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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 15 gennaio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    le infezioni ospedaliere costituiscono una grande sfida ai sistemi di salute pubblica, perché sono un insieme piuttosto eterogeneo di condizioni diverse sotto il profilo microbiologico, fisiologico ed epidemiologico che hanno un elevato impatto sui costi sanitari e sono indicatori della qualità del servizio offerto ai pazienti ricoverati;
    si definiscono così le infezioni insorte durante il ricovero in ospedale, o dopo le dimissioni del paziente, che al momento dell'ingresso non erano manifeste clinicamente, né erano in incubazione. Sono l'effetto della progressiva introduzione di nuove tecnologie sanitarie, che se da una parte garantiscono la sopravvivenza a pazienti ad alto rischio di infezioni, dall'altra consentono l'ingresso dei microrganismi anche in sedi corporee normalmente sterili. Un altro elemento cruciale da considerare è l'emergenza di ceppi batterici resistenti agli antibiotici, visto il largo uso di questi farmaci a scopo profilattico o terapeutico;
    negli ultimi anni l'assistenza sanitaria ha subito profondi cambiamenti. Mentre prima gli ospedali erano il luogo in cui si svolgeva la maggior parte degli interventi assistenziali, a partire dagli anni ’90 sono aumentati sia i pazienti ricoverati in ospedale in gravi condizioni (quindi a elevato rischio di infezioni ospedaliere), sia i luoghi di cura extra-ospedalieri (residenze sanitarie assistite per anziani, assistenza domiciliare, assistenza ambulatoriale). Da qui la necessità di ampliare il concetto di infezioni ospedaliere a quello di infezioni correlate all'assistenza sanitaria e sociosanitaria;
    le infezioni sono causate da microrganismi opportunistici presenti nell'ambiente, che solitamente non danno luogo a infezioni. Le infezioni ospedaliere possono insorgere su pazienti immunocompromessi durante il ricovero e la degenza o, in qualche caso, anche dopo la dimissione del paziente e possono avere diverso grado di gravità, fino ad essere letali. Le infezioni ospedaliere possono interessare anche gli operatori sanitari che lavorano a contatto con i pazienti, e quindi misure adeguate devono essere prese non solo per trattare le persone ricoverate, ma anche per prevenire la diffusione delle infezioni ospedaliere tra il personale che fornisce assistenza e cura;
    nonostante l'elevato impatto, sia sociale che economico, dovuto alle infezioni ospedaliere, i sistemi di sorveglianza e di controllo e le azioni per ridurne gli effetti sono invece ancora piuttosto disomogenei da Paese a Paese e a livello nazionale, anche se negli ultimi anni sono stati messi a punto e implementati numerosi programmi. Gli studi effettuati indicano che è possibile prevenire il 30 per cento delle infezioni ospedaliere insorte, con conseguente abbassamento dei costi e miglioramento del servizio sanitario. Incidendo significativamente sui costi sanitari e prolungando le degenze ospedaliere dei pazienti, le infezioni ospedaliere finiscono con l'influenzare notevolmente la capacità dei presidi ospedalieri di garantire il ricovero ad altri pazienti;
    oggi la situazione delle infezioni nosocomiali è davvero preoccupante in tutti gli ospedali italiani, specialmente a causa della diffusione di Klebsiella pneumoniae produttore di carbapenemasi KPC (un enzima che inattiva gran parte degli antibiotici). La Klebsiella, normalmente ospitata nell'intestino umano, colpisce per lo più i pazienti ricoverati nelle terapie intensive e esposti a ventilatori, i portatori di cateteri intravascolari o ammalati trattati a lungo con antibiotici. Le infezioni cui dà seguito sono polmoniti (di solito associate a ventilazione meccanica e tracheotomia), infezioni delle vie urinarie (da catetere) e sepsi correlate al catetere venoso centrale. Le opzioni terapeutiche sono molto limitate: tigeciclina, gentamicina, colistina e fosfomicina sono gli unici antibiotici che l'antibiogramma indica come attivi, ma alcuni di essi comportano effetti collaterali, altri sono difficili da reperire. Inoltre, poiché non possiedono una rapida e spiccata attività battericida ed hanno un profilo cinetico-dinamico modesto, vengono utilizzati in associazione e ad alto dosaggio;
    per controllare e ridurre le infezioni ospedaliere, è necessario che le strutture agiscano su più fronti: l'attuazione di misure di prevenzione di controllo delle infezioni ospedaliere attraverso azioni sulle strutture ospedaliere, sui sistemi di ventilazione e sui flussi di acqua, sull'igiene del personale e dell'ambiente; l'individuazione di personale dedicato alla sorveglianza; un protocollo di sorveglianza attiva delle infezioni che si manifestano e un appropriato flusso informativo che permetta l'identificazione e la quantificazione delle infezioni stesse nei diversi presidi; la formazione del personale dedicato al trattamento dei pazienti, soprattutto nelle aree critiche di terapia intensiva e chirurgica, e di quello dedicato alla raccolta e analisi dei dati;
    uno dei problemi relativi alle infezioni ospedaliere è la loro identificazione, classificazione e quantificazione. Per cercare di risolvere questo aspetto, sono state messe a punto definizioni di caso dai centri per la prevenzione e il controllo delle malattie americani, ma anche da programmi europei come Helics e Earss. Negli Stati Uniti e nel Nord Europa esiste un sistema di controllo e sorveglianza, mentre nel nostro Paese questo sistema non è ancora operativo. Gli studi italiani hanno però rilevato che le caratteristiche epidemiologiche delle infezioni ospedaliere individuate sono simili a quelle descritte dal sistema americano, il National nosocomial infections surveillance system (Nnis), che costituisce quindi un valido punto di riferimento,

impegna il Governo:

    ad attivarsi affinché gli ospedali moderni e di terzo livello siano dotati di servizi di microbiologia permanente che permettano di accorciare i tempi di isolamento ed identificazione dei microrganismi e quelli dei test di suscettibilità agli antibiotici;
    ad adoperarsi, attraverso la comunicazione a tutti i livelli, affinché l'appropriatezza terapeutica significhi usare gli antibiotici giusti e necessari, nelle giuste dosi e per il tempo adeguato, limitandone al massimo l'uso empirico, posto che combattere la spirale dell'empirismo (la sequenza febbre=infezione=antibiotico) è lo strumento più importante per limitare l'abuso di antibiotici e controllare l'emergenza delle resistenze batteriche;
    a promuovere la creazione di staff specialistici multidisciplinari (intensivisti, ematologi, infettivologi, microbiologi, farmacologi) che mettano a punto protocolli diagnostico-terapeutici mirati ai singoli gruppi di pazienti a rischio per contenere la resistenza antimicrobica, ridurre l'utilizzo dei farmaci, ridurre gli eventi avversi legati all'uso improprio degli antimicrobici e ridurre i costi.
(1-01092) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    il valore del bosco risiede nelle sue molteplici funzioni che si traducono in servizi ecosistemici di cui l'intera collettività beneficia. Le funzioni del bosco sono:
     produttiva: da qui infatti è possibile ottenere legname da opera e da energia, prodotti non legnosi quali funghi, frutti e erbe officinali;
     protettivo-ambientale di protezione idrogeologica: svolgendo la funzione di regimazione delle acque, di contenimento di eventi franosi e di protezione dal rischio di valanghe;
     non anno dimenticate inoltre le funzioni boschive:
      ecologica: l'assorbimento e lo stoccaggio di carbonio atmosferico e la conservazione della biodiversità su larga scala;
      paesaggistica e turistico ricreativa, rispetto alla quale viene riposta sempre maggiore attenzione da parte dell'opinione pubblica;
      sociale e culturale;
    il terzo inventario nazionale delle foreste e dei serbatoi forestali di carbonio (Infc 2015) evidenzia come il patrimonio forestale italiano si sia esteso di circa 1,7 milioni di ettari negli ultimi venti anni, raggiungendo quasi 11 milioni di ettari di superficie, con 12 miliardi di alberi che ricoprono il 34,6 per cento dell'intero territorio nazionale con un incremento, rispetto al 2005, di circa 600.000 ettari. Il patrimonio rappresenta il 5 per cento della superficie forestale totale europea e colloca in questo modo l'Italia al sesto posto nella classifica dei Paesi europei per estensione forestale (escludendo la Russia), dopo la Svezia, la Finlandia, la Spagna, la Francia e la Germania;
    a questi dati positivi si affiancano oggi i risultati dell'indagine sulla quantità di carbonio immagazzinato nei suoli forestali italiani. L'indagine, unica in Europa su così vasta scala, mette in evidenza come il suolo forestale svolga un ruolo fondamentale nello «stoccaggio» di carbonio organico, addirittura superiore a quello della parte epigea del bosco. La quantità di carbonio trattenuta nei tessuti, nei residui vegetali e nei suoli delle foreste, infatti, è pari a 1,24 miliardi di tonnellate di carbonio, corrispondenti a 4 miliardi di tonnellate di CO2, ovvero circa la metà delle emissioni del comparto dei trasporti. Il 58 per cento di tutto il carbonio forestale è contenuto nel suolo, mentre quello accumulato nella vegetazione arborea e arbustiva è il 38 per cento. In particolare, il carbonio contenuto nel suolo ammonta a oltre 700 milioni di tonnellate. Tali dati sottolineano l'enorme importanza dei suoli forestali per la mitigazione dei cambiamenti climatici in atto;
    l'Europa ha affrontato in modo ampio e circostanziato la materia, dando precise indicazioni:
     A. nel settembre 2013 la Commissione europea ha adottato «Una nuova strategia forestale dell'Unione europea: per le foreste e il settore forestale» (COM(2013)0659);
     le foreste occupano il 40 per cento della superficie dell'Unione europea e rappresentano una risorsa essenziale per una migliore qualità di vita e per la crescita dell'occupazione. La strategia evidenzia l'importanza delle foreste per l'ambiente, la biodiversità, per le industrie forestali, la bioenergia e la lotta contro i cambiamenti climatici. La gestione sostenibile delle foreste rappresenta uno dei principali pilastri dello sviluppo rurale 2014-2020 nonché uno dei principi fondatori della nuova strategia forestale europea. La Strategia «esce dalla foresta» per affrontare gli aspetti della «catena di valore» (ossia l'utilizzo delle risorse forestali ai fini della produzione di beni e servizi), che incidono in misura determinante sulla gestione delle foreste. La strategia individua i seguenti punti principali:
      adottare un approccio olistico;
      tener conto dell'impatto di altre politiche sulle foreste e degli sviluppi che si verificano al di fuori dell'area forestale propriamente detta;
      integrare pienamente le pertinenti politiche europee nelle strategie forestali nazionali dei singoli Stati membri;
      istituire un sistema di informazione forestale su scala nazionale, laddove manca una base dati affidabile ed aggiornata, favorendo la raccolta di dati armonizzati a livello europeo sulle foreste. Questo per consentire una pianificazione delle strategie politiche da adottare nel lungo periodo;
     B. nell'aprile 2015 il Parlamento europeo ha approvato una dettagliata risoluzione, sottolineando che la strategia forestale dell'Unione europea deve concentrarsi sulla gestione attiva e sostenibile delle foreste e sul loro ruolo multifunzionale sotto il profilo economico, sociale e ambientale, nonché garantire un migliore coordinamento delle politiche comunitarie direttamente o indirettamente collegate alla selvicoltura secondo i seguenti indirizzi:
      invita l'Unione europea a sostenere le politiche nazionali volte a conseguire una gestione delle foreste attiva, multifunzionale e sostenibile;
      esorta gli Stati membri a definire la loro politica forestale in termini di protezione della biodiversità, di prevenzione dell'erosione del suolo, garanzia di cattura del carbonio, purificazione dell'aria e mantenimento del ciclo dell'acqua;
      mette in evidenza come l'uso del legno come materia prima rinnovabile, unita ad una gestione sostenibile delle foreste, svolga un ruolo importante per il conseguimento degli obiettivi sociopolitici dell'Unione europea (transizione energetica, mitigazione e adeguamento al cambiamento climatico, raggiungimento degli obiettivi previsti dalla strategia Europa 2020 e di quelli relativi alla biodiversità);
      sottolinea il ruolo importante svolto dalla produzione e dall'utilizzo sostenibili di legname, di biocombustibili legnosi e altri materiali provenienti dalle foreste per lo sviluppo di modelli economici sostenibili e la creazione di posti di lavoro verdi;
      osserva che il comparto forestale impiega oltre 3 milioni di cittadini europei e che la sua competitività a lungo termine si può ottenere solo con operatori qualificati e professionali;
      ricorda che le foreste sottoposte a gestione presentano una capacità di assorbimento di CO2 superiore a quella delle foreste non gestite ed evidenzia quindi l'importanza della gestione sostenibile delle foreste (GFS);
      sostiene l'intenzione della Commissione di elaborare un insieme di criteri e indicatori ambiziosi, oggettivi e dimostrabili per la GFS, conformi ai requisiti elaborati nell'ambito di Forest Europe (conferenza ministeriale per la protezione delle foreste in Europa);
      invita la Commissione e gli Stati membri a creare incentivi e a promuovere nuovi modelli di business e di consapevolezza dei servizi ecosistemici del bosco, affinché i piccoli proprietari forestali privati siano incoraggiati o indotti a gestire in modo attivo e sostenibile i propri appezzamenti forestali;
      invita gli Stati membri a stimolare una produzione locale sostenibile onde ridurre al minimo l'impronta del carbonio creata dal trasporto;
    il quadro normativo e politico-culturale delineato dalle iniziative comunitarie sopra descritte impone un rapido ed efficace adeguamento del nostro Paese alle indicazioni della nuova strategia forestale dell'Unione europea sia dal punto di vista giuridico che da quello dell'approccio teorico al sistema-foresta;
    anche in Italia il patrimonio forestale costituisce la base di tutta la complessa filiera foresta-legio in cui si distinguono due entità separate: le utilizzazioni forestali e le industrie di lavorazione del prodotto legno. Tra le componenti industriali della filiera foresta-legno si individuano alcune importanti sottofiliere, principalmente tre: la prima include l'utilizzo del legno nella produzione industriale di mobili, negli impieghi strutturali e nelle costruzioni, la seconda riguarda la produzione di carta e cartone, mentre la terza riguarda l'uso del legno per fini energetici;
    il «Programma quadro per il settore forestale» (PQSF) (approvato dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano il 18 dicembre 2008) definisce «i principi di indirizzo internazionale e nazionale in materia forestale, in modo complementare e coordinato alle politiche forestali già definite e attuate dalle amministrazioni regionali». Esso intende, in forma coordinata, attuare gli impegni internazionali sottoscritti dal Governo italiano in materia di foreste e, al tempo stesso, costituire un quadro di riferimento strategico, di indirizzo e coordinamento per il settore forestale nazionale. Il Programma sottolinea il ruolo delle foreste quale fattore di sviluppo ed elemento di tutela del territorio, individuando nella gestione attiva e sostenibile del patrimonio forestale lo strumento principale per valorizzare le potenzialità del bosco come «risorsa» economica, socio-culturale e ambientale di tutela del territorio e di sviluppo locale. Gli obiettivi prioritari definiti dal Programma sono:
     sviluppare una economia forestale efficiente e innovativa;
     tutelare il territorio e l'ambiente;
     garantire le prestazioni di interesse pubblico e sociale;
     favorire il coordinamento e la comunicazione;
    gli ambiziosi obiettivi del PQSF si scontrano però con una realtà spesso disomogenea e disorganizzata, appesantita da ostacoli burocratici generati dalla sovrapposizione e dall'intreccio di competenze a livello nazionale, regionale e locale, soprattutto di carattere normativo, che causano incertezze e difficoltà nell'attuazione di una gestione attiva e sostenibile del patrimonio forestale;
    le motivazioni che limitano le normali pratiche di gestione del patrimonio forestale nazionale e inibiscono le iniziative imprenditoriali sono molteplici:
     difficili condizioni orografiche unite ad una inadeguata rete di viabilità di servizio;
     alto costo della manodopera;
     complessità del panorama normativo e vincolistico nazionale e regionale;
     scarsa organizzazione della filiera;
     inadeguata remunerazione del prodotto da parte dei mercati;
     polverizzazione della proprietà terriera;
     mancato riconoscimento e valorizzazione della gestione degli assetti fondiari collettivi garantiti dalle comunità titolari (beni civici e comunioni familiari);
    nonostante ciò, la filiera produttiva italiana legata alla risorsa legno – connessa sia alle foreste di origine naturale e semi-naturale che alle produzioni legnose fuori foresta (le cosiddette piantagioni) – rappresenta un'importante realtà produttiva e occupazionale per il Paese e presenta ampie possibilità di crescita e sviluppo, generando ad esempio ricadute economiche locali grazie alla sostituzione con il legno di prodotti maggiormente energivori. Infatti l'industria italiana di lavorazione del legno, per fatturato, è il primo esportatore in Europa e il secondo nel mondo: attualmente si stima che nelle attività connesse alla filiera del legno siano coinvolte circa 126.000 imprese, per oltre 600.000 unità lavorative. La filiera produttiva nazionale risulta però dipendente dall'estero per l'approvvigionamento della materia prima per più di 2/3 del proprio fabbisogno;
    il prelievo legnoso nazionale nell'ultimo decennio, di poco superiore agli 8 milioni di metri cubi annui (dati ISTAT), è equivalente a poco meno del 25 per cento dell'incremento annuo, a fronte di un 65 per cento della media europea. Inoltre, il prelievo legnoso rimane disomogeneo, episodico e in alcuni casi distante dai centri di trasformazione industriale. La mancanza di omogeneità quantitativa e qualitativa, poi, non riesce a soddisfare le richieste del mercato che, nel corso degli ultimi 50 anni, è profondamente cambiato, orientandosi sempre più verso una domanda costante di assortimenti pregiati. La contraddizione interna della filiera forestale è caratterizzata da un'alta richiesta di materiale di pregio e da una sempre maggiore incapacità dell'offerta di soddisfare questa domanda, anche a causa della diminuzione di tutti quegli assortimenti forestali di qualità, andati persi con l'abbandono della gestione forestale attiva;
    parallelamente si continua poi a registrare una costante e crescente richiesta di legna da ardere, il cui consumo peraltro è in realtà notevolmente maggiore rispetto a quanto risulta dall'analisi dei dati ufficialmente disponibili. A fronte di un consumo stimato – su base campionaria ed a livello domestico – pari a circa 18 milioni di tonnellate l'anno, il consumo apparente, basato sulle statistiche ufficiali di produzione, importazione ed esportazione, è pari a circa un quarto rispetto al precedente dato, cioè circa 5 milioni di tonnellate. C’è la presenza di un evidente fenomeno di mercato sommerso che va affrontato con adeguati strumenti di controllo e di prevenzione del fenomeno. Non a caso l'Italia infatti è il primo importatore al mondo di biomasse legnose ad uso energetico. Questo malgrado la maggior parte dei boschi italiani abbia un urgente bisogno di interventi colturali che potrebbero, oltre che fornire quantitativi importanti di materiale legnoso (oggi più del 60 per cento di esso è già destinato all'uso energetico), garantire stabilità idrogeologica e tutela della biodiversità;
    attualmente la filiera foresta-legno-energia sembra dunque quella che possiede le maggiori opportunità di sviluppo. Lo sfruttamento razionale e sostenibile delle risorse forestali destinate al mercato della bioenergia è possibile strutturando dapprima il tessuto industriale in grado di rispondere alla domanda del mercato e alla particolare offerta dei singoli territori, poi garantendo un'efficace recupero sistematico dei residui delle operazioni colturali in bosco e di lavorazione del legno, applicando il sempre più diffuso e condiviso concetto «dell'utilizzo a cascata del legno». La filiera bio-energetica infatti è fortemente interconnessa alle altre filiere di utilizzazione del legno, in particolare per quanto riguarda il riutilizzo degli scarti di lavorazione e la valorizzazione dei materiali lignei. Pertanto/attuazione di strategie volte al miglioramento dell'efficienza delle filiere foresta-legno e della qualità delle produzioni forestali nazionale, diventa sempre più necessaria e opportuna;
    per le caratteristiche del patrimonio forestale del nostro Paese e dei settori ad esso collegati sarebbe poi necessario promuovere lo sviluppo e supportare l'industria locale di prima lavorazione del legno. Lavorare il legno quanto più vicino possibile al luogo di origine della materia prima assume particolare importanza per rafforzare o realizzare economie di scala ridotta (filiere corte) dal punto di vista della sostenibilità sia economica che ambientale grazie ad una riduzione dei costi di trasporto (economici, energetici e ambientali), alla creazione di reddito e occupazione per la popolazione locale (rurale e montana), ed alla valorizzazione del ruolo protettivo/ambientale delle foreste (attraverso una gestione sostenibile e pianificata);
    un problema rilevante che ostacola la gestione forestale è poi rappresentato dall'estrema polverizzazione della proprietà fondiaria che impone di affrontare i temi del riordino fondiario e del limite posto all'utilizzazione sostenibile delle aree forestali produttive dal concetto di «terreno/bosco abbandonato/incolto». Se per i terreni agricoli è stato relativamente facile, nel passato, definire lo stato di abbandono (cfr. articolo 2 della legge n. 440 del 1978) per il bosco analoga definizione appare giuridicamente difficile: da un lato è complicato affermare che un bosco viene coltivato (il termine «coltivazione» si applica piuttosto a qualcosa fatto dall'uomo) e si deve piuttosto dire che è «governato» o «gestito» attivamente, dall'altro è difficile sostenere che non viene gestito nel caso in cui, di fatto, non vi si fanno interventi da molti decenni, per il semplice motivo che il turno di utilizzazione di un bosco può essere, secondo le regole selvicolturali, di molto superiore al secolo;
    il tema del «riordino fondiario» va dunque affrontato individuando sistemi e/o procedure che consentano «l'accesso ai fondi» non utilizzati e/o abbandonati da un certo tempo (per esempio 30 anni) da parte di un comune, che poi li assegna in gestione, per conto della proprietà, ad un soggetto privato o pubblico (cfr. il caso interessante della Toscana che con la legge regionale 80 del 2014 ha istituito un ente Terre regionali toscane), proprio perché nella legislazione italiana la proprietà privata è fortemente tutelata a livello costituzionale e risulta difficile accedervi senza il permesso formale del proprietario;
    risulta perciò necessario individuare uno specifico indicatore o criterio che esprima lo stato di abbandono delle aree forestali interessate e/o sviluppare e supportare forme snelle di consorziamento/associazionismo tra proprietari assenteisti (o loro eredi in giro per il inondo) e imprese boschive, anche obbligatorie. Queste azioni consentirebbero di garantire una sufficiente estensione di terreni boscati tale da rendere tecnicamente ed economicamente conveniente la loro utilizzazione da parte di un'impresa boschiva o di una cooperativa o di chiunque in grado di farlo. Al proprietario potrebbero essere versati, in apposito conto infruttifero, gli introiti, al netto di tutti i costi sostenuti e dell'utile di impresa derivante dall'opera di gestione forestale, che resteranno in tale fondo per un certo numero di anni. In caso di mancato reclamo da parte dell'avente diritto potrebbero essere introitati dal comune;
    nell'ambito delle attività previste dal tavolo di filiera legno (decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali n. 18352 del 14 dicembre 2012) si è dato avvio a un processo di aggiornamento e semplificazione, della normativa nazionale di settore (decreto legislativo 28 agosto 2001, n. 227), proponendo approcci concettuali e strumenti operativi innovativi, capaci di poter rispondere efficacemente sia alle attuali necessità di tutela idrogeologica e ambientale, sia alle moderne esigenze economiche, produttive e occupazionali del territorio, nonché ai precisi obblighi e impegni internazionali e comunitari assunti dal Governo italiano in materia di lotta al cambiamento climatico, conservazione della biodiversità, tutela del paesaggio, sviluppo sostenibile, commercializzazione e trasformazione dei, prodotti forestali. Nello specifico, la proposta di profonda revisione normativa elaborata dal tavolo, intende portare il patrimonio forestale sinergicamente al centro delle attività di tutela del territorio e delle strategie di sviluppo della green economy, per garantire una produzione sostenibile di beni materiali e servizi ecosistemici. Questa proposta normativa, già ampiamente condivisa e concertata con le istituzioni nazionali e regionali competenti, i principali stakeholder di settore, le parti sociali e produttive, e oggi all'attenzione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, dovrà valutare le più idonee procedure necessarie a consolidare l'attuale testo e a procedere verso una rapida approvazione, anche eventualmente assumendo iniziative per una delega al Governo per l'emanazione di norme generali e di indirizzo per il riordino della disciplina nel settore forestale e delle sue filiere;
    tutto ciò premesso, talune proposte non prevedono alcun nuovo o maggiore onere a carico della finanza pubblica, ma piuttosto risparmi connessi allo snellimento delle procedure amministrative necessarie a garantire e promuovere una gestione attiva del bosco, nonché ricadute positive sulle economie locali e, nel lungo periodo, anche sulle finanze dello Stato, sotto forma di risparmi sulla spesa per interventi straordinari e urgenti per la tutela dell'assetto idrogeologico del territorio e per la salute e incolumità pubblica,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per istituire un sistema di statistica forestale nazionale informatizzato che assicuri la raccolta di dati armonizzati e confrontabili sia a livello nazionale che a livello europeo;
   a rinforzare, nel rispetto delle competenze istituzionali, il ruolo di rappresentanza, coordinamento e indirizzo strategico nazionale del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali nei confronti delle regioni e dei Ministeri competenti in materia di ambiente e paesaggio, attraverso la costituzione di un apposito ufficio forestale dedicato;
   a promuovere l'adozione e l'applicazione degli strumenti di pianificazione forestale già previsti e a semplificare le procedure autorizzative per la gestione forestale attiva, al fine di migliorare l'accesso ai fondi comunitari e l'efficienza di spesa per gli interventi di interesse forestale cofinanziati nell'ambito dei programmi di sviluppo rurale regionale dal fondo FEASR in questo modo creando opportunità di lavoro legate alla gestione, tutela e valorizzazione patrimonio forestale, per il rilancio delle aziende forestali e delle filiere produttive legate alle risorse legnose e non legnose;
   ad assumere, per quanto di competenza, iniziative volte a fornire alle regioni e alle province autonome, per l'efficace esercizio della potestà legislativa loro riservata, strumenti amministrativi e operativi snelli ed innovativi per promuovere sul territorio la gestione forestale attiva, sostenibile e la reale valorizzazione della cosiddetta multifunzionalità del bosco, valorizzando i prodotti legnosi e non legnosi nazionali da esso ottenibili, prevedendo:
    a) lo sviluppo di una più efficiente viabilità forestale al servizio delle attività agro-silvopastorali;
    b) l'incentivazione della pianificazione forestale per le proprietà pubbliche e private;
    c) la riconsiderazione dei parametri selvicolturali al fine di garantire una gestione attiva e sostenibile;
    d) la semplificazione delle procedure vincolistiche al fine di poter avere interventi e tempi operativi certi, nel rispetto dell'ambiente e a garanzia dell'incolumità pubblica;
    e) la promozione della rinnovazione artificiale delle specie autoctone, anche in relazione ai danni causati dalla fauna selvatica e dai fenomeni di cambiamento climatico in atto;
    f) la riconversione dei cedui invecchiati e la valorizzazione delle vocazioni forestali locali;
   a favorire i proprietari pubblici e privati di boschi nella stipula di contratti di gestione attraverso l'attuazione, di piani pluriennali di gestione con imprese boschive altamente specializzate;
   a promuovere, con opportune iniziative normative, procedure e supporti, la ricomposizione fondiaria dei piccoli e piccolissimi appezzamenti di proprietà forestali private;
   a garantire la sostenibilità ambientale e la legalità dell'uso della risorsa legnosa, stimolando l'adozione di forme di certificazione di gestione forestale sostenibile (GFS) e certificazioni di prodotto e di processo tali da garantire l'immissione sul mercato di prodotti a basse emissioni di CO2, tenendo conto che la certificazione, oltre a qualificare i proprietari e gli utilizzatori, farebbe emergere il lavoro è il mercato nero, agevolando la trasparenza per gli organi di controllo;
   a considerare l'introduzione di strumenti per stimolare l'emersione del mercato sommerso che caratterizza la compravendita di legna da ardere, strumenti che dovrebbero, ad esempio, prevedere forme di detrazione fiscale per i cittadini che comprovano l'acquisto della legna da ardere con regolare emissione di scontrino fiscale da parte del venditore, prevedendo inoltre una maggiore di premialità per l'acquisto di legna da ardere certificata secondo uno schema di certificazione di prodotto e di processo, come sopra riportato;
   ad avviare un processo di riesame del vincolo paesaggistico introdotto per la materia agroforestale dal decreto legislativo n. 42 (codice dei beni culturali – codice «Urbani»), al fine di assicurare le normali e necessarie attività di gestione forestale che, in tale vincolo, trovano oggi in qualche caso un ostacolo;
   ad assumere iniziative per valorizzare tutte le forme di proprietà collettiva e aggiornare la situazione degli usi civici, anche in considerazione del fatto che le esperienze migliori dimostrano che le forme cooperative di gestione delle foreste e delle risorse legnose da esse derivanti assicurano una risposta più efficace alle esigenze innovative di un settore debole e parcellizzato come quello forestale, e perciò anche facilitare la costituzione di strumenti di gestione cooperativa dei patrimoni forestali, con agevolazioni fiscali sugli atti costitutivi e con innalzamento dei limiti economici per l'assunzione di lavori.
(1-01093) «Zanin, Oliverio, Borghi, Benamati, Luciano Agostini, Antezza, Arlotti, Capozzolo, Carra, Carrescia, Cenni, Cova, Dal Moro, De Menech, Falcone, Fiorio, Lavagno, Marrocu, Mongiello, Palma, Prina, Romanini, Sani, Taricco, Tentori, Terrosi, Venittelli, Zardini».

Risoluzioni in Commissione:


   La IX Commissione,
   premesso che:
    i criteri con cui si decidono le tariffe nei parcheggi dei grandi aeroporti risultano alla firmataria del presente atto iniqui, incoerenti e difficilmente comprensibili al pari dei criteri relativi alle concessioni ai gestori degli stessi;
   l'applicazione delle tariffe nei parcheggi dei vari aeroporti italiani risulta perfino paradossale, laddove stabilisce la gratuità della prima frazione di ora salvo poi prevedere l'applicazione di tariffe elevatissime per il tempo eccedente tale frazione, peraltro del tutto insufficiente per ultimare semplici operazioni di accompagnamento o di ripresa dei passeggeri;
   tariffe così alte producono conseguenze che incidono negativamente sulla gestione del traffico, congestionato da utenti che, pur di non pagare, sostano fuori dal perimetro del parcheggio o nelle vicinanze dell'entrata, intralciando il traffico di chi transita,
   l'Ente nazionale per l'aviazione civile (ENAC), soggetto regolatore di tutte le attività legate al trasporto aereo in Italia, non ha competenze di vigilanza o approvazione, in quanto l'imposizione di queste tariffe non rientra nelle convenzioni che regolano i rapporti fra ENAC e le società che si occupano della gestione;
   non è disponibile una mappatura completa ed efficiente delle tariffe aeroportuali applicate nei vari scali nazionali, necessaria per l'elaborazione di linee guida utili per i gestori degli aeroporti, al fine di consentire loro di realizzare legittimi ricavi senza però gravare eccessivamente sulle tasche dei cittadini;
   la determinazione delle tariffe dei parcheggi aeroportuali e la gestione dei posti spesso è svolta da ditte o imprese di settore attraverso atti di subconcessione rendendo ancor più difficile una regolamentazione generale o, comunque, un'indicazione generale sul comportamento da mettere in pratica,

impegna il Governo:

   ad intraprendere le opportune iniziative volte ad ottenere l'applicazione di tariffe più eque, che generino ricavi senza incidere così pesantemente sulle tasche dei cittadini;
   ad assumere iniziative per realizzare la tanto auspicata mappatura delle tariffe dei parcheggi aeroportuali degli scali nazionali, indispensabile per la formulazione di linee guida, sia per i gestori degli aeroporti, sia per le eventuali ditte o imprese deputate alla gestione.
(7-00884) «Bergamini».


   L'XI Commissione,
   premesso che:
    il settore degli enti di previdenza privata italiana è stato oggetto di una complessiva rivisitazione normativa nel corso degli anni novanta;
    segnatamente, con i decreti legislativi n. 509 del 1994 e n. 103 del 1996, gli enti pubblici dediti all'erogazione di prestazioni di previdenza obbligatoria per le categorie di lavoratori appartenenti a categorie professionali disciplinate da ordini e albi, operanti nelle diverse aree economico-sociale, (ad esempio Enpaci, Inpgi, Cnpadc, Cnpr), giuridica (ad esempio Cnn, Cf), sanitaria (ad esempio Enpam, Enpap, Enpapi, Enpav) e delle professioni tecniche (ad esempio Cipag, Eppi, Enpab, Epap, Inarcassa, Enpaia), sono stati trasformati, dal 1o gennaio 1995 e costituiti a partire dal 1996 in enti di diritto privato, senza scopo di lucro, aventi personalità giuridica, nella forma di associazioni o fondazioni;
    in particolare, in forza del decreto legislativo n. 509 del 1994 sono state «privatizzate»: la Cassa nazionale del notariato (Cnn); la Cassa italiana di previdenza e assistenza geometri liberi professionisti (Cipag); la Cassa forense (Cf); la Cassa nazionale di previdenza e assistenza dei dottori commercialisti (Cnpadc); la Cassa nazionale di previdenza e assistenza per ingegneri ed architetti liberi professionisti (Inarcassa); la Cassa nazionale di previdenza a favore dei ragionieri e dei periti commerciali (Cnpr); l'Ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio (Enasarco); l'Ente nazionale di previdenza e assistenza per i consulenti del lavoro (Enpacl); l'Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei farmacisti, (Enpaf); l'Ente nazionale di previdenza e assistenza per gli impiegati dell'agricoltura (Enpaia); l'Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei medici e degli odontoiatri (Enpam); l'Ente nazionale di previdenza e assistenza dei veterinari (Enpav); il Fondo agenti spedizionieri e corrieri (Fasc); l'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani (Inpgi), l'Opera nazionale assistenza orfani sanitari italiani (Onaosi); successivamente, in forza di quanto disposto dal decreto legislativo n. 103 del 1996, sono stati costituiti direttamente come enti privati: l'Ente nazionale di previdenza dei periti industriali e dei periti industriali laureati (Eppi); l'Ente nazionale di previdenza e assistenza a favore dei Biologi (Enpab); l'Ente nazionale di previdenza e assistenza per gli psicologi (Enpap); l'Ente nazionale di previdenza e assistenza pluricategoriale (Epap);
    da un punto di vista delle prestazioni erogate, il settore è costituito essenzialmente da enti che erogano trattamenti previdenziali obbligatori, in forma sostitutiva rispetto alla previdenza pubblica; fa eccezione l'Enasarco, che eroga prestazioni aventi natura di previdenza complementare e l'Onaosi, che eroga prestazioni di natura assistenziale;
    la scelta di politica previdenziale, compiuta dal Parlamento e dal Governo di privatizzare le casse dei professionisti è stata meditata e giustificata da una serie di motivazioni importanti, che mantengono la loro validità. Tra queste si segnalano:
     a) in primo luogo, l'esigenza di promuovere un processo di responsabilizzazione di tali enti, secondo un principio di sussidiarietà, per il quale lo Stato ha scelto di affidare il primo pilastro previdenziale direttamente alle categorie professionali, ricevendo in cambio garanzie di una gestione finanziaria equa e soprattutto sostenibile;
     b) in secondo luogo, l'intenzione di innescare in tal modo un circolo virtuoso per sgravare la collettività e la finanza pubblica dai rilevanti costi finanziari che il mantenimento della situazione pubblicistica, fino ad allora esistente, avrebbe comportato, soprattutto nel quadro dei vincoli posti dalla crisi della finanza pubblica, che ha interessato il Paese negli ultimi anni, anche alla luce dei vincoli posti dall'Unione europea; l'esigenza finanziaria alla base della privatizzazione di tali enti, in sostanza, è stata quella di delimitare l'area della finanza pubblica, separando dal complesso della previdenza pubblica, una fascia specifica di lavoratori – quelli appartenenti al settore delle professioni – dal complesso dei lavoratori dipendenti, sia del pubblico impiego che del comparto privato, oggi integralmente gestita dall'INPS, alleggerendo in tal modo la pesante situazione finanziaria della previdenza pubblica;
    a riprova di tale scelta del legislatore va ricordata la previsione normativa di cui all'articolo del decreto legislativo n. 509 del 1994, che stabilisce che gli enti privatizzati non debbano usufruire di finanziamenti pubblici o di altri aiuti di carattere finanziario provenienti dal settore pubblico;
    devono poi essere ricordate le ulteriori tendenze legislative specifiche per tali enti, tra cui quella di cui alla legge 23 agosto 2004, n. 243, per le quali le casse sono state autorizzate a realizzare forme di previdenza complementare, con l'obbligo della gestione separata e forme di tutela sanitaria integrativa, nel rispetto degli equilibri finanziari di ogni singola gestione, nel quadro dell'autonomia gestionale di questi enti, inquadrati come erogatori di forme di welfare innovativo al servizio dei professionisti;
    la privatizzazione delle forme giuridiche di operatività di tali enti previdenziali non determina affatto il superamento della finalità pubblica che caratterizza la funzione previdenziale, propria sia del comparto pubblico che di quello privato, volta ad assicurare trattamenti pensionistici alle diverse categorie di lavoratori, alla luce dell'articolo 38, comma secondo, della Costituzione, che sancisce il diritto alle prestazioni previdenziali, atte ad assicurare mezzi adeguati alle esigenze di vita degli assicurati; ciò è stato chiarito dalla Corte costituzionale che, con la sentenza n. 248 del 1997, ha ribadito che la citata privatizzazione degli enti previdenziali ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell'attività istituzionale di previdenza e di assistenza svolta dagli enti; a tale principio si collegano da un lato, gli obblighi contributivi a carico degli iscritti, dall'altro, la serie di obblighi e di controlli pubblicistici ai quali sono soggetti le casse e gli enti previdenziali privati;
    la normativa prevede pertanto per gli enti previdenziali di diritto privato diversi tipi di controlli:
     a) la sottoposizione alla vigilanza esercitata dai Ministeri competenti, attraverso una gamma diversificata di strumenti di controllo, previsti dagli, articoli 2 e 3 del decreto legislativo n. 509 del 1994, quali:
      la nomina di propri rappresentanti nei collegi sindacali, ipotesi, invero, che può concretare una situazione di conflitto di interessi tra soggetti controllori e soggetti controllati;
      la trasmissione dei documenti contabili: il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di intesa con i Ministeri competenti, possono esprimere motivate osservazioni, con richiesta di riesame, sui bilanci preventivi e i conti consuntivi e sui criteri di individuazione e di ripartizione del rischio nella scelta degli investimenti indicati nel bilancio preventivo;
      l'approvazione, non soggetta a termini, delle delibere in materia previdenziale e assistenziale, comprese le delibere in materia di contributi e prestazioni, nonché degli statuti e dei regolamenti; il controllo riguarda altresì le delibere contenenti criteri direttivi generali;
      il controllo del principio di equilibrio di bilancio, da assicurare mediante l'adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico, da redigersi con periodicità almeno triennale;
      in caso di disavanzo economico-finanziario, rilevato dai rendiconti annuali e confermato dal bilancio tecnico, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con i Ministri competenti, si può provvedere alla nomina di un commissario straordinario, il quale adotta i provvedimenti necessari per il riequilibrio della gestione, con contestuale sospensione di tutti i poteri degli organi di amministrazione delle associazioni e delle fondazioni;
      in caso di persistenza dello stato di disavanzo economico e finanziario dopo tre anni dalla nomina del commissario, qualora sia impossibile provvedere al riequilibrio finanziario dell'associazione o della fondazione, la nomina, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con i Ministri competenti, di un commissario liquidatore che esercita i poteri previsti dalla normativa in materia di liquidazione coatta;
      nel caso in cui gli organi di amministrazione di rappresentanza si siano resi responsabili di gravi violazioni di legge, afferenti la corretta gestione, la nomina, da parte del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con i Ministri competenti, di un commissario straordinario cui affidare il compito di salvaguardare la corretta gestione dell'ente e, entro sei mesi dalla nomina, concludere la procedura per rieleggere gli amministratori dell'ente;
      la definizione, con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, del 29 novembre 2007, delle modalità di redazione del bilancio tecnico-attuariale, richiedendosi, in primo luogo, che il bilancio tecnico sviluppi una migliore cognizione dell'andamento delle gestioni nel lungo termine, con proiezioni dei dati estese su periodo di 50 anni; l'orizzonte temporale di 50 anni è stato, stabilito dalla cosiddetta riforma Fornero, che ha richiesto, nel corso del 2012, una verifica straordinaria sulla sostenibilità per lungo periodo degli enti, finalizzata all'adozione di immediati provvedimenti di riequilibrio; tale verifica straordinaria ha determinato l'adozione, da parte di molti enti, di provvedimenti organici di riforma, per garantire una maggiore stabilità delle gestioni nel lungo periodo;
     b) il controllo sugli investimenti delle risorse finanziarie di tali enti, attribuito alla COVIP dall'articolo n. 14 del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, esercitato anche mediante ispezione presso gli stessi, richiedendo la produzione degli atti e dei documenti necessari; la COVIP riferisce ai Ministeri vigilanti le risultanze del controllo, ai fini dell'esercizio dei poteri di cui sopra;
     c) l'emanazione, attualmente in via di completamento, da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sentita la COVIP, di un decreto recante disposizioni in materia di investimento delle risorse finanziarie degli enti previdenziali, dei conflitti di interessi e delle banche depositarie, a somiglianza di quanto previsto per i fondi pensioni dagli articoli 6 e 7 del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252;
     d) il controllo generale sulla gestione delle assicurazioni obbligatorie, per assicurare la legalità e l'efficacia dell'azione e gli enti, esercitato dalla Corte dei conti, ai sensi del comma 5 dell'articolo n. 3 del decreto legislativo n. 509 del 1994; la Corte riferisce annualmente al Parlamento con proprio referto;
     e) il controllo esercitato in sede parlamentare dalla commissione parlamentare di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza sociale, che esercita la vigilanza e il controllo su tali enti;
    la scelta di privatizzare tali enti, operata dal legislatore, è dunque pienamente compatibile con il perseguimento della finalità pubblica di assicurare la stabilità del comparto previdenziale degli appartenenti agli ordini professionali, senza che ciò implichi un aggravio della finanza pubblica;
    fatta salva la necessità di mantenere i controlli di natura pubblicistica sugli enti previdenziali privati, riserva opportuno che sia compiuta dal Governo e dal Parlamento, dopo due decenni di applicazione della normativa di settore, una valutazione circa l'efficacia di tali controlli; in linea generale, come approfondito anche dalla missione parlamentare di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza sociale, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla «funzionalità del sistema previdenziale pubblico e privato, alla luce della recente evoluzione normativa ed organizzativa, anche con riferimento alla strutturazione della previdenza complementare», si deve rimarcare l'estrema complessità e frammentazione del sistema attuale dei controlli, dovuta essenzialmente a due fattori:
     a) la pluralità di soggetti chiamati a vigilare (Ministero dell'economia e delle finanze, Ministero del lavoro delle politiche sociali e altri Ministeri competenti, COVIP, Corte dei conti);
     b) la divaricazione esistente tra l'ambito dei poteri di vigilanza, esercitati dalla COVIP, e poteri sanzionatori, attribuiti invece al comparto ministeriale;
    l'esperienza maturata in venti anni di applicazione della normativa di settore mostra come vi sia invece bisogno di una concentrazione dei controlli in capo ad un unico soggetto, che eserciti sia i poteri di vigilanza che quelli sanzionatori, al fine di evitare l'appesantimento delle procedure e rendere più tempestivi i controlli; va ricordato che, secondo l'opinione espressa da molti soggetti istituzionali auditi dalla commissione parlamentare di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza sociale, l'attuale assetto dei controlli presenta una complessità e una sostanziale inefficienza dalla quale discende l'esigenza di una rivisitazione della stessa;
    da tali riscontri sul campo emerge l'esigenza di far sì che l'organismo di vigilanza e di controllo disponga di un elevato grado di specializzazione finanziaria, atteso che le attività di investimento dei patrimoni delle casse richiedono scelte di carattere finanziario del tutto comparabile a quello di forme di risparmio diverso da quello previdenziale considerato che, oltre alla vigilanza sugli enti previdenziali, essenziale controllare adeguatamente l'attività che i gestori professionali operanti sul mercato finanziario, anche per il risparmio non previdenziale, svolgono per conto e su incarico degli ente previdenziali del settore privato; su tare comparto, pertanto, i controlli devono essere equiparati a quelli che le autorità di vigilanza bancaria, assicurativa e societaria (Banca d'Italia, Ivass, Agcom) svolgono nei confronti delle imprese di gestione finanziaria, considerato che il volume complessivo dei patrimoni delle casse aderenti all'Adepp nel 2013, come riportato nel rapporto 2014 dell'associazione, è stato di poco inferiore a 60 miliardi di euro a valori contabili; va pertanto valutata l'idoneità di un organismo come la Covip a soddisfare i requisiti di elevata specializzazione che il settore richiede, alla luce anche delle risultanze emerse anche in sede parlamentare, particolarmente nelle indagini della commissione parlamentare di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza sociale, che hanno evidenziato la sussistenza di gestioni finanziarie degli investimenti degli enti spesso inadeguate dal punto di vista della solidità finanziaria e che, talvolta, hanno portato all'emersione di rilevanti vicende giudiziarie;
    è evidente che il risparmio previdenziale degli enti, che considerato insieme alla previdenza complementare costituisce una massa di risorse finanziarie finalizzate all'erogazione di prestazioni previdenziali, ma che dal punto di vista gestionale costituisce un volume di investimenti pari a circa 170 miliardi di euro, deve essere considerata come una delle forme di risparmio; come tale, deve essere oggetto di controlli finalizzati a garantire la solidità finanziaria degli enti proprietari delle attività, considerata la rilevanza pubblica della funzione previdenziale da assolvere, che costituisce retribuzione differenziata dei lavoratori dei diversi comparti e che deve garantire un rendimento certo e adeguato al mantenimento di prestazioni previdenziali e deve essere tutelata per i profili di gestione finanziaria, alla pari delle altre forme di risparmio;
    negli ultimi anni, rispetto a tale quadro normativo, va segnalata una tendenza in senso contrario, tendente alla ripubblicizzazione dello status di tali enti; tale tendenza è ascrivibile, in parte, a scelte legislative motivate essenzialmente da esigenze di controllo della spesa pubblica e di allargamento della base imponibile rilevante per la finanza pubblica, e in parte, a scelte amministrative e decisioni assunte in sede giurisdizionale, che sono suscettibili di vanificare il complesso normativo chiaramente delineato dal legislatore;
    nel corso di audizioni presso la commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza sociale, la ragioneria generale dello Stato ha affermato che i relativi risultati di bilancio delle casse private presentano effetti sui saldi di finanza pubblica e, in particolare, sull'indebitamento netto della pubblica amministrazione secondo la tesi della ragioneria dello Stato, il rispetto dei limiti imposti dall'articolo 81 della Costituzione in materia di obbligo di copertura finanziaria comporta la necessità che le modifiche di natura regolamentare e statutaria adottate dagli enti debbano necessariamente prevedere, qualora determinino effetti negativi in termini di indebitamento netto per le regole Eurostat, l'adozione contestuale di misure compensative, onde assicurare l'invarianza degli oneri per la finanza pubblica; ciò anche sulla base di giurisprudenza della Corte di cassazione del 2009 che, nell'individuare i limiti posti dal processo di delegificazione del decreto legislativo n. 509 del 1994 ha chiarito che, al pari delle disposizioni di legge nelle stesse materie, le delibere adottate nell'ambito dell'autonomia degli enti previdenziali di diritto privato devono rispondere ai limiti costituzionali;
    centrale nel processo di ripubblicizzazione degli enti previdenziali privati è stata la vicenda dell'inclusione delle casse nell'indice Istat, relativo all'individuazione delle pubbliche amministrazioni; la definizione di pubblica amministrazione, dal punto di vista finanziario, è di competenza dell'Istat, secondo le disposizioni previste dal Sistema europeo dei conti nazionali e regionali (Sec 95 – Regolamento (CE) n. 2223/96 – paragrafi 2.68 e 2.69); l'Istat ha ritenuto che la richiesta di esclusione delle casse da tale elenco non avesse fondamento, in quanto l'inclusione nel conto consolidato dipende dall'applicazione di criteri di classificazione adottati da Eurostat, che tengono conto anche dell'esercizio di un potere di direzione e controllo da parte dello Stato o di altri enti pubblici; avverso tale se decisione, l'associazione rappresentativa degli enti previdenziali privati (Adepp) e le singole casse hanno presentato ricorso, accolto con sentenza del Tar del Lazio, Sezione III Quater n. 1938/2008; il Consiglio di Stato, con sentenza n. 06014/2012REG ha annullato la sentenza del Tar, ritenendo prevalente la natura pubblicistica di tali enti e legittima l'inclusione delle stesse nell'elenco Istat; considerando che «la trasformazione operata dal decreto legislativo 509 del 1994 ha lasciato, quindi, immutato il carattere pubblicistico dell'attività istituzionale di assistenza svolta dagli Enti in esame, che conservano una funzione strettamente correlata all'interesse pubblico, costituendo la privatizzazione una innovazione di carattere essenzialmente organizzativo»; la predetta sentenza del Consiglio di Stato ha riconosciuto che la vigente normativa, in particolare l'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 509 del 1994, prevede un potere di ingerenza e di vigilanza ministeriale che costituisce uno dei principali elementi da cui discende, secondo il Consiglio di Stato, la stessa permanenza della natura pubblicistica degli enti in questione;
    la stessa Corte costituzionale, con sentenza n. 248 del 1997, ha ribadito che la trasformazione degli enti previdenziali privatizzati, ai sensi del decreto legislativo n. 509 del 1994, ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell'attività istituzionale di previdenza e di assistenza svolta dagli enti;
    in effetti, dalla definizione della natura pubblicistica o privatistica di tali enti, dipende l'applicazione di un regime pubblicistico a tali enti che il legislatore ha privatizzato, tra cui la natura del bilancio, il regime dei controlli, l'applicazione delle normative relative al pubblico impiego, quali la spending review, il blocco del turn-over del personale e altro; l'inclusione di tali enti nell'elenco dell'Istat ha comportato, ad esempio.
     l'estensione delle norme di cui al decreto-legge n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 in tema di limiti alla retribuzione economica individuale dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche inserite in tale elenco;
     l'applicazione del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 91 per l'adeguamento e l'armonizzazione dei sistemi contabili applicabili ai documenti contabili delle amministrazioni pubbliche, con l'obbligo di una riclassificazione e una rilettura dei bilanci civilistici adottati e la trasformazione dei dati economico-patrimoniali in dati di natura finanziaria e l'obbligo di predisporre un budget economico previsionale, un rendiconto finanziario in termini di liquidità, un conto consuntivo finanziario in termini di cassa e del piano degli indicatori e risultati attesi di bilancio;
     l'applicazione delle misure in materia di spending review, di cui al decreto-legge, n. 98 del 2011, convertito con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 e successive modifiche per la definizione dei fabbisogni standard dei programmi di spesa delle amministrazioni centrali dello Stato;
     l'applicazione delle norme di cui al decreto-legge 52 del 2012 e al decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, per rendere più stringente il ricorso per le pubbliche amministrazioni a procedure di acquisto centralizzato di beni e servizi, ai fini della riduzione della spesa per consumi intermedi; l'applicazione delle norme per l'acquisto di determinate categorie merceologiche (energia elettrica, gas, carburanti rete e carburanti extra-rete, combustibili per riscaldamento, telefonia fissa e telefonia mobile) attraverso le convenzioni o gli accordi-quadro messi a disposizione da Consip s.p.a., ovvero con autonome procedure utilizzando i sistemi telematici di negoziazione sul mercato elettronico;
     il divieto di effettuare spese di ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta in media nel 2010 e 2011 per l'acquisto di mobili e arredi, di cui all'articolo 1, comma 141, della legge di stabilità 2013, con l'obbligo di versare, in apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato, le somme derivanti dalle riduzioni di spesa;
    la materia necessita quindi di un intervento legislativo organico che non può non ribadire la natura privatistica degli enti, da un punto di, vista organizzativo e gestionale, escludendoli definitivamente dagli enti di cui all'elenco Istat, pur ribadendo che la natura privatistica si accompagna allo svolgimento di una funzione pubblicistica; si tratta di ribadire l'operazione di privatizzazione compiuta dal legislatore degli anni Novanta, ma di garantire meglio il rispetto dell'interesse pubblico alla solidità finanziaria di tali enti e l'obbligo di assicurare le prestazioni previdenziali agli iscritti, precisando, in sede normativa, i criteri con i quali tali enti di diritto privato devono operare, e snellendo e razionalizzando i controlli, rendendoli, nel contempo, più efficaci e stringenti sulle gestioni finanziarie;
    dal punto di vista delle gestioni finanziarie dei patrimoni degli enti, l'esistenza di una frammentazione tra gli stessi, si tratta di più di venti enti diversi, ognuno con proprie gestioni finanziarie risulta inefficace sia per una complicazione del contesto operativo, con maggiori costi di esercizio (si pensi alla pluralità di organi collegiali esistenti tra tutte le casse e alle conseguenti remunerazioni) ed una minore controllabilità delle attività di investimento dei patrimoni da parte delle autorità pubbliche competenti, sia per l'impossibilità di realizzare economie di scala e gestioni finanziarie più trasparenti; la semplificazione dei soggetti gestori e delle forme di impiego dei patrimoni, salvaguardando le specificità professionali dei vari ordini e delle regole di contribuzione ed iscrizione che sono differenziate tra di loro, potrebbe invece determinare una maggiore funzionalità del sistema; al proposito, va ricordato che il legislatore, con il decreto legislativo n. 103 del 1996, all'articolo 3, comma 1, lettera a), ha già previsto il principio della costi azione di un ente previdenziale privato pluricategoriale, in alternativa all'ente di categoria specifica, addirittura prevedendolo come prima opzione delle modalità di realizzazione della previdenza privata; l'ente pluricategoriale è l'Epap, che eroga prestazioni, a favore degli attuari, dei chimici, degli agronomi e forestali e dei geologi; occorre pertanto valutare l'applicazione di tale disposizione e l'opportunità di stimolare ulteriori processi di integrazione, particolarmente tra professioni vicine e integrate e settorialmente compatibili, con una gestione unificata e razionalizzata degli investimenti e della gestione dei patrimoni, salva restando la distinzione delle prestazioni e dei relativi regimi contributivi dei diversi ordini professionali; da un punto di vista normativo, va ricordato che l'articolo 1, comma 36 della legge 23 agosto 2004, n. 243, ha ribadito la possibilità per tali enti di accorparsi fra loro, nonché di includere altre categorie professionali similari di nuova istituzione che dovessero risultare prive di una protezione previdenziale pensionistica;
    il tema degli investimenti nel settore immobiliare da parte degli enti previdenziali privati è di particolare problematicità, in quanto, mentre quando le casse erano enti pubblici erano soggette a vincoli di utilità sociale a favore di categorie disagiate (per l'investimento in edilizia economica e popolare ovvero per la locazione a fasce sociali disagiate), con la privatizzazione a tali enti, si è applicata una disciplina speciale rispetto a quella concernente gli enti previdenziali pubblici, riconoscendo un'autonomia gestionale in materia; il riconoscimento del diritto alla prelazione di acquisto agli inquilini degli immobili oggetto di dismissione, ovvero la locazione di immobili a canoni sociali sia rimessa all'autonomia degli enti; l'articolo 1, comma 38, della legge 23 agosto 2004, n. 243, ha stabilito che la disciplina afferente alla gestione dei beni, alle forme del trasferimento della proprietà degli stessi e alle forme di realizzazione di nuovi investimenti immobiliari, contenuta nell'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 16 febbraio 1996, n. 104 per gli enti previdenziali pubblici, non si applichi agli enti previdenziali privati; allo stato, quindi, le decisioni di questi enti in materia di gestione e dismissione del proprio patrimonio immobiliare rientrano nell'ambito della loro autonomia gestionale, nei limiti del raggiungimento dell'equilibrio economico e finanziario e del contenimento del rischio della gestione dell'attivo: quindi, gli strumenti istituzionali attuali di controllo non permettono di valutare le singole scelte di investimento, ma soltanto di controllare, da parte dei Ministeri competenti, in sede di analisi complessiva dei bilanci, gli effetti produttivi delle scelte immobiliari su tali poste di bilancio e sulla garanzia della sostenibilità finanziaria della gestione; tale normativa è stata poi modificata prevedendo controlli pubblicistici specifici a tutela della situazione finanziaria degli enti:
     l'articolo 8, comma 15, del decreto-legge n. 78 del 31 maggio 2010, convertito nella legge n. 122 del 30 luglio 2010, fatta salva l'autonomia nelle scelte gestionali degli enti previdenziali privati, prevede che le operazioni di acquisto e vendita di immobili da parte degli enti, sia pubblici che privati, che gestiscono forme obbligatorie di assistenza e previdenza, nonché le operazioni di utilizzo, da parte degli stessi enti, delle somme rivenienti dall'alienazione degli immobili e delle quote dei fondi immobiliari, siano subordinate alla verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica, definita dal decreto 10 novembre 2010 del Ministero dell'economia e delle finanze, che prevede la trasmissione da parte di ogni cassa, entro il 30 novembre di ogni anno, di un piano triennale di investimento che evidenzi, per ciascun anno, l'ammontare delle operazioni di acquisto e di vendita degli immobili, di cessione delle quote di fondi immobiliari, nonché delle operazioni di utilizzo delle disponibilità liquide provenienti dalla vendita di immobili o da cessione di quote di fondi immobiliari;
    un controllo su tutti gli investimenti, e quindi anche su quelli immobiliari, è stato previsto poi dal comma 3 dell'articolo 14 del decreto-legge 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, che ha previsto l'emanazione da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e sentita la Covip, di un decreto in materia di investimento delle risorse finanziarie degli enti previdenziali; tale decreto, ad oggi, non è ancora stato emanato ed è attualmente all'esame del Consiglio di Stato: il testo dello schema di decreto in corso di predisposizione prevedrebbe con riferimento agli investimenti diretti in beni immobili e diritti reali immobiliari (articolo 9, comma 4) un limite quantitativo del 20 per cento del patrimonio dell'ente;
    tale materia va quindi attentamente riesaminata per valutare se, oltre a vincoli finalizzati alla solidità finanziaria degli enti siano ancora compatibili con la natura di enti, privati l'eventuale sussistenza del perseguimento di finalità sociali nella gestione degli immobili da parte degli enti privati; viceversa, possono essere ipotizzati strumenti innovativi, quali la previsione di agevolazioni fiscali in cambio di interventi a sostegno dell'economia reale del Paese o per finalità sociale, quali l’housing sociale,

impegna il Governo:

   ad assumere un'iniziativa normativa per la redazione di un testo unificato per il settore degli enti di previdenza privata, al fine di procedere ad una revisione e aggiornamento della legislazione in materia di enti previdenziali privati, che assorba le disposizioni di cui ai decreti legislativi n. 509 del 1994 e n. 103 del 1996 e le altre norme relative al settore contenute in provvedimenti diversi, al fine di superare le incertezze normative prodottisi dalla stratificazione normativa intervenuta negli ultimi anni;
   a riaffermare in tale iniziativa la natura di enti privati delle casse professionali, in continuità con le scelte assunte dal legislatore a partire dagli anni Novanta, chiarendo definitivamente che tali enti, per status giuridico e regole di operatività, sono soggetti al regime privatistico, prevedendo la non inclusione delle casse private nell'elenco ISTAT delle pubbliche amministrazioni e l'applicazione delle regole pubblicistiche che tale inclusione determina e ribadendo il principio che gli enti privatizzati non devono usufruire di finanziamenti pubblici o di altri aiuti di carattere finanziario provenienti dal settore pubblico;
   a riaffermare nel contempo, che l'esercizio della funzione previdenziale costituisce interesse pubblico rilevante ai sensi dell'articolo n. 38 della Costituzione e che l'attività svolta da tali enti, in quanto concernente i lavoratori appartenenti al settore delle professioni, richiede necessariamente l'esistenza di una serie di controlli e obblighi di natura pubblicistica, finalizzati a garantire la solidità e la trasparenza finanziaria degli stessi enti, onde salvaguardare pienamente i diritti degli iscritti alla percezione delle prestazioni previdenziali;
   in particolare, per quanto riguarda i controlli pubblici, ad assumere iniziative per provvedere ad una loro razionalizzazione e semplificazione, finalizzata al rafforzamento degli stessi, in termini di efficienza, pervasività e tempestività facendo sì che i controlli siano affidati ad un unico organismo specializzato, in possesso di elevate competenze di carattere finanziario e che tale organo di vigilanza e controllo si occupi sia delle attività di carattere regolatorio, per quanto concerne il controllo dei principali atti organizzativi, sia delle funzioni ispettive e di vigilanza sulle attività svolte, compresa la possibilità di acquisizione di documenti e di informazioni relative all'attività, sia dell'irrogazione, con tempestività ed efficienza, di eventuali sanzioni in caso di inadempienze accertate;
   ad assumere iniziative volte a prevedere che con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze siano dettati i criteri di carattere generale ed i limiti qualitativi e quantitativi per la tipologia degli investimenti da parte degli enti previdenziali privati, al fine di garantire la solidità economico-finanziaria degli investimenti e l'equilibrio di gestione degli enti stessi;
   in questo quadro, a valutare l'idoneità della Covip a svolgere tale incarico o, viceversa, a valutare, in alternativa, in considerazione della rilevanza dei profili di gestione finanziaria del risparmio previdenziale e delle conseguenti esigenze di svolgimento di controlli specializzati in materia, la possibilità di assumere iniziative per l'istituzione di una nuova authority ad hoc per il settore, eventualmente estesa al settore della previdenza complementare, o di una sezione specializzata, sul modello dell'IVASS, operante nell'ambito della Banca d'Italia cui attribuire tali competenze;
   a favorire l'ulteriore razionalizzazione del settore, promuovendo un processo di accorpamento delle casse, già previsto dal decreto legislativo n. 103 del 1996 e dalla legge 23 agosto 2004, n. 243 e rendendo il loro numero molto più contenuto rispetto all'attuale, considerando che tale processo presenterebbe numerosi aspetti positivi:
    a) la costituzione di una massa patrimoniale di notevoli dimensioni, la cui gestione potrebbe avvenire non solo in maniera più trasparente e controllata, ma anche più conveniente sotto il profilo delle economie di scala;
    b) la possibilità di disporre in modo sinergico di risorse necessarie e di strumentazione, anche informatici, per la gestione amministrativa degli enti;
    c) la riduzione degli organi collegiali direttivi, con l'eliminazione di interessi clientelari legati alle singole categorie professionali e la riduzione drastica dei costi di gestione per il mantenimento di tali organismi;
    d) una maggiore rappresentatività, anche istituzionale, che pochi enti, di grandi dimensioni, potrebbero assumere;
    e) la possibilità di svolgere controlli in numero maggiore e più penetranti su pochi enti previdenziali privati, garantendo in tal modo il riscontro più efficace della solidità finanziaria degli enti;
    f) il mantenimento delle regole specifiche per ciascun ordine professionale per quanto riguarda la contribuzione e l'entità delle prestazioni erogate;
   ad assumere iniziative per prevedere, attesa la rilevanza e l'entità dell'attivo patrimoniale che tali enti gestiscono ed investono sul mercato mobiliare e immobiliare, e l'importanza che per l'economia italiana assume un impiego di tali risorse qualora gli investimenti siano effettuati a favore di istituzioni finanziarie o immobiliari o del territorio nazionale, la definizione di forme innovative per l'impiego, sia in ambito mobiliare che immobiliare, da realizzare su base volontaria e a condizione della remuneratività degli investimenti, attraverso strumenti normativi di incentivazione ovvero esenzioni fiscali, crediti d'imposta o agevolazioni fiscali, di pare dei patrimoni finanziari degli enti; ad assumere iniziative per prevedere che tali misure possano essere applicate per investimenti a sostegno di iniziative finalizzate allo sviluppo dell'economia reale concordate con il settore pubblico, eventualmente assistite dalla garanzia dello Stato, ovvero per la gestione o acquisizione di immobili che contemperino la redditività degli investimenti con il perseguimento di finalità sociali (quali l’housing sociale);
   ad assumere iniziative per sviluppare ulteriormente le forme di forme di previdenza complementare, con l'obbligo della gestione separata, e forme di tutela sanitaria integrativa, nel rispetto degli equilibri finanziari di ogni singola gestione, da parte degli enti previdenziali privati.
(7-00885) «Di Salvo, Gnecchi, Albanella, Baruffi, Boccuzzi, Casellato, Cuomo, Damiano, Giacobbe, Gribaudo, Incerti, Patrizia Maestri, Miccoli, Paris, Giorgio Piccolo, Rostellato, Rotta, Simoni, Tinagli, Zappulla».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della giustizia, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   i requisiti per l'adozione, internazionale e nazionale, sono previsti dall'articolo 6 della legge n. 184 del 1983, come modificata dalla legge n. 149 del 2001 e dal decreto legislativo del 28 dicembre 2013, n. 154. La disposizione sopracitata prevede la sussistenza di diversi elementi alcuni dei quali possono essere verificati formalmente, come il rispetto di determinati limiti di età e il requisito della stabilità del rapporto fra i coniugi, mentre altri richiedono una valutazione più complessa;
   infatti, in base al suddetto articolo 6 gli aspiranti genitori adottivi «devono essere affettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere il minori che intendano adottare», Per la verifica di questi requisiti occorre una valutazione approfondita nei contenuti e nelle modalità del rapporto di coppia, che viene espletata dai tribunali per i minorenni e realizzata tramite i servizi socio assistenziali degli enti locali, anche in collaborazione con i servizi delle aziende sanitarie locali. Dunque, il tribunale per i minori dispone la verifica preventiva dei presupposti ed esegue gli accertamenti ritenuti necessari al fine di accertare e dichiarare l'idoneità della coppia che ha proposto la dichiarazione di disponibilità;
   nello specifico: il tribunale per i minorenni incarica i servizi sociali del compito di conoscere la coppia e di valutarne le potenzialità genitoriali raccogliendo informazioni sull'ambiente familiare, sulle motivazioni della domanda, nonché sulla situazione personale e sociale dei coniugi. In altri termini, i servizi sociali devono valutare le risorse, i limiti, le convinzioni, le attitudini degli aspiranti genitori, il desiderio di entrambi all'adozione nonché la loro situazione socio-economica. Al termine del periodo di accertamento i servizi devono redigere una relazione conclusiva. Tale documento viene inviato al tribunale per i minorenni di competenza che lo esamina e successivamente convoca la coppia per uno o più colloqui. A seguito dei suddetti incontri, il tribunale può stabilire che la coppia è idonea all'adozione, che non è idonea o, ancora, può disporre ulteriori approfondimenti rinviando nuovamente i coniugi ai servizi socio-assistenziali;
   ne consegue che i coniugi che aspirano ad adottare un bambino sono sottoposti a una sorta di «processo», essendo valutati e rivalutati. Un tale iter è previsto unicamente in Italia, il solo Paese in cui i tribunali dei minorenni hanno totale potere decisionale sull'idoneità delle coppie, facoltà che per al tra applicano spesso con eccessiva discrezionalità introducendo, in taluni casi, ulteriori limiti oltre quelli già previsti dalla legge. Come affermato da Marco Griffini, presidente dell'associazione Amici dei bambini (Ai.bi.), «c'e una cultura negativa intorno alla coppia che vuole adottare. La coppia viene supervalutata, superselezionata, quando invece andrebbe accompagnata. La maggior parte delle coppie finisce per rinunciare in partenza, anziché affrontare questa via crucis»;
   l'Ai.bi. ha recentemente denunciato le ingiustizie e lo stato di abbandono dell'intero sistema delle adozioni nel nostro Paese: negli orfanotrofi italiani vi sono più di trentacinquemila bambini, cosiddetti «minori fuori famiglia», tuttavia, le adozioni nazionali sono pochissime aggirandosi annualmente fra le 1.000 e le 1.300. I dati peggiorano sul fronte delle adozioni internazionali che si sono dimezzate negli ultimi tre anni. Il calo dovuto a una diminuzione sia delle domande sia delle disponibilità all'adozione internazionale e le cause sono spesso da ricercare nella complessità delle storie dei bambini adottabili, nei tempi lunghi e incerti della procedura adottiva e negli alti costi dell'adozione internazionale;
   vi è, inoltre, un importante problema di trasparenza dei dati. A tal riguardo e stata da più fronti denunciata l'inefficienza della Commissione per le adozioni internazionali (Gai), che da acini non organizza un incontro con le delegazioni straniere né pubblica i dati sul numero dei bambini adottati all'estero. Il Permanent Bureau della Conferenza di diritto internazionale privato de L'Aja ha richiamato l'Italia per il mancato rispetto delle linee guida sull'operatività della Convenzione sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a il 29 maggio 1993, e la mancata trasmissione dei dati relativi alle, adozioni internazionali;
   in secondo luogo, nell'ottavo rapporto di aggiornamento (2014-2015) sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, redatto da un gruppo di lavoro composto da 90 soggetti del terzo settore e coordinato da Save the Children Italia, viene fatto presente che la banca dati nazionale dei minori adottabili e delle coppie disponibili all'adozione, prevista dal decreto 15 febbraio 2013 del Ministero della giustizia, non operativa in tutti i tribunali per i minorenni presenti sul territorio nazionale. Da ciò deriva, come affermato nell'ottavo dossier, «la difficoltà nel garantire a ogni bambino adottabile la scelta di una famiglia, con ritardi negli abbinamenti e scarse opportunità per i bambini “speciali”, ovvero di più difficile adozione. Ma soprattutto in questo modo non si è in grado di quantificare l'effettiva situazione e quantità dei minorenni che pur essendo adottabili non vengono adottati»;
   un'ulteriore problematicità si rileva per quanto concerne le adozioni internazionali da Paesi che non hanno ratificato la Convenzione de L'Aja del 1993 e in cui, nella maggior parte dei casi, il principio di sussidiarietà dell'adozione (desumibile dal combinato disposto degli articoli 7, 8, 9, 20, 21 della Convenzione sui diritti dell'infanzia approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1989, inserita nell'ordinamento italiano con legge n. 176 del 1991) e le altre tutele preventive e protettive dei diritti dell'infanzia vengono applicati in minor misura. Un recente e autorevole studio «The best interests of the child in intercountry adoption», pubblicato da UNICEF nel 2014, indica che tale fenomeno e in crescita e riguarda il 78 per cento delle adozioni in Belgio, il 72 per cento di quelle in Francia e il 54 per cento in Italia;
   infine, come testimoniato dalle coppie che hanno scelto di intraprendere questo percorso, per gli aspiranti genitori ai problemi da sempre presenti (quali gli alti costi, gli anni di attesa e le difficoltà burocratiche) oggi si aggiunge un nuovo ostacolo: la mancanza di fiducia e di certezze. In definitiva, il sistema organico di politiche per l'infanzia su cui il nostro Paese si era impegnato con la ratifica della Convenzione de L'Aja del 1993 non è stato ancora realizzato –:
   se ritengano opportuno avviare delle politiche sociali volte alla promozione delle adozioni nazionali e internazionali, rendendo più semplice e confortevole il percorso delle coppie che scelgano e il adottare un minore e diffondendo la «cultura dell'adozione»;
   se condividano l'opportunità di avviare un percorso di snellimento per quanto concerne la burocrazia relativa alle adozioni, anche attraverso una revisione dell'attuale normativa, sempre valorizzando il principio dell'interesse superiore del bambino come considerazione essenziale nella legislazione e nelle procedure che disciplinano l'adozione stessa;
   quali iniziative intendano mettere in atto per assicurare la piena operatività della banca dati nazionale dei minori adottabili e delle coppie disponibili all'adozione, prevista dal decreto 15 febbraio 2013 del Ministro della giustizia, e la promozione di protocolli operativi con i tribunali per i minorenni per l'attivazione di percorsi formativi delle coppie che presentano domanda di adozione;
   se intendano adottare particolari iniziative a sostegno alle adozioni complesse, con riferimento ai minori di età superiore a dodici anni o con handicap accertato ai sensi dell'articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104;
   quali iniziative intendano adottare al fine di garantire un follow-up sistematico sul benessere dei bambini adottati durante gli anni precedenti e sulle cause e sulle conseguenze di eventuali interruzioni dell'adozione;
   quali iniziative intendano adottare per garantire l'operatività della Commissione per le adozioni internazionali al fine di consentire all'organo di esercitare un ruolo maggiormente incisivo soprattutto nella vigilanza e nel controllo delle procedure di adozione, in particolare nell'operatività degli enti autorizzati all'estero;
   se, in conformità con la Convenzione de L'Aja e con l'articolo 21, lettera d), della Convenzione sui diritti del fanciullo, intendano garantire un monitoraggio efficace e sistematico di tutte le agenzie private di adozione, valutando la possibilità di gestire l'elevato numero di queste ultime e assicurando che le procedure di adozione non siano fonte di proventi finanziari per alcuna parte;
   se ritengano opportuno adoperarsi presso le opportune sedi istituzionali internazionali affinché il principio di sussidiarietà dell'adozione internazionale e le altre tutele preventive e protettive dei diritti dell'infanzia siano applicate pienamente nei Paesi che ad oggi non hanno ratificato la Convenzione de L'Aja, essendo in crescita le adozioni di minori provenienti da suddetti Paesi da parte di coniugi italiani.
(2-01225) «Pinna, Caruso, Antimo Cesaro, Sottanelli, Galgano, Capua, D'Agostino, Capelli, Oliaro, Monchiero, Vargiu, Mazziotti Di Celso, Vecchio, Rabino, Fitzgerald Nissoli, Piepoli, Molea».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CENNI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 123 del decreto legislativo 13 agosto 2010 n. 131 («Modifiche al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, recante il codice della proprietà industriale, ai sensi dell'articolo 19 della legge 23 luglio 2009, n. 99») è stata sancita l'estensione del diritto d'autore anche «alle opere del disegno industriale che, anteriormente alla data del 19 aprile 2001, erano, oppure erano divenute di pubblico dominio». Tali norme sono entrate in vigore il 2 settembre 2010;
   è stata introdotta nel 2001 una norma transitoria con la finalità di consentire alle aziende la possibilità di continuare ad operare; questa moratoria, garantita da ulteriori provvedimenti di natura parlamentare, è però scaduta il 19 aprile 2014 e non più prorogabile a causa dell'incompatibilità con la legislazione comunitaria (direttiva 98/71/CE relativa al diritto d'autore e tutela brevettuale dell’industrial design);
   le nuove disposizioni hanno stravolto l'intero sistema normativo nazionale relativo al comparto produttivo dell’industrial design, mettendo in crisi le aziende del settore, quasi esclusivamente piccole e medie imprese (peraltro già duramente colpite dagli effetti della crisi economica internazionale), e conseguentemente migliaia di posti di lavoro; con tale normativa le aziende non potranno infatti più produrre prodotti di design ritenute di «pubblico dominio»;
   le aziende interessate, anche di carattere artigianale, sono circa 700 (dislocate in numerosi distretti produttivi ed industriali), occupano circa 13.500 addetti, con un fatturato di circa 950 milioni di euro annui. Si tratta di imprese che per oltre 50 anni hanno prodotto oggetti di pubblico dominio nel pieno rispetto delle norme in vigore, contribuendo con passione, professionalità, competenze, innovazione a promuovere il « made in Italy» e la creatività italiana nel mondo;
   a seguito di provvedimenti dei tribunali nazionali sono stati inoltre disposti sequestro ed inibitoria delle attività di alcune aziende. Misure che hanno già portato, in alcuni distretti industriali, alla chiusura di imprese e alla perdita di posti di lavoro;
   questo nuovo ordinamento sta quindi penalizzando le aziende italiane che hanno sempre utilizzato una filiera e materiali nazionali, favorendo paradossalmente quelle realtà imprenditoriali e quei gruppi industriali che stanno spostando i loro processi produttivi in altri Paesi (come, ad esempio, la Cina);
   l'11 giugno 2014 il Governo ha accolto rispetto a tale tematica, un ordine del giorno (n. 9/01864-A/004) che ha impegnato il Governo:
    ad attivarsi urgentemente per evitare che il termine ormai scaduto del 19, aprile 2014 possa avere come conseguenza sia il blocco della produzione e la crisi delle 700 imprese interessate dalla vicenda, mai chiarita definitivamente, con relative conseguenze sul piano occupazionale; sia, provvedimenti giurisdizionali contrastanti;
    a convocare in tempi brevi un tavolo di concertazione fra i soggetti interessati al fine di approfondire e produrre urgentemente una norma definitiva, nel rispetto dei principi comunitari, che consenta alle aziende di continuare a produrre oggetti di design considerati di «pubblico dominio» e salvaguardare le stesse imprese da interpretazioni giudiziarie difformi;
   risulta all'interrogante che si è tenuto, nei mesi scorsi, un primo incontro del tavolo di concertazione fra i soggetti interessati, convocato dai Ministeri competenti –:
   quali siano le novità emerse nel corso del tavolo di concertazione citato in premessa e quali iniziative urgenti intendano assumere i Ministri interrogati, al fine di dare pieno corso agli impegni di cui al sopra citato ordine del giorno. (5-07383)


   GAGNARLI, LOREFICE e DI VITA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la regione Toscana ha approvato, in data 20 dicembre 2015, la legge n. 84 del 2015 di modifica della legge n. 40 del 2005, inerente alla riorganizzazione e alla riforma del sistema sanitario della regione toscana;
   nell'articolato risultano approvate due fattispecie che potrebbero non trovare riscontro nella normativa nazionale;
   la prima fattispecie riguarda il direttore della programmazione (articolo 8 ed articolo 9 della legge regionale n. 84 del 2015) ed il comitato regionale di coordinamento delle programmazioni di area vasta  (articolo 10 della legge regionale n. 84 del 2015,);
   il direttore della programmazione sembrerebbe una figura sovraordinata al direttore generale dell'Azienda ospedaliera universitaria ed al direttore generale della ASL ed agli interroganti non risulta prevista da alcuna norma nazionale oggi in vigore. Di fatto tale figura professionale, che dipende direttamente dal presidente della giunta regionale, potrebbe limitare l'autonomia gestionale dei direttori generali delle aziende sanitarie;
   il comitato regionale (articolo 10) costituito dai direttori della programmazione e dal direttore generale dell'assessorato, testimonia la volontà di centralizzare compiti e funzioni. Tale comitato, infatti, svolge funzioni di coordinamento e monitoraggio delle attività dei direttori per la programmazione di area vasta;
   la seconda fattispecie della legge-regionale in questione riguarda le sperimentazioni gestionali con convenzione (articolo 32 della legge regionale n. 84 del 2015). In questo articolo, al comma 1, si stabilisce che le aziende sanitarie, al fine di introdurre nell'organizzazione delle prestazioni elementi di innovazione, economicità ed efficienza, possono, previa sperimentazione, attivare convenzioni con soggetti privati;
   la legge nazionale prevede che le aziende sanitarie, al fine di introdurre nella organizzazione delle prestazioni elementi di innovazione, economicità ed efficienza, possano, previa sperimentazione, attivare rapporti in forma societaria con soggetti privati, ma non risulta far cenno alla possibilità di attivare con gli stessi delle convenzioni;
   è evidente la progressiva deriva di privatizzazione del servizio sanitario regionale da parte dell'attuale governo regionale toscano, d'altronde preannunciata dalle dichiarazioni del presidente Rossi a La Repubblica, già in data 24 novembre 2012: «Continueremo a razionalizzare le spese ma bisogna andare oltre e con i sindacati già ne discutiamo: vanno create assicurazioni mutualistiche per diagnostica e specialistica, ormai la rete del privato sociale offre prestazioni a prezzi concorrenziali con il servizio sanitario nazionale per chi non è esentato dal ticket» –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se il Governo non ritenga opportuno valutare se ci siano i presupposti  per impugnare, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione, le disposizioni della legge della regione Toscana del 28 dicembre 2015, n. 84 di cui in premessa. (5-07385)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   il percorso di riforma costituzionale che il Governo sta perseguendo ad avviso dell'interrogante è il più grave atto mai messo a segno contro la Costituzione, la libertà e la democrazia in questo Paese;
   si mina alle fondamenta la sovranità popolare e si persegue uno Stato che arrogantemente ordina piuttosto che uno Stato capace di coordinare e condividere;
   questa pseudo riforma costituisce – sempre ad avviso dell'interrogante – la più grande lesione dei principi e valori costituzionali mai messa in campo ai danni delle regioni a statuto speciale, verso la Sardegna e i Sardi prima di tutto, che hanno nell'insularità la più evidente e consistente specialità regionale;
   l'affermazione di non volere incidere sullo status delle regioni speciali nasconde, invece, subdole trappole e ripetuti agguati alle specialità autonomistiche;
   ad avviso dell'interrogante, lo schema di questo percorso costituzionale proposto dal Governo è chiaro: togliere e negare poteri ai cittadini e ai territori e accentrarli su Roma e su poche élite affaristico – speculative;
   è, secondo l'interrogante, un disegno dello Stato per fare pozzi petroliferi, centrali eoliche, per regalare soldi alle banche dei parenti e degli amici;
   è un disegno di riforma per fare il deposito unico nucleare schiacciando la volontà popolare;
   è un percorso di riforma per sostituire alle istituzioni democratiche l'arroganza del potere;
   in questo disegno si eliminano le materie concorrenti, ovvero quelle dove lo Stato e le regioni dovevano trovare un'intesa e concorrere nella definizione delle norme e nella loro attuazione;
   in questo processo di eliminazione della materia concorrente lo Stato fa incetta di poteri e competenze e riduce le regioni a meri uffici periferici;
   in quella che all'interrogante appare una strisciante azione riformatrice, affaristico-speculativa al servizio di banche e petrolieri, per non aprire direttamente in questa fase il contenzioso con le regioni a statuto speciale, è stata scritta una modesta e insignificante norma che apparente niente rimanda tutto all'adeguamento «costituzionale» degli statuti;
   tutto questo risulta non vero;
   all'interno di questo percorso si insidia un vero e proprio «cavallo di Troia»: si tratta di una strategia che affida a veri e propri vasi comunicanti fra i vecchi statuti e la nuova Costituzione la cancellazione sostanziale delle regioni speciali;
   questa riforma costituzionale introduce «la supremazia nazionale», l'interesse nazionale al di sopra di tutto, e negli statuti si fa riferimento a principi simili, ma in chiave generica e non perentoria;
   gli statuti attualmente vigenti delle cinque regioni ad autonomia speciale, compreso quello della Sardegna, contengono riferimenti normativi, espressioni giuridiche e concetti che in questa riforma costituzionale sono radicalmente modificati rispetto al passato e assumono significati ordinamentali rilevanti e capaci di schiacciare sino ad annullare i poteri degli statuti speciali;
   il primo principio è l'interesse nazionale, che c’è in tutti gli statuti speciali, ma non c'era più in Costituzione dal 2001 al 2015;
   questo ha impedito che i «vasi comunicanti» parlassero, cioè che la giurisprudenza costituzionale sul Titolo V per le regioni ordinarie dicesse qualcosa anche sugli istituti e sui termini degli stessi;
   l'interesse nazionale, scomparso nel 2001, ricompare all'articolo 117, comma quarto;
   con la giurisprudenza che si andrà a costruire sul nuovo interesse nazionale, la clausola di supremazia avrà effetti diretti e sarà, come un «vaso comunicante», trascinata dentro le singole regioni speciali che nei rispettivi statuti fanno riferimento all'interesse nazionale;
   l'articolo 117, quarto comma, proposto dal Governo è esplicito: «Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materia non riservata alla legislazione esclusiva, quando lo richiedano la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica ovvero la tutela dell'interesse nazionale»;
   su questo interesse nazionale ci sarà una nuova giurisprudenza e questa transiterà, obbligatoriamente, sarà il ponte levatoio, verso la voce «interesse nazionale» presente negli statuti speciali;
   il processo di riforma dichiara di fare salva l'applicazione del capo IV e, quindi, sembra dire che, finché non ci sono gli statuti nuovi, rimane tutto come è;
   non è immaginabile che questa condizione sospensiva sia tale da impedire già da subito o anche in tempi medi l'espansione di alcune norme del Titolo V alle regioni a statuto speciale;
   basti pensare al coordinamento della finanza pubblica che nella riforma costituzionale assume tutte le caratteristiche per avere un grado di supremazia molto forte anche all'interno degli statuti e ordinamenti speciali;
   basta pensare all'articolo 116 della Costituzione, terzo comma, dove le forme ulteriori di autonomia che possono essere assegnate alle regioni vengono assegnate sotto la condizione dell'equilibrio di bilancio tra entrate e uscite espressamente iscritto in Costituzione;
   il passaggio del coordinamento della finanza pubblica da materia concorrente a materia esclusiva dello Stato e gli effetti complessivi della legge costituzionale n. 1 del 2012 sul pareggio di bilancio, in realtà fanno emergere che tutta la partita finanziaria andrà ritrattata ex novo;
   per regioni come la Sardegna si rischia di mettere a dura prova non solo l'autonomia ma anche la gestione finanziaria ed economica;
   tale processo di riforma finirà per incidere in modo netto su partite come per esempio quella del deposito unico nazionale delle scorie nucleari;
   in quel caso prevarrebbe la clausola di supremazia nazionale a fronte degli statuti speciali;
   in tal senso esiste già un precedente: la sentenza sul nucleare, dove ci fu il tema dell'accordo Stato-regioni che, nonostante non fosse stato formalmente raggiunto, fu di fatto ritenuto raggiunto dalla Corte costituzionale;
   le regioni a statuto speciale stanno per perdere quel poco di autonomia che era rimasta –:
   come intenda il Governo garantire che nessuna clausola di supremazia possa prevalere sulle regioni a statuto speciale;
   se ritenga di dover adottare ulteriori iniziative normative volte a garantire che nessuna clausola di supremazia e di interesse nazionale possa prevalere sugli statuti speciali delle regioni autonome;
   se non ritenga di dover avviare un serio confronto con le regioni a statuto speciale per risolvere in maniera puntuale tale possibile vulnus costituzionale relativo all'applicazione della supremazia nazionale sulle regioni a statuto speciale.
(5-07390)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ANDREA MAESTRI, BRIGNONE, CIVATI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 17 dicembre 2015, dopo voci insistenti uscite sui quotidiani e agitazioni dei lavoratori e dei sindacati, riguardanti la vendita di Versalis, azienda di Eni leader della chimica in Italia e nel mondo, l'amministratore delegato Claudio Descalzi di Eni ha finalmente svelato i programmi del gruppo, affermando che è aperto un dialogo con un investitore che non è vincolante, ma non è escluso che in futuro vi siano anche altri interlocutori per la vendita di Versalis, aggiungendo infine: «In Versalis abbiamo bruciato 5,8 miliardi di euro dal 2000, ora vogliamo trovare un investitore. Non si tratta di una rottamazione, vogliamo sviluppare la società»;
   i vertici dei sindacati del settore della chimica, FILCTEM CGIL, FEMCA CISL E UIL TEC, sono invece certi che Eni sia già in trattative in esclusiva con il fondo americano SK Capital Partners per la vendita della quota di maggioranza di Versalis. Eni potrebbe cedere il 70 per cento della società chimica;
   la cessione della Versalis metterebbe in discussione l'intero assetto territoriale della chimica, da quella verde a quella tradizionale, che già subisce i mancati investimenti di questi anni;
   tra le principali vittime, lo stabilimento di Ravenna che conta circa 700 lavoratori diretti e un indotto che coinvolge migliaia di lavoratori che, per la mancanza di informazioni in merito all'operazione, sono legittimamente preoccupati per il loro posto di lavoro;
   la vendita della società Versalis, inoltre, rischia di avere pesanti ripercussioni a Ravenna sulla sicurezza dei cittadini e dell'ambiente, qualora ENI non si facesse carico di ottenere dalla nuova proprietà le dovute garanzie di riqualificazione e di bonifica ambientale, così come stabilito dall'autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.) per l'esercizio degli impianti chimici, rilasciata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel 2011, con la quale la società Versalis-Eni si è impegnata a condurre i propri impianti chimici alle condizioni indicate nell'autorizzazione integrata ambientale e secondo precisi piani di monitoraggio e controllo delle emissioni atmosferiche e degli scarichi idrici;
   a questo proposito, il segretario generale della Femca-Cisl in una sua dichiarazione ricorda che Eni ha previsto 1,6 miliardi di euro di investimenti per la chimica in Italia e, avendone già fatti per 400 milioni, lascerebbe una fetta di 1,2 miliardi di euro a carico dell'acquirente. Si domanda quindi, nel caso di vendita al Fondo SK Capital Partners, «... come possa investirli un fondo che ha una capitalizzazione pari all'investimento da effettuare», rimarcando i dubbi sulla solidità del potenziale compratore;
   in risposta a quanto dichiarato dall'amministratore delegato di Eni sulla mancanza di sviluppo del settore legata alle difficoltà di trovare facilmente una partnership che investa nella chimica italiana, sarebbe quanto mai auspicabile un ruolo attivo di Cassa depositi e prestiti, anche per mantenere la proprietà di Versalis in maggioranza italiana;
   del resto una simile operazione è già stata messa in campo il 27 ottobre 2015 per impedire che Saipem finisse in mano a gruppi stranieri. Il Fondo strategico italiano s.p.a. (FSI), società controllata da Cassa depositi e prestiti s.p.a., ha acquistato il 12,5 per cento di azioni del capitale della società;
   gli obiettivi di «Progetto Italia», messo a punto dal Governo per far ripartire l'economia, sono di utilizzare il piano industriale 2016-2020 di Cassa depositi e prestiti e gli ambiziosi punti del programma da 265 miliardi di euro (163 miliardi per imprese italiane e internazionali), puntando soprattutto sul partenariato pubblico privato;
   per il rilancio del settore chimico e la salvezza di Versalis si potrebbe pensare a un ruolo attivo di Cassa depositi e prestiti, che potrebbe diventare soggetto di garanzia, proprio grazie allo strumento del «partenariato pubblico privato» e in questo modo si assicurerebbe ai lavoratori il completamento degli investimenti previsti nel piano industriale, primi su tutti quelli relativi alla riconversione verso la chimica verde, e soprattutto si permetterebbe di non rinunciare a un settore cruciale come la chimica –:
   se il Governo intenda fornire ogni utile elemento sulla reale situazione della società Versalis e in particolare sul rispetto degli impegni per la riqualificazione e la bonifica ambientale del territorio di Ravenna, e se non ritenga opportuno intervenire tempestivamente per mantenere la maggioranza azionaria di Versalis in ENI, utilizzando il Fondo strategico italiano della Cassa depositi e prestiti.
(4-11687)


   VILLAROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo apparso il 3 dicembre 2015 su ilfattoquotidiano.it, il giornalista Luigi Franco mette a nudo gli «affari di famiglia» del Censis e del suo padre-padrone, Giuseppe De Rita, sottolineandone la conduzione pressoché familistica considerata la presenza di due dei suoi 7 figli: Giorgio, indicato come, segretario generale e suo successore e Giulio, che ha un ufficio legato alla sua Leghein srl all'interno dell'istituto con scrivania e propria utenza telefonica;
   come sottolinea ancora nel suo articolo: «...il Censis è sì una fondazione privata, ma fondata grazie a organismi pubblici e con gran parte dei clienti che ancora oggi sono enti pubblici. E nel suo rapporto annuale sulla situazione del Paese fa sempre la morale agli italiani, individuandone virtù e difetti. Senza tacere il ruolo giocato molte volte dalla famiglia per il futuro dei figli»;
   in data 9 febbraio 2012, nel corso della XVI legislatura, era già stata depositata l'interrogazione 4-14852 (pure richiamata nel citato articolo), sollecitata in Assemblea il successivo 9 maggio, alla quale comunque non è mai giunta risposta, concernente una poco chiara operazione legata alla commissione diretta al Censis, da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri, di un'indagine sui valori degli italiani in occasione del 150o anniversario dell'Unità d'Italia, poi affidata alla citata Leghein srl, per la quale è stata consentita una lievitazione dei costi da 200.000 a 500.000 euro senza fornire una dettagliata analisi dei citati costi per capire a chi fossero andati i fondi pubblici e per quale motivo fossero lievitati in quella misura –:
   quali siano, per quanto di competenza, gli orientamenti del Governo in ordine a quanto evidenziato nel citato articolo atteso che il Censis, ancorché istituto privato, gode comunque di finanziamenti pubblici e di commissioni da parte di enti pubblici;
   se non ritenga di fornire tutti i necessari chiarimenti e la dettagliata analisi dei costi, in assenza di evidenza pubblica, in ordine all'indagine costata 500.000 euro, commissionata per il 150o anniversario dell'Unità d'Italia e se la Leghein srl di Giulio De Rita abbia utilizzato, a tal proposito, dipendenti e uffici della Fondazione Censis;
   se corrisponda al vero che siano stati rivenduti alla Presidenza del Consiglio dei ministri vecchi progetti del Censis unicamente rielaborati al fine di fare massa critica e giustificare così la lievitazione dei costi da 200 a 500 mila euro;
   se non ritenga segnalare i fatti alla magistratura contabile anche alla luce delle numerose assegnazioni e della realizzazione dei progetti finanziati tramite i fondi europei. (4-11691)


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   150 famiglie italiane, di cui tre bresciane, stanno aspettando di poter accogliere in Italia i loro figli adottivi da 840 giorni, a causa di un blocco nel normale iter delle adozioni internazionali, messo in atto dalla burocrazia congolese nel settembre 2013 per «difficoltà burocratiche dovute ad accertamenti su famiglie affidatarie non italiane», a causa di «irregolarità nelle adozioni da parte di altri paesi», cioè Francia e Stati Uniti;
   il blocco effettuato dalle autorità congolesi ha lasciato in sospeso le adozioni di circa 1300 bambini destinati ad essere affidati a famiglie di tutto il mondo: il 27 settembre 2013, la direzione nazionale delle migrazioni (DGM), presso il Ministero dell'interno e della sicurezza della Repubblica democratica del Congo, ha informato tutte le ambasciate dei Paesi di accoglienza della sospensione per 12 mesi, a partire dal 25 settembre 2013, delle operazioni per il rilascio dei permessi di uscita per i bambini adottati dalle famiglie straniere;
   una delle famiglie italiane coinvolte dalla sospensione delle adozioni è quella dei bresciani Fabrizio Vertua e Annalisa Roversi, in attesa ormai da più di due anni di poter riabbracciare la piccola Marie Benedicte che si trova nell'orfanotrofio Casa Marisa di Khinshasa, questo nonostante la bambina di 5 anni sia già giuridicamente figlia della coppia che ha già adottato i suoi due fratellini Claudio e Zaccaria;
   Claudio e Zaccaria si trovano in Italia dal 2011, mentre la notizia della presenza di una terza sorellina, Marie Benedicte, è arrivata tre anni fa dallo stesso orfanotrofio dove vivevano prima i bambini; Fabrizio e Annalisa hanno fatto subito le pratiche e dopo un anno e mezzo sono riusciti ad adottare anche lei, che infatti sui documenti porta il cognome Vertua;
   Fabrizio e Annalisa hanno fatto il possibile per riunire i tre fratellini e farli crescere insieme e sono molto preoccupati sia per Marie Benedicte che per gli altri cento bambini che sono ancora a Casa Marisa perché sembrerebbe che questo blocco nell’iter delle adozioni possa anche impedire i finanziamenti che con le adozioni giungevano a questa e altre strutture, attraverso le tre associazioni che sostengono il lavoro di Casa Marisa: quella bresciana «Tribù del Mondo» e quelle toscane «Marisa, un sorriso per tutti» e «Mano Amica»;
   nell'ottobre 2013 le autorità della Repubblica democratica del Congo hanno permesso la delineazione di una lista di coppie, con documentazione già conclusa entro il 25 settembre 2013, che avrebbero avuto il permesso di recarsi nel Paese per portare a compimento l'adozione dei figli e nel maggio 2014 è stata sbloccata la situazione di 31 bambini congolesi adottati da famiglie italiane, riusciti ad arrivare in Italia tramite un volo di Stato; da allora però è passato molto tempo e il blocco è rimasto invariato;
   le 150 famiglie italiane che hanno adottato un bambino congolese attendono una risposta dalla Cai, Commissione per le adozioni internazionali, sullo stato delle trattative per sbloccare la situazione, ma il centralino della Commissione presieduta dall'ex magistrato Silvia Della Monica risponde rimandando a un altro numero;
   secondo fonti di stampa, l'organizzazione non governativa Aibi – Amici dei Bambini accuserebbe l'ex magistrato ed ex senatrice Silvia Della Monica, scelta dal Premier Matteo Renzi per dirigere la Commissione adozioni internazionali, di non avere le giuste competenze;
   le famiglie italiane sono esasperate perché mentre i diplomatici degli altri Paesi in qualche modo si stanno attivando, sul fronte italiano sembrerebbe tutto fermo e comunque non ci sarebbe comunicazione alcuna con i genitori italiani che non ottengono aggiornamenti, e che sono lasciati nel limbo dell'attesa da anni senza nessuna informazione su ciò che la Commissione stia facendo in concreto –:
   se il Governo non intenda attivarsi per comunicare alle 150 famiglie italiane ancora in attesa e che non possono essere abbandonate a loro stesse, quale sia la situazione ad oggi circa l’iter di adozione che riguarda i loro bambini;
   se il Governo non ritenga necessario nonché urgente intervenire per chiarire le ragioni di tale situazione e del suo protrarsi per così lungo tempo anche nei confronti di persone che non hanno minimamente commesso inadempienze o irregolarità negli iter di adozione, e se non ritenga necessario anche approfondire cosa stia facendo la Commissione adozioni internazionali, fatta oggetto delle critiche di cui in premessa, e se questa stia attuando tutte le iniziative di sua competenza nel migliore dei modi;
   se il Governo non intenda chiarire se la condizione dei minori in attesa di completare l’iter dell'adozione sia monitorata dalla Commissione per le adozioni internazionali e, in tal caso, quale sia, se presenti problematiche e di che tipo e se, al contempo, il Governo non intenda informare di tale situazione anche le famiglie coinvolte;
   in che modo il Governo intenda attivarsi e quali strategia stia attuando per risolvere quanto prima la situazione di questi minori rimasti bloccati da problemi di carattere burocratico e da responsabilità a carico di altri Paesi, e che stanno scontando sulla loro pelle questa situazione di inutile stallo. (4-11692)


   NESCI, LOREFICE, GRILLO, DELL'ORCO, PARENTELA e DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto raccontano le cronache locali e nazionali, una donna di 28 anni incinta, residente a San Calogero (Vibo Valentia), si sarebbe recata, il 26 dicembre 2015, all'ospedale «Jazzolino» per sottoporsi a degli accertamenti, a causa di dolori addominali lancinanti, da cui pure sembrerebbe sia emersa una sofferenza fetale;
   rimandata a casa e tranquillizzata sugli stessi dolori, la donna si è ripresentata al nosocomio il 7 gennaio 2016, ma a quel punto in ospedale hanno riscontrato e poi comunicato alla donna l'incredibile morte del feto ancora in grembo;
   secondo quanto raccontato da « Il Quotidiano del Sud», a parte i dolori della settimana precedenti, nei giorni successivi «la situazione era sostanzialmente normale e nulla aveva fatto immaginare che le cose potessero precipitare in modo così tragico»;
   secondo la citata fonte giornalistica, «vista la situazione, si è proceduto al parto con il feto che, come detto, è purtroppo nato privo di vita. A quel punto i familiari della donna, increduli per quanto avvenuto, compreso il marito Francesco Di Masi, hanno immediatamente presentato denuncia alle forze dell'ordine ricostruendo la vicenda. Si è pertanto proceduto al sequestro della cartella clinica e di tutto il tracciato, con la documentazione che è arrivata sul tavolo del pm Coluccio (Claudia, nda). Oggi (otto gennaio, nda), quindi, l'autopsia che potrà offrire un quadro maggiormente chiaro sulla terribile ed amara vicenda)»;
   secondo i primi risultati della suddetta autopsia, sarebbe emersa la circostanza che il sangue non scorreva correttamente all'interno del condotto;
   sempre nel corso delle verifiche sul corpicino del piccolo Angelo (questo è il nome che avevano scelto papà Francesco e mamma Elvira) è risultato «come gli organi fossero integri e, quindi, perfettamente sani. Il che aggiunge ancora maggior amarezza alla drammatica vicenda. Ad ogni modo, le risultanze verranno messe nero su bianco dai periti che si sono presi un termine di 90 giorni»;
   stando a quanto emerso nei giorni successivi alla tragedia, ci sono tre medici coinvolti, iscritti nel registro degli indagati dal pubblico ministero Coluccio: due sanitari del reparto di Ginecologia dello «Jazzolino» (uno dei quali già coinvolto in passato in un episodio analogo) e uno in servizio presso il pronto soccorso. L'ipotesi di reato formulata è provocato aborto in concorso;
   a condurre indagini parallele, peraltro, è anche il dipartimento, per la tutela della salute della regione Calabria, che ha «immediatamente attivato il gruppo di esperti per la valutazione e verifica delle procedure messe in atto relativamente al percorso nascita», come dichiarato dal dirigente generale, Riccardo Fatarella;
   i tanti dubbi sulla vicenda sono stati espressi, chiaramente, dal legale di fiducia della famiglia, l'avvocato Aldo Currà: «Per quale motivo nessuno, al momento della sofferenza fetale, ha disposto un esame ecografico ? Perché non sono stati effettuati ulteriori e specifici accertamenti sulla ragazza e il bimbo ? Come mai queste condotte sono state caratterizzate da simile negligenza ed imperizia ?»;
   prime risposte sono arrivate anche dall'azienda sanitaria provinciale di Vibo Valentia che ha istituito una commissione d'inchiesta interna. Viene rilevata una discrasia rispetto alla versione fornita dalla famiglia, cioè che la sera del 26 dicembre 2015 la ragazza «venne sottoposta ad ecografia dallo specialista ginecologo di turno e, non emergendo problemi a carico del feto e della stessa paziente, quest'ultima era stata rinviata al proprio domicilio. Il 28 dicembre successivo la stessa, su consiglio del ginecologo che la seguiva, è stata nuovamente sottoposta a visita di controllo presso il reparto di Ostetricia e Ginecologia dell'ospedale vibonese; anche in tale circostanza non sono emersi rilevanti problematiche per madre e feto». Viene infine specificato che i previsti accertamenti esperiti la mattina del 7 gennaio hanno «accertato la morte endouterina del feto che ha portato la donna ad essere immediatamente ricoverata e sottoposta a taglio cesareo»;
   a parere degli interroganti urge fare rapidamente chiarezza sull'accaduto, anche perché sono svariati i casi di decessi di neonati o delle madri partorienti nelle strutture ospedaliere calabresi, riscontrati negli ultimi mesi;
   a mo’ di esempio, si ricorda l'interrogazione n. 4-08940, presentata dall'interrogante il 24 aprile 2015, nella quale si raccontava di una donna di 37 anni (C.C. le sue iniziali), fisioterapista di Taverna che viveva a Squillace (due piccoli comuni in provincia di Catanzaro), morta domenica 19 aprile 2015 all'ospedale «Pugliese» di Catanzaro, poche ore dopo la nascita della figlia;
   tali vicende non possono prescindere da una ricognizione puntuale sulle carenze della rete dell'assistenza calabrese in ordine all'evento del parto;
   nella fattispecie, come già denunciato in precedenti atti di sindacato ispettivo, desta forte preoccupazione la situazione della terapia intensiva neonatale regionale, per cui – secondo quanto detto alla scrivente dallo stesso personale medico – andrebbero ricavati subito nuovi posti dedicati, per evitare di mandare mamme e famiglie fuori regione, il che è un rischio più che concreto;
   a riprova di quanto detto, preme sottolineare che il 25 febbraio 2015, sul quotidiano « La Repubblica» e come ricordato nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-08250, si leggeva un intervento dei dottori Domenico Corea e Pasquale Novellino, rispettivamente direttore dell'unità operativa di ostetricia e ginecologia di Lamezia Terme (Catanzaro) e direttore di patologia neonatale di Catanzaro;
   nel summenzionato articolo, si legge che «in Calabria la situazione è drammatica. Per un'area (Catanzaro, Crotone e, Vibo), dove avvengono circa 6.000 parti l'anno a fronte dei 12 posti letto previsti in terapia neonatale intensiva, sono attivi, dopo la soppressione di 4 posti letto a Crotone e 4 a Lamezia Terme, solo 4 posti letto a Catanzaro. E non infrequente è il caso di trasferimenti di donne gravide e neonati fuori regione (...) chiediamo un intervento rapido del Ministro perché non vorremmo essere facili profeti»;
   tale carenza di personale sanitario, ovviamente, è causa di pesanti sofferenze dell'utenza;
   in una situazione di tale gravità non mancano, pertanto, anche i casi di malasanità, specie nel territorio vibonese;
   in quest'occasione, oltre ai casi già summenzionati, si ricordano l'interrogazione n. 4-07323, riguardante il signor Nicola Guarna, morto a causa di soccorsi tardivi all'ospedale di Vibo Valentia, l'interrogazione n. 4-07674 riguardante la signora Santina Cortese, anche lei vittima della negligenza del suo medico curante e della struttura ospedaliera, ancora dell'ospedale di Vibo Valentia –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione al caso concreto;
   quali azioni di competenza intenda intraprendere per verificare, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Calabria, il reale livello di sicurezza dei reparti di ostetricia e ginecologia dell'ospedale di Vibo Valentia, a garanzia del diritto alla salute sancito dall'articolo 32 della Costituzione e dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza. (4-11694)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MANTERO, SIMONE VALENTE, BATTELLI, GRILLO, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, DI VITA, DALL'OSSO e CECCONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il sistema gestionale dei rifiuti in Liguria risulta ancora fortemente vincolato alla presenza di impianti di discarica, avviati nei decenni 70 e 80 e, nel corso del tempo, modificati tramite interventi di ampliamento e adeguamento anche strutturale rispetto al momento della realizzazione;
   la pianificazione regionale e provinciale si è posta da tempo l'obiettivo di trasformare il sistema verso forme gestionali in linea con le strategie di trattamento dei rifiuti fissate a livello comunitario;
   l'obiettivo di legge da raggiungere è l'incremento della raccolta differenziata, mentre nella realtà ligure la discarica è l'unica modalità di smaltimento dei rifiuti solidi urbani;
   a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 36 del 2003, entro settembre dello stesso anno i titolari delle autorizzazioni degli impianti di discarica (o su loro delega i gestori delle discariche) dovevano presentare un piano di adeguamento delle discariche alle previsioni del decreto (incluse le garanzie finanziarie);
   la regione Liguria con la delibera di giunta regionale n. 1801 del 27 dicembre 2013 ha adottato la proposta del nuovo piano regionale di gestione dei rifiuti, come previsto dalla normativa nazionale di settore (decreto legislativo n. 152 del 2006) nonché a livello comunitario, nella direttiva Parlamento europeo e Consiglio UE 2008/98 Ce, recepita nel nostro ordinamento dal decreto legislativo n. 205 del 2010, che ribadisce, ed integra, la cosiddetta gerarchia dei metodi di trattamento dei rifiuti, normative che stabilivano i cosiddetti criteri di priorità nella gestione dei rifiuti: prevenzione o riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti, preparazione per il riutilizzo, riciclaggio e recupero, con un ruolo esclusivamente residuale per i sistemi di smaltimento in discarica, raggiungibili solo tramite una raccolta differenziata spinta;
   sul piano legislativo, la recente revisione della normativa regionale è orientata a valorizzare le attività di recupero dei rifiuti rispetto al conferimento in discarica, vincolando una parte rilevante del gettito, tramite la programmazione regionale, a supporto degli enti locali impegnati nella realizzazione di interventi organizzativi ed infrastrutturali per una gestione virtuosa dei rifiuti;
   in Italia, nonostante l'esistenza di un apposito quadro normativo, esiste ancora un grande numero di discariche abusive, senza alcuna autorizzazione, né controllo;
   l'esistenza e il funzionamento di queste discariche abusive o incontrollate dimostrano che le autorità italiane ne tollerano la presenza e che non hanno preso tutte le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza recare pregiudizio all'ambiente;
   il piano rifiuti adottato dalla provincia di Imperia, in questi anni, non è stato conforme ad ottenere le percentuali di differenziata imposte dalle regole europee, a causa della decisione di utilizzare la raccolta differenziata di prossimità e non il metodo del «porta a porta spinto» previsto dal concordato nella convenzione col comune di Taggia e ancor più perché vi sono anche fondi regionali che dal 2008 stanziano risorse per il finanziamento dei sistemi porta a porta dei comuni sulla base di progetti redatti da enti locali e segnalati dalle province, fondi che però non sono stati utilizzati dagli enti locali per far diminuire il quantitativo di rifiuto portato in discarica e scongiurare la costruzione di un nuovo lotto denominato «lotto 6 di Collette Ozotto» (discarica provinciale) non condiviso dai gruppi ambientalisti e dai residenti della zona;
   la provincia ha preferito perseguire il suo obiettivo, costruire una discarica a cielo aperto sopra un crinale di una collina, piuttosto che accelerare la costruzione di un centro di raccolta della differenziata;
   il nuovo lotto 6 presenta alcune criticità evidenziate in due ricorsi al TAR da parte degli abitanti della zona:
    la provincia dichiara che la zona non è soggetta a vincolo idrogeologico – mentre si rileva che si sono verificate numerose frane nei terreni adiacenti le discariche lotto 5 e lotto 6, e che nella zona insiste invece il vincolo idrogeologico;
    la provincia dichiara che non ci sono aziende agricole DOP nella zona – adiacente la futura discarica (Lotto 6) vi è una azienda agricola DOP produttori di olio di oliva extra vergine, il cui sito dista solamente 180 metri dalle colture di produzione;
    la provincia dichiara non esserci zone carsiche nei dintorni – mentre a soli 80 metri lineari c’è una grotta carsica censita dal CAI con due splendidi laghi sotterranei, ed una sorgente d'acqua;
    la provincia dichiara che non vi sono costruzioni artistiche nei dintorni – mentre a poche centinaia di metri lineari dal sito c’è la chiesetta di Sant'Anna agli Ulivi, censita al ministero dei beni culturali e catalogata come «Notevole esempio di Cappella tardo barocca (sec. XVIII)»;
   in data 24 gennaio 2014 è stato presentato un esposto del MoVimento 5 Stelle Sanremo per la grandissima ed allarmante preoccupazione dei cittadini relativi alle notizie apparse sui giornali «dell'emergenza percolato nella discarica dei rifiuti Idroedil di Collette Ozotto» dai quali si apprendeva che i comuni di Sanremo e di Taggia autorizzavano, per una settimana, attraverso le loro ordinanze, a scaricare percolato nel depuratore comunale attraverso la rete fognaria;
   negli stessi giorni è stato revocata l'ordinanza da parte del comune di Taggia alla Idroedil per lo sversamento, poiché erano stati rilevati valori molto alti nei prelievi, anche se la suddetta Idroedil ha dichiarato che gli sversamenti erano già terminati prima della revoca dell'autorizzazione; e dunque un'ulteriore motivo preoccupazione;
   già in data 3 aprile 2013, era stato presentato un altro esposto, dal gruppo Sanremo Beppe Grillo Meetup, alla procura della Repubblica di Sanremo, nel quale veniva messo in rilievo la grande preoccupazione per l'intenzione manifestata dalla provincia di creare una nuova discarica provinciale (lotto 6), evidenziando come tale decisione avrebbe potuto comportare ulteriori rischi alla salute degli abitanti, vittime di gravi patologie, devastazione a livello ambientale, ed un innegabile ripercussione negativa sul turismo della città;
   la stessa provincia, vuol dare inizio ai lavori del lotto 6, inoltre, senza aspettare i risultati dell'indagine epidemiologica zonale, il cui obiettivo è trovare un rapporto tra la zona della discarica e l'aumento dei tumori, richiesta dalla provincia di Imperia all'ASL, a seguito delle molte pressioni pervenute dalle associazioni, in considerazione della denuncia a mezzo stampa fatta dal direttore ASL n. 1 sull'aumento dei tumori in provincia;
   il 27 luglio 2014 a seguito delle indagini avviate ed attualmente in corso, il questore Pasquale Zazzaro ha bloccato i lavori di realizzazione del «Lotto 6» della discarica di Collette Ozotto, sospendendo «il rilascio dell'autorizzazione all'uso degli esplosivi», al fine di evitare la modificazione irreversibile dei luoghi di accertamento che l'avvio dei lavori determinerebbe;
   di conseguenza, come riportato da articoli di stampa, (La Stampa del 27 luglio 2014 articolo di A. Pomati), la Provincia ha immediatamente sospeso l'iter per la concessione dell'autorizzazione ambientale integrata (AIA);
   in una circolare, resa nota il 6 agosto 2013, indirizzata a tutte le regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano, in linea con le indicazioni interpretative della Commissione europea del 13 giugno scorso, l'ex Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Andrea Orlando, ha chiarito quali sono le attività di trattamento alle quali devono essere sottoposti i rifiuti urbani per poter essere ammessi e smaltiti in discarica, superando di fatto la circolare emanata «pro tempore» dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il 30 giugno 2009;
   per evitare il rischio di esporre l'Italia a nuove procedure europee di infrazione il Ministro Orlando aveva deciso di intervenire invitando le regioni e le province autonome ad osservare con urgenza le nuove disposizioni adottando ogni ulteriore iniziativa necessaria in termini di attuazione della pianificazione, stabilendo che seppur con tutte le sue delicate implicazioni, la chiusura virtuosa del ciclo dello smaltimento dei rifiuti rappresenta un obiettivo imprescindibile per il futuro del nostro Paese;
   entro il 2015 come stabilito dall'articolo 181, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, si leggeva nella disposizione del ministro, deve essere garantita almeno la raccolta differenziata per la carta, metalli, plastica e vetro, e ove possibile per il legno, al fine di conseguire gli obiettivi comunitari entro il 2020 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto espresso in premessa, e non ritenga opportuno intervenire con iniziative straordinarie e urgenti per giungere, il più rapidamente possibile, alla rimozione di tutte le situazioni giuridiche e/o di fatto esistenti in considerazione del fatto che il permanere delle stesse situazioni potrebbe portare all'apertura di una procedura d'infrazione da parte della Commissione Europea, come già successo per 102 discariche sul territorio italiano;
   quali azioni intendano adottare affinché si dia piena attuazione alla normativa in materia di trattamento di rifiuti e di gestione delle discariche, con l'obiettivo di fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti ed evitare le gravi e documentate minacce alla salute dei cittadini e alla qualità dell'ambiente a causa delle discariche di rifiuti non conforme, prive del prescritto piano di riassetto;
   se nel documento contenente una valutazione sintetica dell'adempimento, da parte dello Stato membro, delle condizionalità ex ante fissate, sia stato fornito un quadro delle azioni da adottare, degli organismi responsabili e delle tempistiche di attuazione di tali azioni, conformemente a quanto stabilito nell'articolo 19 del citato Regolamento (UE) n. 1303/2013. (5-07395)


   MANTERO, BATTELLI, SIMONE VALENTE, RUOCCO, BUSINAROLO, D'UVA, DE LORENZIS, SORIAL, TURCO, NICOLA BIANCHI, DE ROSA, PARENTELA, TONINELLI, BECHIS, COZZOLINO e LOREFICE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'importo di 1 miliardo di euro dai fondi FAS destinati ad interventi di risanamento ambientale, previsto nel 2009 per la realizzazione di un piano nazionale di prevenzione del dissesto idrogeologico, nemmeno iniziato in molte regioni, è stato annullato dai tagli lineari dello stesso Governo che lo aveva promesso;
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Stefania Prestigiacomo, il 3 novembre 2011, nel corso di un'audizione, denunciava che non era stata assegnata alcuna risorsa per il piano, tenuto anche conto che le risorse FAS regionali non erano in molti casi ancora disponibili;
   la città di Genova, a poco più di un anno dall'esondazione del torrente Chiaravagna, avvenuta il 4 ottobre 2010 in conseguenza ad una alluvione, proprio il giorno successivo all'audizione del ministro, il 4 novembre 2011, veniva colpita da una nuova alluvione che causa l'esondazione del torrente Fereggiano. La città paga un prezzo altissimo, abitazioni ed attività commerciali devastate, centinaia di famiglie evacuate, 6 persone decedute, tra cui due bambini;
   secondo gli investigatori della procura di Genova la macchina operativa della protezione civile non venne messa in moto: non vennero chiuse le strade adiacenti a via Fereggiano, dove ci furono le vittime, non venne disposta la chiusura delle scuole né venne ordinato ai presidi di non fare uscire gli studenti, non venne per lunghe ore nemmeno bloccata la circolazione stradale;
   a marzo 2013 un cittadino gravemente colpito negli affetti, con una lettera aperta di cui si riportano alcuni passi, chiede alle istituzioni di farsi parte attiva affinché un evento simile non possa più accadere: «... la situazione di rischio esponenziale del quartiere della bassa Val Bisagno, che comprende anche il rio Fereggiano, dall'evento ad oggi, non è mutata. È passato un anno e mezzo e l'amministrazione pubblica non si è ancora adoperata per la mitigazione del rischio... il rio ha materiale in alveo trasportato da anni di incuria che ha causato un innalzamento del suo alveo rispetto la sua quota originale e che quindi ha ridotto la già grave insufficiente portata prevista... nella parte esondata nel 2011 esistono dei ponti di attraversamento che ne riducono la portata... il tratto esondato nel 2011 è riportato anche nei piani di bacino, del torrente Bisagno come un tratto ad alto rischio... ultimamente ci sono iniziative di protezione civile comunale che sembrano destinate a generalizzare il problema senza analizzarne alcuno, si parla di informazioni alla popolazione indirizzando libretti informativi agli alunni delle scuole materne, elementari e medie. Ma non basta. L'istituto Montale di via del Castoro a Genova non chiude anche se il fabbricato è nella zona rossa, cioè quella ad altissimo rischio esondazione, questo è un esempio di come i vari responsabili, sia comune che dirigenza scolastica, non abbiano la cultura della prevenzione... quindi per poter portare avanti un interesse comune che dovrebbe svolgere l'amministrazione, io come cittadino inascoltato, sono costretto a cercare canali diversi per sensibilizzare la cittadinanza su evidenti situazioni di rischio per l'incolumità pubblica»;
   secondo i dati forniti a maggio 2013 dagli assessori regionali all'ambiente Renata Briano ed alle attività produttive Renzo Guccinelli, su un importo complessivo di circa 56 milioni di euro assegnati alla regione Liguria per intervenire a sostegno delle numerose attività economiche compromesse e di chi si è ritrovato fuori casa a seguito degli eventi alluvionali del 2010 e del 2011, sono stati spesi solo 16 milioni di euro, pari a meno del 30 per cento dell'importo complessivamente assegnato;
   le poche ed insufficienti attività di mitigazione del rischio intraprese in questi due anni non rappresentano certo una risposta efficace e strutturale al problema. Non se, ma quando si ripresenterà un evento alluvionale anche di minor portata, gli effetti derivanti sarebbero, con alta probabilità, molto simili a quelli avvenuti quel tragico 4 novembre 2011;
   ad ottobre 2013, gli assessori regionali all'ambiente Renata Briano ed alle infrastrutture Raffaella Paita, hanno comunicato che, a seguito di tre decreti a firma del presidente della regione Liguria Claudio Burlando in qualità di commissario delegato per l'alluvione, è stato destinato un importo pari a 8,7 milioni di euro per i piani di intervento relativo ad opere urgenti, messa in sicurezza di pendici e ripristini di strade danneggiate. Ma non basta. C’è ancora molto da fare nel campo delle prevenzione –:
   se siano a conoscenza dei fatti e della situazione esposta;
   quali urgenti iniziative intenda adottare il Governo al fine di tutelare la vita dei cittadini della città di Genova;
   se intendano intraprendere iniziative normative che allentino il patto di stabilità, eventualmente limitatamente alla realizzazione di interventi di messa in sicurezza e mitigazione del rischio, nei confronti del comune di Genova;
   se intendano istituire un tavolo tecnico permanente per la tutela del territorio, coinvolgendo associazioni e comitati di cittadini impegnati nella difesa del territorio, esponenti del mondo scientifico competenti in materia e rappresentanti di regione ed enti locali, che svolga attività di impulso, promozione e definizione di strumenti volti alla tutela, al risanamento ed al monitoraggio dei siti a rischio idrogeologico. (5-07398)


   MANTERO, BECHIS, SIMONE VALENTE, BATTELLI, BUSINAROLO, LOREFICE, SPADONI e D'INCÀ. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della Conferenza di servizi svoltasi presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'8 novembre 2006, è stata richiesta dalla regione Liguria la dichiarazione dello stato di emergenza per risolvere, con i necessari provvedimenti straordinari, la grave situazione di inquinamento in cui versa l'area industriale dello stabilimento Stoppani nel comune di Cogoleto (Genova);
   tale richiesta è stata accolta e ratificata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 novembre 2006 recante «Modifiche all'organizzazione interna del Dipartimento della protezione civile»;
   con successiva ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri 3554 del 5 dicembre 2006 recante «Disposizioni urgenti di protezione civile per fronteggiare la grave situazione di emergenza, determinatasi nello stabilimento Stoppani sito nel comune di Cogoleto» è stato nominato il commissario delegato per il superamento dello stato di emergenza al quale sono stati attribuiti poteri straordinari;
   con successive ordinanze della Presidenza del Consiglio del ministri (ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3559 del 27 dicembre 2006, ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 2580 del 3 aprile 2007, ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3660 del 6 marzo 2008, ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3721 del 19 dicembre 2008 e ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3742 del 18 febbraio 2009) sono state apportate modifiche ed integrazioni;
   successivamente con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 dicembre 2007 e decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 16 gennaio 2009 è stato prorogato lo stato di emergenza fino al 31 dicembre 2009;
   per far fronte a tali situazioni emergenziali, sono stati stanziati, in passato, circa 40 milioni di euro, gestiti dal commissario delegato, che hanno permesso di eseguire una parziale bonifica dei siti inquinati;
   ad oggi, la disponibilità di tali fondi è stata esaurita e le opere di bonifica degli impianti e la completa messa in sicurezza del sito sono ancora da terminare;
   tale situazione di indeterminatezza e incompletezza crea allarme nella comunità locale per le possibili ricadute negative sull'ambiente, sulla salute e sul turismo;
   la struttura commissariale è ancora in essere e, ad oggi, l'area Stoppani è ancora annoverata tra i siti di interesse nazionale (SIN), per le relative opere di bonifica e messa in sicurezza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione riferita in premessa;
   quali provvedimenti concreti intenda prendere il Governo in merito all'attività di bonifica e di messa in sicurezza ambientale del sito Stoppani;
   se il Governo intenda stabilire una tempistica degli interventi che verranno avviati, individuando, per ognuno di essi, le risorse finanziarie che saranno stanziate;
   se il Governo intenda assumere l'impegno di stanziare ulteriori fondi per l'ultimazione dei previsti lavori di bonifica e messa in sicurezza;
   quali risorse pubbliche il Governo intenda complessivamente stanziare per gli esercizi finanziari 2013 e 2014. (5-07399)

Interrogazione a risposta scritta:


   FANTINATI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la delibera del Cipe n. 121 del 21 dicembre 2001 classifica il progetto alta velocità Verona/Padova come opera strategica;
   il progetto preliminare è stato presentato, nel giugno 2003, da Italferr spa e, dallo studio di impatto ambientale redatto ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 377 del 1988, risultava un costo pari a 2.630 milioni di euro;
   in data 29 novembre 2015, la società di ingegneria Italferr spa, per conto di Rete ferroviaria italiana, ha comunicato, attraverso il quotidiano «Corriere del Veneto», l'avvio del procedimento per la dichiarazione di pubblica utilità e l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio degli immobili e delle aree contigue al lotto funzionale Verona/bivio Vicenza della lunghezza di 44 chilometri;
   contestualmente, ha annunciato la trasmissione del progetto definitivo del lotto funzionale. Nell'avviso di avvio procedimento viene affermato che: a) il Cipe con la delibera di approvazione del progetto preliminare (delibera 94/2006) ha suddiviso la tratta in tre lotti; b) in data 2 dicembre 2015, presso la prefettura di Vicenza, è stato concordato di variare parte del primo sub lotto, assentito dal Cipe per il tratto che interessa il comune di San Bonifacio interessando sedimi avulsi da quelli in precedenza vincolati (risulta questo dato nell'avviso di procedimento); c) sono previste due ulteriori varianti della linea storica: dal chilometro 32+690 al chilometro 39+081 e dal chilometro 40+287 al chilometro 42+071;
   con la delibera 94/2006, il Cipe dispone:
    a) punto 1.1 «viene approvato con prescrizioni anche ai fini dell'attestazione di compatibilità ambientale e del vincolo preordinato all'esproprio, il progetto preliminare del collegamento ferroviario AV/AC Verona - Padova limitatamente alle tratte di 1 fase tra Verona e Montebello e tra Grisignano di Zocco e Padova»;
    b) punto 1.2 «l'importo di 3.333 milioni di euro costituisce il limite di spesa dell'intervento della 1a fase»;
    c) punto 1.5 «Per la rimanente tratta (Montebello/Vicenza/Grisignano di Zocco), è solo individuato il corridoio nell'ambito del quale si colloca il tracciato della nuova linea AV/AC, si rinvia per la valutazione della formale localizzazione urbanistica e la relativa compatibilità ambientale al relativo progetto definitivo che dovrà essere presentato (...) contestualmente alla presentazione del progetto definitivo delle tratte oggetto della odierna approvazione»;
    d) punto 4.2 «la Commissione Via procederà a verificare l'ottemperanza del progetto definitivo alle prescrizioni del provvedimento di compatibilità ambientale»;
   tra le prescrizioni da ottemperare c’è quella relativa agli approfondimenti sui siti archeologici;
   la delibera Cipe n. 94 del 2006 contiene il parere favorevole del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio sulle due sub tratte Verona/Montebello e Grisignano/Padova, trasmesso con nota del 21 dicembre 2005;
   il Ministero dei beni culturali, negli incontri tecnici, si è pronunziato con prescrizioni riservandosi di formalizzare il proprio parere;
   in data 10 novembre 2014, il Cipe ha ribadito il vincolo preordinato all'esproprio «limitatamente alle tratte della prima fase, tra Verona e Montebello Vicentino e tra Grisignano Padova» aggiungendo «il progetto preliminare, approvato con la citata delibera n. 94/2006 mantiene inalterata la sua validità»;
   nel contratto di programma 2012/2016, sottoscritto l'8 agosto 2014 dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e Rete ferroviaria italiana, il costo della tratta lievita a 6.051 milioni di euro, aggiornato con riduzione a 5.402 milioni di euro in un «accordo di aggiornamento di Contratto di Programma 2012/2016», sottoscritto il 9 dicembre 2014 tra l'amministratore delegato di RFI, ingegner Maurizio Gentile, e il capo dipartimento infrastrutture, sistemi informativi e statistici dottor Paolo Emilio Signorini. L'accordo modifica il costo dell'opera: si passa dai 3.658 milioni di euro ai 4.153 della sub tratta Verona/Vicenza e in 1.249 milioni di euro la sub tratta Vicenza/Verona. Un «Accordo di aggiornamento al Contratto di Programma 2012/2016» che era stato firmato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e Rete ferroviaria Italiana nel mese di agosto 2014 e aveva ottenuto il parere delle Commissioni VIII del Senato in data 25 febbraio 2015 e della IX Commissione alla Camera il 18 marzo 2015. Un parere del Parlamento dato su un contratto di programma che di fatto due pubblici funzionari hanno modificato;
   l'articolo 166, comma 5-ter, del codice appalti (decreto legislativo n. 163 del 2006) prevede l'approvazione di «progetti definitivi, anche parziali, a condizione che tali progetti siano riferiti a lotti funzionali e siano dotati di copertura finanziaria. Resta in ogni caso ferma la validità della valutazione di impatto ambientale effettuata con riguardo al progetto preliminare relativo alla intera opera»;
   l'articolo 167, comma 6 e 7-bis del codice degli appalti, dispone che le varianti al progetto preliminare sono deliberate dal Cipe e che «devono essere strettamente correlate alla funzionalità dell'opera e non possono comportare incrementi di costo rispetto al progetto preliminare» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   quali norme in deroga al testo unico ambientale e alle disposizioni contenute nella direttiva 337/85/CE sulla valutazione di impatto ambientale, abbiano consentito la presentazione un progetto definitivo su un lotto – quello da Montebello al bivio Vicenza – che non ha ancora ottenuto tale valutazione;
   quale motivazione di carattere tecnico o giuridico abbia impedito l'apertura del procedimento di valutazione di impatto ambientale per la modifica del tracciato in attraversamento di San Bonifacio per 10 chilometri, per le varianti con rifacimento della linea storica delle progressive pK 32+690 a pK 39+081 e pK 40+217 a pK 42+071, considerando che il punto 7 dell'Allegato uno alla direttiva 337/85/CE in tema di valutazione di impatto ambientale contempla, in particolare la «costruzione di tronchi ferroviari per il traffico a grande distanza»;
   posto che nella delibera del Cipe 94/2006 non esistono tre lotti costruttivi ma due fasi di tratte diverse, per quale motivo non sia stata attivata la verifica di ottemperanza alle prescrizioni sul progetto preliminare, come prescritto dal punto 4.2 della delibera 94/2006 e dagli articoli 166 e 185, commi 4 e 5, del decreto legislativo n. 163 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, considerando che Rete ferroviaria italiana è consapevole di tale obbligo poiché sulla linea AV Brescia/Verona è in atto proprio la verifica di ottemperanza alle prescrizioni della delibera del Cipe 120/2003;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza che il piano risulta mancante della verifica della prescrizione contenute nelle delibera del Cipe 94/2006 relativamente agli approfondimenti sui siti archeologici e che, in nessun atto pubblico, è presente il formale parere del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo sul progetto Verona-Padova come previsto dalla delibera del Cipe richiamata;
   quali norme abbiano consentito a Rete ferroviaria italiana di non redigere il piano di utilizzo delle terre e rocce da scavo che, ai sensi del decreto ministeriale 161/2012 (adottata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti), viene valutato dalla commissione Via del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
(4-11683)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PRODANI e MUCCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   sul sito internet dell'Enit, Agenzia nazionale del turismo, è stata pubblicata, in data 30 novembre 2015, la circolare relativa al calendario delle partecipazioni alle fiere internazionali per il 2016 ed i relativi costi a carico degli eventuali espositori. Tra queste, risulta in programma, dal 20 al 24 gennaio 2016, la Fitur, fiera internazionale del turismo di Madrid e kermesse di riferimento per il mondo iberoamericano;
   un lancio dell'agenzia si stampa AscaNews dell'11 gennaio 2016 riporta la lista delle Fiere a cui l'Enit parteciperà nell'anno in corso. Secondo l'agenzia, l'Ente non parteciperà alla Fitur, come aveva programmato di fare, in quanto «non ha ricevuto adesioni da parte delle Regioni italiane ma solo da tre aziende private». Per le altre due fiere internazionali importanti in programma nel primo trimestre dell'anno, «l'Itb di Berlino e la Mitt di Mosca, finora hanno manifestato l'interesse a partecipare solo le Regioni Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Marche, Piemonte, Puglia, Umbria oltre a cinque aziende private alla prima e le Regioni Campania, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Puglia più sei aziende private alla fiera russa»;
   sul sito di TTG Italia, in data 12 gennaio 2015 una nota di Enit in risposta al comunicato pubblicato precedentemente sullo stesso sito in cui Fiavet, Federazione italiana associazioni imprese di viaggio e turismo criticava l'assenza di Enit alla Fitur precisando di essere a disposizione degli imprenditori per supportare coloro che avevano già programmato la partecipazione all'evento, la stessa Enit replicava a Fiavet indicando nella totale mancata adesione delle regioni e nella scarsa partecipazione delle aziende private la decisione di non prendere parte alla fiera spagnola;
   in una intervista pubblicata su TTG Italia il 21 dicembre 2015, Evelina Christillin, neo presidente di Enit, ha affermato che «comprendo le regioni che ancora non si fidano e si muovono da sole, partecipando a fiere all'estero. Spero che, in futuro, però, tutto venga fatto di concerto con noi. È meglio fare 7 fiere all'anno, ma con una grande forza d'urto, ma coprirne 25, ma senza la giusta incisività» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del cambiamento di programma in relazione alla partecipazione di Enit alle fiere internazionali;
   quali siano gli orientamenti Ministro interrogato riguardo all'insufficiente richiesta di adesione dei soggetti privati alla fiera di Madrid e all'assoluta mancanza di adesione delle regioni;
   se non reputi opportuno un intervento urgente di confronto e coinvolgimento delle regioni al fine di incentivare la presenza di queste alle iniziative proposte da Enit. (5-07380)


   PRODANI e MUCCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   sul sito internet dell'Enit, Agenzia nazionale del turismo, è stata pubblicata, in data 30 novembre 2015, la circolare relativa al calendario delle partecipazioni alle fiere internazionali per il 2016 ed i relativi costi a carico degli eventuali espositori. Tra queste, risulta in programma, dal 20 al 24 gennaio 2016, la Fitur, fiera internazionale del turismo di Madrid e kermesse di riferimento per il mondo iberoamericano;
   un lancio dell'agenzia si stampa AscaNews dell'Il gennaio 2016 riporta la lista delle Fiere a cui l'Enit parteciperà nell'anno in corso. Secondo l'agenzia, l'Ente non parteciperà alla Fitur, come aveva programmato di fare, in quanto «non ha ricevuto adesioni da parte delle Regioni italiane ma solo da tre aziende private»;
   per le altre due fiere internazionali importanti in programma nel primo trimestre dell'anno, «l'Itb di Berlino e la Mitt di Mosca, finora hanno manifestato l'interesse a partecipare solo le Regioni Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Marche, Piemonte, Puglia, Umbria oltre a cinque aziende private alla prima e le Regioni Campania, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Puglia più sei aziende private alla fiera russa»;
   sul sito TTG Italia, in data 12 gennaio 2015 una nota di Enit in risposta al comunicato pubblicato precedentemente sullo stesso sito in cui Fiavet, Federazione italiana associazioni imprese di viaggio e turismo criticava l'assenza di Enit alla Fitur precisando di essere a disposizione degli imprenditori per supportare coloro che avevano già programmato la partecipazione all'evento, la stessa Enit replicava a Fiavet indicando nella totale mancata adesione delle Regioni e nella scarsa partecipazione delle aziende private la decisione di non prendere parte alla fiera spagnola;
   in una intervista pubblicata su TTG Italia il 21 dicembre 2015, Evelina Christillin, neo Presidente di Enit, ha affermato che: «comprendo le Regioni che ancora non si fidano e si muovono da sole, partecipando a fiere all'estero. Spero che, in futuro, però, tutto venga fatto di concerto con noi. È meglio fare 7 fiere all'anno, ma con una grande forza d'urto, ma coprirne 25, ma senza la giusta incisività»;
   l'articolo 16 del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106, nello stabilire le modalità di trasformazione di Enit in ente pubblico economico, sottoposto alla vigilanza del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, ha affidato ad un commissario straordinario la predisposizione del nuovo statuto indicando le specifiche delle nuove funzioni affidate all'ente così come riorganizzato;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 maggio 2015, registrato alla Corte dei Conti il 29 maggio 2015 ed adottato con delibera commissariale n. 6 del 2015, è stato approvato il nuovo statuto di Enit;
   l'articolo 2 (finalità e compiti), comma 2, alla lettera a), recita: «curare la promozione all'estero dell'immagine turistica unitaria italiana e delle varie tipologie dell'offerta turistica nazionale, nonché la promozione integrata alle risorse turistiche delle Regioni, delle Province Autonome di Trento e Bolzano e, per il loro tramite, degli enti locali»; alla lettera b) si prevede: «realizzare le strategie promozionali a livello nazionale ed internazionale e di informazione all'estero, di sostegno alle imprese per la commercializzazione dei prodotti turistici italiani, in collegamento con le produzioni di qualità degli altri settori economici e produttivi, la cultura e l'ambiente, in attuazione degli indirizzi individuati dall'Amministrazione vigilante anche attraverso il Comitato delle Politiche turistiche, d'intesa con la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome di Trento e Bolzano»;
   all'articolo 7 (Consiglio Federale) il comma 1, riporta che: «È istituito il Consiglio Federale rappresentativo delle agenzie regionali per il turismo e, in assenza di queste ultime, degli uffici amministrativi competenti per il turismo in ambito regionale»; al comma 2) si prevede che il consiglio federale svolge, nei confronti degli organi direttivi Enit, funzioni progettuali e consultive in merito alle implicazioni strategiche della convenzione triennale;
   all'articolo 11 (vigilanza e rapporti con il Ministero), al comma 2, si stabilisce che: «con apposita convenzione triennale sono stabiliti: i) gli obiettivi specificamente attribuiti a Enit; ii) i risultati attesi in un arco temporale determinato; iii) le modalità degli eventuali finanziamenti statali e regionali da accordare a Enit stessa; iv) le strategie per il miglioramento dei servizi; v) la di verifica dei risultati di gestione; vi) le modalità necessarie ad assicurare al Mibact la conoscenza dei fattori gestionali interni a Enit, tra cui l'organizzazione , i processi e l'uso delle risorse; vii) le procedure e gli strumenti idonei a monitorare la reputazione dell'Italia con particolare attenzione alla rete web, nell'ambito degli interventi volti a migliorare l'offerta turistica nazionale» –:
    alla luce delle scarse adesioni giunte al programma per la partecipazione alle fiere internazionali da parte delle regioni, quali siano gli orientamenti del Ministro in relazione alla collaborazione tra Enit e le regioni, anche in virtù di quanto disposto dall'articolo 2, comma 2, lettera a) dello statuto di Enit;
   alla luce delle scarse adesioni giunte al programma per la partecipazione alle fiere internazionali da parte delle aziende, come intenda agire, nei confronti di Enit, affinché siano individuate delle azioni che contrastino la costante perdita di credibilità dell'ente nei confronti degli operatori privati, anche in virtù di quanto previsto dall'articolo 2 dello Statuto;
   quali siano le strategie predisposte da Enit per il raggiungimento degli obiettivi fissati dallo statuto con particolare attenzione a quanto previsto dall'articolo 2, comma 2, lettere a) e b);
   se il consiglio federale previsto dall'articolo 7 sia stato costituito e quali siano state le progettualità elaborate;
   se la convenzione triennale prevista dall'articolo 11, dello statuto di Enit sia stata sottoscritta e quali ne siano i contenuti in relazione alle specifiche indicate dallo statuto stesso. (5-07381)

Interrogazione a risposta scritta:


   LOREFICE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, GRILLO, BARONI, COLONNESE e MANTERO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Cava d'Ispica è una vallata fluviale che si estende per 13 chilometri sull'altopiano ibleo, tra le città di Modica e Ispica. La vallata custodisce necropoli preistori che, catacombe cristiane, oratori rupestri, eremi monastici e nuclei abitativi di tipologia varia;
   intorno all'area si trovano siti archeologici d'importanza mondiale, come la Tomba del re a finti pilastri o la Grotta dei santi;
   è stato documentato dalla stampa come questo spettacolo della natura sia stato trasformato in una grande discarica. Le intense precipitazioni piovose dello scorso autunno inoltre hanno provocato danni ingenti all'area;
   nel corso degli ultimi quaranta anni un braccio minore del canyon, noto come Cava Mortella, è stato in parte colmato con materiale di risulta di vario genere proveniente per lo più da demolizioni edilizie, ma anche rifiuti altamente inquinanti e pericolosi come pneumatici, amianto e carcasse di autovetture;
   in assenza di qualsivoglia struttura di contenimento, il terreno tende costantemente a franare e, trascinato dagli agenti atmosferici, a depositarsi lungo il letto del torrente Busaitone, fino al cosiddetto Vignale S. Giovanni;
   il fenomeno franoso che sta interessando Cava Mortella nel tempo rischia di rappresentare un pericolo per la pubblica sicurezza perché il terreno è interessato da un fenomeno di scorrimento traslazione di detriti in vertiginoso aumento;
   non essendoci alcuna certezza sul progredire del fenomeno franoso occorre che lo stesso venga prontamente analizzato e monitorato, affinché possano essere messe in atto misure urgenti a tutela della popolazione –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti suesposti e se non intenda assumere iniziative per una verifica dello stato dei luoghi, anche per il tramite del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente. (4-11685)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZO, BASILIO, CORDA, FRUSONE, TOFALO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il capo III del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, codice dell'ordinamento militare, attiene agli organi della rappresentanza militare, definendone regole, funzioni, limitazioni e modalità di elezione dei delegati;
   diversi siti internet riprendono la pubblicazione del «compendio sulla rappresentanza militare» del marzo 2004 aggiornato al 2012, documento redatto in conformità alle normative vigenti da parte dello Stato Maggiore dell'Esercito con lo scopo di fornire ai comandanti e più in generale a tutto il personale militare della Forza armata, uno strumento di facile consultazione in merito a finalità, competenze, articolazione e funzionamento dell'istituto della Rappresentanza militare;
   al titolo terzo della parte prima di detto documento al punto 2 «deliberazioni-verbalizzazioni» lettera g) « pubblicità delle deliberazione» si legge: «(...), al fine di implementare il flusso informativo sugli argomenti di pertinenza della Rappresentanza Militare, sono state emanate disposizioni relative alla pubblicazione su Internet e sulla rete EINET, delle delibere e delle risposte dei vari Consigli (...). Le delibere vengono pubblicate online sul sito ufficiale della Forza Armata, unitamente alle risposte (...). (La disposizione a cui ci si riferisce è la direttiva n. 4678/084900 del 3 marzo 2003 di SME (parte terza, allegato «0»));
   consultando il sito internet www.esercito.difesa.it, appare evidente che tale indicazione venga praticamente disattesa, in quanto, alla data della presentazione del presente atto, risulta agli interroganti presente solo un elenco di delibere, ma senza avere libero accesso alla consultazione delle stesse e alle relative risposte;
   dalla consultazione dei siti internet delle altre forze armate, Aeronautica, Marina, Arma dei carabinieri, Guardia di finanza, a quanto risulta agli interroganti nulla viene indicato in termini di trasparenza sull'utilizzo di «compendi» simili a quello adottato dall'Esercito né, soprattutto, e ciò vale anche per il sito internet che ospita le attività del COCER INTERFORZE, sulla divulgazione pubblica delle delibere e delle relative risposte, ad eccezione, parzialmente, del COCER della Guardia di finanza, così come non è possibile leggere pubblicamente i nominativi dei delegati COCER delle varie forze armate, ad eccezione del COCER della Marina militare e della Guardia di finanza;
   tutto ciò indica una cattiva gestione in termini di trasparenza sulle attività svolte dai delegati COCER che, a giudizio degli interroganti, ricade, in termini di mancata trasparenza amministrativa, sul Ministero, con le dovute eccezioni già indicate, denotando ancora una volta la mancanza di attenzione verso l'unico strumento democratico previsto per legge in grado di tutelare il personale militare –:
   come intenda garantire trasparenza e pubblicità relativamente alle delibere prodotte da tutti i delegati COCER INTERFORZE e delle singole Forze armate;
   se, alla luce delle prossime nuove elezione dei delegati, intenda provvedere a dare pubblicità dei nominativi degli attuali e allo storico delle delibere prodotte in capo all'XI mandato di Rappresentanza in via di compimento;
   se non intenda provvedere ad emanare una direttiva che possa omogeneizzare le attività di pubblicazione di tutte le attività svolte dai delegati COCER sui siti internet delle Forze armate e del Ministero della difesa. (5-07384)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante già con atto di sindacato ispettivo del 22 giugno 2015 (n. 5-05860) ha sollecitato il Governo ad adottare provvedimenti affinché sia eliminata l'assurda disparità di trattamento economico che sussiste tra i dipendenti dell'Agenzia dell'entrate, pertanto, ha richiesto la legittima applicazione del contratto integrativo, anche per i dipendenti dell'ex Agenzia del territorio;
   la predetta interrogazione ad oggi, non ha ancora ricevuto risposta, né è stata risolta tale situazione che pregiudica i dipendenti dell'ex Agenzia del territorio, che con la fusione delle agenzie fiscali, sono stati poi inglobati nel personale dell'Agenzia dell'entrate;
   a riguardo, il 12 gennaio 2016, la Dirstat, il sindacato dei dirigenti e dei direttivi della pubblica amministrazione, ha rilasciato dichiarazioni di denuncia proprio rispetto alla discriminazione a cui sono sottoposti i dipendenti dell'ex Agenzia del territorio, poiché questi ultimi non percepiscono la dovuta retribuzione legata agli incarichi organizzativi e professionali come avviene invece almeno dal 2009 per i dipendenti dell'Agenzia delle entrate. Tali dipendenti, dunque, oltre allo stato di frustrazione in cui sono costretti a lavorare a causa dell'ingiustizia a cui sono sottoposti, stanno subendo rilevanti danni economici, in alcuni casi nell'ordine di decine di migliaia di euro;
   non è ammissibile che i contratti integrativi delle Agenzie delle entrate e del territorio, sottoscritti rispettivamente nel 2006 e nel 2007, abbiamo avuto differenti applicazioni, poiché mentre l'Agenzia delle entrate ha dato seguito a quanto stabilito, l'Agenzia del territorio non è stata altrettanto teme stiva. La fusione poi intervenuta nel 2012 tra le due agenzie, ha bloccato definitivamente ogni iniziativa utile volta ad attuare l'applicazione del contratto integrativo e, pertanto, i dipendenti dell'ex Agenzia del territorio ancora devono ottenerne l'applicazione. Sul punto, si è espresso, in particolare, il vicesegretario generale della Dirstat, Pietro Paolo Boiano, che da anni denuncia tale ingiustizia evidenziando, inoltre, le molteplici criticità che sono emerse con le fusioni delle agenzie fiscali che vanno ad inserirsi in una situazione di vero e proprio «sfascio» dell'amministrazione finanziaria –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati, per quanto di loro competenza;
   se e quali urgenti iniziative intendano adottare per riparare alla grave ingiustizia che stanno subendo da anni i dipendenti dell'ex Agenzia del territorio, che, ad oggi, ancora non hanno ottenuto l'applicazione del contratto integrativo, soprattutto, per quanto concerne gli articoli 17 e 18 che disciplinano l'attribuzione e la retribuzione delle indennità relative agli incarichi organizzativi e professionali. (5-07382)


   GRILLO, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, MANTERO, MANNINO e NUTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 30 dicembre 2015 è stato approvato, dal consiglio comunale, il bilancio di previsione 2015/2017 del comune di Catania; tale bilancio è stato redatto sotto la guida di un commissario ad acta;
   nel parere dell'organo di revisione del contabile del comune di Catania, inviato al commissario ad acta Antonio Garofalo, il 21 dicembre 2015 a pagina 45 si legge:
   «L'Organo di revisione rileva che non risultano consegnati i seguenti documenti:
    1 – lo Schema di bilancio di previsione armonizzato per gli esercizi 2015/2017, da approvarsi a fini conoscitivi;
    2 – il Piano triennale di contenimento delle spese di cui all'articolo 2 commi 594 e 599 legge 244/07;
    3 – le asseverazioni degli organi di revisione delle società partecipate dall'Ente;
    4 – elenco cronologico dei debiti fuori bilancio debitamente sottoscritto dal responsabile della direzione della Direzione Finanziaria dell'Ente;
    5 – elenco del tabulato «tassa di soggiorno» (...)»;
   l'Organo di revisione contabile comunica, sempre a pagina 45 del suo parere, di aver ricevuto un'informativa da parte di uno studio legale di Catania che riferisce adempimenti circa il riconoscimento di debiti relativi ad espropri per circa dieci milioni di euro, dovuti dal Comune di Catania a privati cittadini;
   per quanto riguarda la mancata osservazione degli organi di revisione delle società partecipate dall'ente, si segnala che tale mancante documentazione riguarda società che svolgono un ruolo di primo piano nelle attività e nei servizi pubblici del capoluogo etneo e in particolare interessano la Sidra spa, il Consorzio Ato 2 Catania Acque in Liquidazione, Investi Catania S.C.p.a., S.R.R. Catania Area Metropolitana s.c.p.a., l'azienda municipale trasporti in liquidazione, l'A.M.T. spa, Sostare spa;
   con lettera del 3 dicembre 2015, la prima firmataria del presente atto – unitamente ad altri parlamentari e a membri dell'assemblea regionale siciliana – sollecitava il Ministero dell'economia e delle finanze ad avviare un'ispezione per verificare la congruità della gestione finanziaria e contabile del comune di Catania in vista del bilancio previsionale del 2015 –:
   se l'approvazione del bilancio previsionale 2015/2017 del comune di Catania rispetti quanto previsto dal decreto legislativo n. 267 del 2000 «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali» in tema di gestione del bilancio;
   se non intenda, a partire da quanto sopra descritto, inviare una ispezione dei servizi di finanza pubblica per verificare la congruità finanziaria e contabile del bilancio previsionale 2015/2017 del comune di Catania e quali ulteriori iniziative di competenza intenda assumere riguardo alla vicenda. (5-07386)


   PESCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo de Il Fatto Quotidiano del 29 settembre 2015 a firma Paolo Fior, dal titolo «Usura bancaria, Confedercontribuenti Veneto contro Popolare Verona: «Clienti “rapinati” con spese e interessi», sottotitolo «Secondo il presidente Alfredo Belluco, “in oltre l'85 per cento dei contratti si scoprono anomalie nei calcoli”», si apprende che «l'associazione chiede alle Camere, di Commercio di invitare gli iscritti a far analizzare i loro rapporti bancari per verificare se le condizioni sono regolari», nell'articolo si legge inoltre che «Sono circa 800 i casi di usura bancaria che stiamo seguendo in Veneto, in buona parte in provincia di Padova – spiega Alfredo Belluco, presidente di Confedercontribuenti Veneto –, ma il fenomeno è diffuso su tutto il territorio nazionale e riguarda praticamente tutte le banche: se si analizzano i contratti, in oltre l'85 per cento dei casi si scoprono anomalie nei calcoli»;
   il caso della Popolare di Verona però è uno dei più eclatanti, dato che l'istituto aveva inserito nei suoi contratti un'indennità di sconfinamento tra i 10 e i 600 euro al giorno, a seconda dell'entità del «rosso», e questa commissione si andava ad aggiungere agli interessi calcolati su base trimestrale facendo lievitare il debito a livelli impossibili. «Una vera e propria rapina da banditi del Far West, ma senza armi e a viso scoperto», sottolinea Belluco, presentando il caso di una piccola commerciante di Padova che aveva un debito di duemila euro con la Popolare di Verona e si era impegnata a saldare con trecento euro a trimestre. «Ogni trimestre la banca le applicava tra interessi e spese, competenze e commissioni, importi superiori ai suoi versamenti, per la precisione oltre settecentosessanta euro a trimestre, più del 150 per cento su base annua, quando per legge avrebbe dovuto applicarle meno di cento euro tra interessi e spese. Il debito si era raddoppiato in meno di tre trimestri», dice Bellucco;
   un altro imprenditore veneto, a fronte di un debito di ventimila euro, si è visto addebitare dalla Popolare commissioni nell'ordine del 45 per cento grazie alla famosa «indennità di sconfinamento»;
   cui si aggiungono interessi del 10 per cento circa, per un totale del 55 per cento. «Sono solo due dei casi più eclatanti – continua Belluco – la banca si è anche detta disponibile a restituire i soldi, ma non è questo il punto: l'usura è un odioso e gravissimo reato di pericolo sociale e non può cancellarsi con la restituzione del maltolto. Nel caso della piccola commerciante, nonostante l'evidenza documentale, la procura ha archiviato la denuncia senza nemmeno disporre una perizia. E le banche, a fronte di una legge, quella sull'usura, che non viene applicata, continuano come nulla fosse, contando sul fatto che solo una minima parte dei clienti contesterà i calcoli, mentre quasi nessuna procura perseguirà il reato;
   le cose non sono cambiate nemmeno in seguito all'abolizione di tutti gli oneri e i costi sostituiti dall'introduzione di una commissione omnicomprensiva, la commissione di istruttoria veloce, a opera del decreto «Salva Italia» del 2012. Anzi, come si è visto qualche settimana fa, la Banca d'Italia spinge anche per la reintroduzione dell'anatocismo (cioè gli interessi prodotti dagli interessi) nonostante sia una pratica vietata per legge;
   in merito, l'articolo, sempre de Il Fatto Quotidiano e sempre a firma Paolo Fior, titolava il 28 agosto 2015 «Interessi sugli interessi, consumatori: “Commissariare Bankitalia” nuovi attacchi alla proposta che via Nazionale ha concordato con il Tesoro, di reintrodurre l'anatocismo bancario. Adusbef e Federconsumatori: “Abuso di potere e concorso in usura”, in cui si apprende «Di ora in ora si moltiplicano le critiche alla proposta di Bankitalia sull'anatocismo (il calcolo, vietato per legge, degli interessi sugli interessi) e si preannunciano anche iniziative giudiziarie nei confronti dell'istituto guidato da Ignazio Visco. Ai rilievi molto pesanti avanzati da Unimpresa che ha parlato di un “intervento vergognoso” con cui “viene clamorosamente aggirata una legge dello Stato oltre che calpestate numerose pronunce giurisprudenziali”, si uniscono anche Adusbef e Federconsumatori che, con un comunicato durissimo, chiedono il commissariamento di Banca d'Italia e preannunciano una denuncia penale nei confronti dell'istituto centrale per concorso nel reato di usura ed abuso di potere.
   Nell'occhio del ciclone c’è la norma che Banca d'Italia, in accordo con il Ministero del Tesoro, intende proporre al Cicr (Comitato interministeriale per il credito e il risparmio) che reintroduce di fatto la capitalizzazione degli interessi vietata dalla legge: un regalo che per le banche vale circa 2 miliardi di euro. In questi anni, ricordano Adusbef e Federconsumatori, e la Confedercontribuenti, Banca d'Italia è intervenuta illegittimamente con sue circolari per rendere sostanzialmente inapplicabile la legge sull'usura, espungendo ad esempio la commissione di massimo scoperto ai fini del calcolo della soglia ed è stata sconfessata dalla Corte di cassazione che non solo ha stabilito che la commissione dovesse rientrare nel calcolo, ma ha anche sottolineato come «le circolari o direttive, ove illegittime e in violazione di legge, non hanno efficacia vincolante per gli istituti di credito, e che la Banca d'Italia aggira le norme penali.
   Ora l'intervento a gamba tesa sull'anatocismo bancario, che – come la legge sull'usura – ha avuto un iter piuttosto travagliato, ma che dal 2013, con la riformulazione dell'articolo 120 del Testo unico bancario, è vietato a tutti gli effetti e senza possibili fraintendimenti, anche se manca appunto la delibera del Cicr per renderla operativa a tutti gli effetti. E così le banche hanno continuato e continuano a calcolare gli interessi sugli interessi, gli utenti sono costretti a rivolgersi ai tribunali (che condannano le banche, come da ultimo è successo alla Cassa di risparmio di Ascoli Piceno) e la Banca d'Italia, anziché intervenire a tutela del pubblico risparmio, propone ancora una volta il colpo di spugna. Come? Stabilendo una deroga: secondo la proposta di Via Nazionale gli interessi verrebbero calcolati su base annua, ma andrebbero obbligatoriamente liquidati entro 60 giorni dalla ricezione dell'estratto conto di fine anno (o di chiusura del rapporto).
   Qualora l'utente non si trovi nelle condizioni di poterli liquidare (perché ha il conto in rosso), sarebbe possibile di mutuo accordo tra cliente e banca utilizzare il fido per estinguere il debito da interessi. Ed è proprio in questo modo che su conti correnti e carte di credito viene reintrodotto l'anatocismo perché – come si legge nello stesso documento di Via Nazionale – si avrebbe appunto una “conseguente produzione di interessi su quanto utilizzato per estinguere il debito da interessi”. Un meccanismo perverso che negli anni della crisi ha contribuito a strozzare tante famiglie e imprese e contro il quale si prepara una mobilitazione compatta di associazioni, imprenditori e cittadini»;
   va considerato quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sezione II penale, con la sentenza 19 dicembre 2011, n. 46669, in tema di applicazione dell'articolo 644 del codice penale, sul reato di usura: «Tale metodologia per il calcolo del TEG applicata dalla Banca d'Italia, fin dalla prima rilevazione, è stata posta a fondamento dei decreti ministeriali nei quali è contenuta la rilevazione trimestrale del tasso effettivo globale medio in base al quale è stabilito il limite previsto dall'articolo 644, comma 3, del codice di procedura penale, oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, ai sensi della legge 7 marzo 1996, n. 108, articolo 2, comma 1;
   fin dal primo decreto ministeriale (decreto ministeriale 22 marzo 1997), il Ministro del tesoro determinava la tabella dei tassi di interesse effettivi globali medi, precisando che «i tassi non sono comprensivi della commissione di massimo scoperto eventualmente applicata». Solamente col decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, articolo 2-bis, comma 1, convertito nella legge 28 gennaio 2009, n. 2 si prevede che «le commissioni... comunque denominate... sono comunque rilevanti ai fini dell'applicazione dell'articolo 1815 del codice di procedura civile, dell'articolo 644 del codice di procedura penale e della legge 7 marzo 1996, n. 108, articoli 2 e 3». La Banca d'Italia, solo nell'agosto 2009, in applicazione di tale nuova normativa, ha emanato le nuove istruzioni per la rilevazione dei tassi globali medi ai sensi della legge sull'usura, ricomprendendo, (nel calcolo delle varie voci, la commissione di massimo scoperto, correggendo una prassi amministrativa difforme –:
   se il Governo non intenda assumere un'iniziativa normativa interpretativa ad hoc affinché sia recepito immediatamente quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, con la sentenza richiamata, obbligando gli istituti di credito a uniformarsi immediatamente e a informare immediatamente cittadini e imprese suddette condizioni, al fine di una loro lecita rivendicazione del maltolto;
   se il Governo non intenda assumere iniziative normative al fine di obbligare gli istituti di credito e qualunque ente finanziario ricompresi nel TUB e nel TUF operanti in Italia, a identificare, per ogni filiale o sede aventi rapporti con il pubblico, uno o più soggetti penalmente responsabili, come già avviene per le norme antiriciclaggio, per il reato di usura, innalzando la soglia minima di reclusione in caso di condanna da 2 a 5 anni e non consentendo altresì ai periti nominati dagli Istituti di credito consulenti di parte nei giudizi di essere nominati consulenti tecnici d'ufficio del giudice (cosiddetti Ctu), essendo chiaramente incompatibili le due figure chiamate una volta a proteggere gli interessi delle banche e, un'altra volta a svolgere il delicatissimo ruolo di consulente tecnico del giudice, prevedendo altresì l'interdizione dei CTU da tale attività nel caso siano sorpresi a utilizzare nelle proprie perizie e valutazioni formule matematiche e finanziarie diverse da quelle previste dalla legge. (5-07389)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZO e GRILLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la tangenziale A18-DIR, diramazione di Catania, è il naturale collegamento tra l'autostrada A18 Catania-Messina e la tangenziale di Catania, si sviluppa per circa 3,7 chilometri tra i paesi etnei ed è gestita da ANAS;
   diversi fatti di cronaca, non ultimo un incidente stradale avvenuto domenica 10 gennaio 2016, hanno riportato alla ribalta la situazione, a dir poco catastrofica, della mancata illuminazione stradale di tale tratto stradale, non tanto per la mancanza dell'impianto di palificazione, ma per il fatto che diversi furti abbiano smembrato la rete elettrica realizzata in cavi di rame;
   al riguardo si legge sul giornale La Sicilia del 17 marzo 2015, che fino al mese di novembre 2013, l'illuminazione di questo tratto autostradale era perfettamente funzionante, ma che, alla luce di due furti di cavi in rame avvenuti il 13 e 20 dicembre, la stessa è rimasta desolatamente al buio. L'articolo riferisce di 500 pali illuminanti spenti dallo svincolo di San Gregorio fino all'innesto dell'autostrada Catania-Siracusa;
   sempre sul giornale La Sicilia del 13 gennaio 2016 si denuncia l'immobilismo dei vertici dell'ANAS ma anche del sindaco di Catania, del commissario dell'area metropolitana etnea e della prefettura di fronte alla totale mancanza di sicurezza per tutti quegli automobilisti che di notte attraversano quel breve tratto di autostrada che mette a rischio l'incolumità degli stessi –:
   quali siano i programmi di intervento previsti da ANAS per rimediare alla grave situazione in cui versa l'impianto di illuminazione della tangenziale A18-DIR, diramazione di Catania. (4-11677)


   NASTRI, RAMPELLI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   gli adeguamenti tariffari dei pedaggi autostradali deliberati in prossimità del 31 dicembre 2015, da parte dei Ministri interrogati, che siano in media dello 0,86 per cento interessano poche tratte (considerato che il Governo ha momentaneamente sospeso gli aumenti per la maggioranza delle concessionarie, in attesa dell'aggiornamento del piano economico-finanziario), fra le quali l'A4 Torino-Milano;
   la medesima tratta, secondo quanto risulta da un articolo pubblicato dal quotidiano « Il Corriere di Novara» l'11 gennaio 2016, subirà al riguardo, l'incremento tariffario maggiore +6,5 per cento nonostante i lavori di manutenzione della viabilità in corso da anni, che sembravano essere terminati nel corso dei precedenti sei mesi dell'Expo di Milano;
   il suindicato articolo, evidenzia inoltre che, in realtà, i lavori autostradali dalla tratta A4, erano stati soltanto sospesi, proprio per non ostacolare l'esposizione mondiale, che avrebbe dovuto in effetti essere interamente completata;
   i cantieri hanno infatti riaperto, prosegue « Il Corriere di Novara», nel territorio novarese e in prossimità di Milano: con l'avviso da parte del gestore – la Satap del Gruppo Gavio – delle nuove scadenze: il tratto fra i due caselli di Novara e quello dal Ticino, che dovrebbero essere completati alla fine del 2016; invece, dallo svincolo di Marcallo/Mesero alla Ghisolfa, i lavori non termineranno prima del marzo 2017, così come l'ampliamento della stessa barriera milanese e del lotto successivo, la cui scadenza presta è addirittura a fine 2018;
   al riguardo, gli interroganti evidenziano come il palese dubbio che emerge, a fronte delle considerazioni richiamate, sia che i continui aumenti, che dal 2009 ad oggi si siano avuti relativamente all'ampliamento dell'autostrada Torino-Milano (circa 130 chilometri), ebbero inizio (nel tratto fra il capoluogo subalpino e Greggio) il 18 ottobre 2002 e, a tal fine, i ritardi di ultimazione dei lavori di portata notevole se si considera infatti la conclusione prevista come già detto a fine 2018) sono stati causati, secondo quanto sostiene il gestore, la Satap, dalla realizzazione dell'alta velocità e, in particolare, proprio, dal nodo ferroviario di Novara, a cui occorre aggiungere le solite lentezze burocratiche;
   la Satap evidenzia inoltre che, nonostante i suindicati ritardi, i tempi nel complesso risultano essere coerenti a causa dell'elevata presenza del traffico effettivamente consistente: in media ogni giorno fra Novara e Milano transitano circa 40 mila veicoli (35 milioni all'anno sull'intera A4), metà dei quali sono mezzi pesanti;
   il costo complessivo dei lavori previsti per i tratti autostradali suddetti, riporta ancora il quotidiano in precedenza richiamato, ammonta a circa 1 miliardo e 324 milioni di euro previsti in autofinanziamento, aggiungendo inoltre, che tali interventi ed i relativi costi risultano tuttavia essere in evidente contrasto con gli aumenti dei pedaggi previsti;
   il palese dubbio che emerge, a fronte delle considerazioni richiamate, è che i continui aumenti, che dal 2009 ad oggi – sono stati circa il 60 per cento per l'autostrada A4 nel tratto fra Novara e Milano, rischiano di essere finanziati dagli utenti autostradali, i quali a fronte dei ritardi nel completamento dei lavori e dei continui rincari delle tariffe, continuano a ricevere disservizi in termini di efficienza e di ammodernamento della tratta autostradale interessata –:
   quali orientamenti i Ministri interrogati intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se trovi conferma quanto riportato dall'articolo richiamato in premessa, sia con riferimento all'effettivo aumento della tratta autostradale Torino-Milano A4, che risulta essere pari al 6,5 per cento che con riferimento alle scadenze previste dei lavori che, a giudizio dell'interrogante, risultano essere estremamente penalizzanti per gli utenti anche sotto il profilo economico;
   se i Ministri interrogati ritengano inoltre opportuno fornire ulteriori e più dettagliate informazioni circa l'attuale stato di progettazione, autorizzazione e finanziamento dei lavori previsti per l'autostrada A4, Torino-Milano, ed in particolare nella tratta di Novara;
   quali siano i motivi per i quali gli utenti autostradali che percorrono la tratta suddetta, effettivamente non soggetta ad alcuna miglioria debbano vedersi addebitati i costi connessi ai continui aumenti dei pedaggi, a differenza di altri percorsi autostradali per i quali, invece, non sono previsti incrementi tariffari;
   se non ritengano urgente e necessario, nell'ambito delle rispettive competenze, assumere iniziative affinché siano rivisti i previsti aumenti tariffari, eventualmente misure alternative rispetto ai rincari stabiliti, in modo da non arrecare non ulteriori penalizzazioni agli utenti in termini economici;
   in caso contrario, se non ritengano opportuno valutare l'opportunità di assumere iniziative affinché siano previsti interventi compensativi, ossia: sconti sui pedaggi autostradali o abbonamenti per i numerosi pendolari che quotidianamente si spostano lungo la rete autostradale interessata, per motivi di studio e lavoro.
(4-11690)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   VEZZALI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i circa 2000 sostituti commissari della polizia di Stato (denominazione apicale del ruolo degli ispettori) con una anzianità di servizio compresa fra i 30 e i 40 anni, prima del 12 maggio 1995, appartenevano già tutti nel ruolo degli ispettori, collocati in posizione gerarchica, funzionale ed economica sovraordinata a quella di tutti i sottufficiali delle altre forze di polizia a statuto militare oltre che agli appartenenti al subordinato ruolo dei sovrintendenti della polizia di Stato, ma a seguito della sentenza della Corte costituzionale del 12 giugno 1991, n. 227, furono di fatto retrocessi ed equiparati ai sottufficiali e al subordinato ruolo dei sovrintendenti;
   le disposizioni transitorie di cui all'articolo 25 del decreto legislativo 334 del 2000 prevedevano che gli ispettori della polizia di Stato con 10 anni di anzianità nel ruolo o almeno tre anni di anzianità nella qualifica di ispettore superiore sostituto UPS, potessero concorrere per accedere al ruolo direttivo speciale, dal 2001 al 2005 (in misura di 260 posti all'anno per un totale di 1300 unità); dispositivo rimasto inattuato dal Ministero dell'interno fino al 2005 e poi sospeso dall'articolo 1, comma 261, della legge 266 del 2005 in previsione dell’«imminente» riordino delle carriere che, poi, nel 2006 non fu realizzato; anzi, si è impedito lo sblocco del concorso e penalizzato coloro che erano in possesso dei requisiti;
   trascorsi 15 anni, la legge 7 agosto 2015, n. 124 (cosiddetta legge Madia), di riorganizzazione della amministrazioni pubbliche prevede l'emanazione di un decreto che riguarda «la revisione dei ruoli della Polizia di Stato» entro agosto 2016, valorizzando il merito e le professionalità;
   nel mese di novembre 2015 è stata fatta circolare una bozza di decreto che contiene al punto 4, lettera a), la creazione di un «nuovo ruolo direttivo» (che sostituisce l'attuale ruolo dei commissari che verrebbero dirigenziali ope legis e cancella il ruolo difettivo speciale previsto nel decreto legislativo 334 del 2000);
   la legge di stabilità che ha introdotto il cosiddetto «riallineamento», consente un beneficio ai poli direttivi della polizia penitenziaria «ordinario e speciale RDS» (che appartenevano prima della riforma del 1995 al ruolo dei sovrintendenti (senza aver mai superato le prove di un concorso) subordinati gerarchicamente, funzionalmente ed economicamente agli ispettori della polizia di Stato ex lege 121 del 1981 che restano ancora una volta in attesa, perché sono stati banditi concorsi in tutti i Corpi tranne che nel loro –:
   se non ritenga di dover assumere iniziative per:
    a) sbloccare le procedure concorsuali previste nel decreto legislativo 334 del 2000 per coprire tutte le vacanze del ruolo speciale istituito nel 2000;
    b) sanare il vuoto di questi 20 anni e creare le condizioni affinché gli ispettori della polizia di Stato possano usufruire (ed essere parzialmente risarciti dei danni subiti) dei medesimi benefici concessi agli ex sottufficiali delle altre forze di polizia;
    c) prevedere nell'emanando decreto una «fase transitoria» che salvaguardi i diritti dei sostituti commissari della polizia di Stato e ripristini le legittime gerarchie e i ruoli sanando una palese ingiustizia.
(4-11674)


   VEZZALI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ad oggi, della graduatoria stilata e approvata nel 2010 (dopo un lungo iter), composta da oltre 7.500 giovani aspiranti vigili del fuoco, fanno parte 814 idonei;
   a questa graduatoria si è attinto per meno di un terzo a causa della spending review e del blocco del turnover, mentre per un 50 per cento delle già poche assunzioni, si è attinto da altra graduatoria, quella della stabilizzazione, contravvenendo al principio che si assume per concorso;
   il Consiglio di Stato ha evidenziato che si sarebbe dovuto arrivare per regola all'esaurimento delle graduatorie prima dell'indizione di una nuova procedura concorsuale a meno del ravvisarsi di una «eccezione» ampiamente e approfonditamente motivata che tenesse conto del sacrificio imposto ai concorrenti idonei e delle preminenti esigenze di interesse pubblico;
   il TAR del Lazio si è espresso sulla medesima linea, estendendo le determinazioni anche all'ambito militare facendo espresso riferimento alla cosiddetta legge D'Alia (decreto-legge n. 101 del 2013);
   il ricorso di alcuni marescialli della Marina militare ha trovato accoglimento (sentenza 6077 del 27 aprile 2015) invocando, appunto, il decreto-legge «D'Alia»;
   il decreto-legge n. 101 del 2013, convertito dalla legge n. 125 del 30 ottobre 2013, D'Alia, menziona l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di ricorrere alle graduatorie vigenti e lo amplia nel nuovo comma 3 dell'articolo 4 dove prevede che le amministrazioni possono essere autorizzate a bandire nuovi concorsi solo se siano stati immessi in servizio tutti i vincitori per assunzioni a tempo indeterminato «per qualsiasi qualifica» e che la stessa autorizzazione (per nuovo concorso) possa intervenire solo se nella medesima amministrazione non ci siano idonei in graduatorie di concorso approvate successivamente al 1o gennaio 2007, relativamente a professionalità necessarie anche secondo un criterio di equivalenza –:
   se non ritenga opportuno bandire nuovi concorsi, solo in caso di assunzione di tutti i vincitori di concorso (con riferimento a tutti i profili professionali e a tutte le graduatorie vigenti successivamente al 30 settembre 2003), nonché degli idonei delle proprie graduatorie, ma solo se successivamente al 1o gennaio 2007 e solo per profili ritenuti equivalenti con la procedura concorsuale da attivare;
   se non intenda assumere iniziative per procrastinare la chiusura della graduatoria di almeno altri due anni (prevista oggi al 31 dicembre 2016) per non danneggiare i circa 4.000 giovani ancora in graduatoria e non gravare l'amministrazione dei costi della nuova procedura concorsuale. (4-11675)


   GINEFRA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 12 gennaio 2016 il signor Savino Parisi è stato scarcerato dal penitenziario di Udine a seguito della sentenza della corte d'appello del capoluogo pugliese che lo ha assolto nel processo su una presunta estorsione da 700 mila euro;
   il pluripregiudicato barese, il 15 gennaio 2015 era stato condannato a 5 anni e 4 mesi di reclusione dal gup del tribunale di Bari perché accusato di aver commesso due estorsioni nel 2007 e nel 2008, aggravate dal metodo mafioso, e dall'aver commesso i reati mentre era sottoposto alla misura della sorveglianza speciale. Per i due episodi il pm Federico Perrone Capano aveva chiesto la condanna a 18 anni al termine del processo con rito abbreviato;
   le accuse si fondavano principalmente sulle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia. «Savinuccio» Parisi – aveva raccontato il pentito agli inquirenti – avrebbe costretto gli amministratori della società Soft Line a pagare in contanti la somma di 700 mila euro minacciando ritorsioni personali e patrimoniali. Il collaboratore raccontava anche di essere stato costretto ad assumere la figliastra del boss pagandole uno stipendio di 900 euro al mese per quasi un anno, a fronte di una prestazione lavorativa di fatto inesistente;
   il giudice di primo grado, come già ricordato, aveva condannato il boss per il primo episodio, riconoscendo anche le contestate aggravanti, e lo aveva assolto dal secondo. Nell'ambito di questo procedimento «Savinuccio» era detenuto dal dicembre 2013;
   il signor Parisi è anche a processo per due vicende distinte: una violenza privata per la quale sta scontando dal dicembre 2012 una condanna a 2 anni e 2 mesi di reclusione annullata con rinvio dalla Cassazione, e il processo di primo grado chiamato «Domino» in cui è accusato anche di associazione mafiosa;
   il Savino Parisi è ora sottoposto alla sola misura della sorveglianza speciale;
   «due file di botti» – come riportato dal quotidiano La Repubblica «sono stati collocati dinanzi all'angolo di via Giovanni XXIII nei pressi dell'Istituto Penitenziario barese, dinanzi all'ingresso del mercato di Santa Scolastica. Lo spettacolo» – rivela sempre lo stesso organo di informazione «avrebbe sorpreso i cittadini, ma non gli inquirenti i quali sono certi sia stato un omaggio a Savinuccio»;
   analoghi episodi sarebbero avvenuti contestualmente in alcuni comuni dell’hinterland barese tra i quali Valenzano –:
   se sia stato informato di tali episodi;
   come sia possibile che sistematicamente alla liberazione dei detenuti nella città di Bari corrispondano tali manifestazioni non autorizzate e in violazione delle norme in materia di ordine pubblico;
   quali iniziative la questura di Bari abbia intrapreso e intenda intraprendere per evitare il ripetersi di tali episodi;
   se siano stati visionati i filmati delle telecamere di sorveglianza poste all'esterno dell'istituto penitenziario di Bari al fine di individuarne gli autori di tali episodi. (4-11681)


   ALBERTI, COMINARDI, VILLAROSA e PESCO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la notte del 29 dicembre 2015 Vittorio Sgarbi ex parlamentare ed ex assessore del comune di Urbino, che a quanto risulta agli interroganti non ricopre incarichi pubblici e non li ricopriva in quella data, condannato diverse volte in sede civile e penale per diffamazione e truffa ai danni dello Stato, ha contattato la sala operativa del Ministero dell'interno, la «batteria» del Viminale, al fine di mettersi in contatto con il sindaco del comune di Mazzano (Brescia), per motivi personali;
   lo si apprende dalla stampa e dall'intervista rilasciata dallo stesso, che chiarisce come i funzionari si siano prodigati per rendere possibile il suo desiderio fino ad attivare con urgenza la centrale operativa dei carabinieri di Brescia, che a loro volta hanno svegliato notte tempo il sindaco del comune suddetto, sollecitandolo a mettersi in contatto con il Ministero;
   gli interroganti ritengono inopportuno l'utilizzo della sala operativa da parte di ex parlamentari o di persone senza incarichi pubblici, e la mobilitazione delle forze dell'ordine senza motivi d'urgenza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto accaduto;
   chi possa usufruire del servizio «batteria» della sala operativa del Ministero dell'interno e secondo quale regolamento;
   se non intenda assumere iniziative, anche normative per impedire l'utilizzo della stessa e delle forze dell'ordine da parte di ex parlamentari e qualora non vi sia una reale pubblica urgenza. (4-11688)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riferito dai territori interessati e rilevato dalla stampa nazionale e locale, nel comune di Civitavecchia, in provincia di Roma, il sindaco Antonio Cozzolino (M5S), avrebbe minacciato di sospendere tutti i consiglieri dell'opposizione senza alcun contraddittorio con la conseguenza di far sì che, durante le riunioni del consiglio comunale di Civitavecchia, di fatto risulterebbero presenti solo gli esponenti del Movimento 5 Stelle;
   per quanto risulta, in data lunedì 18 gennaio 2016 il sindaco Antonio Cozzolino incontrerà il prefetto per discutere dell'eventuale sospensione dei consiglieri di opposizione, motivando tale sospensione con «un'ingerenza di una gravità inaudita da parte dell'opposizione in una gara d'appalto non ancora chiusa: un vero e proprio atto intimidatorio». Il riferimento esplicito è al bando per la costituzione del fondo immobiliare per cui tutti i consiglieri di opposizione avrebbero presentato una «diffida» all'amministrazione e alla commissione di gara «dal procedere all'aggiudicazione in favore della Namira (unica società in gara ndr) per carenza dei presupposti soggettivi stabiliti nel bando»;
   la gara non è stata aggiudicata, ma rinviata per la quarta volta, dopo che i primi tre tentativi erano andati deserti;
   il bando, secondo quanto dichiarato dallo stesso sindaco Cozzolino, «è andato deserto. Non c’è stata alcuna aggiudicazione in quanto l'unica società che ha partecipato non ha fornito nei tempi previsti le autocertificazioni richieste. Il problema quindi non è stato quello della mancanza di requisiti, ma dell'assenza di documentazione»;
   in buona sostanza il sindaco Cozzolino sembrerebbe voler procedere alla sospensione dei consiglieri di opposizione perché rei di aver presentato la diffida sulla base di quanto previsto dall'articolo 142 del testo unico degli enti locali ove si prevede la sospensione dei consiglieri per atti contro la Costituzione, atti ripetuti contro la legge o per motivi di ordine pubblico;
   al riguardo, il sindaco Cozzolino ha dichiarato che il comportamento dei consiglieri di opposizione e stato inqualificabile «impossibile da pensare in un Paese civile. Hanno fatto sì che la diffida ad aggiudicare la gara a Namira fosse notificata venerdì scorso anche ai membri della commissione che si sarebbe riunita lunedì»;
   secondo quanto si apprende ed è stato riferito, i consiglieri comunali di minoranza hanno sottoscritto e inviato una diffida alla commissione giudicatrice del bando sulla selezione della Sgr che doveva costituire il fondo immobiliare. Il documento è stato trasmesso anche alla Corte dei Conti, all'Autorità nazionale anticorruzione e al Ministero dell'interno. I consiglieri hanno altresì rivendicato che si tratta di un atto politico e sottolineato che la diffida è un avviso che si invia quando la gara è in corso. Nell'ambito di tale atto, hanno evidenziato come l'unica offerta pervenuta sia stata quella presentata da una sola ditta e, dalla visura camerale allegata al documento, risulta che la società che si è presentata non ha il requisito soggettivo richiesto dal bando perché, per la maggioranza, è posseduta da persone fisiche e non già da un soggetto istituzionale bancario oppure assicurativo italiano oppure estero –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali elementi intenda fornire su tale vicenda che, ad avviso dei consiglieri di opposizione, altro non evidenzierebbe che un ovvio richiamo agli ordinari princìpi di legalità;
   se non ritenga opportuno porre in essere ogni iniziativa di competenza finalizzata ad acclarare in via definitiva l'insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto che giustificherebbero la possibilità di procedere alla sospensione dei consiglieri di opposizione, in forza di quanto previsto dall'articolo 142 del testo unico degli enti locali, anche al fine di sgombrare il campo da ogni sospetto circa un atteggiamento fortemente antidemocratico da parte del sindaco del M5S nei confronti dei citati rappresentanti istituzionali. (4-11693)


   ANDREA MAESTRI e BRIGNONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sostituto commissario della polizia di Stato, dottor Giuseppe Trapani, attualmente in servizio a Roma, referente per la regione Lazio del CO.T.I.POL. (Comitato per la tutela dei diritti degli ispettori della polizia di Stato ed equiparati) e dirigente sindacale della CONSAP (Confederazione sindacale autonoma di Polizia), denuncia il mancato rispetto dell'articolo 14, comma 1, del decreto legislativo n. 334 del 2000, con il quale è stato istituito il ruolo direttivo speciale della polizia di Stato: egli, infatti, da 20 anni è fermo nella qualifica di ispettore superiore – sostituto ufficiale di pubblica sicurezza e, da 12 anni, in quella di sostituto commissario;
   il dottor Trapani e moltissimi suoi colleghi nelle medesime condizioni, ritengono che nei confronti della polizia di Stato venga ingiustamente disatteso e inapplicato il suddetto decreto legislativo e il riconoscimento al ruolo di ispettori della polizia di Stato, contrariamente a quanto già avvenuto per gli ordinamenti militari dell'Arma dei carabinieri, della Guardia di finanza e della polizia penitenziaria, per i quali la citata normativa è stata applicata;
   equiparati al ruolo del dottor Trapani, già da diversi anni, nell'Arma dei carabinieri e nella Guardia di finanza vi sono colleghi che rivestono, a quanto riferisce lo stesso, le qualifiche di tenente colonnello e nella polizia penitenziaria di vice questore aggiunto, godendo, inoltre, di un trattamento economico superiore (da colonnello il personale militare e da primo dirigente quello ad ordinamento civile);
   è quanto mai urgente un intervento affinché questa disparità di trattamento venga sanata e che siano riconosciuti rispetto e considerazione nei confronti di professionisti della sicurezza italiana che quotidianamente mettono a repentaglio la propria vita a salvaguardia di quella altrui;
   il dottor Trapani aggiunge, inoltre, che con la legge 1o aprile 1981, n. 121, recante «Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza», gli allora ufficiali del corpo, pur avendo un normalissimo diploma di scuola media superiore (ragioniere o geometra), per «ope legis» transitarono tutti nel ruolo di funzionari e dirigenti, pur non avendo il possesso di una laurea specifica e, attualmente, moltissimi di questi ex ufficiali, ancora rimasti senza il dovuto titolo di studio, rivestono qualifiche di vice questore aggiunto, primo dirigente, dirigente superiore, dirigente generale e perfino prefetto della Repubblica;
   in data 3 Gennaio 2016, sul sito della CONSAP è stato pubblicato un articolo dove viene evidenziato il trattamento prioritario riservato alla polizia penitenziaria nella legge di stabilità 2016, oltre a «l'assordante silenzio del Capo della Polizia» al riguardo che, da anni si ripete con vane rassicurazioni circa l'imminente realizzazione della dirigenzializzazione della «sua dirigenza» –:
   se il Governo non ritenga opportuno e doveroso assumere iniziative per porre rimedio a questa incresciosa e iniqua situazione di disparità di trattamento tra le omologhe qualifiche degli appartenenti alle diverse forze di polizia e se non intenda assumere iniziative urgenti per la costituzione del ruolo direttivo speciale della polizia di Stato, in attuazione dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 334 del 2000. (4-11695)


   MASSA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come riportato dalla stampa territoriale e in seguito ad un sit-in di protesta, che ha richiesto l'intervento di polizia municipale e dei Carabinieri, emergerebbe una grave situazione di disagio per circa trenta richiedenti asilo e rifugiati politici beneficiari del sistema di protezione ed accoglienza integrata Sprar del comune di Parabita (provincia di Lecce);
   nelle ricostruzioni giornalistiche si legge che: «Lo Sprar, ovvero la rete di enti locali che accedono ai finanziamenti ministeriali, è un protocollo d'intesa del 2001 stipulato dal Ministero dell'interno, dall'Anci e dall'Alto Commissariato Onu per i rifugiati (UNHCR) rivolto a richiedenti asilo, rifugiati e titolari di protezione sussidiaria e umanitaria. Il servizio, finanziato con i soldi pubblici del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo, è gestito a Parabita, come a Lecce, Muro Leccese e Neviano, dall'associazione Integra onlus, in convenzione con i comuni, e prevede per 3 anni interventi di accoglienza che, oltre a vitto e alloggio, garantiscano anche percorsi individuali di inserimento socio-economico, fino all'autonoma integrazione degli immigrati. Dai racconti dei giovani ospitati a Parabita, però, e dai problemi urlati sotto il municipio, la situazione appare diversa. «Viviamo in dieci e non c’è acqua calda per tutti, lo scaldino non funziona bene. Fa freddo, e nemmeno i termosifoni funzionano – lamentano –. Abbiamo chiesto aiuto ma non l'hanno riparato». Sulla carta, uno dei principali doveri collegati al progetto è anche quello allo studio. Tutti sono obbligati a frequentare corsi di italiano e cultura generale, per raggiungere certificazioni e autonomia utili all'accesso al mondo del lavoro. L'assenza e la mancata partecipazione ai corsi – si legge nella convenzione – comporta l'esclusione dallo Sprar, che per alcuni vuol dire rimpatrio. Il pulmino che deve portarli nell'istituto convenzionato a Casarano, però, non passa più. «Per non essere cacciati via – spiega un ragazzo di appena 20 anni – ci siamo organizzati da soli. Andiamo a scuola con il treno e il biglietto ce lo paghiamo da soli. Due euro al giorno, tutti i giorni, tra andata e ritorno». «Oggi però non siamo andati – ammette un altro – perché soldi non ne avevamo». I ritardi e le lentezze burocratiche lamentate, infatti, riguardano anche la pocket money, la carta di credito prepagata dove dovrebbero essere caricati loro 10 euro al giorno per le spese alimentari e personali. «La carta non viene caricata da fine settembre, avanziamo ancora i mesi di ottobre e novembre», spiega un altro ragazzo, indicando le tasche vuote e l'impossibilità, delle volte, di comprare da mangiare. Per pagare il treno – spiegano – usano i risparmi dei mesi precedenti, anche se a quel trasporto scolastico, da contratto, avrebbero diritto gratuitamente»;
   viene riferita una visita ispettiva in data 25 giugno 2015 da parte del servizio centrale che ha evidenziato diversi disservizi;
   in particolare, emergerebbe una situazione di sostanziale conflittualità e relativo rimpallo di responsabilità tra il comune di Parabita e l'associazione Integra onlus, entrambi responsabili dello Sprar. Oggetto del conflitto appare essere la gestione dei fondi erogati dal Ministero dell'interno per la gestione triennale del progetto;
   si comprende dunque il grave allarme per la drammatica situazione di questi rifugiati, fuggiti da guerre e dittature sanguinose e l'urgenza di porre in essere azioni fattive per il ripristino dei servizi previsti dal protocollo di intesa Sprar –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda attivare, nell'ambito delle proprie competenze e prerogative, alla luce di quanto esposto in premessa e di quanto dovesse ulteriormente emergere. (4-11696)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   BORGHESE e MERLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia dispone di un'estesa rete di istituzioni scolastiche all'estero di cui la principale in assoluto è rappresentata dai corsi di lingua e cultura italiana ex articolo 636 del decreto legislativo n. 297 del 1994, i quali raggiungono una vastissima utenza. Questi corsi si sono trasformati nel tempo in un dispositivo primario per la diffusione e promozione della lingua e cultura italiana all'estero, grazie anche alla loro capillare presenza a livello mondiale;
   la lingua italiana rappresenta uno strumento indispensabile di promozione culturale, di società, di mobilità e turismo, nonché volano del settore economico. Reggere un'azione di sostegno dell'insegnamento dell'italiano all'estero diviene lungimirante, per raggiungere quell'azione di promozione prima citata;
   i corsi di lingua e cultura italiana all'estero sono stati portati avanti, negli ultimi anni, da istituzioni senza fini di lucro, gli «enti gestori». Ai docenti assunti da questi enti si affiancano docenti di ruolo provenienti dall'Italia. Il controllo è affidato, sotto un'ottica generale, da una parte dalle autorità consolari e dall'altra al dirigente scolastico responsabile per l'area. La collaborazione esplicata tramite gli «enti gestori», prevede in generale la presa in carico totale o parziale degli oneri di docenza, della stessa formazione dei docenti, come anche la fornitura di materiale didattico;
   trattasi non solo di corsi extrascolastici ma in gran parte inseriti, a vario titolo, nelle scuole locali, grazie a specifiche convenzioni sottoscritte dalla rete diplomatico-consolare con le autorità scolastiche del Paese. Processo messo in atto per facilitare l'inserimento dell'italiano nei diversi sistemi d'istruzione;
   una specifica Commissione per la «spending review ha operato nel 2012 per conto del ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ed è entrata nel merito della questione. Questa ha lavorato per un complessivo riordino e per la riqualificazione della spesa, tra cui quella sulla razionalizzazione dei corsi di lingua e cultura italiana all'estero. La Commissione si è avvalsa di elementi informativi sul bilancio della Farnesina sulle sue risorse umane e strutturali, effettuando anche un'analisi comparata rispetto ad altri Paesi europei; i relativi dettami sono stati in gran parte la linea portante dello «spending review» effettuato negli ultimi tre anni nel ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
   la Commissione nelle sue conclusioni, come obiettivo prioritario e d'applicazione immediata, ha raccomandato: «di ridurre il contingente di docenti di ruolo all'estero, operando una graduale sostituzione con docenti assunti localmente; di dedicare le risorse così liberate all'intensificazione delle politiche linguistico-culturali»;
   tutto ciò avrebbe sensibilmente ridotto i costi per i trasferimenti e per le indennità di servizio all'estero e avrebbe offerto anche opportunità di lavoro per giovani laureati qualificati, fatta eccezione per i soli dirigenti scolastici, che avrebbero continuato a svolgere un importante ruolo di vigilanza e coordinamento d'area;
   seguendo le indicazioni in merito alla spending review, si è proceduto ed in maniera accellerata, rispetto ai tempi previsti, ad una progressiva riduzione del contingente scolastico per l'estero e proveniente dall'Italia Piano che, come già stabilito, procederà sino al 2018;
   purtroppo, si sono assunte iniziative in palese contraddizione con le indicazioni della stessa Commissione della spending review, nella parte riguardante la graduale sostituzione con docenti assunti localmente. I fondi, infatti, per i corsi di lingua e cultura italiana all'estero, portati avanti dagli «enti gestori», hanno continuato a subire continui tagli, risultando per alcuni versi i relativi capitoli di bilancio quelli di gran lunga più dissanguati (addirittura, se si considera dal 2008 ad oggi, vi sono stati tagli per oltre il 60 per cento su questi capitoli di spesa);
   la situazione ha determinato un arretramento marcato nella diffusione dell'insegnamento della lingua e cultura italiana in molti Paesi. Partendo dal 2012, cioè da quando è stato stilato il rapporto della Commissione, vi è stata una perdita di studenti frequentanti di circa il 30 per cento sul totale. Dalle seguenti cifre, fornite dallo stesso ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il numero degli alunni dei corsi ex articolo 636 del decreto legislativo n. 297 del 1994, risulta il seguente: nell'anno 2012, 315.953; nell'anno 2013, 296.497; nell'anno 2014, 288.141 (cifra che rappresenta l'ultimo dato statistico fornito nel mese di luglio 2015);
   nel triennio scolastico in questione, quindi, si è avuta una riduzione nel numero degli studenti di ben 27.812 unità, come detto prima, pari a circa il 30 per cento del totale rispetto al 2012/13/14;
   con la legge di stabilità 2016, che è stata approvata a dicembre 2015, si è attuato un consistente taglio, nella misura di quasi il 30 per cento corsi ex articolo 636 del decreto legislativo n. 297 del 1994;
   la realtà mette in luce una situazione del tutto insostenibile, che ha causato un triste e penoso declino dell'insegnamento e promozione della lingua e cultura italiana all'estero. Tutto ciò fa seguito a molte dichiarazioni da parte di importanti esponenti di Governo, che invece considerano l'insegnamento della lingua all'estero una risorsa d'indotto molto importante per l'Italia, un investimento economico strategico;
   i tagli attuati della legge di stabilità 2016, rimarcano e aggravano quella già citata palese contraddizione. Mortificano ulteriormente tantissimi cittadini italiani residenti all'estero di nuova emigrazione, ai quali si aggiungono moltissimi discendenti italiani, veri protagonisti della stessa –:
   quali iniziative intendano adottare in futuro al fine di poter aumentare, appena sarà possibile, la dotazione dei capitoli di spesa relativi alla promozione della lingua e cultura italiana all'estero, rimodulando, i finanziamenti al fine di minimizzare le criticità emerse negli ultimi tempi nel rispetto delle chiare indicazioni date nel 2012 dalla Commissione per la spending review, con riferimento a una graduale sostituzione delle cattedre scoperte, con docenti assunti in loco. (4-11679)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MANTERO, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, GRILLO, CECCONI, DALL'OSSO, SIMONE VALENTE, BATTELLI e DI VITA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Rodriquez cantieri navali, azienda privata italiana tra i principali operatori del settore navale a livello mondiale, tra i leader nella progettazione e produzione di: imbarcazioni veloci per il cabotaggio commerciale (aliscafi e traghetti), barche da diporto e imbarcazioni per la difesa, con cantieri a Messina, Napoli, Pietra Ligure (SV) e Sarzana (SP), è controllato dal Gruppo Immsi, facente parte del progetto autostrade del mare, un gruppo composto dal Cantiere, principale controllante, che aveva anche sede in Messina nel settore aliscafi in alluminio;
   il gruppo comprende, un cantiere Rodriquez sito a Pietra Ligure (SV), settore traghetti veloci, acciaio/alluminio, uffici di progettazione Rodriquez engeneering a Genova, uffici di progettazione e realizzo Rodriquez Marin System nel settore oliodinamica a Pietra Ligure, ed ha tra le controllate, il cantiere CONAM a Pozzuoli (NA) per settore yacht, il cantiere Intermarine a Sarzana (SP), settore militare con scafi in vetroresina, Rodriquez Du Brasil Rio de Janeiro in Brasile e uffici a Miami (USA);
   a distanza di pochi anni, nel 2006, viene aperta la trattativa per la conversione e riduzione delle aree industriali di circa 44 mila metri quadri fronte mare, del sito di Pietra Ligure SV, aprendo un percorso di riduzione del sito industriale e convertendo una quota ad edificabile, per una volumetria di 150 mila metri cubi (di cui circa 50 mila di edilizia abitativa, 16 mila di edilizia alberghiera, 6 mila di edilizia commerciale e il restante suddiviso tra parcheggi sotterranei, box e edilizia portuale), seguendo il percorso del cosiddetto decreto Burlando decreto del Presidente della Repubblica 2 dicembre 1997 n. 509, che pone, tra i tanti vincoli, la riconversione del sito industriale e il mantenimento della forza occupazionale esistente;
   dopo la trattativa e la garanzia da parte dell'azienda di effettuare tutta l'operazione rispettando i vincoli nell'arco di due anni, i lavoratori vengono messi in cassa integrazione ordinaria per ristrutturazione;
   in particolare, dal 17 settembre 2007 al 31 dicembre 2007 C.I.G.O. per ristrutturazione, dal 1o gennaio 2008 al 31 dicembre 2009 C.I.G.S. per ristrutturazione; dal 1o gennaio 2010 al 30 giugno 2013 C.I.G. in deroga per ristrutturazione, dal 1o luglio 2013 al 30 settembre 2013 C.I.G. in deroga per ristrutturazione sospesa, dal 1o ottobre 2013 (viene rifiutata la proposta di trasferimento al cantiere di Sarzana (SP), al 31 dicembre 2013 la C.I.G. in deroga, sospesa, è stata decretata e corrisposta. Dal 1o gennaio 2014 i dipendenti sono stati messi in C.I.G.S. per chiusura;
   l'ultimo accredito viene eseguito il 25 febbraio 2014, riguardo al mese di agosto, un ritardo, dunque, sui pagamenti di ben 8 mesi;
   nel frattempo l'azienda chiude i vari uffici, in ordine: uffici progettazione Rodriquez engeneering a Genova nel 2008, uffici progettazione e realizzo Rodriquez Marin System, il settore oliodinamica di Pietra Ligure (SV) viene ridotto e trasferito a Sarzana (SP), a seguire chiude il cantiere CONAM a Pozzuoli (NA), Rodriquez Du Brasil Rio de Janeiro, del Brasile, gli uffici a Miami (USA) e le attività collaterali;
   il 1o gennaio 2013 vi è una fusione per incorporazione: la Rodriquez, da controllore diviene controllata da Intermarine, la quale da controllata diviene controllore;
   a dicembre 2013, dopo più di 6 anni senza essere giunti alla presentazione di alcun progetto di riconversione, l'azienda decide di attivare la procedura di chiusura del sito, richiedendo per il 2014 la cassa straordinaria per chiusura per 12 mesi con opzione di altri 12 mesi, (decreto n. 81670 del 21 maggio 2014);
   il 22 aprile 2014 arriva la comunicazione dell'attivazione della procedura di messa in mobilità per tutti i dipendenti, successivamente siglata il 26 maggio 2014, presso l'unione Industriali di Savona;
   ancora una volta si parla di sprechi, l'azienda ha scaricato sui contribuenti il peso sociale della cassa in deroga; se si procedesse alla chiusura definitiva, con la firma del Ministro competente, allora l'azienda dovrebbe rifondere allo Stato tutta la cassa integrazione per ristrutturazione indebitamente e falsamente percepita, mentre agli operai andrebbe data la differenza tra cassa e stipendio; perdendo l'azienda anche i requisiti posti dal decreto Burlando, non si profilerebbe più come una riconversione, ma una vera speculazione edilizia;
   ovvero, se invece l'azienda vuole continuare con la riconversione, non può procedure alla chiusura e si deve fare carico della forza lavoro, ancora in essere, che negli anni, con prepensionamento e auto-licenziamento, si è ridotta a 13 unità;
   nell'ottobre 2004, la Rodriquez Cantieri Navali spa viene acquistata dall'IMMSI, società presieduta da Roberto Colaninno, che la controlla attraverso Omniapartecipazioni spa (39,59 per cento) e Omniainvest spa (4,04 per cento);
   da diverse fonti giornalistiche si apprende che il 19 novembre 2007 la finanziaria IMMSI è risultata aggiudicataria all'asta immobiliare indetta dall'Agenzia del demanio, per il valore di 17,4 milioni di euro, di un'area il cui valore era molto più elevato; l'IMMSI iniziò la procedura di conversione e riduzione delle aree industriali ottenendo l'accesso agli ammortizzatori sociali (cassa integrazione ordinaria, poi straordinaria, poi in deroga) per progetto di ristrutturazione; in seguito, nel 2013 viene avviata la procedura di chiusura del sito industriale con conseguente iter di messa in mobilità degli operai che nel frattempo non sono andati in pensione o non si sono licenziati;
   devono trovare considerazione, le osservazioni rilevate in una nota del WWF del 23 marzo 2014, circa la trasformazione urbanistica dei cantieri navali Rodriquez, nella quale si fa presente che:
    a) la «proposta variante al Piano della Costa non è stata sottoposta alla procedura di V.A.S. (valutazione ambientale strategica) in quanto la giunta regionale avrebbe ritenuto sufficiente una sola verifica di assoggettabilità motivando tale decisione dal fatto che tutte le modifiche sono in riduzione, e quindi ragionevolmente migliorative dal punto di vista ambientale», altresì si legge ancora, «si rende obbligatorio e quindi necessario, come nel caso del progetto in questione – sottoposto ad ulteriori verifiche, aggiornamenti e varianti progettuali – svolgere una V.A.S.». La suddetta mancanza violerebbe quanto previsto dalla direttiva 2001/42/CE e dal codice dell'ambiente riguardo all'obbligo di sottoporre a valutazione ambientale strategica tutti i piani e i programmi che abbiano rilevanti incidenze sull'ambiente, nonché con la vigente normativa regionale e gli indirizzi di applicazione;
    b) la realizzazione della nuova opera portuale rischierebbe alcune centinaia di migliaia di metri cubi di materiale tra terra e pietrame da scaricare in mare, come si legge nell'ultima versione progettuale relativa al progetto definitivo. Ciò impatterebbe sulla biodiversità in ambito marino dovuti all'attività di realizzazione delle opere costiere;
    c) nel procedimento condotto riguardo alla caratterizzazione naturalistica dei fondali interessati dall'ipotesi progettuale, non sarebbero state prese in specifica considerazione gli impatti negativi prodotti su le componenti ambientali indicate nella cartografia tematica regionale;
    d) vista la notevole vicinanza dell'opera portuale turistica di Loano oggetto di profonde erosioni costiere, si ritiene che gli studi effettuati siano carenti e che sia necessaria una profonda rivisitazione attraverso una procedura di valutazione ambientale strategica ad ampio spettro;
   altresì, il WWF in una precedente osservazione del 25 gennaio 2011, fa presente che la richiesta di concessione demaniale marittima, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 509 del 1997, per costruire un porto turistico, presentata dall'ingegnere Marco Ragazzini amministratore delegato pro tempore Società cantieri navali Rodriquez spa, pubblicata sul BURL n. 31 del 2 agosto 2006, appare viziata da criticità riscontrate nel procedimento di richiesta di concessione demaniale:
    il procedimento è inadeguato a garantire la pubblicità prescritta dal legislatore europeo, essendo la pubblicazione dell'istanza di concessione limitata addirittura al Comune nel quale è situato il bene demaniale;
    in considerazione della prevalenza del diritto comunitario su quello interno, non sussistono i presupposti per fondare l'obbligo dell'amministrazione di dar corso all'istanza di concessione presentata dalla società in questione;
    infine, essendo l'area interessata dal progetto risulta vincolata a livello paesaggistico dalla ex legge Galasso, si è rilevata una carente documentazione circa gli aspetti vincolistici di carattere paesistico-ambientale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tutto quanto in premessa;
   come sia stato possibile finanziare per oltre 6 anni con denaro pubblico (cassa integrazione) un progetto privato che non ha rispettato le indicazioni iniziali, passando dalla ristrutturazione alla chiusura dell'azienda;
   se non ritenga di assumere iniziative perché si accerti se sussistessero presupposti per la concessione della cassa integrazione per la ristrutturazione e, qualora mancassero, se non intenda verificare se possano essere recuperate le somme erogate, fatti salvi i diritti dei lavoratori;
   se ritenga opportuno che in una situazione di chiusura dell'azienda, siano ancora attive altre concessioni demaniali;
   se il Ministro interrogato, non ritenga necessario prevedere degli accertamenti degli atti amministrativi e delle procedure per garantire la linearità e la trasparenza di tutti i passaggi del complesso iter avviato e, in parte, ancora da concludere, in riferimento all'asta immobiliare indetta dall'Agenzia del demanio per il valore di 17,4 milioni di euro, nella quale il 19 novembre 2007 la succitata IMMSI di Colaninno è risultata aggiudicataria, sdemanializzando un'area dal valore ambientale e turistico così importante per un prezzo esiguo, e senza che nessun ente abbia esercitato il diritto di prelazione;
   se e quali misure si potrebbero adottare per garantire il totale reimpiego della residua forza occupazionale, adottando iniziative dirette ad ottenere la restituzione di quanto indebitamente percepito dalla proprietà in conseguenza di eventuali irregolarità nella gestione degli ammortizzatori sociali;
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario, dopo ripetute richieste, assumere informazioni in merito alla bonifica dell'amianto presente sul sito, considerato che a causa delle intemperie si sfalda disperdendosi nell'ambiente. (5-07394)

Interrogazione a risposta scritta:


   VACCARO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 26 del decreto legislativo n. 151 del 2015 («Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183»), il legislatore ha introdotto una nuova procedura da seguire per la presentazione, da parte del lavoratore, delle dimissioni nelle mani del datore di lavoro e la risoluzione consensuale del sotteso rapporto di lavoro intrattenuto;
   l'applicazione di tale procedura è stata subordinata (cfr. articolo 26, comma 3) all'entrata in vigore del decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (decreto 15 dicembre 2015 pubblicato sulla G.U. n. 7 del 11 gennaio 2016) che ha individuato, oltre ai dati di identificazione del rapporto di lavoro da cui si intende recedere o che si vuole risolvere e i dati di identificazione del datore di lavoro e del lavoratore, soprattutto – per quanto d'odierno specifico interesse – le modalità di trasmissione della predetta domanda;
   il legislatore (ai sensi del medesimo articolo 26, comma 1) ha previsto, tra l'altro, che l'anzidetta domanda di dimissioni e risoluzione consensuale del rapporto di lavoro potrà e dovrà essere formalizzata, a pena di inefficacia, esclusivamente con le modalità telematiche previste dal suddetto decreto ministeriale, su appositi moduli resi disponibili attraverso il sito www.lavoro.gov.it;
   all'esito della lettura del combinato disposto dell'articolo 26 del decreto legislativo n.151 del 2015 in uno al decreto ministeriale 15 dicembre 2015, diversamente da quanto sarebbe stato lecito attendersi tenuto conto della predetta rubrica («Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione (...)»), deve rilevarsi come, prima che possa essere in condizione di formalizzare le proprie dimissioni attraverso il modulo reso disponibile sul sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali un qualsiasi lavoratore dovrà necessariamente:
    (i) registrarsi presso il sito cliclavoro.gov.it e ottenere una username e una password d'accesso;
    (ii) registrarsi al sito dell'INPS e conseguire il PIN personale. Operazione che richiede qualche giorno di tempo, posto che, dopo la registrazione, parte della password d'accesso viene trasmessa all'utente a mezzo posta raccomandata;
    (iii) compilare un modello telematico con i propri dati, i dati del datore di lavoro e i dati del rapporto di lavoro;
    (iv) inviare il tutto al sistema informatico SMV, il quale fornisce il codice alfanumerico attestante il giorno e l'ora in cui il modulo è stato trasmesso dal lavoratore;
   in alternativa, anziché farsi carico di tale mole di ingenti adempimenti, il lavoratore interessato potrà avvalersi di un soggetto abilitato (e intermediario) da scegliere alternativamente tra il patronato, l'organizzazione sindacale, un ente bilaterale, le commissioni di certificazione (ex articolo, 76 del decreto legislativo n. 276 del 2006), con tutto ciò che ne consegue, in favore di tali soggetti, in termini di vantaggi economici diretti e immediatamente conseguibili. Sotto tale profilo si rileva altresì l'esclusione dei consulenti del lavoro dall'elenco dei soggetti abilitati a prestare assistenza, nonché la non messa a disposizione del servizio attraverso i centri per l'impiego e le stesse direzioni territoriali del lavoro;
   alla luce delle considerazioni che precedono, le asserite finalità di semplificazione perseguite dal legislatore attraverso la disciplina introdotta con l'articolo 26 del decreto legislativo n. 151 del 2015, risultano – a ben vedere – vanificate dalle disposizioni attuative ministeriali che, lungi dal facilitare il lavoratore nella presentazione della propria domanda di dimissioni, non fanno altro che aggravare (tanto a livello informativo, quanto a livello burocratico) la serie di adempimenti da porre in essere al fine di conseguire il risultato desiderato e, si badi, rientrante nella sfera dei diritti del soggetto che intende esercitarli;
   le disposizioni di cui all'articolo 26 del decreto legislativo n. 151 del 2015 troveranno applicazione a far data dal sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto ministeriale –:
   se e quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per semplificare realmente la procedura telematica elaborata nel caso di specie, scongiurando in tal modo che i soggetti interessati possano vedersi costretti a seguire un iter di assai difficile attuazione, oltre che di complessa intelligibilità, se si considera che tale procedimento – a pena d'inefficacia – dovrà essere seguito da parte di chiunque voglia formalizzare le proprie dimissioni, a prescindere dall'età anagrafica del richiedente;
   se l'introduzione di tale regime non rischi di favorire – ancorché indirettamente un «mercato delle dimissioni» costringendo quanti sono a digiuno da qualsivoglia conoscenza telematica ad affidarsi a soggetti terzi (da cui sono peraltro inspiegabilmente esclusi i consulenti del lavoro), cui versare un compenso, al fine di ottenere il risultato auspicato. (4-11682)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FREGOLENT, AMATO, BARUFFI, BONOMO, BRAGA, CARLONI, CIMBRO, CRIVELLARI, D'INCECCO, DAL MORO, MARCO DI MAIO, DI SALVO, FANUCCI, GADDA, GIORGIS, GRIBAUDO, GIUSEPPE GUERINI, IACONO, IORI, LODOLINI, MALISANI, MALPEZZI, MANFREDI, MANZI, MARANTELLI, MONGIELLO, MORANI, MORETTO, MURA, PIAZZONI, SALVATORE PICCOLO, ROMANINI, SENALDI, SGAMBATO, TARICCO e VICO. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo il 49o rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese sono 3.167.000 (il 5,5 per cento della popolazione) i non autosufficienti in Italia. Tra questi, le persone con non autosufficienza grave, in stato di confinamento, costretti quindi in via permanente a letto, su una sedia o nella propria abitazione per impedimenti fisici o psichici, sono 1.436.000;
   si tratta di dati che hanno anche gravi risvolti sociali ed economici non solo per la finanza pubblica: per fronteggiare questa grave situazione infatti il 50,2 per cento delle famiglie con una persona non autosufficiente ha a disposizione risorse scarse o insufficienti. Per fronteggiare il costo privato dell'assistenza ai non autosufficienti 910.000 famiglie italiane si sono dovute «tassare» e 561.000 famiglie hanno utilizzato tutti i propri risparmi, si sono indebitate o sono state costrette a vendere beni immobili;
   la maggior parte dei cittadini non autosufficienti del nostro Paese sono anziani: dai recenti dati emersi dal «5o rapporto – L'assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia» sono circa 2,5 milioni gli anziani che hanno limitazioni funzionali che li rende parzialmente o totalmente non autonomi;
   si tratta di cifre destinate ad aumentare nel corso dei prossimi anni: se ad oggi infatti oltre il 21 per cento della popolazione italiana ha oltre 65 anni (13,2 milioni di anziani in termini assoluti) di cui la metà con oltre 75 anni, il progressivo invecchiamento della società raggiungerà il suo picco soltanto nella decade 2050-2060;
   l'assistenza sanitaria e socio-assistenziale degli anziani non autosufficienti rappresenta quindi una delle grandi sfide che la società italiana si trova ad affrontare;
   in questo contesto va puntualizzato come l'Italia sia ancora in ritardo, rispetto agli altri Paesi europei e non, rispetto ai servizi pubblici rivolti agli anziani (ed in particolare al cosiddetto « Longterm Care – Ltc»: appropriata assistenza continuativa); basta infatti pensare alle riforme fatte in Germania (assicurazione obbligatoria sulla non autosufficienza), Francia (sussidio personalizzato per l'autonomia), Spagna (promozione dell'autonomia personale), Regno Unito («Care Act»). Tra i grandi Paesi europei l'Italia è quindi l'unico a non aver riorganizzato in maniera organica il suo sistema di continuità assistenziale negli ultimi 30 anni;
   in caso di non autosufficienza il principale intervento considerato è l'assistenza domiciliare integrata (Adi) fornita dalle aziende sanitarie locali (Asl) che ha l'obiettivo di assicurare un insieme integrato di trattamenti sanitari e sociosanitari, erogati a casa della persona non autosufficiente. La copertura del servizio, benché teoricamente assicurata su tutto il territorio nazionale, risente ancora di una forte frammentazione territoriale, solo parzialmente colmata negli ultimi anni. Secondo alcuni recenti dati infatti solamente il 5 per cento degli anziani invalidi usufruirebbe di servizi di assistenza domiciliare pubblica;
   tale opzione non ha solamente benefici sociali e terapeutici per i pazienti (accuditi in un ambiente familiare) ma anche risvolti positivi per le finanze pubbliche: l'importo delle prestazioni domiciliari sono infatti di gran lunga meno onerose delle stesse praticate in un'apposita struttura residenziale (mediamente 25 euro contro 50 euro);
   gli anziani non autosufficienti che ricevono prestazioni domiciliari, avendo la necessità in molti casi di essere assistiti 24 ore al giorno, vengono accuditi molto spesso anche da personale (badanti o familiari) non «professionista». Tale personale si occupa di prestazioni definite «di assistenza tutelare alla persona» che comprendono comunque anche interventi di natura sanitaria (come ad esempio medicazioni semplici, iniezioni o flebo). Fino ad oggi le regioni potevano erogare finanziamenti per le cure domiciliari di lunga assistenza anche per le prestazioni erogate da personale non professionale;
   il Consiglio di Stato con la sentenza n. 05538/2015 (smentendo peraltro quanto deciso precedentemente dal Tar del Piemonte) ha sancito che non spetta al sistema sanitario regionale coprire i costi per le prestazioni socio-assistenziali a domicilio dal momento che tali prestazioni non rientrano nei Lea (livelli essenziali di assistenza) stabiliti a livello nazionale e soprattutto quando le regioni interessate sono sottoposte ai «Piani di rientro»;
   il tavolo tecnico congiunto tra Ministero dell'economia e delle finanze e Ministero della salute relativo alla spesa sanitaria regionale ha infatti disposto che dal primo gennaio 2014 le asl non potessero più iscrivere a bilancio risorse per prestazioni aggiuntive oltre i lea previsti a livello nazionale; le prestazioni non professionali di assistenza tutelare alla persona sono infatti attualmente al di fuori di tale categoria;
   moltissimi utenti saranno quindi obbligati a pagare ulteriori quote elevate di compartecipazione alle spese per sanità e servizi sociali locali;
   la Corte costituzionale ha ribadito, in numerose occasioni, come la tutela della salute, pur essendo condizionata dalle esigenze di finanza pubblica e da altri interessi costituzionalmente protetti, garantisce in ogni caso un «nucleo irriducibile» di diritti garantiti dalla Carta, come ambito inviolabile della dignità umana;
   in particolare nella sentenza n. 36 del 2013 la Corte Costituzionale ha precisato che «l'attività sanitaria e socio-sanitaria a favore di anziani non autosufficienti è elencata tra i livelli essenziali di assistenza sanitaria dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001» (decreto che definiva i Lea). Nella stessa sentenza la Corte Costituzionale ha definito non autosufficienti le «persone anziane o disabili che non possono provvedere alla cura della propria persona e mantenere una normale vita di relazione senza l'aiuto determinante di altri»;
   un finanziamento adeguato per garantire la reale e continua assistenza sanitaria e socio-sanitaria domiciliare, semiresidenziale e residenziale delle persone non autosufficienti, peraltro presente nei lea, è stata richiesta nel corso degli anni da numerose cittadini, associazioni di malati, da onlus, da enti locali, anche attraverso petizioni popolari;
   appare quindi evidente che l'obiettivo sia quello di riuscire a soddisfare la crescente complessità dei bisogni degli anziani non autosufficienti con adeguati interventi da parte del sistema sanitario e di protezione sociale, facendo quadrare allo stesso tempo i conti pubblici;
   un obiettivo che sembra condiviso dallo stesso Governo. Il Sottosegretario di Stato alla salute, Vito De Filippo, rispondendo alla Camera dei deputati alla interrogazione n. 5-03543 il 12 novembre 2014 ha infatti dichiarato: Il «Ministero della salute è consapevole della rilevanza e della ineludibile necessità di garantire e potenziare l'assistenza sanitaria territoriale, ed in particolar modo, quella rivolta alle persone non autosufficienti, atteso che è oramai comunemente condivisa la centralità di un approccio multidisciplinare, integrato con prestazioni sociali, ed erogato in regimi assistenziali alternativi al ricovero ospedaliero. Tuttavia, l'attuale offerta socio-sanitaria territoriale, sia essa domiciliare che residenziale e semiresidenziale, è ancora disomogenea nel territorio nazionale, ed è maggiormente critica in quelle realtà regionali che patiscono un grave disavanzo economico e che il Ministero della salute sta sostenendo attraverso la sottoscrizione dei Piani di rientro. Per tale motivo il Ministero della salute, in accordo con le regioni, ha avviato, negli ultimi anni, una serie di attività volte a sostenere e monitorare l'implementazione e la qualità dell'assistenza agli anziani non autosufficienti, che di seguito si descrivono nei loro elementi essenziali»;
   lo stesso Sottosegretario ha inoltre aggiunto: «Emerge nelle regioni in disavanzo una scarsa offerta di assistenza territoriale, sia ambulatoriale che domiciliare e residenziale, che ha come conseguenza l'elevata inappropriatezza di molti accessi al pronto soccorso e di molti ricoveri di persone anziane e/o affette da patologie cronico-degenerative. Per tale motivo, i piani di rientro prevedono anche azioni di riorganizzazione delle attività sanitarie e socio-sanitarie, soprattutto per quanto riguarda: il potenziamento della rete territoriale, del ruolo dei distretti e delle unità di cure primarie, delle cure domiciliari (adozione di linee guida omogenee sul territorio); la ridefinizione e riorganizzazione della rete delle strutture extraospedaliere residenziali e semiresidenziali (nei termini di quota di posti letto, accreditamento, linee guida sui percorsi di cura, ruolo delle asl e delle Unità di Valutazione Multidisciplinare). Da ultimo, si rappresenta che il nuovo Patto per la salute 2014-2016, sancito con Intesa tra Governo, regioni e province Autonome il 10 luglio 2014, stabilisce all'articolo 1, comma 3, che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri si provveda, entro il 31 dicembre 2014, all'aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica. Per tale motivo, è stato attivato un gruppo di lavoro composto dai rappresentanti del Ministero della salute e del Ministero della economia e delle finanze, delle regioni e dell'agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, appositamente dedicato alla revisione dell'assistenza socio-sanitaria e delle prestazioni in essa incluse, che devono essere garantite dal servizio sanitario nazionale» –:
   a quali conclusioni sia giunto il gruppo di lavoro sopracitato dedicato «alla revisione dell'assistenza socio-sanitaria e delle prestazioni in essa incluse, che devono essere garantite dal Servizio Sanitario Nazionale»;
   quale sia posizione del Governo, in relazione a quanto esposto in premessa, e in particolare sulla opportunità di inserire tra i lea le prestazioni non professionali di assistenza tutelare alla persona, al fine di garantire pienamente i principi presenti nella Costituzione, migliorare la situazione degli anziani non autosufficienti e sostenere conseguentemente i nuclei familiari coinvolti;
   se il Governo non ritenga necessario promuovere, come già accaduto negli altri Paesi europei, un «longterm care», proprio in relazione al repentino invecchiamento della popolazione residente. (5-07387)


   COLONNESE, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, BARONI, DI VITA, GRILLO e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   una ragazza di 19 anni, Gabriella Cipolletta, è morta il 12 gennaio all'ospedale Cardarelli di Napoli dopo essersi sottoposta a un aborto volontario. La giovane non sapeva ancora di essere incinta ed avrebbe appreso la notizia in seguito all'inizio di una cura per una micosi cutanea. Sarebbe stato il suo medico a consigliarle l'interruzione della gravidanza dopo l'assunzione di un farmaco per la cura: questo per evitare eventuali malformazioni del feto. La giovane sarebbe deceduta in sala operatoria a causa di un'emorragia nonostante le fosse stata praticata una trasfusione con quattro sacche di plasma. Dal Cardarelli spiegano che le procedure sono state tutte corrette e che l'indagine interna chiarirà ogni dettaglio. La famiglia, intanto, ha affidato a un avvocato di fiducia il compito di sporgere denuncia per poter essere parte attiva nel corso delle indagini e poter seguire da vicino gli sviluppi legali della vicenda;
   secondo i dati pubblicati dal Ministero della salute, relazione del Ministro della salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria di gravidanza del 2014 (dati 2012/2013), si evincono valori elevati di obiezione di coscienza, specie tra i ginecologi (69,6 per cento, cioè più di due su tre) con una tendenza alla stabilizzazione, dopo un notevole aumento negli anni a livello nazionale, si è passati dal 58,7 per cento del 2005, al 69,2 per cento del 2006, al 70,5 per cento del 2007, al 71,5 per cento del 2008, al 70,7 per cento nel 2009, al 69,3 per cento nel 2010 e 2011 e al 69,6 per cento nel 2012. Tra gli anestesisti la situazione è più stabile con una variazione da 45,7 per cento nel 2005 a 50,8 per cento nel 2010, 47,5 per cento nel 2011 e 2012. Per il personale non medico si è osservato un ulteriore incremento, con valori che sono passati dal 38,6 per cento nel 2005 al 45,0 per cento nel 2012. Si osservano notevoli variazioni tra regioni. Percentuali superiori all'80 per cento tra i ginecologi sono presenti principalmente al Sud: 90,3 per cento in Molise, 89,4 per cento in Basilicata, 87,3 per cento provincia autonoma di Bolzano, 84,5 per cento in Sicilia, 81,9 per cento nel Lazio, 81,8 per cento in Campania e 81,5 per cento in Abruzzo. Anche per gli anestesisti i valori più elevati si osservano al Sud (con un massimo di 78,3 per cento in Molise, 77,4 per cento in Sicilia, 71,5 per cento nel Lazio e 71,3 per cento in Calabria). Per il personale non medico i valori sono più bassi e presentano una maggiore variabilità, con un massimo di 90,1 per cento in Molise e 80,9 per cento in Sicilia. Nei fatti questi numeri dimostrano quanto il diritto della donna ad abortire sia ostacolato in diversi modi a seconda della regione di residenza. Inoltre, una forte sperequazione tra medici obiettori e non obiettori, a favore dei primi, introduce delle forti criticità come le lunghe liste di attesa, che costringono chi ha necessità di abortire, ad aspettare per un turno che può non arrivare mai. Persino nelle grandi città ci sono strutture che hanno solo uno o due ginecologi non obiettori. A Roma, ad esempio, nei 7 ospedali che eseguono aborti terapeutici, gli «abortisti» sono in media 2. Al Secondo Policlinico di Napoli, appena 3 su 60;
   in base al progetto pilota di «sorveglianza della mortalità materna», coordinato dall'Istituto superiore di sanità in sei regioni, tra cui anche la Campania, è emerso che tra le regioni partecipanti, la Campania ha il rapporto di mortalità materna più alto, 13,4 ogni centomila nati vivi. Le morti rilevate in due anni attraverso la sorveglianza attiva sono in tutto 39 e la maggior parte è insorta a seguito di complicanze ostetriche della gravidanza e del parto, mentre le altre per complicazioni di patologie preesistenti. Due donne su 10 sono morte a seguito di un'emorragia ostetrica che rappresenta la prima causa di mortalità e grave morbosità materna in Italia;
   secondo il progetto pilota, per quanto riguarda l'emorragia ostetrica, che rappresenta la prima causa di mortalità materna, l'Istituto superiore di sanità ha offerto ad oltre 5 mila operatori sanitari (medici e ostetriche) una formazione a distanza sulla prevenzione, diagnosi e trattamento delle emorragie del post-partum. È stato inoltre attivato uno studio sugli eventi morbosi materni gravi (near miss) da emorragia del post-partum per ampliare la casistica sugli eventi gravi relativi al parto e analizzare in maniera ancor più approfondita le criticità assistenziali o organizzative oltre che facilitare l'aggiornamento dei professionisti. Per la buona riuscita dell'attività di sorveglianza è fondamentale che tutti i professionisti che possono essere coinvolti nell'assistenza delle donne presso i presidi sanitari siano al corrente dello svolgimento del progetto e ne conoscano la metodologia;
   in Campania che è la regione dove più si muore di parto e per problemi legati alla sfera ostetrica, è accaduto anche che nel 2016 una ragazza di vent'anni perda la vita per un aborto;
   il giorno 11 giugno 2013 è stata approvata la mozione a prima firma Lorefice n. atto 1/00078 che impegna il Governo a garantire il rispetto della legge n. 194 del 1978 su tutto il territorio nazionale, e in particolare quanto previsto dall'articolo 9, nonché la sua piena applicazione, a tutela dei diritti e della salute delle donne; nonché ad assumere iniziative con le amministrazioni regionali allo scopo di istituire tavoli di monitoraggio a livello locale, anche con la partecipazione di rappresentanti di associazioni per la tutela della salute delle donne, per verificare l'attuazione della legge n. 194 del 1978, allo scopo di avere dati periodici e certi, in particolare sul numero dei consultori sul territorio, nelle loro attività, sulla formazione degli operatori presenti nei consultori, nelle strutture ospedaliere che effettuano interruzione volontaria di gravidanza, sul numero di operatori coinvolti nell'interruzione volontaria di gravidanza per ogni struttura ospedaliera, sul numero delle strutture nelle quali non si effettuano attività di interruzione volontaria di gravidanza –:
   se il Ministro interrogato sia consapevole della gravità della situazione e in che modo si stia attivando per accertare ogni possibile causa di tale decesso, in modo da fornire ogni risposta dovuta alle famiglie colpite da questa come da altre terribili perdite, e assumere le iniziative necessarie affinché tali eventi non capitino nuovamente;
   se per l'episodio descritto in premessa il decesso non sia dovuto a un deficit di organico e se il personale sanitario presente in numero adeguato e se lo sia sempre nel caso di interventi programmati come interruzione volontaria di gravidanza secondo quanto dettano le linee guida nazionali dell'Istituto superiore di sanità;
   se, nel caso specifico dell'ospedale Cardarelli, e in generale negli altri presidi sanitari, i professionisti coinvolti nell'assistenza delle donne siano al torrente dello svolgimento del progetto «sorveglianza della mortalità materna» descritto in premessa e ne conoscano e ne applichino la metodologia;
   se il Ministro non consideri necessario ed urgente intervenire per implementare il progetto di sorveglianza attiva di cui in premessa in modo da ottenere un quadro della situazione completo, che monitori tutte le regioni italiane anche e soprattutto per quanto riguarda l'emorragia ostetrica che è la prima causa di mortalità per problemi legati alla sfera ostetrica;
   come intenda intervenire, per quanto di competenza, onde superare i disservizi sanitari che ostacolano la corretta applicazione della legge n. 194 del 1978.
(5-07388)


   MANTERO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, GRILLO e DI VITA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di giornale è ormai noto che il nuovo farmaco contro l'epatite C, il sofosbuvir, dovrà avere un costo nettamente inferiore in India rispetto al costo previsto in alcuni Paesi occidentali;
   infatti, il farmaco che in Italia, dopo gli accordi tra l'azienda produttrice, l'americana Gilead, e l'Aifa, costerà circa (mille dollari) 800 euro, per gli indiani avrà il valore economico di un dollaro a pillola;
   un prezzo assurdo, se si pensa che il farmaco non può salvare la vita di tutti;
   il motivo, da quanto si apprende, sarebbe che l'ufficio brevetti di Delhi ha appena respinto la richiesta di registrazione del medicinale, presentata dall'azienda, perché non lo ritiene sufficientemente innovativo e potrà produrlo come generico (senza pagare royalty);
   con gli stessi principi attivi e senza il marchio Gilead, si rivela la soluzione migliore per abbattere così i costi e dar modo a tutti i malati di curarsi, visto che in India l'epatite C ha una diffusione altissima;
   alcuni articoli di stampa parlano infatti di «un'interessante trovata per ovviare ai costi esorbitanti delle nuove terapie, insopportabili per molti sistemi sanitari e soprattutto per il Subcontinente dove l'infezione da virus dell'epatite C è, come già detto, diffusissima (chiamano “Killead”, da kill, uccidere, la Gilead perché ostacola, con la sua politica, l'accesso ai farmaci)»;
   una guerra, quella sull'accordo dei prezzi dei nuovi medicinali che coinvolge tutti i Paesi, tutto il mondo;
   negli altri Paesi si sta cercando di attuare manovre e soluzioni alternative al fine di mettere in vendita la pillola a prezzi accessibili a tutti;
   nel nostro Paese, la «guerra» dovrebbe essere condotta dall'Aifa, che in merito al farmaco sofosbuvir, ne ha dato il via libera in Italia, negoziando sconti sulle terapie che, per accordi con l'azienda, non sono stati resi pubblici (negli Usa il prezzo di un ciclo di terapia è di 84 mila dollari, mentre in Italia di circa 40 mila euro); di certo il Governo ha stanziato un miliardo di euro per queste terapie per la cura di una parte dei pazienti;
   una cifra che purtroppo non è sufficiente a coprire il fabbisogno italiano: un costo così elevato può permettere solo a 50.000 malati di curarsi contro il milione e mezzo che ne ha urgente bisogno;
   si potrà dare precedenza solo ai casi più gravi, considerando il costo di una pillola e che il ciclo standard di cura è di 12 settimane; la cura completa ammonterebbe ad un totale di circa 60 mila euro;
   si tratta di una serie di incongruenze, perché oltre all'eccessivo costo del farmaco, rilevato dall'ufficio brevetti indiano, si apprende da altri articoli di stampa che «in occasione della 67a Assemblea mondiale per la salute, l’European aids treatment group aveva denunciato come il Sofosbuvir, approvato dall'Ema (European Medicines Agency) nel novembre 2013 e dalla Fda (Food and Drug Administration) nel dicembre dello stesso anno, avrebbe potuto essere prodotto a 68 dollari a terapia, piuttosto che gli 84 mila cui è attualmente venduto» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della questione esposta in premessa e se non ritenga opportuno verificare se effettivamente il farmaco in commercio possa essere prodotto ad un costo inferiore, così da costare molto meno al sistema sanitario italiano, e, far sì che l'AIFA riveda gli accordi presi con l'azienda produttrice Gilead. (5-07392)


   MANTERO, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, GRILLO, CECCONI, DALL'OSSO e DI VITA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da diversi articoli di giornale si apprende l'ultimo atto di corruzione che vede coinvolti i medici – pediatri che influenzavano le donne a non allattare e dare, in sostituzione, ai bambini, il latte in polvere privandolo delle straordinarie proprietà contenute nel latte naturale;
   a Pisa vi era la promozione della prima confezione in regalo;
   tra le marche di latte artificiale più venduti il: «buono bebé» di Mellin, Dmf (Dietetic Metabolic food) e Humana Italia, diventati ormai una prassi;
   solo qualche giorno fa, i Nas e i magistrati di Pisa hanno arrestato per corruzione ben diciotto persone, dodici medici pediatri, tra i quali due primari, e altre sei persone, informatori scientifici e un dirigente di un'azienda specializzata in alimenti per l'infanzia, tra i medici arrestati in particolare vi sono i primari Stefano Parmigiani, 57 anni, dirigente dell'ospedale Sant'Andrea della Spezia e Roberto Bernardini, 57 anni, residente a Calcinaia (Pisa), dirigente dell'ospedale San Giuseppe di Empoli (Firenze);
   secondo il sostituto procuratore Giovanni Porpora e il Giudice per le indagini preliminari Guido Bufardeci, i medici ricevevano, in cambio della «sponsorizzazione», benefit di elevato volere economico, anche di migliaia di euro, e, di vario genere, da climatizzatori a viaggi in alberghi, tv, elettrodomestici, tablet e smartphone;
   medici pediatri che vanno contro l'etica della professione, sono in prima classe tra coloro che condizionano il mercato, che alimentano le paure, i bisogni, sfruttano le nevrosi degli soggetti ipocondriaci che sentono la necessità di curarsi anche se stanno bene, oltre che somministrare farmaci noti e pubblicizzati a dispetto della semplice molecola, limitando i pazienti dalla libertà di acquistare il farmaco più opportuno e, soprattutto meno costoso;
   un malcostume che non sarà un'esclusiva delle professioni sanitarie, ma sicuramente è un fenomeno diffuso che vede come premio «il turismo congressuale» tutto a spese delle case farmaceutiche;
   a livello europeo si è cercato di limitare le sponsorizzazioni, di fermare un fenomeno che non coinvolge solo l'Italia, creando un consorzio che regolamenta il traffico prevedendo l'attribuzione di un bollino solo agli eventi scientificamente rilevanti;
   esiste, infatti, una convenzione internazionale approvata nel 1981 dall'Assemblea mondiale della sanità, il Codice internazionale sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno, nata perché uno dei principali ostacoli all'allattamento al seno era, ed è rappresentato dalle assurde politiche di marketing avviate dalle ditte produttrici di alimenti per l'infanzia, che effettuano campagne pubblicitarie rivolte alle famiglie e soprattutto agli operatori sanitari (attraverso, appunto, donazioni di materiale e forniture di latte in polvere per i servizi ospedalieri);
   dal 1996 l'Italia ha recepito una direttiva europea e ha aderito (allora con qualche riserva) al Codice internazionale sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno;
   da allora si sono susseguiti decreti ministeriali nel 2005 (decreto ministeriale n. 46 del 2005) e nel 2009 (decreto ministeriale n.  82 del 2009), che hanno avvicinato la normativa italiana a quella degli altri Paesi aderenti al Codice, anche se fino a maggio 2011 non erano ancora previste sanzioni per le violazioni, ovvero, non erano state recepite;
   mentre la normativa vigente vieta esplicitamente «la pubblicità di alimenti per bambini di età compresa tra 0 e 6 mesi, che possono essere reclamizzati, invece, su riviste dedicate agli operatori sanitari solo a patto che abbiano carattere scientifico e riportino notizie basate su informazioni chiaramente documentate. È in ogni caso vietato offrire campioni omaggio» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della questione in premessa e intenda assumere iniziative normative urgenti per porre un ulteriore freno alle cosiddette «sponsorizzazioni», attraverso un controllo più serrato delle attività dei medici pediatri, e, dei rapporti tra questi e le case farmaceutiche;
   se non ritenga opportuno il Ministro interrogato assumere un'iniziativa normativa affinché i medici siano obbligati ad indicare nelle ricette mediche il nome della molecola (qualora esista il generico) e non il farmaco pubblicizzato, onde evitare i suddetti fenomeni;
    se il Ministro interrogato voglia avviare una campagna informativa per promuovere l'uso e i vantaggi del latte materno. (5-07393)


   MANTERO, CECCONI, DALL'OSSO, GRILLO, LOREFICE, DI VITA e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi mesi si è abituati a leggere notizie di stampa che evidenziano accordi a vario titolo di «cartello» nel settore farmaceutico, prezzi elevati dei farmaci e distribuzione di farmaci non sicuri da parte delle aziende farmaceutiche;
   in particolare, vi sono i farmaci antitumorali, una vera e propria ricchezza e risorsa per queste aziende, per i quali la «materia prima aumenta fino ad un milione di volte quando diviene farmaco per il paziente con un incasso nella filiera della produzione/distribuzione enorme che mal si concilia con la necessità obbligata per pazienti con problematiche cliniche al limite della vita», questo è quanto afferma Domenico De Felice, medico, opinionista di sanità sociale in un post personale;
   purtroppo, è un dato di fatto che le aziende farmaceutiche più producono, più esportano, e questo esportare non fa che lasciare l'Italia priva di medicinali; si tratta di un circolo vizioso che riguarda tanti, troppi, farmaci che con una regolarità spaventosa, e preoccupante, finiscono all'estero svuotando le farmacie italiane;
   ovviamente, i medicinali sui quali maggiormente si cerca il profitto sono i medicinali più innovativi, ad elevato valore terapeutico e quelli che non hanno un equivalente alternativo;
   un meccanismo dovuto alla normativa dell'Unione europea che ha disciplinato le esportazioni parallele ed al provvedimento del Governo del 2006 che ha dato la possibilità alle farmacie di essere anche grossisti;
   l'ennesima dimostrazione è arrivata qualche giorno fa e riguarda un antitumorale scomparso dal mercato italiano per molto tempo, il Leukeran dell'Aspen, il farmaco «nascosto» all'Italia, ad uso umano adoperato nel trattamento di lin- fomi non-Hodgkin e di adenocarcinomi ovarici, la cui distribuzione in Italia costava 7,13 euro la confezione da 25 cpr rivestite da 2 mg, ma che veniva esportato all'estero, dove l'incasso, e quindi il costo per il cittadino, era maggiore, oppure, veniva venduto online a costi ancora più elevati ma privi di sicurezza e controlli;
   fatto sta che dal 1o aprile 2014 è stata, ammessa la rinegoziazione, del medicinale per uso umano «Leukeran (clorambucile)» ai sensi dell'articolo 8, comma 10, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, al prezzo al pubblico (IVA inclusa) di euro 94,95, soggetto a prescrizione medica da rinnovare volta per volta (RNR);
   dunque il costo della stessa confezione è aumentato da 7,13 euro a 94,95, anche se, essendo in classe A, è a totale carico dello Stato con eventuale ticket;
   ovviamente ci si chiede perché sia aumentato così tanto il costo se la molecola è la stessa, e dunque l'azienda non ha dovuto fare nessun esborso aggiuntivo per gli studi clinici e per l'autorizzazione alla immissione in commercio che risale al 2000 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto in premessa ovvero dei costi aggiuntivi che i cittadini italiani hanno in sanità senza alcuna giustificazione, e se non ritenga opportuno fornire chiarimenti che giustifichino il suddetto aumento considerando che il medicinale in questione è stato fuori mercato solo per alcuni mesi;
   se il Ministro interrogato intenda interpellare l'Aifa per comprendere cosa sia avvenuto in sede di approvazione della rinegoziazione del costo del farmaco in data 17 marzo 2014. (5-07396)


   MANTERO, BRESCIA, GRILLO, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, CECCONI, BARONI e DALL'OSSO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dagli organi di stampa locali, che il signor Cosimo Girolamo, di 31 anni, residente ad Alberobello, in data 7 maggio 2006 ha subito un grave incidente in moto in seguito al quale il signor Girolamo è rimasto in coma per 15 giorni nel reparto di rianimazione dell'ospedale «Di Venere» di Carbonara (Bari) con gravissimi danni all'arto inferiore sinistro per il quale il giudice gli riconosce un'invalidità del 75 per cento;
   come per legge in regime di invalidità, gli viene concessa un'indennità che dura per sette anni, fino al 2013;
   dopo alcuni mesi, non riscontrando alcun miglioramento della gamba, il signor Girolamo si rivolge ad un esperto di Vicenza che gli diagnostica una osteomielite;
   alla diagnosi seguono una serie di interventi sbagliati tra Bari, Milano e Vicenza, che distruggono completamente l'arto inferiore del giovane Girolamo tanto che i medici gli consigliano, come unica soluzione, l'amputazione dell'arto;
   in presenza del suo legale, Cosimo Girolamo si reca all'istituto Inps di Putignano (Bari) per chiedere che gli venga certificato l'aggravamento della malattia, e, gli venga concessa l'invalidità permanente, ma il presidente della commissione, nonostante la fuoriuscita dell'osso ad occhio nudo, non solo non constata un aggravamento ma lo reputa invalido solo al 55 per cento, comunicandogli che dunque non aveva più diritto alla pensione di invalidità;
   nonostante la situazione fosse talmente grave da risolversi effettivamente con un intervento di amputazione a livello coscia nel dicembre 2013, stando così i fatti secondo l'INPS il signor Girolamo avrebbe percepito una pensione in maniera illecita per ben sette anni perché «aveva entrambe le gambe», tanto che si è visto recapitare dall'Inps, una ingiunzione di restituzione delle pensioni percepite di euro 4.309,60;
   tale richiesta di pagamento va a gravare ulteriormente su di un ragazzo che la vita ha costretto con un solo arto inferiore a soli 31 anni e per cui è inutile sottolineare le difficoltà nel reperire un impiego nonostante le svariate tasse che comunque lo stesso è costretto a pagare;
   il signor Cosimo è solo l'ennesima storia, l'ennesima vittima di un sistema malsano di cui sono vittime tanti cittadini a cui viene negata o revocata la pensione di invalidità pur in presenza di amputazioni o di malattie anche gravi e che storie come questa devono sollecitare la revisione dei criteri di attribuzione dei punteggi di invalidità per le singole malattie o amputazioni;
   la procedura di accertamento dell'invalidità civile radicalmente modificata dall'articolo 20 del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, titolato «Contrasto alle frodi in materia di invalidità civile», infatti, attribuisce all'INPS nuove competenze per l'accertamento dell'invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità con l'intento di ottenere tempi più rapidi e modalità più chiare per il riconoscimento dei relativi benefici;
   in seguito alla riforma, con specifico riferimento al fenomeno dei cosiddetti «falsi invalidi», l'istituto previdenziale ha intrapreso un capillare piano di verifiche straordinarie nei confronti dei titolari di invalidità civile volto a contrastare il fenomeno delle indebite riscossioni di prestazioni di invalidità;
   la battaglia contro i falsi invalidi, porta tante volte alla revoca di pensioni di invalidità e di indennità di accompagnamento anche a chi ne avrebbe invece diritto;
   medici che hanno prima attestato un'invalidità inesistente regalando le suddette ai truffatori, ora a causa di un clima di inasprimento le revocano a tutti, addirittura ai veri ammalati, i quali subiscono questa situazione generale;
   l'interesse deve essere quello di contrastare l'individuazione dei «falsi invalidi», facendo in modo che siano rispettati i diritti fondamentali delle vere persone con disabilità e che i controlli siano condotti con le opportune garanzie, in modo efficace e mirato, evitando inutili disagi e vessazioni;
   a riguardo è recente la sentenza n. 3851/14 del 9 aprile 2014, con la quale il tribunale amministrativo regionale (TAR) del Lazio si è pronunciato su un giudizio avviato dall'ANFFAS (Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale), con l'intervento di supporto (ad adiuvandum) della FISH (Federazione italiana per il superamento dell’handicap), contro le modalità adottate proprio dall'INPS per le verifiche straordinarie, dichiarate dal TAR «illegittime e lesive dei diritti delle vere persone con disabilità» e sconfessa ancora una volta anche i dati forniti dall'istituto in materia –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto in premessa e non ritengano il caso rinnovare le modalità del sistema di accertamento di invalidità civile e aumentare i controlli sugli stessi medici e presidenti di Commissione;
   come intendano intervenire i Ministri interessati perché sia riconosciuta anche al giovane Cosimo almeno la percentuale di invalidità concessagli per sette anni in considerazione dell'impegno assunto dal Governo per garantire il rispetto dei diritti umani e dell'integrazione delle persone con disabilità. (5-07397)

Interrogazione a risposta scritta:


   RONDINI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il gioco d'azzardo patologico, solitamente definito come ludopatia, è un disturbo del comportamento rientrante nella categoria diagnostica dei disturbi del controllo degli impulsi;
   in quanto provoca dipendenza patologica, è quindi una malattia neuro-psico-biologica con conseguenze sanitarie e sociali che necessita di diagnosi, cura e riabilitazione; esiste un fattore che crea dipendenza, ma non è coinvolta nessuna sostanza come invece nell'alcolismo o nella dipendenza da droghe;
   nella ludopatia il gioco è quotidiano o intensivo e l'individuo non riesce più a controllare il suo desiderio di giocare. L'andamento della malattia è spesso cronico e caratterizzato da spese elevate, poiché il pensiero fisso del soggetto è quello di giocare e quindi di reperire il denaro per continuare a farlo ed è disposto anche a commettere azioni illegali pur di finanziare il proprio gioco;
   al fine di salvaguardare i membri più deboli e influenzabili della popolazione, perché non diventino vittime del gioco compulsivo, il sindaco può disciplinare, in senso più restrittivo, gli orari di apertura delle sale pubbliche da gioco e di scommesse, aggiungendo anche l'ulteriore limite degli orari di utilizzo (di accensione e di spegnimento) dei video-giochi posti all'interno di pubblici esercizi, prescindendo dagli orari di apertura di questi ultimi, ma solo per comprovate esigenze di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, nonché del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica;
   il Consiglio di Stato ha precisato che ciò è consentito dal legislatore solo in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati quali quelli richiamati dall'articolo 31, comma 2, del decreto-legge n. 201 del 2011 (sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute). Diversamente si rischia la violazione dell'articolo 41 della Costituzione per lesione della libertà costituzionale d'iniziativa economica ed imprenditoriale, e/o invadenza in materia di competenza esclusiva statale «tutela della concorrenza» sancita dall'articolo 117 della Costituzione;
   a seguito di tale sentenza si ritiene che un'ordinanza di riduzione di orario proponibile solo a fronte di atto d'indirizzo del Consiglio, ai sensi dell'articolo 50, comma 7, del decreto legislativo n. 267 del 2000, ma ci sia la necessità di documentata e accertata lesione di interessi pubblici individuati dalla legge e adeguata giustificazione;
   considerati tali limiti imposti, di fatto, è facilmente comprensibile come sia estremamente difficile adottare opportuni e consequenziali provvedimenti e soprattutto ottenere le prove documentali necessarie –:
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare con riguardo alla problematica esposta in premessa e all'opportunità di riconoscere poteri più efficaci ai sindaci, posto che la normativa vigente impedisce l'accesso ai minori, ma affida la vigilanza alla responsabilità del gestore e alle forze predisposte al controllo del territorio, confermando come le sale da gioco siano un problema per le fasce più deboli della popolazione, in primis gli adolescenti, e per chi è affetto da ludopatia. (4-11676)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LOSACCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Ab Inbev poco tempo fa ha deciso di mettere sul mercato il brand della birra Peroni a seguito di una serie di problemi legati all'acquisizione del gruppo SabMiller e della difficile interlocuzione con l’antitrust europea;
   a seguito della decisione di collocare sul mercato il marchio Peroni è di questi giorni la notizia dell'interessamento del gruppo giapponese Asahi Group Holdings con una offerta pari a 3,12 miliardi di euro;
   il gruppo Giapponese avrebbe intenzione di rafforzare la sua presenza in europa e di investire per questo obiettivo ben 400 miliardi di yen;
   la Peroni ha un suo importantissimo stabilimento a Bari con oltre 160 dipendenti ed in questa realtà sono stati effettuati significativi investimenti rafforzandone know how e capacità produttiva –:
   se il Governo stia seguendo questa importante operazione di mercato che interessa uno dei marchi più importanti del made in Italy e quali iniziative intenda assumere per tutelare la realtà produttiva di Bari, in considerazione delle sue specificità nell'attuale asset produttivo del gruppo. (5-07379)


   MANTERO, SIMONE VALENTE e BATTELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 dicembre 2011, la società Bit Savona scrl presenta all'autorità portuale di Savona-Vado istanza per la realizzazione di un deposito di bitume da situarsi all'interno dell'area portuale di Savona;
   tale deposito, destinato all'esportazione del bitume, è composto da 9 serbatoi dalla capacità totale di 39.000 metri cubi ed è sito a pochi metri dalla zona residenziale (tra l'altro di lusso) all'interno della darsena del porto e vicinissimo alla storica fortezza del Priamar, nonché all'interno dell'area specialmente protetta di interesse mediterraneo nota come Santuario dei Cetacei;
   il bitume verrà stoccato a 160/180 gradi, temperature in cui avviene il rilascio di una serie di sostanze potenzialmente nocive per l'ambiente, la salute e la sicurezza dei cittadini, tra cui l'acido solfidrico, caratterizzato da una bassa soglia olfattiva e dal riconoscibilissimo odore tipico di «uovo marcio», indicato dalla regione Liguria come estendibile in un raggio di 3 chilometri dall'impianto;
   con l'entrata in vigore del decreto-legge 5 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, noto come decreto «semplificazione e sviluppo», l’iter autorizzativo è passato dalla regione Liguria al Ministero dello sviluppo economico, in quanto, a norma dell'articolo 57 del suddetto decreto, il deposito di bitume è stato individuato quale deposito strategico, poiché riferibile ad un deposito di «oli minerali», come definito dall'articolo 52, del codice della navigazione e dall'articolo 1, comma 8, lettera c) della legge n. 239 del 2004;
   con decreto dirigenziale 12 novembre 2012, n. 4099, la regione ha dichiarato la non assoggettabilità alla procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) ai sensi dell'articolo 10 della legge regionale n. 38 del 1998, a condizione che vengano rispettate una serie di prescrizioni, tra cui una serie di interventi volti a verificare il disturbo olfattivo provocato entro il raggio di 3 chilometri dall'impianto;
   la provincia di Savona, con nota inoltrata al Ministero dello sviluppo economico in data 25 marzo 2013, sottolinea l'incidenza del problema olfattivo e la mancanza di dettagli tecnici con cui l'azienda ha promesso di intervenire per mitigare la dispersione degli agenti odoriferi;
   la sostanza che provocherebbe il caratteristico odore di «uovo marcio» è l'acido solfidrico (H2S) che ad alte concentrazioni paralizza il nervo olfattivo rendendo impossibile la percezione del suo sgradevole odore e può causare incoscienza nell'arco di pochi minuti, inibendo la respirazione mitocondriale;
   un'esposizione a bassi livelli produce irritazione agli occhi e alla gola, tosse, accelerazione del respiro e formazione di fluido nelle vie respiratorie. A lungo termine può comportare affaticamento, perdita dell'appetito, mal di testa, disturbi della memoria e confusione;
   0,0047 ppm è la soglia di riconoscimento, la concentrazione a cui il 50 per cento degli esseri umani può percepire il caratteristico odore del solfuro di idrogeno, normalmente descritto come odore di uova marce;
   l'acido solfidrico ha una soglia di pericolosità riportata come segue:
    10-20 ppm è il limite oltre il quale gli occhi vengono irritati dal gas;
    50-100 ppm causano un danno oculare;
    100-150 ppm paralizzano il nervo olfattivo dopo poche inalazioni, impedendo di sentire l'odore e quindi di riconoscere il pericolo;
    320-530 ppm causano edema polmonare con elevato rischio di morte;
    530-1000 ppm stimolano fortemente il sistema nervoso centrale e accelerano la respirazione, facendo inalare ancora più gas e provocando iperventilazione;
    800 ppm è la concentrazione mortale per il 50 per cento degli esseri umani per 5 minuti di esposizione (DL50);
   concentrazioni di oltre 1000 ppm causano l'immediato collasso con soffocamento, anche dopo un singolo respiro («colpo di piombo dei bottinai», chiamato così perché vittime ne erano gli addetti alle botti utilizzate nella concia delle pelli);
   sebbene la pericolosità di questi agenti odorigeni sia scientificamente comprovata, la difficoltà principale resta la rilevazione di tali esalazioni, in quanto la caratteristica bassa soglia olfattiva rende impossibile, al giorno d'oggi, misurare concentrazioni sotto 1 ppm, concentrazione che è presente nelle immediatissime vicinanze dell'impianto. Non a caso gli operatori che trattano bitume devono indossare una serie di DPI quali elmetto con visiera (i normali occhiali protettivi non bastano), protezione per il retro del collo, guanti ignifughi, tuta ad alta visibilità;
   le difficoltà di rilevamento dell'odore rendono quindi impossibile provare con precisione il grado di inquinamento prodotto dall'acido solfidrico, causando disturbi olfattivi a una grossa fetta di cittadini, in special modo quando il vento soffia dai quadranti meridionali, che potrebbe estendere la portata delle esalazioni;
   tra i maggiori fattori di rischio inoltre vi è senz'altro l'estrema vicinanza sul mare, in quanto il deposito è sito sull'orlo della banchina di Punta Sant'Erasmo, nello stesso esatto punto in cui qualche anno fa un'onda anomala recò diversi danni di grave rilevanza al porto. Il bitume infatti a contatto con l'acqua «esplode» violentemente, iniziando a «bollire» e causando diversi getti incontrollati. Questo mette a rischio potenziale anche gli altri operatori portuali e le attività economiche nelle immediate vicinanze;
   Savona risulta essere tra i primi quattro scali crocieristici d'Italia e il secondo del Nord, avvicinandosi quasi a un milione di transiti passeggeri l'anno. La città risulta essere un'importante meta turistica anche per i cittadini torinesi e milanesi, che nei weekend e nel mese di agosto riempiono le spiagge, portando benessere agli esercizi commerciali. La darsena inoltre oggi è una zona residenziale di lusso, cuore della movida e zona più frequentata della città, grazie agli interventi di recupero degli anni passati, che hanno ridato vita alla città e portato via le attività industriali pericolose; vi sono inoltre una serie di edifici di lusso, senza dimenticare la presenza di un noto albergo;
   in tale contesto pare quindi non concepibile la presenza di un deposito di bitume a pochi metri da questa importante zona, senza dimenticare i danni economici che gli operatori potrebbero subire dalla fuga di turisti, in quanto essendo il turismo legato a filo diretto con l'immagine di una città, il collegamento Savona-cattivi odori porterà sicuramente ad un calo di turisti nel corso dei prossimi anni –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, i Ministri interrogati intendano intraprendere al fine di avviare le opportune verifiche sui potenziali impatti sulla salute e sull'ambiente che potrebbero derivare dalla prossimità del sopracitato deposito al centro abitato di Savona;
   se il Governo non ritenga opportuno, anche attraverso iniziative normative, determinare dei metodi oggettivi e dei parametri di valutazione del disturbo olfattivo e dell'impatto sullo stato di benessere della popolazione. (5-07391)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'ARIENZO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nella frazione di Sandrà — comune di Castelnuovo del Garda (Verona) — Poste Italiane ha deciso di chiudere l'ufficio postale esistente;
   il contratto di programma tra Poste italiane spa e il Ministero dello sviluppo economico 2009-2011, vigente a seguito di successive proroghe fino all'entrata in vigore del nuovo contratto di programma 2015-2019, prevede all'articolo 2, comma 6, che la società Poste italiane trasmetta entro l'inizio di ogni anno all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, un elenco degli uffici postali e delle strutture di recapito che non garantiscono condizioni di equilibrio economico e il relativo piano di intervento;
   il piano di Poste doveva conformarsi ai criteri stabiliti dal decreto ministeriale 7 ottobre 2008, emanato dal Ministero dello sviluppo economico quale autorità regolatrice del settore postale. Tale funzione è stata successivamente attribuita, ai sensi del decreto-legge n. 201 del 2011 all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che è intervenuta sulla materia con la delibera 342/14/CONS.;
   anche il nuovo contratto di programma 2015-2019 prevede il medesimo obbligo di comunicazione del piano all'Autorità. In particolare, l'articolo 2, comma 5, prevede che la società Poste italiane trasmetta entro l'inizio di ogni anno all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, un elenco, aggiornato annualmente, degli uffici postali e delle strutture di recapito che non garantiscono condizioni di equilibrio economico;
   il piano di Poste si conforma ai criteri stabiliti dal decreto ministeriale 7 ottobre 2008 e dalla delibera 342/14/CONS. Si prevede un obbligo di informazione agli enti locali interessati e al Ministero che può promuovere prima dell'attuazione degli interventi previsti un confronto tra enti locali e società;
   il decreto ministeriale 7 ottobre 2008 contiene alcuni vincoli relativi alla sussistenza di un adeguato numero di punti di accesso per il servizio universale. Per punti di accesso al servizio universale si intendono: 1) gli uffici postali. 2) le cassette postali;
   il 5 agosto 2015, la Commissione trasporti della Camera dei deputati si è pronunciata sullo schema di contratto di programma 2015-2019 tra Poste italiane e il Ministero dello sviluppo economico. Nel parere sono state formulate le seguenti osservazioni:
   «con riferimento alle clausole relative alla razionalizzazione degli uffici postali (...) occorre assicurare che gli obiettivi di contenimento degli oneri siano perseguiti in modo da garantire comunque il servizio postale universale e, di conseguenza, un'adeguata presenza della rete postale sul territorio anche a fronte di volumi di traffico bassi»;
   «a tal fine risulta necessario prevedere, con riferimento alle clausole richiamate, piuttosto che l'obbligo per Poste di adeguata informazione, l'obbligo di un preventivo e effettivo confronto con i rappresentanti degli enti territoriali interessati; nel caso in cui all'esito di tale confronto non si pervenga a decisioni condivise, si preveda che Poste italiane sia tenuta a non procedere all'attuazione delle misure prospettate per un periodo non inferiore a tre mesi, nel quale dovranno essere individuate soluzioni idonee a garantire comunque l'adeguatezza del servizio»;
   «qualora Poste italiane intenda porre in atto misure di razionalizzazione, rimodulazione e riduzione del servizio si individuino in modo puntuale gli interventi che, anche avvalendosi delle possibilità offerte dalle tecnologie informatiche, come è il caso del «postino telematico», Poste italiane è tenuta ad attuare per garantire in ogni caso livelli adeguati di servizio, prevedendo che tali interventi siano preventivamente oggetto di confronto con gli enti locali, laddove si prospetta una valutazione con le Autorità locali di una eventuale presenza più efficace rispetto all'evoluzione della domanda di servizi nelle singole aree territoriali» –:
   se le osservazioni poste dalla Commissione trasporti della Camera dei deputati siano state acquisite come cogenti a valere sul contratto di programma 2015-2019 tra Poste italiane e il Ministero dello sviluppo economico;
   se risultino essere stati rispettati «l'obbligo per Poste di adeguata informazione e l'obbligo di un preventivo e effettivo confronto con i rappresentanti degli enti territoriali interessati» e, quindi, in caso contrario, se siano state poste in essere le azioni conseguenti stabilite nel parere della Commissione Trasporti;
   se risultino iniziative di Poste italiane per garantire in ogni caso livelli adeguati di servizio, anche avvalendosi delle possibilità offerte dalle tecnologie informatiche;
   quali siano le ragioni per le quali, nonostante il decreto ministeriale 7 ottobre 2008 e la delibera 342/14/CONS, il Ministero una volta conosciuta la volontà di Poste Italiane di chiudere l'ufficio postale di Sandrà — Castelnuovo del Garda – non abbia ritenuto di verificare il rispetto di quanto indicato nel citato parere e, in ogni caso, di avvalersi della possibilità, che comunque aveva a disposizione, di promuovere prima dell'attuazione degli interventi previsti un confronto tra il comune di Castelnuovo del Garda e la società;
   se, in caso di mancata applicazione delle varie opzioni in precedenza esposte, non sia il caso di riesaminare il contesto al fine di attualizzare i parametri che hanno portato alla decisione di chiudere l'ufficio postale di Sandrà/Castelnuovo del Garda. (4-11678)


   BORGHESE e MERLO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il servizio di «interrompibilità elettrica» istantanea è attivo in diverse forme in Italia dai primi anni 2000;
   l'interruzione istantanea dei carichi è uno degli strumenti utilizzati per garantire la sicurezza sul sistema elettrico, contribuendo al bilanciamento istantaneo delle reti di trasmissione e alla gestione dei problemi di congestione locale;
   nel sistema elettrico italiano, infatti, il servizio di interrompibilità, che per l'anno 2011 è costato 650 milioni di euro, prevede la possibilità che alcuni clienti finali in possesso di alcune caratteristiche si rendano disponibili a interruzioni non programmate della fornitura di energia elettrica sulla base di ordini impartiti da «Terna». Si tratta di un servizio, introdotto fin dal 2004, concepito per la sicurezza del sistema a cui possono accedere solo utenti con elevati consumi di energia elettrica. Occorre ricordare che il costo sostenuto per tale servizio riguarda la sola disponibilità all'interruzione e non l'interruzione effettiva, quindi, non viene applicata sulla base delle interruzioni, ma sull'energia consumata dal cliente –:
   quanto effettivamente il servizio di interrompibilità sia ancora necessario attualmente al sistema elettrico italiano e quanto concretamente possa costare in considerazione delle nuove normative, affinché i cittadini italiani abbiano un quadro chiaro e certo del costo degli oneri di sistema della nuova bolletta elettrica;
   quali interventi di politica energetica nazionale volta al riequilibrio degli oneri generali e alla riduzione dei costi in bolletta si intendano attuare. (4-11680)


   FRANCO BORDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in Italia il settore della distribuzione di prodotti editoriali si articola in circa 28.000 punti vendita tra chioschi e rivenditori di varia natura, di cui circa 18.000 sono punti vendita dedicati, le edicole «pure», e circa 10.000 sono i rivenditori quali tabaccherie, cartolerie, stazioni di servizio che svolgono questa attività non in modo prevalente vendendo anche altre categorie merceologiche;
   il settore della distribuzione è regolato dall'accordo nazionale sulla vendita dei giornali quotidiani e periodici», sottoscritto da Federazione italiana editori giornali - SI.NA.G.I. Aff. S.L.C. - C.G.I.L. C.I.S.L. - GIORNALAI U.I.L.Tu.C.S. - GIORNALAI S.N.A.G. - CONFCOMMERCIO FE.NA.G.I. - CONFESERCENTI U.SI.A.GI. - UGL entrato in vigore dal 1o gennaio 2006 e scaduto nel 2009, senza che a oggi vi sia stato un rinnovo;
   le normative che regolano il settore si sono stratificate negli anni attraverso le leggi e i decreti seguenti: n. 47 del 1948, n. 416 del 1981, n. 108 del 1999, n. 62 del 2001, n. 170 del 2001, n. 201 del 2011 ed è attualmente in discussione la proposta di legge n. 3317 in merito alla riforma dell'editoria, che si propone di intervenire anche sul settore della diffusione della stampa periodica;
   il quadro legislativo di questo settore si presenta molto confuso, non solo per le diverse normative di riferimento, ma anche per la sostanziale prosecuzione nei fatti dell'accordo nazionale scaduto, e perfino disconosciuto dalle associazioni dei distributori locali sottoscritto fra tutti i soggetti interessati di cui sopra, nonostante il decreto-legge n. 201 del 2011 «Sblocca Italia» ne abbia resa superata, la per molti versi illegittima, secondo l'interrogante l'applicazione;
   il decreto-legge n. 201 del 2014 convertito dalla legge 214/2011, tra altre cose, regola le attività commerciali e gli orari degli esercizi commerciali, liberalizzando l'apertura e la chiusura senza vincoli, quindi per 1, 2 o più ore, sino a 24 ore, rendendo, di fatto, non conformi alla legge gli obblighi di apertura che erano dettati e pattuiti nell'accordo nazionale sopra citato;
   nella realtà molte sono le interferenze e i divieti posti ancora oggi dalle aziende di distribuzione locale ai punti vendita, siano essi chioschi o rivenditori di varia natura, facendo leva sull'accordo nazionale scaduto, superato dalle normative in essere e disconosciuto dagli stessi distributori che pretendono l'applicazione dei punti capestro verso gli edicolanti;
   i maggiori elementi di conflitto tra le parti vertono sulla libertà di chiusura domenicale o quattordicinale dei punti vendita e sulla fruizione di periodi di chiusura per ferie. L'accordo nazionale, che nonostante le premesse di cui sopra regola il settore, prevede, anche in occasione del riposo domenicale quattordicinale, l'obbligo di apertura del 50 per cento dei punti vendita del territorio comunale. Questo elemento nei piccoli centri, dove è presente una singola edicola o punto vendita, da parte delle aziende distributrici viene tradotto nella obbligatorietà di apertura 7 giorni su 7 del punto vendita, facendo venire meno la possibilità del riposo;
   gli accordi hanno valore tra le parti che lo sottoscrivono ma le leggi della Repubblica italiana manifestano i loro effetti su tutto il territorio nazionale e, qualora vi fossero o si presentassero discrepanze tra accordi e leggi, queste ultime prevalgono su tutto il resto –:
   se il Ministro interrogato, al fine di porre fine ai molti contenziosi in essere tra le parti, non intenda chiarire il quadro normativo, che deve trovare applicazione nella regolazione di questo settore economico;
   se il Ministro interrogato non intenda confermare, per quanto di competenza, la piena libertà decisoria da parte degli esercenti i punti vendita di prodotti editoriali in merito ai giorni ed orari di apertura e chiusura, alla luce della normativa vigente. (4-11684)


   PAGLIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   opera in Italia nel settore saccarifero il gruppo Sfir;
   a partire dal 2006, quando la riforma comunitaria comportò una profonda ristrutturazione del settore, attraverso la società Sfir Raffineria di Brindisi s.p.a. esso detiene l'unico stabilimento di raffinazione dello zucchero presente nel nostro Paese, con una capacità produttiva di 450.000 tonnellate annue;
   negli anni la partecipazione dei soci italiani è progressivamente calata fino al 10 per cento, mentre è cresciuta quella del fondo americano Asr Group e dell'operatore agroindustriale francese Cristal Union;
   si deve ricordare che la riforma dell'organizzazione comune di mercato dello zucchero prevedeva l'erogazione di ingenti contributi a favore di quei Paesi (e quindi indirettamente alle imprese di questi) che avessero rinunciato a parte o tutta la produzione di zucchero da bietola e avessero nel contempo soddisfatto alcune condizioni, fra le quali rientrava la garanzia della piena occupazione;
   allo stesso tempo è bene sottolineare che la redditività economica dello stabilimento di Brindisi è garantita dalla presenza di una centrale a olio di palma da 34, megawatt, e quindi indirettamente da sussidi pubblici;
   la sede storica del gruppo SFIR è a Cesena, dove in questi anni hanno continuato a operare 21 lavoratori, impegnati nel confezionamento e nella commercializzazione dello zucchero, a marchio Notadolce;
   la direzione aziendale di Sfir raffineria di Brindisi, dove nel frattempo erano stati trasferiti tutti i lavoratori cesenati, con lettera datata 23 novembre 2015 ha espresso la volontà di trasferire alla sede produttiva di Brindisi n. 18 lavoratori ed a una nuova sede commerciale di Milano n. 3 lavoratori, smantellando la struttura romagnola;
   è evidente che tale decisione equivale di fatto a una proposta di licenziamento, vista la grande distanza del trasferimento proposto –:
   se, anche in considerazione della storia del settore saccarifero e degli accordi che ne hanno determinato la recente evoluzione, nonché dei contributi ricevuti da SBR per la produzione di energia, non ritengano di dover intervenire a tutela di 21 lavoratori il cui futuro è messo a rischio da una riorganizzazione, a giudizio dell'interrogante, priva di un reale impatto sui conti della società. (4-11686)


   PAGLIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Metalcastello s.p.a., il cui stabilimento di Castel di Casio occupa circa 300 lavoratori, è un'azienda che produce ingranaggi per trasmissioni meccaniche utilizzati in applicazioni in tutti i principali settori dell'automotive (automobili, veicoli industriali, trattori e altro);
   la società nel gennaio del 2015 è stata acquisita dal gruppo CIE Automotive, multinazionale spagnola tra le prime al mondo nel comparto dei componenti per il settore automobilistico che conta siti produttivi in America, Europa ed Asia;
   già nel recente passato relazioni sindacali in Metalcastello avevano dovuto registrare serie difficoltà dato che il gruppo CIE ha disdettato l'applicazione dei contratti e li ha cambiati, contravvenendo agli impegni presi e imponendo un regime di orario non concordato;
   il 19 dicembre 2015, un operaio della Metalcastello di sesto livello, addetto al controllo qualità e delegato sindacale Fiom, ha partecipato ad una manifestazione di solidarietà con i lavoratori della Saeco-Philips e in difesa del lavoro nell'Appennino bolognese tenutasi al Palazzetto dello sport di Lizzano in Belvedere, durante la quale ha criticato le modalità di gestire le relazioni sindacali da parte della propria azienda;
   pochi giorni dopo gli è arrivata una contestazione disciplinare, in cui si citavano alcuni passaggi del suo discorso e successivamente una raccomandata che annunciava il suo licenziamento;
   la decisione dell'azienda è di una gravità inaudita e dimostra in modo inequivocabile come l'Italia, in seguito al clima determinato dal cosiddetto Jobs Act e dallo smantellamento dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori sia ormai diventato un Paese in cui i lavoratori non solo hanno perso diritti, ma addirittura anche la libertà d'espressione;
   il caso citato rappresenta l'ultimo, in ordine di tempo, di una serie di quelli che l'interrogante ritiene «licenziamenti per opinione» di rappresentanti dei lavoratori nell'ambito di vertenze su crisi aziendali o trattative contrattuali, come il recente licenziamento di un delegato CGIL della LyondellBasell di Ferrara, su cui il sottoscritto ha già presentato un'altra interrogazione –:
   quali iniziative e quali strumenti, per quanto di competenza, il Governo intenda mettere in campo al fine di tutelare la dignità e l'occupazione del rappresentante sindacale licenziato e se non ritenga opportuno prendere in carico e affrontare la situazione determinatasi in Emilia Romagna nelle ultime settimane. (4-11689)

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Capua e altri n. 1-01055, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Lenzi, Nizzi, Burtone, Grassi, Argentin, Miotto, Patriarca, Paola Bragantini, Carnevali, Casati, Gelli, Beni, Fossati, Amato, Piccione, Paola Boldrini, Piazzoni, Mariano, Capone, D'Agostino, Giuditta Pini, D'Incecco, Murer, Sbrollini e contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Capua, Lenzi, Nizzi, Calabrò, Locatelli, Sbrollini, Piazzoni, Amato, Argentin, Beni, Paola Boldrini, Paola Bragantini, Burtone, Capone, Carnevali, Casati, D'Incecco, Fossati, Gelli, Grassi, Mariano, Miotto, Murer, Patriarca, Piccione, Giuditta Pini, D'Agostino, Monchiero, Vargiu, Quintarelli, Matarrese, Galgano, Catania, Oliaro, Bombassei, Rabino, Palladino, Prataviera, Caon, Marcolin, Matteo Bragantini, Fitzgerald Nissoli, Longo, Palmieri, Picchi, Dorina Bianchi, Binetti».

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta orale Anzaldi n. 3-01917, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Burtone.

Cambio di presentatore di una interpellanza urgente.

  L'interpellanza urgente n. 2-01203, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 dicembre 2015, è da intendersi presentata dall'onorevole Franco Bordo, già cofirmatario della stessa.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta del presentatore:
   interrogazione a risposta scritta Mantero e altri n. 4-01852 del 18 settembre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07399;
   interrogazione a risposta scritta Mantero e altri n. 4-02493 del 12 novembre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07398;
   interrogazione a risposta scritta Mantero e altri n. 4-05307 del 26 giugno 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07397;
   interrogazione a risposta scritta Mantero e altri n. 4-05401 del 4 luglio 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07396;
   interrogazione a risposta scritta Mantero e altri n. 4-05766 del 1o agosto 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07395;
   interrogazione a risposta scritta Mantero e altri n. 4-06720 del 3 novembre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07394;
   interrogazione a risposta scritta Mantero e altri n. 4-07076 del 28 novembre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07393;
   interrogazione a risposta scritta Mantero e altri n. 4-07769 del 5 febbraio 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07392;
   interrogazione a risposta scritta Mantero e altri n. 4-10019 del 28 luglio 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07391.