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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 3 dicembre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    il gruppo Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. conta circa 70.000 dipendenti, una linea ferroviaria lunga 16.726 chilometri, di cui circa 1.000 ad alta velocità, 11.900 elettrificati e oltre 7.400 a doppio binario, 2.300 stazioni viaggiatori, un fatturato di 8,4 miliardi di euro, 8 mila treni al giorno, 600 milioni di passeggeri e 50 milioni di tonnellate-merci all'anno e rappresenta una delle più grandi realtà industriali del nostro Paese;
    in particolare lo schema organizzativo delle Ferrovie dello Stato è quello di una holding, FSI S.p.a., cui fanno capo sia la società di gestione delle infrastrutture, RFI S.p.a., che l'impresa di trasporto, Trenitalia S.p.a., la cui separazione legale, amministrativa, contabile e gestionale è garantita e vigilata dallo Stato: Trenitalia è l'impresa di trasporto passeggeri e merci mentre Rete Ferroviaria Italiana (Rfi) è la società che si occupa della gestione dell'infrastruttura: entrambe sono partecipate al 100 per cento di Ferrovie dello Stato italiane;
    gli strumenti che regolano i rapporti tra Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a. e lo Stato sono il contratto di programma e di servizio con il gestore dell'infrastruttura e il contratto di servizio con l'impresa di trasporto, che individua gli obblighi di servizio pubblico posti a carico di quest'ultima con riferimento al servizio universale;
    il Gruppo Ferrovie dello Stato italiane è la seconda azienda italiana per investimenti, quinta per dipendenti, decima per redditività e tredicesima per fatturato;
    Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a. ha chiuso i primi sei mesi del 2015 con un fatturato in crescita di oltre 2 punti percentuali rispetto all'anno 2014;
    il 23 novembre 2015 il Consiglio dei ministri ha avviato il processo di privatizzazione e di definizione delle modalità di parziale vendita della partecipazione detenuta dal Ministero dell'economia e delle finanze nel capitale di Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a., approvando, in esame preliminare, un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri predisposto dal Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, relativo alla cessione di non oltre il 40 per cento di quote di Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a. ai sensi della normativa sulle privatizzazioni (legge n. 474 del 1994 e legge n. 481 del 1995);
    tale cessione potrà essere effettuata anche in più fasi. Il 40 per cento alienabile andrà ad un azionariato diffuso, compresi i dipendenti del gruppo ferroviario, ed a investitori istituzionali;
    nel Documento di economia e finanza, l'operazione di privatizzazione prevede innanzitutto la scissione, deliberata negli scorsi mesi dal consiglio di amministrazione, di Grandi Stazioni in tre aziende: GS Rail, GS Immobiliare e GS Retail, che costituisce la parte commerciale del gruppo;
    suddetta operazione non è stata confermata nella nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza recentemente sottoposta alla Camera dei deputati;
    i termini di dettaglio dell'operazione, che, secondo stime di alcune testate economiche, potrà far entrare nelle casse dello Stato da 3 a 14 miliardi di euro, a seconda del grado e dell'intensità della privatizzazione, sono ancora in corso di definizione;
    a fronte di questi numeri, che fanno del gruppo Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a. una delle aziende italiane più appetibili dal punto di vista economico, l'azienda risulta comunque al dodicesimo posto nella classifica delle ferrovie europee per percorrenza media chilometrica per abitante: i settori più problematici, anche perché meno redditizi, sono quelli relativi al trasporto su intercity e regionali, e quindi quelli a servizio dei cittadini e dei tanti pendolari che utilizzano il treno come mezzo di trasporto privilegiato per raggiungere le postazioni di lavoro e di studio;
    il servizio del trasporto pubblico locale rappresenta un servizio fondamentale sia sotto il profilo economico sia sotto il profilo sociale perché attraverso di esso deve essere garantita la possibilità di effettuare gli spostamenti necessari per lo svolgimento delle attività principali della vita economica e sociale, assicurando comunque un livello adeguato di prestazioni su tutto il territorio;
    sul processo di privatizzazione del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A., il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio, non si sarebbe espresso a nome del Governo, ma come Ministro di settore, sostenendo che, egli, personalmente, gradirebbe lo scorporo della rete, aggiungendo che all'interno del Consiglio dei ministri il tema è ancora in discussione;
    il Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, ha dichiarato di preferire, dal canto suo, la privatizzazione dell'intera holding;
    il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, si è limitato a cambiare i vertici del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A.;
    il Governo, nella sua collegialità, non si è ancora espresso sullo scorporo della rete, che, peraltro, riveste importanza strategica;
    non è dato sapere se la privatizzazione del 40 per cento sia riferita all'intero Gruppo oppure se non si tratti invece di una semplice dismissione a privati di una somma minoritaria del servizio, al fine di fare cassa, e mettere in piedi una nuova società che vivrà, probabilmente, di sussidi pubblici;
    non si sa se il sacrificio di questo settore strategico faccia parte di un progetto per il rilancio, anche occupazionale, del settore stesso e se sia stata presa in considerazione la necessità di garantire a milioni di utenti, attraverso prezzi sostenibili e la certezza di un trasporto pubblico che colleghi tutte le aree del Paese, incluse le cosiddette zone periferiche;
    non si tratta di mettere in discussione il concetto di privatizzazione ma è necessario conoscere qual è il fine ultimo di tale progetto, affinché non si realizzi invece la dismissione di un asset essenziale di questo Paese a fini elettoralistici e di miopia politica e strategica,

impegna il Governo:

   ad illustrare urgentemente in Parlamento il piano di cui in premessa, specificando se si tratti di dismissione o di privatizzazione e chiarendo puntualmente tutti gli aspetti e i risvolti economici, industriali e occupazionali conseguenti all'annunciato piano;
   a chiarire se l'annunciato progetto costituisca un'opportunità di crescita e di sviluppo per l'intero sistema del trasporto ferroviario italiano, con particolare riguardo al rispetto del principio di libera concorrenza e di garanzia di servizio pubblico, e non si tratti, invece, di una mera operazione economico-finanziaria;
   a reinvestire i ricavi attesi dall'operazione in favore del trasporto pubblico locale, garantendo che il servizio venga svolto su tutto il territorio nazionale nel rispetto di più alti criteri di qualità e a prezzi sostenibili per i cittadini.
(1-01080) «Biasotti, Occhiuto, Santelli, Prestigiacomo, Nizzi, Polidori».

Risoluzioni in Commissione:


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    l'Italia è oggi il primo produttore mondiale di vino con un quantitativo di produzione stimato a 48,9 milioni di ettolitri annui;
    il settore vitivinicolo, ed in particolare quello a denominazione di origine protetta, rappresenta un comparto fondamentale per l'intero sistema economico, produttivo ed occupazionale del nostro paese per numero di addetti della filiera (circa 1 milione e 250 mila), volume di fatturati (circa 9,4 miliardi di euro annui) ed esportazioni (circa 5,1 miliardi di euro all'anno);
    il settore vitivinicolo è quindi un volano irrinunciabile per la promozione del « made in Italy» nel mondo;
    gli ultimi dati ufficiali dell'Istat (relativi all'anno solare 2013) indicano infatti che il 38,5 per cento della produzione italiana è stato di vini Doc e Docg (denominazione di origine controllata e denominazione di origine controllata e garantita), in crescita dell'8,2 per cento sul 2012, mentre i vini Igp (indicazione geografica protetta) hanno rappresentato il 35 per cento della produzione, con un incremento del 25,8 per cento rispetto al 2012. Conseguentemente, i vini senza denominazione, chiamati anche «vini comuni», rappresentano solo il 26,5 per cento del totale;
    il primato italiano si registra anche rispetto ai vini certificati Dop ed Igp (523 denominazioni pari al 33 per cento dell'intero paniere europeo), con una produzione complessiva che si attesta intorno ai 22 milioni di ettolitri e un fatturato stimato alla produzione per l'imbottigliato di 7,1 miliardi di euro (2,7 miliardi di euro per lo sfuso), di cui 4,3 destinati all’export, con oltre 200.000 operatori coinvolti;
    nell'Unione europea la produzione e la classificazione dei vini sono disciplinate da appositi regolamenti comunitari e dalle relative norme nazionali applicative. Nel corso degli ultimi anni la legislazione si è aggiornata con l'emanazione della nuova organizzazione comune di mercato (Ocm) «Vino»: il riferimento principale è il regolamento, (Ce) n. 479/2008 del Consiglio per quanto riguarda le denominazioni di origine protette e le indicazioni geografiche protette, le menzioni tradizionali, l'etichettatura e la presentazione di determinati prodotti vitivinicoli;
    successivamente con il regolamento (Ce) n. 607/2009, la Commissione europea ha disposto le «modalità di applicazione del Regolamento Ce numero 479/2008»;
    nel dettaglio il paragrafo 4 dell'articolo 62 del regolamento (Ce) n. 607/2009 cita testualmente: «I nomi di varietà di uve da vino e i loro sinonimi elencati nell'allegato XV, parte B, del presente regolamento che contengono in parte una denominazione di origine protetta o un'indicazione geografica protetta e si riferiscono direttamente all'elemento geografico della denominazione di origine protetta o dell'indicazione geografica protetta, possono figurare esclusivamente sull'etichetta di un prodotto a denominazione di origine protetta o indicazione geografica protetta o a indicazione geografica di un paese terzo»;
    in sintesi, ad oggi, i nomi di varietà di uva da vino, ed i loro sinonimi, contenuti nell'allegato sopracitato non possono essere utilizzati nell'etichettatura dei vini senza indicazione geografica (ex vini da tavola, chiamati anche «vini varietali») ed il loro utilizzo è limitato alle condizioni d'uso espressamente previste negli allegati. In particolare, i nomi di varietà possono essere utilizzati solo su vini a Do e Ig, provenienti dai Paesi espressamente e tassativamente indicati negli allegati;
    recentemente è stato avviato, presso le competenti istituzioni dell'Unione europea, il processo di revisione delle norme comunitarie che disciplinano l'etichettatura dei vini, finora contenute nel regolamento (Ce) n. 607/2009. La Commissione europea ha inoltre precisato che tale revisione non riguarderà la parte A, ma potrebbe comunque coinvolgere la parte B del citato allegato XV;
    in preparazione di una proposta di regolamento in merito, la direzione generale agricoltura e sviluppo rurale della Commissione europea ha presentato alcune opzioni di riforma;
    la Commissione europea non ha infatti escluso di autorizzare l'uso nell'etichettatura di tutti i vini, compresi quelli senza indicazione geografica prodotti in uno qualsiasi degli Stati membri dell'Unione europea, di quei nomi di varietà che oggi sono riservati a specifiche denominazioni d'origine protette (Dop) o indicazioni geografiche protette (Dop) di precisi Stati membri;
   modificare la parte B del citato allegato XV potrebbe conseguentemente aprire forme di liberalizzazione sull'uso dei nomi elencati permettendone l'utilizzo nelle etichette di prodotti senza nessuna indicazione geografica;
    in Italia se la Commissione europea decidesse di procedere secondo le opzioni di modifica presentate sarà possibile per un qualsiasi vino comune europeo riportare in etichetta nomi di vitigni quali «Barbera», «Lambrusco», «Nebbiolo», «Primitivo», «Sangiovese», «Teroldego», «Verdicchio», «Vernaccia» o «Vermentino» (solo per citarne alcuni); si tratta di nomi che costituiscono la parte integrante di rinomate Dop o Igp, perché caratteristiche di quei luoghi e, quindi, strettamente legate a quei territori dove le varietà di uve si sono affermate storicamente per la produzione di vini di qualità certificata;
    questa forma di liberalizzazione, ad avviso dei firmatari del presente atto, contrasta palesemente con i principi sanciti dal citato paragrafo 4 dell'articolo 62 del Regolamento (Ce) n. 607/2009;
    le proposte di revisione delle norme comunitarie che disciplinano l'etichettatura dei vini stanno causando grande preoccupazione nell'intero settore vitivinicolo nazionale. È stato infatti evidenziato come l'appiattimento di vitigni che rappresentano una autentica bandiera delle produzioni delle nostre zone a generici varietali che potranno un domani essere liberamente prodotti e commercializzati ovunque, significhi distruggere l'immagine che le realtà italiane hanno costruito in secoli di duro lavoro e fatica; è stato poi rimarcato come ciò comporterebbe una banalizzazione di alcuni dei principi su cui si regge la forza del settore vitivinicolo nazionale, con possibili ripercussioni negative sulla redditività dell'attività agricola in ampie aree rurali del Paese e che riportare il corretto nome del vitigno nelle etichette legato effettivamente alla zona di produzione rappresenta una scelta irrinunciabile per la tutela del made in Italy ed un fattore qualificante per i consumatori di tutto il mondo;
    il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, quale autorità pubblica preposta alla salvaguardia degli interessi socio-economici dell'intera filiera vitivinicola di qualità nazionale, si è opposto alla revisione dei principi espressi dal citato paragrafo 4 dell'articolo 62 del regolamento, fatta salva la possibilità di utilizzare i vitigni in questione nell'etichettatura di altri vini DOP o IGP europei o IG dei Paesi terzi già espressamente indicati nell'allegato XV;
    rispetto a tale problematica i Paesi europei sono schierati differentemente: la Spagna è infatti intervenuta sostenendo la necessità di una semplificazione che porti alla possibilità di utilizzare tutte le varietà di vite per le quali è ammessa la coltivazione nell'etichettatura dei vini (Dop, Igp e senza indicazione geografica). A tale richiesta si sono associate Danimarca, Regno Unito, Svezia, Bulgaria e Polonia (nazioni quindi non produttori di vino, con interessi più vicini a quelli del commercio che della produzione). Sul fronte opposto, in linea di principio, Francia, Austria, Germania, Ungheria, Romania ed Portogallo hanno manifestato posizioni più vicine a quella italiana chiedendo una semplificazione che tenga comunque conto del legame tra le tipologie di vite ed i territori di produzione,

impegna il Governo:

a mettere in campo ogni iniziativa necessaria in ambito comunitario affinché, nei processi in atto di revisione delle norme comunitarie che disciplinano l'etichettatura dei vini promossa dall'Unione europea, vengano confermati e rafforzati i principi sanciti dal paragrafo 4 dell'articolo 62 del regolamento (Ce) n. 607/2009 e venga conseguentemente esclusa ogni modifica della parte B dell'allegato XV, indicato in premessa, che possa consentire di inserire nell'etichettatura dei vini, compresi quelli senza indicazione geografica prodotti in uno qualsiasi degli Stati membri dell'Unione europea, quei nomi di varietà di vitigno che oggi sono riservati esclusivamente a specifiche denominazioni d'origine protette o indicazioni geografiche protette.
(7-00862) «Fiorio, Romanini, Carra, Sani, Zanin, Venittelli, Mongiello, Capozzolo, Taricco, Lavagno, Oliverio, Falcone, Cenni, Terrosi, Prina, Antezza».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    l'Italia è oggi il primo produttore mondiale di vino con un quantitativo di produzione stimato a 48,9 milioni di ettolitri annui;
    il settore vitivinicolo, ed in particolare quello a denominazione di origine protetta, rappresenta un comparto fondamentale per l'intero sistema economico, produttivo ed occupazionale del nostro paese per numero di addetti della filiera (circa 1 milione e 250 mila), volume di fatturati (circa 9,4 miliardi di euro annui) ed esportazioni (circa 5,1 miliardi di euro all'anno);
    il settore vitivinicolo è quindi un volano irrinunciabile per la promozione del « Made in Italy» nel mondo;
    gli ultimi dati ufficiali Istat (relativi all'anno solare 2013) indicano infatti che il 38,5 per cento della produzione italiana è stato di vini Doc e Docg (denominazione di origine controllata e denominazione di origine controllata e garantita), in crescita «dell'8,2 per cento sul 2012, mentre i vini Igp (indicazione geografica protetta) hanno rappresentato il 35 per cento della produzione, con un incremento del 25,8 per cento rispetto al 2012. Conseguentemente i vini senza denominazione, chiamati anche «vini comuni», rappresentano solo il 26,5 per cento del totale;
    il primato italiano si registra anche rispetto ai vini certificati Dop ed Igp (523 denominazioni pari al 33 per cento dell'intero paniere europeo), con una produzione complessiva che si attesta intorno ai 22 milioni di ettolitri e un fatturato stimato alla produzione per l'imbottigliato di 7,1 miliardi di euro (2,7 miliardi di euro per lo sfuso), di cui 4,3 destinati all’export, con oltre 200.000 operatori coinvolti;
    nell'Unione europea la produzione e la classificazione dei vini sono disciplinate da appositi regolamenti comunitari e dalle relative norme nazionali applicative. Nel corso degli ultimi anni la legislazione si è aggiornata con l'emanazione della nuova Ocm «Vino»: il riferimento principale è il regolamento (Ce) n. 479/2008 del Consiglio per quanto riguarda le denominazioni di origine protette e le indicazioni geografiche protette, le menzioni tradizionali, l'etichettatura e la presentazione di determinati prodotti vitivinicoli;
    successivamente con il regolamento (Ce) n. 607/2009, la Commissione europea ha disposto le «modalità di applicazione del regolamento (Ce) n. 479/2008;
    nel dettaglio il paragrafo 4 dell'articolo 62 del regolamento (Ce) n. 607/2009 cita testualmente: «I nomi di varietà di uve da vino e i loro sinonimi elencati nell'allegato XV, parte B, del presente regolamento che contengono in parte una denominazione di origine protetta o un'indicazione geografica protetta e si riferiscono direttamente all'elemento geografico della denominazione di origine protetta o dell'indicazione geografica protetta, possono figurare esclusivamente sull'etichetta di un prodotto a denominazione di origine protetta o indicazione geografica protetta o a indicazione geografica di un paese terzo»;
    in sintesi, ad oggi, i nomi di varietà di uva da vino, ed i loro sinonimi, contenuti nell'allegato sopracitato non possono essere utilizzati nell'etichettatura dei vini senza indicazione geografica (ex vini da tavola, chiamati anche «vini varietali») ed il loro utilizzo è limitato alle condizioni d'uso espressamente previste negli allegati. In particolare, i nomi di varietà possono essere utilizzati solo su vini a Do e Ig, provenienti dai Paesi espressamente e tassativamente indicati negli allegati;
    recentemente è stato avviato, presso le competenti istituzioni dell'Unione europea, il processo di revisione delle norme comunitarie che disciplinano l'etichettatura dei vini, finora contenute nel regolamento (Ce) n. 607/2009. La Commissione europea ha inoltre precisato che tale revisione non riguarderà la parte A, ma potrebbe comunque coinvolgere la parte B del citato allegato XV;
    in preparazione di una proposta di regolamento in merito, la direzione generale agricoltura e sviluppo rurale della Commissione europea ha presentato alcune opzioni di riforma;
    la Commissione europea non ha infatti escluso di autorizzare l'uso nell'etichettatura di tutti i vini, compresi quelli senza indicazione geografica prodotti in uno qualsiasi degli Stati membri dell'Unione europea, di quei nomi di varietà che oggi sono riservati a specifiche denominazioni d'origine protette (Dop) o indicazioni geografiche protette (Dop) di precisi Stati membri;
    modificare la parte B del citato allegato XV potrebbe conseguentemente aprire forme di liberalizzazione sull'uso dei nomi elencati permettendone l'utilizzo nelle etichette di prodotti senza nessuna indicazione geografica;
    in Italia se la Commissione europea decidesse di procedere secondo le opzioni di modifica presentate sarà possibile per un qualsiasi vino comune europeo riportare in etichetta nomi di vitigni quale, tra gli altri, quello del «Lambrusco»;
    questa forma di liberalizzazione contrasta palesemente con i principi sanciti dal citato paragrafo 4 dell'articolo 62 del regolamento (Ce) n. 607/2009;
    le proposte di revisione delle norme comunitarie che disciplinano l'etichettatura dei vini stanno causando grande preoccupazione nell'intero settore vitivinicolo nazionale. È stato infatti evidenziato come l'appiattimento di vitigni che rappresentano un'autentica bandiera delle produzioni italiane a generici varietali che potranno un domani essere liberamente prodotti e commercializzati ovunque, significa distruggere l'immagine che le realtà locali hanno costruito in secoli di duro lavoro e fatica; è stato poi rimarcato come ciò comporterebbe una banalizzazione di alcuni dei principi su cui si regge la forza del settore vitivinicolo nazionale, con possibili ripercussioni negative sulla redditività dell'attività agricola in ampie aree rurali del Paese e che riportare il corretto nome del vitigno nelle etichette legato effettivamente alla zona di produzione rappresenta una scelta irrinunciabile per la tutela del made in Italy ed un fattore qualificante per i consumatori di tutto il mondo;
    il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, quale autorità pubblica preposta alla salvaguardia degli interessi socio-economici dell'intera filiera vitivinicola di qualità nazionale, si è opposto alla revisione dei principi espressi dal citato paragrafo 4 dell'articolo 62 del regolamento, fatta salva la possibilità di utilizzare i vitigni in questione nell'etichettatura di altri vini DOP o IGP europei o IG dei Paesi terzi già espressamente indicati nell'allegato XV;
    rispetto a tale problematica i Paesi europei sembrano schierati differentemente: la Spagna è infatti intervenuta sostenendo la necessità di una semplificazione che porti alla possibilità di utilizzare tutte le varietà di vite per le quali è ammessa la coltivazione nell'etichettatura dei vini (Dop, Igp e senza indicazione geografica). A tale richiesta si sono associate Danimarca, Regno Unito, Svezia, Bulgaria e Polonia (nazioni quindi non produttori di vino, con interessi più vicini a quelli del commercio che della produzione). Sul fronte opposto, in linea di principio, Francia, Austria, Germania, Ungheria, Romania ed Portogallo hanno manifestato posizioni più vicine a quella italiana chiedendo una semplificazione che tenga comunque conto del legame tra le tipologie di vite ed i territori di produzione,

impegna il Governo

a mettere in campo ogni iniziativa necessaria in ambito comunitario affinché, nei processi in atto di revisione delle norme comunitarie, che disciplinano l'etichettatura dei vini promossa dalla Unione europea, con particolare riferimento al Lambrusco, vengano confermati e rafforzati i principi sanciti dal paragrafo 4 dell'articolo 62 del regolamento (Ce) n. 607/2009 e venga conseguentemente vietata ogni modifica della parte B dell'allegato XV di cui in premessa, che possa consentire di inserire nell'etichettatura dei vini, compresi quelli senza indicazione geografica prodotti in uno qualsiasi degli Stati membri dell'Unione europea, quei nomi di varietà di vitigno che oggi sono riservati esclusivamente a specifiche denominazioni d'origine protette o indicazioni geografiche protette.
(7-00863) «Carra, Romanini, Baruffi, Benamati, Gandolfi, Ghizzoni, Incerti, Iori, Lacquaniti, Patrizia Maestri, Malpezzi, Marchi, Patriarca, Giuditta Pini, Richetti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   la prevenzione e il contrasto del terrorismo fondamentalista si realizzano non soltanto sul piano militare, ma anche sul piano culturale;
   il terrorismo fondamentalista si avvale della collaborazione di giovani immigrati di seconda generazione che, ancor più quando cresciuti nelle aree metropolitane periferiche, appaiono disorientati e alla ricerca di risposte a una loro diffusa domanda di senso della vita e al loro bisogno di appartenenza a comunità di riferimento;
   in molti Paesi europei sono falliti tanto i modelli di integrazione fondati sul multiculturalismo indifferente quanto quelli impostati sull'assimilazionismo ai principi dell'illuminismo;
   confortano le recenti prese di posizione del Presidente del Consiglio Renzi (riferite alle decisioni di taluni istituti scolastici, di sopprimere le festività del Natale per non «colpire le sensibilità» degli alunni di diversa religione), che ha dichiarato: ”L'integrazione non si favorisce con le provocazioni (...) Confronto e dialogo non vuol dire affogare le identità in un politicamente corretto indistinto e scipito (...) –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri non ritenga opportuno attivarsi al fine di aprire nell'ambito dell'Unione europea un processo di revisione dei suoi trattati fondamentali così come modificati a Lisbona il 13 dicembre 2007 ed entrati in vigore nel 2009, affinché siano inseriti espliciti riferimenti alla tradizione culturale giudaico-cristiana, che è comune a tutti i Paesi membri;
   se condivida l'esigenza di promuovere un piano nazionale per l'integrazione fondato sul binomio «identità-incontro», ovvero sulla necessità di rafforzare la diffusione dei contenuti identitari della nazione quale premessa dell'accoglienza di culture diverse.
(2-01195) «Lupi, Pagano, Binetti, Calabrò, Adornato, Alli, Bernardo, Dorina Bianchi, Bosco, Buttiglione, Causin, Cera, Cicchitto, D'Alia, De Mita, Garofalo, Marotta, Minardo, Misuraca, Piccone, Pizzolante, Sammarco, Scopelliti, Vignali».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PAOLO BERNINI, MANTERO, BARONI e COLONNESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 193 del 2006, modificato e integrato dal decreto legislativo 24 luglio 2007 n. 143 concernente il codice comunitario dei medicinali veterinari, in attuazione della direttiva 2004/28/CE stabilisce l'obbligo per il medico veterinario di prescrizione del farmaco veterinario per tutte le specie animali e qualsiasi patologia da curare;
   tale normativa obbliga quindi il medico veterinario alla prescrizione di farmaci veterinari che, a parità di principio attivo, sono molto più onerosi dei corrispondenti farmaci umani. L'attuale normativa in merito al citato obbligo non prevede distinzione tra animali produttori di alimenti e animali d'affezione;
   la medesima normativa, in considerazione del fatto che il mercato non offre una disponibilità di farmaci veterinari in grado di soddisfare ogni intervento terapeutico, prevede il così detto uso in deroga sotto la diretta responsabilità del medico veterinario che può, in via eccezionale e ove non esistano medicinali veterinari autorizzati per curare una determinata affezione, prescrivere un farmaco ad uso umano al fine di evitare all'animale un evidente stato di sofferenza;
   la FNOVI (Federazione nazionale degli ordini dei medici veterinari) nel recente speciale «I costi del farmaco veterinario» articolo della rivista ufficiale Fnovi ed Enpav considera che: «L'elevato prezzo del farmaco veterinario causa una difficoltà di accesso alla terapia, in particolare per le patologie croniche, fino a rendere difficile sostenere il rispetto dello status di essere senziente dell'animale e il rispetto del sentimento della nostra società per gli animali». Ed inoltre che «L'alto costo dei medicinali veterinari alla vendita al dettaglio è una condizione per cui il medico veterinario si trova in una situazione di difficoltà per poter coniugare l'agire nella legalità con la giusta terapia al paziente». Si rileva anche che «Oggi la filiera del prezzo del farmaco veterinario, lungo la quale avviene il rincaro, mette a dura prova la possibilità di accesso alle terapie e la volontà di rispetto di legalità del medico veterinario lasciato solo, a valle, a subire gli interessi di una filiera che tuttavia non risponderà, all'utente finale, in termini né di ragioni economiche né emotive delegando a lui di difendere le ragioni di tutti salvo le proprie, quelle del suo paziente e del suo cliente. È necessario individuare una soluzione che consenta un passaggio più diretto che aumenti l'utilizzo del farmaco veterinario anche allo scopo di diminuire il costo di produzione. Il medico veterinario deve poter accedere ad una cessione del farmaco regolamentata in modo da consentire realmente un accesso alle terapie nel rispetto della legalità dell'utilizzo prioritario del farmaco veterinario specifico;
   in Italia quattro italiani su 10 vivono con un animale: il 39,4 per cento, degli italiani ha almeno un animale in casa. In particolare, 27,5 per cento ha accolto in casa propria un animale e l'11,9 per cento più di uno. Tra questi, il cane è presente nel 53,7 per cento, segue nella lista degli animali preferiti come compagnia domestica il gatto al 45,8 per cento. L'82,8 per cento dei veterinari riscontra spesso una cura adeguata degli animali, il 2,2 per cento sempre, mentre un 14,8 per cento si dimostra più critico rispondendo raramente»;
   la crisi colpisce pesantemente anche i piccoli amici: la larga maggioranza del campione riferisce che i proprietari di animali hanno ridotto le spese veterinarie, per il 52,1 per cento abbastanza, per il 34,7 per cento (oltre un terzo) addirittura molto. Solo il 12,9 per cento parla di una lieve riduzione. Tra le diverse voci relative alle spese veterinarie quelle su cui, secondo i veterinari, sono stati fatti più tagli sono le cure e gli interventi chirurgici costosi (49,3 per cento) e i controlli medici periodici (48 per cento); solo il 2,7 per cento parla dei medicinali. (dati Eurispes 2014);
   proprietari di animali e le associazioni di tutela sono già costretti ad affrontare costi per prodotti per gli animali e per le prestazioni veterinarie gravati dall'iva al 22 per cento. Non può essere considerato un lusso prendersi cura degli animali negando ad essi questo vero e proprio diritto, senza dimenticare che è un dovere umano, pena il reato di maltrattamento –:
   se il Governo non ritenga opportuno, in considerazione della attuale revisione della normativa dell'Unione europea in tale ambito, assumere iniziative per considerare la terapia farmacologica destinata agli animali d'affezione (come definiti dalla convenzione per la protezione degli animali da compagnia del CoE di Strasburgo e dall'accordo 6 febbraio 2003 tra il Ministero della salute, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano in materia di «benessere degli animali da compagnia e pet therapy» recepito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 febbraio 2003) e agli equidi non destinati alla produzione di alimenti, distinta da quella destinata alle altre specie animali;
   se il Governo intenda considerare la possibilità di assumere iniziative per l'utilizzo del farmaco generico utilizzato nella medicina umana, garantendo pari tutela della salute a condizioni economiche più vantaggiose sia per lo Stato sia per le famiglie;
   il Ministro della salute, tenuto conto della competenza specifica dei singoli Paesi membri in merito a tale aspetto, intenda assumere iniziative per rendere più agevole la cessione del farmaco da parte dei medici veterinari in modo da consentire, risolvendo il conflitto tra l'acquisto con iva al 10 per cento e la cessione con iva al 22 per cento sia l'abbattimento dei costi che la corretta terapia, evitando un uso improprio del farmaco inutilizzato nonché il suo smaltimento scorretto, particolarmente pericoloso quando trattasi di antimicrobici;
   se il Governo, per le suddette finalità, intenda assumere iniziative per consentire ai medici veterinari di acquistare il farmaco veterinario per la propria scorta, oltre che presso i grossisti, anche presso i produttori come avviene per la medicina umana mantenendo un sistema di tracciabilità;
   se il Governo, in considerazione del fatto che le prestazioni medico veterinarie sono gravate dell'iva al 22 per cento come se si trattasse di un lusso non ritenga di dover promuovere iniziative atte a prevedere per esse almeno l'iva al 10 per cento tenuto conto del riconosciuto ruolo sociale degli animali d'affezione e dell'importanza della salute animale nella tutela della salute pubblica. (5-07163)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in Italia, il contributo delle rinnovabili, arrivato al 40 per cento circa dei consumi elettrici, ha garantito in questi anni la riduzione delle importazioni di fonti fossili, del prezzo dell'energia elettrica, delle emissioni di gas serra;
   i vantaggi legati alle energie rinnovabili sono principalmente:
    la riduzione della produzione da termoelettrico, ossia quella degli impianti più inquinanti e dannosi per il clima oltre che dipendenti da importazioni, che in un quadro di consumi in calo vede ogni anno diminuire il proprio spazio proprio per il contributo crescente delle rinnovabili. In 10 anni, la riduzione è stata di 86 TWh, ossia il 28,3 per cento;
    la diminuzione delle importazioni dall'estero di fonti fossili (petrolio, gas, carbone) usate nelle centrali elettriche e quindi di consumi di questo tipo e di emissioni di CO2. La fattura energetica italiana (ossia il costo di acquisto delle materie prime) nel 2014 è stata pari a 45 miliardi di euro contro i 64,8 miliardi del 2012;
    la riduzione del costo dell'energia nel mercato elettrico grazie alla produzione di solare ed eolico che permette di tagliare fuori l'offerta delle centrali più costose (in particolare all'ora di picco della domanda). Uno studio realizzato da Assorinnovabili sottolinea che, grazie all'effetto di eolico e fotovoltaico sulla borsa elettrica – e, dunque, sulla formazione del PUN (il prezzo dell'energia elettrica acquistata in borsa) – in 3 anni, in Italia, si sono risparmiati 7,3 miliardi di euro. Questo è dovuto al fatto che più offerta da eolico e fotovoltaico è presente sul mercato più si abbassano i prezzi zonali e, di conseguenza, il prezzo unico nazionale dell'energia;
    l'aumento dell'occupazione nel settore energetico. Tutte le analisi dimostrano che l'occupazione nelle rinnovabili è fortemente cresciuta: oggi sono circa 100 mila gli occupati nelle diverse filiere tra diretti e indiretti. Diversi studi hanno evidenziato come una prospettiva duratura di innovazione energetica potrebbe portare gli occupati nelle rinnovabili a 200 mila unità e quelli nel comparto dell'efficienza e riqualificazione in edilizia a oltre 600 mila;
   con lo «stop» agli incentivi le installazioni sono crollate del 92 per cento. Se si guardano le installazioni di solare fotovoltaico e eolico, si passa da un dato di 10.663 Megawatt nel 2011 a 733 nel 2014;
   nel dossier di Legambiente dal titolo «Stop alle rinnovabili in Italia» si afferma che:
    «negli ultimi anni con impressionante sistematicità, i Governi Monti, Letta e Renzi sono intervenuti per ridurre drasticamente le possibilità di investimento nelle fonti rinnovabili. Per il solare fotovoltaico sono stati cancellati nel 2013 gli incentivi in conto energia, il sistema di incentivi per il solare fotovoltaico (che in Germania invece sono ancora in vigore) togliendoli perfino per le famiglie e per la sostituzione dei tetti in amianto. Per le altre fonti rinnovabili i tagli sono cominciati nel 2012 e si può sostenere, con difficoltà di smentita, che da allora non vi sia stato un solo provvedimento da parte dei Governi italiani che ne abbia aiutato lo sviluppo»;
   dall'insediamento del Governo Renzi si è assistito, ad avviso dell'interrogante, ad un accanimento ancora più accentuato dei suoi predecessori nei confronti delle energie pulite. A titolo esemplificativo l'interrogante segnala che:
    il decreto «spalma incentivi» è intervenuto in maniera retroattiva sugli incentivi; sono state introdotte nuove tasse per l'autoproduzione da fonti rinnovabili e regole penalizzanti per gli oneri di dispacciamento, giustificate con la non programmabilità delle energie pulite;
    per le biomasse bruciate nei vecchi zuccherifici sono previsti generosi incentivi con tariffe garantite per 20 anni e una spesa complessiva di 1,2 miliardi di euro da pagare in bolletta per impianti che nulla hanno di sostenibile. Proprio nel momento in cui diventa evidente che il futuro delle rinnovabili è nella generazione distribuita, il decreto penalizza proprio gli impianti di piccola taglia a vantaggio dei mega impianti a biomasse;
    la riforma delle tariffe elettriche proposta dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico prevede una forte penalizzazione delle rinnovabili a danno di larga parte delle famiglie. La proposta prevede l'eliminazione della progressività della tassazione, che oggi favorisce i consumi bassi. Apparentemente sembra una soluzione affascinante perché dovrebbe spingere il vettore elettrico, e quindi investimenti nella mobilità e negli usi civili, peccato che dai calcoli della stessa Authority per una famiglia media gli aumenti varierebbero tra il 5 e il 30 per cento. È vero, qualche grande consumatore avrà dei vantaggi, ma la stragrande maggioranza delle famiglie avrà costi più alti;
   l'Italia dovrà presentare un piano per ridurre le emissioni di CO2 del 40 per cento al 2030, ma all'interrogante non risulta che il Governo abbia intenzione di cancellare gli oltre 13 miliardi di euro di sussidi alle fonti fossili, come stimato dal Fondo monetario internazionale per il 2015 –:
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative per eliminare tutti i sussidi diretti e indiretti per le fonti fossili che secondo il Fondo monetario internazionale valgono oltre 13 miliardi di euro e orientarsi verso l'introduzione di una più trasparente quanto lungimirante tassazione sulla base delle emissioni di CO2 che permetta di spingere innovazione e concorrenza nell'offerta elettrica;
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative per ridurre la tassazione per lo scambio di energia con la rete per impianti da fonti rinnovabili aprendo, altresì, alla produzione e alla vendita di energia rinnovabile da parte di cooperative e imprese ad utenze poste nello stesso ambito comunale. (4-11358)


   GELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 agosto 2015 la città di Pisa è stata colpita da una violentissima ed improvvisa ondata di maltempo;
   in poche ore, nella mattinata, sono caduti oltre 150 millimetri di pioggia mandando in tilt l'intero sistema infrastrutturale, allagando abitazioni, negozi ed esercizi economici in interi quartieri;
   disagi si sono registrati alla circolazione ferroviaria e nella erogazione dell'energia elettrica;
   la regione Toscana ha già provveduto a dichiarare lo stato di emergenza e sono state avviate le procedure di valutazione dei danni arrecati dall'evento calamitoso –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare con la massima urgenza per procedere anch'esso alla dichiarazione dello stato di emergenza e una volta effettuate tutte le procedure al riconoscimento dello stato di calamità naturale al fine di sostenere la ripresa delle attività e per la messa in sicurezza del territorio. (4-11372)


   LOMBARDI, BARONI, RUOCCO, FERRARESI, SARTI e D'UVA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con riferimento alle indagini su. «Mafia Capitale», risulta che Massimo Carminati e i suoi complici nel 2012, dopo essersi aggiudicati una commessa per gestire la raccolta differenziata – secondo quanto si legge in una informativa del Ros dei carabinieri – avrebbero tentato di aggiudicarsi un maxi appalto dell'Ama per controllare il trasferimento dell'immondizia che dal porto di Civitavecchia doveva finire oltrefrontiera;
   dal rapporto dei Ros e da innumerevoli notizie di stampa (ad esempio Il Tempo, il Messaggero) risulta che nel dicembre di due anni fa, quando la municipalizzata AMA emetteva un bando per l'appalto relativo al trasporto della spazzatura dai centri di raccolta di Roma fino al porto di Civitavecchia, per poi stiparla su imbarcazioni dirette all'estero, il succitato Carminati e tale Buzzi, definito il ras delle cooperative con entrature in tutti i partiti, abbiano sfruttato tutte le conoscenze e gli appoggi in Campidoglio per tenere sotto controllo la gara;
   le intercettazioni raccontano il tentativo del presunto «cupolone» di Buzzi e Carminati di entrare anche nel business della raccolta dei rifiuti. Il Buzzi, parlando al telefono con Quintilio Napoleoni, direttore tecnico del Consorzio raccolta differenziata Roma, spiega chiaramente che non intende farsi carico dell'intero servizio, ma vuole solo «la parte relativa da prendere la monnezza da dove bisogna prenderla e portarla sulle navi». Ossia curare il trasporto dai depositi dei rifiuti al porto di Civitavecchia, dove la «monnezza capitale» si sarebbe poi imbarcata;
   a Quintilio Napoleoni è peraltro dedicata una cospicua parte, della relazione della commissione di indagine nominata dal prefetto di Roma ex articolo 143, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267; dalla relazione emerge la presenza di Napoleoni in una serie di società riconducibili a Salvatore Buzzi e viene messa altresì in luce la relazione esistente tra Salvatore Napoleoni e Quintilio Napoleoni;
   il 12 dicembre 2012, intercettato, Buzzi al telefono con Quintilio Napoleoni, chiede la segnalazione di «qualche operatore interessato a partecipare alla «gara dell'Ama per il trasporto all'estero». Buzzi dice di «aver già creato un'associazione temporanea d'imprese con degli spagnoli che hanno le navi... mi serve qualcuno sui trasporti... prendere la monnezza da dove sta e portarla sulle navi»;
   per partecipare «in quota» al servizio, Buzzi spiega a Napoleoni di avere già un partner: «Io già sarei in Ati» con degli spagnoli che hanno navi e (c...) vari, a me servirebbe qualcuno sui trasporti... gomma»;
   risulta dall'intercettazione che Quintilio Napoleoni abbia dispensato consigli e abbia fatto il nome di un imprenditore di Bolzano che lavora anche in Germania: «Ho un amico carissimo specializzato in trasporti internazionali... Mi ha già detto: «So di questa cosa di Ama e sto all'erta perché mi interessa molto ... Bisogna capire se vuole correre da solo oppure no». Sempre Napoleoni, poi, promette di mettere una buona parola per Buzzi: «Gli dico: “Guarda che su Roma devi averci qualcuno che ti porta avanti la causa... ti ci metto in contatto”»,
   in effetti tra le ditte invitate da Ama a presentare un'offerta, a dicembre 2012, ce n'era anche una spagnola, che però almeno al primo bando, quello a inviti, non rispose all'appello;
   Linda Sandulli è il presidente della sezione prima-ter del Tar del Lazio chiamata a giudicare sulla regolarità di tali appalti. È entrata nella magistratura amministrativa il 5 dicembre 1985. Tre anni dopo il marito, Salvatore Napoleoni, viene nominato amministratore unico della Proeti srl, società costituita nell'ottobre del 198] e attiva nella manutenzione, ristrutturazione e restaurazione edile. Salvatore Napoleoni ricopre ancora oggi tale incarico, al quale si aggiunge quello di direttore e responsabile tecnico. Detiene inoltre la quota di maggioranza della Proeti: 46,67 per cento, al quale si aggiunge un 33,33 per cento intestato proprio alla moglie, il giudice Linda Sandulli. La società ha accumulato un debito di 48.600 euro verso gli istituti previdenziali e di 138 mila verso l'Erario. Fattura ogni anno 488.000 euro, di cui 239 mila (ossia il 50 per cento del totale), grazie ai lavori affidati dalla prefettura di Roma. Dati che emergono dai bilanci e dalle visore camerali;
   un esempio per tutti è quello relativo al centro di accoglienza per rifugiati di Castelnuovo di Porto. A gennaio 2012 la Proeti srl dei coniugi Napoleoni-Sandulli si aggiudica, con procedura negoziata, un appalto per la manutenzione straordinaria degli alloggi all'interno del Cara per un importo complessivo di 239.456 euro. Nel corso dello stesso anno, la sezione prima-ter del Tar Lazio è chiamata a pronunciarsi per più di una volta sull'appalto relativo alla gestione del centro. Il 6 ottobre 2011 il raggruppamento di imprese capeggiato da Gepsa spa (società francese che rientra nel gruppo Gdf Suez) vince la gara. La seconda classificata, la cooperativa Domus Caritatis, fa ricorso al Tar e il collegio presieduto da Linda Sandulli rigetta l'opposizione. Il 14 dicembre 2012 il Consiglio di Stato annulla l'aggiudicazione in favore dai francesi di Gepsa e condanna il Ministero dell'interno a risarcire il danno a Domus Caritatis per 16.235 euro al mese, circa 200 mila euro annui. A febbraio 2013 la prefettura è costretta a indire una nuova gara a procedura ristretta, invitando tutti gli operatori che avevano partecipato alla precedente, ad eccezione di Gepsa, che fa ricorso al Tar. La sezione prima-ter dà ragione alla società francese, a cui resta ancora oggi la gestione del centro per rifugiati;
   in nessuno di questi procedimenti il giudice Sandulli si è astenuta. È vero che la società di famiglia, la Proeti srl, non ha interesse nelle cause, e quindi non rientra nei casi previsti dall'articolo 51 del codice di procedura civile sull'obbligo di astensione del giudice. Ma è pur vero che sembrano sussistere ragioni di opportunità e convenienza, trattandosi dello stesso appaltatore, la prefettura, e della stessa struttura oggetto dell'appalto, il Cara di Castelnuovo di Porto;
   pertanto il presidente del TAR del Lazio Linda Sandulli: «detiene insieme al marito l'80 delle quote sociali di una ditta edile che prende appalti dalla Prefettura di Roma e contemporaneamente presiede proprio la sezione del Tribunale amministrativo regionale chiamata a giudicare sulla regolarità di tali appalti»;
   per quanto riferisce il quotidiano Il Tempo, della citata ditta Proeti srl il marito del giudice Sandulli è amministratore delegato, direttore e responsabile tecnico nonché socio di maggioranza;
   risulta pertanto secondo gli interroganti evidente il conflitto d'interessi del giudice Sandulli, nella doppia funzione di controllore e controllato e, a giudizio degli interroganti, le circostanze e le condotte riportate dalla stampa appaiono, ove rispondenti al vero, particolarmente allarmanti perché evocano una pericolosa commistione di ruoli e fanno paventare il rischio dell'alterazione della necessaria terzietà ed indipendenza del giudice –:
   se ci sia e di quale grado sia il rapporto di parentela fra il sopra citato Quintilio Napoleoni direttore tecnico del Consorzio raccolta differenziata Roma e i coniugi Salvatore Napoleoni amministratore unico direttore e responsabile tecnico della Proeti srl, e Linda Sandulli, presidente della sezione prima-ter del Tar del Lazio;
   se il Governo alla luce dell'alta sorveglianza esercitata sulla magistratura amministrativa, intenda approfondire, per gli aspetti di propria competenza, anche con doverosi riscontri ed ispezioni, quanto riferito dalla stampa in ordine alla proprietà della Proeti srl, alle attività e ai rapporti in essere della detta società con la prefettura di Roma in relazione all'attività della sezione del Tar del Lazio presieduta da giudice Sandulli adottando, ove del caso, le iniziative di competenza. (4-11378)


   FRUSONE, MANLIO DI STEFANO, BASILIO, DI BATTISTA, CORDA, SPADONI, RIZZO, SCAGLIUSI, TOFALO, GRANDE, PAOLO BERNINI, DEL GROSSO e SIBILIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro della difesa, senatrice Roberta Pinotti, in un'intervista rilasciata a Repubblica Tv del 1o dicembre 2015, ripresa poi da diverse agenzie di stampa, in merito alla vendita all'Arabia Saudita di bombe prodotte in Italia ha affermato «(...)ricordo che quelle bombe non sono italiane», sono di altri con fabbriche in Italia... e che tali ordigni sarebbero solo «transitati» dal nostro Paese;
   inoltre, il Ministro, in merito all'impiego di quelle bombe nella guerra che sta insanguinando lo Yemen, ha anche affermato che «lì c’è una coalizione della Lega Araba autorizzati dall'Onu,(...) non do un giudizio etico(...) ma dico che questo è stato fatto secondo le regole. (...) Non è però decisione dell'Italia, che ha solo autorizzato il transito (...) ed informato il Parlamento»;
   contrariamente a quanto affermato dal Ministro nella citata intervista, la società RWM Italia spa con sede a Ghedi (BS) e stabilimento in Domusnovas (CA) (ex SEI, Sarda Esplosivi Industriali) è di proprietà dell'azienda tedesca Rheinmetall, ma è una società italiana a tutti gli effetti (secondo quanto risulta da visure del registro delle imprese) e produce bombe, proiettili, spolette e mine; come si evince dalla relazione al Parlamento (Doc. LXVII n.2), presentata in base alla legge 185 del 1990 e riferita al 2013, tale società era tra le prime dieci società italiane esportatrici di armamenti con un volume di affari all'esportazione di 72.141.148 di euro pari al 3,36 per cento del totale italiano;
   nel 2013 risultano quattro autorizzazioni all'esportazione verso Paesi non identificati:
    a) 3650 bombe mk. 83 da 1000 libbre per un valore totale di 62.240.750 euro;
    b) 300 bombe mk. 83 inerti per euro 20.000;
    c) 568 bombe da 500 Ib per Paveway IV attive per 3.033.120 euro;
    d) 400 bombe da 500 Ib per Paveway IV vuote per 2.720.006 euro;
   si tratterebbe, dalle informazioni trapelate sulla stampa, dello stesso tipo di bombe che sarebbero partite nelle scorse settimane verso l'Arabia Saudita per cui è ragionevole ritenere che queste autorizzazioni si riferiscano proprio a queste armi. Il fatto che siano Paesi non identificati dimostra, ad avviso degli interroganti, che il Parlamento non è stato informato che quelle armi erano destinate all'Arabia Saudita;
   il Ministro, sempre nell'intervista a Repubblica TV, afferma tra l'altro: «Chi decide se si può vendere o meno ? Ci sono indicazioni dell'Onu oppure dell'Unione europea,» per quanto riguarda l'Arabia Saudita per la vendita di bombe;
   in merito alle indicazioni dell'Onu e dell'Unione europea si fa notare:
    a) dall'inizio del conflitto, l'Unione europea e gli Stati membri hanno stanziato aiuti umanitari per lo Yemen per oltre 200 milioni di euro e appare insensato che, mentre si mandano aiuti umanitari, contestualmente si autorizzi l'invio di bombe e altro armamento destinato ad aumentare le sofferenze di quel popolo;
    b) il 16 novembre 2015 inoltre, il Consiglio europeo ha adottato alcune conclusioni, ribadendo anche quanto già affermato il 20 aprile 2015. In particolare, l'Unione europea è estremamente preoccupata per l'impatto delle ostilità in corso, gli attacchi indiscriminati contro le infrastrutture civili, le strutture sanitarie, le scuole e gli impianti idrici, i porti e gli aeroporti, nonché per l'uso di edifici civili a scopi militari, il presunto uso di munizioni a grappolo, le lotte sul terreno tra fazioni rivali e l'interruzione di servizi essenziali sulla popolazione civile, in particolare i bambini, le donne e altri gruppi vulnerabili;
    c) nel settembre 2013 l'Italia ha ratificato il Trattato sul commercio delle armi (legge n. 118 del 2013), entrato in vigore a dicembre 2014;
    d) in particolare, l'articolo 6, comma 3, del Trattato prevede il divieto di autorizzare il trasferimento di armi convenzionali nel caso in cui, in fase di valutazione della richiesta, vi sia conoscenza che i materiali potrebbero essere utilizzati per commettere crimini contro l'umanità, violazioni delle convenzioni di Ginevra del 1949, attacchi diretti a obiettivi o soggetti civili;
    e) l'articolo 7, d'altronde, stabilisce che le autorità nazionali competenti per l'autorizzazione alle esportazioni devono tenere in considerazione il potenziale impatto di ogni trasferimento di armamenti, quali il rischio che lo stesso contribuisca a mettere in pericolo la pace e la sicurezza o che le armi possano essere usate per commettere o facilitare gravi violazioni del diritto internazionale umanitario o dei diritti umani;
    f) l'articolo 1, comma 1, della legge 9 luglio 1990, n. 185, prevede che «l'esportazione, l'importazione e il transito di materiale di armamento, nonché la cessione delle relative licenze di produzione devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell'Italia. Tali operazioni vengono regolamentate dallo Stato secondo i principi della Costituzione repubblicana, che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali»;
   nella risposta del Ministro degli esteri e della cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni data in Aula il 26 novembre 2015 al question time n. 3-01874 (primo firmatario Manlio Di Stefano) non si fa accenno ad alcuna autorizzazione dell'Onu in merito ai bombardamenti dello Yemen alla coalizione a guida saudita;
   la sola risoluzione n. 2216 (2015) del Consiglio di sicurezza sullo Yemen, peraltro votata in aprile, sebbene richiami genericamente il capitolo VII della Carte delle Nazioni Unite, non autorizza affatto la coalizione sunnita a bombardare lo Yemen ma ribadisce la necessità di una soluzione negoziale della crisi. L'ultimo recente atto ufficiale delle Nazioni Unite riscontrabile (ottobre 2015) è quello dell'incaricato speciale per lo Yemen Ismail Ould Cheikh Ahmed che parla giustamente delle atrocità del conflitto in corso, di 21 milioni di persone prive di accesso all'acqua e della necessità di arrivare al più presto a un immediato cessate il fuoco pena una catastrofe umanitaria;
   di questa drammatica situazione il Governo italiano non può non essere a conoscenza non solo per gli atti espressi in sede internazionale – di segno diametralmente opposti da quelli dichiarati dal Ministro Pinotti – ma anche per la forte polemica con il Governo stesso aperta dal settimanale Famiglia Cristiana proprio sulla vendita di armi all'Arabia Saudita –:
   se il Governo sia in possesso di dati diversi da quello della visura camerale secondo i quali – come affermato dal Ministro Pinotti – la società RWM Italia spa con sede a Ghedi (BS) non è una azienda italiana;
   a quale «autorizzazione dell'Onu» alla coalizione a guida saudita contro lo Yemen e a quali indicazioni dell'Unione europea faccia riferimento la Ministra della difesa, diverse e in contrasto da quelle riportate in premessa dagli interroganti;
   quando e come il Parlamento sarebbe stato informato della vendita di armi all'Arabia Saudita da quando la stessa ha cominciato a bombardare lo Yemen;
   se, nel caso le dichiarazioni pubbliche della Ministra della difesa non avessero, come temono gli interroganti, alcun riscontro con la realtà, la Ministra non ritenga di rassegnare le dimissioni dall'incarico, posto che, ad avviso degli interroganti, è stata lesa la credibilità del Governo stesso. (4-11382)


   FRUSONE, COZZOLINO, BONAFEDE e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 aprile 2011, al fine di affrontare l'eccezionale afflusso di cittadini provenienti dai Paesi nord-africani, la Presidenza del Consiglio dei ministri, con ordinanza n. 3933, nomina il capo dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri quale commissario delegato per la realizzazione di tutti gli interventi necessari a fronteggiare la predetta emergenza;
   la predetta ordinanza stabilisce che il commissario delegato predispone, in accordo con le regioni e i rappresentanti di Anci e Upi, il piano per la distribuzione sul territorio nazionale, la prima accoglienza e la sistemazione dei cittadini extracomunitari provenienti dal Nord Africa. Inoltre, l'ordinanza stabilisce che il commissario si avvale dei soggetti attuatori, designati per ciascuna regione dal rispettivo presidente;
   il 19 aprile 2011, con deliberazione della giunta regionale del Lazio n. 32, avente per oggetto il piano di accoglienza dei migranti provenienti dal Nord Africa, l'unione dei comuni denominata «Antica terra di lavoro» prende atto «della necessità, nel preminente interesse pubblico, di proseguire nella promozione della solidarietà sociale e della tutela dei diritti civili ed umanitari anche attraverso l'aiuto delle categorie più deboli (...) tra cui i richiedenti asilo...». Non potendo però sostenere l'arrivo dei cittadini stranieri, per mancanza di risorse sia economiche che umane, l'unione dei comuni predispone una bozza di convenzione con la cooperativa «Noi – Nuovi orizzonti imprenditoriali», con sede a Frosinone;
   l'unione dei comuni «Antica terra di lavoro» è un ente locale che nasce con atto costitutivo in data 10 giugno 2002, stipulato tra i comuni di S. Giovanni Incarico, Rocca d'Arce e Falvaterra. L'attuale presidente è l'avvocato Antonio Salvati, sindaco di S. Giovanni Incarico, che ha assunto tale carica dal 23 luglio 2002;
   il 28 giugno 2011 viene sottoscritta, con atto prot. 341 reg. cron. 014, la convenzione di collaborazione per l'attuazione di un sistema di servizi per la prima accoglienza e sistemazione per i cittadini provenienti dal Nord Africa. Tra i soggetti attuatori vi è il sindaco di San Giovanni Incarico (FR) Antonio Salvati, nella sua qualità di rappresentante dell'unione dei comuni sopra richiamata. La convenzione riguarda la disponibilità da parte dell'unione dei comuni di accogliere 100 immigrati sul territorio della provincia di Frosinone. La convenzione viene stipulata fino al 31 dicembre 2011 e dovrà rispettare tutte le regole descritte quali servizi di tutela, d'integrazione, di accoglienza con l'ausilio laddove necessario, di mediatori con specifiche competenze linguistiche;
   nella convenzione viene stabilita anche la cifra giornaliera per ogni singolo extracomunitario, erogata dal soggetto attuatore dell'ente gestore, di 40,00 euro (iva compresa), rapportata alle effettive presenze;
   successivamente, viene stipulata una nuova convenzione, in data 20 luglio 2011, con atto prot. reg. cron. 020, tra il soggetto attuatore e l'unione dei comuni, per l'accoglienza di altri 100 immigrati che ricalca la precedente, con l'unica differenza dell'incremento della cifra giornaliera per ogni singola persona che passa da 40,00 euro a 42,50 euro;
   da quanto emergerà dalle indagini della DIGOS di Frosinone, gli immigrati verranno in realtà gestiti dalla cooperativa «Nuovi orizzonti imprenditoriali» e non direttamente dall'unione dei comuni, in base ad una convenzione già citata;
   l'unione dei comuni, quindi fungerà di fatto, a quanto risulta agli interroganti, da stazione appaltante, in grado di accaparrarsi un vero e proprio business da circa 3 milioni di euro l'anno, sul quale nessun controllo sarà esercitato;
   sono circa 255.000 euro i fondi che il dipartimento della protezione civile, per il tramite del soggetto attuatore, eroga all'unione dei comuni, che secondo le indagini effettuate, risulta agli interroganti non avere nel modo più assoluto strutture adeguate in grado di gestire tale emergenza, tanto da aver dovuto stipulare un'ulteriore convenzione con la cooperativa NOI, a sua volta, a quanto consta agli interroganti, priva di qualsiasi risorsa in grado di far fronte ad un simile afflusso di extracomunitari imposto dalla convenzione;
   un altro elemento di criticità rispetto a quanto stabilito dal soggetto attuatore è stato l'erogazione del pocket money. Infatti, nonostante fosse stato più volte ribadito che questi dovevano essere erogati attraverso buoni spendibili in esercizi commerciali, evitando assolutamente di monetizzarli, l'unione dei comuni avrebbe ignorato, a quanto consta agli interroganti, tale disposizione, monetizzando i predetti pocket money e per giunta alterando anche le cifre indicate dalla convenzione;
   inoltre, attraverso la circolare diramata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri DIP/0002703 indirizzata ai soggetti attuatori, viene stabilito che il valore del «pocket money» dovrà essere di 2,5 euro giornalieri fino ad un massimo di 7,5 euro giornalieri a nucleo familiare. Tale importo dovrà essere erogato attraverso buoni emessi dalla struttura incaricata dell'accoglienza;
   in data 24 giugno 2013, la questura di Frosinone scrive un verbale indirizzato alla procura della Repubblica, riportando le indagini effettuate in un periodo di tre mesi volte a chiarire i rapporti intercorrenti tra l'unione dei comuni, unico ente riconosciuto dal soggetto attuatore, e la Cooperativa Noi; nella stessa la questura dichiara che ha provveduto ad effettuare dei controlli per accertare la corrispondenza di quanto certificato attraverso ricevute e riscontri documentali sulle spese effettivamente sostenute rispetto alle somme realmente erogate all'unione dei comuni da parte del predetto soggetto attuatore;
   secondo quanto riportato dal soggetto attuatore, Francesco Mele, subentrato a Ferrara nel 2011, per quanto riguarda l'importo di euro 42,50 pro die pro capite, era stato stabilito a livello nazionale dal commissario delegato per l'emergenza del Nord Africa, dottor Gabrielli, ed era suddiviso in 40 euro per le prestazioni di accoglienza ed il restante di euro 2,50 per i pocket money giornalieri. Nello specifico, per gli enti pubblici, come l'unione dei comuni «antica terra di lavoro», detti importi venivano erogati previa presentazione di rendicontazione approvata con delibera dell'ente gestore e presentazione delle schede di presenza effettive degli immigrati accolti, detta rendicontazione era presentata mensilmente al soggetto attuatore, il quale, successivamente, la sottoponeva a controllo di congruità da parte della struttura del Commissario delegato, dopo di che, se il controllo risultava positivo, il soggetto attuatore emetteva le disposizioni di pagamento;
   secondo le indagini effettuate dalla DIGOS di Frosinone, per il periodo analizzato che va da luglio a settembre 2011, in cui si è chiesto all'unione dei comuni di fornire tutta la documentazione relativa al periodo, l'unica documentazione ottenuta ed esistente si riferiva alle spese sostenute per il pagamento del pocket money, nonché alcune ricevute afferenti a spese sostenute dalla cooperativa «NOI»;
   il presidente dell'unione dei comuni Antonio Salvati, preso atto della esiguità della documentazione consegnata, dichiarava che la cooperativa NOI era l'unica depositaria della documentazione e delle ricevute relative alle spese sostenute nella gestione dei cittadini extracomunitari;
   la cooperativa NOI fornì la documentazione richiesta dalla quale sarebbe emersa una spesa sostenuta per il periodo luglio/settembre 2011 pari a 368.854,07 euro. Nel contempo si acquisivano tramite l'ufficio del soggetto attuatore, i mandati di pagamento in favore dell'unione dei comuni afferenti allo stesso trimestre con un importo pari a 768.994,50 euro;
   fu chiaro da subito secondo gli interroganti che, confrontando la somma richiesta e la somma dovuta, vi era una discrasia pari 400.140,43 euro. Fu oltremodo chiaro che l'irregolarità derivava dalla condotta illegale tenuta dal presidente dell'unione dei comuni ossia Antonio Salvati e dal responsabile della cooperativa «NOI», Arduino Fratarcangeli;
   in un secondo momento, il presidente Salvati fornisce ulteriore documentazione alla questura di Frosinone, riducendo la differenza tra quanto ottenuto dalla regione e quanto certificato quale spesa tra cooperativa e unione dei comuni, lasciando comunque di fatto un differenziale di 276.276,22 euro. Un importo comunque considerevole, se si tiene conto che lo stesso riguarda un solo trimestre;
   secondo un'indagine effettuata dalla Guardia di finanza di Ceprano (FR), riguardante la verifica dei corretti adempimenti e delle procedure poste in essere per i servizi di prima accoglienza e sistemazione dei cittadini provenienti dal Nord Africa, ovvero profughi ai quali è stato riconosciuto lo status di rifugiati politici, con verbale redatto in data 26 febbraio 2014, viene riportato che l'unione dei comuni, per l'espletamento dei servizi di accoglienza dei 200 profughi assegnati, si è avvalsa di due soggetti economici, affidando a questi la totalità dell'incombenze. Precisamente, per il periodo che va dal 7 giugno 2011 al 18 luglio 2012, alla cooperativa NOI (Nuovi Orizzonti Imprenditoriali), con sede in Frosinone e con rappresentante legale Arduino Fratarcangeli, mentre, per il periodo dal 19 luglio in avanti, alla LAVORO E SVILUPPO SOCIETÀ COOPERATIVA SOCIALE, con sede a Ceprano e con rappresentante legale Saverio Rea;
   secondo quanto rilevato dalla Guardia di finanza, le cooperative facevano alloggiare i profughi rifugiati presso l'Hotel Bracaglia a Frosinone. Da documentazione, la struttura forniva prestazioni di alloggiamento in pensione completa per un costo fatturato di ben 38,00 euro al giorno per ogni rifugiato ospitato. Ma tale struttura da indagine è risultata non idonea in quanto l'albergo può ospitare massimo 70 persone, contrariamente quindi a quanto rendicontato e fatturato;
   dalle indagini sarebbe emerso che le trattative circa la questione degli immigrati intercorsero esclusivamente tra l'unione dei comuni e lo stesso Hotel;
   nel periodo settembre 2011-luglio 2012 tutti i rifugiati sarebbero stati invece alloggiati presso i 32 appartamenti dislocati nei vari comuni della provincia di Frosinone, appartamenti questi gestiti dalla BOVIFEL srl, ad un costo di 10 euro per alloggio e di 6 euro di pocket money, formula molto più conveniente, contro i circa 40 euro per la pensione completa presso gli alberghi. Somma quest'ultima alquanto elevata perché a fronte dei 42,50 euro erogati dall'ente attuatore per ogni profugo, pagare ben 40 euro, anziché 10 euro non residuerebbero risorse a sufficienza per poter pagare ad esempio il vestiario, l'assistenza infermieristica, il pagamento del pocket money e tutto ciò che concerne l'ospitalità degli immigrati;
   da quanto dichiarato dal gestore della BOVIFEL, sembrerebbe che l'avvocato Salvati non avrebbe pagato le fatture relative alle prestazioni di accoglienza effettuate. Il pagamento doveva avvenire tramite la cooperativa NOI;
   inoltre secondo verbale della Guardia di finanza, Salvati inviava di notte i suoi dipendenti presso gli appartamenti ospitanti i profughi, al fine di cacciare fuori gli stessi per riportarli nelle strutture alberghiere, così a far data dal mese di settembre 2012, gli appartamenti vennero completamente svuotati da parte dell'Unione dei comuni;
   secondo quanto dichiarato da alcuni profughi, questi sarebbero stati spostati in diverse strutture della provincia di Frosinone, appartamenti e alberghi e che presso questi ultimi venivano ammucchiati in 10 persone in camere che sarebbero dovute essere da due;
   da quanto emerso sempre dall'indagine la società Linea Alberghiera di cui fa parte l'albergo Bracaglia, utilizzava la sovrafatturazione in modo che queste potessero giustificare i numerosi prelievi in contante effettuati dopo gli accrediti disposti dall'Unione dei Comuni. Solo per l'anno 2012 si tratterebbe di un importo pari a 75.620,00 euro;
   secondo il metodo concordato con il soggetto attuatore, l'unione dei comuni percepiva mensilmente una media circa di 260.000,00 euro mensili (42,50 euro per ogni rifugiato), a prescindere che la somma venisse spesa o meno, se non altro per una dichiarazione contenente e presenze giornaliere dei rifugiati;
   per la gestione dei circa 200 profughi, relativamente al periodo giugno 2011-dicembre 2012, si calcola che l'unione dei comuni ha percepito una somma pari a 4.600.000,00 euro, un vero e proprio «tesoretto», il tutto avvenuto ai danni dei rifugiati;
   il 22 dicembre 2014 la Guardia di finanza, a conclusione delle indagini, inviava documentazione prodotta alla procura della Repubblica presso il tribunale di Cassino, richiedendo l'adozione di specifiche misure cautelari per l'avvocato Salvati, ipotizzando il reato di peculato di cui all'articolo 314 del codice penale oltre che i reati previsti e puniti dagli articoli 416-ter e 640-bis del codice penale;
   l'avvocato Antonio Salvati, al fine di procurarsi vantaggi personali, consistenti nell'ottenimento di consensi elettorali, sembrerebbe aver utilizzato a proprio piacimento parte dei fondi pubblici elargiti per finalità diverse da quelle per i quali erano stati destinati. Il «Profitto di reato» risulterebbe essere pari a 42.689,33 euro complessivi;
   la Guardia di finanza chiedeva l'emissione dell'ordinanza della custodia cautelare in carcere, per Antonio Salvati;
   dall'informativa della DIGOS si comprende che i fatti in premessa possono essere portati avanti grazie alla «debolezza sostanziale delle procedure di controllo previste nella convenzione tra soggetti attuatori e cooperative». Infatti per ottenere i finanziamenti per le cooperative è sufficiente presentare una «dichiarazione» nella quale si autocertifica il rispetto totale di quanto stabilito in convenzione. Le ricevute che servirebbero come pezze di appoggio per giustificare i finanziamenti devono solamente essere custodite per 5 anni e esibite in caso di controllo, controlli rari e mai effettuati in provincia di Frosinone prima del caso in questione –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non si ritenga doveroso monitorare la situazione in relazione a tutti gli accordi intercorsi, a livello di ogni regione, sulla base dello strumento della convenzione che presenta una sostanziale debolezza e che virtualmente ha dato la possibilità su tutto il territorio nazionale di potenziali abusi come quello esposto in premessa;
   se alla luce delle rilevanti risorse statali impegnate, quali e quanti controlli, per quanto di competenza, siano stati effettuati negli anni sul sistema delle convenzioni di collaborazione, come quella di cui in premessa. (4-11383)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLLETTI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 agosto 2011, il Ministero degli affari esteri, di concerto con il Ministero dell'interno, adottava il documento avente ad oggetto la «maternità surrogata» e contrassegnato dal protocollo MAE02266642011-08-11, con cui impartiva precise indicazioni alle rappresentanze italiane all'estero sulla procedura da eseguire in ipotesi di maternità surrogata, ossia di casi in cui una coppia di cittadini italiani, affetta da sterilità o da altra patologia, e dunque impossibilitata ad avere un figlio naturalmente o secondo là tecnica della procreazione medicalmente assistita (PMA) di tipo omologo – la sola ammessa al tempo in Italia – si recavano all'estero per praticare la tecnica della maternità surrogata, ossia quella tecnica a cui si ricorre quando la donna non possa instaurare una gravidanza per patologie che impediscono l'attecchimento del feto nel proprio utero, per cui un'altra donna si surroga in tale compito;
   i casi disciplinati dal documento MAE02266642011-08-11 sono tutt'altro che sporadici al punto da portare gli osservatori a definire il fenomeno in termini di «migrazione procreativa», espressione coniata all'indomani dell'entrata in vigore della legge 19 febbraio 2004, n. 40 recante «Norme in materia di procreazione medicalmente assistita» con cui l'ordinamento italiano ha vietato l'uso di alcune tecniche (tra le quali, per l'appunto, la maternità surrogata) con la conseguenza che molte coppie che versano nell'impossibilità di avere un bambino decidono di recarsi presso quei Paesi (Ucraina, Romania, Russia, Stati Uniti, Canada, Grecia, Gran Bretagna, solo per citarne alcuni) dove la tecnica della maternità surrogata non è vietata, essendo, al contrario, pienamente legittima in quanto prevista e disciplinata dall'ordinamento nazionale;
   circa il divieto di maternità surrogata, la legge n. 40 presenta dei contenuti ambigui in quanto, per espressa ammissione dello stesso Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, «pur ponendo un divieto assoluto alla maternità surrogata, non detta alcuna disciplina per i casi in cui vi siano bambini ormai nati e voluti dalla coppia» attraverso questa tecnica (cfr. MAE02266642011-08-11, punto 1). Ciò ha comportato in capo alle rappresentanze consolari e diplomatiche di quei Paesi destinatari di «migrazione procreativa» dubbi interpretativi e, per l'effetto, difficoltà applicative sui comportamenti da tenere. Per tali ragioni si è resa necessaria l'adozione della nota esplicativa MAE02266642011-08-11 prima richiamata che a tal proposito chiarisce al punto 2:
    a) «in presenza di tali atti di nascita formalmente validi» – in quanto correttamente e legittimamente formatisi in Paesi dove questa pratica è perfettamente legale – «il funzionario consolare, sebbene a conoscenza del fatto che la nascita derivi da “maternità surrogata” deve accettare gli atti e inoltrarli al Comune competente, dando tuttavia nel contempo opportuna informazione delle particolari circostanze della nascita al Comune e alla Procura della Repubblica. L'ufficiale di stato civile, ai sensi della normativa vigente, verificherà la sussistenza dell'ipotesi che la nascita derivi da maternità surrogata per il rifiuto motivato alla trascrizione dell'atto»;
    b) «al momento di ricevere l'atto di nascita, i funzionari consolari faranno presente agli interessati che il medesimo atto, prima di essere trascritto nei registri dello stato civile, sarà fatto oggetto di scrupolosa attenzione relativamente ad eventuali problemi di contrarietà all'ordine pubblico per violazione dei principi dell'ordinamento italiano in materia di “procreazione medicalmente assistita”. Dovrà essere altresì evidenziato da parte del funzionario consolare che, nel caso in cui dalle indagini dovesse emergere che la donna indicata come madre non ha donato l'ovulo né ha, portato avanti la gravidanza, l'ufficiale dello stato civile e gli interessati incorreranno nel delitto di cui all'articolo 567 c.p., che comporta per gli indagati, in caso di condanna, la pena accessoria della decadenza dalla potestà genitoriale con evidenti conseguenze sui bambini ormai nati»;
    c) «che – d'intesa con il Ministero dell'interno – si è concordato che, nel supremo interesse del minore, allo stesso debba essere comunque rilasciato un documento di viaggio idoneo all'ingresso in Italia»;
   negli ultimi anni la materia in esame è stata oggetto di numerose pronunce di giudici, sia italiani che internazionali, i quali, ciascuno per il proprio ambito di competenza e di giurisdizione, sono ripetutamente intervenuti formando un consolidato filone interpretativo;
   esistono, infatti, numerose sentenze di giudici italiani (trib. Milano, Sez. V pen., 15 ottobre 2013 (dep. 13 gennaio 2014), est. Cernuto; trib. Napoli, GIP dott.ssa Iaselli, (dep. 17 luglio 2015); trib. Pisa, 10 aprile 2015, sent. n. 685 (dep. 19 giugno 2015); trib. Varese, GUP, 8 ottobre 2014 (est. Stefano Sala); trib. Trieste, GUP Guido Patriarchi, sentenza 6 giugno 4 ottobre 2013; trib. Napoli, I sez. civile, sentenza 1 luglio 2011; corte d'appello di Bari, 13 febbraio 2009; procure di Bologna, Catania, Venezia, Salerno, Pordenone e Caltagirone) che hanno pronunciato, a seconda dei casi, sentenze di assoluzione, di non luogo a procedere o decreti di archiviazione in ordine a procedimenti penali che vedevano imputati o indagati ai sensi degli articoli 110 e 567 c.p. coppie di genitori i cui figli erano stati partoriti all'estero mediante la tecnica della fecondazione eterologa. In particolare, la quinta sezione del tribunale di Milano (15 ottobre 2013 e dep. 13 gennaio 2014, est. Cernuto) ha stabilito che:
    «il rinvio alla lex loci operato dall'ordinamento interno funge da norma cardine del sistema, e impronta la disciplina degli atti dello stato civile formati all'estero in maniera conforme alla scelta – condivisa a livello internazionale – di individuarne la legge regolatrice in quella dell'ordinamento ove l'evento rilevante è avvenuto. È dunque la stessa legge italiana ad imporre ai cittadini italiani all'estero di effettuare le dichiarazioni di nascita all'ufficiale di stato civile straniero e secondo la legge del luogo ove l'evento è avvenuto». Dunque, il tribunale sostiene che quando l'atto di nascita è stato formato nel rispetto della legge del luogo ove il bambino è nato, all'esito di una procreazione medicalmente assistita conforme alla lex loci esso è pienamente valido anche nel nostro ordinamento – per cui non vi è alcuna alterazione di stato civile, e dunque non vi è integrazione del delitto di cui all'articolo 567 comma 2, c.p. – in omaggio a quanto prevede l'articolo 15 del regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile (decreto del Presidente della Repubblica 396 del 2000), a norma del quale le dichiarazioni di nascita effettuate da cittadini italiani all'estero «devono farsi secondo le norme stabilite dalla legge del luogo alle autorità competenti»;
    secondo la Convenzione dell'Aia del 5 ottobre 1961, che sopprime la legalizzazione degli atti pubblici esteri (cui l'Italia ha aderito con la legge di ratifica 20 dicembre 1966, n. 1253), è sufficiente ai fini della legittimità dell'atto che lo stesso venga tradotto in lingua italiana ed apostillato, ovvero munito di un'annotazione che ne attesta sul piano internazionale l'autenticità e la qualità legale dell'autorità rilasciante, per cui l'atto di nascita risulta così perfezionato, valido, completo, di autenticità certificata sul piano internazionale e, dunque, suscettibile di divenire efficace anche nell'ordinamento italiano (cfr. il richiamo contenuto in Cass. 5 maggio 2008, Giusti, Foro it., Rep. 2009, voce Stato di famiglia, n. 2; 24 ottobre 2002, Poletti, id., Rep. 2003, voce cit., n. 2; ord. 14 giugno 1994), Ben Ayili, id., Rep. 1995, voce cit., n. 3 e la giurisprudenza ivi rispettivamente ed ulteriormente richiamata);
    il limite dell'ordine pubblico fissato dall'articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000 non attiene al momento di formazione dell'atto di nascita – unico rilevante ai fini della consumazione del delitto di cui all'articolo 567, comma 2, codice penale – ma riguarda il momento successivo del recepimento degli effetti dell'atto formato all'estero nel nostro ordinamento a seguito di trascrizione. L'eventuale contrarietà all'ordine pubblico non inciderebbe, dunque, sulla consumazione del reato di alterazione di stato, ma si limiterebbe a inibire la trascrizione in Italia dell'atto validamente formato all'estero. Per tali ragioni, «il richiamo all'ordine pubblico, formulato a sostegno della richiesta di condanna nel presupposto che l'atto di nascita con indicazione dell'imputata quale madre vi si ponga in contrasto insanabile, in violazione dei divieti di surrogazione di maternità e di fecondazione eterologa stabiliti in Italia dal combinato disposto degli articoli 4, 3o comma, e 12, 1o e 6o comma, l. 40/04, non vale ad integrare la ricorrenza di un'alterazione di stato»; (...) «la valutazione di non contrarietà all'ordine pubblico degli effetti della trascrizione, implicita in questa determinazione, è conforme alla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 22 agosto 2013, n. 19405, id.) secondo cui, ai fini del diritto internazionale privato, l'ordine pubblico che impedisce l'ingresso nell'ordinamento interno degli effetti di una norma straniera che vi contrasti si identifica con l'ordine pubblico internazionale, da intendersi come complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l'ordinamento interno in un determinato periodo storico fondati su esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo comuni ai diversi ordinamenti nazionali»; (...) «e che in tale accezione, è escluso che il divieto di diventare madre ricorrendo alla fecondazione eterologa possa rientrare tra i principi fondanti dell'ordine pubblico internazionale: a tacer d'altro, per la circostanza che questa forma di procreazione assistita è praticata e consentita dalla maggior parte dei paesi che aderiscono all'Unione europea (criterio adottato, tra l'altro, dalla Corte di Cassazione, sez. un., 5 luglio 2011, n. 14650, id., Rep. 2011, voce diritto internazionale privato, n. 18, per stabilire la compatibilità con l'ordine pubblico della norma inglese che ammette l'acquisto di un bene in conseguenza di un patto commissorio, in violazione del divieto contemplato dall'articolo 2744 c.c.) e di quelli che hanno sottoscritto la convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950, di cui l'Italia è uno dei promotori» (cfr. trib. Milano 15 ottobre 2013, punti 3 e 4);
    pur vietando la maternità surrogata, è la stessa legge n. 40 a impedire, all'articolo 9, comma 1, l'esercizio dell'azione di disconoscimento di paternità a chi, nonostante la preclusione normativa, abbia prestato egualmente il consenso a praticare questa tecnica procreativa, e a stabilire al comma 3 (al pari dell'articolo 5, comma 2, decreto 771 del 2008 del Ministero della salute ucraino) che il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può fare valere nei suoi confronti alcun diritto o essere titolare di obblighi;
    per queste ragioni, si è concluso che «anche l'ordinamento interno, nel disciplinare gli effetti della fecondazione eterologa, valorizza il principio di responsabilità procreativa e ne fa applicazione in luogo di quello di discendenza genetica: il coniuge che abbia dato l'assenso (anche per fatti concludenti) alla nascita di un, bambino tramite fecondazione eterologa con l'utilizzo di gameti maschili estranei alla coppia non può esercitare l'azione di disconoscimento, per avere assunto la responsabilità di questo figlio, e ne diviene genitore nonostante lo stato civile del neonato venga così determinato in maniera estranea alla sua discendenza genetica; così come il donatore di gameti, che quella responsabilità non ha assunto, non può divenire genitore pur essendolo geneticamente» (cfr. trib. Milano, 15 ottobre 2013, punto 5);
   esistono anche pronunce della Corte di Strasburgo, ossia della Corte europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (cfr. Corte e.d.u. Wagner e J.M.W.L. c. Lussemburgo, 28 giugno 2007; Corte e.d.u. Mennesson c. Francia, deciso il 26 giugno 2014, ric. n. 65192/11; Corte e.d.u. Labassee c. Francia, n. 65941/11), competente a pronunciarsi sulla corretta osservanza o meno della CEDU da parte del paesi firmatari (si ricorda che l'Italia, oltre ad essere Paese firmatario, ne ha presieduto a Roma i lavori che si sono conclusi nel 1950 con la sua ufficiale adozione) che si sono pronunciate sul tema e che, più in particolare, hanno condannato l'Italia (cfr., da ultimo, Corte e.d.u Paradiso e Campanelli c. Italia, sez. II, 27 gennaio 2015, ric. n. 25358/12) per violazione dell'articolo 8 rubricato «Diritto al rispetto della vita privata e familiare» e il cui testo recita: «1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell'ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui»;
   la Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell'uomo, decidendo il 3 novembre 2011 in grado di appello il caso S.H. e altri contro Austria in tema di fecondazione eterologa ha, dapprima, ribadito che il diritto di una coppia di concepire un figlio mediante le tecniche di procreazione assistita rientra nella sfera di applicazione dell'articolo 8 della convenzione in quanto chiara espressione del diritto di libera determinazione nella vita privata e familiare; ha, inoltre, dato atto del progressivo allargamento del novero dei Paesi europei che consentono la donazione dei gameti per la fecondazione in vitro; ha, infine, messo in evidenza l'evoluzione particolarmente rapida nel campo della procreazione artificiale, destinata a riflettersi in un dinamismo normativo in cui, non solo è escluso che il divieto stabilito dall'ordinamento italiano costituisca un principio di ordine pubblico, ma è eventualmente prospettabile che sia tale divieto, per contro, a violare la convenzione europea dei diritti dell'uomo;
   la Corte europea nei casi Mennesson contro Francia e Labasse contro Francia, per quanto attiene la pratica della maternità surrogata, ha invece affermato (sempre ai sensi del citato articolo 8 convenzione) il diritto dei nati con tale tecnica di essere registrati nel registro dello stato civile, quali figli delle persone che sono ricorse a tale tecnica;
   la Corte europea ha poi nel corso del tempo specificato che il concetto di «vita privata» di cui all'articolo 8 è un concetto ampio comprendente, tra gli altri, il diritto dell'individuo ad allacciare e sviluppare rapporti con i simili (cfr. Niemietz contro Germania, 16 dicembre 1992, § 29, serie A n. 251-B), il diritto allo «sviluppo personale» (cfr. Bensaid contro Regno Unito, n. 44599/98, § 47, CEDU 2001-I) e, ancora, il diritto all'autodeterminazione (cfr. Pretty contro Regno Unito, n. 2346/02, § 61, CEDU 2002-III). A parere della Corte, tra i fattori che rientrano nella sfera personale tutelata dall'articolo 8, vi sarebbe anche il diritto al rispetto della decisione di diventare o di non diventare genitore (cfr. Evans contro Regno Unito ricorso n. 6339/05, sentenza del 7 marzo 2006, confermata dalla Grande Camera il 10 aprile 2007; A, B e C contro Irlanda, ricorso n. 25579/05, sentenza del 16 dicembre 2010, § 212; R.R. contro Polonia, ricorso n. 27617/04, sentenza del 26 maggio 2011, § 181);
   nell'applicazione dell'articolo 8 Convenzione, la Corte ha inoltre riconosciuto il diritto dei ricorrenti al rispetto della decisione di diventare genitori genetici (cfr. Dickson contro Regno Unito [GC], ricorso n. 44362/04, § 66, CEDU 2007-V, con i riferimenti ivi citati) concludendo per l'applicazione del suddetto articolo in materia di accesso alle tecniche eterologhe di procreazione artificiale a fini di fecondazione in vitro (cfr. S.H. ed altri contro Austria [GC], ricorso n. 57813/00, § 82, CEDU 2011);
   allo stato attuale, altri casi di contenzioso sullo stesso thema disputandum sono pendenti innanzi alla Corte: Laborie contro Francia (n. 44024/13); Foulon contro Francia (n. 9063/14); Bouvet contro Francia (n. 10410/14);
   in data 9 aprile 2014; sul tema della maternità surrogata e della fecondazione eterologa e, dunque, sulla legge n. 40 che ne vieta la pratica si è pronunciata anche la Corte Costituzionale che, adita dai tribunali di Milano, Firenze e Catania – che hanno sollevato, in riferimento agli articoli 3 Cost. (tutte e tre le ordinanze), 2, 31 e 32 Cost. (Milano e Catania), nonché (tribunale di Milano) agli articoli 29 e 117, primo comma, Cost., in relazione agli articoli 8 e 14 CEDU, questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 4, comma 3, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (tutte le ordinanze) e degli articoli 9, commi 1 e 3, limitatamente alle parole «in violazione del divieto di cui all'articolo 4, comma 3», e 12, comma 1, della legge 40 del 2004 (Milano e Catania) – ne ha sancito la parziale incostituzionalità (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 162/2014);
   nel nostro ordinamento, al pari di quello di altri Paesi in cui le pratiche della fecondazione eterologa e della maternità surrogata sono già da tempo consentite e disciplinate dalla legge, trova oggi pieno riconosciuto il principio della «responsabilità procreativa» che, posto prioritariamente a tutela dell'interesse prevalente del bambino (uno tra i principi sanciti dalla Convenzione internazionale di New York del 20 novembre 1989 sui diritti dell'infanzia), fonda le norme del codice civile che pongono limiti all'azione di disconoscimento della paternità (cfr. articoli 235 e 244 del codice civile) esperibile solo a determinate condizioni e soggetta a decadenza, e che determina in questi casi la preminenza del principio di autoresponsabilità su quello di derivazione biologica quale criterio di attribuzione della paternità;
   la procedibilità del delitto di «realizzazione della maternità surrogata» previsto e punito dall'articolo 12, comma 6, della legge, 40 del 2004, ammesso che sia contestabile alle coppie di genitori che si recano all'estero per avere un figlio con la tecnica vietata in Italia, necessita, in quanto «delitto comune commesso dal cittadino all'estero», della formulazione della richiesta del Ministero della giustizia in osservanza della previsione di cui all'articolo 9, comma 2, del codice penale;
   il suddetto reato risulta essere stato contestato, secondo recenti notizie di stampa, ad entrambi i componenti di una coppia (lui italiano, lei russa);
   alla luce dei dati e delle argomentazioni che precedono, le indicazioni contenute nel documento MAE02266642011-08-11 appaiono all'interrogante superate e contrastanti con i consolidati arresti giurisprudenziali sia nazionali che internazionali in precedenza richiamati che, al contrario, ne richiamati suggeriscono la revoca o, quantomeno, la rettifica dei contenuti;
   ciò è suggerito dalla necessità di evitare che il prescritto obbligo per le rappresentanze di dare opportuna informazione delle particolari circostanze della nascita al comune e alla procura della Repubblica si riveli una meccanica, indiscriminata e diseconomica apertura di indagini preliminari a carico di soggetti per i quali anticipatamente si conosce l'esito dell'archiviazione, di non doversi procedere o di assoluzione, nonché un ulteriore motivo di ingolfamento delle procure italiane che, in ultima analisi, espone lo Stato al rischio di disperdere incontrollatamente risorse economiche e umane, nonché di subire ulteriori condanne per violazione della CEDU e di risarcimento danni a favore delle coppie di cittadini coinvolti in tale pratiche –:
   se il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale abbia già provveduto a revocare o modificare il documento MAE02266642011-08-11;
   se il Ministro della giustizia sia a conoscenza del numero di istanze a procedere formulate ai sensi dell'articolo 9, comma 2, del codice penale presentate per assolvere alla condizione di procedibilità per delitti di cui all'articolo 14, comma 6, della legge 40 del 2004 commessi dai cittadini italiani all'estero nonché delle risorse economiche e umane impiegate per lo svolgimento delle indagini preliminari e, ove celebrato, del successivo giudizio di merito;
   se il Governo non ritenga che la contestazione del reato a cittadini stranieri, ai sensi dell'articolo 9, comma 2, del codice penale, oltre ad essere impropria, possa provocare problemi di carattere diplomatico/internazionale;
   se il Ministero della giustizia abbia ponderato, per quanto di competenza, gli effetti dell'accoglimento di tali istanze ai sensi dell'articolo 9, comma 2, del codice penale sulle coppie che hanno una gravidanza surrogata in corso, nonché sul concepito. (5-07171)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TENTORI, TARICCO, ZANIN, ROMANINI, CARRA e PRINA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 152 del 2006, all'articolo 184, comma 2, lettera e), considera rifiuti urbani «i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali» e al comma 3, lettera a), considera rifiuti speciali «i rifiuti da attività agricole e agro-industriali, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2135 c.c.»;
   relativamente alle esclusioni dall'ambito di applicazione l'articolo 185, comma 1, lettera f) del decreto legislativo n. 152 del 2006 classifica tra ciò che è escluso da quanto concerne i rifiuti «le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana»;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare precisa attraverso la nota prot. 11338 del 18 marzo 2011 che in quanto all'esclusione dal campo di applicazione della parte IV del decreto stesso sopra citata si fa riferimento solo a sfalci, potature ed altri materiali che provengono dall'attività agricola o forestale e che sono destinati agli utilizzi descritti nell'articolo stesso, mentre restano soggetti alle disposizioni della suddetta parte IV i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi quali giardini, parchi e aree cimiteriali, classificati dunque come rifiuti urbani;
   tale norma genera conseguenze non indifferenti in termini di costi e complicazioni di ordine burocratico, in particolare nei piccoli comuni rurali, per lo smaltimento dei residui verdi, in particolare sfalci e potature, destinati ad essere eliminati seguendo le procedure di smaltimento, commercio e intermediazione dei rifiuti;
   spesso gli scarti vegetali sopra richiamati possono essere reimpiegati in un ciclo produttivo, divenendo così una risorsa e dando priorità al riutilizzo e al recupero, e possono essere destinati alla produzione di energia o alle normali pratiche agricole o zootecniche, anche per il mantenimento dei livelli di sostanza organica nei terreni, nonché utilizzati per la produzione di ammendanti o concimi;
   con atto di sindacato ispettivo n. 5-03115 la prima firmataria del seguente atto chiedeva al Governo un intervento normativo al fine di adottare misure di semplificazione e favorire il riutilizzo delle materie vegetali;
   il 12 novembre 2014 il Governo accoglieva come raccomandazione l'ordine del giorno 9/02093-A/022 a firma dell'interrogante impegnandosi ad assumere iniziative dirette a modificare il decreto legislativo n. 152 del 2006, al fine di adottare misure di semplificazione che escludano dall'ambito di applicazione delle norme in materia di gestione dei rifiuti anche gli sfalci e le potature di cui all'articolo 184, comma 2, lettera e), destinate alla produzione di energia o alle normali pratiche agricole e zootecniche attraverso processi e metodi che non costituiscono pericolo per l'ambiente né danno per la salute;
   successivamente con nota prot. 0006038/RIN del 27 maggio 2015 la direzione generale per i rifiuti e l'inquinamento del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare emanava un parere alla «Federazione Italiana Produttori di energia da fonti rinnovabili» in merito alla classificazione dei residui di potatura derivanti da attività di manutenzione del verde al fine di assicurare uniformità interpretativa ed applicativa delle previsioni vigenti;
   tale nota precisa in merito alla circolare prot. 11338 del 18 marzo 2011 che «le conclusioni di tale nota ministeriale, che esclude l'applicabilità dell'articolo 185 citato ai casi in cui i residui non siano prodotti di un'attività agricola, possono essere sviluppate e completate con riferimento alle condizioni alle quali i residui suddetti possono essere qualificati come sottoprodotti (...) ai sensi dell'articolo 184-bis del decreto legislativo n. 152/06» e che «nei casi in cui non sia possibile per l'operatore dimostrare la sussistenza dei requisiti richiesti dall'articolo 185, comma 1, lettera t) (...) è comunque possibile fornire la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui indicati come sottoprodotti ai sensi dell'articolo 184-bis del dlgs 152/2006»;
   persistono tuttavia segnalazioni che evidenziano un'applicazione difforme di tale norma sul territorio nazionale a causa di interpretazioni non omogenee del suddetto parere da parte delle istituzioni territoriali e degli organi di controllo che eseguono le operazioni sul campo, in quanto non esiste alcun atto formale che ne specifichi gli aspetti attuativi e operativi, rendendo di fatto inefficace e inapplicabile l'indirizzo fornito –:
   se non reputino necessario assumere iniziative, eventualmente anche di carattere normativo, al fine di chiarire in maniera definitiva come l'indirizzo fornito attraverso la nota del 27 maggio 2015 possa trovare effettiva applicazione, fornendo indicazioni cogenti alle amministrazioni locali nonché agli operatori del settore. (5-07166)


   LATRONICO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da parecchi mesi trapelano dagli organi di stampa una serie di indiscrezioni sull'individuazione di possibili siti su cui costruire il futuro deposito nazionale, inseriti nella carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI), che dovrà essere approvata dai Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico e la cui pubblicazione, prevista per il settembre 2015, è slittata a data da destinarsi;
   l'Italia è l'unico paese dell'Unione europea, con Portogallo e Grecia, che ancora non si è dotato di un deposito nazionale per le scorie nucleari e radioattive che ogni giorno vengono prodotte da ospedali e fabbriche. Secondo quanto riportato da organi di informazione, i territori potenzialmente idonei a ospitare il deposito nazionale delle scorie nucleari si trovano nel Sud della Puglia, in alcune aree della Basilicata fonica e del Molise, in qualche zona costiera della Campania, del Lazio e della Toscana, mentre sono escluse per ragioni economiche Sardegna e Sicilia e altre tre regioni come Marche, Umbria ed Emilia Romagna a causa del rischio sismico;
   sono trascorsi 12 anni da quando nel novembre 2003 uno «Studio per la localizzazione di un sito per il deposito nazionale centralizzato per i rifiuti radioattivi» realizzato dalla Sogin, individuò come territorio idoneo ad ospitare tale deposito il sito di Scanzano Ionico in Basilicata. Per il sito di Scanzano Ionico ci furono tali proteste che il progetto venne prima abbandonato e poi rinviato a data da destinarsi e la critica maggiore che fu rivolta allora ai decisori pubblici fu quella di aver deciso senza il coinvolgimento della popolazione locale;
   la CNAPI è pronta ed è il risultato di un lavoro che in base a 28 criteri di localizzazione individuati dall'ISPRA (16 quelli esclusivi: dal rischio sismico a quello idrogeologico, dall'altitudine maggiore di 700 metri sul livello del mare alla vicinanza eccessive a coste, centri urbani e grandi vie di comunicazione fino alla pendenza superiore al 10 per cento del terreno) ha portato ad escludere più del 99,9 per cento del territorio italiano. Quando verrà resa nota la CNAPI, si avvierà un processo di consultazione pubblica che durerà mesi durante i quali si attenderanno le autocandidature dei siti potenziali e si svolgeranno ulteriori approfondimenti fino all'individuazione del sito;
   qualora i vari passaggi previsti per il coinvolgimento della popolazione dovessero fallire, sarà il Consiglio dei ministri ad avere l'ultima parola sulla scelta del sito;
   nonostante la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee e i relativi studi sulle aree potenzialmente idonee effettuati dalla SOGIN siano ancora coperti da segreto di Stato e la popolazione lucana sia allarmata sulla base solo di indiscrezioni trapelate tramite organi di stampa, molti comuni dei territori interessati si sono dichiarati comuni denuclearizzati –:
   se i Ministri interrogati non ritengano quanto prima di rendere pubblica la carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) e quali iniziative intendano assumere per tranquillizzare la popolazione e gli amministratori locali informandoli sullo stato procedurale reale della costruzione del deposito nazionale unico per i rifiuti radioattivi. (5-07169)


   GRILLO, DAGA, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, MANTERO e CANCELLERI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il censimento delle acque ad uso civile del 2012 a cura dell'ISTAT descrive che la Sicilia disperde il 35,1 per cento di acqua potabile nel 2008, mentre nel 2012 perde il 45,6 per cento dell'acqua totale;
   nella regione Sicilia sono presenti 434 acquedotti afferenti ai nove ambiti ottimali della regione e ai 13 sistemi di acquedotti interconnessi e gestiti acque da Siciliacque Spa;
   secondo il dipartimento della protezione della regione Sicilia le zone a rischio per il sistema idraulico sono in tutta la regione 5657 e nello specifico così suddivise: ad Agrigento 662; a Caltanissetta 463; a Catania 599; ad Enna 511; a Messina 1670; a Palermo 913; a Ragusa 227; a Siracusa 270; a Trapani 344; (fonte Corriere della Sera del 7 novembre 2015);
   il 24 ottobre 2015 si è registrato il cedimento della condotta idrica dell'acquedotto Fiumefreddo, a causa di una grossa frana che ha danneggiato all'altezza di Calatabiano la condotta che porta l'acqua a Messina; l'interruzione del servizio ha causato enormi disagi alla popolazione per alcune settimane;
   da notizie stampa del Corriere della Sera del 7 novembre 2015 si apprende che la Società Stretto di Messina aveva realizzato un progetto multidisciplinare per monitorare diverse attività ambientali sotto aspetti fisico-chimici, biologici, ecologici paesaggistici e sociali del territorio (acque superficiali e sotterranee, suolo e sottosuolo, stato fisico dei luoghi e viabilità dei cantieri, e altro);
   il progetto, affidato con gara (29 milioni di euro prima e poi 35 milioni di euro) ad un raggruppamento d'impresa che faceva capo a Fenice una società controllata dalla Enel francese contraente generale Impregilo, interrò in punti strategici 160 tubi sotto 40 metri dal suolo che ospitavano sensori di ultima generazione. La società Stretto di Messina era disposta a cedere la rete anche gratis, ma per l'inesperienza dei tecnici comunali e provinciali i sensori sono stati sfilati dai tubi;
   il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 «Norme in materia ambientale» nello specifico, in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall'inquinamento e di gestione delle risorse idriche prevede quanto segue:
    a) l'articolo 61 (competenze delle regioni) stabilisce: «Le regioni (....) predispongono annualmente la relazione sull'uso del suolo e sulle condizioni dell'assetto idrogeologico del territorio di competenza e sullo stato di attuazione del programma triennale in corso e la trasmettono al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare entro il mese di dicembre»;
    b) l'articolo 75 (competenze) alla lettera a) stabilisce: «lo Stato esercita le competenze ad esso spettanti per la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema attraverso il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (...)»;
    c) l'articolo 98 (risparmio idrico) stabilisce: «Coloro che gestiscono o utilizzano la risorsa idrica adottano le misure necessarie all'eliminazione degli sprechi ed alla riduzione dei consumi e ad incrementare il riciclo ed il riutilizzo, anche mediante l'utilizzazione delle migliori tecniche disponibili»;
    d) l'articolo 144 (tutela e uso delle risorse idriche), comma 3 stabilisce: «La disciplina degli usi delle acque è finalizzata alla loro razionalizzazione, allo scopo di evitare gli sprechi e di favorire il rinnovo delle risorse, di non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell'ambiente, l'agricoltura, la piscicoltura, la fauna e la flora acquatica, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici»;
    e) l'articolo 153 (dotazioni dei soggetti gestori del servizio integrato) prevede: «1. Le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali ai sensi del articolo 143, del citato decreto, sono affidate in concessione d'uso gratuita, per tutta la durata della gestione, al gestore del servizio idrico integrato, il quale ne assume i relativi oneri nei termini previsti dalla convenzione e dal relativo disciplinare» –:
   quali iniziative, di competenza abbia intrapreso per contrastare la dispersione di acqua così come denunciato nel rapporto dell'ISTAT riguardante il censimento delle acque ad uso civile del 2012 ed aggravato dai continui guasti che avvengono in tutti gli acquedotti siciliani;
   quali iniziative di competenza intenda assumere per attuare misure di prevenzione nelle zone della Sicilia a rischio per il sistema idraulico;
   sia a conoscenza del quadro generale dello stato di efficienza, dei 434 acquedotti siciliani afferenti ai 9 ambiti ottimali della regione e dei 13 sistemi di acquedotti interconnessi gestiti da Siciliacque SPA;
   se sia a conoscenza per quali cause la rete di sensori predisposti sul terreno da un progetto curato della Società Stretto di Messina riguardante la tutela e il monitoraggio del suolo e del sottosuolo non sia stata acquisita dalle amministrazioni locali e nazionali;
   se la regione siciliana abbia predisposto annualmente relazione sull'uso del suolo e sulle condizioni dell'assetto idrogeologico del territorio di competenza, così come previsto dall'articolo 61 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
   quali iniziative ritenga di intraprendere, per quanto di competenza, in base all'articolo 75 del citato decreto, per promuovere misure di prevenzione nelle zone della Sicilia a rischio per il sistema idraulico;
   se stia monitorando quanto prevede l'articolo 98 del citato decreto in tema di risparmio idrico, verificando che coloro che gestiscono o utilizzano la risorsa idrica adottino le misure necessarie contro gli sprechi e per incrementare il riciclo;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per contrastare la dispersione dell'acqua in Sicilia e nel resto d'Italia e garantirne l'accesso a tutti i cittadini. (5-07170)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SBERNA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la raccolta differenziata è un sistema di raccolta dei rifiuti che consente di raggruppare quelli urbani in base alla loro tipologia materiale, compresa la frazione organica umida, e di destinarli al riciclaggio, e quindi al riutilizzo di materia prima;
   la raccolta differenziata, dunque, risponde a due problemi legati all'aumento esponenziale della produzione di rifiuti: il consumo di materia prima che diminuisce grazie al riciclo e la riduzione delle quantità destinate alle discariche e agli inceneritori;
   inoltre, dalla gestione integrata dei rifiuti può venire anche un contributo importante alla lotta ai cambiamenti climatici e all'inquinamento dell'aria. Secondo stime di Legambiente, chi oggi ricicla la metà dei propri rifiuti riduce la CO2 e i gas climalteranti emessi in atmosfera di una quantità tra i 150 e i 200 chili all'anno;
   nel nostro Paese l'attività di raccolta differenziata dei rifiuti urbani e assimilati sta evolvendo sempre più verso il sistema del cosiddetto «porta a porta» nel quale i rifiuti, divisi nelle case dei cittadini, sono recuperati a domicilio dai comuni;
   il suddetto sistema di raccolta è riconosciuto come la tecnica più efficace al fine di preservare e mantenere le risorse naturali. In molti territori italiani ha infatti raggiunto ottimi risultati e in altri viene adottata proprio per aumentare la percentuale di differenziata e allinearsi alle direttive e normative europee;
   le imprese che provvedono, alla raccolta dei rifiuti sono iscritte all'Albo nazionale gestori ambientali, istituito dal decreto legislativo n. 152 del 2006, che succede all'albo nazionale gestori rifiuti disciplinato dal decreto legislativo n. 22 del 1997;
   l'Albo si trova presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e prevede un Comitato nazionale, con sede presso il medesimo Ministero, e sezioni regionali e provinciali, con sede presso le camere di commercio dei capoluoghi di regione e delle province autonome di Trento e Bolzano;
   la deliberazione 30 gennaio 2003 del Comitato nazionale ha stabilito i criteri e i requisiti per l'iscrizione all'albo delle imprese che svolgono le attività di raccolta e trasporto dei rifiuti;
   esse devono avere una dotazione minima di mezzi e personale per essere iscritti nella categoria 1 che, a sua volta, è suddivisa in classi a seconda del numero della popolazione servita. Ad ogni classe è assegnata una portata utile complessiva in tonnellate che i veicoli utilizzati per la raccolta dei rifiuti devono rispettare;
   i bandi delle gare di appalto prevedono il rispetto del tonnellaggio tenuto conto della somma degli abitanti serviti dalla stessa azienda contestualmente: tuttavia molti dei comuni italiani che optano per il sistema del «porta a porta» sono caratterizzati da strade molto strette e percorribili solo da mezzi di modeste dimensioni con portata molto più bassa di quella richiesta per l'iscrizione della categoria 1;
   può verificarsi così che con soli tre paesi le aziende possono rientrare nella categoria 1D che prevede 30 tonnellate di portata utile e con la portata utile media di 10/15 quintali per mezzo vengono richiesti 25 automezzi ma utilizzati realmente solo 10;
   le aziende si trovano quindi a dover dimostrare di possedere tutti gli automezzi indicati nella suddetta delibera senza poi utilizzarli con un notevole dispendio di risorse –:
   quali iniziative intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, perché le dotazioni minime di mezzi e personale previste dall'attuale normativa per la raccolta dei rifiuti siano adeguate alle reali condizioni in cui si trovano ad operare le suddette imprese. (4-11366)


   NICCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è in corso il procedimento di valutazione di impatto ambientale denominato «Aeroporto “A. Vespucci” di Firenze – master plan aeroportuale 2014-2029», avente come proponente l'Ente nazionale per l'aviazione civile (ENAC), in merito al progetto della società Toscana Aeroporti s.p.a. relativo alla riqualificazione dell'aeroporto di Firenze «Amerigo Vespucci» mediante la realizzazione della nuova pista di volo, dei piazzali aeromobili, del nuovo terminal passeggeri, della viabilità di accesso e dei parcheggi, dell'area cargo e del terminal di aviazione generale e sul relativo studio ambientale;
   a seguito di un primo esame della documentazione presentata dal proponente ENAC in data 24 marzo 2015 la commissione tecnica di verifica di impatto ambientale VIA/VAS del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha richiesto successivamente al proponente chiarimenti ed integrazioni;
   la procedura si trova quindi attualmente nella fase della valutazione da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare delle osservazioni dei soggetti interessati e dei pareri delle istituzioni territoriali sulle integrazioni alla documentazione presentata in un primo tempo dal proponente;
   tra i molti soggetti che hanno depositato osservazioni in merito alla procedura di valutazione suddetta risultano oltre i comuni interessati, la città metropolitana di Firenze, il Consorzio di bonifica, i Comitati per la salute della piana di Prato e Pistoia anche l'università di Firenze, il personale (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e rappresentanze sindacali unitarie) del polo scientifico di Sesto Fiorentino del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), del Consorzio laboratorio di monitoraggio e modellistica ambientale (LAMMA) e dell'università degli studi di Firenze, l'Associazione Italia nostra Onlus, la Rete per sinistra unitaria fiorentina, i rappresentanti degli studenti dell'università degli studi di Firenze, ed altri;
   il nucleo di valutazione dell'impatto ambientale per l'espressione del parere tecnico alla giunta regionale relativo al « master plan» aeroportuale 2014-2029 dell'Aeroporto di Firenze si è riunito in data 6 novembre 2015 ed ha prodotto il parere n. 110 ai sensi dell'articolo 25 del decreto legislativo 152 del 2006 e dell'articolo 63 della legge regionale 10 del 2010;
   l'università di Firenze, dopo un'attenta analisi riguardante la coerenza e la compatibilità con la pianificazione urbanistica di ogni livello comprese le previsioni e le prescrizioni del PIT della regione Toscana, la viabilità connessa all'intervento previsto, il rischio idraulico e l'equilibrio del sistema idrogeologico ed idrografico, il rischio di incidentalità aerea, le emissioni in atmosfera, l'equilibrio dei fattori naturalistici, paesaggistici, antropici, architettonici, culturali ed economici, il rapporto con l'aeroporto di Pisa, il rischio per la popolazione del polo scientifico, i rischi in merito alla monodirezionalità della pista, l'impatto acustico, ha ritenuto opportuno sottolineare nelle conclusioni del proprio parere che «nella procedura di valutazione di impatto ambientale relativa al progetto di qualificazione dell'Aeroporto “A. Vespucci” di Firenze – master plan aeroportuale 2014-2029, siano rilevabili evidenti profili di illegittimità tali da giustificare un parere negativo da parte dell'autorità competente»;
   nel parere dell'università di Firenze è dimostrato come la nuova pista sarebbe l'unica al mondo ad essere perpendicolare rispetto ai venti prevalenti e che l'unico elemento portato a giustificazione della nuova pista dal punto di vista tecnico, il coefficiente di utilizzazione (CU), sarebbe stato calcolato in modo non conforme alle principali procedure internazionali da ENAC, ed inoltre non è stato calcolato e valutato l'inquinamento atmosferico ed acustico su Firenze, riferito al numero dei sorvoli previsti sulla città che è tra l'altro patrimonio mondiale dell'umanità (UNESCO);
   nel parere n. 110 del 6 novembre 2015 il nucleo tecnico di valutazione regionale (NURV) della regione Toscana, a seguito di un dettagliato approfondimento che ha riguardato gli aspetti di conformità urbanistica, sia in riferimento alla pianificazione regionale che comunale, le emissioni di inquinanti in atmosfera e le emissioni sonore (anche in fase di cantierizzazione), gli elementi collegati al rischio idrogeologico (come ad esempio la deviazione Fosso Reale, il quale costituisce l'elemento conclusivo del più complesso sistema della bonifica idraulica del comprensorio della piana di natura alluvionale fra Sesto F.no e Prato), il sistema della viabilità, l'impatto sul parco agricolo della piana e le criticità per i siti UNESCO e le aree lacustri, ha invitato la giunta regionale a comunicare al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare le numerose criticità ed incompatibilità del progetto e di segnalarne le incoerenze;
   come ricordato nelle conclusioni del parere del nucleo tecnico di valutazione regionale di fatto la previsione della pista aeroportuale con orientamento 12-30 di lunghezza pari a ml 2.400 contrasta anche con l'impianto dell'integrazione al PIT in merito a tale previsione non sarebbe stata mai affrontata una procedura di valutazione ambientale strategica neanche nello strumento di pianificazione regionale;
   il nucleo tecnico di valutazione regionale ha sottolineato l'interferenza tra la realizzazione della pista aeroportuale e la tutela del lago di Peretola (bene paesaggistico tutelato per legge) e le incidenze negative del progetto sulla rete Natura 2000;
   il responsabile del settore tutela, riqualificazione e valorizzazione del paesaggio della regione Toscana, architetto Fabio Zita, ha dichiarato nel suddetto parere del NURV che permarrebbero evidenti profili di illegittimità del procedimento (ad esempio assenza del piano di utilizzo del materiale da scavo), carenze documentali ed incompatibilità ambientali e visto che le questioni evidenziate per la loro rilevanza non potranno essere colmate attraverso iniziative da svolgersi nelle fasi successive all'emanazione del provvedimento di VIA ritiene che il procedimento debba concludersi con l'espressione di parere negativo sulle opere in oggetto;
   una posizione particolarmente critica è stata assunta dai comuni di Calenzano, Carmignano, Poggio a Caiano, Signa, Prato;
   la mancata attuazione del processo partecipativo previsto nel PIT, piano territoriale della stessa regione Toscana, e nella legge regionale 2 agosto 2013, n. 46 (dibattito pubblico regionale e promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali), costantemente sollecitato e sempre disatteso;
   la peculiare situazione di conflitto d'interessi che vede l'ENAC allo stesso tempo controllore e proponente del progetto;
   il master plan 2014-2029 prevede un progetto definito impropriamente di riqualificazione dell'attuale scalo aeroportuali mentre, di fatto, contempla un nuovo aeroporto con una nuova pista diversamente orientata e di dimensioni tali da occupare interamente la porzione di territorio compresa fra il polo scientifico di Sesto F.no ed il tratto iniziale dell'autostrada A11, porzione di territorio identificabile come la componente fiorentina del parco della piana prevista e definita nel PIT della regione Toscana;
   da inizio 2015 risulta pendente un ricorso straordinario dell'università di Firenze contro l'approvazione della variante al PIT della piana fiorentina, documento del consiglio regionale che prevede la nuova pista del Vespucci, in nome della necessità di tutelare i frequentatori e le strumentazioni del polo scientifico di Sesto Fiorentino –:
   se il Governo non ritenga assolutamente necessaria e indispensabile una valutazione analitica, rigorosa e trasparente dell'impatto di rischio per la popolazione che frequenta il territorio circostante la pista di progetto dell'aeroporto di Firenze, ed in particolare per la popolazione del polo scientifico dell'università di Firenze, secondo quanto previsto dall'articolo 715 del codice della navigazione;
   se il Governo non ritenga che l'intendimento di realizzare comunque il progetto a fronte delle criticità e dei limiti espressi da molteplici organismi tecnici debba essere urgentemente rivisto nell'interesse dei cittadini e per la salvaguardia del territorio;
   se, alla luce delle criticità e dei rischi per la salute, per l'ambiente e per l'economia evidenziati nei pareri riportati ed in quelli che hanno partecipato alle osservazioni sul master plan in questione, il Governo non ritenga opportuno interrompere l’iter in corso e assumere iniziative affinché si pervenga al ritiro del progetto;
   se il Governo non ritenga necessario, per quanto di competenza, avviare finalmente un percorso di coinvolgimento dei cittadini attivando il percorso partecipativo, già previsto dalla normativa regionale toscana e fino ad oggi mai attuato.
(4-11368)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MOGNATO, ZOGGIA, MARTELLA e MURER. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la fondazione Biennale di Venezia nel 2004 ha promosso un concorso internazionale di progettazione per il nuovo palazzo del cinema, con lo scopo di individuare un progetto e superare i problemi di inadeguatezza degli spazi a disposizione della mostra internazionale di arte cinematografica;
   il progetto vincitore individuato dalla giuria prevedeva la realizzazione di un nuovo edificio all'interno di un quadro di riqualificazione urbana dell'area e prevedendo un impiego della struttura lungo tutto il corso dell'anno;
   il nuovo palazzo del cinema e dei congressi del Lido di Venezia anche a seguito del protocollo d'intesa del 9 maggio 2007 tra il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, la regione Veneto e il comune di Venezia è stato inserito nell'elenco delle opere relative alle Celebrazioni per il 150o anniversario dell'Unità d'Italia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica del 23 novembre 2007 e, con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3746 del 12 marzo 2009 è stato nominato il commissario delegato per la sua realizzazione;
   l'intervento sarebbe stato finanziato per 20 milioni di euro dallo Stato (tramite il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo), per 10 milioni di euro, dalla regione Veneto, per circa 50 milioni di euro dal comune di Venezia (a valere sulla valorizzazione delle aree dell'ex ospedale al mare);
   il commissario delegato ha approvato il progetto definitivo del nuovo palazzo del cinema, provveduto alle procedure per l'individuazione a l'affidamento al soggetto esecutore (ATI avente come capofila SACAIM spa) e dato avvio ai lavori, interrotti per la scoperta durante gli scavi del cantiere di ingenti quantità di amianto in situ e per la necessaria opera di bonifica ambientale;
   i lavori, eccezion fatta per l'intervento di bonifica, sono stati sospesi e oggi l'area si trova in stato di messa in sicurezza provvisoria;
   il 31 dicembre 2012 è cessata la gestione del commissario delegato, la titolarità è rientrata quindi nelle competenze del comune di Venezia, che con deliberazione del consiglio comunale n. 28 del 2013 ha provveduto all'individuazione della zona di degrado, da assoggettare a piano di recupero di iniziativa pubblica, relativa all'area del palazzo del cinema e del casinò al Lido di Venezia, ai sensi dell'articolo 10.3 delle norme tecniche di attuazione della VPRG per l'isola del Lido;
   la precedente amministrazione comunale ha predisposto, attraverso un processo partecipato un piano di recupero per la costruzione del nuovo palazzo del cinema e per la riqualificazione dell'intera area;
   da varie dichiarazioni espresse anche dall'attuale amministrazione, si vuole intervenire anche perché sarebbe prossimo un accordo stragiudiziale con la ditta Rizzani – De Eccher spa avente causa della ditta Sacaim spa –:
   se il Ministro interrogato ravvisi la necessità; nell'ambito delle sue competenze, di agire al più presto per convocare un tavolo istituzionale coinvolgendo tutti i soggetti interessati per una verifica della situazione e per individuare se e quali siano ad oggi gli interventi e le risorse necessarie per la mostra d'arte cinematografica di Venezia. (5-07160)

Interrogazione a risposta scritta:


   BRESCIA, D'UVA e LUIGI GALLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizia di stampa riportata in data 28 novembre 2015 sul quotidiano Il Corriere del Mezzogiorno si apprende che ad Alberobello, nota città in provincia di Bari, è in corso la costruzione di un edificio a ridosso dell'area protetta in cui sorgono i trulli, antiche abitazioni caratteristiche incluse nella lista dei patrimoni UNESCO a partire dal 1996;
   la costruzione in cemento armato che sorge a pochi metri dall'antica zona dei trulli e ne ostacola la vista, prende il posto dell'ex mercato coperto della città, struttura da tempo dismessa che il comune aveva deciso di abbattere per questioni di sicurezza;
   secondo quanto riportato dall'articolo succitato, il sindaco di Alberobello, Michele Longo, avrebbe deciso di sostituire l'ex mercato coperto con un nuovo edificio con lo scopo di rilanciare la città dal punto di vista turistico. A lavori inoltrati, il sindaco avrebbe anche garantito che il progetto era stato già valutato e approvato a suo tempo;
   ciononostante, sia il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo che l'autorità di bacino della Puglia, interpellati dal «Comitato Cittadino per la riqualificazione dell'area ex Mercato Coperto di Alberobello», hanno affermato di non essere a conoscenza della costruzione del nuovo edificio e hanno perciò inviato all'amministrazione comunale della città una richiesta di chiarimento;
   il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, in una nota dell'architetto Maria Grazia Bellisario citata nell'articolo del 21 novembre 2015 riportato sulla versione online de Il Corriere del Mezzogiorno, avrebbe domandato all'amministrazione della città alcune informazioni sul tipo di impatto che il nuovo edificio potrebbe avere sulla zona dei trulli, facendo inoltre presente la necessità di consultare l'UNESCO proprio perché i lavori ricadono in un'area patrimonio dell'umanità;
   l'autorità di bacino della Puglia, invece, oltre a ribadire di non essere a conoscenza del progetto, avrebbe affermato che l'attività edilizia per la riqualificazione dell'ex mercato coperto rientrerebbe in una zona sottoposta a vincolo del piano di assesto idrogeologico;
   anche il dipartimento dei vigili del fuoco avrebbe chiesto delucidazioni riguardo all'edificio in costruzione. Il progetto, infatti, prevede la realizzazione di una struttura su due piani, munita di una sala polifunzionale con 250 posti a sedere, per quale non sarebbe stato chiesto un parere di conformità alle norme per la sicurezza da parte del comando;
   secondo il dipartimento dei vigili del fuoco sarebbe quindi opportuno verificare che la struttura sia realizzata secondo le norme di prevenzione incendi, poiché l'ultimo parere favorevole da parte del comando sarebbe stato rilasciato in data 13 giugno 2005 e relativamente al progetto originario di riqualificazione dell'ex mercato coperto, che prevedeva soltanto la realizzazione di un parcheggio interrato su tre livelli;
   alle richieste di cui sopra, il sindaco avrebbe risposto confermando la regolarità del progetto, intrapreso solo dopo aver ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie –:
   se intendano intervenire attraverso le iniziative di competenza al fine di chiarire i fatti esposti in premessa;
   quali iniziative intendano assumere, per quanto di competenza, al fine di verificare l’iter burocratico che ha portato alla realizzazione del progetto di cui sopra in un'area notoriamente riconosciuta come patrimonio mondiale dell'umanità dall'UNESCO. (4-11362)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO, DURANTI e PIRAS. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da fonti di stampa si apprende che l'ex caserma, oggi «Complesso logistico Pio IX» di Roma, predisposta ad accogliere mutilati ed invalidi di guerra, è abitualmente utilizzata da politici ed ex parlamentari;
   l'inchiesta del Fatto Quotidiano, porta alla luce l'utilizzo del plesso di Viale Pretorio 95 a Roma: «Complesso logistico Pio IX». La struttura nel cuore della Capitale è riservata all'alloggio di personale militare o con rapporti con la Difesa, ma anche i civili possono – previa richiesta – dormire nelle lussuose dimore del Pio IX;
   la struttura è anche la base di ospitalità per le famiglie di soldati feriti in scenari di guerra all'estero o per i parenti dei militari caduti in servizio;
   nell'inchiesta di stampa emerge la presenza di tanti politici tra gli ospiti. Le stanze sono dotate di molti comfort: salottino, vasca idromassaggio e studio. Una struttura dignitosa, ad appena 40 euro a notte. Molto comoda (e soprattutto economica) nella Capitale che si accinge ad ospitare il Giubileo e dove – inevitabilmente – i prezzi degli hotel tenderanno a salire;
   nella ex caserma ci sono: 7 suite internazionali a 39,40 euro al giorno; 6 suite nazionali allo stesso prezzo; 4 camere di alta rappresentanza, 9 camere matrimoniali e 5 doppie a soli 28,90 euro a notte; poi ci sono 55 camere singole (21,90 euro e 16 mini-alloggi per i servizi di pulizia); infine, anche 100 posti auto e 9 sale ristorante;
   l'Associazione nazionale mutilati e invalidi di guerra, il 25 giugno 2015, aveva scritto al capo ufficio affari generali dello stato maggiore dell'Esercito per chiedere di poter usufruire della struttura. «Le predette foresterie – rispose – devono essere utilizzate obbligatoriamente dal personale dell'amministrazione in caso di missioni all'interno del territorio nazionale» e «non è escluso l'uso da parte dell'Associazione Nazionale mutilati». Ma i posti sono limitati e alcuni politici sembrano avere sempre la priorità. Anche se delle 20 richieste presentate dall'Associazione mutilati, solo due volte non hanno trovato accoglienza –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e, in caso affermativo, quali siano le informazioni del Ministro interrogato in merito alla struttura e alle sue regole di accoglienza;
   quali siano le regole che disciplinano l'uso del complesso Pio IX e quali le ragioni dell'utilizzo della struttura anche da parte dei politici;
   se non ritenga di intervenire per restringere al personale autorizzato l'utilizzo del complesso Pio IX;
   quali ragioni abbiano portato all'uso che emerge in premessa e quali siano, per quanto di competenza, le eventuali responsabilità. (4-11380)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MOGNATO, MARTELLA, MURER e ZOGGIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 novembre 2015 l'Agenzia delle dogane e dei monopoli ha emanato l'informativa inerente alle nuove dotazioni organiche suddivise per territorio;
   da tale informativa si apprende che gli uffici delle dogane della direzione interregionale per il Veneto e il Friuli Venezia Giulia, già careni, sono stati ulteriormente ridimensionati, con pesanti riduzioni del personale;
   la riduzione complessiva del personale è pari a 66 unità, col che la direzione interregionale per il Veneto e il Friuli Venezia Giulia risulta quella con il maggiore saldo negativo;
   tale contrazione delle risorse umane appare agli interroganti irrazionale e poco comprensibile, giacché i dati indicano come l'area del Nord-est sia tra le più dinamiche in termini di scambi commerciali, essendo tra l'altro provvista di infrastrutture portuali ed aeroportuali di eccellenza, che contribuiscono a generare una notevole quantità di traffico sia merci che passeggeri;
   il sottodimensionamento del personale rischia di pregiudicare e compromettere l'operatività corrente degli uffici della direzione interregionale;
   l'articolo 1, comma 269, della legge n. 190 del 2014 ha previsto in via eccezionale per l'anno 2015, ai fini di garantire la copertura dei posti vacanti, lo scorrimento delle graduatorie concorsuali interne, in particolare per quanto riguarda l'inquadramento nella III area funzionale;
   non risulta che l'Agenzia per le dogane e i monopoli abbia ritenuto di avvalersi di tale facoltà, espressamente prevista dalla legge;
   in tal senso sarebbe quanto mai opportuno estendere al triennio 2016/2018 la possibilità di procedere allo scorrimento delle graduatorie interne previste dal citato articolo 1, comma 269, della legge n. 190 del 2014 –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti sopra esposti e quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intenda adottare per assicurare alla direzione interregionale per il Veneto e il Friuli dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli la necessaria dotazione di personale. (5-07157)


   GALGANO, VEZZALI, SOTTANELLI, MOLEA e D'AGOSTINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la soluzione delle crisi di Banca Marche, Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Chieti e Cassa di Risparmio di Ferrara, attraverso la chiusura delle relative procedure di amministrazione straordinaria ai sensi delle vigenti disposizioni del testo unico bancario di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993, e successive modificazioni, e l'apertura della procedura di risoluzione ai sensi del decreto legislativo n. 180 del 2015, secondo quanto previsto dal decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, pone l'onere del salvataggio a carico, oltre che del sistema bancario nazionale, degli azionisti e dei possessori di obbligazioni subordinate delle quattro banche assoggettate alla procedura di risoluzione;
   in base ad alcune stime riportate da Adusbef e Federconsumatori, sono 130 mila i piccoli azionisti e 20 mila i bond holder sottoscrittori di obbligazionisti subordinate dei quattro istituti di credito che potrebbero aver perso oltre 1,2 miliardi di euro dal «decreto salva banche», «con pochissime possibilità di recuperare qualche briciola». «I sottoscrittori di bond subordinati delle quattro banche hanno perso quasi 800 milioni di euro, contribuendo così al 30 per cento della copertura dei 2,6 miliardi di perdite totali, mentre i 133 mila azionisti (60 mila di Banca Etruria, 44 mila di Banca Marche, 22 mila quelli di CariFerrara, 6.000 di CariChieti), hanno subito un brusco risveglio con i loro titoli trasformati in carta straccia» – precisano le due associazioni;
   secondo le associazioni dei consumatori migliaia di cittadini, in maggioranza piccoli risparmiatori, hanno investito nella banca del territorio, quella cui hanno da sempre riposto fiducia e affidato risparmio;
   al problema dei piccoli privati si aggiungono «circa diecimila piccoli imprenditori di tutta Italia che sono stati trascinati nel salvataggio di Carife, Banca Marche, Carichieti e Banca Etruria, perdendo la totalità dei propri risparmi», secondo quanto denuncia la Comitas, l'associazione delle piccole e microimprese italiane, annunciando iniziative legali a tutela dei risparmiatori. «Si tratta di titolari di piccole attività ai quali le banche, in collegamento ai fidi concessi, hanno caldamente  «suggerito»  azioni e obbligazioni subordinate dei quattro istituti di credito – spiega Comitas – Oggi tali imprenditori, che non sono certo investitori istituzionali ma titolari di piccole aziende e attività commerciali, si ritrovano ad aver perso tutti i soldi investiti»;
   sono stati sollevati dubbi sulla correttezza delle informazioni fornite agli azionisti al momento della sottoscrizione delle azioni e delle obbligazioni. L'Aduc precisa: «Non è assolutamente giusto equiparare un obbligazionista subordinato con un'azionista. Le obbligazioni subordinate, in massima parte, sono state piazzate ai risparmiatori senza che fossero neppure minimamente a conoscenza della differenza fra obbligazionisti subordinati e non. Molto spesso sono state vendute queste obbligazioni a chi aveva un profilo di rischio totalmente inadeguato al tipo di strumento. Per mesi e mesi non si è fatta la dovuta informazione e trasparenza verso questi obbligazionisti». Anche Federconsumatori evidenzia che «i soggetti coinvolti sono per lo più di persone con età elevata che hanno investito il proprio tfr o i risparmi’ della pensione. Alcune segnalazioni testimoniano la disperazione di investitori di oltre ottant'anni che hanno investito in strumenti dal potenziale pericoloso e che difficilmente hanno compreso, al momento della sottoscrizione». Il Codacons aggiunge che «a rispondere dei danni prodotti ai risparmiatori dovranno essere anche quelle banche che hanno proposto agli utenti titoli ad elevato rischio, generalmente piazzati ad investitori istituzionali, senza fornire le dovute informazioni circa la pericolosità degli investimenti» –:
   se il Governo intenda assumere le iniziative di competenze volte ad avviare un monitoraggio per verificare la trasparenza e la corretta informazione sul profilo di rischio di azioni e obbligazioni subordinate che le quattro banche di cui in premessa hanno fornito ai sottoscrittori e assumere ogni opportuna iniziativa di competenza qualora ciò non si fosse verificato. (5-07172)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PARENTELA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in Italia, sul fronte pensionistico, le cose vanno peggio di vent'anni fa. Oggi oltre 2,2 milioni di anziani vivono con pensioni al di sotto di 500 euro e, di questi, circa 1,3 milioni sono ex agricoltori;
   Inac, Anp e Cia in occasione della presentazione a Roma del IV Report Sociale del Patronato promosso dalla Confederazione italiana agricoltori hanno affermato che «con la reintroduzione del sistema contributivo, i futuri pensionati dal primo gennaio 2016 non avranno nemmeno più l'integrazione al minimo, ritrovandosi con assegni "da fame" che toccheranno appena i 294 euro al mese»;
   la situazione è insostenibile e non fa altro che accrescere il disagio sociale, tanto più che, a causa della pressione fiscale (la più alta dei paesi Ocse) e del crollo del potere d'acquisto delle pensioni (già eroso del 30 per cento), oggi il 44 per cento dei pensionati vive in semi povertà e il 10 per cento non riesce neppure a comprare cibo sufficiente e medicine;
   l'Associazione nazionale pensionati (Anp) della Cia, ha già raccolto oltre 100 mila firme in tutt'Italia, presentate, il 18 novembre 2015, alla Presidenza del Senato, per chiedere al Governo l'aumento delle pensioni minime;
   il presidente nazionale dell'Inac, Antonio Barile, ha affermato che «molti nostri anziani saranno costretti a vivere con meno di 10 euro al giorno. Non succedeva dagli anni precedenti al 1957, quando fu finalmente istituita la pensione dei coltivatori diretti». Eppure la sostenibilità per agire sulle pensioni minime c’è: «In Italia, infatti, il rapporto tra la spesa effettiva per le pensioni e il Pil è pari al 10,7 per cento, quindi ampiamente in linea con i Paesi Ue – ha evidenziato il presidente dell'Inac – soprattutto se si considera che da noi i calcoli vengono effettuati sugli importi pensionistici al lordo del carico fiscale, a differenza di quanto accade in altri Paesi tra cui la Germania» –:
   se i Ministri interrogati non intendano arginare con urgenza quella che è a tutti gli effetti un'emergenza sociale assumendo le iniziative di competenza per l'innalzamento delle pensioni minime.
   (4-11357)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 2 dicembre 2015 il Consiglio degli avvocati del circondario del tribunale di Nola ha trasmesso all'interrogante — per il tramite del presidente avvocato Francesco Urraro — una propria delibera del 1o dicembre con la quale si richiede il mantenimento di tutto gli uffici della sede nolana dell'Agenzia delle entrate ed il cui contenuto viene di seguito riportato;
   l'Agenzia delle entrate costituisce uno dei più rilevanti presidi di legalità sul territorio, combinando l'offerta di servizi ai contribuenti alle azioni di contrasto di comportamenti fiscali non corretti;
   la sede di Nola (in provincia di Napoli), che ha competenza su 23 comuni del territorio (Brusciano, Camposano, Carbonara di Nola, Casamarciano, Cicciano, Cimitile, Comiziano, Liveri, Mariglianella, Marigliano, Nola, Ottaviano, Palma Campania, Roccarainola, San Gennaro Vesuviano, San Giuseppe Vesuviano, San Paolo Bel Sito, San Vitaliano, Saviano, Scisciano, Terzigno, Tufino, Visciano) è attualmente strutturata in: a) un ufficio territoriale, che svolge compiti di servizio ed assistenza (attivazione di codici fiscali e partite IVA, controlli sulle irregolarità formali o di minor rilievo sulle dichiarazioni dei redditi, servizi catastali, registrazione di atti pubblici, privati, giudiziari e altro); b) un ufficio controlli, che attualmente ha competenza e svolge azioni di contrasto e prevenzione dell'evasione fiscale su imprese con volume, d'affari fino a 5 milioni di euro e lavoratori autonomi; c) un ufficio legale, che gestisce la fase di mediazione e contenzioso sugli atti delle altre due articolazioni e di Equitalia. Tale sede è attualmente ubicata sulla strada statale 7/bis, altezza chilometro 50,500, e ospita circa 100 dipendenti;
   nell'ottica della spending review, vi sono voci insistenti e fondate di un possibile, prossimo trasferimento quanto meno dell'ufficio controlli e dell'ufficio legale presso la sede di Napoli della seconda direzione provinciale (piazza Duca degli Abruzzi); già altri uffici, in varie regioni d'Italia, hanno dovuto lasciare le sedi precedenti per essere accorpati alle sedi provinciali, e spesso autorità politiche locali, associazioni di categoria ed ordini professionali hanno dovuto contrastare, a volte con successo, le decisioni dell'Agenzia centrale;
   infatti, privare anche solo di alcune prerogative l'Agenzia di Nola comporterebbe: una diminuzione dell'attività di contrasto ai più rilevanti inadempimenti fiscali sul territorio; una diminuzione dei controlli specifici su settori a maggior rischio di pericolosità sociale, anche preventivi a fenomeni di frode o di reati o comportamenti illeciti d'altro tipo (riciclaggio, lavoro nero, concorrenza sleale nelle attività economiche); un rischio della riduzione del gettito dell'addizionale comunale proveniente dagli accertamenti emessi; un diradamento dei rapporti con uffici della procura, della guardia di finanza, dell'INPS presenti nel comune di Nola; una maggiore difficoltà di rapporti tra gli uffici controlli e legale con l'utenza qualificata (iscritti dei consigli dell'Ordine di Nola di commercialisti, avvocati e consulenti del lavoro); una maggiore difficoltà nel rapporto diretto e collaborazione con gli uffici dei comuni (anagrafe, attività produttive, messi notificatori);
   gli uffici controlli e legale dell'Agenzia sono e devono essere interlocutori istituzionali privilegiati per argomenti di forte rilievo ed impatto socio-economico, in una realtà con problematiche specifiche molto rilevanti. Da informazioni assunte, sul territorio che gravita intorno all'ufficio di Nola vivono complessivamente quasi 250.000 persone e sono attive ben 38.000 partite IVA; inoltre, negli ultimi anni l'ufficio di Nola ha anche dato un contributo all'educazione civica dei giovani col progetto «Fisco & Scuola» (dalle elementari alle superiori);
   peraltro, non è da trascurare il timore che, in un'ottica di lungo periodo, la riduzione del personale in corso potrebbe portare al rischio della chiusura anche dell'ufficio territoriale, come già accaduto a molti altri uffici territoriali nazionali, con gravi ripercussioni per tutta l'utenza, ed in particolare per quella più disagiata;
   infine, si fa notare che, all'interno della seconda direzione provinciale di Napoli ricade anche l'ufficio di Castellammare di Stabia, che, contrariamente a quello di Nola, gode di una specifica autonomia in riferimento alla sezione controlli, e ha un capo ufficio preposto in sede, nonostante sia il bacino d'utenza che la realtà economica siano paragonabili, per rilevanza, a quelli dell'ufficio di Nola –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto evidenziato in premessa e se non ritenga doveroso attivarsi, per quanto di competenza, affinché sia accantonato ogni eventuale progetto finalizzato al depotenziamento delle funzioni della sede di Nola dell'Agenzia dell'entrate.
(4-11359)


   GUIDESI e GRIMOLDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Giuseppe Sala, commissario unico ed amministratore delegato di EXPO spa, il 29 ottobre 2015 è stato nominato dal Governo componente del consiglio d'amministrazione della Cassa depositi e prestiti, al posto della dimissionaria Isabella Seragnoli;
   la nomina, in coincidenza con la chiusura dell'esposizione universale, e mentre pubblicamente il Partito del Presidente del Consiglio sta discutendo della possibilità di candidare Giuseppe Sala per la carica di sindaco di Milano, suscita alcune perplessità, tanto che, secondo alcuni commenti di stampa, le dimissioni della Seragnoli potrebbero essere state addirittura sollecitate per creare una posizione vacante;
   Cassa depositi e prestiti rappresenta una società pubblica di eccezionale importanza, fortissimo strumento di azione del Governo in campo economico. La Cassa potrebbe avere un ruolo primario nell'annunciata decisione del Governo di entrare nel capitale di Arexpo, società che gestisce i terreni su cui si è svolta l'esposizione universale e destinati alle opere di riconversione in fase di definizione;
   dal comunicato della Cassa depositi e prestiti Giuseppe Sala risulta essere diventato componente del consiglio di amministrazione in base ad una procedura di cooptazione;
   lo statuto della società tuttavia prevede un sistema di nomina dei componenti del consiglio di amministrazione basato su un sistema di liste presentate dai soci in assemblea, con adeguato preavviso volto a garantire trasparenza sulle modalità di scelta e verifica dei requisiti, compresi quelli dell'alternanza di genere; il medesimo statuto prevede inoltre che «Se nel corso dell'esercizio vengono a mancare uno o più amministratori, si provvede alla sostituzione, ai sensi dell'articolo 2386 del codice civile, nel rispetto delle disposizioni di legge e regolamentari vigenti in materia di equilibrio tra i generi, fino alla prossima Assemblea, scegliendoli, ove ciò sia possibile, tra quelli appartenenti alla medesima lista di quelli da sostituire»;
   come ha affermato lo stesso Sala, la cooptazione in Cassa depositi e prestiti non esclude la eventuale candidatura a sindaco del capoluogo lombardo. Resta da verificare sei due ruoli, amministrativo e manageriale, in seguito alla possibile elezione, risultino compatibili, alla luce dello statuto della Cassa depositi e prestiti e della normativa in vigore in materia, in particolare il decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, (disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190), di recente emanazione, in base al quale non sono ancora stati esaminati casi analoghi a quello che investirebbe il dottor Sala –:
   in base a quale procedura sia stato definito l'ingresso del dottor Giuseppe Sala nel consiglio di amministrazione di Cassa depositi e prestiti e se siano stati rispettati i criteri previsti dalla legge e dallo statuto della Cassa depositi e prestiti in materia di trasparenza, di rispetto dell'equilibrio di genere e di riferimento primario alle liste presentate in assemblea;
   a quanto ammontino complessivamente, al momento, i trattamenti economici omnicomprensivi percepiti dal dottor Giuseppe Sala da parte di società a partecipazione statale. (4-11379)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la «Relazione per Paese relativa all'Italia 2015 comprensiva dell'esame approfondito sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici» (COM(2015) 85 final) del 18 marzo del 2015, valuta l'economia dell'Italia alla luce dell'analisi annuale della crescita della Commissione europea;
   nel marzo 2014 la Commissione europea aveva concluso che l'Italia registrava squilibri macroeconomici eccessivi, che imponevano un monitoraggio specifico e un'azione politica vigorosa;
   dal paragrafo relativo a «Industrie di rete e infrastrutture» si evince che in Italia il settore dei trasporti presenta ancora gravi carenze soprattutto per le infrastrutture e maggiori inefficienze si verificano nel settore dei servizi di trasporto locale e regionale, in cui operano circa il 28 per cento delle imprese che prestano servizi pubblici locali;
   tra le inefficienze del settore stradale si evidenzia considerevole eccesso di offerta, elevata evasione del biglietto, frammentazione (il principale operatore in Italia ha 12.000 dipendenti a fronte 120000 nel Regno Unito) e investimenti insufficienti nella flotta. Le imprese italiane registrano minori entrate per chilometro rispetto alle loro omologhe di Regno Unito, Germania, Francia, Svezia, Belgio e Paesi Bassi (1,08 euro/chilometro contro una media di 1,34 euro) e ricevono sovvenzioni pubbliche superiori (2,2 euro/chilometro rispetto a una media di 1,4 euro);
   tra le inefficienze del settore ferroviario, si evidenzia che la maggior parte dei contratti di servizio pubblico tra l'operatore storico (ossia Trenitalia) e le regioni è scaduta alla fine del 2014 e l'assenza di un quadro strutturato per procedure di gara concorrenziali esclude un reale miglioramento della concorrenza nel settore. L'importo versato dallo Stato a compensazione dell'obbligo di servizio pubblico è tuttavia relativamente basso, con 12  euro per 1.000 passeggeri/chilometro contro una media dell'Unione europea di circa 60  euro per 1.000 passeggeri/chilometro. Inoltre, gli aiuti pubblici per lo sviluppo di infrastrutture ferroviarie si sono più che dimezzati fra il 2009 e il 2012, passando da oltre 8 miliardi di euro a meno di 4 miliardi di euro;
   viene inoltre specificato che il commercio dell'Italia trarrebbe un notevole vantaggio da migliori infrastrutture portuali. La mancanza di collegamenti intermodali con l'entroterra resta una delle principali cause di inefficienza. La situazione è particolarmente difficile nelle regioni meridionali, dove ad esempio solo l'8 per cento degli attracchi sono collegati alla rete ferroviaria interna contro una percentuale del 48 per cento al Nord. Il funzionamento dei porti risente altresì della lunghezza e onerosità delle procedure amministrative e doganali e dell'insufficiente coordinamento e pianificazione strategica dello sviluppo portuale –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda adottare al fine di risolvere le inefficienze evidenziate in premessa sui settori stradale, ferroviario e intermodale per i porti. (4-11365)


   RIZZETTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha concesso un contributo di 9,83 milioni di euro pari circa al 10 per cento dell'appalto per il progetto del porto di Catania, relativo ai lavori di «Costruzione Nuova Darsena commerciale a servizio del traffico ro-ro e container» inserito nel programma «Risorse Liberate» del PON trasporti 2000-2006;
   il credito vantato dall'impresa esecutrice Tecnis è variato nel tempo in relazione all'emissione degli stati di avanzamento dell'opera già realizzata e dei relativi pagamenti;
   il protocollo d'intesa siglato il 7 agosto 2012 tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la regione siciliana, le autorità portuali di Augusta e Catania, e la Società interporti siciliani, regola gli interventi finalizzati al potenziamento commerciale e del trasporto intermodale delle merci nel quadrante Sud-Orientale della Sicilia e ribadisce l'esigenza di attribuire precise specializzazioni dei porti di Catania e Augusta per valorizzare le attività e gli investimenti determinando una sinergia rivolta a creare un sistema di attività comuni e la loro messa a sistema per le infrastrutture esistenti e gli investimenti futuri, nonché realizzare, in concreto, il perseguimento di sinergie e complementarietà. Tuttavia, l'autorità portuale di Catania non intende trasferire il traffico rinfuse e container al porto di Augusta;
   l'articolo 3 del predetto protocollo d'intesa impegna il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a presiedere il tavolo tecnico e convocare le riunioni ogni qualvolta lo ritenga necessario o su richiesta degli altri componenti del tavolo;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, da ormai un anno, lavora al nuovo piano dei porti che mira alla riduzione delle autori a portuali da 23 a 14 e per la Sicilia orientale si è parlato di accorpare Messina, Catania e Augusta. Considerando che Augusta è il porto CORE della rete TEN-T a livello europeo, è evidente che la stessa dovrebbe essere sede del costituendo sistema portuale –:
   quale sia il costo definitivo della «costruzione della nuova Darsena a servizio del traffico ro-ro e container» nonché il dettaglio delle voci di finanziamento per 100 milioni di euro di cui solo 9,83 milioni a valere sul PON trasporti, su fondi del CIPE e fondi propri, legati al percorso di finanziamento e gestione del progetto per accertare che siano risultati regolari;
   quale sia l'ammontare delle riserve avanzate dalla società Tecnis e se le stesse siano state accolte o meno dall'ente appaltante;
   se il Ministro intenda convocare il tavolo tecnico per sollecitare le specializzazioni dei porti di Catania e Augusta come previsto dal protocollo d'intesa del 7 agosto 2012;
   quali strategie di sviluppo per l'economia territoriale verranno perseguite a seguito degli accorpamenti previsti dal piano dei porti;
   quali criteri di nomina e scelta dei nuovi distretti portuali saranno adottati. (4-11369)


   GREGORI e FASSINA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come riferito dalla stampa, il 10 dicembre 2015, la compagnia multinazionale attiva nell'innovazione digitale e dei trasporti, Uber, lancerà il servizio Linea U, attivo presso la città di Roma, otto fermate collegate attraverso il servizio Ncc; 
   il servizio che Uber si appresta a lanciare presenta, a giudizio degli interroganti, una serie di criticità sia in merito agli aspetti della concorrenza in un settore particolarmente delicato come quello dei trasporti pubblici locali, ancora di più in una città come Roma e in un periodo quale quello dell'anno giubilare, sia in merito agli aspetti giuridici legati alla piattaforma di Uber;
   ancora di recente, il tribunale di Milano ha confermato il blocco in tutta Italia della app UberPop, che permette a tutti di trasformarsi in tassisti, respingendo il reclamo nel merito presentato dalla multinazionale;
   secondo i giudici, UberPop può essere «rischioso» soprattutto per i giovani, che costituiscono una buona fetta del suo pubblico. Nel verdetto, si legge che «né al potenziale cliente vengono fornite notizie circa lo stato dell'auto che passerà a prenderlo (vetustà, pregressi incidenti, revisioni) e neppure circa la persona che sarà alla guida, con particolare riferimento alla sua età, anzianità e status della sua licenza di guida, dell'integrità psico-fisica». «Uber – osserva il Tribunale – non si preoccupa di eseguire verifiche iniziali e ripetute periodicamente nel tempo, neppure a campione: tutto è affidato alla volontarietà di colui che si offre come autista». Queste considerazioni, argomentano i giudici, «assumono un peso ancora maggiore ove si consideri che il pubblico di Uber è un pubblico notoriamente giovane»;
   tali aspetti si aggiungono alle criticità già particolarmente gravi che coinvolgono il trasporto pubblico locale a Roma e le aziende di trasporti Atac, Roma Tpl e il relativo indotto;
   particolarmente grave è la situazione dei dipendenti del settore del trasporto pubblico locale di Roma Tpl. Secondo quanto risulta agli interroganti, dopo 18 mesi di stipendi erogati con discontinuità, a volte anche con 2 mesi di ritardo, ad oggi il ritardo nel pagamento degli stipendi è di 24 giorni;
   a fronte dei segnali inviati dai sindacati e associazioni da oltre 3 anni, di disservizi a danno degli utenti e degli abusi nei confronti dei lavoratori senza stipendio, l'ente locale, secondo gli interroganti non può, oggi, semplicemente continuare a dire che la situazione è stata sanata –:
   se il Governo non intenda intraprendere iniziative, per quanto di competenza, volte a verificare la compatibilità del servizio Uber Linea U con la normativa che regola il trasporto pubblico;
   se non s'intenda altresì valutare, per quanto di competenza, la convocazione di un tavolo di crisi volto ad affrontare le criticità legate al trasporto pubblico locale di Roma Capitale, anche in considerazione dell'apertura del Giubileo della Misericordia. (4-11373)


   GULLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è prevista la riforma del sistema portuale italiano;
   tra gli obiettivi vi è quello di rendere più competitivi i servizi portuali e logistici attraverso un migliore coordinamento nonché la fusione, le aggregazioni e lo sviluppo di sinergie tra le diverse realtà portuali, anche attraverso un più efficace collegamento con i porti stranieri per attrarre nuovi traffici destinati ai corridoi europei;
   tali presupposti appaiono chiari, logici e condivisibili nelle linee generali;
   sembrerebbe che vi sia l'intenzione di procedere ad un accorpamento dell'autorità portuale di Messina con ruolo subalterno ad altre autorità siciliane meno competitive;
   parrebbe inoltre che vi sia l'intenzione di stabilire la sede ad Augusta e presidenza a Catania;
   l'autorità portuale di Messina non può essere considerata subalterna alle altre, visto che appartiene ad un corridoio europeo e ha oltre 35 milioni di euro in attivo; Messina ha un numero di dipendenti, 29, tale da poter adeguatamente gestire l'area, per crocieristi che conta oltre 500 mila presenze. È attualmente il primo porto italiano passeggeri ed uno dei principali in Europa, è inclusa nel corridoio europeo Helsinki-La Valletta e gestisce i collegamenti con le Eolie. Per le merci, Messina è in quattordicesima posizione tra i porti italiani. Inoltre, Messina ha un raccordo ferroviario pronto ed adeguato al traffico;
   l'applicazione dei suddetti criteri di riforma, quindi, si rivelerebbe incoerente qualora trovasse attuazione la scelta di aggregare l'autorità portuale di Messina ad altre con transiti, potenzialità e servizi minori, attribuendole un ruolo secondario;
   accorpare Messina ad altri porti siciliani determinerebbe un evidente contrasto con i principi ispiratori della riforma, nonché con ogni principio aderente ai concetti di «spending review», di efficienza ed efficacia. Anche nell'ottica di attrarre finanziamenti europei tale scelta non appare coerente, poiché le logiche di rilevanza comunitaria privilegiano le azioni integrative e di razionalizzazione, oltre che quelle di risparmio;
   nell'ottica dei principi del decreto «Salva Italia» e delle logiche europee precedentemente descritte, l'alternativa più logica, nel quadro di politiche di integrazione che valorizzino la razionalizzazione tra le diverse strutture portuali e nel rispetto dei principi effettivi che ispirano l'attuale riforma, sarebbe quella di creare un'unica autorità portuale dello Stretto;
   l'interesse di tali scelte non è solo dei messinesi e di tutto il Paese; infatti, in un momento particolare di crisi, come quello che si sta vivendo non si può pensare a logiche di predominio interno in ambito italiano, ma bisogna proiettarsi in modo da essere competitivi in ambito extranazionale –:
   quali iniziative il Ministro intenda assumere per:
    a) razionalizzare l'accorpamento delle autorità portuali in modo da prevedere che queste siano competitive nell'ambito delle aree portuali europee e mediterranee;
    b) valorizzare le enormi potenzialità dell'autorità portuale di Messina;
    c) creare un'unica autorità portuale dello Stretto. (4-11377)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOMBARDI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la polizia postale e delle comunicazioni assolve alla funzione di vigilare sull'osservanza delle leggi e dei regolamenti in materia di telecomunicazioni e sull'uso distorto delle tecnologie, nonché di impedire che esse divengano veicolo di illegalità; essa contrasta infatti tutti i reati che avvengono per mezzo della rete informatica e telefonica (ad esempio stalking, molestie, cyber bullismo, clonazioni);
    la polizia postale e delle comunicazioni, attraverso il servizio centrale, una sezione distaccata a Napoli presso l'Autorità per le garanzie delle comunicazioni, 20 compartimenti regionali e 76 sezioni provinciali, assicura una presenza articolata e diffusa in tutto il territorio; fenomeni come la pedofilia on-line, gli attacchi a sistemi informatici, le truffe perpetrate grazie all'utilizzo fraudolento di codici di carte di credito o di debito, sono alcuni esempi delle attività delittuose che vengono contrastate dal personale della specialità;
   inoltre, la polizia postale adempie al dovere di formazione dei bambini con riferimento all'utilizzo consapevole di internet, allo scopo di difenderli dal rischio di imbattersi in soggetti psicologicamente deviati;
   i compartimenti e le Sezioni sono ospitati da Poste Italiane, che finanziano anche apparecchiature e software, pertanto non gravano sul bilancio dello Stato, ma costituiscono un servizio a costo zero;
   stando alle fonti di stampa, appare imminente la proposta di questo Governo di chiudere tutte le sezioni provinciali della Polizia delle comunicazioni, ad eccezione di quelle presenti nelle sedi di Corte di appello, al fine di una asserita razionalizzazione delle risorse umane e logistiche; sembrerebbe anche che l'obiettivo ultimo sia quello di arrivare progressivamente ad istituire solo tre maxi compartimenti: uno per il Nord, uno per il Centro e uno per il Sud; oppure, in alternativa, al Nord e al Centro, oltre gli uffici Compartimentali previsti presso i capoluoghi di regione, rimarrebbero solamente Brescia e L'Aquila, mentre al sud Salerno, Lecce, Messina, Caltanissetta; si tratta di un taglio del tutto scriteriato, dato che non si considerano i diversi fattori di criminalità presenti sul territorio, né la situazione economica né la posizione geografica;
   tuttavia simili progetti non possono essere condivisibili, come dimostrano le osservazioni seguenti;
   non ne deriverebbe un effettivo risparmio economico, dato che ad oggi le spese sono a carico di Poste italiane, ma — al contrario — si disperderebbero competenze e specializzazioni;
   negli ultimi anni, oltre a tutti i corsi di specializzazione e di aggiornamento specifici per ciascun settore, sono stati effettuati ben 21 cicli di specializzazione e addestramento al Centro addestramento della polizia di Stato di Cesena, ove il personale delle specialità della Polizia di Stato, proveniente da tutto il territorio nazionale, è stato inviato con notevoli sacrifici personali e costi in termini economici per la collettività, per frequentare il corso di interspecialità, ove operatori della polizia stradale, ferroviaria, postale e delle comunicazioni e di frontiera, studiando fianco a fianco hanno conseguito l'interspecialità; ed ora con un colpo di spugna si vorrebbero azzerare le specificità;
   abolire i compartimenti regionali ed istituire in tutte le province – compresi i capoluoghi di regione – l'interspecialità stradale, ferroviaria, postale e delle comunicazioni e di frontiera, dirette da un solo dirigente, quattro funzionari (uno per ogni specialità), con in condivisione un unico centralino, archivio, segreteria, auto di servizio e locali genererebbe un notevole risparmio sugli affitti, recuperando uomini e incrementando l'efficienza dei servizi resi al Paese;
   i cittadini italiani hanno diritto ad usufruire di un livello di sicurezza uniforme, senza discriminazioni di territorio, che svantaggerebbero quelle province che non siano anche sede di corte di appello; è infatti facile immaginare che tutte le province colpite dalla scure governativa, saranno più appetibili e vulnerabili agli attacchi criminali;
   i pochi uffici rimanenti, che già oggi hanno difficoltà a fronteggiare il crescente numero di reati informatici commessi, collasseranno operativamente, vedendosi affluire tutto il carico di lavoro delle sezioni soppresse, a discapito della sicurezza dei cittadini;
   l'attività di prevenzione e repressione dei reati deve avvenire direttamente sul territorio presidiato per essere davvero tempestiva ed efficace;
   il rischio che si corre è quello di estromettere dalla specialità della Polizia delle comunicazioni centinaia di operatori preparati e professionalizzati per indirizzarli in altri uffici per i quali non hanno la stessa competenza ed efficacia operativa;
   non solo, il pericolo è che i costi aumentino anziché diminuire, poiché oggi le spese per la strumentazione e per gli immobili sono tutte sostenute da Poste italiane;
   dunque, il tentativo di far passare la manovra per un progetto di rimodulazione finalizzato al miglioramento dei servizi non trova, ad avviso dell'interrogante, alcun riscontro oggettivo, se non quello di segno opposto che palesa una chiara, evidente e netta sforbiciata nello sterile spirito della spending review;
   la questione che si vuole porre riguarda il prezzo che la sicurezza degli italiani deve pagare per quelli che all'interrogante appaiono i millantati risparmi del Governo;
   nel nostro Paese i reati aumentano e la tensione sociale sale alle stelle; i recenti tragici avvenimenti di Parigi dimostrano che è necessario investire sulla prevenzione e sulla repressione dei reati, specie di quelli telematici –:
   se trovi conferma il progetto di smantellamento della polizia postale riportato dagli organi di stampa;
   se non reputino assolutamente controproducente, sia a livello finanziario che per quanto riguarda la sicurezza dei cittadini, ridurre senza criteri i servizi di polizia postale. (4-11361)


   RICCIATTI, COSTANTINO, FAVA, MELILLA, DURANTI, QUARANTA, NICCHI, PIRAS, SANNICANDRO, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, PLACIDO e AIRAUDO. — Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:

   l'agenzia di stampa Ansa ha riportato in data 2 dicembre 2015 la notizia di una maxioperazione dei carabinieri del Ros di Ancona, coordinata dalla direzione distrettuale antimafia, che ha portato all'esecuzione di 12 ordinanze di custodia cautelare e un fermo per una serie di rapine, un tentato omicidio, incendi, furti, estorsione, spaccio di droga e sequestro di persona, commessi fra le province di Macerata, Fermo, Ancona e Pesaro;
   l'operazione ha portato, inoltre al sequestro di 25 chilogrammi di hashish, un chilo di cocaina, tre pistole e alcune divise simili a quelle della guardia di finanza;
   l'episodio, come diversi altri segnalati nel corso degli ultimi due anni dall'interrogante, indice di una preoccupante, attività della criminalità organizzata nel territorio marchigiano, sulla quale il Ministro interrogato non ha ancora fornito chiarimenti, nonostante le diverse richieste avanzate con atti di sindacato ispettivo –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno fornire un quadro esaustivo della presenza e delle attività criminali di stampo mafioso nelle Marche;
   quali iniziative di competenza sul piano della prevenzione, intenda adottare al fine di un più efficace contrasto al fenomeno. (4-11363)


   ANDREA MAESTRI, PASTORINO, BRIGNONE e CIVATI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 18 novembre 2008, con Gazzetta Ufficiale, IV serie speciale concorsi ed esami, n. 90, è stato indetto un concorso pubblico, per titoli ed esami, a 814 posti nella qualifica di vigili del fuoco del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   il 5 ottobre 2010, nel bollettino ufficiale del personale del Ministero dell'interno n. 1/32, è stata pubblicata la graduatoria definitiva (che rettificava quella già pubblicata in data 16 luglio 2010), del suddetto concorso pubblico;
   nel corso degli anni da questa graduatoria si è attinto per meno di 1/3, e questo a causa della spending review e del blocco del turn over. A questo esiguo numero va tolto il 50 per cento delle assunzioni dirette a personale proveniente da un'altra graduatoria, quella della stabilizzazione, contravvenendo così al dettato costituzionale che vuole l'accesso solo per pubblico concorso, causando un ingolfamento del sistema e rallentando ancora di più lo scorrimento della graduatoria;
   i risultati idonei al concorso del 2008 di vigili del fuoco, ma non ancora assunti, dopo anni di attesa e  sacrifici, sono giustamente preoccupati perché è prevista la chiusura delle graduatoria al 31 dicembre 2016 e l'apertura di un nuovo concorso, nonostante la presenza di oltre 4 mila giovani idonei disponibili a essere assunti;
   a tal proposito si ricorda che il Consiglio di Stato con sentenza dell'adunanza plenaria n. 14 del 28 luglio 2011, aveva affermato che lo scorrimento delle graduatorie preesistenti e vigenti dovesse rappresentare la regola, mentre l'indizione di un nuovo concorso avrebbe dovuto costituire l'eccezione, che richiedesse perciò un'approfondita motivazione, che tenesse conto del sacrificio imposto ai concorrenti idonei e fosse motivato da preminenti esigenze di interesse pubblico;
   il cosiddetto «decreto-legge D'Alia», decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni, all'articolo 4, comma 3, aveva stabilito che le amministrazioni dello Stato fossero autorizzate ad avviare nuove procedure concorsuali solo «dopo aver assunto tutti i concorrenti già dichiarati idonei, ma non vincitori, in concorsi le cui graduatorie siano ancora vigenti»;
   con la legge 125 del 30 ottobre 2013 è stato convertito il decreto-legge 101 del 2013, riguardante misure di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni. La conversione innova anche in tema di graduatorie di concorso: l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di ricorrere alle graduatorie vigenti viene ampliato ulteriormente rispetto alle disposizioni del decreto n. 101; viene infatti previsto, nel nuovo comma 3 dell'articolo 4 che:
    a) le amministrazioni dello Stato possono essere autorizzate a bandire nuovi concorsi solo se siano stati immessi in servizio tutti i vincitori per assunzioni a tempo indeterminato «per qualsiasi qualifica»;
    b) la stessa autorizzazione (per un nuovo concorso) possa intervenire solo se nella medesima amministrazione non ci sono idonei in graduatorie di concorso approvate successivamente al 1o gennaio 2007, relativamente a professionalità necessarie anche secondo un criterio di equivalenza;
   la legge n. 125 del 30 ottobre 2013 innova in un punto fondamentale: viene distinta l'ipotesi che le graduatorie da cui attingere e vigenti comprendano vincitori di concorso oppure solo idonei. Nel primo caso, basta che siano presenti vincitori di concorso «per qualsiasi qualifica» non ancora assunti nell'amministrazione procedente, che la procedura di autorizzazione si blocca. Qualora invece vi siano graduatorie esistenti ma solo con presenza di idonei, le stesse vanno ugualmente esaurite prima di indire nuove procedure di assunzione; in tal caso, però, le graduatorie da tenere in considerazione sono quelle relative a profili ritenuti equivalenti;
   altra modifica degna di rilievo è relativa alla durata delle graduatorie stesse: si fa riferimento a quelle approvate dopo il 1o gennaio 2007 (il decreto n. 101 faceva riferimento a quelle dal 1o gennaio 2008). Questa innovazione temporale riguarda solo le graduatorie di idonei, mentre per i vincitori di concorso non vi sono limiti temporali (le graduatorie vigenti ad oggi sono tutte quelle approvate successivamente al 30 settembre 2003);
   le amministrazioni dello Stato possono quindi bandire nuovi concorsi solo se:
    a) abbiano assunto tutti i propri vincitori di concorso, con riferimento a tutti i profili professionali e a tutte le graduatorie vigenti successivamente al 30 settembre 2003;
    b) abbiano assunto anche gli idonei delle proprie graduatorie, ma solo se successivamente al 1o gennaio 2007 e sfilo per i profili ritenuti equivalenti con la procedura concorsuale da attivare –:
   se trovi conferma la data di chiusura della graduatoria a 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e come si intenda rispondere alla legittima richiesta degli idonei al concorso di rispettare la normativa vigente. (4-11374)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VACCA, SIMONE VALENTE, MARZANA, D'UVA, BRESCIA, DI BENEDETTO e LUIGI GALLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la figura di direttore dei servizi generali ed amministrativi del comparto scuola è stata definita nel contratto collettivo nazionale del lavoro del 26 maggio 1999 a far data dal 1o settembre 2000;
   ai sensi dell'articolo 34 del, contratto collettivo nazionale del lavoro del 26 maggio 1999 a tale ruolo poteva accedere, in prima applicazione, il personale con contratto a tempo indeterminato del profilo professionale di responsabile amministrativo in servizio nell'anno scolastico 1999-2000 nelle scuole di ogni ordine e grado e delle istituzioni educative e nei conservatori ed accademie, previa regolare frequenza di apposito corso Modulare di formazione con valutazione finale;
   nell'articolo 8 del contratto collettivo nazionale del lavoro del 15 marzo 2001 è stata prevista la norma per definire la condizione economica dei direttori dei servizi generali ed amministrativi applicando il meccanismo della temporizzazione;
   per i direttori dei servizi generali ed amministrativi poteva essere applicato quanto disposto dall'articolo 66, comma 6, del CCNL 1995 ai sensi del quale «restano confermate, al fine del riconoscimento dei servizi di ruolo e non di ruolo eventualmente prestati anteriormente alla nomina in ruolo e alla conseguente stipulazione del contratto individuale di lavoro a tempo indeterminato, le norme di cui al decreto-legge 19 giugno 1970, n. 370, convertito, con modificazioni dalla legge 26 luglio 1970, n. 576, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché relative disposizioni di applicazione, così come definite dall'articolo 4 decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 399»; tale disposizione – articolo 66 – che espressamente richiama l'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 399 del 1988, è stata da ultimo confermata dall'articolo 142 del CCNL del 24 luglio 2003 secondo cui «continua a trovare applicazione nel comparto scuola l'articolo 66, commi 6 e 7 del contratto collettivo nazionale del lavoro del 4 agosto 1995». Tale norma dispone che «ai fini dell'inquadramento contrattuale, l'anzianità giuridica ed economica del personale dei servizi ausiliari tecnici ed amministrativi è determinata valutando anche il servizio pre-ruolo, comprensivo dell'eventuale servizio di ruolo in carriera inferiore, nella misura prevista dall'articolo 3 del decreto-legge 19 giugno 1970, n. 370, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 luglio 1970, n. 576, e successive modificazioni ed integrazioni. Restano ferme le anzianità giuridiche ed economiche riconosciute dalle vigenti disposizioni, se più favorevoli»;
   il quadro normativo viene precisato con il successivo contratto collettivo nazionale del lavoro 24 luglio 2003, secondo il quale viene espressamente garantito a tutti i dipendenti del comparto scuola l'applicazione della disciplina di legge in materia di ricostruzione di carriera ed accesso ad un inquadramento superiore del personale ATA stabilendo, nell'articolo 142, che continua a trovare applicazione per il comparto scuola, tra le altre disposizioni, l'articolo 66, commi 6 e 7, del CCNL 4 agosto 1995;
   la nota del 19 marzo 2007 del Ministero  ha esplicitamente chiarito che ai direttori dei servizi generali ed amministrativi inquadrati a partire dal 1o settembre 2003 si applica il riconoscimento dell'intera anzianità di servizio per gli effetti dell'applicazione del citato articolo 66 escludendo il personale inquadrato nello stesso profilo antecedentemente alla data del 24 luglio 2003 per i quali continua a trovare applicazione il meccanismo della «temporizzazione», contemplata dal decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 399;
   in tal modo viene a concretizzarsi un trattamento differente tra i direttori dei servizi generali ed amministrativi entrati in ruolo prima del 2003 rispetto a quelli che sono entrati in ruolo in un periodo successivo a tale data. Tale disposizione ha comportato una notevole disparità retributiva a svantaggio dei direttori dei servizi generali ed amministrativi inquadrati prima del 2003, determinando, talvolta, anche la richiesta di restituzione di somme a carico dei direttori dei servizi generali ed amministrativi entrati in ruolo prima del 2003 –:
   se il Ministro intenda attivarsi, per quanto di competenza, per concretizzare una soluzione che, di fatto, annulli la disparità di trattamento economico tra i direttori dei servizi generali ed amministrativi entrati in ruolo prima del 2003 rispetto a quelli entrati in ruolo in un periodo successivo a tale data e che non penalizzi economicamente alcun lavoratore di questo ruolo. (5-07164)


   CHIMIENTI, LUIGI GALLO, VACCA, MARZANA, SIMONE VALENTE, D'UVA, DI BENEDETTO, BRESCIA, TRIPIEDI, COMINARDI, DALL'OSSO, CIPRINI, LOMBARDI e RIZZO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   lo stress da lavoro correlato (SLC) è definito come quello stato, che si accompagna a malessere e disfunzioni fisiche, psicologiche o sociali che consegue dal fatto che le persone non si sentono in grado di superare i gap rispetto alle richieste o alle attese nei loro confronti. È quindi una condizione innescata nell'organismo umano da parte di una fonte o sollecitazione esterna che comporta una serie di adattamenti che, se protratti nel tempo, possono assumere carattere di patologia;
   oltre al decreto ministeriale n. 382 del 1998, anche il decreto-legge n. 81 del 2008, agli articoli 28 e 37, per scongiurare l'affezione allo stress da lavoro correlato, prevede delle misure specifiche che consistono nel riconoscimento di segni e sintomi del disagio, nelle strategie di adattamento allo SLC e il ricorso all'accertamento medico d'urgenza con la visita in collegio medico di verifica (CMV);
   a partire dal gennaio 2011 è obbligatorio, per tutti i luoghi di lavoro nel territorio italiano, effettuare la valutazione dello stress lavoro correlato e, nonostante la figura del docente sia una delle categorie professionali più interessate dallo stress lavoro correlato, a causa dell'usura psicofisica che l'insegnamento comporta, non si è mai provveduto al monitoraggio e prevenzione di questa patologia;
   infatti, dall'adozione del decreto n. 81 del 2008 ad oggi non sono mai stati stanziati fondi per la prevenzione dello stress da lavoro correlato negli istituti scolastici e, la recente legge n. 107 del 2015 cosiddetta «buona scuola» non ha contemplato alcuna misura correttiva rispetto alle omissioni dei precedenti Governi;
   in Europa il problema dello SLC viene studiato approfonditamente ed è oggetto di autorevoli pubblicazioni mediche. Dopo la Francia e il Regno Unito anche la Germania ha pubblicato uno studio relativo allo «stress da cattedra» e, nell'articolo intitolato «Teachers’ Health», pubblicato il 15 maggio 2015 sulla rivista medica «Deutsches Arzteblatt International» gli scienziati, spiegando la ricerca effettuata, evidenziano come i docenti si ammalino di patologia psichiatrica molto di più di tutti gli altri lavoratori;
   il suddetto articolo ribadisce, inoltre, che gli insegnanti risultano la categoria professionale più soggetta a patologie del sistema nervoso con una netta prevalenza delle forme nevrotiche. Manifestando sintomi come esaurimento psicofisico, perdita di concentrazione, amnesie, insonnia, mal di testa, irritabilità, aggressività;
   la ricerca si spinge oltre la semplice fotografia del fenomeno e suggerisce alla politica una serie di interventi urgenti, come l'attivazione di una rete di esperti (psicologo, psichiatra, internista) che devono affiancare il medico di base;
   come riportato nell'articolo intitolato «Stress da cattedra, allarme in tutta Europa. Ma l'Italia fa finta che non esista», pubblicato il 28 novembre 2015 sul quotidiano Repubblica, gli studi italiani condotti in Lombardia e in Piemonte parlano di un 80 per cento di cause psichiatriche per i docenti che vengono dichiarati non più idonei a stare dietro la cattedra;
   nel succitato articolo il dottor Vittorio Lodolo D'Oria, autore di studi scientifici sullo stress da lavoro correlato, relativamente ai docenti italiani dichiara: «Non vengono effettuate ricerche scientifiche atte a individuare i fattori determinanti l'usura psicofisica dei docenti, né adottate misure di prevenzione e monitoraggio dello stress lavoro correlato nella categoria» –:
   quali urgenti iniziative il Governo intenda mettere in atto per la prevenzione dello stress da lavoro correlato negli insegnanti, nei singoli istituti scolastici, e per la relativa formazione dei docenti e dei dirigenti scolastici in modo da dar seguito alle misure di cui al decreto-legge n. 81 del 2008. (5-07168)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRACÌ, ALTIERI, LATRONICO, FUCCI, MARTI e DISTASO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha concluso in data 3 marzo 2006 una convenzione con il comune di Ceglie Messapica, sottoscritta dal direttore generale Afam e dal sindaco pro tempore, stabilendo l'accorpamento dell'Istituto musicale pareggiato di Ceglie Messapica al conservatorio di musica Tito Schipa di Lecce, quale sezione staccata, statizzandolo, al fine di adempiere a quanto stabilito dall'articolo 1-quinquies del decreto legislativo 31 gennaio 2005, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43;
   nell'articolo 6 di tale convenzione si cita lo stanziamento di 141.000,00 euro previsto dal secondo comma dell'articolo 1-quinques del decreto legislativo citato e assegnato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con vincolo di destinazione al funzionamento, ivi compresi gli oneri per il trattamento economico del personale docente con contratto a tempo determinato alla data di stipula della convenzione, restando a carico del comune di Ceglie Messapica tutti gli altri eventuali oneri finanziari, nel limite della spesa già sostenuta dal comune;
   contravvenendo a quanto recita la convenzione, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nel corso degli ultimi anni, ha ridotto notevolmente lo stanziamento per il funzionamento della sezione distaccata di Ceglie Messapica di cui al citato decreto, non ultimo con decreto, protocollo n. 0000904 registrato il 17 novembre 2005 (registrazione Ufficio di Gabinetto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca), a firma sia del Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca, sia del Ministro dell'economia e delle finanze riducendolo a euro 79.209,00 e creando di fatto un notevolissimo disagio al funzionamento della sede del conservatorio di musica di Ceglie Messapica che per altro a tutt'oggi non ha visto il passaggio nei ruoli del personale della sede staccata come era specificatamente previsto dalla convenzione e dalla legge in questione, che stabilivano che gli stessi sarebbero stati inquadrati nei ruoli a seguito dell'incremento della corrispondente dotazione organica, rideterminata nei modi previsti dall'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 28 febbraio 2003, n. 182;
   la mancata adozione del provvedimento interministeriale previsto dalla convenzione impedisce ai docenti di ruolo in servizio presso la sezione staccata di partecipare alla procedura di mobilità sul territorio nazionale; essi non sono abilitati a presentare progetti didattici e di produzione artistica da remunerare con l'assegnazione annuale ministeriale per l'ampliamento dell'offerta formativa, assegnazione che, essendo parametrata sugli indici numerici dell'istituto non contempla le unità in servizio a Ceglie Messapica in quanto le stesse non fanno ufficialmente parte della pianta organica del contratto ma vengono rinnovate con contratto a tempo determinato annualmente. Va rilevato che, a quanto consta agli interroganti, uno di tali docenti, oltre ad aver raggiunto i termini per il pensionamento, ha appena vinto un ricorso legale nel quale chiedeva la soddisfazione di vari suoi diritti e che ha visto la condanna alle spese del conservatorio e anche dal comune di Ceglie Messapica che ad avviso degli interroganti potrebbero costituire titoli di rivalsa nei confronti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca –:
   in quale modo il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca stia provvedendo di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze a dare attuazione a quanto previsto dalla citata convenzione soprattutto se non si ritenga urgente e opportuno rideterminare con immediatezza il finanziamento per il funzionamento della sezione staccata di Ceglie Messapica, riportandolo alla quota prevista dalla convenzione pari ad uno stanziamento di euro 141.000,00 che non può in alcun modo essere ridotto in sede di riparto annuale delle destinazione di spese, riassegnando la differenza tra tale somma e quelle decurtate anche negli ultimi 3 anni. (4-11360)


   BRESCIA, DI BENEDETTO, D'UVA, DE LORENZIS e CARIELLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Accademia delle belle arti di Bari, nata nel 1970 e istituita con decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 1973, n. 1184, è un ente statale che rientra tra le istituzioni che costituiscono la rete dell'Alta formazione artistica musicale coreutica (AFAM) predisposta dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, autorizzato a rilasciare diplomi accademici di primo e secondo livello, rispettivamente equipollenti alle lauree triennali e magistrali;
   nonostante l'elevato numero di iscritti e l'intensa attività formativa che nell'ultimo trentennio ha contribuito a consolidarne la presenza sul territorio grazie a iniziative intraprese in partenariato con l'università degli studi di Bari, le Soprintendenze, i musei e i teatri locali, l'Accademia delle belle arti di Bari sta attraversando una fase di criticità;
   da notizia di stampa pubblicata in data 29 novembre 2015 sul quotidiano on line Il Fatto Quotidiano si apprende che l'Accademia delle belle arti di Bari rischia la chiusura a causa del mancato pagamento di affitti arretrati per una somma pari a 5 milioni di euro da corrispondere alla Città metropolitana di Bari;
   come riportato, inoltre, sul portale www.puglianews24.eu il 25 novembre 2015, il sindaco di Bari Antonio Decaro si è rivolto al sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Angela D'Onghia, chiedendo un incontro urgente al fine di definire un percorso istituzionale, politico e amministrativo che permetta all'Accademia «di accogliere i suoi studenti e svolgere le sue attività in un immobile decoroso e adeguato»;
   oltre alla crisi economica, l'Accademia delle belle arti deve infatti anche affrontare le problematiche relative all'attuale sede in via Giuseppe Re David a Bari, rivelatasi del tutto inadatta e poco funzionale all'accoglienza degli studenti e dei professori, alla realizzazione delle lezioni e all'allestimento dei diversi laboratori artistici;
   dopo aver occupato per undici anni l'ex Monastero di Santa Chiara del comune limitrofo di Mola di Bari ancora sede di alcuni laboratori, nel 2007 l'Accademia si è trasferita nei locali a piano terra e primo piano del palazzone di via Re David che, secondo quanto riportato nell'articolo succitato de Il Fatto Quotidiano, sarebbero insufficienti ad accogliere gli 870 iscritti e costringerebbero i docenti a riproporre le stesse lezioni dalle due alle quattro volte al giorno affinché tutti gli studenti abbiano la possibilità di seguirle;
   inoltre, la biblioteca dell'Accademia, aperta a studiosi esterni e dotata di circa 9000 pubblicazioni tra monografie, cataloghi e riviste di settore, risulta non essere opportunamente fruibile in virtù di alcune limitazioni imposte dai vigili del fuoco, secondo cui sarebbe rischioso l'accesso di più di tre persone per volta perché al di sotto di essa è posizionato il deposito del gasolio del condominio;
   è da anni che si ipotizza uno spostamento dell'Accademia delle belle arti di Bari in una sede più consona all'espletamento delle sue attività, magari dotata di pinacoteca, di uno spazio espositivo, di una gipsoteca e di un archivio storico. Ad oggi, però, non è stata ancora individuata una soluzione vantaggiosa sia dal punto di vista degli spazi che da quello economico;
   il direttore dell'ente, Giuseppe Sylos Labini, auspica che l'Accademia delle belle arti di Bari venga al più presto trasferita in una sede più prestigiosa e rappresentativa che non comporti gli esorbitanti costi di locazione attualmente richiesti, pari a 320.000 euro annui;
   il Presidente, Giancarlo Di Paola, dichiara infatti nell'articolo succitato in riferimento all'Accademia di Bari che si tratta di «un caso unico in Italia, inaudito visto che altre Accademie hanno sedi ben più rappresentative e prestigiose in palazzi nei quali non pagano spese di locazione, ma solo i consumi» –:
   se e quali iniziative intenda adottare per quanto di competenza, affinché possano essere individuate le cause che impediscono all'Accademia delle belle arti di Bari di adempiere al pagamento degli affitti arretrati, verificando quali siano state le spese sostenute dall'ente negli ultimi anni a fronte degli introiti costituiti dai contributi versati dagli studenti e dai finanziamenti statali;
   quali iniziative intenda assumere al fine di individuare al più presto una sede idonea che permetta all'Accademia delle belle arti di Bari di portare avanti la propria attività formativa e che consenta agli studenti iscritti di proseguire il loro percorso di studi in aule e laboratori funzionali. (4-11370)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Saeco di Gaggio Montano, storica azienda produttrice di macchinette da caffè è stata acquisita dalla Philips nel 2009;
   in questi anni si è assistito alla chiusura di aziende come il polo cartario di Lama di Reno e di Marzabotto, che occupavano più di 500 lavoratori e oggi siamo in presenza di una profonda crisi alla ex Demm di Porretta Terme, con decine di aziende artigianali che hanno chiuso e le incertezze che ancora insistono sul futuro delle Terme di Porretta;
   si è protagonisti passivi della desertificazione industriale e artigianale dell'Alta e Media Valle del Reno, e l'unico modo per combatterla è scongiurare un'ulteriore perdita di posti di lavoro così importante per montagna emiliano-romagnola;
   sono più di 500 i lavoratori oggi in forza alla Saeco di Gaggio Montano, nell'alto Appennino bolognese, impegnati nella produzione di macchine per il caffè in un'azienda leader sul piano europeo in un settore rappresentativo sia del made in Italy sia delle caratteristiche e delle eccellenze produttive regionali, quali le macchine per le trasformazioni agroalimentari e gli elettrodomestici bianchi;
   i numeri degli occupati ed i volumi della produzione hanno rappresentato fino ad oggi un'opportunità fondamentale per l'occupazione, l'economia e le comunità della montagna, costituendo una delle poche possibilità di lavoro dell'area;
   oggi tutto questo viene messo a rischio dalla volontà dell'attuale proprietà della Saeco, la multinazionale olandese Philips, di procedere a 243 esuberi, la metà dei dipendenti, mettendo in ginocchio lavoratori, famiglie, l'indotto, il commercio della zona, interi paesi;
   la scelta sembra essere determinata da una produzione contrattasi nel solo sito dell'Appennino bolognese, ma non certo per una crisi del settore o, a quanto risulta, per scelte strategiche errate; anzi la sede della Saeco aperta in Romania oggi produce circa 400.000 macchine, avendo visto accrescere i propri numeri al contrario di quelli dello stabilimento italiano di Gaggio Montano, poco distante, peraltro, dalla sede di Caffitaly, impresa nata da uno degli originari soci di Saeco ed oggi positivamente impegnata in produzioni analoghe;
   la decisione di licenziare sembra quindi all'interrogante essere determinata, ancora una volta, da mere valutazioni sul maggior profitto che si realizza in aree del mondo e, in questo caso, dell'Unione europea con costi industriali e, soprattutto, del lavoro e con diritti delle maestranze inferiori a quelli italiani;
   sostenere la produzione e l'occupazione della Saeco significa sostenere e difendere il territorio montano, il suo ambiente, la sua comunità, impedirne lo spopolamento e il progressivo invecchiamento, fare in modo che l'Appennino non diventi una zona impoverita e, conseguentemente, più facilmente preda di dissesto e degrado –:
   se il Governo intenda con sollecitudine assumere iniziative per trovare soluzioni per la Saeco di Gaggio Montano;
   quali iniziative il Governo intenda porre in essere al fine di salvaguardare i 243 esuberi e l'economia di un'intera zona dell'Alta e Media Valle del Reno. (5-07159)


   TINO IANNUZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 20, comma 4, della legge n. 102 del 2009 la giunta regionale della Campania, con delibera n. 337 del 2010, ha affidato all'Inps le attività relative all'esercizio delle funzioni concessorie nei procedimenti di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, disabilità, approvando contestualmente lo schema di convenzione per condividere compiti e funzioni con l'Inps, al fine della gestione dei procedimenti per l'erogazione dei trattamenti in argomento;
   in data 26 marzo 2010 è stata sottoscritta la relativa convenzione tra regione Campania ed Inps;
   con successiva legge n. 211 del 2011 (articolo 18, comma 22), è stato disposto che le regioni possono affidare all'Inps, con la stipula di specifiche convenzioni, non solo le funzioni concessorie, ma anche quelle relative all'accertamento dei requisiti sanitari per il riconoscimento delle invalidità;
   l'Inps ha approvato una convenzione quadro per l'affidamento delle suddette funzioni accertative, proponendone la sottoscrizione alle regioni interessate;
   la regione Campania, con delibera di giunta n. 390 del 31 luglio 2012, al fine di razionalizzare la spesa e le funzioni connesse con i procedimenti attribuiti alle commissioni mediche di invalidità, ha deliberato di affidare all'Inps anche questi compiti ai fini dell'accertamento dei requisiti sanitari, ai sensi dell'articolo 18, comma 22, della citata legge 211 del 2011;
   a seguito dell'affidamento delle funzioni accertative, l'Inps ha riorganizzato il sistema di controllo e verifica dei requisiti sanitari, riducendo drasticamente il numero delle Commissioni mediche operanti in Campania, sulla base del protocollo di intesa di natura sperimentale, stipulato in data 28 aprile 2014 fra INPS regione Campania e valido fino a maggio 2016;
   in particolare, nella provincia di Salerno, è stata così limitata la presenza delle strutture di accertamento sanitario soltanto a due sedi operanti, tra l'altro, unicamente nella parte nord del territorio provinciale (Salerno e Nocera Inferiore), lasciando così del tutto scoperta un'area vasta come il Cilento, il Vallo di Diano e la Valle del Calore, la zona degli Alburni e del Tanagro;
   la scelta dell'Inps appare molto penalizzante tanto per i cittadini interessati agli accertamenti medici e colpiti da disagi consistenti, quanto per la regione perché viene vanificato l'intento originario di migliorare il servizio razionalizzando la spesa;
   per effetto di tali scelte tanti cittadini sono costretti ad impiegare diverse ore per raggiungere Salerno con i mezzi di trasporto pubblico e per poter rientrare nel proprio comune;
   ne conseguono pesanti ed ingiustificati disagi per tante persone;
   la rete stradale, che collega le aree a sud della provincia di Salerno con la città capoluogo, è obsoleta e danneggiata, con interruzioni di strade che producono rallentamenti notevoli nei tempi di copertura delle distanze;
   i collegamenti con i mezzi pubblici sono limitati a poche tratte, lasciando quasi isolati i comuni più periferici e dell'entroterra, dai quali occorrono almeno quattro ore di percorrenza solo per raggiungere Salerno e per ritornare in sede;
   l'utenza a cui è rivolto il servizio di accertamento medico – sanitario è costituita da cittadini in difficili e precarie condizioni di salute, ovvero colpiti da gravi situazioni di disabilità;
   occorre, alla luce di queste considerazioni, rivisitare ed incrementare le sedi Inps nei territori provinciali per provvedere agli accertamenti sanitari, come hanno giustamente e motivatamente richiesto numerosi sindaci;
   tale questione è già stata sollevata dall'interrogante con una precedente interrogazione n. 5-04025 del 12 novembre 2014;
   in risposta a tale atto di sindacato ispettivo, il Sottosegretario per il lavoro e politiche sociali Luigi Bobba, nella seduta della XI Commissione lavoro pubblico e privato del 18 febbraio 2015, ebbe a dichiarare che «Tuttavia, comprendendo il disagio manifestato dai cittadini, il Ministero si farà carico di sollecitare l'INPS ad un'eventuale riesame delle scelte già operate»;
   la regione Campania, successivamente, ha attivato una importante iniziativa formale per addivenire alla modifica della convenzione stipulata fra INPS e regione di carattere sperimentale e con scadenza maggio 2016, prevedendo e ripristinando conseguentemente la presenza delle predette commissioni mediche nella zona Sud della provincia di Salerno, nel Cilento e nel Vallo di Diano;
   a tal fine la VI commissione consiliare della regione Campania istruzione, cultura, ricerca, scuola e politiche sociali ha tenuto una apposita e positiva seduta su questa tematica il 19 novembre 2015, con la circostanziata audizione di sindaci dei diversi territori interessati della provincia di Salerno, di rappresentanze delle organizzazioni sindacali, di dirigenti dell'assessorato alle politiche sociali della regione, del direttore regionale della sede INPS della Campania;
   in quella sede istituzionale si è convenuto di convocare con rapidità un «tavolo tecnico» da parte della regione con l'INPS, i sindaci dei territori interessati, le rappresentanze sindacali per normalizzare una proposta di modifica del protocollo d'intesa sopramenzionato fra INPS e regione Campania, destinato a venire a scadenza nel prossimo mese di maggio 2016, al fine di insediare le predette commissioni mediche anche nelle zone a sud della provincia di Salerno, con la massima riduzione dei costi, tenuto conto della volontà dei comuni di porre gratuitamente a disposizione dell'INPS i locali attrezzati a tal fine necessari e dell'impegno della regione Campania a concorrere, anche finanziariamente, alla soluzione della vicenda –:
   quali iniziative il Ministro, nell'esercizio delle sue competenze istituzionali nei confronti dell'Inps ed alla luce della importante e recentissima iniziativa assunta dalla regione Campania e del «tavolo tecnico» di prossimo insediamento da parte della regione medesima, intenda assumere per porre rimedio alla descritta situazione, fonte di tanti disagi e tanti disservizi per le popolazioni salernitane residenti nel Cilento, nel Vallo di Diano, nella Valle del Calore, negli Alburni, nella zona del Tanagro, fortemente e gravemente penalizzate dalla decisione di accentrare e concentrare solamente in due sedi (Salerno e Nocera Inferiore) tutte le molteplici e complesse funzioni relative all'accertamento dei requisiti sanitari per il riconoscimento delle diverse situazioni di invalidità, con la conseguente presenza e ripristino di tali commissioni nella indicata zona Sud della provincia di Salerno, dando così seguito all'impegno assunto nella evidenziata risposta del Governo nella seduta della XI Commissione lavoro pubblico e privato in data 18 febbraio 2015. (5-07161)


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso che la società Saeco, in provincia di Bologna, il cui marchio è stato acquistato nel 2009 dalla multinazionale olandese Philips, ha annunciato 243 licenziamenti, tagli che interesseranno la metà del personale addetto alla produzione di macchinette da caffè ad uso domestico. Alla manifestazione di protesta contro i licenziamenti organizzata dai sindacati, Fim Cisl e Fiom Cgil, il 1o dicembre 2015, oltre alle istituzioni del territorio, si sono uniti per solidarietà ai lavoratori, negozi, scuole e istituti;
   si tratta di una storica azienda produttrice di macchinette per il caffè e si teme la perdita di questa realtà imprenditoriale, che danneggerebbe tutto il territorio, trattandosi di un patrimonio industriale di grande importanza;
   a quanto è dato sapere il Ministro dello sviluppo economico Federica Guidi ha già convocato a Roma la Philips per individuare le possibili soluzioni per evitare i tagli del personale. Intanto, a Bologna continueranno le manifestazioni di protesta con un nuovo presidio degli operai;
   il territorio industriale e artigianale dell'Alta e Media Valle del Reno, negli ultimi anni, già ha assistito ad una moltitudine di gravi crisi aziendali. Pertanto, è fondamentale salvaguardare i posti di lavoro della Saeco, poiché i 243 licenziamenti annunciati dalla Philips-Saeco, se confermati, avranno conseguenze economiche e sociali drammatiche per l'intera vallata del Reno –:
   se e quali iniziative intenda adottare il Governo per salvaguardare i posti di lavoro dei 243 dipendenti della Saeco;
   se e quali iniziative si intendano intraprendere per salvaguardare i livelli occupazionali esistenti e svilupparne di nuovi nel territorio in questione, attraversato da una profonda crisi industriale e artigianale. (5-07165)


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la Corte di cassazione con la sentenza n. 24157/2015 ha stabilito che lo statuto dei lavoratori, comprese le sue successive modifiche, si applica anche ai dipendenti statali, che qualora vengano licenziati, avranno diritto al reintegro solo nei casi tassativamente previsti;
   dunque, i giudici chiariscono che lo statuto dei lavoratori, così come riformato dalla «legge Fornero», si applica anche al pubblico impiego contrattualizzato, cioè ai dipendenti statali e locali esclusi professori, magistrati e militari;
   sebbene, la sentenza si riferisca solo alla riforma dell'articolo 18 introdotta dalla «legge Fornero», appare consequenziale che anche la recente riforma del lavoro, cosiddetta Jobs act, si applichi ai lavoratori pubblici. Pertanto, tutti i dipendenti pubblici assunti dopo il 7 marzo 2015 possono essere licenziati senza possibilità di reintegrazione, nei casi ivi previsti;
   va da sé che la riforma del pubblico impiego dovrà definitivamente chiarire se le norme del settore privato si applicano anche a quello pubblico. Il Ministro  per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Marianna Madia, ha dichiarato in passato che per il pubblico impiego la riforma dell'articolo 18 non si applica, poiché si individua una differenza sostanziale rispetto al tipo di datore di lavoro;
   è necessario specificare nel testo unico sul pubblico impiego tale questione in modo esplicito, tenendo ben presente che stabilire che la riforma dell'articolo 18 non si applichi al pubblico impiego potrebbe determinare profili di incostituzionalità, poiché si tratterebbe di un'evidente discriminazione tra lavoratori pubblici e privati;
   per la Corte di cassazione è inequivocabile che anche al pubblico impiego cosiddetto contrattualizzato si applichi la legge n. 300 del 1970 (statuto dei lavoratori) e successive modificazioni, sicché il nuovo testo dello statuto deve essere esteso anche ai lavoratori statali;
   è urgente che il Governo chiarisca la propria posizione su tale questione che è di fondamentale importanza e non deve dare luogo ad alcun dubbio interpretativo;
   si ricorda che il Governo, quando fu approvata la riforma del lavoro, aveva specificato che le norme sul licenziamento non sarebbero state applicate al pubblico impiego; in particolare, si espresse in tale senso il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti;
   è del tutto evidente che quanto affermato dal Governo è in contraddizione con la pronuncia della Corte di cassazione –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati sui fatti esposti in premessa e, in particolare, alla luce della recente sentenza della Cassazione, se ritengano che lo statuto dei lavoratori e le sue successive modifiche trovino applicazione anche nei confronti dei pubblici dipendenti. (5-07167)

Interrogazioni a risposta scritta:


   AIRAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda De Fonseca è una storica azienda italiana della manifattura calzaturiera, con sede a Leinì (Torino) e con oltre quarant'anni di esperienza, che distribuisce ogni anno circa 13 milioni di paia di calzature (in particolare sandali, ciabatte da mare e piscina);
   recentemente il management della stessa, passando da una mission industriale ad una finanziaria, ha ceduto il marchio a due fondi di investimento, Consilium (che possiede la maggioranza del pacchetto azionario) e Star Capital;
   successivamente la proprietà, considerando poco appetibile per le strategie di marketing il posizionamento dello stabilimento industriale presso Leinì, ha annunciato, senza alcuna formale comunicazione sindacale ed ad avviso dell'interrogante senza alcun rispetto delle norme contrattuali e delle legge vigenti, di volere trasferire l'attività produttiva a Casalecchio di Reno (Bologna), decisione che comporterebbe la chiusura definitiva del sito di produzione piemontese;
   secondo i lavoratori interessati la decisione di delocalizzare lo stabilimento cela il reale intento di contenere esclusivamente i costi di produzione sensibilmente aumentati e la decisione di scaricare sugli asset industriali (in termini territoriali e sociali) i costi di un'operazione puramente finanziaria;
   già il 30 settembre 2014, l'azienda, adducendo problemi di costo ed esigenze di ristrutturazione aziendale, ha attivato una procedura di licenziamento collettivo conclusasi, dietro un'intesa sindacale, il 9 dicembre successivo con un accordo che riduceva da 80 a 60 le maestranze e comportava per quelle rimanenti la rinunzia dei buoni pasto al fine di concorrere al contenimento dei costi;
   in realtà, nel sito industriale di Leinì come in quello di Casalecchio di Reno, a quanto risulta all'interrogante l'azienda De Fonseca non svolge attività di progettazione e produzione manifatturiera, ma esclusivamente di commercializzazione, attraverso la sua rete di agenti a soggetti terzi, per essere da questi fabbricati e poi essere messi sul mercato con il vincolo del marchio De Fonseca –:
   quali iniziative tempestive intendano intraprendere al fine di scongiurare il trasferimento della azienda, di mantenere gli attuali livelli occupazionali e di tutelare le competenze professionali dei lavoratori del sito di Leinì (Torino). (4-11364)


   MURA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito di un progetto finanziato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali – legge n. 383 del 2000, annualità 2012 – rivolto alle associazioni di promozione sociale, e gestito da UNIAMO, l'associazione che rappresenta i pazienti di polineuropatia cronica infiammatoria demielinizzante, patologia rara del sistema nervoso periferico progressivamente invalidante, ha designato per partecipare a un corso a Roma un paziente, con riconosciuta disabilità ai sensi della normativa vigente, che necessitava di un accompagnatore;
   stando a quanto denuncia la stessa associazione, portata all'attenzione della interrogante, gli ispettori, durante la verifica conclusiva, «hanno ritenuto non ammissibile la spesa relativa alla trasferta dell'accompagnatore senza peraltro chiedere alcuna certificazione sullo stato di salute»;
   se la notizia corrispondesse al vero, si tratterebbe di un fatto di inaudita gravità perché le persone partecipanti al progetto sarebbero state scelte non in base alla competenza e disponibilità ma in base al grado di autonomia;
   tale vicenda è in palese contrasto con la Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 e con il decreto legislativo n. 216 del 2003 di attuazione della direttiva 2000/78/CE del Consiglio europeo e con il comma 4-ter dell'articolo 9 del decreto-legge n. 76 del 2013 che prevede che debba essere garantito al soggetto disabile, riconosciuto ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 104 del 1992, il diritto alla scelta dell'accompagnatore e il diritto all'ammissibilità delle spese;
   il Consiglio nazionale delle ricerche con la circolare 33/2013 ha ritenuto che «la mancanza del supporto da parte di un assistente per un lavoratore con disabilità chiamato a svolgere le proprie mansioni in missione fuori sede costituisce una forma di discriminazione perché si verrebbe a trovare in una posizione di svantaggio rispetto agli altri lavoratori del suo stesso livello, non potendo svolgere compiutamente o correttamente i compiti affidatigli a causa della propria disabilità»;
   la stessa circolare conclude: «si ritiene che i soggetti accompagnatori di personale con disabilità inviato in missione abbiano diritto al rimborso delle spese (viaggio, vitto e alloggio) con le regole e i limiti spettanti al soggetto inviato in missione» –:
   se siano a conoscenza della vicenda sopra descritta;
   quali iniziative urgenti intendano assumere per consentire al disabile di poter scegliere l'accompagnatore anche tra i propri familiari e consentire l'ammissibilità delle spese in ogni contesto lavorativo e in ogni progetto, specie in quelli finanziati dalla pubblica amministrazione.
(4-11367)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   GALLINELLA e GAGNARLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 1354 del 1962, recante la disciplina igienica della produzione e del commercio della birra, come modificata dal decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1998, n. 272, stabilisce all'articolo 2, commi 1, 2 e 3 le denominazioni di vendita previste per la birra, nonché le caratteristiche del prodotto, ed in particolare prevede per questo prodotto le seguenti denominazioni: birra, birra analcolica, birra leggera o birra light, birra speciale e birra doppio malto;
   tali differenti denominazioni derivano dalle differenti caratteristiche organolettiche e alcolemiche del prodotto;
   la stessa norma chiede specificamente di aggiungere nella denominazione l'eventuale presenza di una sostanza caratterizzante il prodotto, quale frutta, succhi di frutta, aromi;
   sempre più spesso alla parola «birra» viene aggiunto, nella denominazione del prodotto, il luogo di produzione o il metodo di produzione e/o lavorazione;
   l'etichettatura dei prodotti alimentari è regolamentata dalla normativa comunitaria, in particolare, allo stato attuale, dal regolamento 1169/2011 che disciplina che sono considerate «fatiche leali di informazione» (articolo 7, comma 1, lettera a)) le informazioni sugli alimenti che non inducono in errore e in particolare quelle relative alle «caratteristiche dell'alimento e, in particolare, la natura, l'identità, le proprietà, la composizione, la quantità, la durata di conservazione, il paese di origine o il luogo di provenienza, il metodo di fabbricazione o produzione»;
   tutto ciò è motivato dal fatto che i produttori, su base volontaria, potrebbero decidere di utilizzare il luogo di origine o il metodo di lavorazione come elemento attrattivo per i consumatori, senza incorrere nella possibilità di ingannarlo;
   per quanto sopra esposto è quindi legittimo trovare in commercio birre riportanti la denominazione, ad esempio, di, «birra toscana» o «birra artigianale»; tuttavia, proprio recentemente, alcune aziende brassicole sono state sanzionate dall'Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione Frodi dei prodotti agroalimentari Corpo forestale dello Stato, Nucleo antisofisticazioni e sanità e Azienda sanitaria locale per aver apposto su alcune bottiglie della propria birra la dicitura «birra artigianale italiana»;
   le sanzioni riportano nelle motivazioni il riferimento alla legge n. 1354 del 1962 e successive modificazioni, senza apparentemente tenere in considerazione la disciplina comunitaria in materia di etichettatura che, di fatto, sembrerebbe rendere lecito l'uso della tipologia del processo di produzione nella denominazione del prodotto;
   tale situazione e tale apparente discrepanza tra la normativa nazionale e comunitaria, crea, di fatto, una evidente difficoltà interpretativa della norma da parte degli organi preposti al controllo –:
   se non ritenga opportuno adottare iniziative per chiarire il quadro normativo relativo all'etichettatura della birra.
(4-11371)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è notizia di questi giorni che secondo quanto emerge dal rapporto dell'Agenzia europea dell'ambiente, l'Italia sarebbe il Paese dell'Unione europea con il maggior numero di morti premature rispetto alla normale aspettativa di vita a causa dell'inquinamento dell'aria;
   le polveri sottili, il biossido di azoto e l'ozono nei bassi strati dell'atmosfera avrebbero causato 84.400 decessi nel nostro Paese nel corso del 2012 e un totale di 491.000 decessi nell'Unione europea; dei tre fattori, il responsabile principale delle morti sarebbero le polveri sottili, con 403.000 vittime nell'Unione europea e 59.500 in Italia, mentre l'impatto stimato dell'esposizione al biossido di azoto e all'ozono invece sarebbe di circa 72.000 e 16.000 vittime precoci nei 28 Paesi Unione europea e di 21.600 e 3.300 nel nostro Paese;
   oltre il 90 per cento dei cittadini dell'Europa sarebbero perennemente esposti a livelli annui di polveri sottili che si trovano sopra i limiti delle linee guida sulla qualità dell'aria stabilite dall'Organizzazione mondiale della sanità, e questo si traduce in morti premature dovute a malattie cardiache e respiratorie, ictus e cancro ai polmoni;
   in Italia il problema delle micro polveri investe principalmente la Pianura Padana, con città come Brescia, Monza, Milano e Torino che oltrepasserebbero il limite della concentrazione media annua di 25 microgrammi per metro cubo d'aria, fissato a livello Unione europea;
   rispetto alla soglia raccomandata dall'Organizzazione mondiale della sanità di 10 microgrammi per metro cubo, il quadro italiano appare ancora più grave soprattutto se si prende in considerazione la qualità dell'aria delle grandi città come Roma, Firenze, Napoli, Bologna, arrivando fino a Cagliari; ma la situazione è grave anche a Cremona, Mantova, Padova, Venezia, Vicenza, Alessandria, Messina, Palermo, Como, Genova, Novara, Frosinone, Benevento, Lodi, Lecco, Udine, Bergamo, Pavia, Modena;
   secondo il rapporto dell’European Environment Agency, Air quality in Europe, nuove evidenze scientifiche dimostrano la gravità dell'impatto sanitario dell'inquinamento atmosferico anche a livelli molto inferiori a quelli normativamente previsti;
   le stime di un recente rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità, parlano di 7 milioni di decessi prematuri nel mondo, e nel continente europeo il peso economico di questo flagello, secondo i risultati della ricerca di cui sopra, sarebbe di circa 1.600 miliardi di dollari, con 1.400 miliardi di dollari per i decessi e un altro 10 per cento da imputare al costo di malattie da inquinamento atmosferico (cardiovascolari, ictus, e altro), arrivando al totale di 1.600 miliardi che equivale, in non meno di 10 dei 53 Paesi della regione, al 20 per cento del prodotto interno lordo nazionale;
   lo studio recentemente pubblicato su Lancet Oncology, « Air pollution and lung cancer incidence in 17 European cohorts: prospective analyses from the European Study of Cohorts for Air Pollution Effects (ESCAPE)», ha messo in luce un nesso tra aumentata esposizione a polveri fini e incidenza di tumori del polmone, mentre altri studi tenderebbero a dimostrare che l'inquinamento ha conseguenze importanti non solo sul sistema respiratorio, ma anche sul sistema cardiocircolatorio e immunologico e sull'incidenza dei tumori (non solo del polmone), senza contare l'aumento esponenziale delle allergie nella popolazione che è verosimilmente in parte correlato all'inquinamento;
   secondo un articolo pubblicato dalla Società europea di cardiologia (ESC) che rappresenta più di 80.000 professionisti di cardiologia in Europa e nel Mediterraneo, i pazienti affetti da patologie cardiache dovrebbero evitare di rimanere in diretto contatto con traffico dell'ora di punta;
   secondo lo studio pubblicato di recente da un gruppo di specialisti riuniti nell'Associazione lotta alla trombosi, nelle città italiane più inquinate, Milano e Torino, a causa dello smog si possono perdere dai 2 ai 3 anni di vita;
   come riportato dall'edizione 2015 del dossier Mal'Aria della Legambiente, la prima causa di inquinamento atmosferico nelle città è il traffico, e lo smog nella pianura padana ucciderebbe 30-0 persone l'anno (230 milanesi);
   dal monitoraggio fatto dalla campagna di Legambiente «Pm10 ti tengo d'occhio», nel 2014 sono risultati ben 33 su 88 i capoluoghi (il 37 per cento di quelli monitorati) in cui almeno una centralina di monitoraggio urbana ha superato il limite di 35 giorni oltre la soglia massima ammissibile per il Pm10;
   Legambiente ha segnalato che la situazione dell'inquinamento atmosferico risultava fuori controllo già nel primo mese dell'anno: a gennaio 32 capoluoghi di provincia registravano oltre 10 giorni di superamento della soglia massima giornaliera consentita di Pm10 (polveri fini) e in 14 di essi si è registrato un superamento un giorno su due;
   «Ridurre l'inquinamento atmosferico è diventato una priorità politica. La qualità dell'aria sarà un tema chiave al prossimo Conferenza ministeriale Ambiente per l'Europa in Georgia nel 2016», ha dichiarato il segretario esecutivo della Commissione economica delle Nazioni Unite per l'Europa, Christian Friis Bach;
   l'interrogante aveva già sottolineato il problema dell'inquinamento atmosferico con l'interrogazione n. 409121, presentata l'8 maggio 2015 e rimasta a tutt'oggi senza risposta;
   lo smog comporta pesanti ricadute anche su costi ospedalieri, perdita di giornate di lavoro, danni agli edifici, ed è anche causa di un'inferiore resa dei raccolti –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente del terribile impatto dell'inquinamento dell'aria sulla salute degli italiani, come descritto in premessa;
   se sia stato predisposto un monitoraggio accurato dei danni di questo flagello sulla salute della popolazione italiana e in tal caso quali siano i risultati più aggiornati, quale sia il costo di tale «strage» a carico del sistema sanitario nazionale, e quali iniziative si intendano assumere, per quanto di competenza, per proteggere la popolazione, con particolare attenzione per i minori;
   se e quali iniziative si intendano adottare, con la concertazione degli enti territoriali competenti, per favorire la mobilità sostenibile al fine di ridurre il più possibile una delle cause maggiori di inquinamento dell'aria nelle città ovvero l'uso di autovetture;
   in che modo i Ministri interrogati intendano intervenire, per quanto di competenza, per contrastare l'inquinamento atmosferico a livello nazionale e, in particolare nella pianura padana dove, alla luce dei dati emersi, la situazione è più critica. (4-11375)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   ARLOTTI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito dalla legge n. 125 del 2013 recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», al suo articolo 4, comma 3, prescrive il divieto, in capo a tutte le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, di bandire nuove procedure concorsuali in presenza di graduatorie vigenti, istituendo così l'obbligo del prioritario assorbimento degli idonei; peraltro, l'efficacia delle stesse graduatorie è stata prorogata fino al 31 dicembre 2016 (articolo 4 comma 4);
   la circolare emanata dal Ministro interrogato (la n. 1 del 2015) in merito alla legge di stabilità 2015, relativamente alle categorie infungibili, testualmente recita: «per il personale infungibile (esempio: magistratura, carriera prefettizia e diplomatica, docenza universitaria; personale educativo e docente degli enti locali) l'eventuale assunzione anche di idonei, nel rispetto delle procedure di autorizzazione previsti dalla normativa vigente, non può superare la percentuale di turn over consentita secondo il regime ordinario»;
   il 12 marzo 2015 la stessa III Commissione permanente (Affari esteri e comunitari) della Camera, in sede consuntiva, in merito al decreto-legge n. 7 del 2015, nell'esprimere il proprio parere favorevole, valutava che in un «quadro di complessivo rafforzamento delle leve di politica estera e di valorizzazione dell'azione di prevenzione e gestione delle crisi sul piano politico-diplomatico ... appare essenziale non trascurare il rafforzamento dello strumento diplomatico ...» e riteneva necessario «provvedere senza ritardo, anche per l'anno in corso, al reclutamento di nuovo personale diplomatico a tempo indeterminato ... mediante il ricorso innanzitutto allo scorrimento delle graduatorie vigenti»;
   il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, uniformandosi alla suddetta circolare, nell'aprile 2015 decideva di richiedere al Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione l'autorizzazione (ai sensi del articolo 3 comma 3 del decreto-legge n. 90 del 2014) per procedere all'assunzione degli idonei dei concorsi diplomatici indetti dal 2007 ad oggi, pari a n. 28 unità;
   i fondi necessari a procedere alle preventivate assunzioni sono, peraltro, già previsti con la legge di stabilità 2015, nei limiti di spesa del 40 per cento di quella relativa al personale di ruolo cessato nel 2014 (così come previsto dall'articolo 3 comma 1 del decreto-legge 24 giugno 2014 n. 90);
   dal mese di aprile richiesta di procedere all'assunzione di nuovi organici è stata sì inviata dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale al Ministro interrogato ma, ad oggi, quest'ultimo non ha ancora formulato il proprio parere in merito alla suddetta richiesta, impedendo in tal modo il completamento delle procedure relative alle previste assunzioni;
   peraltro, l'attuale situazione internazionale rende oggi ancora più necessario provvedere a rafforzare la rete diplomatica;
   nella legge di stabilità 2016, nel testo approvato dal Senato (articolo 1 comma 131), viene prevista la possibilità, da parte del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, nel triennio 2016-2018 di bandire annualmente il concorso di accesso alla carriera diplomatica ed ad assumere un contingente annuo non superiore a 35 segretari di legazione in prova, peraltro in continuità con le possibili (e auspicabili) assunzioni dei 28 idonei nel 2015;
   il parere della III Commissione permanente (affari esteri e comunitari) della Camera ritiene necessario «provvedere senza ritardo, anche per l'anno in corso (2015), al reclutamento di nuovo personale diplomatico a tempo indeterminato ... mediante il ricorso innanzitutto allo scorrimento delle graduatorie vigenti»;
   il citato decreto-legge 101 del 2013 prevede l'obbligo dell'assorbimento degli idonei prima di bandire nuove procedure concorsuali in ossequio ai principi di legalità, efficienza e buon andamento dell'amministrazione –:
   se il Ministro non ritenga di dover rispondere positivamente, una volta effettuata la verifica dei presupposti normativi, alla richiesta di autorizzare l'assunzione dei 28 idonei del concorso diplomatico (formulata dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale fin dal mese di aprile 2015), al fine di consentire l'emanazione del successivo necessario decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, il tutto con la massima urgenza entro la fine del corrente anno. (4-11381)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo «Monier Spa» ha manifestato la volontà di cessare l'attività presso il sito di Salandra scalo in provincia di Matera;
   il gruppo è leader mondiale nel settore dei laterizi ed è specializzata nella costruzione di tegole;
   lo stabilimento in questione è attivo dal 2000 a Salandra e la «Cotto Coperture», questo il nome dell'impianto lucano; dapprima operava in altro stabilimento ubicato presso l'area industriale di Potenza;
   la delocalizzazione e la realizzazione del nuovo impianto si concretizzarono anche con finanziamenti pubblici;
   i lavoratori dell'impianto, con accordo regionale siglato ad ottobre 2015, sono stati collocati in cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi;
   la grave e perdurante crisi del settore edile sarebbe alla base della decisione del gruppo di variare la motivazione del ricorso all'ammortizzatore sociale e di prospettare la chiusura del sito;
   i lavoratori stanno scioperando e chiedono lumi sul proprio futuro –:
   se il Ministro sia a conoscenza di tale decisione del gruppo Monier in riferimento allo stabilimento di Salandra e se non ritenga opportuna convocare urgentemente in sede ministeriale un tavolo di confronto per scongiurare la chiusura dell'impianto e verificare le possibilità di prosieguo dell'attività anche con altri soggetti industriali interessati eventualmente all'impianto medesimo con salvaguardia dei livelli occupazionali. (5-07158)


   DE LORENZIS. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa si apprende che in data 5 novembre 2015 si è verificato uno sversamento in Mar Grande di sostanze di probabile natura idrocarburica nei pressi del pontile galleggiante dell'ENI di Taranto proprio dove dovrebbe sorgere l'impianto legato al progetto Tempa Rossa per l'attacco delle navi;
   la capitaneria di porto ha comunicato che lo sversamento potrebbe essere collegato alla presenza di una delle due navi ormeggiate al pontile della raffineria ENI;
   si tratta del secondo episodio di sversamento in mar Grande in poche settimane, dopo il caso del canale Ilva dal quale sarebbero usciti inquinanti;
   non è la prima volta che si verificano sversamenti dell'ENI nel Mar Grande di Taranto raccontati già nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-01347 presentata dal dall'interrogante e, a causa dell'allungamento del pontile previsto dal progetto Tempa Rossa, secondo l'interrogante i rischi dovuti agli sversamenti in mare potrebbero aumentare significativamente;
   il progetto Tempa Rossa prevede la costruzione a Taranto di due nuovi serbatoi dedicati al greggio proveniente dal giacimento «Tempa Rossa» in Lucania – che si aggiungeranno ai 130 presenti attualmente nel territorio di competenza della raffineria Eni – il prolungamento per circa 350 metri dell'esistente pontile, la realizzazione di un nuovo sistema di recupero e trattamento dei vapori provenienti dal caricamento delle navi e di un sistema di raffreddamento del greggio. Inoltre sul progetto Tempa Rossa mancherebbe ancora il rapporto sulla sicurezza per la raffineria ENI di Taranto che dovrebbe disporre misure anche per l'effetto d'area provocato da un evento meteorologico quale può essere un tornado. Sul rapporto definitivo di sicurezza su «Tempa Rossa» l'interrogante ha già presentato al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e al Ministro dell'interno l'interrogazione a risposta scritta n. 4-07379 del 22 dicembre 2014, ma che ancora oggi risulta priva di risposta da parte dei Ministri interrogati –:
   quali siano i danni ambientali provocati da questo ultimo sversamento in Mar Grande e quali siano le dinamiche che hanno portato a tale sversamento;
   quali siano le iniziative che i Ministri interrogati intendono avviare al fine di evitare il ripetersi di simili eventi;
   se i Ministri interrogati, al fine di rispettare il principio di precauzione in un'area fortemente inquinata, intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, per sospendere il progetto Tempa Rossa. (5-07162)

Interrogazione a risposta scritta:


   CAPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dal 2009 Philips ha acquisto il marchio Saeco, e l'azienda che dal 1981 opera nella zona di Gaggio Montano, in provincia di Bologna;
   per il paese di Gaggio Montano la Saeco Philips equivale a ciò che era la Fiat per molte realtà italiane. Non si tratta di una mera azienda, ma di un'impresa che fornisce lavoro, e quindi reddito, ad una intera comunità;
   quindi, quando si parla di esuberi in realtà come queste si crea un vero e proprio problema sociale che non può essere ignorato dalla politica, sia locale sia nazionale;
   la situazione della Saeco di Gaggio Montano è difficile da tempo. Infatti, già dalla fine del 2012 la multinazionale olandese Philips aveva posto la questione degli esuberi, a causa della contrazione del mercato, pur non attuando di fatto la minaccia di licenziamenti;
   nei giorni scorsi, però, la situazione è precipitata, avendo il 26 novembre 2015 Philips annunciato 243 esuberi di lavoratori della Saeco di Gaggio Montano;
   si tratta di un numero rilevante di lavoratori minacciati di licenziamento: poco meno della metà dei 558 lavoratori impiegati nello stabilimento gaggese;
   fonti sindacali affermano che la scelta della multinazionale olandese dipenda dalla volontà di spostare la produzione dall'Italia alla Romania, nazione considerata da Philips più adatta agli investimenti rispetto al nostro Paese;
   dati forniti dai sindacati, infatti, fanno notare come la Philips abbia fatto produrre alla Saeco di Gaggio Montano solo 130 mila macchine, mentre all'estero, in particolare in Romania, la produzione ha raggiunto quota 400 mila;
   appare, quindi, chiaro che la presunta crisi di produzione sostenuta da Philips per giustificare gli esuberi non esiste, altrimenti la produzione sarebbe calata ovunque, cosa che non è;
   la decisione di Philips apre una crisi che riguarda l'intera vallata, con il rischio di colpire in maniera «mortale» l'occupazione nella zona dell'Appennino bolognese;
   infatti, intere famiglie dipendono dalla Saeco di Gaggio Montano, come fatto pubblicamente osservare dai sindaci dell'Unione di comuni dell'Appennino bolognese e dell'Unione dei comuni dell'Alto Reno, che si sono immediatamente schierati in difesa dei lavoratori a rischio licenziamento;
   lo stesso Ministro interrogato il 1o dicembre ha annunciato che contatterà Philips per affrontare la situazione della Saeco di Gaggio Montano, convocando un tavolo per evitare che si perdano 243 posti di lavoro;
   si tratta di un'assicurazione importante ed apprezzabile, ma che è solo un primo, sia pure importante, passo in difesa di una intera zona del nostro Paese minacciata dalle scelte di una multinazionale –:
   quali ulteriori iniziative, oltre quelle annunciate, intenda intraprendere, per quanto di competenza, il Ministro interrogato per evitare la concretizzazione della minaccia dei licenziamenti annunciati da Philips, licenziamenti che, come detto, creerebbero una vera «bomba» sociale mettendo in crisi tutto il sistema produttivo delle zone interessate e gettando nella disperazione intere famiglie che dal lavoro in Saeco dipendono per il loro reddito. (4-11376)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Miotto e altri n. 1-01074, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Carnevali, Antezza.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Arlotti e altri n. 7-00844, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Crivellari.

Apposizione di firme ad interpellanze.

  L'interpellanza urgente Brunetta e Occhiuto n. 2-01187, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Alberto Giorgetti.

  L'interpellanza urgente Brunetta n. 2-01192, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o dicembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Alberto Giorgetti.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Impegno n. 5-04938, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vico.

  L'interrogazione a risposta scritta D'Alia n. 4-10693, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Caruso.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Sandra Savino e Nastri n. 5-07099, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Milanato.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore:interrogazione a risposta orale Gelli n. 3-01690 del 9 settembre 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-11372.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Tripiedi e altri n. 5-07150 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 534 del 2 dicembre 2015. Alla pagina 31658, prima colonna, dalla riga quarta alla riga settima, deve leggersi: «Monza costituisca la commissione tecnico scientifica prevista dagli atti costitutivi dello stesso, aprendola anche al concorso fattivo dei membri competenti dei», e non come stampato.