzare il servizio sia dal punto di vista occupazionale che di vantaggio economico, ha promosso il piano «Scuole belle», elaborato a seguito dell'accordo sottoscritto il 28 marzo 2014 presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. L'accordo prevedeva, al fine di far fronte alla problematica occupazionale conseguente alle riduzioni degli affidamenti derivanti dalle espletate gare Consip e riguardante i lavoratori ex lavoratori socialmente utili e quelli appartenenti alle ditte dei cosiddetti «appalti storici», che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca – nell'ambito del più ampio programma per l'edilizia scolastica facente capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri – avrebbe utilizzato risorse complessive pari a 450 milioni di euro, a decorrere dal 1o luglio 2014 e fino al 30 marzo 2016, da impiegare per lo svolgimento, da parte del personale adibito alla pulizia nelle scuole, di ulteriori attività consistenti in interventi di ripristino del decoro e della funzionalità degli immobili adibiti ad edifici scolastici –:
   quali iniziative di competenza, alla luce dei fatti esposti in premessa e della tendenza ad una progressiva centralizzazione del sistema di acquisti di beni e servizi, intenda adottare al fine di garantire una maggiore vigilanza da parte di Consip ed evitare situazioni come quelle sopra descritte. (3-01961)


   OCCHIUTO e BRUNETTA. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   nel «Rapporto sulla sostenibilità delle finanze pubbliche» diffuso nei giorni scorsi, la Commissione europea si è soffermata in particolare sull'alto debito pubblico dell'Italia, mettendo in mora il Governo;
   secondo il rapporto, per l'Italia «i rischi sembrano essere alti nel medio termine», a causa di un elevato livello di debito «alla fine delle proiezioni» nel 2026 e di una «alta sensibilità a possibili shock alla crescita nominale e ai tassi d'interesse»;
   non solo il livello del debito è troppo alto, «già al 133 per cento nel 2015», ma continuerà a crescere fino al 2020. E non finisce qui: «per far scendere – come dovrebbe fare l'Italia per rispettare i parametri europei – il debito al 110 per cento nel 2026, in condizioni economiche normali, ci vuole un avanzo strutturale costante e invariato al 2,5 per cento fino al 2026»;
   questa frase contiene in sé già due criticità: innanzitutto, la congiuntura economica italiana, europea e internazionale, come rilevato da tutti gli istituti di previsione, volge al peggio nei prossimi anni, quindi l'ipotesi «in condizioni economiche normali» contemplata dalla Commissione europea si sa già essere irrealizzabile;
   ma, se anche così fosse, va rilevato comunque che l'avanzo primario degli ultimi quattro trimestri in Italia è stato pari all'1,5 per cento del prodotto interno lordo. Ben lontano, quindi, dal 2,5 per cento che chiede l'Europa. D'altronde, la Commissione europea, sempre nel rapporto pubblicato nei giorni scorsi, pone proprio questo tema: quello del 2,5 per cento fino al 2026 «potrebbe essere un avanzo primario relativamente alto da mantenere per 10 anni»;
   è scontata, quindi, alla luce di tutto questo, la conclusione della Commissione europea: l'Italia non rispetta la regola di riduzione progressiva del debito pubblico; anzi, quest'ultimo è destinato ad aumentare negli anni, ben oltre i livelli già da record raggiunti. E, se il debito non diminuisce, nessuna flessibilità verrà concessa e diventa praticamente assicurato l'avvio di una procedura di infrazione;
   il Ministro interrogato ha assicurato che il debito sarà in discesa nel 2016 e che riuscirà a «fornire tutte le informazioni a sostegno della tesi inoppugnabile che il debito italiano è sostenibile» –:
   quali siano i dati e le informazioni in possesso del Governo tali da assicurare un calo del debito nell'anno corrente, come affermato dal Ministro interrogato, alla luce delle osservazioni contenute nel rapporto diffuso dalla Commissione europea. (3-01962)


   GUIDESI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   tra lunedì e mercoledì della scorsa settimana sembra si sia consumato un assalto speculativo alle banche italiane a causa di una lettera inviata dalla Banca centrale europea contenente la richiesta di un rafforzamento patrimoniale degli istituti di credito italiani che ha causato un pesante crollo in borsa dei titoli;
   secondo la ricostruzione dei fatti da parte di fonti accreditate di stampa, già la domenica precedente si era già diffusa la notizia di un'indagine conoscitiva da parte della Banca centrale europea su alcune banche italiane, in particolare sulle loro sofferenze che ammonterebbero a 201 miliardi;
   l'indiscrezione ha subito causato il crollo immediato della borsa già all'apertura di lunedì, con perdite tra il 5 e l'8 per cento (soltanto Mps, la più colpita, è arrivata a cedere il 16 per cento); subito Banca d'Italia e il Ministero dell'economia e delle finanze hanno chiesto spiegazione alla Banca centrale europea, ma non è arriva nessuna chiarificazione, mentre il crollo prosegue e sei istituti italiani (Mps, Carige, Banco Popolare, Bpm, Bper e Unicredit) confermano alla Consob di aver ricevuto questionari dal Single Supervisiory Mechanism sulla gestione dei crediti non performing;
   la suddetta informazione, però, non fa volgere al meglio la critica situazione delle borse che, anzi, il giorno seguente, martedì 19, non hanno visto alcun segno di miglioramento e nessun segno di certezza, fino a quando le agenzie non hanno battuto le parole di un portavoce della Banca centrale europea, di cui tra l'altro non si conosce il nome, che avrebbe dichiarato che si sarebbe trattato soltanto di «pratiche standard che hanno riguardato diversi istituti dell'eurozona»;
   l'indiscrezione, così come le rassicurazioni della Consob, che ha fermato la vendita allo scoperto di Mps e Banco popolare, di Banca d'Italia, dell'Abi e del Ministro interrogato, che dichiara «nessuna preoccupazione», non saranno però sufficienti e la borsa continuerà ad andare a picco (con Mps a -14 per cento e Carige -11 per cento e un -4,8 per cento a Milano di mercoledì 20), fino all'intervento del Presidente della Banca centrale europea;
   quest'ultimo, infatti, ha spiegato come ci sia stata «un'errata interpretazione» della lettera della Banca centrale europea, anzi «una percezione significativamente confusa» sulla comunicazione, poiché, effettivamente, la stessa lettera: «è stata fatta non solo alle banche italiane ma a un certo numero di banche dell'eurozona»; ha poi continuato: «La Banca centrale europea vuole solo sapere come gestiscono i non performing loans così da arrivare a individuare una best practice, cioè una richiesta sul processo di gestione dei crediti deteriorati. Non è una iniziativa che pressa le banche ad agire urgentemente con gli npl, che sappiamo richiedono anni di tempo»; conclude, poi, dicendo come ci sia stata «molta confusione»;
   dal canto suo, nella stessa giornata di mercoledì, il Ministro interrogato ha chiaramente espresso il suo dissenso circa la «gestione della comunicazione poco accorta» e, indirizzandosi al Single Supervisiory Mechanism, ha continuato asserendo che «bisogna essere molto cauti a mandare fuori informazioni a dare segnali»;
   in ogni modo, però, il risultato è stata la forte penalizzazione delle banche italiane rispetto a quelle degli altri Paesi dell'eurozona che, allo stesso modo, hanno ricevuto il questionario;
   simile trattamento di sfavore nei confronti dell'Italia è stato tenuto anche per quanto riguarda la questione delle banche poste in risoluzione in cui, per esempio, nel caso della banca portoghese Banif, la Commissione europea, nel suo annuncio, non ha specificato i valori di conferimento dei crediti in sofferenza; al contrario, nel caso delle quattro banche italiane poste in risoluzione, non soltanto la Commissione, ma anche Governo e Banca d'Italia, hanno dichiarato che il valore medio degli npl conferiti alla bad bank fosse di 18 centesimi, su una media di 40 centesimi –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno chiarire il significato dell'affermazione rivolta al Single Supervisiory Mechanism circa la «gestione poco accorta» e cosa abbia causato l'errata interpretazione della lettera della Banca centrale europea, secondo quanto dichiarato dal Presidente della Banca centrale europea medesima, e se non ci sia stata, piuttosto, una sorta di «trattativa» tra Governo e Commissione europea sulla situazione degli istituti di credito italiani. (3-01963)


   PICCONE. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   un elemento che ostacola la crescita del nostro Paese è l'evasione fiscale. Secondo un recente studio di Confindustria l'evasione fiscale in Italia ammonta a 122 miliardi di euro, ovvero al 7,5 per cento del prodotto interno lordo;
   lo stesso studio mette in evidenza come dimezzando l'evasione fiscale si potrebbero creare oltre 300 mila posti di lavoro;
   il fenomeno dell'evasione fiscale ha assunto in Italia, quindi, dimensioni molto ampie. Il Governo dovrebbe intervenire con politiche fiscali idonee a concretizzare azioni efficaci per contrastare tale fenomeno che agisce con gravi effetti negativi sulla crescita economico-sociale del nostro Paese;
   è comunque da sottolineare come il Governo abbia agito con determinazione nel contrasto all'evasione fiscale: il 2015, infatti, rappresenterà l'anno record per la lotta all'evasione fiscale con un gettito che supererà i 14,2 miliardi di euro del 2014 –:
   quali iniziative intenda adottare per contrastare in modo ancora più efficace l'evasione fiscale, semplificando nello stesso tempo il sistema fiscale del nostro Paese. (3-01964)


   RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, GIORGIA MELONI, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   ogni anno gli immigrati che vivono nel territorio nazionale trasferiscono somme di denaro dall'Italia ai propri Paesi di origine;
   le rimesse degli immigrati sono regolate in denaro contante tramite istituti di pagamento o altri intermediari autorizzati senza transitare su conti di pagamento intestati all'ordinante o al beneficiario;
   secondo i dati pubblicati dalla Banca d'Italia e aggiornati al 30 settembre 2015, le somme maggiori sono destinate alla Romania, con oltre sette miliardi di euro di trasferimenti all'anno, alla Cina e al Bangladesh che ogni anno ricevono oltre cinque miliardi ciascuna, seguite dal Senegal e dalle Filippine con quasi tre miliardi ciascuna;
   nel corso di un'audizione innanzi alle competenti Commissioni parlamentari, il vice direttore generale della Banca d'Italia ha chiesto un regime di controlli più severi per quanto attiene ai money transfer, che, come emerso da numerose inchieste, non di rado vengono utilizzati per trasferire ingenti somme di denaro riciclato;
   le disposizioni che regolano l'attività di questo tipo di strutture hanno evidenziato negli anni numerose lacune, che permettono a parte degli immigrati di aggirare le regole sui trasferimento di denaro, soprattutto sotto il profilo dei costi dovuti per le singole operazioni;
   l'innalzamento del livello di guardia per quanto concerne i rischi connessi al terrorismo internazionale impongono un'attenzione ancora maggiore ai trasferimenti di denaro da e per l'estero –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare per garantire maggiore controllo sui trasferimenti di denaro contante dall'Italia verso l'estero. (3-01965)

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nella serata di domenica 24 gennaio 2016, nella fascia oraria di maggiore ascolto, i principali canali televisivi Mediaset, Mediaset Premium, Sky, La7 e Discovery Channel, hanno trasmesso un nuovo spot pubblicitario di StarCasinò, ovvero una delle maggiori aziende di gioco d'azzardo presenti in rete; lo spot aveva già ottenuto un discreto successo sul web totalizzando oltre 200.000 contatti;
   lo spot pubblicitario, caratterizzato dalla presenza di una donna in abiti succinti nell'atto di frustare un uomo con un collant, mette chiaramente in risalto l'aggressività della stessa donna nei confronti dell'uomo, come a voler dimostrare quanto ella sia consapevole della diffusione rapida della patologia legata al gioco d'azzardo;
   lo spot pubblicitario, inoltre, accenna chiaramente alla presenza dei casinò online, mostrandone l'aspetto accattivante di un intrattenimento ampiamente diffuso nella società, che esprime l'aspetto compulsivo del gioco on line, ancora più insidioso dal punto di vista della salute dei giocatori –:
   alla luce di quanto esposto in premessa, a che punto sia l'organizzazione dell'Osservatorio per il contrasto e la diffusione del gioco d'azzardo ed il fenomeno della dipendenza grave, previsto dalla legge di stabilità per il 2015, con appositi compiti di monitoraggio delle dipendenze dal gioco d'azzardo, di monitoraggio dell'efficacia delle azioni di cura e di prevenzione intraprese, nonché la definizione delle linee di azione per garantire le prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazioni rivolte alle persone affette dal gioco d'azzardo patologico;
   per quale motivo non si sia proceduto, per quanto di competenza, a controlli sugli spot pubblicitari, come previsto nella legge di stabilità per il 2016 in materia di strumenti maggiormente esigenti e più severi di contrasto al gioco d'azzardo, che delle fasce orarie in cui trasmettere la pubblicità, a tutela e come segno di rispetto dei minori. (3-01955)

Interrogazione a risposta scritta:


   OLIARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo gli ultimi dati Istat e del Ministero dello sviluppo economico (novembre 2015), elaborati dall'ufficio studi di Confartigianato, in Italia i tempi medi di pagamento della pubblica amministrazione dei propri debiti nei confronti delle imprese si attestano sui 99 giorni, con punte nel Sud (114 giorni) e nel Centro Italia (108 giorni), mentre nel Nord ovest (89) e nel Nord est (86) i tempi risultano sotto la media. Si tratta di 12,9 milioni di fatture complessive, per un importo medio di circa 5.500 euro e un totale di oltre 71 miliardi;
   nel dettaglio regionale i tempi di pagamento più lunghi si riscontrano in Calabria, con 149 giorni medi, seguiti da Campania (128 giorni) e Lazio (119 giorni). Tempi più contenuti e inferiori ai 90 giorni si registrano in Veneto (81), Umbria (71) e Trentino-Alto Adige (62). In Liguria, invece, occorrono in media 95 giorni di tempo prima che la pubblica amministrazione saldi i propri debiti commerciali;
   nonostante l'Italia abbia recepito ormai da tre anni la direttiva comunitaria che fissa a trenta giorni i termini di pagamento e, nonostante l'obbligatorietà di strumenti come la fatturazione elettronica, i tempi di pagamento sono piuttosto lunghi;
   secondo i dati del Ministero dell'economia e delle finanze, gli enti virtuosi «veri», cioè quelli che effettivamente pagano entro i limiti di legge (in media in 20 giorni), rappresentano solo il 13,4 per cento della spesa complessiva. Al contrario, dopo trentaquattro mesi dall'entrata in vigore della normativa, per l'86,6 per cento della spesa totale rimangono ancora disattese le prescrizioni della direttiva europea;
   un ulteriore indicatore significativo è che per gli enti virtuosi «veri» l'importo medio della fattura è di 11.196 euro, mentre quello degli altri enti (che in media pagano dopo 141 giorni) la fattura media scende a 5.111 euro, a dimostrazione che a soffrire di queste tempistiche di pagamento sono proprio le realtà produttive di micro dimensione, che più spesso rimangono invischiate tra le maglie dei ritardi della pubblica amministrazione;
   posto che le disposizioni normative in vigore purtroppo restano spesso disattese, quali iniziative il Governo intenda al più presto adottare per risolvere il grave problema dei ritardi dei pagamenti commerciali della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese, che rappresentano un pesante danno economico alle nostre aziende italiane, soprattutto a quelle di piccole dimensioni, e fonte di loro indebitamento. (4-11798)

GIUSTIZIA

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), all'articolo 1, commi 526 e seguenti ha correttamente riportato all'amministrazione centrale la gestione diretta degli uffici giudiziari a decorrere dal 1o settembre 2015, modificando la disciplina risalente al 1941 che poneva le spese per tali uffici in capo ai comuni;
   tali disposizioni hanno finalmente rimosso l'anomalia rappresentata dalla legge 24 aprile 1941, n. 392, recante «Trasferimento ai Comuni del servizio dei locali e dei mobili degli Uffici giudiziari», che aveva posto a carico dei bilanci dei comuni le spese per la gestione degli uffici giudiziari, prevedendo rimborsi dal Ministero della giustizia attraverso l'erogazione di un contributo economico annuo;
   i comuni, con senso di responsabilità istituzionale, hanno collaborato con il Ministero della giustizia al fine di garantire un ordinato passaggio delle competenze, nell'ambito del quale sono maturate le disposizioni dell'articolo 21-quinquies del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, in considerazione dell'esperienza pluriennale maturata dai comuni e delle necessità espresse dall'amministrazione della giustizia ovvero da li uffici giudiziari sul territorio;
   per il periodo transitorio dal 1o settembre 2015 al 31 dicembre 2016, come da ultimo modificato dall'articolo 1, comma 617, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, gli uffici giudiziari possono continuare ad avvalersi dei servizi forniti dal personale comunale per le attività di custodia, telefonia, riparazione e manutenzione ordinaria, sulla base di accordi o convenzioni da concludere in sede locale, autorizzati dal Ministero della giustizia, in applicazione e nei limiti della Convenzione Quadro stipulata tra il Ministero della giustizia e l'ANCI il 27 agosto 2015;
   i comuni vantano ancora nei confronti del Ministero della giustizia, sia un consistente credito per le spese sostenute negli anni tra il 2012 e l'agosto 2015 – considerato il forte ritardo nell'erogazione dei rimborsi e considerata l'assoluta insufficienza nella dotazione finanziaria del relativo capitolo di bilancio e l'esiguità degli acconti finora erogati – sia un mancato rimborso delle spese relative al personale comunale comandato presso gli uffici giudiziari;
   tali risorse sono state anticipate dalle casse comunali solo ed esclusivamente per garantire l'erogazione di un servizio di stretta pertinenza statale;
   notizie informali riportano che per il 2012 sarebbe in via di adozione un provvedimento (Ministero della Giustizia di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze), che riconosce un rimborso in percentuali minime rispetto alle spese sostenute intorno al 25 per cento);
   giusto per fornire un parametro di riferimento delle spese tutte rendicontate per l'anno 2012 da alcuni tra i principali comuni italiani, la situazione si presenta con queste cifre:
   Bologna: per l'anno 2012 a fronte di una spesa validata dal Ministero della giustizia di euro 14.515.137,63 il rimborso è stato di circa 3.6 milioni di euro;
   Torino: per l'anno 2012 a fronte di una spesa pari a euro 15.848.488,76 il rimborso è stato di circa 3,9 milioni di euro;
   Milano: per l'anno 2012 a fronte di una spesa pari a euro 26.122.448,61 il rimborso è stato di circa 65 milioni di euro;
   Palermo: per l'anno 2012 a fronte di una spesa pari a euro 15.389.441,31 il rimborso è stato di circa 3,8 milioni di euro;
   Firenze: per l'anno 2012 a fronte di una spesa pari a euro 17.765.650,25 il rimborso è stato di circa 4,4 milioni di euro;
   Venezia: per l'anno 2012 a fronte di una spesa pari a euro 10.214.134,29 il rimborso è stato di circa 2.5 milioni di euro;
   Bari: per l'anno 2012 a fronte di una spesa pari a euro 6.803.625,35 il rimborso è stato di circa 1,7 milioni di euro;
   le mancate entrate in ciascun comune a fronte di una spesa già sostenuta comportano ripercussioni sulle risorse dei bilanci comunali, non solo in termini di minore entrata specifica, ma anche per effetto dell'obbligo di ridurre i residui attivi iscritti in bilancio con riferimento alle annualità 2013 e successiva, in ossequio ai principi della nuova contabilità;
   sono destinati ad incidere negativamente sul livello dei servizi ai cittadini e proprio nel momento in cui le famiglie italiane sono più esposte sul progressivo impoverimento e i comuni ricevono le maggiori richieste di sostegno ed intervento per il sociale –:
   se il Governo sia a conoscenza che per l'anno 2011 alcuni comuni tra cui il comune di Lecce hanno già promosso ricorso al TAR ottenendo una pronuncia positiva con l'accoglimento dei motivi sostenuti e la nomina di un commissario ad Acta per determinare la misura del contributo dovuto ai comuni;
   se il Governo sia a conoscenza che sul medesimo procedimento contro il Ministero della giustizia altri comuni hanno avviato analoga iniziativa in sede civile, anch'essa accolta, in cui il giudice ha emesso analogo decreto ingiuntivo per il pagamento a favore dei comuni interessati della somma spettante;
   se il Governo sia a conoscenza che tale ricorso per la definizione di quanto di diritto, per un comune medio sede di ufficio giudiziario, ha comportato per le sole spese di procedura una quantificazione di oltre euro 7.000 per ciascuna pratica e che, essendo 181 i comuni sede di uffici giudiziari, l'ammontare complessivo per le sole spese di tali procedure a carico del bilancio dello Stato sarebbe pari a oltre 1,2 milioni di euro;
   considerate le diverse proposte avanzate dall'Associazione nazionale dei comuni italiani al fine di evitare inutili costi aggiuntivi per i contenziosi che rischiano di insorgere, quali siano le iniziative che intendono assumere, anche con carattere d'urgenza, al fine di determinare un percorso di graduale ristoro delle spese già sostenute dai comuni – comprensive degli oneri relativi al personale comunale comandato presso gli uffici giudiziari – e di ordinata gestione dei residui iscrivibili in bilancio.
(2-01240) «Fragomeli, Cova, Fabbri, Famiglietti, Cinzia Maria Fontana, Peluffo, Bini, Tartaglione, Gadda, Dallai, Coppola, Castricone, Giuseppe Guerini, Crimì, Taricco, Zanin, Rossi, Bergonzi, Lodolini, Amato, Capone, Carnevali, Beni, Albini, Dell'Aringa, Fedi, D'Incecco, Ginefra, Prina, Tidei, Leva, Malisani, Palma, Pelillo».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   con sentenza del 14 aprile 2015, ricorso n. 66655/13, Contrada c. Italia (n. 3), la Corte europea dei diritti dell'uomo ha accertato, all'unanimità, la violazione del principio di legalità dei delitti e delle pene sancito dall'articolo 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 1950 (di seguito «CEDU») con riferimento alla condanna di Bruno Contrada per il reato di concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso ai sensi degli articoli 110 e 416-bis del codice penale;
   nello specifico, la Corte ha valutato se, all'epoca dei fatti ascritti al ricorrente (ricompresi nell'arco temporale 1979-1988), «la legge applicabile definisse chiaramente il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso», e cioè se, «a partire dal testo delle disposizioni pertinenti e con l'aiuto dell'interpretazione della legge fornita dai tribunali interni, il ricorrente potesse conoscere le conseguenze dei suoi atti sul piano penale» (cfr. ivi, § 64);
   dopo aver ricordato le profonde divergenze giurisprudenziali esistenti in merito a tale autonoma figura criminosa, la Corte di Strasburgo ha ritenuto che soltanto a partire dalla sentenza Demitry resa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione il 5 ottobre 1994 quest'ultima avesse «fornito, per la prima volta, una elaborazione della materia controversa, esponendo gli orientamenti che negano e quelli che riconoscono l'esistenza del reato in questione e, nell'intento di porre fine ai conflitti giurisprudenziali in materia, ha finalmente ammesso in maniera esplicita l'esistenza del reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso nell'ordinamento giuridico interno» (cfr. ivi, § 69);
   all'esito di una valutazione complessiva del quadro normativo e giurisprudenziale italiano concernente il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, la Corte europea è, dunque, giunta alla conclusione che tale figura criminosa «costituisce il risultato di un'evoluzione giurisprudenziale che ha avuto inizio verso la fine degli anni ’80 del secolo scorso e si è consolidata soltanto nel 1994 con la sentenza Demitry» (cfr. ivi, § 74);
   dal momento che il contenuto essenziale del diritto convenzionalmente riconosciuto è costituito dall'accessibilità e prevedibilità della norma, ciò che risulta determinante è, infatti, non solo l'intelligibilità della fonte formale, ma anche la sua applicazione giudiziale: ed è proprio da questo ultimo punto di vista che la Corte di Strasburgo rileva come l'evoluzione giurisprudenziale che ha partorito il concorso esterno, dopo un iniziale «silenzio» protrattosi dall'introduzione nel 1982 del delitto di associazione di tipo mafioso fino alla prima sentenza della Cassazione nel 1987, risulta contraddistinta da ripetuti capovolgimenti, almeno fino al 1994 con l'intervento «stabilizzatore» delle Sezioni Unite;
   pertanto, alla luce dei consolidati principi espressi dalla giurisprudenza europea in tema di legalità dei reati, «all'epoca in cui sono stati commessi i fatti ascritti al ricorrente (1979-1988), il reato in questione non era sufficientemente chiaro e prevedibile per quest'ultimo», con la conseguenza che egli, non poteva conoscere nel caso di specie la pena cui sarebbe andato incontro per le condotte dallo stesso poste in essere (cfr. ivi, § 75);
   tale pronuncia, adottata all'unanimità dai sette giudici della Camera, è divenuta definitiva il 14 settembre 2015, a seguito della decisione con cui un collegio di cinque giudici della Grande Camera ha rigettato l'istanza di riesame del caso formulata dal Governo italiano ai sensi dell'articolo 43 della CEDU;
   ai sensi dell'articolo 46 § della CEDU, gli Stati contraenti sono obbligati a conformarsi alle sentenze definitive della Corte europea sulle controversie nelle quali sono parti, obbligo che non si esaurisce nel pagamento delle somme eventualmente liquidate alla parte lesa a titolo di equa soddisfazione, ma esige altresì l'adozione di tutte le «misure di carattere individuale» necessarie per porre fine alla violazione e per eliminare tutte le conseguenze pregiudizievoli che essa continui eventualmente a produrre ai danni della vittima, nonché di tutte le «misure di carattere generale» necessarie a rimuovere le cause «strutturali» della violazione riscontrata, allorché essa tragga origine da un difetto sistemico dell'ordinamento interno, e ad evitare così il ripetersi di violazioni identiche o analoghe;
   allorché la violazione accertata dalla Corte scaturisca, come nel caso Contrada, da una «difetto sistemico» dell'ordinamento interno, e cioè un problema di natura generale o strutturale che trascende il singolo caso oggetto di esame, le autorità statali hanno l'obbligo di adottare le necessarie misure rimediali in favore di tutti i soggetti che abbiano subito gli effetti della stessa violazione, in modo tale che, nel rispetto del principio di sussidiarietà, la Corte europea non sia chiamata a reiterare le sue constatazioni di violazione in una serie successiva di casi identici;
   l'estensibilità degli effetti delle sentenze della Corte europea nei confronti di tutti i soggetti che versino nella medesima situazione contemplata da tali sentenze e che abbiano, dunque, subito la medesima violazione è stata pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza della Suprema Corte di cassazione e della Corte costituzionale (rispettivamente, per tutti, Corte di cassazione Sezioni Unite ordinanza 19 aprile – 20 settembre 2012, Ercolano; e Corte costituzionale, sentenza n. 210 del 3 luglio 2013);
   ai sensi dell'articolo 5, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, così come modificato dall'articolo 1 della legge 9 gennaio 2006, n. 12, il Presidente del Consiglio dei ministri, direttamente o conferendone delega ad un ministro, «promuove gli adempimenti di competenza governativa conseguenti alle pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo emanate nei confronti dello Stato italiano»;
   in occasione della Conferenza di alto livello sul futuro della Corte europea, svoltasi a Brighton il 20 aprile 2012, l'Italia ha assunto l'impegno solenne a dare piena attuazione alle sentenze della Corte europea all'interno del proprio ordinamento, adottando, ove necessario, le misure di carattere generale volte a risolvere i «problemi di natura sistemica» e sviluppando «meccanismi interni per assicurare la pronta esecuzione delle sentenze della Corte» (cfr. Dichiarazione di Brighton, 20 aprile 2012, §§ 26-28);
   la sentenza Contrada lascia aperti non pochi interrogativi sul fronte delle conseguenze giuridiche per l'interessato e per tutti coloro che versano nella medesima situazione e, cioè, che siano stati condannati per concorso esterno in associazione mafiosa in relazione a fatti anteriori al 1994 cosiddetti «fratelli minori di Contrada»);
   tali interrogativi sono stati ulteriormente accentuati da una recente decisione con cui la corte d'appello di Palermo ha ritenuto che, pur in presenza di situazioni identiche a quella oggetto della sentenza Contrada, non si possa dare luogo alla revoca o declaratoria di ineseguibilità della sentenza di condanna sulla scorta dei principi ivi enunciati per «difetto di una previsione normativa che consenta al Giudice dell'esecuzione di revocare una sentenza di condanna in presenza di una sentenza della Corte EDU, pronunciata (...) nei confronti di un soggetto diverso e nell'ambito di altra procedura» (ordinanza n. 639 del 18-23 novembre 2015);
   stando a tale decisione, dunque, l'ordinamento italiano sarebbe carente di un apposito rimedio che permetta di dare piena attuazione alla sentenza della Corte europea rispetto a coloro che abbiano subito la medesima violazione dell'articolo 7 della CEDU, e ciò anche nel caso in cui trattasi di persone tuttora detenute in espiazione pena –:
   quali siano le iniziative di competenza che il Governo intenda adottare, e con quale tempistica, al fine di porre rimedio alla situazione secondo gli interpellanti di «illegalità convenzionale» venutasi a determinare, per effetto della sentenza Contrada, rispetto a tutti coloro che siano stati condannati in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa per fatti commessi anteriormente al consolidamento giurisprudenziale in materia avutosi a partire dalla sentenza Demitry del 1994, e ciò anche al fine di evitare che l'Italia sia nuovamente condannata per violazione della CEDU.
(2-01241) «Brunetta, Palmizio, Archi, Biasotti, Biancofiore, Castiello, Catanoso, Luigi Cesaro, De Girolamo, Riccardo Gallo, Gelmini, Giacomoni, Giammanco, Alberto Giorgetti, Gullo, Occhiuto, Laffranco, Lainati, Martinelli, Milanato, Nizzi, Palmieri, Petrenga, Polidori, Polverini, Prestigiacomo, Russo, Sarro, Sisto, Squeri, Valentini, Vella, Vito».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ROSTAN. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 1311 del 1962, all'articolo 7, comma 2, statuisce che il Ministro della giustizia, di norma, ogni tre anni, disponga, per il tramite del proprio ispettorato generale, ispezioni in tutti gli uffici giudiziari, allo scopo di accertare se i servizi procedono secondo le leggi, i regolamenti e le istruzioni vigenti;
   la stessa norma, inoltre, prevede che l'ispettorato ministeriale possa disporre ulteriori visite ed ispezioni con cadenza più frequente, laddove vengano riscontrate, all'interno degli uffici, deficienze, irregolarità, anomalie;
   tali anomalie, disfunzioni ed irregolarità sono state riscontrate in molti tribunali della Campania, con particolare riferimento agli uffici di Napoli, Napoli Nord, Nola, Avellino, Torre Annunziata e Santa Maria Capua Vetere;
   nello specifico, tali anomalie e disfunzioni sono causate per lo più da carenze strutturali e di personale giudiziario ed amministrativo, in virtù delle quali gli avvocati, in particolar modo quelli penalisti, sono costretti ad espletare il proprio mandato in condizioni lavorative a dir poco mortificanti, tali da pregiudicare anche il diritto di difesa dei loro assistiti e dell'utenza coinvolta nei procedimenti penali;
   in alcuni casi, come per quanto concerne il tribunale di Napoli Nord, le carenze di personale amministrativo arrivano a sfiorare l'80 per cento del fabbisogno concretamente necessario a garantire il corretto funzionamento degli uffici giudiziari;
   sofferenze analoghe a quelle del tribunale di Napoli Nord, sono patite dal tribunale di sorveglianza di Napoli, laddove lo stesso presidente, con propria nota indirizzata al Ministero, ha evidenziato come la riduzione del numero delle udienze espletabili stia, di fatto, compromettendo seriamente i diritti dei detenuti e dei condannati coinvolti in procedimenti penali di competenza del predetto tribunale;
   la giunta dell'Unione delle camere penali italiane ed i direttivi delle camere penali del distretto della Corte di Appello di Napoli (Napoli, Napoli Nord, Benevento, Irpinia, Nola, Santa Maria Capua Vetere e Torre Annunziata) ha, pertanto, formalizzato all'ispettorato generale del Ministero della giustizia, un'istanza di verifica ed ispezione degli uffici sopra richiamati, corredata di una pluralità di documenti e contenuti dettagliati che comproverebbero, ed in alcuni casi attesterebbero, la assoluta veridicità e fondatezza delle criticità sopra esposte;
   a tale istanza, purtroppo, non è stato fornito alcun riscontro; circostanza, quest'ultima, che oltre a non migliorare la condizione degli uffici da ispezionarsi, non favorisce un produttivo e leale confronto tra l'amministrazione giudiziaria e l'Avvocatura in generale;
   restano, pertanto, in essere, quelle condizioni di inefficienza e le disfunzioni che contraddistinguono l'attività degli uffici giudiziari, rispetto alle quali appare quanto mai necessario un intervento ispettivo da parte del Ministero della giustizia;
   oltre alle ragioni di opportunità ed alle finalità di efficientamento del sistema giudiziario, si sottolinea che le suddette ispezioni, quanto meno quelle triennali, costituiscono un obbligo di legge a carico dell'ispettorato del Ministero della giustizia e non già attività amministrative facoltative –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa ed, in particolare, se abbia contezza delle gravi disfunzioni ed anomalie che stanno contraddistinguendo l'organizzazione degli uffici giudiziari di Napoli, Napoli Nord, Nola, Avellino, Torre Annunziata e Santa Maria Capua Vetere;
   se il Ministro interrogato abbia contezza dell'istanza di ispezione straordinaria formalizzata dall'Unione delle camere penali nel mese di ottobre 2015 e se abbia posto in essere le attività ispettive ivi richieste;
   se il Ministro interrogato abbia predisposto le ispezioni triennali di cui all'articolo 7, comma 2, della legge 1311 del 1962 e, in caso affermativo, quali siano stati i risultati delle stesse per quanto concerne gli uffici giudiziari di Napoli, Napoli Nord, Nola, Avellino, Torre Annunziata e Santa Maria Capua Vetere;
   quali siano le ormai improcrastinabili iniziative che il Ministro interrogato intenda assumere di qui a breve, per affrontare e possibilmente risolvere le gravi disfunzioni ed anomalie riscontrabili presso gli uffici giudiziari di Napoli, Napoli Nord, Nola, Avellino, Torre Annunziata e Santa Maria Capua Vetere, così come descritte nell'istanza a firma dell'Unione delle camere penali italiane del 17 ottobre 2015. (5-07502)


   GAGNARLI e DI BENEDETTO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   Gorgona, ultima isola-penitenziario esistente nel nostro Paese dal 1869, da un paio d'anni ha perso la sua autonomia ed è diventata da casa di reclusione a sezione distaccata della casa circondariale di Livorno (Le Sughere);
   assieme ai detenuti sono sempre stati presenti animali, allevati per scopi di autoconsumo e vendita di prodotti (carne, formaggi, uova) in circuiti legati ai dipendenti, detenuti e ad altre persone orbitanti attorno l'isola;
   sull'isola è presente anche un caseificio ed un macello. Tuttavia queste attività prettamente produttive hanno sempre avuto costi elevati di gestione e notevoli criticità igienico-sanitarie, che hanno infatti portato alla sospensione temporanea del macello da luglio 2014, oltre a non ricavare la giusta remunerazione dalla vendita dei prodotti, spesso ceduti sul mercato a prezzi molto inferiori rispetto alla media;
   l'attività produttiva legata agli animali sull'isola è, inoltre, in evidente contrasto con la relazione etica e rieducativa promossa tra persone detenute e animali presenti. Questa riflessione è stata attivata, in particolare, dal medico veterinario omeopata Marco Verdone che ha svolto il ruolo di consulente del penitenziario e poi di veterinario incaricato (legge n. 740 del 1970) sull'isola dal 1989 fino al febbraio 2015, quando l'Asl 6 di Livorno (nella quale sono confluite le competenze della sanità penitenziaria in seguito al DPCM/2008) lo ha spostato da Gorgona a Cecina (Livorno) con la motivazione che l'isola avrebbe beneficiato dell'assistenza veterinaria messa a disposizione da un'azienda, che nel frattempo ha avuto in concessione il vigneto dell'isola e mostrato interesse anche per la parte zootecnica;
   la critica più importante, sostenuta da migliaia di persone attraverso una petizione pubblica e da un appello firmato da personaggi illustri appartenenti a varie aree culturali, (http://www.lav.it), riguarda la piena incompatibilità di una struttura come un macello all'interno di un luogo la cui finalità principale non è produrre carne e formaggi ma riabilitare persone detenute, secondo quanto espresso dall'articolo 27 della Costituzione Italiana;
   sulla relazione detenuto umano/animale allevato, vengono scritti diversi articoli e tre libri dal dottor Marco Verdone che contribuiscono a far conoscere l'isola e il ruolo che gli animali svolgono nel rispetto della loro integrità (http://www.ondamica.it), e viene altresì redatta e pubblicata nel 2012, all'interno di un libro collettaneo «Ogni specie di libertà», la Carta dei diritti degli animali di Gorgona (http://www.ondamica);
   nel 2014, grazie alla disponibilità dell'ex direttore Carlo Mazzerbo, vengono emessi dei «decreti di grazia» per alcuni animali. Essi vengono definitivamente tutelati, salvati e considerati come «cooperatori della rieducazione/trattamento» (http://www.ondamica.it);
   in data 29 novembre 2014, la prima firmataria del presente atto di sindacato ispettivo ha depositato una prima interrogazione a risposta in Commissione (5-04173), ancora senza risposta, in cui chiede di interrompere la procedura ristretta di alienazione degli animali sull'isola;
   a febbraio 2015, dopo il trasferimento del dottor Marco Verdone, al direttore Carlo Mazzerbo non viene rinnovato l'incarico sull'isola, che rimane sotto la direzione unica di Livorno;
   in data 5 maggio 2015 Governo si impegna a valorizzare e promuovere buone pratiche come l'esperienza di reinserimento e recupero dei detenuti del carcere dell'isola di Gorgona attraverso attività con animali-domestici, a seguito dell'approvazione in Senato della mozione a prima firma Amati (1-00258);
   a giugno 2015 la nuova direttrice del penitenziario invia una lettera alle autorità locali, ad alcune Associazioni di categoria e ad alcune Associazioni impegnate nella tutela degli animali, per annunciare la cessione a titolo gratuito, a chiunque si renda disponibile al loro mantenimento, degli animali graziati;
   poco prima di natale 2015, notizie non ufficiali riportano la vendita di parte degli animali ed alcune fecondazioni artificiali, evidentemente in previsione di ottenere animali «più produttivi»;
   anche il Presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, afferma la sua volontà di tutelare l'esperienza di Gorgona, in quanto modello di un percorso di reinserimento dei detenuti nella società e di salvaguardia e valorizzazione di un patrimonio naturalistico di inestimabile valore, esperienza fra le più avanzate e in linea con i principi dell'articolo 27 della Costituzione, che dovrebbe essere estesa ad altri Istituti di pena, ove possibile e con modalità adeguate ai vari contesti –:
   se il Ministro interrogato, per quanto sopra riportato ed in linea con l'impegno preso nella mozione a prima firma Amati (1-00258), non ritenga opportuno intervenire urgentemente per disporre la chiusura definitiva delle attività produttive, o quanto meno della macellazione, del tutto incompatibili, col progetto rieducativo, estendere la tutela anche agli animali non «graziati», disporre il cambio di utilizzo degli animali di cui in premessa da produttivo a relazionale-terapeutico e l'apertura dell'isola, quale esperienza di buone pratiche nella relazione umano-animale, al mondo esterno come bene comune e laboratorio rieducativo alla non violenza.
(5-07508)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta immediata:


   SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   con sentenza n. 7 del 2016 la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionali le norme del decreto-legge «Sblocca Italia» varate per far ripartire cantieri e opere pubbliche ma che non prevedono il coinvolgimento delle regioni (nel caso specifico della Puglia): si parla di progetti e piani di ammodernamento per la rete ferroviaria e contratti di programma tra Enac e i gestori degli aeroporti. Si pone la questione della divisione di competenze (e quindi di potere decisionale) tra Stato e regioni. La citata sentenza numero 7, depositata di recente, con la quale la Corte costituzionale ha accolto un'istanza presentata nel gennaio del 2015, quando Governatore era ancora il leader di Sel Nichi Vendola, dà ragione alla Puglia. Le norme impugnate sono contenute nell'articolo 1 dello «Sblocca Italia» e riguardano, tra le altre cose, provvedimenti per far ripartire i cantieri sulla tratta ferroviaria Napoli-Bari e misure urgenti per gli aeroporti di interesse nazionale. Su questi aspetti, secondo la Corte costituzionale, la regione Puglia non è stata coinvolta abbastanza. La reazione dell'attuale presidente della regione Michele Emiliano, è stata tempestiva parlando di «un'altra notizia bomba» dopo il recente via libera al referendum sulle trivelle. Soddisfazione ha espresso anche il leader di Sel Nichi Vendola che ha detto: «Sono orgoglioso di aver messo la mia firma su quel ricorso contro una legge sbagliata e autoritaria». Secondo Vendola la sentenza rappresenta «un duro colpo alle pretese del Governo Renzi di mettere la museruola alle comunità locali»;
   il ricorso venne presentato un anno fa. La regione sollevava la questione di legittimità costituzionale ritenendo che fossero stati violati gli articoli 117 e 118 della Costituzione sul riparto delle competenze tra Stato e regioni. Sono stati così impugnati una serie di commi dell'articolo 1 del decreto-legge del 2014. Tre i principali nodi. Il decreto-legge «Sblocca Italia» stabiliva che l'amministratore delegato di Ferrovie dello Stato fosse nominato commissario per la realizzazione delle Napoli-Bari e che al commissario sarebbe spettato il potere di approvare le opere. Al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, poi, era affidato il compito di redigere il piano di ammodernamento dell'infrastruttura ferroviaria per individuare le linee su cui intervenire con opere di interesse pubblico nazionale o europeo. Sono state impugnate, infine, le misure che fissavano termini per accelerare i tempi concessi ai Ministeri delle infrastrutture e dei trasporti e dell'economia e delle finanze per esprimersi sugli investimenti previsti dai contratti di programma tra l'Enac e i gestori degli scali aeroportuali di interesse nazionale;
   «Secondo la Regione – si legge nel testo della Corte costituzionale – sulla base della giurisprudenza di questa Corte a partire dalla sentenza 303 del 2003, nell'ambito di tali materie sarebbe preclusa allo Stato l'allocazione a livello centrale delle funzioni amministrative, se non mediante una chiamata in sussidiarietà e nel rispetto delle garanzie partecipative previste a tal fine a favore delle Regioni interessate». Nel ricorso è stato sottolineato che nei commi 2 e 4 dell'articolo 1 tali garanzie non sarebbero osservate, «perché la Regione può intervenire nella fase di approvazione e di esecuzione dei progetti – recita il testo – solo in sede di conferenza di servizi». L'ente aveva precisato «di non contestare la chiamata in sussidiarietà in sé dello Stato, ma la mancata previsione dell'intesa». Il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituito in giudizio e ha chiesto che il ricorso fosse rigettato. La difesa ha sottolineato il carattere nazionale e strategico di tutti gli interventi oggetto delle norme impugnate che «permetterebbe di escludere la necessità di un coinvolgimento regionale»;
   la Corte costituzionale ha ritenuto fondate tutte e tre le questioni poste, ritenendo che le misure del decreto-legge «Sblocca-Italia» impugnate vadano ora sanate. La Corte costituzionale ha così disposto che si arrivi all'approvazione dei progetti d'intesa con la regione interessata, procedendo al varo del piano per ammodernare le infrastrutture insieme alla Conferenza Stato-regioni, e che l'ente debba esprimersi anche in merito ai contratti di programma tra Enac e gestori degli aeroporti. In particolare la Corte costituzionale ha sposato il ricorso presentato dalla Puglia, nella parte in cui sostiene che la conferenza di servizi che il commissario convoca entro 15 giorni dall'approvazione dei progetti non sarebbe bastata per far valere la propria voce. Questo perché «il motivato dissenso della Regione attiva le procedure concertative previste dalla legge 241 del 7 agosto 1990 solo per profili inerenti alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale o del patrimonio storico-artistico, ovvero alla tutela della salute e della pubblica incolumità». Quindi il dissenso regionale avrebbe avuto rilevanza solo in casi specifici. Secondo la Corte costituzionale «per conseguire la codeterminazione dell'atto, la Regione deve essere posta su un piano paritario con lo Stato, con riguardo all'intero fascio di interessi regionali su cui impatta la funzione amministrativa». La Corte costituzionale non boccia affatto nell'approvazione dei progetti «la chiamata in sussidiarietà della funzione amministrativa, che non è in sé oggetto di censura», ma ritiene che «debba accompagnarsi a garanzie partecipative a favore del sistema regionale, in ragione delle competenze che ad esso spettano»;
   la Corte costituzionale recentissimamente ha anche dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 29, comma 1, del decreto-legge «Sblocca Italia» nella parte in cui non prevede che il piano strategico nazionale della portualità e della logistica sia adottato in sede di Conferenza Stato-regioni (sentenza n. 261 del 2015) –:
   quali elementi il Ministro interrogato, per quanto di competenza, intenda fornire al Parlamento su quanto esposto in premessa, con particolare riferimento ai recenti e reiterati casi di sentenze della Corte costituzionale che hanno giudicato incostituzionali più norme contenute nel decreto-legge cosiddetto «Sblocca Italia», sottolineando quali iniziative il Governo intenda adottare per evitare in via preventiva l'introduzione di disposizioni contenute in decreti-legge che finiscono per rivelarsi in palese contrasto con i principi costituzionali. (3-01966)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS, PAOLO NICOLÒ ROMANO, SPESSOTTO e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 9 della legge n. 413 del 1998 ha sancito che per la realizzazione di opere infrastrutturali di ampliamento, ammodernamento e riqualificazione dei porti, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti adotta un programma sulla base delle richieste delle autorità portuali. Le autorità portuali ai fini della realizzazione degli interventi sono autorizzate a contrarre mutui quindicennali o ad effettuare altre operazioni finanziarie in relazione a rate di ammortamento per capitale ed interessi complessivamente determinati dai limiti di impegno quindicennali a carico dello Stato per lire 100 miliardi annue a decorrere dall'anno 2000;
   la delibera del CIPE n. 121 del 2001 ha approvato, ai sensi della legge n. 443 del 2001, il programma delle «infrastrutture pubbliche e private e degli insediamenti produttivi» in cui è presente in merito agli « hub portuali e interportuali», la piastra portuale di Taranto per un valore complessivo di 51,65 milioni di euro;
   nell'anno 2002 il raggruppamento temporaneo di imprese formato da Grassetto Lavori, Grandi Lavori Fincosit, Logsystem, Logsystem International, Sina e Magazzini Generali Lombardi avanza una proposta di project financing. Nell'ambito della proposta di project financing il progetto preliminare della piastra portuale è stato valutato positivamente in via formale e definitiva dall'autorità portuale di Taranto ed inviato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con lettera prot. 4117/SP in data 23 giugno 2003, oltre a successive integrazioni trasmesse con lettera prot. 4719/SP del 21 luglio 2003, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 190 del 2002 e dell'articolo 37-bis della legge n. 109 del 1994 e successive modificazioni e integrazioni. La regione Puglia esprime l'intesa sulla localizzazione dell'opera, a seguito anche del parere favorevole del comune. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare esclude l'intervento dalla valutazione di impatto ambientale;
   il progetto «piastra portuale di Taranto» prevede la trasformazione del porto di Taranto in hub portuale. L'opera prevede la realizzazione della piastra portuale di Taranto sulla base del progetto presentato dal soggetto promotore l'Ati composto da Grasseto Lavori Spa, Grandi Lavori Fincosit Spa, Logsystem Srl. In particolare, i lavori sono relativi a:
    ampliamento del IV sporgente;
    darsena a ovest del IV sporgente;
    realizzazione strada dei moli;
    logistica integrazione sistema transeuropeo;
   con la delibera n. 74 del 2003 il CIPE prende atto che il soggetto aggiudicatore e il principale finanziatore del progetto è l'autorità portuale di Taranto e che il promotore (ATI Grassetto S.p.a-Grandi Lavori Fincosit S.p.a-Logsystem) ha presentato un progetto corredato da un piano di asseveramento redatto a cura di Meliorbanca;
   nella suddetta delibera Cipe n. 74 viene riportato che il costo complessivo dell'intervento che all'epoca ammontava a 156,149 milioni di euro e che la quota a carico del soggetto privato è quantificata in 37,544 milioni di euro, di cui 27,574 milioni di euro per la realizzazione della piattaforma logistica e 9.970 milioni di euro per i miglioramenti che il promotore ha indicato rispetto al progetto iniziale dell'autorità portuale. Come comunicato dall'autorità portuale di Taranto al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, a seguito della verifica richiesta dal Ministero dell'economia e delle finanze, le risorse dell'autorità portuale immediatamente disponibili per l'intervento non assicuravano l'integrale copertura del costo residuo (118,605 milioni di euro), ammontando a 97,082 milioni di euro, di cui 92,590 milioni di euro a carico della legge n. 413 del 1998 – «Rifinanziamento degli interventi per l'industria cantieristica ed armatoriale ed attuazione della normativa comunitaria di settore» – e 4,492 milioni di euro di fondi propri. La copertura finanziaria residua (21,523 milioni di euro) viene quindi richiesta a valere sui fondi autorizzati della legge n. 166 del 2002 «Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti» previsti dall'articolo 13 «Attivazione degli interventi previsti nel programma di infrastrutture per l'attuazione del primo programma delle opere strategiche»;
   inoltre, nella delibera del CIPE n. 74 del 2003 viene definito che il progetto preliminare della piastra portuale di Taranto per un costo complessivo di 156,149 milioni di euro così articolato:
    26,146 per la strada dei moli;
    74,686 per l'ampliamento del IV sporgente;
    27,743 per la realizzazione della darsena;
    27,574 per la piattaforma logistica;
   viene quindi specificato che, ai sensi del comma 3 dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 190 del 2002, il suddetto importo di 156,149 milioni di euro costituisce il limite di spesa dell'intervento da realizzare specificando tra l'altro che all'intervento è assegnato un contributo, in termini di volume di investimenti, di 21,523 milioni di euro. Detto importo rappresenta comunque il limite massimo di spesa da finanziare a carico delle risorse recate dall'articolo 13 della legge n. 166 del 2002;
   nelle prescrizioni che vanno recepite in sede di progettazione definitiva, allegate alla delibera CIPE n. 74 del 2003, la prescrizione b) sancisce che «dovranno essere individuate le cave, le discariche necessarie e in particolare la viabilità da utilizzare, al fine di predisporre i piani di viabilità relativamente al possibile sovrapporsi dei cantieri delle opere portuali con le opere retroportuali»;
   nel 2004 l'autorità portuale di Taranto – soggetto aggiudicatore – pubblica il bando di gara per l’«Affidamento in concessione della piastra portuale di Taranto» sulla base del progetto preliminare, presentato dal promotore;
   in data 10 gennaio 2005 l'autorità portuale di Taranto affida la realizzazione dell'opera in regime di concessione al promotore. In data 28 dicembre 2005 l'autorità portuale procede all'aggiudicazione definitiva della concessione;
   in data 9 marzo 2006 è stata sottoscritta la convenzione di durata trentennale per l'affidamento in concessione della progettazione definitiva ed esecutiva e dell'esecuzione dei lavori di realizzazione della piastra logistica tra l'autorità portuale di Taranto (commissario dell'autorità portuale, Luigi Lobuono) e l'ATI, della quale fanno parte, Grassetto Lavori Spa capogruppo e mandataria, Grandi Lavori Fincosit Spa e Logsystem Srl;
   la società di progetto Taranto Logistica s.p.a. (società del gruppo Gavio Logistica) costituita il 25 luglio 2006, è subentrata al concessionario nel rapporto di concessione ai sensi della citata legge n. 109 del 1994, articolo 37-quinquies;
   con la nota 2 luglio 2007, n. 18167, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha rappresentato la necessità di espletare la procedura di valutazione di impatto ambientale sul progetto definitivo ex articolo 167, comma 5, del decreto legislativo n. 163 del 2006. Nel corso della conferenza di servizi, tenutasi il 20 dicembre 2007, la regione Puglia ha espresso parere favorevole in merito alla realizzazione dell'intervento, mentre alcune amministrazioni e gestori di opere interferite hanno richiesto modifiche del progetto, riguardanti in particolare:
    per il IV sporgente, la sostituzione della pavimentazione;
    per la darsena ad ovest del IV sporgente, una nuova configurazione allo scopo di salvaguardare l'isola di San Nicolicchio;
    per la «Strada dei moli», la modifica di un tratto compreso tra due rotatorie;
   con nota 1o dicembre 2008, n. 19813, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha trasmesso il parere 14 novembre 2008, n. 149, con cui la commissione VIA ha espresso parere positivo, con prescrizioni, in merito alla compatibilità ambientale del progetto definitivo in esame, comprensivo della vasca di colmata, integrato dagli elaborati progettuali che hanno recepito i sopra citati rilievi emersi in sede di conferenza di servizi;
   il Ministero istruttore richiede di porre a carico delle risorse di cui al fondo infrastrutture, quota riservata al Mezzogiorno, il finanziamento dell'ulteriore costo attinente alla piastra, pari ai citati 33,6 milioni di euro. Dalle risultanze dell'istruttoria svolta dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti emerge in particolare che, sotto l'aspetto tecnico-procedurale, il progetto definitivo oggetto di approvazione è costituito dalle seguenti opere:
    ampliamento del IV sporgente, che dovrà essere allargato dagli attuali 80 m ai previsti 200 m, per consentire l'utilizzo dello sporgente anche lungo il lato ovest, in aggiunta al lato est attualmente in uso;
    darsena ad ovest del IV sporgente, la cui nuova banchina dovrà raggiungere una lunghezza di 251 m, e sarà fornita di impianto elettrico, di illuminazione, idrico e di fognatura per il collettamento delle acque meteoriche;
    adeguamento e potenziamento della «strada dei moli», lunga circa 5,7 chilometri, che, attualmente sottodimensionata nel tratto di collegamento tra il IV sporgente, le restanti strutture del porto e l'adiacente, strada statale 106 «jonica», dovrà essere realizzata conformemente al tipo D, di cui al decreto 5 novembre 2001 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, a due corsie per senso di marcia e sarà integrata con inserimento di rotatorie e adeguamento e inserimento di opere d'arte; nuova piattaforma logistica, da realizzare su un'area di circa 148.000 metri quadrati e che comprenderà, tra l'altro, un piazzale per il deposito container e un terminal ferroviario costituito da 4 binari, collegati alla stazione di Taranto e destinati alle operazioni di carico/scarico dei container dai carri ferroviari;
    la realizzazione dell'ampliamento del IV sporgente e della darsena ad ovest richiede il dragaggio di tutta l'area antistante fino a raggiungere la profondità di progetto, per un quantitativo complessivo di materiale di circa 1.600.000 metri cubi;
    l'area del IV sporgente e della darsena ovest è stato oggetto di indagini volte alla caratterizzazione ambientale, i cui risultati hanno evidenziato la presenza di contaminazione in tracce di tipo sia organico sia inorganico, e su tali materiali sono stati svolti approfondimenti relativi alla gestione e smaltimento dei sedimenti di dragaggio, secondo quanto previsto dalla citata legge n. 296 del 2006, articolo 1, comma 996;
    per lo smaltimento dei materiali di dragaggio sono state valutate le possibili destinazioni e modalità di conferimento, ritenendo perseguibile nel progetto definitivo il conferimento delle argille provenienti dal dragaggio in una vasca di colmata, opera quest'ultima che assume carattere funzionale al progetto in esame;
    il progetto sopra descritto comprende quindi la realizzazione di una vasca di colmata, destinata alla raccolta dei sedimenti di risulta derivanti dalla realizzazione dei fondali del IV sporgente e della darsena servizi;
   in data 22 ottobre 2009, con la nota n. 6570, il Consiglio superiore dei lavori pubblici si è espresso positivamente in merito all'ammissibilità del succitato adeguamento prezzi, che dovrà essere oggetto di un aggiornamento del piano economico-finanziario della concessione;
   con la delibera n. 104 del 2010 del CIPE, viene approvato il progetto definitivo con copertura a valere sul fondo infrastrutture. Da tale deliberazione si apprende che il costo del progetto definitivo trasmesso ai sensi dell'articolo 167, comma 5, del decreto legislativo n. 163 del 2006 ammonta a 219,1 milioni di euro, di cui:
    189,7 milioni di euro per le opere attinenti la piastra portuale, inclusivi di 33,6 milioni di euro derivanti dal costo delle prescrizioni (17,5 milioni di euro) e dall'adeguamento prezzi al 2008 (16,1 milioni di euro);
    29,4 milioni di euro per la vasca di colmata, di cui 20 milioni di euro per i lavori di realizzazione e 9,4 milioni di euro per lavori di sistemazione finale a verde e formazione di dune con trasporto in discarica del materiale in esubero, realizzabili solo dopo il completamento della colmata in vasca con i materiali provenienti dal dragaggio;
    il finanziamento della vasca di colmata è a carico dell'autorità portuale, come risulta dalla nota 18 ottobre 2010, n. 8042, della stessa, autorità;
    il maggior costo (33,6 milioni di euro) delle opere attinenti la piastra rispetto al quadro contrattuale di concessione sarà oggetto di un apposito atto aggiuntivo della citata convenzione;
    viene specificato all'articolo 1, comma 1.2, che l'importo di 219,1 milioni di euro indicato nella richiamata «presa d'atto» costituisce il limite di spesa dell'intervento da realizzare;
   tra le prescrizioni citate che fanno parte della suddetta delibera viene stabilito che, tra l'altro: «Prima dell'inizio dei lavori dovrà essere approvato nelle sedi competenti il progetto definitivo della bonifica dei sedimenti e delle matrici ambientali interagenti con le opere a mare connesse alla Piastra portuale di Taranto ai sensi del decreto ministeriale 25 ottobre 1999, n. 471»;
   nella conferenza di servizi del 24 febbraio 2011 vengono presentati i progetti preliminari di dragaggio dei sedimenti e cassa di colmata funzionale al cosiddetto V sporgente. Per la realizzazione della cassa di colmata, sono necessari intervento di messa in sicurezza e bonifica della falda, funzionale alla realizzazione dell'opera. L'intervento, per un importo complessivo di circa 10 milioni di euro, è stato affidato dalla SOGESID (soggetto attuatore del protocollo) mediante gara d'appalto. Sono aggiudicate, sempre dalla SOGESID, anche le attività di indagine necessarie alla progettazione preliminare della messa in sicurezza e bonifica della falda dell'intero ambito portuale. A queste attività dovrà seguire una specifica convenzione – prevista dal protocollo – per l'affidamento e l'avvio dei successivi livelli di progettazione;
   con la delibera n. 6 del 2012 il CIPE ridefinisce il quadro finanziario complessivo del fondo per lo sviluppo e la coesione per il periodo 2012-2015 e per l'opera in questione si prevede prima una riduzione di 33,600 milioni di euro dal fondo infrastrutture – pari all'intero importo assegnato con delibera CIPE 104/2010 – in quanto opera inserita nella tabella «1 – Quadro delle riduzioni di spesa sul fondo Infrastrutture», e subito dopo viene rifinanziata nella tabella «4 – Assegnazioni a interventi indifferibili e provvisti di titoli giuridici perfezionati» di cui all'articolo 33, comma 3, legge n. 183 del 2011 (stabilità 2012) – che assegna al fondo per lo sviluppo e la coesione una dotazione finanziaria di 2.800 milioni per l'anno 2015 per il periodo di programmazione 2014-2020 – con una assegnazione di importo pari alla riduzione di 33,6 milioni di euro;
   l'intervento ad oggi prevede 5 opere:
    ampliamento del IV sporgente;
    darsena ad ovest del IV sporgente;
    piattaforma logistica;
    strada dei moli;
    vasca di contenimento fanghi di dragaggio;
   ad oggi risultano finanziamenti da:
    a) fondi della legge obiettivo per un importo di 21,523 milioni di euro – fonte: delibera del CIPE n. 74 del 2003;
    b) fondi pubblici per un importo di 92,590 milioni di euro – fonte: delibera del CIPE n. 74 del 2003;
    c) autorità portuale di Taranto per un importo di 4,492 milioni di euro – fonte: delibera del CIPE n. 74 del 2003;
    d) fondi privati 37,544 milioni di euro – fonte: delibera del CIPE 74 del 2003;
    e) FSC – opere indifferibili (b) 33,591 milioni di euro – fonte: delibera del CIPE n. 6 del 2012;
    f) fondi pubblici 29,840 fonte: DEF 2014 (aggiornamento settembre 2014);
   da fonti stampa de Il Sole 24 ore del 15 aprile 2015 dal titolo «Nei cantieri del porto di Taranto lavoratori stranieri senza controlli» si apprende di una denuncia dei sindacati: «Chiediamo che Autorità portuale e Prefettura facciano i necessari controlli perché sui lavori del porto sono stati sottoscritti due accordi in Prefettura che allo stato risultano non rispettati. Il primo è quello sulla trasparenza e legalità degli appalti, il secondo riguarda l'assunzione dal bacino di crisi dei disoccupati locali se in possesso delle caratteristiche richieste»;
   dalla testata Repubblica del 21 aprile 2015 nel merito dell'inchiesta «I porti d'oro del sistema Incalza» nell'articolo «A Taranto rivive il vecchio legame con Signorile» si apprende che i carabinieri del Ros e i pubblici ministeri di Firenze stanno cercando di approfondire le modalità di assegnazione del maxi appalto e soprattutto la composizione dell'Ati che dal 2002 guida i lavori;
   in merito alla Logsystem International, la fonte di stampa afferma che la composizione azionaria della società è per il 50 per cento controllato dalla Proter srl, società partecipata al 75 per cento da Jacopo Signorile (figlio dell'ex-ministro Claudio) e «al 25 per cento da Felice Borgoglio, altra vecchia conoscenza dei socialisti italiani. Il 5 per cento di Logsystem è poi in mano ad Eurolog srl (altra società dove figurano ancora Jacopo Signorile e Borgoglio), mentre il restante 45 per cento è detenuto dalla Argo Finanziaria, azienda del gruppo Gavio, presieduta da Beniamino Gavio. Nel cda della Logsystem siede l'ex capocorrente del Psi Claudio Signorile, l'uomo che negli anni ’80 portò con sé un giovane Ercole Incalza all'allora ministero dei Trasporti. All'interno della sua informativa il Ros dei carabinieri annota anche una cena al ristorante Pani e pesci di Roma tra l'ex supermanager delle Infrastrutture e i due Signorile, padre e figlio. È il 27 gennaio e si parla di appalti. Per i soggetti seduti intorno al tavolo la piastra di Taranto è un'opera decisiva anche in virtù delle imprese e degli amici presenti in Ati. La famiglia Gavio, prima di tutto, la stessa che attraverso la Argo Finanziaria almeno fino al 2010 ha pagato incarichi di consulenza al genero di Incalza, Alberto Donati. Ma soprattutto la Grandi Lavori Fincosit, il vero asso piglia tutto di tanti appalti affidati dalle Autorità portuali italiane. L'azienda è già rimasta impigliata nelle inchieste della magistratura e, proprio per il suo coinvolgimento nel sistema di corruttela del Mose di Venezia, il suo patron Alessandro Mazzi è stato arrestato. In quell'occasione gli inquirenti veneti mettono a verbale le preoccupazioni di Ercole Incalza e le cimici del Ros intercettano un significativo commento di Giulio Burchi (l'ex-presidente di Italferr arrestato nell'inchiesta fiorentina): “Ma soprattutto hanno preso Mazzi... Mazzi non è abituato a stare dentro, a cantare ci mette dai sette agli otto nanosecondi...”;
   da fonti stampa del 2 dicembre 2015 di Taranto BuonaSera si apprendono le dichiarazioni di Jacopo Signorile, vicepresidente della concessionaria: «Di particolare interesse, a mio avviso è il modello sotteso alla realizzazione delle opere e la struttura di project financing implementata. Lo sviluppo della Piastra Logistica di Taranto nasce da una proposta in project financing. Il Promotore privato si offriva di realizzare una piattaforma logistica per lo sviluppo di attività ad alto valore aggiunto in sinergia con i traffici del porto, sia containerizzati sia RoRo»; lo stesso aggiunge «la proposta di project includeva la realizzazione a cura del promotore di quattro opere necessarie per lo sviluppo delle attività che vengono poi restituite all'Autorità Portuale a valle del collaudo. Al termine della gara europea espletata, il promotore risulta aggiudicatario e avvia la realizzazione delle opere». «Su un totale di circa 220 milioni di Euro opere per circa 180 milioni vengono realizzate e restituite, mentre la Piattaforma Logistica (del costo di 40 milioni circa) viene affidata in concessione al promotore (che ha contribuito alla realizzazione con apporto privato per una cifra equivalente). Un modello, che integra un'opera generatrice di reddito, affidata in concessione, con le opere ad essa funzionalmente connesse, può rappresentare un modello di studio per evitare sfasamenti temporali nella realizzazione di opere la cui operatività è fortemente legata all'esercizio simultaneo delle stesse»;
   le fonti stampa sopraccitate in merito agli intrecci e alle intercettazioni tra i Signorini e Incalza e il lungo percorso che ha visto lievitare dai 51 milioni di euro previsti dalla delibera del CIPE del 2001 agli attuali 219 milioni di euro, nonché le modalità ancora poco chiare del project financing destano notevole preoccupazione e gettano ombre sia sulle modalità di affidamento dei bandi di gara a causa della scarsa trasparenza sia sul mancato rispetto degli accordi sottoscritti in prefettura denunciato dai sindacati;
   anche dal punto di vista ambientale, la soluzione proposta in merito alla vasca di colmata e alla destinazione dei sedimenti dragati da reimpiegare nella stessa, destano notevoli preoccupazioni visto che sembrerebbe che nella stessa si dovranno impiegare anche i fanghi che TCT, uscente concessionario del molo polisettoriale, avrebbe dovuto smaltire in discarica. Inoltre, ancora nulla si conosce in merito alla messa in sicurezza e bonifica della falda funzionale alla realizzazione dell'opera a cura della SOGESID –:
   se i Ministri intendano fare chiarezza sull'intera e complessa vicenda che riguarda le opere in questione e quali iniziative, per quanto di propria competenza, intendano adottare al fine di garantire trasparenza sugli affidamenti, sui lavoratori impiegati e sul project financing;
   in merito al project financing, se questo sia stato realizzato completamente e se gli autori dello stesso abbiano già ripagato il debito contratto e, in caso negativo, chi dovrà sostenere il costo del debito creato, anche in caso di fallimento delle società/enti che ne fanno parte;
   quali iniziative, per quanto di propria competenza, intendano adottare al fine definire in maniera precisa e puntuale le modalità di assegnazione del «maxi appalto» e soprattutto fare chiarezza sulla composizione dell'associazione temporanea di impresa che dal 2002 guida i lavori;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare possa chiarire:
    a) a che punto sia giunta la messa in sicurezza e bonifica della falda a cura della SOGESID;
    b) quali e quanti siano i sedimenti e i fanghi provenienti dai dragaggi per le opere in questione e quali sia il grado di contaminazione;
    c) dove verranno smaltiti i fanghi che dovevano essere smaltiti da TCT.
(5-07501)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri, il 20 gennaio 2016, ha approvato, in esame preliminare, il decreto legislativo recante norme in materia di «Riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle autorità portuali», presentato dal Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione;
   il provvedimento si inserisce nelle politiche e nelle azioni per il rilancio della portualità e della logistica intrapreso dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;
   tale decreto punta, insieme ad altre azioni per favorire la competitività dei nostri porti, alla semplificazione delle procedure per facilitare il transito di merci e passeggeri, alla promozione di centri decisionali strategici rispetto all'attività di porti in aree omogenee, alla riorganizzazione amministrativa;
   i porti italiani vengono così riorganizzati e ridotti da 24 a 15 centri decisionali strategici con sedi nelle realtà maggiori: per la Sardegna è stata designata la sede di Cagliari;
   lo stesso Ministro Graziano Delrio ha affermato il 21 gennaio 2016, ad approvazione avvenuta del suddetto decreto in Consiglio dei ministri che «Perché l'Italia sia davvero il porto dell'Europa abbiamo introdotto misure per la semplificazione e la competitività dei nostri porti»;
   anche sottolineando che «la Risorsa Mare torna centrale in Italia. Queste innovazioni servono a rendere concreta quella “cura dell'acqua” che abbiamo avviato e a valorizzare il Sistema Mare, che è uno dei nostri principali asset economici, attraverso il quale transita il 70 per cento delle merci italiane»;
   fino ad oggi era presente l'autorità portuale di Olbia e Golfo Aranci (comprendente i porti di Olbia, Golfo Aranci e Porto Torres) e l'autorità portuale di Cagliari;
   si condivide l'ottica di razionalizzazione e riorganizzazione della realtà portuale, nella visione più ampia della spending review;
   Cagliari è ad oggi già città metropolitana, sede della regione, territorio privilegiato per le infrastrutture e inoltre è, stata scelta nel novembre 2015 per l'istituzione dell'unico posto d'ispezione frontaliera (Pif) per i controlli sulle carni provenienti dai Paesi fuori dall'Unione europea per la regione Sardegna;
   come emerso in una interrogazione precedentemente presentata e in attesa di risposta proprio relativamente alle scelte del Ministro della salute di localizzare a Cagliari la sede dell'unico Pif regionale, nonostante sia emerso che il maggior flusso di merci (prodotti agricoli della caccia e della pesca, prodotti alimentari, animali vivi) si registra prevalentemente nei porti del nord della Sardegna, ed in particolare nel porto di Olbia;
   il maggior traffico di passeggeri è registrato nel nord dell'Isola: oltre tre milioni di passeggeri transitano attraverso il porto di Olbia, Golfo Aranci e Porto Torres) rispetto ai circa 300 mila che transitano per il porto di Cagliari;
   della nuova autorità portuale faranno parte anche Olbia, Porto Torres, Golfo Aranci, Oristano, Portoscuso-Portovesme, Santa Teresa;
   non si comprende come la scelta di Cagliari come sede dell'autorità possa garantire il rispetto di quei criteri enunciati dallo stesso Ministro Delrio come quello di favorire il trasporto di passeggeri, valorizzare il «Sistema Mare», attraverso il quale transita il 70 per cento delle merci, considerando l'istituzione dell'autorità in un porto nel quale i flussi di passeggeri e i traffici commerciali sono minori rispetto a quelli dei porti del nord dell'isola –:
   quali siano stati i criteri alla base della scelta del Governo di concentrare nella città di Cagliari tutte le attività di indirizzo, programmazione e coordinamento del sistema dei porti, scelta che di fatto ha ignorato, ad avviso dell'interrogante, la realtà complessa dei porti sardi, rischiando di compromettere lo sviluppo in particolare nel nord dell'isola, laddove si concentra la maggioranza dei porti succitati, e se il Governo non intenda rivedere i succitati criteri. (4-11793)


   CANCELLERI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Villa Romana del Casale ha ottenuto fin dal 1997 lo status di «bene patrimonio della umanità» da parte dell'UNESCO, organismo internazionale che tutela i beni culturali delle varie nazioni del mondo;
   la tutela deve ritenersi costante e continua data la delicatezza dei pavimenti musivi che, oltretutto, rivelano un'immagine «fotografica» dei costumi e usanze dei romani;
   la Villa Romana del Casale appartiene a tutti ed è il fiore all'occhiello della Regione Siciliana che la Città di Piazza Armerina ha l'onore di custodire;
   tale riconoscimento imprime una più forte decisione di intervento a tutela e salvaguardia del sito archeologico, ritenuto unanimemente «unico nel suo genere»;
   l'anno appena trascorso fa segnare 10.060 turisti in meno rispetto al 2014, con una flessione del 3,1 per cento. Secondo la direzione il calo è legato all'interruzione dell'autostrada A 19;
   in molti atti di sindacato ispettivo l'interrogante ha denunciato i disagi provocati dall'interruzione dell'autostrada A 19 ma anche quelli della viabilità interna siciliana. Ogni giorno un pezzo della rete infrastrutturale cede a causa del maltempo che genera smottamenti e frane: è un disastro. I siciliani sono costretti a percorrere ogni giorno strade alternative, di «fortuna», per raggiungere i posti di lavoro o semplicemente per spostarsi;
   la strada provinciale 4 è stata chiusa nei pressi del viadotto/galleria Grottacalda da 10 anni a causa di uno smottamento; i lavori sono stati appaltati circa 2 anni fa e l'apertura che doveva essere nel giugno 2015 è slittata per 4 volte per imprecisate varianti nel progetto originario; ad oggi per baypassare l'interruzione, si utilizza una sorta di mulattiera strettissima (Strada Provinciale 88) inidonea al passaggio degli autobus da turismo che devono allungare il tragitto ed uscire ad Enna;
   il sistema delle strade provinciali è parte rilevante del trasporto in Sicilia e spesso è l'unico sistema di collegamento tra comuni della stessa provincia e tra province diverse svolgendo un ruolo decisivo di interconnessione soprattutto nell'entroterra e i luoghi di cultura da visitare –:
   se intenda, per quanto di competenza, intraprendere iniziative per migliorare la viabilità siciliana in quanto indispensabile per la crescita turistica ed economica dell'isola. (4-11794)

INTERNO

Interrogazione a risposta immediata in Commissione:

II Commissione:


   CHIARELLI e CAPEZZONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il signor Francesco Baldassu di Dolianova è stato accusato dell'omicidio di un altro giovane ventenne, Alberto Corona, pastore salariato. E stato arrestato e detenuto per circa due anni;
   nel corso del dibattimento, è emerso il ruolo svolto (non si comprende a quale titolo) nella fase investigativa, da un cosiddetto «pentito» di ’ndrangheta, sotto protezione in Sardegna, tale Rocco Varacalli;
   Baldassu è stato assolto dalla corte d'assise e la sentenza è stata confermata in appello;
   successivamente, si è proceduto contro il Varacalli, poi riconosciuto colpevole dell'omicidio;
   a ciò ha fatto seguito una ulteriore pagina a dir poco controversa in occasione della richiesta di risarcimento, avanzata dai legali di Baldassu, per i due anni di ingiusta detenzione;
   la vicenda è stata pubblicamente sollevata dall'avvocato Mauro Mellini, in un articolo sul quotidiano Il Tempo, e poi da un ampio articolo di cronaca sul quotidiano La Nuova Sardegna non sono chiari, secondo gli interroganti, i motivi per i quali il Varacalli sia a «piede libero»;
   risulta che sia stato richiesto al Varacalli un contributo all'attività istruttoria e investigativa, opportunità da lui utilizzata – a quanto pare – per depistare –:
   se Rocco Varacalli sia ancora sotto programma di protezione, percependo tuttora una indennità a carico dello Stato e vivendo in affitto in una casa in Sardegna pagata con denaro pubblico. (5-07507)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la stampa locale ha dato notizia, in rapida successione, di due episodi occorsi in provincia di Como, rispettivamente a Fenegrò e Lomazzo;
   a Fenegrò, il 19 gennaio 2016 mattina, un vedovo pensionato, il signor Adriano Uboldi, è stato brutalmente aggredito all'interno della sua villa situata in via Trento da due uomini, che lo hanno ridotto in condizioni tali da renderne successivamente necessario il ricovero in ospedale;
   gli aggressori, che risultavano coperti da tute nere e si esprimevano con accento est-europeo, dopo esser riusciti ad entrare nel recinto della villa, hanno costretto e legato a terra Uboldi, minacciandolo con un coltello, per indurlo a rivelare dove nascondesse eventuali valori;
   non ottenendo alcuna indicazione utile da Uboldi, i malviventi, che si autodefinivano albanesi, lo pestavano, colpendogli il volto con calci;
   l'abitazione del signore Uboldi a Fenegrò era già stata presa di mira altre due volte nei due anni precedenti;
   nei giorni seguenti, la stampa locale ha riferito altresì di un altro episodio, occorso invece a Lomazzo, comune nel quale ladri si sono introdotti a Villa Somaini, aggredendone a colpi di spranga i coraggiosi custodi, che in un primo momento erano anche riusciti a bloccarli;
   anche a Lomazzo, vi è fondato motivo di ritenere che gli aggressori, questa volta una vera e propria banda, fossero di origine est europea;
   l'allarme e la preoccupazione dei cittadini residente a Fenegrò, Lomazzo e più in generale nella provincia comasca sono ovviamente a livelli elevatissimi;
   le forze dell'ordine disponibili sul territorio fanno quello che possono, con grande abnegazione, ma risultano in carenza d'organico e mezzi rispetto alle necessità –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per fronteggiare il continuo aggravarsi dell'emergenza sicurezza nella provincia comasca e se, in particolare, non si ritenga giunto il momento di incrementare significativamente i locali presidi delle forze dell'ordine ed inserire altresì l'area tra quelle interessate dall'attività di concorso al mantenimento dell'ordine pubblico da parte delle Forze armate.
(4-11791)


   LOMBARDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'ufficio di polizia di Guidonia è sotto il diretto comando del commissariato distaccato di Tivoli;
   il comune di Guidonia Montecelio (RM) risulta essere (dopo i capoluoghi di Roma e Latina) il terzo comune più popoloso del Lazio, con oltre 88.000 abitanti, una competenza territoriale di oltre 90 chilometri quadrati e fa parte della città Metropolitana di Roma;
   la competenza amministrativa (passaporti, porto d'armi, licenze commerciali, e altro) e la funzione di pubblica sicurezza (manifestazioni, eventi sportivi, scioperi, e altro) sono però in carico al commissariato distaccato di Tivoli, comune in cui, non essendovi la centrale questura, il suo dirigente assume il ruolo di autorità di P.S. e, quindi, coordina e dirige tutte le forze di polizia nella gestione della sicurezza su tutto il territorio di propria competenza (che riguarda il comune di Tivoli, ottavo comune più popoloso del Lazio con circa 56.000 abitanti, quello di Guidonia e di altri comuni minori limitrofi);
   pertanto, tutti gli abitanti residenti nel suddetto territorio devono recarsi presso il commissariato di Tivoli per svolgere una qualsiasi attività amministrativa e tutti i relativi controlli (attività commerciali, locali notturni, ricreativi, e altro) sono in carico al commissariato medesimo;
   data l'enorme mole di lavoro e la vastità del territorio, che va dai confini di Roma (con le frazioni di Guidonia di Setteville, Marco Simone, Colle Verde, Parco Azzurro) ai paesi al confine con l'Abruzzo (Subiaco, Carsoli, Vicovaro Mandela, e altro) e, di conseguenza, la notevole popolosità, di recente incrementata dal numero considerevole di extracomunitari insediatisi in queste zone, il personale del commissariato distaccato di Tivoli è aumentato nel tempo, fino a raggiungere oggi la cifra di 114 unità (pari a una piccola questura);
   nel 1958, fu istituito il posto di polizia di Guidonia, al fine di consentire ai residenti e agli abitanti dei paesi limitrofi di sbrigare pratiche amministrative, quali richieste di passaporto o di licenze varie, e di denunciare gli illeciti verificatisi nella zona, senza bisogno di recarsi al commissariato di Tivoli, permettendo un evidente risparmio quindi di tempo e risorse;
   nel 2012, il posto di Polizia è stato trasformato con decreto ministeriale in ufficio di polizia, il che ha comportato un aumento di competenze e responsabilità;
   di fatto, l'istituzione dell'ufficio di polizia prevede l'erogazione di servizi inderogabili per il cittadino, ovvero:
    la presenza sul territorio di almeno una volante in turnazione in quinta continuativa;
    la presenza in turnazione mattina e pomeriggio di almeno un sottufficiale per la ricezione di denunce/querele;
    l'istituzione di una squadra amministrativa che si occupi del controllo e vigilanza di attività commerciali e di pubblico spettacolo e l'apertura di uno sportello amministrativo per la ricezione delle domande di passaporto, di licenze amministrative, porto d'armi e altro;
    l'istituzione di una squadra di polizia giudiziaria che conduca le prime indagini di polizia giudiziaria a seguito di denuncia/querela o intervento di Volante, e lo svolgimento di ulteriori mansioni, quali controlli domiciliari, notifiche atti provenienti dalla procura di Tivoli, e altro;
   stando alle segnalazioni del sindacato di categoria Autonomi di polizia (AdP), pare che l'ufficio di polizia di Guidonia negli ultimi anni sia stato notevolmente depotenziato, attraverso una significativa riduzione del personale e dei servizi, il tutto a danno dei cittadini i quali, peraltro, pagano le spese di affitto della struttura in cui ha sede l'ufficio e anche le relative utenze;
   l'ufficio, infatti, ad oggi consta di sole 10 unità, tra cui un sostituto commissario responsabile della struttura e con il compito di gestione del personale, due ispettori superiori che di fatto risultano da oltre dieci anni aggregati in America per motivi familiari, un sovrintendente capo, cinque assistenti capo e un operatore amministrativo, anch'egli da più di un anno in malattia per gravi motivi;
   tra l'altro, l'unico ufficiale di polizia giudiziaria di fatto disponibile tra quelli assegnati viene spesso impiegato presso il commissariato di Tivoli;
   l'ufficio di polizia di Guidonia da oltre un anno pare non sia in grado di garantire ai cittadini quei servizi fondamentali per soddisfare i quali è stato istituito, a causa di una cattiva gestione del personale, di fatto in forza presso il commissariato di Tivoli per la maggior parte delle mansioni;
   quanto descritto potrebbe sembrare comprensibile e plausibile se a Tivoli ci fosse una grave carenza di organico, ma il commissariato gode sulla carta di ben 114 unità, per cui è paradossale, a giudizio dell'interrogante, che sia il personale di Guidonia ad essere impiegato presso il vicino commissariato e che non avvenga il contrario, come sarebbe più razionale;
   non sono chiare le ragioni per le quali siano stati in sostanza azzerati servizi resi dall'ufficio di polizia di Guidonia, determinando un grave disagio per i cittadini;
   i responsabili dell'ufficio di polizia alternatisi nel tempo e le organizzazioni sindacali, in specie l'AdP, hanno più volte interpellato il dirigente del commissariato di Tivoli e il questore di Roma, al fine di ottenere spiegazioni in merito alla situazione in cui versa la polizia di Guidonia, ma pare che essi non siano mai intervenuti in modo risolutivo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione dell'ufficio di polizia di Guidonia descritta in premessa;
   se non ritenga opportuno istituire un commissariato di Guidonia, in considerazione del significativo numero di abitanti del posto;
   se non consideri un non efficente impiego di risorse umane ed economiche permettere che a Guidonia non vengano erogati, nella struttura esistente, servizi necessari alla popolazione del territorio;
   se non reputi necessario intervenire al fine di fare chiarezza sulle modalità di gestione del personale della polizia di Guidonia e di quello del commissariato di Tivoli. (4-11795)


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la situazione in cui versa il complesso immobiliare ferrarese noto come Palazzo degli Specchi è all'origine di rilevanti preoccupazioni della popolazione residente nelle zone circostanti ed è già stata portata all'attenzione degli enti locali territorialmente competenti ed altresì della regione Emilia-Romagna, in particolare con l'interrogazione n. 1296 alla quale ha risposto l'assessorato regionale delle politiche per la salute;
   l'inquietudine è determinata dalle condizioni oggettive di degrado in cui si trova l'immobile e dal fatto che, all'interno del suo perimetro e dentro i suoi locali, si consumerebbero ormai molte attività illecite, dallo spaccio di droga allo sfruttamento della prostituzione;
   sarebbe conseguentemente auspicabile un accertamento del soccorso tecnico urgente, per quanto riguarda la solidità e l'agibilità dell'immobile, anche perché la struttura risulterebbe occupata illegalmente da non meno di 150 stranieri extracomunitari, di cui è ignota persino la provenienza;
   al fine di accertare l'eventuale svolgimento di attività illegali nello stabile e considerata la necessità di identificare coloro che vivono illegalmente dentro il Palazzo degli Specchi di Ferrara, si rende altresì indispensabile a giudizio dell'interrogante un intervento di sgombero da parte delle forze di polizia –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per rassicurare la cittadinanza ferrarese circa la non pericolosità dell'immobile noto come Palazzo degli Specchi a Ferrara e per ripristinare la legalità al suo interno. (4-11799)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i fondi del diritto allo studio universitario sono distribuiti alle regioni secondo criteri che generano gravi sperequazioni a danno delle regioni del Sud;
   per effetto di tale distribuzione, il 75 per cento degli studenti che, secondo la Costituzione Italiana avrebbero titolo ai benefici previsti dal diritto al o studio e che, invece, non ne usufruiscono, sono iscritti nelle Università del Sud;
   il grave fenomeno migratorio di diplomati, che, in numero di 24 mila ogni anno, abbandonano il Meridione per studiare in università del Centro e del Nord, aggrava la già depressa situazione economica e sociale del Mezzogiorno;
   il calo delle immatricolazioni segnalato da più parti, con la perdita di oltre 60 mila matricole negli ultimi anni, è soprattutto a carico delle regioni meridionali e colpisce prevalentemente le classi meno agiate;
   il rapporto dell'Ocse (Educationatglance) evidenzia che l'Italia, ed in particolare il Sud, ha la più bassa quota di laureati di tutte le democrazie industriali e, in tale ambito, le regioni meridionali occupano l'ultimo posto tra tutte le regioni degli Stati membri dell'Unione europea;
   questo fenomeno rappresenta una delle principali cause di arretratezza economica del Meridione;
   diventa urgente e improcrastinabile un intervento correttivo e perequativo da parte del Governo e del Parlamento –:
   se si intendano assumere iniziative per incrementare il fondo del diritto allo studio, modificandone i criteri di distribuzione e applicando la regola delle quote capitarie, per suddividere quindi il fondo tra le regioni esclusivamente in base al numero di idonei ai benefici;
   se il Governo intenda assumere iniziative per adottare una deroga temporanea, di almeno 5 anni, delle norme restrittive inerenti al rapporto tra numero di docenti e all'attivazione dei corsi di studio per le università del sud, consentendo di attivare corsi di studio, indipendentemente dal numero dei docenti, per dare risposte alle esigenze che ogni anno manifestano i diplomati. (5-07503)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   il Sole24ore del 17 agosto 2015, ha pubblicato un'articolo riguardante l'andamento dei buoni lavoro, detti anche voucher, utilizzati per il pagamento delle prestazioni accessorie, già disciplinate – in passato – dagli articoli 70-73 del decreto legislativo n. 276 dei 2003: «Non si ferma l'exploit dei voucher per i mini-lavori occasionali. Complici la crisi e l'allargamento del raggio di azione, i “buoni” – introdotti nel 2008 per le attività stagionali e come veicolo di emersione del “nero” – hanno varcato a giugno la soglia di 200 milioni di vendite, l'equivalente di 2 miliardi di euro. Dalla sperimentazione in agricoltura hanno preso progressivamente quota anche in altri settori, a partire da commercio e turismo»;
   il quotidiano economico riporta una serie di dati molto significativi: «Secondo l'ultimo monitoraggio dell'Inps, nel primo semestre del 2015 sono stati venduti quasi 50 milioni di tagliandi del valore nominale di 10 euro, con un aumento del 74,7 per cento rispetto allo stesso periodo del 2014, con punte del 95,2 per cento e dell'85,3 per cento rispettivamente nelle isole e nel Meridione. Sono proprio tre regioni del Mezzogiorno a guidare la classifica degli  aumenti: Puglia (+98,3 per cento), Sicilia (+96,6 per cento) e Sardegna (+94,2 per cento). Anche se la maggior parte delle vendite resta concentrata al Nord (65 per cento), nel Sud e nelle isole è circolato quest'anno quasi un quinto del totale dei voucher, un balzo in avanti rispetto a qualche anno fa, quando le regioni di quest'area non raggiungevano nemmeno il 10 per cento»;
   il decreto legislativo n. 81 del 2015, entrato in vigore il 25 giugno 2015, ha previsto, all'articolo 48, l'aumento dei tetto massimo dei compensi pagati con i voucher alla stessa persona portandolo dal 5 mila euro previsti in precedenza ai 7 mila euro netti l'anno;
   secondo i recenti dati dell'Osservatorio sul precariato dell'Inps, infatti, nei primi undici mesi del 2015 sono stati venduti 102,4 milioni di buoni da 10 euro, il 67,5 per cento in più rispetto al corrispondente periodo del 2014, con punte del 97,4 per cento in Sicilia, dell'85,6 per cento in Liguria e dell'83,1 per cento e 83 per cento rispettivamente in Abruzzo e in Puglia;
   il valore netto del voucher di 10 euro nominali, cioè l'importo netto intascato dal lavoratore, è pari a 7,50 euro;
   il boom nell'utilizzo dei voucher – lungi da rappresentare un'indice di una ripresa dell'occupazione – rappresenta una forma «spinta» di lavoro precario e con tutele minime: 1) è stata allargata la platea dei destinatari e i settori di impiego: possono essere pensionati, giovani, studenti in vacanza, cassintegrati e disoccupati, lavoratori part time, extracomunitari in possesso di permesso di soggiorno addetti a qualunque lavoro: dal settore agricolo al settore dei commercio e del turismo, dal volantinaggio fino ai servizi per la persona e domestici, alle manifestazioni sportive, al giardinaggio e alle pulizie; 2) il lavoratore occupato con il voucher non matura il trattamento di fine rapporto, non ha ferie, non ha diritto alle indennità di malattia e di maternità né agli assegni familiari; 3) per il lavoratore non è prevista alcuna formazione ad esempio sulle norme di sicurezza e di igiene; 4) i controlli sulla corretta applicazione del voucher sono di difficile attuazione: secondo la procedura Inps non occorre indicare il giorno e l'ora dell'utilizzo dei voucher e l'ispettore del lavoro non può verificare l'orario di inizio e di fine del lavoro, dovendosi limitare alla verifica che sono stati pagati i contributi;
   anche la procedura dell'Inps di accredito dei contributi lascia a desiderare; come denunciato nelle trasmissione televisiva Report del 22 novembre 2015, molti lavoratori si sono collegati al sito dell'Inps e non hanno trovato nemmeno l'accredito dei contributi dovuti per i voucher;
   anche la Cgil ha denunciato: «Il boom dei voucher è anche un boom di mancati introiti per il fisco e per l'Inps. E rappresenta l'ultima frontiera per trasformare il lavoro occasionale, che è quello che dovrebbe essere pagato con i voucher in un lavoro del tutto simile a quello a tempo pieno, solo pagato molto meno e con zero garanzie» (da www.gazzettadimantovagelocal.it del 29 agosto 2015);
   il presidente dell'Inps, nel corso della nota trasmissione televisiva Report del 22 novembre 2015, ha dichiarato che: «L'attività ispettiva è limitata. Noi possiamo intervenire unicamente per controllare che venga rispettato, in virtù di circolari ministeriali. Noi possiamo intervenire soltanto per controllare che venga rispettato il limite. Voi sapete che ci sotto due limiti. Il limite massimo che è stato elevato a 7 mila euro per il singolo lavoratore, E poi dei singolo committente a 2 mila euro. Noi possiamo intervenire per controllare e questo venga rispettato. Non possiamo entrare nel merito della prestazione lavorativa»;
   lo stesso presidente nazionale dell'Inps, infine, è stato molto esplicito: «I voucher sono la nuova frontiera del precariato: il loro incremento può significare problemi futuri ed è bene guardare questo fenomeno con grande attenzione. Non sono uno strumento che si aggiunge agli altri, per alcuni i voucher sono l'unica prestazione lavorativa»;
   si rende necessario un intervento del Governo volto a sanzionare e reprimere l'uso improprio dei voucher e «un ripensamento» dello strumento volto ad innalzare la tutela del dipendente destinatario del voucher al pari degli altri lavoratori che svolgono medesime mansioni –:
   quali iniziative o misure correttive – anche di tipo normativo – intenda promuovere il Governo per un «ripensamento» dello strumento del voucher alla luce delle criticità esposte, anche innalzando le tutele previste e fornendo agli organi preposti ai controlli adeguati strumenti normativi per accertare, sanzionare e reprimere l'uso improprio dei voucher medesimi, così favorendo la lotta al lavoro nero e all'evasione fiscale, al fine di offrire un rapporto di lavoro, con le necessarie garanzia, ai lavoratori precari di cui in premessa.
(2-01237) «Ciprini, Tripiedi, Chimienti, Cominardi, Dall'Osso, Lombardi, D'Incà».

Interrogazione a risposta immediata:


   GIGLI. – Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
   in tempi di «lavoro mobile» cambiare attività è assai frequente. Peraltro in questi ultimi decenni si è cercato di trasmettere alle giovani generazioni il messaggio che fosse opportuno abbandonare l'idea della ricerca del cosiddetto «posto fisso». In molti casi quindi chi cambia lavoro è attratto da prospettive di retribuzione o di reddito più alte; in altri, invece, il passaggio non è frutto di una scelta volontaria bensì di circostanze estranee al nostro volere. Molto spesso però, nel passare da un lavoro pubblico a quello privato o viceversa, o da lavoro autonomo a lavoro dipendente, non si ha la completa consapevolezza, a norme vigenti, di quelle che saranno le complicazioni e gli oneri da sopportare per valorizzare i contributi previdenziali versati durante l'attività lavorativa in diverse gestioni previdenziali;
   l'introduzione della ricongiunzione onerosa dei contributi pensionistici disposta ai sensi dell'articolo 12, commi da 12-septies a 12-undecies, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ha di fatto impedito a molte persone di poter accedere alla pensione, stante l'eccessiva onerosità per accedere alla suddetta opzione in quanto la norma prevede un meccanismo di calcolo identico a quello utilizzato per il riscatto del periodo di laurea, cioè come se l'interessato, non avesse versato alcuna contribuzione nel periodo per il quale richiede la ricongiunzione dei contributi;
   a seguito del citato decreto-legge n. 78 del 2010, la ricongiunzione è stata resa oggi onerosa per tutti, con dubbio profilo di incostituzionalità, anche a causa della retroattività del provvedimento. Con l'articolo 12, comma 12-septies, del citato decreto-legge n.78 del 2010, è stato, con effetto immediato e senza alcuna norma transitoria, soppresso il diritto, precedentemente riconosciuto dall'articolo 1 della legge 7 febbraio 1979, n. 29, di ricongiungere gratuitamente le posizioni assicurativo-previdenziali accese presso forme obbligatorie di previdenza sostitutive, esclusive o esonerative dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, gestita dall'INPS presso quest'ultima gestione ai fini del conseguimento di un'unica pensione. La facoltà di ricongiunzione gratuita era prevista dal citato articolo 1 come esercitabile in qualsiasi momento e l'effetto era quello di costituire presso l'assicurazione generale obbligatoria una corrispondente posizione assicurativa ai fini del futuro trattamento pensionistico. L'assicurazione generale obbligatoria riceveva dalla gestione previdenziale di provenienza l'ammontare dei contributi di loro pertinenza, maggiorati dell'interesse, ma nulla veniva posto a carico del lavoratore. L'articolo 12, comma 12-septies del decreto-legge n. 78 del 2010 ha, in via retroattiva, soppresso la facoltà di ricongiunzione gratuita;
   il successivo avvento della «riforma previdenziale Fornero» (ex articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214) che ha elevato i requisiti anagrafici e contributivi, ha reso ancora più problematico l'accesso alla pensione per tutti quei lavoratori che hanno versato contributi in diverse gestioni previdenziali;
   anche a coloro che hanno iniziato a lavorare dal 1o gennaio 1996 e che pertanto avranno una pensione calcolata esclusivamente con il metodo contributivo, l'Inps non consente di poter ricongiungere gratuitamente i contributi versati in diverse gestioni previdenziali, nonostante sia noto che con il sistema del calcolo contributivo, la pensione è calcolata sulla base dei contributi effettivamente versati;
   è altresì noto che ad oggi non è possibile ricongiungere i contributi versati nel fondo pensione lavoratori dipendenti e ciò rappresenta un'ulteriore penalizzazione per tutti quei lavoratori che hanno contributi versati nella suddetta gestione;
   è paradossale che mentre per l'abrogazione e la modifica delle norme precedenti la Ragioneria generale dello Stato non ha quantificato eventuali risparmi, né risorse in entrata, alla richiesta di superare l'iniqua norma sulle ricongiunzioni onerose introdotta con l'articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, essa abbia prodotto quantificazioni di oneri, peraltro sempre diverse tra loro, in quello che appare all'interrogante un balletto di cifre necessariamente poco attendibile;
   è ormai valutazione comune e condivisa da tutto il Parlamento e dallo stesso Ministro interrogato che la norma introdotta con il citato decreto-legge n. 78 del 2010 sia iniqua e vada superata. Anche il Governo in carica all'epoca della sua approvazione ha ammesso, per bocca dell'allora Sottosegretario Bellotti, che «gli effetti concreti che la riforma ha prodotto sul tessuto sociale hanno in parte travalicato le iniziali intenzioni del legislatore»;
   l'intento perseguito dal legislatore, infatti, era quello di prevenire e scongiurare comportamenti elusivi in funzione della possibilità di avvalersi di regimi previdenziali più favorevoli rispetto all'ordinario, ma non certamente quello di impedire il trasferimento della posizione assicurativa nei confronti di quei lavoratori che si trovano costretti per raggiungere i requisiti minimi per la pensione a ricongiungere presso altri fondi la propria contribuzione;
   con l'entrata quindi in vigore del citato articolo 12 del decreto-legge n. 78 del 2010, di contro, si è accertato che in taluni casi, ovverosia quando il lavoratore è obbligato a ricongiungere la propria posizione previdenziale in altro fondo pensionistico per aver cessato il lavoro senza diritto a pensione nel fondo di appartenenza, tale ricongiunzione è divenuta oltremodo onerosa per il soggetto interessato, risultando i costi essere nell'ordine di diverse decine di migliaia di euro;
   negli anni il Parlamento ha cercato di sanare la questione sopra esposta, ottenendo il parziale risultato di introdurre la facoltà di chiedere il cumulo dei contributi, ma solo per l'accesso alla pensione di vecchiaia e con il vincolo di non aver maturato il diritto autonomo a pensione ovvero di non aver maturato 20 anni in una delle gestioni previdenziali cui si è stati iscritti;
   sono tuttora esclusi dalla possibilità di ricongiunzione previdenziale migliaia di lavoratori e lavoratrici che potrebbero andare in pensione anticipata o di vecchiaia ma che hanno almeno 20 anni in una gestione;
   è evidente che nella maggior parte dei casi, a 66 o 67 anni si hanno almeno 20 anni in una gestione, considerando anche il fatto che è sempre più normale cambiare lavoro con relativo cambiamento di iscrizione previdenziale;
   a seguito di un intervento correttivo per 899 milioni di euro sono state sanate le posizioni di coloro che erano iscritti a fondi previdenziali diversi dall'INPS, e successivamente iscritti all'INPS dopo l'agosto 2010, ma sono rimaste irrisolte quelle di coloro che invece hanno praticato il percorso inverso, partendo dall'INPS per arrivare poi all'INPDAP;
   il Governo aveva istituito un tavolo lavoro presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali del quale ha fatto menzione l'allora Sottosegretario Bellotti nell'esprimere il parere favorevole del Governo alla mozione n. 1-00690 – approvata alla Camera con il 27 luglio 2011;
   non si hanno più notizie circa l'operatività di suddetto tavolo di lavoro, se abbia concluso il suo mandato, quali siano i risultati e le conclusioni consegnate al Ministro dal tavolo di lavoro –:
   quali tempestive iniziative, anche di carattere normativo e in relazione all'attività del citato tavolo di lavoro, intenda promuovere il Ministro interrogato per sanare la situazione palesemente iniqua sopra descritta, la quale non favorisce la propensione alla mobilità fra un impiego e l'altro ed è fonte di ostacoli all'introduzione della necessaria e ormai non più procrastinabile «staffetta generazionale» volta a favorire l'ingresso nel mondo del lavoro delle giovani generazioni. (3-01958)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GHIZZONI, LENZI, RAMPI, MANZI, MALISANI, ROCCHI, CAROCCI, D'OTTAVIO e VENTRICELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, n. 363 del 29 dicembre 2015, sono stati approvati i moduli Isee validi a partire dal 1o gennaio 2016 e le relative istruzioni di compilazione;
   nel caso specifico del diritto allo studio universitario le nuove istruzioni Isee risolvono alcuni problemi che si erano evidenziati nel 2015, con la prima applicazione della normativa di cui all'articolo 8 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159;
   tuttavia, non sembra essere stato risolto definitivamente chiaramente il problema relativo all'incisione nel calcolo dei redditi percepiti (punto 6.2.2 delle istruzioni) di quelli provenienti da prestazioni del diritto allo studio universitario nel caso in cui l'Isee debba essere utilizzato per poter fruire nell'anno successivo della stessa tipologia di prestazioni;
   a tal riguardo l'articolo 4, comma 5, dei decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013 stabilisce che, se colui che richiede la prestazione di diritto allo studio universitario è stato già beneficiario di tale prestazione nell'anno precedente, allora l'ente erogatore è tenuto a sottrarre dall'Isee dell'interessato l'ammontare del trattamento percepito (rapportato al corrispondente parametro della scala di equivalenza), ai soli fini dell'accertamento dei requisiti per il mantenimento del trattamento stesso;
   sulla base della norma appena citata l'Inps nel corso del 2015, ha risposto nei medesimi termini agli studenti che chiedevano chiarimenti sul punto (si vedano ad esempio le risposte del 15 maggio 2015 alle FAQ MB2–5 e MB2–7 in https://servizi2.inps.it/servizi/Iseeriforma/docs/info/Faq/FAQ–ISEE.pdf) ma la questione non sembra essere stata affrontata nelle nuove istruzioni Isee appena emanate;
   la questione è peraltro molto più complessa di come può sembrare a prima vista, per una serie di ragioni che saranno esposte brevemente:
    a) le prestazioni del diritto allo studio universitario sono regolate dal decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68 e comprendono, non solo le borse di studio (articolo 7), cui si applica perfettamente la procedura sopra citata di scorporo dal reddito, ma anche altre tipologie, come ad esempio le collaborazioni a tempo parziale degli studenti (articolo 11), che danno origine ad ulteriori corrispettivi economici e quindi generano le medesime problematiche sopra evidenziate, senza però rientrare appieno nella normativa dell'articolo 4, comma 5, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013 anche perché per esse non avrebbe senso parlare di mantenimento del trattamento;
    b) affidare all'ente erogatore – cioè alle aziende regionali per il diritto allo studio universitario – lo scorporo del reddito della borsa di studio dal modulo Isee presentato da ciascuno delle migliaia di studenti che presentano ogni anno domanda per la borsa di studio, ha significato nei fatti, durante il primo anno di applicazione, un carico di lavoro burocratico e tecnico quasi insostenibile per gli enti erogatori, il che ha portato non solo a molti errori e ricorsi, ma anche ad applicazioni difformi sul territorio nazionale o addirittura nelle singole regioni;
    c) la normativa Isee non prende in considerazione il fatto che anche le università sono tenute – sulla base dell'articolo 9, comma 1, del decreto legislativo n. 68 del 2012 – a utilizzare l'Isee specifico per il diritto allo studio universitario al fine di graduare gli importi della contribuzione che dev'essere versata dagli studenti iscritti; ciò comporta che anche le università sono enti erogatori di una prestazione per garantire il diritto allo studio (la riduzione della contribuzione) e quindi anche su di esse è venuto a ricadere un pesante carico di lavoro, dovendosi scorporare alcune specifiche quote del reddito dal modulo ISEE presentato da ciascuno delle decine di migliaia di studenti che presentano domanda per ottenere una riduzione di contribuzione;
    d) nelle more dell'emanazione del decreto ministeriale di cui all'articolo 7, comma 7, del decreto legislativo n. 68 del 2012, il medesimo decreto legislativo (articolo 8, comma 5) stabilisce che, per le prestazioni di diritto allo studio universitario erogate dalle aziende regionali e dalle università, continua a valere quanto previsto dall'articolo 5, commi 9 e 11, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 aprile 2001; quindi l'accesso a tali prestazioni è attualmente consentito quando l'Isee non superi i valori soglia stabiliti da ciascuna regione e da ciascuna università, entro un limite massimo valido a livello nazionale, aggiornato annualmente con apposito decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca; ne segue che è assolutamente necessaria un'estrema chiarezza e precisione nel calcolo dell'Isee da applicare alle prestazioni di diritto allo studio universitario, in quanto variazioni anche molto piccole dell'Isee possono consentire o impedire ad uno studente di accedere alle prestazioni;
    e) sussiste, altresì, il problema, abbastanza frequente, che allo stesso nucleo familiare appartengano più fratelli che sono studenti universitari, e quindi che l'Isee familiare cresca notevolmente se vengono considerati come redditi anche le borse di studio o gli altri corrispettivi percepiti da tutti i fratelli come interventi per garantire il diritto allo studio di ciascuno di loro;
   è altresì da notare che, per l'accesso a tutte le prestazioni sociali agevolate, le istruzioni Isee prevedono che non vadano inclusi, nei redditi per il calcolo dell'Isee i trattamenti erogati dall'Inps, per cui, anche solo per mere ragioni di analogia, l'accesso a tutte le prestazioni di diritto allo studio universitario dovrebbe consentire che, per il calcolo dello specifico Isee rimangano esclusi dal reddito i trattamenti erogati al medesimo titolo dalle aziende regionali e dalle università –:
   se i Ministri interrogati non ritengano che, nell'ambito di un approfondimento e chiarimento di tutte le problematiche tecniche del calcolo dell'Isee nel caso specifico del diritto allo studio universitario, sia comunque opportuno stabilire che il valore dell'Isee per l'accesso a tutte le prestazioni del diritto allo studio universitario debba essere calcolato – in sede di dichiarazione sostitutiva unica e a cura dei centri di assistenza fiscale o degli altri enti di cui all'articolo 10, comma 6, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013 – escludendo dal reddito del nucleo familiare dell'interessato gli importi di borse di studio e di altri corrispettivi incassati nell'ambito delle medesime prestazioni a favore di componenti del nucleo. (5-07506)

Interrogazione a risposta scritta:


   GALATI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con la raccomandazione del Consiglio dell'Unione europea del 22 aprile 2013, l'Europa ha invitato tutti gli Stati membri ad impegnarsi ad adottare un piano di contrasto alla disoccupazione giovanile, attraverso misure di sostegno adeguate alle circostanze nazionali, regionali e locali; misure di sostegno che contribuissero all'integrazione del mercato del lavoro, all'utilizzo strategico e funzionale dei fondi dell'Unione europea, alla valutazione ed al costante miglioramento del sistema e ad una rapida attuazione degli obiettivi programmatici diretti all'obiettivo di garantire ai giovani un'offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio;
   tale raccomandazione evidenziava come, in tutta l'Unione europea, i giovani che non si trovano né in una situazione lavorativa, né seguono un percorso scolastico o formativo (cosiddetto «Neet») ammontavano (al momento dell'adozione della raccomandazione) a 7,5 milioni, ovvero i 12,9 per cento dei giovani europei di età compresa tra i 15 ed i 24 anni;
   il Consiglio dell'Unione europea evidenziava, dunque, la necessità di introdurre misure di sostegno adeguate, riconoscendo comunque la responsabilità individuale dei giovani nel trovare una strada per inserirsi nell'attività economica; si tratta di una impostazione che risulta perfettamente conciliabile con il principio fondamentale dell'ordinamento italiano di cui all'articolo 4 della Costituzione, secondo cui, da una parte, si impegnano le istituzioni dello Stato a riconoscere a tutti i cittadini il diritto al lavoro e a promuovere le condizioni che rendano effettivo tale diritto; dall'altra, si afferma, al secondo comma, che ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società;
   prima l'ordinamento costituzionale italiano e poi l'ordinamento internazionale europeo propugnano, dunque, l'attuazione di un principio fondamentale, attraverso azioni che consentano una integrazione coerente ed efficace del diritto-dovere al lavoro;
   per la declinazione di tali interventi ed obiettivi a livello nazionale, il programma «Garanzia Giovani» richiede una strategia unitaria e condivisa tra Stato e regioni ai fini di un'efficace attuazione a livello territoriale;
   l'implementazione del piano ha previsto dunque che, accanto al piano nazionale, che individua le azioni comuni su tutto il territorio nazionale, fosse posto a carico di ciascuna regione il compito di adottare un proprio piano attuativo per definire quali siano le misure del programma da attivare sul territorio, in coerenza con la strategia nazionale;
   secondo quanto riportato dal sito web www.garanziagiovani.gov.it, alla Calabria sono stati assegnati euro 67.668.432 per attuare il piano regionale a sostegno dell'occupazione giovanile, con la destinazione di ingenti risorse alle seguenti aree: bonus occupazionali affinché le aziende offrissero una concreta opportunità a chi ha meno di 30 anni; tirocini e percorsi di formazione sul campo, misure di affiancamento, formazione professionale, servizio civile, sostegno all'auto-impiego e all'auto-imprenditorialità e programmi di mobilità transnazionale;
   con riferimento al programma regionale calabrese, i giovani aderenti al programma sono stati migliaia ed in molti casi hanno aderito a tirocini formativi e stage; in particolare, ad oggi, i tirocini attivati nell'ambito del programma «Garanzia Giovani» in Calabria sarebbero stati oltre 4.600;
   un risultato importante che evidenzia la voglia di fare dei giovani calabresi e, al contempo, la fiducia che gli stessi ripongono nelle istituzioni; ma tale risvolto è accompagnato, però, da un dato negativo, capace di inficiare e cancellare il risultato raggiunto dell'incentivazione dei livelli di occupazione e partecipazione dei giovani al mondo del lavoro, perché, in moltissimi casi, alle collaborazioni attivate non hanno corrisposto, ad oggi, i compensi spettanti in favore dei giovani tirocinanti;
   come segnalato con grande amarezza da alcuni giovani partecipanti al programma, e come comunque è stato documentato a gran voce ed in moltissimi casi a mezzo stampa, solo una piccola percentuale dei giovani ha percepito dei compensi (peraltro parziali), altri sarebbero rientrati in alcuni decreti di liquidazione delle spettanze, senza comunque ricevere alcun accredito in proprio favore ed altri ancora non sono stati neppure inclusi in alcun provvedimento amministrativo per la liquidazione dei compensi. Si tratta di gravi ritardi ed inadempienze perpetrati nelle more degli iter burocratici regionali. La vicenda è stata oggetto di molte polemiche e recentemente anche di formali richieste politiche di chiarimenti e spiegazioni agli amministratori regionali competenti, i quali, in un'ultima dichiarazione a mezzo stampa, rilasciata in data 14 gennaio 2016, hanno comunque ammesso che l'istruttoria sarebbe in corso di svolgimento negli uffici regionali competenti (dove dunque dovrebbero essere ricercate le responsabilità dei ritardi) e che l'Inps procede alle erogazioni sulla base dell'istruttoria svolta dai competenti uffici della regione;
   si tratta di una situazione inaccettabile ed intollerabile nelle modalità di management, attuazione, declinazione del programma europeo a livello nazionale e locale, che rischia di vanificare completamente lo sforzo importante che istituzioni di governo, nazionali ed europee, hanno profuso in questo processo, e di intaccare e rendere priva di contenuto la valenza simbolica e l'impatto positivo e propositivo che le misure adottate avrebbero potuto determinare su un territorio regionale nel quale i dati evidenziano livelli di criticità elevatissimi. Basti pensare ai recenti dati diffusi dal Rapporto Svimez, che hanno rappresentato le condizioni drammatiche dell'economia regionale meridionale: un'area territoriale per la quale esiste un rischio concreto ed imminente di scivolare sotto la soglia del otto sviluppo; un quadro generale sconfortante nel quale la regione Calabria, secondo le recenti rilevazioni, risulta tra le prime per numero dei «Neet» e per livello di disoccupazione giovanile e dispersione scolastica e di conseguenza, di emigrazione giovanile e fuga dei cervelli;
   l'interrogante ritiene che il persistere di una simile situazione mini alla base qualsiasi ipotesi di crescita per un territorio che si rileva ancora una volta incapace di trattenere i propri giovani e di registrare un impegno leale in ordine alle prospettive di crescita sociale e di permanenza dei giovani sul territorio, disincentivando sul nascere ogni progetto di possibile investimento futuro e permanenza su un territorio difficile –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei ritardi nell'elargizione dei compensi in favore dei giovani tirocinanti impegnati nel programma «Garanzia Giovani» in Calabria;
   in che misura il Ministro ritenga di poter intervenire per quanto di competenza, per la celere soluzione di una inaccettabile situazione di ritardo nell'erogazione delle spettanze in favore dei giovani. (4-11800)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   i codici OCSE relativi ai trattori agricoli e forestali rappresentano un insieme di regole e procedure tecniche che, attraverso l'aggiornamento delle regole internazionali, permettono di certificare le strutture di protezione dei trattori;
   l'implementazione dei codici assicura che le prove sulle predette strutture di protezione siano effettuate seguendo criteri condivisi e riconosciuti dai Paesi aderenti, con l'obiettivo di incrementare la trasparenza e semplificare le procedure per la libera circolazione a livello internazionale dei trattori agricoli o forestali;
   i codici OCSE individuano a livello internazionale le procedure di prova per l'effettuazione dei test di resistenza su:
    a) dispositivi di prova in caso di capovolgimento (ROPS) da installarsi sui trattori agricoli o forestali e carrelli semoventi a braccio telescopico (telehandler);
    b) sistemi di ritenzione del conducente (cinture di sicurezza);
    c) dispositivi di protezione contro la caduta di oggetti (FOPS) da installarsi sui trattori agricoli o forestali;
   l'Autorità italiana designata in ambito OCSE per i codici relativi alle prove sui trattori agricoli e forestali è il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali attraverso il suo dipartimento delle politiche europee e internazionali, direzione generale delle politiche comunitarie e internazionali di mercato;
   l'ENAMA (Ente nazionale per la meccanizzazione agricola) è una struttura privata all'interno del quale sono rappresentati anche i costruttori di macchine agricole;
   l'Enama rappresenta il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali in ambito OCSE ed effettua attività di coordinamento e controllo delle operazioni di certificazione OCSE dei trattori agricoli o forestali condotte da centri prove operanti in Italia. Quanto sopra è stato autorizzato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali tramite il decreto n. 10499 del 19 dicembre 2000;
   si legge nel sito www.emana.it che l'Enama è riconosciuto ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 2000 ed è la struttura operativa creata per offrire al settore meccanico agrario un efficace strumento di supporto per una migliore competitività, tecnologia e riconoscimento delle prestazioni e sicurezza delle macchine agli operatori;
   a garanzia di imparzialità e di concertazione del mondo agricolo sono le componenti dell'Enama: Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, regioni, Assocap, Cia, Coldiretti, Confagricoltura, Unacoma, Unacoma, Unima e come struttura operativa il CRA-ING – Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura – Istituto sperimentale per la meccanizzazione agricola. Uno staff di esperti nelle varie problematiche nel settore tra cui si ricordano le complesse norme di prestazioni, sicurezza, protezione ambientale (UNI, EN, ISO, OCSE e altro) e circolazione stradale delle macchine agricole, la certificazione, le nuove tecnologie applicate, i combustibili agevolati, quotidianamente è al servizio del settore. I centri specializzati presso le strutture operative offrono la possibilità di svolgere test e verifiche di ogni tipo dai trattori alle macchine operatrici ed alla componentistica a livello internazionale offrendo anche attestati di altri importanti strutture estere aderenti all'Entam;
   a oggi le specifiche competenze che il decreto del 2000 attribuisce all'ENAMA non sono pubblicamente fruibili;
   dalla rete internet si apprende che l'Enama è un'associazione tecnica senza scopi di lucro costituita il 5 maggio 1999 tra la «UNACOMA – Unione nazionale costruttori macchine agricole», la «CIA – Confederazione italiana agricoltori», la «Confagricoltura – Confederazione generale dell'agricoltura Italia» e la «UNIMA – Unione nazionale imprese di meccanizzazione agricola» (http://www.enama.it);
   l'ENAMA è la struttura delegata dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, con decreto ministeriale 19 dicembre 2000, n. 10499, a coordinare l'attività di certifiCazione nazionale. Tale attività è particolarmente interessante in quanto consente di disporre di dati concreti sulle reali prestazioni delle macchine motrici (http://www.enama.it);
   il decreto ministeriale n. 10499 del 2000, però, non risulta agli interroganti agevolmente reperibile;
   l'INAIL, pur non essendo mai intervenuto direttamente ai lavori dell'OCSE, partecipa attivamente con propri esperti ai gruppi di normazione tecnica internazionali ISO e CEN ove sono trattate le stesse tematiche tecniche relative agli aspetti di sicurezza dei codici OCSE e possiede al suo interno le necessarie risorse umane e tecniche per rappresentare adeguatamente l'Italia ai gruppi di lavoro OCSE;
   il decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, attribuisce all'ex-ISPESL (oggi INAIL), specifiche competenze in materia di sicurezza sul lavoro –:
   se il Ministro abbia tenuto conto del conflitto d'interessi che potrebbe verificarsi tra gli interessi dei costruttori di macchine agricole presenti all'interno dell'ENAMA e gli interessi della collettività che la pubblica amministrazione è tenuta a tutelare;
   se, in un'ottica di spending review, non si ritenga opportuno rivedere le competenze interne e/o presenti in enti o istituti pubblici, come quelle dei tecnici dell'ex-Ispels (oggi Inail), prima di affidare ad un'associazione privata ruoli di rappresentanza così rilevanti;
   se, in attesa di un nuovo intervento normativo nella materia in questione, non ritenga opportuno rendere agevolmente conoscibili i contenuti del decreto ministeriale n. 10499 del 19 dicembre 2000 che concede all'ENAMA la delega del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali a coordinare l'attività di certificazione nazionale.
(2-01239) «Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Lupo, Parentela, Benedetti, D'Incà».

Interrogazione a risposta orale:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la stagione venatoria 2015-2016 sta per concludersi;
   la caccia, ogni anno, costa la vita a milioni di animali, causando inoltre morti e feriti accidentali tra le persone;
   la stima d'incidenti causati dall'attività venatoria 2015-2016, parla di 16 morti e 64 feriti, tra cui tre minori, nel solo arco di cinque mesi;
   tra gli ultimi casi quello di un 12enne, in provincia di Salerno, con un polmone perforato da un proiettile di un'arma usata per la caccia;
   l'attività venatoria nel nostro Paese è priva di qualsiasi piano di controllo a giudizio degli interroganti poiché la polizia provinciale è stata sminuita nel proprio ruolo e nelle proprie funzioni conseguentemente all'abolizione delle province e il Corpo forestale dello Stato si appresta all'accorpamento definitivo con altre forze di polizia, determinandosi così la perdita dell'importantissimo compito che il corpo forestale svolgeva, tra gli altri, di controllo e tutela della fauna selvatica; pertanto, i controlli relativi all'attività di caccia risultano agli interroganti pressoché inesistenti;
   laddove i controlli sono effettuati, è solo grazie al volontariato messo in atto dalle guardie zoofile che tuttavia, non riescono a garantire controlli capillari in tutto il territorio –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intenda assumere il Governo al fine di adottare le misure in grado di garantire, effettivamente, la sicurezza nell'ambito dell'attività venatoria, attività che in soli cinque mesi ha causato morti e centinaia di feriti;
   se il Governo non ritenga necessario assumere iniziative volte a modificare la normativa vigente in materia di caccia al fine di garantire maggiormente la sicurezza delle persone che durante l'attività venatoria sono vittime di incidenti mortali o feriti;
   se il Governo intenda assumere iniziative normative per la modifica dell'articolo 842 del codice civile che, al momento, consente ai cacciatori il libero accesso alle proprietà private e, contestualmente, per modificare la legge sulla custodia delle armi. (3-01956)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FREGOLENT. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel luglio 2014 il settore fitosanitario regionale del Piemonte, in collaborazione con l'Ente di gestione delle aree protette del Ticino e del lago Maggiore, ha predisposto un piano di monitoraggio del Popillia japonica, un pericoloso fitofago, al fine di verificare l'area interessata dall'infestazione;
   sono state rinvenute intere colonie dell'insetto nei comuni del Piemonte e la Lombardia quali Pombia, Marmo Ticino, Oleggio, Bellinzago, Cameri e Galliate, in provincia di Novara, su diverse essenze vegetali, quali olmo, pioppo, vite, nocciolo, gelso, quercia, soia, pomodoro, iperico, rovo, ortica, luppolo, rosa canina e malva;
   il Popillia japonica, conosciuto come coleottero scarabeide del Giappone, è un insetto esotico originario del Giappone, caratterizzato da una spiccata polifagia;
   i danni che produce alle colture sono costituiti da erosioni a carico delle foglie, dei fiori e dei frutti, mentre le larve si nutrono delle radici, preferibilmente di graminacee, costituendo un ennesimo attacco all'ecosistema;
   il focolaio è in una delle aree agricole più importanti del Paese dove si producono cereali per il consumo umano e per la zootecnia, oltre che vini, fiori e frutta e rappresenta un'altra grave problematica fitosanitaria, paragonabile per importanza alla crisi provocata dalla Xilella fastidiosa in Salento, mettendo a rischio anche la commercializzazione dei prodotti vivaistici per i quali l'Unione europea potrebbe imporre il blocco della commercializzazione delle zone colpite;
   il problema non riguarda quindi solo il Piemonte e la Lombardia, ma assume dimensioni nazionali in considerazione della velocità di propagazione del contagio;
   il piano di contrasto predisposto da Piemonte e Lombardia è quantificabile in alcuni milione di euro per i prossimi tre anni per i quali diventa indispensabile reperire rapidamente risorse per sostenere sia i costi diretti per le attività di contenimento della diffusione dell'insetto, che per rimborsi ai produttori a compensazione dei danni subiti;
   il decreto-legge n. 51 del 2015, convertito dalla legge n. 91 del 2015, presenta anche «Disposizioni urgenti in materia di rilancio dei settori agricoli in crisi, di sostegno alle imprese agricole colpite da eventi di carattere eccezionale»;
   nello specifico l'articolo 5 di tale decreto autorizza le aziende agricole, non coperte da polizze assicurative agevolate, a richiedere contributi compensativi a carico del Fondo di solidarietà nazionale in agricoltura qualora siano state colpite da infezioni di organismi nocivi ai vegetali negli anni 2013, 2014 e 2015 con priorità a quelle legate alla diffusione del batterio Xylella fastidiosa, del cinipide del castagno e della flavescenza dorata;
   per gli interventi a favore delle imprese danneggiate dalla diffusione del batterio della Xylella fastidiosa la dotazione del Fondo di solidarietà viene incrementata di 1 milione di euro per il 2015 e di 10 milioni di euro per il 2016 mentre gli interventi relativi alle altre fitopatologie è stata prevista un'integrazione del medesimo fondo per un importo di 10 milioni per il 2016 –:
   quali iniziative intenda assumere per contrastare con tempestività ed efficacia l'infezione causata dal fitofago Popillia japonica, prima che tale calamità assuma una rilevanza catastrofica in tutte le regioni del nostro Paese;
   se intenda assumere iniziative specifiche e prevedere stanziamenti economici mirati per indennizzare le aziende coinvolte;
   se non ritenga conseguentemente di assumere iniziative per inserire l'infestazione determinata dal Popillia japonica tra le infezioni degli organismi nocivi «prioritari» e previste dall'articolo 5 del decreto-legge n. 51 del 2015 citato in premessa.
(5-07505)

Interrogazione a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, l'interrogante ha ricevuto una mail dal Presidente del Consorzio olio extravergine di oliva di qualità in merito ad un servizio televisivo sui prodotti alimentari italiani andato in onda nei primi giorni del 2016 negli Stati Uniti, in concomitanza con la campagna di promozione di Silvio Muccino sulle nostre eccellenze alimentari;
   il servizio televisivo della Cbs (http://www.cbsnews.com/video/the-fbi-of-food/ e http://www.oliveoiltimes.com/olive-oil-basics/mafia-olive-oil-on-60-minutes/50203) è stato ben congegnato e, grazie all'abile accostamento di immagini, che ritraggono pubblici ufficiali in seno a panel di assaggio privato, riesce a trasferire ai consumatori americani la percezione che si tratti del modus operandi di un Paese in cui l'olio di oliva è quasi sempre fasullo, di bassa qualità, quando non macchiato da sangue di mafia;
   il servizio è stato realizzato in Italia, con la complicità di chi in questo, Paese non ha esitato a prestarsi al gioco di qualche giornalista americano nel dimostrare la fondatezza della tesi che intendeva presentare ai suoi ascoltatori in America, che il cibo del nostro Paese, tanto ricercato e apprezzato, è in realtà fasullo e pericoloso, in quanto in mano alla Mafia;
   l'olio di oliva italiano, preso scientemente di mira, ne esce profondamente screditato, così come altri prodotti di eccellenza;
   è del tutto evidente l'utilità di aiutare la stampa americana a utilizzare gli stereotipi negativi del nostro Paese, quale ad esempio la Mafia, per diffondere un sentimento negativo sui prodotti italiani a vantaggio di altre origini e in primis delle alternative americane. Tra l'altro, sappiamo bene quale ruolo importante continuino a giocare i produttori americani – e non solo – nel popolare italian-sounding;
   nel settore oleario si fa sempre più strada l'idea di disinvestire e trasferire i propri impianti di lavorazione in altri Paesi. Qualche importante marchio italiano ha già delocalizzato parte dei propri impianti negli Usa e in Spagna e non è difficile immaginare che i vantaggi economici convincano altre aziende a farlo nei prossimi anni;
   in questo Paese non possono trovare ascolto solo demagoghi e populisti che, in nome di principi etici, che amano di solito applicare solo agli altri, distruggono quel poco di buono rimasto. C’è bisogno anche di chi costruisce lavoro e opera nel rispetto delle regole e per questo le nostre istituzioni debbono salvaguardare gli interessi e l'immagine dell'Italia;
   si era parlato di proteggere l'olio extravergine italiano di qualità attraverso l'adozione dello strumento comunitario noto come «Sistema di Qualità Nazionale», ma dopo avere investito ingenti risorse pubbliche comunitarie assegnate alla filiera e avere speso tempo e riunioni con gli uffici del Ministro interrogato per mettere a punto finalmente questo riconoscimento, si è preferito bloccare quello che fino ad allora era il progetto di tutta la filiera, favorendo di fatto quei Paesi che hanno interesse a sottrarci quote di mercato e visibilità –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per salvaguardare la reputazione costruita in tanti anni di sacrifici e investimenti da parte degli operatori del settore oleario di questo Paese. (4-11797)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CENNI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 10 della legge n. 124 del 2015 disciplina il «Riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura» da attuare attraverso un decreto legislativo del Governo;
   oggetto di tale decreto attuativo sono anche «la definizione delle condizioni in presenza delle quali possono essere istituite le unioni regionali o interregionali» (come disposto dall'articolo 10, comma 1, lettera b) della legge n. 124 del 2015);
   tale decreto attuativo è «adottato su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione e con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e del parere del Consiglio di Stato»;
   le unioni regionali delle camere di commercio sono i referenti principali delle camere di commercio nei confronti delle regioni. La loro attività ha come fine:
    il coordinamento delle attività delle singole camere sul piano regionale e la loro rappresentanza verso le regioni e il sistema degli enti locali per la definizione di questioni di interesse comune;
    la promozione e la realizzazione di iniziative e servizi, strutture e infrastrutture per lo sviluppo dell'economia regionale in tutti i settori di competenza delle camere di commercio;
   per il conseguimento di questi scopi le unioni curano studi e ricerche; organizzano congressi e comitati; partecipano ad enti e consorzi assicurando, nel contempo, i collegamenti con i servizi delle camere associate;
   i dipendenti delle unioni regionali delle camere di commercio sono a livello nazionale circa 230;
   risulta all'interrogante che alcune associazioni sindacali abbiano segnalato che le attuali bozze dei decreti legislativi disposti dall'articolo 10, comma 1, lettera b) della legge n. 124 del 2015 prevedono per il personale delle unioni regionali delle camere di commercio anche l'applicazione delle disposizioni di mobilità e tutela relative alle società partecipate;
   qualora questa indiscrezione fosse confermata, tale disposizione apparirebbe in palese contrasto con le norme previste dal testo unico sul pubblico impiego (decreto legislativo n. 165 del 2001);
   le unioni regionali delle camere di commercio, infatti, oltre ad essere destinatarie di funzioni pubbliche delegate per legge (come disposto dalla legge n. 580 del 1993), nonché di finanziamenti pubblici, sono incluse nella pubblica amministrazione, così definita dal testo unico sul pubblico impiego, all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, in posizione parificata alle stesse camere di commercio;
   sulla natura giuridica delle unioni regionali e sulla conferma di applicabilità al loro personale del testo unico sul pubblico impiego è intervenuto, in questa direzione, anche il Consiglio di Stato che, rispondendo al quesito proposto da Unioncamere Lazio sul «Parere in merito alla natura del rapporto di lavoro dei dipendenti dell'Unione regionale – Legittimità inquadramento all'interno del personale» (02614/2015 del 17 settembre 2015), si è così espresso: «Le Unioni Regionali, in quanto associazioni ex legge tra le camere di commercio (articolo 6 L. 9 dicembre 1993, n. 580 come sostituito dall'articolo 1 comma 8o del D.Lgs. 15 febbraio 2010, n. 23), sono quindi anch'esse soggette al regime di persone giuridiche pubbliche [...], il preannunciato riassetto del numero e dell'ordinamento delle unioni regionali delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura comporterà i trasferimenti del relativo personale sulla base delle regole stabilite per la mobilità all'interno dello stesso comparto del pubblico impiego, secondo le linee guida dettate dall'ARAN (cd. «mobilità imposta dall'amministrazione» intracomparto), con il passaggio dei dipendenti delle unioni regionali al CCNL pubblico impiego – Comparto Regioni e Autonomie locali» –:
   se le indiscrezioni di cui in premessa, riferite ai decreti attuativi, previsti dall'articolo 10 della legge n. 124 del 2015, sull'applicabilità delle disposizioni di mobilità e tutela relative alle società partecipate al personale delle unioni regionali delle camere di commercio corrispondano al vero e, conseguentemente, quali iniziative intendano assumere i ministri interrogati, nell'ambito delle loro competenze, al fine di assicurare ai dipendenti coinvolti il rispetto delle tutele sancite del decreto legislativo n. 165 del 2001 e dal Consiglio di Stato, come citato in premessa. (5-07500)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IX Commissione:


   FRANCO BORDO e FOLINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dalle più recenti comunicazioni della Consob emerge come la società francese di telecomunicazioni Vivendi è arrivata a detenere il 21,39 per cento del capitale di Telecom Italia, grazie alle nuove operazione di mercato effettuate tra il 16 e il 30 dicembre 2015 diventando il primo azionista della compagnia italiana;
   dai filing model di Borsa emerge, oggi che il maggiore azionista di Telecom Italia ha effettuato nuovi acquisti dal 16 al 30 dicembre, per un totale dello 0,86 per cento del capitale, arrivando così a ridosso della soglia del 21,4 per cento. Il gruppo potrà effettuare ancora acquisti, fino ad arrivare al 25 per cento del capitale, senza incorrere nell'obbligo di lanciare un'opa totalitaria;
   nel corso di una recente audizione presso il Senato della Repubblica, l'amministratore delegato della media company francese, Arnaud De Puyfontaine, ha spiegato che la priorità di Vivendi è quella di produrre contenuti migliori in forme diverse, con alleanze strategiche forti con gli operatori di telecomunicazioni. Sempre Puyfontaine ha aggiunto come tutto ciò debba avvenire attraverso la creazione di «un soggetto sud europeo che possa avere una base solida tale da permettere di competere ad armi pari rispetto a soggetti americani grandi»;
   ciononostante, i vertici di Vivendi non hanno fornito né al Governo, né al Parlamento, informazioni in merito ad eventuali piani industriali o finanziari che l'ormai azionista di maggioranza intende apportare ora che di fatto detiene il controllo di Telecom Italia;
   particolare criticità assumono i profili occupazionali legati al futuro della principale compagnia di telecomunicazioni del nostro Paese. Ancora di recente, Telecom ha raggiunto un accordo con i sindacati per la gestione di 2.600 esuberi attraverso le nuovi disposizioni introdotte con il Jobs Act. – Gli accordi, si legge in una nota, «regolamentano anche le uscite con prepensionamenti volontari e si affiancano all'intesa, già raggiunta nei giorni scorsi) sulla mobilità volontaria». A circa 30.400 lavoratori sarà applicato un contratto di solidarietà che prevede la riduzione verticale dell'orario di lavoro per un totale di 23 giorni all'anno (pari all'8,85 per cento dell'orario di lavoro mensile); inizierà da gennaio e durerà 2 anni con l'impegno, previo accordo tra le parti, di una estensione – della vigenza per altri 12 mesi. Inoltre, su base volontaria i lavoratori che matureranno, entro il 31 dicembre 2018; i requisiti minimi per la pensione nei quattro anni successivi, potranno lasciare il lavoro anticipatamente;
   in questo contesto, la società Telecom ha assunto impegni strategici in termini di sviluppo della banda larga su tutto il territorio nazionale, aree rurali e montane comprese. Al riguardo, secondo gli ultimi valori – riportati nel rapporto «Osservatorio sulle comunicazioni n. 4 2015» dell'AgCom le terminazioni in servizio sulla rete fissa tradizionale sono 20,6 milioni e, di queste, gli accessi a banda larga sono 14,5 milioni (il 70 per cento circa). Inoltre, quasi tutte le terminazioni a larga banda su richiesta dei clienti possono fornire in downlink 20 Mbit/s. Purtroppo, però, la maggior parte degli utenti (il 74 per cento) preferisce ancora aderire a contratti con un downlink nominale inferiore a 10 Mbit/s; e tra questi il 6,4 per cento, una percentuale quindi non trascurabile, si accontenta di ricevere una velocità inferiore ai 2 Mbit/s (forse oggi non dovrebbero comparire tra le connessioni a banda larga). Si può quindi concludere che i servizi oggi offerti nel Paese non spingono i clienti, che già hanno una connessione a banda larga, a passare a una a velocità maggiore del downlink;
   anche i recenti dati del rapporto Akamai — apparsi sul quotidiano « la Repubblica» – mettono quindi in luce un ritardo via via cresciuto in misura significativa tra domanda e offerta di larga banda nel Paese. Le politiche adottate in Paesi della Unione con i quali si è soliti confrontarsi (Inghilterra, Germania, Belgio, Austria, e più di recente, Francia, Olanda) – Paesi nei quali è offerto un servizio a banda ultralarga realizzato con sistemi non diversi da quelli oggi installati in Italia – hanno ad essi permesso di occupare posizioni in classifica ben diverse dalla nostra nelle graduatorie predisposte da Akamai –:
   quali iniziative urgenti, anche alla luce delle recenti evoluzioni societarie legate al controllo di Telecom Italia spa, il Ministro interrogato intenda assumere per varare incentivi che incoraggino l'uso della banda ultralarga – aree rurali e montane comprese – e l'accelerazione di un'offerta di nuovi servizi digitalizzati ai cittadini, con particolare riferimento ai processi di alfabetizzazione digitale della popolazione. (5-07509)


   DE LORENZIS, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, SPESSOTTO, DELL'ORCO, CARINELLI e NICOLA BIANCHI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri n. 52 del 3 marzo 2015 ha approvato la c.d. «Strategia italiana per la banda ultralarga» con l'obiettivo dichiarato «[...] di rimediare a questo gap infrastrutturale e di mercato, creando le condizioni più favorevoli allo sviluppo integrato delle infrastrutture di telecomunicazione fisse e mobili, con azioni quali: 1) agevolazioni tese ad abbassare le barriere di costo di implementazione, semplificando e riducendo gli oneri amministrativi; 2) coordinamento nella gestione del sottosuolo attraverso l'istituzione di un Catasto del sotto e sopra suolo che garantisca il monitoraggio degli interventi e il miglior utilizzo delle infrastrutture esistenti; 3) adeguamento agli altri Paesi europei dei limiti in materia di elettromagnetismo; 4) incentivi fiscali e credito a tassi agevolati nelle aree più redditizie per promuovere il «salto di qualità»; 5) incentivi pubblici per investire nelle aree marginali; 6) realizzazione diretta di infrastrutture pubbliche nelle aree a fallimento di mercato»;
   tale strategia propone lo stanziamento di fondi pubblici per circa 7 miliardi di euro cui si aggiungerebbero, secondo quanto affermato dal Governo, i fondi collegati del c.d. «Piano Juncker»;
   secondo quanto previsto nella delibera Cipe sopra richiamata la parte più consistente dei finanziamenti arriveranno a partire dal 2017 e si pensa di destinare risorse fino al 2022, oltre quindi il termine del 2020 originariamente previsto per lo sviluppo della strategia sia a livello europeo che nazionale;
   il 19 ottobre 2015 sono stati pubblicati i risultati della consultazione pubblica indetta da Infratel per verificare i piani di investimento degli operatori in banda ultralarga in particolare nelle zone cosiddette a fallimento di mercato;
   le risultanze della consultazione confermano come, senza un deciso intervento pubblico, l'Italia non avvicinerà nemmeno lontanamente gli obiettivi di copertura per la banda ultralarga previsti a livello europeo;
   dai dati raccolti emerge, infatti, che i piani degli operatori prevedono al 2018 la copertura con la banda ultralarga solo per il 29 per cento delle unità immobiliari;
   alla luce di quanto sopra e sul versante degli investimenti pubblici nelle infrastrutture secondo quanto si apprende da fonti giornalistiche, in particolare da un articolo pubblicato dal quotidiano La Repubblica il 6 gennaio scorso a firma di Alessandro Longo, il Governo avrebbe intenzione di destinare 4 miliardi di euro per la costruzione di una rete pubblica a banda ultralarga, senza l'aiuto degli operatori privati, che copra 7300 comuni in zone a fallimento di mercato. Tale rete dovrebbe essere gestita da Infratel Italia Spa, società in house del Ministero dello sviluppo economico  –:
   se quanto riferito dal richiamato articolo giornalistico corrisponda al vero e con quali tempistiche e secondo quali modalità il Governo intenda realizzare l'iniziativa descritta volta alla realizzazione di una rete a banda larga pubblica nelle zone a fallimento di mercato.
(5-07510)


   TULLO e MURA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la società Poste italiane sta procedendo ad una razionalizzazione della rete degli uffici postali, attraverso una riorganizzazione che vedrà la chiusura o la rimodulazione degli orari di circa 6.000 uffici postali dei 13.000 presenti sul territorio nazionale;
   il piano di razionalizzazione della rete postale è stato condiviso con l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;
   la razionalizzazione della rete di sportelli postali dà luogo, ad avviso degli interroganti, a una palese violazione del principio di territorialità e nasce da valutazioni di pura natura economico-gestionale e non tiene in minimo conto quello che è l'indispensabile ruolo svolto dall'azienda per milioni di cittadini garantire il servizio postale universale;
   la chiusura degli sportelli colpirà soprattutto i piccoli comuni, soprattutto quelli che si trovano nelle aree svantaggiate, in zone montane e in territori in via di spopolamento, causando un gravissimo danno ai cittadini, già penalizzati da scelte che hanno costretto i comuni a ridimensionare fortemente i servizi essenziali per la popolazione;
   l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, su precisa sollecitazione del Consiglio di Stato, ha adottato la delibera n. 342/14/CONS con la quale sono stati modificati i criteri di distribuzione degli uffici di Poste Italiane;
   con suddetta delibera è stato introdotto il divieto di chiusura di uffici postali situati in comuni rurali che rientrano anche nella categoria dei comuni montani. Sono esclusi dall'ambito di applicazione del divieto i comuni nei quali siano presenti più di due uffici postali e il rapporto abitanti per ufficio postale sia inferiore a 800;
   la delibera n. 342/14/CONS inoltre stabilisce: «Gli uffici postali presidio unico di Comuni, ossia con popolazione residente inferiore a 500 abitanti, ove sia presente entro 3 chilometri un ufficio limitrofo aperto almeno tre giorni a settimana, osservano un'apertura al pubblico non inferiore a due giorni e dodici ore settimanali, garantendo un coordinamento con gli orari di apertura del suddetto ufficio limitrofo, in modo da assicurare la più ampia accessibilità del servizio»;
   l'Autorità ha inoltre precisato che «gli interventi di chiusura e di rimodulazione oraria degli uffici postali devono essere comunicati da Poste Italiane ai Sindaci dei Comuni interessati, ovvero alla competente articolazione decentrata dell'Amministrazione comunale, con congruo anticipo, almeno 60 giorni prima della data prevista di attuazione dell'intervento»;
   numerosi amministratori locali nei mesi scorsi hanno presentato ricorso al Tar contro il piano di razionalizzazione presentato da Poste italiane, che a loro giudizio pregiudica pesantemente l'efficienza del servizio postale nei loro comuni –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare nei confronti di Poste italiane per assicurare la capillare presenza degli uffici postali e la fornitura del servizio postale su tutto il territorio nazionale e segnatamente nei piccoli comuni, con particolare riguardo a quelli collocati nelle aree svantaggiate, in zone montane e in territori in via di spopolamento. (5-07511)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Morassut e altri n. 1-01102, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Miotto, Marroni.

  La mozione Tullo e altri n. 1-01105, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Amoddio.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Tofalo n. 4-11697, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Micillo.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Scagliusi n. 5-07407, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: De Lorenzis, Nesci, L'Abbate, Sibilia, Grande, Del Grosso, Cariello, Della Valle, Crippa.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Cristian Iannuzzi n. 1-01106, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 554 del 25 gennaio 2016.

   La Camera,
   premesso che:
    in questo particolare periodo di crisi economica vi è una certa tendenza, da parte della pubblica amministrazione, a praticare quella che viene definita «finanza creativa», locuzione, di recente coniazione, che sta ad indicare, un insieme di manovre finanziarie utilizzate per fare cassa rapidamente;
    sembra che lo stesso scopo, quello di fare quadrare i bilanci comunali, esangui per i tagli da parte del Governo, sia perseguito da qualche comune italiano, attraverso forme surrettizie di autofinanziamento, come con gli autovelox, tanto è vero che più volte è intervenuta la Corte di cassazione per affermare principi di civiltà giuridica ed esprimere il proprio monito riguardo una pratica non proprio ispirata a ragioni di sicurezza stradale;
    il legislatore è intervenuto, con la legge n. 120 del 2010 che ha introdotto due innovativi principi, sull'obbligatorietà degli enti locali di rendicontare i proventi di tutte le multe ed il loro impiego e sulla divisione a metà tra l'ente proprietario delle strade e l'ente locale accertatore delle sanzioni derivanti dallo eccesso di velocità (articolo 141, commi 12-bis, 12-ter, 12-quater del codice della strada);
    in tale contesto non senza rilievo appaiono le notizie, che sempre più si leggono nei media, circa l'installazione di autovelox irregolari, che hanno indotto l'autorità giudiziaria ad intervenire. Come qualche anno fa in Calabria, più particolarmente in alcuni comuni della provincia di Catanzaro, dove erano stati utilizzati degli autovelox montati in maniera tale da trarre in inganno l'automobilista, in contrasto con lo spirito della normativa in materia, diretta a prevenire incidenti più che a reprimerli;
    così ancora, navigando su internet, si scopre sempre di più di condanne, di aperture di indagini penali in relazione alla installazione nelle strade di irregolari autovelox, ivi posti non proprio per assicurare la sicurezza stradale. Come è successo in Sardegna, dove un funzionario responsabile di un comune del Medio Campidano è stato condannato dal tribunale di Cagliari per abuso di ufficio, per l'affidamento della gara di appalto ad una società privata e per falso nel sistema di contestazione delle infrazioni al codice della strada, relativamente all'installazione di un autovelox che in pochi mesi aveva fatto multare più di sedicimila automobilisti per aver superato i 50 chilometri (si veda L'Unione Sarda di mercoledì 1o aprile 2015). E come anche è successo in Emilia, dove sono indagate cinque persone tra dirigenti e funzionari della polizia municipale del comprensorio Terre d'Acqua, che opera in diversi comuni bolognesi, per falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici e abuso d'ufficio nell'inchiesta Fast and Furious su autovelox irregolari (si veda TgCom24 di Mediaset del 26 settembre 2014);
    il decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160, ha apportato un'importante modifica all'articolo 142 del codice della strada, in materia di superamento dei limiti di velocità e rilevamento delle relative violazioni a mezzo di apparecchiature elettroniche: il comma 6-bis prevede che le postazioni di controllo sulla rete stradale per il rilevamento della velocità devono essere preventivamente segnalate e ben visibili, ricorrendo all'impiego di cartelli o di dispositivi di segnalazione luminosi, conformemente alle norme stabilite nel regolamento di esecuzione del codice della strada;
    la sentenza della Corte di cassazione sezione penale 13 marzo 2009, n. 11131, richiamando la prima circolare del Ministero dell'interno del 03 agosto 2007, successiva alla pubblicazione del decreto-legge n. 117 del 2007, che, come ricordato, aveva introdotto l'obbligo dell'apposizione del cartello di segnalazione della postazione autovelox (che deve essere ben visibile), ha stabilito, come indicato da detta circolare, che la distanza minima tra la postazione elettronica della velocità e il cartello di preavviso non debba essere inferiore a 400 metri, idonea a segnalare con adeguato anticipo la postazione di controllo in modo da garantirne l'avvistamento tempestivo e permettere così all'automobilista di conformare la propria condotta di guida alla velocità prescritta, in un tratto di strada dove debbono essere assicurate le ragioni di sicurezza poste alla base del decreto prefettizio che autorizza l'uso dell'apparecchiatura senza obbligo di contestazione;
    purtuttavia, nel successivo decreto ministeriale, che avrebbe dovuto fissare la distanza, non vi è traccia di tale precisazione, cui ha sopperito la circolare del 20 agosto 2007 del Ministero dell'interno n. 300/A/1/26352/101/3/319, confermata nella cosiddetta circolare Maroni del 14 agosto 2009, che ha suggerito di fare riferimento all'articolo 79 del regolamento di esecuzione del codice della strada ossia: 80 metri sulle strade con velocità massima di 50 chilometri orari, 150 metri su quelle extraurbane secondarie ed urbane di scorrimento per finire a 250 metri previsti per autostrade e extraurbane principali;
    la Consulta ha stabilito la parziale illegittimità dell'articolo 45, comma 6, del codice della strada, nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell'accertamento delle violazioni dei limiti di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura,

impegna il Governo:

   a porre in essere iniziative volte ad assicurare che l'autorità pubblica, nell'ambito delle problematiche rappresentate in premessa, conformi la propria condotta all'esigenza di assicurare il buon andamento e l'imparzialità nell'amministrazione, principi cardine del nostro ordinamento, al fine di tutelare la sicurezza stradale;
   ad assumere iniziative per definire una distanza adeguata tra segnaletica e dispositivi di rilevazione automatica e per garantire, nell'esposizione della suddetta segnaletica, una buona visibilità, facendo sì che le autorità preposte si attengano a tali prescrizioni, al fine di evitare rallentamenti o frenate brusche ed improvvise in prossimità dell’autovelox, dunque favorendo la sicurezza stradale;
   ad assumere ogni iniziativa necessaria affinché tutte le apparecchiature impiegate nell'accertamento delle violazioni dei limiti di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura;
    ad assumere iniziative per stabilire l'obbligo di destinare i proventi derivanti dalle sanzioni per rilevazione automatica della velocità per il 50 per cento alla sicurezza stradale, per il 20 per cento allo sviluppo della mobilità ciclabile, e per il 20 per cento al trasporto pubblico locale prevedendo una verifica periodica della destinazione dei suddetti proventi;
   ad assumere iniziative per prevedere che ciascun dispositivo di autovelox fisso riporti il limite di velocità in maniera visibile.
(1-01106)
(Nuova formulazione) «Cristian Iannuzzi, Artini, Baldassarre, Bechis, Matarrelli, Segoni, Turco, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Pastorino».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Matarrese n. 1-01118, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 555 del 26 gennaio 2016.

   La Camera,
   premesso che:
    l'analisi degli indicatori degli ultimi anni di crisi economica e sociale del nostro Paese, riferiti in particolare al periodo 2007-2014, evidenzia un quadro di insieme decisamente complesso. Il dibattito parlamentare ha recentemente generato atti di indirizzo politico per impegnare il Governo ad assumere iniziative, non solo per porre le basi di rilancio economico dell'Italia, ma anche e soprattutto per ridurre gradualmente e secondo obiettivi definiti e programmati, il divario tra le regioni del Nord e quelle del Sud, così come indicato anche dalle mozioni del Gruppo di Scelta Civica, approvate dalla Camera dei deputati, n. 1-00765, n. 1-01001 e n. 1-00648;
    il quadro generale della situazione economica e sociale del Paese e, soprattutto, del Mezzogiorno è ancora e decisamente critico anche se i dati relativi ai 2015 mostrano per la prima volta timidi segnali positivi. Non sussiste certamente una netta crescita ma traspare una positiva inversione di tendenza che potrebbe da un lato confermare la stabilizzazione dell'economia meridionale dopo sette anni di turbolenza e dall'altro potrebbe aiutare ad individuare alcuni aspetti della crisi sui quali Parlamento e Governo potranno maggiormente puntare per individuare percorsi di sviluppo;
    secondo le recenti stime di Confindustria e SRM, infatti, nella prima parte del 2015 i segnali di crescita sono aumentati a tal punto da far prevedere la possibilità di valori leggermente positivi per il Pil del Mezzogiorno già alla fine dello stesso anno;
    il prodotto interno lordo del Mezzogiorno dovrebbe infatti tornare a salire dello 0,2 per cento nel 2015 ed in maniera leggermente più rilevante nel 2016 attestandosi al +1 per cento. In ogni caso, la crescita stimata è decisamente inferiore rispetto a quella del Paese e comunque non sufficiente al suo rilancio strutturale;
    secondo i dati del rapporto di Confindustria, segnali cautamente positivi provengono innanzitutto dal mondo delle imprese. Il clima di fiducia delle imprese manifatturiere meridionali si mantiene sui più alti valori degli ultimi quattro anni, facendo segnare (ad ottobre) un valore di due punti più elevato rispetto ad un anno fa. Un segnale analogo proviene dai consumatori presso i quali si registra un clima di fiducia favorevole, anch'esso ai massimi rispetto agli ultimi quattro anni. Particolarmente significativa è la crescita della fiducia relativa al clima economico, in forte incremento soprattutto nella seconda parte dell'anno;
    ciò che ha contribuito ad aumentare e migliorare le aspettative e ad invertire i trend è certamente la lieve crescita dell'occupazione al Sud: rispetto al 2014, infatti, nei primi nove mesi del 2015 si registrano 136.000 occupati in più nelle regioni meridionali;
    questo incremento riporta il dato delle persone che hanno un lavoro vicino alla soglia psicologica dei sei milioni di occupati (5 milioni e 970 mila). Rispetto al 2014, il tasso di occupazione sale al Sud dell'1,1 per cento ovvero dello 0,4 per cento in più della media nazionale: a sua volta, il tasso di disoccupazione cala di 2 punti percentuali (sempre rispetto al terzo trimestre del 2014), scendendo al 17,6 per cento;
    secondo le ultime rilevazioni dell'ISTAT, diminuiscono, per la seconda volta consecutiva, gli scoraggiati, coloro che non ricercano più un posto di lavoro, soprattutto al Centro e nel Mezzogiorno;
    si tratta certamente solo di timidi segnali perché la disoccupazione, soprattutto giovanile (ben rappresentata dal 38,9 per cento di NEET meridionali) è rimasta pressoché invariata con lievissimi miglioramenti. È però un segnale, per la prima volta, di segno chiaramente positivo. Lo sgravio per le nuove assunzioni a tempo indeterminato si è rivelato efficace nel determinare un incremento degli occupati: nei primi 9 mesi dell'anno, infatti, sono state quasi 290 mila le assunzioni agevolate al Sud su un totale di 900 mila e quasi 1/3 di esse riguarda la regione Campania. Il dato sulla Cassa Integrazione, tornato (per tutte e tre le forme di ammortizzatore sociale considerate) sui livelli pre-crisi, contribuisce a sua volta a confermare la stabilizzazione dell'economia meridionale dopo sette anni di turbolenza;
    in modo lieve i dati fanno registrare la stabilizzazione, se pur in negativo, del saldo delle imprese attualmente attive, che si attesta a -0,1 per cento rispetto al III trimestre del 2014. Si nota un irrobustimento del tessuto produttivo del Mezzogiorno e infatti le società di capitali aumentano e sono ormai più di 270 mila, indice di un processo molto più sostenuto di quello che si registra nel Centro Nord (+5,4 per cento rispetto a +2,6 per cento). A conferma dei segnali di stabilizzazione economica della crisi al Sud si rileva una diminuzione media delle procedure fallimentari delle imprese nel 2015 (tranne la Sardegna), mentre torna positivo nel 2014, rispetto all'anno precedente, il fatturato delle grandi (+4,6 per cento) e delle medie imprese (+1,9 per cento), ma non ancora quello delle piccole (ancora in calo del 2,3 per cento), condizionando in tal modo il risultato di insieme. Questi dati evidenziano come la crisi abbia colpito duramente il tessuto produttivo delle piccole e medie imprese che caratterizza il sistema industriale italiano soprattutto al Sud ed al contempo come la ripresa interessi le aziende di maggiore dimensione che hanno una buona componente di esportazioni all'estero;
    un altro elemento che fa registrare un'inversione di tendenza lievemente positiva è certamente l'aumento di fatturato, seppur ridotto, nelle esportazioni. A spingere, infatti, il risultato del manifatturiere meridionale contribuisce in modo significativo l’export che, rispetto al terzo trimestre 2014, fa registrare +3,1 per cento, trainato da un +26,3 per cento dei mezzi di trasporto e dalla crescita (che continua) dell'agroalimentare (+9 per cento). Nei primi 9 mesi del 2015, le esportazioni meridionali sono state pari, in valore, ad oltre 31,4 miliardi di euro (di cui 29,6 relativi al manifatturiero in senso stretto), oltre 1 miliardo di euro in più rispetto al corrispondente periodo del 2014;
    se si analizzano le esportazioni sotto il profilo territoriale, è facile osservare che 6 regioni meridionali su 8 fanno registrare una dinamica positiva. La Puglia si attesta ad un valore sostanzialmente stabile, mentre l'unica regione che vede ridursi la propria quota di esportazioni è la Sicilia. Fra le province esportatrici, fanno registrare dinamiche positive oltre a Potenza (+206,7 per cento), anche Chieti (+5,4 per cento), Salerno (+5,6 per cento), Bari (+2,2 per cento) e Cagliari (+2,7 per cento). Negative, viceversa, le performance di Napoli (-1,5 per cento) e Siracusa (-12,9 per cento). Anche l'andamento dell'export dei distretti meridionali, nei primi sei mesi del 2015, conferma questa tendenza positiva, con un incremento (+11,6 per cento) anche più robusto di quelli del Centro-nord (con aumenti compresi tra +4 e +5 per cento);
    un elemento che descrive e consente l'aumento della «voglia di fare impresa» al Sud Italia, soprattutto tra i giovani, è quello relativo all'aumento di domanda creditizia e dalla sostanziale diminuzione delle relative offerte. Nonostante crescano gli indici di sofferenza, che hanno ormai superato la soglia dei 40 miliardi di euro (pari al 14,3 per cento del totale dei crediti concessi) su un totale di 140 sul piano nazionale, resta alta la voglia di fare impresa proprio fra i giovani. Sono, infatti, 226 mila le imprese meridionali condotte da giovani nel 2014 (oltre il 40 per cento del totale). Continua, inoltre, la crescita delle imprese che aderiscono a Contratti di Rete: sono 3.164, con un incremento del 10 per cento (maggior rispetto a quello del Centro-nord, che si ferma a +8 per cento) rispetto al 2014;
    uno dei dati forse più significativi del 2014 è l'incremento delle presenze e della spesa turistica nelle regioni meridionali, elemento che deve far ben sperare e che deve essere adeguatamente valorizzato e gestito nel prossimo futuro; crescono, infatti, del 3,6 per cento gli arrivi (anche più della media nazionale +2,7 per cento) e le presenze (+1,1 per cento), che restano viceversa stabili nel Centro-Nord. Nel 2015, per quanto lievi e relativi, sono incoraggianti i dati sull'incremento del traffico aereo che, nei primi 9 mesi dell'anno, rileva un +2,2 per cento rispetto allo stesso periodo del 2014. I passeggeri internazionali degli aeroporti del Mezzogiorno sono ormai il 33,7 per cento del totale. Fanno ben sperare le previsioni più recenti (Fonte: Italian Cruise Watch, 2015) che prevedono per il 2016 un nuovo record storico per il traffico crocieristico per il nostro Paese, e dunque anche per i principali porti meridionali;
    è necessario però evidenziare che all'incremento del turismo e alla grande ricchezza del tessuto culturale del Mezzogiorno non corrisponde, però, un'altrettanto ampia fruizione del patrimonio storico e culturale per problemi legati alla sua gestione e valorizzazione, non all'altezza delle sue potenzialità;
    nelle regioni del Sud e nelle Isole è presente il 25 per cento del patrimonio culturale nazionale (musei, monumenti e aree archeologiche), vale a dire 1.150 dei 4.588 siti culturali italiani. Con riferimento al patrimonio statale si rileva che nel Sud si trovano 145 siti tra musei, monumenti e aree archeologiche pari al 34,3 per cento del totale nazionale cifra che sale a 256 se si aggiungono i 111 siti siciliani (non di competenza MiBACT), diventando il 48 per cento del totale italiano. Tra i beni culturali del Meridione 15 fanno parte della lista del Patrimonio dell'Umanità, il 30 per cento dei 49 siti Unesco italiani. Questi sono numeri che da soli basterebbero a innescare procedimenti di crescita dell'economia turistica del meridione eppure in assenza di politiche di sviluppo e di gestione questo settore resta quasi abbandonato al proprio destino;
    se sarà fondamentale migliorare e investire sul piano della fruizione del patrimonio culturale del meridione, sarà altrettanto necessario intervenire con energia sul tema dell'istruzione, visti i divari tuttora perduranti in termini di abbandono scolastico e di livello delle competenze degli studenti, e dell'efficienza del sistema universitario meridionale, stretto tra calo delle immatricolazioni (diminuite di circa un quarto dell'ultimo decennio) e tagli al fondo di funzionamento ordinario;
    da recenti indagini condotte dalla Fondazione RES sul sistema universitario si evincono dati allarmanti: la tendenza a diminuire le risorse impiegate in questo settore è evidente se si osservano i dati relativi al Fondo di finanziamento ordinario, diminuito, in termini reali, del 22,5 per cento. In valore: 7 miliardi che, se comparati agli oltre 26 investiti della Germania, rendono l'idea di quanto sia diversa la gestione di queste risorse da parte della amministrazione italiana rispetto a quelle in corso in tutti i Paesi avanzati;
    i cambiamenti introdotti nei meccanismi di ripartizione dei finanziamenti del Fondo di finanziamento ordinario, con un aumento fino al 20 per cento della quota premiale legata a risultati conseguiti nella didattica e nella ricerca, paradossalmente aggravano il quadro perché penalizzano le università del Mezzogiorno. La situazione delle università meridionali necessita sicuramente di un indirizzo di governo diverso rispetto a quanto fatto negli ultimi anni con particolare riferimento alla auspicabile rideterminazione dei parametri di ripartizione delle risorse pubbliche per le università che sono risultati penalizzanti per tutte le università del Sud;
    proseguendo nell'analisi dei dati del 2015, che riprovano una timida inversione di tendenza, si evidenziano segnali confortanti dall'indice sintetico dell'economia meridionale del 2015, indicatore composito (aggiornato con cadenza semestrale) che fotografa anno per anno lo stato di salute economica dell'Italia meridionale. La comparazione dei valori 2014-2015 dell'indice, infatti, riportato nella ricerca elaborata da Confindustria e da Srm-Studi e ricerche per il Mezzogiorno, riporta per la prima volta un trend in miglioramento;
    il dato riferito al 2015 dovrebbe far segnare, per la prima volta dal 2011, un valore sia pur di poco positivo. Sono, infatti, tre su cinque gli indicatori che fanno registrare valori in crescita ovvero Pil, export e occupazione. L'indicatore delle imprese è invece di poco negativo mentre solo l'indicatore degli investimenti continua, anche per il 2015, a far segnare valori negativi, anche se il calo è minore di quello degli anni precedenti;
    i dati in premessa sono quindi utili a comprendere lo stato attuale dell'economia del Mezzogiorno che per invertire decisamente la tendenza e poter intraprendere una auspicabile ripresa necessita di investimenti in tempi brevi. Infatti, la variabile che purtroppo condiziona fortemente le prospettive di ripresa è rappresentata dal continuo calo del valore degli investimenti sia pubblici che privati, malgrado proposizioni ed aspettative ben diverse promulgate negli anni scorsi. Questa circostanza penalizza soprattutto imprese e lavoratori, che per primi e in modo più diretto risentono degli effetti della «crisi di domanda interna», caratterizzata, cioè, da minori consumi e, appunto, minori investimenti;
    il trend degli investimenti nel range di periodo 2007-2014 è dunque in calo, così come rilevato dai report di Confindustria: dal picco del 2007, infatti, gli investimenti fissi lordi sono diminuiti di oltre 34 miliardi di euro fino a toccare il valore minimo nel 2014 di 55 miliardi di euro, ben al di sotto dei quasi 67 miliardi di vent'anni fa. Guardando al lungo periodo, particolarmente sensibili sono stati i decrementi nel settore dell'industria in senso stretto e delle costruzioni: dal 2000 ad oggi, la riduzione degli investimenti in questi due comparti è superiore al 50 per cento;
    anche gli investimenti pubblici fanno registrare decrementi grosso modo simili e negli stessi anni e questo malgrado vi siano risorse stanziate e risorse comunitarie non spese nei tempi programmati. Al netto delle partite finanziarie, tra il 2009 ed il 2013, infatti, la spesa in conto capitale della Pubblica Amministrazione si è ridotta di oltre 5 miliardi di euro, ben al di sotto dei valori del 2000. In questa contrazione della spesa è rilevante anche il contenimento dell'indebitamento per esigenze di finanza pubblica, malgrado vi sia una strutturale sperequazione tra fondi statali per il Nord Italia e per il Sud Italia, da sempre compensata, impropriamente, dall'apporto dei fondi comunitari: secondo gli ultimi dati disponibili, i mutui erogati per il finanziamento degli investimenti degli enti locali hanno raggiunto la quota di 136 milioni di euro, con un calo del 43,6 per cento rispetto all'anno precedente: rispetto al dato pro capite, l'importo registrato per il Mezzogiorno è pari a 6,6 euro per abitante, ben al di sotto di una media nazionale di 10,3 euro per abitante;
    l'elemento principale che dovrà caratterizzare, dunque, l'azione di Governo dei prossimi anni è il rilancio degli investimenti al Sud Italia che si conferma, quindi, la priorità delle priorità: saranno di fondamentale importanza sia gli investimenti delle imprese di fatto fermi negli ultimi sette anni, sia quelli promossi dalla pubblica amministrazione, stretti da un rigore di bilancio che li ha compressi a livelli difficilmente sopportabili per una economia che, invece, da questi investimenti ancora molto dipende;
    tramite il DEF 2016 il Governo ha prospettato un profilo di ripresa per gli investimenti pubblici (+1,9 per cento) per quest'anno e soprattutto per il prossimo (+4,6 per cento). Ma è soprattutto con la legge di stabilità 2016 che il Governo ha deciso di dare seguito a questo intento agendo su tre fattori che hanno riflessi positivi proprio sul Mezzogiorno;
    il primo fattore è quello relativo all'accelerazione della spesa dei fondi europei utilizzando la flessibilità rispetto al patto di stabilità europeo attraverso la cosiddetta «clausola degli investimenti» con l'intento quindi di spendere al meglio e il massimo possibile delle risorse dei fondi strutturali. Una parte rilevante di questa spesa, che vale nel complesso circa 11 miliardi di euro, di cui circa 5 di cofinanziamento nazionale, riguarda proprio le regioni meridionali, per un valore stimato di circa 7 miliardi di euro;
    il secondo fattore è relativo ad un cambiamento strutturale strettamente collegato al precedente ed è costituito dal superamento del patto di stabilità interno in favore del cosiddetto pareggio di bilancio, sia per le regioni, sia per gli Enti locali. I meccanismi introdotti determinano di fatto il superamento del Patto di Stabilità interno e dunque la fine dell'impossibilità forzata di utilizzare risorse disponibili per investimenti, costituendo un volano per il ritorno alla crescita della spesa in conto capitale al Sud, anche grazie a meccanismi di ottimizzazione che consentono di incrementare le opportunità per gli enti locali più virtuosi;
    il terzo fattore riguarda la scelta di tornare a sostenere in maniera significativa gli investimenti delle imprese meridionali, così come dimostra la misura che introduce un Credito d'imposta automatico per gli investimenti in beni strumentali nel Mezzogiorno. Con questo intervento saranno messi a disposizione delle imprese che investono nel Mezzogiorno 2,4 miliardi di euro per i prossimi 4 anni, per un valore di 617 milioni di euro l'anno. Se si considera che l'effettiva erogazione per incentivi nel 2014 da parte di amministrazioni centrali è stata pari a 1 miliardo e 100 milioni di euro circa, si tratta per il Mezzogiorno di una crescita di oltre il 50 per cento della spesa per incentivi, capace di far salire considerevolmente gli investimenti;
    sotto il profilo della politica da intraprendere per la risoluzione dei problemi, che da anni concorrono a rendere negativo il quadro del Mezzogiorno, e delle risorse e degli interventi da individuare ed attuare secondo programmi definiti, ha particolare rilevanza in termini di programmazione integrata il masterplan per il Mezzogiorno. Questo strumento sarà certamente utile a tracciare un percorso sinergico ed integrato nell'azione del Governo e di tutti gli Enti interessati dai Ministeri, alle Regioni agli Enti locali allo scopo di promuovere un utilizzo più efficace delle risorse già a disposizione del mezzogiorno, con una metodologia capace di far emergere proposte e progetti strategici da parte delle Regioni in una logica economica comune di livello nazionale che eviti duplicazioni di spesa o investimenti senza ritorno economico e sociale;
    come è noto, le risorse stanziate sono ingenti, ma non lo è altrettanto la relativa spesa che risulta nettamente insufficiente per dare inizio alla ripresa economica. È, infatti, necessario ridurre drasticamente la mancanza di capacità di utilizzo delle risorse da parte dei soggetti attuatori. L'azione di Governo dovrà essere tesa ad istituire nuovi meccanismi di supporto che possano accompagnare le amministrazioni beneficiarie dei finanziamenti nella elaborazione dei progetti e nelle relative procedure attuative e di spesa affinché possano avvenire nel rispetto dei tempi programmati. In questa direzione va evidenziata la necessità di concludere in tempi brevi il quadro della programmazione dei fondi sviluppo e coesione del periodo 2014/2020 il cui calendario, fissato dalle due ultime leggi di stabilità del settembre 2014 e dell'aprile 2015, è Stato disatteso. Così come indicato anche dal masterplan per il Mezzogiorno, tra Fondi strutturali (FESR e FSE) 2014-20 pari a 56,2 miliardi di euro, di cui 32,2 miliardi di euro europei e 24 miliardi nazionali, cui si aggiungono fondi di cofinanziamento regionale per 4,3 miliardi di euro, e Fondo Sviluppo e Coesione, per il quale sono già oggi disponibili 39 miliardi di euro sulla programmazione 2014-20, vi sono circa 95 miliardi di euro a disposizione da qui al 2023 per politiche di sviluppo del Mezzogiorno;
    il masterplan, però, deve ancora essere completato: manca la declinazione operativa dei 16 Patti per il Sud che per ogni regione e per ogni città metropolitana stabilirà gli interventi prioritari e trainanti, le azioni da intraprendere per attuarli, gli ostacoli da rimuovere, la tempistica e le reciproche responsabilità;
    nel contesto delle regioni meridionali e insulari, merita una riflessione speciale la situazione della Sardegna che sconta l’handicap strutturale dell'insularità, che rappresenta un freno allo sviluppo di qualsiasi politica di rilancio economico endogeno ed è stato pesante concausa del fallimento dei Piani di Rinascita che avevano l'obiettivo di azzerare i gap economici e sociali che affliggono l'isola;
    ancora oggi, gli indicatori economici che fotografano la situazione sarda mettono in evidenza un residuo fiscale negativo tra i peggiori d'Italia in un quadro di impoverimento di tutte le attività di produzione legate al settore primario;
    appare, dunque, indispensabile agire sulle leve della continuità territoriale per i passeggeri e per le merci ma soprattutto investire sui vantaggi competitivi sardi per strutturare un tessuto produttivo legato a nuove politiche di brand e alle attività ecocompatibili che possano consentire il superamento delle logiche assistenzialistiche e garantire sostenibilità nel tempo,

impegna il Governo:

   a garantire, in tempi brevi, il completamento del masterplan e quindi la sottoscrizione dei 16 patti per il Sud che declineranno concretamente i provvedimenti che ne costituiscono l'asse portante, al fine di poter dare inizio alla programmazione degli interventi prioritari ed alle azioni da intraprendere per attuarli, rimuovendone gli ostacoli, definendone le tempistiche e le responsabilità;
   a garantire che nei singoli patti per il Sud vi siano disposizioni che possano favorire concretamente la semplificazione delle procedure di spesa e di rendicontazione delle risorse, nonché il monitoraggio degli adempimenti e dei tempi prefissati di realizzazione delle opere e di utilizzo delle risorse;
   a garantire che il masterplan preveda nel suo cronoprogramma interventi per gli anni 2016 e 2017 al fine di consentire investimenti in questi anni particolarmente utili e necessari per contrastare l'attuale crisi economica per mancanza di investimenti al Sud;
   ad istituire presso la Presidenza del Consiglio dei ministri una struttura di coordinamento e controllo dell'attuazione del Masterplan e delle politiche e degli investimenti nel Mezzogiorno con un responsabile delegato dal Governo che possa sovraintendere e coordinare i programmi dei singoli patti per il Sud e intervenire con poteri sostitutivi per risolvere problematiche contingenti e garantire il conseguimento degli obiettivi di spesa prefissati;
   a garantire maggiore supporto all'Agenzia per la coesione territoriale affinché possa affiancare efficacemente le regioni del Mezzogiorno e risultare sempre più incisiva nel sostenere, promuovere ed accompagnare i programmi e i progetti per lo sviluppo e la coesione economica, rafforzando, al fine di una sempre più rapida e puntuale attuazione degli interventi indicata da specifici impegni temporali, l'azione di programmazione e sorveglianza, nonché promuovendo la semplificazione delle procedure di autorizzazione degli interventi e della conseguente spesa dei fondi, anche assumendo iniziative per prevedere poteri sostitutivi in caso di inadempienze e/o colpevoli ritardi da parte degli enti beneficiari di finanziamenti;
   a prevedere adeguate iniziative economiche e finanziare al fine di rilanciare l'economia delle regioni del Mezzogiorno ed al fine di sostenere in misura ancora più ampia gli investimenti delle imprese che operano su questi territori, contribuendo ad irrobustire il relativo tessuto produttivo e puntando soprattutto alla crescita delle piccole e medie imprese ed all'aumento consequenziale dei livelli occupazionali;
   a favorire, nel corso della programmazione 2014-2020, l'utilizzo di risorse del fondo sociale europeo per la realizzazione di politiche attive di inserimento nel mondo del lavoro dei giovani meridionali disoccupati;
   a garantire che la programmazione delle infrastrutture, degli interventi di riqualificazione urbana, di recupero dei centri storici e di collegamento viario e ferroviario delle regioni del Sud alla rete nazionale siano elementi centrali dei programmi dei fondi strutturali europei e FSC 2014-2020, impedendo di utilizzare impropriamente questi fondi per finanziare altre esigenze nell'attuale difficile contesto di finanza pubblica;
   a favorire l'accelerazione dei tempi necessari al completamento della programmazione FSC 2014-2020 per il recupero dei ritardi ad oggi maturati rispetto ai tempi stabiliti dalle leggi di stabilità del 2014 e 2015 allo scopo di consentire la spesa delle relative risorse nello stesso periodo di programmazione e, successivamente, a garantire la celere assegnazione delle risorse ai progetti di sviluppo pianificati a seguito della definizione delle priorità di interventi che saranno indicate nel prossimo «Allegato infrastrutture» al documento di economia e finanza;
   a garantire l'accelerazione degli interventi di manutenzione e messa in sicurezza dei territori meridionali a maggior rischio idrogeologico favorendo lo stanziamento delle risorse allo scopo necessario in termini prioritari;
   ad assumere iniziative per ridurre gradualmente e secondo obiettivi definiti e programmati il divario infrastrutturale nel settore dei trasporti e della logistica tra le regioni del Sud Italia e quelle del Centro-nord, con particolare riferimento alla rete autostradale e ferroviaria;
   a monitorare e garantire il rispetto degli obiettivi e dei tempi di realizzazione prefissati per la realizzazione delle opere strategiche per il Sud con particolare riferimento alla rete ferroviaria di alta velocità tra Bari e Napoli ed alla tratta autostradale Salerno-Reggio Calabria;
   a valutare l'opportunità di prevedere iniziative per l'incremento del fondo di finanziamento ordinario per le università tenendo in debita considerazione, ai fini della distribuzione delle risorse, della necessità da parte delle università del Sud Italia di colmare un evidente divario rispetto a quelle del Nord relativo alle infrastrutture e alle offerte formative;
   a valutare l'opportunità di istituire una commissione di esperti presso il Miur, che coinvolga anche i rappresentanti delle università del Sud Italia, per monitorare e valutare gli effetti degli attuali criteri di ripartizione delle risorse pubbliche tra le università del nord e del sud Italia per eliminare le cause che hanno penalizzato il sistema universitario meridionale e rivalutare conseguentemente i criteri di distribuzione delle risorse del fondo di finanziamento ordinario affinché possa risultare utile anche a colmate il divario che si è aggravato negli ultimi anni;
   a garantire lo sviluppo nel settore dell'edilizia scolastica meridionale in particolar modo monitorando, e dove possibile, accelerando gli interventi già previsti dalle linee di finanziamento volte alla costruzione di nuovi edifici, alla ristrutturazione e alla messa in sicurezza completa di quelli esistenti, alla eliminazione delle barriere architettoniche, alla rimozione dell'amianto nonché a garantire lo sviluppo delle strutture in senso sostenibile ed ecoefficiente;
   a prevedere iniziative per l'incremento degli investimenti pubblici per la promozione e la valorizzazione, secondo programmi definiti ed integrati, del patrimonio culturale, artistico e turistico delle regioni del Mezzogiorno adottando adeguate politiche che siano volte allo sviluppo dell'economia turistica meridionale ed alla creazione di reti e percorsi tematici anche di interesse sovraregionale;
   a programmare investimenti pubblici volti a migliorare la rete ed i servizi di welfare al fine di aumentare i livelli assistenziali per i cittadini meridionali con particolare riferimento a quelli che vivono in condizioni di povertà assoluta, prevedendo entro il 2016 un'attività di monitoraggio e verifica dei livelli essenziali di assistenza in ambito sanitario;
   a prevedere iniziative per favorire, promuovere e tutelare le produzioni agricole di qualità tipiche delle regioni del Mezzogiorno attraverso l'individuazione e l'utilizzo di fondi europei e statali e lo sviluppo di programmi adeguati al fine di sviluppare l'economia di settore e le relative esportazioni dei prodotti;
   a monitorare lo stato di efficienza e le presenze di attività imprenditoriali nelle aree industriali del Mezzogiorno e la loro attrattività in termini economici e logistici per elaborare un piano integrato di interventi per la messa in rete e sviluppo delle stesse che abbia come finalità la ricerca di potenziali investitori interessati ad insediarvi attività industriali;
   ad assumere iniziative per istituire zone economiche speciali nel Mezzogiorno in aree effettivamente già predisposte e funzionali ad attrarre investimenti, quali il porto di Taranto, Cagliari e Gioia Tauro, da parte di grandi gruppi internazionali operanti nel settore della logistica e dell'indotto;
   a monitorare e a garantire il buon andamento e lo sviluppo degli interventi previsti dal nuovo programma operativo nazionale legalità 2014-2020 affinché risultino effettivamente utili a ridurre l'influenza della criminalità organizzata nelle regioni del Sud e a favorire la diffusione della legalità nelle aree ad alta esclusione sociale, nonché a valutare l'opportunità di prevedere nuovi investimenti pubblici volti all'aumento della pubblica sicurezza nel Mezzogiorno;
   ad affrontare in modo specifico la questione della continuità territoriale sarda e del nuovo modello di sviluppo della Sardegna, affinché si possa consentire il superamento delle logiche assistenziali, costruendo azioni virtuose di sviluppo endogeno, coerenti con la naturale vocazione del territorio;
   a favorire la ricognizione delle risorse PAC 2007-13 in seguito alle disposizioni della Legge di Stabilità 2015, che ha stabilito che la proroga degli sgravi contributivi per le assunzioni a tempo indeterminato nel Mezzogiorno sia coperta mediante riprogrammazione delle risorse PAC non ancora impegnate;
   a favorire l'avvio accelerato dei Programmi Operativi 2014-20 sia regionali, sia nazionali, anche al fine di consentire il pieno utilizzo della clausola della flessibilità degli investimenti inserita nella legge di stabilità 2016;
   ad accelerare l'emissione del provvedimento dell'Agenzia delle entrate che definisce le modalità di accesso al contributo del credito d'imposta per beni strumentali al Sud, previsto dall'ultima legge di stabilità e finanziato per parte consistente (250 milioni di euro su 617 per ciascuno degli anni 2016, 2017, 2018, 2019) con fondi strutturali europei.
(1-01118)
(Nuova formulazione) «Matarrese, Monchiero, D'Agostino, Vargiu, Dambruoso, Antimo Cesaro, Vecchio».

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato, aggiunta di firme ed esatta indicazione dell'ordine dei firmatari.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Covello n. 1-01097, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 550 del 19 gennaio 2016, che deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Dellai, Piepoli, Capelli.

   La Camera,
   premesso che:
    con due diverse mozioni, la n. 1-00612 dell'ottobre 2014 e la n. 1-00685 dell'aprile 2015 presentate dal gruppo parlamentare del Partito democratico, la Camera dei deputati ha impegnato il Governo in merito al rafforzamento delle politiche di rilancio e sviluppo del Mezzogiorno;
    a seguito di quegli atti si è velocizzato l’iter per rendere pienamente operativa l'Agenzia per la coesione territoriale, con l'obiettivo di migliorare la capacità di impiego dei fondi strutturali;
    si è proceduto ad un censimento delle risorse ancora disponibili e non ancora utilizzate nell'ambito degli strumenti della programmazione negoziata, finalizzato alla predisposizione di un piano di rilancio industriale, improntato sulle specificità e le eccellenze produttive presenti nel Mezzogiorno; si sono rafforzati, ulteriormente, i progetti in materia di sicurezza e legalità per contrastare la presenza dei fenomeni criminali, prima vera condizione per il rilancio delle politiche di sviluppo;
    si è promosso il patrimonio culturale paesaggistico del Sud soprattutto in chiave turistica come dimostrano il progetto grande Pompei e Matera capitale europea della cultura 2019, ma anche il PON cultura con 491 milioni di euro indirizzati alle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia;
    si sono attivati interventi aventi per obiettivo quello di potenziare le strutture nel Mezzogiorno finalizzate a facilitare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, in particolare per i giovani, e posti correttivi anche per quanto riguarda l'esperienza di garanzia giovani;
    sono stati presi in considerazione strumenti di contrasto del disagio sociale presente in ampie fasce della società meridionale partendo dalle criticità che si sono manifestate nella concretizzazione, ad esempio, del SIE e si è anche avviato un confronto con le istituzioni regionali che nel corso di questi mesi hanno introdotto strumenti di contrasto alla povertà;
    dal mese di settembre 2015 è stato dato nuovo ed importante impulso alle politiche di rilancio del Mezzogiorno;
    nel mese di novembre 2015 sono state varate dal Governo le linee guida del masterplan con l'obiettivo di «mettere in movimento la società civile del Mezzogiorno affinché diventi protagonista di una nuova Italia, l'Italia della legalità, della dignità del lavoro, della creatività imprenditoriale, in una parola del progresso economico e civile»;
    il masterplan intende partire dai punti di forza del tessuto economico meridionale per valorizzarne le capacità di diffusione di imprenditorialità e di competenze lavorative e per promuovere l'attivazione di filiere produttive autonomamente vitali;
    infrastrutture, capacità di connessione, regole dei mercati, sostegno al credito, servizi sono i punti sui quali si concentra il piano del Governo;
    il masterplan consta di circa 95 miliardi di euro di investimenti entro il 2023, derivanti dai fondi strutturali (FESR e FSE) 2014-2020 pari a 56,2 miliardi di euro, di cui 32,2 miliardi di euro europei e 24 miliardi di euro nazionali, dai fondi di cofinanziamento regionale per 4,3 miliardi di euro e dal Fondo sviluppo e coesione, per il quale sono già oggi disponibili 39 miliardi di euro sulla programmazione 2014-20;
    il Governo è ormai in dirittura d'arrivo per declinare operativamente i 16 patti per il Sud, uno per ciascuna delle 8 regioni (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia, Sardegna) e uno per ognuna delle 8 città metropolitane (Napoli, Bari, Taranto, Reggio Calabria, Messina, Catania, Palermo, Cagliari);
    l'obiettivo è quello di articolare territorio per territorio nella misura maggiormente aderente possibile e meno astratta rispetto al passato gli interventi prioritari, le azioni per concretizzarli, gli ostacoli da rimuovere e la tempistica, in un quadro di precise responsabilità senza rimbalzi che sarebbero vissuti in maniera negativa dalle comunità;
    con la legge di stabilità 2016 è stato introdotto un credito d'imposta per l'acquisto di beni strumentali in favore di impianti produttivi ubicati nelle regioni del Mezzogiorno; si tratta di una misura pari a 617 milioni di euro per ciascun anno dal 2016 al 2019 che si articola in relazione alla dimensione dell'azienda richiedente: 20 per cento per le piccole imprese, 15 per cento per le medie imprese, 10 per cento per le grandi imprese;
    viene individuato un limite massimo per ciascun progetto di investimento agevolabile pari a: un massimo di 1,5 milioni di euro per le piccole imprese, di 5 milioni per le medie imprese e 15 milioni per le grandi imprese. L'agevolazione è commisurata alla quota del costo complessivo degli investimenti eccedente gli ammortamenti dedotti nel periodo d'imposta relativi alle stesse categorie di beni di investimento della struttura produttiva, esclusi gli ammortamenti dei beni oggetto dell'investimento agevolato;
    possono beneficiare di tale misura gli investimenti relativi all'acquisto anche in leasing di macchinari, impianti e attrezzature destinati a strutture produttive nuove o anche esistenti;
    tale credito d'imposta non si applica alle imprese in difficoltà finanziaria, oppure operanti nel settore dell'industria siderurgica, del credito, della finanza delle assicurazioni;
    entro 60 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della legge di stabilità è prevista l'emanazione di un provvedimento dell'Agenzia delle entrate per definire le modalità di richiesta;
    è stata prevista altresì anche una misura finalizzata a estendere anche per l'anno 2017 l'esonero contributivo ai datori di lavoro del settore privato delle regioni meridionali;
    tale estensione è però subordinata alla ricognizione delle risorse del fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie già destinate agli interventi PAC non ancora oggetto di impegni giuridicamente vincolanti. Entro il 30 aprile 2016 si procederà a seguito dell'esito della ricognizione a quantificare l'ammontare delle risorse disponibili e comunque tale incentivo è subordinato all'autorizzazione della Commissione europea;
    la legge di stabilità 2016 riserva, inoltre, alle imprese localizzate nelle regioni del Mezzogiorno una quota non inferiore al 20 per cento delle risorse assegnate dal Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese costituito presso il Mediocredito centrale s.p.a;
    ai 28 milioni di euro già stanziati per l'evento Matera capitale europea della cultura 2019 si aggiungono altri 20 milioni di euro, 5 milioni per ciascun anno dal 2016 al 2019, per il completamento del restauro urbanistico dei «Sassi» e dell'altipiano murgico;
    tra le varie misure introdotte è stata prevista l'esenzione o la riduzione della tassa di ancoraggio in via sperimentale per gli anni dal 2016 al 2018 per le navi porta container nei porti con volume di traffico transhipment superiore all'80 per cento. Si tratta di 3 milioni di euro a cui vanno aggiunti 1,8 milioni di euro per la riduzione delle accise sui prodotti energetici per le navi che fanno esclusivamente movimentazione all'interno del porto. Ad essere maggiormente interessati sono i porti di Gioia Tauro, Taranto, Salerno, Cagliari;
    è stato incrementato, portandolo a 51 milioni di euro, il fondo per il potenziamento delle azioni relative al piano straordinario per la promozione del made in Italy finalizzato a sostenere le piccole e medie imprese sui mercati esteri per la tutela delle produzioni tipiche e per il contrasto al fenomeno della contraffazione dei prodotti agroalimentari italiani;
    sono stati stanziati 600 milioni di euro per l'anno 2016 e un miliardo di euro a partire dal 2017 per il contrasto alla povertà con priorità per i nuclei familiari con figli minori o disabili ed è stata prevista anche la creazione di un fondo per il contrasto della povertà educativa minorile;
    sono stati stanziati 8,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017 per il risarcimento ai familiari delle vittime dell'alluvione di Sarno;
    per le infrastrutture oltre ai 150 milioni di euro per il completamento della Salerno-Reggio Calabria è stato previsto il commissariamento delle Ferrovie Sud est ed un contributo pari a 70 milioni di euro per l'anno 2016 per assicurare la continuità operativa del servizio. È stato differito al 31 dicembre 2016 il blocco delle azioni esecutive nei confronti delle imprese esercenti il servizio di trasporto pubblico ferroviario nella regione Campania e interessate da piano di rientro al fine di scongiurare licenziamenti ed interruzioni di servizio;
    in data 29 settembre 2015 è stata approvata dalla Camera dei deputati una mozione finalizzata al superamento delle criticità del sistema dei trasporti, in particolare per quanto concerne la regione Calabria, con la previsione di interventi relativi ai corridoi stradali ed autostradali, partendo dalla messa in sicurezza della strada statale 106, che, purtroppo, si conferma essere tra le strade più pericolose del Paese, impegno sul quale c’è grande attenzione istituzionale;
    è stato incrementato di ulteriori 10 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2016-2018 il fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie destinate alla strategia per le «aree interne» fattore di assoluta rilevanza per tutte le aree appenniniche del Sud;
    sono stati prorogati fino al prossimo 31 dicembre 2016 i contratti dei lavoratori precari nei comuni, della Sicilia dissestati o in pre-dissesto;
    sono stati stanziati 20 milioni di euro ad integrazione del fondo destinato al finanziamento di interventi nei settori della manutenzione idraulica e forestale per attività di difesa del suolo e di tutela ambientale in particolare per la Calabria;
    con il decreto-legge n. 185 del 2015 sono state introdotte ulteriori misure a sostegno del Mezzogiorno, come, ad esempio, le disposizioni in materia di bonifica e rigenerazione urbana di Bagnoli, le risorse pari a 150 milioni di euro per lo smaltimento delle ecoballe in Campania, il supporto economico per il comune di Reggio Calabria, le risorse per i lavoratori socialmente utili; in questo quadro non si può trascurare il costante impegno assunto dal Governo per la soluzione di importanti vertenze industriali salvaguardando le possibilità di mantenere in vita e restituire alla produttività segmenti importanti del tessuto produttivo meridionale, come ad esempio la ex Micron di Avezzano, Whirlpool e Firema di Caserta, l'ex Irisbus di Avellino, la Bridgestone di Bari, la Natuzzi di Santeramo e Matera, l'Ansaldo Breda di Reggio Calabria, Italcementi di Castrovillari, l'ex Fiat di Termini Imerese, ma anche la conversione alla chimica verde dei poli di raffinazione di Gela e di Porto Torres, la criticità Portovesme;
    si sono promossi e articolati importanti accordi di programma e protocolli d'intesa per aree di crisi industriale come Taranto, le Murge, Gela, Termini Imerese, il Sulcis, Porto Torres, e i cinque siti individuati per la Campania;
    nell'ambito del masterplan è previsto inoltre che al rilancio dello sviluppo del tessuto produttivo del sud saranno chiamate le imprese partecipate da soggetti pubblici da Finmeccanica a Fincantieri, da Enel ad Eni senza il venir meno ai principi di mercato a cui ormai sono orientate;
    la questione meridionale non è semplicemente questione di risorse finanziarie, è una questione strategica che attiene alla visione che si deve avere per il futuro del Paese;
    la questione meridionale è sottrarre all'illegalità, e in particolare alle varie forme di mafia, ambiti di territorio, restituire credibilità alla funzione pubblica e agli uffici pubblici, è investire nella scuola, è governance ed è soprattutto questione di classi dirigenti;
    il Mezzogiorno, sul piano dell'internazionalizzazione, dei flussi turistici e della ricerca di investimenti, può usufruire delle notevoli potenzialità legate alla presenza in diversi continenti e in un gran numero di Paesi di persone di origine e dei loro discendenti, diventati ormai classe dirigente nei rispettivi contesti di insediamento,

impegna il Governo:

   a rispettare inderogabilmente la data del 30 aprile 2016 per la ricognizione e quantificazione dell'ammontare delle risorse disponibili per la decontribuzione di cui in premessa e in caso di disponibilità delle risorse necessarie a porre in essere ogni iniziativa utile affinché tale misura possa vedere il «via libera» da parte della Commissione europea;
   a definire un puntuale cronoprogramma per l'anno 2016 per la piena operatività di ciascun piano di intervento approvato in base alle linee guida del masterplan, attraverso la cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio dei ministri prevista dalla legge di stabilità per il 2015 e assumendo iniziative per prevedere anche la possibilità di poteri sostitutivi in caso di ritardi o paralisi per ragioni burocratiche;
   nell'ottimizzazione del masterplan e nella predisposizione dei programmi di internazionalizzazione, a verificare nell'ambito degli specifici progetti le possibilità di coinvolgimento e partenariato con i soggetti e le organizzazioni di origine italiana già attivi nel campo dell'intermediazione commerciale e finanziaria;
   a rinvenire entro l'anno 2016 ulteriori risorse destinate al finanziamento delle misure previste dalla legge n. 185 del 2000 conosciuta come legge sull'autoimpiego;
   a conseguire un miglioramento complessivo della qualità del sistema dei trasporti e di mobilità nel Mezzogiorno prevedendo un monitoraggio permanente che coinvolga compagnie aeree, società ferroviarie, autolinee e compagnie navali, con attenzione anche al traffico merci, a partire dalle attività portuali, e proseguendo nell'azione, anche in sede comunitaria, per il riconoscimento della zona economica speciale per Gioia Tauro;
   a promuovere piani di rigenerazione urbana articolati in base alle dimensioni delle realtà urbane, partendo dalla messa in sicurezza e valorizzazione dei centri storici per un recupero socio-economico dei contesti, nonché in ottica di promozione turistica;
    a prevedere per l'anno 2016 un piano straordinario di interventi pubblici a sostegno dell'alfabetizzazione digitale finalizzato a superare un evidente ritardo accumulato dal Mezzogiorno in questo strategico settore per il rilancio dell'economia;
   a monitorare, con l'Agenzia per la coesione territoriale, l'impegno delle risorse e l'avanzamento dei programmi finanziati con i fondi europei 2014-2020, valutando l'opportunità di assumere iniziative per prevedere maggiori poteri sostitutivi nel caso di palesi e colpevoli ritardi;
   a supportare e tutelare le produzioni agricole di qualità soprattutto in sede comunitaria, nonché ad individuare programmi di rafforzamento della filiera agroindustriale dalla produzione alla trasformazione nell'ambito dei distretti agroalimentari meridionali;
   a promuovere, coinvolgendo Invitalia, una struttura di scouters di elevatissimo profilo in grado di «cercare», con particolare attenzione agli operatori italiani e di origine italiana che hanno raggiunto posizioni di rilievo nel tessuto produttivo e finanziario delle realtà di residenza, investimenti produttivi da allocare presso le aree industriali del Sud;
   ad attivare in via prioritaria le misure di contrasto all'indigenza previste dalla legge di stabilità 2016 e a promuovere iniziative specifiche di reintegro sociale attraverso progetti e programmi comprensoriali che riguardino interventi di pubblica utilità e servizi alla persona;
   a rafforzare i piani e i progetti in materia di edilizia scolastica ed impiantistica sportiva;
   a promuovere ulteriori investimenti nell'ambito della manutenzione e messa in sicurezza del territorio, contrastando il gravissimo fenomeno del dissesto idrogeologico;
   ad investire nella valorizzazione del patrimonio archeologico, artistico e culturale del Mezzogiorno come avvenuto a Pompei, a Caserta e nell'ambito del PON cultura, anche mettendo in relazione, in vista di Matera 2019, tutte le realtà culturali del Sud e le capitali italiane della cultura;
   a proseguire nell'azione di rafforzamento degli organici, in termini di uomini e mezzi, delle forze dell'ordine al fine di una più capillare presenza nel controllo del territorio nell'ambito delle attività di contrasto delle attività criminali, nonché a promuovere, come già si è iniziato a fare, iniziative, con il coinvolgimento del mondo associativo, finalizzate alla promozione della cultura della legalità, a partire dalle nuove generazioni;
   ad investire in un rafforzamento delle attività di orientamento per i giovani che intendono intraprendere studi universitari anche per contrastare il fenomeno del calo delle iscrizioni, nonché a sostenere le attività degli atenei del Mezzogiorno, valutando l'opportunità di correggere alcune criticità per quanto concerne i criteri di distribuzione delle risorse;
   a proseguire nell'azione di bonifica e caratterizzazione di aree industriali dismesse e a promuovere il monitoraggio della salute delle popolazioni interessate anche sulla base dell'attività dell'Istituto superiore di sanità;
   ad investire nella promozione turistica del Mezzogiorno, anche alla luce degli incoraggianti dati del 2015, e a predisporre, in collaborazione con le regioni meridionali, progetti di promozione e «pacchetti» di incentivi finalizzati al turismo di ritorno, con particolare riferimento alle aree interne del Mezzogiorno;
   ad avviare entro giugno 2016 un'attività di monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza in ambito sanitario, nonché per quanto concerne i servizi sociali in tutte le regioni del Mezzogiorno, al fine di individuare criticità e predisporre interventi finalizzati a migliorare la rete di welfare delle regioni meridionali.
(1-01097)
(Ulteriore nuova formulazione) «Covello, Dellai, Famiglietti, Tartaglione, Magorno, Raciti, Ginefra, Gelli, Fregolent, Rotta, Misiani, Oliverio, Schirò, Manfredi, Tino Iannuzzi, Carloni, Braga, Marco Di Maio, Burtone, Bratti, Antezza, Cardinale, Taranto, Venittelli, Vico, Verini, Capone, Bargero, Pes, Piccoli Nardelli, Melilli, Albanella, Amato, Anzaldi, Aiello, Ascani, Battaglia, Campana, Cani, Capodicasa, Capone, Capozzolo, Carnevali, Cassano, Castricone, Censore, Culotta, Cuomo, Currò, D'Incecco, Dallai, Donati, Fanucci, Gianni Farina, Fedi, Gadda, Garavini, Grassi, Gribaudo, Iacono, Impegno, Iori, La Marca, Lodolini, Losacco, Malpezzi, Manzi, Marchi, Massa, Marrocu, Mariano, Marzano, Meta, Migliore, Minnucci, Mongiello, Mura, Paris, Pelillo, Salvatore Piccolo, Porta, Realacci, Rossomando, Rostan, Francesco Sanna, Giovanna Sanna, Sbrollini, Scanu, Sgambato, Tacconi, Valeria Valente, Ventricelli, Villecco Calipari, Piepoli, Capelli, Zappulla, Amoddio, Miotto».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Lupo n. 4-11765 del 22 gennaio 2016.