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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 21 dicembre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    gli avvenimenti internazionali, legati all'offensiva terroristica del sedicente Stato islamico e alla conseguente formazione di una più ampia coalizione per combatterlo ed eliminare la minaccia che porta alla stabilità dell'area e alla sicurezza, confermano la linea seguita dall'Italia nei consessi internazionali, e in particolare il sostegno pieno ai partner europei, la partecipazione significativa alle azioni della coalizione anti-Daesh, la distinzione tra la necessaria collaborazione con la Federazione russa nella contrapposizione allo Stato islamico, un'auspicata riapertura del dialogo strategico con la stessa e il riconoscimento dell'esistenza di un irrisolto dissenso sulla questione ucraina;
    la stessa Russia non ha mai inteso collegare diplomaticamente e politicamente le diverse questioni, non subordinando in alcun modo la partecipazione allo sforzo anti-Daesh e il miglior coordinamento cui si deve necessariamente arrivare in quell'area a una rimozione delle sanzioni europee per la crisi ucraina;
    già con la mozione n. 1-00920 del 25 giugno 2015, approvata in Assemblea, si ribadiva che «la Russia costituisce un soggetto di fondamentale importanza negli equilibri non solo europei ma globali; le relazioni tra Italia e Russia sono storicamente solide sul piano economico, con forti e strutturati scambi commerciali e collaborazioni tra i rispettivi sistemi produttivi; il Presidente Putin, attraverso interviste, viaggi e partecipazioni ad eventi internazionali come Expo 2015, ha più volte recentemente dichiarato la propria volontà di costituire per l'Occidente un partner affidabile»;
    in questo senso si è sempre mosso il Governo italiano, contribuendo a una corretta e proficua facilitazione dei rapporti tra Europa, Stati Uniti e Federazione russa che ha portato: all'avvio positivo a Vienna del dialogo politico tra i diversi attori della crisi siriana per porvi fine, presupposto per un più efficace contrasto a Daesh; alla recente firma a Skhirat di un accordo per la costituzione di un Governo provvisorio in Libia con la partecipazione delle diverse fazioni che si contrapponevano sul terreno; infine alla probabile consacrazione di questi passi in avanti in seno alle Nazioni Unita con la presentazione di risoluzioni concordate in Consiglio di sicurezza su Libia e Siria al fine di avere anche una ulteriore legittimazione da parte delle Nazioni Unite per la coalizione internazionale che si oppone al sedicente Stato islamico;
    purtroppo, permangono invece le ragioni per le quali l'Unione europea ha deciso di adottare misure sanzionatorie nei confronti della Russia, a seguito della condanna per la violazione della sovranità, dell'integrità territoriale e dell'indipendenza dell'Ucraina, a causa dell'illegittima annessione della Crimea, sanzioni la cui rimozione è legata alla piena e completa attuazione degli accordi di Minsk e che dovrà essere decisa con l'accordo degli altri partner europei e d'intesa con gli Stati Uniti, non potendosi dare luogo ad alcun atto unilaterale;
    nonostante questa situazione, con grande equilibrio e responsabilità il Governo italiano ha già posto significativamente in seno all'Unione il tema di un attento esame dell'evoluzione della situazione ucraina, auspicando che la Russia contribuisca a creare le condizioni per superare la situazione attuale;
    tale posizione è valsa una discussione approfondita in ambito Coreper (il Comitato dei rappresentanti permanenti) il quale ha comunque stabilito di prorogare le sanzioni di altri sei mesi;
    le sanzioni, quantunque rappresentino uno strumento straordinario e non possano considerarsi la modalità ottimale per la soluzione dei problemi, per i sacrifici che impongono alle popolazioni che le subiscono e ai Paesi che le attuano, rappresentano tuttavia la reazione inevitabile e concordata a livello internazionale a una grave violazione del diritto internazionale e degli accordi sottoscritti dalla stessa Russia a partire dagli accordi Helsinki del 1975,

impegna il Governo:

   a intensificare e rafforzare la propria azione politico-diplomatica verso la Russia e l'Ucraina, al fine di ottenere il rispetto pieno degli accordi di Minsk, il pieno rispetto del diritto internazionale in Ucraina, il superamento dello stato di tensione e di crisi dell'area e un'adeguata tutela dei diritti umani delle persone e delle minoranze, con particolare riguardo alle condizioni dei rifugiati in entrambi i Paesi;
   a sostenere con grande convinzione l'azione dell'Unione europea e qualsiasi ulteriore sforzo della comunità internazionale che vada nella medesima direzione e, in questo quadro, ad aprire in sede di Unione europea un confronto su possibili misure compensative adeguate a sostenere le imprese e i sistemi di filiera più colpiti dagli effetti dell'embargo russo;
   a fare quanto in proprio potere per alleviare le condizioni di difficoltà che il settore agroalimentare italiano sta registrando a causa dell'embargo russo;
   a rispettare le decisioni in sede europea circa le sanzioni nei confronti della Russia, riproponendo ogni necessario e serio approfondimento sull'attualità e sull'efficacia delle stesse alla luce dei passi avanti auspicati nell'implementazione degli accordi di Minsk e del miglioramento del contesto politico e di dialogo, nell'auspicio che si creino – anche con il concorso dell'Italia – tutte le condizioni per il pieno recupero del quadro di cooperazione politica ed economica con la Russia.
(1-01087) «Cicchitto, Amendola, Monchiero, Dellai, Locatelli, Nicoletti, Alli».


   La Camera,
   premesso che:
    la terribile pagina nera scritta lo scorso 13 novembre 2015 ha scosso profondamente gli animi, e richiamato con forza la necessità di un nuovo approccio alla lotta al terrorismo; gli attentati di Parigi, ideati e compiuti da cittadini regolarmente residenti sul territorio europeo, e che all'interno dello stesso circolavano liberamente, mostrano ancora una volta quanto il contrasto al terrorismo non possa che avvenire innanzitutto a livello europeo ed internazionale;
    il terrorismo che attualmente minaccia il mondo occidentale è di matrice islamica e trova il proprio fondamento ideologico, ma anche spesso finanziario e operativo, all'interno dell'autoproclamatosi Stato islamico dell'Iraq e della Siria (Isis). L'Isis ad oggi, a seguito del vuoto di potere che si è creato nel paese dopo l'intervento occidentale contro il regime di Gheddafi, ha conquistato anche alcune città libiche, avvicinandosi sempre di più alle coste italiane e moltiplicando le minacce all'Italia e ad altri Paesi europei;
    il terrorismo rappresenta una minaccia alla pace, alla sicurezza e alla stabilità di ciascun Paese, ma soprattutto ai diritti e alla libertà dei suoi cittadini. Gli attentatori radicali islamici, che sono spesso kamikaze, sono animati dalla volontà di arrecare distruzione e morte in maniera indiscriminata, coinvolgendo ogni fascia della popolazione, ogni ambiente, ogni simbolo del cosiddetto stile di vita occidentale. Il terrorismo è un atto criminale ingiustificabile in qualsiasi circostanza;
    malgrado le accresciute misure di sicurezza a livello nazionale, europeo e internazionale, nonché la crescente cooperazione tra i Paesi europei ed extra europei, la minaccia terroristica rimane altissima, come gli allarmi e le operazioni di polizia che si susseguono in tutte le principali città europee, a cominciare da Bruxelles, in cui risiedevano molti degli attentatori di Parigi, dimostrano;
    inoltre, la minaccia posta dai cittadini europei, o comunque appartenenti a Stati del mondo occidentale, radicalizzati, molti dei quali sono anche foreign fighters, ovvero si sono recati all'estero per addestrarsi e combattere tra le fila dell'Isis, è destinata a persistere nei prossimi anni. Per rispondere efficacemente a tale problematica occorrono un approccio globale e un impegno a lungo termine;
    per questo, la responsabilità di combattere il terrorismo non può spettare ai soli Stati. L'Unione europea e la comunità internazionale devono svolgere un ruolo di primo piano, data la natura transfrontaliera della minaccia;
    la lotta contro lo Stato islamico, per essere forte e credibile, richiede leadership. E la leadership richiede la capacità e la responsabilità di prendere decisioni, anche quando sono difficili. Una caratteristica che l'Europa, soprattutto sul fronte internazionale, non sembra mostrare;
    a parere dei firmatari del presente atto l'unica decisione di politica estera di un qualche significato presa dall'Europa è stata quella di farsi del male da sola, colpendo la Federazione russa con le sanzioni. Opporsi alle sanzioni non significa acquiescenza nei confronti di quanto avvenuto in Ucraina e in Crimea, ma non era quella la risposta in un tale momento di crisi;
    in questi mesi difficilissimi, l'Unione europea ha colpevolmente dato priorità alle questioni relative alla frontiera est, dimostrando cecità nel mancato coinvolgimento della Russia quale alleata preziosa per pacificare i Paesi del Mediterraneo, continuando ad insistere sulle sanzioni, controproducenti per la convivenza pacifica e dannose per l'economia e le imprese anzitutto del nostro Paese, mostrandosi «unita» solo su questioni che hanno recato danni all'immagine, all'economia e ai rapporti dell'Europa stessa;
    da ultimo, l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, ha infatti dichiarato che l'Europa «resta unita» sulle linee guida per l'etichettatura di origine delle merci prodotte nei territori occupati da Israele, con l'unico risultato di ottenere una netta opposizione dello stesso Stato di Israele, che ha dichiarato che l'operazione «potrebbe anche avere implicazioni per le relazioni Israele-Unione europea, e non fa avanzare alcun processo di pace tra Israele e palestinesi»;
    l'Unione europea deve rendersi protagonista, e avviare una riflessione ben più ampia del passato. Non limitarsi a considerare i soli interessi nazionali in gioco, ma cercare di ragionare come un'entità statuale complessiva in termini ambiziosi, e con obiettivi chiari;
    lo scorso 9 dicembre, in seno al Coreper, che riunisce gli ambasciatori dei 28 Paesi dell'Unione europea, l'Italia aveva chiesto un «dibattito politico» sul rinnovo delle sanzioni dell'Unione europea nei confronti della Federazione russa invece di un rinnovo automatico delle stesse per altri sei mesi. Purtroppo, però, nel dibattito che ne è seguito, il nostro Paese non è stato in grado di far prevalere la linea della cancellazione definitiva delle sanzioni, e si è deciso per il rinnovo delle stesse;
    da mesi Forza Italia in Parlamento chiede al Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e al suo Governo di farsi promotore di una iniziativa nel senso della cancellazione delle sanzioni, come primo fondamentale passo per il disgelo e per costruire l'unità contro il terrorismo, anche alla luce della situazione geopolitica attuale, in cui la minaccia del terrorismo islamico può essere combattuta solo da una grande coalizione internazionale che sotto l'egida dell'Onu metta insieme Europa, Cina, Paesi arabi, Federazione russa e Stati Uniti, coinvolgendo, in particolare, il ruolo di questi ultimi nel favorire processi di pace nel mondo;
    la responsabilità dell'Italia è anzitutto quella di rispettare la sua tradizionale attitudine ad essere un ponte di pace con la Federazione russa, sulla scia di quanto realizzato a seguito degli accordi di Pratica di Mare, nati su impulso del Presidente Silvio Berlusconi, consentendo, nel 2002, una partnership strategica tra Nato e Federazione russa,

impegna il Governo:

   a ridiscutere nell'ambito dell'Unione europea e a riconsiderare la posizione dell'Italia con riguardo alle sanzioni comminate alla Federazione russa perché controproducenti per la convivenza pacifica e dannose per l'economia anzitutto del nostro Paese, e ad adoperarsi affinché questo esempio sia seguito da un numero crescente di Paesi, al fine di raggiungere un accordo unanime che porti all'annullamento delle sanzioni in vigore contro la Federazione russa;
   a rilanciare l'azione del nostro Paese e dell'intera Europa sul fronte della lotta al terrorismo e sul piano internazionale in generale, soprattutto con riguardo allo scenario mediterraneo e mediorientale, attraverso una collaborazione politico-strategica con la Russia, coinvolgendo anche gli Stati Uniti nella ripresa degli accordi di Pratica di Mare.
(1-01088) «Brunetta, Bergamini, Giammanco, Carfagna, Polidori, Occhiuto».


   La Camera,
   premesso che:
    in data 21 dicembre 2015 il Consiglio UE ha prorogato di altri 6 mesi le sanzioni alla Russia in scadenza il 31 gennaio 2016;
    la decisione è stata presa in seguito alla deliberazione del Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) dello scorso 18 dicembre in ragione del fatto che «gli accordi di Minsk non verranno pienamente attuati entro il 31 dicembre»;
    nella stessa data, a seguito dell'intenzione dell'Ucraina di dare attuazione alla parte economica dell'Accordo di associazione con l'Unione europea e quindi di unirsi alle sanzioni contro la Federazione Russa, il Primo ministro Russo Dmitry Medvedev ha annunciato l'introduzione dal 1° gennaio di dazi e di un embargo alimentare contro l'Ucraina, quindi per «proteggere il proprio mercato»;
    oggi appare sempre più evidente che la gestione della crisi e le conseguenti sanzioni imposte dall'Unione europea sono state una scelta avventata, subordinata alle politiche espansionistiche dell'Alleanza Nord Atlantica e degli Stati Uniti d'America, il cui costo in realtà è ricaduto esclusivamente sui popoli dei suoi Stati membri che hanno pagato un prezzo elevato in questi mesi;
    la politica di espansione nell'est Europa della Nato che ha portato all'adesione di Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia (1999), Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Slovenia (2004), Albania e Croazia (2009) è stata indubbiamente un fattore scatenante della crisi;
    tale politica, mentre da un lato ha portato molti vantaggi ai membri dell'Alleanza, indubbiamente dall'altro lato ha contribuito notevolmente a peggiorare le relazioni internazionali con la Russia e ad acuire le tensioni tra la Russia e i Paesi della NATO;
    su tutte, basti citare le tensioni e minacce di intervento militare in risposta allo scudo missilistico della Nato, portando all'installazione di numerosi missili Iskander M russi lungo il confine con la Polonia e i Paesi baltici Estonia, Lettonia e Lituania;
    le stesse tensioni Nato-Russia si sono riprodotte nel conflitto siriano e specificatamente nelle recenti ostilità tra Turchia e Russia;
    appare evidente, con queste premesse, che il succitato accordo di associazione con l'Unione europea venga visto dalla Russia come un passaggio prima o poi finalizzato all'ingresso dell'Ucraina nella Nato;
    è quindi oggi quanto mai necessaria un'azione che tolga la Russia dal «complesso dell'accerchiamento» e che, al tempo stesso, crei le basi per una politica di vicinato dell'Unione Europea più libera dalle logiche espansionistiche della NATO anche alla luce delle nuove positive relazioni che intercorrono tra Stati Uniti d'America e Federazione russa;
    in ultimo non può ignorarsi la presenza della Federazione Russa in Medio oriente e nel conflitto siriano e quindi la necessità di garantire un approccio multilaterale nella lotta agli estremismi jihadisti e al terrorismo di Daesh, in cui la Russia non può essere considerato come uno «Stato ostile»,

impegna il Governo:

   a sostenere in sede europea tutte le iniziative tese alla cancellazione o in subordine, all'alleggerimento significativo delle sanzioni dell'Unione europea nei confronti della Federazione russa;
   ad attivarsi prontamente in sede europea al fine di garantire maggiori risorse per compensare il danno prodotto dalle restrizioni alle importazioni applicate dalla Federazione russa alle imprese, ai produttori e ai cittadini dell'Unione europea;
   ad assumere iniziative per evitare ogni altra precipitazione bellica della crisi ucraina e quindi per garantire che non vi sia alcuna sovrapposizione, ruolo e partecipazione della Nato alla crisi ucraina, rilanciando in sede di Unione europea una soluzione diplomatica che coinvolga Russia e Ucraina e contribuisca a consolidare l'accordo di Minsk del 12 febbraio 2015.
(1-01089) «Palazzotto, Scotto, Ricciatti, Duranti, Piras, Fava, Ferrara».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MASSIMILIANO BERNINI e GAGNARLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   all'articolo 26 «determinazione ed uso dei richiami vivi per la caccia da appostamento» della legge regionale della Lombardia n. 26 del 16 agosto 1993 recante «norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell'equilibrio ambientale e disciplina dell'attività venatoria», pubblicata nel Bollettino ufficiale della regione Lombardia n. 33 del 19 agosto 1993, supplemento ordinario n. 1 del 19 agosto 1993, comma 1, si legge: acquisito il parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica (ora confluito in ISPRA), con regolamento, adottato secondo le competenze stabilite dallo Statuto, sono disciplinate, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, l'allevamento, la vendita e la detenzione di uccelli allevati appartenenti alle specie cacciabili, muniti di anellini inamovibili rilasciati dalle province anche avvalendosi di associazioni, enti ed istituti ornitologici legalmente riconosciuti a livello regionale, nazionale e internazionale, nonché il loro uso in funzione di richiami per la caccia da appostamento;
   la legge regionale n. 26 del 1993, che in origine ammetteva la detenzione dei richiami vivi sia di cattura, sia di allevamento, dopo la procedura di infrazione n. 2014 del 2006 della Commissione europea nei confronti dell'Italia, è stata modificata, introducendo il divieto di cattura con reti di uccelli selvatici ai fini di richiamo e allo stato attuale prevede la detenzione dei richiami provenienti da cattura solo se precedenti alla procedura di infrazione e ai richiami di allevamento;
   il comma 5 dell'articolo 26 della suddetta legge regionale vieta l'uso di richiami vivi di cattura che non siano identificabili mediante anello inamovibile fornito dalla provincia, numerato secondo le norme regionali ed apposto sul tarso di ogni singolo esemplare;
   il comma 5-bis del suddetto articolo al fine di garantire le condizioni rigidamente controllate previste dall'articolo 9, paragrafo 1, lettera c) della direttiva 2009/147/CE, istituisce, presso la giunta regionale, la banca dati regionale dei richiami vivi di cattura e di allevamento appartenenti alle specie di cui all'articolo 4 della legge n. 157 del 1992 detenuti dai cacciatori per la caccia da appostamento. La giunta ne determina, altresì, le modalità di implementazione. Nella suddetta banca dati, nel rispetto della normativa statale in materia di protezione dei dati personali, confluiscono:
    a) i dati anagrafici relativi ai cacciatori che utilizzano, ai fini del prelievo venatorio, richiami vivi provenienti da cattura e da allevamento;
    b) i dati relativi alla specie e al codice identificativo riportato sul contrassegno inamovibile posto su ciascun esemplare di cattura, utilizzato da ciascuno dei soggetti di cui alla lettera a), ai fini del prelievo venatorio;
   il consiglio regionale della Lombardia ha approvato la legge regionale 10 novembre 2015, n. 38, «legge di semplificazione 2015 – ambiti economico, sociale e territoriale» e pubblicata sul Bollettino ufficiale della regione Lombardia n. 46 del 12 novembre 2015 che, all'articolo 3, modifica la legge regionale n. 26 del 1993, riportando alla lettera f) che: «la lettera b) del comma 5-bis dell'articolo 26 è sostituita dalla seguente: “ b) i dati relativi alla specie e al codice identificativo riportato sul contrassegno inamovibile posto su ciascun esemplare di cattura, utilizzato da ciascuno dei soggetti di cui alla lettera a), ai fini del prelievo venatorio”»;
   la suddetta legge riporta alla lettera g): «dopo la lettera b) del comma 5-bis dell'articolo 26 è aggiunta la seguente: “ b-bis) le quantità di richiami di allevamento distinti per specie utilizzati ai fini del prelievo venatorio”.»;
   è evidente come per i richiami di cattura viga l'obbligo di applicazione del codice identificativo sul contrassegno inamovibile, ovvero sull'anello inamovibile posto sul tarso di ciascun esemplare allevato e utilizzato nella caccia da appostamento fisso, mentre tale obbligo non sussista per quelli di allevamento;
   anche per la stagione venatoria 2015 la regione Lombardia ha richiesto i pareri all'ISPRA per la cattura di uccelli selvatici ai fini di richiamo e per il prelievo in deroga di specie protette, ricevendone un parere sfavorevole –:
   se le misure, sopra indicate tali che non siano assolutamente tracciabili i richiami vivi di allevamento, non espongano l'Italia all'ennesimo inutile ed oneroso contenzioso nei confronti della Commissione europea per la violazione delle normative, in materia di tutela e conservazione degli uccelli selvatici;
   se il Governo non ritenga che sussistano i presupposti per impugnare le disposizioni sopracitate della legge della regione Lombardia n. 38 del 2015 ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione.
(5-07272)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari (Agenas) gode di una convenzione con la regione Calabria, allo scopo di fornire supporto tecnico nell'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario regionale;
   il sub-commissario per il suddetto piano, Andrea Urbani, oltre a ricoprire tale incarico governativo è anche membro del collegio dei revisori dei conti di Agenas, come già evidenziato nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-07518, sottoscritta anche da Paolo Parentela, firmatario di un esposto alla procura di Catanzaro sul comportamento del medesimo Urbani, tenuto, al fine di percepire il «compenso integrativo» di cui al decreto del commissario ad acta n. 21/2010, «a una continuativa presenza» presso la sede del dipartimento regionale tutela della salute;
   alla procura generale della Repubblica l'interrogante ha trasmesso, assieme ai parlamentari del Movimento 5 Stelle Nicola Morra e Paolo Parentela, un prospetto sulle presenze presso il suddetto dipartimento del dottor Urbani, che, su 282 giorni lavorativi, ne ha trascorsi lì soltanto 62, e cioè il 22 per cento;
   secondo quanto riportato dal giornalista Adriano Mollo su Il Quotidiano del Sud del 16 ottobre 2015, Urbani percepisce dalla regione Calabria 148.606 euro, oltre oneri riflessi, in qualità di sub-commissario;
   per quanto figura nel summenzionato articolo, Urbani percepisce ulteriori 12.549 euro in qualità, per l'appunto, di membro del collegio dei revisori dei conti di Agenas;
   il commissario Massimo Scura, invece, percepisce dalla regione Calabria 174.831 euro annui, oltre oneri riflessi;
   per inciso, nel luglio 2015 l'interrogante ha formalmente chiesto ai direttori generali dei dipartimenti regionali bilancio e personale di procedere alla pubblicazione dei riferiti emolumenti sul sito della regione Calabria, ad oggi mancanti, al contrario di quanto analogamente ha fatto la regione Abruzzo, come la Calabria sottoposta a commissariamento per il rientro dal disavanzo sanitario;
   l'articolo 1, comma 569, della legge n. 190 del 2014, ha previsto che «la nomina a commissario ad acta per la predisposizione, l'adozione o l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario, effettuata ai sensi dell'articolo 2, commi 79, 83 e 84, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e successive modificazioni, è incompatibile con l'affidamento o la prosecuzione di qualsiasi incarico istituzionale presso la regione soggetta a commissariamento. Il commissario deve possedere un curriculum che evidenzi qualificate e comprovate professionalità ed esperienza di gestione sanitaria anche in base ai risultati in precedenza conseguiti. La disciplina di cui al presente comma si applica alle nomine effettuate, a qualunque titolo, successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge»;
   questa modificazione normativa ha aumentato i costi sopportati dalle regioni sottoposte a commissariamento per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario;
   per la Calabria il Governo ha atteso che le suddette norme entrassero in vigore il 1o gennaio 2015, evitando di nominare commissario ad acta il presidente della regione eletto a seguito della tornata elettorale del 23 novembre 2014, che – sino al 31 dicembre 2014 – per legge doveva essere invece nominato, come rappresentato in un esposto alla procura di Roma dei parlamentari del Movimento 5 Stelle Nesci, Morra, Parentela e Dieni;
   va ricordato che l'ex presidente della regione Calabria, Giuseppe Scopelliti, non percepiva compensi per il ruolo, concomitante, di commissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario regionale e che il compenso previsto per il sub-commissario Urbani era in precedenza suddiviso tra il medesimo e il generale Luciano Pezzi, altro sub-commissario ad acta;
   pertanto, sul piano dell'opportunità politica i Ministri dell'economia e delle finanze hanno consentito – di fatto raddoppiando il compenso (pagato dalla regione Calabria) del dottor Urbani, rimasto sub-commissario unico – un ulteriore aggravio di costi per la regione, ancora, purtroppo, in piano di rientro;
   la regione Calabria si ritrova, tra l'altro, con la rete dell'assistenza ospedaliera da rifare, con l'assegnazione dei budget privati da rivedere e con una procedura autorizzativa bloccata, relativa alla clinica Marrelli Hospital di Crotone;
   detta vicenda, come evidenziato nell'interrogazione n. 4-10469 presentata dall'interrogante, rischia di ostacolare l'incremento dei livelli occupazionali in Calabria, di far sorgere nuovi contenziosi ai danni della regione e di far proseguire l'emigrazione sanitaria legata alle cure oncologiche;
   inoltre, nonostante i suddetti costi per gli incarichi del dottor Urbani e dell'ingegner Scura, sopportati dalla regione Calabria, il reparto cardiochirurgico dell'azienda ospedaliera reggina non è stato ancora attivato, a motivo del fatto che la richiamata struttura commissariale non ha proceduto alla predisposizione del concorso a primario;
   a tale ultimo riguardo – a fronte di una lunga inattività della nuovissima, citata struttura cardiochirurgica, per cui la predetta azienda ospedaliera sopporta oltre un milione di euro all'anno di leasing, da notizie stampa con un danno erariale di 40 milioni di euro rilevato dalla Guardia di finanza – i responsabili del piano, di rientro hanno cercato per sei mesi di favorire uno specifico accordo con l'università di Catanzaro finalizzato all'attivazione del reparto;
   secondo l'interrogante, il riferito accordo è stato perseguito con modalità di dubbia legittimità, scavalcando le prerogative del vertice dirigenziale dell'azienda ospedaliera reggina e accantonando a lungo la selezione pubblica del primario del reparto;
   da notizie di stampa i ricorsi contro la struttura commissariale si moltiplicano, sicché codesti contenziosi si tramuteranno in ulteriori costi per la regione Calabria;
   ogni giorno le testate giornalistiche della Calabria raccontano di una situazione di crisi della sanità, determinata da gravi ritardi nell'attuazione del piano di rientro e dall'adozione di provvedimenti che si rivelano sbagliati, inadeguati, incompleti o incongruenti;
   i citati commissario e sub-commissario hanno, peraltro, di fatto ignorato le sentenze del Consiglio di Stato per la riapertura degli ospedali di Praia a Mare (Cosenza) e Trebisacce (Cosenza);
   per il 2015 i suddetti commissari hanno riassegnato i budget della sanità privata in assenza di criteri riconoscibili, come già sottolineato nell'interrogazione n. 4-09846 presentata dall'interrogante, all'uopo ricevendo specifiche contestazioni in sede di verifica ministeriale –:
   se, alla luce di quanto premesso, non ritengano di assumere iniziative per revocare gli incarichi di commissario e sub-commissario all'ingegner Scura e al dottor Urbani;
   se, in relazione ai risultati qui riassunti, noti anche ai Ministeri «affiancanti», non ritengano di assumere iniziative per ridurre i compensi corrisposti per gli incarichi in questione, dimezzandone l'importo complessivo e cancellando il compenso integrativo per il sub-commissario, anche in ragione della suo ridotto impegno presso il dipartimento regionale tutela della salute;
   quali iniziative di competenza intendano assumere per la verifica relativa all'erogazione del compenso integrativo e all'occorrenza per il suo ricupero, previsto per il sub-commissario ai sensi del succitato decreto n. 21/2010. (4-11528)


   PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha presentato 3 atti di sindacato ispettivo n. 5-00116 del 14 maggio 2013, n. 4-09672 del 2 luglio 2015 e n. 5-06308 del 8 settembre 2015, ad oggi senza risposta, evidenziando le principali criticità collegate alla riattivazione della centrale termoelettrica del Mercure nel comune di Laino Borgo (Cosenza);
   nel succitato ultimo atto di sindacato ispettivo dell'interrogante si è chiesto, senza successo, che fosse garantita piena conoscenza ai deputati della relazione del dipartimento per il coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio dei ministri, protocollo DICA – AC – n. 687 del 6 maggio 2015 nel quale la regione Calabria e la regione Basilicata si sono espresse a favore della riattivazione della centrale;
   l'iter autorizzativo, iniziato nel 2000, è durato oltre 10 anni, fino alla sentenza del Consiglio di Stato del 1o agosto 2012 (n. 4400/2012) che ha annullato l'autorizzazione della regione Calabria e azzerato, di fatto, il progetto ENEL. La regione Calabria, tuttavia, ha indetto, senza perder tempo, una Conferenza di servizi, nel tentativo di «sanare» le irregolarità così da riattivare la centrale ma, il 18 dicembre 2013, il TAR di Catanzaro è intervenuto bocciandola e bloccandone così il funzionamento. L'udienza di merito del ricorso proposto dall'ENEL al Consiglio di Stato, fissata per il 14 ottobre 2014, non si è tenuta, in quanto la regione Calabria ha riconvocato la conferenza di servizi – nella quale il direttore dell'Ente parco ha ribadito la sua opposizione – ed il Responsabile della Conferenza ha inviato la documentazione del caso al Consiglio dei Ministri che ha dato parere favorevole alla centrale in data 11 giugno 2015 (Consiglio dei ministri n. 67). Il decreto vincola il tutto al rispetto delle prescrizioni indicate nella Conferenza di servizi, nonché ad una deroga, da parte delle regioni Calabria e Basilicata, circa la potenza della centrale, rispetto al piano del parco che prevede, attualmente, per le centrali a biomasse, potenze massime quasi 20 volte inferiori a quella della centrale del Mercure. Il 24 novembre 2015, infine il dipartimento sviluppo economico della regione Calabria ha emanato un decreto autorizzativo ad avviso dell'interrogante di dubbia regolarità sotto il profilo formale e sostanziale, a partire proprio dalla mancata osservanza di quanto contenuto nel provvedimento del Consiglio dei ministri;
   la centrale sorge nel cuore del Parco Nazionale del Pollino che dal 17 novembre 2015 è entrato a far parte del patrimonio dell'Unesco oltre ad essere Zona di Protezione Speciale (ZPS) dell'Unione europea. L'Ente Parco del Pollino, Ente di governo del territorio, ha dato parere negativo alla riattivazione della centrale;
   allo stato attuale, manca l'autorizzazione AIA-VIA (iter autorizzativo mai concluso), sono scadute le valutazioni di incidenza (VI) delle regioni Calabria e Basilicata e manca la valutazione di Impatto sulla salute (VIS) delle emissioni della centrale sulle popolazioni residenti richiesta dai vertici internazionali dell’International Society of Doctors for Environment (ISDE) e dal Presidente dell'Ordine dei Medici della Provincia di Potenza. La quale VIS, seppur non formalmente obbligatoria, diversamente dalle altre ricordate autorizzazioni, appare comunque fortemente indicata per una realistica valutazione dell'impatto della centrale sulle popolazioni residenti, nonché per rispondere concretamente al diffuso e forte allarme sociale determinato dal progetto Enel, segnatamente tra i cittadini dei Comuni maggiormente interessati di Viggianello e Rotonda;
   l'Enel, soggetto autorizzato alla riattivazione della centrale, non ha provveduto alla bonifica – disposta circa 10 anni fa dalla Procura di Castrovillari – dei materiali tossici e cancerogeni illegalmente interrati nell'area della centrale;
   permangono evidenti rischi di infiltrazioni da parte della criminalità organizzata nella riattivazione della centrale avvalorate da: denunce da organi di informazione e associazione Libera su rischi di infiltrazioni della criminalità organizzata (mafia dei boschi) a seguito delle forniture di biomasse, intimidazioni denunciate dal sindaco di Saracena (Cosenza), minacce e aggressioni agli oppositori della centrale –:
   come sia possibile che il Governo abbia rilasciato parere favorevole alla riattivazione della centrale del Mercure in mancanza dell'autorizzazione AIA-VIA e della valutazione di impatto sulla salute e con le valutazioni di incidenza delle regioni Calabria e Basilicata scadute;
   come sia possibile che il Governo abbia espresso parere favorevole alla riattivazione della centrale ben sapendo che questo andrà a compromettere l'ecosistema del parco nazionale del Pallino e se non ritenga opportuno intervenire affinché venga garantito il pieno rispetto della normativa a tutela parco;
   quali siano stati i motivi per cui non sono stati rispettati né i vincoli sulle aree protette a livello nazionale né le direttive dell'Unione europea riguardanti la tutela della flora che ad avviso dell'interrogante determineranno, di certo, l'avvio di procedure di infrazione nei confronti dell'Italia con il rischio di dover sostenere i costi delle relative sanzioni pecuniarie;
   se non intenda chiarire come già richiesto nell'atto di sindacato ispettivo n. 5-06308 dell'8 settembre 2015, quali siano i motivi per cui venga di fatto negata a deputati che ne fanno richiesta la relazione del dipartimento per il coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio dei ministri, protocollo DICA – AC – n. 687 del 6 maggio 2015. (4-11532)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   BARBANTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel 2001, l'Argentina finì in default e non fu in grado di ripagare il proprio debito, che ammontava a circa 100 miliardi di dollari; successivamente, si verificarono i casi analoghi relativi a titoli emessi da imprese come la Cirio, Parmalat, Giacomelli, Finmatica, Finpart, Finmek ed altre, con titoli emessi sottoscritti da investitori non professionali;
   numerosi furono gli italiani che persero per questa via i propri risparmi;
   la legge finanziaria per il 2006 aveva previsto l'istituzione di un «fondo» per indennizzare i risparmiatori rimasti vittime di frodi finanziarie, che soffrirono un danno ingiusto e non furono risarciti in precedenza in altro modo;
   fu previsto quindi che al fondo potessero accedere anche i risparmiatori coinvolti nei default sopra citati;
   il provvedimento della legge finanziaria 2006 traeva legittimazione nel contenuto nell'articolo 47 della Costituzione che stabilisce che: «la Repubblica tutela il risparmio in tutte le sue forme»;
   le risorse necessarie ad alimentare il fondo erano costituite dagli importi depositati  sui  conti  correnti e sui  rapporti bancari,  definiti come «dormienti» ovvero, quelli inattivi da meno 10 anni;
   sin dall'inizio sorsero dubbi riguardo ad alcuni aspetti tecnici che si dovevano definire con la successiva emanazione di regolamenti attuativi che facessero chiarezza in ordine ai tempi, agli importi dei rimborsi e alla definizione dei criteri per individuare i risparmiatori potenzialmente ammessi al risarcimento;
   il 22 febbraio 2007 il Ministro Tremonti comunicò al Comitato interministeriale per il credito e il risparmio che la bozza del regolamento attuativo sarebbe stata trasmessa entro pochi giorni alla Banca d'Italia per la sua valutazione; il successivo 5 aprile, lo stesso Tremonti comunicò il fatto che aveva richiesto al Consiglio di Stato il parere obbligatorio sul testo;
   il regolamento fu poi emanato con il decreto del Presidente della Repubblica n. 116 del 2007, con il quale si specificarono i criteri per individuare, nell'ambito del sistema finanziario, i conti definibili come dormienti; rientrarono in tale categoria i rapporti contrattuali (depositi di somme di denaro; depositi di strumenti finanziari) in relazione ai quali non fosse stata effettuata alcuna operazione o movimentazione ad iniziativa del titolare del rapporto o di terzi da questo delegati per il periodo di tempo di 10 anni decorrenti dalla data di loro libera disponibilità;
   in seguito a ciò le banche e gli altri intermediari identificarono i suddetti rapporti e comunicarono i relativi dati al Ministero dell'economia e delle finanze;
   lo stesso regolamento sui fondi non reclamati dai titolari o aventi diritto giacenti nelle banche, poste e/o altri intermediari finanziari, denominati fondi dormienti, prevedeva disposizioni di attuazione in materia di depositi dormienti;
   il Ministero dell'economia e delle finanze ha successivamente emanato una circolare sulle modalità di rimborso delle somme versate nel fondo depositi dormienti;
   la circolare conferma gli importi devoluti al fondo: 1) somme depositate in conti correnti, certificati di deposito, libretti di risparmio eccetera, non movimentati dal titolare dal titolare o terzi abilitati per 10 anni; 2) strumenti finanziari (titoli) in custodia o in amministrazione per i quali non siano state svolte operazioni per almeno 10 anni; 3) assegni circolari non incassati entro il termine triennale di prescrizione; 4) assicurazioni rami vita che prevedono il pagamento di una rendita o di un capitale al beneficiario, non reclamate entro due anni; 5) buoni fruttiferi postali emessi successivamente al 14 aprile 2001 non incassati dai beneficiari entro il termine prescrizionale di 10 anni;
   in un articolo sui fondi dormienti pubblicato su «Finanza e Mercati» del 12 marzo 2010, si afferma che la consistenza residua in quel periodo di tali fondi ammontava a 600 milioni di euro;
   nella risposta all'interrogazione n. 5-02616 dell'onorevole Fluvi, resa nella seduta della VI Commissione (Finanze) della Camera dei deputati dell'11 marzo 2010, il sottosegretario pro tempore Molgora «fa presente che sulla base dei dati a disposizione al 31 maggio 2009 risultano essere affluiti presso il Fondo conti dormienti per un importo complessivo di circa un miliardo di euro»;
   di quest'importo, circa 400 milioni di euro sono stati destinati dal decreto-legge n. 5 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 33 del 2009, per il finanziamento di un fondo per interventi urgenti e indifferibili: quindi, la consistenza residua nel 2010 ammontava a circa 600 milioni di euro, che dovevano essere utilizzati per soddisfare le richieste di rimborso;
   il 10 ottobre 2008, Luisa Grion su la Repubblica, affermava l'esistenza di uno stop del Consiglio di Stato ad utilizzare i fondi dormienti per coprire il pacchetto di emergenza; nell'articolo si legge: «Dai piccoli risparmiatori “traditi” dai crac Cirio e Parmalat alla nascita della “social card”, dalla stabilizzazione dei precari dello Stato fino ai piccoli indennizzi Alitalia: tutti sono con il fiato sospeso per il nuovo colpo di scena sui «conti dormienti», il Consiglio di Stato, infatti, bocciò il regolamento preparato dal Tesoro sull'utilizzo di tale risorse;
   già nell'anno precedente la magistratura aveva manifestato alcune «perplessità» sul caso: tutto ebbe inizio, con la legge finanziaria, varata a fine 2005 dall'allora Governo Berlusconi (ma la decisione venne confermata poi da quello Prodi), quando si decise che i depositi bancari sui quali da oltre dieci anni non erano stati compiuti movimenti dovevano confluire in un fondo dal quale lo Stato avrebbe attinto per risolvere «casi particolari» via via individuati; stime ufficiali su quanti fondi ci fossero su tali fondi dormienti non c'erano e non ci sono, ma le associazioni dei consumatori affermarono che i miliardi di euro in palio erano a quella data oltre dieci;
   nel mese di agosto di quell'anno era scaduto il termine per movimentare i conti dormienti censiti dalle banche e per dicembre era previsto appunto il trasferimento delle risorse al fondo; secondo il Consiglio di Stato, però, il regolamento del Tesoro che disciplinava la gestione del fondo fu dichiarato integralmente da riscrivere, esprimendo tale convinzione nel parere contrario, che, si ricorda è solo parzialmente  vincolante;
   i giudici censurarono in particolare il ruolo che la Consap, la concessionaria dei servizi assicurativi pubblici, avrebbe avuto nella gestione del fondo. Secondo il regolamento, questa avrebbe assunto «in sostanza tutta l'attività», mentre la legge affiderebbe invece mansioni di controllo ad un'apposita commissione «che per la sua composizione sia in grado di assicurare terzietà e imparzialità»;
   la gestione dei «conti dormienti» fu valutata come un affare «delicato» e la magistratura invitò a riflettere «sull'opportunità di una privatizzazione» di questi compiti;
   dopo un lungo periodo di silenzio il 9 dicembre 2015 il più importante quotidiano economico così descrive la situazione: «L'Italia torna in soccorso delle vittime di truffe finanziarie. Dopo il fondo per il “risparmio tradito”, creato quasi 10 anni fa dall'allora ministro Giulio Tremonti, è ora il ministro Padoan a riprovarci»;
   «Tremonti, come si ricorderà, confiscò 800 milioni di euro dai conti correnti dormienti presso le banche per destinarli a un fondo di solidarietà per i risparmiatori truffati: l'operazione fu accolta con grande tripudio di popolo, ma si rivelò poi troppo complessa da gestire. Il fondo sparì nel nulla e la stessa sorte toccò agli 800 milioni per i truffati: come furono spesi è ancora un mistero» –:
   quali iniziative intenda assumere per fare luce circa l'utilizzo degli 800 milioni di euro provenienti dai fondi dormienti in modo tale che si faccia chiarezza sulla loro destinazione in conformità a quanto previsto dalle finalità della legge per risarcire le vittime del «risparmio tradito».
(5-07276)


   PESCO, CORDA, SIBILIA, CANCELLERI, VILLAROSA, RUOCCO, FICO, PISANO e ALBERTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dal luglio 2015 risulta che la società di riscossione monopolista dei tributi erariali, Equitalia spa, invii, in modo massivo, avvisi d'intimazione di pagamento multiente comprendenti tributi risalenti agli anni ‘80, ‘90 e 2000, e tra gli altri, quelli relativi alla tassa di possesso di autovetture (bolli auto);
   tali richieste dimostrano, ad avviso degli interroganti, per lo più, la mancata applicazione, da parte sia di Equitalia sia dell'Agenzia delle entrate della legge n. 228 del 2012, articolo 1, comma 527 e 528, nonché del decreto ministeriale 15 giugno 2015, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, la cosiddetta «rottamazione automatica» delle cartelle fino a euro 2.000,00;
   risulta, inoltre, agli interroganti che vari uffici dell'Agenzia delle entrate e di Equitalia non applichino il disposto dell'articolo 1, comma 540, della legge n. 228 del 2012, e, quindi, non abbiano disposto l'annullamento di diritto dei ruoli e delle cartelle in caso di mancata risposta entro il termine di 220 giorni da parte dell'ente creditore;
   a parere degli interroganti, vi sono fondate ragioni per ritenere che l'accorpamento di tributi di svariati enti impositori, risalenti agli anni ‘80, ‘90 e 2000, abbondantemente prescritti o, addirittura, decaduti per tardiva iscrizione a ruolo, di fatto accresca gli interessi e i compensi di riscossione della società Equitalia spa ed aggravi la posizione dei contribuenti costretti, da un lato, a reperire le ricevute di tributi già regolarmente versati all'erario dieci, quindici o venti anni prima; dall'altro, a difendersi davanti alle giurisdizioni tributarie e civili con molteplici defatiganti e costosi ricorsi davanti a giurisdizioni diverse per ogni cartella riportata negli avvisi multiente inviati da Equitalia;
   tale procedura dà luogo, a giudizio degli interroganti, ad una nuova «tassazione occulta», in quanto costringe i contribuenti a pagare costosi contributi unificati per adire le giurisdizioni, al fine di eccepire la prescrizione o decadenza dei tributi degli anni ‘80, ‘90 e 2000, richiesti indebitamente ad oltre dieci anni di distanza dal termine ordinario, oltre ad aumentare in modo gravoso il contenzioso giudiziario;
   il maggiore guadagno, stabilito in percentuale sull'ammontare del credito esatto e a prescindere dalla spesa per l'attività esattoriale svolta, maturato su tributi spesso inesigibili in quanto decaduti o prescritti, determina, a parere degli interroganti, per Equitalia un vero aiuto di Stato ed un gravissimo vulnus alle disposizioni dei trattati dell'Unione europea e della Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo, in tema di ostacolo alla difesa del contribuente e pregiudizio per l'attività economica e la proprietà;
   infine, gli interroganti, ritengono che i costosi contenziosi causati da tale modus operandi danneggino l'erario, data la probabile soccombenza nella maggior parte dei contenziosi e la pregiudizievole dannosità per le imprese ed i consumatori di tali procedure di riscossione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del descritto modus operandi di Equitalia spa e se vi siano specifiche disposizioni ministeriali sulla gestione delle procedure di cui all'articolo 1, commi 527 e seguenti, della legge n. 228 del 2012, con particolare riferimento all'annullamento dei carichi iscritti a ruolo per decorso del termine previsto dalla legge per la definizione della procedura, nonché in merito al trattamento dei carichi di ruoli prescritti o decaduti dalla riscossione, e, in caso affermativo, se non ritenga che il comportamento descritto in premessa, si ponga in contrasto con le disposizioni di legge interne e comunitarie e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare per contrastarlo. (5-07277)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   direttamente dal sito della borsa italiana (www.Borsaitaliana.it) fino al 23 novembre 2015 era possibile visionare, attraverso una ricerca per codice ISIN, la data di emissione, quella di scadenza e soprattutto il controvalore, alla stessa data, di tutte le obbligazioni subordinate emesse fino a quella data dalla Banca dell'Etruria e del Lazio;
   la ricerca all'interno del sito è molto agevole, in quanto è sufficiente inserire il numero di codice ISIN: nel caso delle obbligazioni subordinate emesse dalla Banca dell'Etruria e del Lazio bastava digitare, ad esempio, i codici IT0004369580, IT0004281504, IT000 4931405, IT0004350515, e altro ed il sistema restituiva, per ogni titolo, un'intera scheda dettagliata;  
   da un accurato confronto di tutti i suddetti titoli emerge che, alla suddetta data, alcune di queste obbligazioni del tipo Lower Tier 2, per un totale di controvalore in euro pari 342.500.000, avrebbero subito una sensibile riduzione fino al loro azzeramento, mentre altre del medesimo tipo Lower Tier 2, per un totale di controvalore in euro pari a 44.000.000, invece non avrebbero registrato questi effetti;
   con un recentissimo e breve documento diramato nei giorni scorsi dalla Banca d'Italia e con il quale la stessa fornisce delle risposte alle dieci domande più ricorrenti tra i risparmiatori sulla sorte dei titoli finanziari in caso di liquidazione della banca emettitrice, la stessa testualmente dichiara che: «Quando le perdite sono maggiori dell'ammontare di capitale, riserve e altri strumenti subordinati, eventualmente emessi dalla banca (tecnicamente si parla di strumenti di Upper Tier 2, Additional Tier 1 e Lower Tier 2), i portatori di questi ultimi non riceverebbero alcun rimborso.»;
   con le suddette dichiarazioni, la stessa Banca d'Italia sembrerebbe confermare, a parere dell'interrogante, che tutte le obbligazioni subordinate del tipo Lower Tier 2, alcune delle quali, invece, dal sito della borsa italiana alla data del 23 novembre 2015 non risultavano oggetto di riduzione, subiscano in misura indifferenziata una riduzione fino al loro azzeramento –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se ciò trovi conferma ed, in caso affermativo, per quali ragioni alcuni titoli abbiano ricevuto un trattamento di favore rispetto ad altri, se fossero frazionati e se sia a conoscenza dell'identità degli investitori che li avevano sottoscritti. (5-07278)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in considerazione dei gravi fatti accaduti con la manovra che ha visto il salvataggio dei quattro istituti di credito Banca Marche, Banca Etruria, CariFerrara, CariChieti, dove azionisti e obbligazionisti che hanno sottoscritto i bond subordinati hanno perso il loro denaro, è evidente che tra le iniziative urgenti da adottare vi è quella di vigilare sul merito dei contratti che vengono proposti e conclusi dagli addetti bancari. Al riguardo, gli stessi devono attenersi ai profili di rischio e alle norme di legge in materia affinché non vengano sottoscritte dai clienti operazioni inconsapevoli;
   addirittura è emerso che la politica di alcuni istituti di credito in Friuli Venezia Giulia è quella di compiere un vero e proprio «pressing» sugli addetti che non raggiungono il budget, costringendoli a vendere i prodotti a prescindere dalle esigenze dei clienti, come riporta l'articolo del Messaggero Veneto Edizione Udine del 18 dicembre 2015, dal titolo «I bancari:  “Noi, costretti a piazzare azioni”». È emblematico il racconto di un dipendente di un istituto di credito, il quale riferisce che un collega ha proposto al padre di 85 anni, un contratto telepass, chiaramente inadeguato vista l'età anagrafica;
   tali episodi accadono in tutti gli istituti di credito italiani, non solo in Friuli Venezia Giulia. Difatti, sono più di dieci anni che vengono denunciate le pressioni all'interno delle banche poiché ormai è una prassi quella di proporre prodotti preconfezionati a prescindere dal profilo cliente. I vertici aziendali impongono disposizioni sui prodotti, indicando gli obiettivi da raggiungere e i tempi. Se l'impiegato raggiunge il risultato indicato, allora è considerato valido, altrimenti è ritenuto incapace, e lo stesso viene inoltre sottoposto alla minaccia del trasferimento. Gli obiettivi assegnati a volte sono anche oggettivamente impossibili da raggiungere per i dipendenti, ma questo, a quanto risulta all'interrogante, non è mai stato oggetto di alcun rilievo ed esame dai soggetti preposti al controllo delle operazioni. È assurdo che l'80 per cento dei prodotti di una banca, viene venduto al 20 per cento della clientela che non è nemmeno nelle condizioni di prendere visione della documentazione relativa ai prodotti, che, tra l'altro, nemmeno gli addetti ai lavori riuscirebbero a leggere e a comprendere. Il cliente quindi si fida del prodotto che gli viene proposto, in estrema sintesi, come «remunerativo e sicuro» dall'impiegato, nella qualità di consulente bancario. Addirittura, è emerso che alla Banca Popolare vicentina era prassi proporre la sottoscrizione di azioni accanto alla sottoscrizione del mutuo;
   a prescindere dalle responsabilità degli addetti, rispetto alla loro consapevolezza o meno, sui prodotti venduti, è certa la colpevolezza dei vertici aziendali qualora impongano la vendita dei prodotti solo in considerazione dei profitti anche cagionando un danno ai clienti. Al riguardo, si evidenzia che dei miliardi di euro di sofferenze bancarie emerse ad oggi dal sistema, l'80 per cento non è stato vagliato dagli impiegati, ma approvato dai consigli di amministrazione e delle direzioni generali –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato rispetto ai fatti in premessa;
   se e quali urgenti iniziative di competenza intenda adottare, anche sul piano normativo, per garantire un concreto controllo sui prodotti proposti e venduti presso gli istituti bancari affinché siano corrispondenti al profilo di rischio e dunque alle esigenze dei clienti;
   se e quali iniziative di competenza intenda adottare per contrastare la politica di molti istituti di credito che impongono ai propri impiegati di vendere prodotti bancari esclusivamente ai fini produttivi, senza considerare i danni che possono essere recati ai clienti. (5-07275)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'ARIENZO, DAL MORO, ROTTA e ZARDINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   presso il comune di Castel D'Azzano – Verona – sono avvenuti i seguenti episodi gravi e violenti di intimidazione:
    nella notte tra il 10 e 11 dicembre 2015 un incendio doloso ha distrutto due auto, una fiat Bravo e un Dobló, in dotazione alla polizia locale intercomunale al servizio dei comuni di Buttapietra, Mozzecane, Nogarole Rocca e Vigasio, tutti comuni veronesi;
    un secondo incendio, avvenuto pochi giorni fa, ha distrutto un'altra auto privata parcheggiata a pochi metri dalla sala civica comunale;
    sui muri del municipio sono apparse scritte minacciose nei confronti del sindaco, richiamanti alla mafia ed evocanti atti intimidatori, in particolare l'incendio. Le numerose e diverse frasi in vernice nera, oltre a deturpare il luogo, richiamano scenari inquietanti, offensivi verso le forze dell'ordine e minacciose nei confronti delle istituzioni;
   sul tema della sicurezza, dalla stampa locale, si apprende che è già stato svolto un incontro tra responsabili della polizia locale, comando dei carabinieri e sindaco, e un incontro tra tutte le forze di polizia dei cinque comuni con i sindaci di Castel d'Azzano, Buttapietra e Vigasio;
   gli atti in questione stanno creando un diffuso stato di disagio e di paura tra i residenti;
   non sfugge che in quei comuni, per posizione geografica e dinamismo economico e imprenditoriale, fatti del genere assumono un certo significato;
   l'intervento dello Stato è doveroso non solo per difendere gli amministratori locali di fronte a questa grave minaccia, ma anche per testimoniare la forte volontà di impedire qualsiasi tipo di deviazione illegale nel territorio e nella sua economia;
   i fatti in questione si inseriscono in un quadro già allarmante per la provincia di Verona. Vari altri episodi sono emersi da varie indagini giudiziarie e diverse interdittive antimafia sono state emesse dal prefetto di Verona;
   si ritiene che i fatti debbano essere prontamente accertati in modo da fugare quanto prima possibile ogni dubbio e timore –:
   quali iniziative di competenza intenda porre in essere per supportare le indagini in corso ed, in particolare, se non ritenga di favorire la collaborazione di unità specializzate in indagini su episodi di questa natura;
   se non ritenga di favorire il potenziamento, nel territorio veronese, di uomini e mezzi in modo da aumentare il dispositivo di contrasto;
   quali altre iniziative ritenga necessarie per agevolare, per quanto di competenza, la definizione degli accertamenti nel più breve tempo possibile. (4-11527)


   GINEFRA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano Il Fatto quotidiano, sul numero del 4 dicembre 2015, ha pubblicato un articolo a firma di Silvia d'Onghia dal titolo «Stop agli scavi: c’è l'amianto. Paga chi denunciò»;
   nel suddetto articolo la giornalista ha riportato la notizia che nei lavori per il terzo valico, la galleria per l'alta velocità che dovrebbe collegare Genova a Milano e nei cui cantieri diretti da Cociv, società di Impregilo e general contractor per conto di RFI, il 22 luglio 2015 sarebbe stata rilevata la presenza di amianto;
   sempre nello stesso articolo si denuncia che «il sindacato di polizia il 10 agosto (una ventina di giorni dopo la scoperta, quindi, e la sospensione delle attività estrattifere), ha affisso un volantino in questura nel quale chiedeva conto al dirigente della Digos dell'esposizione all'amianto del personale in servizio presso i cantieri»;
   in quel volantino – precisa la giornalista – «il segretario provinciale del Siap, Roberto Traverso, nel chiedere la sospensione di ogni attività lavorativa fuori e dentro il cantiere di Cravasco, definiva “preoccupante” l'atteggiamento del dirigente, che non avrebbe informato adeguatamente i lavoratori sul rischio e non avrebbe predisposto “l'immediata distribuzione dei dispositivi di protezione individuale” come la legge prevede»;
   dopo venti giorni di silenzio e a sole 24 ore dal volantino, l'11 agosto 2015, il dirigente avrebbe convocato tutte le pattuglie impegnate nel monitoraggio, prima tra tutte, quella di cui fa parte il quadro sindacale del Siap;
   l'incontro dell'11 agosto si sarebbe concluso, scrive la giornalista, «in malo modo: il delegato sindacale, incalzato dal dirigente rispetto all'eventualità di aver  “visto delle irregolarità sulle quali non mi ha mai relazionato” , ha perso la pazienza e gli ha mollato una rispostaccia, continuando a ribadire la sola volontà di tutelare la salute dei colleghi. Tanto è bastato al funzionario per muovere, a metà ottobre nei confronti del dipendente (che in oltre 20 anni di servizio non era mai incappato in alcun provvedimento disciplinare), niente di meno che la richiesta di deplorazione: cinque anni senza avanzamenti di carriera né aumenti salariali. L'anticamera della destituzione. Una misura ritenuta eccessiva dalla commissione disciplinare, che a novembre ha ridotto la “pena” a un semplice richiamo scritto»;
   secondo la giornalista de Il Fatto tale incontro avrebbe visto protagonisti «da un lato un poliziotto della Digos, quadro sindacale del Siap; dall'altro il suo dirigente, che lo accusa “di non poter più svolgere con serenità i compiti che gli sono affidati” e, dopo averne chiesto (senza esito) la deplorazione, ora lo vuol fare trasferire»;
   a metà novembre 2015, «basandosi sulle relazioni di agosto e settembre, il funzionario ha avanzato al questore di Genova una richiesta di trasferimento d'ufficio per il suo dipendente,  “in assoluta assenza di atteggiamenti discriminatori o tesi a emarginarlo” , scrive nella domanda»;
   il dirigente sosterrebbe oggi di non aver mai chiesto alle pattuglie di entrare nel cantiere;
   come dimostrerebbero le foto che Il Fatto ha pubblicato, i poliziotti in quel cantiere ci sarebbero invece entrati, dopo aver ottenuto caschi di protezione e giubbotti catarifrangenti non idonei a impedire le eventuali fibre d'amianto presenti nel cantiere e nel tunnel a seguito del possibile sbancamento avvenuto nell'attività di perforazione;
   a quanto consta all'interrogante, i dati delle operazioni di rilevazione amianto effettuati dall'Arpa Liguria non sarebbero mai stati trasmessi, nonostante le richieste, dalla questura ai sindacati di polizia richiedenti;
   il questore avrebbe disposto il trasferimento dalla DIGOS all'ufficio immigrazione dell'assistente capo di P.S. Calabrò –:
   se il Ministro interrogato sia stato informato dal questore della vicenda;
   se trovi conferma quanto denunciato dal giornale Il Fatto e che riprende la denuncia del Siap e cioè che gli agenti sarebbero stati fatti entrare nel tunnel e nel cantiere senza le dotazioni che in base al principio di precauzione, avrebbero dovuto indossare in presenza di fibre di amianto;
   se non ritenga di disporre un'indagine amministrativa per chiarire l'accaduto;
   quali siano i motivi che hanno indotto l'amministrazione a disporre il trasferimento dalla DIGOS all'ufficio immigrazione dell'assistente capo di P.S. che aveva denunciato l'accaduto. (4-11530)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TARICCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo E.N.I. pare abbia deciso di vendere a finanziarie estere tutto il comparto di Versalis che comprende gli stabilimenti di Mantova, Ravenna, Ferrara e Porto Torres. Il centro ricerche «Green Chemistry Versalis» è la società che si occupa per Eni della ricerca «verde», ecocompatibile e ha, nel complesso dell'istituto Donegani a Novara, in via Fauser, il centro di ricerche italiano;
   la provincia di Novara sta vivendo un momento di serissima preoccupazione per quanto sembra verificarsi e l'allarme è stato lanciato dalle confederazioni sindacali di categoria C.G.I.L.-C.I.S.L.-U.I.L. attraverso i lavoratori del settore;
   il quadro tracciato vede riflessi occupazionali molto negativi, in quanto il gruppo E.N.I. dismetterebbe così l'attività industriale e, di conseguenza, verrebbero abbandonati i progetti riguardanti anche la «chimica verde»;
   il Centro di ricerca Donegani della Green Chemisty Versalis che opera nella città di Novara, è il fiore all'occhiello di quella parte della chimica che guarda al futuro sostenibile e all'innovazione indispensabile per la produzione di materie ecocompatibili richieste dalle necessarie politiche ecologiche universalmente riconosciute. Questa peculiarità, operante da moltissimi anni sul territorio novarese, rischia di scomparire, generando nuova disoccupazione insieme all'impossibilità di nuovi inserimenti per i giovani che frequentano scuole, istituti di formazione e facoltà universitarie presenti a Novara, votate alla conoscenza e allo sviluppo della chimica verde;
   per la comunità novarese ciò rischia di essere un'ulteriore perdita di attività produttive sul territorio, già gravemente colpito dalla cessazione di molte aziende di media e grande dimensione, con la conseguente crescita del livello di disoccupazione, soprattutto in soggetti di età avanzata, fatto estremamente grave e di difficilissima soluzione;
   la situazione è ulteriormente aggravata dal fatto che il territorio rischia di perdere attività riconosciute e apprezzate a livello internazionale, a causa di svolte industriali indirizzate verso le politiche finanziarie;
   l'annunciata decisione di collocare sul mercato la società Versalis insieme al timore che E.N.I. intenda dismettere in maniera definitiva l'attività della chimica di base impone alle istituzioni territoriali di farsi parte attiva per scongiurare un ulteriore impoverimento del territorio: si parla, infatti, di una grave perdita anche in termini di forza lavoro, in quanto 40 lavoratori rischiano di perdere il posto;
   è già stato richiesto un attivo interessamento alla regione e al Governo, attraverso i rappresentanti politici di zona, per tutelare un settore, quello chimico, molto colpito negli ultimi anni –:
   se il Governo sia a completa conoscenza della situazione descritta e, nel caso, quali iniziative abbia intrapreso ad oggi per allontanare il rischio di cessazione del comparto «ricerca e sviluppo» di un settore cruciale per i riflessi commerciali e attuativi delle politiche a difesa dell'ambiente, sempre più strategiche alla luce delle decisioni assunte a Parigi – in occasione della cosiddetta Cop21 – e comunque sempre più consapevolmente attuate a livello globale;
   se il Governo non ritenga, dato l'alto valore professionale del centro di specializzazione di Novara e delle ricadute sui 40 lavoratori citati, che hanno già manifestato la loro preoccupazione ed il dissenso all'ipotesi, con manifestazioni e scioperi, di assumere con solerzia iniziative per evitare il rischio della perdita di un patrimonio scientifico e storico inestimabile, riconosciuto a livello internazionale, oltre al già citato impatto occupazionale. (5-07273)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NESCI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si legge in Gazzetta Ufficiale, nella sezione relativa ai contratti pubblici, del 29 luglio 2013, la Se.g.i. srl, con sede a Montalto Uffugo (Cosenza), in un'ati (associazione temporanea di imprese) con la Coral Service, ha vinto un bando di gara, indetto dall'università della Calabria, per «servizi di pulizia delle aree interne, esterne e delle strutture ricettive»;
   stando alla documentazione relativa allo stesso bando, la suddetta società, battendo la concorrenza di altre 32 ditte, si è aggiudicata l'appalto per un importo pari a 2 milioni 378 mila 381 euro;
   secondo quanto riportato dalla testata online Quicosenza, il 16 novembre 2015, i dipendenti della Se.g.i. impiegati nell'espletamento del suddetto appalto di pulizie, hanno dato vita ad un sit-in di protesta davanti agli uffici del rettorato;
   la ragione di tale manifestazione consisterebbe nel fatto che «l'azienda che da oltre un anno si occupa delle pulizie e della manutenzione di interni, aule, bagni e giardini pare continui a pagare i lavoratori in ritardo. Un problema che si ripropone periodicamente mettendo in difficoltà i dipendenti retribuiti con salari che variano, in base alle ore lavorative, dalle duecento alle trecentocinquanta euro mensili»;
   i lavoratori, in una nota, hanno puntato il dito, appunto, contro il «ritardo costante con cui la società Segi s.r.l che ha in affidamento il servizio eroga i salari [...] Se i salari sono frutto di poche ore di lavoro ed in quanto tali già ridotti al minimo sindacale, si capisce bene che ritardo equivale a disagio sociale e difficoltà familiari»;
   tale gravosa situazione si sta protraendo nei mesi, sebbene il titolare – Andrea Guccione, cugino dell'ex assessore della giunta guidata da Mario Oliverio e attuale consigliere regionale, Carlo – neghi, affermando che «abbiamo ritardi nei pagamenti perché Asp e Regione non ci pagano»;
   dalla documentazione di gara, però, è evidente che il contratto sia stipulato tra Se.g.i. e università della Calabria, non essendoci alcun minimo riferimento né all'azienda sanitaria provinciale di Cosenza né alla regione Calabria;
   preme sottolineare che, stando ancora al resoconto giornalistico, il rettorato ha precisato che non si registrano ritardi nei pagamenti alla Se.g.i.;
   secondo quanto riportato ancora da QuiCosenza, sono dunque «inspiegabili i ritardi dell'azienda che, a sua discrezione, sceglierebbe di volta in volta quando erogare gli stipendi ai propri dipendenti. Il rettorato ha quindi convocato nei giorni scorsi Guccione per chiarire la vicenda. A seguito dell'incontro l'azienda si è impegnata a retribuire i propri dipendenti, come da contratto, al 15 di ogni mese, a partire da dicembre. Qualora ciò non dovesse avvenire i sindacati hanno già annunciato e discusso con il dirigente del rettorato Scarpelli di chiedere l'immediata rescissione dal contratto con conseguente perdita dell'appalto da parte della Se.g.i. srl»;
   ad oggi, secondo quanto risulta all'interrogante, nonostante i succitati impegni assunti dal titolare della Se.g.i. srl, i dipendenti continuano a ricevere i propri stipendi in ritardo;
   secondo quanto si evince, infatti, da una nota sindacale del 16 dicembre 2015 firmata da Filcams Cgil, Uiltrasporti e Fisascat Cisl, «ad oggi i lavoratori non hanno ricevuto il salario relativo al mese di novembre già maturato», pur essendo ormai a fine dicembre, in prossimità delle feste natalizie e, dunque, dovendo ricevere i dipendenti la mensilità relativa a dicembre stesso, più eventuale tredicesima –:
   quali iniziative di competenza intendano assumere per salvaguardare i diritti dei lavoratori e delle loro famiglie ed evitare che si determinino situazioni di forte criticità sul piano sociale. (4-11529)


   GREGORI e FASSINA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la vicenda lavorativa dei medici fiscali Inps ha inizio nel 1986 in forza di un decreto attuativo (decreto ministeriale 15 luglio 1986) della legge n. 638 del 11 novembre 1983, cui seguirono altri cinque provvedimenti attuativi, compreso quello attualmente in vigore (decreto ministeriale Lavoro 8 maggio 2008) che è appunto scaduto da più di 7 anni;
   la legge n. 638 dell'11 novembre 1983, nell'istituire il controllo medico domiciliare per i lavoratori assenti per malattia, individuò nelle Usl e nell'Inps gli istituti preposti e distinse le figure professionali da destinare al servizio medesimo;
   la medicina fiscale, emanazione della medicina legale, cui fa riferimento l'articolo 5 della legge n. 300 del 20 maggio 1970, può essere attuata soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierli a richiesta del datore di lavoro e degli enti assicuratori;
   per le Usl, furono destinati al servizio medici dipendenti o convenzionati con il Ssn, mentre per l'Inps non fu individuata una figura univoca;
   presso l'Inps furono così istituite liste di medici disponibili all'effettuazione del servizio (le cosiddette liste speciali) da cui l'istituto attingeva per l'assegnazione d'incarichi occasionali, con retribuzione «a notula»;
   tale stato di fatto mutò radicalmente nel 1996 (decreto ministeriale 18 aprile 1996). Nel 1996, i medici furono finalmente inseriti, mediante selezione per titoli di servizio e accademici, nella organizzazione delle sedi territoriali dell'Istituto nazionale della previdenza sociale e assoggettati a potere direttivo verticalizzato e sottoposti al coordinamento (per esempio strutturazione di orari e di disponibilità telefonica per improvvise esigenze di servizio, rotazione sui festivi, e altro) e controllo quotidiano;
   è da considerarsi stabile, per i medici titolari dell'incarico, l'inserimento nella organizzazione delle sedi Inps (la dimostrazione è l'attività di servizio quotidiana ed ininterrotta che per molti di costoro, è iniziata, più di 20 anni fa). Tali medici, dal momento della sottoscrizione dell'accettazione dell'incarico, furono (e sono) tenuti ad osservare le prescrizioni di un mansionario («criteri per lo svolgimento del servizio»), stilato dall'Inps, che prevedeva (e sostanzialmente prevede: a) L'obbligo di garantire l'esecuzione delle visite assegnate giorno per giorno dall'istituto, secondo le esigenze di servizio, senza la garanzia di un numero minimo di incarichi (da cui derivò, necessariamente l'onere di recarsi quotidianamente nei locali dell'Istituto anche due volte al giorno); b) L'obbligo d'effettuazione delle visite, da eseguirsi nelle fasce orarie previste (10:00-12:00 e 17:00-19:00), tutti i giorni dell'anno, compresi i festivi. Non furono giudicati ammissibili impedimenti al servizi, nell'arco della settimana o del mese, in quanto il rapporto di lavoro avrebbe dovuto avere caratteristica continuativa ed esclusiva (in particolare, non fu permessa alcun altra attività lavorativa con diverso datore di lavoro pubblico o privato, anche in una dimensione di collaborazione coordinata e continuativa), né poteva essere oggetto di rifiuto, da parte del medico incaricato, l'eventuale disagevole ubicazione dei controlli da eseguire, pena la sospensione o revoca dell'incarico; c) L'obbligo di sottostare alla assegnazione delle visite da effettuarsi «per fascia di reperibilità», messa poi in atto dalle sedi, in modo da evitare sostanziali esenzioni dall'impegno in uno dei periodi temporali giornalieri previsti (vincolo bi-quotidiano); d) L'obbligo di reperibilità, anche telefonica; e) L'obbligo per i medici di lista di comunicare, con congruo anticipo, i periodi di astensione dal servizio, peraltro contingentati in un periodo di comporto oltre il quale fu prevista la decadenza dall'incarico; f) L'obbligo di provvedere ai mezzi necessari per raggiungere il luogo fisico ove espletare la prestazione, con il riconoscimento di un rimborso forfettario (1/5 del costo della benzina per chilometro);
   la finalità specifica del servizio «visite mediche» di controllo sullo stato di salute dei lavoratori assenti dal lavoro per malattia» (di seguito Vmcd) è fondamentalmente mirato all'abbattimento del «fenomeno assenteismo», accertando la sussistenza della condizione di malattia certificata dal medico curante, tenuto conto dell'onere degli istituti previdenziali, compreso l'INPS, di corrispondere il trattamento economico di malattia;
   dunque scopo dell'Inps nel servizio di visite mediche di controllo domiciliari (Vmcd) non può tradursi ed essere circoscritta nella valutazione e quantificazione dell'immediato ritorno economico, che pure esiste (dall'emanazione del decreto ministeriale 18 aprile 1996, l'ente di previdenza nazionale ha fornito prestazioni per il corrispettivo di ben oltre un miliardo di giornate lavorative perse per causa di malattia, le quali sono state oggetto di attestazione di circa duecento milioni di certificati medici che hanno prodotto un esborso di oltre trenta miliardi di euro, a titolo di sostituzione del reddito per i lavoratori malati);
   il fine istituzionale dell'ente Inps nel settore «malattia» si concretizza, in effetti, ad un estremo, nella repressione degli abusi e, a l'altro estremo, nella presenza dello Stato accanto a cittadini in condizioni di bisogno, attraversando e considerando gli interessi della società, delle imprese e le esigenze di bilancio economico degli istituti previdenziali;
   il servizio ispettivo Vmdc è svolto sul territori, esclusivamente e quotidianamente dai «medici fiscali Inps» o altrimenti detti «medici di lista», quella del «medico fiscale» è dunque una figura professionale che si distingue dal semplice «osservatore del fenomeno» per la capacità tecnica di valutare, sotto il profilo medico legale e assicurativo, lo status di malattia attraverso la propria facoltà/podestà di compiere, nel rispetto della dignità e della libertà della persona, un atto medico completo per esserne stato abilitato dalla legge e dall'esperienza. V’è dunque perfetta coincidenza tra i fini istituzionali dell'ente ed il lavoro dei medici fiscali;
   ecco come la norma dettata dalla legge n. 638 dell'11 novembre 1983 diviene, a giudizio degli interroganti, anacronistica e la distinzione contrattuale tra medici fiscali delle Asl e dell'Inps, artificiosa. Nel 2000, il rapporto di lavoro dei medici fiscali con l'Inps muta, in parte, nuovamente, prevalentemente nella statuizione delle incompatibilità, in forza del decreto ministeriale del 12 ottobre del 2000. Rimangono invece sostanzialmente immutati gli elementi d'atipicità, permanendo la condizione lavorativa dei professionisti a metà strada tra il lavoro parasubordinato e subordinato, ma definito dall'Inps, a tutti gli effetti (previdenziale, fiscale), lavoro autonomo. Una collocazione lavorativa particolarmente penalizzante secondo gli interroganti per i medici fiscali poiché capace di minimizzare i diritti ed i vantaggi di tutte le tipologie di lavoro citate, dando luogo ad un regime speciale, privo di garanzie e protezioni;
   attualmente è in vigore il decreto ministeriale 8 maggio 2008, ma da allora numerose circolari dell'Inps hanno introdotto numerosi cambiamenti in termini di espletamento del lavoro non previsti dal decreto ministeriale del 2008;
   il Presidente Boeri si è soffermato sull'aspetto del passaggio dai contratti precari con poca formazione, bassi salari e con bassa produttività, a quelli a tempo indeterminato che, grazie agli sgravi e alle tutele crescenti, potranno interrompere il ciclo vizioso che si era creato;
   il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti, in occasione della Festa dell'Unità Mezzogiorno, svoltasi a Palermo ha affermato: «I contratti precari hanno avuto un tremendo effetto dal punto di vista previdenziale, perché contratti precari e carriere interrotte producono un problema serio “ per le pensioni future”» e, riferendosi al contratto a tutele crescenti introdotto dal Jobs act... «.... Chi governa questo Paese deve prendere delle decisioni sul versante del lavoro stiamo facendo delle scelte che guardano in questa direzione e cioè che i contratti precari diventino contratti stabili»;
   in un recente articolo apparso sulla rivista La Medicina Fiscale, autorizzato dal Direttore generale dottor Massimo Cioffi, nel quale è riportata l'intervista al professor Massimo Piccioni, coordinatore generale del centro medico legale dell'Inps di Roma, nel corso della quale questi, ha fatto varie dichiarazioni e tra le altre le seguenti: «L'Inps ha evidentemente lavorato bene in questa ormai trentennale attività di medicina fiscale e si può cercare di esportare nel settore pubblico l'esperienza e la competenza dei nostri medici e gli strumenti informatici del nostro ente». «Del resto, i dati indicano un alto livello di assenze nel pubblico e un numero di eventi di malattia percentualmente superiori nel pubblico rispetto a quanto accade nel settore privato». «Quello che è certo è che l'INPS continuerà ad avvalersi dei propri medici fiscali, presenti nella lista speciale ad esaurimento, che hanno la priorità, per legge, a svolgere le visite fiscali». «L'INPS con i suoi medici è pronta a raccogliere questa sfida e ha chiesto, quindi, di avere a disposizione risorse superiori a quelle finora utilizzate per le visite fiscali visto che con questa cifra il lavoro svolto non è stato soddisfacente» «si dovrà avere un aumento anche delle visite nel settore privato: attualmente il numero di visite ai dipendenti privati è diminuito troppo e questo non potrà essere continuato»;
   la riforma della Pubblica amministrazione prevede di porre in capo all'Inps il controllo dello stato di malattia dei dipendenti pubblici, con conseguente uniformità degli accertamenti al fine di controllare al meglio l'assenteismo nel settore pubblico ed ottenere risultati più in linea rispetto a quelli raggiunti nel settore privato, almeno fino al 2012, «con la previsione del prioritario ricorso alle liste di cui all'articolo 4, comma 10-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, e successive modificazioni», cioè avvalendosi prioritariamente dei medici di controllo in forza all'Inps;
   è recente lo scandalo che ha coinvolto l'Inps con riguardo alle indennità percepite dei propri dirigenti corrispondenti, per la grande maggioranza, ad un terzo dello stipendio complessivo. Tra l'altro, si fa notare che, proprio nel 2013, anno in cui l'istituto ha erogato 361 milioni di euro per retribuzioni di risultato, ha contemporaneamente annullato e poi ridotto del 90 per cento i controlli sullo stato di malattia dei lavoratori del privato, intervenendo su un capitolo di spesa obbligatorio e che costava, sì all'Inps fino al 2012 circa 55 milioni di euro l'anno, ma ricavando un corrispondente introito, sotto forma di sanzioni e altro, di più di 25 milioni di euro annui;
   venendo all'attualità dei controlli che l'Inps sta facendo, occorre far notare che, a quanto risulta agli interroganti, nonostante il diritto all'indennità di malattia decorra (inizio malattia) dal 4o giorno (i primi 3 giorni sono di «carenza» e, se previsto dal contratto di lavoro, verranno indennizzati a totale carico dell'azienda) e cessi con la scadenza della prognosi (fine malattia), capita sempre più spesso che l'istituto stabilisca di far fare controlli al terzo giorno di malattia su certificati di 4 o 5 giorni di prognosi perdendo la possibilità di recuperare una cifra fino a quella data in caso di assenza ingiustificata del lavoratore e al massimo recuperando in media 40 euro per ogni eventuale giorno di riduzione della prognosi che possa venir decisa, con una corrispondente spesa per l'effettuazione della visita di più di 40 euro. Nel caso di assenza ingiustificata a guadagnarci sarebbe, secondo gli interroganti, solo il datore di lavoro che si potrebbe avvalere di un tale risultato magari per licenziare il dipendente per giusta causa nel caso arrivasse a tre assenze ingiustificate;
   è infine recente la pubblicazione di un nuovo bando per il reclutamento di medici per l'effettuazione delle verifiche di invalidità che vede, tra l'altro, precludere «ai medici fiscali» la possibilità di accedervi, stante tutta una serie di paletti (punteggio per specializzazioni e pubblicazioni scientifiche non quantificati soprattutto per quest'ultime). Per questo fin l'Inps ha trovato in passato i fondi necessari (esattamente corrispondenti a quanto ha «risparmiato» sospendendo e poi riducendo i controlli di malattia) e adesso, a quanto consta agli interroganti, mette sul tavolo per questo bando 34,8 milioni di euro per un anno per 900 medici. Tutto questo succede annualmente, a scadenza del bando precedente, nonostante anche tutte le perplessità e osservazioni fatte dalla Corte dei conti, che ha evidenziato ripetutamente la scarsa se non nulla valenza economica delle verifiche sulle invalidità –:
   se il Ministro interrogato intenda valutare la sussistenza dei presupposti per promuovere iniziative ispettive in merito alle risorse umane e informatiche messe a disposizione per il sistema gestito dall'Inps delle visite d'ufficio, con particolare riferimento alla riduzione dei controlli in merito alle visite su prognosi brevi, all'assegnazione delle indennità di reperibilità e disponibilità e agli impegni presi in tema di rifinanziamento del capitolo di spesa obbligatorio delle visite di controllo sul lavoro privato. (4-11531)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MINNUCCI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Uptime spa (con partecipazione del 50 per cento Gepin, 30 per cento Omega e 20 per cento Dda) nasce nel 2003 da una cessione di ramo d'azienda, che vede coinvolti circa 140 lavoratori;
   le attività cedute riguardano l'assistenza clienti dedicati Sda, la risposta telefonica numero verde di Poste italiane e l'assistenza clienti per i reclami per pacco celere 1, paccocelere 3, pacco ordinario ed help desk Sda;
   a febbraio 2015, successivamente dell'arresto del dottor Zavaroni, presidente della Gepin (società azionista di maggioranza della Uptime), è stato venduto alla società immobiliare «Samo» il ramo contact della società Uptime spa;
   a seguito di questa vicenda Poste Italiane ha deciso di dismettere la partecipazione azionaria in Uptime spa, detenuta attraverso Sda, affidando a gara le attività che Uptime spa esercitava per conto di Poste Italiane;
   in seguito alla preassegnazione del 25 novembre 2015 Poste Italiane ha proceduto alla spartizione delle attività, precedentemente gestite da Uptime in lotti, tra diverse società ad un prezzo talmente basso (tra i 29 e 33 centesimi) da rendere praticamente impossibile il pagamento di qualsiasi lavoratore, essendo inferiore a quello previsto dal Contratto nazionale del lavoro relativo;
   le conseguenze sono ricadute sui 100 lavoratori Uptime i quali, pur essendo dipendenti della società Sda operanti come personale di Poste Italiane, rischiano la chiusura del rapporto di lavoro alla fine del periodo di utilizzo degli ammortizzatori sociali;
   per questi motivi, i lavoratori stessi hanno avviato sia azioni legali, sia azioni dimostrative nei confronti di Poste Italiane al fine di rappresentare la grave situazione nella quale si sono trovati e di salvaguardare i propri diritti –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione in cui versano i lavoratori della società Uptime  spa e quali iniziative urgenti di competenza intendano intraprendere al fine di garantire il diritto al lavoro per tutti i dipendenti coinvolti. (5-07274)