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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 20 gennaio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   La II Commissione,
   premesso che:
    in Italia i tribunali per i Minorenni sono stati istituiti nel 1934. Questi tribunali si occupano specificamente di minori in ambito civile e penale. Tale impostazione è a oggi obsoleta e inaccettabile poiché allo stato attuale vi è una disgregazione e frammentazione della tutela proposta per la risoluzione delle molteplici questioni che attengono al delicato contesto familiare;
    in sostanza non esiste, come invece sarebbe opportuno e doveroso, una sede deputata alla risoluzione di qualsiasi problematica coinvolga la famiglia – che è il nucleo principale su cui si fonda la società – e a tale lacuna consegue un'inadeguata tutela dei soggetti coinvolti che sono, non solo gli adulti, ma anche e soprattutto i minori;
    le criticità dell'attuale sistema si possono riassumere come segue:
     a) troppi tribunali competenti per questioni diverse ma comunque tutte riconducibili al microcosmo famiglia;
     b) procedure, tempi, costi, strumenti d'indagine e valutazioni differenti in ciascun tribunale per situazioni di crisi familiare;
     c) magistrati costretti a occuparsi, soprattutto nei piccoli tribunali, di cause di ogni tipo;
     d) avvocati che curano pratiche di diritto di famiglia senza avere alcuna formazione ed esperienza specifica;
     e) servizi sociali cui sono affidate indagini dal Tribunale per i Minorenni completamente latitanti;
     f) l'eccessiva frammentazione attuale fa si che non esista un buon coordinamento tra i vari operatori volto a offrire una tutela ai minori in situazioni di crisi familiare;
    attualmente, anche a seguito della recente unificazione dei figli naturali a quelli legittimi, il tribunale per i minorenni è stato spogliato della competenza a decidere sugli affidamenti di figli minori nati da coppie conviventi more uxorio ed è rimasto quindi competente in materia di decadenza della responsabilità genitoriale, sempre che però non sia in corso tra le stesse parti un procedimento di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell'articolo 316 del codice civile, poiché in tal caso il giudice ordinario per la durata del processo assume la competenza anche per tali questioni;
    accade quindi che vi sia una confusione su quale tribunale sia di volta in volta competente – occorrendo preliminarmente verificare ad esempio, prima di interpellare il Tribunale per i Minorenni ai sensi dell'articolo 333 e ss.c.c., se penda già procedimento innanzi al tribunale ordinario su questioni riguardanti l'affidamento dei figli minori – e aspetto ancor più inquietante, la procedura, i tempi, le competenze e persino le indagini istruttorie sono differenti da sede a sede nonostante la questione da dirimere riguardi sempre e comunque l'interesse della prole minorenne a vedersi garantita una crescita serena possibilmente nel proprio contesto familiare di origine, seppur con genitori separati;
    mentre il tribunale ordinario si avvale di consulenti specifici, molto spesso, il tribunale per minorenni si avvale prevalentemente dei servizi sociali per analizzare i contesti familiari, ma si tratta di soggetti che molto spesso lavorano esiguamente e male, sia per mancanza di fondi, sia perché non hanno le competenze adeguate;
    la visuale dei due tribunali è differente perché il tribunale ordinario è chiamato a occuparsi della crisi familiare sotto ogni aspetto – anche economico – mentre il tribunale per i minorenni si occupa solo ed esclusivamente della prole minore tralasciando tuttavia aspetti comunque importanti a tutela della stessa come ad esempio, gli aspetti economici;
    inoltre, succede che una coppia che intende separarsi consensualmente e che tra gli accordi vuole prevedere il trasferimento della casa familiare ai figli minori, è costretta a rivolgersi prima al giudice tutelare per la necessaria autorizzazione o ancora una volta definita la separazione presso il tribunale ordinario – se insorgono questioni sulla frequentazione dei figli o sul rinnovo dei documenti – deve sempre e comunque rivolgersi nuovamente al giudice tutelare. In sostanza sono davvero troppe e scollegate le sedi chiamate a occuparsi delle diverse questioni relative il nucleo familiare in senso ampio. Questione che, se pur complicata, non è prevista per i figli minori nati da coppie conviventi, poiché con l'attuale normativa in materia di famiglia, ad essi non è garantito il diritto di conferimento della casa familiare poiché la legge lo prevede solo per la prole nata nel matrimonio;
    mentre poi il tribunale ordinario, anche a seguito della soppressione delle diversi sezioni distaccate, ha diverse sedi nel singolo circondario, il tribunale per i minorenni raggruppa tutti i contenziosi del circondario e quindi viene meno la maggiore celerità che dovrebbe garantire per l'urgenza delle questioni rientranti nella sua competenza, cosicché per una causa di affidamento dei minori possono passare in media anche sette anni;
    si consideri poi che anche laddove esista la sezione famiglia, il giudice nel ruolo del giorno tratta più materie, dalle richieste di asilo politico alle cause risarcitorie per diffamazione a mezzo stampa, per cui non è garantita una specificità della materia che proprio in ragione della delicatezza delle questioni che coinvolge necessita invece di una sede preposta e dei magistrati e degli avvocati preventivamente formati sull'argomento;
    a ciò si aggiunga che non tutti i tribunali dispongono della sezione famiglia e ciò comporta che nelle sedi più piccole i magistrati sono chiamati a trattare ogni sorta di contenzioso e le stesse udienze si presentano intasate perché nel ruolo del giorno il giudice tratta ogni sorta di questione in aule superaffollate e senza alcuna attenzione per questioni più delicate – quali appunto quelle familiari – che richiederebbero invece una maggiore tutela della privacy;
    il paradosso è che sul ruolo affisso fuori dall'aula le cause, a tutela della privacy delle parti, sono indicate solo con il numero di ruolo, ma poi le udienze pubbliche si tengono in aule ove sono presenti gli avvocati, le parti, i testimoni da escutere per ogni singola causa e questo, specie per soggetti che si presentano per discutere del proprio contesto familiare, della crisi matrimoniale o del miglior regime di affidamento per i propri figli, è a dir poco traumatizzante e imbarazzante in violazione della doverosa tutela della privacy;
    occorre pertanto che i magistrati che si occupano della materia del diritto di famiglia in senso ampio siano specificamente formati sul tema e che siano tutti i togati e non anche onorari come avviene presso il tribunale per minorenni;
    accade che un giudice che si è occupato sino al giorno prima o che tratti contestualmente di sfratti, cause di lavoro o altre questioni, si debba occupare di tutela dei minori. Per quanto accorto, non potrà mai avere la sensibilità, l'esperienza e la competenza a trattare di questioni familiari: occorre quindi che si formi una categoria di magistrati specificamente deputati, previa formazione, a trattare della materia familiare;
    i soggetti coinvolti sono sentiti dal giudice onorario presso il tribunale per i minorenni, per poi confrontarsi invece in altre udienze con quello di ruolo spesso ciò causa disorientamento;
    allo stesso modo occorre prevedere che gli stessi avvocati abbiano una specifica formazione e competenza, perché troppo spesso avviene che ci si improvvisi a fare una causa di separazione o affidamento, ritenendole materie facili, ma i danni che si possono procurare e che riguardano minori sono inaccettabili;
    si consideri poi che un avvocato che si occupa solo di diritto di famiglia – e che quindi frequenti esclusivamente la sezione famiglia laddove esistente – ha interesse a mantenere una propria buona reputazione con il contesto che lo vede quotidianamente coinvolto con magistrati, cancellieri, periti e tutto l'apparato giudiziario, e dunque sarà più scrupoloso nel curare la pratica, sia perché ne va della propria stima, sia perché tiene a farsi apprezzare e riconoscere per la propria professionalità;
    una maggiore competenza di tutti i soggetti a vario titolo coinvolti, quali magistrati, cancellieri, periti e avvocati garantisce una tutela rafforzata e concreta del contesto familiare, oltre che un consistente sgravio e alleggerimento dei tribunali e una semplificazione notevole per i cittadini che sapranno in maniera chiara e inequivocabile a chi rivolgersi per le molteplici questioni riguardanti la materia familiare che saranno di volta in volta chiamati ad affrontare e risolvere;
    tale operatore sarà quindi un professionista che non si farà gestire dal cliente per mero interesse economico bensì potrà assicurare una competenza e quell'attenzione doverosa in tale delicatissima materia;
    la legge sulle specializzazioni però non soddisfa per, diversi motivi, in primis, la difficoltà dei professionisti competenti in materia che se ne sono sempre occupati anche in maniera esclusiva, e che svolgono la propria professione in nome e per conto di professionisti titolari degli studi. Tali difficoltà fanno venire meno loro la possibilità economica e lavorativa di sostenere i costosissimi corsi che servono per farsi riconoscere professionalità e competenza specifica;
    sarebbe peraltro opportuno che gli avvocati specialisti della materia chiamati a patrocinare le cause familiari siano tutti obbligatoriamente iscritti nelle liste del gratuito patrocinio come anche i consulenti tecnici di ufficio perché la materia familiare – che ha tempi lunghi e quindi costi notevoli – non può rimanere appannaggio di alcuni, ma deve essere garantita anche ai meno abbienti e quindi a tutti;
    una nota molto dolorosa riguarda il lavoro svolto dai servizi sociali su incarico del giudice per verificare i contesti familiari. Accade che passino mesi prima che il singolo assistente sociale prenda l'incarico e inizi a eseguirlo e spesso ciò avviene a termine ormai ampiamente scaduto per depositare la propria relazione con ulteriori ritardi in situazioni in cui risulta fondamentale la tempestività del singolo intervento;
    gli approcci degli operatori sono spesso intimidatori e comunque privi di sensibilità quando addirittura non arrivano a esplicitare giudizi che esulano dalle loro competenze e poteri con una sorta d'ingerenza da parte di chi invece dovrebbe eseguire la propria professione sempre con ragione di causa e professionalità che oggi purtroppo manca in modo quasi indistinto. Ciò nel tempo ha portato all'opinione assai diffusa che è meglio evitare di imbattersi nei servizi sociali minorili. Occorre quindi una valutazione da parte del Ministero competente sul lavoro dei servizi sociali che si occupano di minori e un'adeguata preparazione per trattare la materia;
    le strutture neutre ove far svolgere incontri protetti con minori sottoposti a tale tutela come le case famiglia che ospitano madri con minori costrette a fuggire da situazioni di violenze familiari, i centri antiviolenza che si offrono di supportare le donne e i loro figli in situazioni critiche, gli organismi di mediazione, sono tutte disgregate e anche poco note se non agli operatori che ci lavorano e gli stessi magistrati non dispongono d'indicazioni specifiche sul punto, per cui sarebbe opportuno che nel tribunale della famiglia fosse istituito un ufficio o sportello specificamente preposto a indirizzare le parti,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per riformare la materia della tutela dei minori e della famiglia istituendo il tribunale della famiglia in ogni città ove già vi sia il Tribunale ordinario facendo sì che:
    a) il Tribunale della famiglia racchiuda la necessaria e specifica competenza a trattare di ogni questione attinente la famiglia, quali, separazioni, divorzi, affidamento minori, responsabilità genitoriale, adozioni, affidi, ora suddivisi tra la competenza del tribunale ordinario, del giudice tutelare, del tribunale per i minorenni;
   b) presso il tribunale della famiglia possano esercitare la propria professione, i magistrati, i giudici, i cancellieri, periti e i professionisti specificamente formati sulla materia al fine di garantire l'interesse della famiglia e dei minori coinvolti rimuovendo l'attuale frammentazione.
(7-00888) «Andrea Maestri, Brignone, Civati, Pastorino».


   La VII Commissione,
   premesso che:
    la «Via Francigena» è un antico itinerario che attraversa l'Europa, le cui origini risalgono al Medioevo. Il percorso, fissato intorno al 990 dall'arcivescovo Sigerico in ottanta tappe e conservato in un documento storico alla British Library di Londra, parte da Canterbury arriva a Roma, inserendosi nei tracciati definiti «romei» che raggiungevano la capitale della cristianità;
    la via percorre la contea del Kent, arriva alla Manica, prosegue lungo le regioni francesi Nord-Pas de Calais, Picardie, Champagne-Ardenne, Franche-Comtè, varca la frontiera Svizzera nel cantone di Vaud e, in Italia, si snoda attraverso le regioni Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana e Lazio;
    la Francigena, arteria di commercio e di pellegrinaggio, divenne nel corso dei secoli una via di collegamento importantissima tra il nord e il sud Europa e un fecondo terreno di scambio culturale ed economico. Si tratta di un itinerario non costituito da un unico tracciato, ma da un intreccio di strade e sentieri che si sviluppavano in relazione ai differenti contesti e mutamenti storici, economici e sociali. Un itinerario quindi in cui i luoghi sacri (cattedrali e chiese) si intrecciano con le testimonianze di vita comune come grance, granai, ponti fortificati, ospedali, stazioni di posta, cisterne, mulini, antiche locande;
    grazie ad un ampio ventaglio di documentazioni storiche, ben riscontrabili sul terreno, la via Francigena rappresentò un formidabile canale di collegamento per i pellegrinaggi diretti verso i luoghi della cristianità e, oltre mare, verso Gerusalemme. I pellegrini provenienti dal nord percorrevano la via per dirigersi a Roma e proseguendo lungo la via Appia, rinominata successivamente via Francigena del Sud, verso i porti pugliesi dove s'imbarcavano verso la Terrasanta. Chi da Roma decideva di incamminarsi verso sud poteva scegliere percorsi diversi che in genere si riunivano in due importanti «nodi»: Capua e Benevento. Da qui la direttrice più battuta era l'Appia Traiana, che conduceva verso i porti della Puglia: Siponto, Bari, Egnazia, Brindisi, Otranto, «finis italiae». Un itinerario formidabile, che di fatto si snoda fino a Santa Maria di Leuca laddove Adriatico e Mediterraneo si incontrano, definendo un percorso di incredibile bellezza e potenzialmente di attrazione turistico-culturale;
    nel 1994, su iniziativa del Ministero del turismo italiano, il Consiglio di orientamento degli itinerari culturali del Consiglio d'Europa decise di raccomandare l'elezione della via Francigena a itinerario culturale;
    il 21 aprile 1994, la direzione educazione, cultura e sport del Consiglio d'Europa ha ufficializzato il riconoscimento di itinerario culturale della via Francigena (protocollo n. 459 del 4 maggio 1994);
    il 9 dicembre 2004 il Consiglio d'Europa ha dichiarato la via Francigena «grande itinerario culturale del Consiglio d'Europa» ai sensi della risoluzione (98) 4, adottata dal Comitato dei ministri il 17 marzo 1998. La definizione «grande itinerario culturale» fa riferimento a temi pan-europei definiti in più progetti di varie regioni europee con una cooperazione di lunga durata in più campi d'azione, riunendo abilità interdisciplinari;
    nel corso degli ultimi anni il percorso italiano della via Francigena è stato oggetto di interventi pubblici, di aggiornamenti normativi, di progetti locali. Per quanto riguarda le iniziative di carattere nazionale si ricordano:
   la legge n. 270 del 1997, concernente il piano degli interventi di interesse nazionale relativi a percorsi giubilari e pellegrinaggi in località al di fuori del Lazio, varata in occasione del Giubileo del 2000;
   il progetto, inaugurato nel 2007, promosso dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, relativo a una mappatura dei prodotti agroalimentari e delle strutture agrituristiche lungo l'itinerario;
   l'istituzione nel 2007, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di una Consulta per gli itinerari culturali, storici e religiosi e di un Comitato scientifico della Consulta, organo tecnico-operativo con il compito di deliberare il programma delle attività e adottare gli atti di indirizzo;
   il progetto, inaugurato nel 2008, del Ministero per i beni e le attività culturali che ha dotato alcuni tracciati originari presenti sul territorio italiano (972 chilometri) di una segnaletica adeguata (circa 6.000 cartelli, circa uno ogni 500 metri);
   la legge n. 9 del 2014, all'articolo 13, comma 24, che ha finanziato progetti (promossi da comuni da 5 mila a 150 mila abitanti) «per il coordinamento dell'accoglienza turistica tramite la valorizzazione di aree territoriali di tutto il territorio nazionale, di beni culturali e ambientali, nonché il miglioramento dei servizi per l'informazione e l'accoglienza dei turisti». Tale norma (i cui termini relativi alla scadenza dei bandi sono stati poi prorogati con la legge n. 302 del 2014) ha incentivato molti enti territoriali, posti lungo la via Francigena, a presentare dei progetti legati all'itinerario, dall'accoglienza alla valorizzazione dei siti culturali;
   la legge n. 83 del 2014 che presenta norme che si ispirano direttamente alla valorizzazione della via Francigena a partire dalla semplificazione dei progetti a valenza interregionale e dall'affido gratuito dei beni demaniali, non utilizzati e presenti lungo l'itinerario, destinati al supporto logistico ed informativo e con funzioni ricettive;
    a queste iniziative vanno poi aggiunti gli interventi promossi dagli enti locali territoriali, nei differenti livelli istituzionali, come i finanziamenti stanziati da alcune regioni che hanno creduto particolarmente nella valorizzazione dell'itinerario quale volano di sviluppo locale:
   la regione Toscana ha investito negli ultimi cinque anni, per un tratto complessivo di 370 chilometri, 16 milioni di euro per interventi di messa in sicurezza del tracciato, per l'ammodernamento delle strutture ricettive e campagne di comunicazione;
   la regione Lazio (con i fondi del progetto europeo Certess) ha stanziato risorse per la manutenzione ordinaria dei percorsi e della relativa segnaletica, per promuovere servizi di accoglienza e di logistica e per realizzare progetti editoriali per incentivare una migliore fruizione degli itinerari;
   sono inoltre previsti interventi specifici, promossi dalle regioni interessate (Toscana, Emilia-Romagna, Liguria, Lazio, Piemonte, Regione Puglia anche per quanto concerne inoltre la via Francigena del Sud, approvando il tracciato ufficiale dai Monti Dauni fino a Brindisi con il doppio vincolo di valorizzazione turistica integrata dei beni culturali e di vincolo paesaggistico) per la qualificazione della rete degli uffici di informazione e accoglienza turistica lungo il percorso; per la realizzazione di una segnaletica coordinata; per azioni promo-pubblicitarie sui mercati interno ed estero; per interventi di formazione rivolti a operatori turistici, guide, addetti all'informazione turistica; per il sostegno alla qualificazione dei servizi offerti da consorzi turistici, per la realizzazione di eventi di grande richiamo;
    sono stati sottoscritti accordi di programma, sia nazionali che internazionali, per una valorizzazione dei territori interessati dalla via Francigena, come ad esempio:
   il protocollo di collaborazione firmato nel mese di ottobre del 2014 dai rappresentanti delle regioni europee coinvolte: Kent (Regno Unito); Nord-pas-de-Calais, Picardie, Champagne-Ardenne, Franche-Comtè (Francia); Cantone Vaud, Cantone Vallese (Svizzera); Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Liguria, Lazio (Italia);
   l'istituzione di un tavolo tecnico istituzionale permanente promosso dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, con le regioni coinvolte per definire una governance unica del progetto «sulla via Francigena»;
   la sottoscrizione, nel mese di marzo 2015, di un protocollo d'intesa a sostegno dello sviluppo e della promozione della via Francigena, da parte di sindaci dei 17 comuni del Lazio a nord di Roma, interessati dal percorso;
   la via Francigena del Sud è già presente nell'itinerario approvato dall'assemblea generale dell'Associazione europea delle vie francigene tracciato con la collaborazione della Società geografica italiana, partner scientifico coinvolto nella predisposizione del dossier di candidatura al riconoscimento ufficiale della via Francigena del Sud quale Itinerario culturale del Consiglio d'Europa;
    la via Francigena è stata oggetto, nell'attuale legislatura, di numerosi e diversificati atti ed iniziative parlamentari tra cui:
   la presentazione di proposte di legge per promuoverne la valorizzazione e la fruizione sia alla Camera dei deputati (A.C. 294) sia al Senato (A.S. 450);
   l'approvazione alla Camera dei deputati di ordini del giorno specifici che impegnano il Governo: (n. 9/02426-A/004) a «riconoscere l'antico  percorso italiano della via Francigena quale risorsa culturale, ambientale e turistica di primaria valenza pubblica nazionale»; «a promuovere, con norme specifiche, finanziamenti pubblici adeguati e protocolli d'intesa finalizzati fra soggetti privati ed enti territoriali interessati, la tutela, la valorizzazione dalla via Francigena, attraverso interventi di recupero, manutenzione e promozione del patrimonio storico-culturale, spirituale e ambientale e di riqualificazione del patrimonio ricettivo esistente»; (n. 9/02426-A/012) «ad attivarsi per lo stanziamento di risorse finalizzate a completare l'individuazione del percorso denominato “Via Francigena”, quale itinerario storico, culturale e religioso»; «a realizzare una segnaletica completa e uniforme che consenta di percorrere l'itinerario, anche a piedi, nell'intero territorio italiano»;
   la costituzione di un intergruppo parlamentare a sostegno della «via Francigena» al quale hanno aderito 37 tra deputati e senatori di diversi orientamenti politici;
    la Convenzione per la tutela del patrimonio culturale e naturale è un trattato internazionale adottato dalla Conferenza generale dell'Unesco il 16 novembre del 1972 con il compito di definire il patrimonio mondiale attraverso l'adozione di una lista che raccolga i beni considerati d'interesse eccezionale e di valore universale per l'umanità;
    a tale convenzione, per ciò che concerne il patrimonio «materiale», l'ordinamento nazionale ha aderito con la legge n. 184 del 1977 «Ratifica della Convenzione sulla protezione del patrimonio mondiale, culturale, naturale dell'umanità»;
    il decreto n. 4195 del 24 maggio 2007 «disciplina la composizione, i compiti e le funzioni della Commissione nazionale italiana per l'Unesco»;
    la procedura concordata per l'invio di candidature nelle liste e nei network dell'Unesco è stata approvata nella seduta del consiglio direttivo della Commissione nazionale italiana per l'Unesco il 6 maggio del 2011;
    si è costituito nel 2010 presso il Ministero per i beni e le attività culturali, il gruppo di coordinamento per la candidatura della via Francigena per l'iscrizione nella lista del patrimonio materiale mondiale dell'Unesco formato da rappresentanti dello stesso ministero, delle regioni Toscana e Lazio, delle province di Siena e Pavia, dell'Associazione europea delle vie francigene e del parco della Val d'Orcia;
    nell'anno in corso il comune di Fidenza, città nella quale ha sede l'Associazione europea delle vie francigene, ha parallelamente avviato un proprio percorso per l'inserimento del duomo cittadino quale patrimonio mondiale nell'ambito del più vasto progetto di candidatura della via Francigena nella lista del patrimonio tutelato dall'Unesco, e in tale iniziativa, alla quale la regione Emilia-Romagna ha dato la propria adesione, è stato coinvolto il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
    ad oggi non risultano ulteriori notizie ufficiali relative all'iter della candidatura che prevede successivamente l'analisi della proposta da parte della Commissione nazionale italiana per l'Unesco (una struttura interministeriale – a cui partecipano rappresentanti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) e la successiva redazione di una documentazione di sostegno alla candidatura stessa che necessita di un dossier ed un piano di gestione;
    l'antico cammino di fede corrisponde dunque pienamente ai recenti indirizzi assunti dall'Unesco che ha deciso di privilegiare, per l'assegnazione del riconoscimento a bene immobile dell'umanità, proprio questa tipologia di candidature (come risulta peraltro dagli ultimi siti italiani premiati: «La ferrovia retica nel paesaggio dell'Albula e del Bernina»; «Dolomiti»; «I longobardi in Italia. Luoghi di potere»; «Siti palafitticoli preistorici delle alpi»; «Ville medicee»; «Monte Etna»; «Paesaggi vitivinicoli del Piemonte: Langhe – Roero e Monferrato»);
    tale candidatura, inoltre, interessa non solo una nazione ma più Paesi. Sarebbe quindi opportuno, come già accaduto in passato, che il Governo italiano collaborasse attivamente con gli altri stati interessati al fine di definire una candidatura unitaria;
    la candidatura della via Francigena è un significativo volano per promuovere e valorizzare l'Italia come un vero e proprio «museo diffuso» ampliando e diversificando l'offerta dei flussi turistici tradizionali, favorendo una fruizione lenta, sostenibile, integrabile con le tante e diverse peculiarità delle realtà territoriali;
    la candidatura della via Francigena rappresenta anche un'occasione per dare impulso ad una corretta conservazione, fruizione e promozione del patrimonio storico e artistico dei molteplici monumenti che caratterizzano l'intero l'itinerario. Senza dimenticare che il percorso, nato come itinerario religioso, può anche divenire un'occasione straordinaria e irripetibile di arricchimento culturale, di valorizzazione delle ricchezze paesaggistiche e di riscoperta del vasto patrimonio enogastronomico e artigianale locale. Uno strumento irrinunciabile quindi per un turismo non invasivo, compatibile con le risorse indigene attento all'ambiente e capace di strutturarsi in flussi omogenei lungo un vasto arco temporale;
    la via Francigena è una risorsa importante per l'economia di intere regioni (in Toscana, ad esempio, crea ad oggi un volume di affari annuo di 16 milioni di euro, 400 posti di lavoro e 150 mila visitatori ed anche di moltissimi centri minori che potranno beneficiare della vicinanza con l'itinerario), sono infatti circa 800.000 i potenzali visitatori annui: pellegrini in primo luogo attirati dai luoghi spirituali e religiosi presenti lungo il percorso (la via Francigena si inserisce infatti nell'ambito delle tre « peregrinationes maiores») ma anche dal turismo enogastronomico e sportivo. In questa direzione è necessaria una completa ed efficace messa in sicurezza del tracciato per la mobilità dolce (biciclette, passeggiate a piedi e a cavallo), una segnaletica efficiente e visibile e la presenza di strutture ricettive convenzionate. La realizzazione di questi progetti rappresenterebbe quindi un'occasione straordinaria di valorizzazione del patrimonio esistente, un esempio di accoglienza, un'opportunità di crescita economica locale a basso impatto ambientale ed un esempio concreto di uno sviluppo turistico sostenibile capace di valorizzare un rapporto rinnovato tra visitatori e comunità;
    l'8 dicembre 2015 Papa Francesco ha aperto il Giubileo che si concluderà nel mese di dicembre 2016. L'Anno Santo, oltre a rappresentare una opportunità di crescita economica ed occupazionale (nel 2000, l'anno dell'ultimo Giubileo, l'Italia registrò una crescita record del Pil del 2,9 per cento; il tasso di disoccupazione calò di un punto percentuale; solo a Roma la presenza di turisti e pellegrini portò circa 13 mila miliardi di lire, 2 mila miliardi in più rispetto al 1999) è inevitabilmente una opportunità strategica ed irrinunciabile, oltre che un evento dagli innumerevoli valori simbolici, per veicolare e rafforzare la candidatura della via Francigena,

impegna il Governo:

   a presentare il progetto di candidatura per l'inserimento della «Via Francigena» nella lista rappresentativa del patrimonio culturale materiale dell'umanità dell'Unesco, d'intesa con gli altri Paesi europei interessati dal tracciato ed in relazione a quanto esposto in premessa, al fine di dare continuità alle iniziative, agli stanziamenti, ai protocolli d'intesa ed ai progetti già messi in atto dai soggetti preposti nel corso degli ultimi anni;
   a presentare in Parlamento una relazione sul lavoro dei soggetti istituzionali preposti e sulle fasi di avanzamento della candidatura della «via Francigena» nella lista rappresentativa del patrimonio culturale materiale dell'umanità dell'Unesco;
   ad inserire nella prossima iniziativa normativa utile, anche in previsione del Giubileo che si è aperto nel mese di dicembre 2015, norme specifiche e finanziamenti adeguati per la valorizzazione e la fruizione della «via Francigena», concordati preventivamente con il gruppo di coordinamento per la candidatura, la Commissione nazionale italiana per l'Unesco e con le istituzioni territoriali competenti.
(7-00887) «Rocchi, Cenni, Terrosi, Romanini, Stella Bianchi, Beni, Pellegrino, Incerti, Manzi, Patrizia Maestri, Gandolfi, Marguerettaz, Verini, Catania, Venittelli, Capone, Albini, Dallai».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   secondo indiscrezioni pubblicate da alcuni organi di stampa, il Consiglio dei ministri sarebbe in procinto di approvare, nella seduta in programma il 20 gennaio 2016, dieci decreti attuativi della legge n. 124 del 2015 recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche»;
   tra le notizie trapelate, assumerebbe particolare rilevanza quella relativa alle limitazioni presenti nel testo alle funzioni giurisdizionali e di controllo esercitate dalla Corte dei conti;
   in particolare, secondo anche quanto rilevato dall'associazione dei magistrati contabili, la normativa prevede, tre le altre cose, che sia i consigli di amministrazione sia i sindaci siano chiamati a rispondere di danno erariale unicamente di fronte al giudice ordinario;
   secondo quanto riportato da alcuni organi di stampa, infatti, i responsabili degli illeciti sarebbero «soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali»;
   tra le altre previsioni, che limiterebbero le attività di controllo e vigilanza sulla gestione contabile delle società partecipate, ci sarebbe il vincolo che ad attivare i ricorsi possano essere unicamente gli enti pubblici soci;
   questo stato di cose, se risultasse vero, rappresenterebbe un gravissimo ostacolo all'azione della magistratura contabile, volta a perseguire illeciti, a recuperare risorse della collettività distratte dalla loro originaria finalità pubblica e a riconoscere il danno erariale, in una fase, tra l'altro, in cui dovrebbero essere rafforzate le misure di contenimento e ottimizzazione della spesa;
   quanto prefigurato da alcuni organi di stampa, in merito alla riforma delle partecipate pubbliche, si configurerebbe complessivamente come un vero e proprio arretramento dello Stato nell'adozione di azioni incisive volte a perseguire illegalità e corruzione, nonché nell'introduzione di misure efficaci di prevenzione e deterrenza di sprechi e cattiva gestione, del denaro pubblico;
   secondo le indiscrezioni trapelate, il testo proposto in materia di riforma delle società pubbliche includerebbe la previsione in merito all'assegnazione alla Presidenza del Consiglio dei ministri di competenze e funzioni di vigilanza sulle società a partecipazione pubblica, oggi esercitate dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   a parere dell'interrogante, la citata previsione attribuirebbe un potere eccessivo alla Presidenza del Consiglio dei ministri, determinando il rischio di una compromissione dell'esercizio delle funzioni di controllo da parte degli organismi competenti;
   a rafforzare ulteriormente il rischio di una concentrazione di poteri in capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri sulle società partecipate, ci sarebbe il potere di nomina, attribuito al Governo, degli amministratori unici delle partecipate statali, in un contesto, tra l'altro, in cui vengono cancellati i consigli di amministrazione;
   quest'ultima circostanza potrebbe porre il Governo in una situazione di conflitto d'interessi, in cui l'organo preposto al controllo nomina l'organo da controllare –:
   se quanto esposto in premessa risponda al vero;
   quali siano le motivazioni che avrebbe portato il Governo a definire il testo della riforma delle partecipate pubbliche di cui in premessa, con particolare riferimento alla nuova normativa in materia di danno erariale;
   quali iniziative intenda adottare per rafforzare le azioni di prevenzione e controllo degli illeciti contabili nelle partecipate pubbliche nonché per rafforzare e dare maggiore speditezza alle misure di recupero delle risorse pubbliche distratte dalla loro legittima finalità e per il riconoscimento del danno erariale;
   se non ritenga che l'assegnazione alla Presidenza del Consiglio dei ministri di una serie di competenze in materia di controllo sulle partecipate pubbliche, unitamente al potere di nomina governativa degli amministratori unici, determini una situazione di eccessivo controllo da parte del Governo, oltre a delineare una situazione di conflitto d'interessi.
(2-01230) «Vallascas, Fraccaro, Da Villa, Cancelleri, Dell'Orco, Pesco, Nicola Bianchi».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FERRARESI, PAOLO BERNINI, SARTI, SPADONI, DALL'OSSO, DELL'ORCO, CRIPPA, DA VILLA, LIUZZI, DE ROSA, MICILLO, BUSTO e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   una vasta porzione del territorio di pianura della regione Emilia-Romagna è caratterizzato dal fenomeno della subsidenza naturale, con abbassamenti del terreno compresi tra 1 e 3 mm all'anno, dovuto al progressivo compattamento dei terreni alluvionali;
   alla subsidenza naturale si sovrappone, in particolare, in tutta l'area costiera, compreso il delta del Po, quella generata dall'uomo, «antropica», manifestatasi a partire dagli anni ’50-’60 del secolo scorso, dovuta all'estrazione di acque sotterranee metanifere e di gas da giacimenti profondi che hanno innescato, in pochi anni, un'accelerazione dell'abbassamento del terreno di decine di volte superiore ai livelli normali, fino a oltre un metro, con punte di circa due metri nei pressi di Porto Viro (Ro);
   recenti dati delle livellazioni confermano come, ad esempio, la coltivazione di un giacimento di gas metano produca un abbassamento indotto del terreno di circa 6-8 mm l'anno, interessando un'area irregolare compresa tra i 5 e i 10 chilometri dal punto del giacimento; si tratta di un fenomeno riguardante non solo il territorio emerso, tua anche il fondale marino che, trasformandosi, indebolisce le difese della costa;
   il territorio della provincia di Ferrara è, da sempre, particolarmente fragile e vulnerabile, per il suo complesso rapporto con le acque essendo situato, per circa il 40 per cento, sotto il livello del mare, con imponenti arginature a delimitazione del perimetro esterno e con fondamentali opere atte a garantire lo scolo delle acque meteoriche, le infiltrazioni dei fiumi e del mare, mantenendo efficiente la rete di bonifica esistente che, pur tuttavia, in alcune occasioni, non ha potuto evitare allagamenti diffusi e persistenti, anche a seguito delle mutate condizioni meteo-climatiche;
   una vasta area del territorio provinciale è inserita dall'Autorità di bacino del fiume Po nella categoria di rischio idraulico indicata come fascia C e denominata «Aree di inondazione per piena catastrofica»;
   per frenare l'aggravarsi del fenomeno di subsidenza per cause antropiche, negli anni ’60, le estrazioni, iniziate ai primi del ’900, furono interrotte per disposizione di legge, ma gli effetti di abbassamento già innescati proseguirono anche successivamente e, per far fronte al grave dissesto idraulico provocato, si rese indispensabile la realizzazione di nuovi impianti idrovori, l'adeguamento degli esistenti e dell'intera rete scolante;
   solo per la gestione e il mantenimento efficiente delle reti idrauliche di bonifica, canali e impianti di sollevamento, sono necessari enormi investimenti, e qualsiasi misura di mitigazione e compensazione dei danni derivanti dalla estrazione di idrocarburi, proposta dalle compagnie petrolifere, non potrà mai essere adeguata a garantire i costi sociali connessi, sia ad una eventuale crisi idraulica, che a carico dell'intero sistema socio-economico provinciale;
   da diversi anni, per fronteggiare il fenomeno della subsidenza, la regione Emilia Romagna destina consistenti fondi pubblici per rimediare e compensare al dissesto del territorio, in particolare costiero, dove è rilevante l'erosione delle spiagge e la conseguente perdita di sabbia (1 cm di abbassamento, per 100 km di costa, comporta una spesa di 13 milioni di euro solo per l'acquisto della sabbia);
   il «Consorzio di Bonifica Pianura di Ferrara», l'ente più autorevole sul territorio, quanto a funzioni e responsabilità per la sicurezza idraulica dello stesso, ha espresso più volte, con atti deliberativi, la propria netta contrarietà alle attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi sul territorio provinciale e nel mare antistante asserendo che: «... l'esigenza primaria di tutela del territorio ferrarese, in quanto area vulnerabile ad elevato rischio, supera qualsiasi rassicurazione o offerta di elementi di compensazione o mitigazione, anche se appoggiati su pretese basi scientifiche portate a supporto delle richieste stesse»;
   un'estesa porzione del territorio provinciale rientra nel Parco regionale Delta del Po, ambiente umido più importante d'Italia e tra i più importanti d'Europa, recentemente riconosciuto come riserva della biosfera (MAB) dell'Unesco, conferendo a Ferrara e al territorio del Delta del Po il titolo di patrimonio mondiale dell'umanità; riconoscimento al valore di un paesaggio urbano e naturalistico unico al mondo;
   l'intero territorio provinciale, a tutela della sua biodiversità straordinaria, è costellato di aree protette come riserve naturali regionali, aree di riequilibrio ecologico e siti Natura 2000 siti di interesse comunitario e zone di protezione speciale;
   l'Emilia-Romagna ha una superficie territoriale complessiva di 22.122 chilometri quadrati di questi, circa 7 mila chilometri quadrati  (pari al 33 per cento totale) sono interessati da 35 permessi di ricerca e 1774,5 (pari al 9 per cento del totale) sono interessati dalle 37 concessioni di coltivazione di idrocarburi attive e ben 5 siti di stoccaggio gas; 
   l'intera superficie della provincia di Ferrara è ormai completamente interessata da permessi di ricerca e concessioni di coltivazione, principalmente di gas naturale; attualmente, sono in corso di valutazione di impatto ambientale, 7 istanze di ricerca e 2 di coltivazione, mentre sono già vigenti: 6 permessi di ricerca, 4 concessioni di coltivazione, 1 concessione di stoccaggio gas, 1 concessione di coltivazione di risorse geotermiche;
   in seguito al terremoto di maggio 2012, la regione Emilia-Romagna, d'intesa con il dipartimento nazionale di protezione civile, ha istituito una Commissione internazionale tecnico-scientifica di esperti, nota come «Commissione Ichese», per lo studio di possibili relazioni tra le attività estrattive di idrocarburi e l'aumento dell'attività sismica nell'area colpita dal sisma, la quale non ha escluso, nelle sue conclusioni, che le attività di estrazione e reiniezione degli idrocarburi coltivati in zona, possano avere contribuito a innescare e/o influenzare la durata e la potenza dell'attività sismica in una struttura già sismogeneticamente attiva;
   l'incremento del numero e dell'intensità dei terremoti nel 2012 e 2013 ha indotto il Governo olandese ad ammettere, in una lettera del Ministro dell'economia Kamp al Parlamento, la gravità della situazione: «durante l'ultimo decennio il numero di terremoti per anno e, inoltre, il numero di forti terremoti nel campo di Groningen, è aumentato in proporzione all'incremento della produzione di gas»; le compagnie petrolifere sono state costrette a risarcire con 1,2 miliardi di euro i proprietari di 30 mila edifici danneggiati nella provincia dai terremoti indotti dopo il 2008, a fronte di un danno stimato di circa 30 miliardi di euro per 152.000 case danneggiate;
   il decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014, convertito nella legge n. 164 dell'11 novembre 2014 il cosiddetto «Sblocca Italia»), fissa una serie di misure tali da influenzare sensibilmente la politica ambientale ed energetica per l'intero territorio nazionale, impedendo di fatto istituzioni locali di operare scelte in autonomia; la giurisprudenza costituzionale ha costantemente ribadito che il potere dello Stato è condizionato dal raggiungimento dell'intesa con le regioni interessate in quanto «atto maggiormente espressivo del principio di leale collaborazione» e che tale principio impone il rispetto di una procedura articolata e a struttura necessariamente bilaterale, tale da assicurare lo svolgimento di reiterate trattative, non superabile con decisione unilaterale di una delle parti;
   una recente sentenza della Corte di giustizia europea (Seconda Sezione) dell'11 febbraio 2015, ha ritenuto necessario uno studio di valutazione d'impatto ambientale cumulativo, che tenga conto di tutte le attività di ricerca e coltivazione presenti e previste, senza limitarsi ai confini comunali o regionali e metta fine al frazionamento dei progetti, in quanto l'impatto di uno potrebbe amplificarsi in presenza di impianti limitrofi già esistenti;
   il Consiglio regionale dell'Emilia Romagna ha approvato, già il 12 luglio 2011, una risoluzione sulla ricerca e lo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi, al fine di tutelare il territorio regionale, impegnano la giunta regionale a «dare il proprio parere negativo a tutte le richieste di ricerca e coltivazione presentate in aree del territorio regionale colpite dalla subsidenza e da fenomeni franosi»;
   il Parco Delta del Po, il consorzio di bonifica «Pianura di Ferrara», i comuni di Argenta, Comacchio, Copparo, Formignana, Masi Torello, Ostellato e Portomaggiore, oltre alle associazioni ambientaliste: Legambiente, WWF e Greenpeace, hanno espresso la propria contrarietà a nuovi permessi di ricerca, a nuove perforazioni, a nuovi sondaggi nel terreno, nonché a nuove coltivazioni di idrocarburi –:
   se, in considerazione di quanto esposto in premessa, il Governo non ritenga, per quanto di competenza, che possano sussistere rischi potenziali di pregiudizio, in un'area con le caratteristiche idrogeologiche descritte, per la sicurezza idraulica del territorio, a seguito di nuove attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi;
   se il Governo non ritenga, per quanto di competenza, che nuove attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi, in un'area interessata da faglie tettonicamente e sismicamente attive, possano accrescere il rischio di sviluppare terremoti e quindi provocare conseguenti danni a cose e persone;
   se non si ritenga necessario, in base al principio di precauzione, di assumere iniziative per il ritiro delle concessioni autorizzate di estrazione o stoccaggio di idrocarburi in aree dove sia accertata la presenza di faglie attive nel sottosuolo;
   se e come intenda il Governo garantire nell'ambito delle proprie competenze, con massima attenzione, il rispetto delle prescrizioni nel corso delle procedure riguardanti le valutazioni di impatto ambientale delle richieste ricerca e coltivazione di idrocarburi secondo, secondo le indicazioni fornite dalla sentenza della Corte di giustizia europea (seconda Sezione) dell'11 febbraio 2015. (5-07434)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la regione Sardegna affronta ormai da tempo una crescente crisi economica e di sviluppo in diversi settori del mercato, tra i quali, per l'appunto, quello turistico;
   l'amministrazione regionale ha adottato, nel corso degli anni, diversi provvedimenti legislativi finalizzati ad incentivare lo sviluppo del turismo, anche attraverso la riqualificazione dell'offerta del settore ricettivo-alberghiero;
   con la legge regionale n. 9 del 1998, la regione Sardegna ha parzialmente modificato la legge regionale n. 40 del 1993, in particolare, ha introdotto la possibilità per le imprese di ottenere un contributo in conto capitale per l'esecuzione di interventi di riqualificazione delle strutture turistiche;
   la legge regionale n. 9 del 1998 è entrata in vigore il 5 aprile 1998;
   il regime di aiuti introdotto con legge regionale n. 9 del 1998 veniva notificato alla Commissione europea la quale, con provvedimento n. D/9547 del 12 novembre 1998, ne dichiarava la compatibilità con il mercato comune ai sensi degli articoli 92 e 93 del Trattato CE (successivamente, articolo 88 T.C.E., ed infine, articolo 108 T.F.U.E.);
   l'autorizzazione dell'aiuto veniva pubblicata in estratto sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee del 19 dicembre 1998;
   tale estratto era privo di qualsivoglia condizione all'attuazione del regime;
   con delibera della giunta regionale n. 58/60 del 22 dicembre 1998, la regione Sardegna approvava la «Direttiva di attuazione» degli aiuti previsti dalle suddette leggi: tale direttiva stabiliva, all'articolo 17, che «in sede di prima applicazione delle presenti direttive, nella formulazione del Primo programma di intervento, sono ammissibili gli interventi e le spese effettuati o sostenute successivamente alla data del 5 aprile 1998 (data di entrata in vigore della legge)»;
   con decreto dell'assessore regionale del turismo, artigianato e commercio n. 285 del 29 aprile 1999, la regione Sardegna rendeva esecutiva la suddetta «Direttiva di attuazione» approvata con delibera della giunta regionale n. 58/60. Tale decreto veniva pubblicato nel B.U.R.A.S. n. 14 dell'8 maggio 1999 (supplemento straordinario n. 3);
   con la delibera della giunta regionale n. 33/4 del 27 luglio 2000 la giunta approvava le nuove «direttive di attuazione della legge regionale 11 marzo 1998, n. 9», le quali sostituivano quelle approvate con la delibera della giunta regionale n. 58/60 del 22 dicembre 1998 (quest'ultima veniva contestualmente annullata con la delibera della giunta regionale n. 33/3 in pari data), e prevedevano, tra l'altro, che le agevolazioni fossero concesse in relazione a spese sostenute dalle imprese turistiche «purché effettuate successivamente alla richiesta dei previsti benefici» (articolo 6 delle direttive approvate);
   contestualmente, con la delibera della giunta regionale n. 33/6 del 27 luglio 2000 la giunta stabiliva che «in deroga alle nuove direttive ed in fase di prima applicazione della legge regionale n. 9 del 1998, possano essere presi in considerazione, con esclusivo riferimento alle domande presentate per la partecipazione al 1o bando annuale ed inserite in graduatoria, i lavori eventualmente effettuati dopo il 5 aprile 1998» (ossia, dopo l'entrata in vigore della legge regionale n. 9 del 1998);
   siffatta deroga veniva prevista al fine di garantire l'ammissione al beneficio a tutte quelle imprese private che avevano maturato una legittima aspettativa al riconoscimento del contributo in virtù dell'articolo 17 della prima direttiva di attuazione (approvata con la delibera della giunta regionale n. 58/60: cfr. doc. 3) e, ancor prima, della legge regionale n. 9 del 1998, quest'ultima, come detto, approvata dalla Commissione europea;
   con la delibera della giunta regionale n. 33/6, la giunta regionale ha dichiaratamente ammesso che, a seguito della pubblicazione della precedente direttiva di attuazione (la n. 58/60) nel B.U.R.A.S., si erano determinate «aspettative da parte dei potenziali beneficiari» e che, pertanto, «un'ipotesi di esclusione delle opere o forniture antecedenti la data di presentazione della domanda potrebbe determinare concrete possibilità di ricorsi giurisdizionali ed altrettanto realistiche possibilità di soccombenza in giudizio dell'Amministrazione regionale»;
   con determinazione n. 1894 del 29 dicembre 2000, il direttore generale dell'assessorato regionale del turismo, artigianato e commercio indiceva il bando 2000 per la presentazione delle domande di contributo di cui alla legge regionale n. 9 del 1998, ed approvava la relativa modulistica;
   a distanza di un anno e mezzo dal riconoscimento del contributo la Commissione europea aveva avviato la procedura di indagine formale ai sensi dell'articolo 88.2 del Trattato CE e dell'articolo 16 del Regolamento (CE) n. 659/99 (concernente gli «aiuti attuati in modo abusivo»), in relazione al regime di aiuti di cui alla legge regionale n. 9 del 1998;
   la Commissione rilevava che le autorità italiane (rectius: la regione Sardegna) fossero incorse nella violazione del Trattato CE laddove avevano concesso le agevolazioni alle imprese che avevano avviato i lavori prima della presentazione della domanda;
   con nota prot. n. 9898 del 2 aprile 2004, la regione Sardegna presentava le proprie osservazioni nell'ambito del procedimento di indagine formale;
   in tale occasione, la regione ammetteva la propria responsabilità nell'aver indotto le imprese alberghiere alla richiesta del contributo anche per interventi di riqualificazione avviati prima della presentazione della domanda; ad esito del procedimento di indagine formale, con decisione del 2 luglio 2008, la Commissione dichiarava che «gli aiuti di Stato concessi a titolo della legge regionale n. 9 del 1998, illegalmente attuata dall'Italia con deliberazione n. 33/6 e il 1o bando, sono incompatibili con il mercato comune, a meno che il beneficiario dell'aiuto non abbia presentato una domanda d'aiuto sulla base di questo regime prima dell'esecuzione dei lavori relativi ad un progetto di investimento iniziale»;
   tale compatibilità era stata ribadita dalla Commissione soltanto perché la regione aveva omesso di informare la Commissione medesima in merito alla ammissione ai contributi per chi avesse iniziato i lavori prima della domanda: infatti, all'epoca della nuova dichiarazione di compatibilità, la regione non aveva mai trasmesso alla Commissione né la delibera della giunta regionale n. 58/60 del 22 dicembre 1998, né la successiva delibera della giunta regionale n. 33/6 del 27 luglio 2000, ossia i provvedimenti che avevano consentito alla opponente di accedere ai contributi (la regione notificherà tali provvedimenti alla Commissione europea soltanto in data 28 aprile 2003, ossia tre anni dopo la loro adozione e, per quanto qui interessa, dopo che la opponente aveva già eseguito il programma finanziato; ma, soprattutto, soltanto dopo che la Commissione aveva avviato il procedimento d'indagine formale e richiesto alla regione tutta la documentazione relativa al regime in questione;
   la regione impugnava la suddetta decisione della Commissione europea dinanzi al tribunale di primo grado delle Comunità europee e sostanzialmente ammetteva la propria responsabilità, riconoscendo di aver indotto a credere nella legittimità del contributo, e riconosceva la assoluta buona fede delle imprese;
   la regione:
    ha adottato una serie di atti (legislativi e regolamentari) che riconoscevano la possibilità di ottenere l'agevolazione anche a chi avesse avviato la riqualificazione prima di presentare la domanda (la legge regionale n. 9 del 1998, la delibera della giunta regionale n. 58/60, il decreto n. 285/1999, la delibera della giunta regionale n. 33/6, il bando);
    ha di fatto taciuto ai beneficiari che l'approvazione fosse condizionata, esibendo una copia incompleta del provvedimento di approvazione da parte della Commissione europea (peraltro, non pubblicata in G.U.C.E. se non in estratto);
    ha omesso di notificare alla Commissione europea la delibera della giunta regionale n. 33/6, ottenendo l'approvazione delle direttive di attuazione del regime di aiuti de quo (poi intervenuta con provvedimento che, peraltro, non è stato neppure pubblicato in estratto nella G.U.C.E.) non comunicando, nel contempo, alla stessa Commissione di aver esteso gli aiuti a chi avesse avviato già i lavori prima della domanda;
   è incontestabile, ad avviso dell'interrogante, che la regione abbia:
    agito in contrasto con il divieto di concedere gli aiuti alle imprese che avessero avviato i lavori prima della domanda (divieto contenuto nella decisione di approvazione che la regione, conosceva sin dalla sua adozione); tale violazione si è perpetrata in tutti gli atti successivi all'approvazione della legge (delibera della giunta regionale n. 58/60, decreto n. 285 del 1999, delibera della giunta regionale n. 33/6, successivo bando e relativi allegati) ed è stata poi «perfezionata» con l'accoglimento delle domande di concessione del contributo da parte delle imprese che avessero avviato i lavori prima della domanda;
    agito in contrasto con l'obbligo di notifica degli atti attuativi dell'aiuto già approvato; come si è detto, la regione ha notificato alla Commissione le delibere della giunta regionale nn. 33/3, 33/4 e 33/5, ma non la n. 33/6, ossia quella che riconosceva la possibilità di avere l'agevolazione anche a coloro i quali avessero già avviato i lavori prima della domanda;
   è secondo l'interrogante pacifico che la regione non abbia rispettato gli obblighi ad essa incombenti in materia di notifica degli aiuti di Stato e di attuazione degli stessi: obblighi che agli Stati membri derivano dall'articolo 108 T.F.U.E. (già articolo 88 T.C.E.), questo sì avente efficacia vincolante (a differenza dei meri orientamenti);
   i giudici europei hanno chiarito che la questione attinente alla sussistenza della responsabilità dello Stato per i danni provocati dalle violazioni degli obblighi derivanti dall'articolo 108 T.F.U.E. deve essere risolta nell'ordinamento interno: «se l'amministrazione centrale di uno Stato CE non ha adempiuto al suo obbligo di notifica, a danno degli enti locali o del beneficiario di un aiuto concesso da questi ultimi, ciò rappresenta un problema interno alle parti» (Trib. I Grado, 10 aprile 2003, T-369/00, par. 50) –:
   se non ritenga di assumere iniziative in tutte le competenti sedi, europee ed interne, al fine di tutelare i soggetti gravemente colpiti da una mancata notifica e da quella che appare all'interrogante un'arbitraria applicazione delle norme;
   se non condivida il fatto che la regione abbia concorso all'errata applicazione della norma;
   se non ritenga di dover valutare l'assunzione di ogni qualsivoglia iniziativa per evitare il fallimento di queste aziende colpite da questa erronea e conclamata errata applicazione della norma richiamata. (5-07442)

Interrogazione a risposta scritta:


   PASTORELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'11 gennaio 2016 ai dipendenti della Luedi, società che fornisce il service giornalistico e poligrafico alla società Edizioni Proposta Sud (Eps) per editare l'edizione «Basilicata» del Quotidiano del Sud, è stata comunicata la decisione, avvenuta in modo del tutto unilaterale, da parte del commissario liquidatore della società del collocamento di tutto personale in cassa integrazione a zero ore;
   nella nota diramata dai dipendenti stessi in cui si esprime non solo sorpresa ma anche rammarico e preoccupazione per tale decisione si legge che: «la comunicazione ufficiale da parte del liquidatore ha preceduto solo di qualche minuto l'amara sorpresa con cui i lavoratori hanno dovuto fare i conti, ieri mattina: l'inibizione all'accesso al sistema editoriale. A dispetto di questo, la società Eps ha già provveduto ad assegnare la commessa del service per la realizzazione delle pagine a un'agenzia terza campana»;
   sono state immediate le prese di posizione innanzitutto da parte dell'Ordine dei giornalisti della Basilicata che, sul quotidiano dell'Ordine, esprime solidarietà e vicinanza ai colleghi del Quotidiano del Sud inibiti nello svolgimento della loro attività professionale con un'azione che, per merito, forme e modalità, appare lesiva della dignità dei giornalisti e del loro lavoro;
   anche Assostampa su vertenza Quotidiano afferma che: «È a dir poco deprecabile il comportamento del commissario liquidatore della società Luedi srl, che edita il Quotidiano del Sud, edizione Basilicata, che ha messo in cassa integrazione a zero ore giornalisti e poligrafici della testata lucana. Tutto ciò disattendendo un accordo con i sindacati sottoscritto neanche due mesi fa. È quanto meno singolare che appena poche ore dopo la comunicazione della interruzione dell'attività della società Luedi, l'editore Eps (società committente del service a Luedi) avesse già trovato un'altra società a cui affidare le pagine lucana. Un tempismo sospetto, considerata la lentezza con la quale, negli ultimi anni, l'editore ha centellinato le risposte relativamente a progetti di rilancio o sopravvivenza della redazione della Basilicata. Siamo a fianco dei lavoratori (....)» –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare al fine di attivare i controlli di competenza in relazione ai comportamenti adottati dal commissario liquidatore e, se esistano ancora le condizioni per erogare a Eps i previsti finanziamenti nazionali per l'editoria;
   quali iniziative il Governo intenda attuare in merito alla vertenza in atto e se non ritenga opportuno convocare un tavolo di confronto con i soggetti interessati ed i rappresentanti sindacali per favorire una soluzione che salvaguardi i livelli occupazionali del quotidiano di cui sopra. (4-11729)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   BORGHESE e MERLO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la Siria, dal marzo 2011 ad oggi, vive una terribile guerra, alimentata da terroristi provenienti da 89 Paesi dove, finora, sono decedute più di 300.000 persone tra civili e militari;
   oltre la situazione di caos, sul territorio siriano si sono sviluppate, grazie anche al supporto logistico, finanziario e di armamenti, le organizzazioni terroristiche di Jhabbat al-Nusra, filiale di al-Qaeda in Siria e il sedicente Stato Islamico (Isis);
   diverse organizzazioni non governative, provenienti da tutti i Paesi del mondo e rilevanti organizzazioni umanitarie, come «Medici senza Frontiere» e «Emergency» operano sul territorio siriano per soccorrere la popolazione, come nella città assediata di Madaya, sempre in Siria;
   qui la situazione appare disperata: ogni giorno muoiono più di 30 pazienti nei vari centri sanitari supportati dalle organizzazioni nelle città assediate nelle zone di Madaya;
   le cittadine delle zone siriane, in questi ultimi mesi, per circa 20.000 persone, tra cui neonati, bambini, anziani, appaiono prigioni a cielo aperto;
   nessuno ha la possibilità di muoversi, né di entrare, né di uscire dal territorio di Madaya in Siria, nemmeno con permessi speciali;
   Madaya è un esempio estremo degli assedi imposti, in diverse zone del Paese, sia dal Governo siriano, che dai gruppi armati dell'opposizione;
   i medici, che sono a lavorare lì, a fini umanitari, non hanno i farmaci sufficienti negli scaffali per rispondere a tutte le esigenze che insorgono sempre più frequenti, in particolare per i gravissimi casi che si presentano a causa dell'insicurezza alimentare;
   in questa devastante situazione i bambini mangiano le foglie dagli alberi. Altri si cibano di cani e gatti. Gli oltre 40 mila civili intrappolati da mesi in località a ovest di Damasco, circondata dalle milizie sciite di Hezbollah, continuano a patire la fame e il freddo;
   l'Onu ha annunciato di aver ottenuto dal Governo siriano l'assicurazione che un convoglio umanitario potrà raggiungere l'area sottoposta a un assedio medievale da parte del regime siriano sostenuto da Russia e Iran;
   Melissa Fleming, portavoce dell'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati (Unhcr), ha detto che il Governo siriano si è impegnato a «permettere alle organizzazioni umanitarie di raggiungere le zone più disastrate»;
   secondo fonti giornalistiche internazionali, nelle ultime settimane, troppe persone sono morte di stenti nella città situata sulle montagne che separano il Libano dalla Siria. «In quelle zone è a rischio di inedia la maggior parte della popolazione», ha affermato Yaqoub al Hillo, il più alto rappresentante Onu presso il Governo siriano;
   la maggior parte delle aree sono circondate da truppe governative o dalle milizie locali o straniere alleate a Damasco. In altri casi, come a Dayr az Zor nell'est del Paese, l'Isis assedia sobborghi controllati dalle truppe del regime. Nel caso di Fuaa e Kafraya, nel nord-ovest del Paese, miliziani delle opposizioni e loro alleati qaidisti assediano le due località a maggioranza sciita e difese anche dagli Hezbollah;
   il destino dei 30 mila civili assediati a Fuaa e Kafraya è legato ai 40 mila di Madaya. Qui rimangono asserragliati gli ultimi combattenti di Zabadani, il principale centro urbano che, nel 2012, si era rivoltato contro il regime e che costituiva una minaccia ai lealisti. Dopo l'assedio e la conseguente distruzione quasi completa di Zabadani da parte di Hezbollah l'estate scorsa, i resistenti locali erano stati lasciati fuggire a Madaya. L'accordo per l'evacuazione di Zabadani prevedeva anche la messa in salvo dei civili di Fuaa e Kafraya. Ma l'avvio della campagna aerea russa del 30 settembre 2015 ha rallentato l'applicazione dei punti della tregua e, di fatto, le due cittadine sciite sono rimaste sotto assedio;
   in queste zone manca inoltre il combustibile per riscaldare le case. Mancano anche latte, riso, farina. Ad approfittarne sono i contrabbandieri che, al mercato nero, vendono i beni di prima necessità a prezzi esorbitanti: un chilo di farina è a 90 euro, un litro di latte a 25, un chilo di riso a 80. Ciò avviene, com’è già successo nei sobborghi di Damasco assediati dal regime, nel campo palestinese di Yarmuk o nella città vecchia di Homs, dove sono stati per oltre due anni circondati dai governativi –:
   se il Governo non ritenga di assumere iniziative di competenza volte ad apportare maggiori aiuti a livello internazionale per risolvere questa tragedia inumana, in quanto se perdurerà questa situazione, avrà come conseguenza quella di portare ulteriori flagelli umani. (4-11724)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PIRAS, PELLEGRINO, ZARATTI, DURANTI, QUARANTA e RICCIATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il territorio dell'arburese-guspinese, nel sud ovest della Sardegna, ha ospitato nel periodo tra la seconda metà del 1800 e la fine del 1900, uno dei compendi minerari e di industria estrattiva tra i più estesi e produttivi d'Europa;
   i cantieri, estesi su un vasto territorio compreso tra i centri abitati di Arbus e Guspini e il mare della Costa Verde, riconosciuti come «Montevecchio Levante» e «Montevecchio Ponente», attraversano le frazioni di Montevecchio ed Ingurtosu, collegati dalla strada provinciale 66;
   il cantiere del Levante, compreso nel territorio comunale di Guspini, è attualmente interessato da un piano di bonifica finanziato con 23,5 milioni di euro, quota parte delle risorse del Fondo di sviluppo e coesione, già destinati al risanamento di alcuni siti nel Sulcis Iglesiente e nel Guspinese;
   il cronoprogramma prevede due tranche da 1,5 milioni di euro per il 2016 e il 2017, in particolare a copertura dei costi di progettazione e delle indagini propedeutiche. La fetta più grossa – 10,5 milioni di euro – sarà erogata nel 2018, a progetto approvato in fase esecutiva dei lavori. Gli ultimi 10 milioni di euro arriveranno al comune nel 2019 per il completamento delle attività. A tali risorse si aggiungo 10 ulteriori 3,5 milioni di euro, in disponibilità di Igea, per la messa in sicurezza dell'area;
   l'area individuata come «Montevecchio Ponente», appartenente al comune di Arbus, risulta la più interessata da fenomeni di inquinamento ambientale, si estende lungo la strada che collega Montevecchio ed Ingurtosu, con i cantieri di Sanna, Telle e Casargiu, di cui fanno parte i Pozzi Sanna, Amsicora e Fais;
   il compendio raggiunge la miniera di Ingurtosu, fino ad arrivare a Naracauli, sede della «laveria Brassey», costruita nel 1900, quando il proprietario della miniera era il nobile inglese Lord Brassey: la vallata termina poi nelle splendide «Dune di Piscinas», dove il minerale estratto veniva trasportato, grazie a una piccola ferrovia costruita nel 1871, per essere poi imbarcato;
   da quando sono state chiuse le miniere (1991) di Montevecchio, il cantiere di Casargiu e la galleria Fais, dalle gallerie minerarie dismesse e abbandonate sgorgano acque reflue cariche di metalli pesanti nocivi (cadmio, arsenico, piombo, nichel, ferro, manganese, cobalto) che poi vanno ad alimentare il rio Irvi, ruscello che attraversa la folta vegetazione di prevalente alta macchia mediterranea e si incunea a valle delle rinomate dune sabbiose di Piscinas, le più alte ed estese d'Europa;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 dicembre 2007 è stato dichiarato lo stato di emergenza in relazione alla grave situazione determinatasi in conseguenza dell'inquinamento delle aree minerarie dismesse del Sulcis Iglesiente e del Guspinese;
   in data 15 gennaio 2008, il Presidente della Regione Autonoma della Sardegna è stato nominato Commissario delegato per l'emergenza concernente l'inquinamento delle aree minerarie dismesse del Sulcis Iglesiente e del Guspinese, ai sensi dell'articolo 5 della legge 4 febbraio 1992, n. 225;
   con ordinanza n. 3 del 21 aprile 2008 è stata approvata la proposta di bonifica dei siti interessati dalle aree minerarie dimesse e di quelle immediatamente limitrofe;
   il piano di bonifica, dopo 4 anni dalla prima ordinanza del Presidente della regione Sardegna, trova copertura per un importo di euro 40.236.096 tra gli interventi ad alta priorità ambientale per la manutenzione straordinaria del territorio, di cui alla deliberazione del Comitato dei ministri per la programmazione economica n. 87 del 3 agosto 2012, a valere sulle risorse residue FCS 2007-2013;
   tali azioni sono state inserite nel protocollo d'intesa del 13 novembre 2012, tra gli interventi di risanamento ambientale del piano Sulcis, sebbene riguardino azioni ricadenti nel Guspinese-Arburese pur connesso all'Iglesiente;
   l'intervento, di competenza dell'assessorato della difesa dell'ambiente, era sino al marzo 2015, in capo ad IGEA spa quale soggetto attuatore: la deliberazione di giunta n. 9/29 del 10 marzo 2015, su motivazioni di opportunità amministrativa e di gestione contabile ha, precauzionalmente, fatto delle scelte alternative ad IGEA per garantire l'attuazione degli interventi ed evitare il rischio di mancata realizzazione delle operazioni di bonifica;
   per queste motivazioni, al fine di definire con certezza il soggetto attuatore, dovrà provvedersi ad una sua rimodulazione in forza della deliberazione del Cipe n. 21/2014;
   nel luglio 2015 (deliberazione n. 38/7 del 28 luglio 2015) la giunta regionale ha riprogrammato lo stanziamento dei 40,24 milioni di euro in precedenza destinati alla macroarea Montevecchio Ponente, in forza della deliberazione del Cipe 21/2014, revocando di fatto in via provvisoria il finanziamento e la sua copertura economica, a causa della mancanza di progettazione, anche preliminare, per l'esecuzione delle bonifiche nell'area;
   parte della somma liberata viene ridestinata ad azioni di bonifica nel territorio: sono stati riconfermati per l'intervento 1.500.000 euro, finalizzati al completamento delle fasi progettuali, affidandone la realizzazione ad IGEA;
   la regione Sardegna e l'assessore regionale all'ambiente hanno assunto l'impegno con l'amministrazione comunale di Arbus, nell'autunno del 2015, per l'inserimento dell'opera di bonifica nell'Accordo di programma quadro (Apq) «Interventi di bonifica di rilevanza strategica regionale» di prossima stipula;
   nonostante i numerosi sforzi di tutte le istituzioni, dal 2008 ad oggi, nessun intervento di bonifica strutturale ed ambientale dell'area è stato portato a compimento –:
   se i Ministri interrogati non ritengano – vista la grave situazione ambientale e sanitaria evidenziata dalla regione Sardegna e una volta raggiunta la cantierabilità dell'intervento – di assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a inserire la bonifica di detto sito, tra i progetti dell'area tematica «Tutela dell'ambiente e valorizzazione delle risorse naturali» prevista per il periodo di programmazione FSC 2014-2020. (5-07433)


   BORGHESI, GUIDESI e GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri n. 100 del 15 gennaio 2016 ha deliberato l'esercizio dei poteri sostitutivi nei confronti delle regioni Toscana, Calabria, Liguria, Marche, Puglia, Lombardia e Umbria, disponendo la modifica del loro calendario venatorio con la chiusura della caccia al 20 gennaio 2016 per le specie tordo bottaccio, beccaccia e cesena;
   l'attività venatoria è disciplinata in Italia dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157, che ha fondamentalmente recepito la direttiva 79/409/CEE (ora direttiva 2009/14/CE), concernente la conservazione degli uccelli selvatici. La suddetta legge n. 157 demanda alle regioni la gestione e la disciplina dell'attività venatoria;
   nel quadro del sistema di comunicazione EU Pilot, il Governo italiano ha ricevuto dalla Commissione europea una richiesta di informazioni (Caso EU Pilot 6955/14/ENVI) in merito a dubbi di violazione della direttiva 2009/147/CE concernente la conservazione degli uccelli selvatici. In particolare, per mezzo di svariate denunce, la Commissione è stata informata del fatto che le attività venatorie in varie regioni italiane potrebbero non essere compatibili con la legislazione europea applicabile. In particolare, alcune specie di uccelli sono cacciate in Italia in fase di migrazione prenuziale;
   in ragione di ciò, la Commissione europea, chiede che le autorità italiane chiariscano, in particolare che i calendari venatori di alcune regioni italiane siano coerenti con la direttiva 2009/147/CE. In particolare, chiede di chiarire la discrasia tra l'articolo 18 della legge n. 157 del 1992 che prevede per queste specie un periodo di caccia fino al 31 gennaio e quanto invece riportato sul documento Key Concepts che per le suddette specie prevede che la migrazione di ritorno alle zone di nidificazione inizia in Italia nella seconda decade di gennaio;
   gli articoli 2.7.3 e 2.7.10 della guida europea alla disciplina della caccia nell'ambito della direttiva 79/409/CE, esplicitamente prevedono che le regioni degli Stati membri possano discostarsi dal dato Key Concepts nazionale, quando siano in possesso di dati scientifici che dimostrino una differenza nei tempi di migrazione delle specie cacciabili;
   la giustizia amministrativa italiana in più occasioni ha giudicato corrette le scelte delle regioni italiane che, utilizzando dati scientifici più completi ed aggiornati, si sono discostate motivatamente e giustificatamente dai dati Key Concepts nazionali, come previsto dalla guida alla disciplina della caccia dell'Unione europea prevedendo la chiusura della caccia al tordo bottaccio, alla cesena e in alcuni casi alla beccaccia al 31 gennaio nel rispetto della legge n. 157 del 1992;
   lo stesso ufficio legislativo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con propria nota prot. n. 1347/GAB del 23 gennaio 2015, ha inviato alla Presidenza del Consiglio dei ministri una relazione di risposta alla commissione ambiente dell'Unione europea riguardante la procedura EU PILOT 6955/ENVI/14 dove riconosce che il documento Key Concepts, che riporta «le date di dipendenza e di avvio della migrazione prenuziale nei diversi Paesi, presenta delle “incongruenze” difficili da spiegare nel confronto fra Paesi confinanti. Situazione questa che si ritiene debba essere adeguatamente tenuta in considerazione in questo contesto e, comunque, risolta per evitare disparità di trattamento fra cittadini europei»; si tratta infatti delle stesse popolazioni di specie migratrici (beccaccia, tordo bottaccio e cesena) che si diffondono uniformemente in Spagna, Francia mediterranea e Italia per lo svernamento e che da qui nella seconda decade di febbraio partono per fare ritorno ai luoghi di nidificazione (inizio della migrazione prenuziale);
   l'evidente difforme applicazione della direttiva 2009/147/CE fra Spagna, Grecia, Francia e Italia che determina disparità di trattamento fra cittadini europei, giacché la chiusura anticipata della caccia in Italia al 20 gennaio rispetto alla consentita chiusura della caccia al 20 febbraio in Spagna e in Francia non ha nessun fondamento scientifico;
   gli interroganti non ritengono esistenti i presupposti previsti dalla legge 5 giugno 2003, n. 131, per procedere all'esercizio del potere sostitutivo nei confronti delle regioni, in quanto è stato accertato il pieno rispetto della normativa statale (legge n. 157 del 1992) da parte delle regioni in fase di predisposizione e approvazione dei calendari venatori e quindi la coerenza con le normative comunitarie;
   sembra che la Commissione europea non si sia ancora pronunciata in merito ai chiarimenti prodotti dagli uffici del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in risposta alle domande sul caso EU Pilot 6955/14/ENVI e non abbia quindi accertato e contestato violazioni formali –:
   quali siano i motivi che hanno portato il Ministro interrogato a proporre l'esercizio del potere sostitutivo al Consiglio dei ministri del 15 gennaio 2016;
   quali siano le iniziative che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia intrapreso per aggiornare i dati key Concepts italiani, indicando quale inizio della migrazione prenuziale delle tre specie migratrici in questione la seconda decade di febbraio così da allinearli a quelli francesi e spagnoli che la Commissione europea, anche di recente, ha confermato di ritenere corretti. (5-07436)


   BORGHESI, GRIMOLDI e GUIDESI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   dal comunicato stampa del Consiglio dei ministri n. 100 del 15 gennaio 2016 si apprende che è stato approvato in via definitiva il disegno di legge recante «disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea (legge europea 2015)», nel quale è prevista la modifica alla legge n. 157 del 1992 volta a disporre che la fauna selvatica stanziale e migratoria deve essere annotata sul tesserino venatorio subito dopo l'abbattimento (caso EU Pilot 6955/14/ENVI);
   il caso EU PILOT 6955/14/ENVI della Commissione europea è una semplice richiesta di informazioni sui calendari venatori italiani e su cui la Commissione dovrà esprimersi successivamente, nonché contiene al n. 1, comma b), una domanda su come vengano annotati in Italia i capi di selvaggina migratoria (ad esempio se subito dopo l'abbattimento oppure a fine giornata);
   lo stesso ufficio legislativo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con propria nota prot. n. 1347/GAB del 23 gennaio 2015 ha inviato alla Presidenza del Consiglio dei ministri una relazione di risposta alla Commissione ambiente dell'Unione europea riguardante la procedura EU PILOT 6955/14/ENVI dove conferma che la segnatura sui tesserini venatori dei capi di fauna stanziale abbattuti avviene, per gran parte delle regioni, non appena abbattuto o recuperato il capo; per la fauna migratoria, invece, l'annotazione avviene a fine giornata o quando viene lasciato l'appostamento, ad esclusione della beccaccia, per la quale deve essere annotata subito dopo l'abbattimento;
   nessun articolo della direttiva uccelli 2009/147/CE, chiede agli Stati membri che sia fatto obbligo ai cacciatori di annotare i capi di fauna selvatica stanziale e migratoria subito dopo l'abbattimento –:
   quali siano i motivi che hanno indotto il Governo ad assumere un'iniziativa normativa per modificare la legge n. 157 del 1992 introducendo l'obbligo di annotare i capi di fauna selvatica stanziale e migratoria subito dopo l'abbattimento;
   quali siano le disposizioni della direttiva 79/409/CEE, ora 2009/147/CE, che pongano tale obbligo. (5-07438)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ANDREA MAESTRI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 16 dicembre 2015, l'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) ha presentato l'XI rapporto sulla «Qualità dell'ambiente urbano», ove sono stati analizzati i dati relativi a 12 nuove città e 85 comuni, in prevalenza capoluoghi di provincia, con popolazione superiore ai 40.000 abitanti e i capoluoghi delle regioni italiane;
   fra i temi tipicamente «urbani» trattati dal rapporto risulta particolarmente importante quello relativo al consumo di suolo, perché fortemente interconnesso con le maggiori criticità ambientali delle città e dei territori italiani: dissesto idrogeologico, rischio di erosione e perdita di biodiversità, ma anche alterazione dei cicli bio-geochimici e della relazione suolo-atmosfera;
   secondo l'Ispra, in Europa si perdono ogni ora undici ettari di terreno, giungendo in Italia ad un consumo doppio rispetto alla media europea che è pari a circa 6-7 metri quadrati al secondo, mentre in Italia si aggira attorno ai 20 e i 25 ettari ogni ora;
   il comune con il valore più alto di suolo consumato pro-capite è risultato quello di Ravenna che ha raggiunto valori incredibilmente superiori a quelli medi, ovvero superiori ai 500 metri quadrati ad abitante. Un primato negativo che si inserisce in uno scenario nazionale alquanto allarmante, soprattutto perché si registra per l'anno 2015, che è stato proclamato dalle Nazioni Unite come «Anno Internazionale del Suolo»;
   sulla base dei dati diffusi dall'Ispra, il territorio ed il suolo di Ravenna sono consumati ad una velocità pari a quella di una metropoli: la superficie consumata totale è pari a circa 9 mila ettari l'anno, un valore ben al di sotto dei 33 mila di Roma, ma quasi pari a grandi città come Milano e Torino, seconde nella graduatoria nazionale con 11 mila ettari totali «bruciati»;
   sempre secondo il apporto, a Ravenna spetta anche la maglia nera regionale del consumo di suolo totale, dato che Ferrara si ferma a 6.500 ettari, Bologna a 5 mila, mentre Forlì e Rimini non vanno oltre i 3 mila;
   nel apporto, il concetto di consumo di suolo è definito come una variazione da una copertura non artificiale naturale o seminaturale (suolo non consumato), a una copertura artificiale del suolo (suolo consumato). La copertura artificiale è quindi data dal «crescente insieme di aree coperte da edifici, capannoni, strade asfaltate o sterrate, aree estrattive, discariche, cantieri, cortili, piazzali e altre aree pavimentate o in terra battuta, serre e altre coperture permanenti, aeroporti e porti, aree e campi sportivi impermeabili, ferrovie ed altre infrastrutture, pannelli fotovoltaici e tutte le altre aree impermeabilizzate, non necessariamente urbane. Tale definizione si estende, pertanto, anche in ambiti rurali e naturali ed esclude, invece, le aree aperte naturali e seminaturali in ambito urbano» (Ispra, 2013);
   per combattere l'uso indiscriminato di suolo, ad avviso dell'interrogante, è necessario quindi, intervenire sul fronte della pianificazione urbanistica, limitando l'espansione di nuova superficie urbanizzata con la valorizzazione delle aree già edificate, attraverso quindi il recupero e la riqualificazione del patrimonio esistente, resi però difficili da diversi fattori, come ad esempio la lenta burocrazia e i costi altissimi che rendono spesso più conveniente la costruzione di un nuovo immobile, anziché la sistemazione dell'esistente;
   negli ultimi 25 anni, l'Italia ha perso il 28 per cento delle campagne proprio per colpa della cementificazione e dell'abbandono dell'esistente, provocati da un modello di sviluppo sbagliato, che al recupero dell'esistente ha preferito, spesso, per meri fini speculativi, consumare superficie «naturale»;
   è questo anche il caso della città di Ravenna che, anche durante gli anni della «crisi del mattone», si è infatti allargata con nuove edificazioni, inglobando quella che era superficie naturale e campagna ad un ritmo sempre più sfrenato, nonostante i proclami dell'amministrazione comunale sul «consumo di suolo zero» e i dati del censimento del 2011, dove già risultavano presenti 69.989 unità immobiliare attive occupate e 20.254 non occupate (il 23 per cento del totale);
   inoltre, secondo un'analisi condotta da opendata, ricavata dai dati diffusi dal rapporto dell'Ispra sopra richiamato, per il 2015, la provincia di Ravenna risulta essere quella con la minor spesa per la manutenzione del territorio;
   scelte politiche sbagliate, hanno portato il comune di Ravenna, oltre che ad un ampliamento sfrenato dell'urbanizzazione, alla riduzione graduale della capacità di ritenzione idrica dei terreni, rendendoli più fragili e vulnerabili di fronte agli eventi atmosferici estremi dovuti ai cambiamenti climatici e quindi, ad un peggioramento del dissesto idrogeologico del territorio, come mostrano i sempre più frequenti stati di emergenza;
   dal 6 marzo 2014 ancora risulta fermo, in corso di esame nelle Commissioni ambiente e agricoltura della Camera il disegno di legge n. 2039 recante «contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato», pensato dal Governo per difendere il territorio e combattere il dissesto idrogeologico –:
   alla luce dei dati allarmanti diffusi dal rapporto dell'Ispra, se il Governo, in attesa di una legge nazionale sul consumo del suolo e di politiche dirette a favorire il recupero dell'esistente, non intenda assumere iniziative normative urgenti per arginare la perdita vertiginosa di suolo naturale e, alla luce di quanto emerso dal rapporto di cui in premessa, nell'ambito delle sue competenze, se non ritenga opportuno verificare i motivi dei tristi primati summenzionati. (4-11727)


   PRATAVIERA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il presidente della regione, Luca Zaia, ha presentato recentemente un dossier per la messa in sicurezza idraulica del Veneto, nel quale chiede al Governo 1 miliardo di euro, per avviare i lavori ne necessari ed improcrastinabili;
   trattasi di un lungo e dettagliato elenco di interventi che spaziano dalla realizzazione dell'idrovia Padova-Venezia, ai lavori per il Piave fino a 234.000.000 di euro da destinarsi alla messa in sicurezza del basso Tagliamento;
   secondo diversi studi della regione Veneto, per completare il tracciato dell'idrovia Padova-Venezia (oltre 27 chilometri tra i comuni di Padova, Saonara, Vigonovo, Strà, Fosso, Camponogara, Dolo, Mira e Venezia) in classe Va (cioè in regola con la normativa europea) sono necessari almeno 400 milioni di euro;
   l'unione europea nel sostenere la rivalutazione delle vie navigabili, attraverso la revisione delle reti strategiche di trasporto (Ten-T) e lo sviluppo del programma Nadies, che si pone come obiettivo il potenziamento e il rilancio del trasporto fluviale, ha riaperto il dibattito sulla necessità di completare tale opera;
   resta da sottolineare che, a 50 anni dalla grande alluvione del 1965-66, nel tratto veneto del Tagliamento, permangono ancora molte paure legate alla sicurezza idrogeologica del territorio e reali sono ancora le paure dei cittadini;
   proprio i cittadini di San Michele al Tagliamento e del portogruarese potrebbero pagare il prezzo più alto di una politica del «tutti contro tutti» delle amministrazioni del Friuli Venezia Giulia e della mancanza di «capacità contrattuale» di Venezia con Roma;
   una condotta, quest'ultima, che non aiuta i veneti, perché uno dei grandi problemi irrisolti riguarda la mancata realizzazione a monte delle casse di espansione a Pinzano, ciò malgrado i fondi siano da tempo a disposizione nelle casse e nelle disponibilità di spesa della regione Friuli Venezia Giulia –:
   quali istanze la regione Veneto abbia già avanzato ai Ministri interrogati per ottenere i necessari finanziamenti per la messa in sicurezza del tratto Veneto del fiume Tagliamento e per il completamento dell'idrovia Padova-Venezia;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga di dover convocare urgentemente una riunione con i responsabili delle regioni e dei comuni interessati al fine di verificare, e se necessario promuovere, tutti gli improcrastinabili interventi per la messa in sicurezza idraulica del basso Tagliamento;
   quali siano gli interventi programmati finanziati dal Governo per il triennio 2016-2018 riguardanti la messa in sicurezza del territorio della regione Veneto. (4-11740)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IV Commissione:


   ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MATARRELLI, SEGONI, TURCO, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 15 gennaio 2016 lo Stato Maggiore della Difesa ha diffuso un comunicato stampa nel quale si afferma che «nell'ambito delle predisposizioni tese ad assicurare la sicurezza degli interessi nazionali nell'area del Mediterraneo Centrale, è stata incrementata la capacità di sorveglianza e acquisizione informazioni ridislocando, temporaneamente, 4 velivoli AMX del 51o Stormo di Istrana (TV) presso la base di Trapani Birgi in Sicilia. La decisione è maturata a seguito dei recenti sviluppi nell'area dei Paesi del Nord Africa e del conseguente deterioramento delle condizioni di sicurezza. Questa misura si va ad inserire tra quelle adottate, in precedenza, dal Governo nell'area mediterranea relative all'operazione "Mare Sicuro" posta in essere a tutela dei molteplici interessi nazionali e per assicurare coerenti livelli di sicurezza»;
   il comunicato lascia supporre che i velivoli in questione siano impiegati per missioni di ricognizione effettuate all'interno dello spazio aereo libico;
   secondo fonti citate da Il Secolo d'Italia in un articolo del 3 dicembre 2015 alcuni operatori delle forze speciali italiane sarebbero già in Libia per preparare una successiva eventuale operazione militare;
   se ciò fosse confermato, si potrebbe ritenere che gli AMX siano impegnati per missioni di ricognizione finalizzate all'acquisizione di obiettivi;
   ad oggi non sussiste nessun tipo di autorizzazione alla condotta di operazioni militari, sul territorio, nelle acque territoriali o nello spazio aereo della Libia da parte delle Forze Armate italiane;
   i velivoli in questione sono cacciabombardieri leggeri aggiornati allo standard ACOL (aggiornamento capacità operative e logistiche) in grado di impiegare sia il pod per ricognizione tattica Reccelite, sia il pod per ricognizione tattica, acquisizione bersagli e puntamento Litening, nonché le bombe di precisione a guida satellitare tipo JDAM (Joint Direct Attack Munition) e a guida laser tipo Paveway II e Lizard;
   le capacità di autodifesa degli AMX sono limitate all'impiego di missili aria-aria a corto raggio come l'AIM-9 Sidewinder, di contromisure elettroniche e sistemi d'inganno (chaff e flares);
   nel corso della crisi libica si sono registrati diversi abbattimenti di velivoli da guerra, l'ultimo dei quali risulta avvenuto il 4 gennaio nella località di Sidi Mansur, a sud di Bengasi, che ha coinvolto un aereo delle forze del Governo di Tobruk guidate dal generale Khalifa Haftar che sarebbe stato colpito dal fuoco di batterie antiaeree delle milizie Maylis al Shura;
   a differenza degli aeromobili a pilotaggio remoto (APR) Predator, l'impiego di velivoli AMX in un'area dove operano forze potenzialmente ostili rappresenta un rischio per l'incolumità dei relativi equipaggi, nonché degli operatori che, presumibilmente, sarebbero inviati per recuperare i piloti eventualmente abbattuti –:
   se sia in corso o al verificarsi di quali condizioni sia previsto l'impiego di velivoli AMX per attività operative all'interno dello spazio aereo libico. (5-07450)


   BASILIO, FRUSONE, CORDA, RIZZO, TOFALO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nella trasmissione «Porta a Porta» della prima rete della Rai del 15 dicembre 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi ha annunciato l'invio di 450 militari in Iraq a presidio della diga di Mosul e l'appalto per la sua ristrutturazione sarebbe stato vinto da una ditta italiana (la Trevi di Cesena);
   a parte l'irrituale modalità extraparlamentare con cui si annuncia al popolo italiano il ritorno in Iraq con una missione operativa, si assume una decisione difforme rispetto all'impegno a suo tempo assunto dal Governo Prodi (2006) di far rientrare in Italia il contingente militare italiano dall'occupazione dell'Iraq;
   solo il giorno seguente (16 dicembre) in sede di comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri sulla riunione ordinaria del Consiglio europeo del 17 e 18 dicembre 2015, il Presidente del Consiglio informava il Parlamento della nuova missione in Iraq affermando tra l'altro che «il ministro della difesa presenterà nelle prossime settimane alle Commissioni competenti, immagino insieme al ministro degli esteri, un'ipotesi molto avanzata di ulteriore impegno da parte dell'Italia e degli italiani, ma un impegno serio, non un impegno estemporaneo. In Iraq, nelle vicinanze di Mosul, c’è una diga che è lesionata, se quella diga crolla, Baghdad compresa, l'Iraq vedrà una situazione di disastro che coinvolgerà bambini, donne e anziani. È italiana l'azienda che può rimettere a posto quella diga.... Ci è stato chiesto dalla comunità internazionale, in particolar modo in asse con gli Stati Uniti d'America – il rapporto di vicinanza con gli Stati Uniti non è mai stato così forte in questi due anni di Governo – di preoccuparsi di intervenire insieme perché quella diga sia riparata. Non è propriamente nella zona ovviamente dello Stato islamico, ma è in una zona irachena molto vicina al fronte. Lo faremo se il Parlamento sarà d'accordo in sede di Commissione(...)»;
   secondo una intervista rilasciata in seguito alle notizie provenienti dall'Italia da un alto funzionario del Governo iracheno, Mehdi Rashid, in una intervista al quotidiano di Stato «AI Sabah» non ci sarebbe il rischio di un imminente crollo della diga. «Il Ministero – afferma Mehdi Rashid – durante questi ultimi mesi, ha inviato sul posto una squadra di esperti internazionali per effettuare verifiche scrupolose e scientifiche sul corpo della diga» prima di concludere che «dai rapporti è emerso che la struttura è sana e non ci sono pericoli di crollo»;
   in un comunicato ufficiale della Trevi (www.cesenatoday.it) l'impresa, che viene indicata come assegnataria dell'appalto per i lavori alla diga, ha smentito che la gara sia stata già assegnata anche se la stessa Trevi afferma che la possibilità che ciò avvenga sia elevata. In esso si legge: «I lavori alla diga sono urgenti, la presenza dell'Esercito è fondamentale». L'accordo per la diga di Mosul non è ancora definito, pur essendo nelle fasi finali, e la promessa «della presenza del contingente italiano (a fianco dell'Esercito iracheno e di forze internazionali) è di fondamentale importanza per la sicurezza dell'intervento»;
   il tenente colonnello Gianfranco Paglia, consigliere del Ministro della difesa Roberta Pinotti, ospite di Uno Mattina, trasmissione del 17 dicembre, ha affermato: «Anche se la missione, come del resto le altre, è con un certo tasso di pericolosità, i nostri militari saranno in grado di affrontare qualsiasi tipo di situazione, sono dei professionisti addestrati a 360 gradi». «I nostri militari – ha – continuato Paglia dovranno fare azione di sicurezza per la ditta di Cesena che cercherà di riparare la diga la cui rottura provocherebbe non solo disastro ambientale ma perdita di vite umane»;
   non risulta agli interroganti che vi sia un invito del Governo iracheno a dispiegare i militari italiani a difesa della diga di Mosul, né tanto meno una risoluzione delle Nazioni Unite su tale questione. Secondo il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, l'invito sarebbe arrivato direttamente dal Presidente Barack Obama ma non si comprende come il Presidente degli Usa possa sostituirsi agli organi di un altro Paese, sovrano, ossia al legittimo Governo iracheno;
   il Ministro iracheno per le risorse idriche Al Shammary, ricevendo nei giorni scorsi l'ambasciatore italiano in Iraq, Marco Carnelos, ha affermato che l'Iraq «non ha bisogno di alcuna forza straniera per proteggere il suo territorio, i suoi impianti e la gente che ci lavora». «La diga di Mosul – ha aggiunto il Ministro delle Risorse idriche – è già protetta da forze irachene, che saranno sufficienti»;
   l'intervento militare, ad avviso degli interroganti, sembra riprodurre lo schema funzionale e organizzativo della penetrazione affaristico-militare del colonialismo britannico ben esemplificato dal modus operandi della Compagnia delle indie nel 1800;
   ad avviso degli interroganti con l'annuncio televisivo della disponibilità delle Forze armate italiane a questo compito si profila il rischio di una pesante ingerenza nei confronti delle autorità irachene con riferimento a una gara ancora in corso –:
   se corrisponda al vero che il Ministero della difesa starebbe preparando l'invio di un contingente militare italiano in Iraq per la protezione dei lavori di ristrutturazione della diga di Mosul e, nel caso, quali attività stia predisponendo e sulla base di quale presupposto giuridico, considerato che non risulta esserci né una richiesta del Governo iracheno né una risoluzione dell'ONU in tal senso. (5-07451)


   CAPARINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'equipaggiamento indossato dai carabinieri in servizio esterno, ancorché esteticamente ineccepibile e rispettoso della gloriosa tradizione del Corpo, presenta alcuni aspetti poco funzionali, che richiedono un ripensamento;
   paiono suscitare perplessità, tra le altre cose, l'obbligo di usare calzature che non sopportano la pioggia, l'utilizzo di fondine chiuse che ritardano i tempi di reazione alla minaccia, la presenza sull'uniforme di una bandoliera assai ingombrante, l'assenza di guanti antitaglio, particolarmente utili quando si tratta di intervenire a sedare le risse che sempre di più interessano soggetti armati di coltelli e oggetti taglienti;
   anche i giubbotti antiproiettile, non essendo disponibili nelle taglie necessarie, sono assolutamente inadatti al compito;
   alcune armi automatiche non sono fornite dei necessari meccanismi di sicurezza e blocco;
   risulta all'interrogante che alcuni carabinieri provvederebbero per conto proprio e a proprie spese ad integrare l'equipaggiamento anche dotandosi di fondine ad estrazione rapida con sistemi antifurto adeguati, che risultano molto più efficaci e sicure di quelle fornite dall'amministrazione militare, od acquistando torce Mag-lite e scarpe anfibie;
   così facendo, tuttavia, si espongono comunque al rischio di subire sanzioni e conseguenze legali in caso di incidenti –:
   se il Governo non ritenga opportuno intervenire per dotare i carabinieri in servizio esterno di equipaggiamenti più sicuri, efficienti e adeguati alle incombenze, provvedendo alle relative forniture o, in subordine modificando i vigenti regolamenti, consentendone l'acquisto in base ad un disciplinare. (5-07452)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   FRAGOMELI, PELILLO, MORETTO e RIBAUDO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità per il 2016, legge 28 dicembre 2015, n. 208, contiene una complessiva riforma della tassazione immobiliare volta principalmente a ridurre il carico fiscale attraverso l'esenzione IMU sui terreni agricoli e sui cosiddetti macchinari imbullonati, nonché l'esenzione TASI per la prima casa, per complessivi 4,5 miliardi annui;
   per gli immobili dati in comodato d'uso a figli o genitori è inoltre prevista, ai sensi del comma 10 della citata legge n. 208 del 2015, una riduzione del cinquanta per cento della base imponibile IMU;
   si tratta di un'impostazione che limita la possibilità di godere dell'agevolazione fiscale per il comodato gratuito ai proprietari di un solo immobile oppure di due immobili, ubicati nello stesso comune, a condizione in tale ultimo caso che uno dei due immobili sia necessariamente abitazione principale del proprietario;
   la condizione per la quale il comodante non deve possedere altri immobili in Italia ad eccezione della propria abitazione di residenza – nello stesso comune –, non classificata nelle categoria catastali A/1, A/8 o A/9, non fornisce adeguate sicurezze interpretative al caso in cui il comodante possegga altri immobili in Italia che siano intrinsecamente non destinabili ad abitazione principale (ad esempio, immobili ad uso produttivo, terreni e altri fabbricati); sembrerebbe tuttavia palese l'interpretazione per cui il possesso di tali ultime tipologie di immobili, rispondenti alla definizione generale di immobile, quale il fabbricato, l'area fabbricabile e il terreno agricolo, di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, non inficerebbe la possibilità di usufruire della citata agevolazione fiscale;
   tra le altre condizioni per usufruire dell'agevolazione di cui al comma 10, vi è la necessità di procedere alla registrazione del contratto di comodato presso l'ufficio dell'Agenzia delle entrate; è quindi esclusa la validità di scritture private o altre forme di dichiarazioni di concessione del comodato;
   con l'obbligatorietà della registrazione del contratto, l'agevolazione della riduzione del 50 per cento sembrerebbe perciò essere applicabile solo dalla data di registrazione del contratto medesimo e non dal 1o gennaio 2016;
   per l'applicazione della citata agevolazione, il soggetto passivo deve attestare il possesso dei requisiti nella dichiarazione IMU di cui all'articolo 9, comma 6, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, che, ai sensi dell'articolo 13, comma 12-ter, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, deve essere presentata al comune entro la fine del mese di giugno –:
   al fine di dare maggiore certezza ai contribuenti e ai comuni, per la presentazione del bilancio di previsione, se non ritenga opportuno assumere iniziative volte a codificare la procedura per l'applicazione delle citate agevolazioni fiscali in materia di tassazione immobiliare, con particolare riferimento agli immobili concessi in comodato d'uso a figli o genitori, fornendo i necessari chiarimenti anche in relazione alle situazioni di dubbia interpretazione normativa indicate in premessa, riguardanti la natura degli immobili e la decorrenza dell'agevolazione.
(5-07445)


   RUOCCO, PESCO, VILLAROSA, ALBERTI e PISANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 22 dicembre 2015, il Ministro dell'economia e delle finanze in sede di risposta all'interrogazione in Commissione n. 5-07057 (presentata il 19 novembre 2015 dai deputati Pesco, Alberti, Villarosa, Ruocco e Cariello) ha reso noto che i due Interest Rate Swap decennali per un valore nozionale complessivo di 2000 milioni di euro scaduti nel 2015 (con pagamento complessivo dell'ultima semestralità di 91,862 milioni di euro) appartengono alla categoria degli IRS di duration e che tali contatti «non hanno originato upfront e i flussi complessivamente generati dalle due operazioni nel corso di tutta la loro vita ammontano a circa 520 milioni di euro»;
   sulla base di alcune stime di lavoro quantitative effettuate dagli interroganti utilizzando le informazioni finora fornite dal Ministero dell'economia e delle finanze, al momento della stipula i suddetti IRS decennali avrebbero dovuto generare per il Ministero dell'economia e delle finanze un incasso tra i 420 e 460 milioni di euro quale upfront;
   da una tabella pubblicata nel 2015 sul sito del dipartimento del tesoro si è appreso che alla data del 31 dicembre 2014 il valore di mercato complessivo del portafoglio derivati del Ministero dell'economia e delle finanze era negativo per oltre 42 miliardi di euro;
   sarebbe opportuno che il Governo chiarisse se, con riferimento ai due IRS decennali di cui sopra, i relativi contratti siano stati oggetto, nel corso della loro vita, di eventuali revisioni contrattuali (quali, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, rinegoziazioni, novazioni, inserimento e/o esercizio di specifiche clausole negoziali, accorpamento con uno o più altri contratti), che possano chiarire i motivi del significativo scostamento tra l’upfront stimato dagli interroganti e la nullità dell'upfront effettivamente incassato dal Ministero dell'economia e delle finanze; laddove, durante la vita dei contratti, i medesimi non siano stati mai oggetto di alcuna revisione di sorta, occorrerebbe conoscere quali siano le motivazioni tecniche e le connesse preliminari valutazioni quantitative sulla cui base i competenti dipartimenti del Ministero dell'economia e delle finanze all'epoca della stipula hanno ritenuto opportuna per lo Stato italiano l'assunzione di tali posizioni speculative, anche tenuto conto del fatto che – alla luce dell'entità dell’upfront stimato dagli interroganti – la sua mancata corresponsione al Ministero da parte della controparte contrattuale potrebbe essere segnaletica della circostanza che per effetto dei due contratti derivati di cui trattasi il Ministero ha assunto, per conto dello Stato italiano, l'impegno a corrispondere alla controparte negoziale un tasso fisso annuale superiore al tasso fisso equo di mercato all'epoca dei fatti e se e in che modo e misura la circostanza che i due IRS in parola appartengano alla categoria degli IRS di duration possa spiegare quanto sin qui ricostruito dagli interroganti; è altresì utile un chiarimento su quali siano stati i pagamenti lordi effettuati e i pagamenti lordi ricevuti dal Ministero ad ognuna delle date di pagamento definite nei due contratti, su quale/quali sia/siano le passività finanziarie dello Stato italiano con riferimento alle quali sono stati stipulati i due contratti derivati in parola e con quali finalità, su quale sia il valore di mercato complessivo del portafoglio derivati del Ministero dell'economia e delle finanze aggiornato alla data del 31 dicembre 2015, e laddove tale dato non sia ancora disponibile, quando, dove e come il Ministero dell'economia e delle finanze provvederà a renderlo pubblico, valutando l'opportunità di comunicare direttamente tale informazione agli interroganti appena la stessa sia disponibile –:
   quali elementi il Ministro interrogato intenda fornire in relazione agli aspetti evidenziati in premessa. (5-07446)


   SANDRA SAVINO, OCCHIUTO e GIACOMONI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la crisi che di recente ha travolto quattro istituti bancari (Banca Marche, Banca popolare dell'Etruria e del Lazio, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti) ha reso ancora più imperativa l'esigenza di garantire un adeguato e continuo flusso di informazioni al pubblico da parte di emittenti ed intermediari così da assicurare la più ampia trasparenza possibile anche per consentire che i risparmiatori possano approcciarsi al sistema finanziario con la massima fiducia che gli consenta di effettuare scelte davvero consapevoli;
   al contrario, nel recepire la direttiva 2014/59/UE su «risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento» – «BRRD» – recepita coi decreti legislativi n. 180 e n. 181 del 2015, il Governo ha stabilito (al comma 5 dell'articolo 99 del citato decreto legislativo n. 180 del 2015) l'obbligo di differire la diffusione al pubblico della notizia relativa all'avvio della procedura di risoluzione di una banca sino al momento della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, sul sito web della Banca d'Italia e su quello dell'ente sottoposto a risoluzione, anche ove la sussistenza dei presupposti per l'avvio della procedura sia già nota all'emittente e ai componenti dei suoi organi di amministrazione;
   tale disposizione, il cui unico effetto è quello di creare un vuoto informativo potenzialmente fatale per i risparmiatori, sterilizzando le garanzie informative i cui all'articolo 114 del «Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria» di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998, risulta agli interroganti dei tutto arbitraria in quanto non prevista da alcuna disposizione della citata direttiva BRRD (direttiva 2014/59/UE);
   peraltro, tale disposizione è, comunque, destinata ad essere superata con l'entrata in vigore del regolamento (UE) n. 596/2014 relativo agli abusi di mercato (MAR), che, nel quadro tracciato dall'articolo 17, impone la diffusione al pubblico, senza indugio, di qualsiasi informazione price sensitive, al fine di garantire un corretto processo di formazione dei prezzi e di assicurare che le decisioni degli investitori e dei depositanti siano sempre correttamente orientate;
   la sopra richiamata disciplina sulla diffusione di informazioni al pubblico, dettata dal regolamento MAR, entrerà tuttavia in vigore solo il 3 luglio 2016 con conseguente rischio che, per i prossimi sei mesi, i risparmiatori possano essere tenuti all'oscuro da preziose informazioni, per effetto della citata disposizione di cui all'articolo 99, comma 5, decreto legislativo n. 180 del 2015;
   non si riescono a comprendere i motivi della scelta effettuata dal Governo, che evidentemente ha creato un vuoto informativo in pregiudizio dei risparmiatori e degli investitori per il periodo intercorrente tra l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 180 del 2015 e l'entrata in vigore dell'articolo 17 del regolamento (UE) n. 596/2014, ovvero, nell'adottare il citato decreto legislativo, non ha tenuto conto dell'esistenza del predetto regolamento comunitario: in entrambi i casi si tratta di un grave atteggiamento che a giudizio degli interroganti mette a nudo come il Governo intende tutelare il sistema del risparmio;
   né tale scelta può trovare giustificazione nella volontà, che sarebbe, comunque, grave, di privilegiare la stabilità del sistema bancario, in pregiudizio della trasparenza a favore dei risparmiatori e degli investitori, tenuto conto che, comunque, già il predetto articolo 114 del TUF prevede adeguate garanzie sotto tale profilo, stabilendo esplicitamente che «Gli emittenti quotati possono, sotto la propria responsabilità, ritardare la comunicazione al pubblico delle informazioni privilegiate, al fine di non pregiudicare i loro legittimi interessi (...) sempre che ciò non possa indurre in errore il pubblico su fatti e circostanze essenziali e che gli stessi soggetti siano in grado di garantirne la riservatezza».;
   appare evidente, quindi, che di fatto il Governo ha voluto evitare una valutazione caso per caso da parte degli emittenti, da effettuare sotto la loro diretta responsabilità, disapplicando ex lege gli obblighi e i presidi informativi in esame –:
   quali urgenti iniziative, anche di carattere normativo, il Governo, al fine di scongiurare il rischio grave e concreto che i risparmiatori e gli investitori possano nuovamente ed ulteriormente trovarsi sprovvisti di tutte le informazioni indispensabili per operare consapevolmente le proprie scelte di investimento, intenda intraprendere per ripristinare immediatamente gli obblighi informativi di cui all'articolo 114 del «Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria» di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998, nelle more che tali presidi informativi siano, comunque, assicurati con l'inevitabile riallineamento tra la disciplina nazionale sulla diffusione di informazioni al pubblico e quella europea con l'entrata in vigore del regolamento (UE) n. 596 del 2014 (in quanto tale immediatamente esecutivo). (5-07447)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato nel corso di un'intervista rilasciata nei giorni scorsi al Corriere della Sera da Flavio Carboni, faccendiere e noto personaggio pubblico reduce da numerose e gravi vicende giudiziarie, nell'estate del 2014 il banchiere Fabio Arpe sarebbe stato indicato, su segnalazione dell'imprenditore Gianmario Ferramonti, ai vertici della Banca popolare dell'Etruria e del Lazio Lorenzo Rosi e Pier Luigi Boschi, rispettivamente Presidente e Vicepresidente dell'istituto, per ricoprire la carica di Direttore generale dello stesso;
   lo stesso Arpe conferma di essere stato contattato dal Ferramonti e successivamente di aver incontrato a Roma i vertici di Banca Etruria, che nel frattempo cercavano un Direttore generale, «qualcuno che portasse la banca fuori dai guai», e di essersi rifiutato in quell'occasione, dopo un colloquio durato alcune ore, di accettare la carica per impegni personali;
   la stessa stampa riporta una versione diversa sull'esito della trattativa: sarebbe stata infatti la Banca d'Italia, che nel febbraio 2014 aveva concluso la terza ispezione nell'istituto di credito aretino, contestando numerosi rilievi ai vertici nella gestione della banca e certificando la drammatica situazione finanziaria in cui versava, a pronunciarsi contro la nomina del dottor Arpe;
   quotidiani economici dell'epoca riportano la notizia secondo la quale l'allora presidente Rosi, nella seduta del consiglio di amministrazione del 23 luglio 2013, già aveva proposto come Direttore generale Fabio Arpe, notizia peraltro confermata alla stampa da alcuni consiglieri di amministrazione che riportano come il nome di Arpe sia stato sottoposto anche al giudizio della Banca d'Italia, nonostante che all'epoca fosse reduce da una lunga e articolata vicenda giudiziaria che aveva coinvolto banca Mb, e sulla quale l'organo di vigilanza di via Nazionale aveva riscontrato carenze nell'assetto organizzativo e contabile, nei controlli interni da parte del consiglio di amministrazione e da parte del collegio sindacale –:
   se e di quali elementi disponga il Governo, nell'ambito delle sue competenze, circa le vicende riportate in premessa ed, in particolare, circa la notizia secondo la quale nell'estate del 2014 all'autorità di vigilanza bancaria, Banca d'Italia, sia stata proposta la nomina del dottor Fabio Arpe a direttore generale della Banca popolare dell'Etruria e del Lazio, ed, in caso affermativo, se conosca sulla base di quali ragioni e valutazioni la stessa sia stata rigettata. (5-07448)


   BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   recentemente in Portogallo si è verificato un caso simile al salvataggio italiano dei quattro istituti Banca Marche, Etruria, Carichieti e Cassa Ferrara: in entrambi i casi si è fatto ricorso, come procedura di ultima istanza, ad un fondo di risoluzione gestito dalla Banca centrale nazionale e si sono separate le attività buone, trasferite in una good bank, da quelle deteriorate, fatte confluire in una bad bank che, nel caso portoghese, è sostenuta da una garanzia pubblica per 2,2 miliardi di euro;
   due sono però le differenze sostanziali nei due Paesi: innanzitutto, in Italia, azionisti e possessori di obbligazioni hanno perso tutti i loro risparmi, mentre, in Portogallo, molto probabilmente i possessori di obbligazioni subordinate potranno convertire i loro titoli in azioni della bad bank; quindi, mentre in Italia gli obbligazionisti hanno sicuramente perso i loro fondi, in Portogallo, a fronte di un immediato azzeramento dei bond, in futuro, potrebbe corrispondere una ripresa di valore nel caso di plusvalenze derivanti dalla cessione dei crediti in sofferenza;
   in secondo luogo, poi, una sostanziale differenza ha riguardato le valutazioni di partenza della bad bank: nel caso della banca portoghese Banif, la Commissione europea, nel suo annuncio, non ha specificato i valori di conferimento dei crediti in sofferenza; al contrario, nel caso delle quattro banche italiane poste in risoluzione, non soltanto la Commissione, ma anche Governo e Banca d'Italia, hanno dichiarato che il valore medio dei non performing bonds conferiti alla bad bank fosse di 18 centesimi, su una media di 40 centesimi;
   a ciò si aggiunge la valutazione complessiva della Banca d'Italia che, in un primo tempo, ha stabilito l'ammontare delle sofferenze delle quattro banche in 8,5 miliardi di euro: cinque giorni prima del salvataggio, i commissari di Banca Etruria decisero invece di vendere al Credito Fondiario un pacchetto di sofferenze di 302 milioni ad un prezzo che non è stato pubblicizzato, ma che fonti accreditate del mercato indicano tra un valore del 30 e il 40 per cento; ciò sta a significare che Banca Etruria avesse nel suo patrimonio un numero di attività in sofferenza pari al 30-40 per cento dell'importo nominale sui crediti;
   al contrario, 5 giorni dopo il salvataggio, Banca d'Italia ha stabilito che le sofferenze delle quattro banche valessero invece soltanto il 17,6 per cento del credito originario, facendo in modo che gli 8,5 miliardi di attività in sofferenza siano stati pagati 1,5 miliardi;
   allo stesso modo, in Banca Marche, i commissari di Bankitalia, dopo due anni di commissariamento, avevano valutato in 1,97 miliardi gli originari 3,47 miliardi di sofferenze, ossia il 43 per cento;
   dunque la Banca d'Italia ha utilizzato dei criteri molto severi per la valutazione delle sofferenze che, se fossero stati valutati più positivamente, avrebbero conferito alle banche malate un importo maggiore, con cui si sarebbero potuti coprire almeno una parte delle obbligazioni subordinate svanite; inoltre, se le valutazioni di Bankitalia circa le sofferenze di Banca Marche fossero state conformi ai valori stimati dai commissari, sarebbero addirittura avanzati 2 miliardi di euro; un importo sufficiente a garantire non soltanto tutte le obbligazioni subordinate, ma anche tutti i piccoli azionisti –:
   se non ritenga opportuno fornire gli elementi a conoscenza del Governo circa la motivazione di una differenza così rilevante tra precedente valutazione delle attività in sofferenza effettuata dai commissari di Banca Etruria e Banca Marche e la successiva, notevolmente inferiore, stimata invece dalla Banca d'Italia in sede di procedura di risoluzione e se questa sostanziale discrepanza non possa essere sfruttata in maniera fortemente speculativa dagli specialisti del recupero crediti, mentre invece avrebbe potuto essere utilizzata in modo più razionale per il ristoro, almeno, degli obbligazionisti subordinati, come è accaduto in Portogallo. (5-07449)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DADONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, emanato per disciplinare le fondazioni di origine bancarie all'articolo 10 individua nel Ministero dell'economia e delle finanze l'autorità di vigilanza;
   l'articolo 10, comma 2, di tale decreto legislativo prevede che «La vigilanza sulle fondazioni ha per scopo la verifica del rispetto della legge e degli statuti, la sana e prudente gestione delle fondazioni, la redditività dei patrimoni e l'effettiva tutela degli interessi contemplati negli statuti»;
   il comma 3 di tale normativa, invece, statuisce alla lettera d) che il Ministero dell'economia e delle finanze «può chiedere alle fondazioni la comunicazione di dati e notizie e la trasmissione di atti e documenti con le modalità e nei termini dalla stessa stabiliti», mentre alla lettera f) del medesimo decreto sempre il Ministero dell'economia e delle finanze «può effettuare ispezioni presso le fondazioni e richiedere alle stesse l'esibizione dei documenti e il compimento degli atti ritenuti necessari per il rispetto di quanto previsto al comma 2»;
   è stata pubblicata, da alcune testate giornalistiche locali, la notizia secondo la quale il consiglio generale della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo avrebbe autorizzato le trattative per la cessione di quote BRE all'UBI banca, indicando l'obiettivo di raggiungere il 6/7 per cento della capogruppo;
   il valore borsistico di UBI Banca è di circa 6 miliardi di euro, quindi la quota posseduta dalla Fondazione CRC nella capogruppo (2,23 per cento) ha un valore di circa 130 milioni di euro;
   i 425 milioni di euro di patrimonio complessivamente investito nelle banche conferitarie (UBI e BRE) sono pari a circa il 7 per cento del valore borsistico dell'intero gruppo;
   qualora anche solo si ipotizzasse che la partecipazione acquisibile fosse del 6 per cento, vorrebbe dire mettere in conto una penalizzazione effettiva di ben 60 milioni di euro; ossia avere, quale esito dell'operazione di concambio, un controvalore in azioni inferiore appunto di circa 60 milioni (che corrisponde all'1 per cento inferiore al valore attuale);
   se la quota finale fosse il 6 per cento di UBI, questa avrebbe un valore complessivo di circa 365 milioni di euro dai quali andrebbero detratti i 133 milioni di valore attuale della partecipazione che è attualmente posseduta nella capogruppo, attribuendo quindi alla cessione del 25 per cento di BRE un valore di 232 milioni di euro;
   ove la partecipazione invece fosse il 7 per cento, questo valore diventerebbe circa 290 milioni di euro;
   qualora i dati sopra esposti e apparsi sui giornali fossero corrispondenti alle reali condizioni alle quali la fondazione CRC intende cedere le proprie quote di BRE, si tratterebbe di valori che configurerebbero, secondo l'interrogante, una svendita che pare quantomeno irresponsabile. Basti infatti valutare un dato: se oggi la BRE fosse messa in liquidazione, poiché ha un capitale netto di 1.295 milioni di euro, alla Fondazione spetterebbe il 25 per cento, ossia 323 milioni. Dunque nell'ipotesi peggiore in assoluto che non considera alcun avviamento e non mette in conto utili futuri, la Fondazione percepirebbe, ed in valori contanti, da un minimo di 33 ad un massimo di 91 milioni di euro in più in caso di liquidazione della BRE rispetto all'ipotesi di cessione indicata dal consiglio generale della Fondazione;
   tale ipotesi, ove configurata, comporterebbe, ad avviso dell'interrogante, una vera e propria svendita, alla luce anche del fatto che nel 2010 la Fondazione aveva acquistato il 5 per cento di BRE corrispondendo in moneta contante ben 125 milioni: ossia attribuendo alla partecipazione in BRE un valore complessivo di ben 625 milioni. Per esser ancora più chiari, nel 2010 la Fondazione, già in un periodo di crisi, aveva acquisito il 5 per cento della BRE pagando 125 milioni di euro, mentre oggi pare voglia vendere il 25 per cento delle quote ad un prezzo compreso tra 232 milioni di euro e 290 milioni di euro;
   quanto sopra riportato è stato anche oggetto della conferenza stampa organizzata dal «Gruppo 19 Marzo», in data 11 dicembre 2015, nella quale i relatori esprimevano preoccupazione in merito ai dati riportati in premessa e pubblicati sulle fonti di stampa locali;
   sempre in relazione alle problematiche della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, l'interrogante depositava in data 26 novembre 2014 un'interrogazione in Commissione finanze n. 5-04156 in merito alle anomalie nella gestione della fondazione stessa, in conseguenza delle quali si richiedeva un'attenta verifica delle condizioni esistenti dentro e intorno;
   in data 11 dicembre 2014 il sottosegretario Zanetti, a nome del Governo, comunicava come «al riguardo, l'autorità di vigilanza, oltre ad aver effettuato nel corso del 2012, per gli aspetti di competenza, un'attività di verifica nei confronti della fondazione medesima, ha costantemente posto attenzione alle segnalazioni nel tempo pervenute da più parti. In particolare, con riferimento alla vicenda inerente il contestato affidamento a trattativa privata, da parte della fondazione, di un appalto di lavori di ristrutturazione per oltre un milione di euro, l'autorità ha interessato di recente l'Ente su alcuni specifici aspetti rispetto ai quali si è in attesa di ricevere elementi di chiarimento»;
   è passato oltre un anno dalle dichiarazioni del sottosegretario Zanetti, ma non è dato sapere se e in quali termini la Fondazione CRC abbia risposto al Ministero dell'economia e delle finanze –:
   se il Ministro, visto quanto riportato in precedenza e in virtù dei poteri conferitigli dalla normativa citata (decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, articolo 10, commi 2 e 3, lettere d) e f)) intenda promuovere un'azione ispettiva o quant'altro necessario per verificare se la paventata vendita del 25 per cento delle quote della Bre alla capogruppo UBI Banca, sia conforme ad «una gestione sana e idonea» della Fondazione Cassa risparmio di Cuneo e salvaguardi il patrimonio della stessa Fondazione;
   se la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo abbia risposto in merito alla richiesta di chiarimenti avanzata di Ministero dell'economia e delle finanze e quale sia il contenuto di tale risposta. (5-07443)

Interrogazione a risposta scritta:


   DELL'ORCO, CRIPPA, LIUZZI, SPESSOTTO, DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI e CARINELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le associazioni dei consumatori hanno come di consueto analizzato l'andamento annuale del costo dei carburanti per autotrazione, evidenziando sulla stampa come la caduta dei prezzi del petrolio non abbia portato in Italia ad un conseguente e adeguato ribasso dei prezzi alla pompa. Si evidenzia infatti che il crollo del prezzo del greggio, oggi intorno ai 30 dollari al barile, sia ai minimi dal 2009, quando la benzina verde costava 1,13 euro al litro, mentre oggi la quotazione media della benzina è scesa appena sotto gli 1,43 euro al litro;
   il calo dei prezzi del greggio, secondo l'Unione petrolifera, sarebbe però stato interamente recepito dai prezzi italiani dei carburanti al netto delle tasse; anche secondo le associazioni dei consumatori ad incidere sull'attuale eccessivo prezzo sarebbero la perdita di forza del cambio euro-dollaro ma soprattutto l'aumento delle accise sui carburanti (nel 2009 si attestavano a 56,4 centesimi al litro, oggi a 72,8 centesimi), nonché l'incremento dell'iva;
   le accise sui carburanti, negli anni, sono aumentate per coprire le spese di varie emergenze, come guerre, missioni di pace, terremoti, alluvioni, molte delle quali non più attuali. In molti casi, inoltre, gli atti di legge che avevano disposto l'aumento dell'aliquota a loro copertura riportavano una scadenza, ma, secondo fonti stampa, le aliquote non sembrerebbero aver subito conseguenti e correlate variazioni al ribasso al cessare degli effetti di legge;
   lo stesso Presidente del Consiglio Matteo Renzi, a proposito di accise sui carburanti, aveva pubblicamente dichiarato durante la trasmissione Porta a Porta del 23 maggio 2014 che, entro quell'anno, il Governo avrebbe rimesso mano alle aliquote per limare le componenti delle accise non più attuali, riferendosi in particole alla guerra di Etiopia. Secondo quanto dichiarato in quella stessa sede dal Presidente del Consiglio in relazione all'alluvione di Firenze, non risulterebbe neppure chiaro se il trasferimento di quote relative alle accise disposto per legge sia stato sempre rispettato;
   sul prezzo finale dei carburanti, oltre alle accise, grava anche l'iva che, non viene però calcolata solo sul costo del prodotto e sul margine di guadagno, ma, illegittimamente, anche sulle accise, trasformandosi così in una tassa sulla tassa. A luglio 2015 una sentenza di un giudice di pace di Venezia, giudicando sul ricorso presentato da un cittadino contro l'Enel che in bolletta calcola l'iva anche sulle accise, ha sancito appunto che l'iva sulle accise non va pagata richiamando il principio stabilito dalla Corte di Cassazione a sezioni unite nella sentenza 3671/97, secondo il quale, salvo deroga esplicita, un'imposta non costituisce mai base imponibile per un'altra. Tale illegittimità dovrebbe dunque riguardare anche il settore dei carburanti;
   considerato che, comunque, le accise sui carburanti costituiscono una voce d'entrata rilevante per le casse pubbliche, gli effetti sulla finanza pubblica di un possibile taglio delle accise e dell'iva dovrebbero essere compensati da un corrispondente aumento della fiscalità, ad esempio incidendo sulle attività estrattive, con un aumento dei canoni e delle royalty che continuano ad essere tra le più basse al mondo, o con la soppressione di tutti i regimi di favore alle accise sui combustibili fossili, in linea tra l'altro con le indicazioni dell'Onu sull'obiettivo di riduzione delle emissioni inquinanti;
   a parere degli interroganti, l'imposizione fiscale gravante sul consumo dei carburanti per autotrazione dovrebbe essere completamente razionalizzata e rideterminata, trasformandola di fatto in una vera e propria tassazione ambientale, ovvero in un sistema di imposizione fiscale che persegua lo sviluppo di politiche pubbliche di sostenibilità e la riduzione delle emissioni climalteranti, come previsto, ma mai attuato, con l'articolo 15 della legge di delega fiscale (legge 11 marzo 2014, n. 23) –:
   quali siano attualmente le componenti dell'aliquota dell'accisa disposte per legge e ancora attuali e quali riferite a situazioni emergenziali o straordinarie ora cessate e se sia sempre stato rispettato, in sede di bilancio, il trasferimento di fondi per quelle destinazioni;
   se il Governo non intenda assumere iniziative affinché l'iva sui carburanti venga adeguata conformemente a quanto stabilito dalla recente sentenza del giudice di pace di Venezia richiamata in premessa;
   se e come il Governo intenda intervenire per razionalizzare l'imposizione fiscale sul consumo dei carburanti per autotrazione, trasformandola di fatto in una carbon tax, o altra imposta di scopo, destinata a finanziare lo sviluppo delle energie rinnovabili, dell'efficienza energetica del nostro Paese e della mobilità pubblica sostenibile. (4-11718)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

II Commissione:


   SANTELLI e OCCHIUTO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la procura di Catanzaro ha un organico previsto di 16 magistrati oltre al procuratore della Repubblica, sei di questi assegnati alla direzione distrettuale antimafia;
   la direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha competenza su quattro delle cinque province della Calabria: Catanzaro, Cosenza, Crotone e Vibo Valentia e su sette circondari: Castrovillari, Catanzaro, Cosenza, Crotone, Lamezia T., Paola e Vibo Valentia: si tratta del terzo distretto d'Italia;
   alla vastità del territorio, che già di per sé è elemento estremamente rilevante occorre aggiungere che la situazione della criminalità in Calabria ha assunto rilievo nazionale per la sua pericolosità tanto di radicamento nel territorio regionale quanto di collegamento ed estensione nell'intero territorio nazionale e transnazionale;
   rispetto a tale pericolo, il numero di magistrati che devono occuparsene, come quello della polizia giudiziaria, è assolutamente esiguo. La presenza di sei magistrati, infatti, non consente neanche la copertura minima dell'assegnazione di un'unità per circondario;
   al fine di comprendere la veridicità dell'assunto è sufficiente comparare l'organico di Catanzaro con quello di altre procure distrettuali che possono avere medesime situazioni di lavoro;
   la necessità di revisione della pianta organica della procura di Catanzaro è stata più volte evidenziata, tanto dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Cosenza, quanto dal procuratore generale presso la corte d'appello e dallo stesso procuratore nazionale antimafia, al Ministero della giustizia, al Consiglio superiore della magistratura, alla Commissione parlamentare antimafia –:
   se e in che tempi intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per procedere alla necessaria revisione della pianta organica della procura della Repubblica presso il tribunale di Catanzaro, con un aumento di unità tale da assicurare alla competente sezione distrettuale antimafia un numero di magistrati omologo a quello previsto per sedi che abbiano medesima estensione territoriale o presenza criminale. (5-07464)


   BUSINAROLO, AGOSTINELLI, BONAFEDE, COLLETTI, FERRARESI e SARTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il sistema carcerario italiano è attraversato da gravi problematiche legate al sovraffollamento degli istituti di pena, peggioramento delle condizioni di vita dei detenuti, scarsità del personale e dei mezzi, per cui anche la Corte di Strasburgo, nel 2013, censurò il nostro Paese per il trattamento di alcuni suoi reclusi, costretti in spazi inferiori a quattro metri quadrati, in strutture fatiscenti e con inadeguatezza di servizi igienici e medici;
   nel caso di specie, recenti notizie di stampa (vedasi articoli pubblicati su rovigooggi.it del 10 e 11 gennaio 2016) hanno riportato all'attenzione dell'opinione pubblica il caso del nuovo carcere di Rovigo, i cui lavori furono iniziati nel 2010 e terminati nel 2013, con un costo pari a circa 30 milioni di euro ma che, ad oggi, risulta pressoché inutilizzato poiché ancora in attesa del completamento di alcune opere e degli arredi, quale ultimo tassello;
   nello specifico, nel corso di un incontro con il prefetto vicario (al momento prefetto reggente) Carmelo Fruncillo, i rappresentanti sindacali della polizia penitenziaria hanno delineato un quadro sconcertante rispetto alla situazione in cui versa la nuova struttura carceraria, con un desolante elenco che include la presenza di ratti, vivi e morti, odori nauseabondi e infiltrazioni di umidità che hanno provocato già diversi danni ai pavimenti in legno;
   la situazione risulta ancora più complessa per coloro che operano all'interno del nuovo carcere (sia come agenti penitenziari addetti alla sorveglianza che come personale amministrativo) e che, in attesa dell'arrivo dei trenta detenuti ancora ospitati nella vecchia struttura penitenziaria rodigina di via Verdi, si trovano a dover espletare le loro mansioni in entrambi gli istituti penitenziari, oltre ad un piantonamento ospedaliero di un detenuto, con un sovraccarico di lavoro ed un aggravio dei turni, costretti spesso a lavorare in condizioni estremamente precarie, senza riscaldamento e nella situazioni di insalubrità sopra descritta;
   da ulteriori notizie di stampa (vedasi articolo de Il Gazzettino del 13 gennaio 2016) si apprende di una visita effettuata il 12 gennaio 2016 presso il nuovo carcere da parte del provveditore all'amministrazione penitenziaria per il Triveneto, Enrico Sbriglia, che sarebbe intervenuto per riportare la calma dopo le manifestazioni di protesta dei giorni scorsi da parte dei rappresentanti sindacali dell'amministrazione penitenziaria nei confronti della direttrice del carcere di Rovigo, Antonella Forgione, relative alla situazione di emergenza e precarietà e ai gravi ritardi nella inaugurazione ufficiale della nuova sede;
   i ritardi nella consegna del nuovo istituto penitenziario, costato circa 30, milioni di euro e che necessita di ulteriori risorse economico-finanziarie, denotano, a giudizio degli interroganti, un grave spreco di denaro pubblico –:
   alla luce di quanto descritto in premessa, quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare, al fine di verificare le condizioni in cui versa la nuova struttura carceraria di Rovigo, con l'obiettivo di garantire un miglioramento delle condizioni lavorative per il personale, nonché condizioni di vita dignitose per i detenuti e quali siano i tempi previsti relativamente all'assunzione di nuove unità di personale finalizzato al regolare svolgimento delle attività penitenziarie. (5-07465)

Interrogazione a risposta scritta:


   MARCON, MARAZZITI, FOSSATI, BASILIO, D'ATTORRE, PALAZZOTTO, PATRIARCA, KRONBICHLER, MATTIELLO, PANNARALE, BOSSA, DURANTI, NICCHI, DANIELE FARINA, SCOTTO, FRATOIANNI, FAVA, SANNICANDRO, COSTANTINO, QUARANTA, PIRAS e ZARATTI. – Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che:
   nonostante i numerosi impegni internazionali assunti, nel nostro Paese non è stato ancora introdotto il reato di tortura;
   la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984, ratificata dall'Italia nel 1988, prevede infatti che ogni Stato si adoperi per perseguire penalmente quegli atti di tortura delineati all'articolo 1 della Convenzione stessa;
   a tale grave ritardo (di 28 anni), va aggiunto che, nel tempo, la cronaca ha riportato – e purtroppo continua a riportare – numerosi e drammatici fatti riconducibili a maltrattamenti da parte di agenti delle forze di polizia ad ordinamento civile e militare nei confronti di persone soggette alla loro custodia e/o vigilanza –:
   quali siano i dati aggiornati in possesso dei Ministri interrogati sui procedimenti disciplinari in corso, nonché sulle condanne disciplinari inflitte, per episodi di maltrattamenti commessi da appartenenti delle forze di polizia ad ordinamento civile e militare nei confronti di persone in loro custodia e/o vigilanza. (4-11731)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   CASTIELLO e LAFFRANCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 23 novembre 2015 hanno preso avvio gli interventi di ammodernamento lungo il raccordo Perugia-Bettolle per una durata complessiva di otto mesi e che gli stessi, dopo una breve pausa per le festività, sono ripresi il 13 gennaio 2015;
   i lavori stabiliti dall'Anas riguarderanno specifici interventi sulle barriere laterali di sicurezza del viadotto «Genna» e tra gli svincoli di Madonna Alta e Ferro di Cavallo. Tali interventi prevedono la rimozione delle vecchie barriere metalliche, il rifacimento di parte della soletta e dei cordoli del viadotto e l'installazione di barriere laterali di sicurezza di ultima generazione;
   oltre ai viadotti, il piano di riqualificazione del raccordo Perugia-Bettolle prevede interventi di ammodernamento di cinque gallerie e, in particolare, il loro rivestimento interno, la segnaletica luminosa e gli impianti di illuminazione, antincendio, sicurezza e videosorveglianza;
   dopo anni di flessione delle risorse finanziarie disponibili per la manutenzione stradale a causa della crisi economica, che si è tradotta in un deficit, di manutenzione, Anas è riuscita ad ottenere un importante finanziamento da parte del Ministero delle infrastrutture e trasporti e dal Ministero dell'economia e finanze su un progetto che era stato approvato dal Cipe negli anni 2001/2006;
   tali interventi di manutenzione straordinaria ammontano ad un investimento complessivo di 9,5 milioni di euro, che si aggiungono agli oltre 6 milioni di euro per lavori attualmente in corso e a circa 3,8 milioni di euro per lavori già completati negli ultimi 24 mesi;
   i lavori stanno generando ampi impatti transitori sulla già complessa situazione viaria che manifesta significativi fenomeni di traffico intermittente, file con conseguenti ritardi nonché un progressivo decadimento della sicurezza viaria generale;
   si tratta di interventi necessari ai fini della sicurezza stradale, ma essendo iniziati contemporaneamente su tratti così trafficati stanno generando numerosi disagi sia in entrata che in uscita per la città di Perugia anche alla luce di una maggiore intensificazione del traffico dovuta dall'inizio del Giubileo;
   attualmente si registrano disagi sia verso nord, in direzione Bettolle e sia in direzione sud verso Ponte San Giovanni, considerato che il transito è consentito a doppio senso di marcia sulla carreggiata opposta a quella interessata dal cantiere per un tratto di circa 1,8 chilometri (dal chilometro 52.900 al chilometro 51,130) tra gli svincoli di Madonna Alta e Ferro di Cavallo;
   i lavori sul raccordo Perugia-Bettolle stanno quindi determinando la paralisi della città, anche alla luce del fatto che non sarà possibile eseguirli a tappe, così come sostenuto durante una audizione in commissione regionale, dal capo compartimento Anas Umbria;
   in considerazione del crescente traffico sul tratto di raccordo Perugia-Bettolle appare estremamente necessario che i cantieri restino aperti anche di notte nonostante un aumento dei costi, che potrebbero superare i 600 mila euro, ma che di fatto andrebbero a ridurre i disagi ed i rischi per i residenti e automobilisti;
   il 12 gennaio 2016 c’è stata l'approvazione unanime da parte del consiglio regionale dell'Umbria della mozione presentata dal centrodestra che sollecita l'Anas a svolgere anche di notte e nei giorni festivi, per quanto possibile tecnicamente, i lavori sul raccordo Perugia-Bettolle per accorciare i tempi dei cantieri e ridurre gli innumerevoli problemi a discapito della viabilità;
   a fronte di un investimento di circa 20 milioni di euro, per i lavori sopra descritti, la cifra stimata di 600 mila euro risulta più che sostenibile, soprattutto in considerazione della già attuale criticità del traffico rilevata nella zona interessata;
   è importante rilevare che il raccordo Perugia-Bettolle riveste una importanza strategica non solo per la viabilità interna della città di Perugia, ma anche con il sud ed il nord d'Italia, soprattutto in riferimento al trasporto di beni di prima necessità per tutto il territorio umbro –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere affinché le lavorazioni lungo il raccordo Perugia-Bettolle vengano effettuate anche di notte e nei giorni festivi, in modo da ridurre gli impatti negativi per automobilisti e residenti, così come auspicato per altro anche da una mozione approvata dal consiglio regionale dell'Umbria. (5-07459)


   TINO IANNUZZI, BORGHI, REALACCI, COVELLO, MANFREDI e VALIANTE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'autostrada A3, Salerno-Reggio Calabria costituisce una grande infrastruttura di assoluta valenza nazionale, essenziale e strategica non solo per il Mezzogiorno, ma per l'intero Paese;
   i lavori relativi al progetto di ammodernamento e messa in sicurezza dell'autostrada hanno raggiunto uno stadio rilevante e significativo, con circa 360 chilometri, ultimati e fruibili sui 443 chilometri complessivi dell'intero tracciato;
   su circa 40 chilometri, i lavori sono in corso ovvero sono stati appaltati;
   occorre accelerare i lavori in corso per addivenire rapidamente alla loro conclusione;
   sono, invece, ancora da finanziare, progettare, ovvero in via di mera progettazione altri interventi, per circa 40 chilometri, che ricomprenderanno alcuni lotti ed alcuni nuovi svincoli autostradali, per complessivi circa 3 miliardi di euro;
   andrebbe ricompreso nelle opere da finanziare il raccordo Salerno-Avellino nel primo tratto Salerno-Fratte-Mercato San Severino, che funge da raccordo fra le autostrade A30 Caserta-Roma ed A3 Salerno-Reggio Calabria, il cui tracciato attuale è inadeguato e pericoloso per la sicurezza della circolazione e che, come tale, va potenziato con la costruzione della terza corsia e con la messa in sicurezza secondo le norme vigenti;
   occorre completare con rapidità l'intera opera, strategica per il sistema dei collegamenti e delle modalità per lo sviluppo del sistema economico e produttivo, un'opera fondamentale non solamente per il Mezzogiorno, ma per tutta l'Italia –:
   quale sia il quadro aggiornato, lotto per lotto, dei lavori lungo l'autostrada A3, precisando - alla luce dell'abituale report sullo stato delle opere periodicamente curato dall'ANAS - la percentuale di esecuzione dei lavori per ciascun lotto, i termini previsti per la loro ultimazione, nonché i tempi e i provvedimenti con i quali il Governo intenda erogare i finanziamenti ancora mancanti per il completamento della intera autostrada A3. (5-07460)


   MATARRESE, DAMBRUOSO, D'AGOSTINO e VARGIU. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la protezione idraulica del territorio nazionale, che comprende tutte le attività e gli interventi finalizzati a ridurre gli effetti nocivi delle acque, rappresenta certamente uno dei punti cardine del progetto dello Stato che riguarda la mitigazione dei rischi da dissesto idrogeologico allo scopo di garantire l'incolumità pubblica e di tutelare l'ambiente;
   in quest'ottica sono strategiche anche le opere infrastrutturali volte a garantire la sicurezza idraulica dell'intero bacino idrografico del fiume Volturno;
   in particolare, il completamento dell'opera di difesa idraulica denominata «Progetto per il completamento della vasca di laminazione in località Fossatella» nel comune di Macchia d'Isernia, il cui ente attuatore è il «Consorzio di bonifica della Piana di Venafro», consentirebbe di mitigare il rischio da dissesto idrogeologico in un'area molto vasta, compresa tra il Molise e la Campania, attraversata dai fiumi Volturno e Cavaliere che a loro volta sono interessati da rilevanti criticità;
   il progetto, dunque, ha una valenza interregionale, poiché riguarda la possibilità di limitare i rischi di esondazione del fiume Volturno sia in provincia di Isernia sia in provincia di Caserta;
   il completamento dell'infrastruttura sembrerebbe subordinato alla realizzazione del IVo e ultimo lotto di intervento e la documentazione tecnica propedeutica all'avvio delle procedure di gara sembrerebbero già disponibili;
   il progetto esecutivo sembrerebbe già cantierabile così come verificabile presso la competente direzione generale per le dighe e le infrastrutture idriche ed elettriche del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   il progetto avrebbe ricevuto tutti i nulla osta sia dall'ufficio dighe di Napoli sia dall'autorità di bacino Liri-Volturno-Garigliano. I precedenti 3 lotti sarebbero stati già regolarmente eseguiti, collaudati e finanziati con risorse nazionali pari a 25 milioni di euro;
   il completamento dell'opera avrebbe probabilmente limitato anche la portata degli ultimi eventi alluvionali che hanno interessato sia il Molise che la Campania;
   la vasca di laminazione a Macchia d'Isernia avrebbe, infatti, la strategica funzione di fermare o quanto meno di limitare le alluvioni poiché sarebbe in grado di contenere e rallentare le acque del fiume Cavaliere in presenza di precipitazioni abbondanti, evitando l'aumento della portata e la conseguente esondazione del fiume Volturno che riceve le sue acqua a valle;
   altra importante funzione della vasca di laminazione a Macchia d'Isernia è quella che consente di utilizzare le acque contenute del fiume Cavaliere per irrigare i terreni da Sesto Campano fino a Pratella, all'altezza dello stabilimento delle acque minerali, includendo nel Consorzio, oltre Capriati, i centri della provincia casertana Ciorlano, Fontegreca, Prata Sannita e Pratella. In tutto sono 1.500 ettari da mettere a coltura –:
   quale sia lo stato di avanzamento del progetto e i tempi di realizzazione dell'opera, quali siano le risorse che si intendano stanziare per il completamento del IVo e ultimo lotto e se sussistano elementi ostativi al completamento dello stesso. (5-07461)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'Assemblea generale del consiglio superiore dei lavori pubblici, nelle adunanze del 13 e 27 luglio 2007, si è espressa favorevolmente in ordine all'aggiornamento delle norme tecniche per le costruzioni (NTC), di cui al decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 14 settembre 2005;
   con nota del 7 agosto 2007, n. 2262, il Presidente del consiglio superiore dei lavori pubblici ha trasmesso all'ufficio legislativo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il suddetto aggiornamento, così come licenziato dall'Assemblea generale del consiglio superiore dei lavori pubblici;
   con nota prot. n. DPC/CG/75468 del 12 dicembre 2007 – ai sensi dell'articolo 5, comma 2, della legge 17 luglio 2004, n. 186, di conversione del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136 – e con successiva nota prot. n. 30-18/A-4-bis del 18 dicembre 2007 – ai sensi dell'articolo 52 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 – il capo del dipartimento della protezione civile ed il Ministro dell'interno hanno espresso, rispettivamente, il proprio concerto al citato aggiornamento; infine, in data 20 dicembre 2007, è stata raggiunta l'intesa con la Conferenza unificata ai sensi degli articoli 54 e 93 del decreto legislativo n. 112 del 1998 e dell'articolo 83 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380;
   con decreto 14 gennaio 2008, codesto Ministero, di concerto con il Ministero dell'interno e con il Capo della protezione civile, ha, dunque, approvato il testo aggiornato delle norme tecniche per le costruzioni, di cui alla legge 5 novembre 1971, n. 1086, alla legge 2 febbraio 1974, n. 64, al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e alla legge 27 luglio 2004, n. 186, di conversione del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136, ad eccezione delle tabelle 4.4.111 e 4.4.IV e del Capitolo 11.7., che sostituisce il testo precedente approvato con decreto ministeriale 14 settembre 2005;
   l'articolo 52 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, stabilisce che in tutti i comuni della Repubblica le costruzioni sia pubbliche sia private debbono essere realizzate in osservanza delle norme tecniche riguardanti i vari elementi costruttivi fissate con decreti del Ministro per le infrastrutture e i trasporti, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici che si avvale anche della collaborazione del Consiglio nazionale delle ricerche. Qualora le norme tecniche riguardino costruzioni in zone sismiche esse sono adottate di concerto con il Ministro dell'interno;
   dette norme definiscono: i criteri generali tecnico-costruttivi per la progettazione, esecuzione e collaudo degli edifici in muratura e per il loro consolidamento; i carichi e sovraccarichi e loro combinazioni, anche in funzione del tipo e delle modalità costruttive e della destinazione dell'opera, nonché i criteri generali per la verifica di sicurezza delle costruzioni; le indagini sui terreni e sulle rocce, la stabilità dei pendii naturali e delle scarpate, i criteri generali e le precisazioni tecniche per la progettazione, esecuzione e collaudo delle opere di sostegno delle terre e delle opere di fondazione; i criteri generali e le precisazioni tecniche per la progettazione, esecuzione e collaudo di opere speciali, quali ponti, dighe, serbatoi, tubazioni, torri, costruzioni prefabbricate in genere, acquedotti, fognature; la protezione delle costruzioni dagli incendi;
   l'articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, stabilisce, altresì, che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici, che si avvale anche della collaborazione del Consiglio nazionale delle ricerche, predispone, modifica ed aggiorna le sopra citate norme tecniche alle quali si uniformano le costruzioni;
   in data 14 novembre 2014, a seguito di un lungo processo di revisione, il Consiglio superiore dei lavori pubblici ha approvato, a maggioranza, la bozza delle nuove norme tecniche per le costruzioni (NTC) — di cui al parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici n. 53/2012, espresso nell'adunanza dell'Assemblea generale del 14 novembre 2014;
   a distanza di oltre un anno dall'approvazione da parte del Consiglio superiore dei lavori pubblici della sopra citata bozza di revisione delle norme tecniche per le costruzioni (NTC) – diffusa nel marzo 2015 e che potrà entrare in vigore solo a seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale – gli interroganti hanno fondato motivo di ritenere che l’iter previsto per la predisposizione del decreto ministeriale di approvazione delle nuove norme abbia subito un forte rallentamento, anche in considerazione del fatto che per il decreto ministeriale 14 gennaio 2008 l'intesa della Conferenza unificata arrivò a soli cinque mesi dall'approvazione del Consiglio superiore dei lavori pubblici  –:
   se siano già stati acquisiti i pareri del Ministro dell'interno e del capo dipartimento della protezione civile, così come previsto dalla normativa vigente e, conseguentemente, se siano stati avviati i lavori della Conferenza unificata ai fini del perfezionamento dell’iter per la redazione del decreto ministeriale di approvazione delle nuove norme tecniche per le costruzioni (NTC). (5-07462)


   ZARATTI e PELLEGRINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la perdurante crisi economica e sociale sta aggravando sempre di più l'emergenza abitativa. Una situazione di vero allarme sociale che riguarda tutto il Paese, anche se con situazioni di vera e propria emergenza per le grandi aree urbane;
   il tutto è acuito dal fatto che purtroppo l'Italia è il Paese che è agli ultimi posti nella realizzazione di edilizia residenziale pubblica e di edilizia a fini sociali, che corrisponde a circa l'1 per cento della produzione edilizia totale;
   uno degli strumenti a favore degli enti locali per sostenere le famiglie più svantaggiate e per contrastare il disagio abitativo, è certamente il Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione (istituito dalla legge n. 431 del 1998);
   si ricorda che detto fondo; consente una integrazione economica per quella famiglie con redditi bassi. Attraverso questo fondo, i comuni erogano i contributi direttamente alle famiglie disagiate per poter pagare canoni spesso incompatibili con il reddito percepito;
   nel 1998, anno in cui fu istituito il suddetto fondo locazioni, questo era finanziato dallo Stato con uno stanziamento equivalente a circa 300 milioni di euro; l'ultima finanziaria del Governo Prodi stanziava oltre 205 milioni di euro; quindi 335,7 milioni di euro nel 2001; 248,3 milioni nel 2004, 310,7 milioni nel 2006; nel 2009 era di 143 milioni; nel 2010 è stato ridotto a 110 milioni; nel 2011 la dotazione è stata di circa 33 milioni di euro. Per il triennio 2012-2014 non vi è stato alcuno stanziamento di bilancio;
   in ultimo, il decreto 47 del 2014 (cosiddetto decreto Lupi) ha stanziato 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015. Una cifra assolutamente insufficiente e non adeguata alla situazione attuale di emergenza abitativa;
   la tensione abitativa rischia di esplodere, ed è indispensabile che molte famiglie possano perlomeno continuare a beneficiare dell'importante contributo affitti previsto dalla legge 431 del 1998 –:
   per quali motivi il Governo non abbia assunto iniziative volte a stanziare risorse del fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione per il 2016 e gli anni seguenti, e se non si intenda rifinanziarlo. (5-07463)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FOSSATI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 59 del 18 aprile 2011, attuazione delle direttive 2006/126/CE e 2009/113/CE concernenti la patente di guida (11G0104), all'allegato III (previsto dall'articolo 23) sono riportati i requisiti minimi di idoneità fisica e mentale per la guida di un veicolo a motore ed, in particolare, alla lettera D quelli riferiti all'epilessia;
   in tale decreto legislativo sono definiti i requisiti minimi per il riconoscimento dell'idoneità delle persone con epilessia alla guida di un veicolo a motore come pure le condizioni che ne determinino l'inidoneità;
   alla lettera D.7.1. è previsto in caso d'inidoneità, «obbligo di segnalazione, ai fini delle limitazioni al rilascio o della revisione di validità della patente di guida, all'Ufficio della Motorizzazione civile dei soggetti affetti da epilessia da parte di Enti o Amministrazioni che per motivi istituzionali di ordine amministrativo, previdenziale, assistenziale o assicurativo abbiano accertato l'esistenza di tale condizione (per esenzione dalla spesa sanitaria, riconoscimento di invalidità civile, accertamenti dei servizi medico-legali, ecc.»;
   l'Associazione italiana contro l'epilessia, ritenendo che la presa in cura della persona con epilessia inidonea alla guida di un veicolo a motore, debba, come per altro previsto nei piani diagnostici terapeutici ed assistenziali (PDTA) per detta patologia, articolarsi sia sul piano sanitario sia sociale, ha avanzato richiesta, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, all'ufficio della motorizzazione ed a diversi soggetti del servizio sanitario nazionale, sui risultati numerici di tali ottemperamenti da parte degli enti ed amministrazioni competenti, ciò per acquisire giuste informazioni e buone prassi per perfezionare la propria attività a favore dell'inclusione delle persone con epilessia, in specie, inidonee alla guida di un veicolo a motore;
   nessuna risposta è, all'oggi, pervenuta all'Associazione italiana contro l'epilessia pur trattandosi di tema estremamente correlato alla sicurezza della stessa persona con epilessia ma parimenti a quella delle persone in generale come pure dei loro beni;
   l'informazione sui dati afferenti all'ottemperamento dell'obbligo della segnalazione all'ufficio della motorizzazione da parte degli enti ed amministrazioni competenti non si dimostrerebbe utile solo alla mera verifica di quanto disposto dal decreto legislativo di cui si tratta, ma anche al perfezionamento della loro efficacia in favore della sicurezza generale ed in particolare per l'inclusione delle persone con epilessia inidonee alla guida –:
   se il Governo non ritenga urgente acquisire dall'ufficio della motorizzazione i dati relativi alle «segnalazioni obbligatorie» di cui alla lettera D.7.1 dell'Allegato III del decreto legislativo n. 59 del 18 aprile 2011 fatte dagli enti ed amministrazioni competenti, al fine di verificare l'ottemperanza degli obblighi relativi alla salvaguardia della sicurezza delle persone e dei beni della comunità come pure l'efficace inclusione delle persone con epilessia inidonee alla guida con adeguata presa in cura sanitaria e sociale da parte del servizio sanitario nazionale. (5-07425)


   LODOLINI, LUCIANO AGOSTINI, CARRESCIA, MARCHETTI, PETRINI, RICCIATTI, MORANI e MANZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il treno 533, Intercity Ancona-Roma Termini, con orario di arrivo previsto per le ore 9.56, in data 19 gennaio 2016 già alla partenza da Ancona, per lo stato del mezzo (guasti alle porte e altro), accumulava minuti di ritardo tanto da raggiungere la fermata successiva Falconara con circa mezz'ora di ritardo;
   alla stazione di Fossato di Vico il treno aveva accumulato circa un'ora di ritardo a tal punto da dover dare la precedenza al Freccia Bianca numero 9851 partito da Ravenna alle ore 6:07 e con arrivo previsto a Roma per le ore 10:22;
   lungo il tragitto i passeggeri hanno viaggiato in condizioni non semplici a causa del freddo a bordo del treno;
   nella giornata del 18 gennaio 2016, invece, il Freccia bianca 9851, con partenza da Ravenna, è arrivato a Roma con circa 120 minuti di ritardo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e come intenda intervenire, per quanto di competenza, per evitare il ripetersi di simili disagi per i cittadini e risolvere, dunque, i troppi frequenti problemi di efficienza e puntualità dei treni nella tratta Ancona – Roma – Ancona;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare per rilanciare il progetto di potenziamento infrastrutturale Orte-Falconara favorendo in tal modo il necessario e non più rinviabile rafforzamento dell'offerta ferroviaria nelle regione Marche. (5-07427)


   GIACOBBE, BASSO, CAROCCI e TULLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri è in procinto di adottare lo schema di decreto legislativo per il riordino della governance dei porti, decreto legislativo che, tra gli altri, darà attuazione alla legge delega per riforma della pubblica amministrazione;
   notizie di stampa hanno preannunciato i contenuti di tali atti, comprese modifiche nella identificazione delle sedi delle autorità di sistema portuale, e del loro numero;
   all'articolo 8, lettera f), della legge n. 124 del 2015, la delega relativa alla «riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della disciplina concernente le autorità portuali di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84, con particolare riferimento al numero, all'individuazione di autorità di sistema nonché alla governance» fa espresso riferimento alla necessità di tenere conto del ruolo, oltre che delle regioni, anche degli enti locali;
   la necessità ineludibile di tenere conto dei diversi livelli istituzionali, pur nel quadro di un disegno organico nazionale di cui le politiche per il sistema logistico portuale hanno un grande bisogno, è stata confermata anche dalla sentenza della Corte Costituzionale 261/2015 del 17 novembre 2015, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 29, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, nella parte in cui non prevede che il piano strategico nazionale della portualità e della logistica sia adottato in sede di Conferenza Stato-regioni;
   l'Associazione dei comuni d'Italia, Anci, nei mesi scorsi, ha avuto modo di sottolineare quanto sia opportuno rafforzare il ruolo delle città portuali, quali attrattori di investimenti e di traino dello sviluppo: «inoltre, circa i contenuti del piano nazionale per la portualità e la logistica, che introduce nuovi elementi per le occasioni di rilancio del sistema della portualità italiana nel suo complesso», ha evidenziato l'assenza nella formulazione del documento di sufficienti strumenti di «relazione con i Comuni nell'ambito degli strumenti governance» e come ciò non permetta di «dare forza agli interessi di tutela dei territori e delle comunità, in totale controtendenza con le pratiche che con successo si stanno affermando nel resto d'Europa»;
   tali questioni si pongono a maggior ragione per la scelta di accorpare le autorità portuali attualmente esistenti: in alcuni casi si tratta di realtà minori, in altri di scali già oggi di dimensioni significative ed in fase di espansione della propria dotazione infrastrutturale e dei traffici conseguenti;
   il coinvolgimento degli enti locali non può essere risolto con l'inserimento di rappresentanti dei comuni maggiori nelle sedi di governo dei sistemi portuali: la riforma della governance rimette in questione il rapporto tra la programmazione urbanistica portuale e quella degli enti locali e la relazione tra la vita delle comunità locali e l'impatto delle operazioni portuali;
   sarebbe incompatibile con un rapporto virtuoso tra vita e sviluppo economico delle comunità locali e attività portuali significative, collocate nell'ambito di autorità portuali di cui si prevede l'accorpamento ad altre, l'attribuzione alle direzioni di scalo di compiti meramente istruttori e con riferimento a materie di rilievo secondario e locale –:
   con quali iniziative, in quali forme e con quali procedure concertative il Ministro intenda coinvolgere, oltre alle regioni, il sistema delle autonomie locali e gli enti locali interessati nella definizione degli strumenti di programmazione, nelle scelte di priorità per gli investimenti e nei criteri per la riforma della governance. (5-07428)


   DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI e PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dalla determinazione e dalla relazione del 4 dicembre 2015, n. 121, sul risultato del controllo eseguito dalla competente sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti in ordine alla gestione finanziaria dell'autorità portuale di Civitavecchia emergono molteplici dati negativi in merito ai risultati economici:
    a) si registrano andamenti decrescenti nei volumi di traffico sia per quanto attiene i volumi delle merci, sia per quello dei passeggeri. Tra il 2011 e il 2014 i volumi delle merci nel loro complesso sono passati da 19 milioni di tonnellate a circa 15,5 milioni, con un vistoso calo del volume delle merci dei porti di Fiumicino e Gaeta piuttosto che di Civitavecchia. Il traffico passeggeri che riguarda sostanzialmente il porto di Civitavecchia ha subito nel periodo in esame un progressivo decremento, più accentuato nel 2014, con una riduzione del 20 per cento rispetto al 2011. La riduzione riguarda soprattutto i passeggeri di linea (–25 per cento rispetto al 2011) a causa degli effetti della crisi economica che ha condizionato i traffici verso la Sardegna e la Sicilia;
    b) la riduzione dei volumi di traffico si è tradotta anche nei risultati di gestione che peggiorano;
    c) l'avanzo di amministrazione nel 2014 si è dimezzato rispetto al valore del 2012 (9,1 milioni rispetto ai 18,1 milioni di euro). Anche l'avanzo economico pari a 15,4 milioni nel 2012 si è dimezzato nel 2013 (8,6 milioni) e si è sostanzialmente annullato nel 2014 (euro 189,1 migliaia). Anche il valore della produzione si è ridotto del 10 per cento, mentre i costi della produzione nello stesso periodo si sono incrementati del 10 per cento;
   dalla citata relazione emergono altresì dati negativi anche in relazione alla gestione dell'autorità:
    a) trasferimento di quote sociali tra soggetti privati in una società partecipata dall'autorità portuale e concessionaria di un servizio di interesse generale con un corrispettivo economico che si è fortemente incrementato ed è stato introdotto un livello minimo garantito, implicando l'opportunità di effettuare una gara ad evidenza pubblica per un nuovo affidamento del servizio, anche alla luce della sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, del 18 dicembre 2009, n. 8376;
    b) accordo di collaborazione stipulato tra il comune di Civitavecchia e l'autorità portuale per un contributo complessivo decennale a carico dell'autorità di 2 milioni di euro annui a fronte di una serie di attività svolte dal comune attinenti al trasporto e decoro urbano;
    c) la circostanza che l'autorità portuale abbia acquistato dei terreni da inserire nell'ambito della disponibilità della stessa, senza aver seguito l’iter previsto dal decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 16 marzo 2012 e senza aver proceduto alla demanializzazione dei terreni, procedimento questo avviato solo dopo l'acquisto del bene e su sollecitazione del Ministero vigilante;
    d) il mancato recupero delle somme erogate al personale negli anni 2011-2013, in difformità dalle disposizioni dell'articolo 9, comma 1, del decreto-legge n. 78 del 2010;
    e) l'esito della verifica ispettiva condotta dall'IGF-RGS del Ministero dell'economia e delle finanze che ha evidenziato tra l'altro l'assunzione di personale senza le procedure di reclutamento del personale previste per le amministrazioni pubbliche, a seguito della quale l'autorità portuale ha adeguato la propria azione con l'approvazione di un regolamento coerente con tale disciplina;
   nella citata relazione si dà specifico conto di circostanze riguardanti il residente dell'autorità portuale, dottor Pasqualino Monti, che, nominato con decreto ministeriale del 7 giugno 2011, dopo il periodo di prorogatio, a far data dal 23 luglio 2015, è stato nominato commissario straordinario;
   si richiama la circostanza che il compenso del presidente non fosse conforme ai criteri indicati dal decreto ministeriale 31 marzo 2003, motivo per il quale era necessaria la rideterminazione dello stesso in conformità a tale decreto; ci sarebbe stata inoltre una doppia contribuzione previdenziale a favore del residente e dirigente della stessa autorità portuale: sul primo profilo, si rileva che nel periodo esaminato il compenso del presidente è stato determinato nella misura prevista dal decreto ministeriale, corrispondente al trattamento economico fondamentale per i dirigenti di prima fascia del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ma moltiplicato per il coefficiente 2,6 (anziché 2,2) ritenuto dal collegio dei revisori non conforme ai criteri di legge. Sul secondo profilo, si rileva che il presidente/Commissario è stato posto in aspettativa senza assegni a far data dalla sua nomina a presidente, ma mantenendo la corresponsione dei contributi previdenziali ed assistenziali riferiti alla precedente posizione di dirigente dell'ente, in contrasto con l'articolo 3, comma 44, della legge n. 244 del 2007 –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti indicati in premessa e quali iniziative intendano intraprendere al fine di tutelare il regolare e buon andamento dell'autorità portuale di Civitavecchia, anche valutando la rimozione dall'incarico del dottor Pasqualino Monti, alla luce dei risultati negativi accertati in termini economici e di gestione;
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, abbiano provveduto e vigilato sulla rideterminazione del compenso e sulla sospensione della errata contribuzione previdenziale in favore del presidente/commissario, dottor Monti, sollecitando la quantificazione delle somme eccedenti, e se intendano agire per la restituzione delle somme corrisposte in eccesso, segnalando dette vicende alla procura della Corte dei conti per il perseguimento delle relative eventuali responsabilità, anche a titolo di danno erariale. (5-07432)


   AGOSTINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 29 luglio del 2008 un incendio di vaste proporzioni ha distrutto il Teatro Nicola Vaccaj, situato nella città di Tolentino nelle Marche. Si tratta di un manufatto risalente alla fine del ’700 («Rogo distrugge il teatro Vaccaj di Tolentino», in il Messaggero, 29 luglio 2008);
   il Presidente del Consiglio dei ministri, con proprio decreto del 28 agosto 2008, dichiarò lo stato di emergenza in relazione a tale incendio che fu prorogato con analogo decreto del 27 novembre 2009;
   in conseguenza di quanto sopra, con ordinanza n. 3717 del 21 novembre 2008, il Presidente del Consiglio dei ministri nominava commissario delegato per la ricostruzione del Teatro Vaccaj il presidente della giunta regionale delle Marche;
   il commissario delegato, attraverso il responsabile unico del procedimento all'uopo nominato e la commissione generale di indirizzo appositamente costituita, iniziava le procedure finalizzate alla ricostruzione del manufatto (cfr. deliberazione di giunta del comune di Tolentino n. 35 del 18 febbraio 2011 avente ad oggetto «lavori di ricostruzione del Teatro Nicola Vaccaj a seguito di incendio: approvazione progetto definitivo generale e 1o stralcio a seguito di gara di appalto»);
   in data 7 agosto 2009 con decreto del commissario delegato n. 6/CDV veniva indetta la gara di appalto con procedura ristretta ai sensi dell'articolo 55, comma 2, e venivano definite le modalità ai sensi dell'articolo 53, comma 2, lett. c) del decreto legislativo 163 del 2006;
   con le applicazioni contenute nella ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3717/2008 si stabilivano le procedure, per la progettazione esecutiva e l'esecuzione dei lavori per il completo recupero funzionale del teatro;
   veniva altresì approvato il bando di gara che, al punto 3 dell'allegato «B» del disciplinare di gara, così disponeva: «3. Durata dell'appalto – La durata del contratto è prevista in 48 mesi decorrenti dal giorno successivo a quello della sua sottoscrizione. In particolare: la progettazione definitiva dell'intero intervento, la progettazione esecutiva e l'esecuzione dei lavori del primo stralcio debbono aver termine entro 24 mesi dalla sottoscrizione del contratto. L'avvio della progettazione e dell'esecuzione dei lavori relativi ai successivi stralci è subordinata alla condizione risolutiva dell'acquisizione da parte della Stazione appaltante delle relative coperture finanziarie. La corresponsione del prezzo avviene sulla base degli stralci in esecuzione»;
   le procedure di gara sono state concluse con l'aggiudicazione definitiva dell'appalto al raggruppamento temporaneo di imprese Crucianelli Restedil srl (capogruppo), Tono Impianti Sas e Termostudi sas, dichiarato aggiudicatario dal commissario delegato con proprio decreto n. 3/CDV del 14 giugno 2010;
   con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 24 settembre 2010 n. 3899, all'articolo 2, veniva stabilito che:
    « 1. il sindaco del Comune di Tolentino provvede al completamento degli interventi di recupero e ripristino della piena funzionalità del Teatro Vaccaj ubicato nel medesimo comune e di cui all'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3717/2008 per l'attuazione degli interventi di cui al comma 1 il sindaco è autorizzato a stipulare il contratto di appalto dei lavori con l'impresa dichiarata aggiudicataria dal commissario delegato di cui all'articolo 1, comma 1, dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3717/2008;
    2. Per l'attuazione degli interventi di cui al comma 1 il sindaco è autorizzato a stipulare il contratto di appalto dei lavori con l'impresa dichiarata aggiudicataria dal commissario delegato di cui all'articolo 1, comma 1, dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3717/2008;
    3. Il commissario delegato è autorizzato a trasferire al Sindaco di Tolentino le risorse finanziarie stanziate dall'articolo 6 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3717/2008 e a provvedere alla chiusura della contabilità speciale»;
   il 9 dicembre 2010 veniva stipulato il contratto di appalto con l'aggiudicatario, rep. 13146 registrato a Tolentino il 20 dicembre 2010 al n. 116 serie 1;
   in data 14 dicembre 2010, con decreto del commissario delegato n. 4/CDV, si trasferivano al sindaco del comune di Tolentino, le risorse finanziarie stanziate dall'articolo 6 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3717/2008 di euro 2.000.000,00, per il completamento degli interventi di recupero e ripristino del Teatro;
   il 18 febbraio 2011 con delibera di giunta comunale n. 35, a seguito di gara di appalto, veniva approvato il progetto definitivo del 1o stralcio, per circa 1,8 milioni di euro quindi, con delibera di giunta comunale 24 giugno 2011 n. 181, si approvava il progetto esecutivo del 1o stralcio;
   in data 29 giugno 2012, con delibera di giunta n. 181, veniva approvata la proposta d'indennizzo definitivo dalla compagnia assicurativa INA-ASSITALIA, per euro 2.605.000,00;
   i lavori per il primo stralcio hanno avuto inizio il 27 giugno 2011. L'impresa aggiudicatrice dell'appalto ha fissato una durata contrattuale di 336 giorni, quindi, con scadenza prevista inizialmente per il 27 maggio 2012;
   ad oggi, tuttavia, i lavori non sono ancora terminati. Dalla lettura delle numerose delibere dell'amministrazione comunale di Tolentino e delle determine dirigenziali, si apprende che sono state autorizzate sospensioni per 676 giorni e concesse cinque proroghe per 490 giorni, spostando il termine ultimo della fine lavori del primo stralcio al 7 novembre 2015;
   in definitiva l'amministrazione comunale, per fare uno stralcio di neppure 1,8 milioni di euro, sta impiegando oltre 4 anni e mezzo, a fronte di un impegno contrattuale di 11 mesi, nonostante la disponibilità totale dei fondi che, al 31 dicembre 2014, erano di 3,6 milioni di euro;
   i lavori sono iniziati il 27 giugno 2011 e il termine contrattuale, inizialmente fissato in 336 giorni, è stato prorogato, una quarta volta per 116 giorni con deliberazione di giunta comunale n. 177 del 28 aprile 2014, rettificata a 160 giorni con deliberazione di giunta comunale n. 192 del 12 maggio 2014, che si sommano ai 240 giorni delle tre proroghe precedenti a causa dei ritrovamenti archeologici che hanno impedito la normale prosecuzione delle opere;
   sul Tolentino Press News del giugno 2014, proprio con riguardo alla deliberazione di giunta comunale n. 177 del 28 aprile 2014 che ha disposto la quarta proroga, si legge che «aumentano i tempi previsti per l'esecuzione dei lavori del solo primo stralcio, tre anni tra sospensione dei lavori e proroghe invece che uno. Aumentano i costi delle spese tecniche che sono passate da euro 421.906,88 del progetto esecutivo approvato dalla giunta nel 2011, a euro 566.568,70 della perizia di variante appena approvata, oltre il 34 per cento in più rispetto alle previsioni per far fronte alla spesa di ben 19 tecnici tra ingegneri, architetti, geometri incaricati ... tale variante ... ricade negli ambiti di ammissibilità previsti dall'articolo 132 comma 1 lettera c) dall'articolo 205 comma 4 del decreto legislativo 163/2006 e dall'articolo 134 comma 8 del decreto del Presidente della Repubblica 554/99 (articolo 161 commi 3 e 4 del decreto del Presidente della Repubblica 207/2010)»;
   in data 22 luglio 2015 con determina dirigenziale n. 480, è stata concessa una quinta proroga di 90 giorni, per ultimazione lavori fissata al 7 novembre 2015;
   sempre da fonti stampa, si apprende che, alla data del 21 gennaio 2013 – data dalla quale non risulterebbero ulteriori lavori contabilizzati – erano stati eseguiti lavori per una percentuale pari al 72,11 per cento dell'importo contrattuale del primo stralcio, già approvato nel giugno del 2011 per l'importo di 1.798.614,89 (cronache maceratesi del 26 novembre 2013);
   da un articolo del Resto del Carlino del 25 novembre 2014 («Vaccaj, l'attesa infinita “i soldi sono scomparsi”») si legge che «nei documenti ufficiali sottoscritti prima da Ruffini poi da Pezzanesi [i Sindaci in carica pro tempore ndr] per l'attuazione del programma di ricostruzione, risulta che nel 2010 c'erano 3.339.587 euro disponibili, nel 2011 4.218.125 euro, nel 2012 5.226.663 e nel 2013 4.051.256. Per l'esercizio 2014 Pezzanesi quindi aveva risorse per oltre 4 milioni (al netto dell'importo di 1.175.407,79 riguardante i pagamenti già effettuati), sufficienti a completare i lavori del primo stralcio e dar corso a quelli del secondo per riaprire il teatro nel 2017. Però gli impegni che ha assunto nei piani triennali relativi ai periodi 2014-2016 e 2015-2017, dove le risorse trovano la loro destinazione per realizzare i progetti, sono pari a zero. Infatti nella delibera 412 del 27 settembre 2013 non è stata inserita nessuna spesa e in quella del 29 settembre di quest'anno è sparito persino il capitolo dei lavori di ricostruzione del teatro»;
   nella fase preliminare il progetto approvato ha trovato la totale copertura economica grazie all'entrata in campo di diverse realtà:
    a) il Governo attraverso il fondo di emergenza della protezione civile: 1.500.000 euro;
    b) ulteriori 2 milioni di euro della protezione civile;
    c) la Fondazione Carima: 500.000 euro;
   questi fondi sono stati interamente versati nelle casse comunali in uno specifico capitolo di spesa esclusivamente riservato alla ricostruzione dello storico teatro (cfr. PressNews del giugno 2015, «Teatro Vaccaj, la storia infinita»);
   sempre da fonti stampa si apprende che «questi fondi sono stati interamente versati nelle casse comunali in uno specifico capitolo di spesa esclusivamente riservato alla ricostruzione dello storico teatro. Ma qui iniziano i problemi di natura tanto politica quanto economica. La legge, infatti, consente di prelevare momentaneamente parte di quei soldi vincolati per altre spese più urgenti senza, quindi, far ricorso alle banche ed evitare di pagare ulteriori interessi passivi, a patto di ripristinare il fondo al 31 dicembre dello stesso anno. Ma ciò non sarebbe avvenuto a fine 2011 , ultimo anno dell'amministrazione Ruffini. Alla chiusura del bilancio dell'anno successivo, infatti, il neosindaco Giuseppe Pezzanesi denunciava un «buco» di circa due milioni e mezzo non ricollocati nel fondo riservato alla ricostruzione del teatro. La giunta Ruffini continua a dire che era tutto regolare tanto che tale prassi è stata perpetrata anche negli anni successivi dalla giunta Pezzanesi, fatto sta che questa liquidità non c’è più e visti i tempi di ristrettezze è praticamente impossibile rimpolpare il fondo con i risparmi accantonati in un periodo in cui i soldi non bastano neanche per le spese necessarie» (cfr. PressNews del giugno 2015, «Teatro Vaccaj, la storia infinita»);
   per la realizzazione dell'opera sono stati impiegati 15 tecnici, tutti dipendenti pubblici: un dirigente, un responsabile del procedimento, un direttore dei lavori, 8 direttori operativi, 2 ispettori di cantiere, 3 ulteriori tecnici per il collaudo in corso d'opera, «un esercito di esperti che nel corso dei lavori non sono risultati neanche sufficienti per quel limitatissimo primo stralcio di circa 1,8 milioni di euro, tanto che alla prima occasione, in coincidenza con le dimissioni di uno di loro, il RUP ha ritenuto opportuno effettuare la sua sostituzione con due liberi professionisti presi dal «mercato locale», poi, ne ha aggiunto anche un altro come supporto ed infine anche un incarico ad un giovane neolaureato. La sostituzione con soggetti esterni al mondo del pubblico impiego non sarebbe risultata evidente negli atti se non per la sua incidenza sulle poche risorse economiche disponibili per lo stralcio in corso, infatti mentre tutti i dipendenti pubblici incaricati avrebbero determinato un impegno di spesa marginale in funzione dei soli incentivi previsti dalle norme, gli incaricati esterni costano ed il loro incarico incide per circa 60 mila euro» (cronache maceratesi.it – Vaccaj: tanto tempo, troppi tecnici e nessun risultato);
   all'interrogante non appaiono legittime la concessione di proroghe all'ultimazione dei lavori, nonché la prosecuzione dei lavori, a tutt'oggi, dopo la quinta proroga (per complessivi 490 giorni), essendo trascorsa anche la data ultima per la fine lavori, fissata al 7 novembre 2015;

all'interrogante non appare conforme alla normativa vigente che l'amministrazione comunale sia ricorsa sistematicamente, per anticipazioni di cassa, all'utilizzo delle somme vincolate, destinate alla ricostruzione del Teatro Vaccaj; andrebbero assunte iniziative ai fini dell'applicazione delle penali e dell'irrogazione di eventuali sanzioni nei confronti dell'appaltatore o del R.U.P. per il caso di ritardo o per altre inadempienze contrattuali –:
   se il Ministro interrogato intenda attivarsi, per quanto di competenza, al fine di verificare se, con riferimento all'esecuzione dei lavori di ristrutturazione del Teatro Vaccaj, siano state rispettate le norme di legge;
   essendo oramai trascorsi oltre 6 anni dai tragico evento e dalla messa a disposizione dei 2.000.000 euro da parte dello Stato e 676.000 euro da parte della regione Marche, entro quanto tempo gli stessi dovessero o debbano essere spesi e se esista la possibilità di revoca del contributo concesso, visto il mancato rispetto dei termini contrattuali per la restituzione del teatro ultimato. (5-07466)


   RICCIATTI, FRANCO BORDO, MELILLA, QUARANTA, SCOTTO, PIRAS, SANNICANDRO, DURANTI, FOLINO, NICCHI, FRATOIANNI e KRONBICHLER. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 190 del 2012 recante «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione» prevede quali misure di contrasto a tali fenomeni la rotazione del personale, in particolare dei dirigenti in settori particolarmente esposti alla corruzione (articolo 1, commi 4, lettera e), 5, lettera b) e 10);
   in ottemperanza a tale disposizione il dipartimento della funzione pubblica, nell'allegato 1 al Piano nazionale anticorruzione, ha fornito dei criteri per l'attuazione della misura richiamata; il piano anticorruzione Anas 2015-2017 prevede la rotazione del personale dirigenziale (paragrafo 8) riservando all'organo di indirizzo dell'Anas, nel pieno rispetto della legislazione vigente e delle indicazioni fornite dal dipartimento della funzione pubblica, la definizione di adeguati criteri per «dare attuazione alla rotazione del personale dirigenziale e di quello con funzioni di responsabilità operanti nelle aree a più elevato rischio di corruzione, in modo da contemperare le esigenze della legge con quelle operative aziendali»;
   il presidente dell'Anas Gianni Vittorio Armani ha disposto, a partire dal 1o ottobre 2015, un avvicendamento di capi compartimento di sei regioni del Nord e del Centro Italia; si tratta di una prima fase di rotazione delle massime figure dirigenziali regionali che rientra – secondo quanto dichiarato dalla stessa società, in una nota del 15 settembre 2015 – nel processo di rinnovamento di Anas anche alla luce delle normative vigenti che prevedono criteri di rotazione periodica delle figure dirigenziali;
   in più occasioni, il presidente di Anas Armani ha riconosciuto le difficoltà nello scovare la corruzione all'interno dell'azienda con gli strumenti a sua disposizione, sottolineando l'importanza di alcune prassi come la rotazione dei dirigenti. In una intervista riportata da Il Sole 24 Ore, sezione Edilizia e Territorio, del 23 ottobre 2015, ad esempio, il presidente Armani ha ribadito di non avere elementi per scoprire la corruzione, ma di poter «far ruotare e spostare i dirigenti, anche sulla base di sensazioni;
   tali affermazioni riconoscono espressamente i rischi della permanenza di dirigenti dotati di ampi poteri – come sono ad esempio i capi compartimento – per lunghi periodi nello stesso territorio; tuttavia alcune delle rotazioni disposte dal vertice di Anas destano qualche perplessità in ordine ad un criterio di opportunità e coerenza rispetto agli obiettivi dichiarati e alla ratio sottostante alla legge n. 190 del 2012 già richiamata; 
   in particolare, si segnala il caso della nomina a capo compartimento nelle Marche dell'ingegnere Oriele Fagioli, che ha ricoperto in precedenza il ruolo di capo compartimento della viabilità per le Marche dal 2002 al 2011 e che vi ritorna dopo una breve parentesi, nello stesso ruolo, in Sardegna e nel Lazio;
   risulta inoltre all'interrogante che all'ingegner Fagioli, in data 7 dicembre 2015, sia stato conferito anche l'incarico ad interim di «Responsabile dell'Area Progettazione e Nuove Costruzioni» del compartimento di Ancona, concentrando nella sua figura, pertanto, due incarichi dirigenziali. Inoltre l'area amministrativa del compartimento delle Marche è retta ad interim da un dirigente il cui incarico principale è al compartimento di Perugia, mentre l'area tecnica esercizio è retta da un ingegnere di livello A («facente funzione» di responsabile). Tali situazioni – al netto di ogni valutazione sulla persona dell'ingegner Fagioli – concentrano, ad avviso dell'interrogante, un eccessivo potere di controllo e gestione nella figura apicale del capo compartimento, che appaiono poco coerenti con i principi enunciati dal vertice di Anas –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se ritenga la nomina del capo compartimento Anas delle Marche sia coerente con i principi espressi dalla legge n. 190 del 2012 e con le dichiarazioni di intenti del presidente Anas Armani;
   quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di evitare l'eccessiva concentrazione di poteri e di permanenza delle figure dirigenziali dei compartimenti territoriali di Anas. (5-07467)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DADONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il tunnel del Tenda, costruito nell'ottocento, collega l'Italia alla Francia ed, in particolare, la provincia di Cuneo con il dipartimento Alpes Maritimes;
   in data 21 novembre 2013, visti i gravi problemi strutturali e di sicurezza del tunnel oltre che per adeguare lo stesso alle normative europee, sono iniziati i lavori per il suo raddoppio;
   il progetto (206 milioni di euro, pagati per il 58 per cento dall'Italia e per il 48 per cento dalla Francia) prevede la realizzazione di un nuovo tunnel per il traffico diretto verso la Francia e l'allargamento e l'ammodernamento dell'attuale tunnel, destinato al traffico diretto verso l'Italia, per una lunghezza di circa 3.300 metri e una carreggiata effettiva pari a 6,50 metri (con una corsia di marcia di 3.50 metri, una corsia di emergenza di 2,70 metri e banchina da 0,30 metri);
   la fine dei lavori, così come riportato sul sito www.tunneltenda.it, è prevista per il mese di febbraio 2020;
   la Confindustria di Cuneo sul settimanale Provincia Oggi, ha affermato che «In base ai dati forniti dall'Anas sono stati finora raggiunti 144 metri sui 3.283 totali della galleria, di cui 66 sul versante francese, 78 su quello italiano. Numeri alla mano, le perforazioni avanzano di circa 70 centimetri al giorno. A questa velocità servirebbero, quindi, ancora 4.359 giorni (12 anni) per scavare gli oltre tremila metri mancanti»;
   secondo il presidente di Confcommercio Cuneo vi è un ritardo per problemi tecnici ma anche per la carenza di maestranze;
   l'Anas, invece, dichiara che sarà tutto pronto per il 2020, il ritardo è solo apparente e il contratto sarà rispettato;
   lo stato di avanzamento lavori così come riportato sul sito www.tunneltenda.it indica che attualmente:
    sull'imbocco lato Francia sono state ultimate le attività di cantierizzazione ed è stata completata la realizzazione dell'opera di sostegno del versante, necessaria per potere dare inizio alle attività di scavo della nuova galleria, attualmente in fase di esecuzione;
    quanto alle opere all'esterno lato Francia sono state completate la vasca per la raccolta e quella per il trattamento delle acque provenienti dalla piattaforma stradale dei futuri nuovi tornanti. Inoltre, è stato ultimato il viadotto della Cà, con la sola eccezione delle opere di finitura e sono in corso le operazioni di realizzazione dei «chiodi» che costituiscono l'opera di sostegno di una pendice denominata «OA07», dei tiranti del muro di sostegno denominato «OA03bis», dei pali di piccolo diametro dell'opera denominata «OA01», delle griglie e del paramento dei muri in terra armata denominati «OA05» e «OA09» e dei rilevati in terra della nuova strada comunale, che garantirà l'accesso all'esistente casa cantoniera;
    nell'imbocco lato Italia sono terminate le attività di cantierizzazione, sono stati demoliti i fabbricati in prossimità dell'imbocco della nuova galleria ed è stato effettuato il monitoraggio ambientale ante operam. Inoltre, è stata completata l'opera di sostegno del versante necessaria per poter procedere con l'avvio delle attività di scavo della nuova galleria, attualmente in fase di esecuzione, mentre è in corso di realizzazione la galleria artificiale posta all'imbocco della nuova galleria;
    quanto alle opere all'esterno lato Italia: sono stati eseguiti tutti gli interventi di allargamento della strada comunale di collegamento tra la strada statale n. 20 e il piazzale di arrivo degli impianti di risalita sciistici ed è stato completato il ponte per lo scavalco del Rio Panice, ad eccezione delle opere di finitura. Inoltre, sono in fase di realizzazione le relative cunette laterali di raccolta delle acque di piattaforma;
    per quanto riguarda i lavori propedeutici eseguiti all'interno del tunnel esistente sono stati completati lungo la tratta francese della galleria i drenaggi radiali del diametro di 90 millimetri; mentre, lungo la tratta italiana, è stato terminato l'intervento di rinforzo delle pareti della galleria, mediante la posa di profilati in acciaio e sono stati eseguiti circa metà dei drenaggi previsti. Sono invece in corso di esecuzione le attività propedeutiche alla realizzazione dei by-pass di collegamento tra la galleria esistente e quella in corso di esecuzioni;
   qualora non fosse rispettata la data del febbraio 2020 come fine lavori aumenteranno sicuramente i costi di costruzione e i disagi per i cittadini e lavoratori che quotidianamente attraversano il colle –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dello stato di avanzamento dei lavori e se lo stesso sia compatibile con una data prestabilita di conclusione dei lavori entro il mese di febbraio 2020;
   se le maestranze che lavorano siano sufficienti per il completamento dei lavori entro il mese di febbraio 2020. (4-11726)


   CAPARINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   durante il mese di giugno 2016 si terrà un'importante manifestazione artistica a cura del famoso artista Vladimiro Christo che per due settimane congiungerà con un ponte galleggiante la più grande isola lacustre di Europa, Montisola, con la sponda bresciana del lago d'Iseo, dando la possibilità a migliaia di cittadini di raggiungere camminando l'isola del Sebino;
   la presenza di questa istallazione, per la fama che precede l'artista e per la suggestione dell'opera, rappresenterà una vetrina mondiale per il lago d'Iseo e conseguentemente per la Lombardia;
   il ponte galleggiante di Christo sarà in funzione per 10 giorni, sia giorno che notte, in grado quindi di generare un afflusso costante di gente che necessita pianificare un servizio di collegamento e mobilità in grado di gestire gli accessi e non congestionare l'area;
   il lago d'Iseo è servito da collegamenti di trasporto pubblico su gomma e da una linea ferroviaria che collega la Vallecamonica: essi possono rappresentare, se adeguatamente potenziati per l'occasione, validi servizi in grado, almeno in parte, di ridurre l'accesso dei mezzi privati, in considerazione anche dell'insufficienza di grandi spazi attrezzati da utilizzare come parcheggio pubblico;
   l'evento artistico internazionale in programma rappresenta una vetrina per il nostro Paese e deve essere sostenuto a tutti i livelli per migliorare il servizio offerto ai turisti, limitando al contempo gli impatti che l'afflusso congestionato di tante persone può generare in un contesto paesaggistico ed ambientale delicato come il lago d'Iseo –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati abbiano intenzione di intraprendere a supporto degli enti locali, degli imprenditori e degli operatori al fine di migliorare l'offerta rivolta al pubblico in occasione dell'evento artistico internazionale in programma a giugno 2016 sul lago Iseo, anche intervenendo con azioni mirate di sostegno al servizio trasportistico e con lo stanziamento di idonee risorse al fine di migliorare l'offerta turistica, l'accoglienza e le manifestazioni di promozione del nostro Paese. (4-11728)


   OLIVERIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da recenti notizie di stampa apparse sulla Gazzetta del Sud del 3 dicembre 2015, si apprende che a Fabrizia, in provincia di Vibo Valentia, la situazione della viabilità provinciale versa in gravissime condizioni a causa della scarsa manutenzione a cui è sottoposta;
   la popolazione, ormai stanca di questa drammatica situazione, è sostenuta dagli amministratori locali che a viva forza sostengono la protesta dei cittadini in attesa di interventi istituzionali;
   le strade interessate versano in gravissime condizioni rendendo critica sia la viabilità provinciale, da e per Fabrizia, sia quella di tutto il comprensorio montano;
   tale situazione è stata denunciata anche dai titolari di attività commerciali. Questi ultimi affermano di essere le vere vittime di una condizione di isolamento dovuto essenzialmente a strade che non accennano a essere sistemate;
   i pendolari risultano essere ancora più penalizzati da questa grave situazione che li vede tristemente protagonisti ogni giorno in quanto la percorrenza quotidiana su queste fatiscenti strade mette a dura prova i veicoli le cui riparazioni gravano sulle già precarie condizioni economiche della popolazione;
   buche, vegetazione che invade la carreggiata con aumento del rischio di incidenti, mancanza di segnaletica sia verticale che orizzontale unitamente alla mancata pulitura delle cunette che impedisce il fluire dell'acqua piovana conferiscono a queste arterie una dimensione spettrale. A tutto ciò si somma il grave dissesto idrogeologico che provoca frane e smottamenti ad ogni minima pioggia;
   risulta, pertanto, urgente che i programmati interventi vengano completati in tempi brevi, procedendo con la messa in sicurezza dei tratti di strada interessati anche in considerazione dell'inizio della stagione delle piogge che sicuramente andrà ad aggravare una già critica situazione infrastrutturale;
   i fatti esposti in premessa sono ad avviso dell'interrogante preoccupanti e richiedono una immediata verifica e un urgente intervento al fine di creare le condizioni per una reale mobilità dei cittadini e per consentire la ripresa ordinaria delle attività di quella popolazione –:
   se il Governo sia a conoscenza delle notizie riportate in premessa e quali iniziative di competenza intenda intraprendere per far fronte ai rischi per l'incolumità degli utenti derivanti dai problemi infrastrutturali delle strade della provincia di Vibo Valentia e ai fenomeni di dissesto idrogeologico e contrastare i pericoli derivanti da frane e smottamenti nell'area sopra indicata, promuovendo, se possibile, un tavolo di concertazione con le amministrazioni comunali interessate e con la provincia di Vibo Valentia per la messa in sicurezza della viabilità e per la risoluzione delle descritte criticità. (4-11732)


   PRATAVIERA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la briccola (in veneziano bricola) o anche bricola è una struttura nautica utilizzata per indicare le vie d'acqua (canali) nelle lagune di Venezia, Marano e Grado. È formata da due o più grossi pali di legno legati tra di loro e posti in acqua, conficcati nel fondale. Essa è fondamentale per la navigazione in Laguna, soprattutto nelle ore notturne e/o in presenza di condizioni climatiche avverse come la nebbia in quanto hanno l'indispensabile compito di indicare il confine tra i canali navigabili e la secca. La normativa che regola il loro utilizzo risale al 1493 e da allora poco è cambiato;
   nella laguna di Venezia le Briccole sono stimate in circa 30.000 unità;
   la legge n. 366 del 1963 assegnava al magistrato alle acque le funzioni di sorveglianza sull'intera laguna e la disciplina di tutto quanto abbia attinenza con il mantenimento del regime lagunare e individuava nel magistrato alle acque il soggetto esecutore di tutte le opere necessarie al mantenimento dei canali di navigazione;
   oramai da diversi anni è evidente lo stato di usura di gran parte delle briccole in tutta la laguna di Venezia, tanto che almeno il 50 per cento è ammalorato a tal punto da pregiudicarne la funzionalità, con gravi ripercussioni sulla sicurezza della navigazione, soprattutto per le imbarcazioni che operano per le emergenze –:
   di quali informazioni il Ministro interrogato sia a conoscenza in merito ai fatti esposti in premessa e quali siano gli stanziamenti previsti per l'anno in corso, quali siano le spese effettivamente necessarie e quali saranno i tempi di realizzazione per la sostituzione delle «briccole» oramai deteriorate. (4-11733)


   ATTAGUILE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nell'ottica di uno sviluppo infrastrutturale del Mezzogiorno d'Italia il prolungamento del servizio ferroviario dei treni ad alta velocità nel Salento rappresenta uno strumento di crescita ormai improrogabile;
   la fermata del Frecciarossa nella stazione di Barletta, oltre ad essere un'esigenza sentita da parte della collettività, sembra fondamentale per assicurare il giusto sviluppo dell'economia in ripresa di dell'intera area nord barese-murgiana-potentina e coprirebbe un bacino di utenza di circa 700 mila cittadini;
   in quest'ottica di crescita e sviluppo sarebbe utile dare vita ad un accordo di programma volto a riorganizzare il sistema della mobilità intermodale in Puglia –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di mettere in atto ogni iniziativa utile, per quanto di competenza, al fine di istituire una fermata del Frecciarossa nella città di Barletta. (4-11735)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie a mezzo stampa, si apprende che il figlio del procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri sarebbe stato messo sotto tutela a seguito di un episodio dai contorni ancora non del tutto chiari, ma che non è stato sottovalutato dalle forze dell'ordine;
   la decisione, secondo quanto riportato, sarebbe stata presa in sede di comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica dopo che due persone incappucciate avrebbero suonato al campanello dell'edificio in cui abita a Messina, qualificandosi al citofono come agenti di polizia, una circostanza questa che non è stata sottovalutata dagli investigatori, essendo questo il corpo che cura la scorta del magistrato;
   i due soggetti, una volta giunti al piano del figlio di Gratteri, sarebbero poi fuggiti, forse perché resisi conto che davanti alla porta d'ingresso dell'appartamento si trovava un cancello metallico chiuso;
   a seguito di questo episodio sarebbero state altresì rafforzate anche le misure a tutela dello stesso procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri, da anni sotto scorta per le tante minacce ricevute nel corso della sua attività di magistrato impegnato nella lotta alla ’ndrangheta e ai traffici internazionali di droga, nonché sui particolari rapporti di tali traffici con i cosiddetti colletti bianchi;
   al momento gli investigatori non avrebbero escluso alcuna ipotesi, in attesa di capire se effettivamente l'episodio sia da considerarsi come un «avvertimento» da parte della ’ndrangheta stessa, spesso abituata ad operare con simili modalità intimidatorie, o se tale gesto non tendesse ad esiti ben più gravi di una mera finalità intimidatoria;
   se fosse confermata tale ultima ipotesi, essa getterebbe una luce inquietante su un possibile innalzamento del livello di allerta, tale da coinvolgere non più e non solo il magistrato in prima persona, ma anche la sua più ristretta cerchia familiare –:
   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato sui fatti riportati e se e quali ulteriori iniziative intenda adottare al fine di garantire l'incolumità non solo degli uomini duramente impegnati al servizio delle istituzioni dello Stato, ma anche dei loro familiari. (5-07437)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DADONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 gennaio 2016 i quotidiani nazionali riportavano la notizia che un addetto alle pulizie dell'aeroporto di Cuneo-Levaldigi casualmente rinveniva un sacchetto di carta gialla, con all'interno dei piccoli grani di colore rossastro, più piccolo del palmo di una mano nascosto dietro la vaschetta di un wc nei bagni degli uomini;
   all'esito dell'esame degli artificieri si scopriva che i piccoli grani di colore rossastro erano un materiale esplosivo molto potente del peso di 15 grammi fatto poi esplodere dagli artificieri stessi all'esterno della struttura;
   è vero che tale esplosivo era privo di innesco o miccia, ma tale fatto appare lo stesso gravissimo visto che vi è la concreta possibilità che sia stato nascosto dietro la vaschetta del wc per commettere un attentato che avrebbe potuto avere conseguenze drammatiche;
   la circostanza che l'esplosivo sia stato ritrovato casualmente da un addetto alle pulizie dimostra, poi, inequivocabilmente come qualcuno sia entrato nell'aeroporto e lo abbia nascosto senza che le forze di sicurezza si accorgessero di nulla;
   ad avviso dell'interrogante onde evitare episodi come quelli avvenuti all'aeroporto di Cuneo-Levaldigi, è necessario aumentare, immediatamente il personale addetto alla sicurezza in tutti gli aeroporti italiani ed in particolar modo in quelli più piccoli –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della notizia sopra riportata riguardo ai gravissimi fatti avvenuti all'aeroporto di Cuneo-Levaldigi ed in particolare se possa essere confermata l'ipotesi che l'esplosivo servisse per compiere un attentato;
   se il Ministro interrogato abbia intenzione di rafforzare la sicurezza inviando uomini e mezzi in tutti gli aeroporti italiani ed, in particolar modo, in quelli che hanno un minor transito di passeggeri, come quello di Cuneo-Levaldigi. (4-11719)


   NESCI, CRIPPA, LUIGI DI MAIO, SIMONE VALENTE, LUIGI GALLO, DI BATTISTA, FRACCARO, VIGNAROLI, TOFALO, FRUSONE, DIENI, PARENTELA, GRILLO, NUTI, BASILIO, CORDA, VILLAROSA, ALBERTI, FICO, PESCO, CANCELLERI, DELL'ORCO, MANLIO DI STEFANO, SIBILIA, SPADONI, GRANDE, COZZOLINO, TONINELLI, L'ABBATE, SCAGLIUSI e PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 13 gennaio 2016, il figlio del procuratore aggiunto di Reggio Calabria, dottor Nicola Gratteri, è stato vittima di un presunto atto intimidatorio;
   secondo quanto raccontato dallo stesso ragazzo che abita in un edificio vicino all'università di Messina dove lo stesso studia, delle persone avrebbero suonato al campanello del suo appartamento presentandosi come «poliziotti»: ma dal pianerottolo il ragazzo avrebbe poi notato due persone incappucciate scendere le scale dal piano sopra al suo;
   il dottor Gratteri è uno dei magistrati maggiormente esposti nella lotta alla ’ndrangheta con specifico riferimento al traffico di stupefacenti. Proprio su questo fronte il procuratore aggiunto ha coordinato decine di inchieste che hanno portato all'arresto di narcotrafficanti ed al sequestro di ingenti quantità di cocaina provenienti dal centro America, innestando un durissimo colpo agli affari e agli interessi della criminalità organizzata;
   il ruolo del dottor Gratteri è fondamentale anche per l'opera di divulgazione della cultura anti-mafia tramite libri e convegni a cui partecipa, specie nelle scuole di tutta Italia;
   secondo quanto si legge su « Il Quotidiano del Sud» del 18 gennaio 2016, «le forze dell'ordine intendono chiarire al più presto quanto avvenuto mercoledì scorso [...] Per farlo gli investigatori stanno visionando le immagini delle telecamere di sicurezza sparse nella zona, nella speranza di poter trovare almeno un elemento, un'immagine che li metta sulla pista giusta per risalire agli autori del gesto»;
   «Al momento – continua il succitato articolo – nessuna ipotesi viene esclusa, ma tra gli investigatori di carabinieri, che conducono le indagini, e polizia, messinesi e reggini, e della procura di Messina che li coordina, si è fatta largo l'idea che si sia trattato di un messaggio indiretto al magistrato impegnato su delicate indagini su ‘ndrangheta e rapporti con i "colletti bianchi" e narcotraffico, di cui le cosche calabresi sono attrici protagoniste» –:
   di quali elementi dispongano in relazione all'accaduto;
   se non ritengano di aumentare le misure atte a garantire l'incolumità al dottor Gratteri e ai suoi familiari.
(4-11722)


   CAPARINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nelle more del riordino delle carriere nelle forze dell'ordine, alcune fasce del personale della polizia di Stato lamentano la sostanziale mancata applicazione delle parti dedicate al ruolo direttivo speciale della polizia di Stato di cui agli articoli 14-21 decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 334;
   sarebbero conseguentemente bloccate da tempo le progressioni di carriera degli ispettori superiori-sostituti ufficiali di pubblica sicurezza e dei sostituti commissari e dei sostituti commissari verso il livello dirigenziale;
   le progressioni delle carriere verso la dirigenza nell'Arma dei carabinieri, nel Corpo della guardia di finanza e nella polizia penitenziaria, di contro, non incontrerebbero invece più ostacoli;
   il problema sarebbe risolvibile riconoscendo finalmente il ruolo direttivo speciale della polizia di Stato istituito dal decreto legislativo 334 del 2000 e permettendo al personale che da tempo è fermo ai livelli immediatamente inferiori di accedervi;
   la situazione attuale genererebbe risentimenti e frustrazioni anche in ragione del fatto che nella polizia di Stato sono ancora presenti ufficiali che transitarono nel ruolo dei funzionari e dirigenti con il solo diploma di scuola superiore in seguito alla smilitarizzazione del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza, attuata con la legge 1o aprile 1981, n. 121, e che ricoprono adesso le qualifiche di vice questore aggiunto, primo dirigente, dirigente superiore, dirigente generale e perfino prefetto –:
   quali ostacoli impediscano di dare piena attuazione alle norme del decreto legislativo 334 del 2000 nell'ambito della polizia di Stato e se il Governo non ritenga opportuno finalmente intervenire per permettere l'accesso alla dirigenza al personale dei livelli immediatamente inferiori, che si trova bloccato nella progressione della carriera da numerosi anni. (4-11734)


   CATANOSO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come ha riportato il settimanale Panorama nel numero del 16 dicembre 2015, Don Luigi Ciotti, fondatore dell'Associazione antimafia «Libera», ha espulso dalla stessa Franco La Torre, figlio di Pio La Torre, dopo ed a causa della denuncia pubblica compiuta dallo stesso La Torre nel corso dell'assemblea dell'associazione svoltasi ad Assisi il 7 novembre;
   nel corso del suo intervento all'assemblea di Assisi, Franco La Torre ha denunciato assenza di democrazia nell'associazione Libera, rendite prodotte dall'antimafia ed abusi nella gestione dei beni confiscati alla mafia;
   le parole di Franco La Torre, come riporta il settimanale Panorama, sono «crepe che segnano la fragilità di un monumento finora inviolabile» e non possono essere sottaciute o minimizzate da coloro che hanno l'obbligo ed il dovere di controllare che gli esiti della lotta alla mafia possano essere usurpati da soggetti a loro volta accusati di condotte illecite o, nella migliore delle ipotesi, dalle dubbie capacità gestionali;
   i numeri dell'Associazione «Libera», almeno quelli riportati da Franco La Torre e dal settimanale Panorama descrivono in maniera eloquente e fuori da ogni dubbio la forza economica, sociale e politica dell'Associazione: 1.600 cooperative associate, 1.400 ettari di terreni confiscati e gestiti dalle varie cooperative/associazioni di riferimento, un fatturato dichiarato di 6 milioni di euro e 126 impiegati;
   questi numeri e gli scandali che hanno da poco coinvolto la procura della Repubblica di Palermo con il giudice Saguto sospeso dal servizio per lo scandalo della gestione dei beni sequestrati alla mafia, gestione che la stessa Saguto ha affidato ad esponenti dell'associazione «Libera», come da lei stessa riferito, devono far riflettere e far puntare i riflettori degli organismi di vigilanza ministeriale su tali soggetti;
   a giudizio dell'interrogante occorre una seria attività di monitoraggio da parte dei Ministeri interrogati nei confronti di questo mondo associativo che, nella propria base animato dalle migliori intenzioni, può nascondere attività illegali e malversazioni come anche solo una cattiva gestione di beni confiscati alla criminalità organizzata –:
   quali iniziative di competenza intendano adottare i Ministri interrogati in relazione alle problematiche esposte in premessa. (4-11742)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la «Fondazione Giacomo Matteotti Onlus», con sede a Roma, già inserita nel novero degli istituti culturali privati che svolgono attività di ricerca e beneficiano del contributo erogato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ex decreto ministeriale 8 febbraio 2008 n. 44, pur avendo presentato domanda, nel mese di novembre, per rinnovare l'inserimento nella tabella per il triennio 2014/2016, a tutt'oggi non ha ancora avuto notizia dei risultati del lavoro della commissione preposta;
   nella documentazione presentata nel novembre 2015, allegata alla richiesta di rinnovo del contributo, si dà conto dell'alto numero di iniziative di ricerca e di formazione attivate dalla Fondazione Matteotti secondo la lettera statutaria e la missione di istituto, in particolare si evidenzia l'attenzione rivolta agli studenti e al mondo della scuola;
   la Fondazione è attiva da decenni nel settore editoriale (patrocina, tra l'altro, la pubblicazione della rivista culturale «Tempo presente», fondata da Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte), nell'attività di ricerca nel campo delle scienze storiche, sociali e umane, nonché nelle attività di formazione che svolge assiduamente attraverso corsi, convegni e seminari, spesso tenuti nelle scuole, e dispone di una biblioteca e un archivio, entrambi aperti al pubblico;
   inoltre — nell'ambito del vasto programma celebrativo varato lo scorso anno in occasione del novantesimo anniversario della morte di Giacomo Matteotti, programma che ha ottenuto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica e il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei ministri — la Fondazione ha dato vita, in collaborazione con la direzione generale per lo studente, l'integrazione e la partecipazione, al «Concorso nazionale Matteotti 90 per le scuole», rivolto agli studenti della scuola secondaria di secondo grado;
   l'iniziativa, condotta in collaborazione con la «Fondazione di Studi storici Filippo Turati» di Firenze, ha inteso contribuire a ricordare ai giovani il politico polesano che ha sacrificato la propria vita per i principi di giustizia sociale e di crescita civile del Paese, anche al fine di favorire lo sviluppo, attraverso la formazione di cittadini consapevoli, di una cultura della cittadinanza attiva, della conoscenza e del rispetto delle istituzioni e dei valori fondanti di una società civile;
   nel solco delle proficua collaborazione con la menzionata direzione generale per lo studente, inoltre, è di prossima sottoscrizione un protocollo d'intesa tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, la Fondazione Matteotti e la Fondazione Turati finalizzato a «offrire alle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado un sostegno alla formazione storica e civile ricordando (...) la figura e la testimonianza di Giacomo Matteotti per promuovere tra i giovani un modello di cittadinanza attiva e consapevole»;
   nell'ambito delle attività didattiche e di formazione della Fondazione, le iniziative con le scuole sono numerose e significative, ad esempio, recentemente, in relazione con le celebrazioni matteottiane, sono stati realizzati per gli studenti delle scuole medie superiori alcune pubblicazioni e due dvd multimediali ricchi di documenti e filmati originali che vengono presentati e illustrati in un ciclo di incontri seminariali nelle scuole –:
   con quali iniziative intenda intervenire per il rinnovo del già menzionato contributo del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ex decreto ministeriale n. 44 del 2008 al fine di impedire che la preziosa attività e l'impegno della Fondazione Matteotti vengano vanificati, tenuto conto che, stanti le modeste risorse della Fondazione e la sistematica contrazione dei fondi per il sostegno alle istituzioni culturali, la possibilità di proseguire nell'attività di istituto dipende, in modo sostanziale, dall'accesso a detto contributo. (4-11720)


   CARUSO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il contratto collettivo nazionale integrativo (CCNI) 3 dicembre 2009, in attuazione della sequenza contrattuale 25 luglio 2008, comparto scuola, articolo 1, comma 2, ha disciplinato, in prima applicazione e limitatamente alle disponibilità relative agli anni scolastici 2009/2010 e 2010/2011, la mobilità professionale del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (a.t.a.);
   il decreto del direttore generale Dirpers/MIUR del 28 gennaio 2010, n. 979, in applicazione del citato CCNI/2009, ha indetto le relative procedure selettive per il passaggio del personale amministrativo tecnico ed ausiliario (a.t.a.) dall'area contrattuale inferiore all'area immediatamente superiore finalizzate, in particolare, anche al passaggio dall'area B profilo professionale assistente amministrativo, all'area D, profilo professionale direttore dei servizi generali ed amministrativi (dsga);
   la suddetta procedura selettiva ha disposto, in particolare, che la mobilità professionale avviene previo superamento di un esame finale, da sostenere a seguito della frequenza di uno specifico corso di formazione cui accede il personale utilmente collocato in apposita graduatoria formulata sulla base del punteggio ottenuto per il superamento di una prova selettiva sommato a quello dei titoli di studio, di servizio e dei crediti professionali richiesti e posseduti dagli interessati;
   nel decreto direttoriale n. 979 del 2010 viene, altresì, precisato, ai sensi dell'articolo 2.4, che: «il personale utilmente collocato nella graduatoria definitiva (....) consegue la mobilità professionale in ragione dei posti annualmente autorizzati per la stipula dei contratti di lavoro a tempo indeterminato in ciascuna provincia e per ciascun profilo professionale»;
   secondo notizie pervenute all'interrogante, l'espletamento della procedura selettiva ex decreto direttoriale n. 979 del 2010 non risulta completato;
   a cinque anni dalla indizione della procedura stessa, infatti, gli assistenti amministrativi (area «B») inseriti utilmente negli elenchi provinciali definitivi per le attività di formazione – di cui all'articolo 5, comma 3, del contratto collettivo nazionale integrativo 3 dicembre 2009 – redatti sulla base del punteggio ottenuto per il superamento della prova selettiva sommato con quello derivante dalla valutazione dei titoli di studio, di servizio e dei crediti professionali, sono ancora in attesa di accedere alla frequenza dello specifico corso di formazione successivamente al quale, previo superamento di un esame finale, saranno collocati nelle graduatorie provinciali definitive, di cui all'articolo 9 del contratto collettivo nazionale integrativo 3 dicembre 2009, al fine di conseguire la mobilità professionale per l'area «D» (direttore dei servizi generali ed amministrativi;
   ad oggi non tutti i posti disponibili relativi al profilo di direttore dei servizi generali ed amministrativi risultano essere stati coperti;
   consentire l'accesso del suddetto personale alla formazione permetterebbe al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca di coprire i posti vacanti con soggetti professionalmente qualificati evitando i costi di una nuova procedura concorsuale;
   come già detto, infatti, i soggetti coinvolti oltre ad avere partecipato, avendone i requisiti (ovvero titolo di studio richiesto, anzianità di servizio non inferiore a 5 anni nel profilo di assistente amministrativo a tempo indeterminato e svolgimento, per non meno di tre anni, di sostituzione di dsga), alla procedura selettiva di incarichi ex decreto direttoriale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 979 del 2010 si sono collocati utilmente nella relativa graduatoria;
   la suddetta procedura concorsuale per la mobilità è stata ispirata a criteri di selettività e di valorizzazione delle professionalità essendo basata, in particolare, su test di accesso e sulla valutazione dei titoli, tali da privilegiare le esperienze e le effettive capacità lavorative già conseguite dagli aspiranti nell'espletamento delle funzioni nella qualifica superiore;
   tale procedura sarebbe, altresì in linea con i principi ispiratori della legge 13 luglio 2015, n. 107 (cosiddetta «buona scuola») relativamente alla scelta e alla valutazione di personale qualificato e competente da inserire nei ruoli apicali della scuola pubblica, dal momento che la figura del direttore dei servizi generali ed amministrativi è indispensabile per il buon funzionamento amministrativo e didattico delle istituzioni scolastiche ed è determinante per l'organizzazione dei servizi del personale ATA –:
   se i fatti esposti rispondano al vero;
   se, nel caso siano confermati i fatti illustrati, il Ministro interrogato intenda intraprendere iniziative per la copertura dei posti di ruolo di direttore dei servizi generali ancora disponibili eventualmente completando le procedure di formazione e mobilità richiamate in premessa. (4-11725)


   GULLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 332, della legge n. 190 del 2014 aveva previsto che i dirigenti scolastici non possono conferire supplenze brevi per la sostituzione di personale docente e del personale A.T.A.;
   la nota prot. n. AOODGPER del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca avente ad oggetto «Circolare supplenze personale ATA A.S. 2015/16. Chiarimenti.», si limita a precisare che «l'articolo 1 comma 332 della legge 190/2014 richiamato nella nota prot. 25141 del 10 agosto fa riferimento alle supplenze brevi», senza specificare quali debbano considerarsi tali;
   l'interpretazione del concetto di «supplenza breve» trova diversa interpretazione tra sindacati e uffici scolastici regionali e provinciali;
   la successiva circolare del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 6546 del 5 ottobre 2015 non chiarisce come i dirigenti dovranno comportarsi in caso di assenze ripetute a causa di persistenti problemi di salute di tale personale e perché debbano ripetere la trafila nel periodo dei primi 7 giorni;
   risulta all'interrogante, che tale incertezza sta determinando dubbi tra i dirigenti scolastici circa la corretta applicazione della normativa –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per:
    a) chiarire definitivamente il concetto di «supplenza breve» dirimendo le incertezze interpretative;
    b) prevedere sistemi più agevoli di sostituzione del personale in caso di assenze ripetute dovute a persistenti problemi di salute del personale stesso.
(4-11738)


   SORIAL. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 17 gennaio 2016 una bambina di 12 anni si è gettata dalla finestra della sua abitazione a Pordenone lasciando due lettere, una di scuse per il suo gesto rivolta ai genitori e una di accuse indirizzata ai compagni di scuola che avrebbero provocato il suo gesto estremo e ai quali avrebbe infatti rivolto la frase emblematica «Adesso sarete contenti»;
   la ragazzina è sopravvissuta all'impatto grazie alla tapparella aperta al piano di sotto che fortunatamente ha attutito il colpo, ma ha riportato fratture varie e lesioni alla colonna vertebrale che, all'inizio, hanno fatto temere conseguenze gravissime, anche se in serata i medici hanno poi potuto sciogliere la prognosi e confermato che guarirà;
   la gravissima decisione della ragazzina di tentare il suicidio non sarebbe frutto di un moto impulsivo, poiché, secondo la prima ricostruzione dei fatti, le due lettere sarebbero state scritte il 10 gennaio 2016, una settimana prima dell'evento, dopodiché la bambina sarebbe rimasta a casa per uno stato influenzale per tutta la settimana e avrebbe infine messo in atto il tragico gesto solo quando era ormai tempo del rientro a scuola, non sopportando di dover tornare in classe;
   già durante le prime fasi dei soccorsi, la piccola ha denunciato il suo disagio per i difficili rapporti con amici e coetanei della scuola dicendo «a scuola me lo dicevano: perché non ti uccidi ? Ucciditi», raccontando di queste vessazioni tanto al personale del 118, quanto alla mamma e pure agli agenti della polizia;
   gli agenti della polizia di Stato, insieme alla scientifica e alla polizia postale, stanno portando avanti le indagini sull'accaduto, anche attraverso l'analisi della messaggeria del telefono cellulare e del computer della ragazzina e alla sua attività nei social network;
   la procura dei minori di Trieste sentirà con audizioni protette sia lei, sia i suoi compagni di scuola per capire cosa sia realmente accaduto in una scuola dove sembra che nessuno abbia colto nemmeno un minimo segnale di allarme;
   secondo la dirigente della scuola media di Pordenone frequentata dalla ragazzina «Non c'era alcun segnale che lasciasse presagire quanto accaduto. Mai, né durante i consigli di classe, né in situazioni più informali era emerso disagio di alcun tipo, e men che meno episodi di presunto bullismo. I genitori di questa ragazzina e degli altri alunni non hanno mai accennato nulla a me o agli insegnanti. Insomma, un dramma che stava covando e di cui nessuno si era accorto ma non ci sono evidenze alla scuola che ci siano stati episodi particolari»;
   gli studiosi del fenomeno definiscono come bullismo tutte quelle azioni di sistematica prevaricazione e sopruso messe in atto da parte di un bambino/adolescente, definito «bullo» (o da parte di un gruppo), nei confronti di un altro bambino/adolescente percepito come più debole, che diventa la vittima;
   caratteristiche tipiche del fenomeno, il cui nome deriva dalla parola inglese bullying, che significa «usare prepotenza, maltrattare, intimidire, intimorire», sono l'intenzionalità del comportamento aggressivo, che viene messo in atto volontariamente e consapevolmente, la sistematicità del comportamento che si ripete quindi nel tempo e l'asimmetria di potere tra le parti coinvolte, dovuta alla forza fisica, all'età o alla numerosità quando le aggressioni sono di gruppo;
   il bullismo non è dunque un singolo episodio di angheria tra studenti, ma il vero e proprio instaurarsi di una relazione decisamente asimmetrica nella forza e nella capacità di difesa, che, cronicizzandosi, crea dei ruoli definiti: la vittima e il persecutore;
   l'ultimo rapporto dell'Istat evidenzia che il fenomeno del bullismo, che è un malessere sociale fortemente diffuso, è in costante e preoccupante crescita: in Italia, un ragazzo su tre subisce episodi di violenza verbale, psicologica e fisica e il 33 per cento è una vittima ricorrente di abusi –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente del grave fatto esposto in premessa, tanto più preoccupante vista la giovane età della ragazzina che ha compiuto un gesto così disperato e radicale;
   se i Ministri interrogati non considerino necessario ed urgente assumere iniziative, per quanto di competenza per approfondire nei dettagli le dinamiche di quanto accaduto, anche nello spazio virtuale dei social network, e contribuire a chiarire, da un lato, per quale ragione nessuno, tra insegnanti, preside e genitori, abbia colto i segnali di questa tragedia in atto e, dall'altro, perché una ragazzina di 12 anni, disperata al punto di compiere un tale gesto, non abbia sentito di avere nessuna figura adulta di riferimento con la quale confidarsi e alla quale chiedere aiuto neppure nell'istituto scolastico che frequentava; 
   in che modo il Governo intenda attivarsi per arginare il fenomeno del bullismo, in decisa espansione e il danno sociale che ne deriva nel più breve tempo possibile;
   se il Governo non intenda attuare azioni e campagne di prevenzione, con particolare attenzione allo sviluppo di sistemi di monitoraggio efficaci, in grado di cogliere i primi segnali dell'instaurarsi di queste relazioni persecutorie. (4-11741)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XI Commissione:


   GNECCHI, DAMIANO, ALBANELLA, BARUFFI, BOCCUZZI, CASELLATO, CUOMO, DI SALVO, GIACOBBE, GRIBAUDO, INCERTI, PATRIZIA MAESTRI, MICCOLI, PARIS, GIORGIO PICCOLO, ROSTELLATO, ROTTA, SIMONI, TINAGLI e ZAPPULLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come noto, quale unica modalità graduale per l'accesso al trattamento pensionistico, il comma 15-bis dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011 (la cosiddetta manovra «Salva Italia») ha disposto:
    «15-bis. In via eccezionale, per i lavoratori dipendenti del settore privato le cui pensioni sono liquidate a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive della medesima: a) i lavoratori che abbiano maturato un'anzianità contributiva di almeno 35 anni entro il 31 dicembre 2012 i quali avrebbero maturato, prima dell'entrata in vigore del presente decreto, i requisiti per il trattamento pensionistico entro il 31 dicembre 2012 ai sensi della tabella B allegata alla legge 23 agosto 2004, n. 243, e successive modificazioni, possono conseguire il trattamento della pensione anticipata al compimento di un'età anagrafica non inferiore a 64 anni; b) le lavoratrici possono conseguire il trattamento di vecchiaia oltre che, se più favorevole, ai sensi del comma 6, lettera a), con un'età anagrafica non inferiore a 64 anni qualora maturino entro il 31 dicembre 2012 un'anzianità contributiva di almeno 20 anni e alla medesima data conseguano un'età anagrafica di almeno 60 anni»;
   tuttavia, con la circolare Inps n. 35 del 14 marzo 2012, attuativa della suddetta disposizione, veniva posta una condizione aggiuntiva, rispetto a quanto previsto dalla norma di legge, ovvero che per poter rientrare in tale eccezione, alla data del 28 dicembre 2011, il lavoratore interessato doveva svolgere attività di lavoro dipendente nel settore privato, escludendo di fatto chi aveva perso il lavoro in precedenza, ovvero coloro che, con tutta probabilità, avrebbero avuto maggior interesse e necessità di poter accedere alla pensione;
   testualmente la circolare Inps 35/2012 recita: «6. Disposizioni eccezionali (articolo 24, comma 15-bis);
   In via eccezionale:
    a) i lavoratori dipendenti del settore privato iscritti all'A.G.O. e alle forme sostitutive della medesima possono conseguire il trattamento della pensione anticipata al compimento del 64o anno di età al ricorrere delle seguenti condizioni:
     possesso di un'anzianità contributiva di almeno 35 anni al 31 dicembre 2012;
     maturazione entro il 31 dicembre 2012 dei requisiti per il trattamento pensionistico di cui alla tabella B allegata alla legge 23 agosto 2004, n. 243 (circolare n. 60 del 15 maggio 2008, punti 1.1 e 2.1);
    b) le lavoratrici dipendenti del settore privato iscritte all'A.G.O. e alle forme sostitutive della medesima possono conseguire il trattamento di vecchiaia alternativamente:
     al ricorrere dei presupposti di cui al punto 1.1.;
     al compimento del 64o anno di età, ove in possesso al 31 dicembre 2012 di un'anzianità contributiva di almeno 20 anni e di un'età anagrafica di almeno 60 anni;
   le predette disposizioni si applicano ai lavoratori ed alle lavoratrici che alla data di entrata in vigore della legge di conversione con modifiche del decreto in esame (28 dicembre 2011) svolgono attività di lavoro dipendente nel settore privato, a prescindere dalla gestione a carico della quale è liquidato il trattamento pensionistico;
   ai fini dell'identificazione dei soggetti ai quali sono applicabili le disposizioni eccezionali in esame rileva la natura giuridica privata del rapporto di lavoro. Al requisito anagrafico di 64 anni, si applica l'adeguamento agli incrementi della speranza di vita di cui all'articolo 12 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122»;
   la medesima circolare 35 del 2012 non ha considerato, peraltro, anche le eccezioni per le quali erano sufficienti i 15 anni anziché i 20 di contribuzione. Anche su questo aspetto, molteplici iniziative parlamentari hanno evidenziato tale errata interpretazione, tanto che lo stesso Istituto, su indicazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con circolare n. 16 del 1o febbraio 2013 ha ripristinato i 15 anni come requisito minimo contributivo per i lavoratori nelle condizioni previste dal decreto legislativo n. 503 del 1992;
   con riferimento a tale specifico profilo, appare opportuno ricordare il comunicato stampa della Ministra pro-tempore Fornero del 30 gennaio 2013, nel quale si affermava che «con questo atto si conferma l'attenzione posta dal Ministero del lavoro, dopo aver salvaguardato 140.000 lavoratori, aver sciolto il nodo delle ricongiunzioni onerose sono soddisfatta di poter risolvere un problema che riguarda circa 65.000 persone, la maggior parte delle quali sono donne»;
   in tale caso, non risulta che la ragioneria generale dello Stato abbia avanzato riserve rispetto alla quantificazione di eventuali oneri e alla relativa copertura, nonostante la modifica abbia interessato una platea di circa 65.000 soggetti, come dichiarato dalla stessa Ministra Fornero, a dimostrazione del fatto che, trattandosi di un errore, lo stesso si doveva e poteva correggere con un semplice atto amministrativo;
   parimenti, anche la circolare 35 del 2012 andrebbe corretta con analogo atto amministrativo, eliminando la citata condizione di essere occupati alla data del 28 dicembre 2011 per poter accedere alla deroga prevista dal comma 15-bis dell'articolo 24 della legge n. 214 del 2011, così consentendo il pensionamento a 64 anni, nel pieno rispetto della lettera della norma di legge;
   si segnala inoltre un'ulteriore divergenza tra il contenuto della medesima disposizione di legge e la circolare applicativa, ovvero, mentre la prima recita «...., per i lavoratori dipendenti del settore privato le cui pensioni sono liquidate a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive della medesima", la circolare non vincola la liquidazione all'assicurazione generale obbligatoria e alle forme sostitutive in quanto recita: "...si applicano ai lavoratori ed alle lavoratrici che alla data di entrata in vigore della legge di conversione con modifiche del decreto in esame (28 dicembre 2011) svolgono attività di lavoro dipendente nel settore privato, a prescindere dalla gestione a carico della quale è liquidato il trattamento pensionistico»;
   si è nel 2016, anno in cui i nati e le nate nel 1952 compiono 64 anni, quindi è urgente porre rimedio e permettere a questi lavoratori e lavoratrici di utilizzare quest'unica norma di gradualità frutto di una forte pressione parlamentare –:
   se non ritenga opportuno promuovere la correzione, in via amministrativa, della circolare dell'INPS n. 35 del 14 marzo 2012, in linea con quanto sommariamente evidenziato in premessa, al fine di consentire l'accesso al pensionamento delle lavoratrici e dei lavoratori nati nel 1952, anno particolarmente colpito dalla manovra Salva Italia, in linea con quanto previsto dalla lettera e dallo spirito del citato comma 15-bis dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, anche luce delle proiezioni finanziarie della disposizione in questione, a suo tempo computate in sede di emanazione del medesimo decreto-legge n.201 del 2011. (5-07453)


   CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, CIPRINI, TRIPIEDI e LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con l'approvazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (delega sul lavoro) è stato previsto che da gennaio 2015 fossero diffusi i dati sulle nuove assunzioni, in modo da dimostrare il funzionamento del meccanismo degli incentivi alle assunzioni stabili e delle novità introdotte dal cosiddetto Jobs Act;
   i numeri resi pubblici in questi ultimi mesi dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali sono stati tuttavia più volte smentiti: in agosto 2015, ad esempio, sono stati diffusi dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali dati errati relativi ai contratti stipulati nei primi sette mesi dell'anno; il numero dei contratti a tempo indeterminato, cioè il saldo tra attivazioni e cessazioni, è risultato dimezzato nell'ultimo aggiornamento rispetto alla prima versione fornita: il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha infatti dimenticato di conteggiare 1.392.196 di contratti cessati, come sottolineato da molti quotidiani, tra cui la versione on-line del Sole24ore, con un articolo intitolato: «Lavoro: errore sui dati, ma crescono contratti stabili» e pubblicato in data 27 agosto 2015;
   ad agosto 2015 il Ministro Poletti ha infatti fornito, come numero di rapporti di lavoro stabili creati a tempo indeterminato, la cifra di 630.585 che è risultata più che raddoppiata rispetto a quella effettivamente registrata nei primi 7 mesi dell'anno di 327.758;
   escludendo le trasformazioni di contratti a termine in indeterminati, la succitata statistica si ferma a sole 117.498 unità;
   sui dati falsati, relativi ai nuovi contratti di lavoro a tempo indeterminato si è espressa anche l'organizzazione sindacale CGIL che, come si legge in un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore del 27 agosto 2015, tramite il suo segretario Susanna Camusso, ha dichiarato: «Sono mesi che si sta facendo propaganda sui numeri. (...) Non ci sono particolari sorprese, tranne quella che non ci si aspetterebbe mai che un organo ufficiale imbrogli sui dati»;
   anche l'Istat ha accusato il Governo di «sbandierare» risultati sul lavoro inesistenti e, in un'intervista rilasciata al Fatto Quotidiano a fine luglio 2015, Giorgio Alleva, presidente dell'Istituto, ha dichiarato che: «valutare il saldo tra attivazioni e cessazioni dei contratti come se fosse un aumento di teste, cioè di occupati, è una approssimazione non accettabile»;
   ad agosto 2015 il tasso generale di disoccupazione si è attestato al 12,7 per cento; quello della disoccupazione giovanile ben oltre il 44 per cento e in meno di un anno si è assistito a 40 mila nuovi disoccupati;
   i dati diffusi dall'Istat dicono che a giugno 2015 ci sono stati 22 mila occupati in meno rispetto a maggio, come sottolineato da un articolo apparso sulla versione on-line del Sole24ore in data 31 luglio 2015 e intitolato «A giugno 22 mila occupati in meno rispetto a maggio. La disoccupazione sale al 12,7 per cento»;
   il suddetto calo ha riguardato soprattutto i più giovani: gli occupati nella fascia d'età tra 15 e 24 anni sono diminuiti del 2,5 per cento, e il tasso di occupazione giovanile è pari al 14,5 per cento;
   ancora secondo i dati forniti dall'Istat, nel giugno 2015 si sono registrati ben 85 mila disoccupati in più rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente: si tratta di dati allarmanti che dimostrano come il Jobs Act non stia dando i risultati sperati e, soprattutto, come i dati reali non coincidano con quelli forniti dal Governo;
   recentemente i dati infondati forniti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali sono stati confutati anche da una ricercatrice, Marta Fana, dottoranda in economia a SciencesPo Paris e collaboratrice del quotidiano il Manifesto, la quale in un'intervista rilasciata al Fatto Quotidiano il 13 ottobre 2015 dichiara che: «Il Governo farebbe bene a studiare e fare molta meno propaganda ingannevole. La ripresa non è strutturale: nessuno sforzo in investimenti, in avanzamento tecnologico all'orizzonte. È tutta una questione di ciclo economico e il mercato del lavoro al netto del ciclo è dopato dagli sgravi»;
   da ultimo, come apparso su « Il Fatto Quotidiano» del 12 gennaio 2016, è di recente emanazione la circolare approvata a fine dicembre dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali che recepisce le direttive fornite dal cosiddetto Jobs Act;
   secondo quanto rilevato da autorevoli ricercatori nel predetto articolo, il Ministero dei Lavoro e delle politiche sociali avrebbe modificato attraverso la suddetta circolare la regolamentazione dei servizi per l'impiego, depotenziando il ruolo dei centri per l'impiego a vantaggio delle agenzie interinali private;
   se prima dell'emanazione della suddetta circolare l'accesso alle prestazioni sociali era infatti legato all'iscrizione alle liste di disoccupazione presso i centri per l'impiego, ora per ottenere i sussidi sarà sufficiente produrre un'autocertificazione al fine di dichiarare il proprio stato di inoccupato, cioè di persona priva di impiego ma non necessariamente in cerca di occupazione. In questo modo, secondo quanto denunciato ancora da Marta Fana sul fattoquotidiano.it in data 12 gennaio 2016, una quota di disoccupati rischierebbe di sparire dalle statistiche Istat senza che a ciò corrisponda un reale aumentato dell'occupazione;
   se così fosse, diminuirebbe inoltre la quota di soggetti formalmente in cerca di lavoro, non sussistendo più l'obbligo di dichiarare la propria disponibilità a lavorare per ottenere le prestazioni sociali;
   ad avviso degli interroganti la ricostruzione fedele dei dati occupazionali è di vitale importanza anche ai fini di una responsabile programmazione di Governo ed è pertanto necessario adottare misure di rilevazione statistica che tengano conto anche delle modifiche normative e regolamentari intervenute –:
   quali iniziative intenda intraprendere in relazione alla necessità di garantire la pubblicazione di dati precisi e di statistiche accurate in tema di occupazione, tenendo altresì conto delle modifiche normative e delle relative circolari ministeriali intervenute e depurando i dati da possibili errori e/o omissioni che impediscano una corretta e completa valutazione del numero effettivo di disoccupati. (5-07454)


   SIMONETTI e MOLTENI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da notizie pubblicate su La provincia di Como del 12 gennaio 2016 risulta l'esistenza di un tesoretto di 3 miliardi di franchi (2,8 miliardi di euro) giacente su 632 mila conti di casse previdenziali custoditi in Svizzera, dovuti al versamento contributivo per il cosiddetto secondo pilastro pensionistico da parte di cittadini italiani frontalieri che hanno lavorato nei diversi cantoni della Confederazione elvetica;
   sembrerebbe che i lavoratori italiani frontalieri, molti dei quali comaschi, non informati pienamente dei loro diritti, non abbiano ritirato al termine dell'attività lavorativa quanto finora versato in fondi pensione, e ora il Governo di Berna intende restituire ai legittimi titolari quanto dovuto, tanto che ha persino lanciato un appello affinché chi ritenga di averne diritto si rivolga direttamente alla cassa centrale (ufficio centrale del secondo pilastro) –:
   se e quali iniziative di propria competenza il Ministro interrogato abbia già adottato ovvero intenda urgentemente adottare affinché tutti i singoli soggetti interessati dalla questione esposta in premessa siano pienamente informati dei loro diritti e delle modalità per recuperare con semplicità i crediti spettanti e se siano già stati presi gli opportuni contatti con il Governo svizzero affinché siano recuperate le posizioni di tutti i lavoratori italiani frontalieri in Svizzera e sia garantita la restituzione delle somme dovute ai medesimi. (5-07455)


   POLVERINI e CATANOSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con atto di sindacato ispettivo n. 4-07419, pubblicato sui resoconti parlamentari del 5 gennaio 2015. L'interrogante sollecitava il Governo ed il Ministro interrogato circa le problematiche della società Sviluppo Italia Sicilia spa;
   Sviluppo Italia Sicilia è una società strategica per il perseguimento delle finalità istituzionali della regione nell'ambito dell'area strategica sviluppo, come previsto dal piano di riordino delle partecipate della regione siciliana;
   Sviluppo Italia Sicilia, non determina oneri a carico del bilancio regionale poiché né opera in forza di un contratto di servizio né usufruisce di stanziamenti pubblici. Le sue entrate sono rappresentate esclusivamente dai corrispettivi economici di prestazioni di servizi erogate principalmente a favore del Socio unico, la regione siciliana, sulla base di contratti finanziati da fondi comunitari o nazionali di volta in volta stipulati con l'amministrazione regionale e sottoposti al controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti;
   Sviluppo Italia Sicilia gestisce, nel territorio regionale, gli strumenti agevolativi del decreto legislativo n. 185 del 2000 (lavoro autonomo, microimprese e Franchising) finanziati con fondi nazionali, in convenzione con Invitalia, l'Agenzia nazionale per l'attrazione di investimenti e lo sviluppo di impresa. Inoltre, gestisce l'incubatore di imprese di Catania dove sono ospitate 20 imprese che danno lavoro a oltre 200 persone e l'incubatore di imprese di Messina, avviato da pochi anni;
   l'organico dell'azienda conta 76 unità (83 dipendenti nel 2009), non conta alcun dirigente e presenta un costo medio annuo lordo onnicomprensivo (salari e stipendi oneri sociali e TFR) significativamente inferiore alla media del costo del personale della regione e delle altre società partecipate. Inoltre è in corso una trattativa sindacale che prevede un consistente taglio di alcune voci accessori del costo del personale (buoni-pasto, indennità trasferta, e altro), che porterò ad una ulteriore diminuzione dei costi;
   la professionalità e l’expertise del personale della società regionale partecipata non può essere dispersa a causa di quella che agli interroganti appare l'inefficienza del governo regionale e nel medio-lungo periodo;
   Sviluppo Italia Sicilia potrebbe contribuire, a giudizio dell'interrogante, al miglioramento dell'efficienza ed efficacia dei processi di programmazione e attuazione delle politiche di sviluppo locale della pubblica amministrazione attraverso essenzialmente: l'implementazione di misure di riforma e di semplificazione amministrativa al fine di adeguare e potenziare le capacità delle amministrazioni impegnate nell'attuazione e gestione dei programmi cofinanziati e l'accompagnamento del processo di riforma degli, enti locali anche attraverso azioni per la riqualificazione del personale amministrativo degli enti coinvolti che consenta di coordinare gli obiettivi di riordino istituzionale (anche con l'obiettivo del migliore utilizzo dei fondi europei);
   a corollario del percorso di risanamento e rilancio delineato, il definitivo consolidamento dell'assetto patrimoniale, operativo e di governance di Sviluppo Italia Sicilia potrebbe trovare compiuta definizione nella trasformazione della società in società finanziaria, analogamente a quanto avvenuto per Puglia Sviluppo dopo l'acquisizione da parte della regione Puglia;
   tale operazione consentirebbe il rilancio e diversificazione dell'operatività di Irfisf in Sicilia, con l'implementazione dell'organico, la riduzione dell'età media, il completamento dell'offerta di servizi, alle imprese e la possibilità di rilancio in chiave innovativa della mission –:
   quali iniziative per quanto di competenza, intendano adottare il Ministro interrogato per tutelare i lavoratori di Sviluppo Italia Sicilia, valutando l'ipotesi di promuovere un tavolo di confronto con tutte le parti interessate. (5-07456)


   AIRAUDO e PLACIDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 14 gennaio 2016, dopo un lungo periodo che li ha visti su posizioni lontane i tre sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil hanno divulgato una proposta di riforma dei modelli contrattuali approvata all'unanimità, dagli stessi definita come frutto di una difficile sintesi tra le diverse posizioni;
   a determinare i sindacati nel definire nuove tutele più rispondenti alla mutevole realtà è stata l'esigenza del Paese di saper cogliere quei timidi segnali di ripresa, derivanti in massima parte da fattori esterni all'economia italiana, che richiedevano la definizione di un nuovo progetto di relazioni industriali per l'intero mondo del lavoro e dell'impresa che si poggiasse su tre pilastri, contrattazione, partecipazione e regole e che fosse in grado di affermare il ruolo delle parti sociali come elemento fondante di democrazia, di tutela e miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, oltre che di promozione della crescita economica e sociale del Paese;
   il risultato è stato possibile dopo che Confindustria ha deciso unilateralmente di rompere la trattativa con i sindacati e di affidarsi all'intervento del Governo che da parte sua si mostra convinto della necessità di svuotare rapidamente il contratto nazionale e di continuare a tenere bloccata la contrattazione sul pubblico impiego;
   la rottura con i sindacati era del resto inevitabile essendo Confidustria arroccata su una posizione inconciliabile e per la quale il contratto nazionale, strumento solidaristico e di acquisizione generale di migliori condizioni di lavoro e di un progressivo incremento del salario per tutti, dovrebbe invece trasformarsi in una cornice con poche regole generali, che preveda aumenti contrattuali per tutte le aziende che non praticano la contrattazione decentrata o di secondo livello, pretendendo anche di abbandonare quel parzialissimo recupero dell'inflazione programmata perché «troppo favorevole per i lavoratori». Sempre secondo la Confidustria all'interno della contrattazione decentrata dovrebbero essere inseriti elementi di welfare aziendale relativi alla salute ed alla previdenza complementare, secondo una linea perfettamente compatibile con la distruzione dei diritti e dei servizi sociali pubblici messa in atto dal Governo;
   il testo del suddetto accordo sindacale è stato già presentato alla rappresentanze dei datori di lavoro, Confindustria in testa, e viste le prime reazioni che considerano il testo dell'intesa come già superato dai contratti di categoria recentemente siglati, si preannuncia come un confronto in salita;
   un compiuto processo di riforma e misurazione della rappresentanza dovrà necessariamente coinvolgere le stesse associazioni datoriali, per superare condizioni di monopolio o di arbitrio estranee ad un moderno sistema di relazioni industriali e per affermare il ruolo primario ed autonomo delle parti sociali –:
   se non ritenga di dover intervenire nella suddetta trattativa al fine di favorire una ripresa del confronto tra tutte le parti interessate alla riforma dei modelli contrattuali e se trovi conferma la notizia secondo la quale il Governo avrebbe pronta una proposta alternativa di riforma che andrebbe incontro a larga parte delle richieste delle parti datoriali. (5-07457)


   LABRIOLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni articoli, pubblicati l'11 gennaio 2016 dai quotidiani on line Inchiostroverde.it e Cromachetarantine.it, si apprende che durante la mattinata, presso lo stabilimento Ilva di Taranto, si sia svolto un incontro tra i responsabili dell'impianto ed i sindacati Fiom, Fim e Uilm per affrontare le questioni in merito all'avvio della discussione sulla procedura di proroga del contratto di solidarietà di tipo difensivo, previsto ex articolo 1 della legge 863 del 1984, in scadenza per il 2 marzo 2016;
   l'azienda, secondo quanto pubblicato, avrebbe previsto per i prossimi 12 mesi un esubero temporaneo massimo di 3519 rispetto agli attuali 4074 della procedura ancora in essere e tale riduzione sarebbe il frutto dei nuovi assetti produttivi e di marcia degli impianti su cui si confronteranno le rappresentanze sindacali unitarie e la direzione aziendale a partire dal 15 gennaio 2016;
   inoltre, si apprende che l'azienda, in un documento consegnato alle rappresentanze sindacali unitarie, abbia giustificato tali riduzioni riferendosi alla «profonda e grave crisi economica, produttiva e finanziaria che hanno progressivamente interessato, dopo gli stabilimenti di Genova e Novi Ligure ove sono in essere i contratti di solidarietà, anche il ciclo produttivo dello stabilimento siderurgico di Taranto estendendosi ormai da diversi mesi al settore delle lamiere e tubi»; la situazione attuale «venutasi a creare quale risultante di più fattori concorrenti impone un deciso e pronto intervento per riequilibrare i fattori produttivi mediante l'adozione di un piano di risanamento finanziario e di riassetto industriale, oggi imposto anche dagli obblighi connessi alla amministrazione straordinaria»;
   durante l'incontro i sindacati avrebbero sollevato diverse questioni di merito: prospettiva industriale e futuri assetti dell'Ilva di Taranto; richiesta di integrare il salario dei lavoratori; richiesta di ulteriore diminuzione sui numeri degli esuberi temporanei;
   l'azienda, durante l'incontro, avrebbe anche dichiarato di non essere nelle condizioni di poter integrare il salario rispetto a quanto garantito dalle normative attuali;
   a tal proposito ed in considerazione dell'approvazione del «decreto ILVA» in discussione in questi giorni in Parlamento e l'avvio del bando per la cessione del gruppo Ilva, i sindacati avrebbero annunciato di voler valutare da subito iniziative che diano garanzie a tutti i lavoratori, sia su una maggiore tutela del salario, sia sulla prospettiva futura;
   successivamente alla pubblicazione del bando del 5 gennaio 2016 a firma del Ministro Guidi, inerente alle manifestazioni di interesse inerenti al trasferimento dell'Ilva a terzi, il 18 gennaio 2016 le sigle sindacali si sono autoconvocate presso la sala consiliare di palazzo di città di Taranto, e hanno affrontato le questioni inerenti alla cessione, agli esuberi e alla necessità di istituire un tavolo nazionale di FIM FIOM UILM tramite un coordinamento nazionale delle rappresentanze sindacali unitarie ed i vari siti della interessati alla siderurgia per ottenere risposte concrete dal Governo –:
   quali iniziative urgenti intenda adottare per garantire i lavoratori di tutti gli stabilimenti del Gruppo Ilva, in particolare quello di Taranto, sia dal punto di vista salariale che di sicurezza futura, se intenda farsi parte attiva nella trattativa tra Ilva, rappresentanze sindacali unitarie e dipendenti, se ritenga, di concerto con gli attori coinvolti, di monitorare le varie fasi di trattativa per la proroga dei contratti di solidarietà e in che modo possa garantire gli attuali livelli occupazionali, anche durate le future fasi di cessione dell'azienda tarantina, come stabilito dal decreto-legge 4 dicembre 2015, n. 191. (5-07458)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   INCERTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione della raccomandazione del Consiglio dell'Unione europea del 22 aprile 2013, il Governo ha approvato il piano nazionale «Garanzia Giovani»; l'iniziativa, che ha preso avvio il 1o maggio 2014, si pone l'obiettivo di fornire ai giovani dai 15 ai 29 anni che non studiano e non lavorano, un'offerta qualitativamente valida di lavoro, un proseguimento degli studi, un apprendistato, un tirocinio, un inserimento nel servizio civile o altra misura di formazione;
   tra le misure offerte si ricordano in particolare i tirocini, in considerazione del ruolo che essi possono svolgere per agevolare l'ingresso nel mondo del lavoro. Per questo nell'ambito dell'intero programma i tirocini hanno un'incidenza significativa: per essi, infatti, sono state stanziate circa il 30 per cento delle risorse programmate e ne sono stati avviati oltre 75.000;
   tra le regioni e le province autonome che hanno deciso di affidare all'INPS anche il servizio di erogazione dell'indennità di tirocinio, si sono registrati numerosi ritardi nella corresponsione di quanto dovuto ai tirocinanti;
   in Emilia Romagna, i tirocinanti dovrebbero ricevere dall'Inps, per conto della regione, 300 dei 450 euro mensili di stipendio previsti da «Garanzia Giovani», ma finora da quanto risulta non hanno ricevuto alcuna risorsa;
   l'Emilia Romagna ha utilizzato interamente le risorse destinate a «Garanzia Giovani» e ha deciso di destinare a questo programma risorse aggiuntive del proprio programma operativo fondo sociale europeo, prevedendo però che tale scelta sia accompagnata da modalità di gestione più efficaci da parte dell'Inps;
   diversi sono stati gli atti di sindacato ispettivo presentati alla Camera dei deputati, concernenti i ritardi di pagamento; in risposta, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha rilevato la consapevolezza delle criticità segnalate e, insieme alle regioni e all'Inps, si è impegnato ad intervenire in modo da ridurre i disagi che i ritardi nelle erogazioni delle indennità determinano tra i giovani partecipanti al programma;
   tali ritardi compromettono gli esiti complessivi di un'iniziativa che potrebbe restituire risultati positivi per migliaia di giovani –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se intenda intervenire celermente presso l'Inps al fine di individuare modalità di gestione più efficaci, consentendo il trasferimento delle somme ai giovani iscritti al programma che proseguirà anche nei primi sei mesi del 2016. (5-07424)


   VALLASCAS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'11 gennaio 2016, la regione Sardegna, per il tramite dell'assessorato regionale del lavoro, ha ufficializzato la notizia della conferma dell'assegnazione da parte del Governo di 50 milioni di euro a copertura della mobilità in deroga per l'annualità 2015;
   la somma, secondo quanto riferito, si aggiunge alle risorse trasferite con la medesima finalità nel mese di luglio 2015, per un importo pari a 21,6 milioni di euro;
   nel dare la notizia, la regione Sardegna avrebbe anche rivelato la presenza di alcuni ostacoli burocratici che si frapporrebbero a un pieno utilizzo delle risorse trasferite, perché escluderebbe dal ricorso agli ammortizzatori un consistente numero di potenziali beneficiari;
   nei fatti, secondo quanto dettagliato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali in una comunicazione esplicativa del 21 dicembre 2015, uno dei presupposti per il riconoscimento della mobilità in deroga nel 2015 sarebbe la continuità dei pagamenti sino al 31 dicembre 2014, presupposto che verrebbe meno in caso di interruzione dell'erogazione;
   questa evenienza non riguarderebbe unicamente la sospensione causata dalla stipula di un nuovo contratto di lavoro, ma anche la sospensione dei pagamenti per indisponibilità o insufficienza dei fondi da parte della regione;
   in Sardegna sembrerebbe si sia determinata questa situazione a causa della mancata assegnazione da parte del Governo della completa dotazione delle somme per la mobilità in deroga, che per il solo 2014 ammonterebbe a 70 milioni di euro;
   il venire meno del presupposto della continuità a causa dell'interruzione dell'erogazione per la mancanza di risorse da parte della regione rischierebbe di compromettere la posizione di oltre novemila potenziali beneficiari, dei quali solo 2.190 avrebbero allo stato attuale i requisiti e solo a fronte del completamento dei pagamenti per l'anno 2014;
   da quanto esposto, si sarebbe venuta a determinare una circostanza paradossale: da una parte, c’è l'assegnazione di cospicue risorse per l'erogazione degli ammortizzatori sociali, dall'altra, la mancata assegnazione della dotazione completa avrebbe determinato una situazione che non permetterebbe l'erogazione a tutti i potenziali beneficiari;
   sembrerebbe che per il 2014 sarebbero necessari circa 70 milioni di euro, mentre 71 sarebbero stati erogati per l'annualità 2015;
   la Sardegna, per effetto della crisi economica che ha determinato la chiusura di numerose realtà produttive nonché la perdita di migliaia di posti di lavoro, sta attraversando una grave situazione di disagio socio economico;
   la questione è stata affrontata, sembrerebbe senza giungere a una risoluzione, il 13 gennaio 2016 al Ministero del lavoro e delle politiche sociali nel corso di un incontro tra il sottosegretario Teresa Bellanova, il presidente della regione autonoma della Sardegna, Francesco Pigliaru, e l'assessore regionale del lavoro, Virginia Mura –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   quali iniziative intenda adottare per garantire a tutti i potenziali beneficiari della Sardegna il riconoscimento, se dovuto, della mobilità in deroga per le annualità 2014 e 2015;
   quali iniziative intenda adottare per reperire le risorse necessarie alla copertura degli ammortizzatori sociali in deroga per il 2014 e il 2015;
   quali siano le cause della mancata assegnazione delle competenze per l'anno 2014, pari a 70 milioni di euro. (5-07426)


   CIPRINI, TRIPIEDI, LOMBARDI, CHIMIENTI, COMINARDI e DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Eskigel con sede in Terni, ora appartenente al gruppo R&R Ice Cream e attiva nella produzione di gelati industriali, occupa circa 600 dipendenti di cui 400 con contratti stagionali;
   al momento della acquisizione della Eskigel da parte della multinazionale R&R Ice Cream, l'azienda con una nota si affrettò ad affermare che «La possibilità di operare con un gruppo di livello europeo consentirà da un lato di acquisire maggiori tecnologie e dall'altro di programmare un'ulteriore crescita industriale, proseguendo in tal modo la linea di sviluppo che ha permesso alla società ternana di occupare una posizione di rilievo a livello nazionale nel proprio settore, contribuendo anche in maniera significativa all'occupazione locale, soprattutto quella femminile»;
   l'azienda recentemente ha espresso l'intenzione di voler procedere al reclutamento di circa 400 addetti stagionali attraverso un'agenzia interinale, manovra che di fatto azzererebbe i diritti maturati dagli stagionali storici dell'azienda alimentare con il rischio di gravi ricadute sul contesto economico locale dell'intera zona interessata;
   la decisione — che è stata assunta unilateralmente dall'azienda e senza alcuna informativa ai lavoratori — ha destato non poco allarme tra i dipendenti stagionali che finora hanno goduto di una certa continuità lavorativa, pur trattandosi di contratti di tipo stagionale;
   la decisione ha lasciato sconcertate anche le organizzazioni sindacali secondo le quali: «I 600 addetti in organico sono infatti perlopiù stagionali, ma in virtù del contratto nazionale hanno progressivamente acquisito il diritto di precedenza e quindi una sorta di condizione di stabilità occupazionale, seppur valida solo per alcuni mesi dell'anno» (www.umbria24.it del 23 dicembre 2015);
   effettivamente appare poco comprensibile la scelta dell'azienda la cui decisione appare, a parere degli interroganti, contraddittoria e un tentativo di aggirare le aspettative e i diritti maturati da ben 400 dipendenti stagionali qualificati e con esperienza solida, la maggior parte donne, che finora hanno potuto contare su una fonte di reddito per sé e la propria famiglia;
   il timore, a parere degli interroganti, è che l'esternalizzazione della manodopera possa passare attraverso il ricorso a forme di affidamento del servizio ad una società cooperativa con l'effetto di indebolire il trattamento normativo e retributivo dei dipendenti –:
   se il Ministro intenda intervenire al riguardo e attivare urgentemente un tavolo di confronto — coinvolgendo anche le istituzioni locali e regionali — al fine di individuare la soluzione più adeguata che porti ad un ripensamento circa le scelte aziendali della Eskigel e così scongiurare la prospettata «esternalizzazione» ai danni dei tanti lavoratori e famiglie, che salvaguardi i diritti e le aspettative maturati, favorendo la continuità dell'impiego dei lavoratori e lavoratrici stagionali che dal lavoro in Eskigel fino ad ora dipendono per il loro reddito;
   quali iniziative, anche di tipo normativo, intenda intraprendere a tutela dei dipendenti e delle corrette relazioni sindacali per sanzionare l'uso improprio delle esternalizzazioni. (5-07430)


   CHIMIENTI, COMINARDI, CIPRINI, DALL'OSSO, LOMBARDI e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Abit Cooperlat Società cooperativa agricola, marchio leader del settore lattiero-caseario piemontese, è un'azienda di Grugliasco, in provincia di Torino, sorta nel 1967 con l'obiettivo di valorizzare il prodotto caseario locale in un'ottica di qualità e sicurezza;
   la società, dal 2002 di proprietà della Trevalli Cooperlat di Jesi che detiene l'81 per cento delle quote, ha nuovamente annunciato la chiusura dello stabilimento di Corso Allamano a Grugliasco che avverrà entro il prossimo giugno;
   il 20 luglio 2013 l'azienda ha chiesto l'avvio della procedura di mobilità per 97 dipendenti su 107 per la cessazione dell'attività produttiva e di logistica interna, a seguito della decisione di portare in Lombardia la lavorazione del latte Piemontese;
   nel novembre 2013 viene raggiunto in extremis un accordo tra i vertici della società e i sindacati per scongiurare il licenziamento di massa. Nell'accordo si prevede che a Grugliasco resti la produzione del latte e della panna, l'attività di logistica, il magazzino e 50 posti di lavoro con la cassa integrazione a rotazione per tutti i lavoratori;
   come dichiarato da Denis Vayr della Flai Cgil in un articolo apparso nell'edizione piemontese del quotidiano Repubblica dell'8 gennaio 2016, nei primi giorni di gennaio 2016 l'azienda annuncia la chiusura dello stabilimento di Grugliasco, senza aver mantenuto l'impegno di ricollocare i lavoratori e di fare investimenti come prevedeva l'accordo sindacale;
   la vicenda della Abit apre uno scenario critico sia per i lavoratori sia per il settore agro-alimentare locale, considerato un fiore all'occhiello del Piemonte, che necessita di un urgente piano industriale volto alla salvaguardia della produttività e dell'occupazione –:
   se il Ministro interrogato intenda aprire, di concerto con la società e le organizzazioni sindacali, un tavolo di trattativa che scongiuri la chiusura della società Abit, e se intenda mettere in atto un piano che garantisca da subito una ricollocazione dei lavoratori dell'azienda.
(5-07441)


   MICCOLI, ALBANELLA, GRIBAUDO e PATRIZIA MAESTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'Autorità garante della concorrenza e del Mercato, nella riunione del 9 luglio 2015, ai sensi dell'articolo 21-bis della legge 10 ottobre 1990, n. 287, ha deliberato di inviare un parere motivato, in merito al contenuto del bando di gara per «i servizi di recapito e di gestione della corrispondenza non automatizzata della Direzione Generale e delle Direzioni regionali», (pubblicato sul supplemento della Gazzetta Ufficiale del 13 maggio 2015 – Procedura aperta di carattere comunitario indetta dall'Istituto Nazionale Previdenza Sociale – Inps);
   in particolare, l'Autorità ha contestato all'Inps le norme contenute nel disciplinare di gara perché limitano l'accesso alla gara medesima e conferiscono ingiusti vantaggi concorrenziali a Poste. In particolare, l'articolo 7, comma 1, lettera b.4), stabilisce che il disciplinare di gara prevede, quale requisito di partecipazione alla gara, la «copertura del 100 per cento dei CAP del Lotto di riferimento a pena di esclusione, fermo restando che l'eventuale ricorso al fornitore del servizio universale (Poste Italiane S.p.A.) per i Cap non direttamente coperti dall'offerente verrà computato nella percentuale massima subappaltabile del 30 per cento rispetto all'importo complessivo del contratto, ai sensi dell'articolo 118, decreto legislativo n. 163 del 2006 ...»;
   lo stesso disciplinare di gara, all'articolo 15, contenente la griglia di valutazione dell'offerta tecnica, prevede la possibilità di assegnare fino a 10 punti (su un totale di 20 per l'offerta tecnica); sulla base dei «punti di giacenza aggiuntivi rispetto al requisito minimo di partecipazione (articolo 7, b5) ... I punti di giacenza aggiuntivi saranno considerati utili per l'attribuzione del punteggio fino ad un incremento massimo del 100 per cento rispetto al requisito minimo stabilito per ciascun comune»;
   tali disposizioni, non giustificabili alla luce di ragioni tecniche o di efficienza, potrebbero costituire limiti soggettivi per l'accesso alla gara, limiti capaci di restringere il numero di partecipante a conferire ingiustificati vantaggi concorrenziali al fornitore del Servizio universale postale;
   sul mercato postale italiano solo il fornitore del servizio universale è in grado di garantire, una rete di recapito capillarmente diffusa al 100 per cento (come previsto ai sensi dell'articolo 23 decreto legislativo n. 261 del 1999, così come modificato dal decreto legislativo 31 marzo 2011, n. 58, «il servizio universale è affidato alla società p.a. Poste Italiane per un periodo, comunque non superiore a quindici anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, da determinarsi dall'autorità di regolamentazione, compatibilmente con il processo di liberalizzazione in sede comunitaria»);
   altri operatori postali privati hanno una rete meno estesa, prevalentemente dislocata nelle zone urbane, e non sono in grado di coprire la totalità dei Cap nazionali. Per tale ragione gli stessi utilizzano i servizi postali del Servizio universale (posta prioritaria, posta massiva, posta raccomandata e posta assicurata) per recapitare gli invii nelle parti di territorio italiano non direttamente coperte;
   con i sopracitati limiti, nell'ambito di una gara per l'affidamento del servizio di recapito, computare l'utilizzo del servizio universale nell'ambito della percentuale massima subappaltabile del servizio appaltato, equivale a chiedere all'operatore partecipante la garanzia della copertura, con rete proprietaria (diversa quindi da quella del fornitore del Servizio Universale) del 70 per cento dei Cap;
   escluso Poste Italiane, nessun altro operatore pare possedere queste caratteristiche;
   il requisito richiesto non sembra acquisibile con raggruppamento temporaneo di imprese (RTI);
   secondo quanto traspare dalle enunciazioni dell'Autorità nazionale Anticorruzione (ANAC) esisterebbe l'impossibilità di considerare come subappalto l'affidamento a Post italiane degli invii da recapitare in zone non direttamente coperte dall'operatore postale che presenta l'offerta, giacché, di recente, proprio la stessa Autorità ha escluso che possa essere qualificata come subappalto la gestione della corrispondenza postalizzata sulla rete del fornitore del servizio universale;
   quanto al secondo profilo, si osserva che il bando di gara, prevedendo dei punti di giacenza minimi quali requisiti di accesso, già garantisce un determinato livello di servizio per l'utenza. Il meccanismo di calcolo del punteggio dell'offerta tecnica, laddove garantisce l'assegnazione di 10 punti a chi offra un incremento del 100 per cento dei punti di giacenza, automaticamente, assicura al fornitore del servizio universale – che ha la disponibilità di una rete capillarmente diffusa e che quindi con tutta probabilità riuscirà ad incrementare i punti di giacenza minimi del 100 per cento – l'ottenimento di 10 punti conferendogli, quindi, un ingiustificato vantaggio concorrenziale;
   l'articolo 7, comma 1, lettera b.4, e l'articolo 15 del disciplinare di gara costituisca una violazione di norme a tutela della concorrenza e del mercato, in quanto viola l'articolo. 2 del decreto legislativo n. 163 del 2006 (Codice degli appalti) che prevede: «l'affidamento e l'esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del presente codice deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza; l'affidamento deve altresì rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità;
   ai sensi dell'articolo 21-bis, comma 2, della legge n. 287 del 1990, l'Inps dovrà comunicare all'Autorità, entro il termine di sessanta giorni dalla ricezione del presente parere, le iniziative adottate per rimuovere le violazioni della concorrenza sopra esposte. Laddove entro il suddetto termine tali iniziative non dovessero risultare conformi ai principi concorrenziali sopra espressi, l'Autorità potrà presentare ricorso entro i successivi trenta giorni;
   a seguito del ricevimento di detto parere motivato,  l'Inps, con comunicazione del 10 agosto 2015, ha ritenuto gli atti di cui trattasi (relativi alla procedura di affidamento dei servizi di recapito e di gestione della corrispondenza non automatizzata della Direzione Generale e delle Direzioni regionali), conformi ai principi dettati a tutela della concorrenza e del mercato di cui alla legge n. 287 del 1990;
   l'Autorità ha preso atto del mancato adeguamento dell'amministrazione al parere formulato ai sensi dell'articolo 21-bis della legge n. 287 del 1990, ha disposto l'impugnazione del suddetto bando di gara innanzi al Tar del Lazio –:
    quali siano i motivi che hanno indotto l'Inps a non adeguarsi alle indicazioni dell'Autorità, tanto da indurla a procedere con una forte iniziativa quale l'impugnazione del bando di fronte al TAR del Lazio;
   quali iniziative intenda assumere il Governo affinché l'Inps adotti idonei correttivi a seguito dei rilievi dell'Autorità; quali iniziative si intendano porre in essere, in adempimento alle proprie funzioni tutorie e di controllo, anche rispetto al richiamato procedimento aperto in sede di giustizia amministrativa. (5-07444)

Interrogazione a risposta scritta:


   GULLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   lo Stato italiano, a partire dal 1974, ha previsto diverse norme riguardanti i cani guida per non vedenti;
   il cane guida è un ausilio per i soggetti affetti da disabilità visive;
   la Carta costituzionale tutela i soggetti affetti da disabilità, in particolare, all'articolo 2 riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, all'articolo 3 ribadisce che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale ed è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini e impediscono il pieno sviluppo della persona umana, e all'articolo 32 stabilisce che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo;
   specificamente, le leggi n. 37 del 1974, n. 376 del 1988 e n. 60 del 2006 riguardano l'accesso dei cani guida a luoghi, trasporti, esercizi e uffici pubblici e/o aperti al pubblico;
   risulta all'interrogante, che di recente, come riportato anche dalla stampa nazionale, alcune persone non vedenti si sono viste rifiutare l'accesso a trasporti, ristoranti, strutture alberghiere a causa della presenza del cane guida –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per:
    a) tutelare effettivamente i soggetti non vedenti promuovendo controlli per verificare il rispetto della normativa sui cani guida su trasporti, esercizi e uffici pubblici e/o aperti al pubblico;
    b) rendere, comunque, effettivo il rispetto della normativa riguardante i cani guida per non vedenti. (4-11739)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GAGNARLI, BENEDETTI, GALLINELLA, PARENTELA e L'ABBATE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni il settore brassicolo sta crescendo di importanza ed interesse conseguendo una forte crescita economica (più del 20 per cento annuo) e sollecitando positivamente anche l'indotto e l'agricoltura;
   il settore è attualmente rappresentato da oltre 800 microbirrifici, con un'età media dei titolari d'impresa tra i 30 e i 35 anni, una media di circa 3 dipendenti, un fatturato complessivo di 120 milioni di euro, con un volume di export superiore al 10 per cento (dati Confederazione Nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa);
   per quanto riguarda la parte agricola, si sta assistendo anche alla nascita dei primi produttori di luppolo italiano, supportati da studi e ricerche per migliorarne la qualità e la resa;
   questa pianta officinale, ingrediente determinante per la produzione di birra artigianale nonostante quantitativamente inferiore rispetto all'orzo, viene totalmente importata dall'estero, principalmente dalla Germania (con 34.249 tonnellate detiene il 26,5 per cento della produzione mondiale) seguita dall'Etiopia (con 30.938 tonnellate detiene il 23,9 per cento della produzione mondiale) e dagli Stati Uniti (con 29.707 tonnellate detiene il 23,0 per cento della produzione mondiale);
   l'industria birraia italiana, quindi, importerebbe completamente il proprio fabbisogno di luppolo, valutabile ad oltre 15 mila quintali l'anno (www.rivistediagraria.org). Nonostante i 3 Paesi sopra menzionati ne detengano gran parte delle quote, oggi la coltivazione del luppolo è sviluppata in tutto il mondo, compresi i Paesi del Mediterraneo a noi affini, come Francia, Spagna e Portogallo;
   in Italia, purtroppo, la filiera del luppolo è completamente assente: dai fornitori di materiali per la costruzione degli impianti di coltivazione, ai macchinari, ai consorzi per il conferimento della produzione. Peraltro, nel territorio italiano esistono innumerevoli ecotipi di luppolo che crescono spontaneamente e presentano un'ampia variabilità genetica, mai identificata, che potrebbe presentare caratteristiche uniche di pregio;
   sono stati avviati dei programmi di ricerca sul luppolo autoctono italiano, ad esempio il progetto a cui partecipano il comune di Marano sul Panaro, l'università di Parma e la neonata start up Italian hops company srl. L'obiettivo del programma è quello di realizzare un tipo di coltivazione di alta qualità, raccogliendo luppoli autoctoni nelle aree vocate, come Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Toscana, e altre;
   la coltivazione del luppolo, tuttavia, presenta diverse criticità, delle quali la più rilevante sembra essere l'indisponibilità di prodotti fitosanitari. Per l'appunto, ad oggi non esistono formulati commerciali per la difesa fitosanitaria che siano registrati per l'utilizzo sul luppolo, presumibilmente a causa del fatto che le ditte produttrici non trovano interesse ad investire denaro per ottenere l'estensione della registrazione di formulati già utilizzati su colture simili, come la vite –:
   se non ritenga opportuno tutelare i produttori delle colture minori di cui all'articolo 51 del Regolamento dell'UE 1107/2009, tra cui anche il luppolo, innanzi tutto al fine di classificarle, per poi proporre soluzioni che permettano agli stessi produttori di usufruire di una difesa fitosanitaria adeguata. (5-07435)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRACÌ. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   le notizie diffuse dagli organi di stampa nelle ultime ore, riguardano la grave e dolorosa piaga della Xylella fastidiosa che, favorita da condizioni climatiche alquanto anomale per la stagione invernale, progredisce inesorabile conquistando fette di territorio salentino fino a ieri integre;
   è proprio così, da oggi, anche la provincia di Taranto e più specificatamente il comune di Avetrana, si aggiunge a Lecce e Brindisi come area interessata dal batterio killer degli ulivi e sicuramente nei prossimi giorni, altri ed ulteriori focolai saranno segnalati in Puglia, dimostrando al mondo intero come in Italia la politica, la paura di perdere consensi elettorali, il tergiversare, il facile populismo, i timori di subire azioni legali, prevalgono sul coraggio delle decisioni, creando una grave impasse nel campo della ricerca scientifica, amministrativa ed operativa, producendo nella fattispecie, danni incalcolabili al proprio territorio;
   infatti, se in un primo momento i provvedimenti della magistratura leccese (in merito all'epidemia di Xylella fastidiosa e del complesso del disseccamento rapido dell'olivo – Co.Di.R.O.), hanno bloccato il piano bis del commissario governativo dottor Silletti (redatto in funzione e nel rispetto sia delle decisioni di esecuzione 2015/789/UE del 18 maggio 2015, sia di specifici atti normativi emanati dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali a seguito anche delle diverse ispezioni eseguite da membri del Comitato fitosanitario di Bruxelles e dallo stesso commissario Adriukaitis), in una seconda fase, quasi immediata, ciò ha prodotto anche l'esautoramento della struttura operativa e di gestione per il controllo, monitoraggio e verifica della fitopatia con le dimissioni proprio del commissario delegato dottor Silletti e, parimenti, l'inibizione di qualsiasi attività avente per oggetto la Xylella fastidiosa, operata da studiosi ed affermati ricercatori scientifici (afferenti ad enti di ricerca statali ed universitari), bersagliati tra l'altro anche da avvisi di garanzia. Di fatto, oggi in Puglia e nel Salento, non si effettuano più né attività di monitoraggio dei territori olivicoli, né campionamenti, venendo meno anche la lotta all'insetto vettore « Philaenus spumarius» nota come «sputacchina», causa principale nella diffusione dell'agente patogeno;
   a tutto ciò si deve aggiungere che il presidente della regione Puglia Michele Emiliano, ha asserito pubblicamente che se pur le decisioni Comunitarie vadano rispettate e non potendo più adempiere alle specifiche richieste dell'Unione europea (per effetto dell'azione giudiziaria), è giunto il momento per dichiarare chiusa la fase emergenziale della fitopatia;
   appare evidente, secondo l'interrogante, che tale dichiarazione del presidente della regione Puglia è un'imprudenza bella buona, dimostrando tra l'altro facile volubilità nell'affrontare decisioni importanti: prima questi si impegna a creare una task force di 45 persone, fra studiosi e ricercatori di alto profilo che avrebbero costituito l'organismo di ricerca regionale sulla Xylella fastidiosa e poi, dopo l'intervento della magistratura, smantella tutto dichiarando la fine dello stato di emergenza; sorge all'interrogante il dubbio che tale scelta sia stata dettata dal fatto che le attività di ricerca e monitoraggio e certificazione degli enti preposti ai controlli del batterio erano state sospese da tempo; è come se si confidasse nei soli provvedimenti della magistratura leccese per l'automatica cessazione della situazione emergenziale che vive il territorio salentino e la Puglia tutta; non è chiaro cosa diranno il Ministro interrogato e il presidente Emiliano a tutti gli olivicoltori che vedono giorno per giorno la morte delle loro piante e delle loro attività imprenditoriali, cosa diranno a tutte le imprese vivaistiche delle province di Lecce, Brindisi e Taranto le cui attività imprenditoriali svolte con sacrificio sono gravemente compromesse. È opportuno chiedersi dove siano finiti i bei propositi, le belle parole e gli impegni per tutelare il territorio, il paesaggio e gli ulivi secolari. Peraltro, tale drammatica situazione risulta oramai certificata attraverso specifici atti dallo stesso Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali tant’è che, la l'Unione europea da par suo e per bocca del proprio portavoce (il commissario Vytenis Andriukaitis), chiede «una rapida ed efficace azione da parte delle autorità italiane per salvare le piante sane ed evitare il diffondersi della Xylella in Italia ed in Europa», rammentando, tra l'altro, che la fitopatia in questione «è una delle malattie più pericolose per le piante e con un serio impatto economico per le aree colpite» (si veda al proposito la notizia ANSA del 21 dicembre 2015); da parte della Commissione europea proviene, inoltre, non solo l'invito all'Italia ad agire con solerzia, ma si procede anche con la messa in mora dello Stato italiano per le inadempienze nei confronti delle disposizioni comunitarie;
   alla luce di tutto ciò, appare del tutto insensato, all'interrogante, dichiarare chiusa la fase emergenziale soltanto perché non si effettuano più controlli sul territorio e il territorio pugliese è ormai in pericolo e nessuno può permettersi di formulare congetture e dietrologie; è giunto il momento, di affrontare il problema con serietà e coraggio e chi non è grado di affrontare tali sacrifici e responsabilità, dovrebbe fare un passo indietro –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare per sanare tale situazione incresciosa;
   se non intenda, in particolare, assumere iniziative, per quanto di competenza, per l'istituzione di una commissione scientifica internazionale operante sul territorio salentino e pugliese che, con autorevolezza ed incontrovertibile approccio scientifico, compia in modo itinerante attività di controllo, monitoraggio, verifica e ricerca sulla fitopatia, utile per accertare la diffusione della malattia che risulterà comunque, attività obbligatorie per legge e specificatamente richieste dall'Unione europea, tale richiesta si rende necessaria proprio per non cadere nella trappola dei «conflitti» esistenti fra i diversi gruppi di ricerca (Università/Cnr), che si sono palesati con l'azione della magistratura leccese, avendo approcci differenti nella soluzione e nel contrasto alla Xylella fastidiosa;
   in subordine, da quali competenze e da quali laboratori verranno effettuati, per conto del Governo, i saggi diagnostici per l'accertamento della malattia, considerato che i consulenti tecnici della procura, ad avviso dell'interrogante, sono parte in causa ed evidenti e riconosciuti «concorrenti scientifici» del gruppo di ricerca che fino ad oggi ha collaborato con la struttura operativa del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e del servizio fitosanitario nazionale;
   se intenda promuovere sin da subito l'implementazione di un «Piano Agricolo Speciale» da attuare nei territori ricadenti nell'area di calamità, prevedendo altresì che detto piano agricolo possa essere implementato grazie alle risorse comunitarie del piano di sviluppo rurale, potenziandolo economicamente, visto che l'Unione europea è da ritenersi per l'interrogante comunque responsabile dell'emergenza Xylella fastidiosa venutasi a creare in Puglia, perché non ha saputo vigilare ed ottemperare a quelle stesse norme da essa emanate, come la direttiva comunitaria 2000/29/CE, articolo 20, relativo alle «certificazioni fitosanitarie obbligatorie di cui all'articolo 13, paragrafo 1, punto ii», riguardo all'importazione e movimentazione di piante, o alla direttiva 2004/103/CE, articolo 21, che impone controlli ufficiali nei punti di entrata nei territori dell'Unione europea;
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda adottare circa la composizione del Comitato scientifico nazionale, nominato con decreto ministeriale 12 settembre 2014 (prot. 0009551) che, ad oggi, stando a quanto si legge nei provvedimenti della magistratura leccese, risulta in larga parte della sua composizione destinatario di avviso di indagini e distrutto nella sua credibilità scientifica. (4-11744)


   GALLINELLA, GAGNARLI, L'ABBATE, PARENTELA, BENEDETTI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   alcune razze bovine nazionali sono annoverate tra le migliori popolazioni al mondo e il patrimonio genetico che esse esprimono rappresenta un grandissimo potenziale da valorizzare costantemente affinché il miglioramento produttivo e funzionale si realizzi appieno;
   la produzione e commercializzazione di materiale seminale per la fecondazione artificiale bovina costituisce pertanto un'attività preziosa e indispensabile alla determinazione delle qualità genetiche dei riproduttori e alla selezione e riproduzione in seno alla razza, anche al fine della valorizzazione economica e della acquisizione, da parte degli allevatori, di competitività in un mercato ormai globalizzato e fortemente concorrenziale;
   molte aziende che svolgono le succitate attività si trovano ad operare nell'ambito di un sistema allevatoriale la cui struttura, a partire dalla Associazione italiana allevatori (AIA), si articola in Associazioni nazionali di razza (ANA), in Associazioni regionali, (ARA), e in Associazioni provinciali (APA);
   come noto, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali si avvale dell'AIA per l'attuazione di una serie di adempimenti relativi alla raccolta dei dati produttivi e riproduttivi, ai parti, alle fecondazioni e a tutti gli altri eventi che interessano la riproduzione e l'AIA, a sua volta, dispone dell'ANAFI, la Associazione nazionale di razza frisona per le valutazioni genetiche, morfologiche e per i piani di accoppiamento;
   l'AIA detiene, tramite il Consorzio incremento zootecnico srl e Semen Italy srl, il 66 per cento di Inseme spa che è il maggior centro di fecondazione artificiale;
   alcune delle cariche statutarie di ANAFI, AIA e la società Inseme, a quanto risulta agli interroganti sono ricoperte dalla stessa persona e comunque tra le suddette associazioni e società risulterebbe evidente agli interroganti una commistione di interessi che ostacola lo svolgimento dell'attività di riproduzione e commercializzazione esercitata dai centri privati –:
   se non si ravvisi un conflitto di interessi tra l'AIA, alla quale il Ministero affida una serie di incarichi, e gli altri centri privati che operano nel settore del miglioramento genetico delle razze e che non hanno alcun incarico da parte della pubblica amministrazione e quali iniziative di competenza intenda assumere affinché siano ripristinate pari condizioni di concorrenza per tutti gli operatori del mercato del materiale seminale. (4-11746)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   il 17 gennaio 2016 sul canale Rai 3, il programma televisivo «Presa Diretta» mandava in onda un servizio dedicato alla difficile applicazione della legge n. 194 del 1978 nelle strutture pubbliche ospedaliere;
   a rendere così difficile l'applicazione della 194 è l'obiezione di coscienza che in Italia vede il 70 per cento dei medici e infermieri obiettori con alcune regioni come in Molise dove addirittura si sfiora il 93 per cento;
   le lunghe liste d'attesa in Italia non consentono molto spesso di rispettare il limite delle 12 settimane di gestazione previsto dalla legge. Ciò per la donna comporta un viaggio all'estero per praticare l'interruzione volontaria di gravidanza;
   il 16 gennaio 2016 il «New York Times» ha dedicato un articolo a una piccola città italiana, Ascoli Piceno, dove la legge n. 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza è totalmente inapplicata: le donne che scelgono di interrompere la gravidanza sono costrette a spostarsi;
   sempre nelle Marche nella provincia di Ancona, l'ospedale di Jesi ha sospeso il servizio d'interruzione volontaria di gravidanza, perché gli unici due medici che applicavano la legge 194 improvvisamente sono diventati obiettori;
   purtroppo, la quasi totalità dei medici obiettori fa sì che mentre da un lato diminuisce l'offerta del pubblico dall'altro aumentano le interruzioni di gravidanza clandestine o casi di donne che si procurano l'aborto a casa prendendo pillole che si possono acquistare via internet o direttamente in farmacia;
   tali pratiche possono essere rischiose per la vita della donna, in considerazione del fatto che gli interventi clandestini vengono effettuate in ambienti non sterili e senza nessun tipo di assistenza;
   altra conseguenza del nostro Paese – che ha un'elevatissima obiezione – è l'aspetto psicologico della donna che nella piena autodeterminazione e con un diritto sancito dalla legge decide di affrontare un'interruzione volontaria di gravidanza;
   l'interruzione di gravidanza per ogni donna resta una decisione difficile; essa è costretta ad affrontare situazioni spiacevoli per la scelta che ha intrapreso. Non vi è un sostegno psicologico per un percorso molto particolare e doloroso, ma ancora più grave è il giudizio di colpa che molto spesso viene loro inflitto;
   è doveroso ricordare che nel resto d'Europa, come ad esempio nella vicina Francia, tutti gli ospedali pubblici hanno l'obbligo per legge di rendere disponibili i servizi d'interruzione della gravidanza. In Inghilterra è obiettore solo il 10 per cento dei medici ed esistono centri di prenotazione aperti 24 ore su 24, sette giorni su sette e, infine, tutti gli operatori che decidono di lavorare nelle strutture di pianificazione familiare non possono dichiararsi obiettori. In Svezia invece non esiste il diritto all'obiezione di coscienza;
   oltre a ciò, a causa dell'alta obiezione, le strutture ospedaliere pubbliche per garantire il servizio d'interruzione volontaria di gravidanza sono spesso costrette a ricorrere alle prestazioni dei «gettonisti» oppure a richiamare in servizio i medici in pensione con il conseguente aggravio della spesa sanitaria;
   nelle strutture private convenzionate l'obiezione quasi non esiste poiché basta pagare per l'intervento circa 1600 euro. Tali costi poi vengono imputati alla sanità pubblica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della drammatica situazione in cui versano le strutture sanitarie pubbliche per quanto riguarda l'applicazione della legge n. 194 del 1978;
   se non ritenga che la tragicità della situazione imponga interventi tempestivi pur tenendo conto dei limiti imposti dalla legislazione nazionale e internazionale;
   quali siano i costi a carico della collettività dovuti alle interruzioni volontarie di gravidanza praticate dai medici «gettonisti». (5-07429)


   BECATTINI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo un articolo del 24 novembre 2015 pubblicato sul sito www.redattoresociale.it, si starebbe verificando in diversi Paesi del mondo un'ampia pubblicizzazione di una miscela, la MMS (Miracle mineral solution), asseritamente idonea alla cura di malattie come l'autismo, l'Alzaheimer, l'Hiv, la malaria ed il cancro;
   il succitato articolo riporta quanto rivelato da Gianluca Nicoletti sul portale Pernoiautistici in una documentata indagine giornalistica in cui si spiega come la MMS sarebbe essenzialmente una miscela composta da clorito di sodio e acido idrocloridrico, che sono tra i componenti della varechina;
   questa soluzione miracolosa farebbe parte delle liturgie di una organizzazione non religiosa nota come «Chiesa della Salute Genesis II» che diffonde il culto del benessere e della salute;
   Nicoletti spiega come in Inghilterra sarebbero iniziate le indagini su notizie di madri che somministrerebbero questa miscela ai propri figli per curare alcune importanti malattie;
   tuttavia, il presunto potere miracoloso della pozione sarebbe stato negato dai medici tanto che in Canada il prodotto sarebbe stato vietato dopo aver causato una grave reazione allergica in un uomo anziano; a dare l'allarme sarebbe stata la Fda (Food and Drug Administration ente americano per il controllo sanitario) che ha raccolto numerose segnalazioni da parte di consumatori che, dopo aver assunto il prodotto, avrebbero riscontrato alcuni disturbi tra cui nausea grave, vomito e abbassamento della pressione a livelli pericolosi per la vita, a causa della disidratazione;
   in Italia il sito che metteva in vendita questa miscela sarebbe stato sottoposto a sequestro dalla polizia postale, tuttavia vi sarebbero diverse sponsorizzazioni su Facebook del prodotto che, tra l'altro, sarebbe ancora acquistabile ad un prezzo accessibile per il tramite dell’account della «Chiesa della Salute Genesis II»;
   la suddescritta situazione, se confermata, rappresenterebbe un potenziale pericolo per la salute di molti cittadini che, fiduciosi nelle potenzialità del prodotto, potrebbero acquistarlo per curarsi da alcune tra le patologie più diffuse ed importanti ad oggi esistenti;
   la salute è un diritto fondamentale dell'individuo e riceve la più alta tutela nell'articolo 32 della Costituzione –:
   se il Governo non ritenga urgente e doveroso assumere iniziative volte a fare luce, per quanto di competenza, sui fatti di cui in premessa e, ove risultasse provato quanto riportato, a stabilire misure idonee ad ostacolare la promozione e la vendita del summenzionato prodotto;
   se non si ritenga necessario attuare campagne di informazione per salvaguardare i cittadini dal facile acquisto di prodotti asseritamente idonei a curare gravi patologie ed in realtà potenzialmente pericolosi per la salute. (5-07439)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CRIVELLARI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   ad oggi sono riconosciuti gli effetti positivi che i medicinali a base di cannabis hanno soprattutto nelle terapie del dolore, inclusi nei casi si dolori collegati a patologie invalidanti o a lesioni particolari;
   vi sono informazioni scientifiche che hanno validato l'utilità dell'impiego della cannabis per trattare alcuni tipi di sintomi;
   sono state raccolte diverse sollecitazioni per un intervento da parte del Ministero della salute affinché i farmaci a base di oppiacei possano essere venduti nei prontuari farmaceutici italiani, nessuno escluso, a costi accessibili e soprattutto affinché i medici di base possano avere la facoltà di prescriverli;
   anche le regioni – e in particolare la regione Veneto – dovrebbero aggiornare gli elenchi delle patologie per le quali la cura a base di cannabis sia supportata da servizio sanitario nazionale;
   oggi un paziente paraplegico di Rovigo, con dolori non trattabili con gli oppiacei, è costretto a ricorrere ad un medico milanese (come è stato segnalato dalla stampa locale nei giorni scorsi) per farsi prescrivere i farmaci a base di cannabis e deve sicuramente acquistarli in altra provincia, perché in quella di Rovigo non esiste attualmente farmacia o presidio che possa consegnare tali farmaci, con l'onere di pagarsi interamente la cura;
   nella provincia di Rovigo sembra si stia consumando una effettiva disparità di trattamento rispetto ad altre province italiane anche limitrofe, forse anche a causa di non corrette interpretazioni da parte dei funzionari delle aziende sanitarie locali competenti –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare per superare eventuali discriminazioni come quelle che i pazienti della provincia di Rovigo sembrano subire rispetto ai cittadini residenti in altre e quali siano gli orientamenti del Governo in ordine all'opportunità di ampliare le patologie e le cause di dolore per le quali si possa ricorrere ai farmaci a base di cannabis e, non ultimo, quali risorse sia possibile mettere in campo per contenere i costi o rendere gratuite le cure a base di oppiacei. (4-11723)


   VILLAROSA, D'UVA, MARZANA, GRILLO, LOREFICE, MANTERO, CECCONI, COLONNESE e DIENI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Sicilia, insieme ad altre regioni italiane, è sottoposta a piano di rientro finalizzato a verificare la qualità delle prestazioni ed a raggiungere il riequilibrio dei conti dei servizi sanitari regionali. Il Ministero della salute, attraverso il SIVEAS, affianca le regioni in questa difficile operazione, cercando di aiutare gli enti regionali, anche quelli a statuto speciale come la Sicilia, al raggiungimento degli obiettivi previsti dai piani di rientro;
   considerato il difficilissimo compito di rimettere in equilibrio il sistema di salute pubblica tra deficit finanziario ed erogazione di livelli essenziali di assistenza, appare abbastanza singolare la riflessione generica sul contenimento della spesa associata a comportamenti discutibili di alcuni direttori generali e di quello dell'ASP Messina in particolare;
   tutte le organizzazioni sindacali denunciano da tempo la scarsa disponibilità, del direttore generale dell'ASP di Messina, dottore Gaetano Sirna, ad un confronto costruttivo e utile ai fini della partecipazione delle parti ai processi di riorganizzazione dell'azienda e più volte, lo stesso direttore generale dottore Sirna è stato condannato dai tribunali della Repubblica Italiana;
   dal sito fialsmessina.it, il 22 gennaio 2015, si apprende la notizia della condanna, per condotta antisindacale, dell'azienda sanitaria provinciale di Messina, condanna che prevede l'annullamento delle determinazioni assunte per disciplinare la procedura di mobilità interna, volontaria e d'ufficio, nonché l'obbligo di astenersi in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi, oltre alla rifusione delle spese giudiziali;
   il tribunale, il 21 gennaio 2015, ha condannato l'ASP di Messina alla rifusione delle spese giudiziali, liquidata in euro 1.095,00 per compensi professionali, oltre i.v.a., c.p.a. e rimborso spese generali;
   in data 28 gennaio 2015 anche il tribunale amministrativo regionale, sezione staccata di Catania, ha accolto il ricorso n. 1941 del 2014 presentato dalla F.I.A.L.S. condannando l'azienda sanitaria provinciale di Messina alla rifusione delle spese di lite, liquidate in complessivi 1.000 euro oltre accessori di legge se dovuti;
   in data 13 febbraio 2015 il direttore generale dell'ASP Messina, dottore Gaetano Sima, dispone una nuova attivazione procedura mobilità interna del personale infermieristico in via prioritaria volontaria ed in subordine d'ufficio, reiterando, di fatto, un atto già giudicato negativamente da ben due tribunali;
   in data 23 dicembre 2015 il tribunale di Messina, sezione lavoro, dispone la cessazione degli effetti della determina datata 1o ottobre 2015 con la quale si disponeva la chiusura definitiva della Comunità terapeutica assistita (Cta) di Oliveri (ME) condannando inoltre, e per l'ennesima volta, il direttore generale dottore Sirna per condotta antisindacale;
   in data 29 dicembre 2015 il primo firmatario del presente atto è andato presso la Comunità terapeutica assistita di Oliveri per verificare di persona la segnalazione ricevuta che riferiva la totale inosservanza di quanto disposto dal tribunale di Messina, sezione lavoro;
   il primo firmatario del presente atto resosi conto della volontà del dirigente medico responsabile della CTA di Oliveri di osservare ed implementare la delibera del 1o ottobre 2015 annullata, di fatto, in data 23 dicembre dal tribunale di Messina sezione lavoro, ha chiamato i carabinieri e successivamente ha formalizzato regolare denuncia presso il comando dei carabinieri di Falcone;
   si è venuti a conoscenza, alcuni giorni dopo la visita della Comunità terapeutica assistita di Oliveri, che, proprio nell'intervallo temporale della visita del primo firmatario del presente atto, alle 10.06, è stata inviata una comunicazione, via mail alle organizzazioni sindacali, cercando di «sanare» la spinosa situazione venutasi a creare, nella quale si trasmetteva una nota del dottore Sirna che comunicava nuovamente, l'imminente chiusura della Comunità terapeutica assistita di Oliveri in data 31 dicembre, come previsto dalla determina poi annullata dal tribunale di Messina, reiterando la volontà di perseguire un comportamento condannato da un tribunale della Repubblica Italiana;
   in data 30 dicembre 2015, il dirigente medico responsabile della Comunità terapeutica assistita di Oliveri, dottoressa Montagnese, invia, tramite telegramma, una specie di ultimatum al congiunto dell'ultimo utente rimasto nella struttura e, facendo riferimento a ripetute comunicazioni verbali avvenute nei giorni precedenti, cerca di persuadere e convincere il congiunto dell'utente della Comunità terapeutica assistita a prelevare volontariamente il paziente dalla struttura di Oliveri entro le ore 12.00 del giorno seguente e, in caso di riscontro negativo, avrebbe trasferito l'utente presso una non precisata struttura residenziale simile a quella di Oliveri, facendo supporre agli interroganti che tale presa di posizione sia stata perpetrate anche ai danni delle famiglie degli altri utenti e che la struttura di Oliveri sia stata svuotata, implementando una metodologia decisamente discutibile, considerato il fatto che i pazienti con diagnosi psichiatrica o con patologie invalidanti, hanno, di diritto, un piano terapeutico diagnostico individualizzato che non rende le strutture di cura dei semplici contenitori strutturali «totalizzanti», e che i processi di dismissione ed accoglienza devono essere seguiti dall’equipe della struttura di dismissione e di nuova residenza. Oltre a ciò, la lontananza dai parenti e congiunti della nuova struttura di assegnazione crea gravi danni all'equilibrio di salute mentale dei pazienti in cura riabilitativa;
   successivamente, si è venuti a conoscenza ed in possesso di una comunicazione emessa dal direttore generare dottore Sirna in data 23 ottobre 2015 ed indirizzata alla Casa di solidarietà e accoglienza gestita da padre Insana, nella quale il direttore generale dottore Sirna fornisce dei dati diversi da quelli ricevuti dal primo firmatario del presente atto in risposta all'interrogazione n. 4-08314. Il dottore Sirna infatti afferma che le Comunità terapeutica assistita presenti in provincia di Messina sono cinque e non tre come scritto dalla Ministra Lorenzin;
   le CTA:
    Messina – Cittadella della Salute Mandalari;
    Naso;
    Terme Vigliatore;
    Oliveri;
    Saponara (a gestione privata da euro 122.717,00 al mese a vantaggio della Kennedy s.r.l);
   sempre nella medesima comunicazione del 23 ottobre 2015, il direttore generale dottore Gaetano Sirna, palesa l'intenzione di distribuire geograficamente le CTA in quanto la zona ionica della provincia di Messina evidenzia una carenza di tali strutture, ma stranamente, nella frase successiva lo stesso direttore generale individua a tale scopo il comune di Santa Domenica di Vittoria situato lontanissimo dalla costa ionica, ai piedi dell'Etna ad oltre 1.000 metri s.l.m. e vicinissimo a Randazzo che però è in provincia di Catania;
   in data 13 gennaio 2015, la Gazzetta del Sud, riporta la notizia di un nuovo «ricorso al TAR che potrebbe indurre anche la magistratura ordinaria ad aprire un'inchiesta per una convenzione che elude un appalto pubblico. Nel mirino del ricorso, presentato da un'azienda di ristorazione alla quale verrà preclusa la possibilità di partecipare a futuri bandi pubblici per il servizio mensa della nuova CTA, vi è la convenzione fra l'ASP Messina ed il Comune di Santa Domenica Vittoria, già approvata dai consiglieri del centro nebroideo, con cui si prevede l'apertura di una nuova CTA nel centro situato al confine con la provincia di Catania». Negli atti adottati ci sarebbero potenziali illegittimità legate al fatto che gli accordi fra pubbliche amministrazioni non possono avere natura economica onde evitare che sia aggirata la procedura ad evidenza pubblica. Per i ricorrenti, si legge nell'articolo della Gazzetta del Sud, l'ASP Messina avrebbe violato i principi generali in materia di affidamento di lavori pubblici, servizi e forniture oltre che quelli inerenti alla concorrenza, trasparenza, proporzionalità e pubblicità, considerato anche che l'ammontare dell'intero affare, 3 pasti al giorno, per 20 pazienti, per 10 anni, è stato calcolato e stimato in euro 835.500, decisamente molto fuori dalla soglia prevista per gli affidamenti diretti –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa riguardanti il comportamento più volte assunto dal direttore generale dottore Gaetano Sirna;
   se intenda procedere, nell'ambito dell'esame del piano di rientro dai disavanzi sanitari, ad un accurato controllo in merito alla gestione delle CTA private ed in particolare riguardo alla Kennedy s.r.l. beneficiaria di 1,5 milioni di euro annui per la gestione di 20 utenti/pazienti;
   se sia a conoscenza dell'esatto numero di CTA presenti in provincia di Messina;
   se intenda, per quanto di competenza, anche nell'ottica del contenimento della spesa, in particolare per le regioni sottoposte a piano di rientro, assumere iniziative per arginare il grave fenomeno di costi imposti al bilancio sanitario da atti che, finendo per reiterare atti già annullati con soccombenza dell'ente e pagamento delle spese giudiziali, provocano ulteriori aggravi di spesa e se tali costi siano oggetto di attenzione nell'ambito del tavolo di verifica del disavanzo sanitario;
   di quali elementi disponga circa lo stato di attuazione dei piano di rientro dai disavanzi sanitari in Sicilia e, in particolare, circa i profili gestionali e finanziari dell'ASP di Messina. (4-11747)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   ARLOTTI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la medicina fiscale del settore pubblico è attualmente in carico alle regioni, in un quadro regionale molto variegato e con notevoli differenze, sia come inquadramento del personale medico, sia come entità dei compensi;
   a titolo esemplificativo, i medici fiscali operanti presso le aziende unità sanitarie locali  della regione Emilia-Romagna sono inquadrati come liberi professionisti con contratti a termine, spesso con una anzianità di servizio di 15-20 anni e più e i loro compensi fanno ancora riferimento alla delibera della regione Emilia Romagna n. 1783  del 22 settembre 2003;
   in confronto, i compensi dei medici fiscali Inps, operanti su tutto il territorio nazionale, con rapporto di lavoro del tutto analogo sia per tipologia di lavoro, che per inquadramento contrattuale libero-professionale, risalgono a quelli stabiliti dal decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale 8 maggio 2008 e risultano essere tre volte tanto quelli stabiliti dalla regione Emilia-Romagna;
   lo Stato attribuisce risorse alle regioni (circa 70 milioni di euro all'anno), a fronte degli oneri da sostenere per gli accertamenti medico-legali sui lavoratori assenti per malattia, che non possono essere destinate a finalità diverse da tali accertamenti;
   in questo quadro, si è delineata in questi anni la possibilità di accentrare in un polo unico presso Inps tutta la medicina fiscale, sia quella rivolta ai lavoratori del settore privato, già oggi di competenza Inps, sia quella rivolta ai lavoratori del pubblico impiego, oggi in carico alle aziende unità sanitarie locale, quindi alle singole regioni;
   dalla «indagine conoscitiva sull'organizzazione dell'attività dei medici che svolgono gli accertamenti sanitari per verificare lo stato di salute, del dipendente assente, per malattia» svolta in passato presso la commissione affari sociali della Camera dei deputati è emerso che le regioni non intenderebbero più avere l'obbligo delle visite di controllo ai lavoratori dipendenti pubblici in quanto disciplina che non rientra nei livelli essenziali di assistenza;
   il documento finale della commissione, presentato nel maggio 2014, affermava l'opportunità di individuare un unico soggetto in capo dall'Inps, cui affidare la funzione di controllo e di prevedere, sempre in capo all'Inps, il ricorso al medico fiscale presente nelle liste istituite presso tale ente, nelle quali, come cita il documento stesso, «vanno inseriti anche i medici che svolgono analoga attività presso le ASL»;
   con l'articolo 17 della legge 124 del 2015 del 7 agosto 2015 recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche» è stata approvata la costituzione del polo unico: «riorganizzazione delle funzioni in materia di accertamento medico-legale sulle assenze dal servizio per malattia dei dipendenti pubblici, al fine di garantire l'effettività del controllo, con attribuzione all'Istituto nazionale della previdenza sociale della relativa competenza e delle risorse attualmente impiegate dalle amministrazioni pubbliche per l'effettuazione degli accertamenti [...]», con la previsione del prioritario ricorso alle liste di cui all'articolo 4, comma 10-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013 n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013 n. 125, e successive modificazioni;
   si è attualmente in attesa dei decreti delegati attuativi in materia –:
   se, nella costituzione del polo unico, il Governo intenda tenere conto non solo dei medici fiscali dell'Inps e della loro stabilizzazione lavorativa, ma intenda considerare anche quei medici che hanno prestato fino ad oggi, per naturale competenza professionale e secondo disposizioni di legge, il loro servizio presso il servizio sanitario nazionale con contratti con le aziende sanitarie locali. (4-11736)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIPRINI, TRIPIEDI, LOMBARDI, CHIMIENTI, COMINARDI e DALL'OSSO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della giustizia, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto nazionale per il commercio estero ha bandito nell'ottobre 2008, previa autorizzazione della Presidenza del Consiglio dei ministri, un concorso pubblico a 107 posti area funzionale C, posizione economica C1, attuale area III posizione economica F1;
   la graduatoria finale di merito è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 30 aprile 2010;
   il decreto-legge n. 98 del 2011, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, ha soppresso l'Istituto per il commercio estero, e successivamente con il decreto-legge n. 201 del 2011 è stato disposto il trasferimento delle inerenti risorse di personale al Ministero dello sviluppo economico e all'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, di nuova istituzione;
   recentemente il Ministero della giustizia ha richiesto all'ICE di poter condividere la graduatoria del concorso di cui sopra al fine di impiegarne i non assunti nei ruoli dell'amministrazione giudiziaria. Ottenutane l'autorizzazione del dipartimento della funzione pubblica per l'assunzione nell'anno 2014 di 96 unità, sono state avviate le relative procedure di immissione in servizio per destinare i neoassunti agli uffici giudiziari che soffrono di notevoli carenze di organico;
   tale fase ha già assicurato l'impiego dei vincitori disponibili non assorbiti dall'ICE e, in virtù dello scorrimento resosi necessario a seguito di numerose rinunce, molto probabilmente sarà possibile garantire l'assorbimento anche di un rilevante numero di idonei;
   il comma 3 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 101 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, stabilisce che fino al 31 dicembre 2016, per le amministrazioni pubbliche che vogliano avviare procedure concorsuali per l'assunzione di personale, l'autorizzazione sia subordinata:
    a) alla verifica della avvenuta immissione in servizio presso l'amministrazione di tutti i vincitori di concorso collocati in graduatorie vigenti per assunzioni a tempo indeterminato per qualsiasi qualifica, salvo comprovate necessità organizzative, non temporanee ed adeguatamente motivate;
    b) alla assenza di idonei collocati in graduatorie vigenti dal 1o gennaio 2007, relative alle professionalità necessarie anche secondo un criterio di equivalenza;
   il comma 3-ter, prevede, altresì, l'applicazione dell'articolo 3, comma 61, terzo periodo, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria 2004), ossia la possibilità di effettuare assunzioni, anche utilizzando le graduatorie di pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni, previo accordo tra le amministrazioni interessate, ferma restando la salvaguardia della posizione occupata nella graduatoria dai vincitori e dagli idonei per le assunzioni a tempo indeterminato;
   lo scorrimento della graduatoria del suddetto concorso all'epoca bandito dall'Ice consentirebbe alla pubblica amministrazione – in base al principio di economicità e speditezza dell'azione amministrativa – anche un notevole risparmio economico e di tempo così ovviando ai costi gravanti all'amministrazione derivanti dalla gestione di ulteriori procedure di reclutamento di personale amministrativo anche in applicazione di quanto previsto dal decreto-legge n. 101 del 2013 convertito dalla legge n. 125 del 2013 –:
   se il Governo intenda procedere allo «scorrimento» della graduatoria e all'immediato assorbimento da parte dell'amministrazione degli idonei collocati nella graduatoria del concorso pubblico all'epoca bandito dall'ex Ice di cui in premessa, anche in attuazione delle norme di cui al decreto-legge n. 101 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, finalizzate alla celere assunzione dei vincitori dei concorsi pubblici nonché degli idonei all'assunzione collocati in graduatoria tramite il meccanismo dello scorrimento delle graduatorie, anche prorogando l'efficacia delle graduatorie vigenti ovvero incentivando gli accordi tra le amministrazioni interessate circa la possibilità di utilizzare, prima di indire nuovi concorsi, le graduatorie relative ai concorsi approvate da altre amministrazioni, per profili analoghi o equivalenti, ai sensi dell'articolo 3, comma 61, terzo periodo, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 e dell'articolo 4, comma 3-ter, del decreto-legge n. 101 del 2013. (5-07431)


   LIUZZI, DE LORENZIS, SPESSOTTO, DA VILLA, NICOLA BIANCHI, PESCO, VILLAROSA, ALBERTI, SORIAL, CASO e CASTELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 gennaio 2016, si è appreso da fonti stampa che Fincantieri il 31 dicembre 2015 ha diffuso una nota nella quale si annunciava la fine del rapporto lavorativo tra la società e il direttore generale Andrea Mangoni. L'accordo tra l'ex dirigente e la società cantieristica, per la risoluzione anticipata del rapporto di lavoro durato appena 9 mesi, ha previsto una buona uscita pari ad un importo complessivo di 3 milioni di euro da corrispondere entro il 10 gennaio 2016;
   lo stipendio dei lavoratori degli stabilimenti Fincantieri – per una politica di spending review applicata unilateralmente dell'azienda – pare sia stato ridotto in maniera unilaterale di 70 euro al mese. Inoltre, i lavoratori denunciano anche il blocco di tutti i premi collettivi di Fincantieri;
   a detta degli interroganti è inammissibile che un'azienda chieda sacrifici ai propri lavoratori per poi congedare un dirigente con una buona uscita da 3 milioni di euro di fondi pubblici;
   Fincantieri è uno dei più importanti complessi cantieristici navali nel mondo. Il 72,5 per cento di dell'azienda è controllato da Fintecna, una società finanziaria gestita dal Ministero dell'economia e delle finanze –:
   quali siano le ragioni per le quali all'ex direttore generale Andrea Mangoni sia stata corrisposta una buona uscita di tre milioni di euro per soli nove mesi di lavoro presso Fincantieri;
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano porre in essere per normalizzare la situazione contrattuale e retributiva dei lavoratori di Fincantieri ponendo fine alla discussione sul contratto integrativo che si protrae da tempo. (5-07440)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dello sviluppo economico ha autorizzato con decreto le ricerche petrolifere al largo delle Isole Tremiti alla società Petroceltic. Il tutto, peraltro, alla irrisoria somma di 5,16 euro per chilometro quadrato. Il Ministero dello sviluppo economico ha concesso questa e altre concessioni il 22 dicembre 2015 subito prima di Natale, in concomitanza con la approvazione della legge di stabilità 2016;
   secondo i dati tratti dal sito dell'Ufficio nazionale del Ministero dello sviluppo economico sono state considerate le istanze  di permesso di ricerca, permesso di prospezione e concessione di coltivazione in tutto o in parte ricadenti oltre le 12 miglia;
   come si può leggere dalla perizia tecnica effettuata e dalla relativa tabella allegata al decreto ministeriale del 22 dicembre del 2015 di conferimento del permesso di ricerca «B.R274.EL», il permesso di ricerca rilasciato in favore della società petrolifera Petroceltic e relativo alle isole Tremiti ricadrebbe però entro le 12 miglia marine –:
   per quali ragioni tale concessione sia stata rilasciata, tenuto conto del divieto di prospezioni petrolifere entro il limite di 12 miglia marine previsto dalla legge di stabilità 2016 in vigore dal 1o gennaio di quest'anno. (4-11721)


   OLIVERIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Gazzetta del Sud, nella edizione del 8 gennaio 2016, ha pubblicato la situazione di difficoltà che stanno vivendo i cittadini residenti nel comune di Limbadi, in provincia di Vibo Valentia, a causa dei gravi disservizi da parte di Poste Italiane, specialmente in concomitanza con il pagamento delle pensioni;
   questa situazione ha provocato tra i cittadini lunghe code agli sportelli e ore interminabili nelle sale d'attesa, che si traducono non solo in mugugni ma anche in momenti di tensione tra utenti e operatori o tra gli stessi utenti;
   sul grave disagio provocato dai disservizi dell'ufficio postale in questione anche il sindaco di Limbadi ha ritenuto opportuno intervenire presso gli uffici competenti per dare massimo risalto al grave problema creato da Poste italiane;
   l'azienda non può continuare ad ignorare la continua protesta che giunge dall'utenza la quale evidenzia gravi difficoltà nell'esperire qualsiasi operazione, anche le più banali;
   i disagi sono cominciati con la chiusura dell'ufficio postale di Badia che sino al mese di agosto 2015 svolgeva una intensa attività alleggerendo il lavoro dell'ufficio di Limbadi;
   risulta, sempre da notizie stampa, che già dai primi giorni di luglio 2015, all'insorgere delle prime avvisaglie di criticità il primo cittadino lamentava a Poste italiane la grave riduzione dei servizi;
   l'azienda di fronte a questo ennesimo grido d'aiuto non ha ritenuto opportuno fornire alcuna risposta. È risultato inefficace anche l'intervento del prefetto volto a indurre Poste italiane al potenziamento dei servizi offerti dall'ufficio di Limbadi;
   la situazione risulta essere estremamente grave e insostenibile e il suo perdurare non danneggerà solo i servizi, ma sarà una mortificazione per la dignità della popolazione che quotidianamente fruisce dei servizi offerti;
   le persone anziane, spesso con problemi di salute, si vedono costrette ad ore di attesa in locali, peraltro, sprovvisti anche dei servizi igienici;
   considerato il perdurare di queste gravi difficoltà, appare evidente che Poste Italiane non abbia a tutt'oggi elaborato un piano alternativo per poter affrontare la grave situazione d'emergenza;
   tale situazione, ad avviso dell'interrogante, è particolarmente inadeguata per un Paese civile e lede pesantemente i diritti dei cittadini –:
   se il Governo sia a conoscenza di questa situazione venutasi a creare presso l'ufficio postale di Limbadi e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per risolvere tale problematicità, riaffermando, in questo modo, la centralità del diritto dei cittadini di poter fruire di servizi necessari. (4-11730)


   NASTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta all'interrogante, l'Eni ha manifestato l'intenzione di cedere la maggioranza di Versalis, (società leader nel settore della chimica italiana) ad un gruppo estero, con il rischio fondato che l'acquirente si concentri sulla chimica tradizionale, anziché su quella cosiddetta «verde» che rappresenta in realtà il core business di Versalis;
   al riguardo, l'interrogante evidenzia come i sindacati hanno manifestato la loro preoccupazione, unitamente a quella dei lavoratori degli altri siti, per questa ipotesi d'acquisto, in considerazione del fatto che il settore della ricerca che Versalis rappresenta è il punto nodale per lo sviluppo della chimica italiana;
   a giudizio dell'interrogante, le preoccupazioni dei lavoratori, risultano condivisibili sia sotto l'aspetto della tenuta occupazionale fortemente a rischio, che delle conseguenze delle scelte evidentemente miopi, legate all'eventuale rinuncia della ricerca della chimica «verde» per il futuro della chimica italiana;
   ulteriori profili critici, ad avviso dell'interrogante, si rinvengono dalle preoccupazioni per i lavoratori dell'istituto Donegani di Novara, centro di ricerca Versalis di Eni, sull'ipotesi di cessione del pacchetto di maggioranza, che metterebbe in pericolo la sopravvivenza del centro medesimo novarese, che rappresenta da molto tempo un fiore all'occhiello del comparto industriale cittadino ed uno dei più prestigiosi a livello nazionale, le cui conseguenze sulle ricadute occupazionali, a giudizio dell'interrogante, risultano essere di estrema gravità –:
   se trovi conferma quanto evidenziato in premessa, ossia che l'Eni sarebbe intenzionata alla cessione della maggioranza di Versalis, ad un gruppo industriale estero;
   in caso affermativo, quali iniziative urgenti e necessarie i Ministri interrogati, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano intraprendere al fine di tutelare i lavoratori della società Versalis e dello stesso centro di ricerca di Versalis, l'istituto Donegani di Novara;
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano assumere al fine di salvaguardare la ricerca italiana in materia ambientale, ed evitare al contempo uno squilibrio in favore di quella tradizionale. (4-11737)


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, BUSTO, DAGA, GAGNARLI, GALLINELLA, PARENTELA e TERZONI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la politica energetica adottata dal Governo, ancora orientata all'utilizzo di fonti fossili che, come ormai noto, oltre a costituire una seria minaccia per l'ambiente sono pure economicamente svantaggiose anche in considerazione del continuo sfruttamento delle scorte disponibili, dovrebbe, secondo gli interroganti, essere rivista ed indirizzata verso l'uso di fonti rinnovabili;
   i progetti di prospezione e le molte iniziative in atto finalizzate allo sfruttamento e all'estrazione di gas e petrolio dovrebbero pertanto interrompersi per attivare e potenziare i programmi di ricerca sulle forme di energia alternative molte delle quali hanno la peculiarità di essere «pulite» ovvero non immettono nell'ambiente sostanze inquinanti e il loro sfruttamento non pregiudica le stesse risorse naturali per le generazioni future;
   il 22 dicembre 2015 è stata assegnata alla società Petroceltic Italia srl la concessione per la ricerca di idrocarburi al largo delle isole Tremiti, a poca distanza da una delle riserve naturali marine più suggestive dei nostri mari, patrimonio di biodiversità e di bellezza naturalistica;
   come riportato da notizie stampa, la suddetta società, che fa capo all'irlandese Petroceltic International e che è specializzata nell'esplorazione, estrazione e trasporto nel settore oil&gas attraversa una grave crisi economica al punto che il valore delle sue azioni nel solo 2015 sarebbe crollato del 77 per cento e, il 23 dicembre, il quotidiano The Irish Time ha diffuso la notizia che essa è in cerca di potenziali acquirenti; tale ditta inoltre — sempre da ciò che emerge da fonti stampa — sarebbe accusata di frode e corruzione e coinvolta in contenziosi giuridici ancora in corso con la ditta Worldview Capital Management (www.sharecast.com) –:
   se i Ministri interrogati al fine di tutelare la riserva naturalistica delle isole Tremiti, non ritengano di dover revocare l'autorizzazione concessa alla Petroceltic Italia srl, posto che la grave situazione finanziaria in cui versa la Petroceltic International potrebbe compromettere lo svolgimento delle attività necessarie alla ricerca di idrocarburi o determinare una loro eventuale repentina interruzione, esponendo l'area protetta a tutti i rischi derivanti da un lavoro non svolto a regola d'arte. (4-11743)


   L'ABBATE, GAGNARLI, GALLINELLA, PARENTELA, DE ROSA e SCAGLIUSI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con decreto n. 176 a firma del Ministro dello sviluppo economico, datato 22 dicembre 2015, è stato conferito il permesso B.R 274 EL alla società Petroceltic Italia Srl per le ricerche petrolifere dinanzi le isole Tremiti, in Puglia, nello specchio marino tra Vasto (CH) e l'area marina protetta delle Diomedee. La società irlandese pagherà allo Stato italiano la cifra di euro 5,16 per chilometro quadrato, per un totale di 1.928.292 euro l'anno;
   ai dubbi sull'antieconomicità e mancata convenienza, anche sul piano energetico, di tali permessi per la ricerca di idrocarburi espressi da scienziati e ambientalisti, si somma una situazione economico-patrimoniale che risulta a dir poco preoccupante, se non disastrosa, della società beneficiaria di questo permesso. Preme evidenziare;
   come dichiarato dal fisico Maria Rita D'Orsogna, docente presso la California University e da sempre al fianco della Rete «No Triv», prendendo come fonte testate quali il Financial Times, la «Petroceltic è assolutamente piegata in due, da debiti, azionisti senza scrupoli, accuse di frode e corruzione, crollo dei prezzi del petrolio e non sanno più dove andare a parare. Hanno debiti per 200 milioni di dollari che non sono riusciti a ripagare. Il 23 dicembre 2015, il giorno dopo la firma dei nostri decreti ministeriali, ha iniziato a cercare potenziali acquirenti. La liquidità finirà entro gennaio 2016. Un'impresa sul lastrico che sta quasi per fallire. Perché le abbiamo affidato le isole Tremiti senza neanche indagare che fondi avessero, che o chi fossero?». Le banche che si occupano della messa in vendita della Petroceltic di Dublino sono la Bank of America, la Merrill Lynch e la Davy Corporate Finance, che stanno vagliando tutte le opzioni: la vendita in toto delle varie concessioni al miglior offerente, la fusione con altre ditte, o anche l'infusione di capitale con altri debiti e offerte pubbliche. Il valore delle azioni nel solo 2015 è crollato del 77 per cento;
   il fisico D'Orsogna ha, inoltre, ricostruito la genesi dell'attuale precaria situazione economico-patrimoniale della Petroceltic. Il principale investitore della società irlandese, con il 29 per cento delle azioni, è la Worldview Capital Management che si occupa di hedge funds ed è guidata da Angelo Moskov. A febbraio 2015, la Petroceltic, a causa dei troppi debiti, decide di vendere obbligazioni per 175 milioni di dollari, usando come collaterale Ain Tsila, un campo di gas in Algeria e forse il suo progetto più ambizioso. Moskov si oppose, ritenendo che questa operazione avrebbe lasciato gli azionisti con guadagni irrisori. La Petroceltic, dunque, rinunciò ma ciò portò le azioni ad un ulteriore crollo. La Worldview denunciò la Petroceltic in tribunali d'Irlanda e d'Inghilterra per errori nelle revisioni interne: la causa è tuttora in corso. Il 20 agosto 2015, la Worldview accusa la società irlandese di frode e di corruzione (creazione di schemi per defraudare la compagnia dall'interno, fatture gonfiate a Ain Tsila in Algeria). La Petroceltic risponde accusando il suo principale investitore di una campagna di denigrazione e di sottrarsi al dialogo. Il 17 settembre 2015, poi, la Worldview accusa ancora la Petroceltic di irregolarità in Bulgaria: dirigenti di medio livello avrebbero creato anche qui canali per il trasferimento illegale di fondi della compagnia in mano di terzi, tramite sussidiarie egiziane, bulgare e lussemburghesi. Il 23 dicembre 2015, infine, la Petroceltic a corto di liquidità viene posta in vendita;
   le numerose e seguitissime manifestazioni cittadine anti-trivellazioni degli ultimi anni hanno spinto i rappresentanti dei consigli regionali di dieci regioni costiere italiane (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise) a depositare in Cassazione sei quesiti referendari contro le trivellazioni entro le 12 miglia dalla costa e sul territorio. Nei quesiti si chiede l'abrogazione di un articolo del cosiddetto decreto «Sblocca Italia» e di cinque articoli del cosiddetto «decreto Sviluppo». Viste le modifiche intervenute durante l'approvazione della legge di Stabilità 2016, la Corte costituzionale ha espresso il proprio giudizio definitivo in data 19 gennaio 2016, ammettendo l'unico dei sei quesiti referendari contro le trivelle e le ricerche in mare degli idrocarburi, ammesso dalla Cassazione. L'aver tolto il piano delle aree continua a rimanere, a parere degli interroganti, fatto assai grave in quanto esacerba l'inadempienza da parte dello Stato italiano della mancanza di una valutazione aziendale strategica che sarebbe necessaria secondo la normativa comunitaria per pianificare plurimi interventi su aree così vaste –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se i Ministri interrogati ritengano opportuno concedere permessi di ricerca di idrocarburi ad imprese su cui vi siano così tante ombre sia sulla solidità economico-finanziaria, sia sulla serietà societaria, stante il fatto che il requisito della capacità finanziaria è centrale nella valutazione delle istanze secondo le normative in vigore nel diritto minerario;
   se i Ministri interrogati non intendano assumere iniziative normative, per quanto di competenza, per evitare il verificarsi di ulteriori situazioni di questo genere;
   se, una volta verificata la situazione economico-patrimoniale della Petroceltic Italia Srl, i Ministri interrogati non intendano revocare il permesso concesso.
(4-11745)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Capua e altri n. 1-01055, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Amoddio.

  La mozione Covello e altri n. 1-01097, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Capone.

Apposizione di firme a risoluzioni.

  La risoluzione in Commissione Causi e altri n. 7-00433, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Scuvera.

  La risoluzione in Commissione Taranto e altri n. 7-00851, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Barbanti.

Apposizione di firme ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Gasparini e altri n. 2-01227, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Rampi, Mauri.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Scagliusi e Sibilia n. 4-11667, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Del Grosso, Manlio Di Stefano, Di Battista, Spadoni, Grande, Bonafede, Ferraresi, Agostinelli, Lupo, Lombardi, Colletti, Tripiedi.

  L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Centemero n. 3-01936, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Occhiuto.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione Di Salvo n. 7-00885, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 548 del 15 gennaio 2016:

   L'XI Commissione,
   premesso che:
    il settore degli enti di previdenza privata italiana è stato oggetto di una complessiva rivisitazione normativa nel corso degli anni novanta;
    segnatamente, con i decreti legislativi n. 509 del 1994 e n. 103 del 1996, gli enti pubblici dediti all'erogazione di prestazioni di previdenza obbligatoria per le categorie di lavoratori appartenenti a categorie professionali disciplinate da ordini e albi, operanti nelle diverse aree economico-sociale, (ad esempio Enpaci, Inpgi, Cnpadc, Cnpr), giuridica (ad esempio Cnn, Cf), sanitaria (ad esempio Enpam, Enpap, Enpapi, Enpav) e delle professioni tecniche (ad esempio Cipag, Eppi, Enpab, Epap, Inarcassa, Enpaia), sono stati trasformati, dal 1o gennaio 1995 e costituiti a partire dal 1996 in enti di diritto privato, senza scopo di lucro, aventi personalità giuridica, nella forma di associazioni o fondazioni;
    in particolare, in forza del decreto legislativo n. 509 del 1994 sono state «privatizzate»: la Cassa nazionale del notariato (Cnn); la Cassa italiana di previdenza e assistenza geometri liberi professionisti (Cipag); la Cassa forense (Cf); la Cassa nazionale di previdenza e assistenza dei dottori commercialisti (Cnpadc); la Cassa nazionale di previdenza e assistenza per ingegneri ed architetti liberi professionisti (Inarcassa); la Cassa nazionale di previdenza a favore dei ragionieri e dei periti commerciali (Cnpr); l'Ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio (Enasarco); l'Ente nazionale di previdenza e assistenza per i consulenti del lavoro (Enpacl); l'Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei farmacisti, (Enpaf); l'Ente nazionale di previdenza e assistenza per gli impiegati dell'agricoltura (Enpaia); l'Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei medici e degli odontoiatri (Enpam); l'Ente nazionale di previdenza e assistenza dei veterinari (Enpav); il Fondo agenti spedizionieri e corrieri (Fasc); l'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani (Inpgi), l'Opera nazionale assistenza orfani sanitari italiani (Onaosi); successivamente, in forza di quanto disposto dal decreto legislativo n. 103 del 1996, sono stati costituiti direttamente come enti privati: l'Ente nazionale di previdenza dei periti industriali e dei periti industriali laureati (Eppi); l'Ente nazionale di previdenza e assistenza a favore dei Biologi (Enpab); l'Ente nazionale di previdenza e assistenza per gli psicologi (Enpap); l'Ente nazionale di previdenza e assistenza pluricategoriale (Epap);
    da un punto di vista delle prestazioni erogate, il settore è costituito essenzialmente da enti che erogano trattamenti previdenziali obbligatori, in forma sostitutiva rispetto alla previdenza pubblica; fa eccezione l'Enasarco, che eroga prestazioni aventi natura di previdenza complementare e l'Onaosi, che eroga prestazioni di natura assistenziale;
    la scelta di politica previdenziale, compiuta dal Parlamento e dal Governo di privatizzare le casse dei professionisti è stata meditata e giustificata da una serie di motivazioni importanti, che mantengono la loro validità. Tra queste si segnalano:
     a) in primo luogo, l'esigenza di promuovere un processo di responsabilizzazione di tali enti, secondo un principio di sussidiarietà, per il quale lo Stato ha scelto di affidare il primo pilastro previdenziale direttamente alle categorie professionali, ricevendo in cambio garanzie di una gestione finanziaria equa e soprattutto sostenibile;
     b) in secondo luogo, l'intenzione di innescare in tal modo un circolo virtuoso per sgravare la collettività e la finanza pubblica dai rilevanti costi finanziari che il mantenimento della situazione pubblicistica, fino ad allora esistente, avrebbe comportato, soprattutto nel quadro dei vincoli posti dalla crisi della finanza pubblica, che ha interessato il Paese negli ultimi anni, anche alla luce dei vincoli posti dall'Unione europea; l'esigenza finanziaria alla base della privatizzazione di tali enti, in sostanza, è stata quella di delimitare l'area della finanza pubblica, separando dal complesso della previdenza pubblica, una fascia specifica di lavoratori – quelli appartenenti al settore delle professioni – dal complesso dei lavoratori dipendenti, sia del pubblico impiego che del comparto privato, oggi integralmente gestita dall'INPS, alleggerendo in tal modo la pesante situazione finanziaria della previdenza pubblica;
    a riprova di tale scelta del legislatore va ricordata la previsione normativa di cui all'articolo del decreto legislativo n. 509 del 1994, che stabilisce che gli enti privatizzati non debbano usufruire di finanziamenti pubblici o di altri aiuti di carattere finanziario provenienti dal settore pubblico;
    devono poi essere ricordate le ulteriori tendenze legislative specifiche per tali enti, tra cui quella di cui alla legge 23 agosto 2004, n. 243, per le quali le casse sono state autorizzate a realizzare forme di previdenza complementare, con l'obbligo della gestione separata e forme di tutela sanitaria integrativa, nel rispetto degli equilibri finanziari di ogni singola gestione, nel quadro dell'autonomia gestionale di questi enti, inquadrati come erogatori di forme di welfare innovativo al servizio dei professionisti;
    la privatizzazione delle forme giuridiche di operatività di tali enti previdenziali non determina affatto il superamento della finalità pubblica che caratterizza la funzione previdenziale, propria sia del comparto pubblico che di quello privato, volta ad assicurare trattamenti pensionistici alle diverse categorie di lavoratori, alla luce dell'articolo 38, comma secondo, della Costituzione, che sancisce il diritto alle prestazioni previdenziali, atte ad assicurare mezzi adeguati alle esigenze di vita degli assicurati; ciò è stato chiarito dalla Corte costituzionale che, con la sentenza n. 248 del 1997, ha ribadito che la citata privatizzazione degli enti previdenziali ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell'attività istituzionale di previdenza e di assistenza svolta dagli enti; a tale principio si collegano da un lato, gli obblighi contributivi a carico degli iscritti, dall'altro, la serie di obblighi e di controlli pubblicistici ai quali sono soggetti le casse e gli enti previdenziali privati;
    la normativa prevede pertanto per gli enti previdenziali di diritto privato diversi tipi di controlli:
     a) la sottoposizione alla vigilanza esercitata dai Ministeri competenti, attraverso una gamma diversificata di strumenti di controllo, previsti dagli articoli 2 e 3 del decreto legislativo n. 509 del 1994, quali:
      la nomina di propri rappresentanti nei collegi sindacali, ipotesi, invero, che può concretare una situazione di conflitto di interessi tra soggetti controllori e soggetti controllati;
      la trasmissione dei documenti contabili: il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di intesa con i Ministeri competenti, possono esprimere motivate osservazioni, con richiesta di riesame, sui bilanci preventivi e i conti consuntivi e sui criteri di individuazione e di ripartizione del rischio nella scelta degli investimenti indicati nel bilancio preventivo;
      l'approvazione, non soggetta a termini, delle delibere in materia previdenziale e assistenziale, comprese le delibere in materia di contributi e prestazioni, nonché degli statuti e dei regolamenti; il controllo riguarda altresì le delibere contenenti criteri direttivi generali;
      il controllo del principio di equilibrio di bilancio, da assicurare mediante l'adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico, da redigersi con periodicità almeno triennale;
      in caso di disavanzo economico-finanziario, rilevato dai rendiconti annuali e confermato dal bilancio tecnico, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con i Ministri competenti, si può provvedere alla nomina di un commissario straordinario, il quale adotta i provvedimenti necessari per il riequilibrio della gestione, con contestuale sospensione di tutti i poteri degli organi di amministrazione delle associazioni e delle fondazioni;
      in caso di persistenza dello stato di disavanzo economico e finanziario dopo tre anni dalla nomina del commissario, qualora sia impossibile provvedere al riequilibrio finanziario dell'associazione o della fondazione, la nomina, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con i Ministri competenti, di un commissario liquidatore che esercita i poteri previsti dalla normativa in materia di liquidazione coatta;
      nel caso in cui gli organi di amministrazione di rappresentanza si siano resi responsabili di gravi violazioni di legge, afferenti la corretta gestione, la nomina, da parte del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con i Ministri competenti, di un commissario straordinario cui affidare il compito di salvaguardare la corretta gestione dell'ente e, entro sei mesi dalla nomina, concludere la procedura per rieleggere gli amministratori dell'ente;
      la definizione, con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, del 29 novembre 2007, delle modalità di redazione del bilancio tecnico-attuariale, richiedendosi, in primo luogo, che il bilancio tecnico sviluppi una migliore cognizione dell'andamento delle gestioni nel lungo termine, con proiezioni dei dati estese su periodo di 50 anni; l'orizzonte temporale di 50 anni è stato, stabilito dalla cosiddetta riforma Fornero, che ha richiesto, nel corso del 2012, una verifica straordinaria sulla sostenibilità per lungo periodo degli enti, finalizzata all'adozione di immediati provvedimenti di riequilibrio; tale verifica straordinaria ha determinato l'adozione, da parte di molti enti, di provvedimenti organici di riforma, per garantire una maggiore stabilità delle gestioni nel lungo periodo;
     b) il controllo sugli investimenti delle risorse finanziarie di tali enti, attribuito alla COVIP dall'articolo n. 14 del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, esercitato anche mediante ispezione presso gli stessi, richiedendo la produzione degli atti e dei documenti necessari; la COVIP riferisce ai Ministeri vigilanti le risultanze del controllo, ai fini dell'esercizio dei poteri di cui sopra;
     c) l'emanazione, attualmente in via di completamento, da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sentita la COVIP, di un decreto recante disposizioni in materia di investimento delle risorse finanziarie degli enti previdenziali, dei conflitti di interessi e delle banche depositarie, a somiglianza di quanto previsto per i fondi pensioni dagli articoli 6 e 7 del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252;
     d) il controllo generale sulla gestione delle assicurazioni obbligatorie, per assicurare la legalità e l'efficacia dell'azione e gli enti, esercitato dalla Corte dei conti, ai sensi del comma 5 dell'articolo n. 3 del decreto legislativo n. 509 del 1994; la Corte riferisce annualmente al Parlamento con proprio referto;
     e) il controllo esercitato in sede parlamentare dalla Commissione parlamentare di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza sociale, che esercita la vigilanza e il controllo su tali enti;
    la scelta di privatizzare tali enti, operata dal legislatore, è dunque pienamente compatibile con il perseguimento della finalità pubblica di assicurare la stabilità del comparto previdenziale degli appartenenti agli ordini professionali, senza che ciò implichi un aggravio della finanza pubblica;
    fatta salva la necessità di mantenere i controlli di natura pubblicistica sugli enti previdenziali privati, riserva opportuno che sia compiuta dal Governo e dal Parlamento, dopo due decenni di applicazione della normativa di settore, una valutazione circa l'efficacia di tali controlli; in linea generale, come approfondito anche dalla Commissione parlamentare di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza sociale, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla «funzionalità del sistema previdenziale pubblico e privato, alla luce della recente evoluzione normativa ed organizzativa, anche con riferimento alla strutturazione della previdenza complementare», si deve rimarcare l'estrema complessità e frammentazione del sistema attuale dei controlli, dovuta essenzialmente a due fattori:
     a) la pluralità di soggetti chiamati a vigilare (Ministero dell'economia e delle finanze, Ministero del lavoro delle politiche sociali e altri Ministeri competenti, COVIP, Corte dei conti);
     b) la divaricazione esistente tra l'ambito dei poteri di vigilanza, esercitati dalla COVIP, e poteri sanzionatori, attribuiti invece al comparto ministeriale;
    l'esperienza maturata in venti anni di applicazione della normativa di settore mostra come vi sia invece bisogno di una concentrazione dei controlli in capo ad un unico soggetto, che eserciti sia i poteri di vigilanza che quelli sanzionatori, al fine di evitare l'appesantimento delle procedure e rendere più tempestivi i controlli; va ricordato che, secondo l'opinione espressa da molti soggetti istituzionali auditi dalla commissione parlamentare di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza sociale, l'attuale assetto dei controlli presenta una complessità e una sostanziale inefficienza dalla quale discende l'esigenza di una rivisitazione della stessa;
    da tali riscontri sul campo emerge l'esigenza di far sì che l'organismo di vigilanza e di controllo disponga di un elevato grado di specializzazione finanziaria, atteso che le attività di investimento dei patrimoni delle casse richiedono scelte di carattere finanziario e considerato che, oltre alla vigilanza sugli enti previdenziali, essenziale controllare adeguatamente l'attività che i gestori professionali operanti sul mercato finanziario, anche per il risparmio non previdenziale, svolgono per conto e su incarico degli ente previdenziali del settore privato; alla luce anche delle risultanze emerse anche in sede parlamentare, particolarmente nelle indagini della commissione parlamentare di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza sociale, che hanno evidenziato la sussistenza di gestioni finanziarie degli investimenti degli enti spesso inadeguate dal punto di vista della solidità finanziaria e che, talvolta, hanno portato all'emersione di rilevanti vicende giudiziarie;
    è evidente che il risparmio previdenziale degli enti, che considerato insieme alla previdenza complementare costituisce una massa di risorse finanziarie finalizzate all'erogazione di prestazioni previdenziali, ma che dal punto di vista gestionale costituisce un volume di investimenti pari a circa 170 miliardi di euro, deve essere considerata come una delle forme di risparmio; come tale, deve essere oggetto di controlli finalizzati a garantire la solidità finanziaria degli enti proprietari delle attività, considerata la rilevanza pubblica della funzione previdenziale da assolvere, che costituisce retribuzione differenziata dei lavoratori dei diversi comparti e che deve garantire un rendimento certo e adeguato al mantenimento di prestazioni previdenziali e deve essere tutelata per i profili di gestione finanziaria, alla pari delle altre forme di risparmio;
    negli ultimi anni, rispetto a tale quadro normativo, va segnalata una tendenza in senso contrario, tendente alla ripubblicizzazione dello status di tali enti; tale tendenza è ascrivibile, in parte, a scelte legislative motivate essenzialmente da esigenze di controllo della spesa pubblica e di allargamento della base imponibile rilevante per la finanza pubblica, e in parte, a scelte amministrative e decisioni assunte in sede giurisdizionale, che sono suscettibili di vanificare il complesso normativo chiaramente delineato dal legislatore;
    nel corso di audizioni presso la commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza sociale, la ragioneria generale dello Stato ha affermato che i relativi risultati di bilancio delle casse private presentano effetti sui saldi di finanza pubblica e, in particolare, sull'indebitamento netto della pubblica amministrazione secondo la tesi della ragioneria dello Stato, il rispetto dei limiti imposti dall'articolo 81 della Costituzione in materia di obbligo di copertura finanziaria comporta la necessità che le modifiche di natura regolamentare e statutaria adottate dagli enti debbano necessariamente prevedere, qualora determinino effetti negativi in termini di indebitamento netto per le regole Eurostat, l'adozione contestuale di misure compensative, onde assicurare l'invarianza degli oneri per la finanza pubblica; ciò anche sulla base di giurisprudenza della Corte di cassazione del 2009 che, nell'individuare i limiti posti dal processo di delegificazione del decreto legislativo n. 509 del 1994 ha chiarito che, al pari delle disposizioni di legge nelle stesse materie, le delibere adottate nell'ambito dell'autonomia degli enti previdenziali di diritto privato devono rispondere ai limiti costituzionali;
    centrale nel processo di ripubblicizzazione degli enti previdenziali privati è stata la vicenda dell'inclusione delle casse nell'indice Istat, relativo all'individuazione delle pubbliche amministrazioni; la definizione di pubblica amministrazione, dal punto di vista finanziario, è di competenza dell'Istat, secondo le disposizioni previste dal Sistema europeo dei conti nazionali e regionali (Sec 95 – Regolamento (CE) n. 2223/96 – paragrafi 2.68 e 2.69); l'Istat ha ritenuto che la richiesta di esclusione delle casse da tale elenco non avesse fondamento, in quanto l'inclusione nel conto consolidato dipende dall'applicazione di criteri di classificazione adottati da Eurostat, che tengono conto anche dell'esercizio di un potere di direzione e controllo da parte dello Stato o di altri enti pubblici; avverso tale se decisione, l'associazione rappresentativa degli enti previdenziali privati (Adepp) e le singole casse hanno presentato ricorso, accolto con sentenza del Tar del Lazio, Sezione III Quater n. 1938/2008; il Consiglio di Stato, con sentenza n. 06014/2012REG ha annullato la sentenza del Tar, ritenendo prevalente la natura pubblicistica di tali enti e legittima l'inclusione delle stesse nell'elenco Istat; considerando che «la trasformazione operata dal decreto legislativo 509 del 1994 ha lasciato, quindi, immutato il carattere pubblicistico dell'attività istituzionale di assistenza svolta dagli Enti in esame, che conservano una funzione strettamente correlata all'interesse pubblico, costituendo la privatizzazione una innovazione di carattere essenzialmente organizzativo»; la predetta sentenza del Consiglio di Stato ha riconosciuto che la vigente normativa, in particolare l'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 509 del 1994, prevede un potere di ingerenza e di vigilanza ministeriale che costituisce uno dei principali elementi da cui discende, secondo il Consiglio di Stato, la stessa permanenza della natura pubblicistica degli enti in questione;
    la stessa Corte costituzionale, con sentenza n. 248 del 1997, ha ribadito che la trasformazione degli enti previdenziali privatizzati, ai sensi del decreto legislativo n. 509 del 1994, ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell'attività istituzionale di previdenza e di assistenza svolta dagli enti;
    in effetti, dalla definizione della natura pubblicistica o privatistica di tali enti, dipende l'applicazione di un regime pubblicistico a tali enti che il legislatore ha privatizzato, tra cui la natura del bilancio, il regime dei controlli, l'applicazione delle normative relative al pubblico impiego, quali la spending review il blocco del turn-over del personale e altro; l'inclusione di tali enti nell'elenco dell'Istat ha comportato, ad esempio;
    l'estensione delle norme di cui al decreto-legge n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 in tema di limiti alla retribuzione economica individuale dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche inserite in tale elenco;
    l'applicazione del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 91 per l'adeguamento e l'armonizzazione dei sistemi contabili applicabili ai documenti contabili delle amministrazioni pubbliche, con l'obbligo di una riclassificazione e una rilettura dei bilanci civilistici adottati e la trasformazione dei dati economico-patrimoniali in dati di natura finanziaria e l'obbligo di predispone un budget economico previsionale, un rendiconto finanziario in termini di liquidità, un conto consuntivo finanziario in termini di cassa e del piano degli indicatori e risultati attesi di bilancio;
    l'applicazione delle misure in materia di spending review, di cui al decreto-legge, n. 98 del 2011, convertito con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 e successive modifiche per la definizione dei fabbisogni standard dei programmi di spesa delle amministrazioni centrali dello Stato;
    l'applicazione delle norme di cui al decreto-legge 52 del 2012 e al decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, per rendere più stringente il ricorso per le pubbliche amministrazioni a procedure di acquisto centralizzato di beni e servizi, ai fini della riduzione della spesa per consumi intermedi; l'applicazione delle norme per l'acquisto di determinate categorie merceologiche (energia elettrica, gas, carburanti rete e carburanti extra-rete, combustibili per riscaldamento, telefonia fissa e telefonia mobile) attraverso le convenzioni o gli accordi-quadro messi a disposizione da Consip spa, ovvero con autonome procedure utilizzando i sistemi telematici di negoziazione sul mercato elettronico;
    il divieto di effettuare spese di ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta in media nel 2010 e 2011 per l'acquisto di mobili e arredi, di cui all'articolo 1, comma 141, della legge di stabilità 2013, con l'obbligo di versare, in apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato, le somme derivanti dalle riduzioni di spesa;
    la materia necessita quindi di un intervento legislativo organico che non può non ribadire la natura privatistica degli enti, da un punto di, vista organizzativo e gestionale, escludendoli definitivamente dagli enti di cui all'elenco Istat, pur ribadendo che la natura privatistica si accompagna allo svolgimento di una funzione pubblicistica; si tratta di ribadire l'operazione di privatizzazione compiuta dal legislatore degli anni Novanta, ma di garantire meglio il rispetto dell'interesse pubblico alla solidità finanziaria di tali enti e l'obbligo di assicurare le prestazioni previdenziali agli iscritti, precisando, in sede normativa, i criteri con i quali tali enti di diritto privato devono operare, e snellendo e razionalizzando i controlli, rendendoli, nel contempo, più efficaci e stringenti sulle gestioni finanziarie;
    dal punto di vista delle gestioni finanziarie dei patrimoni degli enti, l'esistenza di una frammentazione tra gli stessi, si tratta di più di venti enti diversi, ognuno con proprie gestioni finanziarie risulta inefficace sia per una complicazione del contesto operativo, con maggiori costi di esercizio (si pensi alla pluralità di organi collegiali esistenti tra tutte le casse e alle conseguenti remunerazioni) ed una minore controllabilità delle attività di investimento dei patrimoni da parte delle autorità pubbliche competenti, sia per l'impossibilità di realizzare economie di scala e gestioni finanziarie più trasparenti; la semplificazione dei soggetti gestori e delle forme di impiego dei patrimoni, salvaguardando le specificità professionali dei vari ordini e delle regole di contribuzione ed iscrizione che sono differenziate tra di loro, potrebbe invece determinare una maggiore funzionalità del sistema; al proposito, va ricordato che il legislatore, con il decreto legislativo n. 103 del 1996, all'articolo 3, comma 1, lettera a), ha già previsto il principio della costituzione di un ente previdenziale privato pluricategoriale, in alternativa all'ente di categoria specifica, addirittura prevedendolo come prima opzione delle modalità di realizzazione della previdenza privata; l'ente pluricategoriale è l'Epap, che eroga prestazioni, a favore degli attuari, dei chimici, degli agronomi e forestali e dei geologi; occorre pertanto valutare l'applicazione di tale disposizione e l'opportunità di stimolare ulteriori processi di integrazione, particolarmente tra professioni vicine e integrate e settorialmente compatibili, con una gestione unificata e razionalizzata degli investimenti e della gestione dei patrimoni, salva restando la distinzione delle prestazioni e dei relativi regimi contributivi dei diversi ordini professionali; da un punto di vista normativo, va ricordato che l'articolo 1, comma 36 della legge 23 agosto 2004, n. 243, ha ribadito la possibilità per tali enti di accorparsi fra loro, nonché di includere altre categorie professionali similari di nuova istituzione che dovessero risultare prive di una protezione previdenziale pensionistica;
    il tema degli investimenti nel settore immobiliare da parte degli enti previdenziali privati è di particolare problematicità, in quanto, mentre quando le casse erano enti pubblici erano soggette a vincoli di utilità sociale a favore di categorie disagiate (per l'investimento in edilizia economica e popolare ovvero per la locazione a fasce sociali disagiate), con la privatizzazione a tali enti, si è applicata una disciplina speciale rispetto a quella concernente gli enti previdenziali pubblici, riconoscendo un'autonomia gestionale in materia; il riconoscimento del diritto alla prelazione di acquisto agli inquilini degli immobili oggetto di dismissione, ovvero la locazione di immobili a canoni sociali sia rimessa all'autonomia degli enti; l'articolo 1, comma 38, della legge 23 agosto 2004, n. 243, ha stabilito che la disciplina afferente alla gestione dei beni, alle forme del trasferimento della proprietà degli stessi e alle forme di realizzazione di nuovi investimenti immobiliari, contenuta nell'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 16 febbraio 1996, n. 104 per gli enti previdenziali pubblici, non si applichi agli enti previdenziali privati; allo stato, quindi, le decisioni di questi enti in materia di gestione e dismissione del proprio patrimonio immobiliare rientrano nell'ambito della loro autonomia gestionale, nei limiti del raggiungimento dell'equilibrio economico e finanziario e del contenimento del rischio della gestione dell'attivo: quindi, gli strumenti istituzionali attuali di controllo non permettono di valutare le singole scelte di investimento, ma soltanto di controllare, da parte dei Ministeri competenti, in sede di analisi complessiva dei bilanci, gli effetti produttivi delle scelte immobiliari su tali poste di bilancio e sulla garanzia della sostenibilità finanziaria della gestione; tale normativa è stata poi modificata prevedendo controlli pubblicistici specifici a tutela della situazione finanziaria degli enti:
     l'articolo 8, comma 15, del decreto-legge n. 78 del 31 maggio 2010, convertito nella legge n. 122 del 30 luglio 2010, fatta salva l'autonomia nelle scelte gestionali degli enti previdenziali privati, prevede che le operazioni di acquisto e vendita di immobili da parte degli enti, sia pubblici che privati, che gestiscono forme obbligatorie di assistenza e previdenza, nonché le operazioni di utilizzo, da parte degli stessi enti, delle somme rivenienti dall'alienazione degli immobili e delle quote dei fondi immobiliari, siano subordinate alla verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica, definita dal decreto 10 novembre 2010 del Ministero dell'economia e delle finanze, che prevede la trasmissione da parte di ogni cassa, entro il 30 novembre di ogni anno, di un piano triennale di investimento che evidenzi, per ciascun anno, l'ammontare delle operazioni di acquisto e di vendita degli immobili, di cessione delle quote di fondi immobiliari, nonché delle operazioni di utilizzo delle disponibilità liquide provenienti dalla vendita di immobili o da cessione di quote di fondi immobiliari;
    un controllo su tutti gli investimenti, e quindi anche su quelli immobiliari, è stato previsto poi dal comma 3 dell'articolo 14 del decreto-legge 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, che ha previsto l'emanazione da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e sentita la Covip, di un decreto in materia di investimento delle risorse finanziarie degli enti previdenziali; tale decreto, ad oggi, non è ancora stato emanato ed è attualmente all'esame del Consiglio di Stato: il testo dello schema di decreto in corso di predisposizione prevedrebbe con riferimento agli investimenti diretti in beni immobili e diritti reali immobiliari (articolo 9, comma 4) un limite quantitativo del 20 per cento del patrimonio dell'ente;
    tale materia va quindi attentamente riesaminata per valutare se, oltre a vincoli finalizzati alla solidità finanziaria degli enti siano ancora compatibili con la natura di enti, privati l'eventuale sussistenza del perseguimento di finalità sociali nella gestione degli immobili da parte degli enti privati; viceversa, possono essere ipotizzati strumenti innovativi, quali la previsione di agevolazioni fiscali in cambio di interventi a sostegno dell'economia reale del Paese o per finalità sociale, quali l’housing sociale,

impegna il Governo:

   ad assumere un'iniziativa normativa per la redazione di un testo unificato per il settore degli enti di previdenza privata, al fine di procedere ad una revisione e aggiornamento della legislazione in materia di enti previdenziali privati, che assorba le disposizioni di cui ai decreti legislativi n. 509 del 1994 e n. 103 del 1996 e le altre norme relative al settore contenute in provvedimenti diversi, al fine di superare le incertezze normative prodottisi dalla stratificazione normativa intervenuta negli ultimi anni;
   a riaffermare in tale iniziativa la natura di enti privati delle casse professionali, in continuità con le scelte assunte dal legislatore a partire dagli anni Novanta, chiarendo definitivamente che tali enti, per status giuridico e regole di operatività, sono soggetti al regime privatistico, prevedendo la non inclusione delle casse private nell'elenco ISTAT delle pubbliche amministrazioni e l'applicazione delle regole pubblicistiche che tale inclusione determina e ribadendo il principio che gli enti privatizzati non devono usufruire di finanziamenti pubblici o di altri aiuti di carattere finanziario provenienti dal settore pubblico;
   a riaffermare nel contempo, che l'esercizio della funzione previdenziale costituisce interesse pubblico rilevante ai sensi dell'articolo n. 38 della Costituzione e che l'attività svolta da tali enti, in quanto concernente i lavoratori appartenenti al settore delle professioni, richiede necessariamente l'esistenza di una serie di controlli e obblighi di natura pubblicistica, finalizzati a garantire la solidità e la trasparenza finanziaria degli stessi enti, onde salvaguardare pienamente i diritti degli iscritti alla percezione delle prestazioni previdenziali;
   in particolare, per quanto riguarda i controlli pubblici, ad assumere iniziative per provvedere ad una loro razionalizzazione e semplificazione, finalizzata al rafforzamento degli stessi, in termini di efficienza, pervasività e tempestività facendo sì che i controlli siano affidati ad un unico organismo specializzato, in possesso di elevate competenze di carattere finanziario e che tale organo di vigilanza e controllo si occupi sia delle attività di carattere regolatorio, per quanto concerne il controllo dei principali atti organizzativi, sia delle funzioni ispettive e di vigilanza sulle attività svolte, compresa la possibilità di acquisizione di documenti e di informazioni relative all'attività, sia dell'irrogazione, con tempestività ed efficienza, di eventuali sanzioni in caso di inadempienze accertate;
   ad assumere iniziative volte a prevedere che con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze siano dettati i criteri di carattere generale ed i limiti qualitativi e quantitativi per la tipologia degli investimenti da parte degli enti previdenziali privati, al fine di garantire la solidità economico-finanziaria degli investimenti e l'equilibrio di gestione degli enti stessi;
   a favorire l'ulteriore razionalizzazione del settore, promuovendo un processo di accorpamento delle casse, già previsto dal decreto legislativo n. 103 del 1996 e dalla legge 23 agosto 2004, n. 243 e rendendo il loro numero molto più contenuto rispetto all'attuale, considerando che tale processo presenterebbe numerosi aspetti positivi:
    a) la costituzione di una massa patrimoniale di notevoli dimensioni, la cui gestione potrebbe avvenire non solo in maniera più trasparente e controllata, ma anche più conveniente sotto il profilo delle economie di scala;
    b) la possibilità di disporre in modo sinergico di risorse necessarie e di strumentazione, anche informatici, per la gestione amministrativa degli enti;
    c) la riduzione degli organi collegiali direttivi, con l'eliminazione di interessi clientelari legati alle singole categorie professionali e la riduzione drastica dei costi di gestione per il mantenimento di tali organismi;
    d) una maggiore rappresentatività, anche istituzionale, che pochi enti, di grandi dimensioni, potrebbero assumere;
    e) la possibilità di svolgere controlli in numero maggiore e più penetranti su pochi enti previdenziali privati, garantendo in tal modo il riscontro più efficace della solidità finanziaria degli enti;
    f) il mantenimento delle regole specifiche per ciascun ordine professionale per quanto riguarda la contribuzione e l'entità delle prestazioni erogate;
   ad assumere iniziative per prevedere, attesa la rilevanza e l'entità dell'attivo patrimoniale che tali enti gestiscono ed investono sul mercato mobiliare e immobiliare, e l'importanza che per l'economia italiana assume un impiego di tali risorse qualora gli investimenti siano effettuati a favore di istituzioni finanziarie o immobiliari o del territorio nazionale, la definizione di forme innovative per l'impiego, sia in ambito mobiliare che immobiliare, da realizzare su base volontaria e a condizione della remuneratività degli investimenti, attraverso strumenti normativi di incentivazione ovvero esenzioni fiscali, crediti d'imposta o agevolazioni fiscali, di pare dei patrimoni finanziari degli enti; ad assumere iniziative per prevedere che tali misure possano essere applicate per investimenti a sostegno di iniziative finalizzate allo sviluppo dell'economia reale concordate con il settore pubblico, eventualmente assistite dalla garanzia dello Stato, ovvero per la gestione o acquisizione di immobili che contemperino la redditività degli investimenti con il perseguimento di finalità sociali (quali l’housing sociale);
   ad assumere iniziative per sviluppare ulteriormente le forme di forme di previdenza complementare, con l'obbligo della gestione separata, e forme di tutela sanitaria integrativa, nel rispetto degli equilibri finanziari di ogni singola gestione, da parte degli enti previdenziali privati.
(7-00885)
«Di Salvo, Gnecchi, Albanella, Baruffi, Boccuzzi, Casellato, Cuomo, Damiano, Giacobbe, Gribaudo, Incerti, Patrizia Maestri, Miccoli, Paris, Giorgio Piccolo, Rostellato, Rotta, Simoni, Tinagli, Zappulla».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Parentela n. 5-07414, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 550 del 19 gennaio 2016.

   PARENTELA, NESCI e DIENI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   a Castrovillari (CS), dopo anni di lotte e di proteste popolari, sembrava si fosse giunti alla conclusione di un incubo con l'autorizzazione della regione Calabria nell'agosto 2013 e l'erogazione di fondi per un milione di euro di fondi pubblici da destinare alla bonifica e alla chiusura definitiva della vecchissima discarica che, da anni, produce e perde pericolosissimo percolato, se non fosse che l'amministrazione comunale invece di chiuderla vorrebbe riaprirla usando in maniera inappropriata il milione di euro di fondi pubblici stanziati dalla Regione oltre ad accollare un altro milione e 143 mila euro di tasse sui rifiuti ai cittadini, già oberati da tasse altissime;
   la discarica comunale, costruita negli anni 90, ha raccolto i rifiuti indifferenziati di oltre 20 comuni, è stata chiusa d'autorità nel 2002 dal commissario per l'emergenza ambientale nella Regione Calabria, per le sue condizioni igienico-strutturali. Dopo la dismissione del 2002, la discarica ha continuato a «produrre» percolato, con spese per il comune e rischio di inquinamento dei terreni circostanti per tracimazione dai bordi della discarica stessa e attraverso le fessurazioni createsi nelle pareti e nel fondo;
   da oltre dieci anni gli operatori del settore agro-alimentare e le associazioni ambientaliste locali e nazionali si sono mobilitate, assieme alla popolazione, per richiedere la bonifica e la tombatura definitiva del sito che, tra le altre cose, sorge in una zona ricca di reperti archeologici dell'epoca romana, si pensi solo che la via Popilia passava proprio di qui. Il 18 dicembre 2015 si è svolta una grande manifestazione che ha visto un interminabile corteo di camion, trattori e auto che da Cammarata – ove si registrano oltre 5.000 occupati, tra diretti e indotto – ha raggiunto Castrovillari, per poi recarsi alla discarica di Contrada Campolescia. I primi a ribellarsi sono stati proprio gli agricoltori che nella discarica hanno sempre visto, giustamente, non solo un rischio per la salute – ci sono per esempio falde idriche a rischio di contaminazione – ma anche per l'occupazione. Cammarata è nel cuore del distretto agroalimentare di qualità di Sibari (DAQ) che produce circa il 45 per cento dei prodotti agro-alimentari calabresi – di cui il 70 per cento destinati all'esportazione – ove si registrano oltre 5.000 occupati, tra diretti e indotto; tra le eccellenze locali vi sono i prodotti tipici DOP e IGP (denominazioni registrate presenti nel SL di Castrovillari): soppressata, capocollo, salsiccia, pancetta; caciocavallo, olio extra-vergine di oliva, liquirizia, fichi, clementine ed i vini Pollino DOC Calabria IGT Esaro EGT;
   la riapertura della discarica, oltre al danno di immagine per i prodotti agro-alimentari di Cammarata e la conseguente perdita di centinaia di posti di lavoro, darebbe nuovo impulso alla produzione di percolato, mentre la sua tombatura vi metterebbe fine;
   la succitata autorizzazione regionale prevedeva anche un ulteriore conferimento di rifiuti, rigorosamente finalizzato però – e solo ove fosse stato necessario – al solo raggiungimento del «piano di campagna» circostante alla discarica, compreso lo spessore della copertura impermeabile («capping»), di 2,5 metri. Le rilevazioni effettuate con un drone – e le relative elaborazioni al computer – dimostrano che il dislivello medio esistente tra il colmo della discarica e il piano di campagna circostante è di 0,66 metri, assai inferiore, perciò allo spessore del capping; ne consegue che non è né legalmente né tecnicamente possibile abbancare ulteriori rifiuti in discarica se si rispettano le prescrizioni contenute nell'autorizzazione regionale;
   i Comitati e le Associazioni ambientalisti che assieme agli operatori del settore agro-alimentare si stanno opponendo al surretizio tentativo di riaprire la discarica, hanno presentato elaborati tecnici ed osservazioni, lamentando anomalie e difformità nella progettazione e nella realizzazione dei lavori, difformità puntualmente rilevate dai tecnici dell'Arpacal, inviati dall'assessorato regionale dell'ambiente della regione Calabria ad effettuare specifico sopralluogo;
   i dirigenti del dipartimento ambiente della regione Calabria – gli stessi che avevano seguito e diretto conferenza di servizi che aveva condotto all'autorizzazione dell'8 agosto 2013 – malgrado tali riscontri, hanno, incredibilmente, ritenuto congrui i lavori in corso di esecuzione –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali iniziative di competenza intenda promuovere, incluso un accertamento da parte del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente sullo stato dei luoghi;
   quali iniziative, anche normative, intenda adottare il Governo per tutelare dalla contaminazione i prodotti agricoli e alimentari tutelati da denominazione di origine protetta o da indicazione geografica protetta. (5-07414)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Catanoso n. 4-08312 del 6 marzo 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Michele Bordo n. 5-06826 del 30 ottobre 2015;
   interrogazione a risposta scritta Mannino n. 4-11484 del 17 dicembre 2015;
   interrogazione a risposta scritta Gadda n. 4-11666 del 14 gennaio 2016.