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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 13 gennaio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni V e VII,
   premesso che:
    l'attuale Governo sta dimostrando particolare attenzione al tema dell'edilizia scolastica;
    l'articolo 10 del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, al fine di favorire interventi straordinari di ristrutturazione, messa in sicurezza, adeguamento antisismico, efficentamento energetico di immobili di proprietà pubblica adibiti all'istruzione scolastica, nonché la costruzione di nuovi edifici scolastici pubblici, ha dato la possibilità alle regioni di stipulare appositi mutui trentennali con oneri di ammortamento a totale carico dello Stato;
    per la prima volta l'Italia si è dotata, a maggio 2015, di una programmazione nazionale triennale degli interventi di edilizia scolastica per il periodo 2015/2017, con oltre 6.000 interventi richiesti dalle regioni per un fabbisogno totale di 3,7 miliardi di euro. I primi 1.300 interventi saranno finanziati grazie a 905 milioni di euro dei cosiddetti mutui BEI (Banca europea per gli Investimenti), mutui agevolati con oneri di ammortamento a carico dello Stato che potranno essere accesi dalle regioni;
    con il decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, i comuni possono usufruire, all'interno del patto di stabilità, di spazi finanziari ulteriori per 40 milioni di euro relativamente a spese per interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici;
    nell'ambito del PON (Programma operativo nazionale) che utilizza il FESR – Fondo europeo di sviluppo regionale 2007/2013 – il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha finanziato, con fondi europei, anche interventi di edilizia scolastica. In particolare sono stati finanziati 577 interventi per un importo complessivo di 240 milioni di euro, di cui 66 già conclusi, 243 con lavori in corso di esecuzione, 114 con il bando relativo ai lavori già aggiudicato e 154, con procedure d'appalto lavori, in corso. Gli interventi riguardano soprattutto l'efficentamento energetico, la sicurezza, l'accessibilità, l'attrattiva e gli impianti sportivi;

impegnano il Governo:

   a considerare, di assumere iniziative affinché, per la ripartizione su base regionale delle risorse legate alla futura programmazione nazionale, tra i criteri di priorità, di cui all'articolo 2, comma 3 del cosiddetto decreto «MUTUI BEI» del 23 gennaio 2015, sia anche considerato quello dei comuni colpiti da calamità naturali per i quali sia stato dichiarato lo stato di emergenza negli ultimi cinque anni;
   a dare piena attuazione alle disposizioni di cui all'articolo 11, comma 4 e seguenti, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 affinché la programmazione unica nazionale, di cui l'Italia si è dotata per la prima volta, possa diventare uno strumento stabile anche per gli anni futuri;
   a valutare l'opportunità, per ciascuno degli anni 2015-2018, di assumere iniziative per incrementare ulteriormente gli spazi finanziari concessi di cui all'articolo 1, comma 2, lettera b) del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, per i comuni istituiti a seguito di fusione di cui all'articolo 1 della legge 7 aprile 2014 n. 56, nonché per le unioni di comuni di cui all'articolo 32 del Testo unico dell'ordinamento degli enti locali;
   a vigilare, anche attraverso un coinvolgimento diretto dell'Agenzia per la coesione territoriale, affinché siano messe in atto tutte le azioni possibili per impedire che vadano perduti i fondi europei FESR – Fondo europeo di sviluppo regionale 2007/2013 – che hanno finanziato 511 interventi di edilizia scolastica non ancora ultimati.
(7-00881) «Fanucci, Ghizzoni».


   La XII Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 5 bis della legge n. 119 del 2013 dispone che, al fine di dare attuazione a quanto previsto dall'articolo 5, comma 2, lettera d), della citata legge, il Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità è incrementato di 10 milioni di euro per l'anno 2013, di 7 milioni di euro per l'anno 2014 e di 10 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015;
    tali fondi sono stati destinati, e solo in parte erogati, a favore di centri antiviolenza e case rifugio;
    nella legge di stabilità 2016 è stato predisposto, per il Fondo per le pari opportunità, un ammontare annuale pari a 9.599.591 euro per gli anni 2016, 2017, 2018;
   da una mappa realizzata dall'organizzazione non governativa Action Aid si è appreso che, solo per dieci amministrazioni, è possibile consultare la lista delle strutture beneficiarie dei fondi e tra queste per cinque regioni (Veneto, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Puglia) sono reperibili online i nomi di ciascuna struttura e i fondi ricevuti;
    l'analisi dei dati raccolti mostra la diversità delle scelte adottate dalle varie amministrazioni;
    il finanziamento medio per centro antiviolenza e casa rifugio erogato direttamente alle strutture o tramite bando, varia molto da regione a regione: circa 60 mila euro in Piemonte, 30 mila in Veneto e Sardegna, 12 mila in Puglia, 8 mila in Sicilia, 12 mila nelle ex province di Firenze e Pistoia, 6 mila in Abruzzo e Valle d'Aosta;
    le regioni hanno ricevuto i fondi solo nell'autunno 2014, per cui la scadenza è stata molto stretta;
    i fondi previsti per il 2015 ancora non risultano essere stati erogati;
    non esiste allo stato attuale una mappatura accurata dei centri antiviolenza e dei fondi adeguati per il loro funzionamento, alla luce dei dati contraddittori rispetto alle strutture presenti nelle varie regioni e della disomogeneità delle risorse assegnate nei vari territori, né tantomeno si conosce il nome della struttura che ha ricevuto i fondi;
    gli atti e i dati spesso non sono facilmente reperibili sui siti istituzionali delle singole regioni,

impegna il Governo:

   a predispone una sezione all'interno del sito del dipartimento per le pari opportunità volta a rendere accessibile, in tempi rapidi, la rendicontazione completa delle attività finanziate con i fondi della legge n. 119 del 2013, nella quale le amministrazioni regionali/locali possano caricare direttamente e in autonomia la documentazione rilevante (delibere, risultati bandi, reportistica delle attività svolte da parte dei beneficiari dei fondi e altro), facendo sì che tali informazioni siano disponibili in formato aperto (open data);
   ad assicurare che i finanziamenti stanziati annualmente tramite la legge n. 119 del 2015 siano erogati senza ritardi;
   ad aggiornare la mappatura dei centri antiviolenza del dipartimento per le pari opportunità secondo la reportistica ricevuta da regioni e province autonome;
   a prevedere indicatori per la valutazione, da effettuarsi con cadenza annuale, o comunque per ogni ciclo di finanziamento, dell'impatto degli stanziamenti per informare circa le future strategie di intervento, tramite la consultazione delle organizzazioni della società civile e dei centri antiviolenza, anche sulla base di quanto è stato fatto con i fondi 2013/2014;
   a stimare il fabbisogno reale dei centri antiviolenza per la loro sopravvivenza e il loro adeguato funzionamento, informando di conseguenza circa lo stanziamento necessario per assicurare servizi adeguati su tutto il territorio.
(7-00883) «Di Vita, Spadoni, Grillo, Silvia Giordano, Mantero, Colonnese, Baroni, Lorefice».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    al fine di salvaguardare l'agricoltura e la biodiversità occorre prevenire e gestire la diffusione delle specie esotiche invasive che, come noto, costituiscono una grave minaccia con effetti non solo sulle specie autoctone, ma anche sulle strutture e sulle funzioni degli habitat attraverso comportamenti di predazione e competizione, trasmissione di malattie ed attivazione di effetti genetici tramite ibridizzazione;
    dall'esame di alcuni studi scientifici che hanno quantificato in termini economici ed ecologici i costi derivanti dalla introduzione all'interno dei nostri territori di parassiti patogeni alieni, si evidenzia l'esigenza di proteggere la nostra biodiversità autoctona e i sistemi agricoli in particolare, non solo mediante interventi di lotta chimica o biologica, ma anche e soprattutto con strumenti che impediscano l'ingresso nel nostro territorio delle specie aliene patogene;
    esempi eclatanti di presenza di specie invasive, che hanno causato ingentissimi danni ai sistemi agricoli e ai servizi economici collegati, sono i focolai di Aethina tumida in Calabria e Sicilia, di Xylella fastidiosa in Puglia, di Anoplophora spp. e Halyomorpha halys in Lombardia e Rhynchophorus ferrugineus in tutto il Sud Italia;
    ogni anno si verificano introduzioni di specie aliene che infestano molte colture, quali il pomodoro, il nocciolo, le castagne e l'olivo e, nonostante le norme e le procedure esistenti per evitarne l'introduzione e la diffusione e i numerosi controlli, è evidente che il problema è estremamente complesso e di difficile situazione;
    le specie invasive non riguardano solo il territorio nazionale, ma l'intera area unionale e pertanto i rischi e i timori associati alla loro presenza rappresentano una sfida che valica i confini e riguarda tutta l'Unione europea;
    l'inventario DAISIE ha individuato nel 2015 oltre 12 mila specie alloctone presenti in Europa e di queste almeno il 15 per cento è considerato fortemente dannoso per la biodiversità;
    nel 2014 è stato adottato il regolamento (UE) n. 1143/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio recante disposizioni volte a prevenire e gestire l'introduzione e la diffusione delle specie esotiche invasive che introduce, tra l'altro, l'obbligo per la Commissione di tenere un elenco delle specie invasive di rilevanza unionale e di aggiornarlo periodicamente anche in base alle prove scientifiche disponibili e a prevedere un'adeguata valutazione dei rischi, precise norme in materia di restrizioni e di autorizzazioni oltre che disposizioni in materia di rilevamento ed eradicazione rapida;
    nel luglio 2015, la Commissione europea ha messo formalmente in mora l'Italia per mancata attuazione delle disposizioni contenute nel suddetto regolamento,

impegna il Governo:

   ad istituire un elenco delle specie esotiche invasive di rilevanza nazionale;
   ad attuare urgentemente le disposizioni di cui al regolamento (UE) n. 1143/2014, entrato in vigore il 1 o gennaio 2015 e, in particolare, ad individuare non solo gli organismi competenti al rilascio delle autorizzazioni, ma anche gli enti di supporto scientifico, segnatamente CREA, CNR e università;
   a prevedere un adeguato sistema informativo necessario ad agevolare l'applicazione del suddetto regolamento;
   ad individuare le strutture operative preposte ad eseguire i controlli ufficiali necessari a prevenire l'introduzione deliberata nel territorio nazionale ed unionale di specie esotiche invasive di rilevanza unionale;
   ad assumere iniziative affinché siano predisposti a livello territoriale elenchi delle specie esotiche invasive;
   ad assumere iniziative di competenza volte a predisporre a predisporre adeguate misure di emergenza, anche nella forma della restrizione di cui all'articolo 7 del regolamento in parola, qualora si rilevi la presenza, o l'imminente rischio di introduzione, nel territorio nazionale di una specie invasiva che non figura nell'elenco della Commissione europea ma che le autorità competenti ritengano, in base a prove scientifiche preliminari, capace di insidiare la popolazione vitale e di produrre quindi effetti negativi sull'ecosistema e l'agricoltura;
   ad adottare ogni utile misura volta a favorire la ricostruzione di un ecosistema degradato, danneggiato o distrutto da specie esotiche invasive;
   a garantire uno stretto coordinamento, in materia di prevenzione e contrasto alle specie esotiche invasive, con tutti gli Stati membri e gli Stati terzi interessati;
   ad inviare annualmente alle commissioni parlamentari competenti una relazione sullo stato di attuazione del regolamento (UE) n. 1143/2014 e sui progressi e le misure intraprese al fine di contrastare l'introduzione e la diffusione sul territorio nazionale di specie esotiche invasive.
(7-00882) «Lupo, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Parentela».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FANUCCI e BINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   i territori della montagna pistoiese, prima nella notte fra sabato 9 e domenica 10 gennaio 2016; poi, con ancora maggiore forza, nella notte fra domenica e lunedì, sono stati colpiti da intense raffiche di vento che hanno raggiunto la velocità di 200 km/h, con punte fino ai 238 km/h registrati dalla stazione meteo della Croce Arcana;
   questo valore rappresenta la massima velocità a oggi raggiunta sul territorio italiano: un vero e proprio uragano, che ha colpito i comuni della montagna pistoiese provocando ingenti danni, soprattutto alle quote più elevate;
   una delle località più colpite lungo il crinale tosco-emiliano è La Doganaccia di Cutigliano dove le raffiche di vento sono proseguite, rafforzandosi ulteriormente, anche durante la giornata di lunedì, toccando punte fino a 210 km/h, che hanno scoperchiato diversi tetti di abitazioni, distrutto bidoni per la raccolta di rifiuti e mezzi di trasporto, piegato pali e strappato via le reti che delimitano e proteggono i percorsi sciistici;
   il forte vento, inoltre, ha sradicato moltissimi alberi che, cadendo, hanno intralciato la strada comunale Melo-Doganaccia, mentre nel centro del paese di Abetone, le raffiche hanno sollevato il tetto dell'hotel Regina e fatto cadere il comignolo, costringendo al rifacimento del tetto al fine di garantirne la piena messa in sicurezza;
   nel comprensorio sciistico si sono registrati gli stessi eventi con danni sulle strutture portanti di diverse reti di protezione delle piste e alle seggiole di diversi impianti di risalita, oltre a rilevanti danni nel tratto di strada comunale SS12 dell'Abetone del Brennero-Val di Luce; i fenomeni atmosferici avversi hanno anche causato significativi problemi sulle linee elettriche, in particolare nella giornata di lunedì 11 gennaio, a Pracchia, Orsigna e nelle altre aree limitrofe, con evidenti e gravissime ricadute negative non solo per i cittadini della montagna pistoiese, ma anche per i turisti che durante i mesi invernali raggiungono questi territori;
   danni e disagi si registrano anche lungo il versante emiliano, dove un camion è stato rovesciato in località Pievepelago;
   i danni provocati dal vento, si aggiungono alle difficoltà dovute alla perdurante assenza di neve nella stagione invernale in corso, alle temperature elevate e sopra la media: una condizione che ha costretto i sindaci dei comuni di Abetone e Cutigliano, sollecitati anche da Federfuni Italia, nonché dal consorzio Abetone Multipass, a richiedere alla regione Toscana lo stato di calamità naturale; le difficoltà per l'economia della Montagna, dovute alla carenza di neve, sono enormi e senza precedenti;
   tutte le attività e imprese commerciali che ruotano attorno al turismo hanno dovuto affrontare difficoltà enormi: fra le più penalizzate, si registrano le società degli impianti sciistici che, alla data del 6 gennaio 2016, avevano incassato appena 77.000 euro;
   nei giorni scorsi, anche Confcommercio e il consorzio Apm sono intervenuti per richiedere alla regione Toscana e alla Presidenza del Consiglio dei ministri lo stato di calamità naturale, un riconoscimento che consentirebbe agli enti e alle istituzioni locali di attivare forme straordinarie di incentivo e di salvaguardia, a tutela del tessuto economico e produttivo montano;
   sono oltre 2.000 gli addetti dei settori impianti sciistici, alberghiero ed extra-alberghiero, ristorazione, commercio e servizi coinvolti dalla mancanza di neve;
   i danneggiamenti provocati dal vento e la lunga assenza di neve hanno generato una situazione di estrema disagio e criticità, di cui non si hanno precedenti, che, senza interventi concreti a tutela del territorio, rischierebbe di mettere in gravissima difficoltà il turismo, il comprensorio sciistico, e l'economia della montagna pistoiese, provocandone l'impoverimento e contribuendo ulteriormente allo spopolamento di questi territori –:
   se il Governo ritenga opportuno dichiarare lo stato di emergenza ai sensi dell'articolo 5 della legge n. 225 del 1992 e se non ritenga urgente adottare iniziative straordinarie volte ad arginare le difficoltà dovute al maltempo e alla perdurante assenza di neve, con evidenti difficoltà per cittadini, imprese e attività economiche di un territorio da preservare e tutelare quale la montagna pistoiese. (5-07346)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   negli orfanotrofi italiani si stima siano ospitati circa 35 mila minori, ai quali si aggiungono 400 neonati abbandonati ogni anno alla nascita;
   dalle uniche fonti disponibili, quelle dei tribunali per i minorenni, si evince che sono dichiarati adottabili ogni anno circa 1300 bambini italiani;
   i lavori parlamentari e i provvedimenti conseguentemente adottati nel corso di quasi dodici anni hanno prodotto: l'articolo 40 della legge 28 marzo 2001, n. 149 «Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante «Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori», nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile» e il regolamento adottato con decreto 24 febbraio 2004, n. 91, con la quale sono state emanate le norme di attuazione e di organizzazione della banca dati, compresi i dispositivi per la sicurezza e la riservatezza dei dati;
   inoltre, la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 47 del decreto 15 febbraio 2013 del Ministero della giustizia ha reso operativa la «Banca Dati dei coniugi aspiranti all'adozione nazionale ed internazionale»;
   la banca dati fu creata per registrare le due categorie di persone interessate: nomi e profili dei minori adottabili, da un lato, e quelli di coppie e singoli disponibili all'adozione, dall'altro, al fine di agevolare la ricerca dei genitori più adatti all'adozione di ogni singolo bambino;
   in Italia, secondo i dati pubblicati dall'Aibi (Associazione Amici dei Bambini) ricorda che secondo il rapporto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali – elaborato nel 2013 – nel 2012 i bambini abbandonati in attesa di adozione erano 2.300, pari al 7 per cento dei 29.309 fuori famiglia;
   sui 29 tribunali dei minori esistenti in Italia, solo 8 dispongono di una banca dati funzionante, mentre solo altri 3 la stanno avviando;
   la banca dati è costituita presso il dipartimento per la giustizia minorile, e doveva essere aggiornata con cadenza trimestrale con accesso riservato ai magistrati dei tribunali per i minorenni e delle procure presso i tribunali per i minorenni;
   tuttavia, ad oggi, banca dati prevista dalla legge n. 149 del 2001 risulta non essere ancora operativa, causando un grave inadempimento delle istituzioni ed un evidente vulnus al principio di trasparenza che informa l'istituto;
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, per quali motivi la banca dati dei coniugi aspiranti all'adozione nazionale ed internazionale che avrebbe dovuto operare sin dal 2013 non sia stata ancora attivata;
   poiché la mancata istituzione della banca dati dei minori italiani adottabili non consente di conoscere quali e quanti siano i minori italiani dichiarati adottabili, se non ritengano necessario e urgente utilizzare tutti gli strumenti opportuni e necessari per dare attuazione alla legge n. 149 del 2001 e al decreto 15 febbraio 2013 del Ministero della giustizia e ripristinare il rispetto dello stato di diritto costituzionale. (4-11625)


   CIMBRO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Esposizione Universale è stata, pur tra le molte difficoltà, gli scandali e i ritardi di questi anni, una straordinaria occasione di lavoro e impresa per il nostro Paese. Ciò è stato tanto più vero per le molte aziende lombarde coinvolte, in particolare per quelle del territorio rhodense e del nord ovest milanese; aziende che hanno potuto, beneficiando della vicinanza al sito, collaborare alla riuscita di questo evento eccezionale, che, si ricorda, ha avuto finora un'affluenza di più di sedici milioni di visitatori, e che raggiungerà per la fine di ottobre i risultati a suo tempo prefissati;
   per ottenere questi obiettivi, entro i termini imposti e riconosciuti dallo stesso Presidente del Consiglio Renzi nel corso delle visite ai cantieri, e durante la giornata inaugurale, è stato necessario il coinvolgimento del sistema delle piccole e medie imprese italiane, lombarde, milanesi; fondamentale è stata la loro professionalità e flessibilità nell'adattarsi a tempistiche, condizioni climatiche, rigidità contrattuali, normative stringenti, continue modifiche progettuali, oneri e costi imprevisti;
   purtroppo, a meno di un mese dalla chiusura di EXPO, permangono ancora criticità legate ai pagamenti di molte imprese impegnate nel cantiere. Nello specifico, le aziende aderenti al Consorzio DISTRETTO33, o a esso collegate, che hanno sottoscritto contratti di appalto diretto nei confronti di EXPO 2015 s.p.a., o in subappalto per conto di Impresa di Costruzioni ing. E. Mantovani S.p.A. e Con.Expo 2015 S.c.a.r.l., sono in sofferenza per il mancato o ritardato pagamento degli ultimi stati di avanzamento lavori o saldi, per opere eseguite nei termini contrattuali previsti e non contestate; fatto questo che non ha consentito a sua volta di onorare il pagamento degli abituali fornitori di materiali;
   le aziende menzionate, quindici in totale, per più di un migliaio di lavoratori coinvolti, e in parte ancora impegnati, hanno operato in particolare sul cantiere denominato «Piastra», sull'Open Air Theatre, sul Cluster riso e cacao, e nei più vari settori: vigilanza e sicurezza, prove e collaudo sui materiali, rilievi topografici, scavi e movimenti terra, coperture industriali, verde e giardini, impianti elettrici e meccanici, opere edili e di carpenteria metallica;
   il citato Consorzio DISTRETTO33 nasce su iniziativa di A.I.L., Associazione imprenditori lombardi, ed opera al fianco dei sedici comuni aderenti al patto per il nord ovest, con i quali sviluppa iniziative a favore delle attività imprenditoriali, culturali e sociali del territorio denominato appunto «Terre di EXPO» –:
   quali iniziative il Governo intenda mettere in atto per accelerare i tempi di pagamento da parte di EXPO 2015 s.p.a. ai propri fornitori, e di conseguenza a quanti hanno operato in subappalto. (4-11627)


   REALACCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   i recenti accordi globali sul clima, assunti da 187 paesi alla COP21 di Parigi, vedono nell'efficienza energetica e nello sviluppo delle fonti rinnovabili una delle strade da seguire per contrastare i mutamenti climatici. Per l'Italia rappresentano una scelta strategica sia dal punto di vista ambientale che dal punto di vista economico;
   le misure per ridurre l'inquinamento di emissioni climalteranti, legate alla produzione di calore, coincidono largamente con quelle necessarie a limitare l'inquinamento che colpisce tante nostre città e in particolare l'area della pianura padana, in cui incide fortemente il riscaldamento degli edifici: dipendono, ad esempio, dal riscaldamento circa il 40 per cento delle polveri sottili Pm10. E i problemi emersi anche nelle scorse settimane non possono essere affrontati solo con misure tampone e estemporanee ma richiedono una politica lungimirante ed efficace;
   l'articolo 22 del decreto n. 133 del 2014 il cosiddetto «decreto Sblocca Italia» convertito dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, prevedeva di rivedere i criteri di utilizzo dei fondi per il cosiddetto «conto termico», per facilitare l'accesso a tali contributi per imprese, famiglie e soggetti pubblici. Detti fondi che ammontano a 900 milioni di euro, di cui 700 milioni di euro per i privati e 200 milioni di euro per il pubblico, sono importantissimi anche per rilanciare l'economia nazionale e sono tuttora inutilizzati a causa della farraginosità dell’iter burocratico finora previsto;
   la sopraddetta norma prevedeva che l'aggiornamento del sistema di incentivi, che non ha centrato gli obiettivi in termini di sviluppo dell'efficienza e di utilizzo delle risorse, venisse effettuato entro il 31 dicembre 2014, semplificando le procedure;
   lo stesso Ministro Guidi ha dichiarato, come si evince ad esempio da un articolo on line di Edilportale del 21 maggio 2015, seppur in ritardo con gli obblighi di legge: che era «In arrivo un nuovo conto termico e nuovi incentivi per le rinnovabili elettriche diverse dal fotovoltaico fino alla fine del 2016»;
   il 9 gennaio 2015, quindi oramai un anno fà, fu emanato il decreto interministeriale (Ministero dello sviluppo economico e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) che istituiva la cabina di regia per l'efficienza energetica, finalizzata al coordinamento ottimale delle misure e degli interventi di efficienza energetica, e prevista dall'articolo 4, comma 4, del decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102, di attuazione della direttiva 2012/27/UE. Sono infatti molteplici gli enti e i Ministeri chiamati a confrontarsi con il tema dell'efficienza energetica come, ad esempio, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministero dell'economia e delle finanze e altre strutture centrali e territoriali dello Stato. Non risulta però evidenza dell'attività di questa cabina di regia;
   in aggiunta, è bene ricordare che lo stesso articolo 22 del decreto-legge n. 133 del 2014 prevedeva una verifica nel dicembre del 2015 delle nuove norme per il «conto termico», da emanare entro il dicembre 2014, per valutare la loro effettiva efficacia e attuare eventuali modifiche. Come è ovvio tale verifica non risulta avvenuta;
   lo strategico e ultimo accordo europeo, sugli obiettivi «pacchetto clima-energia», al 2030, prevede ulteriori traguardi vincolanti e specifici per le rinnovabili e l'efficienza energetica, al fine di abbattere le emissioni di CO2 del 40 per cento, ovvero di altri gas clima alteranti;
   secondo la Consip la spesa energetica per uffici, scuole e ospedali è maggiore di 5 miliardi di euro annui e, investendo in efficienza energetica, questo valore si può ridurre almeno di un terzo. La misura sarebbe un importante incentivo, anche per la nostra economia, l'innovazione e la competitività delle nostre imprese. Occasione fino ad oggi persa per inaccettabili ritardi burocratici e sottovalutazioni politiche;
   ad inizio 2016, secondo quanto risulta all'interrogante e come richiesto nei precedenti atti di sindacato ispettivo n. 4/07070 e 4/10013, dei quali è stata più volte sollecitata una risposta, l'aggiornamento del conto termico e i risultati del monitoraggio complessivo sui sistemi di incentivazione (monitoraggio che doveva essere effettuato dal Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) non è stato effettuato –:
   quando il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri interrogati, per quanto di loro competenza, intendano dare seguito a quanto previsto dalla normativa vigente che fissava già entro il 31 dicembre 2014 l'aggiornamento del sistema di incentivi definiti dal cosiddetto conto termico emanando il citato decreto interministeriale;
   se, sulla scorta dell'esperienza già fatta dalla Presidenza del Consiglio dei ministri con la «Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche» e considerati il congruo tempo passato, gli accordi sottoscritti alla COP21 di Parigi per il contrasto al cambiamento climatico, l'importante impegno comunitario e il valore economico-strategico delle politiche di efficientamento energetico, si intenda valutare l'istituzione di una struttura di missione per l'efficienza energetica in seno alla Presidenza del Consiglio dei ministri al fine di rispettare i predetti obblighi di legge. (4-11640)


   BRAMBILLA. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 4 dicembre 2015 è stata pubblicata sul Bollettino ufficiale della regione Veneto la legge del 1o dicembre 2015, n. 20, recante «Modifiche alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 «Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio»;
   la norma introduce due nuove tipologie di appostamenti da caccia denominati «appostamenti precari allestiti a terra» e «appostamenti precari per la caccia al colombaccio», non contemplati nella disciplina quadro nazionale di riferimento, legge n. 157 del 1992, recante «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio»; si tratta di previsioni, a giudizio dell'interrogante, di dubbia legittimità costituzionale;
   la stessa legge regionale dispone che per l'allestimento dei suddetti appostamenti precari a terra e degli appostamenti precari per la caccia al colombaccio, non sia necessario ottenere il titolo abilitativo edilizio;
   sul tema dell'esenzione dalla richiesta del titolo abilitativo edilizio per gli appostamenti da caccia, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha già promosso, con ricorso notificato il 10 settembre 2012, un giudizio di legittimità costituzionale nei confronti della legge della regione Veneto 6 luglio 2012, n. 25 (Modifiche alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 «Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio»);
   con sentenza 13 giugno 2013, n. 139, la Corte Costituzionale ha censurato la disposizione impugnata, affermando molto chiaramente che «il carattere stagionale dell'attività venatoria e, conseguentemente, dell'impiego dell'appostamento non vale ad escludere, sulla base della legislazione vigente, il rilievo che quest'ultimo assume sul piano edilizio» pertanto disponendo che «l'appostamento fisso per la caccia è soggetto a permesso di costruire, in base agli articoli 3 e 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001» –:
   se non intenda, visto quanto sopra riportato, sollevare con urgenza la questione di legittimità costituzionale nei confronti della legge regionale del Veneto 1o dicembre 2015, n. 20. (4-11646)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TERZONI, MANNINO, CIPRINI, BENEDETTI, NESCI, MASSIMILIANO BERNINI, LIUZZI, BRESCIA, BASILIO, DAGA, ZOLEZZI, DE ROSA, MICILLO, BUSTO, VIGNAROLI, DIENI, D'AMBROSIO, BUSINAROLO, D'INCÀ, SCAGLIUSI, GRANDE, VACCA, SPESSOTTO, TOFALO e PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 7 gennaio 2016 Il Fatto Quotidiano ha pubblicato un articolo nel quale viene disegnato un quadro desolante per quanto riguarda la situazione della guida di diversi parchi nazionali;
   dallo studio condotto risulta che in ben 12 Parchi su un totale di 24 si registrano assetti precari;
   in particolare nell'articolo si evidenzia che:
    i parchi nazionali del Cilento, del Vesuvio e della Sila sono commissariati da quasi 2 anni e privi di una guida autorevole e legittimata dal sostegno di un consiglio direttivo che al momento non esiste;
    i parchi nazionali delle Dolomiti Bellunesi e del Gran Sasso sono senza presidente, ma retti da vicepresidenti espressione delle comunità locali;
    i parchi nazionali di Cilento, Vesuvio, Sila, Alta Murgia e Cinque Terre mancano di consigli direttivi;
    i parchi nazionali di Majella, Alta Murgia, Pollino, Appennino Lucano e Gargano non hanno i direttori, ma sono retti da facenti funzioni senza i titoli previsti dalla legge;
    il parco nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga è privo di presidente e a fare le funzioni è il vicepresidente già sindaco di Capitignano dopo che l'ex presidente, Arturo Diaconale, è stato inserito nel consiglio d'amministrazione della Rai;
   il WWF a tale proposito sottolinea come senza i vertici i parchi non possono intraprendere azioni di ampio respiro e agire nel pieno dei loro poteri con danni che non coinvolgono solo gli aspetti ambientali ma anche quelli legati all'economia e alla legalità –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover intervenire con urgenza per quanto di competenza per porre fine alla situazione di emergenza nella quale si trovano ad operare i parchi nazionali riportati in premessa;
   se sia in grado di esporre quali azioni ha intenzione di porre in essere riportando anche un relativo cronoprogramma. (5-07341)


   TERZONI, MANNINO, D'INCÀ, DAGA, ZOLEZZI, DE ROSA, MICILLO, BUSTO, VIGNAROLI, CIPRINI, NESCI, MASSIMILIANO BERNINI, LIUZZI, BRESCIA, DIENI, D'AMBROSIO, BUSINAROLO, SCAGLIUSI, GRANDE, VACCA, SPESSOTTO, TOFALO e PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel testo della legge 28 dicembre 2015, n. 208, «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016), (Gazzetta Ufficiale serie generale n. 302 del 30 dicembre 2015 supplemento ordinario n. 70) approvata dal Parlamento ed entrata in vigore il 1o gennaio 2016, è stato inserito il comma 363 dell'articolo 1 per effetto del maxiemendamento dal Governo in base al quale rende possibile aumentare le volumetrie edificate del 20 per cento in aree protette con la semplice approvazione del comune;
   il testo recita «Comma 363. Al fine di rilanciare le spese per gli investimenti degli enti locali, i comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti, nel cui territorio ricadono interamente i siti di importanza comunitaria, [...] effettuano le valutazioni di incidenza dei seguenti interventi minori: manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia, anche con incrementi volumetrici o di superfici coperte inferiori al 20 per cento delle volumetrie o delle superfici coperte esistenti [...]»;
   su questo passaggio il Parlamentare europeo del MoVimento 5 Stelle Marco Affronte ha presentato una interrogazione con procedura d'urgenza alla Commissione europea (014940/2015) per chiedere se tale norma non sia in contrasto con la definizione di SIC e se non si presentino elementi che potrebbero comportare una procedura di infrazione a danno dell'Italia;
   nella sua risposta (P-01490/2015) Karmenu Vella a nome della Commissione ha evidenziato come «conformemente all'articolo 6, paragrafo 3, della direttiva Habitat qualsiasi piano o progetto che possa avere incidenze significative su un sito Natura 2000 può essere autorizzato soltanto se forma oggetto di un'opportuna valutazione e non pregiudica l'integrità del sito in questione, salvo nelle circostanze descritte nell'articolo 6, paragrafo 4, della direttiva»;
   inoltre, ha annunciato che la Commissione ha avviato una indagine sull'attuazione delle disposizioni contenute nel maxiemendamento per verificare l'osservanza delle disposizioni della «direttiva Habitat»;
   i paragrafi dell'articolo 6 della direttiva europea citati nella risposta della Commissione recitano rispettivamente:
    «3. Qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito ma che possa avere incidenze significative su tale sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, forma oggetto di una opportuna valutazione dell'incidenza che ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del medesimo. Alla luce delle conclusioni della valutazione dell'incidenza sul sito e fatto salvo il paragrafo 4, le autorità nazionali competenti danno il loro accordo su tale piano o progetto soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà l'integrità del sito in causa e, se del caso, previo parere dell'opinione pubblica.
    4. Qualora, nonostante conclusioni negative della valutazione dell'incidenza sul sito e in mancanza di soluzioni alternative, un piano o progetto debba essere realizzato per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, lo Stato membro adotta ogni misura compensativa necessaria per garantire che la coerenza globale di Natura 2000 sia tutelata. Lo Stato membro informa la Commissione delle misure compensative adottate» –:
   se il Governo fosse a conoscenza dell'interrogazione e della relativa risposta della Commissione europea riportate in premessa;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per abrogare il comma 363 dell'articolo 1 della legge 8 dicembre 2015, n. 208, «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (legge di stabilità 2016) al fine di evitare una probabile procedura di infrazione del nostro Paese. (5-07342)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, BUSTO, DAGA, PARENTELA, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il regolamento (CE) 1223/2009 sui prodotti cosmetici prevede nella composizione degli stessi anche l'uso di micro perle e microgranuli ad uso esfoliante per la cute;
   all'articolo 16, sui nanomateriali, si può leggere al comma 11: «La Commissione riesamina periodicamente alla luce dei progressi scientifici le disposizioni del presente regolamento relative ai nanomateriali e, se del caso, propone modifiche appropriate di tali disposizioni»;
   microperle e microgranuli sono prodotti in polietilene (-C2H4-)n in dimensioni che possono variare dai 50 mm ai 5 mm; questo comporta che non siano biodegradabili e in buona parte delle loro conformazioni possano classificarsi come nanomateriali. È ampiamente dimostrato dalla bibliografia scientifica che tali microgranuli si trovano in grandi quantità nelle acque marine;
   non essendo biodegradabili, i microgranuli sono inquinanti e pericolosi per la fauna, che spesso li assume tramite l'alimentazione, inoltre attirano tossine come il DDT, che mutano all'interno dei mitili e dei pesci che vengono consumati dagli esseri umani;
   dagli USA, dall'Australia, ma anche dall'Olanda, nonché da parte di diverse aziende multinazionali sono state intraprese campagne per eliminare queste composizioni dai prodotti, cosmetici e non, comunemente in uso; in materia il riferimento è appunto il regolamento (CE) 1123/2009 che tuttavia contiene informazioni inadeguate sul profilo di rischio di questi materiali, non considerando la loro dannosità a livello ambientale –:
   se i Ministri interrogati non intendano adottare ogni possibile iniziativa, anche alla luce dell'articolo 16, paragrafo 11, del regolamento (CE) 1223/2009, per una revisione dell'uso di questi materiali da parte dell'Unione europea;
   se non intendano intanto farsi promotori del divieto dell'uso dei suddetti materiali in Italia. (4-11615)


   VEZZALI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è ormai accertato che la qualità dell'ambiente in cui si vive ha un'influenza diretta sulla salute dei cittadini;
   buona parte del dissesto idrogeologico ha origine dalla cattiva gestione delle risorse ambientali;
   nelle Marche, il sistema dei parchi e delle riserve naturali copre una superficie che equivale a circa il 10 per cento del territorio regionale;
   le aree protette, oltre che preservare specie animali e botaniche, concorrono allo sviluppo turistico della regione;
   la Carta europea del turismo sostenibile (CETS) mette in rete circa 400 aree protette situate in oltre 35 Paesi allo scopo di far dialogare i gestori delle aree, gli enti territoriali, le aziende e gli operatori turistici per favorire e valorizzare le diverse peculiarità e economie da essi rappresentate;
   molte sono le iniziative locali, nazionali ed europee che coinvolgono le scuole in progetti di educazione ambientale e di gestione sostenibile degli edifici scolastici al fine di far comprendere, ai ragazzi, fin da piccoli, l'importanza del rispetto dell'ecosistema;
   le regioni, pur riconoscendo l'alto valore dei progetti ambientali, dispongono di risorse limitate da destinare a investimenti nel settore e questa gestione «al risparmio» produce anche perdite di opportunità a livello europeo, visto che non si è in grado di partecipare a bandi in co-finanziamento;
   gli effetti della crisi e la conseguente flessione del turismo hanno compromesso la situazione finanziaria di molte aree protette peggiorando le prospettive di tutela e valorizzazione dell'ambiente e mettendo a rischio anche posti di lavoro;
   la regione Marche, nell'intento di razionalizzare le spese, da anni penalizza i finanziamenti a parchi e riserve naturali, tanto che le associazioni ambientaliste protestano contro la minacciata chiusura degli stessi, per l'insufficienza delle risorse –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno:
    a) valutare la possibilità di intervenire con risorse aggiuntive e iniziative ad hoc per salvaguardare gli investimenti fin qui fatti e i risultati ottenuti e per scongiurare la chiusura di quelle aree – come ad esempio il parco del Conero – che rischiano il dissesto finanziario;
    b) coinvolgere anche sui parchi e sulle aree protette il capitale privato a fronte di uno sgravio   fiscale per gli stessi finanziatori (come già avviene per il settore dei beni culturali), assimilando il patrimonio naturalistico e paesaggistico a quello storico-architettonico al fine di creare la «rete del bello» che l'Italia può offrire, diversificando l'offerta turistica e aprendo il Paese a più ampie fette di mercato con tutti i benefici che questo progetto porterebbe con sé. (4-11618)


   LAFFRANCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il problema delle cosiddette «polveri sottili» e dei conseguenti «blocchi del traffico» sono diventati delle questioni di rilevanza nazionale, tanto che lo stesso Governo ha deciso di affrontare in maniera urgente e coordinata la situazione convocando un tavolo tecnico-politico al quale il Ministro interrogato ha invitato il presidente della Conferenza delle regioni, Stefano Bonaccini e il presidente dell'Anci, Piero Fassino, nonché il Capo della protezione civile nazionale Fabrizio Curcio;
   sarà istituito un «Comitato di coordinamento ambientale» composto da presidenti di regioni e di città metropolitane, che avrà vari compiti, tra questi, il controllo della riduzione delle emissioni degli impianti;
   sono a disposizione 50 milioni di euro per finanziare pubblici e privati che vogliono impiantare colonnine elettriche all'interno delle città metropolitane;
   sono già falliti alcuni «tentativi tampone» tra i quali il ricorso alle targhe alterne a Roma e il blocco totale del traffico a Milano, con le polveri sottili in determinate circostanze sono addirittura aumentate;
   tali misure, così come hanno fatto notare anche autorevoli associazioni nazionali a difesa dell'ambiente e dei diritti dei cittadini e dei consumatori, sono calcate «su misura» per le «grandi città» e le aree metropolitane;
   la regione dell'Umbria è l'unica, a livello nazionale, che ha visto e vede interessata al «problema inquinamento» e «blocco del traffico» tutte e tre le principali città, nonché ambedue i capoluoghi di provincia;
   la città di Perugia è al 23o posto nella classifica dei comuni capoluogo, Terni al 40o, mentre Foligno è al 113o posto nella classifica delle città italiane;
   oltre alla tutela della salute dei cittadini, al decoro e alla salubrità delle città, occorre anche fare in modo di continuare a garantire l'immagine che l'Umbria è riuscita a costruirsi e guadagnarsi a livello internazionale come «Cuore verde d'Italia», facendo proprio della qualità della vita e del suo ambiente incontaminato i principali punti di forza ed attrattiva;
   l'Umbria rappresenta pertanto un caso unico, del tutto particolare a livello nazionale, e i provvedimenti previsti dal Governo potrebbero incidere solo in minima parte per la risoluzione o quantomeno riduzione del problema –:
   se il Ministro interrogato abbia in qualche modo analizzato il «caso Umbria»;
   se intenda riconoscere all'Umbria, per quanto di competenza, attenzioni e iniziative eccezionali e particolari;
   se abbia ricevuto da parte delle istituzioni locali dell'Umbria, e in particolare dalla regione, richieste o proposte di soluzioni ad hoc. (4-11639)


   PIRAS, PELLEGRINO, DURANTI, QUARANTA, RICCIATTI, FOLINO, MELILLA e NICCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 29 luglio 2015, il Governo ha inviato una bozza di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri alle regioni – attuativa del decreto-legge 133 del 2014 cosiddetto «Sblocca Italia») – sulla realizzazione di nuovi impianti di incenerimento. Nello specifico la bozza prevedeva l'autorizzazione di 12 nuovi inceneritori in dieci diverse regioni: due in Toscana e Sicilia, uno in Piemonte, Liguria, Veneto, Umbria, Marche, Campania, Abruzzo e Puglia;
   anche in seguito alla ferma opposizione da parte dei presidenti di regione interessati dal provvedimento, la bozza di decreto legislativo non ha avuto seguito;
   a quanto si apprende da diversi organi di stampa (fra cui anche « Il Fatto Quotidiano» del 27 dicembre 2015) circolerebbe ad oggi una seconda bozza di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con la previsione della costruzione di nove (anziché dodici) nuovi inceneritori, questa volta distribuiti in Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Campania, Abruzzo, Sardegna e due in Sicilia;
   diversi studi, fra cui quello epidemiologico Arpa sull'inceneritore di Vercelli, hanno dimostrato come fra la popolazione esposta agli impianti incenerimento la mortalità aumenti del 20 per cento e la comparsa di tumori maligni del 60 per cento;
   per essere economicamente sostenibile, come espresso più volte da diversi esperti del settore, un inceneritore deve avere una durata ventennale, rischiando quindi seriamente di ingessare gli scenari incrementali di raccolta differenziata;
   la direttiva 2008/98/CE introduce, per quanto concerne il ciclo dei rifiuti, il cosiddetto «principio gerarchico delle 4R» (riduzione, riutilizzo, riciclaggio e recupero energetico);
   attualmente le principali tipologie di impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti speciali esistenti in Sardegna sono le seguenti: impianti di incenerimento/coincenerimento; discariche; impianti di stoccaggio; impianti di recupero;
   la regione Sardegna è dotata di un piano di gestione dei rifiuti che ha assunto come linea-guida cardine della propria articolazione, la necessità di strutturare le raccolte dei rifiuti urbani in maniera tale da programmare e gestire con efficienza ed efficacia le successive operazioni di recupero, trattamento e smaltimento;
   suddetto piano, in coerenza con i principi e i vincoli delle norme comunitarie, ha scelto di privilegiare sistemi di raccolta che responsabilizzino i cittadini e li rendano pienamente partecipi di una gestione dei rifiuti ambientalmente corretta. Viene sostituito definitivamente il concetto di raccolta indifferenziata con quello di una raccolta differenziata che garantisca la massima quantità e la migliore qualità dei materiali recuperabili dai rifiuti. Come elemento base, pertanto, va data priorità all'attivazione delle raccolte domiciliari, le uniche intrinsecamente in grado di indurre comportamenti virtuosi;
   nel corso degli anni la regione Sardegna ha avuto un netto incremento nei risultati ottenuti dalla raccolta differenziata: nel 2013 una percentuale del 50,9 per cento, nel 2008 ha raggiunto il 34,7 per cento confermando il trend positivo che dal 19,8 per cento del 2006 era già passato al 27,9 per cento nel 2007;
   tra gli obiettivi ambientali del piano regionale dei rifiuti, si ha la riduzione della produzione di rifiuti e della loro pericolosità, l'implementazione delle raccolte differenziate, l'implementazione del recupero di materia, la valorizzazione energetica del non riciclabile, la riduzione del flusso di rifiuti indifferenziati allo smaltimento in discarica, e soprattutto la minimizzazione della presenza sul territorio regionale di impianti di termovalorizzazione e di discarica;
   il decreto legislativo n. 152 del 2006 incentra i suoi dettati sul rispetto della gerarchia comunitaria della gestione dei rifiuti, che impone di conseguire, nell'ordine: a) la prevenzione della produzione dei rifiuti; b) la preparazione per il riutilizzo; c) il riciclaggio; d) il recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia; e) lo smaltimento;
   in Sardegna, oltre alcune discariche, sono presenti due impianti di incenerimento: quello di Macchiareddu, saturato dalla produzione dei rifiuti urbani delle, province di Cagliari, di Carbonia-Iglesias e di Villacidro-Sanluri, e quello di Tossilo, a servizio delle province di Nuoro, dell'Ogliastra e in parte di Oristano. I rifiuti urbani non riciclabili prodotti nelle province di Olbia-Tempio e di Sassari, benché trattati, vengono invece smaltiti in discarica;
   attualmente l'inceneritore di Tossilo, a servizio dei territori del centro nord Sardegna, gestito dalla «Tossilo S.p.a.» ed in cui conferiscono 52 comuni, presenta uno stato di crisi economica particolarmente acuta: il bilancio consuntivo al 30 settembre scorso presentava infatti una perdita di circa 655 mila euro, con un'ovvia previsione di perdita di esercizio ancora maggiore in chiusura di bilancio al 31 dicembre scorso, stimabile intorno a 800 mila euro;
   il disavanzo è dovuto in particolare alle condizioni dell'impianto di termovalorizzazione, ormai vecchio ed obsoleto, oltre che alla situazione della discarica di Monte Muradu, oramai prossima alla saturazione e fonte di un preoccupante impatto ambientale per l'intera area circostante. La «Tossilo Spa», per mantenere l'equilibrio economico finanziario – oltre come unica soluzione possibile al fallimento e quindi alla perdita sia del servizio che di 38 posti di lavoro – dovrà innalzare le tariffe da 199 a 270 euro a tonnellata più, Iva, con evidente ulteriore aggravio per i contribuenti;
   per mantenere l'attuale standard di sicurezza sulle emissioni risulta inoltre necessario fare investimenti che porterebbero la tariffa fino a una cifra stimata di circa 300 euro a tonnellata;
   il cosiddetto «revamping» dell'impianto costerebbe circa 49 milioni di euro ai bilanci pubblici, somma considerevole a fronte dei 11-20 milioni stimati per un investimento che potrebbe riguardare tecnologie ed impianti di lavorazione dei rifiuti differenziati (plastiche, e altro), tecnologie che implementerebbero il ciclo di lavorazione (riuso, riciclo) dei rifiuti, riconvertendolo rispetto alla pratica predominante dell'incenerimento;
   la legge della regione Sardegna n. 6 del 24 aprile 2001 all'articolo 6, comma 19 prevede che: «È fatto divieto di trasportare, stoccare, conferire, trattare o smaltire, nel territorio della Sardegna rifiuti, comunque classificati, di origine extraregionale» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non intendano render note le intenzioni del Governo;
   se i Ministri interrogati, da to anche quanto esposto in premessa, non ritengano di dover escludere la Sardegna dalle previsioni dello schema di decreto di cui sopra;
   se i Ministri interrogati non ritengano sia di maggiore utilità destinare le medesime risorse economiche alla realizzazione nell'isola di impianti per il potenziamento del servizio della raccolta differenziata, del riuso e del riciclo dei rifiuti. (4-11648)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAPONE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nei mesi scorsi è giunto al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo un appello sottoscritto da eminenti intellettuali, archeologici, storici dell'arte e dell'architettura, medievisti, studiosi, architetti, volto a sostenere le ragioni di tutela e salvaguardia del museo provinciale «Sigismondo Castromediano» di Lecce perché lo stesso possa rientrare, in ragione della sua rilevanza nazionale e internazionale, tra i musei statali e di interesse nazionale nell'ambito dell'istituendo polo museale regionale dello Stato, accanto ad altri diversi musei statali (presenti a Manfredonia, Altamura, Bari, Egnafia, Gioia del Colle, Ruvo di Puglia, e altro);
   il museo archeologico provinciale di Terra d'Otranto «Sigismondo Castromediano» risulta essere il più antico museo della Puglia, tra i più rilevanti tra quelli non statali dell'intero territorio regionale, risalendo la sua fondazione al 1868 per volere del duca di Cavallino Sigismondo Castromediano. In quell'anno, su iniziativa dello stesso Castromediano, la provincia di terra d'Otranto nomina una commissione di studiosi con il compito di ricercare e promuovere la conoscenza della storia antica e del patrimonio archeologico e storico-artistico del territorio e di istituire un museo in cui depositare donazioni, acquisti e i risultati delle stesse indagini archeologiche promosse dalla prefettura e dallo stesso duca;
   come si evince dalle relazioni annuali redatte e presentate tra il 1869 e il 1875 dal direttore del Museo «Sigismondo Castromediano» alla commissione di archeologia e di storia patria di Terra d'Otranto, le prime raccolte provengono dalle collezioni di conventi e monasteri colpiti, dopo l'Unità d'Italia, dall'abolizione degli ordini religiosi, i cui reperti, opere d'arte, testi antichi e arredi, alimentarono il mercato dell'antiquariato. Oltre all'acquisto di beni così importanti, il Castromediano promosse contemporaneamente scavi archeologici nei principali siti antichi del Salento acquisendo, tra gli altri, la gran parte dei vasi a figure rosse provenienti da Rudie (patria del poeta latino Ennio), dal centro storico di Lecce, dal sito di Rocavecchia, e da altri siti archeologici;
   successivamente, le collezioni museali furono incrementate grazie alle attività di eminenti personalità come Cosimo De Giorgi e nel corso della prima metà del ’900, dai direttori del museo, Mario Bernardini e Giovanna Delli Ponti, con gli scavi condotti a Rudiae, Lupiae, Rocavecchia. Nel 1967, dal palazzo del governo, ex convento dei Celestini, il Museo venne trasferito nel prestigioso complesso dell'ex collegio dei Gesuiti (sede attuale), ristrutturato su progetto dell'architetto Franco Minissi;
   l'attuale sede espositiva occupa circa 6 mila metri quadrati, cui si aggiungono i 4 mila metri quadrati occupati dalla biblioteca provinciale, in via di totale trasferimento nell'ex convitto Palmieri, in fase di completa ristrutturazione e originaria sede della biblioteca stessa;
   i beni archeologici esposti, di enorme valore storico, in maggior parte di epoca messapica, sono circa 6 mila, cui vanno aggiunti altri circa 4 mila reperti conservati nei depositi dello stesso museo. Contemporaneamente, va considerata l'enorme messe di reperti che la Soprintendenza archeologica conserva nei depositi all'interno del castello di Lecce e in quelli del museo nazionale di Taranto; tutti provenienti da scavi archeologici effettuati nella provincia di Lecce, non a torto considerata un immenso giacimento culturale; anche in virtù del suo essere un territorio a continuità di vita dalla preistoria ai giorni nostri;
   accanto a questa enorme ricchezza archeologica, cui si somma quella presente nella rete dei musei territoriali, va aggiunto il tantissimo materiale archeologico presente nei depositi dell'università, del Salento – dipartimento di beni culturali, frutto delle ricerche e degli scavi condotti a Lecce, Leuca, Ugento, Vaste, Cavallino, Rocavecchia, e altro, dallo stesso Dipartimento e dalla scuola di archeologia a partire dagli anni ’70. Dall'università alla soprintendenza, al museo tutti, dunque, denunciano un evidente carenza di spazio per la gran mole di materiali archeologici da conservare, la gran parte dei quali, peraltro, mai presentata alla cittadinanza salentina;
   per completare la riflessione sull'eccellenza culturale rappresentata dal museo «Sigismondo Castromediano» e dunque l'opportunità del suo coinvolgimento nell'istituendo polo museale, regionale vanno contestualmente considerati ulteriori dati. Innanzitutto, le importanti attestazioni dell'Uomo preistorico nel basso Salento, provenienti dalle grotte salentine (Grotta Romanelli, Striare, Cipolliane, Grotta del Cavallo e Grotte della baia di Uluzzo, Grotta delle Veneri e Grotte del Capo di Leuca), sparse tra tanti musei italiani, che documentano la vita dell'Uomo di Neanderthal, per poi raccontare dell'arrivo dell'Uomo moderno (Homo sapiens). Dopo anni di discussioni scientifiche, peraltro, i recenti studi eseguiti sui materiali delle grotte preistoriche della Baia di Uluzzo di Nardò e pubblicati sulla prestigiosa rivista «Nature», sembrano attestare il Salento come areale in cui sia provata la prima presenza di Homo sapiens in Europa che, in questa terra, aver convissuto con l'Uomo di Neanderthal. Per l'importanza internazionale di tali temi di ricerca l'università La Sapienza di Roma, a quasi 50 anni dagli ultimi scavi eseguiti in Grotta Romanelli, primo sito paleolitico italiano scoperto nel 1904 e primo sito italiano in cui sono state scoperte testimonianze di arte paleolitica, sta per iniziare nuove campagne di scavo al fine di ridefinire le sequenze culturali in grotta e la storia delle frequentazioni a partire dall'Uomo di Neanderthal e fino alle genti «romanelliane» dell'ultimo glaciale, quando il Salento presentava un clima freddo diverso dall'attuale, con animali di tipo freddo quali l'alca, il pinguino boreale ritrovato in Grotta Romanelli;
   questa storia di testimonianze e ritrovamenti è, purtroppo, in parte o totalmente sconosciuta al territorio salentino, come pochissimo conosciuti sono gli insediamenti e le grotte della preistoria più recente (Neolitico ed età dei metalli tra VI e II millennio a. C.): da Grotta dei Cervi, a Grotta Carlo Cosma, con le loro famose pitture neolitiche del VI-IV millennio a. C. alla Grotta della Trinità o agli insediamenti dell'età del bronzo di Porto Cesareo, Otranto, Leuca. Buona parte di questo enorme patrimonio archeologico è infatti sparso per tante università e istituti di ricerca (Genova, Verona, Firenze, Roma, Napoli, Bari), ma potrebbe tornare nella sua sede naturale salentina anche sotto forma di grandi eventi espositivi, in forza della «Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico» di La Valletta del 16 gennaio 1992, ratificata nell'aprile 2015 anche dall'Italia e che, per tutto quanto dalla stessa rappresentato e raccomandato, prevede che le testimonianze archeologiche siano restituite e comunque rese fruibili alle cittadinanze dei territori in cui sono state ritrovate –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se, per quanto di competenza, non ritenga utile e opportuno che nell'istituendo polo museale regionale entri a far parte, insieme alle realtà statali presenti sul territorio pugliese, anche il museo provinciale «Sigismondo Castromediano» di Lecce;
   se non ritenga in particolare ancor più evidente tale opportunità nell'ottica della riforma del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e nell'ambito della riforma delle province, considerata l'importanza delle collezioni archeologiche e storico-artistiche conservate al suo interno, la gran parte delle quali di proprietà statale in quanto acquisite successivamente alla prima legge di tutela delle «Antichità e Belle Arti» dello Stato unitario (legge n. 364 del 20 giugno 1909), che sanciva l'inalienabilità dei beni archeologici e storico-artistici, e considerata la trasformazione territoriale determinatasi con l'attuazione delle legge n. 56 del 2014, la cosiddetta «legge delrio», con la conseguente abolizione delle province e il rischio che tale trasformazione possa determinare un vulnus alla rilevanza e al futuro del Museo in questione. (5-07344)

Interrogazione a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 6, comma 3 del decreto ministeriale 7 maggio 2015 del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo disciplina le agevolazioni fiscali per la riqualificazione delle strutture turistico-alberghiere previste dal decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni dalla legge 29 luglio 2014, n. 106 recante disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo;
   i crediti di imposta di cui al succitato decreto sono riconosciuti, per gli anni 2014, 2015 e 2016, nel limite di spesa annuo complessivo di 20 milioni di euro per l'anno 2015 e di 50 milioni di euro per gli anni dal 2016 al 2019 e fino ad esaurimento delle risorse disponibili in ciascuno degli esercizi medesimi;
   l'agevolazione consiste in un credito di imposta del 30 per cento ed è concessa a ciascuna impresa nel rispetto dei limiti e delle condizioni di cui al regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione europea del 18 dicembre 2013 e, comunque, fino a un importo massimo di 200 mila euro per le spese sostenute nei tre anni d'imposta (2014, 2015 e 2016);
   la norma prevede altresì che possano fare richiesta le strutture alberghiere (alberghi, villaggi-albergo, residenze turistico-alberghiere, alberghi diffusi) e altre strutture individuate come tali dalle specifiche normative regionali vigenti al 1o gennaio 2012 e con almeno 7 camere;
   le spese agevolabili sono quelle sostenute per:
    a) ristrutturazione edilizia (rinnovo e sostituzione di parti anche strutturali degli edifici, demolizione e ricostruzione anche con modifica della sagoma, miglioramento sismico, realizzazione o integrazione dei servizi igienico-sanitari e tecnologici, frazionamento o accorpamento di unità immobiliari, sostituzione di serramenti esterni e interni, sostituzione di pavimentazioni);
    b) restauro e risanamento conservativo;
    c) riqualificazione energetica (globale, sull'involucro edilizio, di sostituzione degli impianti di climatizzazione, impianti da fonti rinnovabili);
    d) eliminazione delle barriere architettoniche (rifacimento di scale, ascensori e servoscala, realizzazioni di bagni e sistemi domotici per disabili);
    e) acquisto di mobili, componenti d'arredo, cucine professionali, arredi out-door, attrezzature sportive e per centri benessere;
   le imprese che intendevano usufruire del suddetto credito di imposta avevano tempo fino alle ore 16 del 16 ottobre 2015 per registrarsi sul portale dei procedimenti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, caricare l'istanza e l'attestazione di effettività delle spese sostenute;
   dalle ore 10 del 19 ottobre è invece scattato il click day, ovvero il via libera alle suddette domande online, con la procedura cosiddetta «a sportello», che prevede la velocità di accesso al portale informativo come unica priorità premiale ai fini della concessione del beneficio;
   la sproporzione tra il numero dei potenziali aventi titolo e l'esiguità complessiva delle risorse messe a disposizione ha comportato che, dopo appena un minuto e 50 secondi dall'inizio delle operazioni sul sito, fosse esaurita ogni possibilità di accesso ai benefici del bando;
   conseguentemente, una vasta platea di utenti registrava la totale impossibilità di procedere con le operazioni via web riducendosi la partecipazione al bando ad una vera e propria sconcertante e avvilente lotteria, che ha penalizzato gli utenti residenti in aree con minor infrastrutturazione telematica o con maggior traffico informatico;
   non è altresì possibile escludere che ci siano stati momenti di malfunzionamento del sito, anche legati al sovraffollamento di utenti connessi contemporaneamente al portale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   il decreto ministeriale 7 maggio 2015 non prevede alcuna ripartizione perequativa territoriale degli interventi di sostegno e, conseguentemente, gli unici parametri rilevabili tra i vincitori del bando sono la partita IVA e la denominazione dei beneficiari, che non consentono di rilevare né la sede legale, né la sede operativa dei vincitori, impedendo di individuare eventuali anomale concentrazioni territoriali dei vincitori che supporterebbero i ragionevoli dubbi sul malfunzionamento del sito e sulle debolezze e criticità della procedura di bando;
   in particolare, la presenza nel Paese di vaste aree disagiate e con scarsa copertura di rete ha determinato grandi difficoltà, da parte di numerose strutture turistico-alberghiere operanti in Sardegna, di essere ammesse alle agevolazioni fiscali di cui sopra;
   l'Hotel Residence «Ulivi e Palme» di Cagliari è soltanto una delle numerose strutture ricettive sarde che ha tentato puntualmente e invano di partecipare al bando on line, venendo beffata da disservizi tecnologici assolutamente indipendenti dalla volontà del potenziale beneficiario –:
   se il Governo sia consapevole che la procedura informatica utilizzata per il bando, soltanto apparentemente neutra, invece che garantire identiche opportunità a tutti, si è trasformata in una grave fonte di sperequazione, escludendo sostanzialmente dai benefici del bando tutte le imprese che si sono scontrate con disservizi informatici indipendenti dalla propria volontà;
   se il Governo sia in grado di escludere che una parte significativa di tali disservizi informatici sia stata conseguente al sottodimensionamento della capacità di risposta del portale ministeriale rispetto alla grande quantità di richieste di accesso;
   se non si ritenga che tale situazione oggettiva abbia inficiato la stessa regolarità del bando e dell'assegnazione delle risorse;
   se non si ritenga pertanto di consentire l'ampliamento della platea dei beneficiari, attraverso un nuovo finanziamento del bando, che consenta di sanare le ingiustizie verificatesi;
   quali interventi tecnici si intendano mettere in atto al fine di evitare che un analogo disservizio possa ripetersi in futuro, nel caso di bandi a sportello con procedure simili a quella descritta;
   quali specifici correttivi intenda introdurre nell'ambito della disciplina regolamentare dei prossimi bandi di cui al decreto ministeriale 7 maggio 2015, al fine di:
    a) garantire una equa distribuzione territoriale degli incentivi, che non penalizzi le aree geografiche già strutturalmente più deboli del Paese;
    b) assicurare a tutti gli operatori le stesse possibilità di accesso alle agevolazioni fiscali attraverso i bandi on line, evitando che i benefici del bando siano legati a fattori fortunosi, connessi alla efficienza temporanea delle reti informatiche. (4-11643)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata:


   VITO, BRUNETTA, CALABRIA e VELLA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 16 gennaio 2016 scade la proroga del permesso per motivi di salute, concesso a Massimiliano Latorre per rientrare in Italia al fine di curarsi da un ictus che lo ha colpito;
   è inaccettabile ed improponibile anche solo ipotizzare che Massimiliano Latorre possa tornare in India –:
   quali decisioni abbia preso il Governo al fine di evitare che Massimiliano Latorre rientri in India e per il rientro in Italia di Salvatore Girone. (3-01919)


   CARUSO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in Italia sono impegnati nell'ambito dell'operazione «Strade Sicure», in supporto alle forze di polizia, circa 5500 militari, uomini e donne della difesa che quotidianamente, con grande dedizione e spirito di sacrificio, svolgono una proficua attività di controllo del territorio;
   inoltre, altri 600 militari danno il loro prezioso contributo nella missione «Mare Sicuro», che, come è noto, da inizio del 2015 svolge, in applicazione della legislazione nazionale e degli accordi internazionali vigenti, attività di presenza, sorveglianza e sicurezza marittima nel Mediterraneo centrale;
   dati recenti forniti dalla questura di Roma rivelano che, con riferimento al primo mese di questo Giubileo straordinario, reati quali rapine, furti, scippi e borseggi sono diminuiti di circa il 30 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno nella capitale;
   un indubbio merito in questo dato positivo è, certamente, anche della presenza nelle strade della città dei militari che supportano le forze dell'ordine;
   detta presenza di militari, non solo a Roma, aumenta la percezione di sicurezza dei cittadini, nonostante il grave momento storico che si sta vivendo per la minaccia terrorista;
   la legge di stabilità per il 2016 tra i suoi elementi cardine ha avuto anche quello di destinare maggiori risorse per la sicurezza –:
   con quali modalità e tempistiche il Governo intenda proseguire sulla strada intrapresa al fine di garantire il massimo grado di sicurezza ai cittadini, rafforzando quella percezione positiva dovuta anche alla presenza dei militari nelle strade delle città italiane. (3-01920)


   FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   con il piano di dismissioni delle caserme ritenute non più utili ai fini della propria attività istituzionale, il Ministero della difesa intendeva essenzialmente generare cassa, inizialmente allo scopo di finanziare l'acquisizione o l'ammodernamento di materiale d'armamento, attualmente invece allo scopo di alleggerire il debito pubblico, con obiettivi stringenti da conseguire negli esercizi finanziari 2016, 2017 e 2018;
   della politica di dismissioni attuata dalla difesa era parte anche la valorizzazione degli immobili da collocare sul mercato, anche allo scopo di accrescerne l'appetibilità;
   è stata peraltro prevista la possibilità di cedere agli enti locali gli immobili dismessi non richiesti da alcun corpo armato dello Stato e non collocabili in vendita;
   il recente orientamento del Governo di utilizzare le caserme dismesse per ben altri scopi, ed in particolare per offrire alloggio ai clandestini e profughi, sembra confliggere con le finalità alla base della politica delle dismissioni, vanificandone la valorizzazione ed implicando costi aggiuntivi;
   in questo contesto si colloca anche la vicenda concernente la ex caserma Zanusso di Oderzo (Treviso), di cui la prefettura di Treviso ha confermato, con comunicazione al comune di Oderzo datata 24 dicembre 2015, di voler rilevare dall'Agenzia del demanio una porzione allo scopo di allestirvi un centro straordinario di accoglienza destinato ad immigrati irregolari richiedenti tutela internazionale;
   il comune di Oderzo, invece, aveva richiesto sin dal 26 novembre 2013 all'Agenzia del demanio di poter acquisire la struttura, per poterla adibire allo svolgimento di attività di interesse sociale;
   il 7 maggio 2014 l'Agenzia del demanio aveva espresso parere favorevole sulla richiesta ma, avendo le Forze dell'ordine diritto di prelazione su tutta o su una porzione dell'area, a seguito dell'espressione di interesse ad una porzione dell'area da parte dei vigili del fuoco (carabinieri e forestale, invece, non avevano manifestato interesse), la questione si era arenata secondo gli interroganti per inefficienza dell'amministrazione comunale, come risulta dalla circostanza che in data 18 marzo 2015 l'Agenzia del demanio, con protocollo n. 2015/15833/DR-VE della sua Direzione regionale Veneto, chiedesse proprio al comune di Oderzo un aggiornamento sullo stato della pratica, evidenziando come non fosse pervenuto fino ad allora ancora nessun atto indispensabile per il trasferimento dell'area, il relativo frazionamento e l'esatta individuazione catastale della porzione del compendio che avrebbe dovuto rimanere nella disponibilità dello Stato per la costruenda stazione dei vigili del fuoco;
   a pagare le spese dell'inerzia degli amministratori del comune di Oderzo – a maggioranza Partito Democratico e liste civiche collegate – saranno conseguentemente i cittadini di Oderzo che si ritroveranno invasi da un elevato numero di clandestini invece di avere uno spazio d'utilità sociale;
   indubbiamente nel comune di Oderzo cresce l'allarme destato dalla possibilità che nella ex caserma Zanusso possa essere ospitato un ingente numero di migranti clandestini –:
   se il Governo non intenda intervenire, per quanto di sua competenza, posto che le prefetture sono suoi uffici territoriali, sulla decisione della prefettura di Treviso di acquisire parte della ex caserma Zanusso di Oderzo per realizzarvi un centro straordinario di accoglienza profughi. (3-01921)

Interrogazione a risposta scritta:


   SIBILIA, FICO, COLONNESE e LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della difesa, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 dicembre 2015 è deceduto, all'età di 43 anni, lasciando la moglie e un figlio, Gianluca Danise, primo maresciallo dell'Aeronautica militare, originario di Napoli, cui era stata riconosciuta la causa di servizio con invalidità del 35 per cento (con procedura in corso per un adeguamento al 100 per cento), poiché dal 2005 stava combattendo contro un cancro causato dall'esposizione all'uranio impoverito ed era stato collocato in congedo per causa di servizio;
   in data 18 dicembre 2015 il deputato del Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio, ha presentato un'interrogazione a risposta scritta (n. 4-11495) ai Ministri della difesa e del lavoro per chiedere conto della situazione pensionistica del maresciallo Danise. Su questa vicenda lo stesso deputato ha inviato una lettera al presidente dell'Inps, Tito Boeri, nonché al Ministro della difesa;
   prima del maresciallo Danise, precisamente in data 20 dicembre, è venuto a mancare Leonardo Aufiero, maresciallo dell'esercito italiano di stanza presso il Reggimento Carristi di Salerno, morto a soli 48 anni a causa di un cancro causato dall'esposizione all'uranio impoverito. Il militare, che viveva in congedo a Pratola Serra (Avellino) con la moglie e due figli, aveva partecipato alle missioni dell'esercito italiano in Bosnia, Kosovo, Afghanistan e Iraq;
   in data 2 gennaio 2016 è deceduto a causa di un cancro Giovanni Passeri, militare 41enne, originario di Scafati (Sa) e residente a Pompei (Na) che prestava servizio nel Reggimento Cavalleggeri di Salerno dopo essere stato all'estero in tante missioni nel corso delle quali era venuto a contatto con l'uranio impoverito;
   in data 8 gennaio 2016 è deceduto Luciano Cipriani, maresciallo dell'Aeronautica militare con diverse missioni all'estero. Il 43enne, che lascia la moglie e due figli, ha combattuto contro un cancro causato dall'esposizione all'uranio impoverito –:
   se sia già stato attribuito il riconoscimento di «vittime del dovere» e se sia stato regolato il trattamento pensionistico per i defunti Leonardo Aufiero, Giovanni Passeri e Luciano Cipriani;
   quali iniziative il Governo intenda adottare in materia di prevenzione delle patologie tumorali connesse all'uranio impoverito per i militari italiani che prestano servizio nelle missioni nei Paesi a rischio di esposizione;
   come il Governo intenda comportarsi in relazione ai militari affetti da patologie riconducibili all'uranio impoverito, visto che, a oggi, tutte le controversie amministrative condotte dall'Osservatorio militare si sono concluse con condanne pesantissime a carico del Ministero della difesa ormai passate in giudicato;
   quanti siano i militari posti in congedo in attesa del calcolo corretto dell'assegno pensionistico e quanti di questi siano deceduti senza conoscere l'assegno pensionistico corretto lasciato ai propri eredi. (4-11636)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dopo un'attesa di più di quattro anni, la riforma del cosiddetto TUB (testo unico bancario) in materia di intermediari operanti nel settore finanziario, come introdotta dal decreto legislativo n. 141 del 2010, ha trovato la sua compiuta attuazione grazie all'adozione da parte delle autorità creditizie di due importanti provvedimenti regolamentari: il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 2 aprile 2015, n. 53, recante norme in materia di intermediari finanziari in attuazione degli articoli 106, 112 e 114 del TUB, e con il quale si è inteso chiarire la qualificazione dell'attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma e l'esercizio della stessa nei confronti del pubblico, e la circolare della Banca d'Italia del 3 aprile 2015, n. 288, recante le disposizioni in tema di vigilanza sugli intermediari finanziari;
   il nuovo scenario normativo declinato dai due richiamati provvedimenti attuativi prevede, tra l'altro, un albo unico per gli intermediari finanziari, superando in tal modo il preesistente dualismo tra gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco generale di cui al citato articolo 106 del TUB e gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco speciale di cui all'articolo 107 dello stesso TUB, ossia tra soggetti censiti e soggetti vigilati;
   pertanto, al fine di poter svolgere ex novo o di continuare ad operare nel settore della concessione o del recupero del credito, o del trasferimento di denaro, l'intermediario finanziario si deve misurare con un procedimento autorizzativo da parte della Banca d'Italia, finalizzato a verificare in capo ad esso la sussistenza dei requisiti necessari a garantire, da parte sua, una sana e prudente gestione dell'attività finanziaria; per le società di nuova costituzione, l'autorizzazione, occorrente per lo svolgimento dell'attività di concessione di finanziamenti, di riscossione dei crediti ceduti e dei servizi di cassa e di pagamento nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione, deve essere richiesta prima dell'iscrizione della società nel registro delle imprese; inoltre, rispetto alla normativa previgente, è previsto un innalzamento del capitale sociale minimo in misura proporzionale al parametro dimensionale e variabile a seconda se le stesse esercitano la propria attività con o senza il rilascio di garanzie;
   quanto poi alla suddetta circolare n. 288 della Banca d'Italia, la stessa richiede agli intermediari finanziari iscritti all'albo unico il rispetto delle regole relative al governo societario, anche al fine di assicurare che gli organi aziendali siano in grado di garantire l'efficienza e la correttezza della gestione dell'intermediario, nonché la previsione di un sistema di controlli interni attraverso l'istituzione di funzioni di controllo (risk management, compliance, internal audit, e altro);
   con riferimento alle scadenze previste dalla nuova normativa per chiedere l'autorizzazione e passare all'albo unico da parte degli intermediari già iscritti nell'elenco generale di cui all'articolo 106 del TUB, questi sono tenuti a presentare istanza entro e non oltre i novanta giorni antecedenti il 12 maggio 2016 (ossia entro il 12 febbraio 2016); gli stessi possono quindi operare fino al 12 maggio 2016 sulla base delle autorizzazioni esistenti, mentre possono continuare a svolgere attività finanziaria oltre tale data solo se hanno presentato istanza di autorizzazione all'iscrizione nell'albo unico entro il previsto termine del 12 febbraio 2016;
   il suddetto nuovo quadro normativo, finalizzato ad allineare la disciplina dell'intermediazione finanziaria a quella dell'attività bancaria, rafforzando la struttura patrimoniale ed organizzativa dei soggetti vigilati e rendendo più incisivi i poteri di vigilanza della Banca d'Italia, porrà non poche difficoltà di adeguamento e, quindi, di operatività, a tutti quegli intermediari finanziari fino ad oggi iscritti nell'elenco generale di cui al citato articolo 106 del TUB;
   come dichiarato dal dottor Paolo Strocci, presidente di Fbs spa (società attiva nel settore dei mutui non performanti, NPL, non performing loans, valutazione portafogli NPL e processi due diligence), a tutt'oggi, a meno di un mese dalla scadenza dei termini, ancora sono pochi i servicer (cioè quegli intermediari che gestiscono sofferenze bancarie) che risultano regolarmente iscritti all'albo, con il rischio che tutti i rimanenti, e sono tanti, cercheranno di continuare ad operare fuori dal perimetro della vigilanza della Banca d'Italia, anche grazie ad accordi stretti con società più grandi (dette per questo «master servicer») che, in sub-appalto, esternalizzano le attività di recupero crediti a terzi non regolarmente iscritti;
   la riforma quindi rischia di impattare negativamente sull'intero settore bancario, «zavorrato», secondo l'ultimo rapporto Abi, da circa 200 miliardi di euro in sofferenza, elevabili a 350 miliardi se si includono tutti gli altri deteriorati (cioè incagliati, scaduti o ristrutturati), impossibilitato da solo al recupero e pertanto costretto a ricorrere all'aiuto di società esterne che, nel tentativo di aggirare i limiti, le pastoie e le lungaggini burocratiche introdotte dalla nuova disciplina, eludono una riforma voluta dal legislatore per mettere ordine e trasparenza in un settore che fino ad oggi ha potuto operare, spesso dovendosi rapportare con imprese in crisi e famiglie sul lastrico, con troppi margini di discrezionalità e superficialità –:
   alla luce di quanto premesso, anche nell'ambito di un processo di sviluppo del mercato dei non performing loans, quali iniziative di competenza intenda intraprendere al fine di impedire future condotte elusive della normativa, garantire la piena osservanza da parte di tutti gli operatori della filiera dell'intermediazione finanziaria delle suddette nuove disposizioni, ed impedire che nel nostro Paese operino in un settore molto delicato soggetti non pienamente rispondenti alla normativa. (5-07354)


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la normativa nazionale prevede che i pagamenti della tassa di proprietà dei veicoli possano essere effettuati solo con versamenti presso le delegazioni ACI convenzionate con l'Agenzia delle entrate, le Poste Italiane con bollettino postale, i tabaccai, le agenzie di pratiche auto convenzionate con l'Agenzia delle entrate;
   a tal fine, è necessario compilare, per ciascun veicolo, un bollettino di pagamento, che, spesso, per motivi di liquidità, nelle aziende con flotte di grande dimensione, il possessore deve reiterare con cadenza quadrimestrale;
   si tratta di un inutile appesantimento burocratico, che costringe le aziende proprietarie di importanti flotte di camion, ad occupare una persona ogni quattro mesi, esclusivamente per compilare bollettini di pagamento;
   tale costosa incombenza si potrebbe evitare dando la possibilità di assolvere la tassa in modo cumulativo, con un unico bollettino, o liquidandola con il modello F24, predisponendo un apposito supporto informatico dell'Agenzia delle entrate, considerato che è venuto meno l'obbligo di esporre sul parabrezza la ricevuta del pagamento della tassa di proprietà, condizione che, fino a qualche tempo fa, oggettivamente ne obbligava la corresponsione veicolo per veicolo;
   è necessaria, quindi, una modifica normativa che estenda alle aziende con flotte di grande dimensione la facoltà di pagamento cumulativo introdotta per le società di leasing dalla legge n. 99 del 23 luglio 2009, all'articolo 7, comma 1, che ha autorizzato le singole regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano a stabilire le modalità con le quali le imprese concedenti possono provvedere ad eseguire cumulativamente, in luogo dei singoli utilizzatori, il versamento delle tasse dovute per i periodi di tassazione compresi nella durata dei rispettivi contratti –:
   se sia a conoscenza della questione esposta in premessa e se abbia individuato le opportune modifiche normative atte a permettere il pagamento cumulativo della tassa di proprietà per tali veicoli e, in particolare, per permettere il versamento con richiesta di addebito sul conto corrente bancario del contribuente. (5-07355)


   PESCO, ALBERTI, VILLAROSA e PISANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, le cui disposizioni sono state successivamente inserite nella legge di stabilità 2016, ha disposto la risoluzione di Cassa di risparmio di Ferrara s.p.a., di Banca delle Marche s.p.a., di Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa e di Cassa di risparmio di Chieti s.p.a., già oggetto di commissariamento da parte della Banca d'Italia;
   dal documento «L'Unità di Informazione Finanziaria per l'Italia nel sistema di contrasto alla criminalità economica e al riciclaggio» presentato in sede di audizione dal dottor Claudio Clemente, direttore dell'unità di informazione finanziaria per l'Italia (UIF) si apprende che:
    «Il sistema italiano di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo si fonda sul contributo sinergico degli operatori e di diverse autorità. (...) La collaborazione dei soggetti posti ai varchi dei circuiti legali (banche e altri intermediari finanziari, professionisti, operatori non finanziari) si concretizza nell'adempimento di obblighi di identificazione e monitoraggio della clientela, di registrazione delle transazioni nonché di individuazione e segnalazione delle operazioni sospette. I princìpi internazionali richiedono l'istituzione, in ogni Stato, di agenzie nazionali antiriciclaggio, le Financial Intelligente Unit (FIU), dotate di autonomia e specializzate nell'analisi finanziaria delle informazioni relative a possibili casi di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. (...) Nel nostro Paese tale compito è assolto dalla UIF, istituita presso la Banca d'Italia. Tra i vari modelli presenti nelle esperienze estere, l'ordinamento nazionale ha privilegiato la configurazione di un organismo di tipo amministrativo. (...) La collocazione dell'Unità presso un'istituzione indipendente e dotata di specifiche competenze nella valutazione dei fenomeni economico-finanziari, quale la Banca d'Italia, amplifica le garanzie di autonomia dell'UIF e favorisce l'utilizzo di risorse particolarmente qualificate per lo svolgimento dei compiti ad essa attribuiti». A parere degli interroganti, la scelta riferita a tale collocazione confligge paradossalmente con l'autonomia di cui dovrebbe essere dotata tale unità: eventuali difetti di vigilanza commessi da Banca d'Italia sull'operato degli enti finanziari potrebbero influenzare l'azione di vigilanza svolta dall'UIF sulle operazioni sospette ponendo in essere un gravissimo conflitto d'interesse. Inoltre «L'Unità è incaricata di ricevere le segnalazioni, effettuarne l'analisi finanziaria e valutarne la rilevanza ai fini dello sviluppo dell'azione investigativa da parte dei competenti organi (Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza e Direzione Investigativa Antimafia). (...) L'Agenzia delle Entrate e l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli devono consentire l'accesso ad alcuni dei propri archivi. (...) Contributi vengono anche forniti agli organi investigativi e alle Autorità». Tale autorità è quindi dotata di poteri investigativi che coinvolgono dati sensibili e riservati disponibili, di norma, solo alle autorità giudiziarie;
   il generatore di indici di anomalia per le operazioni sospette (GIANOS) è uno strumento operativo, un software diagnostico, realizzato in ambito associativo interbancario da esperti informatici sotto la supervisione dell'ABI, basato sull'analisi delle registrazioni dell'archivio unico informatico (AUI) e volto a identificare una serie di anomalie predeterminate ai fini di antiriciclaggio sulle quali l'operatore e/o il responsabile antiriciclaggio deve adempiere una serie di interventi, dalla rettifica/regolarizzazione dei dati errati o mancanti all'invio delle segnalazioni sulle possibili «operazioni sospette» all'UIF e i dati aggregati dell'archivio unico informatico;
   da un articolo del Corriere della Sera del 19 dicembre 2015 dal titolo «Bankitalia: i 20 mila “clienti fantasma” di Banca Etruria» si apprende: «Ci sono conti correnti con titolari incerti o inesistenti, o senza adeguate verifiche». Il verbale ispettivo di Bankitalia mette in evidenza che «a dicembre 2014 permangono ancora circa 25 mila rapporti da regolarizzare (di cui 5 mila conti correnti e 5 mila dossier titoli), sui quali sono state effettuate nel secondo semestre 2014, circa 1.200 forzature con 360 operazioni di importo superiore a mille euro» ... «anche l'individuazione del titolare effettivo presenta anomalie: a dicembre scorso i rapporti continuativi per i quali il titolare effettivo è stato dichiarato inesistente ammontano a più di 20.000; peraltro da un esame campionario su circa 700 posizioni è emerso che nel 20 per cento dei casi tali condizione è errata»; sarebbe di fondamentale importanza, ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2007 (prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo), titolo II (degli obblighi) e titolo V (disposizioni sanzionatorie finali), articolo 55 (sanzioni penali), conoscere il numero di operatori e relativi responsabili di Banca Etruria colpiti da Provvedimenti sanzionatori (multe, ammende e reclusioni) a fronte di tale evidenti anomalie, qualora le stesse dovessero esser confermate;
   la Banca d'Italia ha il compito di svolgere l'azione di vigilanza, sia ordinaria sia straordinaria, e l'esercizio delle sue competenze riguarda tutte le banche e gli istituti finanziari presenti in Italia, inclusa quindi Banca Etruria; nonostante la Banca d'Italia sia un istituto di diritto pubblico subordinato alla normativa nazionale non si conosce molto delle azioni svolte dalla stessa, soprattutto in sede di vigilanza straordinaria; nel corso dell'esercizio dei poteri di vigilanza, di solito, vengono redatti due tipi di verbali: uno integrale ed uno sintetico; gli interroganti non sono a conoscenza se l'autorità giudiziaria, in particolar modo per il caso di Banca Etruria, sia in possesso di entrambi i verbali e di tutti i documenti redatti dalla Banca d'Italia; visto che l'attività di risoluzione delle 4 banche ha inciso drammaticamente sulle disponibilità economiche e sulla vita di molte famiglie italiane che, in alcuni casi, hanno perso la totalità dei propri risparmi, sarebbe utile rendere partecipe il Parlamento, e le competenti Commissioni parlamentari, del contenuto di tali documenti ed in particolar modo delle relazioni predisposte dai vertici delle banche sottoposte a risoluzione;
   nel 2015 dall'UIF all'autorità giudiziaria sono stati comunicati oltre 75 mila casi di sospetto riciclaggio (Il Corriere della Sera del 7 gennaio 2015, articolo di Giovanni Bianconi, «Il dossier Riciclaggio») che riguardano circa 280 mila operazioni, le quali coinvolgono 169 mila persone fisiche e 82 mila persone giuridiche: sarebbe utile comprendere quante siano le segnalazioni complessive per operazioni sospette originariamente ricevute e vagliate dall'UIF, con indicazione dei dati relativi alle banche oggetto di risoluzione (ed in particolar modo a Banca Etruria), quante di queste siano poi effettivamente pervenute all'autorità giudiziaria e se il volume delle segnalazioni di Banca Etruria è in linea con il valore medio delle segnalazioni del settore bancario italiano nel suo complesso;
   dalla suddetta audizione del dottor Claudio Clemente, direttore dell'UIF si apprende che: «L'approfondimento da parte dell'UIF si avvale di diversi livelli di analisi e di un articolato sistema di rating delle segnalazioni. Le valutazioni di rischio degli analisti dell'UIF si affiancano a quelle cui sono tenuti gli operatori al momento dell'inoltro delle segnalazioni. Nel 2013 a oltre metà delle segnalazioni esaminate è stata attribuita dall'Unità una valutazione di rischio medio o elevato, confermando per una parte prevalente il giudizio degli operatori»;
   relativamente alle operazioni segnalate dalle banche oggetto di risoluzione, ed in particolar modo da Banca d'Italia, sarebbe utile comprendere che tipo di rating sia stato associato e nello specifico quale sia il livello di qualità delle segnalazioni; altresì sarebbe utile comprendere se ci sia il sospetto di carenze di segnalazioni;
   ai fini del corretto svolgimento delle indagini della magistratura sarebbe altresì utile comprendere se l'UIF abbia svolto ispezioni presso le banche oggetto di risoluzione e quale sia stato il relativo esito con particolare riguardo alle eventuali sanzioni applicate;
   da fonti stampa si apprende che le banche oggetto di risoluzione abbiano erogato finanziamenti a società riconducibili ai membri del consiglio di amministrazione della medesima banca e sarebbe utile comprendere quali a quante di queste operazioni siano state segnalate all'UIF;
   a tal proposito sarebbe utile altresì comprendere quale sia stato l'andamento del volume delle sofferenze delle banche oggetto di risoluzione sia nel periodo del commissariamento sia precedentemente ossia nel periodo in cui la Banca d'Italia ha provveduto ad esercitare i propri poteri di vigilanza ordinaria, e soprattutto sarebbe utile comprendere se i finanziamenti concessi dalle medesime banche, in particolar modo da Banca Etruria, siano stati erogati anche a società in crisi che difficilmente sarebbero state in grado di restituire quanto ricevuto;
   si segnalano le seguenti fonti stampa:
    a) da Il giornale.it si apprende che: «A luglio 2012 Pier Luigi Boschi e il presidente dell'istituto di credito Giuseppe Fornasari vanno in missione in Honduras. A chiamarli in Centramerica è Arnaldo Massini, ex direttore di filiale di banca a Perugia che si è inventato una seconda vita: è titolare di una società, la Aral, che a sua volta detiene il 22 per cento della GoldLake. E la Goldlake – come ha documentato Etruria News – opera nel campo dell'oro e dei metalli in Honduras»;
    b) da Il giornale.it si apprende che: «Tra le tanti ipotesi al vaglio degli inquirenti, infatti, ce n’è anche una inquietante, come riporta Libero: “Qualcuno, allentando dall'interno la griglia dei controlli obbligatori, possa aver favorito l'ingresso di clienti non proprio immacolati al fine di racimolare capitali anche in ambienti non proprio raccomandabili”»;
    c) da Il corriere.it si apprende che Banca Etruria fosse, dopo Banca d'Italia, l'istituto di credito con il maggior quantitativo di oro nei propri caveaux: 9 tonnellate e mezzo –:
   quali siano gli orientamenti del Governo, per quanto di competenza, su quanto esposto in premessa, e in particolar modo, se risulti se i preposti esponenti delle quattro banche commissariate e poi poste in risoluzione abbiano inoltrato all'Ufficio per l'informazione finanziaria per l'Italia tutte le comunicazioni normativamente previste, se l'Ufficio per l'informazione finanziaria abbia assunto, in modo indipendente da Banca d'Italia, tutte le opportune iniziative preposte alla prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo e se le operazioni in oro, e le relative dichiarazioni, effettuate presso le sedi delle medesime banche, siano conformi alle vigenti disposizioni normative, ed in che modo tali comunicazioni abbiano influito sull'attività del Governo e della Banca d'Italia. (5-07356)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   D'INCÀ e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   attraverso lo strumento del 5 per mille, introdotto, in via sperimentale, dall'articolo 1, comma 337, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e successivamente confermato negli anni, il contribuente, volontariamente, può destinare una quota della propria imposta sul reddito al sostegno delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale e alle associazioni di promozione sociale, alle fondazioni nazionali di carattere culturale, al finanziamento dell'università, degli enti della ricerca scientifica e della ricerca sanitaria ed al finanziamento delle associazioni sportive dilettantistiche;
   la presenza sul territorio di tali realtà associative sopperisce sempre più alla mancanza di fondi da parte degli enti locali per finalità solidaristiche soprattutto nel campo dei servizi educativi, in particolare per le associazioni sportive dilettantistiche la cui funzione sociale e il ruolo che rivestono nell'assicurare il diritto di tutti allo sport come strumento per il benessere psico-fisico, per la formazione della persona, per l'integrazione e le pari opportunità, per la tutela della salute, per la lotta contro il razzismo e la violenza e per promuovere lo sviluppo sostenibile, è fondamentale;
   l'importanza di tale funzione è, peraltro, contenuta nel libro bianco dell'Unione europea sullo sport dove si rimarca l'importanza crescente dell'attività sportiva nel contribuire in modo significativo agli obiettivi strategici di solidarietà e prosperità perseguiti dall'Unione europea e quale fonte di valori importanti come lo spirito di gruppo, la solidarietà, la tolleranza e la correttezza e contribuisce così allo sviluppo e alla realizzazione personali. Lo sport inoltre promuove il contributo attivo dei cittadini dell'Unione europea alla società, aiutando in tal modo a rafforzare la cittadinanza attiva;
   stante l'attuale situazione finanziaria della stragrande maggioranza degli enti locali, è chiaro che l'attività di queste associazioni sportive dipende esclusivamente dai contributi degli associati, dalle liberalità dei privati e dalle risorse provenienti dall'istituto del 5 x mille;
   tuttavia, numerose associazioni sportive dilettantistiche avrebbero lamentato notevoli ritardi nella erogazione di annualità precedenti, alcune risalenti anche al 2011 e molte sono in attesa di chiarimenti da parte del competente ufficio –:
   se tali notizie corrispondano al vero e quali iniziative urgenti intenda adottare per procedere all'accreditamento degli importi in sospeso che i cittadini hanno deciso volontariamente di devolvere per assicurare il prosieguo dell'attività di tali meritorie associazioni sportive senza fini di lucro. (5-07337)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta immediata:


   DANIELE FARINA, SCOTTO, FRATOIANNI, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, FASSINA, CLAUDIO FAVA, FERRARA, FOLINO, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la legge delega sulle pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio (legge 28 aprile 2014, n. 67), all'articolo 2, comma 3, lettera b), prevede l'abrogazione - con trasformazione della fattispecie in illecito amministrativo - del reato previsto dall'articolo 10-bis del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, con conservazione del rilievo penale in riferimento alle sole condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in materia;
   in riferimento a tale aspetto la delega non è stata esercitata, essendo inutilmente trascorso il tempo di 18 mesi dall'entrata in vigore della legge n. 67 del 2014 (tempistica prevista dal comma 4 dell'articolo 2 della legge), senza che il Governo vi abbia provveduto;
   quanto accaduto non può che risultare grave, tanto più in riferimento ad una norma, quale è l'articolo 10-bis del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione, nell'ambito di misure in tema di immigrazione che hanno inquadrato e affrontato il fenomeno migratorio come un mero tema elettoralistico e propagandistico, senza alcun approccio o soluzione all'altezza delle sfide della globalizzazione;
   in particolare, il cosiddetto «reato di clandestinità» (articolo 10-bis del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 186) è stato introdotto con la legge 15 luglio 2009, n. 94, concernente «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica», entrata in vigore l'8 agosto 2009, che comporta, a carico dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio, qualora siano richiesti di un qualsiasi atto, l'obbligo di denunciare la persona definita come «clandestina», ovvero il migrante colpevole di non possedere o di avere perduto (suo malgrado e, in ogni caso, anche temporaneamente) il permesso di soggiorno;
   il reato di clandestinità si pone ad avviso degli interroganti in aperto contrasto con la Costituzione, punendo di fatto la persona non in conseguenza di un suo comportamento contrario alle norme, bensì per il mero trovarsi in una condizione personale di difetto di permesso di soggiorno, e dunque in palese violazione dell'articolo 3 della Costituzione. Trattasi di una disposizione che ha posto il nostro Paese, secondo gli interroganti, in una condizione di illegalità rispetto alla normativa europea, disattendendo le norme costituzionali in tema di diritti inalienabili delle persone, nonché le convenzioni internazionali a tutela dello straniero;
   sulla scia di quanto stabilito dall'Unione europea, e in linea con i principi di uno Stato di diritto, sin da subito è risultato evidente il contrasto dell'articolo 10-bis del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione con il dettato costituzionale sui diritti inalienabili delle persone, nonché con le convenzioni internazionali a tutela dello straniero; norma che nel tempo ha portato all'incarcerazione di più di 3.000 persone;
   il reato di immigrazione clandestina, peraltro, si evidenzia anche come controproducente, in quanto - come anche riferito dal Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Franco Roberti - è «un ostacolo alle indagini» e «non ha avuto finora una funzione dissuasiva»; lo stesso Roberti ha anche dichiarato che con la depenalizzazione del reato «sarà più facile individuare e colpire i trafficanti di esseri umani»;
   particolarmente grave appare, poi, l'atteggiamento del Governo, e in particolare del Ministro dell'interno che, come da ultimo dichiarato, ritiene che l'abrogazione del reato di immigrazione clandestina trasmetterebbe all'opinione pubblica un «messaggio negativo» per «la percezione di sicurezza in un momento particolarissimo per l'Italia e l'Europa»; dunque, «motivi di opportunità fin troppo evidenti» porterebbero ad escludere l'abrogazione del reato di immigrazione clandestina –:
   quali siano le intenzioni del Governo quanto all'abrogazione del «reato di clandestinità», ingiusto e controproducente, previsto dell'articolo 10-bis del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione, già oggetto di esplicita delega al Governo, non esercitata, quanto alla sua espunzione dal nostro ordinamento penale. (3-01924)


   VARGIU. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 novembre 2014 è stato completato il trasferimento presso la nuova casa circondariale di Uta dei detenuti precedentemente reclusi nel carcere di Buoncammino in Cagliari;
   la struttura carceraria cagliaritana è stata edificata nel colle di Buoncammino, tra il 1887 e il 1897, con una superficie coperta di oltre 15000 metri quadri, in una sede considerata periferica e sicura nella città di allora, in adiacenza ai quartieri militari;
   tale sede periferica, nel successivo sviluppo urbanistico della città di Cagliari, ha acquisito una nuova centralità, oggi incompatibile con la destinazione carceraria, al punto di rappresentare uno dei motivi che ha indotto l'innesco del percorso di attuale dismissione;
   in particolare, l'attuale carcere di Buoncammino occupa una posizione strategica in relazione alle strutture universitarie contigue alla piazza d'Armi e del complesso scientifico e dell'ospedale militare ed è pienamente inserita nel contesto dei percorsi turistico-archeologici dell'Anfiteatro romano, dell'Orto dei Cappuccini, della villa di Tigellio, dell'orto botanico e dei giardini pubblici;
   il carcere è, inoltre, contiguo agli insediamenti militari dello stesso Colle di Buoncammino, alcuni dei quali sono (o potrebbero essere) in dismissione;
   il carcere occupa una delle posizioni maggiormente panoramiche della città di Cagliari, con affaccio su entrambi i versanti del Golfo, è prossimo allo storico quartiere di Castello ed è contornato dalla passeggiata del Buon Cammino e dal colle di San Lorenzo, con la suggestiva chiesetta Vittorina;
   è dunque del tutto naturale affermare che il carcere di Buoncammino rappresenta un asset strategico del futuro sviluppo turistico ed economico della città di Cagliari, rappresentando un elemento indispensabile della narrazione identitaria che deve costituire l'investimento fondamentale per il futuro della città;
   all'atto del trasferimento della popolazione carceraria, si è registrato il grande interesse della città nei confronti della struttura che, in varie occasioni, è stata visitata da migliaia di cagliaritani che hanno certificato quanto lo stabile sia considerato un elemento imprescindibile della storia recente e dell'anima profonda della città;
   successivamente all'abbandono dell'originaria destinazione di uso carceraria, è iniziato a Cagliari un intenso dibattito sulla destinazione futura della struttura, in coerenza con le esigenze della memoria, ma anche dello sviluppo economico futuro della città;
   mentre tale dibattito è in corso, i giornali locali hanno pubblicato notizie sull'utilizzo del bene da parte dell'Agenzia del demanio che ne detiene l'uso, tali da precludere qualsiasi disponibilità per finalità di interesse generale;
   in particolare, il quotidiano locale l'Unione Sarda, in data 29 novembre 2015, riferisce che la stessa Agenzia del demanio avrebbe trasferito nella sede del vecchio carcere gli uffici del DAP (Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria), dell'UEPE (Ufficio locale per l'esecuzione penale esterna), gli archivi della corte d'appello e della prefettura e la sede della commissione per l'immigrazione;
   l'ordine del giorno n. 52 del consiglio comunale di Cagliari, approvato in data 4 novembre 2014, paventerebbe invece il possibile riuso del carcere di Buoncammino come sede di detenzione dei minori attualmente ospitati presso l'Istituto di pena minorile di Quartucciu;
   tali trasferimenti, che verrebbero definiti «temporanei» dalla stessa Agenzia del demanio, avrebbero comportato la disdetta dei contratti di affitto degli stabili che ospitavano le strutture statali trasferite;
   la disdetta dei contratti d'affitto comporterebbe significativi risparmi (nell'ordine di qualche centinaia di migliaia di euro all'anno) per la stessa Agenzia del demanio, andando a configurare situazioni che, sia sotto il profilo economico, che sotto quello logistico, rischiano di essere difficilmente reversibili;
   sembra dunque sostanzialmente definito un percorso statale di riutilizzo del bene, che avrebbe escluso da qualsiasi concertazione delle scelte sia la regione autonoma della Sardegna, che il comune di Cagliari, e che non avrebbe più alcuna caratteristica di «temporaneità»;
   mentre la precedente attività carceraria appare sicuramente ascrivibile alle competenze statali che giustificavano la detenzione del bene, non altrettanto si può dire per l'eventuale occupazione della struttura da parte di uffici decentrati dello Stato, che possono sicuramente essere allogati in strutture urbanistiche di pregio assolutamente differente;
   in particolare, tale «ripensamento» della destinazione del bene sembra avvenire in spregio all'articolo 14, del titolo terzo dello statuto regionale sardo (avente una valenza costituzionale) che prevede l'acquisizione al patrimonio regionale di tutti i beni dismessi, di cui non sia più dimostrabile la valenza strategica per lo Stato;
   tale eventuale destinazione dell'ex carcere di Buoncammino ad uso di uffici statali offenderebbe l'intera città di Cagliari, sottraendole un'opportunità di sviluppo, in uno specifico contesto urbano che appare invece strategico per l'economia e l'identità del capoluogo della Sardegna;
   il danno di immagine per lo Stato, derivante dal riutilizzo dell'ex carcere in modo non coerente rispetto alle aspettative della cittadinanza, sarebbe imponente e tale da rendere assolutamente negativo il saldo con i modesti risparmi economici eventualmente ottenuti;
   il comune di Cagliari e la regione autonoma della Sardegna avrebbero recentemente interloquito con il Ministero della giustizia per esporre le ragioni giuridiche e di opportunità che rendono indispensabile la riacquisizione al patrimonio regionale dell'ex carcere di Buoncammino in Cagliari, prospettando alcuni progetti di riutilizzo dello stesso –:
   se, in quali tempi e con quali eventuali condizioni, il Ministero di giustizia intenda ottemperare alla richiesta della regione autonoma della Sardegna di trasferimento al patrimonio regionale dell'ex casa circondariale di Buoncammino in Cagliari. (3-01925)


   VERINI, FERRANTI, AMODDIO, BAZOLI, BERRETTA, CAMPANA, ERMINI, GIULIANI, GRECO, GIUSEPPE GUERINI, IORI, LEVA, MAGORNO, MARZANO, MATTIELLO, MORANI, GIUDITTA PINI, ROSSOMANDO, ROSTAN, TARTAGLIONE, VAZIO, ZAN, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   poche settimane prima dell'avvio della XVII legislatura, l'8 gennaio 2013, il tema del sovraffollamento delle carceri italiane era stato affrontato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, con la cosiddetta sentenza Torreggiani, con la quale la Corte europea dei diritti dell'uomo aveva condannato l'Italia e le aveva intimato di risolvere, entro il 24 maggio 2014, il problema del malfunzionamento cronico del sistema penitenziario poiché la situazione relativa al sovraffollamento era drammatica, così come era stato sottolineato con forza anche dall'allora Presidente della Repubblica Napolitano nel messaggio rivolto alle Camere, nel quale chiedeva misure che potessero essere adottate per rendere meno pesante la condizione carceraria e, al contempo, più certa la pena: si andava dalla richiesta di una «incisiva depenalizzazione» alla necessità della costruzione di nuove carceri, dal ricorso più vasto agli arresti domiciliari, alla limitazione della custodia cautelare e alla possibilità di far scontare la pena dei detenuti stranieri nei loro paesi di origine;
   per quanto riguardava, poi, i rimedi al «carattere strutturale e sistemico del sovraffollamento carcerario» in Italia, la Corte europea dei diritti dell'uomo richiamava la raccomandazione del Consiglio d'Europa «a ricorrere il più possibile alle misure alternative alla detenzione e a riorientare la loro politica penale verso il minimo ricorso alla carcerazione, allo scopo, tra l'altro, di risolvere il problema della crescita della popolazione carceraria»;
   l'articolo 27 della Costituzione stabilisce che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato: si tratta, infatti, di un principio che, pur se spesso invocato, non ha ancora trovato la sua piena applicazione: oltre alle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, lo ricorda continuamente soprattutto l'esperienza quotidiana di chi, con molte difficoltà, ogni giorno opera negli istituti penitenziari;
   in risposta a questo Governo e Parlamento hanno dato il via ad un percorso di interventi in materia carceraria: la legge sulle pene detentive non carcerarie e sulla sospensione del procedimento con messa alla prova per reati di non particolare allarme sociale, ispirata alla cosiddetta «probation processuale», ha, ad esempio, introdotto importanti norme in grado di incidere sulla situazione emergenziale delle carceri e di diminuire il carico dei procedimenti penali, evitando il processo, che viene sospeso per sottoporre l'imputato ad un progetto che lo metta alla prova: se l'esito è positivo, il reato si estingue, favorendo una graduale crescita delle misure alternative al carcere e influenzando positivamente il sistema di esecuzione della pena;
   molte altre sono state le misure volte a ridurre il numero dei reclusi in carcere, attraverso interventi tanto di diritto penale (delega al Governo per l'introduzione di pene detentive non carcerarie e per depenalizzare), quanto di diritto processuale penale: molto importante anche l'articolo 2 del decreto legge n. 78 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 94 del 2013, e l'articolo 3 del decreto legge n. 146 del 2013, convertito, con modificazioni, della legge n. 10 del 2014, che hanno, da un lato, ridimensionato le preclusioni all'accesso alle misure alternative nei confronti dei condannati recidivi e, dall'altro, dilatato i presupposti per l'applicazione dell'affidamento in prova al servizio sociale, anche grazie ai quali si sono fatti notevoli passi in avanti verso il sostanziale abbattimento del fenomeno del sovraffollamento e un riallineamento con gli standard europei;
   sempre più rilevante è risultato, inoltre, l'apporto degli enti territoriali al percorso dell'esecuzione penale esterna e si va delineando come sempre più sistematico l'intervento del terzo settore che da sempre costituisce una grande risorsa del nostro Paese;
   per tale via si sta gradualmente realizzando il coinvolgimento della società nell'opera del recupero del condannato. La valorizzazione dei comportamenti attivi diretti a riparare il danno causato dalla commissione del reato, prima nei confronti della vittima e poi nei confronti della società, costituisce la chiave di volta per rendere accettabile agli occhi della pubblica opinione una pena scontata fuori dal carcere: il ricorso, reso più semplice e più efficace, alle pene alternative si sta rivelando positivo ed efficace in termini di rieducazione, legalità e sicurezza, a dimostrazione che le sterili politiche securitarie a parole, lungi dal dimostrarsi garanzia di legalità, sono superate dal punto di vista della modernità del diritto;
   la strada però è ancora lunga e richiede impegno, investimento di risorse e determinazione in tema di formazione, lavoro, socializzazione, mediazione culturale, recupero e riabilitazione e reinserimento dei detenuti –:
   se il Ministro interrogato non ritenga utile e opportuno fornire dati il più possibile aggiornati in merito all'effettivo grado di applicazione sull'ammissione al lavoro esterno, nonché in merito all'impatto dell'applicazione delle nuove norme in materia di messa alla prova e, più in complessivamente, sull'andamento dell'esecuzione penale esterna, e infine, nel quadro più generale delle politiche carcerarie, quali ulteriori iniziative intenda adottare al fine di assicurare un decisivo impulso alla formazione del personale, al lavoro esterno e alla socializzazione e al reinserimento dei detenuti, in linea con quanto emerso anche dai lavori degli Stati generali dell'Esecuzione Penale. (3-01926)


   BALDASSARRE, ARTINI, BECHIS, MATARRELLI, SEGONI, TURCO, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   essendo passato già un mese dal cosiddetto «decreto salva banche», ancora non risulta che sia stato disposto alcun provvedimento cautelare e conservativo del patrimonio degli amministratori, dei revisori e di chi avrebbe dovuto vigilare e sorvegliare sulla situazione finanziaria delle banche;
   è di tutta evidenza, ad avviso degli interroganti, che le banche responsabili dell'amministrazione e i soggetti di cui sopra possono facilmente spogliarsi di tutti i loro beni anche cedendoli a persone complici o a prestanome improvvisati;
   ad oggi non risulta attivata alcuna procedura di fallimento o di liquidazione coatta amministrativa nei confronti delle banche in dissesto né sono stati nominati i relativi organi che si occupano della situazione fallimentare delle stesse banche salvo, l'avvio della procedura di risoluzione delle quattro banche oggetto del sopradetto decreto;
   dovranno essere accertate le responsabilità civili degli amministratori, dei revisori e di chi doveva vigilare e sorvegliare le banche sottoposte al provvedimento del 23 novembre 2015 per evitare anche il decorso della prescrizione delle relative responsabilità;
   in attesa di accertare le responsabilità sarebbe stato possibile emettere provvedimenti cautelari e conservativi del patrimonio dei soggetti responsabili su cui rivalersi qualora venisse accertato successivamente il ruolo rivestito nel dissesto finanziario delle banche stesse;
   ai sensi dell'articolo 35 del decreto legislativo n. 180 del 2015, durante la procedura di risoluzione a cui sono state sottoposte le sopradette quattro banche, «l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità e di quella dei creditori sociali contro i membri degli organi amministrativi e di controllo e il direttore generale, dell'azione contro il soggetto incaricato della revisione legale dei conti e dell'azione del creditore sociale contro la società che esercita l'attività di direzione e coordinamento, spetta ai commissari speciali sentito il comitato di sorveglianza previa autorizzazione della Banca d'Italia. In mancanza di loro nomina l'azione di responsabilità spetta a un soggetto designato dalla Banca d'Italia»;
   il presidente Roberto Nicastro, nominato il 22 novembre 2015 dalla Banca d'Italia presidente del consiglio di amministrazione di Nuova Banca Marche, Nuova Carife, Nuova Banca Etruria e Nuova Cari Chieti, non ha iniziato alcuna procedura nei confronti dei patrimoni degli amministratori responsabili, neanche il congelamento dei loro beni, ma si è limitato a redigere una «lettera aperta» sui quotidiani locali in cui evoca un «rinforzato spirito di fiducia» e una «relazione forte, intensa e duratura» con i risparmiatori di Banca Marche, Carife, Banca Etruria e Cari Chieti –:
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative normative per prevedere l'adozione di misure cautelari conservative del patrimonio di tutti coloro che hanno amministrato le quattro banche, oggetto del decreto finalizzato a salvarle, oltre a quello dei revisori e di coloro che dovevano vigilare sulla situazione finanziaria delle stesse banche negli ultimi 10 anni. (3-01927)

Interrogazione a risposta scritta:


   DADONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 2 gennaio 2015 l'interrogante apprendeva da quotidiani locali come un detenuto della casa di reclusione di Alba fosse stato ricoverato all'ospedale San Lazzaro dopo aver contratto la legionella;
   questo caso non è il primo dell'istituto penitenziario, visto che nei mesi passati ad aver contratto la malattia sono stati anche un agente di polizia penitenziaria e un altro detenuto;
   il medesimo problema si era già avuto nel carcere di Monza nel mese di febbraio 2014;
   nell'agosto 2013 nella casa di reclusione di Sulmona sempre un detenuto aveva contratto la legionella;
   si ricorda che tale malattia è altamente infettiva e nei casi più gravi può portare alla morte;
   a rischio di contagio, quindi, non sono solo i detenuti, ma anche gli agenti di polizia penitenziaria, i volontari, i parenti dei detenuti stessi e tutto il personale che quotidianamente frequenta le strutture penitenziarie;
   la legionella si diffonde nelle carceri anche per l'obsolescenza, oltre che per le scarse condizioni igieniche delle stesse;
   il 5 gennaio 2016 il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha emesso un comunicato stampa in cui informa che sono state avviate «tutte le procedure per la bonifica dell'impianto idrico della casa circondariale di Alba, dove recentemente si sono verificati alcuni casi di affezioni respiratorie da legionellosi. A tutela della salute del personale penitenziario e della popolazione detenuta il provveditorato regionale e la direzione generale in queste ore stanno provvedendo al trasferimento dei detenuti presso gli istituti penitenziari del Piemonte, nel pieno rispetto del principio di territorialità della pena. Il personale penitenziario sarà temporaneamente reimpiegato presso altre strutture nel rispetto delle vigenti procedure. Gli interventi di bonifica dell'impianto idrico sono stati disposti dal locale Servizio di Igiene e Sanità pubblica»;
   tale intervento del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria appare opportuno e corretto, ma, ad avviso dell'interrogante, onde evitare la diffusione di legionella, sarebbe necessaria un'attività di prevenzione in tutte le case circondariali e di reclusione –:
   se il Ministro, a fronte di quanto esposto in premessa, ritenga sufficienti le verifiche che attualmente vengono effettuate sugli impianti idrici degli istituti penitenziari;
   se, coordinandosi con le competenti autorità sanitarie, abbia intenzione di promuovere un piano di controllo di tutte le strutture detentive italiane al fine di evitare casi come quello di Alba e di altre case circondariali. (4-11616)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta immediata:


   TAGLIALATELA e RAMPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 24 dicembre 2015 il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, in occasione della loro visita a Pompei per inaugurare l'apertura di sei edifici recentemente restaurati, hanno annunciato la prossima realizzazione di un hub ferroviario che collegherà direttamente gli scavi di Pompei alla linea ferroviaria dell'alta velocità;
   se fosse confermato il progetto attuale, la nuova stazione ferroviaria sorgerà lontana dal centro cittadino sull'incrocio della linea ferroviaria Napoli - Salerno e quella della circumvesuviana Napoli - Sorrento, sarà collegata direttamente agli scavi archeologici da un percorso pedonale e sarà affiancata da un parcheggio di interscambio modale di circa duecento posti auto;
   il nuovo mega hub dovrebbe costare circa trentacinque milioni di euro tra fondi europei, statali e regionali, e dovrebbe essere realizzato in due anni e mezzo, per poter poi permettere di raggiungere il sito archeologico a circa tre milioni di turisti all'anno;
   laddove fosse confermato il progetto nella sua attuale stesura, la raggiungibilità degli scavi direttamente dalla rete ferroviaria dell'alta velocità, tuttavia, escluderà dal circuito turistico Pompei e i centri minori dell'area vesuviana, determinando un ingente danno alle economie locali e, nel lungo periodo, costringendo alla chiusura tutte quelle attività commerciali che traggono beneficio dalla presenza turistica diretta agli scavi;
   nell'elaborazione del progetto non vi è stata alcuna concertazione con gli organi di governo e territoriali, come denunciato dallo stesso sindaco di Pompei, e né sembra essere stata coinvolta l'amministrazione della città metropolitana di Napoli;
   il sindaco di Pompei ha proposto una diversa ubicazione dell’hub che prevede la riqualificazione delle già esistenti stazioni sia delle Ferrovie dello Stato che della circumvesuviana, anche al fine di evitare le citate ricadute negative sull'economia locale –:
   se non ritenga di prendere in considerazione il progetto alternativo proposto, e comunque se il Governo abbia effettuato una ricognizione delle conseguenze di carattere economico ed occupazionale sull'economia locale. (3-01928)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TERZONI, DAGA, ZOLEZZI, MANNINO, MICILLO, DE ROSA, BUSTO, VIGNAROLI, CECCONI, AGOSTINELLI e PARENTELA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 16 dicembre 2015 è stata diffusa la notizia della mancata fusione per incorporazione della Quadrilatero nell'Anas, socio di maggioranza (al 93 per cento);
   a quanto si apprende dalle note stampa l'assemblea della società che sta portando avanti i lavori della superstrada mare monti e di altre importanti infrastrutture legate al territorio maceratese ha dovuto prendere atto della ferma volontà di provincia di Macerata e Camera di commercio di non cedere le proprie quote;
   il 13 ottobre 2015 le agenzie di stampa rilanciavano il contenuto del comunicato diffuso da ANAS con il quale si annunciava che consiglio di amministrazione di Anas aveva approvato il progetto di fusione per incorporazione in Anas della società Quadrilatero Marche-Umbria spa. L'operazione di fusione, secondo il contenuto della nota diffusa dalla stessa ANAS, si inquadrava nel più ampio processo di razionalizzazione e riorganizzazione degli assetti proprietari di Anas, finalizzato ad una maggiore efficienza nella gestione delle attività istituzionali, mediante la razionalizzazione delle sinergie del gruppo stesso. Venivano indicati come atti collegati al raggiungimento di questi obiettivi il processo che ha portato allo scioglimento anticipato e conseguente messa in liquidazione della società controllata Centralia e la prevista messa in liquidazione della società collegata Autostrada del Molise spa. Netta nota si legge anche che Anas aveva avviato una serie di attività propedeutiche all'operazione di fusione per incorporazione di Quadrilatero Marche-Umbria, che avevano portato alle dimissioni dell'intero consiglio d'amministrazione di Quadrilatero e alla nomina da parte dell'assemblea degli azionisti, tenutasi il 30 settembre, di un amministratore unico, il presidente uscente Guido Perosino, cui sono stati affidati «tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione della società e il cui mandato durerà fino al perfezionamento dell'operazione di fusione»;
   secondo le intenzioni di ANAS l'intera procedura di fusione dovrebbe completarsi entro il primo semestre dell'esercizio 2016 –:
   se il Ministro intenda chiarire se esistono e quali sono le dirette conseguenze della mancata fusione rispetto ai tempi di realizzazione delle varie opere ad oggi in mano a Quadrilatero spa;
   quali conseguenze, in termini di razionalizzazione e riorganizzazione degli assetti proprietari di Anas, comporti la mancata fusione;
   come si intenda procedere rispetto all'operatività dell'amministratore unico che secondo il piano di fusione sarebbe dovuto rimanere in carica per il tempo necessario a portare a termine l'operazione. (5-07338)


   DAGA, MANNINO, TERZONI, ZOLEZZI, BUSTO, DE ROSA, MICILLO e VIGNAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel maggio 2014 è stato approvato il decreto-legge 47 del 2014 convertito dalla legge 80 del 2014 che all'articolo 3, comma 1, prevede:
    «1. All'articolo 13 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, sono apportate le seguenti modificazioni:
     a) il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. In attuazione degli articoli 47 e 117, commi secondo, lettera m), e terzo della Costituzione, al fine di assicurare il coordinamento della finanza pubblica, i livelli essenziali delle prestazioni e favorire l'accesso alla proprietà dell'abitazione, entro il 30 giugno 2014, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, previa intesa della Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, approvano con decreto le procedure di alienazione degli immobili di proprietà dei comuni, degli enti pubblici anche territoriali, nonché degli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, anche in deroga alle disposizioni procedurali previste dalla legge 24 dicembre 1993, n. 560. Il suddetto decreto dovrà tenere conto anche della possibilità di favorire la dismissione degli alloggi nei condomini misti nei quali la proprietà pubblica è inferiore al 50 per cento oltre che in quelli inseriti in situazioni abitative estranee all'edilizia residenziale pubblica, al fine di conseguire una razionalizzazione del patrimonio e una riduzione degli oneri a carico della finanza locale. Le risorse derivanti dalle alienazioni devono essere destinate esclusivamente a un programma straordinario di realizzazione o di acquisto di nuovi alloggi di edilizia residenziale pubblica e di manutenzione straordinaria del patrimonio esistente.»;
   l'articolo 4 del decreto-legge 47 del 2014 convertito dalla legge n. 80 del 2014 prevede con una tempistica ben chiara l'approvazione di un decreto attuativo volto a promuovere un programma di recupero di immobili e alloggi di edilizia residenziale pubblica; lo stesso articolo prevede che: «Il Governo riferisce alle competenti Commissioni parlamentari circa lo stato di attuazione del Programma di recupero di cui al presente articolo decorsi sei mesi dall'emanazione del decreto di cui al comma 1 e successivamente ogni sei mesi, fino alla completa attuazione del Programma»;
   l'articolo 14, del cosiddetto decreto-legge «giubileo» «Interventi in materia di edilizia residenziale pubblica», prevede: «Al fine di incentivare il programma di recupero di immobili e alloggi di edilizia residenziale pubblica anche per prevenire fenomeni di occupazione abusiva, è autorizzata la spesa di 25 milioni di euro per l'anno 2015 da ripartire sulla base del programma redatto ai sensi dell'articolo 4 del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80;
   nella seduta dell'VIII Commissione (Ambiente) del 29 ottobre 2015, in risposta all'interrogazione n. 5/06737, il Governo ha sostenuto che: «i fondi disponibili in questa prima fase renderanno possibile intervenire su circa 4400 alloggi con interventi di lievi entità e su oltre 18.000 alloggi con interventi di ripristino di alloggi di risulta e di manutenzione straordinaria. Ciò posto, è intenzione del MIT rafforzare l'intervento sull'edilizia residenziale pubblica con il rifinanziamento del programma di recupero mediante il reperimento di nuove risorse» –:
   se il Ministro, in base a quanto previsto dalle norme riportate in premessa intenda riferire al più presto alla Commissione parlamentare competente circa lo stato di attuazione delle disposizioni sopra citate ed in particolare relativamente allo stato di attuazione del programma di recupero previsto dall'articolo 4 del decreto-legge n. 47 del 2014.
(5-07347)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 6 gennaio 2016 si è disputata a Torino la partita di calcio tra la Juventus e l'Hellas-Verona. In tale occasione sembra che, ancora una volta, i tifosi della società scaligera vengano considerati individui pericolosi e, dunque, nei loro confronti si adottino eccessive misure di controllo;
   infatti, gli stewart, addetti al controllo dei varchi presso lo stadio Juventus Stadium, hanno costretto diversi tifosi a togliere indumenti e scarpe per verificare che non introducessero oggetti o altro all'interno dello stadio, il tutto documentato da foto e video ripresi da quotidiani e giornalisti;
   non è la prima volta che, nei confronti di questi tifosi, si tiene un simile comportamento;
   a tal proposito, l'interrogante fa presente che già il 19 dicembre 2015 è stata presentata l'interrogazione a risposta scritta n. 4-11512 in merito a fatti incresciosi subiti dai tifosi dell'Hellas-Verona in occasione della partita che si svolgeva nel capoluogo partenopeo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e di quali siano i motivi che hanno spinto gli addetti alla sicurezza a simili controlli;
   quali eventuali iniziative di competenza intenda intraprendere per evitare che in futuro, e non solo alla tifoseria del Verona, venga riservato un simile trattamento. (4-11614)


   SPESSOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la polizia postale e delle comunicazioni, quale «specialità» della polizia di Stato nell'azione di prevenzione e contrasto della criminalità informatica, ha attivato un sito web (www.commissariatodips.it), gestito da investigatori, tecnici ed esperti che garantiscono un servizio attivo in materie giuridiche e sociali;
   tale piattaforma on-line è suddivisa in tre macro aree di intervento e dovrebbe rendere più fruibile e semplice la possibilità per il cittadino di interagire con la polizia postale senza la necessità di uscire di casa per recarsi al commissariato;
   in particolare, il sito web, alla sezione «segnala on-line» offre agli utenti la possibilità di compilare e inviare segnalazioni telematiche all'ufficio della polizia postale e delle comunicazioni prescelto, previa registrazione sul sito;
   al momento della registrazione, necessaria per segnalare un reato informatico, per esperienza diretta dell'interrogante, l'utente riesce a concludere la procedura di iscrizione al sito, ma non riesce ad accedere con le credenziali appena utilizzate per la registrazione –:
   se il Ministro sia a conoscenza del malfunzionamento rilevato dagli utenti nel corso della procedura di registrazione alla piattaforma telematica della polizia postale e delle comunicazioni, necessaria per effettuare al commissariato una segnalazione on-line, e quali iniziative intenda intraprendere per ripristinare quanto prima l'effettiva funzionalità del servizio e rendere nuovamente accessibile ai cittadini il portale. (4-11623)


   BRESCIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizia di stampa riportata in data 11 gennaio 2015 sul blog di informazione indipendente DinamoPress si apprende del caso di Moses, venticinquenne di origini nigeriane nei confronti del quale sono stati emanati prima un provvedimento di respingimento disposto dal questore di Taranto e, successivamente, un decreto di trattenimento firmato dal questore di Bari, predisponendone la reclusione nel CIE di Bari a partire dal 7 dicembre 2015, giorno del suo arrivo nel porto di Taranto;
   durante l'udienza di convalida del provvedimento tenutasi il 18 dicembre 2015 presso il CIE di Bari, Moses ha raccontato al giudice della seconda sezione civile del tribunale di Bari, Maria Rosaria Porfillo, che al momento del suo sbarco nel porto di Taranto non gli è stato possibile chiedere protezione poiché nessuno del personale lì presente parlava la sua lingua o l'inglese e che gli sono stati fatti firmare dei fogli senza averne compreso il contenuto;
   la sentenza rilasciata dal giudice ha individuato nella vicenda di Moses una gravissima violazione degli articoli 13 e 24 della Costituzione, poiché le questure di Bari e Taranto avrebbero difatti violato la libertà personale del giovane, recluso nel CIE di Bari dal 7 dicembre fino all'immediata cessazione degli effetti del provvedimento di trattenimento che, insieme al provvedimento di respingimento, è stato quindi considerato illegittimo;
   come riportato dall'articolo sopracitato, sembrerebbe infatti che il provvedimento di respingimento nei confronti di Moses sia stato arbitrariamente emanato sulla base del decreto firmato dalla dirigente dell'ufficio immigrazione della questura di Taranto, dottoressa Rossella Fiore, in cui si riporta che «il cittadino extracomunitario di nazionalità nigeriana è stato rintracciato al largo delle coste siciliane da personale della Marina Militare Italiana Aviere, nell'ambito dell'operazione Triton, al di fuori dei posti di frontiera autorizzati, dopo aver tentato di eludere il dispositivo di prevenzione degli sbarchi clandestini e subito dopo è sbarcato nel porto di Taranto» e che «è stato ammesso nel territorio nazionale per mere necessità di pubblico soccorso e successivamente accompagnato in questa provincia»;
   la vicenda di Moses rappresenta un caso esemplificativo delle nuove prassi adottate nei centri hotspot di Pozzallo, Porto Empedocle, Trapani e Lampedusa, sempre più spesso luogo di «atti illegittimi e lesivi dei diritti di cui godono i migranti e i richiedenti asilo soccorsi in mare e sbarcati sul suolo italiano», così come sostenuto dall'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione (Asgi) in una lettera al Ministero dell'interno datata 21 ottobre 2015 e citata nell'articolo sopramenzionato;
   sempre in questa lettera l'Asgi segnala molti casi di provvedimenti di respingimento adottati dai questori nei confronti di stranieri soccorsi in mare e sbarcati sul territorio italiano, attuati in maniera del tutto arbitraria prima che potessero effettivamente manifestare la loro volontà di presentare domanda di asilo, proprio come è accaduto a Moses –:
   se intenda adottare le iniziative di competenza al fine di consentire ai migranti che giungono sulle coste italiane di essere informati esaustivamente e in una lingua loro comprensibile del diritto di presentare domanda di asilo prima che vengano arbitrariamente adottati provvedimenti di respingimento o di espulsione nei loro confronti;
   se intenda assumere le iniziative di competenza volte a prevenire espulsioni o respingimenti illegittimi di migranti dal nostro Paese, adottando prassi amministrative che garantiscano i diritti di ogni straniero soccorso in mare e la sua volontà di presentare domanda d'asilo. (4-11626)


   LAFORGIA e GIUSEPPE GUERINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel 2013 il centro di identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano è stato teatro di alcune rivolte violente che hanno causato danneggiamenti alle strutture, in particolare i settori C ed E, riducendo la disponibilità di posti disponibili;
   la Croce rossa italiana nel dicembre 2013 ha deciso di non gestire più il centro di identificazione ed espulsione, terminando il suo lavoro ad ottobre 2013, alla scadenza naturale della convenzione stipulata con la prefettura di Milano;
   l'assessore alle politiche sociali e cultura della salute del comune di Milano, Pierfrancesco Majorino, il 31 gennaio 2014 ha richiesto pubblicamente che il centro di identificazione ed espulsione non venisse riaperto e si trasformasse in un centro di accoglienza a disposizione del terzo settore, dove poter ospitare persone in difficoltà e realizzare progetti di integrazione;
   nell'ottobre del 2014 il CIE venne trasformato, grazie ad una convenzione firmata dal comune di Milano, prefettura e Viminale, in una struttura aperta all'accoglienza dei profughi in transito, con una capacità di circa 600 posti, ospitando complessivamente 8.000 persone circa;
   dei 600 posti letto disponibili, 300 sono all'interno dello spazio gestito da Gepsa per conto del comune di Milano, 100 in container a disposizione dei migranti in transito verso il nord Europa e altri 200 posti appaltati alla Croce Rossa che si occupa dei richiedenti asilo inviati dalla prefettura su mandato del Ministero stesso;
   si apprende dai quotidiani del 12 gennaio 2016 che sarebbe intenzione del Ministero dell'interno riaprire il CIE di via Corelli, con riferimento ad un documento in cui la ventilata riapertura verrebbe giustificata nell'ambito di «una politica di rimpatrio forzato sostenibile ed efficace, in conformità con l'approccio hotspot» che «implica l'aumento del numero di posti nei CIE nazionali dove poter attuare tutte le procedure che sono necessarie per il rimpatrio forzato dei migranti irregolari» –:
   se corrispondano al vero le informazioni raccolte dalla stampa;
   se il Ministro abbia intenzione di aprire un confronto con il comune di Milano prima di prendere la decisione di riaprire il centro di identificazione ed espulsione;
   se abbia intenzione di valutare la possibilità di sospendere la riapertura del centro di identificazione ed espulsione, aprendo un tavolo di confronto con il comune di Milano per individuare soluzioni concrete atte a far fronte alla probabile carenza di posti letto disponibili in città, conseguenza naturale della riapertura del CIE;
   se non ci siano spazi più idonei, nell'ambito delle politiche europee sull'immigrazione, per attuare le procedure stabilite in sede comunitaria. (4-11629)


   CATALANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in risposta all'interrogazione a risposta scritta n. 4-07062, il Governo, dopo aver confermato che il signor Alessandro Carollo «è stato vittima di due episodi di natura intimidatoria, verosimilmente uniti dal vincolo della continuazione» ha affermato che «gli episodi sembrano potersi ricondurre alla collaborazione con gli organi inquirenti che il predetto ha prestato in ordine ad alcune attività d'indagine»;
   nella medesima risposta, il Governo ha comunicato di avere attivato, fin dall'8 febbraio 2015, un «dispositivo di vigilanza generica radiocollegata», poi prorogato fino al 31 dicembre 2015 e che «nell'imminenza della scadenza, si procederà, come prescritto dalla normativa vigente, al riesame dell'esposizione a rischio del signor Carollo»;
   risulta all'interrogante che, negli scorsi mesi, si siano verificati altri eventi intimidatori, anche oggetto di denuncia da parte del predetto Carollo –:
   quale sia l'orientamento del Governo circa l'esposizione a rischio del signor Carollo e circa la rispondenza della vigilanza fin qui attivata alle sue finalità;
   se, in ogni caso, sia stata disposta la proroga o la rinnovazione del dispositivo di vigilanza a garanzia dello stesso.
(4-11630)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   stando alle informazioni pubblicate dagli organi di stampa, secondo fonti della prefettura di Trapani cinquanta dei centoventi immigrati clandestini sbarcati a Palermo il 28 dicembre 2015, sottoposti il 2 gennaio ad un provvedimento di allontanamento con accompagnamento alla frontiera in quanto nessuno aveva richiesto e/o non aveva diritto alla protezione internazionale, sono stati trasferiti in centri di accoglienza della regione Lombardia;
   pur se la questione dei flussi migratori verso il nostro Paese è oramai da anni una realtà acquisita, la gestione delle connesse problematiche viene affrontata come situazione emergenziale senza quindi una politica governativa di medio o lungo periodo;
   è manifesta, ad avviso dell'interrogante, l'incapacità di questo Governo di mettere in atto azioni dirette a contrastare il continuo flusso di immigrati che sbarcano sulle coste italiane;
   non è più accettabile l'atteggiamento, a giudizio dell'interrogante ipocrita, del Governo il quale continua a non volere attuare una corretta gestione dei flussi migratori verso il nostro Paese e si limita a scaricare le proprie responsabilità sugli enti locali che, già fortemente penalizzati dai tagli di risorse provocate dalla perdurante crisi e dalla mancata attuazione del federalismo fiscale, devono, in aggiunta, accollarsi spese enormi per l'erogazione di tali servizi, socio-assistenziali, a scapito dei cittadini residenti;
   oltre alla normale gestione delle problematiche connesse all'immigrazione di massa oggi si deve anche fare i conti con il pericolo del terrorismo internazionale di matrice fondamentalista islamica;
   è oramai noto come tra gli immigrati che sbarcano in Italia si nascondano anche affiliati alle organizzazioni terroristiche internazionali legate al fondamentalismo islamico –:
   se risponda al vero che i cinquanta extracomunitari trasferiti da Palermo in Lombardia siano stati interessati da un provvedimento di espulsione e, nel caso, quali siano le ragioni che hanno motivato il trasferimento degli extracomunitari nei centri di accoglienza per rifugiati umanitari della regione Lombardia;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per evitare che le amministrazioni dei piccoli comuni siano costrette ad ospitare immigrati in numero cospicuo mettendo a rischio l'ordine pubblico e la sicurezza dei propri cittadini. (4-11632)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   stando a quanto riportato da fonti di stampa on-line, la questura di Bologna avrebbe aperto un procedimento disciplinare nei confronti del segretario generale del Sindacato autonomo di polizia, Gianni Tonelli;
   alla base dell'iniziativa assunta dalla questura di Bologna vi sarebbe la circostanza che Gianni Tonelli abbia partecipato il 22 novembre 2015 ad una nota trasmissione di RaiTre indossando una polo che si è ritenuto facesse parte del vestiario in dotazione alla polizia di Stato;
   i regolamenti vigenti proibiscono in effetti al personale della polizia di Stato di indossare abiti appartenenti alle dotazioni della forza di polizia insieme ad altri indumenti civili;
   Gianni Tonelli, tuttavia, afferma di non aver indossato nessuna polo appartenente al vestiario ricevuto in dotazione e sottolinea come l'indumento indossato in trasmissione gli appartenesse in qualità di abito civile;
   le immagini della trasmissione permettono in effetti di notare sulla polo indossata da Tonelli elementi assolutamente estranei al materiale normalmente in dotazione al personale della polizia di Stato, come la sigla del SAP ed una scritta impressa sul tessuto che non potrebbero mai trovarsi su delle uniformi;
   non sarebbe da escludere pertanto che l'apertura di un'inchiesta a carico di Tonelli costituisca una forma neanche tanto velata di intimidazione nei confronti della sua attività sindacale e di denuncia delle carenze in fatto di equipaggiamenti che affliggerebbero le unità operative della polizia di Stato –:
   se, a fronte di quanto generalizzato in premessa, sia fondata l'apertura di un procedimento disciplinare a carico di Gianni Tonelli e cosa osti all'immediata archiviazione della vicenda. (4-11633)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di dicembre 2015 è stata disposta la sospensione di un dirigente del sindacato autonomo di polizia (Sap) in seguito alle dichiarazioni rese dallo stesso nel corso di una puntata della trasmissione televisiva «Ballarò»;
   i motivi della sospensione sarebbero da rinvenirsi in notizie ritenute false e tendenziose circa gli equipaggiamenti delle forze dell'ordine, che il dirigente aveva dichiarato essere estremamente precari ed insicuri;
   il sindacato ha espresso il proprio pieno sostegno al dirigente sospeso, e ha ribadito la veridicità delle sue affermazioni riguardo all'inadeguatezza dell'equipaggiamento utilizzato dai poliziotti, con specifico riferimento sia ai giubbotti antiproiettile, molti dei quali scaduti, sia alle armi obsolete, sia alle autovetture di servizio deteriorate, sia il logoramento dei caschi protettivi;
   secondo il Sap il provvedimento disciplinare di sospensione firmato dal capo della polizia contiene gravi elementi di falsità, che sono stati determinanti ai fini della decisione dell'allontanamento del dirigente;
   i sospetti ed i timori evidenziati dal Sap sono determinati dal fatto che quanto accaduto in realtà sia stato organizzato volutamente e con scopo intimidatorio per inibire quella parte dei componenti delle forze dell'ordine che stanno denunciando le condizioni di inadeguatezza ed estrema precarietà con le quali operano quotidianamente al servizio della comunità e a tutela della nazione;
   le criticità segnalate dal dirigente del Sap, inoltre, si collocano all'interno di un contesto di elevato rischio per la sicurezza nazionale cui consegue la necessità di una capillare sorveglianza del territorio, in considerazione delle costanti minacce del terrorismo internazionale di matrice islamica;
   il Sap ha anche rilevato come al collega sospeso non sia stato notificato alcun atto relativo a procedimento penale, ma, come suesposto, gli sia meramente stata notificata una sospensione dal servizio per motivi disciplinari, peraltro inapplicabile se si valutano le disposizioni degli impiegati civili dello Stato e non la speciale e posteriore normativa prevista per la polizia di Stato;
   la vicenda esposta ripropone le difficili condizioni in cui operano gli agenti di polizia proprio mentre la sicurezza di tutti i cittadini, e quindi in primo luogo quella delle forze dell'ordine, è maggiormente a rischio –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro in merito ai fatti descritti in premessa, con particolare riferimento sia alla sospensione del dirigente sia alle dotazioni strumentali e di mezzi in uso alle forze di polizia, e quali iniziative intenda assumere al fine di garantire la congruità e l'efficacia delle stesse. (4-11634)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito degli incontri dedicati all'esame dell'emergenza sicurezza nei territori di competenza, il 23 dicembre 2015 il sindaco di Cantù si è incontrato con il prefetto di Como;
   nella circostanza, stando alle ricostruzioni della stampa locale, si è fatto riferimento alle specifiche condizioni del canturino, dove è stato riconosciuto in atto un sensibile incremento dei reati contro il patrimonio;
   risultano in particolare in aumento, del 10 per cento i furti negli appartamenti;
   sono all'origine di un crescente allarme della cittadinanza canturina anche le rapine — è recente quella che l'8 gennaio 2015 è costata a un pensionato, settantenne addetto al botteghino la perdita ad opera di due rapinatori dell'incasso di circa 400 euro di una partita di basket presso il palazzetto Panini — i borseggi, gli atti di cosiddetta microcriminalità predatoria, i pestaggi e le risse;
   l'amministrazione comunale afferma di aver intensificato l'azione di presidio della polizia locale, estendendo i turni del personale e allargando la rete dei sistemi di videosorveglianza, ma quanto sta avvenendo dimostra che si tratta di misure insufficienti;
   occorre infatti anche una più incisiva presenza sul territorio delle forze di polizia nazionali a ordinamento civile o militare;
   sarebbe a questo scopo particolarmente utile avere una nuova caserma dei carabinieri a Cantù –:
   in che modo il Governo conti di concorrere, anche attraverso l'utilizzo dei militari, alla prevenzione e repressione dei furti e della microcriminalità, in forte aumento, nella zona di Cantù e se e quando in particolare si pensi di potenziare a questo scopo anche i presidi delle forze di polizia nel territorio comunale canturino, anche prevedendo l'allestimento di una nuova caserma per l'Arma dei Carabinieri. (4-11638)


   CAON. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 14, comma 1, del decreto legislativo n. 334 del 2000 «Riordino dei ruoli del personale direttivo e dirigente della Polizia di Stato», è stato istituito il ruolo direttivo speciale della polizia di Stato;
   il nuovo ruolo direttivo avrebbe dovuto essere costituito con 5 concorsi annuali, a partire dal 2001 e fino al 2005, per un totale di 1300 posti riservati agli ispettori della polizia di stato attraverso l'espletamento di concorsi per titoli ed esami con almeno dieci anni di servizio, secondo le previsioni di cui agli articoli 24 e 25 del medesimo decreto legislativo;
   ad oggi le suddette disposizioni di legge sono rimaste inattuate, in quanto il Ministero dell'interno non ha mai bandito alcun concorso per la copertura della dotazione organica del ruolo direttivo speciale, così come è avvenuto nelle altre forze di polizia ad ordinamento militare (carabinieri, Guardia di finanza) e nella polizia penitenziaria. Ciò con grave danno sia di carriera che economico per gli ispettori apicali della polizia di Stato (sostituti commissari), già tali ben prima del riordino delle carriere così come previsto dal decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 197 (ispettori della polizia di Stato già collocati – nella tabella allegata alla legge n. 121 del 1981 – in posizione gerarchica, funzionale ed economica sovraordinata ai Sottufficiali e ai sovrintendenti delle diverse forze di polizia);
   ad aggravare la situazione di disparità con i carabinieri, guardia di finanza e polizia penitenziaria, si è aggiunto l'articolo 1, comma 261, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, con il quale, da ultimo, è stato stabilito che «fino a quando non saranno approvate le norme per il riordinamento dei ruoli del personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile e degli ufficiali di grado corrispondente delle Forze, di polizia ad ordinamento militare e delle Forze armate, è sospesa l'applicazione dell'articolo 24 del decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 334, e successive modificazioni»;
   a seguito della sospensione dell'applicazione dell'articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica n. 334 del 2000, con il medesimo articolo 1, comma 261, della legge 266 del 2005, il legislatore ha previsto, in via transitoria, che «alle esigenze di carattere funzionale» si dovesse provvedere, in particolare, «mediante l'affidamento, agli ispettori superiori-sostituti ufficiali di pubblica sicurezza «sostituti commissari», delle funzioni di cui all'articolo 31-quater, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 335, e successive modificazioni», ossia «le funzioni di vice dirigente di Uffici o unità organiche in cui, oltre al funzionario preposto, non vi siano altri funzionari del ruolo dei commissari o del ruolo direttivo speciale»;
   ai sensi del citato articolo 31-quater, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 335 del 1982, «gli uffici nell'ambito dei quali possono essere affidate funzioni predette, nonché ulteriori funzioni di particolare rilevanza», sono individuati «con decreto del Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza»;
   il legislatore nel 2005, pur sospendendo l'applicazione dell'articolo 24 del decreto legislativo n. 334 del 2000, aveva previsto una disciplina transitoria che l'amministrazione era tenuta ad ottemperare, nell'attesa dell'emanazione delle nuove norme di riordino dei ruoli del personale delle forze di polizia ad ordinamento civile e degli ufficiali di grado corrispondente delle forze di polizia ad ordinamento militare e delle forze armate;
   le predette disposizioni, anche in questo caso, non hanno mai avuto attuazione, con la conseguenza che in molti uffici o unità organiche in cui, oltre al funzionario preposto, non vi sono altri funzionari del ruolo dei commissari, per quanto normativamente previsti, gli appartenenti al ruolo degli ispettori sono costretti a svolgere — di fatto e in maniera non occasionale o temporanea come previsto dalla legge — non soltanto le funzioni proprie del ruolo direttivo, ma, nei casi di assenza o impedimento del titolare dell'ufficio, anche quelle di vice-dirigente o addirittura di dirigente. Ciò senza che l'ufficio sia stato previamente individuato — in considerazione dell'importanza delle funzioni predette — «con decreto del Capo della Polizia-Direttore Generale della Pubblica Sicurezza»;
   pertanto, da oltre dieci anni, il Ministero dell'interno sta provvedendo, «alle esigenze di carattere funzionale» conseguenti alla sospensione dell'applicazione dell'articolo 24 del decreto legislativo 334 del 2000 e successive modificazioni ed integrazioni, di fatto in maniera non conforme alla legge;
   a fronte di tale prolungata inerzia, in data 3 ottobre 2014, il «Comitato per la tutela degli ispettori della polizia di Stato» (Co.T.I.Pol.), ha formalmente richiesto al Ministero dell'interno di dare attuazione alle disposizioni contenute nell'articolo 1, comma 261, lettera a), della legge 266 del 2005;
   in mancanza di un'adeguata risposta da parte dell'amministrazione, il Co.T.I.Pol. ha adito il T.A.R. del Lazio, che ha accolto il ricorso con sentenza 8328/2015, ordinando al Ministero dell'interno di provvedere entro 90 giorni, con decreto del capo della polizia, alla formale individuazione degli uffici nell'ambito dei quali le funzioni di cui all'articolo 31-quater, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica n. 335 del 1982 possono essere affidate, così come previsto dall'articolo 1, comma 261, della legge 266 del 2005;
   a seguito dell'impugnazione del Ministero, di recente si è pronunciato anche il Consiglio di Stato con sentenza n. 5251/2015, il quale, in accoglimento dell'appello, ha osservato che nella fattispecie «non si ravvisa l'obbligo dell'Amministrazione, nella specie il Ministero dell'interno, di provvedere nei confronti del privato in quanto nel caso in esame l'amministrazione anzidetta se pure vincolata nell’«an» ad assumere l'invocato provvedimento non lo è nel «quando». Di conseguenza, essendo la materia riservata al potere discrezionale dell'amministrazione, nessun vincolo almeno nel «quando», sussisterebbe in capo al Ministero dell'interno di emissione dell'invocato provvedimento»;
   ciò nondimeno, il Consiglio di Stato ha precisato che, «logicamente, ciò non vuoi dire che l'Amministrazione dell'Interno possa «sine die» rimanere inerte ed esimersi dal disciplinare gli adempimenti stabiliti dalla legge»;
   il personale interessato rappresenta la quasi totalità dei comandanti degli uffici delle specialità della polizia di Stato, ossia della polizia stradale, ferroviaria e postale, e dei responsabili delle sezioni della direzione investigativa antimafia, della squadra mobile, della polizia scientifica, della digos e dei commissariati, che da oltre 20 anni stanno subendo intollerabili disparità di trattamento, sia sul piano economico che professionale, rispetto agli omologhi delle altre forze di polizia (tutti già loro inferiori gerarchici e funzionali prima del 1995) e tali disparità sono state generate ed alimentate esclusivamente dall'amministrazione dell'interno –:
   se vi siano particolari ragioni per le quali il Ministero dell'interno ha ritenuto di poter dare attuazione, in questi ultimi anni, soltanto al disposto di cui alla lettera b) al comma 261, dell'articolo 1, della legge n. 266 del 2005 e non anche al disposto di cui alla lettera a), quantunque dall'attuazione di quest'ultima non sarebbero derivati maggiori oneri per lo Stato, a differenza della prima;
   se, a fronte dell'obbligo di legge e alla luce della citata pronuncia del Consiglio di Stato, il Ministro non ritenga di porre fine allo stato di inerzia e dare finalmente attuazione all'articolo 1, comma 261, lettera a), della legge n. 266 del 2005 previa attuazione dell'articolo 31-quater, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica n. 335 del 1982, bandendo un concorso unico per titoli, con inquadramento anche in sovrannumero alle 1300 unità previste, per coloro già in possesso dei requisiti ex articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica n. 334 del 2000;
   se, in vista delle ormai imminenti modificazioni agli ordinamenti del personale delle forze di polizia di cui all'articolo 16 della legge n. 121 del 1981, come stabilito dalla legge-delega n. 124 del 7 agosto 2015, sia intenzione del Ministro assumere iniziative atte a sanare le sperequazioni e far sì che tutti gli apicali del ruolo ispettori della polizia di Stato (sostituti commissari) già in possesso dei requisiti ex articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica n. 334 del 2000 (in quanto già ispettori prima del riordino del 1995 di cui al decreto legislativo) 12 maggio 1995, n. 197) siano inquadrati ope legis in posizione identica – riallineata – agli omologhi delle altre forze di polizia militari (carabinieri e guardia di finanza) e della polizia penitenziaria. (4-11642)


   OTTOBRE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sindaco Salvatore Fuda, ex segretario locale di Rifondazione comunista e con un passato lavorativo nel terzo settore, è eletto nel 2013 con una lista civica e un programma volto alla riqualificazione del comune di Gioiosa Ionica: territorio difficile, sito in provincia di Reggio Calabria;
   si sono registrati recenti atti intimidatori, vandalici e incendiari nel comune di Martone e Gioiosa Ionica, quali l'incendio dei cassonetti sottostanti le finestre dell'appartamento dove vive il sindaco Salvatore Fuda con la compagna e il figlioletto di tre anni;
   vi sono stati numerosi spari il 6 dicembre 2015 contro due macchine di famiglia del sindaco di Gioiosa Ionica e un incendio il 31 dicembre dei due camion della spazzatura appena ottenuti in dismissione dalla Dolomiti Energia di Trento;
   ad oggi Fuda, sindaco trentacinquenne, nonostante non abbia richiesto alcuna scorta, è sottoposto alla sorveglianza silenziosa di una pattuglia incaricata di proteggerlo;
   il 7 dicembre 2015 tutta la comunità di Gioiosa si è riunita in una fiaccolata di solidarietà in seguito agli attentati ai danni delle autovetture. Una marcia solidale che ha visto la partecipazione attiva di studenti liceali, famiglie, scout, sindaci della Locride e il vescovo di Locri;
   i suddetti atti minatori preoccupano l'apparato amministrativo, spargendo timore e insicurezza nel tessuto sociale e all'interno della classe dirigente –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario, di fronte ai recenti fatti che stanno accadendo, un rafforzamento delle forze dell'ordine presso i comuni della Locride. (4-11645)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VII Commissione:


   BORGHESI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 107 del 13 luglio 2015 «la buona scuola» ha attuato un piano straordinario di assunzioni destinato esclusivamente agli iscritti nelle graduatorie ad esaurimento o nelle graduatorie degli idonei del concorso di cui al D.D.G. n. 82 del 24 settembre 2012, escludendo perciò alcune categorie di docenti abilitati di Stato per mera questione temporale;
   dal piano straordinario di assunzioni sono stati esclusi docenti, anche con svariati anni di insegnamento, dotati degli stessi titoli e dello stesso merito di coloro che sono stati inclusi;
   è stato altresì previsto dalla legge n. 107 del 2015 un concorso per titoli ed esami per la copertura dei posti vacanti, nel limite delle risorse disponibili che si sarebbe dovuto bandire entro il 1o dicembre 2015, ma ancora non risulta pubblicato;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non ha ancora fornito indicazioni in merito –:
   quando sarà bandito il promesso concorso, visto che per i docenti della II fascia d'istituto questa è l'unica possibilità per essere assunti a tempo indeterminato nel sistema scolastico italiano. (5-07349)


   PALMIERI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 10 marzo 2000, n. 62, sancisce che il sistema nazionale di istruzione è un sistema integrato di cui fanno parte le scuole statali e le scuole paritarie private e degli enti locali;
   numerose iniziative sono state poste in essere, a partire dai primi anni Duemila, al fine di digitalizzare la scuola, di portare all'interno della aule scolastiche le nuove tecnologie e di promuovere la cultura del digitale sia tra i professori che per gli studenti;
   gli istituti paritari subiscono anche in questo settore lo stesso trattamento impari restando esclusi dai progetti volti ad implementare lo sviluppo della scuola digitale;
   in modo particolare insegnanti e studenti delle scuole paritarie non sembra possano accedere a quanto previsto dal «Piano nazionale per la scuola digitale» previsto dalla legge n. 107 del 2015 –:
   se non ritenga il Ministro interrogato di dover adottare iniziative volte a rendere sostanziale il principio di parità per le scuole paritarie, in particolar modo per quanto riguarda i progetti previsti dal piano nazionale per la scuola digitale, in modo tale da impedire che oltre un milione di studenti e i loro insegnanti siano esclusi dal percorso utile per apprendere competenze indispensabili per il presente e per il futuro. (5-07350)


   VACCA, SIMONE VALENTE, LUIGI GALLO, D'UVA, BRESCIA, MARZANA e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'esiguità e la perenne insufficienza degli stanziamenti pubblici alle istituzioni scolastiche determinano la rincorsa da parte dei dirigenti scolastici delle singole istituzioni a fonti di finanziamento privato, da parte di operatori commerciali nonché delle stesse famiglie, queste ultime secondo alcune stime contribuirebbero già per 400 milioni l'anno;
   come testimoniato da Il fatto quotidiano in un articolo pubblicato online il 4 novembre 2015, diverse istituzioni scolastiche italiane sarebbero divenute «territorio di conquista» e target di azioni aggressive di marketing portate avanti da molte aziende della grande distribuzione, le quali si starebbero rivolgendo prepotentemente ad alunni e genitori con slogan e messaggi pubblicitari finalizzati ad incoraggiare gli acquisti in cambio di «bollini» che la scuola cui è iscritto ciascun cliente (o il figlio di ciascun cliente) potrebbe utilizzare per l'acquisto di attrezzature informatiche e tecnologiche;
   tra le iniziative degli operatori commerciali l'attenzione deve porsi su un caso limite: l'iniziativa di McDonald's Italia. Il colosso del « junk food» ha, infatti, promosso una raccolta punti al fine di premiare due istituzioni scolastiche per regione. Al concorso partecipano le primarie e le secondarie di primo grado a cui i clienti di McDonald's accreditino i punti ottenuti con gli scontrini (ogni euro vale 1 punto, fanno eccezione gli scontrini del Mcdonald's presente all'EXPO a cui è riconosciuto un punteggio triplicato). Le scuole premiate sono, in ogni regione, quella che ha ottenuto il punteggio maggiore ed un'altra sorteggiata tra quelle che abbiano ottenuto almeno 500 punti. Attualmente sul sito di McDonald's è pubblicato l'elenco delle 40 scuole vincitrici e numerose sono le notizie disponibili in rete sulle premiazioni celebrate nei singoli ristoranti McDonald's nel corso delle quali si ringraziano genitori e bambini di essersi recati presso i ristoranti McDonald's portando punti alla scuola;
   appare doveroso soffermarsi sulla palese contraddizione esistente tra tale iniziativa e la tanto pubblicizzata educazione alimentare in cui il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sembrerebbe impegnato. Nelle linee guida per l'educazione alimentare, adottate il 31 ottobre 2015, si legge «il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nel porre in essere – anche in collaborazione interministeriale – specifici interventi, suggerisce di disincentivare, nelle Scuole di ogni ordine e grado, la somministrazione di alimenti e bevande contenenti un elevato apporto totale di lipidi per porzione, grassi idrogenati (fonte di acidi grassi trans), alto contenuto di sodio, nitriti o nitrati utilizzati come additivi, coloranti azoici, zuccheri semplici aggiunti e dolcificanti, elevato contenuto di sostanze nervine eccitanti (teina, caffeina, taurina e similari)»;
   paradossale deve definirsi, inoltre, la raccolta straordinaria presso EXPO soprattutto per il valore educativo che le stesse linee guida riconoscevano all'evento; si legge infatti: «l'eccezionalità dell'evento del 2015 riconosce la Scuola come l'ambiente d'elezione ove – con appropriate azioni – sollecitare studenti, docenti e famiglie, contribuendo a sviluppare un clima generale di partecipazione e consapevolezza nel recepire gli innumerevoli stimoli e le opportunità rappresentate dall'EXPO 2015 e dalle sue positive ricadute»;
   in merito giova ricordare che, nel replicare, nella seduta del 12 giugno 2015, ad un'interpellanza urgente presentata dal Movimento 5 stelle in cui si denunciava che, con lettera del 20 aprile 2015, l'assessore regionale all'istruzione, formazione e lavoro della Lombardia avesse invitato i giovani studenti a visitare l'Expo proponendo agevolazioni per il trasporto e per il ristoro e, in particolare, che le agevolazioni per il ristoro consistessero, per il mese di maggio 2015, in uno sconto da parte della catena Mc Donald's del 50 per cento sul menù per i ragazzi più grandi e di un gelato in omaggio per i più piccini che acquistano un menu « happy meal», il Sottosegretario Gabriele Toccafondi ha sostanzialmente stigmatizzato l'accaduto precisando che l'iniziativa fosse stata promossa direttamente e in piena autonomia dall'ente regionale e che, al contrario, l'ufficio scolastico regionale lombardo fosse impegnato in «azioni e progetti finalizzati a favorire il processo di acquisizione e riappropriazione dei valori connessi alla cultura e alla tradizione alimentare del nostro Paese, stimolando le scuole lombarde ad attivare un'appropriata progettualità sui temi dell'Expo» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda assumere al fine di evitare che le istituzioni scolastiche e, in particolare, gli alunni possano essere oggetto di operazioni di marketing potenzialmente, come nel caso McDonald's, anche in contrasto con principi unanimemente condivisi. (5-07351)


   PANNARALE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22, recante «Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10 dicembre 204, n. 183», pur essendo volto ad allargare il sostegno al reddito a categorie di soggetti esclusi dalla normativa precedente, attraverso un'estensione delle tutele e degli ammortizzatori sociali a coloro che hanno un contratto di tipo parasubordinato, ha introdotto all'articolo 15 ed in via sperimentale un'indennità di disoccupazione, la cosiddetta DIS-COLL, limitandosi a nominare esplicitamente soltanto due delle numerose tipologie contrattuali parasubordinate sottoposte al medesimo regime contributivo ed iscritte alla gestione separata Inps: quella dei collaboratori coordinati e continuativi e quella dei collaboratori a progetto;
   il provvedimento lascia infatti fuori dal sistema di protezione sociale decine di migliaia di persone già sottoposte a condizioni contrattuali ed economiche di precarietà e che, nonostante questo, contribuiscono con passione alla crescita e allo sviluppo del nostro Paese, e cioè tutti i lavoratori precari delle università e degli enti di ricerca;
   nonostante la finalità fondamentale del dottorato e dell'assegno di ricerca non sia quella di acquisire prestazioni lavorative dietro pagamento di un compenso, ma, piuttosto, quella di consentire ai beneficiari della borsa di studio di dedicarsi ad attività di studio e di ricerca utili a perfezionare il proprio bagaglio di conoscenza e di esperienza, nel nostro Paese a molti di essi sono demandate, oltre alle legittime attività di ricerca, anche attività di insegnamento, tutoraggio, e altro, a fronte di nessun riconoscimento per tali funzioni svolte per sopperire alle croniche ed ormai strutturali carenze di personale e risorse degli atenei, situazione questa, peraltro destinata ad aggravarsi anche per effetto delle misure insufficienti e di portata estemporanea destinate all'università ed alla ricerca varate con la legge di stabilità 2016, i cui prevedibili effetti, secondo l'interrogante, saranno quelli di aumentare gli squilibri all'interno del sistema accademico e le disuguaglianze fra le sue componenti;
   secondo alcuni dati forniti da un aerogramma elaborato nel 2013 da Adi su dati Anvur, che possono aiutare a capire la dimensione del fenomeno, nel nostro Paese, che si colloca al 26o posto sui 28 Paesi europei quanto a numero di dottorandi ogni 1000 abitanti, i lavoratori precari, tra assegnisti, collaboratori ai programmi di ricerca e dottorandi, rappresentano il 48 per cento del personale che si occupa di didattica e di ricerca, tutte figure che oltre a non vedersi riconosciute le mansioni svolte come «lavoratori», sono private anche del diritto di rappresentanza negli organi degli atenei, diversamente da quanto avviene per numerosi altri a Paesi europei come Austria, Belgio, Spagna, Finlandia, Grecia, Lussemburgo dove i dottorandi sono inquadrati come dipendenti con annesse tutele, o Francia, Olanda, Bulgaria, Rep. Ceca e Norvegia dove gli stessi si vedono almeno riconosciuto il contributo di disoccupazione –:
   se non ritenga di fornire dati circa il prezioso ed indispensabile lavoro che quotidianamente svolgono negli atenei italiani gli assegnisti di ricerca, i dottorandi ed i titolari di borse di studio per il progredire della conoscenza, anche in vista dell'adozione di eventuali iniziative di tipo normativo, da assumere anche d'intesa con le altre competenti strutture amministrative, per estendere ad essi le tutele e gli ammortizzatori sociali già riconosciute dal nostro sistema giuridico agli altri lavoratori. (5-07352)


   COSCIA, CAROCCI, ROCCHI, MALPEZZI, ASCANI, GHIZZONI, D'OTTAVIO, BLAZINA, MANZI, NARDUOLO, MALISANI, PES, BOSSA, SGAMBATO, DALLAI, VENTRICELLI, RAMPI, BONACCORSI e CRIMÌ. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 13 luglio 2015, n. 107 «recante Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti», ha previsto un piano assunzionale per la copertura delle cattedre vacanti e il potenziamento della didattica;
   tale piano è stato articolato in 4 fasi: nella fase 0 è stata prevista l'immissione in ruolo di docenti su posti comuni per cessazione del servizio e su posti di sostegno; nelle fase A è stata prevista la ulteriore copertura di posti comuni e di sostegno e nella successiva fase B è stata stabilita la copertura dei posti di organico di diritto rimasti vacanti e disponibili dopo la fase precedente. In tale fase, l'aspirante docente è stato nominato nella prima provincia nella quale vi fosse disponibilità per l'insegnamento per cui concorreva. Tale provincia è stata individuata scorrendo l'ordine di preferenza indicato nella domanda;
   infine, la fase C è stata dedicata alla copertura dei posti per il potenziamento dell'offerta formativa così come sancito dalla legge 107 del 2015;
   in questa fase i posti sono stati previsti a livello nazionale e ciascun ufficio scolastico regionale ha avuto a disposizione il contingente di posti previsto dalla Tabella 1 allegata alla suddetta legge;
   i posti del potenziamento sono stati ripartiti fra le classi di concorso in base al fabbisogno di docenti, inclusi i collaboratori del dirigente scolastico, che le scuole hanno comunicato al sistema informativo e che gli uffici scolastici regionali hanno verificato immediatamente dopo tenendo conto delle graduatorie;
   l'aspirante docente è stato nominato nella prima provincia nella quale fossero disponibili posti di potenziamento per l'insegnamento per cui ha concorso. Tale provincia è stata individuata scorrendo l'ordine di preferenza indicato nella domanda;
   il 20 novembre 2015, con le accettazioni della fase C, si è concluso il piano straordinario di assunzioni previsto dalla legge 107 del 2015 –:
   quali siano i dati relativi al piano assunzionale articolati per regione e per provincia, per classi di concorso, su posti comuni, posti di potenziamento e posti di sostegno. (5-07353)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il punto 9 (dei 12 delle linee guida in cui viene riassunta «la buona scuola») titola: Cultura in corpore sano;
   nelle innumerevoli descrizioni che ricorrono nei documenti che promuovono «la buona scuola», si legge di una scuola con un'offerta formativa più ampia, che guardi al futuro, che preveda oltre alle attività educative, ricreative e culturali, le discipline motorie e l'attività sportiva e che quest'ultima, addirittura, a partire dalle superiori, concorre a formare un curriculum utile all'orientamento e all'inserimento nel mondo del lavoro e avrà un peso all'esame di maturità;
   l'OSCE (nel confronto fra i 27 Paesi dell'Unione europea) evidenzia che l'Italia è ultima per numero di bambini che praticano attività fisica quotidiana, mentre l'Organizzazione mondiale della sanità raccomanda a bambini e ragazzi fra i 5 e i 17 anni almeno un'ora di attività fisica al giorno;
   è scientificamente provato che l'educazione allo sport agisce sul livello di apprendimento, dà consapevolezza di sé, induce a corretti stili di vita, insegna la lealtà, abitua a muoversi all'interno di un gruppo, è utile per l'integrazione e al superamento di diversità molteplici; grazie al gioco unisce e aumenta l'autostima;
   le discipline motorie dove già introdotte nei percorsi scolastici (6-11 anni) svolte in orario curricolare e/o extrascolastico, producono indiscussi benefici sulla postura, sull'educazione alimentare, sullo stato generale di salute dei ragazzi e concorrono alla formazione integrale dell'individuo;
   «la buona scuola» prevede, per dar corso a un progetto sperimentale che nasce nel 2009, di introdurre l'educazione motoria e lo sport nella scuola primaria, di assumere 5.300 insegnanti iscritti nella GAE (graduatoria a esaurimento) per la classe di concorso «A029, educazione fisica», cosa che dovrebbe permettere (considerati gli attuali 20.000 già stabilizzati), di inserire un'ora di attività motoria nelle classi dalla seconda alla quinta elementare;
   prevede, inoltre, di integrare le eventuali carenze in termini di risorse disponibili, facendo ricorso a finanziamenti europei e accordi con istituzioni sportive oltre a School bonus, School Guarantee e Crowfunding;
   il PON istruzione (nel settennio 2014-2020) (decreto ministeriale 435 del 16 giugno 2015 articolo 9 punto 2/b) dispone per le attività didattiche aggiuntive o integrative di un budget di circa 800 milioni di euro da destinare al potenziamento dell'educazione motoria e sportiva nelle scuole secondarie di primo e secondo grado;
   il Ministero e il CONI, in collaborazione con il Comitato italiano paraolimpico, inoltre, hanno promosso il progetto sport di classe che dovrebbe offrire una risposta concreta e coordinata all'esigenza di diffondere l'educazione fisica fin dalla scuola primaria con l'adozione delle due ore settimanali di attività motoria dalla 1a alla 5a classe della scuola primaria (il bando per le scuole è scaduto il 30 ottobre);
   lo stesso progetto sport di classe prevede di selezionare una figura specializzata denominata «tutor sportivo scolastico» da inserire negli istituti a supporto del dirigente scolastico e degli insegnanti nelle decisioni di carattere motorio per valorizzare professionalità presenti in ambiti diversi da quelli della docenza, che affianca il docente di classe assicurando una presenza di due ore al mese per ciascuna classe a lui assegnata;
   il « tutor» che dovrà possedere i medesimi requisiti degli insegnanti (laurea triennale in scienze motorie L22 ordinamento vigente o C133 vecchio ordinamento; laurea quadriennale in scienze motorie e sportive vecchio ordinamento o diploma ISEF) avrà il compito di partecipare alle attività del centro sportivo scolastico (CSS) per la scuola primaria e fornirà supporto metodologico/didattico secondo le linee guida dettate dall'Organismo nazionale per lo sport (il bando per le candidature è scaduto il 16 dicembre 2015) –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per:
    a) inserire nell'ordinamento l'attività motoria come disciplina (come, peraltro, è previsto in tutti Paesi europei) affidandone l'insegnamento a personale formato ad hoc (cosa che produrrebbe notevoli risparmi in termini di spesa sanitaria – visto che solo l'obesità grava sul SSN per circa 8,5 miliardi di euro l'anno – e sociale – considerato che il bullismo, le diverse forme di disagio e l'abbandono scolastico, per citare solo alcuni, sono tutti fenomeni che determinano costi);
    b) censire la reale necessità di insegnanti (dopo l'assunzione di tutti gli iscritti nella graduatorie a esaurimento) per bandire, se necessario, un concorso per la copertura del 100 per cento delle cattedre;
    c) predispone per l'anno accademico 2016/2017 i bandi in tempo utile affinché l'attività motoria relativa al progetto sport di classe possa iniziare con l'avvio dell'anno curricolare, piuttosto che ridurre a soli 5 mesi l'offerta formativa dedicata allo sport;
    d) sostituire la figura del « tutor» con insegnanti di attività motoria in quanto la scelta è più coerente con il progetto di stabilizzazione del personale docente e di continuità didattica che «la buona scuola» promuove. (4-11617)


   VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale n. 850 del 27 ottobre 2015 (e la successiva circolare ministeriale n. 36167 del 5 novembre 2015), è stato impugnato dalle organizzazioni sindacali davanti al TAR perché vi hanno ravvisato una forzatura. Riguardo al periodo di prova e formazione, il Ministero ha disposto di includere anche i docenti che hanno ottenuto il passaggio di ruolo, contrariamente a tutta la normativa in vigore fino alla sua emanazione che prevedeva per chi avesse ottenuto il passaggio di ruolo, solo il periodo di prova (180 giorni di servizio), ma non la formazione;
   la circolare ministeriale 27 marzo 1980, n. 88, quella 196/2006 e la nota prot. n. AOODGPER 3699/2008, aventi per oggetto l'anno di formazione dei docenti, prevedevano che: «chi ha ottenuto il passaggio di ruolo o di cattedra di cui all'articolo 10, commi 1 e 5, del CCNL 23 luglio 2003, non è tenuto a frequentare l'anno di formazione, di cui all'articolo 440 del decreto legislativo n. 297/94, e che lo stesso anno di formazione va effettuato una sola volta nel corso della carriera»;
   i docenti con il decreto ministeriale n. 850 si trovano all'improvviso e senza preavviso costretti alla ripetizione dell’iter completo di prova e formazione già svolto su grado differente, sia superiore che inferiore;
   gli uffici scolastici regionali hanno disposto di considerare alla stregua dei passaggi di ruolo e, pertanto, di obbligare di nuovo al periodo di prova e formazione, anche:
    i docenti vincitori del concorso 2012, entrati in ruolo su classi di concorso affini (ad esempio A043/A050), che, nel corso dell'anno scolastico 2014/2015, hanno accettato in surroga l'immissione in ruolo su classe di concorso di grado superiore (ad esempio A050) e che hanno anche ottenuto sede definitiva nella classe di concorso di grado superiore su cui avevano assunto ruolo giuridico;
    i docenti vincitori del concorso 2012 che, già di ruolo su una classe di concorso, hanno accettato, prima dell'inizio del corrente anno scolastico, una nuova immissione in ruolo su classe di concorso di grado differente;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca considera materie affini quelle comprese negli ambiti disciplinari di cui al decreto ministeriale n. 354/1998 o comunque quelle che possono essere insegnate con lo stesso titolo di accesso o di abilitazione posseduto ed utilizzato ai fini della immissione in ruolo;
   i docenti neoassunti su posti di potenziamento che saranno utilizzati in altro ruolo o grado d'istruzione rispetto a quello d'immissione in ruolo potranno svolgere l'anno di formazione e di prova anche in un grado di scuola differente;
   la norma di cui sopra, che non è riferibile al passaggio di ruolo e ai vincitori del concorso 2012, che ha peraltro valore retroattivo, è sperequativa –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative per:
    a) esonerare i docenti che hanno ottenuto il passaggio di ruolo nel presente anno scolastico dall'obbligo di formazione lasciando agli stessi soltanto il superamento del periodo di prova;
    b) garantire che quanto sopra valga anche per quei docenti che, dopo aver ottenuto il passaggio di ruolo nel presente anno scolastico, hanno chiesto ed ottenuto di rimandare l'anno di prova, come peraltro prevede la normativa. (4-11619)


   MIOTTO, NACCARATO e CAMANI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni mesi è in atto una controversia fra comuni, autorità scolastiche ed organizzazioni sindacali riguardante le mansioni del personale ATA delle scuole dell'infanzia statali, in particolare per quanto riguarda la somministrazione della merenda agli alunni, ritenuta una «funzione mista» dal personale dipendente, mentre i comuni ritengono non possa essere una funzione rientrante nelle competenze soggette alla corresponsione di apposita indennità aggiuntiva;
   con nota prot. 24840 del 26 settembre 2014 della città di Piove di Sacco (PD) rivolta al direttore dell'ufficio scolastico regionale per conoscenza al Ministero dell'università e della ricerca è stato chiesto se la merenda di metà mattinata consistente in un frutto o uno yogurt o una merendina che richiede un minimale servizio di assistenza da parte del personale ATA presente nei cinque plessi delle materne del territorio, rientri nelle funzioni miste oggetto dell'intesa fra Ministero dell'università e della ricerca, ANCI e organizzazioni sindacali del 2000;
   con ulteriore nota prot. 28568 del 30 ottobre 2014 rivolta al direttore dell'ufficio scolastico regionale veniva sollecitata una risposta al precedente interpello anche alla luce della preoccupazione manifestata dalla dirigente scolastica locale in ordine al pericolo di infortunio a cui sarebbero sottoposti i collaboratori scolastici nelle operazioni di sbucciatura o taglio della frutta e conseguente necessità di idonea copertura assicurativa;
   con nota della dirigente scolastica del 24 luglio 2015 veniva comunicato alla All'amministrazione comunale che in assenza della convenzione prevista per le funzioni miste, a partire dal 1o settembre 2015 non sarebbe stata garantita dal personale ATA la distribuzione della merenda di metà mattinata come era stato assicurata in via collaborativa fino a quella data;
   persistendo la mancata risposta agli interpelli sopraindicati, l'Amministrazione comunale rivolgeva i medesimi quesiti all'ANCI che rispondeva affermando che: «“l'assistenza necessaria durante il pasto” debba comprendere anche quelle attività materiali che i bambini non sono in grado di svolgere e che quindi si manifestano necessarie per la consumazione del pasto, quali sbucciare la frutta, così come a esempio tagliare la carne. La pulizia e il riordino dei tavoli dopo il pasto risulta invece a carico dell'Ente Locale»;
   con PEC n. 22878 del 6 agosto 2015 veniva sollecitata risposta ai chiarimenti formulati, rivolta agli uffici regionali di Roma del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ma permane assenza di risposta, nonostante siano state depositate due interrogazioni il 1o ottobre 2015 in coincidenza della protesta dei collaboratori scolastici che si sono rifiutati di proseguire nella distribuzione delle merendine;
   anche ai predetti atti di sindacato ispettivo non è stata data risposta;
   dall'inizio dell'anno scolastico fino al 31 dicembre scorso, l'amministrazione comunale ha fatto ricorso alla collaborazione gratuita della impresa che fornisce la mensa anche per la distribuzione della merenda in monoporzione e ha spostato la fornitura della frutta a fine pasto. Nonostante queste modifiche organizzative il personale ATA ha segnalato che non intende aiutare i bambini nell'operazione di togliere l'incarto alla merendina, perché ritenuta una «funzione mista». Peraltro l'accollo di questa funzione alla impresa che fornisce la mensa comporterebbe un aumento di costi rilevante che fatalmente verrebbe trasferito alle famiglie. In altri comuni le predette mansioni sono svolte dal personale ATA senza ulteriori oneri, per cui necessita un chiarimento per non creare un intollerabile disservizio –:
   se sia a conoscenza dei problemi esposti in premessa e che si presentano anche in altri territori;
   se non ritenga di dover cooperare per fornire una risposta all'amministrazione comunale di Piove di Sacco, anche tramite l'ufficio scolastico regionale, al fine di porre fine alla controversia che rischia di compromettere il buon funzionamento della istituzione scolastica. (4-11622)


   CENTEMERO e OCCHIUTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nella legge n. 107 del 13 luglio 2015 è stabilito che coloro che risultano inseriti nelle GAE (graduatorie ad esaurimento) e nelle GM (graduatorie di merito), di cui al comma 96 dell'articolo 1 sono «assunti a tempo indeterminato, nel limite dei posti di cui al comma 95, ossia: a) i soggetti iscritti a pieno titolo, alla data di entrata in vigore della presente legge, nelle graduatorie del concorso pubblico per titoli ed esami a posti e cattedre bandito con decreto direttoriale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 82 del 24 settembre 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale, n. 75 del 25 settembre 2012, per il reclutamento di personale docente per le scuole statali di ogni ordine e grado; b) i soggetti iscritti a pieno titolo, alla data di entrata in vigore della presente legge, nelle graduatorie ad esaurimento del personale docente di cui all'articolo 1, comma 605, lettera c), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, esclusivamente con il punteggio e con i titoli di preferenza e precedenza posseduti alla data dell'ultimo aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento, avvenuto per il triennio 2014-2017», risultando destinatari del piano straordinario di assunzioni di cui al comma 95;
   nel corso dell'esame del provvedimento in prima lettura alla Camera il testo del Governo è stato modificato prevedendo che fossero oggetto di contratto di assunzione a tempo indeterminato non solo vincitori del concorso, bandito con decreto direttoriale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 82 del 24 settembre 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale, n. 75 del 25 settembre 2012, ma anche tutti gli idonei, ossia coloro che risultavano inseriti nelle graduatorie di merito del sopraddetto concorso in base al testo unico. Non esistevano «vincitori», per il testo unico, ma una graduatoria di merito di durata almeno triennale dalla quale attingere la metà dei posti autorizzati per le assunzioni. Pertanto gli idonei delle graduatorie di merito del concorso 2012 di tutti gli altri gradi ed ordini di scuola sono invece stati inseriti nel piano straordinario di assunzioni, come previsto dalla lettera a) del comma 96, articolo 1, della legge n. 107 del 2015;
   la legge n. 107 del 2015 non prevede per i docenti della scuola dell'infanzia il potenziamento dell'organico, in grado di assorbire i docenti inseriti nelle graduatorie ad esaurimento e i soggetti inseriti nelle graduatorie di merito del concorso, bandito con decreto direttoriale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 82 del 24 settembre 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale, n. 75 del 25 settembre 2012. I docenti di scuola dell'infanzia dopo essere rientrati, sulla carta, nel piano straordinario di assunzioni, sono di fatto stati esclusi da esso;
   il Governo, nell'imminente concorso a cattedra, che doveva essere bandito entro il 1o dicembre, ritiene che il fabbisogno dell'organico della scuola dell'infanzia nei prossimi tre anni sarà composto da 6.800 docenti. Ad oggi, è emerso che i circa 15.000 docenti di scuola dell'infanzia che hanno prodotto domanda di partecipazione al piano straordinario di assunzioni sono stati letteralmente posti in stand-by in attesa della delega che servirà a riformare il segmento scolastico da 0 a sei anni;
   le graduatorie di merito 2012 per la scuola dell'infanzia sono ancora vigenti soltanto in Sicilia, Campania, Lazio, Calabria e Puglia; inoltre, va sottolineato che in Sicilia e in Lazio dette graduatorie sono state pubblicate nel 2014, e nel complesso sono presenti soltanto 2.129 candidati. In base al testo unico le graduatorie di merito hanno decorrenza triennale e, alle immissioni 2016/2017, tali graduatorie di merito entreranno nel terzo anno di validità;
   i docenti hanno superato un concorso ritenuto tra i più difficili, sottoponendosi ad una prova preselettiva, una prova scritta ed infine una prova orale resa pubblica appena 24 ore prima di sostenerla. Infatti, su 321.000 candidati soltanto il 7 per cento ha superato tutte e tre le prove, dimostrando competenze linguistiche, informatiche, pedagogiche, didattiche;
   ci si trova di fronte ad una disparità di trattamento che potrebbe dar vita ad un contenzioso per l'amministrazione;
   il bando del concorso scuola 2016 avrebbe, dovuto essere emanato entro il 1o dicembre 2015, secondo quanto stabilito dalla legge n. 107 del 2015. A tutt'oggi tale bando non è ancora stato emanato ed il ritardo del bando potrebbe determinare uno slittamento dello svolgimento del concorso e dunque delle relative assunzioni che sono previste per l'anno scolastico 2016/17 e che potrebbero essere effettuate solo nel successivo anno scolastico 2017/18, il che comporterebbe un eventuale risparmio di spesa –:
   quali iniziative intenda mettere in atto il Ministro interrogato per i soggetti idonei, iscritti nelle graduatorie di merito del concorso 2012 per la scuola dell'infanzia, ai fini dell'esaurimento delle graduatorie concorsuali e dell'assunzione a tempo indeterminato, in considerazione anche del fatto che il probabile slittamento di un anno delle assunzioni per il concorso 2016 determinerà risparmi di spesa, derivanti dalla parziale attuazione del piano assunzionale di cui al comma 201 dell'articolo 1 della legge 13 luglio 2015, n. 107, risparmi che potrebbero essere utilizzati per l'immissione in ruolo, a decorrere dall'anno scolastico 2016-2017, anche dei soggetti iscritti nelle graduatorie di merito del concorso 2012 per l'infanzia.
(4-11641)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la social card è una carta che può essere richiesta dalle famiglie con basso reddito, con almeno un anziano di età superiore o uguale ai 65 anni nel nucleo famigliare oppure un bambino di età inferiore a tre anni. Tale strumento di pagamento è una carta di credito prepagata attraverso la quale l'INPS eroga 40 euro mensili da utilizzare per le utenze domestiche, per i pagamenti Pos e per le spese necessarie. Per averne diritto si deve produrre all'INPS la propria certificazione ISEE, tuttavia, i criteri definitivi di accesso devono ancora essere stabiliti;
   al riguardo, infatti, nella legge di stabilità 2016 sono stati stanziati seicento milioni di euro per le social card, ma non è dato sapere come ottenerla. Addirittura, sembra che i fondi a copertura di tale manovra non siano ancora disponibili e arriveranno solo a ridosso delle elezioni amministrative;
   si ritiene, dunque, necessario ottenere dei chiarimenti da parte del Governo sulle modalità per ottenere e ricaricare la carta di pagamento in questione affinché coloro che hanno i requisiti per beneficiarne possano farne richiesta –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato su quanto espresso in premessa e, in particolare, per quale motivo non siano ancora note le modalità attraverso le quali è possibile accedere alla social card e se sia vero che le risorse stanziate non sono attualmente disponibili;
   se e quali urgenti iniziative intenda adottare per potere accedere alla social card, indicando gli specifici criteri per ottenerla. (5-07339)


   MOLTENI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è notizia pubblicata su La provincia di Como del 12 gennaio 2016 quella di un tesoretto di 3 miliardi di franchi (2,8 miliardi di euro) giacente su 632 mila conti di casse pensioni custoditi in Svizzera, dovuti al versamento contributivo per il cosiddetto secondo pilastro da parte di cittadini italiani frontalieri che hanno lavorato nei diversi cantoni della Confederazione elvetica;
   sembrerebbe che i lavoratori italiani frontalieri, molti dei quali comaschi, non informati pienamente dei loro diritti, non abbiano ritirato al termine dell'attività lavorativa quanto finora versato in fondi pensione, e ora il Governo di Berna intenda restituire ai legittimi titolari quanto dovuto, tanto che ha persino lanciato un appello affinché chi ritenga di averne diritto si rivolga direttamente alla cassa centrale (ufficio centrale del secondo pilastro) –:
   se e quali iniziative di propria competenza il Ministro interrogato abbia già adottato — ovvero intenda urgentemente adottare — affinché tutti i singoli soggetti interessati alla questione esposta in premessa siano pienamente informati dei loro diritti e delle modalità per recuperare con semplicità i crediti spettanti;
   se siano già stati presi gli opportuni contatti con le autorità svizzere affinché siano recuperate le posizioni di tutti i lavoratori italiani frontalieri in Svizzera e sia garantita la restituzione delle somme dovute ai medesimi. (5-07348)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la riforma del servizio pubblico radiotelevisivo, da poco approvata dal Parlamento, prevede un diverso metodo di riscossione del canone di abbonamento, addebitando l'importo nella fattura relativa al contratto di fornitura dell'energia elettrica;
   fino ad oggi, per la riscossione del canone, la Rai si è avvalsa di agenti di commercio con partita iva che, attraverso i tabulati anagrafici forniti dall'azienda pubblica, lavoravano per l'azienda al fine di reperire i non abbonati;
   oggi questi 100 lavoratori esprimono grosse preoccupazioni per l'incertezza della loro posizione lavorativa –:
   se il Ministro, per quanto di competenza, abbia già posto in essere – o intenda porre in essere – un piano di ricollocazione del personale di cui in premessa o, comunque, se e quali iniziative intenda adottare per tutelare i diritti dei lavoratori in questione. (4-11620)


   OTTOBRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel 2003 Marco Cozzio, 38 anni, di Mortaso in Val Rendena, è vittima di un incidente nel corso del quale perde la sua gamba sinistra. L'arto inferiore gli viene amputato sotto il ginocchio presso l'ospedale Borgo Roma di Verona, per complicazioni sopraggiunte;
   ad oggi visite e medicinali sono sempre stati a carico del soggetto, addirittura l'esenzione dal ticket gli viene riconosciuta solo dal 13 novembre 2012, ovvero dopo nove anni e mezzo dall'incidente;
   per far fronte a tale oneroso impegno Cozzio ha aperto un mutuo in banca di 45 mila euro, ma tali spese gravano sulla sua situazione dal momento che lo stipendio percepito è pari a 699,17 euro, in busta paga, grazie all'impiego come falegname all'Essepi di Cavedine;
   Marco Cozzio in seguito all'amputazione è stato definito «abile e in grado di lavorare» dall'inps che gli ha rifiutato la pensione di inabilità con la risposta datata 13 agosto 2015 che riporta: «Non risultano infermità tali da determinare alcuna impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa»;
   il parere della commissione sanitaria per l'accertamento dell'handicap, formulato dall'Apss, il 17 agosto, a firma dei medici Rita Zeni e Alessandro Ghobert, dichiara: «accertato che la persona esaminata presenta i requisiti di cui all'articolo 3 comma 1 della legge 104 — condizione di handicap permanente — esprime parere non favorevole alla concessione dei benefici previsti dall'articolo 33, in quanto non sussistono condizioni di handicap tali per concedere i benefici richiesti»;
   dopo l'ennesima operazione subita in questi giorni a Tione, Cozzio probabilmente faticherà a riprendere la sua attività lavorativa a tempo pieno;
   l'ultimo diniego è rappresentato dall'ennesimo ostacolo burocratico che gli nega la fornitura di una protesi: il distretto sanitario centro nord ufficio prestazione invalidi, ha recentemente affermato che «sono spiacenti ma, per ora, non è possibile autorizzare la fornitura in oggetto e di motivare con maggior dovizia di particolari le necessità di sostituzione dell'arto» –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere per la risoluzione del caso in uno Stato che dovrebbe garantire l'uguaglianza di trattamento per tutti i pazienti e la tutela di tutti i cittadini da parte del sistema sanitario;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra esposto e se non ritengano opportuno assumere iniziative per prevedere in futuro delle valutazioni per la concessione di una qualche forma di tutela per soggetti invalidi, penalizzati o in condizioni di reale svantaggio dovuto a evidente inabilità del soggetto. (4-11635)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GAGNARLI e PAOLO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   recentemente la Germania ha annunciato che, dal 2017, i pulcini maschi nati negli allevamenti di ovaiole — circa 30 milioni — non saranno più uccisi a meno di 24 ore dalla nascita, come attualmente avviene;
   l'eliminazione dei maschi degli allevamenti di ovaiole è prevista dall'Unione europea, in quanto tali esemplari, per le loro particolari caratteristiche (sono infatti più piccoli e con un livello di accrescimento più lento rispetto agli altri), non possono essere destinati alla produzione di carne e risultano quindi poco interessanti per il mercato avicolo tuttavia, il metodo di eliminazione utilizzato (appena nati e riconosciuto il sesso da figure specializzate del settore vengono soffocati o tritati in un macchinario a lame rotanti) non rientra certamente in quelli che garantiscono il benessere animale;
   l'idea della Germania, alla quale hanno già fatto eco altri Stati europei tra i quali la Francia, sarebbe quella di determinare il sesso del pulcino già nella fase embrionale, prima della schiusa, così da poter poi destinare le uova ad altri usi. Il costo aggiuntivo di questa operazione si aggirerebbe intorno ai due centesimi a uovo;
   anche in Svizzera si stanno sperimentando altri metodi di allevamento per evitare questa strage di pulcini maschi, a esempio quello di sviluppare una razza di polli in cui il maschio possa essere allevato come animale da carne e la femmina utilizzata per la produzione di uova;
   secondo la CIWF (Compassion in World Farming) al momento non sono ancora disponibili dati su questo particolare aspetto per il nostro Paese, né sui costi di eliminazione dei pulcini e sul successivo smaltimento delle carcasse;
   relativamente agli allevamenti di ovaiole, sempre in Germania si stanno studiando metodi per vietare, sempre a partire dal 2017, il debeccaggio delle galline negli allevamenti di ovaiole, praticato per evitare situazioni di cannibalismo attraverso allevamenti in cui le condizioni degli animali sono di stress e sovraffollamento –:
   se sia a conoscenza della situazione esposta in premessa e quali siano i numeri in Italia dei pulcini maschi soppressi negli allevamenti di galline ovaiole;
   se, in base all'esempio fornito dalla Germania, ma anche da altri Paesi europei, intenda portare avanti iniziative, anche normative, per modificare lo stato degli allevamenti di ovaiole;
   quali siano i costi di queste uccisioni e dello smaltimento delle carcasse;
   se intenda intervenire anche con riferimento al metodo del debeccaggio, al fine di una maggiore garanzia del benessere animale negli allevamenti italiani.
(5-07345)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   FUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   una recente indagine dell'Istituto Demoskopika ha analizzato il livello di efficienza sanitaria nelle regioni italiane sulla base di un'indagine che analizza sette punti indicatori:
    soddisfazione sui servizi sanitari;
    mobilità attiva;
    mobilità passiva;
    quota di rinuncia a curarsi per le liste d'attesa;
    spesa sanitaria;
    quota famiglie soggette a spese socio-sanitarie out of pocket catastrofiche;
    quota famiglie impoverite a causa di spese socio-sanitarie out of pocket;
   tra le regioni con le performance peggiori c’è la Puglia, penultima nella classifica generale e in particolare con un indice deficitario in relazione alla quota di rinuncia a curarsi a causa delle lunghe liste d'attesa: secondo l'indagine sono 69 mila i pugliesi che hanno rinunciato a curarsi;
   questa indagine va letta anche in relazione a un altro dato a parere dell'interrogante indicativo della situazione attuale: il penultimo posto, in termini di capacità di garantire i livelli essenziali di assistenza ai cittadini, nella classifica del Ministero della salute riferita alle performance nel 2013. La rilevazione dei dati ha riguardato 31 indicatori che descrivono le prestazioni che tutte le regioni devono garantire ai cittadini, analizzando le modalità con cui vengono erogate. Tra le prestazioni prese in considerazione ai fini della graduatoria figurano anche: assistenza agli anziani; screening di mammella, colon retto e cervice uterina; risonanza magnetica; ricoveri ospedalieri e attività di prevenzione –:
   quali eventuali iniziative – nell'ambito delle sue competenze e alla luce del fatto che i livelli essenziali di assistenza devono essere garantiti sull'intero territorio nazionale – ritenga di assumere rispetto alla situazione descritta in premessa. (4-11624)


   LENZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   La sclerosi multipla è una malattia autoimmune cronico-degenerativa ingravescente che colpisce il sistema nervoso centrale i cui sintomi più diffusi sono: difficoltà motorie, disturbi visivi, perdita di equilibrio, spasticità, mancanza di forza, fatica, dolore neuropatico, disturbi delle sensibilità, disturbi sessuali, disturbi cognitivi, disturbi dell'umore;
   la sclerosi multipla colpisce più di due milioni di persone nel mondo, di cui oltre 75.000 in Italia. La patologia è diagnosticata nella maggior parte dei casi tra i 20 ed i 40 anni di età, con una diffusione doppia nelle donne rispetto agli uomini. È una malattia che incide fortemente sulla qualità della vita di chi ne è colpito e di tutti coloro che gli sono vicini ed i costi sociali (diretti e indiretti) che comporta sono molto alti: si calcola che in Italia il costo della malattia superi i 2,7 miliardi di euro. Un costo medio di 38.000 euro annui per persona, che in presenza di una grave disabilità, raggiunge i 70.000 euro;
   la sclerosi multipla può assumere diverse forme, tra le quali quelle progressive e recidivanti. Nel primo caso, diffuso nel 15 per cento dei soggetti, i sintomi sono destinati a peggiorare in modo irreversibile con il passare del tempo, mentre nel secondo caso – diffuso nell'85 per cento dei casi – fasi acute si intervallano a regressioni parziali o totali dei sintomi;
   ad oggi le cause della malattia non sono ancora state definite con certezza. La mancanza di certezze sotto il profilo eziologico e le implicazioni cliniche e sintomatiche nel suo decorso rendono la sclerosi multipla una patologia complessa, tanto dal punto di vista medico, quanto della corretta presa in carico assistenziale del paziente. Alle sofferenze fisiche imposte dalla malattia, si devono infatti sommare le difficoltà umane e socialidi chi è costretto, spesso nel pieno della giovinezza, a ripensare la propria vita, a ricorrere ad assistenza costante, ad abbandonare il lavoro e le prospettive di realizzazione individuale;
   pur non essendo stata ancora individuata una cura risolutiva, sono disponibili terapie farmacologiche che permettono di rallentare il decorso della malattia e contrastare l'impatto dei sintomi e terapie riabilitative che consentono di prevenire e contrastare la disabilità che dalla malattia può conseguire. Tuttavia, si riscontrano pesanti difformità sul territorio nell'accesso ai farmaci modificanti la malattia (per budget limitati, per ritardi nel recepimento dei farmaci innovativi nei prontuari) e molti farmaci per il trattamento dei sintomi correlati alla patologia risultano a carico dei pazienti, così come in merito ai trattamenti riabilitativi, i quali invece di concretizzarsi in piani riabilitativi individuali e personalizzato con presa in carico multidisciplinare, spesso si riducono a poche sedute di fisioterapia erogate senza uno specifico programma riabilitativo a monte;
   il monitoraggio dell'andamento della malattia tramite visite periodiche ed esami strumentali come la risonanza magnetica è fondamentale per la prognosi. Da tempo, le decisioni terapeutiche rilevanti si prendono non solo in base al decorso clinico, ma anche sui dati che si possono ricavare da esami quali la risonanza magnetica. Il decreto ministeriale 28 maggio 1999, n. 329 sancisce il diritto all'esenzione per patologia (codice 046) per le persone diagnosticate con sclerosi multipla per tutte le analisi diagnostiche e di laboratorio necessarie alla diagnosi ed al monitoraggio dell'andamento della patologia. Non è stabilito un elenco di esami esenti, bensì sono esentabili, su indicazione dello specialista, tutti gli esami che questi ritiene utili per diagnosi e monitoraggio. L'attuale discussione sul testo del decreto relativo all'appropriatezza prescrittiva però sta rischiando di compromettere, in assenza di livelli essenziali di assistenza specifici a tutela della sclerosi multipla, la possibilità di effettuare gratuitamente esami fondamentali quali ad esempio la risonanza magnetica della colonna;
   la rete dei centri clinici che si occupano della presa della sclerosi multipla non è dappertutto formalizzata e di conseguenza, le persone con sclerosi multipla non possono contare in modo uniforme, su tutto il territorio nazionale, su una rete stabilmente strutturata in cui siano riconosciuti chiari standard per la presa in carico personalizzata, diagnosi, cura assistenza con adeguato collegamento con il territorio e operatori qualificati;
   circa il 26,7 per cento (3.418,4 euro) dei costi sanitari sono attribuibili alla riabilitazione: 1.508,2 euro (il 44 per cento) dei costi di riabilitazione si riferiscono a trattamenti erogati in regime di ricovero. (Indagine di costi ministeriale 2013);
   in occasione della settimana di sensibilizzazione organizzata dal 25 al 31 maggio 2015, Associazione italiana sclerosi multipla (AISM) che rappresenta e tutela a livello nazionale, i diritti delle persone con sclerosi multipla, ha presentato alle istituzioni, l'Agenda della sclerosi multipla 2015-2020, elaborata con gli stakeholders di riferimento, che traduce quanto previsto nella Carta dei diritti in impegni concreti che tutti coloro – istituzioni, enti, operatori, associazioni, cittadini – che sono coinvolti nella sclerosi multipla dovranno realizzare, con riferimento alla ricerca di cure efficaci, all'accesso alla cure e all'assistenza su base personalizzata, a terapie farmacologiche e riabilitative appropriate, alla garanzia del diritto alle persone con sclerosi multipla al lavoro ed all'inclusione sociale;
   nonostante gli sforzi dell'Associazione italiana sclerosi multipla e della Fondazione italiana sclerosi multipla (FISM) di promuovere la raccolta di dati strutturati sulla sclerosi multipla, ad oggi, non esistono flussi informativi e indicatori specifici per la sclerosi multipla nelle politiche sanitarie e socio-assistenziali e non sono previsti livelli essenziali di assistenza specificatamente riferiti alla sclerosi multipla. I dati che esistono sono compressi in macro voci e quindi aspecifici (ad esempio sistema SIVEAS e utilizzo di DRG non esclusivi per la sclerosi multipla).
   il patto per la salute 2014-2016, firmato il 10 luglio 2015:
    ha disposto l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA), di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, in attuazione dei principi di equità, innovazione ed appropriatezza;
    ha inoltre stabilito l'impegno del Ministero della salute a predisporre il Piano nazionale della cronicità e quello delle regioni a ridefinire il fabbisogno e l'organizzazione dei posti letto e delle cure domiciliari sanitarie e socio-sanitarie per una più adeguata presa in carico domiciliare e residenziale dei malati cronici non autosufficienti;
    prevede la valutazione multidimensionale e l'elaborazione di un piano personalizzato delle prestazioni da parte dell’équipe responsabile della presa in carico dell'assistito; la stipula di un'intesa tra Stato e regioni sugli indirizzi per la piena realizzazione della continuità assistenziale ospedale-territorio; la definizione di un documento di indirizzo sull'appropriatezza riabilitativa che individui criteri di appropriatezza di utilizzo dei vari setting riabilitativi al fine di garantire alle persone con disabilità un percorso riabilitativo integrato all'interno della rete riabilitativa –:
   se non reputi urgente prevedere, nell'ambito della procedura di revisione dei livelli essenziali di assistenza (LEA), l'inserimento di prestazioni per la diagnosi precoce, la cura (compresi i farmaci sintomatici), il trattamento individualizzato della sclerosi multipla, nonché assumere iniziative per garantire l'accesso tempestivo e uniforme sull'intero territorio nazionale ai farmaci per la cura della malattia – compresi i farmaci innovativi – ed i farmaci sintomatici, prevedendo per questi ultimi il costo a carico del sistema sanitario nazionale, quando prescritti all'interno del piano personalizzato di cura. (4-11637)


   CARDINALE e PAGANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero della salute ha emanato un decreto con il quale si stabiliva la chiusura di alcuni punti nascita nella regione Sicilia e nello specifico quelli degli ospedali di Bronte, Licata, Mussomeli, Linosa, Petralia, Alimena, Blufi, Bompietro, Castellana Sicula, Gangi, Geraci Siculo, Petralia Soprana, Polizzi Generosa, Santo Stefano Quisquina, Lipari, Cefalù;
   l'accordo Stato-regione del 16 dicembre 2010 ha previsto il quadro normativo nel contesto del quale si inserisce la riorganizzazione del percorso di nascita;
   tale accordo Stato-regione del 16 dicembre 2010 aveva individuato, come volume minimo di attività dei punti nascita, quello corrispondente ad un numero di parti uguali o superiori a 500 all'anno fatte salve talune deroghe motivate da criticità di difficile risoluzione;
   la legge n. 135 del 2012 fa riferimento al numero degli abitanti della regione, in Sicilia circa 5 milioni, per prevedere un numero di presidi di II livello (HUB), compresi in un numero tra 8 e 10. I presidi di I livello, invece, sarebbero compresi in un numero tra 20-25, inclusi i «Punti Nascita»;
   lo stesso Ministero, mentre ha concesso la deroga alla chiusura dei punti nascita per i comuni di Cefalù, Bronte e Licata, lo stesso non ha fatto per altri tra i quali il punto nascita di Mussomeli. A parere degli interroganti, per quanto attiene il P.O. «LONGO» di Mussomeli il Ministero avrebbe dovuto rilasciare analogo provvedimento in virtù della precarietà cronica della viabilità che rende difficili i collegamenti con il territorio e che potrebbe essere motivo di inadeguatezza dell'assistenza sanitaria;
   il punto nascita di Mussomeli infatti copre un ampio bacino che comprende i comuni di 3 province ovvero Caltanissetta, Agrigento e Palermo e precisamente Mussomeli, Montedoro, Bompensiere, Milena, Sutera, Vallelunga, Villalba, Campofranco, Acquaviva, S.G.Gemini, Casteltermini, Valledolmo, Castronovo, Lercara Friddi, paesi tutti arroccati sulle montagne e con un territorio geologicamente instabile. Questa analisi fa capire l'importanza che assume il punto nascita del P.O. «Longo» di Mussomeli, a prescindere dal fatto che il numero delle nascite sia inferiore a 500;
   anche un eventuale trasporto in ambulanza della gravida non si potrebbe eseguire in sicurezza, stante che l'unica ambulanza in dotazione al presidio ospedaliero non è provvista delle strumentazioni e del personale dedicato per eseguire il trasferimento;
   le partorienti del comprensorio di Mussomeli sarebbero costrette a riversarsi sull'ospedale di Agrigento (distante circa 45 minuti di una strada statale pericolosissima, meglio nota come «strada della morte») o, peggio ancora, su quello di Caltanissetta, raggiungibile in 60 minuti;
   il punto nascita di Mussomeli, invece, ha garantito, e garantisce in atto, determinate condizioni, atteso che la partoriente gode, oltre che dall'assistenza ginecologica, anche di quella anestesiologica-rianimatoria, mentre il neonato beneficia dell'assistenza neonata le assicurata dal servizio di pediatria;
   con il decreto ministeriale del 2013 veniva chiesto di mettere in sicurezza i punti nascita per poter consentire un ulteriore proroga degli stessi fino al 31 dicembre 2016 e per fare ciò sarebbe stato indispensabile che gli organi competenti, assessorato regionale alla salute e direzione strategica della ASP 2 di Caltanissetta si attivassero affinché quanto richiesto dal suddetto decreto ministeriale venisse attuato;
   il diritto alla salute e la salvaguardia dei livelli essenziali di assistenza vanno ben oltre i tetti massimi di spesa imposti dalla regione siciliana che, tra l'altro, non rientra più tra le regioni con obbligo di piano di rientro economico;
   dei provvedimenti adottati dal Ministero della salute con decreto del 31 dicembre 2015 in cui vengono prorogati i punti nascita di Licata e Bronte emerge invece ed in modo chiaro la disparità di trattamento tra le diverse realtà per il mancato rispetto dei parametri richiesti riguardanti il mantenimento dei punti nascita;
   vengono completamente stravolte le regole per un riconoscimento appropriato delle reali esigenze orografiche e territoriali di quegli ospedali ubicati in territori montani e privi di un adeguata viabilità;
   da parte dell'opinione pubblica c’è il sospetto che le scelte non abbiano tenuto conto del diritto costituzionale alla salute dei cittadini, così come invece si è manifestato nelle scelte a vantaggio di Bronte e Licata –:
   se sia a conoscenza di quanto espresso in premessa;
   se non sia il caso di considerare attentamente la richiesta di questi territori e assumere iniziative utili a garantire il mantenimento del punto nascita del P.O. di Mussomeli, al contempo, sulla base di un serio e efficace atto d'impegno di tutto il governo regionale per dotare il presidio ospedaliero di Mussomeli di ginecologi, anestesisti, pediatri-neonatologi e ostetriche nonché di quelle infrastrutture necessarie a fornire alle popolazioni dell'intero Vallone e del paesi limitrofi, un punto nascita realmente efficiente, capace di garantire, h24, cure e assistenza di qualità alle gravide e ai nascituri;
   per quali ragioni sia stata concessa la proroga relativa ai punti nascita di Bronte e Licata, ovvero quali siano nel dettaglio le motivazioni che hanno indotto la commissione tecnica istituita presso il Ministero della salute a far ricadere la propria scelta sui punti nascita di Bronte e Licata, non tenendo conto delle giuste argomentazioni del punto nascita del PO Longo di Mussomeli. (4-11644)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   GINEFRA. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 190 del 2014, all'articolo 1, comma 611, dispone che si deve avviare un processo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, in modo da conseguire una riduzione delle stesse entro il 31 dicembre 2015 anche tenendo conto dei seguenti criteri: « a) eliminazione delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche mediante messa in liquidazione o cessione; b) soppressione delle società che risultino composte da soli amministratori o da un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti; c) eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali, anche mediante operazioni di fusione o di internalizzazione delle funzioni; d) aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica; e) contenimento dei costi di funzionamento, anche mediante riorganizzazione degli organi amministrativi e di controllo e delle strutture aziendali, nonché attraverso la riduzione delle relative remunerazioni»;
   il comune di Bitonto detiene da oltre dieci anni il 60 per cento delle quote azionarie ASV spa che è una multiservizi che svolge attività di igiene pubblica urbana non solo nel comune di Bitonto, ma anche aggiudicataria di servizi analoghi in altri due comuni (Binetto e Cerveteri) e a far data dal 30 dicembre 2014 è uno dei comuni dell'ARO BA1 che ha costituito la new CO. che dovrebbe assolvere ai lavori di igiene urbana in tutto territorio dei cinque comuni. Di fatto tale new CO. non è ancora attiva e il consiglio di amministrazione in carica ha più volte rinviato l'attuazione del cronoprogramma delle attività deliberate –:
   se, per il caso di specie, trovi applicazione la summenzionata lettera c) ovvero se, come ritiene l'interrogante trovi applicazione (per la new CO.) la lettera b) del sopra riportato dispositivo di legge;
   se i termini di legge siano perentori ovvero ordinatori. (4-11621)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata:


   VALLASCAS, DA VILLA, CANCELLERI, CRIPPA, DELLA VALLE e FANTINATI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   sul sito web della società Snam spa è riportato che “la domanda gas in Italia potrà crescere sul decennio 2015-2024 di circa il 2,1 per cento medio annuo, sia a fronte di una previsione di ripresa del quadro macroeconomico e di domanda elettrica, sia a fronte della possibilità di attivare forme ulteriori di sostegno alla domanda quali il biometano e il progressivo incremento dell'uso del gas naturale nei trasporti;
   in particolare, per il biometano, prodotto negli oltre 1000 impianti in Italia, si può prevedere un contributo alla domanda di gas naturale fino a circa 5,1 miliardi di metri cubi al 2024, con una crescita significativa a partire dagli ultimi anni del decennio corrente”;
   il gas assume un ruolo centrale nella transizione verso un sistema energetico meno impattante da un punto di vista delle emissioni di gas ad effetto serra. La Strategia energetica nazionale del 2013 prevedeva, per quanto riguarda i gasdotti, di promuovere l'apertura del Corridoio Sud per l’import di gas dall'area del Caspio e da altri Paesi verso l'Italia, in particolare il progetto TAP (Trans Adriatic Pipeline). Inoltre, prevedeva di facilitare lo sviluppo del progetto South Stream (con potenziale sbocco in Italia), il progetto Galsi dall'Algeria e nuovi progetti di importazione del gas dal bacino del Mediterraneo;
   il progetto South Stream è stato definitivamente accantonato dopo che South Stream Transport, controllata al 100 per cento da Gazprom, ha deciso di cancellare il contratto con la Saipem per la prima linea della sezione offshore del gasdotto Turkish Stream a causa «dell'impossibilità di raggiungere un accordo su molti lavori e questioni commerciali per l'attuazione del progetto», contratto che per la Saipem valeva 2,2 miliardi di dollari;
   dopo alcuni articoli di stampa pubblicati nel dicembre 2015, nei quali si affermava la volontà italiana, condivisa dalla maggior parte dei Paesi dell'Unione europea, di «verificare la corrispondenza del progetto di raddoppio del gasdotto Nord Stream rispetto agli obiettivi dell'Unione» e per cui si ipotizzava un eccesso di concentrazione in una singola rotta del gas, aumentando la dipendenza dell'Unione europea dal gas russo, al contrario di quanto richiesto proprio in sede europea, sembrerebbero essersi avverate invece le indiscrezioni per cui il progetto italiano non sia quello di bloccare il Nord Stream, ma di pretendere una partecipazione economica di peso diverso;
   e infatti è notizia di questi giorni di una telefonata tra il Premier italiano Renzi e il Presidente Putin in cui «le parti hanno confermato l'importanza di proseguire il lavoro comune al fine di attuare progetti di energia reciprocamente vantaggiosi», notizia poi riportata dalla stampa italiana e seguita da un rialzo del titolo azionario della stessa Saipem, indicata come possibile beneficiaria di una parte dei lavori da realizzare per il nuovo gasdotto –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero e come l'eventuale supporto italiano alla realizzazione del raddoppio del Nord Stream possa essere giudicato coerente con quanto indicato nella Strategia energetica nazionale, che indica l'Italia come il futuro hub del gas verso i Paesi del nord Europa e per cui sono stati decisi ingenti investimenti in infrastrutture a carico dei consumatori italiani. (3-01922)


   PIZZOLANTE e TANCREDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità per il 2016, commi 240 e 241, ha modificato alcune norme del decreto-legge cosiddetto «Sblocca Italia» in tema di risorse energetiche nazionali e del decreto-legge cosiddetto «Sviluppo» n. 5 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 35 del 2012, che prevede norme relative alla ricerca di estrazione di idrocarburi;
   il Ministro interrogato ha concesso dei permessi di ricerca offshore nell'Adriatico che non prevedono alcun tipo di perforazione (che, comunque, non potrebbe essere autorizzata se non sulla base di una valutazione di impatto ambientale), ma esclusivamente attività di prospezione geofisica;
   tali perforazioni, peraltro, riguardano una zona di mare ben oltre le 12 miglia dalla costa: limite, quest'ultimo, previsto dalla legge di stabilità e, sulla base delle affermazioni del Ministro interrogato, non esistono contraddizioni tra le autorizzazioni e le disposizioni contenute nella legge di stabilità;
   in materia l'Italia ha una normativa che è, in assoluto, tra le più restrittive d'Europa e l'impatto ambientale del settore risulta, inoltre, tra i più bassi dell'industria italiana;
   costituisce una prerogativa da tempo affermata la capacità italiana di «fare impresa» rispettando l'ambiente;
   nel quadro, fortemente sostenuto, di una ricerca evoluta e dell'utilizzo intelligente dei mezzi e delle risorse, il nostro Paese deve possedere una precisa cognizione del valore e della consistenza del settore degli idrocarburi nel suo territorio: un obiettivo che è possibile conseguire specialmente oggi e con maggiori garanzie, attraverso le nuove tecniche estrattive che risultano decisamente meno invasive delle precedenti;
   il comparto delle fonti energetiche e della ricerca nel settore costituiscono un'indiscutibile priorità nell'ambito delle dinamiche di sviluppo dell'Italia, incidendo esse in maniera essenziale sul suo tessuto socio-economico;
   il nostro Paese che, si ripete, sa fare impresa rispettando l'ambiente, potrebbe giovarsi di un grande ritorno dall'espansione di una tale attività: in termini non solo strettamente economici ma anche sociali, perché è evidente come tale percorso sosterrebbe e favorirebbe ampiamente una forte crescita ed una sicura ripresa dell'occupazione, proponendo una vasta gamma di offerte ai lavoratori italiani;
   la ricerca di fonti energetiche, infatti, potrebbe rilevarsi strategica per la ripresa economica e per la crescita dell'occupazione. L'aumento della produzione nazionale di idrocarburi favorirebbe, peraltro, un'evoluzione positiva rispetto ai conti pubblici ed alla vita dei consumatori;
   in tale contesto assume un significato primario la corretta conoscenza da parte del Governo del valore e della consistenza dell'intero comparto (da valutare, accertare, monitorare costantemente nell'ambito di una ricerca approfondita e rispettosa della normativa vigente) –:
   quali siano le linee e gli indirizzi che il Governo intenda seguire per pervenire ad uno sfruttamento delle risorse energetiche del nostro Paese, attraverso un'azione che ne sostenga fortemente lo sviluppo socio-economico, nel sicuro rispetto della normativa vigente. (3-01923)

Interrogazione a risposta orale:


   FRACCARO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4, comma 1, punto 9), del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (statuto di autonomia) prevede che la regione Trentino-Alto Adige ha la potestà di emanare norme legislative in materia di sviluppo delle cooperazione e vigilanza sulle cooperative purché l'attività legislativo e l'esercizio delle funzioni sia in armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica;
   con legge regionale 17 aprile 2003, n. 3 «Delega di funzioni amministrative alle Province Autonome di Trento e di Bolzano» sono delegati alla provincia autonoma di Trento le funzioni amministrative della regione Trentino-Alto Adige in materia di sviluppo della cooperazione e vigilanza sulle cooperative;
   nella regione autonoma Trentino-Alto Adige il sistema di vigilanza sulle società cooperative è disciplinato dalla legge regionale 9 luglio 2008, n. 5 «Disciplina della vigilanza sugli enti cooperativi» e dal relativo Regolamento di attuazione. In particolare, la legge regionale n. 5 del 2008 attribuisce le funzioni di vigilanza ad un'autorità di revisione (articoli 2 e 3) che, per gli enti cooperativi aderenti, è costituita dall'associazione di rappresentanza delle cooperative, a condizione che l'associazione stessa sia dotata di strutture organizzative idonee a garantire l'autonomia e l'indipendenza del revisore. L'autorità di revisione è quindi l'organismo che ha il potere di vigilare sugli enti cooperativi mediante revisioni cooperative e che prevede nell'atto costitutivo la non ingerenza delle proprie cariche elettive nell'esecuzione della revisione cooperativa;
   la divisione vigilanza della Federazione trentina della cooperazione opera tramite revisori legali e cooperativi, dipendenti della Federazione stessa, abilitati e iscritti negli appositi registri, dopo il superamento di un esame di idoneità professionale e previo tirocinio;
   per le società aventi l'obbligo normativo, su richiesta delle cooperative associate alla Federazione Trentina della cooperazione, la divisione vigilanza si occupa di: verifiche del risultato economico infrannuale al 30 giugno; verifica e sottoscrizione delle dichiarazioni riguardanti gli aggregati segnalati al Fondo nazionale di garanzia; verifica e sottoscrizione delle dichiarazioni riguardanti l'imposta di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 601 del 1973; e sottoscrizione per dichiarazioni annuali IVA;
   per le società che ne fanno richiesta la divisione vigilanza si occupa di: rilascio di attestazioni di sostenibilità economica (misura 123.1 del PSR 2007/2013); verifiche per visto di conformità credito IVA; certificazione del bilancio redatto ai sensi dell'articolo 2545-octies del codice civile (perdita della qualifica di cooperativa a mutualità prevalente); due diligence contabile per operazioni straordinarie (fusioni, acquisizioni di aziende, e altro); verifica dei conti annuali separati per le cooperative del settore energetico tenute alla separazione amministrativa e contabile (Unbundling); rilascio di attestazioni per la partecipazione a gare d'appalto; rilascio di attestazioni attinenti le leggi provinciali: legge della provincia autonoma di Trento legge provinciale n. 15 del 2007 (attività agevolata); legge provinciale n. 8 del 2002 (patti territoriali); legge provinciale n. 6 del 2009 (soggiorni socio-educativi); legge provinciale n. 6 del 1999 (promozione territoriale);
   dal 1o luglio 2014 al 30 giugno 2015, la divisione vigilanza ha svolto la revisione legale dei conti per 46 casse rurali, 69 cooperative agricole, 40 cooperative di consumo e 74 cooperative di lavoro, servizi, sociali e abitazione. Per l'anno 2013, la divisione vigilanza ha svolto la revisione cooperativa ordinaria presso 24 casse rurali, 39 cooperative agricole, 49 cooperative di consumo e 147 cooperative di lavoro, servizi, sociali e abitazione. Per l'anno 2013, la divisione vigilanza ha svolto la revisione cooperativa straordinaria presso 1 cooperativa di lavoro, servizi, sociali e abitazione. Per l'anno 2014, la divisione vigilanza ha svolto la revisione cooperativa ordinaria presso 24 casse rurali, 50 cooperative agricole, 30 cooperative di consumo e 130 cooperative di lavoro, servizi, sociali e abitazione. Per l'anno 2014, la divisione vigilanza ha svolto la revisione cooperativa straordinaria presso 2 cooperative di consumo;
   Giorgio Fracalossi è stato nominato: presidente della Federazione Trentina della Cooperazione Società cooperativa in sigla «Cooperazione Trentina» in data 12 giugno 2015; presidente della Cassa Rurale di Trento - Banca di credito cooperativo in data 14 maggio 2015; presidente di Cassa Centrale Banca S.p.a. - Credito Cooperativo del Nord Est S.p.a in sigla Cassa Centrale Banca - Cassa Centrale in data 29 maggio 2013; presidente I.B.T. Informatica Bancaria Trentina S.r.l. in sigla Informatica Bancaria Trentina S.r.l. in data 26 aprile 2012; consigliere di Solidea Onlus in data 12 luglio 2010. È evidente come i ruoli ricoperti da Fracalossi rivestano un forte interesse nella governance del sistema del credito cooperativo della provincia di Trento poiché le funzioni ad essi connessi spaziano dall'erogazione del credito ai consumatori, dall'erogazione del credito all'investimento diretto in capitale di rischio, dall'accompagnamento ai processi di costituzione, di acquisizione, di fusione e di cessione societaria, alla supervisione dell'attività di vigilanza, alle responsabilità nella gestione del personale, includente quello della divisione vigilanza, fino all'attività di rappresentanza nelle sedi legislative, istituzionali e del sistema nazionale della cooperazione. Il principio della separazione tra gestione e controllo non sembrerebbe rispettato al pari dei principi fondanti del movimento cooperativo, quali la democrazia societaria e il fine sociale;
   nell'intervento intitolato «Le banche locali e di credito cooperativo in prospettiva: vigilanza europea ed evoluzione normativa» svolto a Bolzano il 12 febbraio 2015 il capo del dipartimento di vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia, dottor Carmelo Barbagallo, ha sottolineato che le banche locali costituiscono la componente prevalente delle banche italiane less significant (LSI), ovvero degli intermediari che, nell'ambito del meccanismo di vigilanza unico (MVU), restano assoggettati alla supervisione diretta della Banca d'Italia, pur prevedendosi un ruolo di sorveglianza della BCE. Nell'ultimo triennio, le tensioni sui mercati finanziari e la lunga fase congiunturale sfavorevole hanno posto le banche locali di fronte a sfide non meno difficili di quelle affrontate dalle banche più grandi. Il processo di contrazione numerica delle banche del territorio, in atto da tempo, ha registrato un'accelerazione. Per il sistema del credito cooperativo la riduzione è particolarmente evidente. Se alla fine del 2011 si contavano 411 BCC, le operazioni di aggregazione, finalizzate a risolvere situazioni di problematicità che la fase recessiva ha aggravato, ne hanno ridotto il numero fino a 376 dello scorso dicembre;
   il Capo del dipartimento di vigilanza ha evidenziato inoltre che l'aspetto di maggiore vulnerabilità delle banche locali è rappresentato dal marcato deterioramento della qualità dei prestiti, per effetto, innanzitutto, di due pesanti recessioni dell'economia, ma anche di scelte gestionali e allocative rappresentative di un rapporto a volte non equilibrato con il territorio di insediamento. Ciò in primo luogo a causa del materializzarsi del rischio di «cattura»: il legame con il territorio, che teoricamente dovrebbe generare vantaggi informativi in grado di migliorare la selezione del merito di credito, può viceversa comportare condizionamenti tali da compromettere l'oggettività e l'imparzialità delle decisioni di finanziamento;
   nelle banche di credito cooperativo l'incidenza dei crediti anomali sul totale dei prestiti è salita dal 10 al 17,5 per cento tra giugno 2011 e giugno 2014. L'accelerazione ha riguardato principalmente le sofferenze, più che raddoppiate (dal 4 al 8,4 per cento). La rischiosità dei prestiti delle banche locali, in passato più contenuta nel confronto con le altre banche, ha raggiunto livelli più elevati di quelli relativi all'intero sistema bancario (16,8 per cento), sostanzialmente allineati a quelli delle banche oggetto della recente verifica approfondita degli attivi da parte della BCE (17,4 per cento);
   la capacità di risposta delle banche del territorio appare tuttavia limitata, anche a causa delle debolezze presenti negli assetti di governance, sottolineate della Banca d'Italia, tra le quali: la scarsa dialettica all'interno dei board e assenza di effettivi contrappesi alle figure apicali, a causa di fattori che limitano la funzionalità degli organi, quali le competenze non adeguate e non abbastanza diversificate, il limitato ricambio, anche generazionale, degli esponenti, il numero elevato di membri; la presenza frequente di conflitti di interesse, cui non corrisponde l'attivazione di efficaci processi interni di prevenzione e gestione;
   nell'intervento di Barbagallo del 23 giugno 2015 «La vigilanza bancaria unica: sfide e opportunità» tenutosi al Convegno «Unione Bancaria e Basilea 3 - Risk & Supervision 2015» organizzato dall'Associazione bancaria italiana, si evidenzia come nell'analisi delle possibili sovrapposizioni non può mancare quella riguardante l'esercizio delle attività di vigilanza rispetto a quelle di risoluzione delle crisi. La nuova architettura europea si fonda sulla separatezza tra vigilanza e risoluzione delle crisi, anche al fine di ridurre i conflitti d'interesse tra le autorità responsabili delle due funzioni. La ratio della norma è chiara e condivisibile. Deve però essere evitato il rischio di sovrapposizioni di compiti, scarsa chiarezza nell'attribuzione di responsabilità, mancato sfruttamento delle sinergie informative. Ciò è importante sia nella fase di pianificazione della gestione delle crisi, sia quando l'intermediario entra in difficoltà;
   come avviene per l'architettura europea, la quale segue la logica della specializzazione tra le diverse funzioni interessate per l'esercizio della vigilanza macroprudenziale, la suddivisione dei poteri di controllo tra autorità europee e nazionali dovrebbe avvenire anche per la vigilanza microprudenziale e per la pianificazione della risoluzione delle crisi a livello locale. I cambiamenti introdotti nell'architettura per la supervisione delle banche e la gestione delle crisi sono di portata storica. Richiedono un adattamento culturale, per le banche come per le autorità. Tutto questo richiede notevoli sforzi. Da parte delle autorità di vigilanza, che devono stabilire un linguaggio comune, essere trasparenti nei confronti del mercato e degli stessi intermediari, supportare con dati e analisi robuste le proprie posizioni, garantire una cooperazione convinta, pur se dialettica. Da parte delle banche, che devono porsi nelle migliori condizioni per una transizione non traumatica al nuovo sistema, accrescendo gli sforzi sin qui fatti per raggiungere più elevati livelli di efficienza allocative e operativa;
   nel parere d'iniziativa «Il ruolo delle banche cooperative e delle casse di risparmio nella coesione territoriale - proposte per un quadro di regolamentazione finanziaria adattato» (2015/C 251/02), il Comitato economico sociale europeo (CESE), se da un lato intende valorizzare il modello bancario rappresentato dalle banche cooperative e dalle casse di risparmio, dall'altro afferma con forza il suo totale rifiuto di determinati comportamenti del settore finanziario, seguiti anche da alcuni attori di questo settore, e chiede un rafforzamento delle norme deontologiche e dei codici di buona governance per l'insieme del settore finanziario quale conditio sine qua non per recuperare la fiducia perduta;
   nella fattispecie, il CESE fissa i principi cooperativi su cui è basata la governance delle banche cooperative, i quali sono quello di un processo decisionale democratico e quello di partecipazione (una persona, un voto). Fissa altresì le opzioni strategiche di fronte alle sfide del futuro. Riconoscendo il contribuito delle banche cooperative e delle casse di risparmio nel fornire stabilità, solvibilità e concorrenza al sistema bancario europeo, individuando le sfide imposte dalle esigenze di mercato tra le quali la promozione della trasparenza e della buona governance societaria. Per il CESE la governance societaria va migliorata attraverso la creazione di strutture appropriate per la formazione, la gestione e il controllo dell'attività. In concreto, bisognerà stabilire codici di condotta rigorosi per garantire la professionalità e l'etica nella rappresentanza di interessi differenti negli organi di governance; la creazione di un nuovo modello di vigilanza interna per le casse di risparmio e le banche cooperative che tenga conto dei dipendenti, dei rappresentanti delle piccole e medie imprese e di altri gruppi d'interesse. Tutto ciò al fine di potenziare il modello di banca socialmente responsabile fondata sui principi e valori dell'economica sociale –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e quali eventuali iniziative di competenza intenda assumere per evitare situazioni come quella descritta affinché l'attività di vigilanza sulle cooperative sia svolta in modo indipendente, autonomo e in sintonia con gli indirizzi suggeriti dal Comitato economico sociale europeo nel parere sopra citato.
(3-01918)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GRIBAUDO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   lo stabilimento Italcementi spa con sede a Borgo San Dalmazzo (CN), fondato negli anni Cinquanta, vanta una storia di oltre sessant'anni sul territorio e ha rappresentato nel tempo una importante realtà occupazionale per la città e per tutto il circondario. Negli ultimi anni di attività produttiva, contava un centinaio di dipendenti diretti e circa 150 nell'indotto;
   nel 2008 la produzione è stata sospesa con ricorso agli ammortizzatori sociali per i lavoratori. In seguito, l'impianto è stato trasformato da centro di produzione a ciclo completo in centro di macinazione e spedizione. Il numero dei lavoratori è sceso dai 97 del dicembre 2008 ai 34 attuali;
   il 28 ottobre 2015, in occasione del primo incontro tra il Governo e la società tedesca Heidelberg che ha acquisito la quota di controllo del gruppo Italcementi, il Ministro Guidi ha chiesto di salvaguardare la forte presenza in Italia e le professionalità esistenti, auspicando anzi un rafforzamento nel nostro Paese;
   il 3 dicembre 2015 sono stati siglati, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, due accordi per la concessione della cassa integrazione guadagni per cessazione di attività e per riorganizzazione aziendale nell'ambito del piano 2016-2017. Tra le realtà elencate, non risultava quella di Borgo San Dalmazzo;
   nel «Piano 2016-2017, Riorganizzazione Italia», con cui la Italcementi intende attuare la seconda fase della propria riorganizzazione e il completamento del piano industriale avviato nel 2013, il sito di Borgo viene unicamente citato fra gli 8 centri di macinazione in Italia;
   il 2 maggio 2016 si concluderanno i contratti di utilizzo degli ammortizzatori sociali e, per ora, non si hanno ulteriori e sufficienti dettagli sul futuro produttivo ed occupazionale a Borgo San Dalmazzo –:
   se sia a conoscenza di ulteriori informazioni utili a chiarire le prospettive aziendali in merito al sito di Borgo San Dalmazzo e a rassicurare i lavoratori e le comunità locali in merito alla salvaguardia dei livelli lavorativi esistenti e futuri.
(5-07340)


   RICCIATTI, FERRARA, PLACIDO, AIRAUDO, MELILLA, QUARANTA, PIRAS, GREGORI, DURANTI, SANNICANDRO e KRONBICHLER. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il «Rapporto sulla stabilità finanziaria n. 1/2015», pubblicato ad aprile 2015 dalla Banca d'Italia, ha rilevato come a fronte di un generale miglioramento delle condizioni di liquidità e di accesso ai finanziamenti, «una fascia rilevante di aziende di piccola e media dimensione e con livelli elevati di indebitamento continua tuttavia a incontrare difficoltà di accesso al credito e opera con scorte di liquidità molto ridotte; per queste aziende potrebbe essere difficile trarre pieno vantaggio dalla ripresa»;
   il rapporto sottolinea come persistano ampie differenze nelle condizioni di finanziamento delle imprese, a seconda delle dimensioni, della solidità patrimoniale e dei mercati di sbocco, ribadendo come per le aziende più piccole «la quota di quelle che hanno chiesto e non ottenuto credito, pur in calo, rimane nettamente più elevata rispetto alle imprese di maggiore dimensione» (pagina 18);
   nel rapporto successivo («Rapporto sulla stabilità finanziaria n. 2/2015») la Banca d'Italia ha registrato un miglioramento «per la prima volta dall'inizio della crisi» delle condizioni finanziarie delle imprese italiane, che starebbero beneficiando in varia misura della lieve ripresa economica, riuscendo progressivamente a rimborsare i debiti e vedendo aumentare le opportunità di accesso ai finanziamenti;
   il dato macroeconomico fotografato da Bankitalia non è tuttavia omogeneo sul territorio nazionale e permangono situazioni ad elevata criticità, soprattutto in ordine al livello di esposizione delle aziende – in particolare modo di piccole dimensioni – verso le banche e ai livelli di sofferenza;
   tale situazione è stata già segnalata dagli interroganti in altri atti di sindacato ispettivo per l'area del Fermano, nelle Marche, dove, oltre ai contraccolpi legati al drastico calo dell’export verso la Russia, ha gravato sul distretto industriale di quell'area il calo della domanda interna europea e italiana;
   in una recente intervista il presidente di Confindustria Fermo Andrea Santori ha sottolineato come nella provincia di Fermo la ripresa non si sia sentita, sopratutto per il settore del calzaturiero, aggiungendo che «nel 2015 le sofferenze sono salite al 23 per cento, rispetto al 12,5 del 2013. Ciò che più preoccupa è che di quel 23, il 5 per cento è stato accumulato negli ultimi mesi dell'anno» (Il Resto del Carlino, 11 gennaio 2016) –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato al fine di sostenere l'economia del distretto Fermano, in ordine alle problematiche illustrate in premessa. (5-07343)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 14 gennaio 2016 si terrà un importantissimo incontro presso la sede del Ministero dello sviluppo economico in cui si deciderà il destino dei 575 lavoratori della sede di Castellammare di Stabia di Fincantieri, e in particolare per i 156 operai per cui era stata annunciata la cassa integrazione;
   al momento la cassa integrazione è stata congelata, ma il problema è destinato a riproporsi laddove non vi fossero nuove commesse in grado di evitare al cantiere stabiese un lungo periodo di «stop»;
   all'incontro del 14 gennaio saranno presenti, oltre ai rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico, anche funzionari dei dicasteri di difesa, infrastrutture e trasporti e istruzione università e ricerca;
   in tale occasione si dovrebbe ripartire dalle tante promesse fatte e mai compiutamente messe in atto da parte del Governo e dell'azienda, considerato il fatto che i lavoratori hanno già sopportato sin troppi sacrifici;
   il cantiere navale di Castellammare di Stabia è il più antico del mondo, operativo da oltre due secoli, e impiega 600 lavoratori interni più un numero pari al triplo di lavoratori dell'indotto;
   una realtà del genere potrebbe e dovrebbe rappresentare un simbolo di rilancio del Mezzogiorno a partire proprio da settori industriali strategici, come la cantieristica navale;
   in una fase di crisi economica come quella che il Paese attraversa ormai da anni, in cui il sud del Paese è stato colpito ancor più duramente come dimostrano le drammatiche percentuali di disoccupazione (specialmente giovanile e femminile), una mancata soluzione del problema riguardante il cantiere navale di Castellammare di Stabia avrebbe effetti gravissimi;
   i fatti narrati sono riportati, tra gli altri, anche nell'articolo pubblicato il 10 gennaio 2016 dal quotidiano Metropolis e intitolato «Fincantieri, nuove commesse per evitare lo stop» e nell'articolo pubblicato dall'edizione locale del quotidiano La Repubblica in data 12 gennaio 2016 con il titolo «Fincantieri, dagli operai lettera-appello a Matteo Renzi»;
   quali iniziative intenda assumere per garantire una soluzione efficace della questione relativa al cantiere navale di Fincantieri a Castellammare di Stabia;
   se non ritenga che tale soluzione debba necessariamente passare per un serio e concreto rilancio di una realtà così importante, in modo da rimettere in moto il Mezzogiorno;
   se non ritenga fondamentali la salvaguardia dei diritti dei lavoratori coinvolti, sia interni che dell'indotto, e il mantenimento dei livelli occupazionali.
(4-11628)


   CATALANO, RIBAUDO, SOTTANELLI, GALGANO, CATANIA, VEZZALI, CAPUA, D'AGOSTINO, BARADELLO, FITZGERALD NISSOLI, OLIARO, MONCHIERO, ANTIMO CESARO e PALLADINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 5 gennaio 2015, è stata diffusa la notizia (v. ex pluribus, Il Sole 24 Ore) di un provvedimento con cui l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, come esposto nel bollettino n. 48/2015 della medesima Autorità, ha imposto a Poste italiane di aprire la propria rete per la commercializzazione di beni e servizi alle società di telefonia mobile concorrenti;
   in particolare, l'Autorità, a fronte dell'espressa richiesta di accesso precedentemente proposta da H3G a Poste, ha ritenuto illegittima la condotta dilatoria posta in essere dalla società postale per procrastinare la risposta, senza tuttavia irrogare sanzioni;
   nel mese precedente, come ampiamente trattato dalla stampa (v. ex pluribus, Il Fatto Quotidiano del 28 dicembre 2015), ed esposto nel bollettino n. 47/2015 dell'Agenzia garante della concorrenza e del mercato la società Poste Italiane spa, concessionaria del servizio pubblico postale, era invece stata multata con una sanzione di importo pari a 540 mila euro, per pratiche commerciali scorrette relativamente al libretto di risparmio postale «Libretto Smart»;
   nei messaggi pubblicitari diffusi nei primi mesi del 2015, Poste Italiane aveva infatti dichiarato una remunerazione di tali libretti dell'1,5 per cento lordo, ma i messaggi «omettono di specificare che la remunerazione dell'1,5 per cento, alla quale e data assoluta e quasi esclusiva enfasi, è in realtà riconosciuta con importanti limitazioni e condizioni»;
   come infine osservato dall'AGCM, «le condotte in esame appaiono caratterizzate da un elevato grado di offensività, in quanto suscettibili di falsare in misura apprezzabile il comportamento economico dell'ampio numero di consumatori interessati»;

l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, in ragione della distribuzione dei ruoli tra Poste Italiane e Cassa depositi e prestiti, come stabilita in apposita convenzione, ha escluso una responsabilità della seconda per la pratica commerciale scorretta;
   Poste Italiane è una delle principali società pubbliche italiane, non solo per dimensione ma anche per capillarità, visibilità e per ragioni storiche, ed è concessionaria del servizio pubblico;
   i libretti postali, emessi dalla Cassa depositi e prestiti s.p.a. al fine di raccogliere le risorse necessarie allo svolgimento della sua attività istituzionale, e garantiti dallo Stato italiano, sono una forma di risparmio collocata da Poste Italiane sin dal 1875 e tutelata dall'articolo 47 della Costituzione;
   per queste ragioni, le pratiche commerciali scorrette poste in essere nell'ambito del risparmio postale non solo violano la fiducia degli utenti in relazione al singolo prodotto, ma sono suscettibili di incrinare la fiducia della collettività nelle istituzioni formalmente o sostanzialmente pubbliche coinvolte –:
   di quali notizie disponga il Governo;
   quali iniziative di competenza intenda il Governo porre in essere, anche in qualità di azionista di maggioranza di Poste Italiane, al fine di assicurare che la società ponga in essere condotte commerciali strettamente aderenti a canoni di correttezza e responsabilità verso i propri utenti e concorrenti. (4-11631)


   ANDREA MAESTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 17 dicembre 2015, il consiglio comunale di Conselice, in provincia di Ravenna, ha approvato all'unanimità un ordine del giorno per sostenere ogni iniziativa utile per risolvere la grave situazione di crisi in cui versa la cooperativa edile Iter di Lugo, ove si prevede che il 18 febbraio 2016, al termine del periodo di erogazione degli ammortizzatori sociali, verranno licenziati tutti i 182 dipendenti e soci della cooperativa;
   tale circostanza, se si realizzasse, arrecherebbe un duro colpo a centinaia di famiglie del territorio e condurrebbe, inoltre, alla frantumazione e dispersione di un importante patrimonio aziendale e professionale costruito negli anni;
   già il 3 dicembre 2015, nella sede della regione Emilia Romagna l'assessore regionale alle attività produttive aveva convocato il tavolo istituzionale relativo alla situazione di crisi della Cooperativa Iter, alla presenza degli amministratori del comune di Lugo, della provincia di Ravenna, delle organizzazioni sindacali Fillea-Cgil, Cisl regionali e della provincia di Ravenna, dei rappresentanti della rappresentanza sindacale unitaria dell'azienda, del presidente della Cooperativa Iter, del presidente regionale di Legacoop e del direttore di Legacoop Romagna;
   l'incontro è terminato con l'impegno, da parte di Legacoop, a presentare un nuovo piano di rilancio entro il 25 gennaio 2016 per risolvere la crisi che attanaglia la cooperativa. Un progetto industriale che dovrà tutelare l'occupazione e costituire un soggetto imprenditoriale in grado di riposizionarsi in modo competitivo nel mercato delle costruzioni;
    la cooperativa Iter di Lugo ha una antica storia come organizzazione associativa dei lavoratori della provincia di Ravenna, che vide nella seconda metà del secolo scorso la nascita delle prime esperienze cooperative. La cooperativa infatti è stata fino a qualche anno una delle maggiori aziende edili del nostro Paese;
   i problemi di questa cooperativa sono nati subito dopo aver raggiunto il suo apice, ovvero dopo la costruzione degli impianti di gara e il villaggio olimpico delle olimpiadi invernali di Torino del 2006;
   la crisi del settore edile e le difficoltà specifiche fatte anche di piccoli errori gestionali, hanno portato la Iter al collasso, tanto che dal 19 agosto 2014 il tribunale di Ravenna l'ha ammessa al concordato misto, un sistema per garantire la continuità aziendale con la contemporanea messa in liquidazione dei beni non funzionali all'esercizio dell'impresa, e al contempo dare la possibilità alla cooperativa Iter di mettere a punto un piano industriale di rilancio aziendale concreto tale da convincere i creditori ad un'eventuale prosecuzione dell'attività aziendale. Una mossa quasi disperata, in alternativa al classico fallimento, che ha permesso però di terminare dei lavori ancora in corso e di fare ricorso al Ministero dello sviluppo economico e di ottenere la cassa integrazione speciale per grave crisi aziendale per gli oltre 200 lavoratori che erano ancora occupati;
   già dal 2010, la dirigenza della cooperativa e i funzionari della Legacoop hanno più volte garantito un progetto di rilancio, che prevedeva aggregazioni tra varie realtà cooperative che consentisse l'adozione di un piano per il riassorbimento dei lavoratori in esubero. Ad oggi, a pochi mesi dalla fine degli ammortizzatori sociali, tutto questo è scomparso come anche gli impegni sottoscritti tra regione, sindacati e cooperazione solo pochi mesi fa, il 2 aprile 2015;
   oggi la situazione è precipitata e in questi giorni sono arrivate le prime lettere di licenziamento per i 182 lavoratori rimasti che, salvo positive sorprese, verranno tutti licenziati entro il 18 febbraio 2016, cioè al momento della scadenza degli ultimi sei mesi di cassa integrazione;
   i lavoratori e i sindacati del settore edile Fillea-Cgil, Filca-Cisl e Feneal-Uil hanno chiesto il rispetto degli impegni presi nel piano industriale da tutti i soggetti coinvolti e in particolare da Legacoop;
   il 22 dicembre il consiglio provinciale di Ravenna ha approvato un ordine del giorno dove si chiede alla regione, tra le altre cose: «...di promuovere le azioni conseguenti all'accordo regionale di settore del 2 aprile 2015, per favorire l'aggregazione fra imprese, la rioccupazione e la riconversione professionale, con l'impegno di sostegno al reddito e laddove esistano i requisiti alla concessione del prepensionamento. Chiede altresì al Governo e alla Regione che parte dei finanziamenti previsti dall'Unione Europea vengano destinati ad incentivare e promuovere lavori di manutenzione edilizia, riqualificazione energetica, rigenerazione urbana e di cura e manutenzione del territorio per una nuova domanda di lavoro nel settore» –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, cosa intenda fare il Governo per dare soluzione positiva alla grave situazione di crisi in cui versa la Cooperativa edile Iter di Lugo, nell'ambito delle sue competenze, affinché vengano avviate tutte le iniziative volte a recuperare le risorse economiche necessarie per salvaguardare una realtà lavorativa che rappresenta per centinaia di famiglie della provincia di Ravenna l'unica forma occupazionale. (4-11647)

Cambio di presentatore ad interpellanze urgenti.

  L'interpellanza urgente n. 2-01204, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 dicembre 2015, è da intendersi presentata dall'onorevole Nicchi, già cofirmatario della stessa.

  L'interpellanza urgente n. 2-01222, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 gennaio 2016, è da intendersi presentata dall'onorevole Pellegrino, già cofirmatario della stessa.

Pubblicazione di un testo riformulato, aggiunta di firme e contestuale ritiro di una firma.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Nicoletti n. 1-00966, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 473 del 31 luglio 2015, che deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Bergamini, Alli, Centemero e contestuale ritiro della firma della deputata Grande.

   La Camera,
   premesso che:
    mercoledì 6 gennaio 2016 i sismografi in Corea del sud, Giappone e Stati Uniti hanno registrato un terremoto di 5,1 gradi della scala Richter in Corea del nord, a circa 50 chilometri a nord di Kilju, vicino al confine con la Cina. Poco dopo è giunta la conferma da Pyongyang, che ha reso noto di aver condotto con successo un test con una bomba all'idrogeno. L'area dell'epicentro del terremoto coincide infatti con quella dei test nucleari nordcoreani precedentemente effettuati. Nonostante i dubbi sull'uso dell'idrogeno, la Corea del nord ha effettuato tre precedenti test con bombe atomiche a fissione: nel 2006, nel 2009 e nel 2013. Per questo motivo le Nazioni Unite avevano imposto sanzioni internazionali. L'Organizzazione Onu per il trattato sul bando dei test nucleari ha dichiarato che il test è una violazione del trattato stesso e una grave minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale. Il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha condannato fermamente il nuovo test nucleare della Corea del nord, in quanto rappresenta una «chiara violazione» delle sue risoluzioni e annuncia che imporrà immediatamente ulteriori misure restrittive con una nuova risoluzione. L'Alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini ha dichiarato che si tratta di «una minaccia alla pace e alla sicurezza dell'intera regione nordorientale dell'Asia»;
    con una risoluzione del 28 marzo 2014, il Consiglio Onu dei diritti umani ha condannato la Corea del Nord per le sistematiche, massicce e gravi violazioni dei diritti umani – crimini contro l'umanità compresi – che continuano a essere commesse nel Paese;
    centinaia di migliaia di persone, come denunciato più volte da Amnesty International e confermato di recente dal rapporto della Commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite sulla Corea del Nord, sono detenuti in campi di prigionia politica e in altre strutture detentive del Paese. Molte di loro non hanno commesso alcun reato se non quello «associativo», dovuto al fatto di essere parenti di persone colpevoli di reati politici. Il testo del rapporto riporta testimonianze dirette e indirette che hanno fatto luce su un Paese definito «senza paragoni nel mondo contemporaneo» dal giudice australiano Michael Kirby che ha guidato il lavoro della commissione d'inchiesta Onu. Le responsabilità, si sottolinea nel rapporto, sono molteplici ma alla fine riconducibili ai più alti livelli del Governo, che coscientemente pone in uno stato di sudditanza e paura estrema la popolazione, perseguendo duramente e senza alcun rispetto per trattati e convenzioni internazionali ogni forma di dissenso o comportamenti giudicati anormali o anche solo stravaganti;
    tali abusi sono stati ripetutamente segnalati anche da numerose organizzazioni internazionali e da testimoni come Shin Dong-Hyuk, esule nordcoreano fuggito dal campo di prigionia a 23 anni, il quale nell'aprile 2015 ha visitato l'Italia e raccontato, la sua esperienza di prigionia fin dalla nascita. Queste testimonianze si aggiungono alla documentazione di numerosi organismi internazionali che hanno provato l'esistenza di almeno 6 campi di concentramento, con oltre 15.000 prigionieri politici ed altri detenuti per un totale di prigionieri stimabile intorno alle 200.000 unità;
    la Corea del Nord prosegue in una catastrofica politica economica che portò alla morte di milioni di cittadini nord coreani e continua a spendere un inaudito 25 per cento del suo prodotto interno lordo per spese militari. Nonostante la grave situazione alimentare del Paese, il Governo nord coreano pone numerose limitazioni alle agenzie internazionali e alle organizzazioni non governative indipendenti che portano aiuti; inoltre, il sistema giudiziario della Repubblica democratica popolare, di Corea non risulta essere libero e indipendente, la pena di morte è applicata per numerosi reati, e il codice penale non risulta in linea con gli standard internazionali, così da legittimare abusi e decisioni arbitrarie. Le libertà di opinione, espressione e associazione sono gravemente compresse dalle autorità governative nonostante le garanzie costituzionali;
    la Corea del Nord ha sottoscritto importanti convenzioni internazionali, tra le quali il Patto internazionale sui diritti civili e politici e la Convenzione sul diritti del fanciullo;
    il Parlamento europeo ha approvato diverse risoluzioni mettendo in evidenza la criticità della situazione dei diritti umani nella Corea del Nord ed ha esortato le autorità del Paese a porre fine agli abusi perpetrati ai danni della popolazione cessando le esecuzioni, le torture ed i lavori forzati e garantendo l'accesso all'assistenza alimentare;
    risulta chiaro che l'avvicendamento al potere di Kim Yon-un, succeduto al padre Kim Jong-il alla fine del 2011, non abbia apportato alcun miglioramento della situazione dei diritti umani nella Corea del Nord, né ha migliorato i rapporti con la comunità internazionale come dimostra il test nucleare del 6 gennaio;
    numerose organizzazioni non governative internazionali per i diritti umani hanno esortato l'Unione europea ad occuparsi maggiormente della questione dei diritti umani nella Corea del Nord,

impegna il Governo:

   ad adoperarsi in tutte le sedi internazionali, in particolare l'ONU e l'Unione europea, al fine di bloccare la pericolosa escalation militare in una regione già resa fragile da dispute territoriali e con la contemporanea presenza di tre potenze nucleari come la Cina, La Russia e gli Stati Uniti;
   ad evidenziare e condannare le violazioni dei diritti umani perpetrate dalla Corea del nord e ad intervenire, per quanto di propria competenza, presso il Governo della Repubblica democratica popolare di Corea affinché possano cessare al più presto le gravi violazioni dei diritti umani, si possa mettere fine alle esecuzioni capitali e si possano chiudere i campi di prigionia e «rieducazione».
(1-00966)
«Nicoletti, Bergamini, Alli, Locatelli, Carrozza, Dell'Aringa, Misiani, Patriarca, Schirò, Zampa, Stella Bianchi, Centemero».

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Piazzoni n. 7-00880, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 544 dell'11 gennaio 2016.

   La Commissione XII,
   premesso che:
    la legge 8 novembre 2000, n. 328, finalizzata a promuovere interventi sociali, assistenziali e sociosanitari volti a superare la semplice assistenza del singolo, garantendo il sostegno della persona all'interno del proprio nucleo familiare, ha cambiato profondamente il sistema dei servizi e degli interventi sociali affermatosi fino ad allora sul territorio italiano ricoprendo un ruolo decisivo, in molti casi, per una sua effettiva attuazione;
    contestualmente all'approvazione di detta legge, ha visto la luce la legge costituzionale n. 3 del 2001, legge di riforma del titolo V della Costituzione. Con essa la competenza normativa esclusiva in materia di servizi socio-assistenziali è stata attribuita, in via residuale, in capo alle regioni, permanendo in capo allo Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Tale ridefinizione del riparto di competenze tra il livello centrale e quello regionale ha senza dubbio attenuato secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, la forza riformatrice della legge n. 328 del 2000, pur rimanendo quest'ultima ancora oggi, a quindici anni dalla sua approvazione, legge quadro di riferimento per il sistema di welfare italiano. La sua attuazione si è dunque affermata sulla base di leggi regionali di recepimento e riordino del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Occorre tuttavia precisare che non tutte le regioni hanno provveduto ad emanare l'apposita normativa attuativa: sono 14 infatti (assieme alla provincia autonoma di Trento) quelle che si sono mosse in questa direzione, ridefinendo il quadro organico del settore;
    la legge n. 328 del 2000 ha messo in campo un esteso tentativo di decentramento territoriale e di redistribuzione delle responsabilità, investendo gli enti locali di un ruolo centrale – anche in virtù del principio della sussidiarietà verticale – e caratterizzandosi per la promozione dell'integrazione tra i diversi attori istituzionali e sociali nel senso della ricerca di un livello adeguato di collaborazione, programmazione e gestione condivisa del sistema locale dei servizi. In tale ottica gli enti locali sono chiamati ad implementare forme di aggregazione intercomunale (ambiti territoriali) e a promuovere forme unitarie di organizzazione e gestione associata dei servizi in ambito distrettuale (piano di zona) attraverso accordi formali;
    per gestione associata dei servizi sociali deve dunque intendersi l'utilizzo di una forma organizzativa per la gestione unitaria dei servizi sociali di più comuni. La sua dimensione ottimale di riferimento comprende tutti i comuni dell'ambito sociale e il suo obiettivo strategico è quello di garantire in modo efficiente ed omogeneo i livelli essenziali delle prestazioni sociali (LEPS) in tutto il territorio;
    la forma per la gestione associata dei servizi sociali viene lasciata, da tutte le regioni, alla autonoma determinazione dei comuni che possono scegliere fra le forme previste dal testo unico degli enti locali (decreto legislativo n. 267 del 2000 – testo unico degli enti locali, in seguito TUEL);
    le possibili forme associative degli enti locali sono previste dal TUEL agli articoli 30 (convenzioni), 31 (consorzi), 32 (unioni di comuni), 33 (esercizio associato di funzioni e servizi) e 34 (accordi di programma). Alcune regioni hanno ampliato inoltre le citate possibilità. È il caso, ad esempio, della provincia autonoma di Bolzano che ha previsto con legge, un'azienda dei servizi sociali ad hoc per la gestione dei servizi sociali della città di Bolzano, o della regione Friuli-Venezia Giulia che ha previsto che i comuni possano costituire, anche in forma associata con altri enti locali e con soggetti privati, nuove aziende pubbliche di servizi alla persona (ASP) per gestire servizi socio-assistenziali e socio-sanitari, si tratta di una possibilità già introdotta dalla regione Emilia Romagna e in seguito anche dalla regione Puglia e dalla regione Marche. Realtà di gestione associata diverse sono nate anche in assenza di indicazioni normative regionali: è il caso delle aziende speciali (consortili o monocomunali) sviluppatesi nella regione Lombardia;
    il quadro delineato mostra con chiarezza come sussistano diverse possibilità organizzative per la realizzazione della gestione associata dei servizi sociali, ciò in forza del dato normativo, ma anche sulla scia di indicazioni ed esperienze assai diverse che provengono dalle regioni e dai comuni;
    semplificando, la scelta di gestione associata può essere realizzata secondo le seguenti possibilità: i patti di collaborazione amministrativi, come le convenzioni tra comuni oppure la delega dei comuni alle azienda sanitaria locale (Asl); la società o l'ente di diritto pubblico, come l'azienda speciale anche consortile, il consorzio, la comunità montana, l'unione di comuni; la società di diritto privato come la società per azioni, la società a responsabilità limitata e la fondazione;
    le possibilità sopra elencate presentano, ciascuna, determinate caratteristiche funzionali e aspetti peculiari. Senza dubbio alcuno le società o gli enti di diritto pubblico mostrano particolari punti di forza e vantaggi per gli enti locali, avendo personalità giuridica e autonomia gestionale, amministrativa e finanziaria. I patti di collaborazione amministrativa, d'altro canto, rappresentano una forma associativa «leggera», ampiamente diffusa, specie in determinate esperienze regionali;
    quest'ultima forma associativa tra comuni per la gestione dei servizi sociali, soprattutto quando è realizzata nella forma dell'accordo di programma, incontra specifici aspetti problematici, legati essenzialmente al fatto che l'organo di indirizzo politico (il comitato o la conferenza dei sindaci) non possiede uno status giuridico riconosciuto, ovvero è privo di personalità giuridica autonoma. In questo caso, la gestione del piano sociale di zona ricade formalmente e contabilmente sul comune capofila, che tuttavia non usufruisce di nessuna deroga specifica ai vincoli di legge per lo svolgimento di una funzione che in realtà investe non il proprio territorio ma quello di un numero più o meno ampio di comuni;
    in molti casi, il comune capofila non è individuato in modo stabile e definitivo dalla legge regionale, ma la funzione viene assunta a rotazione dai vari comuni appartenenti all'ambito territoriale. Tutto ciò determina notevoli problemi relativamente alla gestione finanziaria dei fondi, alla gestione tecnico-amministrativa dei servizi e alla situazione lavorativa e professionale degli operatori afferenti alla struttura tecnica (usualmente denominata «ufficio di piano»), deputata all'attuazione delle linee di indirizzo formulate dall'organo di indirizzo politico e a svolgere funzioni di supporto tecnico dello stesso e di gestione ed implementazione dei servizi e degli interventi sociali;
    riguardo ai lavoratori degli uffici di piano, essi sono da anni sottoposti a un regime di precariato, con tipologie contrattuali che vanno da contratti a tempo determinato a contratti di collaborazione coordinata e continuativa, ai contratti stipulati con lavoratori con partite iva o che operano presso agenzie interinali; alcuni servizi sono inoltre esternalizzati a cooperative sociali. Quest'ultima ipotesi desta particolare preoccupazione in quanto le professionalità in questione svolgono funzioni particolari, che spesso attengono al controllo sui percorsi di affidamento e alla valutazione dei risultati inerenti la programmazione degli interventi socio-sanitari. Appare quantomeno discutibile, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, che si possa giungere all'esternalizzazione di figure professionali deputate a valutazioni oggettive che, per essere tali, devono risultare scevre da qualsiasi condizionamento. Quanto esposto, assieme al quadro normativo sui contratti di lavoro dei soggetti che operano alle dipendenze della pubblica amministrazione e sui vincoli finanziari degli enti locali, rendono di fatto impossibile un'assunzione a tempo indeterminato di questi tecnici. Ciò a discapito delle importantissime funzioni svolte, fondamentali per una piena ed efficace applicazione della legge n. 328 del 2000 e per consentire un'evoluzione dei servizi locali di welfare che miri alla qualità e alla appropriatezza delle risposte ai bisogni socio-sanitari rilevati;
    le esperienze di gestione associata dei servizi sociali realizzate attraverso la costituzione di società o enti di diritto pubblico (aziende speciali e consortili, consorzi, società della salute) comportano indubbiamente determinati vantaggi che muovono innanzitutto dall'azione di un soggetto unico, ove l'adesione degli enti locali determina una maggiore condivisione degli interessi anche in presenza di un'azione di indirizzo politico più incisiva. Tali vantaggi possono declinarsi in un miglioramento dell'integrazione socio-sanitaria, nella possibilità di reinvestire le economie di scala realizzate, nella capacità di mobilitare e valorizzare le risorse territoriali in un contesto più ampio di quello comunale, nella riduzione dei costi indotti e gestionali, nonché dei tempi decisionali, nella possibilità di usufruire di personale tecnico dell'ufficio di piano stabile, attraverso una pianta organica definita;
    la realizzazione di tali modelli di gestione associata dei servizi sociali ha incontrato tuttavia diverse difficoltà dovute principalmente a una normazione a volte contraddittoria e promanante da fonti legislative diverse;
    riguardo alla competenza normativa occorre ribadire come la materia dei servizi sociali, a Costituzione vigente, sia attribuita in via esclusiva alla potestà normativa delle regioni e come la Corte costituzionale, con la sentenza n. 272 del 2004, abbia dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 113-bis del TUEL – che recava disciplina statale dei servizi privi di rilevanza economica 2, in quanto, nella valutazione della Consulta, i servizi citati non afferiscono alla materia della concorrenza (di esclusiva competenza statale). La relativa disciplina è dunque estranea alla potestà legislativa statale ma appartiene a quella delle regioni;
    successivamente a tale pronuncia, si sono tuttavia susseguite una serie di norme statali che hanno contribuito a complicare il quadro normativo e posto rilevanti difficoltà per alcuni modelli di gestione associata dei servizi sociali operanti in diverse regioni;
    basti pensare agli effetti dell'articolo 2, comma 28, della legge n. 244 del 2007 (legge di stabilità per l'anno 2008) in forza del quale a ogni amministrazione comunale veniva consentita l'adesione ad una unica forma associativa tra quelle previste dagli articoli 31, 32 e 33 del TUEL. Tale disposizione è venuta meno per i consorzi socio-assistenziali in forza della previsione di cui all'articolo 20, comma 5, lettera f) quater del decreto-legge n. 90 del 2014, così come convertito dalla legge n. 114 del 2014;
    la legge di stabilità per l'anno 2010, legge n. 191 del 2009 ha poi disposto la soppressione ope legis, con l'articolo 2, comma 186, dei consorzi di funzioni costituiti ai sensi dell'articolo 31 del TUEL, mettendo ulteriormente in difficoltà gli enti locali;
    a seguire, alcune norme del decreto-legge n. 95 del 2012 (cosiddetto spending review), nello specifico, il dettato dell'articolo 19, hanno previsto, per i comuni al di sotto dei 5.000 abitanti, l'obbligo all'esercizio in forma associata, mediante unione dei comuni o convenzioni, delle funzioni fondamentali. A riguardo si è posto il dubbio se tale obbligo potesse essere assolto dalle aziende sociali; dubbio non sciolto definitivamente date le interpretazioni di carattere opposto addotte dalla Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per il Lazio, nella deliberazione del 17 maggio 2013, e dalla Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, nella deliberazione del 16 gennaio 2013;
    il recente decreto legislativo n. 39 del 2013, recante alcune disposizioni contro la corruzione ha stabilito inoltre (articolo 11, commi 2 e 3 e articolo 12 comma 4) l'inconferibilità e l'incompatibilità alla carica di amministratore di ente pubblico per coloro i quali rivestano il ruolo di componente di una giunta comunale o di consigliere comunale di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione. La norma, pur avendo una ratio fondata, investe in maniera rilevante il settore dei servizi sociali, in quanto comporta che, in un'ottica associativa, i comuni con popolazione maggiore non possano esprimere il presidente in seno all'ente di diritto pubblico costituito per la gestione associata dei servizi sociali. Essendo tali servizi principalmente finanziati con risorse dei singoli enti locali, l'adesione dei comuni alla gestione associata è in larga parte condizionata alla capacità di esprimere efficacemente rappresentanza politica. Un'interpretazione restrittiva della norma citata pone un ostacolo importante all'incentivo alla gestione associata, se percepita come limite alla rappresentanza dei comuni negli organi decisori;
    le ragioni alla base della gestione associata dei servizi sociali promossa dalla legge n. 328 del 2000 si sono dimostrate più che fondate, garantendo: una maggiore distribuzione uniforme dei servizi nel territorio nazionale e i livelli essenziali delle prestazioni sociali anche nei piccoli comuni, una gestione unica del piano di zona, la possibilità di sviluppare economie di scala, l'innalzamento della qualità organizzativa e il miglioramento qualitativo e sul piano dell'efficienza dei servizi sociali. Nonostante ciò, sulla specifica materia, interventi legislativi da parte di fonti diverse hanno portato alla creazione negli ultimi anni di un corpus normativo contraddittorio e disomogeneo, dove la successione in un arco temporale relativamente breve di norme statali, regionali e di pronunce della Corte costituzionale ha contribuito alla creazione dell'attuale situazione di confusione normativa, rendendo difficile e incerto per gli enti locali investire in questa direzione;
    la riforma costituzionale attualmente in via di approvazione ha riportato nel novero della potestà legislativa dello Stato la disciplina delle disposizioni generali e comuni in materia di politiche sociali e sanitarie, potestà che, nell'ultima versione del nuovo Titolo V approvato al Senato, può essere devoluta alle regioni con legge statale. La riforma attribuisce altresì alla competenza legislativa esclusiva statale la nuova materia delle disposizioni di principio sulle forme associative dei comuni;
    l'esperienza di questi 15 anni di applicazione della legge n. 328 del 2000 ha mostrato, da un lato, la necessità che le forme di gestione associata dei servizi sociali tengano conto delle esigenze, degli obiettivi e delle caratteristiche locali, dall'altro, maggiori problematiche per le forme di gestione associata che si sviluppano in assenza di un autonomo soggetto dotato di personalità giuridica; la gestione associata dei servizi sociali, in quanto modalità organizzativa essenziale all'attuazione di diritti fondamentali, necessita di norme di chiusura chiare, che permettono in situazioni di inadempienza o inefficienza, agli enti sovraordinati di agire in via sostitutiva, secondo un indirizzo definito,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per chiarire il quadro normativo sopra citato, con particolare riguardo alle disposizioni inerenti ai consorzi socio-assistenziali e alle aziende speciali, ridefinendo in modo chiaro le condizioni entro cui gli enti locali possono aderire e dar vita a tali forme strumentali per la gestione associata dei servizi sociali;
    a promuovere in sede di Conferenza Unificata un tavolo di confronto sul tema della gestione associata dei servizi sociali, facendo sì che 2, nel rispetto delle specifiche competenze normative 2, le regioni indichino le modalità di gestione associata dei servizi sociali di cui possono usufruire gli enti locali, esprimendo chiara preferenza per le forme associative dotate di autonoma personalità giuridica, condizionando le forme convenzionali alla stabile afferenza dell'ufficio di piano a un determinato ente locale e valutando altresì la possibilità di stabilire un regime specifico per le funzioni svolte dai comuni capofila.
(7-00880)
«Piazzoni, Lenzi, Amato, Mariano, Giuditta Pini, Patriarca, D'Incecco, Sbrollini, Paola Boldrini, Carnevali, Capone».

Ritiro di una mozione di sfiducia al Governo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore:
   mozione di sfiducia Brunetta n. 1-01084 del 16 dicembre 2015.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza urgente D'Alia n. 2-01157 del 10 novembre 2015;
   interpellanza urgente Baldassarre n. 2-01205 del 16 dicembre 2015.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore:
   interrogazione a risposta in Commissione Cimbro n. 5-06617 del 9 ottobre 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-11627.