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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 25 gennaio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la sicurezza stradale impone la realizzazione di un complessivo ed efficiente sistema normativo che non può limitarsi a disporre misure repressive e deterrenti, ma richiede un intervento anche di tipo formativo, stabile, organizzato, accessibile a tutti, per la creazione di una cultura della sicurezza e della prevenzione stradale e la conseguenziale riduzione della mortalità e del ferimento di persone, attraverso la migliore preparazione del conducente;
    studi, europei e comparati, in materia, indicano tra le strategie maggiormente funzionali per la garanzia di sicurezza il miglioramento dell'educazione stradale e della preparazione degli utenti della strada, contestualmente all'implementazione della qualità del sistema di rilascio delle patenti e di formazione, anche post-patente;
    occorre una normativa pertinente per ogni fattore di rischio che valorizzi l'incidenza del comportamento umano e miri all'istituzione anche di centri per la guida sicura al fine di preparare il conducente a tenere comportamenti corretti alla guida del veicolo in presenza di situazioni di rischio e di emergenza e di diffondere i principali movimenti tecnici di guida per il miglioramento della sicurezza stradale in dette condizioni;
    allo stato attuale manca in Italia una normativa sistematica che regoli i corsi di guida sicura, disciplini in modo compiuto i limiti alla guida per particolari categorie di soggetti, ritenuti a maggior rischio di pericolosità rispetto alla incidentalità, e tuteli categorie di utenti più vulnerabili, quali pedoni, ciclisti e utilizzatori delle due ruote a motore, esposti a rischi più elevati;
    ancora nella prospettiva di migliorare la sicurezza stradale e contrastare il fenomeno dell'incidentalità è anche consentito il ricorso a dispositivi automatici di controllo;
    il codice della strada – decreto legislativo n. 285 del 1992 e successive modificazioni e integrazioni – dispone, invero, all'articolo 45, che per la determinazione dell'osservanza dei limiti di velocità sono considerate fonti di prova, tra le altre, le risultanze di apparecchiature anche per il calcolo della velocità media di percorrenza su tratti determinati, a condizione che siano debitamente omologate e le postazioni di controllo sulla rete stradale per il rilevamento della velocità siano preventivamente segnalate e ben visibili, ricorrendo all'impiego di cartelli o di dispositivi di segnalazione luminosi;
    al riguardo, anche la circolare del 14 agosto 2009 del Ministero dell'interno dispone direttive per garantire un'azione coordinata di prevenzione e contrasto dell'eccesso di velocità sulle strade;
    da ultimo, la Corte costituzionale, con sentenza n. 113 del 2015, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 45, comma 6, del codice della strada, per mancata previsione per tutte le apparecchiature impiegate nell'accertamento dei limiti di velocità dell'obbligo di verifiche di funzionalità e di taratura;
    manutenzione e verifiche periodiche costituiscono garanzia di affidabilità dei dispositivi automatici e della fede pubblica che si ripone nella relativa attività di accertamento;
    sempre più spesso, tuttavia, la magistratura e la cronaca danno conto di usi distorti di tali dispositivi per l'assenza di manutenzione, verifiche e tarature di legge, per la stessa collocazione degli impianti di rilevazione automatica, considerata irregolare, se non addirittura pericolosa, sfornita della segnaletica prescritta, più idonea a trasformare detti apparecchi in strumenti a garanzia di entrate sicure a favore dei bilanci degli enti utilizzatori sovente da destinare a scopi diversi da quelli imposti;
    dalle recenti dichiarazioni dello stesso presidente dell'Automobile Club d'Italia, Angelo Sticchi Damiani, emerge come spesso gli autovelox e gli altri sistemi di rilevamento della velocità dei veicoli siano «non sempre posizionati per indurre al rispetto dei limiti di velocità, ma anche per fare cassa in un momento per gli enti locali certamente non facile». In particolare, lo stesso Sticchi Damiani sottolinea come i soldi per la sicurezza stradale ci siano «ma troppi Comuni destinano ad altre voci quanto previsto dalla legge a favore degli automobilisti. Per garantire l'osservanza della norma è opportuno prevedere pesanti misure sanzionatorie per le Amministrazioni inadempienti»;
    la finalità costituita dal miglioramento della sicurezza stradale deve, invece, essere l'interesse pubblico primario da perseguire, anche in considerazione della destinazione della somme derivanti dai proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie imposta a mente dell'articolo 142 del codice della strada che, il comma 12-ter, aggiunto dall'articolo 25, comma 1, lettera d), della legge 29 luglio 2010, n. 120, individua nella realizzazione di interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali, ivi comprese la segnaletica e le barriere, e dei relativi impianti, nonché nel potenziamento delle attività di controllo e di accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale, ivi comprese le spese relative al personale;
    l'ammontare complessivo dei proventi e gli interventi realizzati a valere su tali risorse, con la specificazione degli oneri sostenuti per ciascun intervento, devono essere oggetto di una specifica relazione che ciascun ente locale, entro il 31 maggio di ogni anno, deve trasmettere in via informatica al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed al Ministero dell'interno. È altresì previsto che la percentuale dei proventi spettanti sia ridotta del 90 per cento annuo nei confronti dell'ente che non trasmetta detta relazione, ovvero che utilizzi i proventi in modo difforme da quanto previsto. Tali inadempienze rilevano ai fini della responsabilità disciplinare e per danno erariale e devono essere segnalate tempestivamente al procuratore regionale della Corte dei conti;
    i suddetti obblighi restano largamente disattesi senza alcuna sanzione, omettendo ogni dovuta trasparenza ed implicando troppo spesso la distrazione delle risorse destinate alla manutenzione delle infrastrutture stradali e ai controlli di sicurezza;
    sia l'introduzione di una normativa per l'istituzione di centri per la guida sicura, sia la garanzia del regolare funzionamento delle apparecchiature e il loro corretto utilizzo con maggiore effettività delle relative sanzioni punitive in funzione della sicurezza e della manutenzione stradale si iscrivono coerentemente ed efficacemente nell'ambito della strategia europea che si è posta, in un rapporto della commissione, l'obiettivo di dimezzare entro il 2020 il numero di vittime della strada rispetto al 2010 e nel «Libro bianco dei trasporti», si propone di avvicinarsi entro il 2050 all'obiettivo «zero vittime» nel trasporto su strada, implementando la sicurezza in tutti i modi di trasporto,

impegna il Governo:

   ad assumere ogni iniziativa necessaria, anche di tipo normativo, volta a destinare la parte di spettanza ministeriale dei proventi delle sanzioni derivanti dall'accertamento delle violazioni dei limiti massimi di velocità per il miglioramento e l'implementazione della sicurezza stradale e della tutela di categorie di utenti più vulnerabili mediante il finanziamento anche di misure formative di prevenzione - fra cui corsi di formazione per la guida nelle scuole e corsi di guida sicura - per incentivare e sviluppare una cultura consapevole della sicurezza stradale;
   ad assumere ogni iniziativa necessaria per garantire il regolare funzionamento delle apparecchiature impiegate nell'accertamento dei limiti di velocità, attraverso verifiche e tarature di legge, e porre fine ad un uso distorto delle stesse, impedendo il loro utilizzo a meri scopi di cassa degli enti utilizzatori che distraggono le somme rivenienti dalle relative sanzioni dagli imposti scopi di manutenzione e controllo stradale, anche mediante adozione di incisivi interventi normativi per assicurare il rispetto delle prescrizioni del codice della strada in merito alla destinazione dei proventi delle sanzioni;
   ad adottare iniziative normative a garanzia del rispetto del prescritto obbligo di relazione telematica a carico degli enti utilizzatori di apparecchiature impiegate nell'accertamento dei limiti di velocità da inviare ogni anno al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed al Ministero dell'interno, introducendo l'obbligo di pubblicazione della stessa on-line sul relativo sito istituzionale, nella sezione «Amministrazione trasparente», e un sistema di sanzioni in danno degli enti che non vi provvedano.
(1-01104) «De Lorenzis, Liuzzi, Nicola Bianchi, Carinelli, Dell'Orco, Paolo Nicolò Romano, Spessotto, D'Incà».


   La Camera,
   premesso che:
    nella circolazione stradale l'Italia ha il tasso di incidentalità e di mortalità più elevato tra i grandi Paesi europei e sopra la media comunitaria;
    nel 2014 sono stati registrati 177.031 incidenti con 251.147 feriti e ben 3381 morti, in aumento rispetto al 2013; nel 2015 si rileva un ulteriore e drammatico incremento dei sinistri e del numero dei decessi;
    l'eccesso di velocità è la seconda causa di incidente dopo la distrazione, ma è la prima causa negli incidenti più gravi; la combinazione dei due fattori, distrazione ed eccesso di velocità, è la principale causa di morte sulle strade;
    gli incidenti, i morti e i feriti, sono in aumento nelle strade urbane, dove – in particolare per la presenza di pedoni – occorre moderare la velocità e far rispettare i limiti e le altre regole previste dal codice della strada; l'indice di mortalità dei pedoni è quattro volte superiore a quello degli occupanti le autovetture e l'investimento dei pedoni è una delle principali cause di morte sulle strade, in particolare per velocità eccessiva e per l'effetto che la stessa ha sull'impatto;
    le vittime diminuiscono solo sulle autostrade grazie ai sistemi di rilevamento automatico della velocità e al conseguente maggior rispetto dei limiti previsti;
    per la riduzione degli incidenti stradali e del numero dei morti sulla strada è fondamentale un rigoroso ed efficace sistema di controllo e la repressione dei comportamenti scorretti;
    come dimostra l'esperienza del tutor in autostrada, la diffusione e costanza dei controlli esercitano al contempo una funzione di prevenzione e di vigilanza;
    per la sicurezza della circolazione, il codice della strada prescrive che l'accertamento delle violazioni dei limiti massimi di velocità sia effettuato attraverso l'impiego di apparecchi o di sistemi di rilevamento della velocità ovvero di dispositivi o di mezzi tecnici di controllo a distanza delle violazioni;
    le postazioni di controllo sulla rete stradale per il rilevamento della velocità devono essere preventivamente segnalate e ben visibili, ricorrendo all'impiego di cartelli o di dispositivi di segnalazione luminosi, come previsto dal regolamento di esecuzione del codice della strada;
    i sistemi di controllo automatico della velocità o di altre gravi infrazioni sono diventati, al pari di altri, strumenti irrinunciabili per determinare un generalizzato rispetto delle regole e una riduzione degli incidenti, come dimostra l'esperienza di altri grandi Paesi europei;
    l'abuso o l'uso scorretto di strumenti di controllo sistematico delle infrazioni può generare ingiustizie e indebolire l'efficacia dell'azione per cui sono utilizzati, essenzialmente il rispetto delle regole e non le entrate economiche dell'amministrazione che li impiega; pertanto è necessario contrastare gli abusi e correggere l'uso improprio di questi preziosi strumenti;
    a norma dell'articolo 142 del nuovo codice della strada, i proventi delle sanzioni per violazioni dei limiti massimi di velocità, accertate mediante sistemi di rilevamento della velocità o mediante dispositivi di controllo a distanza delle violazioni, sono attribuiti – nelle strade che non siano in concessione – in misura pari al 50 per cento ciascuno, all'ente proprietario della strada su cui è stato effettuato l'accertamento o agli enti che esercitano le relative funzioni, e all'ente da cui dipende l'organo accertatore; gli enti locali e territoriali devono utilizzare la quota dei proventi ad essi destinati nella regione nella quale sono stati effettuati gli accertamenti;
    in base al comma 12-ter del medesimo articolo 142 del codice, gli stessi enti a cui sono attribuiti i proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie devono destinarli alla realizzazione di interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali, ivi comprese la segnaletica e le barriere, e dei relativi impianti, nonché al potenziamento delle attività di controllo e di accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale, ivi comprese le spese relative al personale impegnato in questo fondamentale compito; l'impiego di tale risorse deve tener conto dell'esigenza di contenere la spesa pubblica e di rispetto del patto di stabilità interno;
    ciascun ente locale ha, per legge, l'obbligo di trasmettere in via informatica al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed al Ministero dell'interno, entro il 31 maggio di ogni anno, una relazione in cui sono indicati, con riferimento all'anno precedente, l'ammontare complessivo dei proventi di tali sanzioni di propria spettanza, e gli interventi realizzati a valere su tali risorse, specificando gli oneri sostenuti per ciascun intervento, la violazione dell'obbligo di trasmettere tale relazione ovvero del vincolo all'utilizzo dei proventi come previsto implica, per l'ente inadempiente, la riduzione della percentuale dei proventi assegnati in misura pari al 90 per cento per ciascun anno nel quale sia riscontrata una delle predette inadempienze; non solo: tali inadempienze rilevano ai fini della responsabilità disciplinare e per danno erariale e devono essere segnalate tempestivamente al procuratore regionale della Corte dei conti;
    è opportuno che a tali finalità – realizzazione di interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture e degli impianti stradali, potenziamento dei controlli e dell'accertamento delle violazioni – siano dedicate la maggior quantità di risorse possibili, fino a raggiungere l'obiettivo – impiegando per tali finalità anche il 100 per cento dei proventi – di una concreta e strutturale riduzione dell'incidentalità ed in particolare degli indici di lesività e di mortalità, in modo da collocare l'Italia tra i Paesi europei con le strade più sicure;
    i dispositivi per il controllo elettronico della velocità e le norme che regolano l'impiego di tali strumenti creano un rapporto virtuoso tra la ragionevolezza della norma, il trasparente e costante sistema di controllo, la prontezza e la proporzionalità delle sanzioni, l'utilizzo efficace dei proventi delle medesime così da ridurre le infrazioni, i danni, il numero e l'onere delle sanzioni;
    regole scritte male o applicate in modo non corretto, controlli o sanzioni vessatori possono compromettere l'effettività e l'efficacia delle norme e del sistema, con effetti perversi, ma occorre contrastare e porre immediato rimedio a fenomeni distorsivi delle regole e del sistema dei controlli, non sgretolare l'intero sistema,

impegna il Governo:

   a promuovere l'uso di strumenti telematici di controllo delle infrazioni al codice della strada, con particolare attenzione all'accertamento delle infrazioni più pericolose e ai tratti stradali dove si registra il maggior numero di incidenti nonché a quelli che presentano rischi più elevati per utenza vulnerabile e per gli insediamenti che si affacciano sulle strade;
   nel caso di utilizzo sistematico o fisso di strumenti telematici di controllo alle infrazioni del codice della strada, a promuovere il contestuale utilizzo di adeguati sistemi di comunicazione e allerta sui pericoli presenti e sulle regole per evitarli;
   ad assumere iniziative:
    a) per effettuare un'attenta verifica sul corretto impiego dei sistemi automatici di controllo sulle strade ed, in particolare, per accertare che tali sistemi siano efficaci ai fini della prevenzione dei sinistri;
    b) per verificare che, con l'applicazione di tali dispositivi – nella proiezione quinquennale di funzionamento a regime, a parità di flussi di traffico e tempi e modi di utilizzo – il numero di sanzioni emesse progressivamente si riduca, in modo da accertare il corretto utilizzo dello strumento;
    c) per prevedere che l'impiego di strumenti telematici di controllo sulle strade sia inserito nell'ambito di piani o di azioni coordinate di intervento di cui siano misurabili gli obiettivi in termini di diminuzione delle infrazioni controllate, miglioramento delle condizioni di sicurezza e drastica riduzione degli incidenti, dei morti e dei feriti;
    d) per introdurre, in attuazione degli obblighi dettati dal codice della strada, una disciplina prescrittiva per l'impiego delle risorse derivanti dalle sanzioni per infrazioni stradali, nella realizzazione di azioni coordinate e misurabili di miglioramento della sicurezza stradale, e, in particolare, di azioni di prevenzione e di controllo;
    e) affinché le risorse destinate agli enti locali per la manutenzione, la sicurezza e i controlli sulle strade siano inquadrate nell'ambito di piani coordinati con obiettivi misurabili di sicurezza stradale;
   ad applicare le regole e le previste sanzioni nei confronti dei comuni e degli enti beneficiari dei proventi per infrazioni stradali che non rispettino l'obbligo – prescritto dal codice della strada – di destinare tali somme alla realizzazione di interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali, ivi comprese la segnaletica e le barriere, e dei relativi impianti, nonché al potenziamento delle attività di controllo e di accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale, ovvero non ottemperino all'obbligo di comunicare al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti l'entità e il corretto utilizzo di tali proventi.
(1-01105) «Tullo, Gandolfi, Minnucci, Meta, Anzaldi, Brandolin, Bruno Bossio, Cardinale, Carloni, Castricone, Coppola, Crivellari, Culotta, Marco Di Stefano, Ferro, Pierdomenico Martino, Mauri, Mognato, Mura, Pagani».


   La Camera,
   premesso che:
    in questo particolare periodo di crisi economica vi è una certa tendenza, da parte della pubblica amministrazione, a praticare quella che viene definita «finanza creativa», locuzione, di recente coniazione, che sta ad indicare, un insieme di manovre finanziarie utilizzate per fare cassa rapidamente;
    sembra che lo stesso scopo, quello di fare quadrare i bilanci comunali, esangui per i tagli da parte del Governo, sia perseguito da qualche comune italiano, attraverso forme surrettizie di autofinanziamento, come con gli autovelox, tanto è vero che più volte è intervenuta la Corte di cassazione per affermare principi di civiltà giuridica ed esprimere il proprio monito riguardo una pratica non proprio ispirata a ragioni di sicurezza stradale;
    il legislatore è intervenuto, con la legge n. 120 del 2010 che ha introdotto due innovativi principi, sull'obbligatorietà degli enti locali di rendicontare i proventi di tutte le multe ed il loro impiego e sulla divisione a metà tra l'ente proprietario delle strade e l'ente locale accertatore delle sanzioni derivanti dallo eccesso di velocità (articolo 141, commi 12-bis, 12-ter, 12-quater del codice della strada);
    in tale contesto non senza rilievo appaiono le notizie, che sempre più si leggono nei media, circa l'installazione di autovelox irregolari, che hanno indotto l'autorità giudiziaria ad intervenire. Come qualche anno fa in Calabria, più particolarmente in alcuni comuni della provincia di Catanzaro, dove erano stati utilizzati degli autovelox montati in maniera tale da trarre in inganno l'automobilista, in contrasto con lo spirito della normativa in materia, diretta a prevenire incidenti più che a reprimerli;
    così ancora, navigando su internet, si scopre sempre di più di condanne, di aperture di indagini penali in relazione alla installazione nelle strade di irregolari autovelox, ivi posti non proprio per assicurare la sicurezza stradale. Come è successo in Sardegna, dove un funzionario responsabile di un comune del Medio Campidano è stato condannato dal tribunale di Cagliari per abuso di ufficio, per l'affidamento della gara di appalto ad una società privata e per falso nel sistema di contestazione delle infrazioni al codice della strada, relativamente all'installazione di un autovelox che in pochi mesi aveva fatto multare più di sedicimila automobilisti per aver superato i 50 chilometri (si veda L'Unione Sarda di mercoledì 1o aprile 2015). E come anche è successo in Emilia, dove sono indagate cinque persone tra dirigenti e funzionari della polizia municipale del comprensorio Terre d'Acqua, che opera in diversi comuni bolognesi, per falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici e abuso d'ufficio nell'inchiesta Fast and Furious su autovelox irregolari (si veda TgCom24 di Mediaset del 26 settembre 2014);
    il decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160, ha apportato un'importante modifica all'articolo 142 del codice della strada, in materia di superamento dei limiti di velocità e rilevamento delle relative violazioni a mezzo di apparecchiature elettroniche: il comma 6-bis prevede che le postazioni di controllo sulla rete stradale per il rilevamento della velocità devono essere preventivamente segnalate e ben visibili, ricorrendo all'impiego di cartelli o di dispositivi di segnalazione luminosi, conformemente alle norme stabilite nel regolamento di esecuzione del codice della strada;
    la sentenza della Corte di cassazione sezione penale 13 marzo 2009, n. 11131, richiamando la prima circolare del Ministero dell'interno del 3 agosto 2007, successiva alla pubblicazione del decreto-legge n. 117 del 2007, che, come ricordato, aveva introdotto l'obbligo dell'apposizione del cartello di segnalazione della postazione autovelox (che deve essere ben visibile), ha stabilito, come indicato da detta circolare, che la distanza minima tra la postazione elettronica della velocità e il cartello di preavviso non debba essere inferiore a 400 metri, idonea a segnalare con adeguato anticipo la postazione di controllo in modo da garantirne l'avvistamento tempestivo e permettere così all'automobilista di conformare la propria condotta di guida alla velocità prescritta, in un tratto di strada dove debbono essere assicurate le ragioni di sicurezza poste alla base del decreto prefettizio che autorizza l'uso dell'apparecchiatura senza obbligo di contestazione;
    purtuttavia, nel successivo decreto ministeriale, che avrebbe dovuto fissare la distanza, non vi è traccia di tale precisazione, cui ha sopperito la circolare del 20 agosto 2007 del Ministero dell'interno n. 300/A/1/26352/101/3/319, confermata nella cosiddetta circolare Maroni del 14 agosto 2009, che ha suggerito di fare riferimento all'articolo 79 del regolamento di esecuzione del codice della strada ossia: 80 metri sulle strade con velocità massima di 50 chilometri orari, 150 metri su quelle extraurbane secondarie ed urbane di scorrimento per finire a 250 metri previsti per autostrade e extraurbane principali;
    la Consulta ha stabilito la parziale illegittimità dell'articolo 45, comma 6, del codice della strada, nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell'accertamento delle violazioni dei limiti di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura,

impegna il Governo:

   a porre in essere iniziative volte ad assicurare che l'autorità pubblica, nell'ambito delle problematiche rappresentate in premessa, conformi la propria condotta all'esigenza di assicurare il buon andamento e l'imparzialità nell'amministrazione, principi cardine del nostro ordinamento, al fine di tutelare la sicurezza stradale;
   ad assumere iniziative per definire una distanza adeguata tra segnaletica e dispositivi di rilevazione automatica e per garantire, nell'esposizione della suddetta segnaletica, una buona visibilità, facendo sì che le autorità preposte si attengano a tali prescrizioni, al fine di evitare rallentamenti o frenate brusche ed improvvise in prossimità dell’autovelox, dunque favorendo la sicurezza stradale;
   ad assumere ogni iniziativa necessaria affinché tutte le apparecchiature impiegate nell'accertamento delle violazioni dei limiti di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura;
   ad assumere iniziative per stabilire l'obbligo di destinare i proventi derivanti dalle multe per rilevazione automatica della velocità, per il 50 per cento, alla sicurezza stradale e, per il 30 per cento, allo sviluppo della mobilità ciclabile.
(1-01106) «Cristian Iannuzzi, Artini, Baldassarre, Bechis, Matarrelli, Segoni, Turco, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Pastorino».


   La Camera,
   premesso che:
    si ritiene non solo necessario ma fondamentale garantire un confronto partecipativo con i cittadini che hanno un ruolo fondamentale e dovrebbero poter esprimere la propria volontà prima di assumere la decisione finale relativa all'ipotesi di ospitare i XXXIII Giochi Olimpici a Roma nel 2024;
    Roma, che ha già ospitato i Giochi nel 1960, nel recente passato era stata proposta per la candidatura dei Giochi 2020, ma la proposta era ritirata in seguito alle preoccupazioni conseguenti ai costi che un evento sportivo di tale portata comportava. L'allora Presidente del Consiglio dei ministri, solo tre anni fa, così si esprimeva in ordine all'opportunità di far svolgere a Roma le olimpiadi: «Non pensiamo sarebbe coerente impegnare l'Italia in quest'avventura che potrebbe mettere a rischio i denari dei contribuenti». Nonostante ciò, l'attuale Governo si è candidato a ospitare i XXXIII Giochi Olimpici del 2024;
    Roma quindi è in corsa per accogliere il grande evento sportivo per eccellenza e si trova a gareggiare con città quali Parigi e Budapest, poiché la città di Amburgo, nel mese di novembre 2015 – anch'essa inizialmente candidata – si è ritirata dalla corsa per l'assegnazione dei Giochi a seguito di un referendum cui sono stati chiamati i cittadini della città tedesca, cittadini che poi, grazie al voto referendario hanno respinto la candidatura;
    in Perù, nel 2017, il Comitato Olimpico Internazionale (Cio) sceglierà la città che ospiterà i Giochi Olimpici mentre all'estero cresce scetticismo sulle concrete possibilità dell'Italia di ottenere l'assegnazione dei XXXIII Giochi Olimpici a causa dei dubbi legati alle possibili perdite economiche che le Olimpiadi causano a chi le organizza;
    il presidente del Coni Giovanni Malagò ha dichiarato che soltanto la candidatura costerà all'Italia 10 milioni di euro. Le città che negli anni passati hanno ospitato i Giochi Olimpici hanno creato perdite economiche che sono ricadute sui cittadini;
    numerose analisi mostrano però come non siano soltanto i costi dell'organizzazione vera e propria a rendere l'investimento nei Giochi Olimpici poco vantaggiosi, ma anche i costi che le città candidate devono sostenere ex ante per concorrere. Nelle olimpiadi, infatti, i costi aumentano in media del 179 per cento rispetto ai budget iniziali, mentre i costi supplementari che si riscontrano in altri progetti importanti variano dal 20 per cento al 45 per cento;
    la Grecia, ad esempio, vive l'attuale crisi economica e finanziaria anche a causa dei Giochi del 2004 che sono costati circa 8,5 miliardi di euro. A Pechino sono costati 43 miliardi e a Sochi – per le Olimpiadi invernali – sono costati circa 51 miliardi di euro. Tali costi sostenuti dalle sopra citate città sono altissimi rispetto a quanto hanno prodotto a livello di business. Londra, nel 2012, è riuscita ad andare quasi in pareggio, pur con investimenti vicini ai 12 miliardi di euro;
    indubbiamente ospitare le Olimpiadi è un sogno ricorrente di tante città, sia per il messaggio che lo sport può trasmettere, sia per il rinnovamento delle strutture e la creazione di nuovi posti di lavoro. Tutti processi positivi però valutabili e quantificabili nel medio-lungo periodo, che però spesso non giustificano sufficientemente l'investimento stanziato;
    occorre ricordare che la città di Roma recentemente è stata profondamente coinvolta nell'inchiesta «Mafia Capitale» dimostrando come la mafia si sia inserita in un gran numero di apparati romani. Da non sottovalutare poi la possibile distrazione di denaro pubblico da altri investimenti produttivi per finanziare la costruzione di complessi sportivi troppo costosi perché siano mantenuti nel tempo;
    ciò ha portato la Capitale a non essere più rappresentata da un sindaco ma da un commissario straordinario nominato dal Governo. Governo che inoltre ad oggi non ha un Ministro dello sport e nemmeno un rappresentante con delega allo sport;
    a Roma poi l'organizzazione dei grandi eventi sportivi si è sempre dimostrata un dissesto, dai Mondiali di calcio del 1990 agli ultimi Mondiali di nuoto del 2009 denominati «le piscine della vergogna» con i conseguenti costi ricaduti sulla collettività;
    in generale, è molto difficile isolare gli effetti di un singolo investimento sull'intera economia di un Paese e, a maggior ragione, questo vale per un mega investimento come quello della candidatura della realizzazione delle Olimpiadi a Roma, città che peraltro vive grossi disagi anche sotto l'aspetto della mobilità e dei trasporti pubblici con la quasi totale mancanza di accesso ai mezzi pubblici per i portatori di handicap;
    come dichiara Michiel de Nooij, dell'università di Amsterdam, infatti, nel momento in cui una città valuta l'opportunità di presentare la propria candidatura, deve includere nelle analisi costi-benefici anche i costi di preparazione e il costo di un eventuale insuccesso;
    un altro aspetto delicato da considerare è la trasparenza e la tempistica della realizzazione delle opere necessarie per i Giochi. Il modello previsionale del Governo e del Comitato Roma 2024 dà per scontato che tali opere saranno portate a termine nelle modalità e nei tempi previsti senza alcun aggravio in termini di costi rispetto a quanto già preventivato, ma la valutazione di compatibilità economica presuppone l'osservanza di condizioni di efficienza amministrativa in un clima di trasparente cooperazione istituzionale da parte di tutti i soggetti coinvolti nell'organizzazione dei Giochi;
    la candidatura di Roma dovrebbe valorizzare un importante parco di strutture già esistenti da integrare con nuovi investimenti, dunque il Governo deve assumersi l'impegno di garanzia della trasparenza e soprattutto candidarsi con l'ottica che i miglioramenti infrastrutturali agli impianti sportivi in essere e la realizzazione di nuovi devono comportare solo effetti positivi sia in fase di realizzazione sia in futuro,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per redigere e rendere pubblico e accessibile un dossier con l'indicazione di un piano dei costi certi, comparati ai presunti benefici, da parte del Comitato Olimpico Roma 2024 per una valutazione attenta dei costi e dei benefici legati all'operazione nel suo complesso;
   a garantire l'assoluta trasparenza e legalità di ogni atto finalizzato alla candidatura e ad effettuare studi sulla compatibilità economica, alla luce delle scarse risorse disponibili sia nel bilancio pubblico che in quello municipale, per ottenere la candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024;
   ad assumere iniziative per nominare una commissione nazionale anticorruzione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l'integrità sui contratti pubblici di lavoro, servizi e forniture;
   ad informare il Paese e in particolare i cittadini romani sullo stato di avanzamento degli studi di fattibilità anche mediante la pubblicazione degli stessi in un apposito sito web;
   ad assumere iniziative per istituire nel comitato organizzatore una commissione di vigilanza affinché le pari opportunità e le persone disabili vengano coinvolte in ogni processo a partire dal Comitato Olimpico Roma 2024 fino agli eventuali XXXIII Giochi Olimpici;
   ad assumere, per quanto di competenza, iniziative per dare ai cittadini romani la possibilità di decidere sulla candidatura Olimpica 2024 mediante un voto referendario che consenta loro una partecipazione diretta, quindi effettiva e democratica;
   a garantire in caso di ospitalità dei Giochi – a seguito della consultazione referendaria – rispetto per le differenze di religione e per le diete secondo i dettami religiosi e etici.
(1-01107) «Brignone, Bechis, Civati, Andrea Maestri, Pastorino, Artini, Baldassarre, Matarrelli, Segoni, Turco».


   La Camera,
   premesso che:
    la situazione economica e sociale del nostro Paese impone scelte rigorose in ordine alle priorità da riconoscere agli investimenti pubblici. Scegliere di investire nelle Olimpiadi equivale a sottrarre risorse ad altri settori vitali per la crescita del Paese. La scelta di indebitare lo Stato per i prossimi decenni per la realizzazione di un evento non può che definirsi scellerata. È doveroso, infatti, scegliere investimenti che abbiano un impatto nel lungo periodo. Risorse tanto ingenti potrebbero proficuamente sviluppare il turismo sostenibile, supportare la creazione di nuove piccole e medie imprese, sostenere gli enti locali con la certezza di un impatto sociale certamente superiore a quello atteso nel post-olimpiade;
    i dati relativi alle passate olimpiadi dimostrano quanto cospicuo sia l'impegno economico da affrontare. Sidney 2000 è costata circa 5 miliardi di dollari, Atene 2004 9 miliardi a cui deve aggiungersi 1 miliardo investito per la sicurezza, Pechino 2008 43 miliardi, Londra 2012 circa 12 miliardi, le Olimpiadi invernali di Sochi 2014 sono costate circa 51 miliardi e per Rio 2016 la stima è di circa 14 miliardi;
    gli stessi dati dimostrano, inoltre, che la valutazione preventiva dei costi si è sempre rivelata inattendibile: dal 1960 ad oggi, tutte le edizioni delle Olimpiadi estive sono incorse in uno sforamento del budget, senza eccezione alcuna, con un aumento medio del 179 per cento. Emblematico è il caso di Montreal del 1976 ove lo sforamento è stato del 796 per cento e si è terminato il pagamento dei debiti dopo 36 anni;
    deve, inoltre, considerarsi che il coinvolgimento dei capitali privati si è sensibilmente ridotto per effetto della decisione del presidente del Comitato olimpico internazionale Samaranch che, nel 1988, stabilì che i costi delle Olimpiadi venissero coperti, con garanzie, dallo Stato ospitante;
    incontrovertibile non può ritenersi neanche l'affermazione secondo la quale l'Olimpiade comporti quale immediato beneficio la crescita del turismo. Se si considerano le esperienze più recenti, infatti, i dati dimostrano il contrario: nel 2008 a Pechino si è registrato un calo di afflusso dei turisti del 30 per cento rispetto all'agosto dell'anno precedente; a Londra 2012, il decremento è stato del 6,1 per cento rispetto al 2011;
    le pregresse esperienze italiane confermano le tendenze riportate: le Olimpiadi di Torino, ad esempio, costarono circa 3,5 miliardi di euro; il Governo stanziò 1,4 miliardi di euro, comune e regione aggiunsero altri 600 milioni di euro, il resto arrivò da diritti televisivi, sponsor e marketing. Dopo i Giochi le nuove strutture vennero affidate alla «Fondazione 20 marzo 2006», ente pubblico su cui la Guardia di finanza svolse importanti indagini sulla dubbia gestione liquidatoria segnata da costi sproporzionati rispetto alla ridotta attività svolta; l'ultimo intervento legislativo in materia è stato il comma 259 dell'articolo 1 della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016) che ha prorogato il termine ultimo per lo svolgimento delle attività del commissario liquidatore dell'Agenzia per lo svolgimento dei Giochi Olimpici Torino 2006;
    il recente decreto-legge 25 novembre 2015, n. 185, ha inserito tra le finalità del cosiddetto «Fondo Sport e Periferie» le attività e gli interventi volti alla presentazione e alla promozione della candidatura di Roma per le Olimpiadi 2024 (con una dotazione pari a 20 milioni di euro già per il 2015, 50 milioni di euro nel 2016 e 30 milioni di euro nel 2017);
    in un tale contesto non possono neanche tacersi i timori derivanti dall'affidamento della gestione di un simile evento ad un'amministrazione cittadina che ha perso e continua a perdere credibilità a seguito delle numerose e ormai tristemente celebri inchieste giudiziarie. A ciò si aggiunga la drammatica esperienza della gestione di altri grandi eventi: uno su tutti Expo, tramutatosi in una nuova tangentopoli tale da renderne gli strascichi giudiziari il risultato più rilevante nel lungo periodo;
    le considerazioni svolte sono, inoltre, state la base della scelta, in altri Paesi, di consultare la popolazione in merito all'opportunità di proporre la candidatura delle proprie città. Davos, Cracovia, Oslo, Monaco e Amburgo hanno rinunciato alle Olimpiadi a seguito del voto contrario ai referendum consultivi, mentre Boston non ha presentato la propria candidatura per i risultati della valutazione costi-benefici effettuata;
    risulterebbe, alla luce di quanto esposto, più opportuno utilizzare le richiamate risorse, già stanziate per la candidatura di Roma alle Olimpiadi, in investimenti infrastrutturali, partendo dalla manutenzione ordinaria degli impianti esistenti, tali da garantire impianti adeguati dedicati alla pratica sportiva;
    un sano investimento a lungo termine nel settore sportivo rappresenta un significativo valore aggiunto nonché un volano di crescita per favorire l'incremento della sostenibilità e degli impianti sportivi italiani,

impegna il Governo:

   ad attivarsi nelle sedi opportune, anche attraverso il commissario straordinario per la provvisoria gestione di Roma Capitale, al fine di proporre il ritiro della candidatura di Roma Capitale per le Olimpiadi del 2024;
   allo scopo di favorire la diffusione e la promozione dell'attività sportiva di base, a sviluppare programmi pluriennali di investimento per la manutenzione e per la costruzione, laddove insufficiente, dell'impiantistica sportiva italiana;
   ad adottare un piano pluriennale per lo sviluppo del turismo sostenibile teso a incentivare e valorizzare la mobilità dolce, a valorizzare il patrimonio storico, artistico e culturale e le aree naturali protette nazionali, quali poli di eccellenza sul territorio e moltiplicatori di sviluppo locale nonché a sostenere ed incentivare i sistemi di gestione ambientale e gli strumenti di certificazione ambientale nel settore della ricettività turistica.
(1-01108) «Simone Valente, Lombardi, Vacca, Di Battista, Baroni, Daga, Vignaroli, Marzana, Brescia, Di Benedetto, D'Uva, Luigi Gallo».


   La Camera,
   premesso che:
    sono ancora vive nel ricordo di molti italiani le immagini delle Olimpiadi di Roma del 1960, che contribuirono, per il loro fascino e per le modalità innovative con cui furono organizzate, al rilancio definitivo dell'immagine dell'Italia nel mondo, dopo funesti eventi del secondo conflitto mondiale. Quell'evento, per l'accurata organizzazione, la copertura mediatica e la bellezza delle immagini, ha costituito l'archetipo delle Olimpiadi moderne;
    l'assemblea capitolina il 25 giugno 2015 ha approvato a larghissima maggioranza la mozione n. 39, con la quale si è candidata la città ad ospitare i Giochi Olimpici e Paraolimpici del 2024. La candidatura della città di Roma è stata approvata all'unanimità dal Consiglio nazionale del Coni nella seduta del 2 luglio 2015 e accolta dal Comitato olimpico internazionale il 16 settembre 2015. Nel mese di novembre 2015 è stato costituito il Comitato Roma 2024;
    il Governo, in particolare il Presidente del Consiglio dei ministri, ha appoggiato con vigore, impegno ed adeguate risorse finanziarie l'ipotesi di candidatura della città di Roma per le Olimpiadi del 2024, con la piena collaborazione del Coni. Il 21 gennaio 2016, presso la sede del Comitato olimpico internazionale a Losanna, il progetto di massima già presentato dal Comitato Roma 2024 ha ottenuto unanimi apprezzamenti «per l'ottimo equilibrio tra tradizione, storia e innovazione»; il progetto definitivo dovrà essere presentato entro il 17 febbraio 2016 e la scelta del Comitato olimpico internazionale è prevista per il 13 settembre 2016;
    un'indagine Ipsos, finalizzata a rivelare il gradimento della popolazione in merito alla possibilità di ospitare nel Paese eventi di portata internazionale, con un focus specifico relativo alla candidatura della Capitale, ha evidenziato come i tre quarti degli italiani sono favorevoli a ospitare grandi eventi, mentre il 77 per cento (il 66 per cento romani e il 76 per cento dei residenti della provincia) ha espresso analogo, favorevole apprezzamento per la candidatura di Roma ai Giochi Olimpici del 2024;
    diversi studi hanno evidenziato gli effetti positivi dello svolgimento in Italia delle Olimpiadi 2024;
    secondo un recente studio della facoltà di economia dell'università Tor Vergata, i Giochi garantirebbero un miliardo di euro in più di entrate, nei soli giorni dell'evento, in termini di benefici socioeconomici reali per la città di Roma e per l'Italia, con un incremento occupazionale di 180 mila unità;
    l'analisi dell'impatto di un evento di portata similare, l'Expo 2015, effettuato dal Libero Istituto Universitario Carlo Cattaneo (LIUC), evidenzia che l'impatto economico di Expo è stato pari a 12,5 miliardi di euro nel 2015 (5,3 miliardi nella ricettività e ristorazione; 4,1 miliardi nel commercio, intrattenimento e tempo libero; 3,2 miliardi nei trasporti). Il prodotto interno lordo nazionale è cresciuto dello 0,4 per cento. Sono stati creati 87.000 posti di lavoro, il 30 per cento dei quali verrà conservato anche per il futuro; il settore turistico ha segnato un più 9,2 per cento a fronte del dato nazionale del 2,2 per cento. I giochi di Londra del 2014 peraltro hanno registrato 2 milioni di soggiorni e un flusso economico, per il solo turismo, di 1,5 miliardi di euro;
    i Giochi sono l'occasione di una rigenerazione urbana e di rilancio della città di Roma: secondo il Comitato Roma 2024, il 70 per cento degli impianti è già presente e va solo riammodernato; l'evento consentirà di procedere ad un ripensamento dell'intera viabilità romana, tra il centro e Tor Vergata, prevista sede del villaggio olimpico, che in futuro sarà utilizzato come campus universitario. Sarà possibile riqualificare le periferie, ammodernare i centri sportivi e ricollocare le scuole;
    occorre sottolineare che, tra gli elementi innovativi della bozza di progetto per l'evento del 2024, deve considerarsi l'ampio decentramento delle manifestazioni olimpiche che si terranno in 20 diverse città italiane;
    peraltro, sono stati evidenziati rischi che le Olimpiadi di Roma 2024 risultino un danno più che un beneficio per la collettività: secondo taluni studi, i costi iniziali sarebbero in genere sottostimati e costituiscono una frazione delle spese finali effettivamente sostenute dai bilanci pubblici. Gli effetti sull'occupazione, sul prodotto interno lordo della nazione ospitante e sul turismo sarebbero invece sovrastimati. Infine, le opere sportive e le infrastrutture di trasporto nella gran parte degli eventi esaminati risulterebbero sovradimensionate rispetto alle esigenze delle città e costose da manutenere. Si osserva a tal proposito che, facendo tesoro delle esperienze negative in questo senso, il comitato promotore ha già annunciato che la candidatura risponderà alle richieste del Comitato olimpico internazionale contenute nell'Agenda 2020 di favorire «Giochi sostenibili e a costi bassi»;
    ulteriori perplessità sono state sollevate in relazione alle possibili infiltrazioni della criminalità organizzata nei cantieri preparatori dell'evento olimpico; si osserva a tal proposito che, nel dicembre 2015, è stato costituito un comitato di garanti, composto da autorevoli esponenti del mondo giuridico, per definire la strategia di sviluppo della candidatura olimpica e per attivare procedure e proposte normative che garantiscano trasparenza e legalità nella preparazione dell'evento,

impegna il Governo:

   a sostenere, in tutte le sedi opportune e con ogni iniziativa necessaria, la candidatura di Roma per le Olimpiadi dell'anno 2024;
   a predisporre e a sottoporre al vaglio del Parlamento, anche mediante periodiche comunicazioni di aggiornamento, un piano economico-finanziario dettagliato e completo, redatto con il concorso delle autorità sportive e locali interessate, tenendo conto della richiesta del Comitato olimpico internazionale (Agenda 2020) di favorire Giochi sostenibili, con costi bassi e infrastrutture riutilizzabili, tale piano dovrà contenere in particolare: il dettaglio dei costi stimati, gli impatti sui diversi comparti economici, la valutazione puntuale dei benefici in termini di prodotto interno lordo, di occupazione, di turismo e di infrastrutturazione permanente;
   a prevedere apposite campagne informative nazionali ed internazionali, volte a diffondere lo «spirito olimpico» nella popolazione e ad a sostenere, a livello internazionale, la candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2024, utilizzando tale opportunità per restituire alla città di Roma la visibilità e il prestigio che merita;
   a prevedere, nel caso in cui la candidatura di Roma sia accolta, che gli interventi infrastrutturali, ambientali e tecnologici siano orientati verso il riutilizzo e l'ammodernamento delle strutture già esistenti e, con riferimento alle nuove opere, verso progetti che consentano l'efficiente riutilizzo successivo da parte delle collettività coinvolte;
   ad assicurare l'assoluta trasparenza e correttezza e legalità nella preparazione dell'evento, prevedendo l'adeguato coinvolgimento dei componenti del comitato di garanti e tenendo in opportuno conto le proposte da questo avanzate.
(1-01109) «Buttiglione, Dorina Bianchi, Binetti, Sammarco».


   La Camera,
   premesso che:
    il 16 settembre 2015 è stata ufficializzata da parte del Comitato olimpico internazionale l'accettazione della candidatura della città di Roma ad ospitare le Olimpiadi che si svolgeranno nel 2024;
    oltre a Roma, sono ora ufficialmente candidate anche le città di Budapest, Los Angeles e Parigi, dopo che Amburgo, nel mese di novembre 2015, si è ritirata, in attesa che, nel settembre 2017, sarà effettuata l'assegnazione definitiva dei Giochi;
    Roma ha ospitato i Giochi olimpici nel 1960 e, da allora, ha presentato la propria candidatura sia per la competizione del 2004, in cui si è classificata seconda, sia nella selezione per i Giochi del 2020, candidatura successivamente ritirata dal Governo Monti;
    i Giochi Olimpici rappresentano il più importante momento di agonismo sportivo a livello mondiale, comprendono decine di discipline, coinvolgono centinaia di atleti e costituiscono un momento di grande lustro e visibilità per la nazione che li ospita;
    non si tratta, infatti, solo di un grande evento sportivo, ma anche di un'occasione unica per proporre al mondo le ricchezze artistiche e culturali del Paese, nonché un momento in grado di rilanciare a livello globale l'immagine dell'Italia;
    lo sport è uno strumento di inclusione e crescita sociale, incarna alcuni dei valori fondamentali della convivenza civile e una sana competizione sportiva educa all'impegno, alla determinazione e al confronto leale tra avversari;
    laddove l'Italia dovesse risultare vincitrice della competizione sulla sede dei Giochi del 2024 le gare si svolgerebbero in diverse sedi del territorio nazionale ma con un'importante prevalenza nei siti della capitale;
    appare a tal fine indispensabile la riqualificazione dell'intero patrimonio impiantistico sportivo di Roma, che comprende, tra gli altri, lo Stadio Flaminio, il Palazzetto dello Sport di Viale Tiziano, lo stadio delle Aquile e l'area dell'Acqua Acetosa, il Complesso del Foro Italico, con annessa l'area monumentale e i mosaici;
    nell'ambito di un simile piano di recupero e valorizzazione dovrebbe, inoltre, essere trattata la spinosa vicenda dell'area di Tor Vergata, vicenda che non può essere separata dalla discussione in merito all'ubicazione di grandi complessi sportivi che sta alimentando il dibattito in questi anni, compresa quella riguardante l'ipotesi della realizzazione di uno o più stadi di calcio da parte di società private che impone una riflessione sui destini dello stadio Olimpico;
    all'atto della formalizzazione delle candidature il presidente del Comitato olimpico internazionale ha espresso la volontà che «le città candidate mostrino come i Giochi si possano adattare alle loro strategie a lungo termine»;
    gli interventi realizzati a qualunque titolo per ospitare gli allenamenti degli atleti e le relative gare nell'ambito dei Giochi Olimpici dovranno in ogni caso privilegiare un'ottica di manutenzione della città e di miglioramento degli impianti sportivi esistenti, al fine di limitare al massimo l'impatto economico e ambientale dei Giochi e garantirne l'utilizzabilità sportiva una volta finiti gli stessi, anche per sostenere l'attività di base e gli impianti in periferia;
    la progettazione e la realizzazione degli interventi dovranno essere oggetto di approfondite verifiche dell'impatto ambientale, anche al fine di una riduzione degli sprechi e dell'inquinamento;
    l'aggiudicazione delle Olimpiadi 2024 costituisce una sfida strategica, capace di garantire un'importante opportunità di rilancio per la capitale, macchiata negli ultimi mesi da scandali e inefficienze;
    il presidente del Comitato olimpico internazionale ha dichiarato che il Comitato olimpico internazionale darà «un contributo di 1,7 miliardi di dollari in cash e servizi per il successo di questi Giochi»;
    in base alle regole dettate dal Comitato olimpico internazionale per le candidature, le città che si presentano dovranno «dimostrare di rispettare i principi della Carta Olimpica e quelli riportati nel contratto siglato, che impegna le concorrenti a battersi contro la discriminazione sessuale e per favorire il rispetto della libertà dei media e del diritto del lavoro in termini di salute, sicurezza, protezione dell'ambiente e ad adottare leggi contro la corruzione»,

impegna il Governo:

   a sostenere e a promuovere in ogni sede e con il massimo impegno la candidatura di Roma ai XXXIII Giochi Olimpici e ai XVII Giochi Paralimpici del 2024, nell'ambito di una politica di sviluppo economico e crescita anche culturale dell'Italia;
   a non disattendere il risultato di un'eventuale consultazione dei cittadini, sotto forma di referendum, indetta dall'amministrazione capitolina;
   ad adoperarsi, per quanto di competenza, affinché all'amministrazione capitolina sia garantita l'autonomia necessaria a operare secondo criteri di sostenibilità economico-finanziaria, ambientale, di riqualificazione urbana e recupero dell'esistente, di accessibilità dei luoghi e delle strutture a tutti i cittadini, normodotati e diversamente abili, di trasparenza e rigore amministrativo;
   in questo ambito, ad assumere iniziative volte ad assicurare l'abbattimento delle barriere architettoniche ancora presenti nelle strutture sportive e nelle altre strutture pubbliche destinate ad accogliere lo svolgimento di attività motoria;
   ad assumere iniziative per favorire la collaborazione di tutti gli enti coinvolti dalla realizzazione dei Giochi con l'Autorità nazionale anticorruzione, affinché possano essere espletati, con la massima efficienza, i controlli necessari su tutte le procedure di gara;
   a vigilare sul corretto utilizzo delle risorse finanziarie e affinché la candidatura stessa, e la successiva fase organizzativa, siano condotte nel pieno rispetto delle normative vigenti e delle procedure ordinarie;
   a garantire che la presenza delle Olimpiadi e, quindi, di una competizione sportiva tra i più grandi atleti del mondo, corrisponda a un beneficio per tutti i cittadini italiani coinvolti nei territori ospitanti gli eventi con un programma di manutenzione o realizzazione di palestre scolastiche a norma per tutti gli edifici scolastici pubblici, anche attraverso forme di sussidiarietà volte a intercettare capitali privati;
   in questo quadro, ad assumere iniziative per provvedere alla prevista introduzione obbligatoria dell'educazione motoria nella scuola primaria e per favorire in ogni modo – anche in collaborazione con le federazioni e gli enti di promozione sportiva – la diffusione della pratica sportiva, anche nella terza età, promuovendo principi di vita sani tali da migliorare la qualità e le aspettative di vita per ogni persona.
(1-01110) «Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    la notte del 31 dicembre 2015 a Colonia ed in alcune altre città europee, tra le quali Amburgo, Bielefeld, Dortmund, Düssedorf, Stoccarda, Helsinki e Zurigo si sono verificati episodi ripugnanti e intollerabili di violenza di branco, contro la dignità e la libertà delle donne. Centinaia di giovani uomini immigrati, per lo più arabi e nordafricani, hanno circondato centinaia di donne molestandole pesantemente, alcune violentandole, altre derubandole di quello che avevano;
    dalle ricostruzioni ufficiali, il tratto comune a tutte le aggressioni è il fatto di essere state perpetrate da gruppi organizzati di stranieri provenienti da Paesi extraeuropei, tra i quali non di rado figuravano anche sedicenti profughi, che hanno operato con modalità assai simili a quelle osservate nel 2011-2012 a Piazza Tahir. La polizia tedesca sta operando arresti anche dentro i centri di prima accoglienza destinati ai rifugiati;
    un'operazione di molestie così vasta, continuata e determinata, non può essere vista solo come un gesto contro le donne, ma si configura come un atto di scontro, umiliazione e dominio esercitato nei confronti delle donne si, ma mirato ad inviare un segnale di disprezzo e di sfida ai Paesi che hanno accolto quegli uomini e quindi l'Europa tutta;
    non si può continuare a minimizzare, come hanno cercato di fare molti intellettuali o esponenti politici, essendo evidente, per i presentatori del presente atto di indirizzo, il fatto che chi proviene da quei Paesi si porta dietro un'idea della donna priva di libertà, ritenuta inferiore e da mortificare nella mente e nel corpo;
    quanto è accaduto è infatti di enorme gravità sociale, dal momento che il rapporto tra i generi è quotidiano e intimidazioni del genere, come quella vista nella notte del 31 dicembre 2015, mirano chiaramente a minare alcune libertà costitutive dell'Occidente;
    non si può più sottacere la natura del rapporto dell'Islam con le donne, che ben conosciamo e che è stato al centro di grandi riflessioni ed anche battaglie a favore delle donne di quei Paesi. Un rapporto intriso di violenza metamorfizzato in una agenda culturale e politica di dominio, usata come arma, come espressione di potere in una vastissima area sociale la cui linea di rottura passa dentro lo stesso mondo musulmano;
    sono ancora sotto i nostri occhi gli stupri e le violenze verificatesi in Iraq e Siria durante la conquista da parte dell'Isis, i rapimenti di Boko Haram, la schiavitù sessuale imposta alle donne cristiane e yazide, il trattamento subito da centinaia di donne egiziane al Cairo, durante la «primavera araba» per punirle della loro partecipazione attiva alla politica. Tutti esempi, secondo i presentatori del presente atto di indirizzo, del modo di rapportarsi dell'Islam con le donne, che non si ferma alle frontiere, essendo un tratto essenziale della politicizzazione in senso radicale di quella religione;
    è irrinunciabile e urgente la difesa della libertà femminile da ogni forma di molestia, abuso e violenza sessuale;
    basi indispensabili di qualsiasi processo di integrazione sono: il rispetto nei confronti del Paese ospitante, della sua cultura e delle sue tradizioni da parte di chi lo raggiunge e, soprattutto, lo sforzo di rispettarne le leggi, gli usi e i costumi;
    inaccettabili risultano i tentativi di giustificare le violenze sulle donne come quello fatto dall'Imam della stessa città di Colonia, Sami Abu-Yusuf, secondo cui le aggressioni sarebbero state determinate dal fatto che le vittime si fossero profumate o comunque vestite in modo provocante;
    si rimarca la circostanza, straordinaria per Paesi liberi, che la stampa degli Stati coinvolti abbia celato volontariamente per giorni i fatti, per ragioni che rimangono tuttora oggetto di congetture, ma tra le quali potrebbe esserci anche l'intenzione di non creare problemi alle politiche di accoglienza abbracciate dai rispettivi Governi di riferimento;
    i fatti occorsi a Colonia e nelle altre città coinvolte pongono seri interrogativi sulla gestione dell'immigrazione, sull'accoglienza e l'integrazione, sul rapporto dell'Islam con le donne, cui occorre rispondere per comprendere esattamente quali rischi concreti stia portando l'immigrazione nei nostri Paesi. Domande a cui nessuno può sottrarsi alla luce di quanto accaduto in Germania, Svizzera, Finlandia la notte del 31 dicembre 2015 ma anche di fronte al disagio e alle minacce alla nostra incolumità fisica che si avvertono ogni giorno per le strade, sui bus o nelle metropolitane, in centro, come nella periferie delle città italiane;
    si rileva come le dimensioni assunte dal fenomeno migratorio siano ormai incompatibili con le misure messe in campo ed impongano un ripensamento, che riduca ampiezza e velocità dei flussi, prevedendo espulsioni più facili, controlli più serrati, campi di raccolta nei Paesi sorgenti o situati lungo i percorsi di approccio all'Europa;
    la forte prevalenza degli uomini in giovane età, tra coloro che sono giunti in Europa in tempi più recenti, ad avviso dei firmatari del presente atto è di per sé un fattore di rischio aggiuntivo per le donne del nostro continente;
    l'ideologia di chi ritiene che il multiculturalismo possa diventare una forma facile e innocua di convivenza secondo i firmatari del presente atto ha fallito, così come quella di chi pensa che l'uguaglianza si possa raggiungere cancellando le differenze, le proprie radici culturali, i propri valori; fallimentari sono state soprattutto le politiche «aperturiste» dell'accoglienza a tutti i costi, guidate dalla convinzione che tutto potesse risolversi con un progressivo assorbimento delle centinaia di migliaia di immigrati giunti nel nostro continente negli ultimi anni;
    i diritti delle donne sono un terreno particolarmente sensibile di scontro, avendo la questione femminile subito un processo di radicalizzazione nel mondo musulmano, che è parte fondamentale della più generale affermazione dell'Islam politico fondamentalista, in cui la donna è ridotta, nel migliore dei casi, a «complemento dell'uomo», anziché esser vista come una persona eguale in dignità e diritti;
    si rileva la circostanza che, a Colonia, la reazione delle forze dell'ordine sia stata debole e tardiva, anche perché parte dei locali effettivi era dispiegata sulle frontiere della Germania per controllare l'afflusso dei migranti extracomunitari e mancavano quindi agenti da schierare nelle strade cittadine,

impegna il Governo:

   ad intensificare la collaborazione con le autorità di pubblica sicurezza dei Paesi colpiti dalle violenze collettive contro le donne la notte di San Silvestro, allo scopo di acquisire elementi utili alla prevenzione di atti simili sul suolo nazionale;
   ad assicurare un'elevata priorità alla lotta contro gli eventuali sodalizi criminali, anche temporanei, allestiti da immigrati per delinquere contro le donne;
   ad assumere iniziative per privilegiare, nelle procedure per l'accesso al nostro Paese, le famiglie, le donne, i bambini e gli anziani, come già accade in alcuni Stati occidentali, in primo luogo il Canada, prevedendo invece per gli uomini giovani percorsi più lunghi;
   a rafforzare i presidi di polizia ovunque la sicurezza delle donne paia più a rischio, incrementando le assunzioni nelle forze dell'ordine qualora con gli organici disponibili non si riesca a fronteggiare anche questa emergenza;
   a non tollerare, nell'ambito delle proprie competenze, alcuna forma di apologia o giustificazione delle violenze compiute sulle donne dalle gang dei migranti extracomunitari, assumendo iniziative, anche a carattere di urgenza, per adeguare la normativa penale;
   ad assicurare una tempestiva informazione dell'opinione pubblica italiana qualora, malgrado tutto, si verificassero anche in Italia episodi assimilabili a quelli occorsi a Colonia, sfruttando a questo scopo, se necessario, ogni canale di comunicazione disponibile.
(1-01111) «Saltamartini, Molteni, Gianluca Pini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Rondini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    a seguito della presentazione del rapporto Svimez in data 30 luglio 2015 nell'ambito del quale si legge che negli anni compresi tra il 2000 e il 2013 nel Sud italiano l'attività produttiva appare cresciuta solo del 13 per cento, circa la metà della Grecia, ove il prodotto interno lordo saliva al 24 per cento, si sviluppò a livello mediatico, dopo anni di silenzio e di rimozione del problema, un dibattito appassionato sulla situazione del Mezzogiorno;
    in data 6 settembre 2015, la Cgil lanciava da Potenza una vertenza nazionale sul Mezzogiorno chiamata «Laboratorio Sud – Idee per il Paese» ed il Governo prometteva che nell'ambito della legge di stabilità per il 2016 starebbe stato inserito un «masterplan» relativo al Sud d'Italia le cui linee si sarebbero dovute tracciare entro il 15 settembre 2015 per poi essere puntualizzate nell'ambito della nota di aggiornamento al def 2015;
    tale documento fu trasmesso alle Camere in data 20 settembre 2015, ma, con riferimento alle previsioni per il disegno di legge di stabilità 2016, non individuava alcun tipo di politica pubblica a carattere strutturale per il Mezzogiorno, facendo solo generici riferimenti a non meglio specificati interventi per la «rivitalizzazione dell'economia meridionale», a fronte non solo delle polemiche suscitate dalla presentazione del rapporto Svimez 2015, ma anche dell'approvazione da parte della Camera dei deputati di diverse mozioni presentate da gruppi parlamentari di maggioranza e opposizione sul rilancio del Mezzogiorno, fra le quali la mozione presentata da Sinistra Ecologia Libertà n. 1-00680;
    non a caso il disegno di legge di stabilità 2016, presentato in prima lettura al Senato, si rivelava, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, una delusione sul fronte degli interventi in favore del rilancio del Mezzogiorno, essendo privo, nonostante gli annunci profusi sulla stampa nazionale dal Governo, di misure speciali per il Sud come il credito di imposta per le imprese meridionali, la riduzione delle tasse per le aziende del Sud e una credibile decontribuzione per i nuovi assunti nelle regioni ad obiettivo convergenza;
    persino l'atteso «Masterplan per il Sud», presentato peraltro con estremo ritardo rispetto alle previsioni del Governo, confermava in modo evidente questo dato, in quanto le risorse ivi indicate non potevano considerarsi ulteriori e aggiuntive rispetto a quelle già previste e concordate a legislazione vigente e in sede europea;
    durante l'esame parlamentare della legge di stabilità 2016 il Governo ha tentato di porre parzialmente rimedio a questo vulnus presentando un emendamento ai fini dell'introduzione di un credito d'imposta per l'acquisto di beni strumentali nuovi destinati a strutture produttive nelle zone assistite ubicate nelle regioni del Mezzogiorno (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Molise, Sardegna e Abruzzo) dal 1o gennaio 2016 fino al 31 dicembre 2019, successivamente modificato anche grazie all'approvazione di emendamenti parlamentari tesi ad estendere alle assunzioni a tempo indeterminato dell'anno 2017 l'esonero contributivo, introdotto dalla manovra finanziaria per il solo anno 2016, in favore ai datori di lavoro privati operanti nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna, ma con la condizione della ricognizione delle risorse del fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie già destinate agli interventi del piano di azione coesione, non ancora oggetto di impegni giuridicamente vincolanti rispetto ai cronoprogrammi approvati, da effettuarsi entro il 30 aprile 2016. Al contempo il gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà presentava, in sede di esame del disegno di legge di stabilità 2016 (C3444), un nutrito pacchetto di emendamenti sul rilancio del Mezzogiorno, puntualmente respinti dall'attuale Esecutivo, che muovessero innanzitutto dall'attuazione degli impegni contenuti nell'ambito della citata mozione n. 1-00680;
    la condizione economica e sociale del Mezzogiorno necessita di essere affrontata all'interno di un progetto complessivo che si ponga l'obiettivo di collocare gli interventi per le regioni del Sud in una strategia politica nazionale di rilancio dei diversi settori economici e produttivi dentro un rinnovato patto di cittadinanza, al fine di rispondere alla palese evidenza che solo attraverso l'adozione di una politica nazionale per il Mezzogiorno sarà possibile intervenire per la riduzione del divario esistente e per superare la condizione di dualità che attraversa il Paese;
    sotto tale profilo appare quanto mai urgente dotare il Paese di strumenti di coordinamento formalizzati tra politiche europee, nazionali e regionali completando il processo di organizzazione dell'Agenzia per la coesione territoriale che, ad oggi, secondo quanto risulta ai firmatari del presente atto di indirizzo non appare ultimato;
    una parte consistente e decisiva nella definizione di politiche per il Mezzogiorno dovrebbe riguardare in modo più profondo il tema della fiscalità e degli incentivi utili a superare, anche nella fase d'insediamento e di nuovi interventi, le note condizioni di svantaggio. L'obiettivo, per evitare finanziamenti indistinti e non orientati coerentemente alle politiche d'intervento nei diversi settori, dovrebbe essere il carattere selettivo articolato anche per territori, settori merceologici o per progetti interni a uno specifico settore. La selettività dovrebbe premiare il carattere innovativo degli interventi e le attività con un alto profilo di ricerca e innovazione, con l'obiettivo di coniugare l'insediamento delle aziende con le prospettive e le vocazioni territoriali, condizionando innanzitutto gli sgravi all'addizionalità occupazionale strutturale nelle regioni ad obiettivo convergenza;
    del resto la collocazione geografica delle regioni del Mezzogiorno dovrebbe costituire una opportunità strategica non solo per l'Italia ma per tutta l'Europa e la relazione tra le sponde del Mediterraneo dovrebbe essere utilizzata anche in termini di politiche per lo sviluppo attraverso il rafforzamento della cooperazione territoriale;
    sull'annoso tema delle infrastrutture e dei trasporti, per esempio, la strategia adottata dal Governo in sede europea per superare il divario consistente nella mobilità delle cose e delle persone nel Mezzogiorno non appare affatto chiara, come anche quello della portualità, della logistica e dell'energia. Ma anche l'obiettivo di fornire il Sud di vere e proprie infrastrutture sociali che dovrebbe rappresentare uno degli obiettivi prioritari di un Governo forte dell'applicazione del più basilare principio di giustizia e protezione sociale non appare minimamente perseguito;
    contrasto alla povertà, servizi ai cittadini (infanzia e anziani, non-autosufficienza), servizi per il lavoro, istruzione e formazione, efficienza della pubblica amministrazione: sono ambiti nei quali si registra un divario nel Mezzogiorno con il resto del Paese, che incide e si riverbera direttamente nella condizione di cittadinanza. È necessario, dunque, quindi programmare sin da subito interventi che possano invertire la tendenza e che possano rendersi al contempo generatori di occupazione e benessere per la collettività,

impegna il Governo:

   ad adottare apposite iniziative normative finalizzate a reintrodurre la cosiddetta «clausola Ciampi» in forza della quale si prevede un vincolo di destinazione del 45 per cento del totale delle risorse individuate per gli investimenti nel Mezzogiorno;
   a completare il processo di organizzazione dell'Agenzia per la coesione territoriale;
   a presentare entro il 30 giugno 2016 un programma nazionale di politica industriale per il Paese e la rinascita del Mezzogiorno per la valorizzazione della vocazione manifatturiera del Sud Mezzogiorno, guardando al rafforzamento degli insediamenti esistenti, alla valorizzazione dell'industria della trasformazione agricola, per la riunificazione e l'accorciamento delle filiere, nonché al riutilizzo e/o alla riconversione di intere aree industriali dismesse, all'insediamento di produzioni ad alto contenuto innovativo, alla riconversione ecologica delle produzioni industriali a forte impatto ambientale come l'Ilva di Taranto, valutando al contempo di definire in tempi brevi un piano triennale per il lavoro per il Mezzogiorno nell'ambito di un programma di interventi urgenti ai fini ecologici e sociali finalizzato all'assunzione di lavoratori da parte di amministrazioni pubbliche e aziende private;
   a introdurre apposite iniziative normative finalizzate al riconoscimento di uno sgravio contributivo per le nuove assunzioni giovanili riservato alle imprese che operano nel Mezzogiorno innalzando a 8.060 euro annui lo sgravio massimo, anziché a 3.250 euro ed estendendolo a tutti i contributi previdenziali e non solo ad una quota pari a al 40 per cento come, peraltro, previsto attualmente dalla legge di stabilità 2016 approvata in via definitiva dal Parlamento;
   a finalizzare le risorse indicate dal masterplan per il Mezzogiorno (fondi strutturali FERS e FSE 2014-2020 pari a 56, 2 miliardi di euro cui si aggiungono i fondi di cofinanziamento regionale per 4,3 miliardi di euro a valere sul fondo sviluppo e coesione) pubblicato in data 6 novembre 2015 agli obiettivi contenuti negli impegni della citata mozione n. 1-00680 sul rilancio del Mezzogiorno, nonché ad informare pedissequamente il Parlamento in ordine alla attuazione dei cosiddetti «patti per il Sud» formalizzati a fine anno 2015 presso al Presidenza del Consiglio dei ministri;
   a investire vigorosamente nella tutela e la fruibilità del patrimonio culturale e paesaggistico con particolare riferimento al Mezzogiorno, attraverso il reclutamento e l'assunzione straordinaria di giovani, superando la frammentazione della catena decisionale Governo-regioni, che determina, tra l'altro, sperpero di risorse, attraverso un forte coordinamento nazionale;
   a definire un piano per la cultura e il turismo per il Sud di concerto tra regioni e Governo, individuando specifici poli turistici prioritari nel Mezzogiorno sui quali far convergere risorse per qualificare la ricettività, attribuire incentivi e semplificazione burocratica;
   ad agire in modo significativo con particolare riferimento al Mezzogiorno sul fronte delle infrastrutture sociali ed in particolare sul versante degli asili nido e dei servizi per l'infanzia rifinanziando il cosiddetto «piano asili nido», oggi «piano nazionale per i servizi socio educativi» istituito durante l'ultimo Governo Prodi;
   ad affrontare attraverso specifici interventi il processo di progressivo spopolamento delle aree interne del Mezzogiorno e dell'invecchiamento della popolazione che assume priorità d'azione, con particolare riferimento agli anziani non autosufficienti attraverso la previsione di servizi dedicati;
   a riservare particolare attenzione al tema della istruzione e della formazione con particolare riferimento alla formazione post diploma (università, ITS), agli enti pubblici di ricerca e al tema della dispersione scolastica, agendo attraverso meccanismi di investimento, attrazione e incentivazione per gli studenti con un serio intervento sul diritto allo studio, anche attraverso una norma quadro nazionale tesa a rafforzare il ruolo dell'insegnamento pubblico e l'azione della pubblica amministrazione, agente fondamentale per la programmazione e la gestione dei servizi e per la progettazione degli interventi scolastici nel contesto locale;
   ad attuare una politica per il Mezzogiorno che faccia perno su alcune azioni di sistema, anche immediate in una continuità di medio-periodo, in modo orientato e coordinato che parta dalla precondizione insuperabile per lo sviluppo economico, e non solo del Sud, ma di tutto il Paese, ovvero la lotta per la legalità e il contrasto al lavoro nero, al caporalato e alle mafie;
   ad adottare ogni iniziativa di competenza, garantendo il pieno coinvolgimento delle regioni, per promuovere finalmente, con particolare riferimento al Mezzogiorno, scelte coraggiose e mirate in termini di mobilità urbana ed extraurbana, a partire dallo stanziamento di maggiori risorse per arrivare a 5.000.000 di cittadini trasportati ogni giorno nel 2020, portando il trasporto ferroviario agli stessi standard qualitativi europei, nonché ad attivarsi al fine di garantire il diritto alla mobilità con collegamenti ferroviari efficienti al Nord come al Sud tra i principali capoluoghi, integrati con il sistema di porti e aeroporti, ponendo ogni iniziativa di competenza finalizzata ad impedire il perdurante taglio dei collegamenti ferroviari, avviando un'azione di monitoraggio sulla rete pubblica affidata in concessione a Rete ferroviaria italiana finalizzata ad un ripensamento degli investimenti indispensabili ad aumentare la velocità dei collegamenti che parta innanzitutto dalla necessità di valorizzare la presenza di treni pendolari rispetto a quelli a mercato nella definizione delle tracce;
   a definire le politiche relative alla mobilità mettendo al centro gli utenti della mobilità, valutando altresì l'opportunità di assumere iniziative per ripristinare il finanziamento di alcune norme introdotte durante il Governo Prodi nell'ambito della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008) e non più rifinanziate dai successivi Governi che prevedono la possibilità di portare in detrazione le spese sostenute per l'acquisto dell'abbonamento annuale ai servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale, al fine di incentivare, con particolare riferimento al Mezzogiorno, un maggior utilizzo del trasporto pubblico locale con conseguente riduzione progressiva del trasporto privato, a tutto vantaggio di una mobilità alternativa più sostenibile per gli inevitabili ed evidenti effetti positivi in termini di riduzione delle emissioni dei gas inquinanti, soprattutto nelle aree urbane più grandi e maggiormente caotiche;
   ad intervenire con urgenza al fine di risolvere le criticità denunciate recentemente da Legambiente con la pubblicazione del rapporto «Pendolaria 2015» che analizza la situazione di maggiore disagio sulle linee ferroviarie italiane avendo come focus proprio l'emergenza Sud e le 10 linee ferroviarie peggiori del Paese;
   a bloccare l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, all'esame della Conferenza Stato-regioni del 20 gennaio 2016, che individua 8 nuovi impianti di incenerimento da realizzare tutti nelle regioni del Centro-Sud, Marche, Umbria, Lazio, Campania, Abruzzo, Sardegna, Sicilia (2 impianti), cui si aggiunge la previsione per la Puglia di un potenziamento dell'impianto di incenerimento esistente, così affossando gli sforzi che le regioni stanno facendo per una programmazione virtuosa della gestione dei rifiuti e per la crescita della raccolta differenziata, del riciclaggio e del recupero dei rifiuti stessi, in una logica ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo peraltro contraddittoria rispetto ai provvedimenti recentemente varati dal Parlamento in tema di green economy, quali il cosiddetto «collegato ambientale»;
   a dare seguito in modo puntuale agli impegni contenuti nella mozione del gruppo parlamentare Sinistra Ecologia Libertà n. 1-00680 approvata dalla Camera dei deputati in data 14 aprile 2015.
(1-01112) «Scotto, Ferrara, D'Attorre, Placido, Pannarale, Duranti, Giancarlo Giordano, Folino, Sannicandro, Fratoianni, Fava, Piras, Palazzotto, Fassina, Zaratti, Zaccagnini, Franco Bordo, Gregori, Ricciatti, Marcon, Carlo Galli, Melilla, Quaranta, Costantino, Daniele Farina, Nicchi, Paglia, Pellegrino, Kronbichler».


   La Camera,
   premesso che:
    la crisi economica e finanziaria nazionale che ha tormentato l'Italia negli ultimi anni si è riverberata in modo ancor più drammatico nelle regioni meridionali, creando una condizione di grave prostrazione. Di tale grave condizione si registrano ciclicamente allarmi che il circuito mediatico diffonde attingendo le informazioni da centri di rilevazione statistica come l'Istat e la Svimez, che, come è avvenuto con gli ultimi rapporti, hanno certificato le difficoltà economiche e sociali del sud evidenziandone gli allarmanti tassi di povertà e di sottosviluppo;
    del resto l'attenzione della pubblica opinione, massima nei momenti della pubblicazione dei dati economici, tende a scemare subito dopo, trascurando di considerare che è la difficoltà in cui versa il Mezzogiorno ad impedire il recupero dello slancio in termini di ripresa economica e finanziaria che, invece, nell'area centro-settentrionale del Paese raggiunge ormai livelli europei;
    in qualche modo può dirsi che la disuguaglianza tra Centro-Nord e Sud dell'Italia sia comparabile a quella che caratterizzava le diverse condizioni in cui versavano le due Germanie prima della caduta del Muro di Berlino e dell'unificazione promossa da Helmut Kohl, con gli esiti di positiva omogeneità che sono registrati fin dagli anni ’90 nel Paese;
    va dato atto al Governo di aver manifestato più volte la volontà di imprimere un passo nuovo nell'azione a sostegno delle aree meridionali, in particolare con il masterplan, con i patti per il Sud e con l'attenzione rivolta alle risorse culturali e turistiche del Mezzogiorno;
    d'altro canto il flusso primario di risorse attingibile resta quello dei fondi strutturali europei che prevedono l'intervento comunitario a sostegno della progettualità delle regioni, chiamate ad intervenire a sostegno per una quota parte;
    per concorrere a rendere possibile il pieno attingimento di fondi, venne istituita quattro anni fa, l'Agenzia per la coesione territoriale quale organo di indirizzo e di presidio all'attuazione della programmazione dei fondi territoriali;
    l'agenzia, però, a causa di macchinosi passaggi burocratico-amministrativi e della mancata adozione di decreti attuativi, non è entrata nella sua piena operatività;
    d'altro canto, anche la responsabilità governativa nel settore dei fondi strutturali europei appare oggi priva di un'intestazione specifica, né è possibile individuare un unico centro di imputazione per le politiche meridionaliste per far fronte alla grande difficoltà delle aree del Mezzogiorno,

impegna il Governo

a considerare l'opportunità di costituire nel proprio ambito un coordinamento per l'insieme delle politiche meridionaliste.
(1-01113) «Pisicchio».


   La Camera,
   premesso che:
    nel Sud persiste un evidente un gap infrastrutturale, in termini di trasporti, logistica, ricerca e innovazione, rispetto al resto del Paese; le conseguenze della presenza delle associazioni mafiose nel Mezzogiorno si intrecciano in modo complesso con l'economia del Sud, stravolgendo le regole del «fare impresa» e scoraggiando gli investimenti, oltre che creando un grave e indiscusso disagio sociale. Tutto ciò appare paradossale se solo si pensa che ogni iniziativa di carattere pubblico adottata nella storia repubblicana in favore del Sud ha poi regolarmente patito gli effetti della corruzione e dello sperpero;
    la Calabria ha beneficiato di diverse manovre mirate alla defiscalizzazione che non hanno prodotto quei risultati apprezzabili per lo sviluppo dell'economia locale;
    la defiscalizzazione è la sola misura che si continua a perseguire e promuovere come panacea alla penuria di investimenti da parte dei privati quando invece è chiaro che le aziende non investono nelle zone dove la burocrazia diventa un ostacolo e la risoluzione delle questioni legali – per non parlare di quelle legate alla malavita organizzata – sono particolarmente ostiche quanto irrisolvibili, complici i tempi biblici della nostra giustizia;
    tutto ciò viene amplificato nel momento in cui si parla di «fare impresa», che nel nostro territorio non trova un humus fertile in quanto la vetusta gestione della burocrazia e lo sperpero dei fondi europei rendono veramente difficile investire nella regione Calabria, nonostante alcune eccezioni possano far pensare il contrario, merito solo della perseveranza e della tenacia di qualche giovane che vuole sviluppare la sua idea nel posto in cui è nato, accettando eroicamente di scontrarsi con tutto ciò;
    anche le occasioni per creare quest’humus vengono negligentemente «dimenticate» e/o inutilizzate annullando di fatto, la capacità di accedere a cospicui capitali liquidi, come accaduto nel caso dei contratti di sviluppo di Invitalia che avrebbero permesso il recupero e lo sviluppo delle aree industriali disagiate. Infatti, i territori dei comuni ricadenti nelle aree di crisi, nelle aree industriali caratterizzate da crisi complesse o nelle aree di crisi industriale diverse da quelle complesse che presentano un impatto significativo sullo sviluppo dei territori interessati e sull'occupazione vengono raccolte in una lista dal Ministero dello sviluppo economico al fine di avere accesso a detti fondi particolari, eppure nella lista dei comuni compresi nelle aree di crisi di cui alle leggi n. 181 e n. 513 non compare alcun comune calabrese, in quanto la regione Calabria non ha mai segnalato alcun comune o area della Calabria soggetta a tali restrizioni;
    si consideri poi la presenza di alcune anomalie del sistema giuridico e normativo presenti in talune zone industriali che limitano – quando non escludono – le esigenze di sviluppo e di espansione delle attività imprenditoriali. Si prenda ad esempio la zona industriale di Lamezia Terme ove insiste un vincolo paesaggistico conseguente all'emanazione di un provvedimento di 70 anni fa che produce un aggravio di spese e tempi lunghissimi per l'attività imprenditoriale in una zona che invece, vista la presenza di numerose aziende a tecnologia avanzata, la stazione ferroviaria, l'aeroporto internazionale, la prossimità al mare e ad un importante snodo autostradale, potrebbe diventare un fondamentale volano di sviluppo locale;
    di fatto, con le infrastrutture che riguardano i trasporti, considerate tra le peggiori d'Italia – se non le peggiori – è chiaro che altre zone vengano preferite dagli investitori lasciando letteralmente nella condizione di bisogno le popolazioni residenti;
    con la dorsale ionica, le cui ferrovie (per la maggior parte ad un solo binario non elettrificato) dal 2000 in poi soggette ad un progressivo abbandono dei collegamenti a lunga percorrenza ed alla riduzione di quelli regionali, al quale è seguito (e purtroppo in parte sta ancora seguendo) un declassamento infrastrutturale attraverso la riduzione del numero di stazioni portando così ad un'ulteriore riduzione delle potenzialità della ferrovia;
    basti pensare che i tempi di percorrenza ferroviari presentano condizioni di enorme disagio in alcune aree tra la Calabria e – ad esempio – la Puglia. È inimmaginabile che per percorrere i 473 chilometri tra Taranto e Reggio Calabria siano necessari 7 ore e 5 minuti (secondo i dati Trenitalia), mentre per la tratta Roma-Crotone sia necessario cambiare 4 treni con una media di 9 ore di percorrenza;
    tutto questo non ha fatto altro che moltiplicare a dismisura il traffico veicolare, fatto di auto ma anche di decine e decine di autobus – che suppliscono alla mancanza di collegamenti ferroviari – riversati sulla cosiddetta «strada della morte», la strada statale 106 Taranto-Reggio Calabria, che, nella maggior parte della costa, corre parallela alla ferrovia Jonica. Strada statale 106 che negli ultimi 3 anni ha visto perdere la vita di 57 persone, mentre i dati di Aci parlano di oltre 600 morti, se si conta dal 1996 ad oggi, 9.000 sinistri e 24.000 feriti;
    alla luce di quanto sopra si nutrono forti perplessità sulla possibilità che un ulteriore aumento di traffico veicolare – dovuto ad un eventuale aumento della produttività regionale – possa risultare sostenibile da quel tratto stradale, diminuendo al contempo la pericolosità e le sue relative tragiche conseguenze,

impegna il Governo:

   tramite un'apposita iniziativa normativa, ad istituire nelle regioni di Campania, Puglia, Calabria, Basilicata e Sicilia, per un periodo di prova di cinque anni, le aree per l'innovazione (api) ovvero delle free zone da sviluppare su aree con estensione (possibilmente non superiore a 500 chilometri quadrati), popolazione residente (preferibilmente inferiore a 100.000 abitanti) e parametri reddituali (a titolo di esempio, con reddito medio pro capite inferiore alla media europea) prestabiliti;
   ad assumere iniziative per ricorrere ad un regime speciale per quanto previsto dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, articolo 37, al fine di ottenere un'area a burocrazia zero, incentivando altresì il ricorso a forme di arbitrato per la risoluzione dei contenziosi, prevedendo un sistema di agevolazioni fiscali per tutte le attività imprenditoriali insistenti nell'area e includendo l'esonero dal versamento dei contributi sulle retribuzioni da lavoro dipendente, nel caso di lavoratori che abbiano sottoscritto contratti a tempo indeterminato o a tempo determinato di durata non inferiore a tre anni, a condizione che almeno il 50 per cento degli occupati risieda nel sistema locale di lavoro in cui ricade l'area per l'innovazione;
   a valutare, al termine del quinquennio di sperimentazione – nel caso in cui il prodotto interno lordo dell'area per l'innovazione abbia subito un incremento pari o superiore al 2 per cento annuo – la proroga per un ulteriore quinquennio, al termine del quale – se risulti confermato l'incremento medio annuo del prodotto interno lordo, previsto per il primo quinquennio – l'area per l'innovazione divenga permanente;
   ad assumere iniziative per rimuovere, per quanto di competenza, eventuali anomalie presenti del sistema giuridico-normativo nelle aree industriali calabresi a partire da una riperimetrazione del vincolo paesaggistico dell'area industriale di Lamezia Terme;
   con riferimento alla strada statale 106 Ionica, ad individuare uno strumento, eventualmente anche facendo ricorso all'istituzione di una commissione ministeriale, che possa valutare attraverso criteri oggettivi la capacità della strada stessa di poter garantire in sicurezza gli attuali volumi di traffico, avviando un'analisi sulle cause che hanno prodotto le pessime condizioni nella quali la stessa versava e continua a versare tutt'oggi, tenuto conto non solo del numero eccessivo di sinistri, feriti e vittime che rendono già da decenni la strada statale 106 una delle strade più pericolose d'Italia secondo l'Aci-stat, ma anche dei costi sociali determinati dall'incidentalità e dalla mortalità stradale sulla strada statale 106, costi che evidenziano una spesa collettiva maggiore in relazione a ciò che potrebbe essere utilmente, giustamente ed economicamente investito nell'ammodernamento di questa importante arteria viaria che ad oggi è tristemente nota solo per essere definita «strada della morte».
(1-01114) «Barbanti, Rizzetto, Mucci, Prodani, Artini, Baldassarre, Turco, Segoni, Bechis, Cristian Iannuzzi».


   La Camera,
   premesso che:
    dall'ultimo Rapporto SVIMEZ sull'economia del Mezzogiorno emerge la fotografia di un Paese diviso e diseguale, dove il Sud scivola sempre più nell'arretramento: nel 2014, per il settimo anno consecutivo il Pil del Mezzogiorno è ancora negativo (-1,3 per cento); il divario di Pil pro capite è tornato ai livelli di 15 anni fa; negli anni di crisi 2008-2014 i consumi delle famiglie meridionali sono crollati quasi del 13 per cento e gli investimenti nell'industria in senso stretto addirittura del 59 per cento; nel 2014, quasi il 62 per cento dei meridionali ha guadagnato meno di 12 mila euro annui, contro il 28,5 per cento del Centro-Nord;
    la crisi, nel 2014 (e nella prima parte del 2015, con un miglioramento di fiducia di famiglie e imprese, favorito dalla caduta del prezzo dei prodotti petroliferi), si attenua nella maggior parte delle regioni del Centro-Nord, molto meno, invece, in tutte quelle del Sud;
    per il Sud è scattato infatti un vero e proprio allarme povertà: sulla base dei redditi rilevati nel 2013, in Italia è a rischio di povertà il 18,1 per cento delle persone, ma la differenza fra aree territoriali è notevole: nel Centro-Nord risulta esposto al rischio di povertà un individuo su dieci, nel Mezzogiorno uno su tre. La regione italiana in cui è più alto il rischio di povertà è la Sicilia (41,8 per cento), seguita dalla Campania (37,7 per cento). Inoltre, risulta un profondo divario tra le aspettative delle nuove generazioni in termini di realizzazione personale e professionale e di concrete occasioni di impiego qualificato sul territorio;
    il quadro è quello di un Paese dove «dal 2000 al 2013 il Sud è cresciuto la metà della Grecia». Un'Italia spaccata in due, dove c’è una regione come il Trentino Alto Adige, che registra un reddito pro capite di 37.665 euro e, contemporaneamente, la Calabria che si ferma a 15.807 euro;
    si registrano dati allarmanti sul fronte dell'occupazione in particolare per giovani e donne. Nel 2014, il numero degli occupati nel Mezzogiorno si è fermato a quota 5,8 milioni, segnando il livello più basso almeno dal 1977, anno da cui sono disponibili le serie storiche dell'Istat. Per quanto riguarda l'occupazione femminile, secondo lo studio «al Sud lavora solo una giovane su cinque». Le donne, infatti, continuano a lavorare poco: «nel 2014 a fronte di un tasso di occupazione femminile medio del 64 per cento registrato in Europa in età 35-64 anni, il Mezzogiorno è fermo al 35,6 per cento»;
    il capitolo «giovani e lavoro» mostra una frattura senza paragoni in Europa: il Sud negli anni 2008-2014 perde 622 mila posti di lavoro tra gli under 34. Particolarmente colpiti i più giovani: gli under 24 nel 2014 registrano un tasso di disoccupazione del 35,5 per cento nel Centro-Nord e quasi del 56 per cento al Sud;
    sette anni di recessione sono stati inevitabilmente segnati, oltre che dalla crisi occupazionale di giovani e donne, da crescenti fenomeni di esclusione sociale. Tale divario ha determinato negli anni Duemila la ripresa dei flussi di emigrazione, prevalentemente tra i giovani;
    in deciso ribasso anche la capacità produttiva; rispetto ai livelli pre-crisi il Sud ha perso oltre il 30 per cento, contro il -17 per cento del Centro-Nord e il -5 per cento della media della Ue. In questo quadro pesa decisamente il crollo delle agevolazioni concesse alle imprese private: dal 2008 al 2013 sono scese al Centro-Nord del -17 per cento, passando da 3,2 a 2,6 miliardi di euro, mentre al Sud sono sprofondate del 76 per cento, passando da 5,5 a 1,3 miliardi di euro. Le agevolazioni alle imprese del Mezzogiorno sul totale nazionale si sono quindi dimezzate: erano il 63,5 per cento nel 2008, sono diventate il 33,2 per cento nel 2013;
    nel 2015 le prospettive non migliorano, con particolare riferimento al divario con il resto del Paese, che non diminuisce. L'indicatore dell'occupazione è lievemente in crescita, ma si tratta comunque di un dato su cui hanno influito le nuove disposizioni del Jobs act, che di fatto ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo rappresentano un «imbroglio»: ci sono state solo trasformazioni di contratti esistenti in contratti a tutele crescenti, agevolati dagli sgravi contributivi su cui hanno potuto contare i datori di lavoro. Nonostante questo, il dato dei primi nove mesi del 2015 relativo agli occupati nelle regioni meridionali, non ha superato la soglia psicologica dei sei milioni, arrestandosi a 5 milioni e 970 mila;
    va rilevato che il Mezzogiorno ha contribuito in maniera fondamentale alla copertura finanziaria delle risorse stanziate per gli sgravi contributivi che hanno agevolato le assunzioni in tutta Italia. Per recuperare i 3,5 miliardi di euro necessari a coprire lo sgravio contributivo per le assunzioni a tempo indeterminato per il periodo 2015-2018, come previsto dalla legge di stabilità del 2015, il Governo ha infatti dato mandato all'Agenzia di coesione territoriale di «prelevare» le risorse, non ancora oggetto di impegni giuridicamente vincolanti alla data del 31 dicembre 2014, dai Piani di azione coesione i cui interventi sono concentrati prioritariamente nelle quattro Regioni dell'area convergenza dei fondi strutturali (Calabria, Campania, Sicilia e Puglia);
    ora, dei ben 2.928 milioni di euro recuperati, dei quali 2.228 milioni di euro dai piani di azione coesione a titolarità delle regioni e 700 milioni dai programmi ministeriali, il Meridione ha contribuito con risorse per il 98,7 per cento mentre, per le assunzioni incentivate, le realtà regionali del Sud si fermano alla soglia del 31 per cento. È infatti il Centro-nord a utilizzare maggiormente le risorse per lo sgravio contributivo: ben 794 mila assunzioni incentivate nel 2015, pari al 69 per cento, a fronte dei 364 mila rapporti di lavoro registrati al Sud; quello della copertura finanziaria della decontribuzione è stato un vero e proprio «scippo» a danno del Mezzogiorno, a fronte del quale non vi è stato un significativo «ritorno» di risorse;
    l'indicatore degli investimenti continua, anche per il 2015, a far segnare valori negativi. Come negli anni scorsi, dunque, sono i bassi investimenti a condizionare le prospettive di ripresa del Sud. Dal picco del 2007, infatti, gli investimenti fissi lordi sono calati di oltre 34 miliardi di euro, toccando nel 2014 il valore minimo di 55 miliardi. Particolarmente forti i cali dell'industria e delle costruzioni, dimezzati dal 2000 a oggi. Decrementi ingenti fanno registrare anche gli investimenti pubblici. Al netto delle partite finanziarie, tra il 2009 ed il 2013, la spesa in conto capitale della pubblica amministrazione si è ridotta di oltre 5 miliardi di euro, ben al di sotto dei valori del 2000. La flessione dell'attività produttiva è stata quindi molto più profonda nel Mezzogiorno, con effetti negativi che appaiono ormai strutturali e spiegano la maggiore difficoltà di crescita e la minore capacità di ancorarsi alla ripresa internazionale. La crisi ha depauperato le risorse del Mezzogiorno e il suo potenziale produttivo: la forte riduzione degli investimenti ha diminuito la sua capacità industriale, che, non venendo rinnovata, ha perso ulteriormente in competitività; la riattivazione degli investimenti, privati e pubblici si conferma insomma come la chiave della possibile ripartenza, soprattutto al Sud, dove di più si sono ridotti;
    in questo scenario, lo Svimez ha già avvertito che «il Sud è ormai a forte rischio di desertificazione industriale, con la conseguenza che l'assenza di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire all'area meridionale di agganciare la possibile ripresa e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente»;
    il quadro delineato pone in evidenza i problemi, le forti insufficienze, i ritardi e le specificità che affliggono il Mezzogiorno d'Italia;
    la cosa, purtroppo, non sorprende, anche a fronte della consapevolezza dell'immobilismo del Governo Renzi, che, sin dal suo insediamento, non ha mai inserito il tema del Mezzogiorno tra le priorità della sua agenda, non comprendendo che, senza crescita del Sud, non c’è crescita del Paese; anzi, l'Esecutivo in carica ne ha addirittura ostacolato lo sviluppo, depauperandolo e utilizzando i fondi spettanti alle regioni del Sud come «bancomat» per finanziare tutt'altro;
    il Governo ha infatti decurtato il cofinanziamento nazionale ai fondi comunitari per le tre grandi regioni del Sud che sono in fondo alla classifica per capacità di spesa: Campania, Calabria e Sicilia, portandolo dal 50 per cento al 26 per cento per il periodo 2014-2020. Come già argomentato, l'Esecutivo ha inoltre impegnato 3,5 miliardi del fondo di coesione per finanziare la defiscalizzazione del Jobs Act;
    il Governo ha deciso altresì di non procedere al rifinanziamento delle misure contenute nel decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185, che ha previsto incentivi per l'autoimprenditorialità e l'autoimpiego, al fine di favorire lo sviluppo di una nuova imprenditorialità nelle aree economicamente svantaggiate del Paese; il rifinanziamento si rendeva necessario proprio perché tale strumento è diventato negli ultimi anni il principale strumento di sostegno alla realizzazione e all'avvio di piccole attività imprenditoriali da parte di disoccupati o persone in cerca di prima occupazione, perlopiù giovani e donne, ma l'Esecutivo, nonostante i diversi solleciti, ha scelto deliberatamente di non proseguire un percorso virtuoso, in grado di favorire l'ampliamento della base produttiva e occupazionale;
    nonostante gli annunci immediatamente successivi alla diffusione degli allarmanti dati Svimez, e ipotetici master plan presentati dall'Esecutivo con tanto di hastag #zerochiacchiere, la legge di stabilità 2016 approvata dalla maggioranza non prevede alcun progetto di rilancio dell'area del Mezzogiorno del Paese: le misure previste risultano inidonee e carenti, e gli interventi destinati alla ripresa degli investimenti privati nelle regioni meridionali si limitano ad un credito di imposta di 600 milioni di euro (finanziato con risorse già attribuite al Sud), e ad una promessa di misure per la decontribuzione (esonero sempre al 40 per cento dei contributi) sulle assunzioni del 2017;
    da parte del Governo, quindi, si tratta ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo solo di un palliativo inutile e incapace di innescare un processo virtuoso di ripresa, totalmente inadeguato a sostenere il quanto mai necessario rilancio degli investimenti, e, quindi, la crescita di reddito capace di generare gettito;
    il Governo ha infatti rinunciato persino alla decontribuzione rafforzata per il Mezzogiorno, reclamata da più parti, utile sicuramente a stimolare adeguatamente le scelte di investimento delle imprese;
    per il momento, l'onere di sostenere la crescita economica al Sud resta quindi soprattutto sulle spalle della politica di coesione e dei fondi strutturali europei, i cui interventi della programmazione 2014-20 stanno ora prendendo il via. È fondamentale che queste risorse vengano utilizzate tempestivamente per far fronte ad emergenze reali. Anche su questo punto, il Governo si è mostrato carente, in particolare nel coordinamento della destinazione dei fondi 2007-2013; in particolare dopo il passaggio di Graziano Delrio, da sottosegretario alla Presidenza del Consiglio a Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Premier ha avocato a sé la delega per la gestione dei fondi comunitari, determinando di fatto un vuoto di guida su una tematica così importante e delicata, che si è trovata priva di un responsabile politico governativo in grado di catalizzare i fondi dell'Unione europea sulle priorità del Mezzogiorno, anche attraverso l'efficientamento dell'Agenzia per la coesione territoriale;
    contrariamente al luogo comune corrente, la spesa pubblica pro capite della Pubblica amministrazione nel Mezzogiorno è più bassa del 20 per cento (2.934 euro in meno) rispetto al resto del paese; del 25 per cento (per circa 4.900 euro) se si considera il settore pubblico allargato (Ferrovie, Anas, Enel ed altro); contrariamente ad un altro luogo comune, i dipendenti pubblici nel Sud (diminuiti di 130 mila unità tra il 2000 e il 2013) sono il 5 per cento della popolazione residente, esattamente nella media nazionale. Il lavoro pubblico rappresenta però il 19 per cento dell'occupazione complessiva contro il 14 per cento del Centro-nord. Il problema, dunque, non è nella ipertrofica dimensione dell'impiego pubblico, quanto nella limitata estensione di quello privato: la risposta è quindi nello sviluppo dell'impresa privata, nella crescita di reddito capace di generare gettito;
    sviluppo dell'impresa privata significa innanzitutto tutela delle imprese che già operano nel Mezzogiorno; significa rafforzare gli impianti produttivi esistenti adottando ogni opportuna iniziativa in grado di aumentarne la capacità competitiva. È fondamentale dunque avviare un piano straordinario per le imprese, in grado di metterle nelle condizioni di operare correttamente: il piano dovrà necessariamente comprendere iniziative volte a rafforzare i presidi di legalità nel Mezzogiorno, ad assicurare servizi, mobilità, accesso al credito;
    il tema centrale dell'emergenza non è solo di tipo economico, ma anche di natura sociale e culturale: l'approccio alle politiche per il Mezzogiorno deve essere a 360 gradi; gli investimenti da redistribuire in particolare nell'area meridionale del Paese riguardano necessariamente anche il capitale sociale;
    è evidente tra l'altro come all'interno della questione meridionale generale e del gap economico e sociale creatosi tra nord e sud esista una questione che investe anche il sistema universitario e che rischia di trasformarsi rapidamente in un danno incalcolabile per il Meridione: le università meridionali, infatti, hanno perso 45.000 immatricolati negli ultimi 10 anni, mentre il Centro-Nord, dopo un'iniziale perdita, ha superato la crisi di immatricolazioni. Le università del Sud riescono a «trattenere» poco più del 60 per cento dei diplomati meridionali, nel mentre pochissimi studenti del Centro-Nord si immatricolano nelle università del Sud. Il sistema universitario del centro-nord, invece, oltre ai diplomati locali riesce ad attrarre altri 2 diplomati su 10 provenienti dal sud;
    questo fenomeno non può essere semplicisticamente motivato dall'attrazione «intellettuale» esercitata dalle grandi università o città del Nord. In realtà, un motivo rilevante – e inadeguatamente valutato – è rappresentato dalle scarse risorse del diritto allo studio e dall'iniqua distribuzione delle stesse. Di recente, su tale argomento, non sono mancati gli interventi degli studenti, dei docenti, della CRUI, degli enti del diritto allo studio. Tuttavia, la cifra messa in campo dal Governo (circa 160 milioni di euro) non è aumentata. Sulle scarsissime risorse messe in campo dalle Regioni, tra loro molto differenti, si discute poco, ma ancora meno si discute sull'iniquo meccanismo di distribuzione dei fondi statali alle regioni. Infatti la ripartizione dei fondi è paradossalmente basata sulla ricchezza delle regioni: di fatto, le regioni che riescono a dare un maggiore numero di borse di studio, perché più ricche, ottengono di più dallo Stato, mentre quelle più povere ottengono di meno. Tale distribuzione di risorse attiva un circolo vizioso per il quale sempre più risorse vanno al Nord e sempre meno al Sud;
    altro allarme che riveste il Mezzogiorno, riguarda il tema delle reti infrastrutturali dei trasporti, la cui carenza ricopre, ormai da diverso tempo, caratteri emergenziali e di precarietà, provocando notevoli disagi ai cittadini e all'intera economia del Sud;
    l'area del Mezzogiorno presenta innanzitutto bassissimi livelli di connettività ferroviaria al suo interno, in termini sia di estensione della rete, sia di velocità commerciale. La competitività del trasporto ferroviario delle merci è bassa e necessita di interventi di riequilibrio, mentre sul lato dei servizi di trasporto ferroviari passeggeri sono bassi i livelli di qualità percepita, a causa di scarsa accessibilità e carenza di servizi. Per non parlare dell'assenza di collegamenti ad alta velocità, oggetto di annunci che non hanno ancora avuto seguito;
    la rete stradale si presenta come particolarmente congestionata, anche a causa dei continui lavori mai terminati, e necessita di una riduzione dei flussi; considerando che il trasporto aereo è previsto in crescita esponenziale nei prossimi anni, occorre altresì un efficientamento della capacità aeroportuale di gestione dello spazio aereo;
    tali servizi rivestono un interesse strategico e di cruciale importanza non solo sul piano della garanzia del diritto fondamentale alla mobilità dei cittadini, ma anche per lo sviluppo dell'economia dell'intero paese, nonché per la forte vocazione turistica del Mezzogiorno che, soprattutto nei periodi estivi, riscontra un consistente afflusso di visitatori;
    è assolutamente necessario intervenire per innalzare il livello di competitività del sistema attraverso il potenziamento delle infrastrutture e attrezzature portuali e interportuali, incluso il loro adeguamento ai migliori standard ambientali, energetici e operativi; anche in tal senso, il Governo si è mostrato ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo assolutamente carente nei propri interventi: nulla è stato fatto per colmare il gap infrastrutturale del Sud attraverso investimenti specifici;
    tantomeno si investe in tema di giustizia, su cui il Sud, particolarmente colpito dai fenomeni di criminalità organizzata, soffre una carenza di organico degli uffici giudiziari che non può più essere in alcun modo sottovalutata; a titolo di esempio, basta citare la direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, che ha competenza su quattro delle cinque province della Calabria, e su sette circondari, rappresentando il terzo distretto italiano, e che registra la presenza di soli sei magistrati. Un presidio che dovrebbe vigilare su una situazione di criminalità che ha assunto rilievo nazionale per la sua pericolosità, tanto di radicamento nel territorio regionale quanto di collegamento ed estensione nell'intero territorio nazionale e transnazionale, non consente neanche la copertura minima dell'assegnazione di un magistrato per circondario;
    sul fronte ambientale, la scarsa attenzione mostrata dall'Esecutivo, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo troppo concentrato a promuovere se stesso con interventi da spot elettorale che si rivelano inconsistenti ed inefficaci alla prova dei fatti, ha raggiunto l'apice con la vicenda della Terra dei Fuochi, su cui il Governo preferisce investire sullo smaltimento delle ecoballe, continuando ad ignorare il vero problema della zona, che va affrontato partendo dalla bonifica del sottosuolo, inquinato dallo sversamento di rifiuti tossici;
    anche sul fronte sanitario, il Governo continua ad affrontare le questioni con un approccio sbagliato: la ripartizione del fondo sanitario nazionale dovrebbe essere calcolata con attenzione particolare alla popolazione residente, ai tassi di mortalità della popolazione, ai bisogni sanitari ed agli indicatori epidemiologici territoriali rispetto a particolari situazioni legate ai territori; oggi tutto questo non avviene, e la quota spettante alle regioni si determina solo in base alla frequenza dei consumi sanitari per età e per sesso. Un calcolo che, come appare subito evidente, premia i territori che contano nella propria popolazione il maggior numero di anziani, e che conseguentemente penalizza le regioni meridionali;
    dato il quadro e dati alla mano, è evidente come il Mezzogiorno abbia pagato il prezzo più alto della crisi: non solo non si può permettere di perdere le risorse ad esso destinate, ma dovrebbe ricevere di più in termini di piani strategici e di interventi straordinari. Più in generale, non basta concentrare l'attenzione sui fondi strutturali. Certo, è utile individuare procedure innovative, per concentrarne in modo strategico l'utilizzo, per velocizzarne la spesa, in maniera che questi non vengano restituiti, come troppo spesso è accaduto nel corso degli anni passati. Ma i fondi strutturali dell'Unione europea sono risorse aggiuntive che non devono essere considerate risorse ordinarie, come invece per troppi anni è stato fatto nel nostro Paese;
    è evidente però come non si stia affatto andando in questa direzione. La quota degli investimenti nel bilancio dello Stato diminuisce costantemente. Aumenta soltanto la spesa corrente, nonostante la spending review, e la parte di investimenti per il Sud è ancora più bassa;
    l'Italia è praticamente spaccata in due, per gli investimenti, la crescita, il reddito pro capite, l'occupazione e il lavoro. È necessario agire concretamente con interventi immediati, implementando una serie di azioni volte a risollevare il Mezzogiorno dalla situazione drammatica in cui scivola anno dopo anno,

impegna il Governo:

   a promuovere ogni opportuna iniziativa finalizzata al rilancio economico e sociale del Mezzogiorno d'Italia e, in particolare:
    a) ad adottare ogni iniziativa per una negoziazione a livello europeo volta ad applicare nel Mezzogiorno un regime di fiscalità di vantaggio, sulla scia di quanto già disposto per le Azzorre, per Madeira e per le isole Canarie, avviando nelle quattro regioni obiettivo convergenza, in particolare nelle aree in cui insistono autorità portuali, la costituzione di zone franche di fiscalità di vantaggio in cui applicare, attraverso l'utilizzo dei fondi europei, un taglio lineare di IRES e IRAP per un ciclo di programmazione, dando vita ad un processo di aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico utilizzando le deroghe vigenti nei Trattati dell'Unione europea sugli aiuti di Stato, nelle «regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione»;
    b) ad attivarsi a livello europeo per negoziare la possibilità di un diverso utilizzo delle risorse assegnate per la formazione professionale, introducendo l'opportunità di finanziare direttamente voucher formativi con le imprese, volti a percorsi di apprendistato;
    c) ad assumere iniziative per compensare il ridimensionamento delle quote di cofinanziamento dei fondi strutturali nell'ambito dei programmi operativi regionali del Mezzogiorno, e prevedere adeguate risorse aumentando la spesa in conto capitale ordinaria dello Stato in favore delle aree territoriali che rientrano nel «piano di convergenza», al fine di sostenere l'economia meridionale e il capitale sociale dell'area, i servizi di pubblica utilità e alla persona, la messa in sicurezza dei territori;
    d) ad adottare ogni iniziativa volta a rafforzare l'attività e la capacità competitiva degli impianti produttivi che già operano nel Mezzogiorno, attraverso il potenziamento dei presidi di legalità, l'implementazione di interventi mirati a colmare il gap infrastrutturale e di servizi, nonché misure specifiche volte a garantire l'accesso al credito, sostenendo altresì politiche di decontribuzione rafforzata, in particolare per le nuove imprese che decidono di investire nella zona creando conseguentemente sviluppo e posti di lavoro;
    e) ad intervenire per riqualificare la spesa ordinaria dello Stato, inclusa quella dei grandi asset pubblici, che rappresenta quasi il 95 per cento della spesa pubblica nelle regioni del Mezzogiorno, per migliorarne qualità ed efficienza;
    f) ad adottare opportune iniziative volte a sostenere il diritto allo studio negli atenei meridionali, per evitare che il depauperamento delle università del Sud accentui ancora di più il divario nel Paese;
    g) ad assumere iniziative per prevedere il rifinanziamento delle misure contenute nel decreto legislativo n. 185 del 2000, riguardanti le attività di auto impiego ed auto imprenditorialità citate in premessa, che i dati statistici e la realtà del Paese considerano validi strumenti d'incentivazione alle imprese e allo sviluppo occupazionale, in particolare nelle aree particolarmente svantaggiate;
    h) ad avviare quanto prima un grande piano per lo sviluppo delle reti infrastrutturali del Mezzogiorno, volto ad estendere e potenziare, anche attraverso lo sviluppo della rete ad alta velocità, la rete ferroviaria meridionale, favorire l'intermodalità per le merci, efficientare le infrastrutture portuali e aeroportuali esistenti, potenziare la rete stradale, e, in particolare, ripristinare una situazione di normalità in quelle arterie stradali attualmente interessate da lavori di manutenzione e/o messa in sicurezza, consentendo ad automobilisti e trasportatori di poter circolare regolarmente;
    i) ad adottare ogni opportuna iniziativa al fine di razionalizzare e finalizzare in maniera corretta i fondi europei, e ad individuare, nel quadro di un ampio confronto con le regioni e le amministrazioni del Mezzogiorno, le opportune soluzioni, anche di carattere normativo, volte ad assicurare il tempestivo utilizzo delle risorse dei fondi strutturali, facendo ricorso, ove necessario, all'esercizio del potere sostitutivo nei confronti delle amministrazioni che si dovessero rivelare inadempienti;
    l) a prevedere in tempi rapidi iniziative volte a potenziare l'attività di coordinamento delle politiche per la coesione territoriale, superando la cronica incapacità nell'imprimere una svolta decisiva nella qualità della spesa dei fondi europei, con evidenti ripercussioni sullo sviluppo nelle aree sottoutilizzate del Mezzogiorno;
    m) ad intervenire con misure che garantiscano la massima tutela dei livelli essenziali e di fabbisogno di assistenza in ambito sanitario, e nei servizi sociali in tutte le regioni del Mezzogiorno.
(1-01115) «Carfagna, Prestigiacomo, Occhiuto, Russo, Catanoso, Luigi Cesaro, De Girolamo, Fabrizio Di Stefano, Riccardo Gallo, Giammanco, Gullo, Nizzi, Petrenga, Rotondi, Santelli, Sarro, Elvira Savino, Sisto, Vella».

Risoluzioni in Commissione:


   La IV Commissione,
   premesso che:
    la gestione delle servitù militari e dei relativi indennizzi necessita un adeguamento nelle procedure in relazione alle continue modificazioni del numero dei proprietari dei rispettivi immobili e alla conseguente parcellizzazione della proprietà;
    un'amministrazione efficiente ha il dovere di semplificare gli adempimenti da parte dei cittadini, eventualmente anche ricorrendo all'uso delle moderne tecnologie informatiche in sostituzione della documentazione cartacea;
    il progressivo frazionamento della proprietà immobiliare in contesti rurali, quali quelli dove più facilmente insistono le servitù militari, comporta una eccessiva onerosità degli adempimenti necessari all'ottenimento dell'indennizzo;
    in molti casi l'esiguità delle corresponsioni annuali, molto spesso al di sotto della soglia minima di pagamento (10,00 euro), unita all'onerosità delle procedure che supera tale soglia minima, ha rappresentato un fattore di scoraggiamento per gli aventi diritto, nella presentazione della domanda di indennizzo,

impegna il Governo

   ad assumere le iniziative necessarie affinché:
    a) la domanda di indennizzo possa essere considerata «in continuità», salvo trasferimenti di proprietà, così come avviene per gli enti pubblici;
    b) possa essere presentata agli uffici competenti in «carta semplice» ovvero esente da imposta di bollo;
    c) la medesima domanda possa essere inviata in formato elettronico, ovvero con posta elettronica certificata PEC;
    d) per gli indennizzi inferiori a euro 10,00 annui si possa concentrare il pagamento a saldo alla scadenza dei cinque anni, ovvero alla scadenza della durata prevista per la servitù militare.
(7-00890) «Zanin, Bolognesi, Paola Boldrini, Fusilli, Lacquaniti, Stumpo».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    il settore dell'allevamento dei suini sta vivendo un periodo di grande difficoltà in questi ultimi anni con continue chiusure di allevamenti;
    il valore della produzione suinicola è stata superiore ai 2 miliardi di euro e nell'anno 2014 l’export di salumi ha raggiunto un valore di circa 1,2 miliardi di euro, con un bilancio attivo di circa 1 miliardo di euro;
    in Italia, nel 2014, sono stati allevati, macellati circa 8.700.000 suini e di questi sono stati certificati 7.930.000 suini del circuito Dop. Abbiamo assistito anche ad una contrazione della consistenza delle scrofe attive nel circuito tutelato, dovuta anche al rispetto e all'adeguamento delle normative europee in materia di protezione e benessere animale introdotte dalla direttiva 2008/120/Ce;
    ad un aumento complessivo dei capi macellati, ad un peso vivo superiore a 160 chilogrammi, ha corrisposto un andamento in controtendenza delle macellazioni di suini pesanti certificati per la produzione dei salumi Dop. Infatti, le macellazioni dei Dop sono diminuite del 3 per cento;
    nel 2014 si sono certificate Dop 11.600.000 cosce, destinate alle diverse Dop prosciutti (Parma, San Daniele, Toscano, Modena, Veneto e altro) e la presenza dei due principali prosciutti Dop Parma e San Daniele ha consentito che la filiera zootecnica suinicola abbia avuto un ruolo di rilevo economico a livello nazionale. Infatti, da oltre 30 anni, attraverso i loro consorzi di tutela, i produttori in questione organizzano, sostengono e valorizzano (anche in termini economici) tutto un sistema di imprese che sottende alla cosiddetta filiera nazionale suinicola, con circa 4000 allevamenti, circa 70 macelli e circa 200 prosciuttifici (distribuiti nei due distretti friulano ed emiliano). Il valore della produzione di cosce Dop fresche è stato di 1,3 miliardi di euro, su oltre 2 miliardi in valore totale nel 2014;
    risulta evidente la rilevanza economica e numerica della filiera Dop, e quindi del rigore organizzativo ed economico, con cui essa deve essere amministrata e gestita. Per questo motivo, la presenza di suini, prodotti nel circuito delle Dop, che non sono conformi nel peso, stanno causando una perdita di valore economico da parte degli allevatori in quanto sono animali in deroga o che non possono essere valorizzati economicamente pienamente. Inoltre, il prosciutto Dop arriva a coprire più del 50 per cento dell'intera carcassa suina macella, consentendo di valorizzare quasi interamente la carne suina. Pertanto, le restanti parti e tagli del suino non contribuiscono ad aggiungere un valore economico alla carcassa macella e di conseguenza anche agli stessi allevatori;
    le norme introdotte per il benessere animale hanno determinato un ulteriore costo aggiuntivo agli allevatori senza averne un ritorno economico e anche una diminuzione dei capi allevati;
    l'istituzione della commissione unica nazionale (CUN) suini non sta dando i risultati attesi; ultimamente, il prezzo viene fissato in modo unilaterale da parte degli allevatori e non viene poi rispettato, soprattutto da parte dei macellatori e dei trasformatori,

impegna il Governo:

   a dare piena attuazione al cosiddetto decreto-legge «Campo Libero» per quanto attiene alla consulenza aziendale nelle aziende agricole, in quanto la consulenza agronomica e veterinaria deve essere strumento per consentire agli allevatori dei suini di migliorare le proprie produzioni, valorizzare gli investimenti, aumentare le produzioni, ridurre i costi di gestione;
   ad assumere altresì iniziative per migliorare la riproduzione delle scrofe, il contenimento della mortalità neonatale dei suinetti, garantire il loro accrescimento secondo i disciplinari per evitare scarti, trattandosi di percorsi che devono essere messi in campo per ottimizzare le produzioni;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per migliorare la selezione genetica del suino pesante italiano, un elemento strategico per la filiera, per ottenere maggiore omogeneità del peso al macello trattandosi di caratteristiche morfologiche e organolettiche tipiche solo del suino pesante italiano, in quanto la presenza di cosce che non rientrano nei parametri dei disciplinari Dop alimenta un circuito di prosciutti «non Dop» che sono motivo di concorrenza stessa alla Dop e comportano un prezzo inferiore pagato agli allevatori di suini;
   ad assumere iniziative volte ad individuare uno strumento che possa arrivare alla determinazione del prezzo, su una base di reale richiesta ed offerta da parte del mercato, prevedendo un'esatta quantificazione delle produzioni di carne suina effettive e delle reali richieste, considerato che, sarebbe opportuno arrivare a queste determinazioni supportati dalla rilevazione dei prezzi su una base consistente di volume trattati e non solo su un numero di operatori insufficienti;
   ad assumere iniziative per valorizzare, nei mercati internazionali, i prodotti trasformati da carni suine, come ad esempio i prosciutti cotti, crudi e altri salumi che provengono da Dop, come esempio di qualità delle produzioni italiane e grande capacità di trasformazione in prodotti alimentari;
    a ricercare tutti i percorsi che consentano di valorizzare anche i tagli differenti dai prosciutti nella filiera delle Dop, poiché, se anche i prosciutti cotti, pancette, salumi e mortadelle acquistano un valore aggiunto come prodotti provenienti da una filiera Dop o inseriti come Igp, il valore finale della carcassa dei suini è maggiore e gli stessi allevatori possono beneficiare di un prezzo finale della carne suina, in quanto tutta la carcassa ha un valore maggiore;
   ad assumere iniziative per promuovere anche una filiera suinicola che non si basi solamente sul «suino pesante italiano» e che offra al consumatore dei tagli, salumi, insaccati o prosciutti di qualità provenienti da allevamenti italiani e trasformati in Italia;
   a proseguire l'azione di contrasto ai focolai di infezione di peste suina africana e di malattia vescicolare ancora presenti in Italia per consentire una maggiore facilità di esportazione dei prosciutti crudi, cotti, salumi, pancette e mortadelle nei Paesi che attualmente ci hanno posto un vincolo sanitario, considerato che, in questi ultimi mesi, sono stati superati alcuni vincoli sanitari con gli USA per l'esportazione di carne suina italiana, ma vanno affrontate e risolte anche altre controversie con altri Paesi poiché questo consentirebbe di aprire nuovi mercati per la carne suina italiana.
(7-00891) «Cova, Zanin, Luciano Agostini, Capozzolo, Carra, Mongiello, Taricco, Terrosi, Venittelli».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano «Il Foglio» è stato pubblicato un messaggio a pagamento a tutta pagina dell'armatore italiano Vincenzo Onorato. Il messaggio si intitola «Stop alle esenzioni fiscali agli armatori» ed è indirizzato al Governo italiano al fine di rivedere il sistema di esenzioni fiscali in vigore per gli armatori italiani;
   il messaggio dell'armatore Onorato fa riferimento alla richiesta fatta al Governo da Emanuele Grimaldi, in qualità di presidente di Confitarma, di estendere i privilegi fiscali esistenti per gli armatori italiani anche alle loro imbarcazioni che non battono bandiera italiana ma di altri Paesi dell'Unione europea;
   Onorato spiega nel suo messaggio che le imbarcazioni che battono bandiere di altri paesi comunitari possono imbarcare anche marinai extracomunitari, che normalmente vengono pagati meno di quelli italiani e comunitari; inoltre, estendere anche a quelle imbarcazioni le esenzioni fiscali significherebbe, secondo Onorato, fendere più difficile la posizione di quegli armatori le cui imbarcazioni battono bandiera italiana e che quindi adoperano personale comunitario a un costo maggiore;
   lo Stato italiano mette a disposizione degli armatori con bandiera italiana un plafond che consente uno sgravio notevole sull'Irpef del personale di bordo;
   a dire di Confitarma, l'Unione europea sosterrebbe che questa facilitazione non può più essere a beneficio delle sole compagnie italiane, ma va allargata a tutte quelle comunitarie;
   l'armatore Onorato e l'interrogante contestano e non condividono la proposta del presidente di Confitarma che, tanto per essere precisi, imbarca sul proprio naviglio battente bandiera nazionale il 40 per cento di marittimi italiani e sul proprio naviglio battente altre bandiere solo il 10 per cento di marinai italiani;
   innanzitutto, con più operatori marittimi e con lo stesso plafond, la percentuale degli sgravi fiscali disponibili si ridurrebbe;
   la proposta di Confitarma, in ogni caso, non è accettabile secondo l'interrogante, in quanto l'agevolazione fiscale andrebbe a beneficio di quelle compagnie comunitarie che non hanno bandiera italiana e che assumono personale non italiano, o comunitario, ma extracomunitario;
   secondo Onorato e a giudizio dell'interrogante, Confitarma starebbe chiedendo l'estensione degli sgravi fiscali per favorire le attività private del suo presidente che impiega sulle sue imbarcazioni con bandiera non italiana un gran numero di lavoratori extracomunitari;
   l'estensione degli sgravi fiscali chiesti e voluti da Confitarma porterebbero, secondo quanto sostiene Onorato nella sua lettera al quotidiano «Il Foglio», alla perdita di 15 mila posti di lavoro di marinai italiani. Molte compagnie che impiegano personale italiano si troverebbero a scegliere tra la loro sostituzione con personale extracomunitario, meno costoso e la chiusura dell'attività;
   a giudizio dell'armatore Onorato e dell'interrogante bisognerebbe abolire tutti i privilegi fiscali a quelle navi battenti bandiera nazionale che imbarcano marittimi extracomunitari per collegamenti intra-comunitari e confermare gli stessi privilegi fiscali a quegli armatori e a quelle imbarcazioni, italiane o comunitarie, che, per le rotte intra-comunitarie imbarchino marittimi italiani o comunitari –:
   quali iniziative di competenza intendono assumere i Ministri interrogati per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-11783)


   SCOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni 11, 12 e 13 settembre 2015 e successivamente il 3 gennaio 2016 nel comune di Forio (in provincia di Napoli) è stato rappresentato lo spettacolo «Scarium»;
   tale spettacolo consisteva in una visita guidata teatralizzata di una determinata zona di Forio;
   parte di questo spettacolo era incentrata sulla figura di Rachele Guidi Mussolini, che lì visse confinata dal 1945 al 1957 in quanto responsabile di alcune delle più grandi scelleratezze politiche del periodo fascista;
   la moglie di Benito Mussolini, infatti, ammise più volte in vita di aver partecipato attivamente a tutte le più rilevanti decisioni del marito, rendendosi dunque altrettanto colpevole di tutte quelle gravi macchie che il fascismo ha lasciato sulla storia del nostro Paese;
   ciononostante, in «Scarium» ella viene rappresentata acriticamente e benevolmente come una donna sofferente per l'avversa sorte della sua vita, senza che le sue responsabilità ideologiche e politiche emergano mai in alcun modo;
   si vogliono ingenerare, così, immeritati sentimenti di benevolenza e tenerezza nei confronti di una vera e propria protagonista silenziosa di alcuni dei più gravi avvenimenti che hanno colpito il nostro Paese nella tragedia del fascismo e della Seconda guerra mondiale;
   la rappresentazione teatrale di personaggi ed eventi storici così decontestualizzati può generare un'intollerabile infedeltà ed incompletezza dei fatti narrati, ancor più intollerabile quando ci si riferisce a fenomeni gravi come il fascismo ed il nazismo;
   la rappresentazione di Rachele Guidi Mussolini potrebbe configurare una apologia del fascismo proposta a centinaia di persone che, non avendo vissuto quel periodo drammatico della storia italiana, possono essere fuorviati nel giudizio;
   ancor più grave è il fatto che la rappresentazione in questione avesse il patrocinio del comune di Forio, della regione Campania e dell'Unione europea;
   in relazione alla rappresentazione, è stato presentato un esposto al Ministero dell'interno, al prefetto e al questore di Napoli –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere in ordine alla segnalazione di cui in premessa e quali azioni ritenga di promuovere per offrire all'opinione pubblica una corretta ricostruzione dei fatti storici sopra riportati. (4-11784)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interpellanze:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   da notizie uscite su vari organi di informazione si è appreso che la rete televisiva francese Canal plus trasmetterà il 25 gennaio 2016 un documentario dal titolo «Il disastro di Ustica: un errore francese ?», firmato dal giornalista francese, Emmanuel Ostian;
   l'inchiesta rilancia l'ipotesi secondo la quale l'abbattimento del DC 9 nella notte del 27 giugno 1980 sarebbe avvenuto, come sostenuto anche dall'ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, ad opera di alcuni aerei da caccia dell'aviazione francese, avvalorando questa tesi con testimonianze di militari in servizio all'epoca che smentirebbero almeno due delle affermazioni rese al tempo dalle autorità di Parigi;
   dal documentario, infatti, risulterebbe innanzitutto falsa la dichiarazione resa dalle autorità francesi in merito alle presunta chiusura della base militare di Solenzara, in Corsica, a partire dalle 17.00 del pomeriggio del 27 giugno 1980, ossia ben quattro ore prima che il Dc9 precipitasse; secondo quanto dichiarato infatti da militari presenti nella base, vi sarebbe invece stata una intensa attività al suo interno fino a tarda sera, con «decine di aerei» decollati dalla Corsica, mentre il DC 9 di Itavia era in volo tra Bologna e Palermo;
   l'inchiesta televisiva smentirebbe altresì l'affermazione resa dalle autorità francesi che «nessuna portaerei era in mare il giorno della tragedia»; secondo la ricostruzione degli autori del programma in mare vi sarebbe stata invece la portaerei «Foch», come risulterebbe da documenti inediti che certificherebbero l'attività della nave il 27 giugno del 1980;
   trascorsi più di trentacinque anni dalla tragedia di Ustica, è un documentario francese a riproporre la ricostruzione, da molto tempo ormai chiara, secondo la quale le 81 vittime di quella strage, di cui ben 13 bambini, furono in realtà una sorta di «danno collaterale» di un'operazione militare in corso, nella quale i caccia francesi intendevano abbattere un Mig libico che stava seguendo da vicino il DC9 e lanciando un missile avrebbero colpito per errore l'aereo di linea Itavia;
   tuttavia, la Francia ha continuato a mantenere una sorta di segreto di Stato sui fatti avvenuti quella sera e le rogatorie internazionali avanzate più volte dei magistrati italiani non hanno ottenuto risposta –:
   quali iniziative urgenti, anche sul piano politico-diplomatico, i Ministri interpellati intendano adottare al fine di ottenere, anche sulla scorta delle nuove rivelazioni e conferme rese dall'inchiesta francese, un quadro finalmente chiaro di quanto realmente avvenne la notte del 27 giugno 1980 sopra i cieli di Ustica, restituendo così, sia pur con trentacinque anni di ritardo, almeno una parte di verità ai familiari delle vittime di quella tragedia.
(2-01233) «Verini, De Maria, Bolognesi, Fabbri, Lenzi, Zampa».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:
   in data 20 gennaio 2015 il Consiglio dei ministri ha nominato Carlo Calenda capo della Rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea al posto dell'ambasciatore Stefano Sannino conseguentemente nominato Capo della Rappresentanza diplomatica a Madrid;
   Carlo Calenda, vice ministro allo sviluppo economico all'atto della nomina, è la prima persona che viene nominata a capo di una missione diplomatica così importante dal dopoguerra ed è la prima volta in assoluto che la «politica» occupa un posto di ambasciatore;
   fermo restando la legittimità della scelta sul profilo normativo e procedurale, suscita perplessità la nomina di un «politico» in un posto così delicato;
   alla luce di questa scelta non è chiaro agli interpellanti se sia intenzione del Governo sposare il «modello Usa» che prevede la nomina di ambasciatori «politici», un'eventualità certamente possibile anche in Italia, eppure senza precedenti negli ultimi 60 anni, oppure se sia in corso un conflitto con il corpo diplomatico e se quindi questo non sia ritenuto all'altezza dei compiti assegnatigli –:
   se la nomina di un «politico» come Carlo Calenda ad una missione diplomatica rappresenti un fatto isolato e in particolare quali siano le ragioni della scelta;
   se il Governo intenda proseguire su questa linea che prevede la nomina di ambasciatori cosiddetti «politici»;
   se esista un conflitto con il corpo diplomatico e se quindi questo sia ritenuto dal Governo all'altezza dei compiti assegnatigli.
(2-01235) «Palazzotto, Scotto».

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI, PASTORINO e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa si apprende che «Tra i 28 Paesi dell'Unione europea l'Italia è quello con il più alto numero di morti premature rispetto alla normale aspettativa di vita a causa dell'inquinamento dell'aria». Un rapporto dell'Agenzia europea dell'ambiente (Aea) attesta che la Penisola nel solo 2012 ha registrato 84.400 decessi causati dall'inquinamento atmosferico, su un totale di 491 mila a livello dell'Unione europea. Secondo l'Aea, è questo tipo di inquinamento ad essere il principale fattore di rischio ambientale per la salute in Europa;
   il decreto legislativo n. 152 del 2006 (meglio noto come «codice ambientale») entrato in vigore dieci anni fa, all'articolo 273 – recependo una direttiva europea – pone dei limiti precisi alle emissioni dei «grandi impianti di combustione» (centrali di produzione dell'energia con una capacità superiore ai 50 megawatt), responsabili principali delle emissioni degli agenti inquinanti dell'atmosfera. In base alla norma tali impianti entro il 1o gennaio del 2016 avrebbero dovuto adeguare gli impianti alle prescrizioni imposte dal codice ambientale rispettando i limiti di emissione;
   il 23 dicembre 2015, il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto-legge n. 210 (Milleproroghe 2016), che tra le altre cose, di fatto ha prorogato fino al 1o gennaio 2017 il termine per l'adeguamento dei livelli emissivi, per i grandi impianti di combustibili. La norma recita «Il termine del 1o gennaio 2016, di cui al comma 3, è prorogato al 1o gennaio 2017 per i grandi impianti di combustione per i quali sono state regolarmente presentate istanze di deroga ai sensi dei commi 4 o 5. Sino alla definitiva pronuncia dell'Autorità Competente in merito all'istanza, e comunque non oltre il 1o gennaio 2017, le relative autorizzazioni continuano a costituire titolo all'esercizio a condizione che il gestore rispetti anche le condizioni aggiuntive indicate nelle istanze di deroga». Il «codice dell'ambiente» pur concedendo alle grandi centrali un paio d'anni per mettersi in regola, individuava una serie di deroghe, che andavano concertate con «l'autorità competente», ossia l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Nello specifico il decreto «Milleproroghe», in attesa che Ispra decida sui livelli di emissioni di queste grandi centrali – vuoi per ritardi suoi, vuoi per incompletezza della documentazione allegata – concede la deroga di un anno a tutti gli impianti che ne hanno fatto richiesta entro il 31 dicembre, cioè un giorno dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto e addirittura otto giorni dopo l'approvazione in Consiglio dei ministri;
   da fonti stampa (Askanews, 30 dicembre 2015) si apprende che «Per la mancata riduzione dello smog, e in particolare delle polveri sottili nelle maggiori città italiane, la Commissione europea è pronta a passare alla seconda fase della procedura d'infrazione comunitaria (il «parere motivato»), che potrebbe portare poi a un ricorso alla Corte europea di Giustizia, con la richiesta di condannare l'Italia a pagare una sanzione forfettaria da 1 miliardo di euro, più sanzioni pecuniarie aggiuntive proporzionali alla durata ulteriore delle violazioni alla direttiva sulla qualità dell'aria» –:
   se il Ministro interrogato, in quanto soggetto vigilante e responsabile dell'attività dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), non reputi doveroso attivarsi affinché l'ente delinei in maniera puntuale e dettagliata tali livelli di emissioni per le grandi centrali, e per tanto se sia in grado di stabilire entro quale data l'Istituto redigerà tali parametri;
   se il Ministro interrogato, in quanto soggetto istituzionale preposto alla salvaguardia e alla tutela ambientale, a fronte di quanto riportato in premessa, non reputi doveroso attivare le iniziative di competenza per garantire il rispetto dei limiti emissivi previsti dalla norma europea e nazionale, evitando il ricorso a pericolose deroghe;
   cosa intenda fare il Ministro interrogato, per quanto di competenza, alla luce di una possibile duplice messa in mora dell'Italia in relazione alle procedure di infrazione relative al mancato rispetto della direttiva 2008/50/CE. (4-11779)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   FURNARI. – Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. – Per sapere – premesso che:
   il 19 gennaio 2016, nel corso della riunione congiunta delle Commissioni cultura di Camera e Senato, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo ha esposto il progetto di completamento della riorganizzazione del Ministero e dei beni e delle attività culturali e del turismo presentato, nei giorni precedenti, alle parti sociali e al Consiglio superiore dei beni culturali;
   il titolare del dicastero si è soffermato sulla riorganizzazione delle soprintendenze sottolineando come: «il ministero viene ridisegnato a livello territoriale per rafforzare i presidi di tutela e semplificare il rapporto tra cittadini e amministrazione. Le nuove soprintendenze parleranno con voce unica a cittadini e imprese riducendo tempi e costi burocratici. La riorganizzazione prosegue nella strada di valorizzazione del patrimonio»;
   in altre parole, il nuovo assetto prevede la creazione delle «soprintendenze archeologia, belle arti e paesaggio» e, a detta del Ministro, la nuova articolazione territoriale realizzerebbe una distribuzione dei presidi più equilibrata ed efficiente pensata tenendo conto del numero di abitanti, della consistenza del patrimonio culturale e della dimensione dei territori;
   la notizia dell'accorpamento delle soprintendenze ha però suscitato polemiche e forti reazioni soprattutto a Taranto dove, la notizia dell'accorpamento non è stata accolta con favore. Sarà, infatti, il capoluogo salentino, e non quello ionico, ad ospitare la terza soprintendenza pugliese, con Foggia e Bari;
   tal caso la collettività ha sollevato l'obiezione che la soprintendenza archeologica della Puglia ha sede a Taranto sin dalla sua nascita, lavora da sempre in costante sinergia con il museo archeologico nazionale, il MarTa, e, infine, ospita gli archivi in cui sono conservati i documenti di tutti gli scavi effettuati sul suolo regionale negli ultimi 50 anni. Sembra dunque che in tal caso non si sia tenuto per nulla conto delle motivazioni che possono aver ispirato la riforma;
   è pur vero, osservano i tarantini che Lecce, con il suo territorio ha un maggior numero di abitanti, una più forte concentrazione di monumenti storici e architettonici e una più vasta estensione territoriale ma, in un sol colpo sembra che si voglia cancellare una parte di storia di questo territorio dove, per prima la cultura è stata tutelata –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato abbia intenzione di porre in essere al fine di rivedere la riorganizzazione territoriale delle soprintendenze della regione Puglia, con particolare riferimento alla sede di Taranto che rappresenta, per l'intera nazione, un'istituzione culturale con una storia antichissima, che comincia alla fine dell'Ottocento con l'arrivo a Taranto di famosi archeologi e straordinari funzionari il cui lavoro è culminato con la creazione del museo archeologico ed una particolare attenzione all'archeologia della città. (4-11786)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VITO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'ondata di maltempo che colpì l'Ovest Ticino il 14 maggio 2015, il campo allestito in tutta fretta nella caserma Babini di Bellinzago Novarese per ospitare gli alpini friulani dell'ottavo reggimento di Cividale e Venzone, mandati in Lombardia per occuparsi della sicurezza all'Expo di Milano, fu completamente devastato dall'acqua, che invase le tende e danneggiò gli effetti personali, gli zaini, le scarpe, la biancheria e le divise dei militari ivi alloggiati;
   per ottenere un chiarimento sulla sistemazione dei militari l'interrogante ha presentato un atto di sindacato ispettivo (n. 5-05755), al quale in data 11 giugno 2015 il Governo ha dato risposta affermando tra l'altro che: «l'emergenza è stata affrontata dal personale dell'Esercito con immediatezza, ripristinando le iniziali condizioni e prevedendo la sostituzione delle tende resesi inefficienti, con priorità a quelle destinate alla componente alloggiativi»;
   anche per effetto della presentazione della citata interrogazione, ai militari impegnati nei compiti di sorveglianza presso l'EXPO è stata assicurata nei mesi successivi una migliore sistemazione, come preannunciato dal Governo nella risposta allo stesso atto di sindacato ispettivo;
   una delegazione della Commissione difesa, guidata dallo stesso interrogante, si è recata in missione a Milano, il 27 luglio 2015, visitando tra l'altro alcune delle caserme nelle quali erano stati sistemati, in parte in tende, i militari dislocati in città per la sicurezza di Expo 2015, per verificare in modo diretto le loro condizioni di alloggiamento;
   risulta all'interrogante che i militari che denunciarono la situazione di disagio siano stati successivamente sottoposti a procedimenti disciplinari riconducibili alla loro denuncia –:
   se tale notizia corrisponda al vero e quali iniziative il Ministro interrogato intenda mettere in atto al fine di impedire l'ingiusta punizione di chi ha avuto il coraggio di denunciare le conseguenze dell'invio affrettato di personale militare per la sicurezza dell'EXPO. (5-07495)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   la azienda sanitaria locale di Nuoro è al momento gestita da un commissario straordinario, nominato con delibera della giunta regionale n. 51/2 del 20 dicembre 2014;
   a detto commissario, con la medesima delibera è stato assegnato l'obiettivo specifico di «valutare i costi e le eventuali criticità del Contratto di Concessione relativo alla progettazione, costruzione e gestione dei lavori di ristrutturazione e completamento mediante project financing, con particolare riferimento al costo dei servizi oggetto dell'atto aggiuntivo n. 2 approvato dalla Asl di Nuoro con deliberazioni n. 293 del 4 marzo 2013 e n. 1824 del 19 dicembre 2013, definizione dei relativi margini di risparmio e adozione delle azioni conseguenti»;
   su tale contratto di concessione è in corso, e sarebbe in via di conclusione, una specifica istruttoria dell'Anac (Autorità nazionale anticorruzione);
   la stessa Anac, nelle linee guida sulla finanza di progetto, approvate con determinazione n. 10 del 23 settembre 2015, al paragrafo 3.1, pagina 8, precisa quanto segue: «(...) Si richiama, pertanto, l'attenzione delle stazioni appaltanti ad una corretta valutazione della ricorrenza, nelle singole fattispecie, delle condizioni e dei presupposti che caratterizzano il contratto di concessione; distinguendolo dal differente strumento contrattuale dell'appalto. Una corretta qualificazione giuridica dell'operazione posta in essere è, infatti, presupposto indispensabile per la corretta individuazione della disciplina giuridica e contabile da applicare. A tale riguardo, si richiamano le conseguenze in punto di responsabilità amministrativa e contabile per gli eventuali maggiori costi sopportati dall'amministrazione a causa di un utilizzo improprio dei Contratti di Ppp e del PF. In particolare, giova sottolineare come il giudice amministrativo abbia sancito la nullità per illiceità della causa, ai sensi dell'articolo 1344 del codice civile (“contratto in frode alla legge”), di un contratto di concessione nel quale non erano stati osservati i precetti comunitari nella distribuzione dei rischi (v. Tar Sardegna, sentenza 10 marzo 2011, n. 213). Sotto il profilo della responsabilità amministrativo-contabile la Corte dei Conti ha più volte evidenziato come sia necessario accertare che il contratto da concludere abbia le caratteristiche proprie del Ppp con utilizzo di risorse private ai sensi del comma 15-ter dell'articolo 3 del Codice e non rappresenti, invece, un meccanismo elusivo del divieto di indebitamento dell'Ente sia per precedenti violazioni del patto di stabilità che per mancato rispetto dei parametri ex articolo 204 TUEL (v. ex multis Corte dei Conti, Sez. Reg. Contr Veneto, 2 settembre 2011,. n. 352/2011/par, in tema di leasing immobiliare)»;
   il passaggio sopra richiamato riguarda la situazione della asl di Nuoro ed il contratto di concessione ricordato;
   il commissario straordinario, nel perseguimento dell'obiettivo assegnatogli, ed in ciò affiancato, dal mese di aprile 2015 da un nuovo direttore amministrativo, ha avviato una certosina azione di verifica che ha portato a mettere in luce i numerosi vizi di legittimità, nonché l'antieconomicità, sia dell'atto aggiuntivo n. 2, sia del contratto originario;
   grazie anche alla collaborazione attivata con l'UTFP (unità tecnica per la finanza di progetto) ed in piena collaborazione con le altre autorità interessate, il commissario straordinario ha ottenuto di recente un puntuale ed articolato parere da parte della citata unità tecnica, che nel contempo ha effettuato un'attenta analisi dei PEF (piani economico-finanziari), che conferma le criticità già rilevate dalla gestione commissariale;
   il commissario ha, quindi, proceduto, con deliberazione n. 1679 del 28 dicembre 2015, ad avviare il procedimento di annullamento dell'atto aggiuntivo n. 2, nonché ad una fase di revisione, giuridica ed economica, del contratto originario, nei limiti di quanto consentito dalla legge e nell'ottica di una corretta riallocazione dei rischi a carico del concessionario, e ciò al fine di garantire l'interesse pubblico al completamento delle opere di valenza strategica per la sanità nuorese;
   in tale scenario, nel quale la direzione aziendale sta operando in una situazione di particolare delicatezza e complessità, si assiste ad un operato del collegio sindacale della Asl di Nuoro che non appare in linea con l'azione della direzione; infatti, anziché concentrarsi sulle proprie funzioni, con modalità irrituali ed anomale, e basandosi anche su lettere anonime tutte finalizzate a destabilizzare la direzione aziendale nel suo complesso, il succitato collegio sindacale di fatto tende a mettere in discussione l'azione della direzione, creando una inevitabile turbativa nella difficile azione che la stessa sta portando avanti, con particolare riferimento al contratto di project financing;
   si ricorda che ai sensi dell'articolo 3-ter del decreto legislativo n. 502 del 1992 (riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), un collegio sindacale, dura in carica tre anni ed è composto da cinque componenti, di cui due nominati dalla regione, uno designato dal Ministro dell'economia e delle finanze, uno dal Ministro della salute, e uno dalla Conferenza dei sindaci;
   il collegio sindacale, ai sensi del primo comma dell'articolo 3-ter del citato decreto legislativo n. 502 del 1992, ha, tra l'altro i compiti di verificare l'amministrazione dell'azienda sotto il profilo economico e di vigilare sull'osservanza della legge;
   risulta evidente, a giudizio degli interpellanti in considerazione di quanto finora emerso, con riferimento al contratto di project financing, ed in particolare con riferimento all'atto aggiuntivo n. 2, approvato nel 2013 e stipulato nel mese di gennaio 2014, che nessuna delle principali funzioni attribuite dalla legge al collegio sindacale sia stata adeguatamente svolta, in quanto se fossero stati garantiti un'adeguata vigilanza e controllo, sia sotto il profilo della legittimità agli atti, che sotto il profilo economico, l'azienda non avrebbe avuto i danni economici che stanno, invece, emergendo ed ai quali, faticosamente, la dirigenza aziendale sta oggi ponendo rimedio con atti concreti di natura stragiudiziale, assumendosi una responsabilità amministrativa e patrimoniale per sopperire a quello che risulta agli interpellanti essere stato un inesistente sistema di controlli interni, che è venuto a mancare nell'ambito della asl di Nuoro proprio a causa dell'attività del collegio sindacale ancora operante: infatti, nessun concreto contributo risulta agli interpellanti essere stato fornito dal collegio sindacale al commissario; ad esempio, laddove questo, di, propria iniziativa, ha deciso di applicare l'iva al 10 per cento, e non al 22 per cento come preteso, il collegio ha espresso parere contrario alla delibera del commissario sul canone integrativo di disponibilità relativo alle opere ricomprese nel project financing, venendo, quindi, meno, a parere degli interpellanti, alla propria funzione di organo garante della legittimità ed economicità dell'azione aziendale;
   per contro, tale collegio, fin dall'insediamento del commissario straordinario, ha posto in essere, a quanto consta all'interrogante, comportamenti non collaborativi nei confronti dello stesso, sia contestandone con motivazioni infondate l'imprescindibile ricorso a legali esperti della materia, sia con il tentativo, già ricordato, di mettere in discussione la dirigenza aziendale, nei confronti della quale ha operato, con numerose azioni, sulla base di segnalazioni anonime e non, che, a giudizio degli interpellanti, sono state di rilevante gravità, tanto che la stessa si è vista costretta a ricorrere, a propria tutela, all'autorità giudiziari;
   nel momento in cui la giunta regionale ha incaricato un commissario straordinario della gestione della asl di Nuoro, nella consapevolezza di una situazione che presentava elementi di criticità per profili di illegittimità ed antieconomicità di atti posti in essere in virtù del ricordato contratto di concessione, sarebbe stato necessario intervenire, a parere degli interpellanti, anche nei confronti del collegio sindacale, data l'evidente situazione di potenziale, se non addirittura effettivo, conflitto di interessi che viene a determinarsi per un collegio che si trova oggi ad ingerire in atti che hanno invece lo scopo di ripristinare legittimità ed economicità nell'ambito aziendale –:
   quali iniziative di competenza intendano intraprendere i Ministri interpellanti, di concerto con gli altri soggetti interessati, ed in particolare con la regione Sardegna, per affrontare concretamente una situazione critica quale è quella descritta in premessa determinatasi a causa dell'atteggiamento che risulta agli interpellanti evidentemente ostruzionistico, per non dire di peggio, del collegio sindacale della, asl di Nuoro, in modo da favorire, in una fase delicatissima quale è quella attuale, che vede impegnato il commissario straordinario, l'azione di revisione del project financing della asl di Nuoro, operando altresì affinché si ponga fine, sempre per quanto di competenza, anche all'azione di turbativa che deriva dai comportamenti assunti dal collegio nei confronti della dirigenza aziendale, che ha attuato un'azione di risanamento economico e di ripristino della legalità, garantendo, al contempo, per quanto di propria competenza, il supporto all'azione del commissario da parte di figure di esperti che ne coadiuvino l'azione di risanamento.
(2-01236) «Capelli, Dellai».

Interrogazione a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo pubblicato il 21 gennaio 2016, sul quotidiano: la Repubblica, l'evasione fiscale nel nostro Paese ha raggiunto la cifra complessiva pari a circa 120 miliardi di euro all'anno, fra imposte e contributi;
   secondo i dati forniti dall'ultimo Documento di economia e finanza, l'evasione delle quattro maggiori imposte: Iva, Irpef, Ires e Irap, nel 2013, era intorno ai 91 miliardi di euro a cui occorre aggiungere l'evasione contributiva, senza considerare l'evasione dell'IMU, stimata secondo il Governo in 5,5 miliardi di euro;
   al riguardo, il richiamo, effettuato ai più alti livelli istituzionali, circa la necessità di contrastare l'evasione fiscale e la denuncia di «ambiguità» culturali e politiche sul tema da parte della direttrice dell'Agenzia delle entrate, hanno portato l'attenzione a livello parlamentare su un fenomeno che resta allarmante e che, a giudizio dell'interrogante, occorre porre all'attenzione dell'azione del Governo e del Ministro interrogato, in maniera più rigorosa, rispetto alle misure scarsamente incisive attualmente adottate;
   l'articolo di stampa suindicato, evidenzia a tal fine, l'intervento di Confindustria, che recentemente, ha ribadito come se solo metà delle risorse che mancano all'appello del fisco fossero impiegate per ridurre le tasse, il Pil crescerebbe del 3,1 per cento e ci sarebbero 335 mila occupati in più;
   la spinta in avanti, che ci può consentire di uscire dall’impasse ideologica, riporta ancora l'articolo della « Repubblica», può avvenire grazie al sostegno dei mezzi tecnologici peraltro già esistenti: l'Anagrafe tributaria, ad esempio, è ormai piuttosto forte, al pari dell'algoritmo britannico « connect» che dall'estate del 2015 dispone delle giacenze medie di tutti i conti correnti e ogni movimento sospetto fa scattare una maggiore attenzione;
   questo meccanismo, insieme a strumenti come il redditometro, potrebbero consentire di monitorare incongruenze critiche tra quanto dichiarato, quanto posseduto e tenore di vita;
   la possibilità di obbligare ogni operatore economico a trasmettere via internet le fatture emesse all'Agenzia delle entrate, che a sua volta le trasmetterà al cliente per riscontrarne la veridicità, potrebbe rappresentare, secondo quanto risulta dal medesimo articolo, una svolta nel contrasto all'evasione che renderebbe più complicato ogni tentativo di non pagare le tasse;
   al riguardo, a parere dell'interrogante, lo strumento degli studi di settore, andrebbe riconsiderato, rivedendo i coefficienti del redditometro, che resta lo strumento più equo per combattere l'elusione e l'evasione fiscale;
   un'ulteriore necessità di riconsiderare gli studi di settore deriverebbe, a giudizio dell'interrogante, dall'effettiva mancanza di una reale fotografia del quadro dei ricavi, nonché dall'esigenza del ripensamento del modello, oggi costruito su medie matematiche, mentre nel passato era costruito, invece, sulla base del diretto controllo delle realtà territoriali;
   un'ulteriore criticità segnalata per tutti gli studi di settore riguarda la riproposizione dell'indice di «copertura del costo dei beni di terzi e degli ammortamenti», che determina forti anomalie anche sotto il profilo della coerenza; il sistema attuale determina la qualificazione dei soggetti tra quelli non coerenti e, quindi, esclusi da eventuali benefici del «sistema premiale»;
   in definitiva, a parere dell'interrogante, il sistema degli studi di settore è un sistema già culturalmente inaccettabile in partenza, atteso che pone in capo all'amministrazione finanziaria, sulla base di parametri statistici e di algoritmi, la determinazione preventiva e induttiva della capacità reddituale della singola attività economica, indipendentemente, quindi, dalle migliaia di circostanze soggettive e circoscritte a quell'ambito, a quel territorio, a quel settore merceologico, a quel tipo di attività che viene indagata, condizionando la determinazione del reddito induttivamente presunto dallo Stato ad un onere della prova che grava a carico dell'interessato –:
   quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se non convenga sulla necessità di rivedere l'applicazione del metodo degli studi di settore, che aggrava l'attività della piccola impresa, del lavoratore autonomo e del professionista, rappresentando oggi uno strumento inefficace rispetto a quando questo sistema è stato introdotto e che, a parere dell'interrogante, si è rivelato assolutamente controproducente, anche per la presunta necessità dello Stato di alimentare le proprie casse, in una stagione congiunturale di crisi economica che la nostra economia sta attraversando;
   se ritenga urgente ed opportuno assumere iniziative volte a dare immediata e compiuta risposta alle criticità esposte in premessa, attivando un tavolo di confronto, come richiesto dalle associazioni delle imprese e dagli ordini professionali. (4-11787)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GINEFRA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'11 gennaio 2016, nel cortile del carcere di Bari, si è verificata una maxi rissa che ha visto coinvolti due boss della criminalità organizzata insieme ai rispettivi seguaci;
   in base a quanto si è potuto apprendere, i due gruppi si sarebbero affrontati a colpi di lamette. A fronteggiarsi, da un lato Giuseppe Misceo, suo figlio Paolo, il fedelissimo Emanuele Grimaldi e altre due persone, dall'altro Leonardo Campana le (capo del clan che controlla il quartiere barese di San Girolamo) e Alessandro Ruta. La contesa si è quindi allargata a una trentina di persone che si sarebbero sfidate a suon di calci e pugni. Ad avere la peggio è stato Ruta, che ha riportato un profondo taglio alla gola, per cui è stato necessario un intervento nel reparto di chirurgia estetica al Policlinico. Ferito ad una guancia Campanale, mentre Misceo, dall'altra parte, ha riportato un taglio alla mano;
   la rissa sarebbe scoppiata quando l'unico poliziotto penitenziario che aveva accompagnato i detenuti nel cortile per le due ore di passeggio stava tornando indietro per spostare gli altri reclusi. Lente sarebbe riuscito a dividere i litiganti;
   le telecamere di videosorveglianza interne all'istituto, secondo quanto denunciato dal sindacato di polizia penitenziaria, sarebbero rotte da tempo;
   il sindacato di polizia penitenziaria ha manifestato il proprio disagio, affermando che l'episodio sarebbe potuto sfociare in un «bagno di sangue»;
   sull'accaduto starebbe indagando la direzione distrettuale antimafia;
   secondo i pareri e le ricostruzioni di alcuni analisti, questo episodio sarebbe uno dei sintomi che i preesistenti equilibri tra i clan cittadini sarebbero ormai incrinati;
   il tutto è avvenuto in coincidenza con la scarcerazione e il rientro a Bari, dopo due anni di reclusione, di Savino Parisi, quello che è stato sempre considerato il capoclan più influente del capoluogo pugliese;
   gli organi di informazione hanno così delineato il contesto a partire dal quale avrebbe avuto origine tale scontro: «Lorenzo Caldarola, da qualche tempo a questa parte, starebbe facendo incetta di giovani rimasti orfani di capi perché arrestati o uccisi al quartier San Paolo, dove prima comandavano Giuseppe Misceo legato al clan Montani, Arcangelo Telegrafo e il suo “luogotente” Alessandro Ruta, tutti detenuti, in affari con gli Strisciuglio. Il San Paolo, dunque, come terra di reclutamento. Forse è qui che si deve cercare per comprendere le cause della maxi rissa a colpi di lamette avvenuta lunedì nel cortile del carcere di Bari»;
   a seguito di questi episodi e della conseguente denuncia fatta dal sindacato di polizia penitenziaria, venerdì 15 gennaio 2016, l'interrogante ha ritenuto di visitare l'istituto penitenziario barese;
   in tale occasione, ho potuto riscontrare una situazione nella quale gli operatori, a partire dalla direttrice della casa circondariale, la dottoressa Lidia De Leonardis, sono costretti a lavorare in presenza di una significativa carenza di organico, in un'infrastruttura ubicata nel centro cittadino e circondata da civili abitazioni, le cui terrazze condominiali sarebbero spesso utilizzate per il tentativo di «lanci» di oggetti e materiale vario, ivi comprese sostanze stupefacenti;
   il complesso include un'unica sezione, la «seconda», oggetto di «recente» ristrutturazione e dotata di un sistema di video-sorveglianza funzionante: tale sezione, dopo poco tempo dalle fine dei lavori, si presenta però con pavimentazioni rotte e con un sistema di riscaldamento dell'acqua parzialmente funzionante;
   nell'istituto penitenziario si riscontra una significativa presenza di ospiti con problemi psichiatrici, mentre altre strutture sono pericolanti, il parco mezzi è vetusto e  la sezione femminile è fortemente ridimensionata nella sua capienza per l'inagibilità delle celle ubicate ai piani superiori, laddove quelle considerate agibili non sembrerebbero essere dotate degli standard previsti dalle direttive comunitarie;
   durante il sopracitato sopralluogo, in via informale, l'interrogante ha potuto apprendere che sono ricorrenti i casi di esplosione dei fuochi d'artificio nei pressi dell'istituto penitenziario, per celebrare i compleanni dei detenuti o per festeggiare la loro scarcerazione, che non vi è alcun sistema di videoconferenza idoneo ad evitare le traduzioni in (Procura dei detenuti per i processi (con la conseguenza che si rende necessario l'attraversamento dell'intera città di mezzi blindati) ed infine che il sistema di videosorveglianza perimetrale, al pari di quello del maggior numero delle sezioni, sarebbe non ben funzionante o addirittura rotto;
   quest'ultima circostanza non aiuterebbe gli agenti penitenziari nella vigilanza finalizzata ad impedire l'accesso illecito, effettuato anche con l'ausilio di strumenti tecnologicamente avanzati (come i droni) di messaggi, sostanze e – potenzialmente – armi –:
   se sia stato informato degli episodi descritti in premessa;
   se corrispondano al vero le denunce dei sindacati di polizia penitenziaria e le indiscrezioni acquisite durante la visita, a partire dalle carenze di organico, dei gravi problemi di agibilità e di rispetto delle direttiva in materia di diritti dei detenuti, dal mancato o parziale funzionamento del sistema di videosorveglianza e dalla opportunità di dotare gli istituti penitenziari italiani di sistemi anti-drone;
   se non ritenga che, nell'ambito una strategia di efficientamento e di modernizzazione degli istituti penitenziari, a maggior ragione in città come Bari e Milano dove i penitenziari sono ubicati in pieno centro cittadino e su aree di enorme pregio e interesse immobiliare, sia opportuno promuovere programmi tesi a realizzare permute, con la relativa costruzione di carceri più moderne e corrispondenti alle diverse esigenze penitenziarie;
   se, a tal fine, non intenda prendere in considerazione l'ipotesi di promuovere programmi di edilizia giudiziaria, con annessa edilizia carceraria, seguendo l'esempio del bando con il quale nel 2003 il comune di Bari avviò una ricerca di mercato che prevedeva appunto l'adiacenza e la diretta connessione tra aule penali e carcere. (5-07498)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il livello di inquinamento ha raggiunto dei livelli preoccupanti nelle grandi città italiane, rappresentando ormai una vera e propria emergenza ambientale;
   è fondamentale intervenire con azioni mirate volte al miglioramento della qualità dell'aria ed al contrasto all'inquinamento atmosferico locale;
   per contrastare questo grave problema è importante incentivare il trasporto su ferro, attraverso un importante piano di investimenti per il potenziamento della rete ferroviaria e tranviaria, e dei relativi mezzi di trasporto, nell'area delle città metropolitane e nelle regioni con i livelli più alti di inquinamento;
   in questo quadro, diventa ancora più urgente accelerare il progetto di estensione della metropolitana 5 di Milano da Bignami per sei chilometri fino alle fermate di Monza passando per Sesto San Giovanni e Cinisello Balsamo –:
   se non ritenga fondamentale concentrare le azioni di Governo su progetti infrastrutturali volti a migliorare la qualità dell'aria e a contrastare l'inquinamento atmosferico locale, come quello relativo all'estensione della metropolitana 5 di Milano;
   quale sia lo stato dei lavori progettuali per i lavori di estensione della metropolitana 5 di Milano e quali siano le tempistiche previste per l'attuazione del programma. (4-11778)


   MINARDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri ha approvato, in via preliminare, il 20 gennaio 2016 il testo di un decreto legislativo per il riordino delle autorità portuali che vengono ridotte da 24 a 15. Le autorità portuali si chiameranno autorità di sistema portuale (Adsp);
   il porto di Pozzallo è il maggiore porto della provincia di Ragusa e fra i più importanti della Sicilia, nonché sede della capitaneria di porto;
   Il porto è cresciuto in questi anni in misura esponenziale. Infatti la struttura era stata progettata e costruita per movimentare fino ad un massimo di 700 tonnellate di merce. Oggi, invece, il dato è raddoppiato. Poco meno di un milione e 400 mila tonnellate di merce vi è transitata nel 2015 grazie alla posizione strategica nelle rotte marittime;
   il decreto legislativo suddetto dovrebbe prevedere l'istituzione dell'Adsp di Catania-Augusta. In considerazione del grande rilievo economico del porto di Pozzallo, come sopra detto, appare fondamentale anche per la regione siciliana, annettere il porto di Pozzallo all'autorità di sistema portuale di Catania-Ragusa –:
   quali iniziative normative intenda adottare, nell'ambito delle sue competenze, in considerazione del ruolo fondamentale di rilevanza economica che il porto di Pozzallo riveste per la provincia di Ragusa e per l'intera Sicilia, per fare in modo che lo stesso porto possa essere annesso all'Adsp di Catania-Augusta.
(4-11788)

INTERNO

Interrogazione a risposta scritta:


   PARENTELA, NESCI, DIENI, NUTI, LUIGI DI MAIO e DI BATTISTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Locri è stato oggetto, nell'anno 2008 e nell'anno 2012, di due distinte ispezione amministrativo-contabili operate dal servizio ispettivo del Ministero dell'economia e delle finanze; la seconda, in particolare, ha evidenziato una serie di atti amministrativi e, in complesso, un comportamento dell'amministrazione, non consoni ai principi della sana gestione amministrativa e finanziaria, tali, secondo l'ispettore, da comportare grave depauperamento delle casse dell'ente, nonché le condizioni per la dichiarazione dello stato, di dissesto finanziario. Con deliberazione adottata dal commissario prefettizio, con i poteri del consiglio comunale, – Reg. Gen. n. 7 del 11 dicembre 2012, avente ad oggetto: «approvazione del conto consuntivo dell'esercizio 2011 e suoi allegati», è stata, per giunta, conclamata e, quindi, deliberata la sussistenza di un disavanzo di amministrazione di euro –7.152.688,57;
   la succitata ispezione del 2012 si è conclusa con una relazione, nota come relazione «Cervellini» – dal nome del suo estensore materiale, le cui conclusioni sono le seguenti: «Da quanto riportato nel corso del lavoro, appare evidente che la gestione finanziaria dell'Ente presenta criticità sostanziali. Rimandando nello specifico a quanto detto nei capitoli dedicati all'argomento, si ribadisce la necessità di un più rigoroso rispetto della normativa giuscontabile, in materia di gestione del bilancio e dei vincoli di finanza pubblica. Particolarmente problematica risulta la gestione corrente di bilancio, fortemente squilibrata a causa di un livello di spesa corrente inconciliabile con le entrate correnti dell'Ente e aggravata dalla formazione di ingenti debiti fuori bilancio cui l'Ente medesimo non riesce a far fronte per carenza di liquidità. Tali squilibri, in assenza di interventi strutturali, non appaiono di facile superamento, tenuto conto anche della grave situazione di cassa, ormai insufficiente per onorare i debiti contratti. Anche le problematiche in materia di personale sono rilevanti, sia sotto il profilo della legittimità sia sotto il profilo quantitativo. La gestione dei rapporti di lavoro in favore dell'Ente, con particolare riferimento alle stabilizzazioni dei lavoratori socialmente utili e lavoratori di pubblica, utilità, presenta alcune irregolarità a causa della violazione dei vincoli di finanza pubblica che, in base alle rielaborazioni contabili effettuate, non sarebbero stati rispettati, contrariamente a quanto certificato dall'Ente. Sotto l'aspetto quantitativo (riferito alla non corretta applicazione di norme contrattuali), numerose sono state le liquidazioni disposte in favore del personale dipendente, non dovute. In conclusione, gli accertamenti ispettivi hanno evidenziato gravi irregolarità contabili, violazione dei vincoli finanza pubblica nonché squilibri strutturali del bilancio incompatibili con i principi di sana gestione finanziaria. Tale situazione richiede, pertanto, idonee e immediate misure correttive (ove possibile), al fine di evitare il dissesto, finanziario dell'Ente»;
   si evidenzia, altresì, che a seguito delle gravi irregolarità riscontrate, con nota del 12 settembre 2012, prot. 75288, il Ragioniere generale  dello Stato ha trasmesso e demandato alla procura regionale presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Calabria, alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la Calabria, alla procura generale della Corte dei conti, in Roma, oltre ai dipartimenti competenti del Ministero dell'interno, della regione Calabria – assessorato rapporti con le autonomie – ed alla prefettura di Reggio Calabria, le risultanze di alcune specifiche e ben individuate condotte amministrativo-contabili;
   il Consiglio comunale pro-tempore, ricevuta la relazione ispettiva, ha deliberato l'invio degli atti alla competente procura della Repubblica. Ad oggi, non si è a conoscenza se, dalle segnalazioni suddette, stante il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, siano state avviate e/o concluse le dovute azioni investigative, sia da parte della procura ordinaria, che da parte della procura della Corte dei conti né, stante la competenza specifica di vigilare sul rispetto delle leggi negli enti locali, attribuita dal testo unico degli enti locali alla prefettura, si è a conoscenza di specifiche azioni intraprese dalla prefettura di Reggio Calabria, cui, tuttavia, gli atti ispettivi e le varie deliberazioni della Corte dei conti, sono stati trasmessi per competenza, né, tanto meno, rivolta agli interroganti che siano state applicate al comune di Locri quelle sanzioni previste dalla legge in caso di violazioni di norme in materia contabile e di rispetto dei limiti di spesa;
   la prefettura di Reggio Calabria, secondo il disposto degli articoli 243 e seguenti del testo unico enti locali, per come deliberato anche dalla Corte dei conti, avrebbe già dovuto, secondo gli interroganti, almeno dal mese di febbraio 2015, intimare al comune di Locri la deliberazione della dichiarazione di dissesto finanziario o decretarne, in mancanza, lo scioglimento del consiglio comunale;
   attualmente, il comune di Locri, nonostante la Corte dei conti abbia dichiarato inammissibile il piano di riequilibrio approvato per scadenza dei termini di proposizione dello stesso, ha riproposto un nuovo piano di riequilibrio che è ancora al vaglio del Ministero dell'interno;
   il comune di Locri, secondo il disposto degli articoli 243 e seguenti del testo unico enti locali, avendo ricevuto una declaratoria di inammissibilità del piano di riequilibrio finanziario pluriennale, per mancato rispetto del termine di 60 giorni per la proposizione dello stesso e non, quindi, una bocciatura del piano nel merito, avrebbe dovuto ricevere, dal prefetto di Reggio Calabria, l'intimazione (rivolta al consiglio comunale), di deliberare il dissesto entro 20 giorni pena lo scioglimento del consiglio comunale Infatti, l’iter per la deliberazione della dichiarazione di dissesto finanziario da parte del consiglio comunale è stato avviato dalla Corte dei conti, con deliberazione n. 48/2012 e sospeso dall'adunanza plenaria della Corte dei conti con deliberazione n. 1/2013 (a seguito di delibera n. 310/2012 della Corte dei conti di Catanzaro). Orbene, per come stabilito dalla stessa adunanza plenaria con la citata deliberazione, detto iter avrebbe dovuto essere riattivato dalla prefettura di Reggio Calabria, cosa che non è stata fatta (recita la Corte dei conti: «La sospensione comporta che nei casi contemplati dal comma 7 dell'articolo 243-quater, nei quali è prevista la ripresa del procedimento ex articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 149/2012, non si rinnovano i passaggi procedimentali già definiti e la procedura riprende il suo corso»);
   a parere degli interroganti risulta del tutto singolare il comportamento tenuto dalla prefettura di Reggio Calabria che omette di adempiere ad un ben preciso obbligo di legge ed, ancor più strano, poi, è il comportamento tenuto dalla commissione ministeriale che valuta il piano di riequilibrio finanziario del comune di Locri la quale, ben consapevole dello stato dell'arte – ed in particolare della bocciatura del piano da parte della Corte dei conti, posta innanzi alla riproposizione da parte del comune di Locri nel maggio 2015 di un nuovo piano di riequilibrio – in luogo di dichiararne immediatamente la irricevibilità dello stesso, ha avviato ugualmente l’iter di esame con nota prot. n. 0172529 del 12 novembre 2015. Il fatto non è di poco conto se si considera che tutte le procedure esecutive intraprese dai creditori del comune di Locri rimangono per legge sospese dalla data di approvazione da parte del consiglio comunale del piano di riequilibrio fino alla pronuncia definitiva della Corte dei conti. In pratica, tutti i creditori dell'ente: privati, imprese, attività produttive in genere, dal 2012 non possono riscuotere i propri crediti oggetto di contenzioso, con grave pregiudizio economico;
   si fa presente che, come riportato anche nella «relazione Cervellini», in palese e reiterata violazione di legge, l'amministrazione comunale abbia assunto, sotto varie forme contrattuali, personale, senza che nessuno degli organi di vigilanza – revisore dei conti, in primis – segnalasse alcunché alle competenti autorità e/o organi;
   anomalie si riscontrano persino nei ruoli che ricopre il segretario comunale che risulta essere anche responsabile del settore AREA FINANZIARIA E TRIBUTI SERVIZIO FINANZIARIO, SERVIZIO ICI, SERVIZIO TARSU, SERVIZIO COMMERCIO — ATTIVITÀ PRODUTTIVE SPORTELLO UNICO — MERCATI, SERVIZIO IDRICO — R.O.L. RESPONSABILE ORGANIZZAZIONE LOCALE dell'ente, responsabile dell'anticorruzione e della trasparenza e, da due mesi, anche commissario di un ente morale (fondazione) «Istituto per l'Infanzia Abbandonata Vincenzo Scannapieco». Il segretario comunale si trova ad essere in posizione che a quanto consta agli interrogante presenterebbe elementi di incompatibilità essendo questi, controllore e controllato allo stesso tempo;
   l'articolo 141 del testo unico degli enti locali prevede che «I consigli comunali e provinciali vengono sciolti con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno: 1-a) per gravi e persistenti violazioni di legge; c-bis) nelle ipotesi in cui gli enti territoriali al di sopra dei mille abitanti siano sprovvisti dei relativi strumenti urbanistici generali e non adottino tali strumenti entro diciotto mesi dalla data di elezione degli organi. In questo caso, il decreto di scioglimento del consiglio è adottato su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti». Dall'esame della suddetta relazione e degli atti da essa richiamati e/o comunque, anche a seguito di apposita verifica ispettiva e/o di accesso, risulta evidente, a giudizio degli interroganti, che l'amministrazione del comune di Locri in carica abbia palesemente e sistematicamente posto in essere atti con cui sono state reiteratamente violati le leggi; così come emerge palese che ad oltre 18 mesi dall'insediamento della nuova amministrazione, non risulti essere stato approvato nessuno strumento urbanistico e neppure il piano spiaggia comunale –:
   quali iniziative urgenti, anche disciplinari, intenda assumere il Ministro dell'interno rispetto all'atteggiamento della prefettura di Reggio Calabria, innanzi a quelle che appaiano reiterate violazioni di legge e all'inadempienza rispetto all'obbligatoria intimazione del dissesto finanziario, di fatto imposto dalla Corte dei conti con delibera n. 48/2014 al comune di Locri;
   quali iniziative urgenti di competenza intenda assumere il Ministro dell'interno, rispetto al comportamento della commissione ministeriale che, al posto di dichiarare irricevibile il piano di riequilibrio finanziario pluriennale del comune di Locri, in virtù della bocciatura per inammissibilità dello stesso decretata dalla Corte dei conti, continua a consentire il perpetrarsi di tali attività amministrative, di dubbia legittimità avanzando all'ente richieste interlocutorie in luogo di pronunciarsi definitivamente come dovuto;
   se non ritenga di valutare con urgenza la sussistenza dei presupposti per assumere iniziative di competenza al fine di pervenire allo scioglimento del consiglio comunale di Locri per gravi e persistenti violazioni di legge, ai sensi dell'articolo 141 del testo unico degli enti locali. (4-11782)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   come fanno sapere, in una nota congiunta, Confagricoltura, Cia, Assoenologi, FederDoc, Alleanza delle Cooperative italiane, Federvini e Unione italiana vini, è stato avviato, presso le competenti istituzioni dell'Unione europea, il processo di revisione delle norme «unionali» che disciplinano l'etichettatura dei vini, finora contenute nel regolamento (CE) n. 607/2009;
    in preparazione di una proposta di regolamento in merito, la direzione generale agricoltura e sviluppo rurale (DG AGRI) della Commissione europea ha presentato delle opzioni di riforma, alcune delle quali hanno destato sin da subito grande preoccupazione;
   nello specifico, infatti, la Commissione ha ipotizzato di liberalizzare l'uso nell'etichettatura di tutti i vini, compresi quelli senza indicazione geografica, di quei nomi di varietà che oggi sono riservati — in virtù dell'articolo 100, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 1308/2013 e dell'allegato XV del regolamento (CE) n. 607/2009 – a determinate denominazioni d'origine protette (DOP) o indicazioni geografiche protette (IGP) di precisi Stati membri;
   se la Commissione decidesse di procedere secondo le ipotesi di liberalizzazione annunciate sarà possibile per un qualsiasi vino europeo riportare in etichetta nomi quali Nero dell'Etna, Grillo, Nero d'Avola, Aglianico, Barbera, Brachetto, Cortese, Fiano, Lambrusco, Greco, Nebbiolo, Picolit, Primitivo, Rossese, Sangiovese, Teroldego, Verdicchio, Vermentino o Vernaccia – solo per citarne alcuni – tutti termini che costituiscono secondo la legislazione vigente la parte integrante di rinomate DOP o IGP registrate già a partire dalla metà degli anni Settanta e che come tali andrebbero tutelate, anche contro fenomeni di concorrenza sleale tra gli stessi produttori europei;
   a giudizio dell'interpellante e delle associazioni succitate, ogni ipotesi di revisione dell'attuale quadro normativo di riferimento vada al di là delle competenze attribuite alla Commissione nel quadro del regolamento (UE) n. 1308/2013, rimettendo in discussione quel delicato equilibrio politico che era stato raggiunto in occasione della riforma dell'Organizzazione comune del mercato vino del 2008 –:
   quali utili ed idonee iniziative intenda adottare affinché le ipotesi di liberalizzazione non si trasformino in proposta di regolamento, pena un serio rischio di banalizzare alcune tra le più note DOP e IGP italiane e, con esse, gli sforzi e gli investimenti sostenuti negli anni dai produttori che hanno portato il settore vitivinicolo italiano ad essere uno dei compatti di punta del made in Italy nel mondo.
(2-01234) «Catanoso».

Interrogazione a risposta scritta:


   FAENZI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo forestale dello Stato, che ha svolto un ruolo storico strategico all'interno delle forze di polizia dello Stato, nell'ambito della tutela del patrimonio naturale e paesaggistico e della prevenzione e repressione dei reati in materia ambientale e agroalimentare, è stato soppresso dal recente provvedimento attuativo della riforma della pubblica amministrazione;
   al riguardo, la decisione di riorganizzare le funzioni di polizia, impegnate sul fronte agroambientale, attraverso l'istituzione del comando per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare all'interno dell'Arma dei carabinieri, tuttavia rischia, a giudizio dell'interrogante, di determinare un abbassamento della guardia sui reati ambientali, facendo perdere una specificità particolare per la tutela e il contrasto alle frodi agroalimentari, garantita, nel corso dei decenni, da oltre 8 mila operatori sull'intero territorio nazionale;
   a tal fine, la scelta di far confluire le competenze svolte dal Corpo forestale, all'interno dell'arma dei carabinieri, se da un lato può essere funzionale ad un risparmio economico ai danni dell'ambiente, dall'altro in realtà non sarebbe effettivo, in quanto secondo le associazioni ambientaliste e gli operatori del settori, rischia di essere controproducente, poiché i costi finanziari aumenterebbero a seguito degli interventi di spegnimento degli incendi e delle bonifiche;
   l'interrogante evidenzia, inoltre, l'intervento del procuratore nazionale antimafia, nel corso di un'audizione al Senato, nel novembre 2014, in cui è emersa la contrarietà alla soppressione del Corpo forestale dello Stato, in quanto verrebbe tolto all'autorità giudiziaria l'unico organismo investigativo in materia ambientale che dispone delle conoscenze, delle esperienze, del know-how e anche dei mezzi tecnici per poter smascherare i crimini ambientali;
   il magistrato, inoltre, ha aggiunto che sullo specifico tema dell'accorpamento, l'operazione rischia di disperdere in maniera grave il patrimonio di conoscenze e di esperienze e quindi la capacità investigativa del Corpo, indebolendo la forza dello Stato contro le mafie;
   ulteriori profili di criticità derivanti dall'accorpamento delle funzioni del medesimo Corpo, con quelle dell'arma dei carabinieri, si rinvengono nell'ambito degli interventi sulla tutela della biodiversità, la cui materia, nel corso degli ultimi anni, ha rivestito un'importanza agricola e alimentare, strategica a livello nazionale, le cui competenze, a seguito degli interventi normativi soppressivi, non risultano tuttora chiare e definite anche nell'ambito del riparto delle funzioni espletate e del futuro occupazionale degli stessi lavoratori;
   le suesposte osservazioni in definitiva, a giudizio dell'interrogante, delineano un quadro, nel confuso complesso normativo, che rischia di determinare pericolose falle nella vigilanza e nella tutela del controllo del mare, delle coste e di tutto l'ambiente in acqua, alimentando fortemente le attività criminali e fraudolente per i reati ambientali e agroalimentari, particolarmente aumentate negli ultimi anni –:
   quali orientamenti i Ministri interrogati intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa ed, in particolare, in relazione alle considerazioni di estrema gravità del procuratore nazionale dell'antimafia in merito alle conseguenze penalizzanti derivanti dalla soppressione del Corpo forestale dello Stato;
   se non convengano che la scelta di sopprimere tale forza di polizia ad ordinamento civile, che svolge da decenni un ruolo storico ed imprescindibile attraverso una molteplicità di compiti ad essa affidati, rischi di accrescere il numero dei reati nel Paese;
   se non convengano che ripartire i ruoli e le competenze, in materia di tutela delle coste e del mare (considerando gli 8 mila chilometri di coste della penisola italiana) e delle foreste, non determinerà effetti positivi in termini di servizi resi alla tutela del territorio nazionale, con un conseguente abbassamento dei livelli di professionalità e specializzazione;
   se, nell'ambito delle rispettive competenze, non ritengano urgente e necessario convocare un tavolo di confronto con le principali categorie sindacali del Corpo forestale dello Stato e dell'Arma dei carabinieri, al fine di addivenire ad una soluzione in grado di riequilibrare i compiti e le funzioni svolte, nel corso dei decenni dallo stesso Corpo, considerando come le decisioni di riforma normative attualmente introdotte, come in precedenza esposto, non garantiscano sufficiente chiarezza. (4-11780)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la sindrome fibromialgica (SFM), detta anche fibromialgia (FM), è una malattia reumatica caratterizzata da dolore cronico diffuso associato alla presenza di punti dolorosi (tender points);
   la fibromialgia conta più di 100 sintomi tra i quali l'astenia e l'affaticamento cronico, disturbi del sonno, stato confusionale, disturbi della vista, fibrofog, allergie, mioclonie, ipersensibilità, palpitazioni cardiache, dolore toracico, disturbi digestivi, dolore pelvico ed altri ancora, considerati altamente invalidanti che influiscono negativamente sulla qualità della vita di chi ne è affetto; la complessa presentazione clinica di questa sindrome è da oltre un secolo oggetto di dibattito, ma gode di poco interesse nella «gerarchia delle malattie»: la ragione di questa scarsa considerazione deriva dall'incertezza circa l'eziopatogenesi e le migliori modalità terapeutiche;
   negli ultimi dieci anni, tuttavia, la fibromialgia è stata meglio definita attraverso studi che hanno stabilito le linee guida per la diagnosi, come il compendio del documento di consenso canadese in cui viene dimostrata la presenza di una componente «genetica», predisponente e di anomalie dei sistemi di percezione e trasmissione del dolore a livello del sistema nervoso centrale nei pazienti affetti dalla sindrome fibromialgica;
   la SFM rappresenta un problema reale: le condizioni di chi ne è affetto, aggravate dai disturbi cronici della patologia, sovente porta all'alterazione dei rapporti familiari, oltre a sostenere costi importanti per esami, visite e attività di ricerca terapiche;
   chi è affetto da SMF si sente intrappolato in una sorta di limbo poiché non è considerato come «malato» dalle Istituzioni, ed è ritenuto «sano» dalla collettività, pertanto, vive in uno stato d'ansia continuo, sia nell'ambiente familiare che nel campo lavorativo, peggiorando la malattia;
   la fibromialgia non viene diagnosticata con gli esami del sangue abituali e nemmeno con radiografie o risonanza magnetica. L'incertezza della terapia e la mancata, ricerca scientifica portano il malato fibromialgico a vivere in una situazione di stallo dalla quale non vede via d'uscita; l'Organizzazione mondiale della sanità ha riconosciuto convenzionalmente, a seguito della cosiddetta dichiarazione di Copenaghen del 1992, l'esistenza della sindrome fibromialgica, classificandola nel 2007 con il codice M-79.7 nell'IDC-10 (International Classification of Diseases), Capitolo XIII «Malattie del sistema muscolare e connettivo». Gran parte crei Paesi europei hanno sostenuto e aderito a tale iniziativa, ma tra questi non figura l'Italia;
   nel 2008, il Parlamento europeo ha invitato la Commissione europea e il Consiglio a pianificare una strategia comunitaria per la fibromialgia in modo da riconoscere questa sindrome come una malattia, incoraggiando gli Stati membri a migliorare l'accesso alla diagnosi e ai trattamenti: conclusione che ha tenuto conto del fatto che la fibromialgia non risultava ancora inserita nel registro ufficiale delle malattie nell'Unione europea e che i malati, effettuando più visite generiche e specialistiche, ottengono un numero maggiore di certificati di malattia e ricorrono più spesso ai servizi di degenza, rappresentando così un notevole onere economico per l'Europa;
   nonostante la disabilità associata al dolore cronico e le raccomandazioni della Commissione europea e del Consiglio che hanno invitato gli Stati membri a riconoscere questa sindrome come una malattia e migliorare l'accesso alla diagnosi e ai trattamenti, la fibromialgia risulta ancora assente nel nomenclatore del Ministero della salute, non esistono adeguati protocolli clinici-assistenziali, e non è prevista alcuna forma di esenzione alla partecipazione di spesa come da decreto ministeriale 329 del 1999 (articolo 2, comma 2);
   le province autonome di Bolzano e Trento hanno ufficialmente riconosciuto la fibromialgia come malattia cronica e invalidante con diritto all'esenzione, seguite dal Friuli Venezia Giulia e dal Veneto che ha riconosciuto la fibromialgia nel Piano socio-sanitario regionale; la Toscana ha invece costituito un tavolo tecnico di confronto per procedere nella stessa direzione;
   il comunicato stampa datato 26 novembre 2015, diramato dalla presidente dell'Associazione nazionale A.N.FI.S.0 – onlus Rosita Romor, annunciava il riconoscimento ufficiale della fibromialgia come malattia cronica e invalidante dal Ministero, prontamente smentito dalla segreteria del Ministro della salute il quale ha ribadito che il Consiglio superiore di sanità (CSS) si è recentemente espresso in merito alla possibilità di includere tale patologia tra le malattie croniche e invalidanti come da decreto ministeriale 329 del 1999, nel rispetto della disciplina in vigore del decreto legislativo 124 del 1998, ma ha affermato che «la fibromialgia è certamente una malattia cronica invalidante solo in alcuni casi e non necessariamente permanente, e che per il riconoscimento dell'esenzione per le forme cliniche effettivamente gravi e invalidanti si rende necessario attendere la definizione dei cut-off attraverso studi idonei»; inoltre, ha annunciato la necessità di ulteriori studi per procedere all'inserimento della fibromialgia nell'elenco di malattie per le quali è prevista l'esenzione dal ticket –:
   se non ritenga opportuno fissare e rendere note le scadenze sulla definizione dei cut-off per procedere all'inserimento della fibromialgia tra le malattie croniche e invalidanti come avviene negli altri Stati membri, supportando la richiesta d'esenzione ticket;
   se e quali iniziative intenda adottare per promuovere la divulgazione informativa sulla patologia e sugli interventi che verranno intrapresi dal Ministero della salute in favore dei malati di fibromialgia.
(5-07496)

Interrogazione a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda sanitaria provinciale di Ragusa sta procedendo al riordino delle proprie strutture sanitarie, a giudizio dell'interrogante, ridimensionando incomprensibilmente diversi servizi sanitari che sono considerati essenziali per la collettività, creando disagi e disservizi all'utenza, mettendo seriamente a rischio la salute per moltissimi cittadini;
   in nome di un «illusorio» risparmio, infatti, l'Asp sta procedendo alla riduzione preoccupante dell'assistenza domiciliare e alla riduzione delle prestazioni erogate dalla farmacia ospedaliera di Modica, centralizzando nella farmacia distrettuale di Ragusa le attività di assistenza farmaceutica territoriale di Modica, come detto, – che ha il comprensorio più vasto della provincia – costringendo gli utenti a recarsi a Ragusa (25 chilometri di distanza), con aggravio di costi e sacrifici per gli stessi. A completare il quadro dei disagi, delle difficoltà e dei fastidi, vanno aggiunte le chiusure di altre farmacie territoriali come quelle di Comiso e Scicli che pur trovandosi nei PTA (presidi territoriali di assistenza) vengono considerate farmacie ospedaliere;
   la proposta di centralizzare le attività di assistenza farmaceutica territoriale (assistenza farmaceutica malattie rare, assistenza domiciliare integrata, assistenza pazienti stomizzati e tracheostomizzati, e altro) nella farmacia distrettuale di Ragusa, comporta gravi disagi agli utenti e un'intollerabile violazione del diritto alla salute dei cittadini;
   queste decisioni disposte dalla direzione generale dell'ASP in maniera, a parere dell'interrogante, avventata ed irrazionale compromettono il rispetto del diritto alla salute di molti cittadini iblei, non generano alcun tipo di risparmio reale, ma solo fittizio, provocando di converso, costi aggiuntivi ed oneri sia a carico degli utenti sia a carico della stessa ASP (si veda, ad esempio, il costo del personale conseguente allo smembramento, l'adeguamento dei locali e altro). Ciò determina, inoltre, gravi disagi per i cittadini che sono costretti, qualora fossero in grado di muoversi autonomamente, ad usufruire dei servizi della farmacia di Ragusa che risulta distante dal loro luogo di residenza e priva di adeguati mezzi di comunicazione;
   la prova dell'inefficace gestione del direttore generale è data dai disagi gravi che si registrano quotidianamente al pronto soccorso dell'ospedale Maggiore di Modica che hanno portato ad eclatanti proteste non solo dei cittadini ma anche da parte del sindaco. A parere dell'interrogante è da rilevare la gravità della situazione nel presidio di emergenza-urgenza che non soddisfa assolutamente gli oltre 30 mila accessi l'anno provenienti da un comprensorio molto vasto. Un alto numero di ingressi al quale non corrisponde il numero del personale medico, paramedico e ausiliario sottodimensionato che non può coprire e gestire le emergenze-urgenze di quello che viene definito «il cuore di un ospedale». Sono fortissime le lamentele dell'utenza costretta ad attese anche oltre le 5 ore, situazione non degna di un Paese civile, dalla quale scaturiscono disagi che non possono essere giustificati da mancanza di personale o strutture inadeguate senza che si agisca concretamente sul problema;
   senza una seria pianificazione preventiva, ogni azione della direzione generale dell'Asp non rispondente ad oggettivi criteri organizzativi è destinata a fallire miseramente;
   è da considerare, altresì, a parere dell'interrogante, come la gestione del direttore generale che, tra l'altro, avrebbe fatto sfumare l'acquisizione di una donazione all'ASP iblea di 2 milioni di dollari, appaia inefficace. Infatti, anziché ridurre i servizi necessari per i cittadini potrebbe indirizzare i suoi progetti di risparmio verso l'eliminazione dei costi superflui scaturenti dal reclutamento continuo di personale dirigenziale a tempo determinato senza che ce ne sia un effettivo bisogno;
   sarebbe opportuno verificare la legittimità delle procedure adottate per il conferimento di alcuni incarichi presso la suddetta azienda sanitaria provinciale.
(4-11789)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PELUFFO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   all'interrogazione n. 5-04770 avente ad oggetto gli interventi di patrimonializzazione della società Italtel veniva data risposta, in data 1o aprile 2015 dal Vice Ministro dello sviluppo economico professor Claudio De Vincenti, nella quale si segnalava che Italtel avrebbe avuto diritto al sostegno della società di servizio per la patrimonializzazione e ristrutturazione delle imprese se in possesso dei requisiti richiesti e conformemente ai criteri e alle modalità di concessione previsti dal suddetto decreto;
   all'interrogazione n. 5-06056 avente ad oggetto l'Attuazione del fondo «Salva Imprese» con riferimento a interventi di patrimonializzazione della società Italtel s.p.a. veniva fornita risposta in data 28 luglio 2015 dal Sottosegretario di Stato allo sviluppo economico senatore Simona Vicari, nella quale si affermava che il Governo, raccolte le opportune manifestazioni di interesse da parte degli investitori al fine di costituire detto fondo, stava lavorando alla costruzione del management team e della struttura di governance della società di gestione;
   nelle citate interrogazioni si richiamava il profilo societario di Italtel s.p.a., società protagonista del settore delle tecnologie per le telecomunicazioni che vanta oltre novanta anni di storia ed è attualmente in corso di riqualificazione tecnologica e in fase di superamento dei passati squilibri patrimoniali;
   dalla stampa nazionale, si apprende che la società Italtel, dopo essere stata oggetto degli interessi di alcune società estere, tra cui l'indiana Tech Mahindra, potrebbe essere rilevata da Exprivia, società specializzata nella progettazione e nello sviluppo di tecnologie software e nella prestazione di servizi IT –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle notizie riportate e, in particolare, dell'interessamento da parte delle società sopra menzionate all'acquisto di Italtel;
   a che punto sia la costituzione della società di gestione del fondo turnaround cosiddetta «Salva imprese»;
   se tale fondo sia intenzionato ad investire per l'acquisto di una quota di capitale di Italtel e a quanto ammonti tale quota e se tale prospettiva di investimento non sia in conflitto con le dichiarate prospettive di vendita ad altre società private, italiane o estere. (5-07494)


   GINEFRA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 7 ottobre 2015, è stato sottoscritto a Roma, presso il Ministero dello sviluppo economico, il protocollo d'intesa per la soluzione della vertenza dell'OM Carrelli elevatori di Bari-Modugno, stabilimento con circa 200 lavoratori pugliesi che è chiuso dal 2012;
   il piano industriale prevede che dei 226 milioni di euro, di cui 81 già spesi, 75 saranno destinati all'avvio della produzione e i restanti ai costi di marketing e collaterali. A Bari l'impegno finanziario è di 37 milioni con 636 dipendenti entro sei anni (saranno subito assunti i 194 ex dipendenti collocati in mobilità), mentre a Gioia Tauro è previsto un investimento di 39 milioni con 888 posti a regime al terzo anno. Le rimanenti 252 unità fanno riferimento alle attività della holding. Per la rete commerciale, Lcv punta su un piano boutique — sarà la prima vettura a non avere concessionarie ma solo boutique nei centri città, che partirà da 16 unità e che dopo 6 anni dovrebbe raggiungere i 42 punti vendita. Negli stabilimenti pugliesi sarà realizzato il telaio della nuova automobile, mentre a Gioia Tauro saranno costruiti i pannelli e la componentistica dell'auto. Nell'area portuale di Gioia Tauro è prevista la realizzazione di un nuovo capannone per il quale l'autorità ha già indetto la gara. L'avvio della produzione della vettura di fascia C, paragonabile a BMW e Mercedes, è previsto entro il quarto trimestre del 2016;
   sul fronte pugliese sono due gli obiettivi che questo protocollo d'intesa si prefigge: la reindustrializzazione del sito e la ricollocazione del personale;
   con il suddetto protocollo la regione Puglia, con un investimento complessivo di circa dieci milioni di euro, si è impegnata a riqualificare i lavoratori, formando nuove competenze e ad intervenire nell'infrastrutturazione dell'intera area industriale, a servizio anche delle altre industrie del settore automotive del polo barese;
   su richiesta della regione Puglia per la prima volta in un protocollo del genere è stata inserita una clausola secondo la quale se l'investimento non si perfezionerà con la ricollocazione di tutta la platea dei cassintegrati, potrà intervenire la revoca del finanziamento;
   l'azienda ha costituito una holding la «Tua Autoworks Italia Sps» che ha creato le due controllate «Tua Autoworks Calabria srl» e «Tua Autoworks puglia srl»;
   chiuso l’iter istituzionale, si dovrebbe procedere con l'allestimento dello stabilimento che dovrebbe produrre la prima macchina entro il mese di ottobre del 2017;
   nell'ultimo incontro al Ministero dello sviluppo economico, tenutosi 11 gennaio 2016, Invitalia avrebbe chiesto altri 20 giorni di tempo per la verifica del contratto di sviluppo necessario ad assicurare l'implementazione del piano industriale di Tua Autoworks, la società del fondo statunitense LCV Capital Management interessata a rilevare il sito. Intanto, lo stesso Ministero dello sviluppo economico avrebbe calendarizzato un prossimo incontro a livello nazionale per i primi di marzo 2016;
   nelle prossime settimane si dovrebbero tenere riunioni a livello territoriale per fare il punto della situazione;
   a giugno 2016 scadrà la mobilità per gli oltre 200 dipendenti ex OM Carrelli;
   sul fronte pugliese gli adempimenti previsti dall'accordo preliminare sarebbero stati evasi positivamente;
   da fonti informali si apprende che ci sarebbe un problema procedurale sul versante calabrese. L'autorità portuale, proprietaria delle aree che dovrebbero passare a Lcv, infatti, non avrebbe ancora provveduto a rilasciare il proprio nulla osta per il trasferimento delle stesse e il fondo statunitense intenderebbe procedere all'investimento solo quando avrà chiuso entrambe le procedure (quella pugliese e quella calabrese) –:
   se corrisponda al vero quanto appreso informalmente ovvero che la procedura sarebbe bloccata per ritardi burocratici dell'organo commissariale dell'autorità portuale di Gioia Tauro;
   quali iniziative il Governo intenda assumere perché si approdi ad una rapida conclusione della parte preliminare del progetto al fine di ricollocare di tutti gli ex dipendenti Om Carrelli, evitando così che, ulteriori lungaggini burocratiche, mettano a rischio questa importante opportunità di investimento nel Mezzogiorno;
   se, considerati i ritardi, ritenga che possa essere assicurato il cronoprogramma previsto dal protocollo d'intesa, anche alla luce del fatto che a giugno 2016 scadrà la mobilità per i lavoratori e le lavoratrici ex OM Carrelli. (5-07497)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo pubblicato dal quotidiano economico  Il Sole 24 ore, il 22 gennaio 2016, i prezzi bassi delle materie prime, la posizione debitoria (domestica ed estera) meno sostenibile di diversi Paesi emergenti e la riemersione della violenza politica segneranno l'anno in corso in modo negativo e avranno un impatto sfavorevole sull’export italiano, che già è stato costretto, per via dell'aumento del rischio, a registrare nel 2015 5 miliardi di euro in meno, per le minori esportazioni;
   le suindicate rilevazioni, emergono da un rapporto della Sace (la società del gruppo Cassa depositi e prestiti, che offre alle imprese un'ampia gamma di prodotti assicurativi e finanziari per l'esportazione), che ha analizzato, grazie ad un sistema di sei rating, la situazione complessiva, connessa ai profili di rischio in corso, affrontati da esportatori, finanziatori, investitori industriali e appaltatori al di là dei confini nazionali: dal mancato pagamento, (valutato rispetto a una controparte sovrana, corporate o bancaria) al rischio di esproprio e violazioni contrattuali, fino al pericolo di guerra e disordini civili;
   la Sace evidenzia a tal fine che le mutazioni geopolitiche ed economiche in corso, a livello globale, rappresentano solo l'ultimo segnale della rapidità con cui i mercati ne prendono atto, consapevoli della volatilità con la quale si caratterizzerà l'anno in corso, ed i rischi dei trend che determineranno i cambiamenti favorevoli o meno sui diversi Paesi;
   a registrare sul fronte credito un significativo peggioramento per il rischio sovrano sono, tra i Paesi avanzati: Grecia e Giappone, mentre Brasile, Libia, Russia e Venezuela si segnalano tra le economie emergenti, mentre, quanto ai rischi bancari e corporate, tra i Paesi che si caratterizzeranno per una performance negativa si segnalano: Bielorussia, Nigeria e Tunisia;
   la geografia del rischio ha dunque subito mutamenti secondo il documento della Sace e sta scontando anche l'impatto di altre variabili, a cominciare dai bassi prezzi delle materie prime, particolarmente insidiosi per le economie poco diversificate; in particolare, evidenzia il rapporto, nove economie (pari al 7 per cento dell’exort italiano) stanno peggiorando i propri fondamentali per via dell'andamento del costo delle commodity, tra le quali spiccano Algeria, Arabia Saudita e Venezuela, a cui si aggiungono ulteriori profili di criticità che si rinvengono, inoltre, da una variazione ascrivibile, anche all'indebolimento dei conti pubblici nei Paesi emergenti;
   secondo gli analisti della Sace, le ricadute per gli operatori italiani, in base alle suesposte rilevazioni, si configureranno nei mancati pagamenti che si registreranno in quei Paesi in cui l'attuazione di politiche fiscali restrittive, messe in campo per invertire la tendenza di accumulo del debito, non sia praticabile o laddove la sostenibilità debitoria sia già in parte compromessa; su tutti si citano: Brasile, Mongolia e Ghana; mentre, quanto all'ultimo tassello (ovvero l'impatto collegato alla geopolitica e alla riemersione del terrorismo), le aree più colpite sono il Medio Oriente e l'Africa sub-sahariana;
   le suindicate osservazioni, contenute all'interno del rapporto della Sace, a giudizio dell'interrogante, destano preoccupazione con riferimento ai possibili rischi negativi che si determinerebbero per il sistema delle imprese italiane che operano sui mercati esteri, considerata l'importanza sia dal punto di vista economico-finanziaria, che dell'immagine legata al « made in Italy», essendo il nostro Paese attualmente (con una quota di mercato pari al 2,8 per cento), l'ottavo Paese esportatore al mondo e tra i più avanzati che, «nella globalizzazione, hanno conservato maggiori quote di mercato a livello internazionale»;
   al riguardo, l'interrogante evidenzia come i (modesti) segnali di ripresa complessiva per il nostro Paese, registrati nel 2015 determinati da una serie di fattori economici congiunturali, a livello mondiale, unitamente alle decisioni di politica monetaria adottate dalla Banca centrale europea, attraverso il quantitative easing, a cui si aggiunge il calo del prezzo del greggio ed il rincaro del dollaro, hanno causato una spinta favorevole sulle imprese italiane all'estero, il cui impatto visibile è anche riscontrabile nella crescita del Pil nazionale;
   a fronte di tali considerazioni, a giudizio dell'interrogante, risulta pertanto di estrema importanza tutelare il comparto delle imprese che operano all'estero, esaminando al contempo, dal punto di vista politico ed economico, il rapporto della Sace in precedenza richiamato, anche e soprattutto al fine di conoscere le eventuali contromisure che il Governo intenda intraprendere per fronteggiare i possibili rischi di diversa natura, derivanti dagli effetti legati alla crisi dei Paesi emergenti e sostenere al contempo, le esportazioni italiane all'estero –:
   quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere, con riferimento a quanto esposto nella premessa;
   se ritenga condivisibile il documento predisposto dalla Sace, secondo cui, per le imprese italiane che esportano sui mercati internazionali, le situazioni più problematiche in termini di mancati pagamenti si registreranno in quei Paesi in cui l'attuazione di politiche fiscali restrittive non sarà praticabile o laddove la sostenibilità debitoria sia già in parte compromessa, come, ad esempio, secondo quanto sostiene la Sace, Brasile, Mongolia e Ghana, a cui si aggiungono aree quali il Medio Oriente e l'Africa sub-saharilm, a forte impatto collegato alla geopolitica e alla riemersione del terrorismo;
   in caso affermativo, quali iniziative urgenti e necessarie il Ministro interrogato, per quanto di competenza, intenda intraprendere al fine di sostenere il settore legato alle esportazioni delle imprese italiane, nei mercati in precedenza richiamati ed evitare rischi finanziari e d'immagine per le aziende del nostro Paese che operano in quelle aree;
   se il Ministro interrogato sia in possesso di ulteriori elementi utili concernenti la situazione geopolitica ed economica dei suindicati Paesi emergenti, in grado di rilevare le condizioni esistenti all'interno di essi e, in caso affermativo, se non intenda fornire chiarimenti sui rischi per le imprese italiane che operano in tali mercati. (4-11781)


   QUARANTA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel 2011 viene istituito, dal Ministero dello sviluppo economico, il registro delle opposizioni, la cui gestione viene affidata alla Fondazione Ugo Bordoni. Scopo del registro è tutelare la privacy dei cittadini;
   dalla sua istituzione al 31 dicembre 2015 sono state circa 20 mila le segnalazioni di utenti che lamentano la violazione della propria privacy ad opera di aziende di telemarketing (le più attive, quelle di telefonia, luce, gas, tv) e sono stati erogati circa 2,6 milioni di euro di multa;
   ad oggi, gli iscritti al registro delle opposizioni, sono 1,44 milioni e per iscriversi è necessario essere sull'elenco telefonico. Ma non basta l'iscrizione per non essere più chiamati. Come spiega bene Marco Pierani di AltroConsumo: «Iscrivendoci al registro delle opposizioni vietiamo alle aziende di telemarketing solo di usare il nostro numero se lo hanno trovato nell'elenco. Se lo hanno avuto in un altro modo possono chiamarci comunque, a patto di avere ottenuto il nostro consenso che spesso ce lo estorcono con l'inganno» (fonte: La Repubblica venerdì 8 gennaio 2016: «La nostra battaglia persa contro le telefonate moleste»);
   insieme alle associazioni dei consumatori è anche il segretario generale del Garante per la privacy, Giuseppe Busia, ad affermare che «le regole sono sbagliate. Il registro non basta: bisogna aumentare per legge le responsabilità degli operatori in caso di abusi delle aziende di telemarketing cui si affidano per le campagne. Bisogna istituire un registro delle opposizioni universali che vieti ogni tipo di chiamata pubblicata ai numeri iscritti»;
   in altri Paesi europei esiste un registro delle opposizioni universale i cui iscritti non possono mai essere chiamati a scopo di telemarketing, anche se dovesse risultare che in precedenza avevano dato il loro consenso all'utilizzo dei propri dati a fini promozionali –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente della situazione e cosa intenda fare, per quanto di competenza, per rispondere alle giuste sollecitazioni pervenute dai cittadini e dallo stesso Garante della privacy. (4-11785)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Covello e altri n. 1-01097, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Paris.

  La mozione Vezzali e altri n. 1-01100, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Oliaro, Vargiu.

  La mozione Morassut e altri n. 1-01102, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Coccia, Brandolin.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione De Lorenzis n. 1-01104, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 554 del 25 gennaio 2016.

   La Camera,
   premesso che:
    la sicurezza stradale impone la realizzazione di un complessivo ed efficiente sistema normativo che non può limitarsi a disporre misure repressive e deterrenti, ma richiede un intervento anche di tipo formativo, stabile, organizzato, accessibile a tutti, per la creazione di una cultura della sicurezza e della prevenzione stradale e la conseguenziale riduzione della mortalità e del ferimento di persone, attraverso la migliore preparazione del conducente;
    studi, europei e comparati, in materia, indicano tra le strategie maggiormente funzionali per la garanzia di sicurezza il miglioramento dell'educazione stradale e della preparazione degli utenti della strada, contestualmente all'implementazione della qualità del sistema di rilascio delle patenti e di formazione, anche post-patente;
    occorre una normativa pertinente per ogni fattore di rischio che valorizzi l'incidenza del comportamento umano e miri all'istituzione anche di centri per la guida sicura al fine di preparare il conducente a tenere comportamenti corretti alla guida del veicolo in presenza di situazioni di rischio e di emergenza e di diffondere i principali movimenti tecnici di guida per il miglioramento della sicurezza stradale in dette condizioni;
    allo stato attuale manca in Italia una normativa sistematica che regoli i corsi di guida sicura, disciplini in modo compiuto i limiti alla guida per particolari categorie di soggetti, ritenuti a maggior rischio di pericolosità rispetto alla incidentalità, e tuteli categorie di utenti più vulnerabili, quali pedoni, ciclisti e utilizzatori delle due ruote a motore, esposti a rischi più elevati;
    ancora nella prospettiva di migliorare la sicurezza stradale e contrastare il fenomeno dell'incidentalità è anche consentito il ricorso a dispositivi automatici di controllo;
    il codice della strada – decreto legislativo n. 285 del 1992 e successive modificazioni e integrazioni – dispone, invero, all'articolo 45, che per la determinazione dell'osservanza dei limiti di velocità sono considerate fonti di prova, tra le altre, le risultanze di apparecchiature anche per il calcolo della velocità media di percorrenza su tratti determinati, a condizione che siano debitamente omologate e le postazioni di controllo sulla rete stradale per il rilevamento della velocità siano preventivamente segnalate e ben visibili, ricorrendo all'impiego di cartelli o di dispositivi di segnalazione luminosi;
    al riguardo, anche la circolare del 14 agosto 2009 del Ministero dell'interno dispone direttive per garantire un'azione coordinata di prevenzione e contrasto dell'eccesso di velocità sulle strade;
    da ultimo, la Corte costituzionale, con sentenza n. 113 del 2015, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 45, comma 6, del codice della strada, per mancata previsione per tutte le apparecchiature impiegate nell'accertamento dei limiti di velocità dell'obbligo di verifiche di funzionalità e di taratura;
    manutenzione e verifiche periodiche costituiscono garanzia di affidabilità dei dispositivi automatici e della fede pubblica che si ripone nella relativa attività di accertamento;
    sempre più spesso, tuttavia, la magistratura e la cronaca danno conto di usi distorti di tali dispositivi per l'assenza di manutenzione, verifiche e tarature di legge, per la stessa collocazione degli impianti di rilevazione automatica, considerata irregolare, se non addirittura pericolosa, sfornita della segnaletica prescritta, più idonea a trasformare detti apparecchi in strumenti a garanzia di entrate sicure a favore dei bilanci degli enti utilizzatori sovente da destinare a scopi diversi da quelli imposti;
    dalle recenti dichiarazioni dello stesso presidente dell'Automobile Club d'Italia, Angelo Sticchi Damiani, emerge come spesso gli autovelox e gli altri sistemi di rilevamento della velocità dei veicoli siano «non sempre posizionati per indurre al rispetto dei limiti di velocità, ma anche per fare cassa in un momento per gli enti locali certamente non facile». In particolare, lo stesso Sticchi Damiani sottolinea come i soldi per la sicurezza stradale ci siano «ma troppi Comuni destinano ad altre voci quanto previsto dalla legge a favore degli automobilisti. Per garantire l'osservanza della norma è opportuno prevedere pesanti misure sanzionatorie per le Amministrazioni inadempienti»;
    la finalità costituita dal miglioramento della sicurezza stradale deve, invece, essere l'interesse pubblico primario da perseguire, anche in considerazione della destinazione della somme derivanti dai proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie imposta a mente dell'articolo 142 del codice della strada che, il comma 12-ter, aggiunto dall'articolo 25, comma 1, lettera d), della legge 29 luglio 2010, n. 120, individua nella realizzazione di interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali, ivi comprese la segnaletica e le barriere, e dei relativi impianti, nonché nel potenziamento delle attività di controllo e di accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale, ivi comprese le spese relative al personale;
    l'ammontare complessivo dei proventi e gli interventi realizzati a valere su tali risorse, con la specificazione degli oneri sostenuti per ciascun intervento, devono essere oggetto di una specifica relazione che ciascun ente locale, entro il 31 maggio di ogni anno, deve trasmettere in via informatica al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed al Ministero dell'interno. È altresì previsto che la percentuale dei proventi spettanti sia ridotta del 90 per cento annuo nei confronti dell'ente che non trasmetta detta relazione, ovvero che utilizzi i proventi in modo difforme da quanto previsto. Tali inadempienze rilevano ai fini della responsabilità disciplinare e per danno erariale e devono essere segnalate tempestivamente al procuratore regionale della Corte dei conti;
    i suddetti obblighi restano largamente disattesi senza alcuna sanzione, omettendo ogni dovuta trasparenza ed implicando troppo spesso la distrazione delle risorse destinate alla manutenzione delle infrastrutture stradali e ai controlli di sicurezza;
    sia l'introduzione di una normativa per l'istituzione di centri per la guida sicura, sia la garanzia del regolare funzionamento delle apparecchiature e il loro corretto utilizzo con maggiore effettività delle relative sanzioni punitive in funzione della sicurezza e della manutenzione stradale si iscrivono coerentemente ed efficacemente nell'ambito della strategia europea che si è posta, in un rapporto della commissione, l'obiettivo di dimezzare entro il 2020 il numero di vittime della strada rispetto al 2010 e nel «Libro bianco dei trasporti», si propone di avvicinarsi entro il 2050 all'obiettivo «zero vittime» nel trasporto su strada, implementando la sicurezza in tutti i modi di trasporto,

impegna il Governo:

   ad assumere ogni iniziativa necessaria, anche di tipo normativo, volta a destinare la parte di spettanza ministeriale dei proventi delle sanzioni derivanti dall'accertamento delle violazioni dei limiti massimi di velocità per il miglioramento e l'implementazione della sicurezza stradale e della tutela di categorie di utenti più vulnerabili mediante il finanziamento anche di misure formative di prevenzione – fra cui corsi di formazione per la guida nelle scuole e corsi di guida sicura – per incentivare e sviluppare una cultura consapevole della sicurezza stradale;
   ad assumere ogni iniziativa necessaria per garantire il regolare funzionamento delle apparecchiature impiegate nell'accertamento dei limiti di velocità, attraverso verifiche e tarature di legge, e porre fine ad un uso distorto delle stesse, impedendo il loro utilizzo a meri scopi di cassa degli enti utilizzatori che distraggono le somme rivenienti dalle relative sanzioni dagli imposti scopi di manutenzione e controllo stradale, anche mediante adozione di incisivi interventi normativi per assicurare il rispetto delle prescrizioni del codice della strada in merito alla destinazione dei proventi delle sanzioni;
   ad adottare iniziative normative a garanzia del rispetto del prescritto obbligo di relazione telematica a carico degli enti utilizzatori di apparecchiature impiegate nell'accertamento dei limiti di velocità da inviare ogni anno al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed al Ministero dell'interno, introducendo l'obbligo di pubblicazione della stessa on-line sul relativo sito istituzionale, nella sezione «Amministrazione trasparente», e un sistema di sanzioni in danno degli enti che non vi provvedano;
    ad adottare iniziative normative al fine di consentire la consultazione – sulla base di criteri temporali, territoriali, con disaggregazione a livello comunale, provinciale e regionale, e per tipologia di infrazione – dei dati relativi all'entità delle sanzioni comminate nell'anno precedente, mediante trasmissione in via telematica al Ministero dell'interno, che provveda alla successiva pubblicazione degli stessi dati in un'apposita sezione del proprio sito istituzionale in un formato di tipo aperto, secondo le indicazioni di cui alla lettera a), comma 3, dell'articolo 68 del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni.
(1-01104)
(Nuova formulazione) «De Lorenzis, Liuzzi, Nicola Bianchi, Carinelli, Dell'Orco, Paolo Nicolò Romano, Spessotto, D'Incà».

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Covello n. 1-01097, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 550 del 19 gennaio 2016.

   La Camera,
   premesso che:
    con due diverse mozioni, la n. 1-00612 dell'ottobre 2014 e la n. 1-00685 dell'aprile 2015 presentate dal gruppo parlamentare del Partito democratico, la Camera dei deputati ha impegnato il Governo in merito al rafforzamento delle politiche di rilancio e sviluppo del Mezzogiorno;
    a seguito di quegli atti si è velocizzato l’iter per rendere pienamente operativa l'Agenzia per la coesione territoriale, con l'obiettivo di migliorare la capacità di impiego dei fondi strutturali;
    si è proceduto ad un censimento delle risorse ancora disponibili e non ancora utilizzate nell'ambito degli strumenti della programmazione negoziata, finalizzato alla predisposizione di un piano di rilancio industriale, improntato sulle specificità e le eccellenze produttive presenti nel Mezzogiorno;
    si sono rafforzati, ulteriormente, i progetti in materia di sicurezza e legalità per contrastare la presenza dei fenomeni criminali, prima vera condizione per il rilancio delle politiche di sviluppo;
    si è promosso il patrimonio culturale paesaggistico del Sud soprattutto in chiave turistica come dimostrano il progetto grande Pompei e Matera capitale europea della cultura 2019, ma anche il PON cultura con 491 milioni di euro indirizzati alle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia;
    si sono attivati interventi aventi per obiettivo quello di potenziare le strutture nel Mezzogiorno finalizzate a facilitare l'incontro tra domanda è offerta di lavoro, in particolare per i giovani, e posti correttivi anche per quanto riguarda l'esperienza di garanzia giovani;
    sono stati presi in considerazione strumenti di contrasto del disagio sociale presente in ampie fasce della società meridionale partendo dalle criticità che si sono manifestate nella concretizzazione, ad esempio, del SIE e si è anche avviato un confronto con le istituzioni regionali che nel corso di questi mesi hanno introdotto strumenti di contrasto alla povertà;
    dal mese di settembre 2015 è stato dato nuovo ed importante impulso alle politiche di rilancio del Mezzogiorno;
    nel mese di novembre 2015 sono state varate dal Governo le linee guida del masterplan con l'obiettivo di «mettere in movimento la società civile del Mezzogiorno affinché diventi protagonista di una nuova Italia, l'Italia della legalità, della dignità del lavoro, della creatività imprenditoriale, in una parola del progresso economico e civile»;
    il masterplan intende partire dai punti di forza del tessuto economico meridionale per valorizzarne le capacità di diffusione di imprenditorialità e di competenze lavorative e per promuovere l'attivazione di filiere produttive autonomamente vitali;
    infrastrutture, capacità di connessione, regole dei mercati, sostegno al credito, servizi sono i punti sui quali si concentra il piano del Governo;
    il masterplan consta di circa 95 miliardi di euro di investimenti entro il 2023, derivanti dai fondi strutturali (FESR e FSE) 2014-2020 pari a 56,2 miliardi di euro, di cui 32,2 miliardi di euro europei e 24 miliardi di euro nazionali, dai fondi di cofinanziamento regionale per 4,3 miliardi di euro e dal Fondo sviluppo e coesione, per il quale sono già oggi disponibili 39 miliardi di euro sulla programmazione 2014-20;
    il Governo è ormai in dirittura d'arrivo per declinare operativamente i 16 patti per il Sud, uno per ciascuna delle 8 regioni (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia, Sardegna) e uno per ognuna delle 8 città metropolitane (Napoli, Bari, Taranto, Reggio Calabria, Messina, Catania, Palermo, Cagliari);
    l'obiettivo è quello di articolare territorio per territorio nella misura maggiormente aderente possibile e meno astratta rispetto al passato gli interventi prioritari, le azioni per concretizzarli, gli ostacoli da rimuovere e la tempistica, in un quadro di precise responsabilità senza rimbalzi che sarebbero vissuti in maniera negativa dalle comunità;
    con la legge di stabilità 2016 è stato introdotto un credito d'imposta per l'acquisto di beni strumentali in favore di impianti produttivi ubicati nelle regioni del Mezzogiorno;
    si tratta di una misura pari a 617 milioni di euro per ciascun anno dal 2016 al 2019 che si articola in relazione alla dimensione dell'azienda richiedente: 20 per cento per le piccole imprese, 15 per cento per le medie imprese, 10 per cento per le grandi imprese;
    viene individuato un limite massimo per ciascun progetto di investimento agevolabile pari a: un massimo di 1,5 milioni di euro per le piccole imprese, di 5 milioni per le medie imprese e 15 milioni per le grandi imprese. L'agevolazione è commisurata alla quota del costo complessivo degli investimenti eccedente gli ammortamenti dedotti nel periodo d'imposta relativi alle stesse categorie di beni di investimento della struttura produttiva, esclusi gli ammortamenti dei beni oggetto dell'investimento agevolato;
    possono beneficiare di tale misura gli investimenti relativi all'acquisto anche in leasing di macchinari, impianti e attrezzature destinati a strutture produttive nuove o anche esistenti;
    tale credito d'imposta non si applica alle imprese in difficoltà finanziaria, oppure operanti nel settore dell'industria siderurgica, del credito, della finanza delle assicurazioni;
    entro 60 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della legge di stabilità è prevista l'emanazione di un provvedimento dell'Agenzia delle entrate per definire le modalità di richiesta;
    è stata prevista altresì anche una misura finalizzata a estendere anche per l'anno 2017 l'esonero contributivo ai datori di lavoro del settore privato delle regioni meridionali;
    tale estensione è però subordinata alla ricognizione delle risorse del fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie già destinate agli interventi PAC non ancora oggetto di impegni giuridicamente vincolanti. Entro il 30 aprile 2016 si procederà a seguito dell'esito della ricognizione a quantificare l'ammontare delle risorse disponibili e comunque tale incentivo è subordinato all'autorizzazione della Commissione europea;
    la legge di stabilità 2016 riserva, inoltre, alle imprese localizzate nelle regioni del Mezzogiorno una quota non inferiore al 20 per cento delle risorse assegnate dal Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese costituito presso il Mediocredito centrale s.p.a.;
    ai 28 milioni di euro già stanziati per l'evento Matera capitale europea della cultura 2019 si aggiungono altri 20 milioni di euro, 5 milioni per ciascun anno dal 2016 al 2019, per il completamento del restauro urbanistico dei «Sassi» e dell'altipiano murgico;
    tra le varie misure introdotte è stata prevista l'esenzione o la riduzione della tassa di ancoraggio in via sperimentale per gli anni dal 2016 al 2018 per le navi porta container nei porti con volume di traffico transhipment superiore all'80 per cento. Si tratta di 3 milioni di euro a cui vanno aggiunti 1,8 milioni di euro per la riduzione delle accise sui prodotti energetici per le navi che fanno esclusivamente movimentazione all'interno del porto. Ad essere maggiormente interessati sono i porti di Gioia Tauro, Taranto, Salerno, Cagliari;
    è stato incrementato, portandolo a 51 milioni di euro, il fondo per il potenziamento delle azioni relative al piano straordinario per la promozione del made in Italy finalizzato a sostenere le piccole e medie imprese sui mercati esteri per la tutela delle produzioni tipiche e per il contrasto al fenomeno della contraffazione dei prodotti agroalimentari italiani;
    sono stati stanziati 600 milioni di euro per l'anno 2016 e un miliardo di euro a partire dal 2017 per il contrasto alla povertà con priorità per i nuclei familiari con figli minori o disabili ed è stata prevista anche la creazione di un fondo per il contrasto della povertà educativa minorile;
    sono stati stanziati 8,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017 per il risarcimento ai familiari delle vittime dell'alluvione di Sarno;
    per le infrastrutture oltre ai 150 milioni di euro per il completamento della Salerno-Reggio Calabria è stato previsto il commissariamento delle Ferrovie Sud est ed un contributo pari a 70 milioni di euro per l'anno 2016 per assicurare la continuità operativa del servizio. È stato differito al 31 dicembre 2016 il blocco delle azioni esecutive nei confronti delle imprese esercenti il servizio di trasporto pubblico ferroviario nella regione Campania e interessate da piano di rientro al fine di scongiurare licenziamenti ed interruzioni di servizio;
    in data 29 settembre 2015 è stata approvata dalla Camera dei deputati una mozione finalizzata al superamento delle criticità del sistema dei trasporti, in particolare per quanto concerne la regione Calabria, con la previsione di interventi relativi ai corridoi stradali ed autostradali, partendo dalla messa in sicurezza della strada statale 106, che, purtroppo, si conferma essere tra le strade più pericolose del Paese, impegno sul quale c’è grande attenzione istituzionale;
    è stato incrementato di ulteriori 10 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2016-2018 il fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie destinate alla strategia per le «aree interne» fattore di assoluta rilevanza per tutte le aree appenniniche del Sud;
    sono stati prorogati fino al prossimo 31 dicembre 2016 i contratti dei lavoratori precari nei comuni, della Sicilia dissestati o in pre-dissesto;
    sono stati stanziati 20 milioni di euro ad integrazione del fondo destinato al finanziamento di interventi nei settori della manutenzione idraulica e forestale per attività di difesa del suolo e di tutela ambientale in particolare per la Calabria;
    con il decreto-legge n. 185 del 2015 sono state introdotte ulteriori misure a sostegno del Mezzogiorno, come, ad esempio, le disposizioni in materia di bonifica e regine razione urbana di Bagnoli, le risorse pari a 150 milioni di euro per lo smaltimento delle ecoballe in Campania, il supporto economico per il comune di Reggio Calabria, le risorse per i lavoratori socialmente utili;
    in questo quadro non si può trascurare il costante impegno assunto dal Governo per la soluzione di importanti vertenze industriali salvaguardando le possibilità di mantenere in vita e restituire alla produttività segmenti importanti del tessuto produttivo meridionale, come ad esempio la ex Micron di Avezzano, Whirlpool e Firema di Caserta, l'ex Irisbus di Avellino, la Bridgestone di Bari, la Natuzzi di Santeramo e Matera, l'Ansaldo Breda di Reggio Calabria, Italcementi di Castrovillari, l'ex Fiat di Termini Imerese, ma anche la conversione alla chimica verde dei poli di raffinazione di Gela e di Porto Torres, la criticità Portovesme;
    si sono promossi e articolati importanti accordi di programma e protocolli d'intesa per aree di crisi industriale come Taranto, le Murge, Gela, Termini Imerese, il Sulcis, Porto Torres, e i cinque siti individuati per la Campania;
    nell'ambito del masterplan è previsto inoltre che al rilancio dello sviluppo del tessuto produttivo del sud saranno chiamate le imprese partecipate da soggetti pubblici da Finmeccanica a Fincantieri, da Enel ad Eni senza il venir meno ai principi di mercato a cui ormai sono orientate;
    la questione meridionale non è semplicemente questione di risorse finanziarie, è una questione strategica che attiene alla visione che si deve avere per il futuro del Paese;
    la questione meridionale è sottrarre all'illegalità, e in particolare alle varie forme di mafia, ambiti di territorio, restituire credibilità alla funzione pubblica e agli uffici pubblici, è investire nella scuola, è governance ed è soprattutto questione di classi dirigenti;
    il Mezzogiorno, sul piano dell'internazionalizzazione, dei flussi turistici e della ricerca di investimenti, può usufruire delle notevoli potenzialità legate alla presenza in diversi continenti e in un gran numero di Paesi di persone di origine e dei loro discendenti, diventati ormai classe dirigente nei rispettivi contesti di insediamento,

impegna il Governo:

   a rispettare inderogabilmente la data del 30 aprile 2016 per la ricognizione e quantificazione dell'ammontare delle risorse disponibili per la decontribuzione di cui in premessa e a porre in essere ogni iniziativa utile affinché tale misura possa vedere il «via libera» da parte della Commissione europea;
   a definire un puntuale cronoprogramma per l'anno 2016 per la piena operatività di ciascun piano di intervento approvato in base alle linee guida del masterplan, istituendo una cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e assumendo iniziative per prevedere anche la possibilità di poteri sostitutivi in caso di ritardi o paralisi per ragioni burocratiche;
   nell'ottimizzazione del masterplan e nella predisposizione dei programmi di internazionalizzazione, a verificare nell'ambito degli specifici progetti le possibilità di coinvolgimento e partenariato con i soggetti e le organizzazioni di origine italiana già attivi nel campo dell'intermediazione commerciale e finanziaria;
   a rinvenire entro l'anno 2016 ulteriori risorse destinate al finanziamento delle misure previste dalla legge n. 185 del 2000 conosciuta come legge sull'autoimpiego;
   a conseguire un miglioramento complessivo della qualità del sistema dei trasporti e di mobilità nel Mezzogiorno prevedendo la istituzione presso il Ministero delle infrastrutture di un apposito osservatorio sui trasporti nel Mezzogiorno coinvolgendo compagnie aeree, società ferroviarie, autolinee e compagnie navali, con attenzione anche al traffico merci, a partire dalle attività portuali, e proseguendo nell'azione, anche in sede comunitaria, per il riconoscimento della zona economica speciale per Gioia Tauro;
   a promuovere piani di rigenerazione urbana articolati in base alle dimensioni delle realtà urbane, partendo dalla messa in sicurezza e valorizzazione dei centri storici per un recupero socio-economico dei contesti, nonché in ottica di promozione turistica;
   a prevedere per l'anno 2016 un piano straordinario di interventi pubblici a sostegno dell'alfabetizzazione digitale finalizzato a superare un evidente ritardo accumulato dal Mezzogiorno in questo strategico settore per il rilancio dell'economia;
   a monitorare, con l'Agenzia per la coesione territoriale, l'impegno delle risorse e l'avanzamento dei programmi finanziati con i fondi europei 2014-2020, valutando l'opportunità di assumere iniziative per prevedere maggiori poteri sostitutivi nel caso di palesi e colpevoli ritardi;
   a supportare e tutelare le produzioni agricole di qualità soprattutto in sede comunitaria, nonché ad individuare programmi di rafforzamento della filiera agroindustriale dalla produzione alla trasformazione nell'ambito dei distretti agroalimentari meridionali;
   a promuovere, coinvolgendo Invitalia, una struttura di scouters di elevatissimo profilo in grado di «cercare», con particolare attenzione agli operatori italiani e di origine italiana che hanno raggiunto posizioni di rilievo nel tessuto produttivo e finanziario delle realtà di residenza, investimenti produttivi da allocare presso le aree industriali del Sud;
   ad attivare in via prioritaria le misure di contrasto all'indigenza previste dalla legge di stabilità 2016 e a promuovere iniziative specifiche di reintegro sociale attraverso progetti e programmi comprensoriali che riguardino interventi di pubblica utilità e servizi alla persona;
   a rafforzare i piani e i progetti in materia di edilizia scolastica ed impiantistica sportiva;
   a promuovere ulteriori investimenti nell'ambito della manutenzione e messa in sicurezza del territorio, contrastando il gravissimo fenomeno del dissesto idrogeologico;
   ad investire nella valorizzazione del patrimonio archeologico, artistico e culturale del Mezzogiorno come avvenuto a Pompei, a Caserta e nell'ambito del PON cultura, anche mettendo in relazione, in vista di Matera 2019, tutte le realtà culturali del Sud e le capitali italiane della cultura;
   a proseguire nell'azione di rafforzamento degli organici, in termini di uomini e mezzi, delle forze dell'ordine al fine di una più capillare presenza nel controllo del territorio nell'ambito delle attività di contrasto delle attività criminali, nonché a promuovere, come già si è iniziato a fare, iniziative, con il coinvolgimento del mondo associativo, finalizzate alla promozione della cultura della legalità, a partire dalle nuove generazioni;
   ad investire in un rafforzamento delle attività di orientamento per i giovani che intendono intraprendere studi universitari anche per contrastare il fenomeno del calo delle iscrizioni, nonché a sostenere le attività degli atenei del Mezzogiorno, valutando l'opportunità di correggere alcune criticità per quanto concerne i criteri di distribuzione delle risorse;
   a proseguire nell'azione di bonifica e caratterizzazione di aree industriali dismesse e a promuovere il monitoraggio della salute delle popolazioni interessate anche sulla base dell'attività dell'Istituto superiore di sanità;
   ad investire nella promozione turistica del Mezzogiorno, anche alla luce degli incoraggianti dati del 2015, e a predisporre, in collaborazione con le regioni meridionali, progetti di promozione e «pacchetti» di incentivi finalizzati al turismo di ritorno, con particolare riferimento alle aree interne del Mezzogiorno;
   ad avviare entro giugno 2016 un'attività di monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza in ambito sanitario, nonché per quanto concerne i servizi sociali in tutte le regioni del Mezzogiorno, al fine di individuare criticità e predisporre interventi finalizzati a migliorare la rete di welfare delle regioni meridionali.
(1-01097)
(Ulteriore nuova formulazione) «Covello, Famiglietti, Tartaglione, Magorno, Raciti, Ginefra, Gelli, Fregolent, Rotta, Misiani, Oliverio, Schirò, Manfredi, Tino Iannuzzi, Carloni, Braga, Marco Di Maio, Burtone, Bratti, Antezza, Cardinale, Taranto, Venittelli, Vico, Verini, Capone, Bargero, Pes, Piccoli Nardelli, Melilli, Albanella, Amato, Anzaldi, Aiello, Ascani, Battaglia, Campana, Cani, Capodicasa, Capozzolo, Carnevali, Cassano, Castricone, Censore, Culotta, Cuomo, Currò, D'Incecco, Dallai, Donati, Fanucci, Gianni Farina, Fedi, Gadda, Garavini, Grassi, Gribaudo, Iacono, Impegno, Iori, La Marca, Lodolini, Losacco, Malpezzi, Manzi, Marchi, Massa, Marrocu, Mariano, Marzano, Meta, Migliore, Minnucci, Mongiello, Mura, Pelillo, Salvatore Piccolo, Porta, Realacci, Rossomando, Rostan, Francesco Sanna, Giovanna Sanna, Sbrollini, Scanu, Sgambato, Tacconi, Valeria Valente, Ventricelli, Villecco Calipari, Paris».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Sberna n. 4-11608 del 12 gennaio 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07368 del 14 gennaio 2016.

Ritiro di una firma da una mozione.

  Mozione Baldelli e altri n. 1-01085, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 dicembre 2015: è stata ritirata la firma del deputato Pastorino.