Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 14 gennaio 2016

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   LATRONICO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'11 gennaio 2016 il commissario liquidatore della società Luedi che edita il Quotidiano del Sud e fornisce il service giornalistico e poligrafico alla società EPS (Edizioni Proposta Sud) ha deciso di collocare in cassa integrazione a zero ore tutto il personale (giornalisti e poligrafici) delle redazioni di Potenza e Matera;
   ai dipendenti della Luedi è stato negato l'accesso al sistema editoriale, nonostante, avessero ufficialmente comunicato la disponibilità ad attenersi agli orari indicati dal liquidatore, fino alla convocazione del nuovo tavolo regionale;
   il comportamento del commissario liquidatore è a giudizio dell'interrogante a dir poco discutibile perché sono stati disattesi accordi sindacali sottoscritti due mesi fa al tavolo con la regione e risulta singolare il fatto che la società Eps ha già provveduto ad assegnare la commessa del service per la realizzazione delle pagine lucane a un'agenzia terza campana;
   la pluralità di informazione che fino ad oggi le redazioni di Potenza e Matera del Quotidiano della Basilicata hanno saputo garantire, viene messa in discussione dopo 14 anni di lavoro che ha contribuito ad animare la vita democratica della regione;
   la situazione denunciata dai giornalisti della redazione lucana del Quotidiano del Sud, dopo la decisione del commissario liquidatore, rappresenta per i dipendenti un salto nel buio, mortifica i giornalisti e il personale poligrafico, impoverendo la qualità dell'informazione nella regione che è garanzia per la crescita e fondamento del sistema democratico;
   il Quotidiano del Sud diffuso in Calabria, Campania e Basilicata, ha beneficiato dei contributi diretti alle imprese editoriali che, nel 2014, sono stati pari a 968 mila 330 euro e 90 centesimi e bisogna evitare la chiusura della testata lucana che da anni racconta la Basilicata ed assicura un'informazione libera e attenta;
   quanto accaduto conferma la grave crisi che investe il settore dell'editoria, soprattutto nel Mezzogiorno che richiede interventi immediati da parte del Governo per evitare che la situazione precipiti –:
   se non ritengano opportuno effettuare i controlli di competenza «per verificare se, in base a tali vicende, esistano ancora i presupposti per erogare alla società che edita il giornale i finanziamenti previsti dal fondo per l'editoria;
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di convocare un tavolo di confronto immediato con l'editore con l'obiettivo di consentire il prosieguo dell'attività dei giornalisti a vantaggio del pluralismo e della valorizzazione di tutte le sensibilità culturali presenti nel Paese. (3-01930)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 gennaio 2016 il quotidiano La Stampa ha rivelato l'esistenza di un dossier dei servizi di intelligence italiani e di una inchiesta della procura della Repubblica di Genova, della quale sarebbe stata interessata anche la procura della Repubblica di Ancona, sulla rete di fiancheggiatori del Isis che starebbe arruolando nuovi reclutatori in Italia, al fine di infiltrare in ambienti islamici italiani «insospettabili cittadini di nazionalità albanese»;
   secondo l'autore dell'articolo ad impensierire intelligence ed inquirenti è la elevata «permeabilità» dei confini greci e la presenza, rilevata dall'ultimo rapporto della Kosovo Force della Nato, di 900 foreign fighters in Kosovo;
   la procura di Genova, a quanto si apprende, ritiene che ad Ancona sia operante una rete di reclutatori dell'Isis;
   il porto di Ancona costituisce uno scalo strategico verso l'Italia dai Balcani e dalla Grecia, più volte segnalato dall'interrogante come punto di snodo di traffici illeciti di varia natura;
   il neo prefetto di Ancona Antonio D'Acunto, in un incontro con la stampa tenutosi il 13 gennaio 2016, ha sottolineato come la minaccia terroristica non vada sottovalutata, annunciando un ulteriore rafforzamento dei controlli sia nel porto di Ancona che a Loreto, considerato obiettivo sensibile a causa della coincidenza con l'anno giubilare (Ansa 13 gennaio 2016);
   tali azioni annunciate sono essenziali, ma ovviamente non sufficienti per contrastare l'infiltrazione ed il radicamento nel territorio di cellule terroristiche;
   da diverso tempo le forze dell'ordine segnalano una grave carenza di risorse, personale e mezzi per l'esercizio dei servizi d'istituto –:
   se il Governo non intenda fornire ogni utile elemento sui fatti riportati in premessa;
   quali misure si intendano adottare per rafforzare i presìdi di sicurezza, anche in ordine alla destinazione di maggiori risorse per le forze dell'ordine;
   se non si intendano intraprendere iniziative per rafforzare la collaborazione con il Governo greco, al fine di potenziare i presìdi di controllo e sicurezza dei flussi e traffici tra Italia e Grecia. (5-07360)


   ALBANELLA e BURTONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie a mezzo stampa si apprende che il comune di Acireale in collaborazione con la «Fondazione Carnevale» della città, durante la conferenza stampa di presentazione del programma del Carnevale 2016, ha ufficializzato le date di tale evento, tra le quali compare il 25 aprile;
   in tale data, da ben 70 anni, in ogni comune del nostro Paese si celebra solennemente la tradizionale festa della Liberazione dal nazifascismo;
   questa decisione ha suscitato numerose critiche e polemiche da parte dell'ANPI Sicilia che, attraverso il proprio coordinatore regionale, ha fatto pervenire al sindaco della città di Acireale una richiesta di rivisitazione del calendario del Carnevale 2016 inerente alla giornata del 25 aprile;
   altresì l'ANPI della provincia di Catania, nella figura della sua presidente, ha chiesto al primo cittadino di tornare sui propri passi al fine di non andare a sovrapporsi ad una ricorrenza così fondamentale nella storia della Repubblica italiana, minacciando l'intenzione di far spostare ad Acireale la manifestazione di commemorazione del giorno della Liberazione che ogni anno si svolge a Catania qualora l'amministrazione comunale di Acireale confermasse la decisione di utilizzare la data del 25 aprile per i festeggiamenti carnevaleschi;
   anche la segreteria provinciale della Camera del lavoro di Catania, attraverso una nota, ha deplorato la scelta del sindaco di Acireale di far coincidere una parte delle manifestazioni carnevalesche con l'anniversario della Liberazione d'Italia, esprimendo rammarico e auspicando un ripensamento da parte del primo cittadino;
   essendo il 25 aprire un giorno in cui si richiama alla memoria degli italiani il sacrificio di migliaia di uomini e donne che hanno liberato, a prezzo della loro vita, la nostra nazione dalle miserie del nazifascismo, a giudizio degli interroganti il comportamento del sindaco e dell'amministrazione comunale di Acireale, oltre a rappresentare una vera e propria mancanza di rispetto nei confronti di quanti hanno lottato per riconquistare la libertà e la democrazia nel nostro Paese, e delle loro famiglie, è altresì indice di ignoranza storica e di scarso senso civico;
   consentire che la giornata del 25 aprile sia adombrata da altri eventi che nulla hanno a che fare con una ricorrenza che in Italia si celebra solennemente da 70 anni, sottolineerebbe invece fortemente quelli che sono i valori fondativi della nostra Repubblica, e consentirebbe di preservare ciò che il 25 aprile rappresenta per gli italiani, ovvero un momento dedicato alla memoria e al confronto su temi che oggi giorno rischiano di essere superati da un pressapochismo culturale che le istituzioni non possono e non devono assecondare –:
   quale sia l'orientamento del Governo sui fatti riportati in premessa e se intenda valutare la sussistenza dei presupposti per assumere iniziative anche normative al fine di prevedere che la celebrazione della ricorrenza del 25 aprile avvenga su tutto il territorio della Repubblica italiana, senza alcuna sovrapposizione da parte di iniziative estranee alla ricorrenza della liberazione. (5-07375)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CANCELLERI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il turismo italiano è l'unico settore in grado di fronteggiare la crisi economica, continuando a generare crescita, occupazione e sviluppo;
   i gravissimi episodi di terrorismo verificatisi negli ultimi periodi hanno posto il settore economico turismo – con particolare riferimento al comparto agenzie di viaggi e tour operator – al centro di una pesante crisi economica senza precedenti;
   la situazione venutasi a determinare rischia di portare inevitabili ripercussioni negative sull'occupazione del personale addetto al comparto delle agenzie di viaggi e turismo e tour operator;
   gli attuali problemi economici hanno per lo più delle cause di altro genere, che gli eventi di terrorismo verificatisi negli ultimi periodi hanno all'improvviso portato alla ribalta ed esacerbato;
   le prospettive economiche nell'attuale situazione politica ed economica racchiudono un fattore di insicurezza relativamente elevato –:
   quali iniziative il Governo intenda portare avanti, affiancando alle misure urgenti coerentemente e rapidamente riforme strutturali, in modo da accrescere la fiducia delle imprese e dei consumatori;
   se il Governo intenda avviare una campagna sul tema del turismo, di concerto con l'Enit, finalizzata a garantire la sicurezza e l'attrattività delle destinazioni italiane ed europee. (4-11658)


   FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia delle entrate della provincia autonoma di Trento, in data 10 dicembre 2013, ha comunicato a mezzo stampa i valori relativi al maggior gettito derivanti dalla cosiddetta voluntary disclosure, legge 15 dicembre 2014, n. 186 «Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all'estero nonché per il potenziamento della lotta all'evasione fiscale. Disposizioni in materia di autoriciclaggio»;
   a livello nazionale, attraverso 129.565 istanze trasmesse, sarebbe stata richiesta la regolarizzazione di 59 miliardi e 500 milioni di euro di attività, la quale, applicando aliquote medie prudenziali e al netto degli interessi, avrebbe determinato un gettito stimato di circa 3,8 miliardi di euro nelle casse dello Stato;
   per quanto riguarda i contribuenti della provincia autonoma di Trento, le istanze presentate sarebbero state 797, equivalenti allo 0,62 per cento del totale nazionale, e avrebbero fatto emergere attività estere pari a euro 308.783.260,00 di cui euro 46.460.428,00 rientrate in Italia. Le maggiori entrate fiscali stimate corrisponderebbero a circa 19,5 milioni di euro;
   come affermato dell'Agenzia delle entrate con comunicato stampa, con la voluntary disclosure, a differenza di quanto previsto dalle misure di emersione adottate nel passato, il contribuente, aderendo alla procedura, è tenuto a versare integralmente le imposte e gli interessi, con la riduzione delle sole sanzioni; non si tratta quindi di entrate nuove bensì derivanti dal potenziamento della lotta all'evasione fiscale per assicurare le imposte dovute;
   in attuazione delle disposizioni della citata legge 186 del 2014 le entrate affluiranno ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato, per essere destinate, anche mediante riassegnazione: a) al pagamento dei debiti commerciali scaduti in conto capitale, anche prevedendo l'esclusione dai vincoli del patto di stabilità interno; b) all'esclusione dai medesimi vincoli delle risorse assegnate a titolo di cofinanziamento nazionale dei programmi dell'Unione europea e di quelle derivanti dal riparto del fondo per lo sviluppo e la coesione; c) agli investimenti pubblici; d) al fondo per la riduzione della pressione fiscale, di cui all'articolo 1, comma 431, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e successive modificazioni;
   la medesima legge 186 del 2014 prevede che con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri vengano stabiliti i criteri e le modalità per la ripartizione di tali entrate in conformità alle finalità sopra menzionate, nonché per l'attribuzione delle somme affluite all'entrata del bilancio dello Stato per ciascuna finalizzazione;
   il decreto-legge 30 settembre 2015, n. 153, come puntualizzato dal comunicato stampa del Governo n. 84 del 2015, ha neutralizzato l'aumento dell'accisa sui carburanti che sarebbe dovuta scattare dal 30 settembre 2015 come clausola di salvaguardia fiscale per la mancata autorizzazione da parte della Commissione europea al meccanismo del reverse change per iva nel settore della grande distribuzione. Attraverso tale provvedimento, l'aumento dell'accisa sui carburanti è stato ridotto da complessivi 1.716 milioni di euro a 728 milioni e rinviato di un anno (al 2016). A compensazione dei relativi effetti finanziari si è provveduto, per l'anno 2015, mediante quota parte delle maggiori entrate dalla voluntary disclosure per la regolarizzazione dei capitali detenuti all'estero, attestate e acquisite dall'Agenzia delle entrate nel medesimo anno. Considerato l'utilizzo di 988 milioni di euro per la compensazione dell'aumento dell'accisa resterebbero ancora da destinare all'incirca 2.800 milioni di euro derivati dalle maggiori entrate della voluntary disclosure;
   con la sentenza 246/2015 la Corte costituzionale, in riferimento al ricorso presentato dalla regione siciliana in ordine alla legge 27 dicembre 2013, n. 147 e ad analoghi ricorsi presentati dalle province autonome di Trento e di Bolzano, successivamente ritirati, ha affermato che le risorse che derivano dalla lotta all'evasione fiscale non costituiscono nuove entrate e dunque lo Stato non ha alcun titolo per incamerare il relativo gettito destinato alle regioni speciali ricorrenti. Con tale sentenza sono state ritenute fondate le doglianze dei ricorrenti, secondo i quali la legge n. 147 del 2013 avrebbe introdotto riserve allo Stato dei maggiori gettiti di tributi erariali, in mancanza dei requisiti richiesti dalla normativa d'attuazione ai fini della legittimità di tali riserve;
   nella medesima sentenza n. 246/2015 la Corte costituzionale ha affermato che la legittimità della riserva può sussistere, in base alla giurisprudenza costituzionale, solo al verificarsi di tre condizioni concomitanti: a) la natura tributaria dell'entrata; b) la novità di tale entrata; c) la destinazione del gettito «con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime» (ex plurimis, sentenza n. 241 del 2012). Tali condizioni sembrerebbero non essersi verificate nell'ipotesi regolata dalla legge n. 186 del 2014 sulla voluntary disclosure –:
   quali eventuali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per assicurare alle autonomie speciali, in conformità e nel rispetto dei corrispondenti statuti di autonomia e delle relative, norme di attuazione, i maggiori getti ti dei tributi erariali derivanti dalla cosiddetta voluntary disclosure in sintonia con quanto statuito dalla sopra citata giurisprudenza della Corte costituzionale.
(4-11660)


   SORIAL e COLONNESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nei primi giorni del 2016, nel giro di una settimana avrebbero perso la vita 5 donne in stato di gravidanza: Giovanna Lazzari, agli Spedali Civili di Brescia; Angela Nesta, al S. Anna a Torino; Anna Massignan, all'ospedale San Bonifacio di Verona; Marta Lazzarin, all'ospedale di Bassano del Grappa; una ragazza di 23 anni di cui non si conosce il nome, a Foggia;
   Giovanna Lazzari, commessa in un negozio di abbigliamento di 30 anni, è morta con il bambino che portava in grembo, all'ottavo mese di gravidanza: sarebbe arrivata in ospedale con la febbre alta e nella notte fra il 30 e il 31 dicembre 2015 le sue condizioni sarebbero peggiorate; i medici hanno eseguito il parto cesareo ma il feto era già morto e lei è deceduta poche ore dopo; la procura di Brescia ha aperto un'inchiesta, acquisendo anche gli sms e i messaggi vocali mandati dalla donna al marito in cui diceva di non vedere molta attenzione da parte dei medici;
   Anna Massignan, medico di base di 34 anni, sarebbe caduta in casa, scivolando dalle scale; ricoverata e poi dimessa, è stata nuovamente portata in ospedale perché le sue condizioni si sono aggravate, ed è morta il giorno di Natale all'ospedale di San Bonifacio, in provincia di Verona, durante il cesareo d'urgenza. Anche lei era all'ottavo mese di gravidanza e anche il suo bambino è deceduto con lei;
   Marta Lazzarin, 35 anni, Blogger di viaggi molto seguita, era alla 27esima settimana di gestazione; è stata ricoverata a Bassano del Grappa il 29 dicembre con febbre e dolori addominali ed è morta durante il travaglio per espellere il feto che, secondo la diagnosi effettuata dai medici al suo arrivo in ospedale, era già morto da alcuni giorni; gli ispettori inviati dal ministero stanno indagando sulla morte sua e del suo bimbo ed è prevista anche l'autopsia, chiesta dal pm Barbara De Munari che ha inviato avvisi di garanzia a quattro medici e ad una ostetrica;
   Angela Nesta, 39 anni, era in incinta al nono mese, ed è morta il 26 dicembre 2015 (nella sala parto all'ospedale Sant'Anna di Torino dopo aver dato alla luce la sua primogenita; la procura di Torino indaga sulla morte della donna e ha ipotizzato il reato di omicidio colposo;
   sempre in questi giorni è deceduta in casa, per cause ancora da accertare una ragazza di 23 anni, incinta, a Foggia: con un cesareo post-mortem i medici hanno salvato la sua bambina;
   secondo quanto riportato dalla stampa, il Ministro della salute Beatrice Lorenzin sarebbe convinta che all'origine di questi decessi ci sia soltanto una «drammatica casualità»;
   nel frattempo, sarebbe al vaglio della magistratura anche il caso che si è verificato nel Policlinico di Modena, riguardante una donna di 27 anni, già dimessa, che ha perso il bambino durante il travaglio avvenuto il giorno di Natale;
   inoltre, sempre in questi giorni, a Sanremo, una ragazza di 22 anni avrebbe perso il figlio dopo una gestazione che si era protratta per ben 41 settimane; i familiari avrebbero già sporto denuncia contro i sanitari coinvolti;
   come riportato nelle relazioni preliminari scaturite dalle ispezioni nei quattro ospedali coinvolti nei fatti su menzionati – l'Ospedale S. Anna di Torino, gli Spedali Civili di Brescia, l'Ospedale G. Fracastoro di San Bonifacio (Verona) e l'Ospedale San Bassiano di Bassano del Grappa – la task force istituita presso il Ministero della salute, chiamata a verificare eventuali criticità di carattere organizzativo e clinico in caso di eventi avversi, avrebbe rilevato diverse criticità clinico-organizzative, problemi di comunicazione struttura-familiari e gestione dell'emergenza sul piano comunicativo non adeguata;
   analizzando la documentazione immediatamente disponibile e confrontandola con le testimonianze raccolte dal personale medico e dai racconti dei familiari delle donne decedute, sarebbe emerso in particolare, in almeno tre casi di quattro, la necessità di predisporre e diffondere procedure che permettano di migliorare la valutazione delle condizioni di rischio potenzialmente presenti in gravidanza e al momento del ricovero, con particolare riferimento alla problematica delle infezioni e della sepsi e la necessità di linee guida da seguire per la gestione di questa patologia ad elevata letalità e le cui probabilità di sopravvivenza sono anche tempo-dipendenti, e che dunque rende necessaria un'identificazione precoce e un monitoraggio continuo del quadro clinico;
   dalla relazione preliminare sarebbe emerso anche che, dal punto di vista organizzativo, in considerazione del fatto che il processo assistenziale travaglio/parto/nascita, anche in situazioni fisiologiche, è tempo-dipendente, è necessario predisporre e diffondere procedure che permettano una chiara definizione del percorso assistenziale e delle responsabilità ad esso connesso;
   in merito al decesso della signora Giovanna Lazzari, morta giovedì 31 dicembre 2015 nel presidio ospedaliero Spedali Civili di Brescia, l'esame della documentazione clinica avrebbe fatto emergere alcuni aspetti di criticità sia di carattere organizzativo, sia clinico: la comunicazione con i parenti, con i mezzi di informazione e tra i professionisti richiede azioni correttive, anche in base a quanto previsto dalle linee guida del 2011 per gestire e comunicare gli eventi avversi in sanità;
   in merito al caso di Marta Lazzarin, la donna deceduta il 29 dicembre 2015 all'ospedale San Bassiano di Bassano del Grappa, la gestione dell'emergenza, su un piano comunicativo, non sarebbe stata adeguata, creando forse delle aspettative nei familiari sull'esito delle cure ed inoltre sembra che non sia stata fornita una adeguata assistenza rispetto alla gestione del dolore;
   anche nel caso della signora Anna Massignan, sulla base della documentazione rese immediatamente disponibile e dei colloqui intercorsi con il personale dell'ospedale G. Fracastoro di San-Bonifacio, Azienda ULLSS N.20 di Verona coinvolto nei fatti, nonché dalla Epicrisi (fornita dal direttore della unità operativa complessa di ginecologia ed ostetricia), sarebbero emerse alcune criticità di carattere organizzativo e clinico;
   negli ultimi due anni in Italia sono morte 39 donne, la maggior parte delle quali a causa di complicanze ostetriche della gravidanza e del parto e il numero potrebbe essere sottostimato poiché è frutto dell'analisi condotta grazie ad un progetto pilota di sorveglianza della mortalità materna, coordinato dall'Istituto Superiore di Sanità (Iss), che ha coinvolto solo 6 regioni italiane (Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Campania e Sicilia), come riportato da La Stampa;
   il progetto di sorveglianza attiva, messo in piedi da due anni dal Centro nazionale di sorveglianza e promozione della salute dell'Iss, grazie a un finanziamento del Centro controllo malattie (CCM) del Ministero della salute, ha creato una rete di circa trecento presidi sanitari pubblici e privati, che coprono però solo il 49 per cento dei nati nel Paese, anche se il progetto rappresenta un lodevole tentativo di rilevare, nel dettaglio, i percorsi assistenziali in modo da identificare eventuali criticità cliniche o organizzative e indicare le strategie di prevenzione delle morti evitabili; il progetto ha fatto emergere anche, attraverso il record linkare, le morti materne tardive avvenute tra 43 e 365 giorni dall'esito della gravidanza;
   le morti per cause legate alla gravidanza o al parto non dovrebbero più avvenire in un Paese moderno, al giorno d'oggi con i progressi compiuti in medicina, e soprattutto appare assurdo agli interroganti che ancora oggi si debba sentir dire che è necessario predisporre e diffondere procedure che permettano una chiara definizione del percorso assistenziale nel processo travaglio/parto/nascita e delle responsabilità ad esso connesso, come scritto nella relazione preliminare della task force che sta indagando sui decessi delle donne di cui in premessa;
   secondo il Codacons: «Mandare gli ispettori negli ospedali serve a lavarsi la coscienza senza effetti reali sul fronte della prevenzione e del miglioramento del servizio sanitario»; inoltre, come dichiarato dal presidente Carlo Rienzi, che ha anche confermato l'esposto del Codacons alla magistratura, «Cinque morti in sette giorni non sono imputabili al caso e le misure prese sono insufficienti. Serve prevenire, migliorando il servizio offerto dagli ospedali italiani» –:
   se il Ministro interrogato sia consapevole della gravità della situazione e in che modo si stia attivando per accertare ogni possibile causa di tali decessi, in modo da fornire ogni risposta dovuta alle famiglie colpite da queste terribili perdite e  assumere le iniziative necessarie affinché tali eventi non capitino nuovamente;
   quali siano gli orientamenti del Ministro in merito al fatto che ci sia ancora oggi l'esigenza di predisporre e diffondere procedure che permettano una chiara definizione del percorso assistenziale nel processo travaglio/parto/nascita e delle responsabilità ad esso connesso, come scritto nella relazione preliminare della task force che sta indagando sui decessi delle donne di cui in premessa;
   se il Ministro non consideri necessario ed urgente intervenire per far implementare il progetto di sorveglianza attiva di cui in premessa in modo da ottenere un quadro della situazione completo, che monitori tutte le regioni italiane;
   quali iniziative di competenza si intendano assumere per risolvere le diverse criticità clinico-organizzative, i problemi di comunicazione struttura-familiari e l'inadeguatezza della gestione dell'emergenza sul piano comunicativo rilevate dalla task force che sta indagando sui decessi di cui in premessa, e in che modo il Ministro interrogato intenda attivarsi per far sì che nel nostro Paese non avvengano più decessi per cause legate al parto. (4-11661)


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in un comunicato giunto all'interrogante dalla rappresentanza sindacale unitaria Agecontrol – direzione generale, viene denunciata l'insopportabile situazione gestionale, che perdura ormai da anni e che continua a produrre spreco e mala gestione di risorse pubbliche, essendo il finanziamento per il funzionamento dell'Agenzia a totale carico del bilancio statale;
   a giudizio dell'interrogante, della rappresentanza sindacale unitaria e della Ugl-agroalimentare è necessario che il Ministro interrogato intervenga per riportare l'Agenzia sotto il diretto e completo controllo finanziario del Ministero delle politiche agricole e nell'ambito del diritto amministrativo e non disperdere il patrimonio umano di esperienze accumulato in trent'anni di attività di controllo nel settore degli aiuti comunitari in campo agroalimentare, valutando la possibilità di trasferire tale patrimonio all'interno dell'Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione delle frodi dei prodotti agroalimentari;
   Agecontrol è l'unica, tra gli enti strumentali del Ministero, la cui riforma è rimasta impigliata all'interno del testo di un «collegato agricolo» ormai svuotato, essendo stati già definiti, ed operativi, i progetti di riforma degli altri enti interessati;
   la rappresentanza sindacale unitaria dell'Agecontrol e l'interrogante ritengono che si debba porre fine ad una gestione economica non più in linea con i criteri sobrietà dell'utilizzo delle risorse pubbliche. Ed infatti, a questo proposito, si rendono note: le gravi carenze nella gestione del trattamento di fine rapporto dei dipendenti e la completa ed inadeguata rendicontazione del medesimo, come emerso nell'accertamento tecnico preventivo eseguito presso la sezione del lavoro del tribunale di Roma; l'elevato contenzioso del lavoro esclusivamente imputabile all'improvvisata gestione delle risorse umane, con conseguente accantonamento in bilancio di riserve milionarie per far fronte alle consulenze degli avvocati esterni, nonostante la presenza di 3 avvocati dipendenti; avvicendamento di quattro capi del personale in quattro anni; chiamata in causa nei confronti di 59 dipendenti, con l'azienda regolarmente condannata al risarcimento di spese e danni; reintegro nella superiore posizione di quadro di un'impiegata, accompagnato da un risarcimento di quasi 500 mila euro;
   l'elenco della rappresentanza sindacale unitaria dell'Agecontrol non termina qui: mancato rinnovo del contratto integrativo aziendale a causa, si dice, della carenza di risorse finanziarie; sarebbe, però, stato rinnovato il già nuovissimo arredamento degli uffici dell'amministratore unico e del direttore generale per circa 22 mila euro e 12 mila e 400 euro sarebbero stati destinati a costituire ulteriori benefit a favore di alcuni dirigenti sotto forma di posto auto in garage privato; sarebbe infine prevista una polizza assicurativa salute integrativa per i dirigenti che già usufruiscono del FASI –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-11664)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 45, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, è stato inserito nell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), il comma 2-bis, in base al quale l'esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria di importo inferiore alla soglia comunitaria, funzionali all'intervento di trasformazione urbanistica del territorio, è a carico del titolare del permesso di costruire e non trova applicazione il codice dei contratti;
   con deliberazione n. 1117 del 10 giugno 2013, la giunta comunale di Milano ha approvato le linee guida per la realizzazione delle opere di urbanizzazione e dei servizi pubblici e di interesse pubblico o generale, nell'ambito dei procedimenti urbanistici ed edilizi, precisando, nel capitolo 2, punto 5 – in merito all'applicazione del comma 2-bis dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 – che «le opere di urbanizzazione primaria si considerano funzionali se necessarie per dare autonomia ad un insediamento urbano»;
   nel successivo capitolo 6, punto 2 delle stesse linee guida, in merito alla determinazione dell'importo globale delle opere e delle attrezzature da considerare ai fini dell'applicazione del codice dei contratti – così come già messo in rilievo nell'interrogazione a risposta in commissione n. 5-04648 del 5 febbraio 2015 e nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-11205 del 19 novembre 2015 ancora pendenti – si stabilisce che, dall'importo globale delle opere e delle attrezzature, sono escluse le opere di urbanizzazione primaria funzionali all'intervento sotto soglia, ai sensi dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380, nonché le attrezzature private realizzate su aree oggetto di cessione al comune, su aree private asservite all'uso pubblico, su aree private, che non sono ammesse a scomputo e che non concorrono nella dotazione territoriale dovuta e le opere e le attrezzature pubbliche in immobili privati e le opere aggiuntive realizzate con risorse private;
   l'articolo 29, comma 7, del codice dei contratti – in merito ai metodi di calcolo del valore stimato dei contatti pubblici – stabilisce, invece, che per i contratti relativi a lavori, opere, servizi, quando un'opera prevista o un progetto di acquisto di servizi possono dare luogo ad appalti aggiudicati contemporaneamente per lotti distinti, il valore complessivo da considerare è quello dato dalla totalità di tali lotti, e che quando quest'ultimo valore è pari o superiore alle soglie comunitarie, le norme dettate per i contratti di rilevanza comunitaria si devono applicare all'aggiudicazione di ciascun lotto;
   la Commissione europea, il 5 ottobre 2015, ha informato i presentatori di una denuncia per violazione del diritto comunitario – avente come oggetto proprio l'articolo 16, comma 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 e la sua applicazione con le modalità previste dalle ricordate linee guida della giunta di Milano – che la loro denuncia è stata trasferita all'applicazione EU-Pilot con numero di riferimento 7994/15/GROW;
   dalla risposta dell'assessore all'Urbanistica, edilizia privata, agricoltura del comune di Milano all'interrogazione n. 871 del consigliere comunale Marco Cappato, risulta che il sindaco di Milano, il 26 novembre 2015, abbia trasmesso i chiarimenti richiesti dalla Struttura di missione per le procedure di infrazione, operante presso il dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri per poter corrispondere alle autorità comunitarie –:
   se, nell'ambito della procedura EU-Pilot 7994/15/GROW, la Commissione abbia chiesto alle autorità italiane di fornire informazioni e chiarimenti – e/o di adottare misure correttive – soltanto rispetto alle disposizioni delle linee guida della giunta di Milano, richiamate in premessa ovvero rispetto a quanto stabilito dall'articolo 16, comma 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 ed alla compatibilità di quest'ultima disposizione con l'articolo 29 del codice dei contratti e più in generale con il diritto comunitario;
   se e quale tipo di riscontro sia stato fornito alla Commissione europea sulla base delle informazioni e dei chiarimenti trasmessi dal comune di Milano il 26 novembre 2015;
   se ritengano che le richieste della Commissione europea e l'attività istruttoria che ne è conseguita debbano essere prese in adeguata considerazione nell'ambito dei lavori finalizzati a definire lo schema del disegno di legge recante deleghe al Governo per l'attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014 e per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, al fine di assicurare che sia, in ogni caso, esclusa la possibilità di frazionare le opere e le attrezzature realizzate nell'ambito dello stesso intervento urbanistico e dunque di eludere l'applicazione delle disposizioni previste per i lavori sopra la cosiddetta soglia comunitaria.
(4-11668)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 22 dicembre 2015 il dipartimento della Presidenza del Consiglio dei ministri per informazione e l'editoria, ha provveduto ad assegnare i contributi testate ammesse al finanziamento, secondo quanto specificato dall'articolo 3 della legge n. 250 del 1990 e successive modificazioni e dal decreto-legge n. 63 del 18 maggio 2012, convertito dalla legge n. 103 il 16 luglio 2012;
   tra i tanti beneficiari c’è anche « Cronache del Garantista», quotidiano arrivato nelle edicole il 18 giugno 2014, dopo che il direttore, Piero Sansonetti, aveva siglato l'accordo per acquistare la testata « Cronache di Liberal» dall'attuale deputato del gruppo AP Ferdinando Adornato;
   il succitato quotidiano, edito dalla società cooperativa «Giornalisti indipendenti», ha beneficiato di euro 630.267,05;
   secondo però quanto denunciato dal segretario generale aggiunto della Federazione nazionale della stampa italiana, Carlo Parisi, e secondo quanto riportato su diversi organi di informazione, «neppure un centesimo andrà nelle tasche dei giornalisti calabresi, ovvero di coloro i quali, tra lacrime e sangue, hanno garantito l'uscita del giornale venduto pressoché esclusivamente in Calabria. Un epilogo grave, vergognoso e assurdo che non può e non deve passare sotto silenzio»;
   i redattori de « il Garantista» vantano addirittura 12 mensilità e 2 tredicesime, avendo ricevuto lo stipendio solo 6 volte in 18 mesi;
   secondo quanto riportato dal sito « giornalistitalia.it», già «nel luglio scorso è stata chiusa la redazione romana del quotidiano diretto da Piero Sansonetti puntando esclusivamente sul mercato calabrese per tentare di fronteggiare la grave crisi che investe il giornale»;
   con gli stessi giornalisti calabresi, agli inizi del 2015, Andrea Cuzzocrea, e amministratore delegato della cooperativa prima dell'avvento del nuovo amministratore delegato Francesco Armentano, ha proposto a tutti i lavoratori la cosiddetta «cessione del credito», un atto notarile col quale è stato ceduto il contributo pubblico a giornalisti e fornitori. Impegno, questo, mantenuto anche dallo stesso Armentano;
   secondo quanto comunicato dal comitato di redazione de « Il Garantista» direttamente sulle pagine del giornale, «passano i mesi: i nostri stipendi non si vedono, è vero, ma si decide di tirare avanti confidando proprio nella cessione del credito [...] Intorno a novembre il nostro amministratore delegato parla fumosamente di problemi del nostro credito. Proviamo a capire ma lui, qualche giorno dopo, rassicura tutti e ci chiede di andare avanti. Sempre non pagati. Poi succede il patatrac. Solo qualche giorno fa Francesco Armentano ci fa sapere che i soldi non ci sono. Ma solo per noi. Come è possibile ? Eppure il contributo erogato dal fondo dell'editoria è di 650 mila euro. Una cifra più che sufficiente a pagare la nostra cessione del credito. Sufficiente se non fosse che lo stampatore Umberto De Rose ha intascato la bellezza di 507 mila euro e i giornalisti della redazione romana i restanti. E noi ? Noi zero. Già l'atto notarile dei giornalisti «calabresi», stranamente, viene contestato e, dunque, per un vizio di forma ci sono stati negati i soldi. Ora c’è da dire che se noi avessimo ricevuto i nostri soldi il buon De Rose avrebbe intascato 250 mila euro in meno»;
   preme sottolineare, in questa sede, che Umberto De Rose è sotto processo per tentata violenza privata per la vicenda « Oragate» (processo che avanza, stranamente, a gran rilento, come denunciato dalla sottoscritta nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-11134): lo stampatore fece di tutto per non far uscire su « L'Ora della Calabria» la notizia sull'inchiesta della magistratura nei confronti del figlio del senatore Antonio Gentile, e quando si rese conto che l'allora direttore, Luciano Regolo, non avrebbe fatto passi indietro e che la notizia sarebbe stata pubblicata – questa la tesi dell'accusa – sarebbe ricorso al «guasto» della rotativa per impedire l'uscita del quotidiano;
   l'interrogante si è già occupata di questioni circa l'imprenditore De Rose (interrogazione a risposta scritta n. 4-05823) in relazione alle presunte truffe in ordine a contributi ricevuti da società in Calabria, come incentivo per l'attività che avessero beneficiato di fondi statali ai sensi del decreto-legge n. 415 del 1992 come convertito dalla legge 488 del 1992;
   nel succitato atto parlamentare si sottolinea come, dall'elencazione delle imprese che nella regione Calabria hanno beneficiato di contributi pubblici per le suindicate finalità, ma senza raggiungere gli indicatori di legge, spunta anche la «De Rose Forniture e Servizi srl», cui i 6 dicembre 2012 il dirigente generale del i dipartimento attività produttive della regione Calabria, Maria Grazia Nicolò, intimò, con proprio decreto, la restituzione entro trenta giorni di 4.927.850,97 euro;
   la restituzione, ciononostante, a quanto risulta all'interrogante, non sarebbe mai avvenuta;
   preme sottolineare che la vicenda de « Il Garantista» rivela, ancora una volta, lo stato drammatico dell'informazione in Calabria, in cui i diritti dei giornalisti sono frequentemente calpestati, come emerso anche da precedente interrogazione n. 4-10164, in cui si denunciava quanto accaduto ad alcuni giornalisti de « La Provincia di Cosenza» ai quali è stato impedito di mettere piede nella nuova redazione di Corso Mazzini n. 92, già sede del giornale al suo debutto in edicola, senza che fosse stato comunicato ai giornalisti il cambio della stessa redazione –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti;
   se non ritengano di acquisire, per quanto di competenza, ulteriori elementi in ordine alla situazione descritta in premessa, in relazione all'effettiva gestione del quotidiano « Il Garantista» e alle ragioni per cui non sia stato rispettato l'accordo sulla cessione di credito, a tutto vantaggio di Umberto De Rose;
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo a tutela dei diritti dei giornalisti interessati e, più in generale, a garanzia della libertà dell'informazione e della digita dei suoi operatori, in particolare in Calabria. (4-11669)


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   secondo un reportage pubblicato in questi giorni da Il Fatto quotidiano, il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi nasconderebbe regali «di Stato», ovvero numerosi doni di lusso, probabilmente ricevuti in seguito alle diverse visite e missioni effettuate all'estero; risulterebbe infatti che il Premier non avrebbe consegnato a Palazzo Chigi, come dettato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 dicembre 2007 (Romano Prodi), secondo il quale i membri del Governo e i loro congiunti non avrebbero dovuto utilizzare per uso personale doni con un valore superiore ai 300 euro, ma destinarli ad «iniziative aventi finalità umanitarie, caritatevoli, di assistenza e beneficenza»;
   Romano Prodi si occupò personalmente della vicenda doni con il suddetto decreto recante «Disciplina del regime per i doni di cortesia ricevuti dai componenti del Governo» che entrò in vigore il 1o gennaio 2008 e nello specifico riguarda «tutti gli oggetti che il presidente del Consiglio dei ministri, i Ministri, tutti gli altri membri del Governo ed i loro congiunti ricevono in occasione di visite o incontri ufficiali, da parte di autorità o delegazioni italiane o straniere aventi carattere protocollare d'uso e di cortesia», secondo tale decreto, inoltre, possono essere accettati e trattenuti personalmente solo i doni il cui valore non sia superiore a 300 euro; inoltre in base al suddetto decreto, alcuna tipologia di doni, il cui valore sia superiore ai 300 euro, restano nella disponibilità dell'amministrazione;
   anche i dirigenti pubblici e quindi anche i dirigenti e funzionari di Palazzo Chigi, devono rifiutare omaggi del valore superiore, invece, ai 150 euro, come dettato dal codice di comportamento dei dipendenti pubblici emanato con il decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62;
   sembra che il Premier abbia sfoggiato un paio di Rolex, di sicuro un Daytona, cassa massiccia, quadrante scuro, per un costo di non meno di 10.000 euro, e un vistoso Audemars Piguet; Simone Bruni, esperto di orologi e direttore de La Clessidra, intervistato dalla trasmissione «Un Giorno da Pecora», ha descritto il modello dicendo che si tratterebbe di un Audemars Piguet Royal Oak, che, «se autentico, costa 15.000 euro»;
   i cronisti, analizzando l'agenda estera di Renzi del settembre 2014, hanno ipotizzato che il Premier avrebbe ricevuto il cronografo da Vladimir Putin, incrociato in quei giorni all'incontro Asia-Europa, svoltasi a Milano e appassionato di cronografi;
   nell'ottobre del 2014, il sito del Fatto Quotidiano ha formulato la domanda all'ufficio stampa di Palazzo Chigi sull'origine dell'Audemars Piguet per sapere se le indiscrezioni potessero essere confermate, ma non è stata fornita alcuna risposta in merito;
   dal Premier giapponese Shinzo Abe, invece, Renzi avrebbe ricevuto in dono nel giugno del 2014 una bicicletta Shimano del costo sicuramente superiore ai 300 euro;
   il Governo non ha smentito le ricostruzioni del Fatto Quotidiano circa i doni ricevuti in Arabia Saudita, ma ha soltanto precisato che «i doni dei sauditi sono nella disponibilità della Presidenza del Consiglio»;
   a Ryad, lo staff dei collaboratori di Renzi contava una cinquantina di italiani in missione d'affari, vertici di aziende, dirigenti di Chigi, uomini della sicurezza: ad avviso dell'interrogante non c’è stata trasparenza su eventuali altri doni ricevuti o meno –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri sia al corrente dei fatti esposti in premessa e se non consideri necessario fare chiarezza con urgenza sulle ipotesi diffuse dalla stampa riguardanti i doni di lusso di cui in premessa, che gettano discredito sulla figura del Capo del Governo e sulla sua squadra e, nel caso venissero confermate queste ipotesi, come intenda giustificare tale condotta e, soprattutto, in che modo intenda porre rimedio ad un comportamento del genere, in chiaro contrasto con la normativa vigente e del tutto inappropriato per una figura istituzionale di tale livello. (4-11670)


   DIENI, CECCONI, COZZOLINO, DADONE, D'AMBROSIO, NUTI, TONINELLI e SIBILIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 20 dicembre 2007, recante disciplina del regime per i doni di cortesia ricevuti dai componenti del Governo, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 15 febbraio 2008, n. 39, relativamente agli «oggetti che il Presidente del Consiglio dei ministri, i Ministri, gli altri membri del Governo e i loro congiunti ricevono, in ragione dell'ufficio che ricoprono pro-tempore», stabilisce che possono essere trattenuti personalmente soltanto «i doni di rappresentanza il cui valore espresso in denaro non sia superiore a 300,00 euro»;
   per ciò che riguarda i restanti doni, secondo lo stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri essi «possono essere destinati alle sedi ufficiali o di rappresentanza» o «destinati dal Presidente del Consiglio e dai Ministri per iniziative aventi finalità umanitarie, caritatevoli, di assistenza e beneficenza»;
   le norme relative al comportamento dei dipendenti pubblici in materia di regali sono invece individuabili nel decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62, che, nell'articolo 4 precisa che «il dipendente non accetta, per sé o per altri, regali o altre utilità, salvo quelli d'uso di modico valore effettuati occasionalmente nell'ambito delle normali relazioni di cortesia e nell'ambito delle consuetudini internazionali»;
   nello stesso articolo viene definita una soglia in via orientativa, pari a «150 euro, anche sotto forma di sconto»;
   a quanto emerge tuttavia da un articolo de Il Fatto Quotidiano del 10 gennaio 2015, del giornalista Carlo Trecce, dal titolo «Renzi nasconde i regali di Stato. Non solo i Rolex ricevuti nel viaggio in Arabia», alcuni elementi lascerebbero presupporre che il Presidente del Consiglio avrebbe violato la norma sul regime per i doni di cortesia, indicando a riprova di questo dato tre occasioni in cui il Premier avrebbe sfoggiato al polso tre tipi di orologi di un valore incompatibile con le proprie entrate dichiarate;
   il giornalista de Il Fatto Quotidiano li identifica come «un paio di Rolex, di sicuro un Daytona, un vistoso Audemars Piguet», quest'ultimo di un valore superiore ai 15 mila euro;
   nel contempo l'articolo segnala la coincidenza dell'apparizione degli orologi al polso del Premier con due appuntamenti istituzionali: per uno dei due Rolex si fa riferimento al viaggio a Ryad, nel novembre 2015, mentre per l'Audemars Piguet, si indica l'incontro con «Vladimir Putin, appassionato di cronografi», al vertice Asia-Europa del 17 ottobre 2014 a Milano;
   tutto ciò, ove risultasse verificato, aggraverebbe ancor di più il danno d'immagine riportato dal Paese, dato che un precedente articolo apparso su Il Fatto Quotidiano e mai smentito con chiarezza dal Governo, faceva riferimento, sempre per ciò che riguarda il viaggio istituzionale a Ryad, a un fatto imbarazzante: alla delegazione italiana sarebbero stati offerti in dono cronografi del valore di 4 mila euro e Rolex dal valore di decine di migliaia di euro e attorno ad essi sarebbe sorta una lite tra i funzionari italiani, bramosi di impossessarsi del modello più costoso;
   tale comportamento, oltreché contrario alla legge, apparirebbe quantomai indecoroso e moralmente riprovevole, specie in un momento in cui gli italiani Comuni soffrono ancora le conseguenze della crisi economica –:
   se intenda smentire di aver ricevuto doni del valore superiore a 300 euro in occasione di incontri istituzionali in Patria o all'estero e di averli utilizzati a proprio beneficio. (4-11671)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MONGIELLO e PORTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   con comunicato del Ministero degli affari esteri, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 213 del 13 settembre 2014, è stato reso noto lo stralcio del dispositivo del decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 2014, con cui si è provveduto alla soppressione dell'Ambasciata d'Italia a Santo Domingo a decorrere dal 31 dicembre 2014. Contestualmente, si è precisato che il predetto decreto sarebbe stato trasmesso alla Corte dei conti per il visto e la registrazione di competenza per la successiva pubblicazione nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana;
   contro tale decreto è stato proposto ricorso per l'annullamento presso il TAR del Lazio con Atto di opposizione R.G. n. 14701 del 2014;
   con sentenza n. 09371/2015 del 25 giugno 2015, la Sezione Terza Ter del tribunale amministrativo regionale del Lazio ha accolto il ricorso disponendo l'annullamento del decreto impugnato;
   il decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 2014 è stato annullato per essere viziato di eccesso di potere per illogicità manifesta e violazione della legge n. 135 del 2012;
   il giudice amministrativo, al riguardo, ha avvalorato la tesi dei ricorrenti secondo cui la soppressione di una delle più rilevanti sedi consolari dell'America centrale (la ventesima nel mondo in ordine di importanza), in un territorio ove sono presenti, in pianta stabile, circa trentamila italiani, diverse imprese commerciali nazionali, meta turistica di circa 100.000 connazionali, risulta essere una scelta organizzativa che, oltre, a porsi in palese violazione del criterio dell'invarianza dei servizi, indicato nel decreto-legge n. 95 del 2012 sulla spending review, di cui vorrebbe costituire attuazione, laddove la sede che la sostituisce si trova a 1509 chilometri ed è raggiungibile solo in aereo e con alti costi, appare illogica ed incoerente con le stesse finalità indicate all'interno del decreto presidenziale che la contiene;
   sempre secondo il Tar del Lazio, non è dato comprendere, alla luce delle dimensioni della sede di Santo Domingo e dell'interesse, economico che tale territorio ha per molte imprese italiane, la scelta di sopprimere le succitata ambasciata, identificandola tra altre di minori dimensioni nel bacino territoriale dell'America Centrale;
   inoltre, la sentenza di annullamento del decreto del Presidente della Repubblica di cui trattasi, dichiara che appare, poi, senz'altro da escludere che tale soppressione possa compensarsi con la presenza di un Consolato generale onorario e con la futura predisposizione di una sezione distaccata dell'ambasciata a Panama presso la locale delegazione dell'Unione europea. Nulla e detto, a tale riguardo, dal Ministero degli affari esteri sugli uffici e sui servizi che tale sezione potrebbe o dovrebbe avere, con ciò aggirando il problema della continuità ed efficienza dei servizi;
   inoltre, di fronte alla motivazione proposta dal Governo italiano circa la sostenuta conformità del decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 2014 alle finalità previste dal decreto-legge n. 95 del 2012, cui era vincolato il Ministero degli affari esteri, ovvero quello dell'invarianza dei servizi, quando non quello del miglioramento della rete diplomatico-consolare, il Tar Lazio oppone che ciò sia stato certamente ignorato nel momento in cui si è individuata quale sede sostitutiva l'ambasciata d'Italia a Panama, distante 1500 chilometri, raggiungibile solo in aereo con i poco sostenibili costi di viaggio;
   quanto agli obblighi di riduzione della spesa pubblica, gli interroganti, facendo proprie le considerazioni del giudice amministrativo, segnala che, dovendo comunque garantire a Panama i servizi consolari per le decine di migliaia di residenti italiani di Santo Domingo, come anche dei numerosissimi turisti, si creeranno ulteriori spese per l'ampliamento della struttura ivi presente, quando non anche un aumento dell'organico ed altresì si porranno nuove spese, dovendosi inevitabilmente computare i maggiori costi che dovrebbero essere sopportati per adeguare la sede panamense all'aumentata domanda e senza considerare i costi di quella «rete consolare, onoraria» che si intende rafforzare in luogo della sede istituzionale –:
   quali informazioni possa riferire in merito alla vicenda descritta in premessa ed in particolare allo stato dei fatti riguardanti gli effetti prodotti dall'annullamento del decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 2014, a norma della sentenza del Tar del Lazio n. 09731/2015 e che ha determinato la mancata soppressione dell'ambasciata d'Italia in Santo Domingo (Repubblica Dominicana);
   se non intenda adottare iniziative normative urgenti volte alla riapertura dell'ambasciata d'Italia in Santo Domingo, quale sede di rilevante importanza nell'area geografica del centro America, meta turistica d'elezione di centinaia di italiani ogni anno, nonché luogo di residenza di una più che consistente comunità italiana e sede di numerose iniziative imprenditoriali del nostro Paese. (5-07378)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   sulla definizione prevista per legge del deposito unico nazionale si registra un preoccupante silenzio del Governo e delle strutture collegate a partire dalla Sogin che dopo una costosissima campagna pubblicitaria continua a negare l'elenco dei siti;
   risulta all'interrogante che si starebbe procedendo a verifiche dettagliate e approfondite di alcuni siti, tra i quali uno in Sardegna;
   in questa ipotesi risulta all'interrogante che in diversi ambienti si starebbe addirittura facendo valutazioni progettuali sul sito indicato per la Sardegna;
   il sito sul quale si starebbero avviando fasi progettuali da parte di soggetti terzi incaricati informalmente dalla stessa Sogin è quello ricadente nella zona industriale di Ottana;
   la stessa area è stata già duramente provata da un grave inquinamento dalle precedenti attività industriali di Stato;
   Ottana è luogo del tutto improponibile per tale ipotesi, così come lo è l'intera Sardegna;
   l'Ispra ha pubblicato, con notevole ritardo, la guida tecnica n. 29 relativa ai criteri per l'individuazione del sito per la realizzazione del deposito unico nazionale per le scorie nucleari; il documento non indica una precisa località, ma tutti i documenti e studi richiamati riportano alla Sardegna; il piano dell'Ispra per individuare il deposito unico pubblicato è una sovrapposizione di documenti impressionante, ma che ha un comune denominatore: escludere tutte le aree a rischio;
   l'Ispra arriva alla Sardegna per esclusione di tutto il resto;
   carte e mappe che indicano rischi, pericoli, e che in sintesi affermano che la Sardegna sarebbe la terra più sicura per le scorie nucleari;
   nel documento dell'Ispra denominato guida tecnica n. 29 sono indicati criteri, ma ad una più attenta e dettagliata analisi si arriva a capire qual è il progetto scellerato: realizzare il deposito unico nazionale in Sardegna; a decidere tutto sono i criteri di esclusione individuati da Ispra;
   prima di tutto vengono escluse le aree vulcaniche attive e quiescenti, poi quelle contrassegnate da sismicità elevata e infine quelle interessate da fenomeni di fogliazione;
   la Sardegna secondo tutti i piani connessi e richiamati non rientra in alcun modo in queste prime tre priorità di esclusione;
   le simulazioni geosatellitari confermano che la Sardegna sarebbe l'unica regione d'Italia a corrispondere a questi criteri; il database realizzato dagli Stati Uniti (Database of Individual Seismogenic Sources) individua in modo esplicito l'unica regione che sarebbe esente da pericoli; si tratta di un piano, secondo l'interrogante scellerato, che deve essere respinto senza se e senza ma;
   tutti questi elementi che vengono tenuti sotto traccia, ma che di fatto sono allegati alla guida tecnica, rappresentano un elemento di gravità assoluta, proprio perché si sta tentando di mettere in piedi un piano che lascia poca scelta alla Sogin, per individuare la Sardegna come «terra di conquista» per le scorie nucleari;
   dalla pubblicazione del piano era emerso sin da subito con chiarezza il richiamo alla stabilità geologica, geomorfologica e idraulica. Un parametro univoco posto alla base del piano, secondo l'interrogante con l'unico obiettivo, di puntare sulla Sardegna;
   la Sardegna, secondo l'interrogante, non può e non deve essere minimamente interessata nemmeno come ipotesi dai criteri per la realizzazione del deposito unico nazionale delle scorie nucleari;
   questo piano di deposito unico nazionale che non si farà mai né in Sardegna né in Italia è secondo l'interrogante un'operazione fatta solo per spendere risorse senza controllo così come è stato sino ad oggi;
   il deposito nucleare unico sarà l'ennesimo pozzo senza fondo; questo piano ad avviso dell'interrogante è solo uno strumento delle lobby del nucleare e degli appalti che puntano a progettare, spendere con troppi omissis che non possono in alcun modo essere accettati;
   le carte e gli studi allegati e tenuti di fatto sotto traccia sono emblematici di un disegno studiato a tavolino e che non lascia adito a dubbi;
   il Governo deve immediatamente sconfessare questa ipotesi e dire con chiarezza e trasparenza quello che intende fare;
   non può il Governo continuare a sfuggire e delegare su una vicenda talmente delicata per la quale serve serietà e correttezza;
   si tratta di miliardi di euro di scorie nucleari, di fondi realizzare un deposito unico nazionale e mantenere in piena efficienza le centrali esistenti e soprattutto di un grande business nucleare;
   si paventa un fiume di denari verso le lobby nucleari che va immediatamente fermato;
   la Sardegna è contraria a qualsiasi ipotesi di deposito unico nucleare, contraria senza se e senza ma;
   già nel 2003, l'interrogante, da presidente della regione bloccò il piano del generale Jean per la realizzazione del deposito unico nazionale, facendo in modo che la conferenza dei presidenti approvasse la sua proposta di rigettare integralmente quel piano che ora si tenta di riproporre; in ambienti Sogin si continua a dire che la Sardegna sarebbe un sito ideale per il deposito unico nazionale di scorie nucleari;
   va ridiscussa alla radice la decisione di realizzare un deposito unico nazionale alla luce di valutazioni di natura scientifica, economica e di opportunità;
   proposte che la Sardegna ha avanzato undici anni fa condividendo l'impostazione del fisico Carlo Rubbia che aveva messo a punto un piano di ricerca per l'abbattimento della radioattività delle scorie;
   si tratta di un deposito unico nazionale dal quale devono, comunque, essere escluse, senza se e senza ma, realtà come la Sardegna che hanno sia sul piano normativo costituzionale che popolare negato la volontà di ospitare tale sito unico nazionale –:
   se il Governo non ritenga di dover smentire la possibilità di ubicazione ad Ottana del deposito unico nazionale di scorie nucleari;
   se il Governo non ritenga di dover smentire che soggetti terzi, comprese imprese iscritte nella vendor list della Sogin, stiano progettando (o preparandosi a farlo) il deposito di scorie nucleari nel sito di Ottana;
   se il Governo non ritenga di dover intervenire per disporre un cambio di rotta deciso sul deposito unico nazionale e perseguire altre strade;
   se il Governo non ritenga di dover urgentemente escludere la regione Sardegna da questa ipotesi. (5-07372)


   INCERTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   i consorzi di bonifica sono enti di diritto pubblico che, ai fini della salvaguardia e tutela del territorio e delle risorse idriche, concorrono alla progettazione, esecuzione e manutenzione di opere e sistemi volti alla sicurezza, alla difesa idraulica e alla gestione delle risorse idriche, i cui componenti sono sia soggetti privati che pubblici. I consorzi, dunque, intervengono, con la propria attività, sia nell'interesse del singolo proprietario che della collettività;
   alla luce della vigente legislazione nazionale e regionale, i consorzi di bonifica hanno importanti competenze per la realizzazione e la gestione di opere e azioni finalizzate alla difesa e alla conservazione del suolo;
   anche alla luce dei profondi cambiamenti climatici, con i conseguenti effetti su un territorio sempre più vulnerabile, nonché delle emergenze ambientali che in maniera crescente si verificano, sembra necessario un nuovo approccio verso il patrimonio idrico e la sua gestione; i maggiori compiti affidati agli enti consortili impongono che il «sistema bonifica» sia autorevole e all'altezza delle sfide che deve affrontare; i consorzi di bonifica, sia per il loro ruolo «pubblico-privato», che per l'impostazione obbligatoriamente intersettoriale tra gestione idrica e sicurezza territoriale, devono dunque affrontare una sfida inedita, basata sul binomio efficienza gestionale/autorevolezza della governance, che deve obbligatoriamente basarsi su regole rigorose e trasparenti, a partire dalla selezione dei suoi rappresentanti;
   il protocollo dell'intesa Stato-regioni raggiunta in data del 18 settembre 2008, sulla base di quanto previsto dall'articolo 27 del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2008, n. 31, nel definire i princìpi fondamentali per l'azione dei consorzi, ispirati alla salvaguardia e sicurezza territoriale, aveva già richiamato la necessità di intervenire, nel riordino dei consorzi, con modalità e procedure improntate alla trasparenza ed all'imparzialità, alla buona amministrazione, assicurando costante informazione dei consorziati e delle comunità locali sulle attività svolte;
   l'articolo 51 del collegato ambientale alla legge di stabilità 2014, ridefinisce la governance complessiva delle autorità di bacino, nella quale i consorzi assumeranno un ruolo consultivo e propositivo nuovo ed importante, a partire dall'istituenda conferenza istituzionale permanente;
   in data 13 dicembre 2015 si sono svolte le operazioni elettorali per il rinnovo degli organi del consorzio di bonifica Emilia Centrale, con la partecipazione di oltre 13 mila elettori; il 22 dicembre è stato presentato, da parte di alcuni consorziati, un reclamo al comitato amministrativo dell'ente contro le suddette operazioni elettorali, basato sulla motivazione che i risultati elettorali sarebbero stati falsati da diverse illegittimità, in primo luogo le numerose deleghe al voto rilasciate in bianco o utilizzate in maniera impropria; il reclamo presentato ha richiesto l'annullamento del procedimento elettorale per assenza di garanzia di rispondenza tra voto espresso e volontà del delegato, per condotte contrarie alle previsioni statutarie, per azioni contrastanti con la disciplina normativa, per pressioni indebite; fatti mai avvenuti nelle precedenti elezioni per gli organi del consorzio di bonifica a Reggio Emilia e Modena;
   in data 12 gennaio 2016, infine, le votazioni per l'elezione del consiglio del consorzio di bonifica dell'Emilia centrale sono state annullate, a causa della impossibilità di accertare i risultati delle elezioni data l'esigua differenza nei voti conseguiti dalle due liste concorrenti e il numero di irregolarità riscontrate. La regione dovrà decidere come procedere per indire nuove elezioni;
   la questione della sicurezza e della difesa idraulica e delle risorse idriche ha raggiunto una centralità inedita, considerando che l'irrigazione per il nostro Paese è esigenza strutturale prioritaria – oltre l'80 per cento della produzione agricola dipende da essa – e che la gestione idrica e il contrasto al dissesto idrogeologico sono fortemente connessi –:
   se i Ministri interrogati siano informati della gravità della situazione creatasi a Reggio Emilia e del clima in cui si sono svolte le elezioni in una regione che ha pure attuato una forte razionalizzazione degli enti, manifestazione evidente di quelle che appare all'interrogante l'inadeguatezza del sistema elettorale consortile, nella carenza di strumenti di gestione e controllo per impedire modalità irregolari indipendentemente da ricorsi o reclami ex post;
   se i Ministri non ritengano indispensabile, in conseguenza della ridefinizione della governance delle autorità di bacino operata con il collegato ambientale alla legge di stabilità per il 2014 , avviare una riflessione e discussione sul sistema dei consorzi di bonifica per intervenire sul modello di governo, che risulta oggi per l'interrogante chiaramente incoerente rispetto alla corposità e alla rilevanza delle attività di natura pubblica che rendono necessari metodi rigorosi di gestione e di trasparenza;
   se i Ministri non ritengano opportuno procedere, visto l'impegnativo compito dei prossimi anni, attivando la necessaria collaborazione dell'Associazione nazionale bonifica (ANBI), ad una ricognizione del sistema consortile al fine di avere un quadro preciso del numero di consorzi finiti in procedura fallimentare per verificare la dimensione media degli ambiti di intervento, del numero di consorzi che presentano situazioni critiche sia dal punto di vista patrimoniale, che della gestione economica, premessa indispensabile per una vera e propria riforma della rete consortile. (5-07374)

Interrogazione a risposta scritta:


   LORENZO GUERINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 15 marzo 2011, il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha rilasciato l'autorizzazione ad Ital Gas Storage, alla realizzazione presso il comune di Cornegliano Laudenese (Lodi) di un impianto di stoccaggio gas in sostituzione di un giacimento esaurito di gas naturale;
   a seguito delle conclusioni della «Commissione I.c.h.e.s.e.» sono state divulgate il 24 novembre 2014 dal Ministero dello sviluppo economico – direzione generale per la sicurezza (UNMIG) le linee guida per lo svolgimento delle nuove attività di sottosuolo, affinché siano accompagnate da reti di monitoraggio ad alta tecnologia;
   è notizia di questi giorni il guasto avvenuto a Los Angeles all'impianto di stoccaggio di gas naturale, Porter Ranch, che ha provocato un grave fuga di gas, costringendo molte persone all'evacuazione;
   alla luce di questo episodio avvenuto negli Stati Uniti, tornano di attualità le eventuali indicazioni tecniche fissate a tutela della sicurezza del sito di Cornegliano Laudenese –:
   quali prescrizioni il Governo abbia fissato per l'impianto di Ital Gas Storage di Cornegliano Laudenese (Lodi);
   alla luce di quanto accaduto presso l'impianto di Porter Ranch, quali siano le garanzie di sicurezza del sito in fase di realizzazione a Cornegliano Laudenese (Lodi), a fronte di un possibile simile evento. (4-11649)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VEZZALI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il canone RAI è stato introdotto con un regio decreto-legge del 1938 che prevedeva che l'imposta si applicasse solo ai possessori di apparecchio adibito alla ricezione di radioaudizioni televisive nel territorio italiano;
   al fine di recuperare un'evasione vicina a 600 milioni di euro l'anno, la decisione del Governo di inserire il canone televisivo nella bolletta dell'energia elettrica ha lasciato perplessi gli stessi fornitori di elettricità tanto che Assoelettrica, l'associazione che ne riunisce circa 200, ha ravvisato difficoltà tecniche (circa i sistemi di fatturazione), giuridiche (i possessori di apparecchi TV che non sono intestatari di utenze potrebbero restare esenti e gli utenti costretti a pagare potrebbero non avere una TV) e non ha escluso l'incostituzionalità del provvedimento e l'avvio di moltissimi giudizi civilistico/tributari per la restituzione delle somme indebitamente percepite;
   dal 2007 il mercato dell'energia è liberalizzato e i clienti sono liberi di cambiare fornitore anche più volte nel corso di un anno;
   una gran parte dei fornitori di energia elettrica (in Italia sono centinaia) ha dimensione territoriale e questa «riscossione» potrebbe determinare costi elevati di gestione;
   in caso di mancati pagamenti, il fornitore di energia non potrebbe provvedere al distacco di forniture se non incorrendo nel reato di interruzione di pubblico servizio, visto che il canone RAI ha natura di imposta;
   le associazioni di consumatori e i sindacati hanno annunciato ricorsi considerando illegittima e incostituzionale questa decisione e, quindi, impugnabile nelle competenti sedi –:
   se non ritenga che:
    a) il possibile gran numero di ricorsi già annunciato da parte degli utenti graverà inutilmente su un sistema giudiziario molto provato e dia corso ad un prevedibile flusso di rimborsi;
    b) il «pasticcio», come definito da fornitori di energia e associazioni di consumatori che invitano al pagamento di bollette solo per la quota di energia, non rischi di diventare un boomerang e creare il caos sul fronte dei pagamenti. (5-07357)


   CINZIA MARIA FONTANA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3, comma 1-bis, della legge 7 aprile 1997, n. 96, e successive modificazioni, stabiliva che «Le banconote in lire possono essere convertite in euro presso le filiali della Banca d'Italia non oltre il 28 febbraio 2012». Altresì, l'articolo 52-ter, comma 1-bis, del decreto legislativo 24 giugno 1998, n. 213, stabiliva che «Le monete in lire possono essere convertite in euro presso le filiali della Banca d'Italia non oltre il 28 febbraio 2012»;
   la sentenza n. 216 del 5 novembre 2015 della Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 26 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 («Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici»), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che anticipava al 6 dicembre 2011 il termine ultimo per poter convertire in euro le banconote, i biglietti e le monete in lire ancora in circolazione, nonostante il termine originariamente fissato al 28 febbraio 2012;
   a seguito della citata sentenza, la Banca d'Italia ha pubblicato in data 6 novembre 2015 sul proprio sito istituzionale una nota relativa alla questione della conversione lira/euro, che recita: «Subito dopo aver appreso dell'emanazione della sentenza della Corte, sono stati avviati con il MEF gli approfondimenti necessari per definire le modalità con le quali dare esecuzione. Le richieste di conversione saranno esaminate non appena esauriti questi approfondimenti»;
   a tutt'oggi mancano istruzioni chiare per consentire ai cittadini di convertire in euro le banconote e le monete in lire ancora in loro possesso –:
   con quali modalità ed entro quali termini il Ministro interrogato, per la parte di sua competenza, intenda dare esecuzione alla sentenza della Corte Costituzionale. (5-07359)


   PESCO, ALBERTI, VILLAROSA, PISANO e FICO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, le cui disposizioni sono state successivamente inserite nella legge di stabilità 2016, ha disposto la risoluzione di Cassa di risparmio di Ferrara s.p.a., di Banca delle Marche s.p.a., di Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa e di Cassa di risparmio di Chieti s.p.a., già oggetto di commissariamento da parte della Banca d'Italia;
   dal documento «L'Unità di Informazione Finanziaria per l'Italia nel sistema di contrasto alla criminalità economica e al riciclaggio» presentato in sede di audizione dal dottor Claudio Clemente, direttore dell'unità di informazione finanziaria per l'Italia (UIF) si apprende che:
    «Il sistema italiano di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo si fonda sul contributo sinergico degli operatori e di diverse autorità. (...) La collaborazione dei soggetti posti ai varchi dei circuiti legali (banche e altri intermediari finanziari, professionisti, operatori non finanziari) si concretizza nell'adempimento di obblighi di identificazione e monitoraggio della clientela, di registrazione delle transazioni nonché di individuazione e segnalazione delle operazioni sospette. I princìpi internazionali richiedono l'istituzione, in ogni Stato, di agenzie nazionali antiriciclaggio, le Financial Intelligente Unit (FIU), dotate di autonomia e specializzate nell'analisi finanziaria delle informazioni relative a possibili casi di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. (...) Nel nostro Paese tale compito è assolto dalla UIF, istituita presso la Banca d'Italia. Tra i vari modelli presenti nelle esperienze estere, l'ordinamento nazionale ha privilegiato la configurazione di un organismo di tipo amministrativo. (...) La collocazione dell'Unità presso un'istituzione indipendente e dotata di specifiche competenze nella valutazione dei fenomeni economico-finanziari, quale la Banca d'Italia, amplifica le garanzie di autonomia dell'UIF e favorisce l'utilizzo di risorse particolarmente qualificate per lo svolgimento dei compiti ad essa attribuiti». A parere degli interroganti, la scelta riferita a tale collocazione confligge paradossalmente con l'autonomia di cui dovrebbe essere dotata tale unità: eventuali difetti di vigilanza commessi da Banca d'Italia sull'operato degli enti finanziari potrebbero influenzare l'azione di vigilanza svolta dall'UIF sulle operazioni sospette ponendo in essere un gravissimo conflitto d'interesse. Inoltre «L'Unità è incaricata di ricevere le segnalazioni, effettuarne l'analisi finanziaria e valutarne la rilevanza ai fini dello sviluppo dell'azione investigativa da parte dei competenti organi (Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza e Direzione Investigativa Antimafia). (...) L'Agenzia delle Entrate e l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli devono consentire l'accesso ad alcuni dei propri archivi. (...) Contributi vengono anche forniti agli organi investigativi e alle Autorità». Tale autorità è quindi dotata di poteri investigativi che coinvolgono dati sensibili e riservati disponibili, di norma, solo alle autorità giudiziarie;
   il generatore di indici di anomalia per le operazioni sospette (GIANOS) è uno strumento operativo, un software diagnostico, realizzato in ambito associativo interbancario da esperti informatici sotto la supervisione dell'ABI, basato sull'analisi delle registrazioni dell'archivio unico informatico (AUI) e volto a identificare una serie di anomalie predeterminate ai fini di antiriciclaggio sulle quali l'operatore e/o il responsabile antiriciclaggio deve adempiere una serie di interventi, dalla rettifica/regolarizzazione dei dati errati o mancanti all'invio delle segnalazioni sulle possibili «operazioni sospette» all'UIF e i dati aggregati dell'archivio unico informatico;
   da un articolo del Corriere della Sera del 19 dicembre 2015 dal titolo «Bankitalia: i 20 mila “clienti fantasma” di Banca Etruria» si apprende: «Ci sono conti correnti con titolari incerti o inesistenti, o senza adeguate verifiche». Il verbale ispettivo di Bankitalia mette in evidenza che «a dicembre 2014 permangono ancora circa 25 mila rapporti da regolarizzare (di cui 5 mila conti correnti e 5 mila dossier titoli), sui quali sono state effettuate nel secondo semestre 2014, circa 1.200 forzature con 360 operazioni di importo superiore a mille euro» ... «anche l'individuazione del titolare effettivo presenta anomalie: a dicembre scorso i rapporti continuativi per i quali il titolare effettivo è stato dichiarato inesistente ammontano a più di 20.000; peraltro da un esame campionario su circa 700 posizioni è emerso che nel 20 per cento dei casi tali condizione è errata»; sarebbe di fondamentale importanza, ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2007 (prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo), titolo II (degli obblighi) e titolo V (disposizioni sanzionatorie finali), articolo 55 (sanzioni penali), conoscere il numero di operatori e relativi responsabili di Banca Etruria colpiti da Provvedimenti sanzionatori (multe, ammende e reclusioni) a fronte di tale evidenti anomalie, qualora le stesse dovessero esser confermate;
   la Banca d'Italia ha il compito di svolgere l'azione di vigilanza, sia ordinaria sia straordinaria, e l'esercizio delle sue competenze riguarda tutte le banche e gli istituti finanziari presenti in Italia, inclusa quindi Banca Etruria; nonostante la Banca d'Italia sia un istituto di diritto pubblico subordinato alla normativa nazionale non si conosce molto delle azioni svolte dalla stessa, soprattutto in sede di vigilanza straordinaria; nel corso dell'esercizio dei poteri di vigilanza, di solito, vengono redatti due tipi di verbali: uno integrale ed uno sintetico; gli interroganti non sono a conoscenza se l'autorità giudiziaria, in particolar modo per il caso di Banca Etruria, sia in possesso di entrambi i verbali e di tutti i documenti redatti dalla Banca d'Italia; visto che l'attività di risoluzione delle 4 banche ha inciso drammaticamente sulle disponibilità economiche e sulla vita di molte famiglie italiane che, in alcuni casi, hanno perso la totalità dei propri risparmi, sarebbe utile rendere partecipe il Parlamento, e le competenti Commissioni parlamentari, del contenuto di tali documenti ed in particolar modo delle relazioni predisposte dai vertici delle banche sottoposte a risoluzione;
   nel 2015 dall'UIF all'autorità giudiziaria sono stati comunicati oltre 75 mila casi di sospetto riciclaggio (Il Corriere della Sera del 7 gennaio 2015, articolo di Giovanni Bianconi, «Il dossier Riciclaggio») che riguardano circa 280 mila operazioni, le quali coinvolgono 169 mila persone fisiche e 82 mila persone giuridiche: sarebbe utile comprendere quante siano le segnalazioni complessive per operazioni sospette originariamente ricevute e vagliate dall'UIF, con indicazione dei dati relativi alle banche oggetto di risoluzione (ed in particolar modo a Banca Etruria), quante di queste siano poi effettivamente pervenute all'autorità giudiziaria e se il volume delle segnalazioni di Banca Etruria è in linea con il valore medio delle segnalazioni del settore bancario italiano nel suo complesso;
   dalla suddetta audizione del dottor Claudio Clemente, direttore dell'UIF si apprende che: «L'approfondimento da parte dell'UIF si avvale di diversi livelli di analisi e di un articolato sistema di rating delle segnalazioni. Le valutazioni di rischio degli analisti dell'UIF si affiancano a quelle cui sono tenuti gli operatori al momento dell'inoltro delle segnalazioni. Nel 2013 a oltre metà delle segnalazioni esaminate è stata attribuita dall'Unità una valutazione di rischio medio o elevato, confermando per una parte prevalente il giudizio degli operatori»;
   relativamente alle operazioni segnalate dalle banche oggetto di risoluzione, ed in particolar modo da Banca d'Italia, sarebbe utile comprendere che tipo di rating sia stato associato e nello specifico quale sia il livello di qualità delle segnalazioni; altresì sarebbe utile comprendere se ci sia il sospetto di carenze di segnalazioni;
   ai fini del corretto svolgimento delle indagini della magistratura sarebbe altresì utile comprendere se l'UIF abbia svolto ispezioni presso le banche oggetto di risoluzione e quale sia stato il relativo esito con particolare riguardo alle eventuali sanzioni applicate;
   da fonti stampa si apprende che le banche oggetto di risoluzione abbiano erogato finanziamenti a società riconducibili ai membri del consiglio di amministrazione della medesima banca e sarebbe utile comprendere quali a quante di queste operazioni siano state segnalate all'UIF;
   a tal proposito sarebbe utile altresì comprendere quale sia stato l'andamento del volume delle sofferenze delle banche oggetto di risoluzione sia nel periodo del commissariamento sia precedentemente ossia nel periodo in cui la Banca d'Italia ha provveduto ad esercitare i propri poteri di vigilanza ordinaria, e soprattutto sarebbe utile comprendere se i finanziamenti concessi dalle medesime banche, in particolar modo da Banca Etruria, siano stati erogati anche a società in crisi che difficilmente sarebbero state in grado di restituire quanto ricevuto;
   si segnalano le seguenti fonti stampa:
    a) da Il giornale.it si apprende che: «A luglio 2012 Pier Luigi Boschi e il presidente dell'istituto di credito Giuseppe Fornasari vanno in missione in Honduras. A chiamarli in Centramerica è Arnaldo Massini, ex direttore di filiale di banca a Perugia che si è inventato una seconda vita: è titolare di una società, la Aral, che a sua volta detiene il 22 per cento della GoldLake. E la Goldlake – come ha documentato Etruria News – opera nel campo dell'oro e dei metalli in Honduras»;
    b) da Il giornale.it si apprende che: «Tra le tanti ipotesi al vaglio degli inquirenti, infatti, ce n’è anche una inquietante, come riporta Libero: “Qualcuno, allentando dall'interno la griglia dei controlli obbligatori, possa aver favorito l'ingresso di clienti non proprio immacolati al fine di racimolare capitali anche in ambienti non proprio raccomandabili”»;
    c) da Il corriere.it si apprende che Banca Etruria fosse, dopo Banca d'Italia, l'istituto di credito con il maggior quantitativo di oro nei propri caveaux: 9 tonnellate e mezzo –:
   quali siano gli orientamenti del Governo, per quanto di competenza, su quanto esposto in premessa, e in particolar modo, se risulti se i preposti esponenti delle quattro banche commissariate e poi poste in risoluzione abbiano inoltrato all'Ufficio per l'informazione finanziaria per l'Italia tutte le comunicazioni normativamente previste, se l'Ufficio per l'informazione finanziaria abbia assunto, in modo indipendente da Banca d'Italia, tutte le opportune iniziative preposte alla prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo e se le operazioni in oro, e le relative dichiarazioni, effettuate presso le sedi delle medesime banche, siano conformi alle vigenti disposizioni normative, ed in che modo tali comunicazioni abbiano influito sull'attività del Governo e della Banca d'Italia. (5-07367)

Interrogazione a risposta scritta:


   FRANCO BORDO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Diana Bracco, vicepresidente di Confindustria con delega per ricerca e innovazione, è stata rinviata a giudizio con le accuse di evasione fiscale e appropriazione indebita, reati che avrebbe commesso in qualità di presidente del consiglio d'amministrazione di Bracco spa. Secondo l'accusa, Bracco avrebbe commesso una frode fiscale da oltre un milione di euro. Bracco, come riportato da fonti giornalistiche nazionali, è imputata di dichiarazione fraudolenta dei redditi mediante l'uso di fatture per operazioni inesistenti e appropriazione indebita. Secondo le accuse, la frode fiscale sarebbe stata realizzata abbattendo l'imponibile attraverso fatture per spese personali, come la manutenzione di barche o case in celebri località turistiche, fatte confluire sui bilanci delle società del gruppo Bracco;
   nel mese di marzo 2015 il nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Milano ha eseguito un sequestro preventivo di un milione e 42 mila euro, pari all'importo della presunta evasione sulle fatture, per un totale di oltre tre milioni di euro, emesse dagli architetti Pollastri e Calcinaghi per i lavori in cinque case di proprietà di Diana Bracco. Somma di cui è stato disposto il dissequestro in data 12 gennaio 2015 dal giudice che ha rinviato a giudizio gli imputati, poiché Diana Bracco, nei mesi scorsi, ha pagato le imposte chiudendo il contenzioso tributario;
   Diana Bracco risulta essere presidente di Expo 2015 spa, commissario generale di sezione per il Padiglione Italia all'Expo presidente della Fondazione Milano per Expo 2015;
   Expo 2015 spa, di cui Diana Bracco è presidente, risulta essere una società totalmente pubblica, partecipata al 40 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   il Ministero della salute e partner del Padiglione Italia, di cui Diana Bracco risulta commissario generale di sezione –:
   se il Governo non ritenga opportuno chiedere a Diana Bracco di presentare le dimissioni dalla presidenza di Expo 2015 spa, affinché l'attività e l'immagine di tale società non rimanga minimamente coinvolta dalla vicenda giudiziaria della sua presidente. (4-11662)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il sistema carcerario italiano è attraversato da gravi problematiche legate al sovraffollamento degli istituti di pena, al peggioramento delle condizioni di vita dei detenuti, alle scarsità del personale e dei mezzi, per cui anche la Corte di Strasburgo nel 2013, censurò il nostro Paese per il trattamento di alcuni suoi reclusi, costretti in spazi inferiori a quattro metri quadrati, in strutture fatiscenti con inadeguatezza di servizi igienici e medici;
   nel caso di specie, recenti notizie di stampa (vedasi articoli pubblicati su rovigooggi.it del 10 e 11 gennaio 2016) hanno riportato all'attenzione dell'opinione pubblica il caso del nuovo carcere di Rovigo, i cui lavori furono iniziati nel 2010 e terminati nel 2013, con un costo pari a circa 30 milioni di euro ma che, ad oggi, risulta pressoché inutilizzato poiché ancora in attesa del completamento di alcune opere e degli arredi, quale ultimo tassello;
   nello specifico, nel corso di un incontro con il prefetto Vicario (al momento prefetto reggente) Carmelo Fruncillo, i rappresentanti sindacali della polizia penitenziaria hanno delineato un quadro sconcertante rispetto alla situazione in cui versa la nuova struttura carceraria, con un desolante elenco che include la presenza di ratti, vivi e morti, odori nauseabondi e infiltrazioni di umidità che hanno Provocato già diversi danni ai pavimenti in legno;
   la situazione risulta ancora più complessa per coloro che operano all'interno del nuovo carcere (sia come agenti penitenziari addetti alla sorveglianza che come personale amministrativo) e che, in attesa dell'arrivo dei trenta detenuti ancora ospitati nella vecchia struttura penitenziaria rodigina di via Verdi si trovano a dover espletare le loro mansioni in entrambi gli istituti penitenziari, oltre a dover effettuare un piantonamento ospedaliero di un detenuto, con un sovraccarico di lavoro ed un aggravio dei turni, costretti spesso a lavorare in condizioni estremamente precarie, senza riscaldamento e nella situazioni di insalubrità sopra descritta;
   da ulteriori notizie di stampa (vedasi articolo de « Il Gazzettino» del 13 gennaio 2016), si apprende di una visita effettuata il 12 gennaio 2016 presso il nuovo carcere da parte del provveditore all'amministrazione penitenziaria per il Triveneto, Enrico Sbriglia, che sarebbe intervenuto per riportare la calma dopo le manifestazioni di protesta dei giorni precedenti da parte dei rappresentanti sindacali dell'amministrazione penitenziaria nei confronti della direttrice del carcere di Rovigo, Antonella Forgione, relative alla situazione di emergenza e precarietà e ai gravi ritardi nella inaugurazione ufficiale della nuova sede;
   i ritardi nella consegna del nuovo istituto penitenziario, costato circa 30 milioni di euro e che necessita di ulteriori risorse economico-finanziarie, denotano a giudizio dell'interrogante un grave spreco di denaro pubblico –:
   alla luce di quanto descritto in premessa, quali iniziative, ciascuno per quanto di propria competenza, i Ministri interrogati intendano adottare, al fine di verificare, anche attraverso l'ispettorato del lavoro, le condizioni in cui versa la nuova struttura carceraria di Rovigo, con l'obiettivo di garantire un miglioramento delle condizioni lavorative per il personale, nonché condizioni di vita dignitose per i detenuti;
   quali siano i tempi previsti relativamente all'assunzione di nuove unità di personale finalizzato al regolare svolgimento delle attività penitenziarie.
(5-07373)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRANDOLIN. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni sulla stampa locale sono riemerse le già più volte denunciate preoccupazioni sul futuro del tribunale di Gorizia a causa della carenza di organico, che rischia di mettere a repentaglio l’iter di importanti procedimenti tra i quali il III e IV processo «Eternit» che riguardano rispettivamente 44 e 23 decessi imputabili a mesotelioma e carcinoma polmonare;
   delle due giudici attualmente in servizio al tribunale, una è entrata in maternità a fine 2015 e l'altra ha annunciato uguale provvedimento ad aprile 2016;
   il circondario di Gorizia, a cui il tribunale fa riferimento, riguarda 25 comuni della provincia;
   negli ultimi sette anni al tribunale si sono verificati 30 avvicendamenti di giudici, con ovvie conseguenze sui processi in corso che ogni volta hanno dovuto ricominciare da capo, fatto ipotizzabile anche per i procedimenti in capo alle due giudici tra cui appunto i processi «Eternit». Il 16 febbraio 2016 è prevista la terza udienza preliminare del IV processo amianto, mentre martedì 12 gennaio la prima udienza del III procedimento è stata immediatamente rinviata al mese di maggio 2016 proprio per l'impossibilità del sostituto – temporaneamente cooptato dal tribunale civile – di portare avanti il procedimento. Nella situazione attuale è a rischio anche l'ipotesi di accorpamento dei processi III e IV amianto, auspicato per velocizzare l’iter e contenere i costi;
   lo stesso presidente della camera penale di Gorizia, Paolo Marchiori, assieme al presidente del tribunale Giovanni Sansone aveva puntato l'attenzione sulla situazione del tribunale di Gorizia in occasione dello sciopero indetto dall'Unione camere penali a fine 2015;
   pochi giorni dopo il capo della procura della Repubblica di Gorizia, Massimo Lia, ha espresso alla stampa locale la sua «massima preoccupazione» per l'andamento della giustizia nel circondario di Gorizia, evidenziando che «senza un adeguato organico di giudici c’è il rischio che molti processi già avviati e di prossimo avviamento non si possano concludere entri i termini della prescrizione»;
   da parte dello stesso capo della procura sono state evidenziate due possibili soluzioni, ovvero l'individuazione da parte della corte d'appello di un giudice da inviare al tribunale come sostituto temporaneo o l'applicazione extradistrettuale ai presidenti della corte d'appello e quindi al Consiglio superiore della Magistratura, a cui spetta il compito di individuare il giudice da inviare a Gorizia –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda portare avanti per assicurare il pieno funzionamento del tribunale di Gorizia garantendo la giustizia, in particolare alle tante famiglie che già hanno sofferto per la perdita dei loro cari e che ora rischiano di non vedere riconosciuto il loro diritto a un giusto processo. (4-11656)


   SCAGLIUSI e SIBILIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   esiste in Italia un numero crescente di casi di sottrazione del figlio minore ad opera di un genitore, di situazioni familiari, cioè, nelle quali un genitore decide, illegittimamente, di allontanarsi e di portare via con sé il figlio, in un luogo sconosciuto o all'estero, al fine di impedirgli qualsiasi rapporto con l'altro genitore;
   le sottrazioni dei figli minori avvengono in situazioni e con modalità diverse. Sono poste in essere immediatamente prima di richiedere la separazione o di interrompere la convivenza, oppure dopo il provvedimento giudiziale di affidamento dei figli, ad opera del genitore affidatario che intende recidere definitivamente il legame del figlio con l'altro genitore o del non affidatario che non riconosce il, provvedimento;
   benché assumano sempre più rilevanza i casi in cui il genitore sottraente ha una diversa nazionalità di origine e, comunque, decide di portare con sé il figlio all'estero, appaiono altrettanto preoccupanti i casi in cui il genitore, di origine italiana, sottrae il figlio e, pur permanendo nel territorio dello Stato, riesce a far perdere qualsiasi traccia all'altro genitore;
   la convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980, ratificata dall'Italia con la legge n. 64 del 15 gennaio 1994, sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, ha come fine di assicurare l'immediato rientro dei minori illecitamente trasferiti o trattenuti in qualsiasi Stato contraente e di garantire che i diritti di affidamento e di visita previsti in uno Stato contraente siano effettivamente rispettati negli altri Stati contraenti;
   con l'espressione «sottrazione internazionale di minori» si indica la situazione in cui un minore viene illecitamente condotto all'estero da chi non esercita la potestà esclusiva, senza alcuna autorizzazione oppure non viene ricondotto nel Paese di residenza abituale a seguito di un soggiorno all'estero;
   la sottrazione internazionale di minori viene comunemente definita «attiva» quando il minore viene illecitamente condotto dall'Italia all'estero o non è ricondotto in Italia – quale Paese di residenza abituale – a seguito di un soggiorno all'estero e passiva quando un minore viene illecitamente condotto dall'estero in Italia, o è qui trattenuto;
   alla sezione statistiche sul sito del Ministero della giustizia, si legge che i casi pervenuti relativi alla Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980, sottrazione internazionale di minori – rimpatrio e diritto di visita – relativi al 2014 sono 240, comprensivi di casi attivi e casi passivi (https://goo.gl/82sfK4);
   la sottrazione e il trattenimento all'estero di minore costituisce ipotesi di reato in base all'articolo 574-bis del codice penale, ove non si ravvisi altro, più grave reato (ad esempio, articolo 605 c.p.);
   in data 2 febbraio 2005 alla Camera dei deputati fu depositata la mozione n. 1/00421, modificata il 9 febbraio 2005 e approvata nella stessa data con la quale si impegnava il Governo:
    a promuovere iniziative e soluzioni normative che riconoscano il minore quale vittima della sottrazione e consentano di attivare tutti gli strumenti sia investigativi che coercitivi al fine di rintracciare e tutelare tempestivamente il minore indebitamente sottratto ad un genitore;
    a verificare i percorsi normativi per giungere alla costituzione di un fondo per il gratuito patrocinio per le vittime di sottrazione;
    a promuovere trattati bilaterali con gli Stati non aderenti alla Convenzione dell'Aja in materia di sottrazione internazionale del minore;
    ad adottare iniziative perché siano unificate le competenze istituzionali in un unico organo o ad affidargli funzione di coordinamento;
    a verificare con le ambasciate italiane modalità per rafforzare le iniziative da intraprendere in caso di sottrazione di un minore italiano e al fine di garantire il diritto di visita del genitore italiano;
    a rafforzare il sistema dei controlli per il caso di espatrio di minori attraverso frontiere e aeroporti italiani –:
   se non ritenga opportuno mettere in atto le necessarie iniziative in materia di sottrazione di minori secondo quanto già indicato nella mozione di cui in premessa.
(4-11667)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VEZZALI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   un recente studio di Confcommercio evidenzia che l'Italia è tra i Paesi europei che investono meno in infrastrutture e ha ben 15 regioni italiane che si collocano oltre il 100o posto nella classifica della dotazione infrastrutturale delle 270 regioni europee; una eccezione è costituita dalla Lombardia che si posiziona al 44o posto, mentre la Calabria e la Sardegna sono rispettivamente al 211o e al 231o posto; le Marche sono al 154o;
   prendendo in considerazione le singole modalità di trasporto, si evidenzia che l'Italia per competitività è al 15o posto per le ferrovie, al 17o per la viabilità stradale, al 19o per la portualità e al 21o per l'efficienza aeroportuale;
   all'Italia il gap logistico costa circa 42 miliardi di euro l'anno di Pil; infatti, solo il 35 per cento dei due miliardi di tonnellate di merci che esportiamo viaggia per via aerea, mentre il 65 per cento è movimentato su gomma e poi prende il volo in uno degli hub europei; solo per citare un esempio, le procedure amministrative, i controlli doganali e le operazioni di movimentazione imposte all’import/export richiedono 18,5 giorni, il triplo dell'Olanda e il doppio del Belgio, Germania e Spagna; e se si vuole essere competitivi bisogna riflettere sul fatto che questi tempi sono inconciliabili con i ritmi di una moderna economia;
   il piano del Governo sulla portualità e la logistica nella strategia dello «Sblocca Italia» ha subito uno stop dalla Corte Costituzionale che ha ravvisato lo scarso coinvolgimento delle regioni nelle procedure di adozione del piano stesso;
   l'Italia deve potenziare il suo ruolo nel contesto internazionale valorizzando la sua naturale e strategica collocazione nel Mediterraneo, un bacino in cui transita il 20 per cento del volume di traffico mondiale che, visto il raddoppio del Canale di Suez, è destinato a crescere;
   la regione Marche che si colloca al 154o posto in questa graduatoria della dotazione infrastrutturale delle 270 regioni europee, necessita, per poter realizzare la sua efficienza intermodale e logistica:
    a) di investimenti per realizzare il raddoppio della strada statale 16 tra Falconara Marittima e la località Baraccola di Ancona, asse indispensabile per i collegamenti con la viabilità nazionale, con la piattaforma logistica e il porto internazionale del capoluogo;
    b) di verificare l'effettiva necessità e urgenza del bypass ferroviario di Falconara, concepito alla fine degli anni ’90 e non più congruo rispetto alle modifiche del contesto socio-economico attuale;
    c) di valorizzare la piattaforma intermodale della bassa Vallesina che si situa fra la mobilità aria-terra-mare (logistica connessa al orto di Ancona) e l'interporto di Jesi;
    d) di pervenire al raddoppio della tratta ferroviaria Orte-Falconara e l'arretramento dei binari della ferrovia adriatica nella tratta Marotta-Ancona;
    e) di risolvere le molteplici criticità legate alle esigenze di sicurezza che sono ad oggi incompatibili con il traffico aereo –:
   se non intenda attivarsi con urgenza per istituire un tavolo di confronto tra Governo, ANAS, Ferrovie dello Stato italiane, ENAC e istituzioni territoriali competenti per valutare la compatibilità fra le reali esigenze della regione e le risorse disponibili onde prevedere nel piano nazionale gli interventi più utili per ottenere il massimo dei vantaggi e delle ricadute sul territorio. (5-07369)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   attualizzando i costi reali della continuità territoriale da e per la Sardegna il risultato è matematico: il costo dei biglietti dagli aeroporti sardi per Roma sarebbe di 25 euro e 30 euro per Milano;
   serve un piano strategico in grado di rivoluzionare il trasporto aereo da e per la Sardegna;
   dopo la tariffa unica che l'interrogante propose nel 2010, ed oggi maldestramente attuata solo per 9 mesi, occorre assumere iniziative per estenderla a tutto l'anno ma abbattendo nel contempo drasticamente le tariffe in regime di continuità territoriale;
   per fare questo non servono fondi pubblici ma occorre semplicemente rispettare le norme vigenti;
   se poi lo Stato dovesse dare, come previsto in atti all'esame del Parlamento, un contributo di 30 milioni, di euro, essi andrebbero utilizzati per abbattere le tariffe e non per concedere vantaggi di dubbia legittimità ad Alitalia;
   occorre dire basta a fondi pubblici, e in questo caso dei sardi, attribuiti ad avviso dell'interrogante indebitamente ad Alitalia;
   per questo motivo l'interrogante ha avanzato una proposta, così come fece per la tariffa unica, supportata da dati e analisi puntuali; un piano strategico concreto e fattibile, non voli pindarici;
   è sufficiente comparare i costi alla base dei calcoli regionali del 2011 per capire l'operazione ingannevole sulla continuità territoriale;
   si registrano decine di milioni di euro elargiti come compensazioni a giudizio dell'interrogante inesistenti e del tutto indebite;
   la regione continua a versare ad Alitalia decine di milioni di euro senza alcuna giustificazione, a partire dal costo del carburante fino a quello dell'ammortamento degli aerei;
   basterebbero questi due capitoli, carburanti e ammortamento, per dimostrare che i dati a supporto del calcolo dei costi effettivi della continuità territoriale fatti nel 2011 sono totalmente ingiustificabili e lo sono ancora di più con l'attualizzazione dei costi;
   il dato più eloquente è quello del carburante, nel 2011 era stabilito nell'allegato tecnico della regione un costo a tonnellata metrica di 915 dollari, oggi l'agenzia internazionale quota il jet fuel a 350,3 dollari;
   si tratta di un abbattimento del costo del 61 per cento ben 565 dollari a tonnellata metrica, un dato eloquente che la dice lunga su quanto stiano guadagnando «sottotraccia» le compagnie aeree attraverso compensazioni secondo l'interrogante di dubbia legittimità e destituite di ogni fondamento economico e giuridico;
   a questo si aggiunge una seconda voce quella dell'ammortamento degli aeromobili;
   in questo caso il dato è gravemente artefatto: nel 2011 fu previsto un ammortamento di 5 milioni di euro all'anno per aerei nuovi valutati 50 milioni;
   in realtà, gli aerei hanno tutti mediamente dieci anni di vita se non di più, quindi sono tutti totalmente ammortizzati;
   si fa pagare ai sardi un ammortamento inesistente. Un costo che nella proposta di adeguamento richiamata viene dimezzato, ma che sul piano contabile dovrebbe essere totalmente cancellato perché illegittimo;
   applicando questi due correttivi si ha un abbattimento rilevante del costo dell'ora volata che incide direttamente sul costo dei biglietti in regime di continuità territoriale;
   a questo si aggiunge che per una maldestra operazione del 2011 furono applicati costi aeroportuali fuori da ogni regola;
   la proposta avanzata prevede che i costi aeroportuali siano riportati a quelli applicati alle compagnie low cost estendendoli anche ai voli in regime di continuità territoriale;
   si ribadisce la proposta dell'abbattimento di tutte le tasse sui biglietti per i voli in regime di continuità territoriale;
   il piano avanzato è oggettivo: ci sono costi reali e attuali, bisogna applicarli;
   pagare compensazioni pubbliche ingiustificate a società private ad avviso dell'interrogante non è conforme alla legge;
   è indispensabile estendere la tariffa unica a tutto l'anno e abbattere le tariffe attualizzando i costi –:
   se non ritenga di dover promuovere, nell'ambito delle proprie competenze, un apposita conferenza, d'intesa con la regione Sardegna, al fine di ridefinire i costi del trasporto aereo in regime di continuità territoriale, anche alla luce dello stanziamento di 30 milioni di euro previsto da recenti iniziative normative;
   se non ritenga di dover valutare l'opportunità di assumere iniziative per l'adozione a livello nazionale di un puntuale ed esaustivo metodo di calcolo dell'onere del servizio pubblico per la continuità territoriale per non incorrere in violazioni sia alla normativa comunitaria che statale, considerato che i decreti saranno emanati dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;
   se non ritenga di assumere iniziative affinché ENAC applichi il medesimo metodo di calcolo nell'imposizione dell'onere del servizio pubblico relativamente ai bandi e contratti futuri;
   se non ritenga di dover promuovere l'attualizzazione dei calcoli del costo dell'ora volata per il servizio pubblico di continuità territoriale, tenendo conto di un costo del jet fuel ridotto del 61 per cento rispetto al dato posto alla base del calcolo dei costi nel 2011 conferenza di servizi;
   se non ritenga di dover assumere iniziative, per quanto di competenza, per uniformare nell'ambito dei costi dei servizi di continuità territoriale il costo di ammortamento degli aeromobili tenendo conto dell'effettiva vetustà del parco aeromobili;
   se non ritenga di dover definire, d'intesa con la regione Sardegna, un piano di utilizzo dei fondi stanziati al fine di estendere la tariffa unica per tutto l'anno, (costo unico residenti/non residenti), considerato che essa è limitata a nove mesi su 12, e prevedere l'utilizzo delle risorse stanziate, se necessarie, anche per l'abbattimento delle tariffe, tenendo conto dell'attualizzazione dei costi. (5-07371)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FABBRI, FIANO, BRATTI, GHIZZONI, LENZI, PAOLA BOLDRINI, PATRIARCA, INCERTI, GIACOBBE, PATRIZIA MAESTRI, BARUFFI e MONTRONI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 10 gennaio 2016 un'esplosione si è verificata in un poligono di tiro privato a Portomaggiore, in provincia di Ferrara;
   all'interno del locale, al momento dello scoppio, si trovavano in tutto nove persone, delle quali tre sono rimaste uccise, tre ustionate, e altre tre illese. Feriti in modo lieve anche due vigili del fuoco a causa del crollo di un solaio durante le operazioni di spegnimento del violento incendio provocato dall'esplosione;
   il poligono è di proprietà di un'associazione privata, aperta da circa due anni ed oggetto di ampliamento al piano superiore da pochi mesi. Le autorità hanno disposto verifiche amministrative sulle autorizzazioni richieste per l'apertura della struttura e su quelle effettivamente concesse;
   mentre sono in corso gli accertamenti per risalire alle cause dell'incidente, l'ipotesi più accreditata è quella che l'esplosione e l'incendio siano state innescate da un colpo in un ambiente saturo di gas. La saturazione del poligono sarebbe stata causata dai troppi gas prodotti dalle esplosioni delle armi e dal non corretto o adeguato funzionamento dell'impianto di aereazione. Sotto osservazione anche la funzionalità delle porte poste al primo piano, utilizzate per bloccare l'uscita impropria di persone ancora in possesso di armi da fuoco, che potrebbero avere impedito la fuga durante l'incendio;
   purtroppo, numerosi e di diversa natura sono gli incidenti, anche mortali, avvenuti nel corso degli anni all'interno di poligoni di tiro, di natura sia pubblica che privata, e la normativa di settore appare ambigua e lacunosa;
   da notizie a mezzo stampa sembrerebbe che il poligono di tiro di Portomaggiore abbia iniziato la propria attività a seguito di una mera comunicazione di inizio attività inviata alle autorità locali, civili e militari, al pari di una qualunque attività sportiva dilettantistica;
   a parere degli interroganti qualunque attività che contempli l'utilizzo di armi da fuoco e/o esplosivi, anche se finalizzata ad attività sportiva dilettantistica, deve essere assoggettata ad una autorizzazione di pubblica sicurezza atta a garantire la tutela della salute ed incolumità pubblica sia degli utilizzatori che dei cittadini inconsapevoli in prossimità delle stesse, e previa verifica della congruità dell'inserimento dei poligoni di tiro nel contesto urbanistico e sociale specie se in prossimità di centri abitati secondo principi di precauzione da mettere in chiaro sul piano normativo –:
   quale sia l'orientamento del Governo sull'adeguatezza delle autorizzazioni e dei controlli attualmente previsti per i poligoni di tiro privati, nonché quali iniziative urgenti intenda adottare al fine di garantire la piena sicurezza ed incolumità pubblica, specie in presenza di poligoni di tiro situati in prossimità di abitazioni civili o attività industriali, tenendo conto dei possibili effetti che questi potrebbero determinare dal punto di vista dell'inquinamento acustico ed ambientale. (5-07370)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la regione Lombardia ha recentemente pubblicato un interessante compendio statistico concernente l'accoglienza dei migranti irregolari sul suo territorio, dal quale emergono alcuni dati significativi;
   i clandestini richiedenti asilo ospitati in Lombardia sarebbero ad esempio 10.694, distribuiti su 581 strutture di accoglienza;
   la provincia di Como si situa in testa alla graduatoria dei clandestini accolti, con 1.313 persone, pari al 12,3 per cento del totale, seguita dalle province di Bergamo e Brescia, con rispettivamente 1.306 e 1.251 migranti ospitati;
   la spesa totale sostenuta quotidianamente per i migranti clandestini alloggiati in Lombardia ammonterebbe a 375 mila euro e quella annuale a 137 milioni, al netto delle prestazioni socio-sanitarie assistenziali ulteriori;
   nel periodo intercorso tra il 1o gennaio ed il 9 ottobre 2015, le commissioni territoriali incaricate di vagliare le domande di asilo avrebbero riconosciuto lo status di rifugiato soltanto nel 5 per cento rifiutandolo nel 51 per cento e optando per altro tipo di protezione internazionale nei casi rimanenti, salvo il 4 per cento rappresentato dalla situazione di coloro resisi irreperibili –:
   quali siano le ragioni per le quali la provincia di Como quella cui in Lombardia è assegnato il maggior numero di clandestini richiedenti asilo;
   se il Governo ritenga opportuno investire tante risorse preziose per accogliere persone che, in oltre la metà dei casi, risultano sprovviste dei titoli per esigere il diritto alla protezione internazionale. (4-11651)


   SENALDI, PAOLO ROSSI, GADDA, MARANTELLI e TARANTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 2, comma 11, lettera a) della legge 24 dicembre 2003 n. 350, è istituita l'addizionale comunale sui diritti di imbarco di passeggeri sugli aeromobili;
   con la medesima legge e successive modificazioni sono stati individuati i criteri di ripartizione della addizionale destinando gli introiti sia alle iniziative di ENAV per garantire la sicurezza degli impianti e la sicurezza operativa, sia al finanziamento di misure volte alla prevenzione e al contrasto della criminalità e al potenziamento della sicurezza nelle strutture aeroportuali e nelle principali stazioni ferroviarie;
   l'addizionale comunale pari a 1,00 euro nei 2004 è aumentata fino a 6,50 euro nel 2015 per poi raggiungere i 9,00 euro nel 2016;
   i comuni dei sedimi aeroportuali sopportano disagi e spesso soffrono serie problematiche ambientali (traffico veicolare per il trasporto di passeggeri e merci da e verso le aerostazioni, aumento dell'inquinamento acustico e dell'inquinamento atmosferico) mentre al contempo forniscono servizi agli aeroporti;
   Ancai, che riunisce 82 comuni sul cui territorio insistono in percentuale variabile sedimi aeroportuali, quantifica in 100 milioni di euro gli arretrati dell'addizionale sui diritti d'imbarco ancora non percepiti per il periodo 2004-2014;
   i dati disponibili più recenti di Assaeroporti dicono che nel periodo gennaio-novembre 2015, rispetto allo stesso periodo 2014, sono cresciuti movimenti aerei (+0,8 per cento), passeggeri (+4,6 per cento) e tonnellate di merce trasportate del settore cargo (+3,70 per cento);
   nonostante i dati in crescita sull'operatività complessiva degli aeroporti, il fondo per il 2015 cala vistosamente rispetto al 2014 e passa da un totale di 4.178,354 euro a un totale di 2.201.772 euro –:
   se siano variati i criteri di attribuzione utilizzati;
   se intendano assumere iniziative per provvedere a una congrua integrazione e a corrispondere le somme dovute per gli anni passati;
   se con l'anno 2016, visto l'aumento della addizionale prevista, non si intendano adeguare proporzionalmente i ristorni dovuti ai comuni aeroportuali.
(4-11657)


   SANTELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in conseguenza delle dimissioni del sindaco di Siderno dottor Riccardo Ritorto, in data 28 giugno 2012, si è insediato il commissario straordinario dottor Luca Rotondi che è rimasto in carica fino al 17 aprile 2013;
   in data 18 aprile 2013, a seguito dello scioglimento per infiltrazioni mafiose, si è insediata la commissione straordinaria nominata con decreto del Presidente della Repubblica 9 aprile 2013, composta dal dottor Francesco Taricone (presidente), dal dottor Eugenio Pitaro (componente) e dalla dottoressa Maria Cacciola (componente). La commissione è stata in carica fino al 31 maggio 2015;
   con delibera della commissione straordinaria n. 234 del 20 dicembre 2013 è stato dichiarato il dissesto finanziario ai sensi dell'articolo 244 del decreto legislativo n. 267 del 2000;
   con decreto del Presidente della Repubblica 11 aprile 2014 è stata nominato l'organo straordinario di liquidazione composto dal dottor Giovanni Barilà (presidente), dottoressa Angela Sergi (componente), ragionier Santo Marino (componente);
   a seguito della dichiarazione di dissesto, il bilancio comunale fino alla data del 31 dicembre 2012 sarà di competenza dell'organo straordinario di liquidazione, che dovrà gestire tutta la massa passiva e attiva fino a quella data;
   invece la commissione straordinaria dovrà gestire il bilancio comunale dal 1o gennaio 2013, il quale sarà creato ex novo, ovvero senza debiti e crediti;
   con deliberazione della commissione straordinaria n. 130 del 29 maggio 2015 (ultimo giorno prima delle elezioni 2015) e stato approvato il rendiconto dell'esercizio 2014 con un avanzo di amministrazione di euro 7.686.612,89;
   ai sensi dell'articolo 3, comma 7, del decreto legislativo n. 118 del 2011 i commissari avrebbero dovuto procedere, contestualmente, all'approvazione del rendiconto 2014, al riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi. La procedura a quanto risulta all'interrogante non sarebbe stata eseguita;
   con delibera di giunta n. 93 del 23 novembre 2015 l'amministrazione ha proceduto ad effettuare il riaccertamento straordinario dei residui, a seguito del quale il risultato del rendiconto 2014 presenta un disavanzo di euro 6.514.756,09. Pertanto il risultato dei commissari è stato completamente ribaltato ed addirittura si è arrivati ad un considerevole disavanzo di amministrazione;
   a questo risultato si è giunti principalmente poiché sarebbe stato stralciato un residuo attivo riportato in bilancio pari ad euro 5.283.682,83. Tale credito iscritto nei confronti dell'OSL è stato ritenuto privo di ogni fondamento giuridico per poter rimanere iscritto in bilancio;
   è gravissimo che una commissione straordinaria in soli due anni, con un bilancio ex novo, sia riuscita a creare un disavanzo di euro 6.514.756,09 –:
   se il Ministro interrogato possa chiarire quale sia l'importo esatto della massa passiva del bilancio comunale di cui in premessa, che, a quanto risulta all'interrogante, sarebbe ingente; importo che; rapportato al buco creato dai commissari in soli due anni, evidenzia che il dissesto si sarebbe potuto evitare;
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda adottare al fine di verificare responsabilità e l'operato dei commissari ed evitare che il disavanzo creato non si tramuti in pesanti oneri, in termini di aumento delle imposte, sui singoli cittadini. (4-11672)


   MORASSUT. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il piano di zona D3 Tor Vergata – comparto K3 è compreso nel II piano per l'edilizia economica e popolare di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, approvato con deliberazione G.R.L. n. 7378 del 1o dicembre 1987;
   con delibera del Comitato esecutivo del C.E.R. (comitato per l'edilizia residenziale) presso il Ministero dei lavori pubblici, datata 26 marzo 1992, è stata approvata al Consorzio edilizio di cooperative Lega San Paolo Auto, la realizzazione di un intervento di edilizia sperimentale agevolata nel comune di Roma, per un totale di 70 alloggi. Tale intervento veniva finanziato con un contributo in conto interessi (mutuo agevolato) a valere sui fondi previsti dall'articolo 2, lettera f), della legge 5 agosto 1978, n. 457, ed un contributo in conto capitale a copertura del sovra costo sperimentale, a valere sui fondo previsti nella delibera C.E.R. dell'8 maggio 1990, n. 33;
   successivamente, con nota del 6 giugno 1996, il Consorzio edilizio di cooperativa «Lega San Paolo Auto» ha fatto richiesta al segretario generale del C.E.R. di presa d'atto di aver proceduto a ripartire le 70 quote di finanziamento su n. 76 alloggi, al fine dell'ottenimento della concessione edilizia da parte del comune di Roma. Il segretario generale del C.E.R., con nota 1316 – Div V, datata 5 luglio 1996, ha autorizzato in sanatoria la predetta ripartizione del contributo;
   con nota n. 381/97 CB/as, il «consorzio edilizio di cooperative Lega San Paolo Auto» ha fatto una nuova richiesta al C.E.R., consistente nel ridurre la ripartizione del contributo su n. 72 alloggi. Tale richiesta veniva autorizzata in data 17 luglio 1997, con nota 1637 – Div V, pertanto su 76 alloggi, solo 72 erano fruenti del contributo pubblico;
   con decreto ministeriale n. 2059 del Ministero dei lavori pubblici datato 16 ottobre 1997, è stato concesso al «Consorzio/edilizio di cooperative Lega San Paolo Auto» un contributo in conto interessi, a fronte di un mutuo agevolato, nei limiti di massimo di spesa di lire 75.000.000 ad alloggio (e limite di impegno annuo massimo di lire 368.550.00), nonché un contributo in conto capitale di lire 350.000.000+IVA a copertura del sovra costo sperimentale;
   con decreto ministeriale n. 974 del Ministero dei lavori pubblici – dipartimento per le opere pubbliche e per l'edilizia – direzione generale per l'edilizia residenziale e le politiche abitative, datato 3 settembre 2002, i contributi sono stati ridotti ad 179.463,61 euro in conto interessi (limite di impegno annuo massimo) da ripartire su tutti i 72 alloggi e di 170.430,78 in conto capitale, pari ad un contributo unitario ad alloggio di 2.367,09 euro;
   il comune di Roma con delibera del consiglio comunale n. 13 del 19 febbraio 1996 localizzava l'intervento di edilizia sperimentale in località «Tor Vergata piano di zona D3-ter, comparto K3» e il «Consorzio edilizio di cooperative Lega San Paolo» stipulava convenzione con il comune di Roma ai sensi dell'articolo 35 della legge n. 865 del 1971, concessionaria del diritto di superficie secondo la convenzione del 2 giugno 1997 rep. N. 22167 racc. n. 10736;
   da, notizie apparse sugli organi di stampa, si apprende che il 27 novembre 2014 la guardia di finanza aveva proceduto, dopo mesi di indagini, al sequestro di 13 appartamenti, per un valore di circa 3,5 milioni di euro, e le quote societarie delle cooperative edilizie «Lega San Paolo Auto» e «San Paolo V Auto», per un valore di oltre 2,3 milioni di euro, sequestrati nell'ambito di un'inchiesta relativa alla maggiorazione dei prezzi di acquisto imposta agli assegnatari, rispetto a quelli fissati dal comune. Nell'atto emesso dal giudice per le indagini preliminari si evidenziava appunto l'anomalia dell'applicazione dei prezzi massimi di cessione, ipotizzando a carico di nove amministratori delle cooperative il reato per tentata concussione ed estorsione aggravata;
   negli articoli apparsi sulla stampa si apprendeva inoltre che le Fiamme gialle avevano scoperto che 9 amministratori delle cooperative, titolari dopo avere stipulato la convenzione con il comune di Roma, e ottenuto i finanziamenti pubblici ed incassato le quote di prenotazione dai soci, avevano minacciato a questi ultimi che la stipula del contratto sarebbe avvenuta solo laddove, per ogni metro quadro, fosse stato pagato il prezzo di 1.060 euro, immotivatamente maggiorato rispetto a quello massimo di cessione approvato dal comune di Roma;
   con ordinanza del 12 dicembre 2014 il tribunale del riesame di Roma, a seguito di istanza di riesame nell'interesse del presidente del consiglio di amministrazione della «Società cooperativa edilizia Lega San Paolo Auto» avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del locale tribunale il 24 novembre 2014 avente per oggetto quote del capitale sociale della «società cooperativa edilizia S. Paolo V. Auto» e di tredici unità immobiliari in proprietà di dette cooperative, ha annullato detto decreto, con effetto di dissequestro degli alloggi;
   ad oggi i tredici inquilini sono sottoposti a provvedimento di sfratto pur avendo versato dei fondi alla cooperativa e a quanto si apprende le indagini non sono ancora terminate da parte dell'autorità giudiziaria;
   sulla vicenda dell'edilizia pubblica è necessario richiamare qualche premessa in merito al quadro normativo di riferimento. L'edilizia residenziale pubblica, è articolata su tre principali ambiti di intervento: edilizia sovvenzionata, edilizia convenzionata, edilizia convenzionata/sovvenzionata;
   l'edilizia sovvenzionata è costruita a totale carico dello Stato attraverso la regione e gli enti locali. Si realizza mediante l'intervento del comune o delle ATER (aziende territoriali per l'edilizia residenziale);
   nell'edilizia convenzionata il partner privato interviene con capitali integralmente propri su aree pubbliche cedute a mezzo bandi o gare, a prezzi iniziali calmierati e con una serie di vincoli di cessione stabiliti in convenzione;
   nell'edilizia agevolata lo Stato interviene favorendo la costruzione di alloggi da destinare a prima abitazione: mettendo a disposizione una certa quantità di contributi da destinare alle singole famiglie;
   a tale riguardo si distinguono due tipologie d'intervento: i finanziamenti in conto interessi e i contributi in conto capitale. Nel primo caso il finanziamento prevede un contributo da parte dello Stato o della regione concesso alle famiglie acquirenti attraverso un, mutuo agevolato: l'agevolazione consiste nella riduzione degli interessi poiché lo Stato o la regione si accolla una parte degli interessi da corrispondere agli istituti di credito. Le nuove forme di contribuzione da parte dello stato e della regione sono dettate con delibera del Cipe del 16 marzo 1994 (e leggi n. 457 del 1978, la n. 179 del 1992, n. 493 del 1993 e successive modifiche) con previsioni di finanziamento agevolativi in conto capitale;
   la circolare CER 3 settembre 1990 prot. 1116 chiarisce che nella convenzione ex articolo 35 della legge n. 865 del 1971 dovrà risultare che il prezzo di prima cessione è determinato detraendo dal prezzo fissato dal comune per l'edilizia agevolata-convenzionata il contributo in conto capitale erogato dal CER;
   detta affermazione, esplicitamente contemplata dalla interpretazione della legge n. 94 del 1982, è tuttavia da ritenersi espressione di un principio di carattere generale che vede nel cittadino il beneficiario effettivo e finale del finanziamento pubblico ed è stata riaffermata dalle recenti sentenze emesse dal tribunale amministrativo regionale per il Lazio (sezione seconda bis);
   l'articolo 35 della legge n. 865 del 1971, riporta integralmente l'oggetto delle convenzioni edilizie e nello specifico definisce che: «La concessione edilizia è deliberata dal consiglio comunale o all'assemblea del consorzio. Con la stessa delibera viene determinato il contenuto della convenzione da stipularsi, per atto pubblico, da trascriversi presso il competente ufficio dei registri immobiliari, tra l'ente concedente ed il richiedente»;
   in merito all'applicazione di costi riferiti alle migliorie fatte, all'interno degli alloggi, si rammenta che la normativa vigente nonché il disciplinare del comune di Roma, stabiliscono che possono essere applicati costi aggiunti solo se concordati e/o richieste dai singoli acquirenti e/o assegnatari degli alloggi all'atto della prenotazione (articolo 11 della delibera del consiglio comunale di Roma n. 173 del 2005);
   tale tesi è stata recentemente confermata dal tribunale amministrativo regionale per il Lazio nella sentenza n. 02262/2010 dove si ribadisce che sono remunerate solo le migliorie interne previste dall'articolo 11 dell'allegato alla deliberazione n. 173 del 2005 del comune di Roma, e chiarisce in via definitiva che non possono gravare sugli inquilini i costi delle migliorie riferite all'edificio perché espressamente realizzate in attuazione di prescrizioni o indirizzi della pubblica amministrazione per realizzarne una migliore qualità;
   il mancato rispetto delle convenzioni e delle normative in materia, relativo ai prezzi massimi di cessione, in questi anni è stato più volte oggetto di controversie fra inquilini e operatori economici, generando in taluni casi ingiustizie in relazione alle quali non solo le istituzioni proposte ma la giurisdizione amministrativa hanno dovuto richiamare alla giusta applicazione. La detrazione dei contributi pubblici a favore degli inquilini è un principio richiamato dalla norma; diversa interpretazione prefigurerebbe un indebito aiuto di Stato agli operatori economici contravvenendo i principi della legge sull'edilizia agevolata. È evidente in tale ottica come la realizzazione delle finalità ultime del contributo in agevolazione è condizionata alla effettiva decurtazione del contributo in conto capitale;
   la normativa di primo grado, legge n. 179 del 1992, articolo 8, comma 3, testualmente definisce la quantificazione del corrispettivo in godimento da porsi a carico del fruitore finale; dai costi effettivi deve essere detratto il contributo pubblico in quanto la stessa norma si riferisce a costi effettivi sopportati dai soggetti attuatori al netto del contributo pubblico. Il soggetto attuatore lucra dunque due volte sul contributo pubblico sia nella determinazione del prezzo di cessione che nella determinazione del canone di locazione;
   la mancata detrazione del finanziamento ha condotto alla realizzazione di un paradosso che ha visto lievitare il costo di tali alloggi sottoposti ad un prezzo di cessione persino superiore al prezzo che si sarebbe determinato per analogo intervento privo di contributo pubblico;
   le recenti affermazioni del prefetto Gabrielli riportate dagli organi di stampa hanno confermato che migliaia di alloggi costruiti in convenzione con il comune di Roma nell'ambito dei programmi di edilizia agevolata sono stati venduti o affittati a prezzi di mercato nel mancato rispetto delle normative vigenti;
   il prefetto accusa di chiarissime responsabilità omissive l'amministrazione comunale e ribadisce l'impegno a richiedere al Governo una moratoria sugli sfratti degli inquilini delle case costruite in edilizia agevolata e rimasti vittima di quella che appare una truffa più o meno occulta –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quali iniziative e verifiche urgenti, per quanto di loro competenza, intendano intraprendere, anche in sinergia con il prefetto Gabrielli e per il tramite del commissario straordinario allo scopo di fare finalmente chiarezza sulla vicenda sopra esposta. (4-11673)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ALTIERI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Auditorium «Nino Rota» di Bari annesso al conservatorio «Niccolò Piccinni» è chiuso da oltre vent'anni privando la ICO di Bari e l'orchestra del conservatorio della loro naturale «casa della musica»;
   in data 31 ottobre 2006 la regione Puglia, la provincia di Bari e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca hanno sottoscritto un protocollo d'intesa per la ristrutturazione dell'Auditorium «Nino Rota» prevedendo una spesa complessiva di 8.472 167,94 euro, divisi tra regione Puglia (2. 840 512, 94 euro), provincia di Bari (3. 631 655, 00) e Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca (2 milioni di euro);
   nel settembre 2009 sono stati avviati i lavori di ristrutturazione che sono stati completati nel settembre 2014 come appurato dalla visita del Sottosegretario per l'istruzione, l'università e la ricerca senatrice Angela D'Onghia accompagnata dai vertici della regione Puglia provincia di Bari;
   da quel momento pur essendo terminato il recupero, la struttura resta «tristemente» chiusa a causa del ritardo del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nel pagamento della propria quota come stabilito dal succitato protocollo d'intesa. La provincia di Bari e la regione Puglia hanno liquidato oltre il 90 per cento delle proprie spettanze riservandosi – come previsto dalle norme – di versare il saldo al momento dei collaudi. Come si apprende dal conservatorio di Bari, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, invece ha versato solo il 40 per cento della propria quota;
   ad oggi la struttura è completa ma non fruibile; ciò comporta per i soggetti pubblici che hanno contribuito con propri fondi al recupero, ulteriori spese per il nolo di spazi adeguati allo svolgimento di concerti e manifestazioni culturali come è evidente nel caso dell'orchestra sinfonica della città metropolitana di Bari;
   il 26 marzo 2015, seduta n. 400, la situazione dell'auditorium «Nino Rota» è stata esposta dall'interrogante nell'interrogazione n. 5-05184 in Commissione cultura;
   in data 4 giugno 2015 è stata data risposta, pubblicata nell'allegato al bollettino, in Commissione Cultura, nella quale il Sottosegretario Gabriele Toccafondi ha fornito elementi sul mancato pagamento del saldo dei lavori di ristrutturazione dell'Auditorium Nino Rota, che di fatto ad oggi ne impedisce la riapertura. Il Sottosegretario condividendo le preoccupazioni espresse nell'interrogazione ha risposto che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca avrebbe liquidato durante il mese di giugno 2015, 650 mila euro per l'Auditorium, confermando che il decreto ministeriale fosse in fase di adozione;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non ha ancora provveduto al pagamento del saldo della propria quota che ad oggi è la causa principale della mancata apertura dell'Auditorium «Nino Rota» pur essendo completo e pronto da oltre un anno;
   tale ritardo, a detta dell'interrogante, provoca un triplo danno: funzionale per il conservatorio, culturale per il territorio ed economico per la città metropolitana di Bari che ancora oggi continua a spendere risorse proprie per il noleggio di sale e teatri per l'attività concertistica dell'orchestra sinfonica –:
   in quali tempi il Ministro interrogato intenda dar seguito al pagamento, tenuto conto della risposta positiva all'interrogazione n. 5-05184 resa in data 4 giugno 2015 in Commissione cultura;
   quali iniziative intenda adottare, per quanto di propria competenza, una volta aperto al pubblico l'Auditorium e come intenda strutturare e finanziare la gestione dell'Auditorium medesimo quando verrà riattivato. (5-07362)


   BRUGNEROTTO e D'INCÀ. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i rappresentanti sindacali di Flc-Scuola denunciano che in Veneto, nella provincia di Padova, ci sarebbero alcune centinaia di insegnanti precari da mesi senza stipendio;
   in base alla nuova legge «La Buona Scuola», i pagamenti ai precari temporanei non sono più a carico dei singoli bilanci d'istituto, ma dello stesso Ministero dell'economia e delle finanze, e questo provocherebbe i ritardi; il problema sarebbe legato ad una questione di accreditamento contabile determinata dal Ministero, e, cioè, le poste di bilancio che dovrebbero essere destinate alle risorse per pagare i precari verrebbero inserite in ritardo;
   più di 500 insegnanti supplenti avrebbero ricevuto l'ultimo stipendio nel mese di giugno 2015, e sarebbero andati successivamente in disoccupazione fino al 15 settembre 2015, data in cui hanno ripreso l'attività. Da allora i supplenti non avrebbero ricevuto la retribuzione, e buona parte di loro vivono da diversi mesi senza alcuna forma di reddito;
   a Padova inoltre vi sarebbero oltre 200 casi di insegnanti supplenti che non hanno ricevuto né i fondi della disoccupazione, né quelli degli stipendi di settembre e ottobre 2015; secondo Antonio Pantano di Flc Cgil «Nei casi migliori vengono pagate la metà delle ore lavorate, e tra loro ci sono mamme con due bambini che vivono senza stipendio da 4 mesi»;
   la stampa locale riporta il caso di un insegnante padovano che avrebbe ricevuto l'ultimo cedolino dalla scuola relativo a 13 giorni di supplenza effettuata nel giugno 2015 che gli riconosceva 595,49 euro, ma una volta calcolati il conguaglio fondo credito, il debito conguaglio fiscale, quattro addizionali Irpef della regione siciliana (dove avrebbe ancora la residenza anagrafica) e l'addizionale comunale, avrebbe ricevuto soltanto 0,97 centesimi;
   secondo Flc-Scuola anche i supplenti temporanei dovrebbero essere pagati ogni mese; infatti, quando vengono retribuiti con un unico assegno di più mesi, incassano di meno, perché più aumenta la somma erogata più aumentano le aliquote fiscali sul totale versato –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo per rispondere alle criticità sollevate in premessa e affinché siano messe al più presto in pagamento le somme dovute. (5-07364)


   BRUGNEROTTO e D'INCÀ. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 297 del 1994, recante «Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione», all'articolo 485, prevede che all'atto della ricostruzione di carriera di cui usufruiscono i docenti immessi in ruolo che hanno superato l'anno di prova, il periodo di precariato è «riconosciuto come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero, per i primi quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché ai soli fini economici per il rimanente terzo»;
   tali determinazioni parrebbero contrastare, però, con la direttiva comunitaria 1999/70/CE che prescrive il principio di non discriminazione del lavoro precario rispetto a quello a tempo indeterminato se non per ragioni oggettive. Recentemente, infatti, sono sempre più numerose le sentenze di vari tribunali del lavoro, tra cui si citano a titolo di esempio la sentenza n. 362/15 del tribunale di Livorno e la n. 1319/15 del tribunale del lavoro di Torino, oltre ad altre dei tribunali di Genova e Cremona, nelle quali, in tutti questi casi, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si è visto condannato al pagamento delle spese processuali, a riconoscere gli aumenti retributivi collegati all'anzianità di servizio, a pagare le differenze retributive maturate e maturande e ad effettuare una nuova ricostruzione di carriera dei ricorrenti, avvalorando, quindi, il principio di non discriminazione che impone la valutazione immediata per intero del servizio pre-ruolo nella ricostruzione di carriera del personale della scuola, sia del personale docente che del personale Ata;
   la ratio di fondo delle sentenze suindicate mira ad evidenziare come «le modalità di svolgimento della attività lavorativa, per i tempi e il contenuto delle prestazioni svolte nel contesto di servizi pre-ruolo, in nulla si differenziano con quelli svolti una volta avuto ingresso nel ruolo» e, quindi, non esistono ragioni oggettive per discriminare e valutare solo parzialmente il lavoro a tempo determinato prestato prima dell'immissione in ruolo ai fini del corretto inquadramento professionale del docente appena confermato in ruolo;
   gli effetti delle sentenze suindicate non valgono «erga omnes» ma soltanto per chi ricorre, pertanto coloro che vorranno vedersi riconosciuto per intero il periodo pre-ruolo dovranno necessariamente rivolgersi ad un legale;
   anche eventuali arretrati, maturati durante il precariato, occorrerebbe chiederli con un eventuale ricorso giudiziario che sarebbe vincente qualora si dimostrassero i presupposti di questi arretrati e cioè l'illegittimità della reiterazione dei contratti a termine e il diritto di vedersi riconosciuti gli scatti di anzianità anche da precari;
   la giurisprudenza nazionale e quella sovranazionale hanno ormai chiarito che, in ossequio al principio comunitario di «non discriminazione», i lavoratori a termine della scuola non possono ricevere un trattamento sfavorevole rispetto ai colleghi di ruolo; da ciò deriva che il diritto a ottenere gli arretrati relativi al pre-ruolo potrebbe essere riconosciuto in tribunale con un sufficiente grado di probabilità –:
   se non ritenga necessario adottare iniziative normative al fine di riconoscere per intero il periodo pre-ruolo per il personale della scuola neo-immesso in ruolo, ai fini della ricostruzione della carriera e della relativa progressione, così come previsto dalla normativa comunitaria, rivedendo conseguentemente gli effetti, anche ai fini contributivi, su pensioni e trattamento di fine rapporto. (5-07366)

Interrogazione a risposta scritta:


   BRANDOLIN. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la sezione ad indirizzo sportivo presente da due anni nel programma scolastico nazionale con una sola classe autorizzata per ogni provincia si inserisce strutturalmente, a partire dal primo anno di studio, nel percorso del liceo scientifico di cui all'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 89, nell'ambito del quale propone insegnamenti ed attività specifiche;
   il liceo scientifico sportivo nasce con l'obiettivo di rispondere all'esigenza di molti alunni che ricercano una realtà scolastica che li accompagni nel loro processo di formazione generale, avendo scelto di approfondire un percorso educativo-sportivo o poiché praticano un'attività sportiva a livello agonistico;
   il liceo scientifico sportivo, attraverso un sistema educativo che permette agli studenti di conseguire un diploma di scuola secondaria superiore a indirizzo liceale, promuove nei ragazzi i valori dell'autostima e dell'autodisciplina con cui costruire la propria identità motivando i giovani, grazie ai valori di cui lo sport è portatore, a sviluppare conoscenze e abilità, all'interno di un sistema di istruzione formale e di apprendimento informale;
   il piano di studi del liceo sportivo è volto all'approfondimento delle scienze motorie e sportive all'interno di un quadro culturale che favorisce, in particolare, l'acquisizione delle conoscenze e dei metodi delle scienze matematiche, assicura la padronanza dei linguaggi e colloca la dimensione sportiva all'interno di una formazione globale della persona;
   una delle materie caratterizzanti, con scienze motorie ed economia e diritto dello sport, è «discipline sportive» materia che permette di trattare argomenti teorici e svolgere attività pratica sportiva nelle sue varie tipologie;
   nello svolgimento di tale attività il docente di classe è in parte affiancato da tecnici delle discipline sportive interessate. Per tali figure tecnico sportive non è previsto alcun rimborso o impegno economico. Inoltre, per poter svolgere l'attività pratica nelle diverse discipline gli alunni utilizzano impianti sportivi non presenti nei istituti scolastici (nuoto, vela, canottaggio ed orienteering). Le federazioni sportive su base volontaria mettono a disposizione fino ad oggi gratuitamente e senza onere per la scuola tecnici, attrezzature ed impianti sportivi al fine di favorire l'attività programmata. Si precisa ancora che dopo la prima fase iniziata nell'anno scolastico 2014/2015 ci sono state richieste di iscrizioni per l'anno scolastico 2015/2016 che non si sono potute soddisfare a causa della limitazione ad una sola classe prima per singolo istituto e provincia –:
   se, in considerazione del consenso derivante dall'attuazione dei licei ad indirizzo sportivo, vi sia l'intenzione di istituire una seconda sezione per ogni istituto e per ogni provincia a partire dall'anno scolastico 2016/2017;
   a fronte dei maggiori impegni derivanti dall'aumento dello ore previste, con conseguente maggiore impegno gestionale da parte delle scuole e delle società sportive coinvolte, se vi sia la possibilità di prevedere da parte del Ministero un impegno di spesa finalizzato a ciò. (4-11655)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   la Lyondell Basell è una impresa multinazionale che opera, in 14 Paesi e con oltre 13.000 dipendenti, nel settore della chimica. È presente in Italia con stabilimenti a Ferrara, Brindisi e Milano;
   nello stabilimento di Ferrara sono occupati, in attività di ricerca e produzione, 860 dipendenti, 45 per cento dei quali impegnati nell'ambito del centro ricerche «G. Natta» che costituisce il nucleo principale di innovazione dei prodotti e delle tecnologie sulle materie plastiche del Gruppo;
   nel 2013 il sito produttivo di Ferrara ha affrontato un'impegnativa ristrutturazione che, dopo una dura vertenza conclusasi con la fattiva partecipazione della regione Emilia-Romagna, ha comportato l'uscita di 105 unità lavorative e il ridimensionamento delle attività, pur riaffermando il valore strategico della sede;
   nella primavera 2015 si è aperta, tra l'azienda e le organizzazioni sindacali, una trattativa per il rinnovo del contratto integrativo di secondo livello nell'ambito della quale le organizzazioni sindacali hanno chiesto di affrontare anche il tema delle garanzie occupazionali per i lavoratori coinvolti dalle frequenti riorganizzazioni aziendali;
   il 10 dicembre 2015 l'azienda ha improvvisamente comunicato il licenziamento individuale per motivi economici di 2 lavoratrici motivando tale decisione con la soppressione delle rispettive posizioni di lavoro, senza alcun preavviso alle organizzazioni sindacali e alla rappresentanza sindacale unitaria di stabilimento, benché con le stesse fosse in corso una trattativa;
   tale accadimento ha determinato l'alimentarsi di un pesantissimo clima di tensione che ha portato all'interruzione della trattativa, all'immediata proclamazione di uno sciopero delle maestranze e ad una dura presa di posizione, molto critica nei confronti dell'azienda, da parte del sindaco di Ferrara;
   cinque giorni dopo, a seguito delle iniziative di mobilitazione sindacale e di pressione delle istituzioni locali, la direzione, sottoscrivendo un verbale di incontro, ha ritirato il provvedimento di licenziamento e ha reintegrato le due lavoratrici impegnandosi ad affrontare in sede di accordo integrativo il tema generale della rioccupabilità delle persone in caso di riorganizzazione;
   alla ripresa delle trattative la direzione aziendale ha confermato l'indisponibilità a convenire su una norma pattizia che scongiurasse il ripetersi, nelle forme e nei contenuti, dell'episodio delle due lavoratrici, come per altro già previsto nel precedente accordo aziendale;
   dopo due giorni di trattativa, in una fase convulsa di tesissimo confronto, si è determinato un alterco tra un delegato e un rappresentante aziendale;
   nonostante i tentativi sindacali di ridurre la tensione, spostando gli scioperi già proclamati per quello stesso giorno, e di riprendere le trattative, l'azienda ha avviato un procedimento disciplinare con la sospensione cautelare del delegato e il suo successivo licenziamento –:
   se i Ministri interpellati siano a conoscenza degli episodi sopradescritti e se non intendano intervenire, per quanto di competenza, al fine di favorire il ristabilirsi di un corretto e proficuo confronto tra le organizzazioni sindacali e l'azienda, a partire dalla revoca del licenziamento effettuato, e se sia a conoscenza dei piani di sviluppo e riorganizzazione aziendale della Lyondell Basell, con particolare riferimento al sito produttivo di Ferrara;
   se i Ministri interpellati non ravvisino in questi atteggiamenti un tentativo di creare da parte della multinazionale un clima di scontro per giustificare un progressivo abbandono dell'attività nel nostro Paese.
(2-01224) «Patrizia Maestri, Bratti, Paola Boldrini, Damiano, Epifani, Gnecchi, Giorgio Piccolo, Casellato, Albanella, Zappulla, Incerti, Miccoli, Baruffi, Lattuca, De Maria, Gribaudo, Paris, Pagani, Di Salvo, Bolognesi, Schirò, Gandolfi, Rotta, Marco Di Maio, Ghizzoni, Patriarca, Pollastrini, Romanini, Fabbri, Montroni, Giacobbe, Mognato, Carloni, Arlotti, Iori, Mauri, Marchi, Zampa, Richetti».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARZANO, ROSTAN, GIUDITTA PINI, VERINI, VAZIO, MATTIELLO, ANDREA MAESTRI, CAMPANA, MORANI, ERMINI, IORI, MAZZOLI, MARCHETTI, MARTELLI, PASTORELLI, CAPUA, VEZZALI, FITZGERALD NISSOLI, MAZZIOTTI DI CELSO, BRIGNONE, CIVATI, PASTORINO, TINAGLI, GNECCHI, GREGORI, FASSINA, CINZIA MARIA FONTANA e LOCATELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in base al decreto legislativo n. 80 del 2015 il congedo parentale è un diritto spettante sia alla madre sia al padre di godere di un periodo di dieci mesi di astensione dal lavoro da ripartire tra i due genitori e da fruire nei primi dodici anni di vita del bambino al fine di soddisfare i suoi bisogni affettivi e relazionali;
   il diritto al congedo parentale è riconosciuto ai lavoratori e alle lavoratrici dipendenti titolari di uno o più rapporti di lavoro in atto, nonché alle lavoratrici madri autonome per un periodo massimo di tre mesi;
   alla madre lavoratrice compete, trascorso il periodo di congedo obbligatorio di maternità, un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi; al padre lavoratore compete un periodo continuativo o frazionato non superiore ai sei mesi; se è presente un solo genitore, a questo compete un periodo continuativo o frazionato non superiore a dieci mesi;
   per ottenere il congedo parentale, se solo, il genitore richiedente deve compilare in tutte le parti un modulo in cui deve specificare i motivi per cui è solo scegliendo tra le seguenti opzioni:
    morte dell'altro genitore;
    grave infermità dell'altro genitore;
    abbandono del figlio da parte dell'altro genitore;
    affidamento esclusivo del figlio al solo genitore richiedente;
   esistono numerosi casi di genitori single che, costretti a scegliere l'opzione «abbandono del figlio da parte dell'altro genitore» sono poi obbligati a specificare la data dell'abbandono, anche in casi in cui lo statuto di «genitore single» non è la conseguenza di un abbandono ma di una scelta;
   i dati personali presenti nei moduli possono essere comunicati, se strettamente necessario per la definizione della pratica, ad altri soggetti pubblici o privati, tra cui istituti di credito o uffici postali, altre amministrazioni, enti o casse di previdenza obbligatoria –:
   se il Governo intenda:
    a) individuare una soluzione che eviti che i genitori single, nel momento in cui specificano i motivi per cui sono soli, siano costretti a dichiarare l'abbandono del figlio da parte dell'altro genitore;
    b) valutare l'opportunità di inserire un'opzione supplementare del tipo «unico genitore ad aver riconosciuto il figlio» oppure semplicemente «genitore single» senza che questo comporti la necessità di spiegarne i motivi. (5-07363)


   LABRIOLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni articoli, pubblicati l'11 gennaio 2016 dai quotidiani on line Inchiostroverde.it e Cronachetarantine.it, si apprende che durante la mattinata, presso lo stabilimento Ilva di Taranto, si sia svolto un incontro tra i responsabili dell'impianto ed i sindacati Fiom, Fim e Uilm per affrontare le questioni in merito all'avvio della discussione sulla procedura di proroga del contratto di solidarietà di tipo difensivo, previsto ex articolo 1 della legge n. 863 del 1984, in scadenza per il 2 marzo 2016;
   l'azienda, secondo quanto pubblicato, avrebbe previsto per i prossimi 12 mesi un esubero temporaneo massimo di 3.519 rispetto agii attuali 4.074 della procedura ancora in essere e tale riduzione sarebbe il frutto dei nuovi assetti produttivi e di marcia degli impianti su cui si confronteranno le rappresentanze sindacali unitarie e la direzione aziendale a partire dal 15 gennaio 2016;
   inoltre, si apprende che l'azienda, in un documento consegnato alle rappresentanze sindacali unitarie, abbia giustificato tali riduzioni riferendosi alla «profonda e grave crisi economica, produttiva e finanziaria che ha progressivamente interessato, dopo gli stabilimenti di Genova e Novi Ligure ove sono in essere i contratti di solidarietà, anche il ciclo produttivo dello stabilimento siderurgico di Taranto estendendosi ormai da diversi mesi al settore delle lamiere e tubi», sostenendo che la situazione attuale «venutasi a creare quale risultante di più fattori concorrenti impone un deciso e pronto intervento per riequilibrare i fattori produttivi mediante l'adozione di un piano di risanamento finanziario e di riassetto industriale, oggi imposto anche dagli obblighi connessi alla amministrazione straordinaria»;
   durante l'incontro i sindacati avrebbero sollevato diverse questioni di merito: prospettiva industriale e futuri assetti dell'Ilva di Taranto; richiesta di integrare il salario dei lavoratori; richiesta di ulteriore diminuzione sui numeri degli esuberi temporanei;
   a quanto consta all'interrogante, l'azienda, durante l'incontro, avrebbe anche dichiarato di non essere nelle condizioni di poter integrare il salario rispetto a quanto garantito dalle normative attuali;
   a tal proposito ed in considerazione dell'approvazione del «decreto ILVA» in discussione in questi giorni in Parlamento e dell'avvio del bando per la cessione del gruppo Ilva, i sindacati avrebbero annunciato di voler valutare da subito iniziative che diano garanzie a tutti i lavoratori, sia su una maggiore tutela del salario, sia sulla prospettiva futura –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali ulteriori elementi abbia in suo possesso;
   quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare per garantire i lavoratori di tutti gli stabilimenti dei gruppo Ilva, in particolare quella di Taranto, sia dal punto di vista salariale che di sicurezza futura e se intenda farsi parte attiva nella trattativa tra Ilva e rappresentanze sindacali unitarie e dipendenti e in che modo;
   se il Governo ritenga, di concerto con gli attori coinvolti, di monitorare le varie fasi di trattativa per la proroga dei contratti di solidarietà e in che modo si possano garantire gli attuali livelli occupazionali, anche durante le future fasi di cessione dell'azienda tarantina, come stabilito dal decreto-legge 4 dicembre 2015, n. 191. (5-07365)


   BUSINAROLO, TRIPIEDI, CIPRINI, COMINARDI, CHIMIENTI, LOMBARDI, DALL'OSSO e DE ROSA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   di recente, è emerso il caso di quindici lavoratori, assunti tra il 2005 e il 2007, dalla società Serenissima Costruzioni spa, che sono stati pressoché contestualmente distaccati presso la società Autostrada Brescia-Verona-Vicenza-Padova (società controllante della Serenissima Costruzioni spa), prestando servizio, durante tutto l'intercorso rapporto di lavoro alle dipendenze del datore distaccante, presso la direzione lavori di Autostrada spa nei cantieri della Valdastico sud;
   la società Brescia-Verona-Vicenza-Padova risulta essere stata concessionaria, da parte dell'Anas, di concessione di costruzione ed esercizio con pedaggio di autostrade per alcune tratte specifiche e, per tale motivo, ha appaltato, dietro corrispettivo, alla società controllata Serenissima Costruzioni s.p.a, la realizzazione di un numero considerevole di lotti;
   i lavoratori, che avevano svolto colloqui presso la Serenissima Costruzione spa alla presenza di dirigenti e funzionari di Autostrada Brescia-Padova, sono stati assunti, nella maggior parte dei casi, per lo svolgimento di mansioni di direttore operativo, con funzioni principalmente di controllo sull'esecuzione dei lavori;
   al termine della realizzazione della Valdastico Sud, i lavoratori distaccati sono stati interessati dalla procedura di mobilità aperta con comunicazione del 5 novembre 2014;
   in data 3 dicembre 2012 i lavoratori in questione (ad eccezione di due casi) hanno proposto ricorso presso il tribunale di Verona per accertare la legittimità dei distacchi. Il tribunale, con sentenza n. 497/2015 del 10 novembre 2015, ha accertato e dichiarato l'illegittimità di tali distacchi, non risultando conformi a quanto previsto in materia dall'articolo 30, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, in quanto non rispondenti ad un interesse proprio del datore di lavoro. Il tribunale ha altresì dichiarato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze di Autostrada Brescia-Padova spa, con decorrenza per ciascun lavoratore dal primo provvedimento di distacco;
   allo stato attuale, però, risulta che entrambe le società hanno disatteso la sentenza, continuando quindi ad agire come se il distacco dei lavoratori fosse ancora operativo –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, anche alla luce della sentenza n. 497/2015 indicata in premessa, non ritengano di prevedere controlli presso le aziende indicate, anche tramite l'ispettorato del lavoro, al fine di stabilire quali siano le attuali posizioni giuridico-lavorative dei lavoratori interessati e di adottare, qualora siano riscontrate irregolarità, adeguate iniziative al riguardo.
(5-07376)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VEZZALI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto rilevato dall'INPS, la vera emergenza sociale in Italia sono i poveri e coloro i quali, superati i 55 anni, perdono il lavoro; a loro, sempre secondo l'INPS, si aggiunge la dilagante disoccupazione giovanile che concorre ad ampliare il potenziale numero dei poveri di domani;
   la maggiore speranza di vita e il gran numero di pensioni minime porta buona parte della popolazione anziana allo stato di incapienza, considerato che raggiunge a mala pena i 500 euro di pensione mentre la soglia di povertà si sfiora verso i 900 euro/mese; le persone più vulnerabili sono le donne sole e i non autosufficienti;
   in Italia, a differenza di molti Paesi europei, manca un sistema di assistenza sociale di base, per cui le persone in stato di necessità, soprattutto se non hanno una famiglia che può farsene carico, sono abbandonate a sé stesse o lasciate alla capacità di aiuto delle organizzazioni no profit e del volontariato;
   la lista dei potenziali e reali poveri si allunga a dismisura se si pensa alle migliaia di immigrati che sono nel nostro Paese e a tutte quelle famiglie che quotidianamente perdono lavoro e casa, o impegnano i pochi oggetti di valore che posseggono per evitare di ricorrere alla Caritas;
   in questo scenario non va trascurata la solidarietà che sovente è offerta da coloro che rinunciano a quel poco che hanno per dividerlo con chi sta peggio –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative affinché:
    a) sia agevolato, in conformità con quanto sancito anche dall'Unione europea, un patto generazionale, che consenta a chi è in età pensionabile di decidere, magari a fronte di una riduzione dell'assegno pensionistico, di anticipare la pensione, a vantaggio di chi si approccia per la prima volta al mondo del lavoro;
   b) sia rimodulato il sistema contributivo, per scongiurare ai pensionati di domani di essere più poveri di quelli attuali. (4-11650)


   PAGLIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Lyondell Basell è una multinazionale operante nel settore della chimica in 14 Paesi con oltre 130.000 dipendenti, che ha chiuso il 2014 con utili per 8 miliardi di dollari, a fronte di un fatturato di 45 miliardi di dollari;
   in Italia ha attività a Milano, Brindisi e Ferrara;
   nel sito di Ferrara, in particolare, sono occupati 860 dipendenti, di cui il 45 per cento impegnati nello storico centro ricerche «G. Natta», che costituisce il nucleo principale di innovazione di prodotti e tecnologie sulle materie plastiche del gruppo;
   la dimensione e l'attività degli impianti e delle strutture di ricerca applicata presenti a Ferrara sono tali da risultare determinanti nel garantire all'intero insediamento multisocietario una elevata profittabilità per le imprese insediate;
   si sottolinea come lo stabilimento Basell costituisca inoltre uno snodo fondamentale della pipe-line al servizio dell'attività di distillazione della virgin nafta di Porto Marghera (il cosiddetto cracking) di Eni-Versalis, che rifornisce oltre a Ferrara, gli stabilimenti di Mantova e Ravenna;
   il sito di Ferrara vanta inoltre una lunga storia di sperimentazione di innovazioni organizzative e di gestione del mercato del lavoro, grazie ad un contesto di relazioni industriali avanzate e partecipative;
   nel 2013 si è resa possibile una impegnativa ristrutturazione aziendale, che ha portato al ridimensionamento delle attività e alla conseguente soppressione di 105 posizioni lavorative, dopo una dura vertenza conclusa anche grazie alla attiva partecipazione della Regione Emilia Romagna e alla riaffermazione del valore strategico del sito di Ferrara;
   dalla primavera 2015 in azienda è in corso una trattativa per il rinnovo del contratto integrativo di secondo livello, nella quale le organizzazioni sindacali chiedevano di affrontare anche il tema delle garanzie occupazionali per i lavoratori in caso di riorganizzazione aziendale;
   in data 10 dicembre 2015 l'azienda improvvisamente comunicava il licenziamento individuale per motivi economici di 2 lavoratrici, senza alcun preavviso alle organizzazioni sindacali e alla rappresentanza sindacale unitaria di stabilimento con le quali era in corso la trattativa;
   questo determinava un pesantissimo clima di tensione, l'interruzione della trattativa e la immediata proclamazione di sciopero, nonché una pronta presa di posizione molto critica verso la azienda dello stesso sindaco della Città di Ferrara;
   le iniziative di mobilitazione sindacale e la pressione delle istituzioni locali, producevano 5 giorni dopo il ritiro del provvedimento di licenziamento, la sottoscrizione di un verbale di incontro e la ricollocazione al lavoro delle due persone interessate:
   azienda e sindacati si impegnavano inoltre ad affrontare in sede di accordo integrativo il tema della rioccupabilità delle persone in caso di riorganizzazione;
   alla ripresa delle trattative, la direzione aziendale persisteva tuttavia nella indisponibilità a convenire su una clausola che scongiurasse il ripetersi, nelle forme e nei contenuti, dell'episodio delle due lavoratrici, producendo così un arretramento anche rispetto a quanto già previsto dall'integrativo precedente;
   in questo contesto e dopo due giorni di confronto intenso, si verificava in sede di trattativa sindacale un leggero contatto fisico fra un delegato e un rappresentante aziendale;
   Basell avviava quindi immediatamente un procedimento disciplinare a carico del rappresentante sindacale disponendone la sospensione cautelare, nonostante le organizzazioni sindacali nel tentativo di ridurre la tensione rimandassero lo sciopero già proclamato per quello stesso giorno;
   il 3 gennaio, nonostante la fortissima e immediata reazione di solidarietà da parte dei lavoratori e delle lavoratrici, di tutte le organizzazioni sindacali della cittadinanza ferrarese e di rappresentanti delle istituzioni locali, regionali e nazionali, la società procedeva al licenziamento del delegato;
   a nessuno è sfuggita la sproprozione fra il fatto posto alla base del licenziamento e il suo esito, tanto che nelle ore e giorni successivi si moltiplicavano le richieste a Basell di riconsiderare la sua decisione, chiaramente autoritaria e inedita nel suo rivolgersi a un rappresentante sindacale impegnato in una trattativa per il rinnovo del contratto, tanto da apparire persino intimidatoria;
   nei giorni successivi si indicono scioperi che riscontrano adesione totale da parte dei dipendenti e sono annunciate dalle organizzazioni sindacali ulteriori iniziative di mobilitazione, finalizzate ad ottenere il reintegro del delegato;
   l'azienda reagisce cercando di delegittimare la rappresentanza sindacale rivolgendosi direttamente ai lavoratori, forse dimenticando che le elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie risalivano a meno di un anno prima, quando oltre l'80 per cento degli aventi diritto aveva partecipato al voto, facendo avere proprio al delegato licenziato il maggior numero di preferenze;
   non può sfuggire che tale situazione si inserisce in un contesto di ridefinizione della presenza stessa dell'industria chimica nel nostro Paese, attivata da ENI, società controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze, con la decisione di cedere Versalis, e quindi dovrebbe essere interesse del Governo garantire continuità di investimenti e relazioni industriali ordinate, fondate sul diritto e non sull'arbitrio;
   sotto questo aspetto, e vista l'importanza di Basell, appare importante e necessaria l'apertura di un canale di dialogo diretto fra il Governo e l'azienda, finalizzato a ottenere il reintegro del delegato, come condizione per la riapertura di un sereno tavolo negoziale;
   si deve inoltre sapere che consentire il licenziamento di un rappresentante sindacale impegnato in una trattativa per un evento verificatosi nel corso della trattativa stessa, da parte di un gruppo industriale di primaria importanza, significherebbe determinare un precedente potenzialmente in grado di cambiare la storia delle relazioni sindacali nel nostro Paese, tanto più se questo avvenisse in assenza di un chiaro e univoco intervento del Governo –:
   se e come intenda intervenire, per quanto di competenza, affinché la direzione di Basell revochi un licenziamento ad avviso dell'interrogante oggettivamente autoritario e intimidatorio;
   se ritenga utile interessarsi, per quanto di competenza, anche alle intenzioni strategiche di presenza della società nel nostro Paese. (4-11652)


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'area industriale di San Salvo (provincia di Chieti) è tra le più dinamiche del nostro Paese e dell'Abruzzo in particolare, e ospita aziende che danno lavoro a migliaia di lavoratori; in particolare la Pilkington con le aziende satellite, è la più grande fabbrica di vetro per auto del mondo, con 2.000 dipendenti più 700 nell'indotto, e rappresenta in questo settore una eccellenza tecnologica;
   si apprende a mezzo stampa dell'appello del presidente di Pilkington Italia spa, che in una nota sottolinea come senza contratti di solidarietà, almeno 70 dipendenti rischieranno di perdere il posto di lavoro;
   i contratti di solidarietà tutt'ora in corso alla Pilkington sono stati negli ultimi due anni un importante strumento di gestione dell'attuale crisi industriale e produttiva;
   si discute oggi di possibili integrazioni salariali ai contratti di solidarietà difensiva, in essere prima della riforma sugli ammortizzatori sociali del 24 settembre 2015, e rese a favore di alcune società e gruppi in Italia, con il riconoscimento dell'integrazione del 10 per cento supplementare;
   la legge di stabilità 2016, appena approvata, non ha deciso il prolungamento dell'integrazione salariale elevata al 70 per cento invece che al 60 per cento, nemmeno per i contratti in essere e stipulati ante-riforma;
   è da tutti riconosciuto che la solidarietà è un valido processo che consente di continuare a difendersi contro il perdurare di condizioni economiche sfavorevoli, evitando rilevanti uscite dal mondo del lavoro di forte impatto sociale, nonché di ripartire su tutti i lavoratori i sacrifici di lavorare anche meno ma cercando di lavorare tutti;
   l'appello del presidente della Pilkington è sostenuto naturalmente dalle rappresentanze sindacali unitarie che sottolineano come la Pilkington e tutte le altre aziende italiane che si trovano in questa situazione, avranno serie difficoltà a gestire le eccedenze di manodopera –:
   se non intenda assumere le iniziative di competenza per rifinanziare l'integrazione supplementare del 10 per cento dei contratti di solidarietà onde evitare ingenti perdite di posti di lavoro, soprattutto in una fase di grave crisi occupazionale del nostro Paese. (4-11653)


   PAGLIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 giugno 2015 con l'interrogazione n. 4/09362 l'interrogante sottoponeva al Ministero del lavoro e delle politiche sociali il caso del licenziamento di 900 lavoratori da parte delle cooperative Consorzio Euro 2000 e King Service, a seguito della disdetta dell'appalto da loro detenuto presso Inalca spa;
   si sottolineava come fra Consorzio Euro 2000 e Inalca spa intercorressero anche legami societari, e che si poteva supporre che l'operazione fosse finalizzata a trasferire i lavoratori licenziati in una nuova società, così da godere degli sgravi contributivi triennali previsti per le assunzioni con contratti a tutele crescenti sottoscritti nel 2015;
   va ricordato che i lavoratori interessati avevano contratti a tempo indeterminato antecedenti il Jobs Act, e quindi godevano anche di tutele maggiori da quelle previste in caso di riassunzione;
   il giorno dopo la rescissione del contratto di appalto, i lavoratori sono stati riassunti dall'Agenzia per il Lavoro Trenkwalder per 6 mesi e un giorno, così da superare i limiti posti dalla legge per evitare richieste improprie di sgravi contributivi;
   il 17 dicembre 2015 i 900 lavoratori venivano quindi assunti da Ges.Car srl, società partecipata al 100 per cento dalla stessa Inalca spa;
   a seguito di tale operazione, Inalca spa potrà di fatto godere indirettamente di sgravi per 14 milioni di euro nel biennio, occupando a tutele crescenti gli stessi lavoratori prima impiegati a tempo indeterminato;
   i lavoratori rischiano invece di perdere fra 10.000 e 15.000 euro ciascuno a causa del mancato pagamento di alcune mensilità e altri elementi retributivi, da parte di Consorzio Euro 2000 e King Service, ora in liquidazione coatta amministrativa, trattandosi di soggetti che operavano in monocommittenza con Inalca spa;
   come già ricordato nella precedente interrogazione, Inalca spa è partecipata al 28,4 per cento da IQ Made in Italy, joint venture paritaria fra FSI e Quatar Holding, per un impegno di 165 milioni di euro –:
   se non sia possibile procedere, per quanto di competenza, a una verifica dacché, se il fatto fosse accertato, rappresenterebbe un forte elemento di concorrenza sleale nei confronti delle imprese impegnate nel settore;
   se non ritenga di dover intervenire per evitare che una operazione condotta a danno dei lavoratori, con quello che l'interrogante ritiene l'evidente scopo di ottenere sgravi contributivi, vada a buon fine sotto questo profilo, rappresentando in tal modo un precedente contrario alla ratio stessa della norma sulle nuove assunzioni.
(4-11654)


   MARCON. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il signor Sergio Andreis, nato il 23 dicembre 1952 a Brescia, ha rifiutato, per motivi di coscienza, di svolgere sia il servizio militare di leva che il servizio civile sostitutivo; è stato conseguentemente detenuto nelle carceri militari di Gaeta e Forte Boccea dal 10 luglio 1979 al 10 ottobre 1980, quando è stato liberato dopo la grazia concessa dall'allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini; al termine del periodo di detenzione è stato posto in congedo dalle autorità militari per avere assolto agli obblighi di leva;
   la sede INPS di Brescia, il 28 ottobre 2000, ha respinto la richiesta, presentata dal signor Sergio Andreis, di accredito figurativo del servizio militare ai sensi dell'articolo 49 della legge n. 153 del 1969 con la motivazione che «sono esclusi dall'accredito periodi di detenzione trascorsi in attesa di giudizio seguito da sentenza di condanna e quelli di reclusione successivi alla condanna stessa»;
   peraltro, l'articolo 49 della legge n. 153 del 1969 recita: «I periodi di servizio militare e quelli equiparati di cui agli articoli 56 n. 1, del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827; 7,8 e 9 della legge 20 febbraio 1958, n. 55, nonché i periodi di servizio militare ed equiparati di cui alla legge 2 aprile 1958, n. 364, sono considerati utili a richiesta dell'interessato ai fini del diritto e della determinazione della misura della pensione dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti, anche se tali periodi eccedano la durata del servizio di leva e gli assicurati anteriormente all'inizio dei servizi predetti, non possano far valere periodi di iscrizione nell'assicurazione anzidetta;
   la disposizione di cui al precedente comma non si applica nei confronti di coloro che abbiano prestato o prestino servizio militare come militare di carriera e nei confronti di coloro in cui favore il periodo di servizio militare o assimilato sia stato o possa venir riconosciuto ai fini di altro trattamento pensionistico sostitutivo dell'assicurazione generale obbligatoria;
   dall'entrata in vigore della presente legge le norme dell'articolo 6 della legge 28 marzo 1968, n. 341, cessano di applicarsi all'assicurazione predetta;
   sono altresì considerati utili ai fini del diritto alla pensione e della determinazione della misura di essa i contributi accreditati ai sensi della legge 10 marzo 1955, n. 96, e successive modificazioni e integrazioni;
   il secondo comma dell'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1968, n. 488, è così modificato: «Agli effetti previsti dal presente articolo i contributi accreditati ai sensi della legge 10 marzo 1955, n. 96 e successive modificazioni, sono equiparati ai contributi volontari, su espressa domanda dell'interessato»;
   con il messaggio n. 6033, datato 21 febbraio 2005, avente come oggetto «Diniego dell'accredito figurativo dei periodi di detenzione per rifiuto di prestare il servizio militare di leva», il direttore centrale della direzione centrale delle prestazioni INPS, scriveva: «La Direzione generale per il Personale Militare del Ministero della difesa, con nota del 13 aprile 2004, ha ritenuto che il diritto alla valutazione figurativa del servizio militare discenda dall'avvenuto assoggettamento ad un obbligo costituzionale, talché un rifiuto a tale assolvimento appare condizione preclusiva alla valutazione stessa. Pertanto i periodi di detenzione per rifiuto di prestare servizio militare di leva non possono essere valutati ai fini dell'accredito figurativo»;
   il messaggio dell'INPS sopra citato, che non può innovare previsioni di legge, è evidentemente una interpretazione peggiorativa della norma, contraria ai pronunciamenti della Corte Costituzionale in materia di obiezione di coscienza al servizio militare e le decisioni dell'INPS discriminano nell'iter pensionistico i cittadini obiettori che per motivi di coscienza hanno rifiutato di svolgere sia il servizio militare di leva che il servizio civile sostitutivo rispetto a coloro i quali hanno svolto il servizio militare di leva –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative urgenti di competenza il Governo intenda adottare perché anche agli obiettori, a suo tempo condannati a periodi di detenzione per la loro scelta per motivi di coscienza, venga riconosciuto l'accredito figurativo del servizio militare ai fini pensionistici, assolto con modalità diverse da quello del servizio di leva.
(4-11659)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, GAGNARLI, L'ABBATE, PARENTELA e LUPO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 14 gennaio 2016 si svolgerà in seduta straordinaria, l'assemblea generale dell'Associazione italiana allevatori al fine di proporre delle modifiche al regolamento associativo nonché a diversi articoli dello statuto dell'ente;
   da alcune bozze circolanti della modifica dello statuto, in possesso degli interroganti, emerge, a parere degli stessi, una evidente tendenza a concentrare sull'Associazione tutta l'organizzazione, la gestione e di conseguenza i finanziamenti per i libri genealogici e i controlli funzionali;
   ai sensi della normativa vigente l'attività di miglioramento, selezione e valorizzazione del bestiame è attribuita, in regime di monopolio, all'Associazione italiana allevatori (AIA), alle associazioni di razza o specie (ANA) ed alle associazioni territoriali (ARA ed APA) ad essa aderenti;
   nel rispetto degli orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, in concorso e con l'intesa delle amministrazioni interessate, stabilisce annualmente l'ammontare della contribuzione;
   i richiamati orientamenti europei definiscono le percentuali massime dei contributi pubblici alle attività di miglioramento genetico nei limiti percentuali del 100 per cento per le attività di Libro genealogico e registro anagrafico e del 70 per cento per le attività di controllo funzionale, del 40 per cento per investimenti in centri per la riproduzione animale e del 30 per cento a copertura dei costi di mantenimento dei riproduttori maschi di elevata qualità genetica –:
   se sia a conoscenza delle modifiche statutarie dell'Associazione, italiana allevatori in premessa e se, in base al loro contenuto, non ritenga possano causare uno sbilanciamento della distribuzione dei finanziamenti per libri genealogici e i controlli funzionali in favore della stessa associazione, avallando di fatto una gestione ancor più monopolistica di tale importante attività e contravvenendo a quanto previsto dagli orientamenti comunitari. (5-07358)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   VEZZALI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 36 per cento delle misure di spending review, consiste nella riduzione del fondo sanitario nazionale; infatti il finanziamento previsto per il 2016 pari a 113.092 milioni di euro viene previsto per 111.000 milioni. Il livello di finanziamento del servizio sanitario nazionale per il 2016, previsto nel patto per salute era pari a 115.444 milioni di euro;
   al settore sanitario nel 2016 viene chiesto un contributo al risanamento di 14.706 milioni (di cui 4,3 miliardi solo nel biennio, 2015 – 2016). L'importo del Fondo sanitario nazionale 2016 conferma una contrazione in valore assoluto dell'1,8 per cento a fronte di una crescita del prodotto interno lordo nominale del 1,47 per cento (prodotto interno lordo programmatico), l'incidenza del Fondo sanitario nazionale sul prodotto interno lordo) è al livello più basso dall'inizio del decennio al 6,6 per cento del prodotto interno lordo. La spesa sanitaria rappresenta circa il 16 per cento della spesa primaria statale e concorre ai tagli complessivi per il 36 per cento;
   nel 2016 l'impatto dei tagli cumulato dalle varie manovre arriva a 14,7 miliardi di euro. L'importo del fondo sanitario si è ridotto dell'18 per cento a fronte di una crescita del prodotto interno lordo del 1,47 per cento. Le regioni rilevano che per il 2017 le ripercussioni sulla sanità dei nuovi tagli sui bilanci saranno inevitabili;
   la riorganizzazione della sanità sta determinando la chiusura di molte piccole strutture ospedaliere; tagli che non sempre corrispondono al miglioramento ed efficientamento dei servizi, anzi, si è passati in molti casi dalla fruizione dei servizi H24 ad H12 con conseguenti disagi per le popolazioni residenti nei comuni interessati;
   stessa sorte sta capitando in almeno 13 strutture delle Marche dove una pro osta riorganizzazione di servizi sta determinando il cambio del nome delle strutture, la chiusura di punti di primo intervento, la soppressione della lungodegenza e l'affido dei servizi a personale infermieristico e non più medico per le sole ore diurne;
   la tempestività degli interventi in alcuni casi è determinante per salvare la vita e ritenere che chiudere le strutture periferiche (quelle di prossimità in comuni lontani chilometri dai capoluoghi e a prevalente popolazione anziana) è la soluzione per risanare il settore, rischia di produrre effetti che difficilmente rispondono a quel «diritto alla salute» costituzionalmente garantito –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per:
    a) procedere ai tagli, valutando prima su che tipo di territorio e popolazione si sta operando;
    b) mantenere i punti di primo intervento di cui in premessa (almeno i più necessari come quelli che si trovano nelle zone strutturalmente disagiate, nelle zone montane o periferiche) in modo da ridurre i costi di ospedalizzazioni più complesse e risolvere casi che, se trattati in tempi lunghi, possono produrre danni invalidanti e con ricadute sul sistema sanitario più onerose;
    c) assicurare un servizio territoriale efficiente, per sopperire ai tempi biblici della diagnostica e a una prevenzione, di fatto, «impossibile». (3-01929)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DI VITA, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, BARONI, GRILLO, COLONNESE, NUTI, DI BENEDETTO, MANNINO, LUPO e CANCELLERI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   uno dei temi di maggiore rilievo con riguardo alla situazione attuale della sanità in Italia riguarda il numero e il livello qualitativo dei punti nascita, del connesso diritto imprescindibile alla salute, in particolare dei bambini e delle gestanti, e della sicurezza del parto, evento unico che ogni donna ha il diritto di vivere serenamente;
   la riorganizzazione della rete dei punti nascita nasce in seguito all'Accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010, recante «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo»;
   tale accordo stabilisce la chiusura, da parte di tutte le regioni, dei punti nascita con un volume di attività inferiore a 500 parti/anno, in quanto non in grado di garantire la sicurezza per la madre ed il neonato, prevedendo l'adozione di stringenti criteri per la riorganizzazione della rete assistenziale;
   quanto alla rimodulazione della rete dei punti nascita, il citato accordo, che fa specifico riferimento ad un sistema di rete dei punti nascita del tipo «Hub» e «Spoke», in tal senso, vincola le regioni ad attivare anche un adeguato sistema di trasporto assistito materno (STAM) e di trasporto in emergenza del neonato (STEN);
   tale processo di riorganizzazione della rete assistenziale materno-infantile ha determinato pertanto la progressiva chiusura di diversi punti nascita in varie regioni, anche in Sicilia;
   da recenti notizie stampa si è appresa la notizia dell'ulteriore chiusura, invero annunciata già un anno e mezzo fa, dei punti nascita (PN), con numero di parti inferiore ai 500 l'anno, di Petralia Sottana, in provincia di Palermo, di Santo Stefano Quisquilia, in provincia di Agrigento, di Mussomeli, in provincia di Caltanissetta, e dell'isola di Lipari – alle cui strutture era stata concessa una proroga di deroga alla chiusura fino al 31 dicembre 2015 – poiché non soddisfacenti gli standard richiesti dal decreto n. 158 del 2012, il cosiddetto «decreto Balduzzi»;
   contro la chiusura del punto nascita di Petralia Sottana, per quanto concerne in particolare la provincia di Palermo, si sono svolte diverse manifestazioni di protesta, promosse sia dai Comitati cittadini, che dalle principali istituzioni dei comuni madoniti;
   a seguito della chiusura del punto nascita di Petralia Sottana è stata inviata una lettera al Ministero della salute da parte dei sindaci dei comuni madoniti coinvolti (Petralia Sottana, Alimena, Blufi, Bompietro, Castellana Sicula, Gangi, Geraci Siculo, Petralia Soprana e Polizzi Generosa), con cui si chiedeva di rivedere la decisione assunta di chiudere il punto nascita in questione, a cui il Ministro rispondeva, in estrema sintesi, negando ogni spiraglio all'ipotesi di concessione di una deroga «(...) lì dove il Comitato Percorso Nascita nazionale intravede fattori di rischio superiori al finto beneficio di avere una struttura si vicino casa ma del tutto inadeguata a supportare la donna in caso di eventuali situazione di emergenza che dovessero presentarsi in tutto il peri-partum, travaglio, parto, e post parto»;
   occorre rilevare che il Ministero ha però – in maniera apparentemente contraddittoria secondo gli interroganti deciso di non decretare, almeno per il momento, la chiusura, anch'essa da tempo stabilita in base al parere della direzione generale della programmazione sanitaria, dei punti nascita di Licata, in provincia di Agrigento, e di Bronte, nel catanese, strutture tuttavia molto simili e con numeri quasi identici a quelle dei punti nascita interessati dalla decisione ministeriale;
   la circostanza ha scatenato un'aspra polemica nel mondo politico: secondo le numerose dichiarazioni riportate sulla stampa di esponenti della stessa maggioranza di Governo, infatti, la decisione ministeriale costituirebbe un'iniqua – e non casuale – differenza di trattamento, figlia di possibili logiche campanilistiche e di appartenenza politica. I territori su cui insistono i punti nascita che il Ministero ha deciso di mantenere in funzione – quelli, appunto, di Bronte e Licata – sono infatti noti per essere bacini elettorali del Nuovo Centrodestra, lo stesso partito del ministro della Salute;
   preoccupano altresì, in particolare, le dichiarazioni rilasciate da Vincenzo Fontana, deputato siciliano del Nuovo centro destra e vicepresidente della commissione Sanità all'Ars che, nel festeggiare il salvataggio del punto nascita di Licata, ringraziava il ministro Alfano e lo stesso ministro Lorenzin, con i quali – raccontava – di essere stato «costantemente in contatto ed informato dell'evoluzione dell'iter»;
   la chiusura del punti nascita di Petralia sta continuando in queste stesse ore a destare forte preoccupazione, soprattutto tra le donne, le prime a essere colpite da un simile provvedimento;
   il reparto – è stato reso noto – d'ora in poi garantirà esclusivamente le emergenze giudicate tali dal personale medico che, dalle ore 20, resterà in servizio con turni di reperibilità. Inoltre, dalla stessa ora, il servizio del 118, sul territorio madonita, sarà garantito solo da tre ambulanze senza nessun medico e infermiere a bordo delle stesse, all'uopo prevedendosi addirittura soltanto un autista ed un portantino;
   tale ultima circostanza, in particolare, – se confermata – desta forte preoccupazione;
   a tal proposito preme ricordare, in questa sede, che le linee di azione contenute nel citato accordo, che fanno specifico riferimento ad un sistema di rete dei punti nascita del tipo « Hub» e « Spoke», vincolano, in tal senso, le regioni ad attivare anche il sistema di trasporto assistito materno (STAM) e il sistema di trasporto in emergenza del neonato (STEN);
   ciò che preoccupa maggiormente gli interroganti è proprio il fatto che – come denunciato altresì dall'Anci Sicilia nei giorni scorsi – il Ministero della salute abbia decretato la chiusura del punto nascita, malgrado la mancata attivazione da parte della regione siciliana – da tempo vincolata in tal senso dal citato accordo – di un adeguato servizio di trasporto per le emergenze neonatali e di trasporto materno assistito, lasciando così di fatto un pericoloso vuoto proprio in tema di sicurezza;
   al riguardo, lo stesso Ministro della salute ha dichiarato nei giorni scorsi che «la Regione Siciliana deve strutturare centri efficienti; deve dotare la propria rete territoriale di servizi di trasporto, ambulanze ed elicotteri, che garantiscano il collegamento in sicurezza con i centri idonei a soddisfare i requisiti del parto»;
   in merito, desta perplessità, altresì, l'apparente discontinuità delle dichiarazioni dell'assessore siciliano alla salute, Baldo Gucciardi che in prima battuta, si era speso pubblicamente chiedendo al Ministero la concessione della deroga e, dopo la chiusura del punto nascite in questione ha dichiarato invece, di fatto scaricando ogni responsabilità sul tema, che la regione siciliana «ha compiuto passi importanti per garantire la sicurezza del sistema. La competenza sulla deroga dei punti nascita il cui numero di parti è inferiore a 500 l'anno, appartiene al ministero della Salute; alle Regioni ed alle rispettive aziende sanitarie spetta il compito di mettere in sicurezza i punti nascita per i quali dicastero ha concesso la deroga»;
   si aggiunga che il punto nascite di Petralia Sottana ha la peculiarità di poter servire utilmente, riducendo così i disagi consequenziali, quei comuni delle Madonie che, per difficoltà di collegamenti stradali, arrivano a distare un tempo di percorrenza assai lungo – che va ben oltre il limite di sicurezza consentito – e i cui abitanti devono effettuare un tortuoso percorso stradale, soprattutto montano, dal punto nascite più vicino, oltretutto considerando il caso delle condizioni climatiche avverse, che non di rado interessano il territorio di cui si discute, soprattutto nei mesi invernali;
   in osservanza all'articolo 32 della nostra Costituzione, gli interroganti ritengono che il risparmio di spesa, eventualmente derivante dalla chiusura del punto nascite di Petralia Sottana, non possa valere, nel breve come nel lungo periodo, a compensare i molti rischi connessi per le partorienti che saranno costrette ad affrontare gli estremi disagi dei lunghi trasferimenti – vista la mancata attivazione del servizio STAM e STEN da parte della regione siciliana – presso la sola unità ospedaliere più prossima;
   le partorienti dei comuni madoniti interessati, infatti, saranno costrette ad andare altrove, sottoponendosi ad un tragitto che, nelle loro condizioni, può durare anche due ore d'auto o ambulanza per arrivare, in sicurezza, a Palermo dove ci sono i reparti più attrezzati di ostetricia e ginecologia, oppure a Termini Imerese, con tempi di percorrenza, in condizioni ottimali, di più di un'ora e mezza, affrontando oltre 75 chilometri di curve e correndo così il grave rischio di mettere a repentaglio la propria vita e quella della propria creatura, oppure ancora a Cefalù, dove il reparto è attrezzato, il tragitto prevede almeno la metà del tempo, ma il punto nascite comunque a rischio chiusura visto che attualmente è in regime di proroga fino al 31 dicembre del 2016, dunque ha ancora un anno di vita;
   preme ricordare, in proposito, che questi ultimi due punti nascita appena citati si troverebbero al momento in una situazione di vero e proprio stallo, dal momento che, proprio una nota del Ministero ha infatti depositato il monitoraggio dei punti nascita di Cefalù e di Termini Imerese per stabilire infine quale dei due dovrà restare aperto dopo il 31 dicembre 2016, creando di fatto una vera e propria corsa – a giudizio degli interroganti deleteria – all'accaparramento delle nascite del territorio limitrofo per scongiurare la chiusura dei battenti;
   a giudizio degli interroganti, la decisione ministeriale, che si fonde presumibilmente sulla consapevolezza che il numero di parti annuale è con certezza mediamente più alto a Termini Imerese, sarebbe volta a concedere di fatto solo una proroga per il punto nascite di Cefalù fino al dicembre 2016, mentre allo stesso tempo è stato affermato che, per la popolazione madonita l'eventuale chiusura di quest'ultimo sarebbe stata comunque compensata dalla presenza del punto nascite di Petralia Sottana, oggi invece chiuso;
   più precisamente, per quanto riguarda il punto nascite di Cefalù, così si è espresso il Ministero: «si concorda con la richiesta di deroga, con la prescrizione di un attento monitoraggio della attività dello stesso Punto nascita, da verificare congiuntamente al monitoraggio del punto nascite di Termini Imerese: i due punti nascite devono essere monitorati al 31 dicembre di ogni anno, con termine ultimo il 31 dicembre 2016, per verificare l'andamento delle nascite; successivamente la regione, sulla base dei volumi di attività dei punto nascite, come anche dei volumi totali di attività dei due Presidi ospedalieri, ne dovrà valutare il mantenimento in funzione, anche in base a quanto indicato dal decreto interministeriale recante «Definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera»;
   come in un «gioco delle tre carte», dunque, nel 2017, la parità di accesso al diritto alla salute potrebbe non essere più garantita per la comunità madonita, dal momento che i due punti nascita di Cefalù e Petralia Sottana saranno secondo gli interroganti entrambi chiusi e le partorienti saranno costrette a recarsi a proprio rischio e pericolo nei più lontani punti nascite di Termini Imerese e di Palermo –:
   se non intenda recarsi quanto prima personalmente sul territorio in questione, al fine di visitare la struttura e constatare lo stato dei luoghi di cui si discute, così da effettuare i sopralluoghi necessari affinché si possa pervenire ad una valutazione definitiva rispetto alla congruità, o meno, della misura adottata;
   nelle more dell'attivazione di un adeguato sistema STAM e STEN da parte della regione siciliana, se il ministro interrogato, per quanto di competenza, se non intenda rivedere la propria decisione e intervenire concedendo un'ulteriore deroga alla chiusura del punto nascite dell'ospedale Madonna dell'Alto di Petralia Sottana, data la sua importanza strategica per l'intero territorio madonita, già largamente afflitto dai ben noti problemi di viabilità, con particolare intensificazione di questi, proprio nella corrente stagione invernale, così da garantire parità di accesso al diritto alla salute in ossequio all'articolo 32 della Costituzione;
   se possa indicare esattamente sulla base di quali fattori e dati precisi il Ministero della salute abbia deciso di assumere decisioni diametralmente diverse per il punti nascite sopraindicati, malgrado gli stessi presentassero caratteristiche molto simili;
   se non ritenga sussistente il rischio che alla popolazione madonita possa non essere garantita la parità di accesso ai servizi inclusi nei livelli essenziali di assistenza, in particolare a partire dal 2017. (5-07377)

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il perdurare del blocco ministeriale degli accessi alle scuole di specializzazione di area sanitaria ai laureati «non medici» determinerà nei prossimi anni una grave carenza di figure specialistiche a livello nazionale, con sicure ripercussioni sulla qualità del Servizio sanitario nazionale;
   il testo dell'articolo 8 della legge n. 401 del 2000, prevede: «Il numero di laureati appartenenti alle categorie dei veterinari, odontoiatri, farmacisti, biologi, chimici, fisici, psicologi iscrivibili alle scuole di specializzazione post-laurea è determinato, ogni tre anni, secondo le medesime modalità previste per i medici dall'articolo 35 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, ferma restando la rilevazione annuale del fabbisogno anche ai fini della ripartizione annuale delle borse di studio nell'ambito delle risorse già previste.». Tale legge è in vigore dal 23 gennaio 2001;
   secondo l'interpretazione ufficiale dell'articolo 8 della legge n. 401 del 2000, resa dal Ministero dell'economia e delle finanze al Ministro pro tempore Beatrice Lorenzin con, DGPROF 0017130-P-30/03/2015: «La citata disposizione normativa è rimasta ad oggi inattuata in quanto essa, nel sancire per le suddette figure il diritto alla formazione alle medesime condizioni previste per i medici, non ha tuttavia previsto specifiche risorse finanziarie necessarie a far fronte agli ulteriori ed aggiuntivi oneri economici, stabilendo unicamente che la ripartizione annuale delle borse di studio debba avvenire nell'ambito delle risorse già previste e quindi nell'ambito di quelle già previste per i contratti di formazione dei medici»;
   è altresì necessario ricordare che il Governo italiano col decreto-legge 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), nel comma 3, articolo 15 del Titolo V del medesimo, dispone l'obbligatorietà del possesso del titolo di specializzazione anche per i laureati «non medici», tra i requisiti indispensabili per la partecipazione concorsuale ai ruoli dirigenziali del Sistema Sanitario Nazionale;
   la Conferenza Stato-regioni, il 7 maggio 2015, assolvendo a quanto previsto dall'articolo 8 della legge 401 del 2000, ha determinato il fabbisogno annuale degli specialisti «non medici» per il triennio 2014-2017, «nonché il numero dei relativi contratti di formazione». Il numero di contratti di formazione per l'anno accademico 2014-2015, ad esempio, ammontano a 213 per i veterinari, 137 per gli odontoiatri, 253 per i farmacisti, 278 per i biologi, 119 per i chimici, 89 per i fisici, 265 gli psicologi;
   si evidenzia che, con il decreto interministeriale del 4 febbraio 2015 («Riordino scuole di specializzazione di area sanitaria»), emanato del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sono state riordinate le scuole ad accesso esclusivo per i «non medici», ovvero fisica medica, farmacia ospedaliera e specializzazioni in odontoiatria. Lo stesso decreto, al comma 3 dell'articolo 1, riporta «Con successivo provvedimento da emanarsi entro e non oltre 60 giorni dalla pubblicazione del presente decreto saranno individuate le scuole di specializzazione di area sanitaria ad accesso misto, nonché gli ordinamenti didattici destinati ai soggetti in possesso di titolo di studio diverso dalla laurea magistrale in medicina e chirurgia»;
   il blocco degli accessi alle scuole di specializzazione di area sanitaria per tutti i laureati «non medici» da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e la mancata retribuzione per gli specializzandi in corso è pertanto da considerarsi azione secondo l'interrogante di dubbia legittimità;
   la presenza di specialisti «non medici» all'interno del Servizio sanitario nazionale è per l'interrogante essenziale e necessaria, e non facoltativa, per il buon funzionamento dello stesso e, dunque, meritevole della stessa dignità riconosciuta ai colleghi laureati in medicina e chirurgia. L'esigenza di specialisti «non medici» è oggettiva sia, ovviamente, per le aree di pertinenza esclusivamente «non medica» (fisica medica, farmacia ospedaliera e specializzazioni in odontoiatria), sia per le aree ad accesso misto, medico e «non medico» (biochimica e patologia clinica, microbiologia e virologia, scienze dell'alimentazione, genetica medica, farmacologia e tossicologia clinica, statistica sanitaria e biometria). In queste ultime aree, difatti, il numero di contratti di formazione annuale per i soli medici, previsto dal documento della Conferenza Stato-regioni, non è in alcun modo sufficiente a soddisfare il fabbisogno di specialisti a livello nazionale, considerando le necessità sia del sistema sanitario pubblico che del privato;
   ad oggi, nonostante le note, gli accordi e le disposizioni in materia e nonostante il delineato fabbisogno, non solo non si rinviene alcun riscontro normativo ma, al contrario, nello stabilire le risorse per gli specializzandi medici, si trascura completamente qualsiasi previsione per soddisfare le leggi e le esigenze dei non medici;
   la non ottemperanza degli obblighi di legge a danno dei laureati di area sanitaria «non medica» produrrà, come già avvenuto nel recente passato, nuovi contenziosi legali a danno della pubblica amministrazione con aggravio di costi e tempi per esercitare un diritto previsto dalla legge;
   è necessario altresì ricordare che non vi è alcuna uniformità territoriale per le scuole di specializzazione per laureati di area sanitaria non medica –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della questione di cui in premessa e se non ritengano, di assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di attivare con celerità l'accesso alle scuole di specializzazione di area sanitaria per i laureati «non medici», come previsto da tempo dalla normativa vigente.
(4-11663)


   GADDA, GARAVINI, GIANNI FARINA, BORGHI, SENALDI, BRAGA e GUERRA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'accordo di libera circolazione firmato dalla Svizzera e dagli Stati dell'Unione europea il 21 giugno 1999 prevede che alcune categorie di assistiti di contratto svizzero, residenti in Italia, possano scegliere il servizio sanitario nazionale, esercitando il diritto di opzione, effettuando l'iscrizione volontaria e pagando il contributo calcolato sugli importi, di cui al decreto ministeriale 8 ottobre 1986;
   in sede di predisposizione dell'accordo Stato – regioni, ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, in data 20 dicembre 2012, è stato ritenuto esercitabile il citato diritto d'opzione, da parte sia dei lavoratori occupati in Svizzera, sia dei titolari di pensione svizzera, con possibilità per gli stessi d'iscrizione volontaria al servizio sanitari nazionale, mediante la corresponsione alla azienda sanitaria locale di residenza di un contributo fissato dal decreto ministeriale dell'8 ottobre 1986, e successive modificazioni e integrazioni;
   la suindicata possibilità dell'iscrizione volontaria è stata ritenuta applicabile anche alle persone che, indipendentemente dalla loro cittadinanza, esercitino il cosiddetto diritto d'opzione, ma a condizione che paghino le imposte nel Paese in cui detti redditi sono prodotti, mentre qualora le paghino in Italia hanno, come tutti gli altri cittadini, diritto all'iscrizione obbligatoria, senza pertanto dover versare alcun contributo alla Asl;
   agli interroganti risulta inoltre che, al momento della richiesta del rinnovo della carta regionale dei servizi delle regione Lombardia, siano stati chiesti importi talvolta cospicui, fino a 2800 euro, a cittadini italiani, residenti in Italia, con contratto svizzero;
   rimane non uniforme l'applicazione delle norme da parte delle aziende sanitarie locali nella regione Lombardia nelle fasce di frontiera, in quanto permangono dubbi su alcune modalità pratiche di esercizio del diritto di opzione –:
   se i versamenti di cui in premessa abbiano natura di iscrizione annuale o debbano intendersi come contributo una tantum necessario ad ogni rinnovo della tessera sanitaria;
    se siano previste fasce di reddito alle quali debba applicarsi la richiesta del contributo di cui in premessa e in caso affermativo quali siano, considerato al proposito che in alcuni casi, dalle somme versate, si evincerebbe che le stesse non siano correttamente proporzionate al reddito;
   se vi siano fasce di esenzione in base al reddito o alla consistenza del nucleo familiare e, in caso affermativo, quali siano;
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario ed urgente assumere ogni iniziativa di competenza affinché si adotti un trattamento uniforme nei riguardi dei pensionati rientrati dalla Svizzera, nel senso di garantire loro l'iscrizione al Sistema sanitario nazionale, senza dover pretendere che essi eseguano ulteriori versamenti contributivi. (4-11666)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PAGLIA, SCOTTO, FRATOIANNI, FASSINA, CARLO GALLI, AIRAUDO, MARCON, PIRAS, PANNARALE, DURANTI, MELILLA, RICCIATTI e ZACCAGNINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che il fondo statunitense Sk Capital sarebbe in trattativa avanzata con ENI per acquisire il 70 per cento di Versalis;
   la possibilità sarebbe stata confermata dagli stessi vertici di ENI in un confronto con le organizzazioni sindacali sul futuro del settore chimica del gruppo;
   si confermerebbe così la volontà del management di trasformare progressivamente ENI in una pura società «oil & gas», con la conseguenza di cedere a investitori esteri un patrimonio di conoscenza industriale che occupa ancora oltre 5.000 lavoratori;
   gli azionisti di controllo di ENI s.p.a. sono il Ministero dell'economia e delle finanze e la Cassa depositi e prestiti, rispettivamente con il 4,34 per cento e 25,74 per cento;
   la posizione dominante dello Stato non può considerarsi finalizzata solo all'incasso dei dividendi, ma deve ritenersi utile a determinare politiche industriali coerenti con l'interesse nazionale a mantenere una presenza attiva in settori strategici;
   ENI, in particolare, aveva garantito un piano di investimento pluriennale, finalizzato tanto allo sviluppo della chimica tradizionale, quanto e soprattutto alla conversione delle attività nel senso della «chimica verde», che rischia di essere compromesso dal suo disimpegno;
   il 12 gennaio 2016 un articolo di stampa ha riportato il fallimento del tentativo dei sindacati di convincere i vertici dell'Eni e del Governo a non cedere Versalis a mani private. Il Ministro dello sviluppo economico ha chiaramente fatto capire che non ci sia spazio per alcuna trattativa, affermando: «L'Eni è una società partecipata ma è autonoma: il Governo è coinvolto, ma le condizioni attuali non sono quelle del passato. Sono d'accordo che la chimica resti italiana e ci attiveremo perché il soggetto (acquirente, ndr) sia solido e affidabile», confermando così, del Governo, la politica dei vertici di Eni di dismissione cedendo a mani estere un pezzo importante dell'industria italiana;
   il segretario nazionale dei chimici della CGIL, Emilio Miceli ha espresso la propria preoccupazione affermando che con questa operazione, sia a rischio di scomparsa l'intera filiera industriale –:
   se non ritenga necessario ripensare gli orientamenti del Governo, in qualità di azionista, in merito alla ventilata cessione della partecipazione di controllo di ENI in Versalis;
   se non si ritenga di dover intervenire presso il management per scongiurare un'operazione che rischia di privare l'Italia di un presidio strategico di produzione e ricerca, con conseguenze negative non solo sui lavoratori del comparto, ma sull'intero tessuto industriale nazionale.
(5-07361)


   SIMONETTI e ALLASIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il fenomeno della siccità nevosa che ha interessato tutte le zone turistiche di montagna durante le scorse vacanze natalizie, il periodo economicamente più rilevante della stagione sciistica annuale, ha colpito duramente le attività economiche correlate per l'appunto al mondo dello sci;
   si ricorda l'intervento di cui alla legge n. 363 del 2003, a seguito della prolungata siccità originata da un carente apporto nevoso nell'inverno 2002-2003, che portò, appunto, a sostenere l'economia turistica degli sport della neve, mediante la concessione di finanziamenti a favore delle imprese turistiche operanti in zone colpite da situazioni di eccezionale siccità invernale e mancanza di neve nelle aree sciabili, con particolare riguardo alla copertura degli investimenti relativi agli impianti di innevamento artificiale;
   sarebbe, peraltro, opportuno a parere degli interroganti stanziare le adeguate risorse per l'ammodernamento e il miglioramento dei livelli di sicurezza degli impianti a fune situati nelle regioni a statuto ordinario, mediante il rifinanziamento dell'apposito fondo di cui all'articolo 8 della legge n. 140 del 1999 –:
   se e quali iniziative di carattere normativo e finanziario il Governo intenda adottare a sostegno delle imprese che, direttamente e indirettamente, stanno pagando un prezzo altissimo per le mancate nevicate. (5-07368)

Interrogazione a risposta scritta:


   PATRIZIA MAESTRI, BORGHI, ROMANINI, MAGORNO, GUERRA, GIACOBBE, CULOTTA, AMATO, LATTUCA, ALBANELLA, GIULIETTI, MALISANI, ROSSI, DE MENECH, TARICCO, CAROCCI, BOLOGNESI, MOGNATO, BRUNO BOSSIO, GADDA, MARIANI, BECATTINI, CARRA, BERGONZI, BARUFFI, BONOMO, CARLONI, BLAZINA, CAMPANA, GIUSEPPE GUERINI, RUBINATO, BARGERO, TINAGLI, PATRIARCA, CASELLATO, MIOTTO, CAPOZZOLO, LUCIANO AGOSTINI, MANZI, SANGA, MARCO DI MAIO, GRIBAUDO e ZANIN. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Rai Way è la società italiana proprietaria delle infrastrutture e degli impianti per la trasmissione e la diffusione televisiva e radiofonica della Rai. È presente capillarmente su tutto il territorio nazionale disponendo di una sede centrale a Roma, 23 sedi territoriali e oltre 2.300 siti dislocati sul territorio italiano;
   la legge di stabilità 2016 ha stabilito che la «imposta sul possesso della tv», comunemente chiamata «canone Rai», di euro 100, venga inserita sulla bolletta elettrica con rata unica, esclusivamente con riferimento all'abitazione principale;
   Uncem, a livello nazionale e attraverso le sue delegazioni regionali, ha svolto negli ultimi anni numerose azioni a difesa degli utenti residenti nelle Terre Alte, al fine di assicurare loro parità di trattamenti e di servizi rispetto a chi risiede nelle aree urbane;
   numerosi sindaci e amministratori di comuni italiani hanno segnalato, dopo l'introduzione del digitale terrestre, le costanti e crescenti difficoltà di accesso al servizio televisivo da parte di singoli e famiglie residenti nelle zone montane, in particolare nei borghi più difficilmente raggiungibili delle aree interne;
   la doverosa iniziativa di contrasto all'evasione dell'imposta non può, allo stesso tempo, prescindere dall'impegno ad assicurare un adeguato servizio agli utenti consentendo la ricezione di tutti i canali, in particolare quelli del servizio pubblico;
   nelle aree montane italiane, alpine e appenniniche, resta elevato il digital divide che ha la sua prima fonte nelle difficoltà di ricezione del segnale tv e radio –:
   se il Ministro interrogato non intenda avviare un completo e sollecito monitoraggio su tutto il territorio italiano con riferimento alla ricezione del segnale televisivo, coinvolgendo le regioni e le associazioni degli enti locali Anci e Uncem, nel cui quadro Rai Way possa potenziare le infrastrutture per la trasmissione del segnale tv in particolare nelle aree montane e più interne del Paese. (4-11665)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Nicoletti e altri n. 1-00996, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Sereni.

  La mozione Capua e altri n. 1-01055, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Catania, Oliaro, Bombassei, Rabino, Locatelli, Palladino, Prataviera, Caon, Marcolin, Matteo Bragantini, Fitzgerald Nissoli, Longo, Palmieri, Picchi, Calabrò, Dorina Bianchi, Binetti.

Apposizione di firme ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Nicchi e Gregori n. 7-00878, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 dicembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Duranti, Zaccagnini.

Apposizione di firme ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Scotto n. 2-01218, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Franco Bordo, Giancarlo Giordano.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Martella n. 5-04090, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ferrari.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Caparini e altri n. 5-04103, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Grimoldi.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Martella n. 5-05121, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ferrari.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Burtone n. 5-06521, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ferrari.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Gelli n. 5-06868, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ferrari.

  L'interrogazione a risposta scritta Misiani e altri n. 4-11592, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato D'Arienzo.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Vargiu n. 4-11511 del 19 dicembre 2015;
   interrogazione a risposta scritta Baldassarre n. 4-11589 dell'11 gennaio 2016;
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Pesco n. 5-07356 del 13 gennaio 2016.