Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 18 gennaio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    le infezioni ospedaliere e la resistenza antimicrobica continuano a rappresentare la più frequente complicanza ospedaliera e il loro trend sembra essere in continuo aumento;
    in media, il 5 per cento dei pazienti contrae un'infezione durante il periodo di soggiorno in corsia e la maggior parte delle persone infette nei giorni di ricovero viene colpita da polmonite;
    le infezioni nosocomiali e la resistenza antimicrobica rappresentano due particolari questioni sanitarie richiamate anche nell'allegato 1 della decisione n. 2000/96/CE del 22 dicembre 1999 della Commissione europea relativa alle malattie trasmissibili da inserire progressivamente nella rete comunitaria, giusto la decisione n. 2119/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio;
    è sempre crescente la resistenza antimicrobica e le capacità di batteri, virus e parassiti di resistere ad uno o più antimicrobici usati in via terapeutica o profilattica;
    tra le maggiori cause di tale evenienza sono l'abuso di antimicrobici, le mutazioni degli stessi microrganismi e la loro facile diffusione;
    il fenomeno di microrganismi multiresistenti rappresenta un rischio sanitario tra i più elevati ed incide in modo significativo nell'ambito della mortalità per malattie infettive, atteso che le terapie alternative sono quasi inesistenti;
    il rischio sanitario da microrganismi multiresistenti ha un'incidenza primaria nell'ambito delle prestazioni erogate negli ospedali soprattutto nei reparti di rianimazione, terapia intensiva, chirurgia invasiva e nei reparti di assistenza sanitaria associata (lungodegenza);
    risulta allarmante, attualmente, la mortalità per «infezioni ospedaliere» monitorata intorno al 25-30 per cento e tra i batteri più pericolosi che agiscono in ambito nasocomiale vi è la Klebsiella pneumoniale e una serie di altri microrganismi Gram negativi che provocano la morte di persone con fisico defedato, affette da malattie severe, immunodepresse;
    tra le cause scatenanti per la diffusione delle infezioni da batteri Gram negativi sono da annoverare: il trasferimento dei pazienti tra le diverse strutture sanitarie; la gravità delle condizioni cliniche del paziente; la permanenza per un determinato periodo di tempo in rianimazione e/o terapia intensiva; un precedente intervento chirurgico; i trapianti di midollo o di organi; la presenza di ferite chirurgiche; il cateterismo delle vie biliari e la ventilazione assistita;
    le ricerche ed i risultati più recenti pubblicati dal Centro europeo di Stoccolma confermano che, in Europa, il numero dei pazienti infetti da batteri resistenti sono in continuo aumento e che la resistenza agli antibiotici rappresenta una grave emergenza di sanità pubblica;
    nel nostro Paese si registra un trend di vistoso aumento delle infezioni ospedaliere, con oltre 50.000 persone all'anno che vengono colpite da infezioni ospedaliere;
    il Ministero della salute ha pubblicato la circolare n. 4968, il 26 febbraio 2013, riguardante la «Sorveglianza e controllo delle infezioni da batteri produttivi di carbapenemasi (cpe)» e sono ormai trascorsi quasi tre anni dal tentativo di instaurare un sistema di sorveglianza delle infezioni ospedaliere resistenti e quanto messo in campo finora non è stato sufficiente ad ottenere risultati significativi; pertanto, si rende necessario ed urgente un più adeguato intervento per il controllo ed il contenimento delle infezioni ospedaliere e del sempre crescente fenomeno dell'antibiotico-resistenza, con conseguente serio rischio che negli ospedali italiani si possa profilare presto uno stato di emergenza sanitaria,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità dell'adozione di ulteriori iniziative volte ad elevare la qualità dei protocolli di sicurezza in uso negli ospedali italiani seguendo le linee guida internazionali dell'Organizzazione mondiale della sanità;
   ad assumere iniziative attraverso campagne istituzionali di informazione e di educazione sanitaria per la riduzione del consumo degli antibiotici in ambito ospedaliero, utilizzandoli solo nelle situazioni in cui ci sia reale necessità;
   a valutare l'opportunità di predisporre un nuovo piano nazionale di prevenzione e controllo, con l'obiettivo di contrastare le infezioni ospedaliere ed il fenomeno dell'antibiotico-resistenza;

   a coinvolgere le regioni attraverso la sottoscrizione di accordi che garantiscano l'attuazione dei protocolli di sorveglianza sulla resistenza antibiotica, secondo le indicazioni del Ministero della salute.
(1-01094) «Palese, Fucci, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Latronico, Marti».


   La Camera,
   premesso che:
    come ampiamente rilevato dalla stampa nazionale, in data 14 gennaio 2016, il titolo Renault è calato del 20 per cento alla borsa di Parigi dopo che si è cominciato a diffondere il sospetto che, dopo il noto scandalo Volkswagen la casa automobilistica francese Renault potesse essere coinvolta in un nuovo caso dieselgate;
    il quotidiano  Le Monde ha scritto che il crollo è avvenuto dopo che due sindacati francesi, la CGT e la CFDT, hanno reso noto che la settimana scorsa ci sono state perquisizioni alla Renault da parte della Direction générale de la concurrence, de la consommation et de la répression des fraudes (DGCCRF);
    in seguito la Renault ha confermato che le perquisizioni sono effettivamente avvenute a Lardy, a Guyancourt e nella sede centrale, ma la CGT, il sindacato di sinistra francese, ha riferito che gli ispettori della DGCCRF sono stati visti anche a Plessis-Robinson;
    in particolare, il sindacato francese CGT ha dichiarato alla stampa che i settori presi di mira da queste perquisizioni, ovverosia l'omologazione e la messa a punto dei controlli motore, lascerebbero presumere che le perquisizioni potrebbero essere legate alle conseguenze dell’affaire des « moteurs truqués» della Volkswagen, anche se i test condotti dal Governo francese sui motori diesel non avrebbero rilevato la presenza di computer truccati;
    dopo lo scandalo Volkswagen, la casa automobilistica Renault, nel mese di dicembre 2015 aveva annunciato un piano di investimenti da 50 milioni di euro per ridurre lo scarto tra le emissioni inquinanti delle sue auto durante i test e su strada e, dopo lo scoppio della polemica di questi giorni ha cercato di smarcarsi affermando che «Dopo il successo della COP 21, Renault intende accelerare il suo investimento al servizio delle soluzioni industriali utili alla preservazione del pianeta. Il Groupe Renault è già ora nella top 3 (prima nel 2013, seconda nel 2014) dei programmi di miglioramento dell'impronta di CO2. Da 3 anni, il Groupe Renault ha concretamente ridotto del 10 per cento l'impronta di carbonio dei suoi veicoli»;
    rassicurazioni, impegni e spiegazioni che, pur tuttavia, non hanno fermato il crollo di Renault in borsa, che si è trascinato dietro tutte le case automobilistiche, verso quali anche il mercato nutre evidentemente seri sospetti. La Peugeot PSA ha perso più del 7 per cento costringendo l'altro gigante dell'auto francese a emettere un comunicato nel quale assicura di non aver subito una perquisizione della DGCCRF e aggiungendo che i risultati condotti dal Governo francese sulle auto Peugeot non hanno trovato dispositivi truccati come quelli della Volkswagen;
    il crollo delle case automobilistiche francesi a Parigi si è ripercosso comunque e praticamente su tutte le borse europee e ha colpito soprattutto la FCA (ex Fiat) con il -9,83 per cento, dopo essere scesa fino al -10,57 per cento, seguita da Daimler (-5,6 per cento), Bmw (-4,58 per cento), Volkswagen (-4,48 per cento), Ferrari (-3,8 per cento);
    già lo scandalo Volkswagen, con 710.000 vetture circolanti nel nostro Paese, ha rappresentato una truffa senza precedenti ai danni dei consumatori, un grave vulnus alla fiducia all'interno del mercato europeo e all'immagine che l'industria automobilistica europea aveva guadagnato in questi anni come industria innovativa, improntata ai principi di sostenibilità ambientale e capace di produrre ricerca e di conquistare mercati;
    ad oggi non appare ancora chiaro quale sia il numero delle vetture Volkswagen effettivamente coinvolte da uno scandalo che ora sembra essersi esteso anche alla casa automobilistica Renault, quanti controlli effettivi siano stati espletati nel nostro Paese e quali sanzioni siano state applicate;
    in occasione dell'audizione del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Graziano Delrio resa in data 29 ottobre 2015 presso le Commissioni riunite VII, IX e X della Camera dei deputati sull'impatto della vicenda Volkswagen sulla filiera nazionale dell'automotive, sui consumatori e sull'ambiente, il Ministro stesso aveva evidenziato la possibilità di applicare l'articolo 77 del codice della strada (decreto legislativo n. 286 del 1992) che prevede sanzioni pecuniarie per chi commercializzi veicoli non coperti da omologazione adeguata. L'articolo 77 citato prevede, infatti, dagli 800 ai 3.000 euro di sanzione pecuniaria amministrativa per ogni veicolo commercializzato,

impegna il Governo:

   a trasmettere urgentemente al Parlamento una relazione dettagliata contenente i dati relativi alle verifiche e ai controlli effettuati sul parco automobilistico italiano coinvolto dalla vicenda Volkswagen, che sembrerebbe purtroppo estendersi anche alla casa automobilistica Renault, con precisa evidenziazione del numero definitivo delle vetture interessate dal mancato rispetto dei limiti di emissioni inquinanti;
   a fornire elementi circa l'avvenuta effettiva applicazione dell'articolo 77 del codice della strada nei confronti dei soggetti che commercializzano veicoli non coperti da omologazione adeguata con evidenziazione dell'attuale ammontare complessivo delle sanzioni;
   ad avviare immediatamente contatti con il Governo francese e la casa automobilistica francese Renault per verificare tempestivamente se le autovetture Renault attualmente circolanti in Italia possano, alla luce di quanto rilevato dalla stampa nazionale, eventualmente rientrare in un possibile piano di ritiro dal mercato;
   ad assumere iniziative per incrementare in modo significativo risorse finanziarie per rafforzare gli strumenti operativi e di controllo dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e del sistema delle agenzie ambientali attualmente operanti nel nostro Paese, che conta oggi la presenza sul territorio nazionale di 21 strutture tra agenzie regionali (ARPA) e provinciali (APPA), valutando l'opportunità di dotarle di strumenti che possano permettere controlli a campione anche sulle vetture circolanti, in modo da garantire la sicurezza per il cittadino e far sì che il costruttore sappia che qualunque vettura in circolazione può essere soggetta alla campionatura delle agenzie ambientali per un controllo su strada;
   a incrementare gli investimenti per sostenere politiche innovative in favore dello sviluppo dei trasporti puliti a basse emissioni e a bassi consumi, perseguendo gli obiettivi di decarbonizzazione nel settore dei trasporti, incentivando l'uso di tecnologie innovative all'idrogeno, di biocarburanti di seconda e terza generazione e la diffusione di veicoli elettrici e ibridi, promuovendo sistemi di mobilità alternativi, come tramvie, car pooling, car e bike sharing e piste ciclabili, e incentivando, in particolare, lo sviluppo delle tecnologie pulite nel settore automobilistico, attraverso la subordinazione in maniera permanente degli incentivi per la rottamazione delle auto e all'acquisto di veicoli a basso impatto ambientale.
(1-01095) «Zaratti, Pellegrino, Franco Bordo, Folino, Scotto, Fassina, Airaudo, Fava, Placido, Gregori, Ricciatti, D'Attorre, Ferrara, Marcon, Carlo Galli, Duranti, Piras, Fratoianni, Melilla, Quaranta, Zaccagnini, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Sannicandro».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   D'UVA, DIENI e SIBILIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni 8 e 9 novembre 2015, così come confermato dal relativo sito istituzionale, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, ha preso parte ad un viaggio diplomatico presso la città di Riyad, capitale dell'Arabia Saudita;
   secondo le informazioni ufficiali fornite dalla Presidenza domenica 8 novembre il premier Renzi ha incontrato il Principe ereditario e Ministro dell'interno, Mohammed bin Nayef, e il vice Principe Ereditario e Ministro della difesa, Mohammed bin Salman, mentre «lunedì 9 novembre il presidente del Consiglio ha visitato il cantiere della metropolitana di Riad ed in seguito ha incontrato Re Salman bin Abdulaziz Al Saud»;
   in data 8 gennaio 2016, il quotidiano consultabile online Il Fatto Quotidiano, in un proprio articolo titolava «Governo in visita in Arabia Saudita. La missione finisce in rissa per i Rolex in regalo»;
   secondo tale fonte di stampa «durante la trasferta a Riyad dello scorso novembre, i delegati italiani si sono accapigliati per dei cronografi da migliaia di euro, un omaggio dei sovrani sauditi», e per tali motivi gli stessi oggetti, o parte di essi, sarebbero oggi sequestrati dalla Presidenza del Consiglio;
   i fatti, che secondo lo stesso quotidiano rappresenterebbero «una grossa figuraccia internazionale per l'Italia», e riportati da testimoni oculari, risalirebbero alla serata tra l'8 e il 9 novembre, quando «il cerimoniale di Palazzo Chigi, depositario degli elenchi e dei protocolli di una trasferta di Stato, prima del riposo tenta di alleviare le fatiche con l'inusuale distribuzione dei regali», distribuzione che avveniva per «oltre 50 ospiti» tra i quali vi sarebbero stati i vertici di alcune aziende statali come Finmeccanica e Salini Impregilo, società di affidataria dell'appalto per la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, recentemente tornato tra gli obiettivi dell'attuale Governo;
   secondo l'articolo, i doni destinati alla delegazione italiana consisterebbero in «avveniristici cronografi prodotti a Dubai, con il prezzo che oscilla dai 3.000 ai 4.000 euro e Rolex robusti, per polsi atletici, che sforano decine di migliaia di euro, almeno un paio», riferendo inoltre come allo stesso Presidente del Consiglio «sarà recapitato anche un cassettone imballato, trascinato con il carrello dagli inservienti»;
   dalla lettura dell'articolo emergerebbe una indebita acquisizione di beni a funzionari pubblici, in accordo con la normativa vigente, risultando tali azioni assolutamente incompatibili con le funzioni di una rappresentanza istituzionale, dal momento che in luogo della cerimonia sarebbe avvenuta addirittura una rissa, causata da un tentativo di appropriazione di un bene di maggior valore, nel caso di specie un Rolex sottratto al pur illegittimo destinatario;
   a confermare quanto avvenuto nei giorni 8 e 9 novembre 2015, in occasione della visita istituzionale presso Riyad, è intervenuta la stessa Presidenza del Consiglio, con propria nota ufficiale, rilevando come «I doni di rappresentanza ricevuti dalla delegazione istituzionale italiana, in occasione della recente visita italiana in Arabia Saudita, sono nella disponibilità della Presidenza del Consiglio, secondo quello che prevedono le norme. Come sempre avviene in questi casi, dello scambio dei doni se ne occupa il personale della presidenza del Consiglio e non le cariche istituzionali», smentendo sì la possibilità di indebita appropriazione, senza tuttavia essere in grado di fornirne certa dimostrazione;
   il decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62, emanato in attuazione della legge anti-corruzione n.190 del 2012, in linea con le raccomandazioni OCSE in materia di integrità ed etica pubblica, dispone il divieto per il dipendente di chiedere regali, compensi o altre utilità, nonché il divieto di accettare regali, compensi o altre utilità, salvo quelli d'uso di modico valore (non superiore a 150 euro) – anche sotto forma di sconto.
   il decreto, articolo 4, comma 1, in particolare, prevede il divieto del dipendente di non chiedere, né sollecitare, per sé o per altri, regali o altre utilità, in evidente contrasto, quindi, con i fatti sopra richiamati;
   secondo le previsioni del successivo comma «il dipendente non accetta, per sé o per altri, regali o altre utilità, salvo quelli d'uso di modico valore effettuati occasionalmente nell'ambito delle normali relazioni di cortesia e nell'ambito delle consuetudini internazionali. In ogni caso, indipendentemente dalla circostanza che il fatto costituisca reato, il dipendente non chiede, per sé o per altri, regali o altre utilità, neanche di modico valore a titolo di corrispettivo per compiere o per aver compiuto un atto del proprio ufficio da soggetti che possano trarre benefici da decisioni o attività inerenti all'ufficio, né da soggetti nei cui confronti è o sta per essere chiamato a svolgere o a esercitare attività o potestà proprie dell'ufficio ricoperto»;
   in considerazione della natura sia politica che commerciale della missione italiana presso la capitale dell'Arabia Saudita, Riyad, qualora venissero confermati, i fatti riportati dal quotidiano nazionale apparirebbero in evidente contrasto con la normativa riportata;
   come già evidenziato, per regali o altre utilità di modico valore si intendono quelle di valore non superiore, in via orientativa, a 150 euro, anche sotto forma di sconto, ben al di sotto, quindi del valore di mercato dei beni messi a disposizione, secondo quanto riportato in premessa, in occasione del viaggio diplomatico tenutosi nei giorni 8 e 9 novembre;
   sulla stessa notizia interviene in data 8 gennaio 2016, il quotidiano consultabile online La Stampa, il quale, ricollegandosi alla notizia riportata dalla rivista Il Fatto Quotidiano, riporta come «la vicenda rischia di diventare ancora più misteriosa. Gli orologi sarebbero spariti da Palazzo Chigi: non sono nella stanza dei regali al terzo piano, denuncia Il Fatto. Se la cosa fosse confermata significa che i preziosi regali sarebbero finiti nelle mani di qualche singolo funzionario, contravvenendo così alla direttiva Monti che impedisce ai dipendenti pubblici di accettare omaggi del valore superiore a 150 euro. Dove sono finiti, allora, i Rolex degli sceicchi ?», considerando come, nonostante la smentita, l'attuale condizione dei beni ricevuti non sia del tutto nota;
   in data 10 gennaio 2016 il contenuto di un nuovo articolo della testata giornalistica Il Fatto Quotidiano farebbe emergere altri particolari, non soltanto legati alla vicenda sin qui esposta, ma ad una più generica, possibile, consuetudine circa lo scambio di beni in luogo di missioni estere dei principali esponenti politici del nostro Paese;
   in particolare la notizia riporta di come «i cronografi sono fin troppi. E molto nascosti, un po’ sperduti, tra risse notturne nel palazzo reale di Ryad – fra la delegazione di Roma per ghermire la scatoletta con il congegno svizzero – e gli stessi orologi preziosi che Renzi sfoggia dai primi mesi di domicilio a Palazzo Chigi: un paio di Rolex, di sicuro un Daytona, un vistoso Audemars Piguet. Li ha comprati di recente ? Li ha ricevuti dai capi di governo stranieri ? Più che la precisione, allora, occorre la trasparenza»;
   lo stesso articolo rilevava come non ci fosse bisogno «di stimare la due ruote Shimano di Shinzo Abe al collega Renzi (giugno 2014): si tratta di un dono che sfonda il tetto dei 300 euro. Episodio isolato oppure rodata consuetudine ? Palazzo Chigi non ha risposto ai dubbi, suffragati da diverse fonti, su almeno tre orologi indossati da Renzi durante il mandato a Roma»;
   ad avviso degli interroganti la vicenda, avendo assunto caratteri di rilievo nazionale, merita un approfondimento necessario a fugare ogni ragionevole dubbio circa la possibile violazione della normativa prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62, «Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici», dal momento che questa prevede espressamente una condotta che ponga il funzionario al di sopra di ogni sospetto e in un quadro di assoluta trasparenza –:
   se si intendano assumere iniziative per introdurre con urgenza un efficace protocollo da applicare in occasione di viaggi diplomatici e visite di rappresentanza, sia con finalità politiche che commerciali, al fine di impedire, con procedure efficaci, la possibilità che casi analoghi possano verificarsi in futuro, assicurando e garantendo la correttezza istituzionale, ovvero l'impossibilità per funzionari e rappresentanti pubblici di disporre, anche solo temporaneamente, dei beni sottoposti ai vincoli previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62. (5-07403)

Interrogazione a risposta scritta:


   DI BATTISTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   come riportato dalla trasmissione Report, andata in onda su Rai 3 il 21 dicembre 2014, il senatore del Nuovo Centro Destra Luciano Rossi non si occupa soltanto di politica, ma è molto impegnato anche nel mondo dello sport essendo presidente, da più di 20 anni, ed esattamente dal 1993, della FITAV (Federazione italiana tiro a volo);
   tra le varie discipline regolate dalla FITAV ne compaiono tre di interesse olimpico: fossa olimpica, skeet e double trap;
   solo per l'anno 2015, la Federazione ha ricevuto contributi per euro 4.300.000 circa, oltre ai 2.000.000 di euro derivanti da circa 40.000 tesserati che pagano una quota annuale di euro 50,00;
   queste somme vengono utilizzate, in piccola parte, per la gestione ordinaria della Federazione, mentre per la restante parte, per la promozione dello sport di competenza, quindi, gli allenamenti e la partecipazione alle gare delle varie nazionali, l'organizzazione di eventi, nazionali o internazionali, che si svolgono nel territorio italiano, i contributi assegnati alle varie società per piccoli investimenti di miglioramento dei campi di tiro a volo;
   il vero «protagonista» di questo sport è il piattello, un piattino fatto di materiali di diverso tipo dal peso di circa 100 grammi;
   ad oggi, in Italia, se ne sparano circa 100.000.000 pezzi all'anno;
   in Italia, ormai da molto tempo, la principale azienda che produce piattelli per tiro a volo è la Eurotarget S.r.l., con sede legale a Nocera Umbra (Perugia), che ha un fatturato annuo di circa 10.000,000;
   il 19,48 per cento di questa società appartiene alla Tora S.r.l., con sede a Massa Martana (Perugia), il cui 90 per cento delle quote è del senatore Luciano Rossi e il 10 per cento della moglie Laura;
   il senatore risulta dunque avere una partecipazione consistente in una società che opera, con una posizione di assoluto rilievo, nel mercato della produzione e vendita dei piattelli e, allo stesso tempo, risulta presidente della Federazione italiana tiro a volo;
   in Italia, a differenza che nel resto d'Europa, una nuova azienda che volesse produrre piattelli ha anche l'obbligo di farli omologare dalla Federazione perché possano essere utilizzati in gare federali: la procedura prevede che si presenti istanza al collegio tecnico della Fitav;
   coordinatore del collegio tecnico risulta essere il dottor Stefano Rosi, che è altresì socio accomandatario della Geochim di Stefano Rosi & C. Sas, firmataria delle schede tecniche o di sicurezza dei piattelli venduti da Eurotarget;
   lo stesso collegio tecnico della Fitav si occupa, altresì, di compilare le domande per accedere ai contributi e di dare indicazioni su come costruire i campi da tiro e come smaltire i rifiuti provenienti da tale attività;
   di fatto, il collegio ha piena contezza di chi siano i nuovi produttori di piattelli che vogliano immettersi sul mercato, di quali società sportive chiedano contributi e se tali società acquistino i piattelli di Eurotarget, oppure se smaltiscano o meno i rifiuti attraverso la stessa Eurotarget;
   addirittura, come risulta da alcuni organi di stampa locale, alcune società concorrenti della Eurotarget avrebbero affermato che «i campi di tiro si sentono succubi e hanno diciamo paura di prendere piattelli da altri perché la federazione dà contributi e gare»;
   nello stesso senso le dichiarazioni di alcuni proprietari di campi di tiro: «Se facciamo gare federali è proprio obbligatorio sparare piattelli omologati Fitav, se no gare non ne puoi fare. I piattelli omologati sono Eurotarget, sono solo loro»;
   inoltre, nel 2010, il senatore Rossi ha acquistato un campo di tiro a piattello situato a Massa Martana (Perugia), intestandolo alla Tora srl e trasformandolo, in pochissimi anni, in un resort con piscina, palestra e sale congressi; tale struttura ospita ora i più importanti, come numero di partecipanti, eventi di tiro a piattello che si svolgono in Italia, compresi i ritiri delle nazionali delle varie discipline e progetti per paraolimpici;
   lo statuto Fitav all'articolo 20 comma 2, lettera A, recita: «È ineleggibile la persona fisica che abbia, come fonte primaria o prevalente di reddito, un'attività commerciale direttamente collegata alla gestione della FITAV, nell'ambito della quale è presente la candidatura»;
   l'articolo 21, comma 3, stabilisce che: «È considerato incompatibile con la carica che riveste, e deve essere dichiarato decaduto, il tesserato che venga a trovarsi in situazione di permanente conflitto di interesse, per ragioni economiche, con l'organo nel quale è stato eletto o nominato»;
   il codice di comportamento, all'articolo 10, prevede che: «I Tesserati, gli affiliati e gli altri soggetti dell'ordinamento sportivo sono tenuti a prevenire situazioni, anche solo apparenti, di conflitto con l'interesse sportivo, in cui vengano coinvolti interessi personali o di persone ad essi collegati»;
   le autorità sportive, nelle persone di Renato Calabrò, garante del codice sportivo, Enrico Cataldi, procuratore generale dello sport, Giovanni Malagò, Presidente del Coni, Roberto Fabbricini, segretario generale del Coni, Raffaele De Matteo, procuratore federale Fitav, Fabio Fortuni segretario generale Fitav, tutti i componenti del consiglio federale della Fitav nonostante grazie a Report-RAI, siano al corrente, dal dicembre 2014, del conflitto di interessi del presidente e delle, gravi violazioni in atto e nonostante abbiano ricevuto puntuali notificazioni scritte a opera di privati cittadini nel gennaio 2015, tutti costoro non hanno ad oggi attivato alcuna procedura, né adottato provvedimenti del caso;
   alla luce di quanto esposto sembra all'interrogante che il Senato e Luciano Rossi eserciti le sue funzioni di presidente di una Federazione pubblica in evidente conflitto di interesse laddove, come detto, risulta proprietario della principale azienda di produzione, vendita di piattelli e smaltimento rifiuti di piattelli in Italia, nonché, attraverso la partecipazione nella società Tora S.r.l., gestisce un campo di tiro a volo dove si svolgono i ritiri delle nazionali, gli eventi più rilevanti e corsi per tecnici e giudici Fitav –:
   di quali elementi disponga il Governo, nell'ambito delle proprie competenze, in relazione a ciò che appare all'interrogante un sostanziale conflitto di interesse, come segnalato in premessa;
   quali atti di propria competenza intenda assumere al fine di ripristinare le condizioni di libera concorrenza in un mercato oggetto di ampie distorsioni, quale quello oggetto del presente atto di sindacato ispettivo. (4-11705)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   BRESCIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   da notizia di stampa pubblicata sul quotidiano online La Repubblica in data 13 gennaio 2016 si apprende che le indagini condotte dalla Procura di Bari e dalla Digos relativamente alle poco trasparenti procedure per l'appalto di forniture e servizi messe in atto dalla Fondazione lirico sinfonica del teatro Petruzzelli di Bari hanno portato all'emanazione di un'ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari per corruzione aggravata e turbata libertà degli incanti di Vito Longo, direttore amministrativo della Fondazione, e di quattro titolari di imprese fornitrici, Franco Mele, Giacomo Delle Noci, Nicola Losito e Vito Armenise;
   le indagini, tuttora in corso e riguardanti il periodo tra il 29 ottobre e il 4 dicembre 2015, hanno come oggetto tre appalti sospetti, destinati all'assegnazione di contratti per la fornitura di luci e di servizi di pulizia e facchinaggio nel politeama barese. Secondo le accuse rivolte agli imputati, i contratti sarebbero stati stipulati in cambio di tangenti e altre utilità;
   come riporta l'articolo sopracitato, dalle intercettazioni telefoniche e dalle riprese video effettuate con apparecchiature installate proprio nell'ufficio di Vito Longo si è infatti scoperto che, per aggiudicarsi l'appalto di servizi e forniture di tre spettacoli di balletto, gli imprenditori coinvolti avrebbero pagato una tangente al direttore amministrativo attraverso un sistema di sovrafatturazione delle prestazioni offerte o di fatturazione di prestazioni inesistenti;
   nel periodo dell'indagine, Longo avrebbe complessivamente ricevuto dai titolari della imprese fornitrici coinvolti nelle indagini tangenti per 20 mila euro, all'incirca il 10 per cento dell'importo degli appalti;
   la sistematicità dei pagamenti da parte degli imprenditori al direttore amministrativo rivelerebbe un sistema corrotto e con consolidato di appalti fatti su misura in cambio di tangenti che potrebbe generare l'ipotesi di un utilizzo di procedure di dubbia legittimità nell'affidamento degli appalti anche negli anni precedenti di attività del teatro Petruzzelli, motivo per cui le forze dell'ordine continueranno ad indagare;
   l'interrogante, in data 30 novembre 2015, aveva depositato un'interrogazione al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo al fine di sollecitarne un intervento sia in merito a presunte irregolarità riscontrate nelle procedure di affidamento di appalti per le forniture di materiale illuminotecnico, sia con lo scopo di approfondire quelle voci dei bilanci a consuntivo pubblicati sul sito della Fondazione Petruzzelli, che dimostrano come un'ingente somma di denaro, proveniente da fondi pubblici, fin dalla riapertura del teatro nel 2009, sarebbe stata utilizzata nella maggior parte dei casi per il noleggio, piuttosto che per l'acquisto di impianti e apparecchiature;
   dalle dichiarazioni del presidente della regione Puglia, Michele Emiliano, riportate nell'articolo di giornale pubblicato in data 15 gennaio 2015 sul quotidiano Il Corriere del Mezzogiorno, si apprende che la nomina di Vito Longo a direttore amministrativo della Fondazione Petruzzelli risale a quando la carica di presidente della Fondazione era affidata al sindaco Simeone Di Cagno Abbrescia;
   dallo stesso articolo si apprende che Vito Longo ha continuato ad operare come direttore amministrativo della Fondazione Petruzzelli anche nell'arco temporale in cui Michele Emiliano era sindaco della città di Bari e, di conseguenza, presidente della Fondazione lirico sinfonica del teatro barese, e che a quel tempo sua moglie, Antonella Rinella, era capo di gabinetto dell'amministrazione Emiliano;
   qualora le indagini della procura di Bari e della Digos confermassero la presenza di irregolarità nell'affidamento di appalti per forniture e servizi anche negli anni precedenti di attività della Fondazione, sotto la direzione amministrativa di Vito Longo, un contributo prezioso alle indagini potrebbe essere fornito proprio da chi, negli scorsi anni, ha ricoperto cariche importanti all'interno della Fondazione lirico sinfonica Petruzzelli, come quella di presidente, di sovrintendente, di membro del consiglio d'indirizzo e del collegio di revisore dei conti;
   come da statuto, documento pubblico consultabile sul sito www.fondazionepetruzzelli.it, il presidente della Fondazione, oltre ad esserne il rappresentante legale, ha difatti il compito di vigilare sull'esecuzione delle deliberazioni del consiglio d'indirizzo e di firmarne gli atti ed ogni altro documento necessario (articolo 15, comma 1 e 2); tra i compiti del consiglio d'indirizzo vi è l'obbligo di assicurare il pareggio di bilancio, (articolo 20, comma 1); il sovrintendente, unico organo di gestione della Fondazione, provvede all'organizzazione delle attività teatrali (articolo 21, comma 2) e svolge tutti gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, predisponendo anche il bilancio preventivo e il bilancio di esercizio annuale da sottoporre al consiglio di indirizzo (articolo 21, comma 6); il collegio dei revisori dei conti a cui è affidato il controllo contabile della Fondazione (articolo 22). Si tratta di ruoli pienamente attivi nella vita della Fondazione Petruzzelli, pertanto possibili fonti di sostegno nello svolgimento e risoluzione delle indagini –:
   se non intenda verificare i fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative ritenga opportuno assumere, per quanto di competenza, al fine di verificare che nel corso della gestione amministrativa di Vito Longo non vi siano stati, anche in precedenza, casi simili a quelli portati alla luce dalle indagini sopracitate;
   se intenda adottare iniziative, per quanto di competenza, al fine di chiarire quali dinamiche abbiano portato Longo a ricoprire la carica di direttore amministrativo;
   se intenda intervenire al fine di verificare, per quanto di competenza, altre eventuali responsabilità di coloro che a vario titolo hanno collaborato con Longo nel periodo del suo mandato, ricoprendo un ruolo attivo all'interno della Fondazione, e di accertare che non ci siano state omissioni di controllo da parte degli organi statutari della Fondazione. (4-11704)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BASILIO, FRUSONE, RIZZO, CORDA, TOFALO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   dalla relazione della Corte dei Conti sulla gestione dei contratti pubblici secretati 2014, pubblicata il 18 novembre 2015, a pagina 77 risulta che con contratto n. 636 del 12 novembre 2014 è stato affidato un incarico per la «Progettazione definitiva completa di sondaggi geognostici e rilievo plano-altimetrico in relazione agli interventi di “realizzazione di sistema Wass” e “Upgrade WS3 security system” a Ghedi (Brescia)»;
   l'importo del contratto è di 215.546,61 euro a carico del capitolo 1346/2 del bilancio della Difesa;
   WS3, sigla che sta per Weapons Storage and Security System, è un sistema per la custodia e la sicurezza delle armi nucleari usate dagli aerei statunitensi e NATO che si trova all'interno dei rifugi corazzati che ospitano i velivoli destinati a eseguire missioni nucleari;
   gli Stati Uniti e la NATO hanno avviato nel 2013 un programma di aggiornamento e potenziamento dei ricoveri WS3 esistenti in Europa;
   il contratto in parola si riferisce alla realizzazione all'aeroporto di Ghedi, sede del 6o stormo dell'Aeronautica militare, degli aggiornamenti e miglioramenti dei sistemi WS3 esistenti all'interno di quella base aerea;
   viene così, ad avviso degli interroganti, ufficialmente affermata la presenza di armi nucleari sul territorio nazionale, presenza peraltro innumerevoli volte denunciata ma sempre negata da tutti i Governi della Repubblica;
   tale contratto conferma anche che queste armi sono in dotazione al 6o stormo dell'Aeronautica militare, unico reparto aereo operante da quella base; il 6o stormo, attualmente dotato di velivoli Tornado, è destinato in un prossimo futuro a ricevere i cacciabombardieri F-35 capaci di trasportare le bombe nucleari B61-12 che, secondo fonti ufficiali del dipartimento della difesa statunitense, entreranno in servizio nei prossimi anni;
   l'importo del contratto di oltre 200 mila euro per le sole spese di progettazione fa ritenere che il costo delle opere in questione ammonti a molti milioni di euro, presumibilmente a carico del bilancio della Difesa italiano –:
   se il Ministro non ritenga di dover finalmente spiegare le ragioni per cui l'Italia, nonostante sia firmataria dei Trattato di non proliferazione nucleare, abbia dotato i suoi velivoli militari di capacità nucleare;
   quali siano i costi complessivi del programma e se essi siano a carico del bilancio della Difesa italiano, nonostante si tratti di un programma di ammodernamento NATO;
   se, alla luce di quanto sopra, non ritenga di dover finalmente e doverosamente riferire quali siano gli impegni nucleari che l'Italia ha sottoscritto ma che sono sempre stati sottratti alla conoscenza dei cittadini italiani. (5-07405)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   FERRO, CARELLA, TIDEI, PIAZZONI e MINNUCCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   tra il 22 novembre 2012 ed il 15 gennaio 2013, i servizi ispettivi di finanza pubblica (Settore V), effettuavano una verifica amministrativo-contabile nel comune di Pomezia (S.I.2347/V), le cui risultanze venivano trasmesse con relazione prot. n. 36428/24.04.2013 ed i cui accertamenti mettevano in evidenza le seguenti irregolarità e carenze:
    «illegittimo mantenimento tra i residui attivi di poste inesigibili e/o di dubbia esigibilità che, confluendo nell'avanzo di amministrazione, hanno impropriamente dilatato la capacità di spesa»;
    l’«utilizzo di risorse provenienti da indebitamento per il finanziamento di spesa corrente»;
    l’«errata contabilizzazione tra le entrate libere di somme a destinazione vincolata»;
    le «certificazioni di dati relativi al Patto di stabilità 2009, 2010 e 2011 non corrispondenti con le risultanze di bilancio»;
   con l'invio della suddetta nota 36428/2013, il ragioniere generale dello Stato invitava il comune di Pomezia ad adottare adeguati provvedimenti finalizzati alla eliminazione delle criticità rilevate nella predetta relazione e chiedeva di conoscere l'esito delle iniziative intraprese dall'ente per sanare le situazioni di rilievo emerse dalla ispezione;
   sembrerebbe che il comune di Pomezia, non solo non abbia provveduto a sanare le irregolarità contabili accertate nell'ispezione, ma avrebbe continuato a perpetrare illegittimità nella gestione finanziaria dell'ente, così come sembrerebbe rilevarsi dall'esame del «rendiconto della gestione dell'esercizio finanziario 2013» (approvato con delibera di C.C. n. 32/2014), del certificato allo stesso consuntivo 2013 trasmesso alla direzione centrale della finanza locale e del «rendiconto della gestione dell'esercizio finanziario 2014» (approvato dal consiglio comunale con delibera n. 24 del 28 aprile 2015), nonché del «riaccertamento straordinario dei residui al 1o gennaio 2015 ex articolo 3, comma 7, del decreto legislativo n. 118/2011»;
   le seguenti irregolarità venivano segnalate all'amministrazione comunale mediante una questione pregiudiziale presentata, ai sensi dell'articolo. 70 del regolamento sul funzionamento del consiglio comunale, e consegnata ai consiglieri nella seduta del consiglio comunale, convocato in data 28 aprile 2015 per procedere all'approvazione del «Rendiconto della gestione dell'esercizio finanziario 2014», al fine di ottener il ritiro del punto all'ordine del giorno citato; qui di seguito vengono evidenziate alcune questioni poste con la pregiudiziale;
   1.  quanto al rendiconto della gestione relativo all'esercizio finanziario 2013 approvato con deliberazione di consiglio comunale n. 32/2014:
    a) nel «Rendiconto della gestione dell'esercizio finanziario 2013», approvato con delibera di consiglio comunale n. 32/2014, all'intervento 1.01.03.08 «Oneri straordinari della gestione corrente» sono riportati impegni in competenza per euro 5.021.921,09, da riportarsi tutti in conto residui all'anno successivo. Nell'elenco dei residui passivi allegato al Consuntivo, detto importo di euro 5.021.921,09 è totalmente assorbito dall'impegno contabile di spesa n. 920.01/31.12.2014, iscritto sul Cap. 87060 «Quota ceduta allo stato per alimentare il F.S.C. (fondo solidarietà comunale) 2013 articolo 1, comma 380, legge 228/12» e relativo alla spesa per contribuzione comunale 2013 al fondo solidarietà comunale (F.S.C.);
    essendo stato iscritto un impegno contabile di spesa di euro 5.021.921,09 quale contribuzione comunale al fondo di solidarietà comunale, conseguentemente, nella parte delle Entrate il totale degli accertamenti per IMU 2013 dovrebbe essere al lordo della suddetta quota per l'alimentazione dello stesso F.S.C.. Da una lettura del rendiconto – parte entrate, invece, non sembra essere così come appena detto, atteso che nella medesima parte entrate non vi è un residuo attivo di pari importo di euro 5.021.921,09 in compensazione di quanto iscritto in parte spesa;
    in altre parole, appare evidente che le entrate per IMU 2013 sono state accertate al netto della spesa comunale per l'alimentazione del fondo di solidarietà comunale, mentre nella parte spesa è stato iscritto un impegno contabile di spesa euro 5.021.921,09, portato a residuo, che non aveva ragion d'essere iscritto;
    la riprova di quanto appena sopra sostenuto, si ha leggendo il certificato al rendiconto della gestione 2013 trasmesso alla direzione centrale della finanza locale, dove nel quadro 2 «Entrate» alla voce «Quota IMU per alimentazione fondo di solidarietà comunale» gli accertamenti sono pari ad euro 0,00, mentre alla voce «I.M.U. al netto della quota Imu per alimentazione del fondo di solidarietà comunale» gli accertamenti sono pari ad euro 24.076.463,30; esattamente lo stesso importo iscritto quale accertamenti di competenza alla risorsa 1.01.0180 «Imposta Municipale Propria (IMU)» della parte Entrate del Rendiconto 2013;
    ad ulteriore riprova, nello stesso certificato al rendiconto della gestione 2013, nel quadro 3 «Riepilogo Generale delle Spese» alla voce «Spesa per alimentazione del fondo di solidarietà comunale» gli impegni riportati sono pari ad euro 0,00, mentre alla voce «Titolo 1 Spese Correnti al netto della spesa per alimentazione del fondo di solidarietà comunale (FSC)» gli impegni iscritti sono pari ad euro 72.084.311,79 e, pertanto, dello stesso importo del totale degli impegni correnti riportati al Titolo 1 del rendiconto 2013; è evidente che il sopra indicato insussistente impegno contabile di spesa di euro 5.021.921,09, che nel certificato al consuntivo 2013 doveva essere riportato nella suddetta voce «Spesa per alimentazione del fondo di solidarietà comunale», è stato invece conteggiato nel medesimo certificato negli impegni del «Titolo 1 Spese Correnti al netto della spesa per alimentazione del fondo di solidarietà comunale»;
    da quanto appena sopra esposto, appare evidente che il certificato al consuntivo 2013 trasmesso alla direzione centrale della finanza locale non corrisponde al rendiconto della gestione 2013 approvato in consiglio comunale;
    è altrettanto chiaro che la sopra specificata operazione contabile di iscrizione nell'anno 2013 dell'impegno n. 920.01/31.12.2014, ha inciso sul saldo dello stesso rendiconto 2013, che è stato falsato da una spesa (impegno) di euro 5.021.921,09 in realtà insussistente ed è, conseguentemente, diventato negativo per – euro 4.331.758,34, anziché positivo per euro 690.162,69;
    b) un'altra errata scritturazione contabile inserita nel Rendiconto della gestione 2013, è quella che si riferisce all'entrata inerente la risorsa 1.03.0590 «Fondo di Solidarietà Comunale». Infatti, per detta risorsa, in conto competenza, sono stati accertati euro 14.967.851,11 ed incassati euro 14.288.515,43, quando invece le attribuzioni riconosciute ed indicate nei prospetti pubblicati sul sito internet della finanza locale sono pari a solamente euro 9.641.872,54 è evidente che su detta risorsa sono stati incassati trasferimenti inerenti altre risorse e molto probabilmente relativi ad anni antecedenti al 2013, atteso che anche il totale di incassi di tutti i trasferimenti (FSC incluso) è superiore a quanto riconosciuto dallo Stato al comune di Pomezia (nel rendiconto 2013 si sono addirittura portati residui attivi pari ad euro 679.335,68 per il FSC 2013 – allegato 7;
    riguardo al rendiconto della gestione 2013, infine, occorre rilevare che l'iscrizione del suddetto insussistente impegno di spesa n. 920.01/31.12.2014, la suddetta errata scritturazione contabile concernente l'entrata relativa al Fondo di Solidarietà Comunale nonché i conseguenti incassi imputati su un Titolo dell'Entrata anziché su altro, contabilizzati in competenza anziché quali incassi su residui, hanno con molta probabilità falsato sia il «patto di stabilità 2013», che la «Certificazione dei parametri obiettivi ai fini dell'accertamento della condizione di ente strutturalmente deficitario anno 2013»;

   2. quanto al bilancio di previsione 2014:
    a) l'organo di revisione, in sede di parere al bilancio preventivo 2014, ha continuato a rilevare che «riguardo al recupero sull'evasione ICI degli anni pregressi, risulta una previsione di euro 2.860.000,00 per la quale non si rinvengono i necessari elementi accertativi. Al 28 agosto 2014 risulta un minimo gettito di euro 28.605,45 e lo stanziamento non sembra confortato da idonea attendibilità. Risulta inoltre per tale risorsa un ingente accumulo di residui attivi per euro 22.505.181,84 con un realizzo di riscossioni  per euro 1.943.052,37, assolutamente insufficiente ed emblematico di una inidonea procedura d'accertamento... (omissis)... Si raccomanda in ogni caso di non effettuare accertamenti di entrate nell'esercizio privi dei necessari requisiti definiti nella effettiva realizzazione dell'obbligazione giuridicamente perfezionata»;
    b) nel medesimo parere, si legge anche che «l'entrata per il recupero sulla evasione TARSU viene stimata in euro 10.686.965,58. La previsione 2013 rileva per euro 9.105.946,50 totalmente accertati ma privi di incasso. Al 28 agosto 2014 risultano riscossioni di competenza unicamente per euro 22.631,52, mentre in conto residui il gettito ammonta a euro 3.024.846,09. La descritta situazione risulta affetta da inefficienza di procedure ed azioni di riscossioni. Si ribadiscono le considerazioni fatte riguardo il recupero sull'evasione ICI»;
    c) ancora nel sopra indicato parere al bilancio preventivo 2014, si rileva che «il Titolo III delle entrate extra tributarie presenta uno stanziamento complessivo di euro 13.479.715,21 con un gettito al 28 agosto 2014 pari ad euro 2.657.838,34 (omissis) l'entità delle riscossioni appare esigua (omissis). In ogni caso l'Amministrazione deve provvedere ad effettuare una rigorosa analisi dei cespiti a reddito e dei proventi da servizi attraverso la verifica del trend storico del gettito e delle potenzialità riscossive, nonché ad effettuare una efficiente gestione finanziaria del canone ricognitorio che presenta un notevole incremento nello stanziamento previsionale»;
    d) nel suddetto parere, relativamente all'analisi sull'attendibilità delle previsioni correnti, «come osservazioni conclusive riguardo l'effettiva potenzialità di gettito dell'ambito corrente, il Collegio ritiene che talune componenti, in particolare il recupero sull'evasione, abbiano una impostazione “di potenzialità” e che potranno ottenere l'idonea acquisizione di gettito solamente con l'attuazione di programmi rigorosi  ed efficienti. Riguardo il mantenimento degli equilibri, si raccomanda di non effettuare accertamenti in entrata privi dei requisiti di legge (omissis). In assoluto non potranno più essere “accumulati” residui attivi mancanti della legittimazione giuridica alla riscossione»;

   3.  quanto al rendiconto della gestione esercizio finanziario 2014 approvato con deliberazione di consiglio comunale n. 24/2015:
    a) nel conto del bilancio 2014 – parte entrata – sono riportati per i Titoli I, II e III (parte corrente) residui attivi di competenza 2014 di notevole entità ed in netta ascesa nel loro ammontare relativo agli anni 2013 e 2014 rispetto ai due anni precedenti;
    b) nell'analizzare molti dei singoli residui attivi di competenza 2014, si rileva che il non riscosso rispetto a quanto accertato raggiunge percentuali altissime con riferimento ad esempio alle voci concernenti l'imposta comunale sulla pubblicità e diritti per le pubbliche affissioni, il recupero ICI per gli anni precedenti, l'addizionale provinciale sulla TARI, la tassa per l'occupazione di suolo pubblico, l'evasione TARSU, la tassa sui rifiuti (TARI), i proventi per sanzioni amministrative, i proventi per sanzioni al codice della strada, i canoni non ricognitori;
    c) in relazione agli accertamenti di entrata iscritti negli anni 2013 e 2014 ed ai conseguenti suddetti residui attivi sono state manifestate molte perplessità da parte dell'organo di revisione contabile, sia nella relazione al conto consuntivo 2013 che nel parere al bilancio preventivo 2014 ed all'attuale proposta di conto consuntivo 2014;
    in particolare, l'organo di revisione nel parere al rendiconto 2013 aveva osservato che «l'entrata accertata da recupero da evasione, nello specifico appare sovradimensionata e non realistica», invitando l'amministrazione «a verificare rigorosamente l'attendibilità, la legittimità e la ragione di tale entrata procedendo anche alla corretta attribuzione di competenza delle riscossioni»;
    concetto, quest'ultimo, che viene ribadito dallo stesso organo nella parte dedicata alla «Analisi della gestione dei residui», allorquando si afferma che «l'organo di revisione ha verificato che  non sempre sono stati rispettati i principi e i criteri di determinazione dei residui attivi e passivi disposti dagli  articoli 179, 182, 189 e 190 del TUEL.  Nello specifico, come è stato ampiamente rilevato, nell'ambito delle entrate sul recupero dell'evasione tributaria, sulle sanzioni del Codice della Strada e sulle concessioni edilizie, non risultano compiutamente illustrati ed evidenti i presupposti di sussistenza dell'obbligazione»;

    d) quindi, passando poi al Parere al rendiconto 2014, i revisori dei conti hanno osservato che non sono stati conseguiti i risultati attesi con particolare riferimento al recupero dell'evasione;
    in merito si osserva che «l'entrata accertata complessivamente per euro 13.882.593,16 appare sovradimensionata e non realistica e in ogni caso, nella imminente procedura del riaccertamento straordinario dei residui, dovranno essere rigorosamente verificate la sussistenza e la scadenza di tutte le obbligazioni attive e passive»;

   e) lo stesso organo, così come avvenuto nella relazione al consuntivo 2013, nella relazione al consuntivo 2014, nella parte dedicata alla «Analisi della gestione dei residui», afferma che «l'Organo di revisione ha verificato che non sempre sono stati rispettati i principi e i criteri di determinazione dei residui attivi e passivi disposti dagli articoli 179, 182, 189 e 190 del TUEL. In particolare, nell'ambito delle entrate sul recupero della evasione tributaria, sulle sanzioni del Codice della Strada e sulle concessioni edilizie, non risultano compiutamente illustrati ed evidenti i presupposti di sussistenza della obbligazione»;
    tutto ciò premesso ne conseguono le seguenti considerazioni:
     l'iscrizione contabile dei sopra indicati accertamenti di entrata, sovradimensionati e non realistici, per i quali non risultano compiutamente illustrati ed evidenti i presupposti di sussistenza dell'obbligazione, qualora siano in realtà effettivamente insussistenti, falserebbe a giudizio degli interroganti sia il «patto di stabilità 2014», che la «certificazione dei parametri obiettivi ai fini dell'accertamento della condizione di ente strutturalmente deficitario anno 2014». Si evidenzia che l'ente dal prospetto predisposto rientra nel «Patto di Stabilità 2014» per soli euro 377.490,28;
     qualora in sede di riaccertamento straordinario dei residui ai sensi del decreto legislativo n. 118 del 2011 e simili la stragrande maggioranza dei residui attivi di competenza 2014 dovesse risultare insussistente, oltre a palesarsi la reale motivazione per la quale gli stessi non si sono cancellati in sede di rendiconto finanziario, e cioè la necessità di rientrare ad ogni costo nei limiti imposti dal «atto di stabilità 2014», si rileverebbero a giudizio degli interroganti anche modalità non corrette di redazione del rendiconto finanziario stesso che costituirebbero strumento di violazione degli obblighi inerenti al rispetto dei canoni della sana gestione finanziaria (si rammenta che i requisiti indefettibili dell'accertamento contabile, a parte il discorso legato alla scadenza, sono per la parte riguardante la ragione del credito, il titolo giuridico, il soggetto debitore e l'entità del credito, gli stessi previsti sia nei principi contabili applicabili nell'anno 2014, sia nei nuovi principi contabili stabiliti a seguito del decreto legislativo n. 118 del 2011);
     nel caso in cui in sede di riaccertamento straordinario dei residui, si dovesse riscontrare l'iscrizione di accertamenti in realtà insussistenti già all'immediato precedente momento dell'approvazione del rendiconto finanziario, si manifesterebbe, secondo gli interroganti, come si sia voluto incidere attraverso dette entrate sulla programmazione degli impieghi delle medesime, in termini di spesa pubblica, non tutelando l'ente dal rischio di utilizzare entrate non effettive, finanziando obbligazioni passive scadute ed esigibili con entrate non disponibili e, quindi, finanziando il bilancio e la gestione in sostanziale situazione di disavanzo;
     tutto ciò avrebbe riflessi sulla responsabilità connessa alla gestione delle entrate pubbliche e comporterebbe alterazioni dei risultati di amministrazione che, qualora dovessero provocare situazioni di disavanzo potrebbero, impropriamente, beneficiare del trattamento agevolato previsto dal legislatore per i maggiori disavanzi derivanti dal riaccertamento straordinario dei residui e dalla costituzione di un adeguato fondo crediti di dubbia esigibilità;
     tutto ciò in data 21 luglio 2015 è stato oggetto di segnalazione da parte del presidente della commissione consiliare controllo e trasparenza del comune al Ministero dell'economia e delle finanze – dipartimento della ragioneria generale dello Stato – ispettorato generale finanza, al capo settore V dei servizi ispettivi di finanza pubblica, alla procura regionale della Corte dei conti presso la sezione giurisdizionale per il Lazio, alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti per il Lazio, al collegio dei revisori dei conti del comune di Pomezia, al Ministero dell'interno – dipartimento per gli affari interni e territoriali – direzione centrale della finanza locale, all'ufficio territoriale del Governo;

   4. quanto al riaccertamento straordinario dei residui al 1o gennaio 2015 ex articolo 3, comma 7, del decreto legislativo 113 del 2015:
    a) in data 28 aprile 2015, contemporaneamente alla approvazione da parte del consiglio comunale del conto consuntivo 2014, la giunta comunale procede con deliberazione di giunta comunale n. 103 del 2015 alla approvazione del riaccertamento straordinario dei residui al 1o gennaio 2015 ex articolo 3, comma 7, del decreto legislativo n. 118 del 2011;
    b) da una attenta lettura della deliberazione in questione, trovano conferma, a giudizio degli interroganti, tutte le perplessità evidenziate nella «questione pregiudiziale» ai punti a), b) e c) e precisamente:
     in sede del suddetto riaccertamento straordinario dei residui, sono stati cancellati per insussistenza euro 8.360.966,35 di residui attivi, contro una cancellazione di residui passivi insussistenti di euro 6.446.517,13, che potevano e dovevano essere cancellati in sede di approvazione del rendiconto 2014; non facendolo si conferma quanto sostenuto nella pregiudiziale al conto consuntivo 2014 circa la necessità di rientrare ad ogni costo nei limiti imposti dal patto di stabilità 2014, rilevando modalità non corrette di redazione del rendiconto finanziario stesso che costituiscono secondo gli interroganti una palese violazione degli obblighi inerenti al rispetto dei canoni di una sana gestione finanziaria;
     invece di procedere ad una cancellazione molto più consistente di residui attivi insussistenti, con particolare riferimento a quelli derivanti da recupero dell'evasione tributaria (che come si è visto vengono considerati in più occasioni sovradimensionati dallo stesso organo di revisione dell'ente e che nei fatti è stato posto in evidenza dal rapporto residui attivi accertati/residui attivi riscossi), su un totale di euro 129.613.425,71 di residui attivi al 28 aprile 2015, sono stati mantenuti residui attivi per euro 69.883.307,44 e reimputati negli anni 2015-2016-2017 e successivi accertamenti contabili di spesa per euro 59.780.118,27 (si fa presente che nella suddetta deliberazione non risulta allegato l'elenco dei residui mantenuti);
     la mancata cancellazione di ulteriori residui attivi insussistenti ha determinato un fondo pluriennale vincolato pari ad euro 92.449.705,44 e comportato un risultato di amministrazione derivante dal sopra indicato riaccertamento straordinario pari ad euro 2.257.080,68 nonché un fondo crediti di dubbia esigibilità pari ad euro 123.904.630,60, che sommati al Fondo svalutazione crediti al 31 dicembre 2014 pari ad euro 4.171.529,9 e sottratto il risultato di amministrazione derivante dal sopra indicato riaccertamento straordinario (euro 2.257.080,68), determina un Totale di parte disponibile negativo per euro 125.819.079,82;
     da quanto detto nei punti precedenti appare evidente che, dal riaccertamento straordinario dei residui, sarebbe riscontrabile l'iscrizione di accertamenti in realtà insussistenti già all'immediato precedente momento dell'approvazione del rendiconto finanziario 2014 e ciò palesa in maniera ineludibile che così facendo si sia voluto incidere attraverso queste entrate sulla programmazione degli impieghi delle medesime, in termini di spesa pubblica, non tutelando l'ente dal rischio di utilizzare entrate non effettive per finanziare obbligazioni passive scadute ed esigibili e, quindi, finanziando il bilancio e la gestione in sostanziale situazione di disavanzo;
   è opportuno evidenziare che il suddetto comportamento, a giudizio degli interroganti, ha riflessi sulla responsabilità connessa alla cura delle entrate pubbliche e comporta alterazioni dei risultati di amministrazione che, provocando situazioni di disavanzo, potrebbero beneficiare del trattamento agevolato previsto dal legislatore per i maggiori disavanzi derivanti dal riaccertamento straordinario dei residui e dalla costituzione del fondo crediti di dubbia esigibilità;
   in conclusione, alla luce dei fatti sopra esposti, occorre verificare l'eventuale sussistenza di responsabilità connesse alla violazione di disposizioni di legge che disciplinano la corretta gestione delle risorse pubbliche, nonché un accertamento della congruità dell'azione dell'amministrazione comunale di Pomezia, con particolare riferimento alle eventuali alterazioni dei risultati di amministrazione dalla stessa effettuati e derivanti, oltre che da quelle che appaiono infondate scritturazioni contabili, da continue iscrizioni nei bilanci e rendiconti della gestione di entrate che spesso non rispettano i principi e i criteri determinati con il TUEL, con lo scopo di incidere attraverso le stesse sulla programmazione della spesa e, quindi, finanziando il bilancio e la gestione in sostanziale situazione di disavanzo –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
   a fronte delle numerose irregolarità denunciate e segnalate, quali iniziative di competenza abbia posto in essere il Ministro interrogato e se, alla luce di quanto esposto, intenda avviare un'ulteriore indispensabile verifica da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica al fine di far piena luce sulle condotte segnalate dell'amministrazione e dei funzionari, anche al fine di impedire il perpetuarsi di eventuali violazioni e il reiterarsi di danni economico-finanziari. (4-11703)

INTERNO

Interrogazione a risposta scritta:


   TOFALO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 1o febbraio 2012 con apposito decreto del Capo della polizia era indetto concorso interno, per titoli ed esame scritto, a 136 posti per l'accesso al corso di formazione professionale per la nomina alla qualifica di vice sovrintendente del ruolo dei sovrintendenti della polizia di Stato e lo stesso veniva ampliato a 336 posti con apposito provvedimento del Capo della polizia – direttore generale della pubblica sicurezza; in conseguenza di ciò veniva variato l'articolo 2 del decreto modificando il piano di ripartizione provinciale da cui debbono scaturire le assegnazioni;
   in data 11 dicembre 2013 veniva pubblicata la graduatoria, più volte modificata a seguito delle numerose domande di riesame per titoli presentante dai concorrenti;
   il 23 dicembre 2013 con decreto del Capo della polizia è stato indetto un altro concorso «straordinario» per la nomina alla qualifica di vice sovrintendente, per 7563 posti a concorso;
   il 6 giugno 2014, con apposite informative, sono state trasmesse ai sindacati di polizia le tabelle contenenti le assegnazioni del 25o corso di formazione per vice sovraintendenti e gli avvicendamenti relativi al ruolo dei sovraintendenti aventi decorrenza 7 luglio 2014;
   in data 15 ottobre 2015, a seguito della nota 333.D/9807.C.7.26 del 28 settembre 2015, le tabelle relative all'assegnazione dei vincitori del concorso a 7563 posti per vice sovrintendente, annualità 2004, avviati alla frequenza del 26o corso – annualità 2004;
   in data 30 novembre 2015 con circolare 333.D/9807.C.7.26 del 30 novembre 2015 si è provveduto a comunicare ai nuovi vincitori ovvero coloro che ricadono nell'annualità 2005 le sedi disponibili;
   per la quasi totalità del primo ciclo, ovvero l'annualità 2004 – 26o corso vice sovrintendenti della polizia di Stato, presso le sedi di appartenenza (solo per coloro che provengono dalle sezioni di polizia giudiziaria e coloro che provengono dai reparti prevenzione crimine si deve notare non aver mantenuto il «privilegio» di essere assegnati allo stesso ufficio anche con la nuova qualifica per un totale di circa 380 vincitori di concorso;
   alla data attuale non è stata resa disponibile alcuna velina dei movimenti per il personale del ruolo sovrintendenti che ha prodotto domanda di trasferimento per sedi diverse e coloro che hanno chiesto mobilità per la stessa sede ma ufficio diverso;
   sembrerebbe che queste assegnazioni sia del 26o corso vice sovrintendenti annualità 2004, che dei futuri vice sovrintendenti annualità 2005, ledono il diritto di chi già nel ruolo attende da anni. Da un conteggio approssimativo i richiedenti la mobilità del predetto ruolo sono circa 1300/1400 unità, numero di gran lunga inferiore ai neo vice sovrintendenti del predetto «concorsone» 7563;
   ancora a circa 100 unità dei sovrintendenti vengono pagate le spettanze relative alla legge 36 del 2001 (ex legge 100), in quanto dalla data del 6 giugno 2014 sono stati assegnati fuori dalle proprie province –:
   quali siano i criteri oggettivi alla base delle posizioni assegnate del 25o corso, poi immediatamente rimpiazzate dagli avvicendamenti su domanda;
   se tutte le procedure di assegnazione e di avvicendamento siano state effettuate nel pieno rispetto dei criteri vigenti;
   quali siano stati i criteri adottati per la formazione della graduatoria del concorso interno, per titoli ed esame scritto, a 136 posti per l'accesso al corso di formazione professionale per la nomina alla qualifica di vice sovrintendente del ruolo dei sovrintendenti della polizia di Stato, indetto con decreto del Capo della polizia datato 1o febbraio 2012, successivamente elevati a 336 con decreto del Capo della polizia datato 18 giugno 2012;
   per quante istanze di riesame titoli sia stata variata la graduatoria, per quante istanze non sia stata rettificata e quale sia il motivo del lungo lasso di tempo per l'esame dei titoli. (4-11697)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   ANDREA MAESTRI, BRIGNONE, CIVATI e PASTORINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la signora Benedetta Lorenzi ha lavorato presso l'ufficio di informazione e assistenza turistica (IAT) di Mantova ininterrottamente dal 1o maggio al 30 giugno 2013 con «Verona 83», società cooperativa SR e dal 1o luglio 2013 al 31 dicembre 2015 con Antea, società cooperativa a responsabilità limitata (contratto di commercio part time ciclico con uno stipendio di circa mille euro);
   la provincia di Mantova con determinazione n. 968 del 2 dicembre 2015 ha indetto una nuova gara per l'affidamento del servizio di informazione e accoglienza turistica presso l'ufficio IAT di Mantova che il 18 dicembre 2015 è stato affidato alla cooperativa Verona 83 (primo datore di lavoro allo IAT della signora Lorenzi) che, in base a quanto riferisce la signora Lorenzi, ha vinto grazie a un prezzo al ribasso notevole; la stessa riferisce che la cooperativa applicherà ai dipendenti contratti di lavoro multiservizi;
   la signora, subito dopo, ha contattato telefonicamente la referente locale della Cooperativa vincente per manifestare il proprio interesse di rimanere a svolgere il servizio allo IAT, ma le è stato risposto che ciò non sarebbe stato possibile perché Verona 83 ha necessità di inserire personale già presente nella cooperativa;
   l'ufficio di informazione e accoglienza turistica della provincia di Mantova, situato in Piazza Mantegna n. 6, da tempo è appaltato a cooperative esterne. L'affidamento ha per oggetto il servizio di informazione e accoglienza turistica per un periodo di 6 mesi, con decorrenza dalla data indicata nel provvedimento di aggiudicazione definitiva. La provincia si riserva la facoltà di ripetere l'esternalizzazione del servizio per ulteriori sei mesi, ai sensi dell'articolo 57, comma 5, lettera b) del decreto legislativo n. 163 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni;
   il servizio IAT, per le caratteristiche intrinseche, si configura nella tipologia dei servizi erogati con modalità continuative ed è un importante strumento di raccolta, messa in rete e diffusione delle informazioni turistiche, nonché, il primo luogo di incontro e accoglienza dei turisti che decidono di trascorrere le loro vacanze nella provincia di Mantova. È fondamentale quindi che esista anche continuità nel personale di riferimento;
   la signora Lorenzi si è quindi rivolta al sindacato CGIL (Filcams CGIL) che ha prontamente contattato la vice presidente di Verona 83, che ha confermato di non poterla riassumere nonostante esistano accordi regionali e leggi nazionali per la ricollocazione e la continuità lavorativa dei dipendenti nel passaggio tra un appalto e quello successivo;
   in data 28 gennaio 2013, la provincia di Mantova ha sottoscritto il «Protocollo d'intesa tra Regione Lombardia e Province per l'attuazione dell'accordo quadro per gli ammortizzatori sociali in deroga 2013». Tra i principi fondamentali è riportato: «Rinnovato e crescente impegno, condiviso anche a livello aziendale e territoriale settoriale, per la formazione, riqualificazione e, in caso di esuberi, ricollocazione dei lavoratori, attraverso un utilizzo finalizzato delle politiche attive del lavoro in stretta connessione con la corresponsione delle indennità»;
   nella risposta del 1o agosto 2012, data dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali all'Associazione nazionale sindacati dei trasporti e dei servizi (Interpello n. 22/2012) – Oggetto: cambio gestione degli appalti e tutela dei diritti dei lavoratori – tra l'altro si precisa: «A prescindere dalle valutazioni circa la disciplina normativa in tale materia, la giurisprudenza si è più volte trovata a decidere su questioni attinenti i licenziamenti effettuati per cambio appalto o per mancate assunzioni da parte delle nuove società appaltatrici, ribadendo costantemente che, in virtù della previsione da parte della contrattazione collettiva della disciplina del cambio appalto, sussiste per il lavoratore un diritto all'assunzione diretta da parte dell'impresa subentrante in caso di cessazione dell'appalto originario, quindi anche per scadenza del contratto o risoluzione anticipata dello stesso (Cass., sez. lav., n. 12613/2007). Peraltro, osserva la Suprema Corte, la tutela prevista dai contratti collettivi non esclude ma si aggiunge a quella apprestata a favore del lavoratore nei confronti del datore di lavoro che ha intimato il licenziamento per il cambio appalto, non incidendo sul diritto del lavoratore di impugnare il licenziamento intimatogli per ottenere il riconoscimento della continuità giuridica del rapporto originario (Cass., sez. lav., sent. cit.; Cass., sez. lav., n. 4166/2006; v. anche Cass., sez. lav., n. 3337/1998; Cass., sez. lav., n. 15593/2002)» –:
   se il Governo non ritenga opportuno verificare la situazione denunciata in premessa e quali iniziative intenda assumere, nell'ambito delle sue competenze, per assicurare la corretta applicazione della disciplina del cambio di appalto e il diritto all'assunzione diretta dei lavoratori da parte dell'impresa subentrante. (4-11701)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GELLI. – Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:
   Paolo Macchiarini un chirurgo nato a Viareggio diventato famoso in tutto il mondo per aver effettuato per primo il trapianto di trachea;
   in data 10 gennaio 2016 stato pubblicato a pagina 25 del Corriere della sera un articolo che getta ombre inquietanti sulla vita pubblica e privata del chirurgo con tanto di nozze farsa in Vaticano con Benita Alexander una giornalista americana della Nbc;
   al 2012 il citato chirurgo risulta essere stato arrestato con l'accusa di essere un medico senza scrupoli in grado di ingannare i pazienti;
   dall'inchiesta giornalistica emergono ombre sull'attività del professionista che rischiano di portare discredito al sistema sanitario nazionale;
   sono trascorsi 7 anni dal primo intervento a Barcellona e dopo le altre esperienze in diverse strutture sanitarie tra cui il Careggi di Firenze;
   l'attività del Macchiarini avrebbe visto l'avvio di una fase di sperimentazione in collegamento con il Centro nazionale trapianti a Roma –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative intendano assumere al fine di attivare, nell'ambito delle proprie competenze, attività di verifica in riferimento all'attività svolta dal chirurgo nelle strutture pubbliche e nella citata sperimentazione con il Centro nazionale trapianti per fare chiarezza sui reali risultati dei suoi interventi a partire dalle tecniche utilizzate, sui risultati delle sue operazioni sulle condizioni di salute dei suoi pazienti nonché su quali e quante risorse pubbliche siano state erogate al Macchiarini nel corso degli anni. (5-07404)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, DI VITA, COLONNESE, GRILLO, BARONI e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 7 gennaio 2016 all'ospedale Maria Paternò Arezzo di Ragusa Ibla è deceduto un bambino di appena 11 mesi, Kledis Totraku, per cause sconosciute;
   da fonti giornalistiche si apprende che qualche giorno prima del decesso il bambino aveva accusato lievi sintomi come mal di pancia, diarrea, vomito e inappetenza e, visitato da un medico, gli era stata diagnosticata una gastroenterite;
   peggiorate le sue condizioni di salute i genitori lo hanno portato al pronto soccorso dell'ospedale vile di Ragusa dal quale è stato trasferito all'altro ospedale di Ragusa Ibla. Qui dopo una visita è stato rimandato a casa dai medici che hanno riferito ai genitori che «non era niente di grave»;
   tornato a casa il bambino si è sentito nuovamente male ed è stato riportato all'Arezzo dove si è aggravato. Il bambino, dopo aver avuto un'emorragia interna e tre arresti cardiaci, è morto;
   pare anche che i medici avessero deciso di trasferirlo all'ospedale di Messina, ma non è stato possibile reperire né l'elicottero di Catania né quello di Caltanissetta, impegnati entrambi in emergenze, né quello di Palermo per difficoltà legate al maltempo;
   sull'accaduto stanno indagando i Nas. Inoltre la direzione generale dell'asp di Ragusa ha proceduto ad avviare un'indagine interna per accertare l'intero iter clinico – assistenziale fin dal ricovero e ha disposto l'accertamento diagnostico per ricercare eventuali ulteriori cause del decesso –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intenda intraprendere al fine di accertare i fatti e le cause di quanto accaduto;
   se non ritenga necessario e opportuno promuovere un'apposita ispezione ministeriale, come accaduto in casi analoghi;
   quali iniziative il Ministro abbia avviato o intenda avviare, per quanto di competenza, al fine di evitare che fatti come quelli accaduti all'ospedale Arezzo di Ragusa non abbiano a ripetersi.
(4-11699)


   CAPARINI. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   dal 20 gennaio 2016 tutte le società sportive, anche dilettantistiche, dovranno disporre di un defibrillatore semiautomatico (DAE o AED) e di personale adeguatamente formato durante le partite e gli allenamenti («decreto Balduzzi»);
   l'adeguamento da parte delle associazioni sportive dilettantistiche al «decreto Balduzzi» in materia di «salvaguardia della salute dei cittadini che praticano attività sportiva agonistica, non agonistica o amatoriale...» rischia di generare notevoli difficoltà spingendo alla chiusura le realtà meno attrezzate dal punto di vista organizzativo;
   in particolar modo la modifica alla normativa crea grossi problemi organizzativi alle piccole strutture tennistiche palesemente penalizzate e, al contrario, di conseguenza agevola i grossi circoli;
   tutte le associazioni e società sportive, anche dilettantistiche, ad eccezione di quelle «che svolgono attività sportiva con ridotto impegno cardiocircolatorio, quali bocce (escluse bocce in volo), biliardo, golf, pesca sportiva di superficie, caccia sportiva, sport di tiro (lancio del piattello, tiro con l'arco, e altro), giochi da tavolo e sport assimilabili» saranno soggette agli obblighi del decreto;
   la normativa non pone vincoli numerici, ma deve essere garantita la presenza di personale formato sia durante le partite, sia durante gli allenamenti;
   ad esempio, potrebbe essere sufficiente, per assolvere agli obblighi di legge, formare solo l'allenatore (se la sua presenza fosse garantita durante tutte le attività) oppure gli assistenti, dirigenti e/o qualche giocatore, in modo da garantire sempre la presenza di almeno una persona preparata. Purtroppo, ci sono molti soggetti di formazione, più o meno seri, che propongono pacchetti di formazione che non hanno i requisiti previsti dalla legge per poterlo fare;
   le strutture interessate finora gestite amatorialmente e grazie al supporto di associazioni sportive in genere dal 20 gennaio 2016 non sono più messe in grado di operare, con un evidente danno sociale ed economico per la collettività;
   una delle contraddizioni si evince da come appaia impensabile prevedere la garanzia della incolumità fisica ad un podista, che pur tesserato FIDAL, da amatore si alleni al di fuori di strutture sportive e come non sia obbligatoria la presenza di DAE nelle scuole medie e superiori dove l'educazione fisica è una materia praticata come di fatto nelle associazioni sportive;
   appare evidente quindi la inadeguatezza del sistema formativo che: 1), non segue le linee guida internazionali AHA o ERC; 2) non si basa su una didattica la cui qualità sia riconosciuta (come ad esempio l'American Heart Association, che ogni anno forma 13 milioni di persone in tutto il mondo); 3) non è accreditato nella regione o provincia autonoma dove si svolge l'attività sportiva; 4) non dispone di istruttori certificati e riconosciuti dalla regione /provincia autonoma (alcune regioni/province autonome – come quella di Trento – ad esempio, hanno un albo degli istruttori autorizzati, generalmente disponibile online);
   dato che il defibrillatore deve essere presente e può essere acquistato dalla società sportiva, da un gruppo di società sportive o da chi gestisce l'impianto sportivo (in questi ultimi due casi, il defibrillatore può essere condiviso tra più società sportive che condividono gli stessi spazi per le proprie attività) e in ogni caso, ciascuna società sportiva deve assicurarsi (e ne è responsabile) della presenza del defibrillatore e di personale formato, si pone il problema dell'esborso economico –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere per la corretta applicazione della norma agevolando la formazione e l'acquisto delle attrezzature senza pesare in alcun modo sulle associazioni volontarie che già tanto fanno per la promozione dello sport di base. (4-11702)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   SPESSOTTO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il presidente di Ferrovie Nord Milano s.p.a. (FNM) Norberto Achille si è dimesso lo scorso maggio a seguito di uno scandalo che lo vede attualmente indagato dalla procura di Milano per peculato e truffa aggravata;
   come segnalato anche da Transparency International Italia, l'inchiesta che ha portato alle dimissioni di Norberto Achille, accusato di aver speso per fini privati oltre 600 mila euro dell'azienda lombarda, ha avuto origine anche grazie alla segnalazione di alcuni dipendenti di FNM, tra cui il responsabile della Corporate Social Responsibility Andrea Franzoso, il quale ha denunciato alle autorità competenti alcune irregolarità relative all'utilizzo improprio dei fondi aziendali di FNM;
   a seguito della denuncia del caso «spese pazze» e del prezioso apporto fornito alle conseguenti indagini, il funzionario dell'audit di FNM Andrea Franzoso è stato però inspiegabilmente trasferito dal servizio audit all'unità regolamenti e normative del lavoro, dove si occupa di materie estranee alle competenze ed alle esperienze maturate nell'ambito del responsabilità sociale di impresa;
   nel ricorso al giudice del lavoro presentato il 9 dicembre 2015 contro Fnm per condotta discriminatoria pregiudizievole, Franzoso ha allegato le trascrizioni del colloquio avuto con l'ex presidente del collegio sindacale Belloni (poi indagato e costretto alle dimissioni) in cui, tra le altre cose, l'ex presidente dichiara: «sono uscite cose che negli audit non andavano scritte... io te lo dico con molta franchezza: dal 26 maggio in poi quell'ufficio lì viene smantellato»;
   il caso di Andrea Franzoso mette in evidenza la questione della mancanza di un'adeguata tutela nel nostro Paese nei confronti dei whistleblower, ovvero di quei lavoratori che nell'interesse pubblico segnalano eventuali atti di corruzione o irregolarità all'interno di aziende o enti pubblici, rilevando un possibile rischio che possa danneggiare clienti, colleghi, azionisti, o la stessa reputazione dell'impresa;
   a tutela dei whistleblower, il gruppo parlamentare M5S ha peraltro presentato una proposta di legge che si ispira a normative già presenti in altri Paesi e che persegue obiettivi di trasparenza ed efficienza nella pubblica amministrazione e nelle aziende private, attraverso la protezione degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità nell'interesse pubblico –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa relativi al caso della FNM spa e se non ritengano opportuno adoperarsi, anche favorendo, per quanto di competenza, l'iter delle iniziative normative presentate in materia, al fine di garantire una piena ed effettiva tutela nei confronti di quei lavoratori che, come il signor Franzoso, a seguito della denuncia di possibili irregolarità o atti di corruzione all'interno di enti pubblici o privati, diventano oggetto di ritorsione da parte dei soggetti denunciati. (4-11698)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   GASPARINI, CASATI e MALPEZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo statunitense General Electric (GE) ha acquisito le attività per la produzione dell'energia della multinazionale francese ALSTOM presente con proprie sedi o impianti in 24 Paesi dell'Unione europea. L'acquisizione è avvenuta con l'approvazione della Commissione europea l'8 settembre 2015, e riguarda tutti i campi del settore strategico dell'energia, dalla produzione al management, alla produzione di rinnovabili;
   nei giorni scorsi è stato presentato da General Electric alle organizzazioni sindacali e imprenditoriali il progetto di riorganizzazione delle attività acquisite, che prevede la cancellazione di 6.400 posti di lavoro, di cui in Italia-Sesto San Giovanni 211 nel 2016 e 26 nel 2017;
   ALSTOM è una presenza importante, non solo in termini occupazionali ma anche per le competenze, le tecnologie e gli investimenti. A Sesto San Giovanni hanno sede lo stabilimento del trasporto su ferroTRANSPORT e il nuovo polo di ricerca e sviluppo GRID, due realtà che non sono entrate nel processo di acquisizione di General Electric;
   General Electric ha acquisito la fabbrica di produzione e manutenzione del settore Power che occupa 450 lavoratori, con una produzione che rappresenta una eccellenza internazionale –:
   se vi siano stati, nel corso del processo di acquisizione di ALSTOM da parte di General Electric, rapporti con il Governo italiano e, nel caso, quali accordi siano stati sottoscritti;
   se la Commissione europea che ha approvato l'acquisizione in data 8 settembre 2015, abbia definito accordi con i contraenti e se di questi abbia trasmesso una memoria al Governo italiano;
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere per evitare questa ennesima perdita di posti di lavoro per l'Italia e per Sesto San Giovanni e la perdita di un settore strategico dell'economia, quale quello dell'energia;
   quali iniziative il Governo possa mettere in campo per evitare la chiusura della fabbrica di Sesto San Giovanni e per sostenere il rilancio industriale e lo sviluppo della produzione, onde evitare la perdita di posti di lavoro in questa fase delicata per l'occupazione nel nostro Paese. (3-01931)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 gennaio 2016 i più importanti organi di stampa nazionali ed internazionali hanno riportato la notizia di una serie di perquisizioni, avvenute alcuni giorni fa, in importanti stabilimenti produttivi in Francia (centro ingegneristico di Lardy, il tecnocentro di Guyancourt e quelli di Plessis-Robinson e Boulogne-Billancourt) della casa automobilistica Renault, effettuati dalla divisione antifrode della polizia francese;
   sotto la lente degli investigatori il motore turbodiesel Energy 1.6 dCi offerto in due livelli di potenza (130 e 160 cavalli), montato su diversi modelli del gruppi Renault-Nissan (Renault Espace, Nissan Qashqai, ad esempio), ma anche su vetture del gruppo Daimler, come la Mercedes Classe C, auto particolarmente diffuse anche nel nostro Paese (Ilsole24ore.com, 14 gennaio 2016);
   l'ipotesi investigativa è che alcuni motori diesel della casa automobilistica siano equipaggiati con un software in grado di eludere i controlli sulle emissioni;
   uno scandalo simile ha colpito nel settembre 2015 la casa automobilistica tedesca Volkswagen, con ripercussioni economiche significative che si sono ripercosse su tutto l'indotto e la filiera produttiva anche in altri Paesi, tra i quali l'Italia;
   Renault ha confermato la notizia delle perquisizioni, ma ha assicurato che «tutti i test realizzati su richiesta del ministro dell'ambiente Ségolène Royal non avevano evidenziato frodi» (Repubblica.it, 14 gennaio 2016);
   il Ministro dell'ambiente e dei trasporti francese, Ségolène Royal, ha immediatamente precisato in una conferenza stampa tenutasi il 14 gennaio 2016, come nella vicenda Renault è stato registrato «un superamento dei limiti fissati dalle norme» sul CO2 e l'ossido di azoto, ma aggiungendo che non è stata al momento riscontrata «nessuna frode» e che le analisi condotte sui motori Renault e di altri due costruttori stranieri non rivelano l'esistenza di un «software illegale» per truccare le emissioni;
   anche il Ministro dell'economia francese Emmanuel Macron, in visita ha Berlino, ha escluso che la situazione di Renault sia in alcun modo paragonabile al caso «Dieselgate» della Volkswagen (Corriere della Sera, 15 gennaio 2016);
   nonostante tali rassicurazioni il titolo della casa automobilistica francese ha registrato una flessione negativa del 10 per cento in borsa, a seguito della diffusione della notizia delle ispezioni –:
   quali informazioni i Ministri interrogati siano in grado di fornire sul caso illustrato in premessa;
   quali iniziative intendano adottare al fine di verificare se le auto del gruppo Renault destinate al mercato italiano siano conformi alle prescrizioni in materia di emissioni di CO2 e ossido di azoto;
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Governo al fine di garantire il pieno rispetto della regolare concorrenza, considerato che eventuali difformità nel rispetto dei limiti alle emissioni di gas provoca effetti distorsivi in ordine ai principi della regolare concorrenza tra le case produttrici. (5-07400)


   RICCIATTI, FERRARA, DANIELE FARINA, FRANCO BORDO, AIRAUDO, PLACIDO, GREGORI, FAVA, MELILLA, DURANTI, PIRAS, QUARANTA, SANNICANDRO e KRONBICHLER. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   General Electric Company è una multinazionale statunitense, fondata nel 1892, attiva nel campo della tecnologia e dei servizi;
   l'azienda è stata impegnata negli ultimi anni nel potenziamento, tra le diverse attività industriali nelle quali è attiva, dei settori dell'energia e dell'aviazione;
   rientra nella citata politica industriale di sviluppo di General Electric l'acquisizione della società francese Alstom Energia, operazione che ha ricevuto l'avallo della authority antitrust dell'Unione europea nel settembre 2016 (Ilsole24ore.com, 8 settembre 2015);
   il 13 gennaio 2016 diversi organi di stampa (Il Fatto Quotidiano; La Stampa, 13 gennaio 2016) hanno riportato la notizia dell'annuncio, da parte del colosso americano, di un piano industriale che prevede, nel biennio 2016-2017, l'esubero di 6.500 dipendenti delle divisioni europee di Alstom Energia;
   per quanto riguarda l'Italia, tali tagli riguarderanno l'impianto Alstom Power di Sesto San Giovanni (Milano), con un esubero annunciato di 236 lavoratori (211 licenziamenti previsti nel 2016, 25 nel 2017);
   tale decisione, oltre ad avere gravi ed evidenti ricadute sul piano sociale, rappresenta l'ennesimo impoverimento di una eccellenza produttiva italiana –:
   se il Ministro interrogato non intenda convocare tempestivamente un tavolo tra i vertici aziendali di General Electric e le organizzazioni sindacali, al fine di mettere in atto tutte le alternative possibili alla chiusura del sito Alstom Power di Sesto San Giovanni. (5-07401)


   VENITTELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 22 dicembre 2015 il Ministero dello sviluppo economico ha conferito alla società Petroceltic Italia s.r.l., un permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi nel Mar Adriatico (Zona B) per un periodo di sei anni;
   l'estensione del permesso è di 373,70 chilometri, a fronte del quale il titolare del permesso è tenuto a corrispondere allo Stato il canone annuo anticipato di 5,16 euro per chilometro quadrato di superficie, che equivale a 1,900 euro in ragione d'anno, aggiornato in base all'indice ISTAT per gli anni successivi;
   la società permissionaria è tenuta ad iniziare i lavori di indagine geologica e geofisica nell'area del permesso entro dodici mesi dalla comunicazione del conferimento e, previa autorizzazione della competente sezione dell'ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse, i lavori di perforazione entro quarantotto mesi dalla stessa data;
   la legge di stabilità 2016, all'articolo 1, commi da 239 a 242, ha modificato l'articolo 38 del decreto-legge n. 133 del 2014 (cosiddetto «Sblocca Italia») vietando espressamente la ricerca, la prospezione e la coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi (cosiddette attività upstream) all'interno del perimetro delle aree marine e costiere protette e nelle zone di mare poste entro 12 miglia dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle aree marine e costiere protette, fatti salvi i titoli abilitativi già rilasciati; il permesso alla Petroceltic il 22 dicembre 2015 è stato pertanto concesso in extrema ratio prima del 1o gennaio 2016, data di entrata in vigore della legge di stabilità;
   la stessa legge di stabilità ha inoltre introdotto anche una serie di importanti modifiche all'articolo 38 del decreto-legge n. 133 del 2014, eliminando il carattere strategico, di indifferibilità e urgenza delle cosiddette attività upstream, abrogando la disposizione che prevede l'emanazione, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di un piano delle aree in cui sono consentite le cosiddette attività upstream, introducendo la previsione secondo cui tali attività sono svolte con le modalità di cui alla legge n. 9 del 1991, o – come previsto dalla legislazione vigente – a seguito del rilascio di un titolo concessorio unico;
   le attività dovranno pertanto essere sviluppate sulla base di un programma generale dei lavori articolato in una prima fase di ricerca (della durata di 6 anni) a cui segue la fase di coltivazione (della durata di 30 anni), ma sono state eliminate le disposizioni che consentono la proroga della durata della fase di ricerca e di coltivazione;
   la legge di stabilità 2016 ha introdotto modifiche ulteriori, in particolare allo scopo di prevedere che, per le infrastrutture energetiche strategiche, in caso di mancato raggiungimento delle intese con le regioni, si proceda esclusivamente con le modalità partecipative indicate dall'articolo 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990, escludendo l'intervento della Presidenza del Consiglio dei ministri in caso di mancata espressione da parte delle amministrazioni regionali degli atti di assenso o di intesa inerenti ai compiti e alle funzioni amministrative in materia energetica esercitate dallo Stato;
   le quotazioni del petrolio – sotto i 30 dollari al barile – sono ai minimi da dicembre 2003, le principali banche internazionali quali Goldman Sachs, Morgan Stanley, Citigroup e Bank of America prevedono ulteriori riduzioni e una possibile caduta del prezzo del barile intorno ai 20 dollari; la Banca mondiale stima perfino un ribasso a 10 dollari/barile, nel 2016, con il ritorno sul mercato del petrolio iraniano a seguito dell'eliminazione delle sanzioni;
   il ribasso prolungato dei prezzi del petrolio si ripercuote soprattutto sugli investimenti e sull'indebitamento finanziario delle grandi compagnie petrolifere; la principale conseguenza di questo prolungato ribasso è il taglio degli investimenti della maggior parte delle più importanti compagnie petrolifere o la riallocazione degli investimenti nei Paesi dove i costi di produzione sono segnatamente più bassi, come l'Iran, o l'Arabia Saudita, dove il costo di estrazione del greggio è di poco superiore ai 5 dollari al barile; la strategia attuale dell'Arabia Saudita – e dei suoi principali alleati in seno all'OPEC, Emirati Arabi Uniti e Kuwait – di mantenere invariati i livelli di produzione, senza operare i tagli giustificati dalla caduta del prezzo del barile per spingere al rialzo le quotazioni, punta a difendere la quota di mercato a spese dei produttori a più alto costo, come gli Usa, dove il costo di produzione dello shale gas è di circa 40 dollari;
   disinvestimenti nell'esplorazione e nello sviluppo di nuovi giacimenti, in manutenzione degli impianti e altro, riallocazione dei pozzi esistenti, crescita dell'indebitamento, forti tagli al personale segnalano un'evidente crisi anche delle grandi compagnie petrolifere che sono però in grado di attivare strategie di contenimento dei costi e di riposizionamento degli investimenti, mentre i bassi prezzi del petrolio non sono sostenibili per le società più piccole, come Petroceltic s.r.l., che con il permesso di ricerca ottenuto (ma richiesto nel 2006, con scenari economici e di prezzo del barile ben diversi) dovrà esplorare e sviluppare giacimenti in Adriatico a costi elevati;
   il permesso accordato dal Ministero non è giustificato dai «fondamentali» del mercato del petrolio: oggi, il costo di produzione dei campi marginali (deep off-shore, nuove frontiere produttive), ovvero il valore al quale la produzione di un campo viene fermata è oggi di 37 dollari/barile, ben superiore alle quotazioni attuali;
   non ci sono prospettive di ripresa delle quotazioni a breve, considerando le ragioni «strutturali» che sono alla base della caduta delle quotazioni del greggio: livelli record nell'estrazione del petrolio da pozzi e dell'offerta della materia prima sul mercato; l'economia cinese – uno dei principali consumatori – in netta frenata; l'OPEC – il cartello dei produttori e il primo produttore mondiale, l'Arabia Saudita – che rifiuta di tagliare la produzione di greggio e quindi l'offerta sul mercato per mettere in difficoltà altri produttori – come gli Stati Uniti – che producono a costi più elevati e hanno bisogno di collocare il loro prodotto a prezzi più alti; rafforzamento del dollaro e conseguente ribasso del prezzo del greggio;
   la Conferenza del clima di Parigi, diciotto anni dopo il protocollo di Kyoto, ha portato alla firma di uno storico accordo per la riduzione delle emissioni di gas serra in tutto il mondo con l'obiettivo di contenere l'aumento della temperatura mondiale al di sotto dei 2o C, di istituire un meccanismo di controllo e di revisione ogni cinque anni, di creare un fondo per lo sviluppo di tecnologie in grado di produrre energie rinnovabili mediante una stretta collaborazione tra i Paesi; per favorire il raggiungimento di questi obiettivi è stata anche prevista l'istituzione di un fondo che preveda il versamento di 100 miliardi l'anno, per aiutare i Paesi più poveri a raggiungere tali obiettivi; tutto questo implica un drastico taglio dei consumi di idrocarburi, e di «cambiare verso» alla strategia energetica nazionale, potenziando la ricerca e l'applicazione diffusa in tutto il territorio di impianti alimentati da fonti rinnovabili –:
   se ritengano di riconsiderare l'opportunità, di concerto con i rappresentanti delle regioni e degli Stati che si affacciano sull'Adriatico, di sospendere ogni forma di prospezione e sfruttamento di giacimenti petroliferi in Adriatico;
   quali urgenti iniziative intendano adottare per la verifica, nell'immediato, della sussistenza dei requisiti economici e tecnici delle società già titolari di permessi di ricerca in modo da garantire efficienza tecnica, sicurezza e pieno rispetto di tutte le prescrizioni e dei vincoli stabiliti dalle autorità competenti, ossia non solo degli obblighi – stabiliti dal Ministero dello sviluppo economico – per la gestione degli impianti e la sicurezza mineraria – ma anche, in particolare, dei vincoli disposti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dalle regioni per gli aspetti di compatibilità ambientale nella realizzazione di impianti e pozzi, tenuto conto delle tecniche e delle conoscenze più avanzate per il «buon governo» dei giacimenti;
   se non intendano assumere iniziative per accertare l'insussistenza di rischi apprezzabili di subsidenza sulle coste, sulla base degli studi più aggiornati, che dovranno essere presentati dai titolari di permessi di ricerca e delle concessioni di coltivazione in essere, utilizzando i metodi di valutazione più conservativi e prevedendo l'uso delle migliori tecnologie disponibili per la coltivazione;
   quali urgenti iniziative intendano assumere:
    a) per garantire piena applicazione di tutta la normativa – nazionale e regionale, anche in attuazione di atti e convenzioni internazionali – di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale;
    b) per vietare le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare non solo nelle zone di mare poste entro i più aggiornati limiti dalle aree marine e costiere protette, lungo l'intero perimetro costiero nazionale, ma anche oltre tali limiti per particolari esigenze individuate di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.
(5-07402)

Interrogazione a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 gennaio 2015 il Governo, in Commissione attività produttive del Senato, ha risposto ad una interrogazione in materia di regolamentazione della generazione distribuita e in particolare, sistemi di distribuzione chiusi e sistemi efficienti di utenza;
   dalla lettura della suddetta risposta emerge sostanzialmente l'intenzione di privare gli impianti di generazione distribuita di ogni beneficio tecnico ed economico. Questo perché si afferma la volontà di abrogare la normativa relativa ai sistemi efficienti di utenza che oggi consente la sostenibilità degli impianti da fonti rinnovabili;
   a tal proposito si ritiene assolutamente necessario evidenziare che le posizioni espresse dal Governo non sono corrette e rischiano di causare gravissimi e ingiustificati pregiudizi alle politiche ambientali del nostro Paese e all'intero settore della generazione distribuita di energia;
   a supporto di quanto sopra evidenziato si sottolinea che la normativa vigente non viola affatto come erroneamente sostenuto dal Ministero dello sviluppo economico – il principio in materia di aiuto di stato e che i sistemi efficienti di utenza (SEU) l'energia prelevata dalla rete è soggetta esattamente alla stessa imposizione tariffaria in termini di prelievo per gli oneri generali prevista per tutte le altre unità di consumo;
   inoltre, si sottolinea che non vi è alcuna discriminazione fra tipologie di consumatori, semplicemente per tutti i consumatori, a seconda del diverso presupposto impositivo si hanno aliquote tariffarie diverse. Non vi è pertanto alcun aiuto di Stato;
   è importante ricordare che le disposizioni in materia di aiuti di Stato a favore dell'ambiente e dell'energia 2014 – 2020 citate nella risposta all'interrogazione sono state pubblicate in Gazzetta Ufficiale il 28 giugno 2014, cioè in data anteriore rispetto all'approvazione della legge 11 agosto 2014 n. 116 che ha stabilito le attuali modalità impositive degli oneri di sistema per i Sistemi efficienti di utenza. Inoltre, quando l'attuale regolazione dei sistemi efficienti è stata stabilita erano già ben note le regole in materia di aiuto di Stato, che oggi il Ministero, a giudizio degli interroganti, erroneamente, ritiene impongano la modifica della disciplina; quanto oggi sottolineato dal Ministero è stato a suo tempo già necessariamente tenuto in conto nella elaborazione della disciplina dei sistemi efficienti di utenza;
   al fine di eliminare ogni dubbio sulla compatibilità dell'attuale disciplina con la normativa e la prassi a livello comunitario si ricorda il documento del 15 luglio 2015 della Commissione europea «SWD (2015) 141 Final Commission Staff Working Document Best Practices on Renewable Energy» («Best Practices») dal quale risulta che in praticamente tutti i Paesi europei l'energia auto-consumata ha presupposti impositivi per gli oneri generali e di rete diversi da quelli dell'energia prelevata dalla rete;
   inoltre contrariamente a quanto sostenuto dal Ministero dello sviluppo economico in quella stessa risposta, la distribuzione di energia elettrica prodotta in loco all'interno di edifici non residenziali deve considerarsi come sistema di distribuzione chiuso ammesso dalla normativa comunitaria. Questo perché i presupposti degli SDC sono che: tali sistemi di distribuzione siano in ambito limitato, si riferiscano a utenze non residenziali e vi siano ragioni tecniche che giustifichino la rete interna (articolo 28 della direttiva 2009/72);
   inoltre, va ricordato che da un punto di vista puramente tecnico si può garantire l'efficienza ottimale di una fornitura energetica integrata (specialmente quando proviene da fonte non programmabile come quella fotovoltaica) solo attraverso la possibilità di alimentare un numero di utenze sufficienti a garantire la massimizzazione dell'autoconsumo;
   tutto ciò è chiaramente confermato, a pagina 10 della nota interpretativa del 2010 della Commissione europea: « COMMISSION STAFF WORKING PAPER INTERPRETATIVE NOTE ON DIRECTIVE 2009/72/EC CONCERNING COMMON RULES FOR THE INTERNAL MARKET IN ELECTRICITY AND DIRECTIVE 2009/73/EC CONCERNING COMMON RULE FOR THE INTERNAL MARKET IN NATURAL GAS»;
   pertanto i sistemi di distribuzione chiusi sono dunque un mezzo previsto dalla normativa comunitaria per consentire negli edifici non residenziali, con una pluralità di utenti, l'autoconsumo di energia. Inoltre l'autoconsumo di energia a sua volta è una misura di efficienza energetica, necessaria per gli obiettivi comunitari di incremento delle prestazioni energetiche degli edifici (l'energia residua negli edifici a energia quasi zero, ai sensi della direttiva 2010/31 va prodotta in loco da fonte rinnovabile) e per massimizzare l'efficienza energetica (articolo 15 e allegato XI alla Direttiva 2012/67);
   lo stesso articolo 11 del decreto legislativo 28 del 2011 specifica che la installazione di impianti da fonte rinnovabili negli edifici è necessaria «per la copertura dei consumi»;
   pertanto la posizione espressa di vietare l'autoconsumo di energia negli edifici è dunque (oltre che contraria ai principi di tutela dell'ambiente e di sostegno all'efficienza energetica) in palese contrasto con l'articolo 11 del decreto legislativo 28 del 2011 e con i citati principi della citata normativa comunitaria. Né ha un senso l'affermazione del Ministero dello sviluppo economico per cui i sistemi di distribuzione chiusi sono richiesti solo per avere vantaggi in termini di esenzione dagli oneri di sistema –:
   se non intenda rettificare urgentemente quanto affermato visto che tale indirizzo politico rischia di causare un gravissimo danno all'ambiente e alla salute dei cittadini, di non consentire il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni climalteranti assunti alla Cop21 di Parigi e lo sviluppo tecnologico del nostro Paese. (4-11700)

Apposizione di firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Capua e altri n. 1-01055, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Gigli, e contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Capua, Lenzi, Nizzi, Calabrò, Gigli, Locatelli, Sbrollini, Piazzoni, Amato, Argentin, Beni, Paola Boldrini, Paola Bragantini, Burtone, Capone, Carnevali, Casati, D'Incecco, Fossati, Gelli, Grassi, Mariano, Miotto, Murer, Patriarca, Piccione, Giuditta Pini, D'Agostino, Monchiero, Vargiu, Quintarelli, Matarrese, Galgano, Catania, Oliaro, Bombassei, Rabino, Palladino, Prataviera, Caon, Marcolin, Matteo Bragantini, Fitzgerald Nissoli, Longo, Palmieri, Picchi, Dorina Bianchi, Binetti».

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Molteni n. 1-00950, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 464 del 17 luglio 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    ciò che distingue il lavoratore frontaliero dal tradizionale lavoratore migrante è il fatto di essere residente in uno Stato e di lavorare in un altro. Mentre il secondo lascia il suo Paese di origine, con o senza la sua famiglia, per abitare e lavorare in un Paese diverso dal suo, il frontaliere ha una doppia cittadinanza nazionale per il luogo di residenza e il luogo di lavoro;
    tuttavia risulta impossibile stabilire un concetto univoco che comprenda criteri obiettivi per la definizione del lavoro frontaliero. Tale concetto copre infatti realtà diverse, a seconda che si consideri l'accezione comunitaria – enunciata in particolare in materia di sicurezza sociale – o le numerose definizioni contenute nelle convenzioni bilaterali di doppia imposizione – valide per la determinazione del regime fiscale applicabile ai lavoratori frontalieri;
    l'espressione «lavoratore frontaliero» designa qualsiasi lavoratore occupato sul territorio di uno Stato membro e residente sul territorio di un altro Stato membro (criterio politico), dove torna in teoria ogni giorno o almeno una volta alla settimana (criterio temporale). Questa definizione, che, oltre agli elementi intrinseci dello spostamento dal domicilio al luogo di lavoro attraverso una frontiera, conserva la condizione temporanea del ritorno quotidiano o settimanale al domicilio, si applica tuttavia solamente alla protezione sociale dei lavoratori in questione all'interno dell'Unione europea;
    la situazione dei frontalieri abitanti nell'Unione europea che si spostano per lavorare nella Confederazione Elvetica presenta alcune notevoli peculiarità rispetto a quella dei frontalieri che lavorano e risiedono nell'Unione europea;
    mentre all'interno dell'Unione europea il loro statuto si fonda sulla libera circolazione, definita dal trattato di Roma, che si concretizza nell'affermazione del principio della non discriminazione tra i frontalieri e i residenti, la Svizzera ha un regime di soggiorno e di occupazione fondato sul permesso di lavoro;
    tale permesso è concesso, in generale, per un anno; vi è specificata la retribuzione, che deve rispettare il minimo salariale del cantone, definito dall'Ufficio cantonale del lavoro. Il permesso è concesso solo se il lavoratore ha trovato un datore di lavoro, e dopo aver verificato che non vi siano iscritti nelle liste locali di collocamento per lo stesso genere di incarico. La concessione dei permessi in ciascun cantone è subordinata a una quota minima di lavoratori nazionali presenti in ogni impresa;
    stando alle recenti comunicazioni dell'Ufficio federale di statistica (UST), anche nel 2014 è aumentato il numero dei frontalieri in Svizzera, saliti a 287.100 a livello nazionale, lo stesso trend si registra anche in Ticino, con un numero di lavoratori abitanti in Italia che si attesta a 61.593;
    secondo i dati, a livello elvetico la crescita è risultata inferiore a quella del 2013 e rappresenta anche il valore più basso degli ultimi cinque anni, ma sull'arco di un lustro l'incremento è del 29,6 per cento. In Ticino nello stesso periodo la percentuale è maggiore, pari a +34,8 per cento: nel 2009 i frontalieri erano infatti ancora solo 45.68; nel febbraio 2015 il Governo italiano e il Consiglio federale svizzero hanno siglato il Protocollo che modifica la Convenzione tra i due Paesi per evitare le doppie imposizioni. Il Protocollo, che prevedendo lo scambio di informazioni su richiesta ai fini fiscali secondo lo standard Ocse pone fine al segreto bancario, è stato firmato per l'Italia dal Ministro dell'economia e delle finanze Pier Carlo Padoan, e per la Svizzera dal capo del dipartimento federale delle finanze Eveline Widmer-Schlumpf;
    unitamente al Protocollo è stata anche sottoscritta una road map, un documento politico che fissa il percorso per la prosecuzione dei negoziati su altre questioni tra cui revisione dell'accordo del 1974 sulla tassazione dei lavoratori frontalieri, ad oggi ancora in vigore e che prevede la tassazione esclusiva in Svizzera con il ristorno del 40 per cento del gettito ai comuni italiani della zona di confine;
    il nuovo accordo tra Roma e Berna, perfezionato il 22 dicembre 2015, rappresenta una rivoluzione per gli equilibri consolidati nell'economia transfrontaliera, in quanto abolisce due meccanismi sinora inamovibili: i ristorni ai comuni di frontiera, una partita da 60 milioni di euro annui destinata a comuni e province di frontiera, e la tassazione alla fonte per circa 62 mila lavoratori italiani, di cui 25 mila varesini, 20 mila comaschi ed i restanti sondriesi e piemontesi;
    il nuovo accordo, invece, nel porre fine al meccanismo del ristorno, prevedendo che sia lo Stato italiano a compensare i comuni di frontiera, lascia una preoccupante incognita sulla garanzia dell'attuale gettito ai medesimi comuni, in un quadro più ampio di incertezza italiana della propria posizione fiscale;
    quanto alla tassazione, i lavoratori italiani frontalieri in Svizzera saranno assoggettati ad imposizione sia nello Stato in cui esercitano l'attività che nello Stato di residenza, ritrovandosi a pagare le tasse sui redditi per il 70 per cento in Svizzera e per il restante 30 per cento in Italia, con un aumento graduale del carico fiscale che – a regime – assume la connotazione di una vera e propria stangata;
    il processo, infatti, non sarà immediato. Dall'entrata in vigore dell'accordo, prevista per il 2018, inizierà il cosiddetto split fiscale che dovrà portare la tassazione a pieno regime dieci anni dopo, nel 2028, con un aumento progressivo che si valuta del 10 per cento annuo;
    secondo prime stime, trattasi di 200 milioni di euro di tassazione in più da versare ogni anno allo Stato italiano e 15 milioni di euro in più alle casse del Canton Ticino, con una media di oltre 3.000 euro all'anno in più da versare per ogni contribuente;
    i nuovi termini dell'accordo hanno già prodotto i primi effetti negativi: dallo scorso 7 luglio sui circa 62 mila lavoratori italiani frontalieri grava l'onere dell'assicurazione malattia e spese per le cure mediche;
    in un momento storico dove l'economia ha difficoltà giobalizzate, l'INPS deve ancora spiegazioni a tutti i frontalieri che si chiedono dove sia finito il tesoretto da 200 milioni che finanziava la legge n. 147 del 1997 (un fondo che, ricordiamo, venne formato con i contributi di disoccupazione pagati dai frontalieri in Svizzera e da questa ristornati all'Italia),

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per prevedere che nel nuovo regime fiscale vengano puntualmente disciplinati i ristorni dei frontalieri verso i comuni di residenza, con certezza dell'ammontare dei ristorni e delle modalità di distribuzione, al fine di salvaguardare i comuni di frontiera e garantire che inattuale gettito non sia messo in discussione;
   ad assumere iniziative per stabilire, tramite accordi di programma definiti dai territori di confine interessati – stante la reciprocità prevista nell'accordo del 22 dicembre 2015, nell'ambito del quale sono ricompresi anche i frontalieri svizzeri che lavorano in Italia – che parte della tassazione sia vincolata per il progresso socio-economico e lo sviluppo delle infrastrutture strategiche delle rispettive nazioni;
   a prevedere lo sblocco da parte dell'INPS dei fondi per il finanziamento della legge n. 147 del 1997;
   a prevedere nell'ambito del disegno di legge di ratifica il perfezionamento di accordi di interscambio scolastico e formativo per i giovani delle zone di confine;
   a intervenire sospendendo l'applicazione della norma sulle spese mediche, ricordando come questa, oltre ad un ulteriore aggravio impositivo per i lavoratori, porterebbe ad una disparità di trattamento tra i frontalieri che già lavorano in Ticino rispetto ai nuovi frontalieri, per i quali le casse malati svizzere saranno da oggi un'opzione più interessante.
(1-00950)
«Molteni, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Gallinella n. 5-06696 del 16 ottobre 2015.