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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 2 dicembre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    le malattie rare, secondo una definizione adottata in ambito comunitario, hanno una prevalenza nella popolazione inferiore a 5 casi ogni 10.000 abitanti. Si tratta di patologie eterogenee, che necessitano di essere affrontate globalmente e che richiedono una particolare e specifica tutela, per le difficoltà diagnostiche, la gravità clinica, il decorso cronico, gli esiti invalidanti e l'onerosità del trattamento;
    si tratta di patologie potenzialmente letali o croniche, in gran parte di origine genetica, che comprendono anche rare forme tumorali, malattie autoimmuni, malformazioni congenite o derivate dall'esposizione ambientale durante la gravidanza, patologie di origine infettiva o tossica. Tali malattie, oltre ad essere numerose sono anche molto eterogenee fra di loro, e richiedono un approccio articolato e complesso, basato su interventi specifici e combinati, finalizzati a prevenire un'elevata morbilità e migliorare la qualità di vita delle persone colpite;
    uno dei principali problemi è quello della difficoltà nella diagnosi. Detto ritardo dipende da vari fattori, tra cui la mancanza di conoscenze adeguate da parte dei medici spesso collegata alla estrema rarità della malattia, la presenza di segni clinici individualmente non diagnostici, l'assenza o la limitata disponibilità di test diagnostici, la frammentazione degli interventi, l'inadeguatezza dei sistemi sanitari. Ne consegue che molti malati rari non riescono ad ottenere un inquadramento della loro patologia nel corso di tutta la loro vita, laddove sarebbe invece necessario rendere accessibili le terapie nella fase in cui il paziente è ancora in fase cronica, ed evitare così il passaggio alla fase più avanzata della malattia;
    secondo le stime in Italia ci sarebbero dai 450.000 ai 600.000 malati rari, di cui solo 300.000 nelle forme comprese nell'elenco allegato al decreto ministeriale n. 279 del 2001;
    all'interno dell'elenco delle malattie rare, già previsto dal suddetto decreto ministeriale n. 279 del 2001, sono però esclusi la gran parte dei tumori rari;
    sebbene, il Piano oncologico nazionale 2010-2012 preveda uno specifico paragrafo alle problematiche dei tumori rari, indicando come priorità la loro inclusione nell'elenco delle malattie rare, diversamente dal resto d'Europa, solo alcuni tumori rari possono beneficiare nel nostro Paese delle misure previste per agevolare le condizioni dei pazienti. Solo quei tumori rari attualmente tutelati dal decreto ministeriale n. 279 del 2001, sono esenti dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie;
    come ricorda l'Osservatorio malattie rare, i tumori rari vengono definiti tali in quanto colpiscono un numero molto ristretto di persone. I ricercatori del progetto Rarecare (Surveillance of rare cancers in Europe) ne hanno individuati oltre 250. Nell'ambito dell'Unione europea, i Tumori Rari rappresentano oltre il 20 per cento di tutti i tumori diagnosticati ogni anno e riguardano più di 4 milioni di persone;
    integrato con il suddetto progetto europeo «Surveillance of rare cancers in Europe», al fine di conoscere l'impatto dei tumori rari nella popolazione italiana, si segnala lo studio RITA («Surveillance of rare cancers in Italy»). I registri tumori di popolazione sono un ottimo strumento per conoscere la frequenza e la sopravvivenza della patologia tumorale, tuttavia per i tumori rari la qualità dell'informazione non è mai stata studiata sistematicamente. Scopo del progetto RITA, è di fornire indicatori di frequenza, migliorare la raccolta delle informazioni da parte dei registri tumori, identificare strategie per la divulgazione dei risultati del progetto;
    il progetto RITA si è concluso nel 2010, ma il lavoro sui tumori rari è continuato con il nuovo progetto Rare Cancers in Italy: surveillance and evaluation of the access to diagnosis and treatment (cosiddetto RITA2);
    nel 2014, la lista dei tumori rari è stata rivista, ed ha portato alla definizione di nuovi tumori rari che, in totale, sono ora 194;
    attualmente, la Rete dei tumori rari, una collaborazione permanente tra circa 200 centri oncologici italiani per migliorare l'assistenza e la cura ai pazienti con «tumore raro», utilizza la soglia di incidenza (numero di nuovi casi in un anno) inferiore o uguale a 5 casi su 100 mila;
    la Rete, mai istituzionalizzata, era inserita negli obiettivi di carattere prioritario dalla Conferenza Stato-regioni nei due anni scorsi, ma non più a partire da quest'anno. È quindi urgente che venga attivato un nuovo progetto, che conduca definitivamente la Rete dei tumori rari a costituire una risorsa permanente del Servizio sanitario nazionale. Lo sviluppo di «reti» dedicate che facilitino la condivisione delle esperienze cliniche può garantire che l’expertise richiesto possa raggiungere un elevato numero di pazienti. Anche sotto questo aspetto, le reti sono fondamentali;
    la Rete considera «rare» le neoplasie con incidenza annuale inferiore o uguale a 6/100.000. Il numero dei casi di tumore raro è elevato, e dunque i casi, anche se pochi per ogni tumore, sono complessivamente numerosi. I casi di tumore raro possono giungere a un quinto dei casi totali di neoplasia maligna. Dunque paradossalmente, seppur si parla di tumori rari, il problema di questo tipo di patologie è socialmente rilevante proprio in termini quantitativi;
    al pari delle malattie rare, anche i tumori rari comportano evidenti problematicità: i centri che dispongono di competenze cliniche sono pochi, non facilmente individuabili, e mal distribuiti sul territorio, e questo comporta evidenti difficoltà per i malati; il trattamento dei tumori rari richiede molto spesso degli approcci multidisciplinari e la distribuzione non omogenea sul territorio di questi centri complica ulteriormente la fruibilità da parte del paziente;
    tutto questo comporta inevitabilmente una sorta di migrazione sanitaria, con evidenti costi sociali dei tumori rari, una migrazione sanitaria non solo all'interno del nostro Paese, ma anche verso l'estero;
    nel nostro Paese, i problemi nell'accesso alla diagnosi e alla terapia sono aggravati dalla regionalizzazione del Servizio sanitario nazionale che impone ai pazienti affetti da tumori rari ulteriori disparità di trattamento, soprattutto per quanto riguarda l'accesso alle terapie;
    peraltro, la reale disponibilità delle terapie per i pazienti passa attraverso la negoziazione del prezzo e rimborso a livello di Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e successivamente attraverso 21 procedure regionali, dalle quali dipendono i tempi e le modalità secondo cui il farmaco viene inserito nei prontuari terapeutici; ciò comporta che l'accesso al farmaco è ritardato, (da un'indagine di Farmindustria è evidenziato un ritardo medio di 9 mesi, con regioni che registrano ritardi anche di oltre un anno e mezzo), facendo venir meno l'obiettivo principale del regolamento (CE) n. 141/2000, ossia la contemporaneità della disponibilità delle cure e livelli omogenei di tutela della salute per tutti i cittadini europei;
    a causa del costo elevato dei trattamenti, a cui si aggiungono frequenti prestazioni improprie e migrazioni sanitarie obbligate, l'impatto sociale dei tumori rari è elevato. Le prestazioni diagnostiche, chirurgiche e i trattamenti sono garantiti solo in parte dal Sistema sanitario nazionale. Non tutte le terapie mediche per i tumori rari prevedono farmaci prescrivibili e rimborsabili e vi sono disparità a seconda dei servizi sanitari regionali. Inoltre è possibile il rimborso di farmaci che abbiano raggiunto la fase 2 della sperimentazione clinica;
    è quindi indispensabile avviare tutte le azioni conseguenti volte a garantire a tutte le persone affette da queste patologie di poter accedere al meglio alle cure più appropriate;
    si evidenzia peraltro come la diagnosi rappresenti un momento decisivo, e questo vale ancora di più nel caso di una persona affetta da tumore: una diagnosi precoce e precisa permette infatti, in molti casi, di affrontare la malattia con gli strumenti più adatti a sconfiggerla. Nel caso dei tumori rari, però, la diagnosi arriva spesso in ritardo, dopo che il paziente si è sottoposto a diverse visite o esami clinici. E la ragione principale di questo ritardo è la difficoltà che incontrano i medici a riconoscere una patologia rara, con la quale hanno a che fare solo poche volte nel corso della loro carriera professionale,

impegna il Governo:

   ad avviare le opportune iniziative, anche normative, al fine di favorire l'accesso a farmaci «salvavita» nei tumori rari, anche attraverso l'uso off-label di farmaci già oggetto di sperimentazione e già approvati dalle autorità sanitarie, ma registrati e autorizzati solo per alcune indicazioni terapeutiche;
   a favorire, laddove possibile, l'uso cosiddetto «compassionevole» dei farmaci di cui al decreto ministeriale 8 maggio 2003 per consentire al paziente affetto da tumore raro di accedere a farmaci innovativi ancora sottoposti a sperimentazione e privi dell'autorizzazione all'immissione in commercio;
   ad assumere iniziative per rendere immediatamente disponibile sui siti istituzionali delle regioni e del Ministero della salute un elenco ufficiale di centri dedicati al trattamento di queste malattie;
   a garantire il pieno accesso alle terapie, attivandosi per favorire una maggiore disponibilità e distribuzione territoriale delle cure e livelli omogenei di tutela della salute, e ridurre il più possibile il fenomeno delle migrazioni sanitarie, anche attraverso l'implementazione dei centri di eccellenza per la prevenzione, diagnosi e cura dei tumori rari;
   a promuovere la revisione e l'aggiornamento costante dei registri tumori al fine di evidenziare le informazioni sui tumori rari;
   ad individuare gli interventi idonei ad accelerare le procedure di autorizzazione per i nuovi farmaci qualificati come «farmaci orfani»;
   ad assumere iniziative per incentivare e sostenere, anche attraverso la fiscalità di vantaggio e lo stanziamento di adeguate risorse finanziarie, la ricerca scientifica sui farmaci orfani e per lo sviluppo di nuove terapie;
   a prevedere il coinvolgimento nei tavoli decisionali dei rappresentanti delle principali associazioni delle persone affette da tumore raro;
   ad assumere iniziative per implementare i programmi di formazione e aggiornamento per i professionisti sanitari, con particolare riferimento alla diagnosi precoce e appropriata delle malattie rare, con particolare riferimento ai tumori rari.
(1-01079) «Nicchi, Gregori, Scotto».

Risoluzioni in Commissione:


   La X Commissione,
   premesso che:
    rilanciare il settore manifatturiero attraverso l'attuazione di una strategia complessiva rivolta allo sviluppo high tech dell'industria italiana allo scopo di valorizzarne i punti di forza e contribuire ad una complessiva modernizzazione dei processi produttivi e delle filiere, è uno degli obiettivi strategici del Governo e della sua maggioranza;
    il quadro al quale imprese e cittadini sono confrontati evidenzia l'urgenza e la necessità di rimettere al centro dell'agenda politica nazionale ed europea la competitività del sistema industriale. La definizione di un approccio di politica industriale coordinato e coerente costituisce, infatti, un presupposto imprescindibile per migliorare il potenziale di crescita del nostro Paese;
    i dati evidenziati in un recente studio presentato dalla Roland Berger Strategy Consultants nel mese di marzo 2015, mostrano come i vari Paesi europei stiano vivendo, più degli altri competitor mondiali, una fase di deindustrializzazione. Nel decennio che va dal 1991 al 2011, se da un lato, a livello globale, la quota di valore aggiunto prodotta dal settore manifatturiero è andata costantemente crescendo, dall'altro lato, il contributo fornito dall'Europa alla realizzazione del valore aggiunto derivante dal settore manifatturiero a livello globale è andato gradualmente riducendosi, passando dal 36 per cento nel 1991 al 25 per cento nel 2011. Di contro, l'Europa si conferma al secondo posto tra i Paesi manifatturieri, anche se è stata superata dal blocco dei Paesi emergenti, che sono passati dal 21 per cento al 40 per cento;
    questa tendenza è confermata dai dati riguardanti i posti di lavoro garantiti dal settore manifatturiero: tra il 2000 e il 2013 la percentuale degli occupati è passata dal 20 per cento al 17 per cento in Germania e dal 21 per cento al 18 per cento in Italia, a fronte di un aumento dal 23 per cento al 31 per cento in Cina e dal 13 per cento al 14 per cento in Brasile. Inoltre, i dati evidenziano anche un profondo deficit di competitività dell'Europa nei confronti dei Paesi emergenti ed evidenzia l'esigenza di invertire il trend negativo europeo, avviando una fase di reindustrializzazione che coinvolga, in primo luogo, Italia e Germania, quali Paesi leader manifatturieri europei;
    Italia e Germania rappresentano, infatti, insieme il secondo cluster di esportazione al mondo, tenuto conto che il 14,4 per cento sul totale del contributo al prodotto interno lordo del manifatturiero è dato dalle esportazioni e sono preceduti soltanto dalla Cina, con il 16,7 per cento. I dati sull'export rivelano come oltre il 90 per cento delle esportazioni dei due Paesi sia composto da beni manufatti e come i due Paesi si collochino in posizioni di leadership nelle esportazioni per ciascun settore manifatturiero in termini di contributo al prodotto interno lordo;
    i dati contenuti nell'analisi sovra menzionata ravvisano, nell'affermarsi dell’«internet degli oggetti e dei servizi», l'avvento di una nuova quarta rivoluzione industriale, successiva a quella dell'automazione attraverso cui entro il 2030 – con una percentuale del 20 per cento dell'attività industriale sul totale del valore aggiunto del vecchio continente – il numero di addetti dell'industria potrà conoscere un incremento dai 25 milioni del 2011 ai 31 milioni della fine del prossimo decennio;
    nel contesto europeo ed internazionale alcuni Paesi stanno da tempo sostenendo la modernizzazione dell'industria manifatturiera 2.0 attraverso programmi di finanziamento e specifiche iniziative di ricerca per adeguare i processi di produzione e sviluppare nuovi prodotti;
    nella fattispecie, «Industrie 4.0» è un'iniziativa strategica del Governo tedesco adottata come parte integrante dell’high-tech strategy 2020 action plan del novembre 2011; l'obiettivo è quello di realizzare la fabbrica intelligente (smart factory), che si caratterizza per la capacità di adattamento, efficienza delle risorse ed ergonomia e vede l'integrazione dei clienti e partner commerciali nei processi di business e di valore;
    in questa direzione, gli Stati Uniti hanno sviluppato la smart manufacturing leadership coalition (smlc), organizzazione no-profit di professionisti di produzione, fornitori e aziende di tecnologia, consorzi di produzione, università, agenzie governative e laboratori che ha l'obiettivo di consentire agli stakeholder del settore manifatturiero di aggregarsi per sviluppare attività di ricerca e sviluppo, standard, piattaforme e infrastrutture condivise che facilitino l'adozione della produzione intelligente diffusa. Inoltre, il programma Networking and information technology research and development (Nitrd) riunisce 18 agenzie di ricerca e coordina la ricerca in diversi domini IT, tra cui human-computer interaction e information management;
    anche nella Repubblica popolare cinese il 12o piano quinquennale (2011-2015) stabilisce l'obiettivo di ridurre la dipendenza dalla tecnologia estera e di perseguire la leadership tecnologica a livello mondiale in sette «settori strategici», tra cui l’high-end equipment manufacturing e new-generation information technology. La Cina ha, inoltre, istituito una «IoT innovation zone» nella città di Wuxi (nella provincia del Jiangsu), con oltre 300 aziende e con una forza lavoro attualmente impegnata pari a circa 70.000 unità;
    ancora, nella Repubblica dell'India il finanziamento per l'innovazione è una delle priorità fondamentali del 12o piano quinquennale (2012-2017) che prevede un aumento degli investimenti in ricerca e sviluppo pubblica e privata del 2 per cento del prodotto interno lordo. Nel 2011, è stato lanciato il progetto «Cyber-physical systems innovation hub», sotto l'egida del Ministero delle comunicazioni e delle information technology per condurre una ricerca in molteplici settori, tra cui la robotica umanoide;
    nell'ambito della «strategia Europa 2020», con la comunicazione del 2010 «Una politica industriale integrata per l'era della globalizzazione» (COM(2010) 0614), successivamente ripresa dalle comunicazioni «Un'industria europea più forte per la crescita e la ripresa economica» (COM (2012)0582), adottata nell'ottobre del 2012, e «Per una rinascita industriale europea» (COM(2014)0014) del gennaio 2014, l'Unione europea ha indicato le grandi linee per una rinnovata politica industriale proattiva, capace di accrescere la competitività del tessuto produttivo e di porre le basi della reindustrializzazione dell'Europa, proponendo una serie di azioni concrete, dirette a rispondere in modo puntuale ai problemi della crescita, dell'occupazione nel breve/medio termine, ribadendo la centralità del manifatturiero e l'importanza di avanzare verso un approccio integrato ed innovativo di politica industriale;
    il Comitato economico e sociale (Cese), nel parere espresso sul tema della reindustrializzazione dell'Europa e dell'impatto dei servizi alle imprese nell'industria (CCMI/121, 16 ottobre 2014) sottolinea come «(...) l'industria 4.0 offrirà all'Europa l'opportunità unica di perseguire diversi obiettivi investendo in una sola infrastruttura. Rinviare tale investimento significherebbe compromettere la competitività europea. Un investimento di questo tipo dovrebbe, pertanto, essere valutato positivamente anche nel quadro delle raccomandazioni specifiche per Paese emanate ogni anno nel corso del semestre europeo», ed ancora, nella relazione illustrativa sul tema «Trasformazioni economiche nel mondo, conseguenze per la competitività dell'Unione europea» (CCMI/134, 23 luglio 2015), si sottolinea l'importanza del ruolo dell'industria 4.0 e delle tecnologie rivoluzionarie, evidenziando che «(...) Le imprese degli Stati membri con scarse competenze digitali hanno più difficoltà ad applicare le innovazioni di punta, le tecniche di modernizzazione e i modelli aziendali aggiornati»;
    a livello comunitario, la ricerca su «Internet delle cose e dei servizi» (Internet of things and services) ha beneficiato di un importante sostegno attraverso il settimo programma quadro di ricerca (2007-2013) per le attività di ricerca e sviluppo tecnologico nell'ambito del quale sono stati allocati circa 9 miliardi di euro per il settore information and communication technology. Sono stati, altresì, investiti 2,4 miliardi di euro nella piattaforma tecnologica Artemis per promuovere progetti di sviluppo in otto sottoprogrammi che includono sia la manufacturing and production automation che il cyber-physical system;
    sotto gli auspici di questa iniziativa, il progetto «ActionPlanT», co-finanziato dalla Commissione europea nell'ambito dell'iniziativa di partenariato pubblico-privato Factories of the future, ha presentato la sua «Vision for manufacturing 2.0», un documento di discussione per le future iniziative di finanziamento della ricerca nell'ambito del nuovo programma quadro per la ricerca – Horizon 2020 (2014-2020);
    la Commissione europea ha definito gli ambiti di intervento prioritari su cui concentrare l'attenzione nell'individuazione della strategia globale relativa alla creazione del «mercato unico digitale»: con la digital single market strategy la Commissione europea intende «(...) sostenere tutti i settori industriali a integrare nuove tecnologie e gestire la transizione verso un sistema industriale intelligente (Industry 4.0)»;
    il commissario europeo all'economia digitale Günther Oettinger ha annunciato la presentazione di un piano di azione – che verrà presentato a inizio 2016 ai Ministri europei – articolato su quattro linee guida: interventi («dal sostegno alla ricerca e alla diffusione di expertise tecnologico sino alla creazione di hub regionali d'innovazione digitale») per favorire l'integrazione delle tecnologie di nuova generazione nei propri processi produttivi, sostegno allo sviluppo di piattaforme digitali di prossima generazione e alla diffusione delle competenze digitali in linea con la strategia già in atto per il mercato unico digitale, un nuovo pacchetto legislativo ed una regolamentazione più smart, partendo dalla libera circolazione dei dati;
    con l'approvazione della «Strategia italiana per la crescita digitale 2014-2020» e della «Strategia italiana per la banda ultra-larga» il Governo intende perseguire l'obiettivo di colmare il ritardo digitale del Paese sul fronte infrastrutturale e nei servizi, concorrendo a delineare un quadro normativo aggiornato ed un ecosistema digitale favorevole alla crescita economica, alla volontà di investire ed innovare, allo sviluppo delle reti tecnologiche e delle reti tra istituzioni e imprese, nonché orientato alla transizione verso un sistema industriale in grado di raccogliere la sfida della competitività digitale globale;
    come anche evidenziato dalla Ministra Guidi, presso il Ministero dello sviluppo economico è stata istituita una task force sulla politica industriale, che sta predisponendo un documento di posizionamento strategico sulla trasformazione digitale del sistema produttivo italiano finalizzato a rilanciare gli investimenti industriali con particolare attenzione a quelli in ricerca, sviluppo e innovazione, assicurare adeguate infrastrutture di rete attraverso la piena attuazione del piano banda ultralarga, diffondere le competenze per Industry 4.0 attraverso adeguati percorsi di formazione e di alternanza scuola-lavoro, nonché sostenere la nuova imprenditorialità innovativa (new innovative entrepreneurship) attraverso la collaborazione sinergica fra startup ad alto contenuto innovativo e imprese industriali consolidate;
    nel corso dell’Italian Digital Day svoltosi presso Venaria Reale il 21 novembre 2015, è stato delineato un piano integrato per il «Rinascimento digitale nazionale» che si fonda su un rinnovato e riconfigurato legame tra innovazione, competenze e capitale umano, formazione, tecnologie e strumentazioni digitali, finalizzato alla creazione di un ecosistema digitale condiviso ed articolato su quattro temi prioritari: il progetto «Italia Login» che si sostanzia nella nuova trasformazione digitale dei servizi pubblici online, il piano infrastrutturale per la banda ultralarga e per i data center pubblici, l'insegnamento dell'alfabeto digitale per superare il digital divide, la competitività digitale dalle Startup all'Industria 4.0,

impegna il Governo:

   a presentare una strategia «industria 4.0» per l'automazione declinata sui tre principali settori produttivi (agricolo, manifattura e servizi) che dettagli le modalità in cui il Governo intende fare in modo che le imprese, e in particolare le piccole e medie imprese, possano implementare le tecnologie e i processi di automazione e che preveda, altresì, misure di raccordo con il sistema universitario e di sostegno alla ricerca ed al trasferimento tecnologico;
   ad elaborare rapidamente uno scadenzario concreto per il monitoraggio dell'attuazione di questa strategia ed a presentare annualmente ai competenti organi parlamentari una relazione sui progressi realizzati nelle diverse aree di intervento;
   ad esaminare anche altre forme di finanziamento atte a sostenere lo sviluppo di tecnologie innovative associando diversi attori a più livelli – europeo, nazionale e locale – tenendo in considerazione il ricorso a svariati strumenti tra cui i partenariati pubblico-privato e il capitale di rischio nonché ad incentivare le acquisizioni di imprese innovative da parte di imprese consolidate;
   ad elaborare un piano di comunicazione nazionale che aiuti le imprese nella comprensione dei vantaggi derivanti dall'implementazione della strategia.
(7-00861) «Bombassei, Quintarelli, Galgano».


   La XI Commissione,
   premesso che:
    il decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 149, entrato in vigore il 24 settembre 2015 ha istituito l'agenzia unica per le ispezioni del lavoro, denominata ispettorato nazionale del lavoro, che integra i servizi ispettivi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell'INPS e dell'INAIL;
    secondo il disposto dell'articolo 1, comma 2, del decreto in oggetto, l'ispettorato svolgerà le attività ispettive già esercitate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dall'INPS e dall'INAIL;
    una delle funzioni fondamentali esercitata fino ad ora dagli ispettori dell'INPS è rappresentata dall'attività di vigilanza: essa è diretta a controllare l'esatto versamento dei contributi in riferimento ad obblighi inderogabili di legge;
    già dal 1991 (circolare n. 21 del 1991) l'INPS ha regolamentato il processo funzionale dell'attività di vigilanza, abbandonando quelle iniziative fondate sulla casualità e sul contingente e valorizzando invece (per le individuazioni delle aree a rischio) l'importanza dei controlli incrociati;
    lo scopo è stato sempre quello di intraprendere attività repressive efficaci che scoraggino comportamenti di evasione contributiva e favoriscano l'equilibrio finanziario del sistema previdenziale;
    ogni anno viene predisposto dall'INPS un piano operativo tendente alla lotta al lavoro nero e al controllo sistematico della correntezza (regolare versamento) e correttezza (nella fruizione dei benefici) contributiva da parte dei diversi soggetti tenuti al versamento dei contributi;
    tale piano si fonda su un'attenta analisi del territorio sia per individuare le aree di intervento e la tipologia delle aziende a più alto rischio di evasione, sia per definire i settori merceologici da prendere in considerazione ai fini ispettivi;
    il conseguimento degli obiettivi di vigilanza programmati veniva fino ad ora periodicamente monitorato al fine di garantirne la realizzazione;
    con il decreto legislativo n. 149 del 2015 i cambiamenti previsti sono notevoli a partire dalla ricordata istituzione dell'Ispettorato nazionale del lavoro che svolgerà le attività ispettive attualmente esercitate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dall'INPS e dall'INAIL. Sono soppresse la direzione generale per l'attività ispettiva del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e la direzione centrale vigilanza prevenzione e contrasto dell'economia sommersa dell'INPS;
    la misura della centralizzazione dei servizi ispettivi, coordinati e affidati ad un'unica Agenzia, sottrae, di fatto, all'INPS e all'INAIL quell'autonomia riservata in passato a tali enti nell'ambito della vigilanza;
    ne consegue che la vigilanza in materia di lavoro, contribuzione e assicurazione obbligatoria nonché legislazione sociale sarebbe d'ora in avanti esercitata e coordinata dall'ispettorato, sulla base di direttive emanate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con pregiudizio dell'autonomia giuridica e funzionale di ciascun ente nell'esercizio dell'attività ispettiva;
    si assiste, quindi, ad una mera attribuzione di poteri direttivi e di programmazione all'ispettorato del lavoro quale unico soggetto in posizione sovraordinata rispetto alle attività ispettive dell'INPS e dell'INAIL, integrate in tale Agenzia;
    nell'ambito di tale quadro normativo è apparsa sin dall'inizio discutibile la scelta del Governo di costituire un nuovo ente, invece di promuovere un coordinamento delle funzioni di vigilanza esercitate dagli enti cui spetta il potere di vigilanza;
    il rischio concreto è quello di vedere depotenziata, e non implementata, l'attività di vigilanza che, si ricorda, è finalizzata prima di tutto a garantire la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori, contrastando, in particolare, il lavoro sommerso e irregolare;
    l'articolo 7 del predetto decreto inserisce il personale ispettivo dell'INPS e dell'INAIL in un ruolo provvisorio ad esaurimento, prevedendo altresì, secondo il combinato disposto con l'articolo 5 del citato decreto legislativo, che il Presidente del Consiglio dei ministri con uno o più decreti da adottarsi entro 45 giorni dalla data di entrate in vigore del predetto decreto legislativo, al fine di razionalizzare e semplificare l'attività ispettiva, individui forme di coordinamento tra l'ispettorato e i servizi ispettivi di INPS e INAIL che comprendono, in ogni caso, il potere dell'ispettorato di dettare le linee di condotta e le direttive di carattere operativo, nonché di definire tutta la programmazione effettiva e la specifica attività di accertamento;
    le conseguenze dell'applicazione della suddetta norma sono tristemente chiare se si considera che, una volta emanati i decreti citati dal Presidente del Consiglio dei ministri, secondo i tempi e le modalità previsti dall'articolo di cui sopra, si correrà il rischio concreto e reale di perdere il bagaglio di conoscenze e di esperienze accumulate nel corso degli ultimi decenni dal personale ispettivo dell'INPS e dell'INAIL. Infatti, ad esempio, l'INPS, così come l'INAIL, grazie all'enorme patrimonio informativo di cui dispone e agli strumenti di intelligence e di verifica preliminare che ha realizzato, è in grado non solo di pianificare accessi ispettivi diretti, orientando la propria azione nei confronti di soggetti che presentano maggior rischio di irregolarità, ma anche di contrastare i fenomeni di elusione ed evasione contributiva già nel loro primo divenire attraverso l'identificazione preventiva di situazioni a rischio;
    inoltre, è noto che gli ispettori del lavoro, per le materie di competenza, assumono la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria (ex articolo 57, comma 3, c.p.p.) e riferiscono alla procura della Repubblica competente per territorio della propria attività secondo quanto stabilità dall'articolo 6 del decreto legislativo n. 124 del 2004: in questi casi sono tenuti al segreto istruttorio e al segreto d'ufficio;
    c’è il rischio, a parere dei firmatari del presente atto, di una perdita dell'autonomia operativa degli ispettori: già recentemente il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nel realizzare un sistema gestionale, denominato «SGIL» per la direzione territoriale del lavoro, ha previsto la realizzazione di una banca dati comune, capace di sviluppare le statistiche delle attività ispettive svolte e con circolare n. 37 del 17 luglio 2012 delle direzioni generali attività ispettive e per le politiche per i servizi per il lavoro ha disposto che gli ispettori inseriscano le notizie di reato e le informazioni inerenti a procedimenti penali all'interno della banca dati prevedendo che vengano inserite in anticipo le località e le imprese che verranno ispezionate. In realtà risulterebbe che lo SGIL sia divenuto un vero e proprio sistema di controllo dell'attività ispettiva svolta dagli ispettori. La predetta circolare comporterebbe il rischio di far conoscere all'amministrazione informazioni riguardanti inchieste o indagini della polizia giudiziaria;
    anche la creazione dell'agenzia unica per le ispezioni del lavoro, denominata ispettorato nazionale del lavoro, potrebbe comportare il rischio di un controllo centralizzato dell'attività ispettiva e delle indagini svolte dagli ispettori con funzioni di polizia giudiziaria, in tutto il territorio nazionale, limitandone l'autonomia operativa, scavalcando completamente tutti i livelli dirigenziali ed organizzativi, individuando un sistema di gestione dell'attività ispettiva che porterebbe il singolo ispettore a confrontarsi direttamente con il direttore generale, in modo analogo al soldato che prende ordini direttamente da un generale anziché dal suo diretto superiore;
   in realtà, gli ispettori di vigilanza dell'INPS e dell'INAIL sono già in grado, grazie alla loro struttura organizzativa estremamente efficace, organizzata ed informatizzata, di operare un lavoro di intelligence che consente realizzare accessi in aziende sempre più mirati, allo scopo di poter svolgere un fondamentale ruolo di controllo sul territorio. Ne consegue che la privazione dell'autonomia dell'attività ispettiva degli istituti previdenziali metterebbe a serio rischio anche la circolarità e la continuità tra l'accertamento e il recupero dell'evasione contributiva e l'aggiornamento delle posizioni assicurative dei lavoratori;
    appare chiara, alla luce di quanto detto, la necessità di garantire, nell'ambito dell'adozione dei futuri successivi decreti connessi al decreto legislativo in esame, un'adeguata tutela della macchina organizzativa, con particolare riferimento al corpo professionale addetto all'attività ispettiva di ciascun ente interessato al processo di riforma dettato dalle norme in esame,

impegna il Governo:

   ad assumere idonee iniziative normative – a partire dall'adozione dei decreti di cui agli articoli 5 e 7 del decreto legislativo n. 149 del 14 settembre 2015 – volte a salvaguardare, garantendone l'autonomia operativa e di intervento, l'indipendenza, il ruolo unico, il patrimonio organizzativo, tecnologico e umano sotteso all'attività di vigilanza ispettiva degli enti INPS e INAIL, per evitare ripercussioni negative sull'attività di vigilanza da essi svolta;
   ad assumere idonee iniziative normative – a partire dall'adozione dei decreti di cui agli articoli 5 e 7 del decreto legislativo n. 149 del 14 settembre 2015 – volte ad assicurare la tutela e la salvaguardia del ruolo e del know-how del personale ispettivo dell'INPS e dell'INAIL, per evitare la perdita di conoscenze, anche sul territorio di rispettiva competenza, e di autonomia di cui ciascun ente è portatore in modo da rafforzare la vigilanza in materia di lavoro, contribuzione e assicurazione obbligatoria;
   ad assumere iniziative normative volte ad assicurare agli organi ed ispettori degli enti INPS ed INAIL preposti ai controlli in materia di lavoro la necessaria autonomia ed indipendenza operativa, nonché adeguati strumenti per accertare, sanzionare e reprimere il lavoro «nero», potenziando i controlli e il contrasto all'evasione contributiva previdenziale.
(7-00859) «Ciprini, Cominardi, Lombardi, Tripiedi, Dall'Osso, Chimienti».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    nel corso degli ultimi cinquanta anni la superficie nazionale destinata a leguminose si è notevolmente ridotta; per alcune colture, gli ettari coltivati sono più che dimezzati, passando da 500.000 a poco più di 50.000 per la fava e 10.000 per il fagiolo e da 25.000 ad appena 2.400 per la lenticchia; il lupino ha interessato, secondo dati del 2010, circa 3.000 ettari, mentre al cece sono stati riservati poco meno di 7.000 ettari; solo il pisello proteico ha fatto registrare, nel 2010, una superficie di 7.800 ettari, più del triplo di quella investita agli inizi degli anni 2000, e una produzione complessiva di poco superiore a 20.000 tonnellate;
    la drastica riduzione delle superfici coltivate a leguminose non è stata compensata, neanche parzialmente, dall'aumento delle rese che non hanno registrato variazioni significative a dimostrazione del fatto che queste colture sono state interessate solo marginalmente da interventi di miglioramento genetico;
    simili considerazioni possono estendersi alle foraggiere: l'erba medica, che rende la maggior produzione di proteine per ettaro, ricopre, stando ai dati risalenti al 2010, una superficie di circa 720.000 ettari di cui 90.000 dedicati alla disidratazione con ben 70 impianti di trasformazione; la superficie coltivata a lupinella, sempre secondo dati di cinque anni fa, si è più che dimezzata rispetto al 2000, occupando poco più di 17.000 ettari mentre quella destinata sulla si è ridotta a poco più di 53.000 ettari;
    nonostante l'Italia sia il principale produttore comunitario di semi di soia, la cui coltivazione ha registrato, a partire dal 2010, progressivi aumenti delle superfici raggiungendo nel 2011 circa 250.000 ettari, per una produzione complessiva di oltre 870.000 tonnellate, ne è anche significativo importatore: nell'anno 2009 le importazioni da Brasile, Paraguay e Stati Uniti sono risultate pari a 1.360.000 tonnellate di granella (+ 25 per cento rispetto ai primi anni del 2000);
   oltre alla soia, leguminose da granella con interessanti possibilità di sviluppo nel nostro Paese sono il pisello proteico ed il favino, complementari rispetto alle aree in cui possono essere coltivate: a Settentrione il primo e a Sud il secondo, frequentemente impiegate nell'alimentazione degli animali da allevamento ed oggetto ormai da anni di un buon lavoro di miglioramento genetico che ha consentito la costituzione di cultivar già disponibili e di risorse genetiche utili per futuri programmi di breeding;
    altre specie interessanti ai fini di un incremento della produzione di proteine vegetali sono il lupino dolce ed il cece oltre che gli arbusti foraggeri quali la Medicago arborea;
    la promozione e 1’ incentivazione della produzione di proteine vegetali è ormai indispensabile non solo per limitare l'utilizzo di mangimi zootecnici arricchiti con farine animali, ma anche al fine di poter disporre di valide alternative per tutti quei consumatori che, contrari agli organismi geneticamente modificati, molto diffusi nelle fonti proteiche vegetali importate dall'estero, preferiscono invece prodotti nazionali garantiti, in modo particolare tradizionali e biologici;
    le leguminose da granella rappresentano in termini di valore il 5 per cento del valore delle colture erbacee (foraggere escluse). Dal 2000 al 2013 i valori delle leguminose da granella sono diminuite nel primo quinquennio, per poi iniziare a crescere;
    una maggior superficie investita a colture proteiche oltre che aumentare l'approvvigionamento nazionale di proteine vegetali contribuirebbe alla riduzione di CO2, consentirebbe il recupero di terreni marginali o sottoutilizzati e promuoverebbe l'adozione di buone pratiche agronomiche incrementando il livello di competitività dell'intera filiera foraggero-zootecnica;
    tali colture, inoltre, consentono al produttore agricolo di migliorare l'ordinamento produttivo, stimolando la rotazione tra colture depauperanti e colture da rinnovo, interrompendo la monosuccessione, contribuendo a favorire la rotazione, con molteplici benefici ambientali quali il miglioramento della struttura e della fertilità del terreno la riduzione dell'impiego di fertilizzanti di sintesi e di prodotti fitosanitari, evitando i gravi rischi di abbandono e/o di depauperamento dei terreni;
   le leguminose rappresentano le colture più idonee per rispettare alcuni dei vincoli imposti con la nuova PAC (greening), in particolare per la formazione delle cosiddette aree EFA (Ecological Focus Area);
    la reintroduzione di varietà tradizionali migliorate, impatterebbe inoltre positivamente sul sistema economico in quanto anche le industrie mangimistiche troverebbero conveniente utilizzare granella nazionale anziché di importazione;

impegna il Governo:

   a predisporre urgentemente un piano di sviluppo delle colture proteiche al fine di garantire l'approvvigionamento nazionale delle farine vegetali proteiche a costi sostenibili ed in particolare a:
    a) investire nella ricerca e nello sviluppo di varietà autoctone più produttive, anche identificando programmi di coltivazione e tecniche agronomiche, per diminuire la dipendenza da soia, promuovendo al contempo la salvaguardia della biodiversità ed il recupero del germoplasma locale;
    b) investire nella ricerca per l'innovazione di processo e di prodotto, anche garantendo adeguata assistenza tecnica nelle varie fasi della filiera e la messa a punto di kit diagnostici rapidi per la determinazione della presenza di micotossine, contaminanti e transgeni;
    c) accogliere, interpretare e selezionare la domanda di ricerca e indirizzarla alle sedi di ricerca in grado di fornire le risposte tecniche migliori al fine di restituire nel breve periodo i risultati alle imprese, anche attraverso la promozione della costituzione di gruppi operativi di cui al regolamento (UE) n. 1305/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio sul sostegno allo sviluppo rurale;
    d) sviluppare ed incentivare la meccanizzazione al fine di abbassare i costi colturali;
    e) promuovere indagini economiche sugli effetti delle riconversioni produttive a livello aziendale, di comparto e territoriale;
    f) promuovere lo studio di nuove formulazioni mangimistiche a seguito della rinnovata produzione proteica oggetto del piano;
    g) sostenere la creazione di una organizzazione interprofessionale in modo da coinvolgere tutti i segmenti della filiera, dalla produzione di materia prima in campo a quello del consumo dei prodotti zootecnici derivati;
    h) predisporre sistemi di tracciabilità e di gestione allo scopo di garantire la tutela della qualità in tutti i segmenti della filiera foraggiero-zootecnica.
(7-00860) «Gallinella, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Parentela».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   CARRA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi della legge n. 185 del 1990 annualmente il Governo è tenuto a fornire al Parlamento una relazione sulla commercializzazione delle armi;
   diverse associazioni, che da anni si battono contro la proliferazione delle armi, hanno formalmente protestato rispetto ad alcune mancanze che a loro giudizio sono presenti all'interno dell'ultimo rapporto;
   alcune inchieste giornalistiche fanno riferimento a sistemi d'arma realizzati nel nostro Paese e che avrebbero come destinazione Paesi impegnati in conflitti;
   il quadro normativo italiano in materia di esportazione è tra i più rigidi in assoluto e risponde al dettato costituzionale di ripudio della guerra e attribuisce al Parlamento, attraverso la relazione annuale, un ruolo di controllo –:
   se il Governo sia a conoscenza delle obiezioni di cui in premessa mosse dalla associazioni e quali iniziative intenda assumere per assicurare la massima trasparenza in ottemperanza alla legge n. 185 del 1990 anche per quanto concerne l'annuale relazione. (3-01890)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e SEGONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la città di Parigi il 13 novembre 2015 è stata sconvolta da una serie di attentati terroristici che hanno causato la morte di 129 persone ed il ferimento di oltre 300 persone;
   tale attacco terroristico, ufficialmente rivendicato dall'Isis, ha visto la partecipazione di circa una decina di attentatori che hanno aperto il fuoco con fucili automatici sugli avventori di alcuni locali pubblici, all'interno di un famoso teatro parigino, e allo stadio in occasione di un incontro sportivo; da quanto riportato dalla stampa tutti gli attentatori indossavano cinture esplosive che alcuni di loro hanno azionato provocando micidiali deflagrazioni contribuendo così a far aumentare il numero di morti e feriti;
   questo gravissimo attacco terroristico segue a stretta distanza l'attentato che il 31 ottobre 2015 ha colpito in Egitto un Airbus A321-100 della compagnia russa Kolavia provocando la morte di 224 persone, il quale sarebbe stato attuato introducendo a bordo del velivolo una bomba nascosta all'interno di un bagaglio che, evidentemente, ha superato i controlli di sicurezza dell'aeroporto di Sharm el-Sheikh, da cui l'aereo era decollato per San Pietroburgo;
   da alcune parti è stata ventilata l'ipotesi che l'indebolimento sul terreno militare dell'offensiva islamista, ad oggi relativamente limitata, stante l'intervento nella guerra civile in Siria con bombardamenti aerei da parte della Russia, degli USA, del Regno Unito dell'Arabia Saudita e della Francia stessa e che vede parallelamente il sostegno degli attacchi di terra della coalizione di curdi, sciiti e forze irachene, potrebbe portare il riversarsi di nuovi attentatori, reclutati dalle organizzazioni jihadiste, in Europa;
   dopo tali avvenimenti è verosimile considerare che vi sia il rischio di attentati terroristici anche in Italia, poiché vi è la possibilità che alcuni attentatori si infiltrino in Italia attraverso i valichi ad est provenendo dalla regione balcanica sino ad entrare nella regione Friuli Venezia Giulia, ovvero attraverso le frontiere ad ovest con la Francia, pervenendo nelle regioni Liguri e Piemonte, come segnalato in data 16 novembre 2015 relativamente alla presunta fuga verso l'Italia di uno degli attentatori sfuggiti ai blitz della polizia francese; altro possibile canale d'infiltrazione potrebbe anche essere individuato nel flusso dei migranti che affluiscono verso le coste italiane;
   in tale scenario è quanto mai necessario un efficace azione di intelligence, capace di monitorare le eventuali minacce e offrire un solido supporto alle forze di polizia che devono effettuare controlli rigorosi;
   tutto ciò interviene in un contesto dove si assiste ad un sottodimensionamento delle forze di polizia in generale: la polizia, i carabinieri e la guardia di finanza soffrono di una patologica carenza di organico, poiché molto spesso i pensionamenti non vengono rimpiazzati da altrettante assunzioni;
   la minaccia terroristica dovrebbe essere controllata attraverso il monitoraggio dei flussi di entrata alle frontiere, ai caselli autostradali, negli aeroporti anche in considerazione del prossimo inizio del Giubileo straordinario, capace di attrarre verso l'Italia un gran numero di persone in più rispetto alla media;
   tale nuova esigenza per quanto potrà essere più agevolmente affrontata con l'ausilio dei militari impiegati in attività di controllo parrebbe richiedere un riassetto dell'organico delle forze di polizia di modo da portarlo ad un numero di agenti adeguato alle rinnovate contingenze di sicurezza del paese;
   i quotidiani locali del 17 novembre 2015 riportano che nell'area di Verona sono stati predisposti numerosi nuovi controlli volti a presidiare l'aeroporto Catullo, la stazione ferroviaria di Porta Nuova, le grandi arterie stradali, gli uffici pubblici;
   sicuramente le misure di sicurezza sono state rafforzate a seguito della circolare inviata alle prefetture italiane che dispone l'elevazione al livello due del grado di allerta, che consiste all'innalzamento dell'attività di prevenzione al massimo grado, con l'intensificazione dei controlli negli aeroporti, nelle stazioni ferroviarie e la messa in guardia delle forze speciali di polizia, il nucleo operativo centrale di sicurezza (Nocs) della polizia di Stato ed il gruppo di intervento speciale (Gis) dei carabinieri;
   ci si chiede, tuttavia, se i controlli predisposti siano da ritenersi efficaci in relazione alla mancanza d'organico delle forze di polizia dedite all'effettuazione delle operazioni di prevenzione, anche relativamente alla situazione che vede la città di Verona quale importante snodo delle direttrici ferroviarie ed autostradali nord-sud Modena-Brennero ed est-ovest Milano-Venezia;
   si ritiene, dunque, anche doveroso aggiornare i dispositivi di sicurezza presso gli obiettivi sensibili, e in particolare presso gli scali aeroportuali, nei quali devono essere intensificati i controlli dei passeggeri e dei bagagli imbarcati e trasportati in cabina, in particolare relativamente allo scalo aeroportuale veronese, a distanza di qualche chilometro dal centro di Verona, città che può vantare il quarto posto in Italia per numero di presenze turistiche –:
   se e quali iniziative intendano adottare in relazione alle, criticità esposte in premessa;
   se e quali iniziative urgenti intendano adottare per garantire la sicurezza in Italia da eventuali attacchi terroristi, rilevato il rinnovato rischio di attentati in Europa sulla scia della recente strage di Parigi e tenuto anche conto dell'imminente inizio del Giubileo straordinario nella città di Roma;
   se e quali azioni intendano intraprendere per ovviare alla mancanza di organico nelle forze di polizia, carabinieri guardia di finanza ed esercito;
   quale sia il numero di unità di personale di forze di polizia e dell'esercito attualmente presenti a presidio della città di Verona e quante siano state destinate al rafforzamento dei contingenti normali per l'effettuazione dei controlli in attuazione del nuovo piano di sicurezza;
   quali e quanti mezzi o attrezzature saranno destinati nel piano di sicurezza predisposto a seguito degli attentati di Parigi per l'effettuazione di controlli più stringenti nello scalo aeroportuale veronese «Valerio Catullo», anche in relazione all'attentato occorso in Egitto, Sharm el-Sheikh, che ha provocato un disastro aviatorio con un così alto numero di decessi. (5-07135)


   TRIPIEDI, COMINARDI, ALBERTI, CHIMIENTI, LOMBARDI, DALL'OSSO e CIPRINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Italcementi spa è un'azienda italiana di materiali da costruzione, fondata nel 1864 e quotata presso la borsa valori di Milano. Il Gruppo Italcementi ha una capacità produttiva di oltre 60 milioni di tonnellate di cemento annue ed è il quinto produttore di cemento a livello mondiale;
   Italcementi in Italia attualmente conta circa 2700 dipendenti, di cui 650 circa nella sede operativa ITC di Bergamo, 200 circa nella sede del CTG (Centro Tecnico di gruppo, che comprende anche il centro di ricerca i.lab) di Bergamo e in sedi produttive ITC e in società minori, non coinvolte nella ristrutturazione;
   la crisi dell'edilizia che ha conosciuto il suo inizio nell'anno 2009, ha prodotto i suoi effetti negativi nel settore sia a livello nazionale che mondiale, in particolare in diversi paesi dove sono presenti filiali del gruppo Italcementi. Nello specifico del mercato italiano, vi è stato un assorbimento dei volumi che ha portato ad un assestamento di circa il 50 per cento rispetto al cemento potenzialmente producibile in Italia;
   in conseguenza di quanto appena indicato, in data 14 gennaio 2013, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, è stato sottoscritto un accordo fra rappresentanti dell'azienda Italcementi spa, le organizzazioni sindacali nazionali Feneal-UIL, Filca-CISL e Fillea-CGIL unitamente al Coordinamento RSU/RSA ed alle strutture territoriali, per il ricorso alla cassa integrazione guadagni straordinaria biennale a partire dal 1o febbraio 2013 con scadenza fissata al 31 gennaio 2015;
   nel dettaglio, tale piano vedeva coinvolti 669 lavoratori per Italcementi distribuiti sull'intero territorio nazionale ed 80 per il Centro tecnico di gruppo;
   in fase successiva, è stata chiesta dalle parti una proroga per complessità delle attività per 444 lavoratori di Italcementi e 60 per il Centro tecnico di gruppo, che nei piani consisteva in un anno di cassa integrazione guadagni straordinaria più un ulteriore anno. Il primo anno concesso ha scadenza in data 31 gennaio 2016;
   in data 28 luglio 2015, è stata stipulata l'operazione di vendita del gruppo Italcementi ai tedeschi di HeidelbergCement Group, operazione che dovrebbe perfezionarsi nella metà del 2016;
   con l'entrata in vigore della legge 183 del 2014, il secondo anno di cassa integrazione guadagni straordinaria spettante ai lavoratori risulta essere non più concedibile, salvo l'applicazione dell'articolo 42 della legge 148 del 2015, che permetterebbe di traguardare il closing della vendita del gruppo Italcementi a HeidelbergCement Group, e di avere eventualmente i due anni della nuova normativa;
   tra le intenzioni di Italcementi, vi era quella di richiedere una CIGS per 1080 lavoratori con due percorsi separati: il primo per le sedi da ristrutturare e il secondo per quelle da chiudere, in conseguenza del fatto che l'azienda stessa ha insistito molto sulla volontà di chiusura di alcuni centri di produzione;
   le organizzazioni sindacali hanno espresso il loro timore che il tempo tra il closing e la fine dell'ammortizzatore sociale corrispondente a poco meno di un anno, non sia sufficiente per la gestione degli importanti esuberi che probabilmente ci saranno con la nuova proprietà, soprattutto nella sede centrale di Bergamo. Sempre per le parti sociali, esiste il rischio che non sia nelle intenzioni di HeidelbergCement, utilizzare ammortizzatori sociali –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopraindicati;
   come intenda agire il Governo, per quanto di propria competenza, al fine di assicurare il rinnovo della cassa integrazione in fase di scadenza per tutti i lavoratori della Italcementi s.p.a. interessati;
   come intenda agire il Governo, per quanto di propria competenza, affinché venga garantito il mantenimento dell'occupazione in prospettiva futura e, a fronte degli intenti di cessione ad azienda estera, quali iniziative preventive intenda adottare al fine di assicurare un futuro lavorativo certo a tutti i dipendenti attualmente impiegati nell'azienda Italcementi. (5-07145)


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, LOMBARDI, DALL'OSSO e ALBERTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 novembre 2015, sul sito online di informazione « repubblica.it», veniva pubblicata la notizia riguardante il primo caso di lavoratore assunto con la legge 183 del 2014, cosiddetta « Jobs Act», e licenziato dopo 8 mesi;
   Mario B., questo il nome indicato dell'operaio trentunenne, dopo quattro anni come camionista con molte ore di lavoro all'estero, con l'intento di avvicinarsi a casa e alla sua famiglia composta dalla compagna e due figli di 12 e 3 anni, ha presentato domanda di assunzione nell'estate del 2014 all'azienda cartiera Pigna Envelopes srl di Tolmezzo (UD). A inizio 2015 è stato chiamato dalla stessa azienda per essere assunto il lunedì successivo. L'assunzione è stata però rimandata di qualche settimana, con la motivazione che la Pigna Envelopes srl stava attendendo l'entrata in vigore della nuova riforma del lavoro, così da portare il signor Mario B. a firmare definitivamente il contratto di assunzione in data 16 marzo 2015, quindi con tutte le caratteristiche della nuova contrattazione vigente;
   a distanza di pochi mesi, con una lettera inviata in data 11 novembre 2015, il presidente e amministratore delegato, ha comunicato al dipendente in questione la risoluzione del rapporto di lavoro a partire dal 13 novembre 2015, ossia soli due giorni dopo l'invio della missiva, a causa di un persistente calo del lavoro denunciato dagli stessi dirigenti;
   all'interno dell'intervista rilasciata dal lavoratore a « repubblica.it», lo stesso indicava che, in data 13 novembre 2015, sempre la stessa azienda aveva licenziato altri due lavoratori assunti a tempo indeterminato a tutele crescenti e che probabilmente avrebbe continuato a licenziarne altri;
   dopo essere stato licenziato, le considerazioni più rilevanti fatte dallo stesso lavoratore, sono state quelle riguardanti il fatto che l'azienda aveva sempre rassicurato i propri lavoratori di non preoccuparsi per eventuali licenziamenti e che per tre anni avrebbero avuto il posto di lavoro assicurato, nonostante il contratto a tutele crescenti preveda la possibilità di un più facile licenziamento;
   sempre dopo il licenziamento, il lavoratore ha dichiarato che, per il fatto di essere stato assunto a tempo indeterminato e non con un contratto precario, non si sarebbe mai aspettato di essere licenziato e da subito ha realizzato che, con la legge vigente, non v’è differenza tra un contratto di tipo indeterminato ed uno più precario;
   un'ulteriore considerazione fatta dal lavoratore è quella riguardante il proprio licenziamento dalla precedente attività di camionista che ha permesso alla sua ultima azienda, la Pigna Envelopes srl, di poter usufruire degli sgravi fiscali con la sua assunzione;
   le mancate capacità di analisi delle conseguenze a cui avrebbe portato la legge 183 del 2014 sopraindicata, è ciò che gli interroganti hanno da sempre denunciato al Governo in fase di discussione dell'approvazione della norma;
   molteplici sono i punti discussi in ogni opportuna sede dagli interroganti che si sono puntualmente verificati in questa significativa vicenda appena citata, come quello relativo ad un'inesistente differenza sostanziale tra lavoratori a tutele crescenti e precari. Va anzi evidenziato che per i primi vi è un peggior trattamento dovuto al fatto che per i lavoratori con contratto a tempo determinato vi sono regole più chiare, definite da un tempo condizionato all'attività dell'impresa, che non alimentano illusioni nel lavoratore;
   dall'altra parte, nel caso specifico, vi è un'azienda che ha beneficiato della decontribuzione prevista dalla legge per aver assunto un lavoratore a tempo indeterminato che, senza il vincolo di dover restituire il vantaggio contributivo incamerato per i mesi di assunzione, scarica sulla collettività lo stesso lavoratore licenziato che dovrà fare domanda per accedere agli ammortizzatori sociali, con la conseguenza che per l'azienda non vi sia nessun conto da pagare a differenza del doppio costo sociale che dovrà sostenere il «sistema Paese»;
   in un panorama come quello indicato di più che evidente alleggerimento dei diritti dei lavoratori, altro punto sottolineato più volte dagli interroganti ed anche dal lavoratore protagonista della vicenda sopraindicata, è quello relativo alle tutele per eventuali reintegrazioni dei lavoratori licenziati, rese ancor più flebili da un radicale indebolimento dell'articolo 18 della legge 300 del 1970 cosiddetto «Statuto dei lavoratori» –:
   se e quali iniziative di modifica della legge 183 del 2014 il Governo abbia previsto affinché non si ripetano casi come quello indicato in premessa, assicurando i livelli occupazionali di tutti i lavoratori e ristabilendo adeguati diritti e tutele degli stessi. (5-07151)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCAGLIUSI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 12 novembre 2015, il Comitato sui diritti umani della Camera dei deputati ha avuto l'onore di incontrare la rappresentante speciale OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) per il contrasto alla tratta degli esseri umani, l'ambasciatrice Madina Jarbussynova, sul tema relativo al traffico di esseri umani, al terzo posto tra i fenomeni criminali internazionali, subito dietro il traffico di stupefacenti e di armi;
   nel corso del suo intervento, l'ambasciatrice Madina Jarbussynova, ha sottolineato che L'ONU stima, ad oggi, circa 1 miliardo di persone in viaggio con spostamenti volontari o involontari. L'instabilità nel Medio Oriente e nel Corno d'Africa ha provocato flussi misti che comprendono migranti economici, richiedenti asilo e rifugiati anch'essi vulnerabili e a rischio di diventare vittime della tratta;
   secondo l'ILO (Organizzazione internazionale del lavoro) dei 20,9 milioni di persone che attualmente a livello mondiale si trovano in una situazione di lavoro forzato, 9 milioni erano emigrati a livello interno o internazionale. I fanciulli rappresentano il 26 per cento del totale (5 milioni e mezzo). Gli utili illeciti generati dal lavoro forzato, ammontano a 65 miliardi di dollari solo nell'area OSCE. Quelli invece generati a livello globale sono circa 150 miliardi;
   secondo il rapporto globale dell'UNODC (Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine), nella regione dell'OSCE, la maggior parte dei casi individuati hanno a che fare con sfruttamento di tipo sessuale o di tipo lavorativo. Ci sono anche traffici in cui le vittime vengono utilizzate per commettere crimini o per schiavitù domestica;
   al 5 novembre, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) ha registrato 3.440 persone morte o disperse nell'attraversare il Mediterraneo;
   l'Italia si trova al centro dei flussi migratori e quindi anche di quelli legati alla tratta degli esseri umani, sia per la sua posizione geografica ma anche per vuoti normativi. Il nostro Paese avrebbe dovuto adottare un piano nazionale d'azione contro la tratta di esseri umani, in recepimento della direttiva 2011/36/UE;
   il decreto legislativo 3 marzo 2014, n. 24, in attuazione della direttiva 2011/36/UE, relativo alla prevenzione e alla repressione della tratta di esseri umani e alla protezione delle vittime, all'articolo 8, comma 1, fa riferimento ad un piano nazionale d'azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani, di cui all'articolo 13, comma 2-bis, della legge 11 agosto 2003, n. 228;
   all'articolo 13, comma 2-bis, la legge 11 agosto 2003, n. 228 stabilisce che, con delibera del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell'interno nell'ambito delle rispettive competenze, sentiti gli altri Ministri interessati, previa acquisizione dell'intesa in sede di Conferenza unificata, è adottato il Piano nazionale d'azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani. Si prevede altresì che, «In sede di prima applicazione, il piano è adottato entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione»;
   ad oggi, il piano nazionale d'azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani, non è ancora stato adottato –:
   se il Governo non intenda adottare il piano nazionale d'azione contro la tratta ed il grave sfruttamento degli esseri umani quanto prima, come stabilito dalla legge 11 agosto 2003, n. 228, e in recepimento della direttiva 2011/36/UE, considerata la fondamentale importanza di tale piano nazionale e visto il clamoroso ritardo accumulato. (4-11346)


   PALMIZIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante segnala che, a seguito dell'alluvione verificatasi il 14 settembre 2015 a Bettola in provincia di Piacenza, che ha provocato il decesso di un vigilante e ha lasciato, intere frazioni isolate, numerosi edifici sia pubblici che privati distrutti, importanti collegamenti stradali interrotti e rilevanti danni alle attività produttive, agricole e commerciali, a distanza di oltre 2 mesi e mezzo, il corpo di Luigi Agnelli, padre di Filippo anch'egli deceduto a causa del tragico evento climatico, non è stato ancora ritrovato;
   il drammatico avvenimento che ha causato il decesso di entrambi i familiari, causa, ad oggi, nei riguardi della signora Ornella Degradi Agnelli, madre e moglie delle suindicate vittime, l'impossibilità di riprendere condizioni di normalità, sia per la ricerca ed il recupero del corpo del marito, che con ogni probabilità giace nel fiume situato sulla strada provinciale 654 (a seguito del crollo della strada lungo la quale transitava con l'automobile), che per l'inaccessibilità della pensione di reversibilità, non essendo trascorsi almeno per tre anni per la dichiarazione di morte presunta del marito ancora disperso;
   al riguardo, l'interrogante segnala come sia urgente e necessario, un intervento dei Ministri interrogati, al fine di ripulire l'alveo del Nure, attraverso l'invio di personale di sicurezza e delle forze armate, specializzate ad intervenire nei casi di emergenza, a seguito di eventi climatici di particolare intensità come quello accaduto in provincia di Piacenza nel mese di settembre e che ha determinato l'esondazione del Nure e del Trebbia;
   anche la stampa locale piacentina occupandosi del caso suindicato, ha evidenziato come la signora Ornella Degradi Agnelli, a seguito dell'evento tragico che ha causato la morte dei suoi familiari, si sia attivata nei riguardi delle istituzioni competenti locali, affinché provvedano in tempi rapidi alla pulizia del torrente sia per il ritrovamento del corpo del marito, che per evitare che le attuali condizioni precarie in cui si trova lo stesso fiume possano causare ulteriori effetti drammatici nel caso si ripetessero piogge torrenziali come quelle verificatesi nel settembre 2015;
   prevedere interventi normativi in deroga alla vigente disciplina, in materia di pensione di reversibilità in situazioni così particolari come quella in precedenza richiamata, a giudizio dell'interrogante, risulta urgente e necessario al fine di consentire al soggetto interessato e ad altri colpiti da un dramma come quello della perdita del coniuge, senza il ritrovamento del relativo corpo, di ottenere ugualmente l'indennità di reversibilità, a seguito del decesso pressoché certo –:
   quali orientamenti il Governo intenda esprimere con riferimento a quanto in precedenza richiamato;
   se, in conseguenza dell'alluvione verificatasi nel mese di settembre 2015 a Bettola in provincia di Piacenza in relazione alla quale il ripristino delle condizioni di normalità a distanza di oltre due mesi risulta ancora lento e difficoltoso, anche a causa delle operazioni di messa in sicurezza del torrente esondato e dei collegamenti stradali adiacenti non ancora completamente agibili, non ritengano di assumere iniziative volte a potenziare il numero degli operatori di sicurezza delle forze dell'ordine e dei militari, al fine di accelerare la riattivazione dell'intera area piacentina colpita dall'alluvione;
   se, in considerazione della impossibilità di erogare la pensione di reversibilità nei riguardi della signora Ornella Degradi Agnelli, a causa del divieto della vigente disciplina normativa, il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative per prevedere una deroga per fattispecie come quella di cui in premessa. (4-11352)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto n. 82 del 2011 regolamenta la gestione dei pneumatici fuori uso al fine di ottimizzare il recupero, prevenire la formazione di rifiuti e tutelare l'ambiente;
   ad oggi i produttori, secondo il quadro normativo ed operativo vigente, devono: dichiarare i quantitativi immessi di pneumatici nuovi sul mercato nazionale; raccogliere e gestire il 90 per cento in peso della quantità di quella immessa; raccogliere presso tutti i punti di generazione di PFU a livello nazionale; rendicontare la gestione entro il 31 maggio di ogni anno (la gestione non deve essere a scopo di lucro); destinare gli avanzi di gestione al ritiro di depositi di PFU abbandonati (anche detti stock storici) e contribuire alla gestione dei PFU derivanti da demolitori (ACI PFU);
   si evidenzia, che in un quadro generale piuttosto positivo che ha consentito in questi anni il recupero di ingenti quantità di pneumatici, sono state osservate alcune anomalie. Tra queste anomalie si sottolinea la mancanza di trasparenza in quanto alcuni soggetti operanti nel settore:
    a) non paiono essere iscritti a Consorzi;
    b) non paiono aver presentato domanda di gestione diretta al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
    c) paiono applicare gli eco-contributi (solitamente un mix di quelli più bassi di ogni categoria) senza aver sottoposto al Ministero modalità di calcolo e determinazione;
    d) non paiono applicare il contributo ambientale per i PFU;
    e) non effettuano attività di raccolta diffusa, ma solo locale;
    f) non contribuiscono alla gestione PFU derivanti dai veicoli a fine vita gestiti da ACI;
   inoltre, si lamenta l'assenza di un database in cui siano raccolti le informazioni sui depositi di PFU abbandonati presenti in Italia, la cui bonifica è demandata ai Consorzi di produttori e importatori;
   in queste settimane ci sono stati degli incontri tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le associazioni di categoria con lo scopo di verificare la possibilità di una revisione o aggiornamento della normativa sugli PFU –:
   se non intenda, nell'ambito della revisione e dell'aggiornamento della normativa e delle procedure nel settore dei pneumatici fuori uso, assumere iniziative per:
    a) istituire un registro nazionale dei produttori (semplice elenco on line), nel quale pubblicare i nominativi dei soggetti iscritti in forma individuale o associata in modo che il mercato diventi trasparente e si autoregoli e che i consumatori possano contattare e scegliere tra i vari soggetti obbligati alla raccolta e verificare l'entità dell'eco contributo nonché l'effettiva attività svolta, al fine di garantire che i soggetti preposti al controllo beneficino di trasparenza e facilità di verifica in merito alla rendicontazione;
    b) ribadire l'obbligo di raccolta PFU a livello nazionale o almeno (nel caso di sistemi individuali) in tutte le regioni in cui vengono venduti pneumatici ai propri clienti, così evitando che a fronte di contributo identico a quello dei consorzi nazionali alcuni operatori raccolgano soltanto in zone limitrofe alla sede, a discapito di chi deve effettivamente coprire il territorio;
    c) creare un database dei depositi abbandonati di PFU a cui i sistemi possano attingere per estrapolare le informazioni sui depositi e coordinare meglio gli interventi di raccolta straordinaria che già svolgono. (4-11345)


   BORGHESE e MERLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la XXI Conferenza delle parti (COP21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) che si sta tenendo in questi giorni a Parigi, dal 30 novembre fino all'11 dicembre 2015, sta mettendo in evidenza, con la presentazione della relazione di sintesi del Rapporto dell'Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) sul clima del pianeta, l'urgenza di adottare misure che contengano le emissioni di gas serra a livello globale;
   questo appuntamento sul clima, sotto la presidenza del Ministro degli esteri francese Laurent Fabius, stanno prendendo parte i rappresentanti di 195 nazioni, e sono coinvolte circa 40 mila persone, di cui 25 mila delegati ufficiali, i quali lavorano tutti per il salvataggio del clima del pianeta;
   gli scienziati dell'Ipcc sono convinti che l'unico mezzo per limitare a 2o C l'aumento medio delle temperature è di ridurre a zero l'utilizzo delle risorse fossili entro il 2100, dimezzandolo entro il 2050;
   il rapporto stima la presenza di gas serra in atmosfera come la più alta degli ultimi 800.000 anni, con incremento della produzione e della velocità di produzione degli stessi negli ultimi 30 anni a livelli non più compatibili con la mitigazione e l'adattamento ai nuovi effetti;
   i comportamenti umani sono considerati la causa principale dei cambiamenti climatici, con un margine di certezza altissimo stimato al 95 per cento secondo i calcoli dell'IPCC; infatti se non vi saranno adeguati interventi con i livelli di produzione inquinante non modificati, si stima che la temperatura media globale si innalzerà ancora di almeno altri 5o C;
   l'informazione e la politica italiana hanno parlato in modo insufficiente del rapporto in questione, così che la questione, risulta non abbastanza visibile nell'opinione pubblica infatti, da sondaggi giornalistici effettuati in questi giorni pare che solo il 29 per cento, degli italiani dichiara di conoscere cosa sia la COP21;
   quali siano le iniziative che l'Italia intende adottare per abbandonare gradualmente ma in modo determinato e programmato, le fonti di energia fossili e promuovere investimenti per sostenere politiche innovative in favore dello sviluppo dei trasporti puliti a basse emissioni e a bassi consumi, incentivando l'uso di tecnologie innovative all'idrogeno e di biocarburanti di seconda e terza generazione e la diffusione di veicoli elettrici e ibridi.
(4-11349)


   CAPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni 1o e 2 ottobre 2015 sulla Sardegna, in particolare sulla zona di Olbia, si è abbattuto il cosiddetto «Ciclone Mediterraneo»;
   la Sardegna è purtroppo soggetta ad eventi disastrosi dovuti alle intense piogge, i cui effetti si accentuano per la fragilità naturale ma anche causata dall'uomo del suo territorio;
   tra i tanti eventi calamitosi basti ricordare la spaventosa alluvione del novembre 2013 che sconvolse l'intera isola causando 16 morti e circa 200 milioni di euro di danni;
   la zona di Olbia fu una delle più colpite dall'alluvione di due anni fa, ed è ancora una volta il centro della nuova crisi, che solo per circostanze fortunate – se così si può dire – non ha visto questa volta vittime;
   infatti, le aree colpite dalle violente piogge di inizio ottobre 2015, sono le stesse nelle quali due anni fa persero la vita Patrizia Corona e la sua piccola figlia Morgana, travolte dalla furia delle acque mentre erano in auto;
   la popolazione di quei quartieri, giustamente indignata, ha fatto notare che l'alluvione era del tutto scontata dato che non si era mai provveduto a pulire il letto del fiume, in particolare quando esso è in secca, ossia durante la lunga estate;
   nel nuovo evento calamitoso si sono registrati allagamenti diffusi, black out elettrici, sospensioni preventive del traffico ferroviario, oltre alla chiusura di scuole ed uffici pubblici, mentre circa ottanta sono le strade che in vari momenti sono state chiuse per allagamenti;
   in particolare, almeno cinquecento persone sono state sfollate avendo avuto allagate le case, mentre almeno quaranta persone sono state costrette a trascorrere la notte fuori casa nella zona di Torpé, dove, tra l'altro, è esondato un canale tombato;
   per affrontare l'emergenza sono stati mobilitati in tutta la Sardegna 10 mila uomini e donne della Protezione civile, cui si sono aggiunti duemila addetti dell'Ente foreste, seicento mezzi e sette colonne mobili;
   inoltre, su richiesta della prefettura di Sassari l'esercito è intervenuto ad Olbia in soccorso della popolazione locale colpita dalle esondazioni del rio Siligheddu e del rio San Nicola;
   proprio in riferimento al rio Siligheddu, già tristemente protagonista del disastro del 2013, non si può non notare che si è reso necessario l'abbattimento del ponte costruito sul rio stesso;
   quel ponte era stato distrutto dalla piena del 2013 e, nonostante i molti dubbi espressi anche dal sindaco di Olbia, era stato da poco ricostruito, con la non indifferente spesa di 80 mila euro;
   è stato, però, necessario abbattere il ponte sopra ricordato, in quanto vero e proprio tappo sul rio Siligheddu, e causa non secondaria delle esondazioni;
   si tratta di un caso limite, ma che evidenzia come l'opera dell'uomo accentui i danni che le sempre più frequenti e violente perturbazioni che si abbattono sulla Sardegna già di loro causano;
   non si era, infatti, ma visto che si arrivasse a distruggere una struttura, appena ricostruita, per evitare che il tappo causasse altri danni, peggiori di quelli che già si stavano registrando;
   il rio Siligheddu non è certo un grande fiume, ma è uno di quei corsi d'acqua che assurgono a triste fama per le improvvise «collere» che li sconvolgono e che travolgono tutto ciò che incontrano sul loro cammino;
   queste «collere» improvvise vengono certo accentuate dall'azione scriteriata dell'uomo, di cui il caso del ponte sopra ricordato non è certo un caso unico;
   va, purtroppo, detto che Olbia stessa è una città costruita sull'abuso edilizio, e per questo esposta ai rischi peggiori ad ogni pioggia che sia un poco più violenta del «normale»;
   non si tratta, infatti, di fiumi «assassini» o di piogge «killer», ma di eventi causati certamente dai cambiamenti climatici e soprattutto dall'azione dell'uomo, eventi assolutamente prevedibili e che ormai vengono quasi dati per scontati, tirando un sospiro di sollievo (ipocrita) quando, come in questo caso «non ci scappa il morto»;
   nell'ultima alluvione, infatti, è stata la sorte, e l'abnegazione dei volontari della protezione civile, a impedire altri lutti, dato che l'alluvione stessa è avvenuta di mattina e non di notte come, invece, nel 2013;
   inoltre, stavolta l'allarme meteo è stato tempestivo e ascoltato dai cittadini che hanno collaborato con le autorità nell'affrontare l'emergenza;
   non la sola zona di Olbia è stata colpita dagli eventi calamitosi: infatti, è stato duramente colpito dalle precipitazioni anche il Nuorese, in particolare la zona di Orosei, che ha subito anche danni, al momento non quantificati, alle colture;
   non si può non osservare che, non solo per quel che riguarda la Sardegna, non si impara mai dagli errori commessi, e ogni volta che, in autunno, stagione delle piogge, una perturbazione si avvicina, si scrutano le previsioni meteorologiche e il cielo con una preoccupazione che l'uomo moderno non dovrebbe certo avere nei confronti dei normali eventi climatici di stagione;
   in conseguenza del disastro del 2013 il Governo ha annunciato un finanziamento di 80 milioni di euro – il cosiddetto «piano Mancini» – per la messa in sicurezza, in particolare di Olbia;
   di questi 80 milioni di euro, 16 sono stati già finanziati, come ha confermato il sottosegretario Bressa rispondendo recentemente ad atti di sindacato ispettivo, mentre gli altri interventi saranno finanziati in un secondo momento;
   sono questi i fondi di cui ha parlato il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Galletti nella sua visita ad Olbia subito dopo l'alluvione;
   dal sito di Italia sicura, la struttura contro il dissesto idrogeologico voluta da Palazzo Chigi, si legge che gli interventi per Olbia sono lievitati ad 81,2 milioni di euro che la città è stata inserita nelle opere previste dal piano nazionale 2015-2020;
   i primi 16 milioni di euro, già previsti dopo l'alluvione catastrofica del 2013, però, verranno – stanziati solo alla fine di ottobre 2015 e, come dichiara lo stesso direttore di Italia Sicura Mauro Grassi, in questi due anni si è fatto poco o nulla: «gli interventi inizialmente previsti non sono mai arrivati alla fase di progettazione definitiva»;
   non si può non notare come questi ritardi rendano più pesante la situazione della Sardegna che, come ricordato anche nella mozione 1-00697 presentata nel gennaio 2015 e approvata nel mese di giugno 2015, vive una crisi gravissima che i continui disastri naturali non possono che aggravare in modo pesante –:
   quali ulteriori concrete iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato per affrontare in modo concreto ed organico le continue emergenze, che proprio perché continue non possono più essere considerate tali, e vanno quindi affrontate in modo strutturale e non sempre e solo sotto l'impatto, anche emotivo, del memento di crisi, inserendo la «questione Sardegna», come previsto nella succitata mozione n. 1-00697, nell'agenda del Governo collaborando attivamente con la regione e con gli enti locali nell'azione di prevenzione di ulteriori disastri. (4-11355)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, LOMBARDI, DALL'OSSO e ALBERTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 luglio 2015, sul sito online « monzatoday.it», veniva pubblicato un articolo riguardante l'evento musicale MTV Digital Days, che si sarebbe tenuto nella Reggia di Monza, nei giardini della Villa Reale interni al plesso del parco di Monza, nei giorni 11 e 12 settembre 2015;
   nello stesso articolo, veniva specificato che detto evento aveva ottenuto il patrocinio del comune di Monza e che il sindaco della stessa città, Roberto Scanagatti, prima dell'evento stesso aveva emesso un'ordinanza con una serie di divieti e obblighi da rispettare in tema di bevande alcoliche, abbandono di rifiuti e somministrazione di bevande in contenitori di vetro;
   in data 9 settembre 2015, sempre in un articolo apparso sullo stesso sito online, venivano riportate le linee generali di detta ordinanza datata 4 settembre 2015. Nello specifico, l'ordinanza vietava «la vendita per asporto e la consumazione sul posto di ogni bevanda, alcolica e non, contenuta in recipienti di vetro o materiale metallico, l'introduzione di qualsiasi materiale che possa recare danni al patrimonio arboreo, al suolo e al sottosuolo dell'area». Non era possibile, inoltre, «il deposito, nell'area interessata dalla manifestazione, di qualsiasi tipo di materiale o di rifiuti». Nell'ordinanza veniva spiegato che «i divieti sono necessari per salvaguardare l'incolumità delle persone e dei luoghi durante la manifestazione che richiama migliaia di persone». Per chi avesse trasgredito l'ordinanza, erano previste delle sanzioni pecuniarie che andavano da un minimo di 25 a un massimo di 500 euro. I soggetti incaricati di far rispettare il contenuto dell'ordinanza, erano i preposti organi di polizia;
   come si può leggere in un articolo apparso il 25 giugno 2015, ancora sul sito online « monzatoday.it», tale evento è stato fortemente osteggiato dai comitati cittadini che da sempre si battono per la tutela e la salvaguardia del parco di Monza e della Villa Reale, quest'ultima nello stesso plesso contenuta. Il «Comitato per il Parco – Antonio Cederna» e comitato «La Villa Reale è anche mia», avevano inviato una lettera al sindaco di Monza molto prima della due giorni dell'evento, chiedendo l'annullamento dello stesso e sollecitando un diretto intervento del sindaco, esprimendo la «preoccupazione che stava suscitando nella collettività la notizia di un festival della musica elettronica e techno assolutamente non idoneo a quel delicato contesto». I mittenti aggiungevano anche che era fin troppo facile immaginare l'impatto che la manifestazione in oggetto avrebbe avuto sugli equilibri delicati dei preziosi giardini e di tutto l'insieme architettonico, tanto più in considerazione del fatto che la due giorni era ad ingresso gratuito per gli spettatori. Diverse lettere dello stesso tenore, sia in forma cartacea che in PEC, sono state inviate dagli stessi comitati al soprintendente della sezione della Soprintendenza belle arti e paesaggio di Milano, dottoressa Antonella Ranaldi (quest'ultima avvisata per ben tre volte dai comitati prima dell'autorizzazione da lei rilasciata ad inizio settembre 2015, sull'inadeguatezza del contesto scelto per l'evento), al presidente del Consorzio Villa Reale e parco di Monza, Roberto Scanagatti, e al direttore del Consorzio medesimo, Lorenzo Lamperti, e al sottosegretario per i beni e le attività culturali e il turismo, Ilaria Borletti. Nessuna di queste comunicazioni dei comitati, nonostante la conferma di avvenuta ricezione dei destinatari, ha mai ricevuto risposta da parte dei soggetti interpellati;
   in data 11 e 12 settembre 2015, l'evento si è svolto regolarmente, portando in due giorni circa 30.000 persone sui giardini del parco di Monza. La conseguenza è stata, ad evento terminato, il ben visibile degrado dei giardini stessi che hanno avuto il manto erboso completamente deteriorato e ricoperto di rifiuti, soprattutto bicchieri di plastica e mozziconi di sigarette. Nonostante la noncuranza facilmente prevedibile dei visitatori nel ricoprire di rifiuti i prati circostanti il palco, in tal senso non è stata comminata nessun genere di multa da parte delle forze di polizia, come stabilito dall'ordinanza emessa preventivamente dal sindaco di Monza. Tale dato è confermato nella risposta rilasciata in data 19 novembre 2015, dal comandante dirigente superiore di polizia locale di Monza, dottor Alessandro Casale, alla richiesta di accesso agli atti inoltrata dal consigliere comunale di Monza, Gianmarco Novi. Nello specifico, in detta risposta veniva affermato che nei due giorni di evento erano state accertate 10 violazioni, ma che nessuna di queste era riconducibile al deposito di rifiuti nell'area interessata dalla manifestazione;
   in data 23 novembre 2015, ad un'interrogazione sempre dello stesso consigliere comunale di Monza, Gianmarco Novi, veniva data risposta dal direttore del Consorzio Villa Reale e Parco di Monza, dottor Lorenzo Lamperti, che ha ammesso la presenza di danni cagionati;
   in data 1o ottobre 2015, sul sito online « monzatoday.it», veniva pubblicata la notizia di un ripristino del manto erboso danneggiato durante l'evento, annunciato dal Consorzio Villa Reale e parco di Monza. Veniva inoltre specificato che tale intervento, classificato come di manutenzione straordinaria, sarebbe stato finanziato per due terzi dagli organizzatori dell'evento MTV Digital Days. Nell'articolo non era indicato l'ammontare complessivo dell'operazione. Inoltre, il Consorzio in questione ha specificato che «le operazioni di ripristino e pulizia dell'area sono state eseguite a cura degli organizzatori della manifestazione che hanno sostenuto anche le relative spese.». Anche su questo punto non vi sono conferme documentali, pur richieste dai comitati, circa i costi e l'effettiva attribuzione agli organizzatori dei costi medesimi. Sempre secondo lo stesso Consorzio, un cospicuo e puntiglioso servizio di pulizia che è terminato il lunedì successivo l'evento, ha riportato il prato nelle ottimali condizioni di ordine e pulizia;
   successivamente all'evento, il «Comitato per il Parco – Antonio Cederna» e il Comitato «La Villa Reale è anche mia», hanno commissionato al dottor Angelo Vavassori, agronomo indipendente, iscritto all'albo, operante nelle province di Como, Lecco e Sondrio, una perizia tecnico – agronomica sui prati del parco e dei giardini della Villa Reale, in parte pubblicata in un articolo apparso su «Il Giornale di Monza», in data 13 ottobre 2015. In detta perizia viene stabilito che i prati del parco e i giardini della Villa Reale, non sono in grado di sopportare il calpestio, i rifiuti e il compattamento prodotti dai concerti e dalle manifestazioni con molto pubblico e che si tratta di un prato di lunga durata e presenza. Pur presupponendo periodiche operazioni di manutenzione, è da ritenersi un prato di tipo storico, molto affrancato al suolo, con una buona profondità radicale e un lungo periodo di infittimento naturale. La relazione, nel dettaglio, indica che «nonostante la qualità ed il buon affrancamento radicale nel suolo, ma pur sempre superficiale (10-20 centimetri) in quanto trattasi di specie erbacee e non arboree o arbustive, il prato è una entità vegetale molto sensibile e vulnerabile in casi di elevata fruizione di percorrenza e calpestio. L'attuale prato, mentre può tollerare una presenza «distribuita» su ampia superficie e non intensiva, non è in grado di sostenere, invece, una presenza concentrata di persone ed in piena attività di movimento. Il movimento (di ogni tipo, sportivo, ludico o di altra natura) rispetto alla occasionalità, ne determina un deterioramento ed una alterazione fisica (struttura, porosità e tessitura) del suolo che ne richiede la completa ristrutturazione profonda e non solo superficiale.». Viene inoltre aggiunto che, dopo l'evento svoltosi, «il suolo manifesta su un'area di circa 3.000 metri quadrati una usura del tappeto erboso molto evidente che ne ha eliminato in modo consistente il manto erboso, lasciando allo scoperto la parte terrosa del suolo e molto compattata. Inoltre sono presenti molti residui di rifiuti di piccole e medie dimensioni di difficile raccolta ed eliminazione totale. I residui di parti metalliche di lattine (ganci di apertura) e parti di sigaretta è pur vero che si possono raccogliere, ma almeno una abbondante quota parte si interra nel suolo e ne risulta l'impossibilità di rimozione, andando a fare parte del suolo stesso. La degradazione di tali componenti fisiche estranee al suolo naturale richiede periodi molto lunghi, decenni, difficilmente definibili in tempi reali.»;
   a giudizio degli interroganti, tali passaggi appena riportati smentiscono categoricamente quanto affermato dal Consorzio Villa Reale e parco di Monza riguardo al servizio di pulizia intervenuto il lunedì successivo l'evento (da loro ritenuto cospicuo e puntiglioso e che, a loro dire, ha riportato il prato nelle ottimali condizioni di ordine e pulizia), che non da all'operazione di rizollatura avvenuta a distanza di poche settimane dall'evento svolto, la sua reale utilità se rapportata al rispetto dell'ambiente appena degradato con lo svolgimento dell'evento;
   lo statuto del Consorzio del complesso villa, giardini e parco di Monza e la norma del Codice dei beni culturali e del paesaggio, ossia il decreto legislativo 42 del 2004, di cui all'articolo 10, comma 4, lettera f), identificano i giardini ove si è svolto l'evento, come beni culturali;
   il decreto legislativo 42 del 2004, all'articolo 1, comma 1, recita che «è approvato l'unito codice dei beni culturali e del paesaggio» e che «è fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare»;
   lo stesso decreto legislativo, all'articolo 20, comma 1, negli «interventi vietati», recita che «i beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione.»;
   nello stesso decreto legislativo, a integrazione di quanto disposto agli all'articoli 1 e 20, vi è l'articolo 28, che al comma 1 recita che il soprintendente può ordinare la sospensione di interventi iniziati contro il disposto dello stesso articolo 20;
   il regolamento dei giardini della Villa Reale e parco di Monza stabilisce che nei giardini sia vietato, dai visitatori, produrre rumori molesti, giocare a palla o svolgere giochi similari e utilizzare biciclette, al fine di non rovinare il manto erboso. Tale divieto è affisso in numerosi cartelli presenti ad ogni ingresso dei giardini, ben visibili al pubblico. Durante i due giorni di evento, vi sono stati concerti che hanno prodotto per ore suoni continui che hanno ampiamente superato la soglia in decibel dei rumori molesti e il calpestio del manto erboso è andato ben oltre quelli indicati nei divieti. Va precisato che, come specificato nella risposta all'interrogazione del consigliere comunale Novi sopraindicata, nei due giorni della manifestazione è stata concessa, da chi ha autorizzato l'evento, deroga al piano di zonizzazione acustica. È però necessario e fondamentale ricordare che i giardini ove si è svolto l'evento rientrano nel plesso del parco di Monza e che questo risulta avere una importante e fragile fauna che, proprio per la deroga concessa, ha subito, senza dubbio alcuno, un più che rilevante stress acustico dovuto all'evento svolto. A questo va inoltre aggiunto l'ulteriore fattore di stress per i numerosi animali che popolano il parco, causato dalle potenti e continue luci artificiali ad intermittenza e non, irradiate nel corso dei due giorni;
   a giudizio degli interroganti, in conseguenza di quanto sancito dal decreto legislativo 42 del 2004, agli articoli 1, comma 1, e all'articolo 20, comma 1, dalle norme dallo statuto del Consorzio e del regolamento dei giardini della Villa e parco di Monza e delle perizia svolta successivamente all'evento, vi è una palese mancanza di capacità nella gestione della situazione sopraindicata, da parte dei soggetti istituzionali che dovrebbero far rispettare la legge a tutela dei beni culturali. Sempre a giudizio degli interroganti e in conseguenza di quanto sopra riportato, il Ministro interrogato dovrebbe rivalutare, per quanto di sua competenza, la posizione di tutti i responsabili appartenenti alle autorità ed organi istituzionali che hanno permesso lo svolgimento del sopraindicato evento MTV Digital Days e, nell'ambito delle competenze a lui ascritte, considerare di ricorrere alla rimozione dagli incarichi a loro assegnati con effetto immediato, in conseguenza della loro palese mancanza di visione del carattere di bene culturale del complesso monumentale che è stato loro affidato. È esemplare a tal proposito la constatazione che essi non hanno ritenuto necessario, prima di consentire la manifestazione, far stilare una relazione tecnico agronomica paesaggistica, come quella fatta redigere dai comitati sopra citati, limitandosi a preoccuparsi degli aspetti inerenti alla sicurezza come si fa nei casi di manifestazioni che si svolgano nei palazzetti dello sport, certamente non comparabili con il bene culturale in questione. Tale mancanza di considerazione per il bene culturale loro affidato è tanto più perniciosa se proiettata in un'ottica futura, qualora si dovesse decidere di far svolgere altri eventi della stessa entità o simili a quello da loro autorizzato, sui giardini e sui prati storici di un parco ritenuto bene culturale;
   visti gli esiti dell'esperienza indicata, esemplare ma malauguratamente non unica, appare evidente agli interroganti che il Consorzio ha difficoltà ad assolvere la sua funzione di orientamento e di indirizzo, oltre che di salvaguardia del bene culturale. Difficoltà che, del resto, è stata implicitamente ventilata nell'atto costitutivo e nello statuto del Consorzio laddove si prevede la costituzione di una commissione tecnico scientifica, nell'attualità non esistente, per contribuire a orientare il Consorzio medesimo con competenze specifiche quali quelle agronomiche, paesaggistiche, architettoniche, culturali ed altro, stante la vastità e polifunzionalità del complesso. Per tale commissione non occorrerebbe ricorrere a consulenti straordinari e costosi, ma sarebbe sufficiente contattare le competenze già esistenti sul territorio, come quelle che vennero messe proficuamente in campo da Soprintendenza, regione Lombardia, parco regionale della Valle del Lambro, comuni di Monza e Milano, in occasione della redazione del piano di tutela del territorio per la rinascita del parco di Monza degli anni 1997-98. Un ruolo di collaborazione potrebbero avere, in tale contesto, anche le associazioni che da oltre vent'anni si occupano gratuitamente dell'intero plesso del parco di Monza, dando suggerimenti molto concreti per migliorarne la condizione e la sua reale tutela, svolgendo attività di sensibilizzazione verso i fruitori e le scuole sulla realtà faunistica, botanica, architettonica e, più in generale, culturale del complesso monumentale –:
   se il Ministro interrogato intenda verificare, per quanto di competenza, eventuali responsabilità da parte delle autorità statali che hanno autorizzato l'MTV Digital Days e, ove ne riscontri la sussistenza, quali iniziative intenda adottare nei loro confronti;
   nel pieno rispetto delle leggi che tutelano i beni culturali, quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare affinché non vadano mai più a ripetersi altri eventi non idonei al contesto del parco di Monza, dei giardini e della villa reale;
   se il Ministro non ritenga, per quanto di competenza, di assumere iniziative affinché il Consorzio Villa Reale e parco di Monza a costituisca la commissione tecnico scientifica prevista dagli atti costitutivi dello stesso, aprendola anche al concorso fattivo dei membri competenti dei Comitati cittadini. (5-07150)


   PRODANI e MUCCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Castello di Miramare ed i 22 ettari del parco di pertinenza, realizzati dall'arciduca Massimiliano d'Asburgo nella seconda metà dell'800, rappresentano la principale attrazione turistica di Trieste e tra le maggiori visitate della regione Friuli Venezia Giulia. Il parco, però, risulta essere da diversi anni in uno stato di totale abbandono e degrado;
   le indecorose e preoccupanti condizioni dei giardini sono costantemente oggetto di attenzione da parte dei cittadini attraverso i social network, oltre che degli organi di informazione. Nel mese di agosto 2015, una mostra intitolata «Il Parco di Miramare e le condizioni di degrado» organizzata dalla sede di Trieste di Italia Nostra e dall'Associazione Orticola del Friuli Venezia Giulia e curata dall'ingegnere Stefania Musco, con un'accurata ricerca storica, ha posto un'ulteriore accento sullo stato dei giardini;
   il primo firmatario del presente atto ha affrontato la questione delle condizioni del Parco con diverse interrogazioni: la n. 4-00897, presentata in data 18 giugno 2013, con la quale si sollecitava un confronto del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con gli enti locali al fine di stabilire un piano di recupero per il castello ed il parco di Miramare; la n. 4-08760 del 13 aprile 2015, in cui si chiedevano, oltre ai motivi dei ritardi sull'utilizzo dei finanziamenti previsti dall'accordo di programma del 2012, di accelerare le opere di recupero del sito; la n. 5-06613, dell'8 ottobre 2015, con cui si chiedeva un intervento dell'Esecutivo finalizzato ad impegnare i fondi disponibili per bonificare il parco e a valutare l'offerta, che sarebbe pervenuta dai discendenti degli Asburgo, di finanziare le opere di sistemazione; la 4-10833 del 21 ottobre 2015 con la quale si richiedeva un intervento presso la Soprintendenza al fine di ripristinare i rapporti istituzionali tra gli organi periferici del Ministero e gli organi amministrativi comunali; la n. 5-06847 del 3 novembre 2015 con cui si richiedeva di sospendere la nomina del nuovo direttore del castello e parco di Miramare e di indicare la progettualità predisposta per il recupero del parco sfruttando le numerose professionalità competenti in materia sul territorio triestino e regionale; la n. 5-07089 del 25 novembre 2015 con la quale si richiedeva un intervento al Ministero competente per riportare gli organi periferici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ai dovuti e necessari livelli di credibilità;
   in data 4 gennaio 2012, sono stati sottoscritti l'accordo di programma ed un finanziamento congiunto Stato-regione per il restauro e la valorizzazione del castello e del parco di Miramare con l'apporto di un finanziamento di un milione e ottocentomila euro complessivi (1,2 milioni statali e 0,6 milioni regionali). L'accordo, pubblicato sul Bollettino ufficiale della regione Friuli Venezia Giulia n.7 del 15 febbraio 2012, indica nel «programma di interventi per la valorizzazione del Parco di Miramare» elaborato nel dicembre 2011 dalla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Friuli Venezia Giulia, un programma specifico secondo tre linee di intervento: parco del Castello (1.000.000 di euro), serre storiche (200.000 euro) e l'area delle serre nuove (600.000 euro);
   il «Progetto preliminare per il recupero e la valorizzazione del Parco», allegato 1 dell'accordo, lo studio di fattibilità del «restauro conservativo delle serre storiche con ripristino della funzione originaria per la coltivazione delle essenze originarie», allegato 2, e lo studio di fattibilità della «Riqualificazione e rifunzionalizzazione dell'area serre nuove», allegato 3, prevedono dei dettagliati elenchi di interventi ed i relativi costi;
   sulla pagina internet del segretariato regionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo del Friuli Venezia Giulia oltre a non essere riportati i dati antecedenti l'anno 2013, figurano una serie di assegnazioni di forniture e lavori per i quali vengono utilizzate dall'ente appaltante le tipologie di contratto «Procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando» e «affidamento in economia – affidamento diretto o cottimo fiduciario»;
   non sono, dunque, disponibili le specifiche degli inviti ed i criteri di selezione delle aziende contattate, oltre a risultare impossibile la comprensione di quali interventi previsti dall'accordo di programma siano stati portati a termine, quali, invece, non siano ancora stati assegnati, e quali in corso di realizzazione. Per quanto concerne l'aspetto economico, mancando i dettagli dei singoli capitolati, è preclusa a qualsiasi utente la facoltà di verificare il corretto impiego delle somme. È lampante come, nell'assegnazione e nell'utilizzo delle risorse, la trasparenza dell'amministrazione pubblica in questione sia fortemente penalizzata;
   appare, poi, evidente agli interroganti come tali tipologie contrattuali non rispondano alle necessarie esigenze di programmazione sul breve, medio e lungo termine che un parco storico richiede –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente di quanto espresso in premessa;
   se intenda verificare, per quanto di competenza, la correttezza delle procedure di affidamento dei lavori ed individuare una modalità di assegnazione più trasparenti;
   se intenda predisporre la pubblicazione dettagliata e puntuale dello stato di avanzamento degli interventi previsti dall'accordo di programma soprattutto inserendola in una programmazione ordinaria e straordinaria dei lavori di manutenzione e di corretta gestione di cui necessita il parco di Miramare. (5-07153)

Interrogazione a risposta scritta:


   BONAFEDE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 27 maggio l'UNESCO ha inviato al sindaco di Firenze una lettera in cui è contenuta una serie di considerazioni relative ad alcuni progetti infrastrutturali in corso, che riguardano nello specifico: la realizzazione della linea di tranvia passante attraverso il centro storico di Firenze; la realizzazione del tunnel ad alta velocità sotto la città; la vendita di monumenti pubblici ad investitori privati e il cambiamento di destinazione in alcuni casi in appartamenti privati, come per il Convento di Santa Maria degli Angeli, un importante complesso rinascimentale a cui è collegata la Rotonda del Brunelleschi, prototipo sperimentale in scala ridotta per la cupola di Santa Maria del Fiore; la costruzione di parcheggi sotterranei nel centro storico; il progetto della realizzazione della linea sotterranea della tranvia sotto il centro storico; l'eccessiva pressione turistica la cui gestione è considerata insufficiente per un volume di 16 milioni di persone all'anno;
   nella stessa lettera, l'ICOMOS, l'ufficio tecnico di UNESCO, evidenzia chiaramente che, attraverso ricerche specifiche effettuate su internet, nei vari siti istituzionali riguardanti i progetti (http://centrostudituristicifirenze.it/blog/turismo-nella-citta-metropolitana-di-firenze-nel-2014/; http://mobilita.comune.fi.it/tramvia/; http://www.comune.fi.it/materiali/tramvia/0092C11- PE-PMA-RL-003–r04–POMA.o.pdf; http://osservatorioambientale.nododifirenze.it; http://pia-nostrutturale.comune.fi.it/progetto–parcheggio–brunelleschi.html; http://firenze.repubblica.it/cronaca/2015/01/06/news/renzi-avanti-col-tram-sotto-il-centro-nardella-resta-anche-la-soluzione-viali-104409576/; http://notavfirenze.blogspot.it/) e attraverso segnalazioni di vari comitati cittadini, sono emerse delle criticità relative ad eventuali rischi collegati alla situazione idrogeologica di gran parte della città, soprattutto nel centro storico, classificato quest'ultimo con un tasso di rischio molto elevato;
   dalla stessa analisi condotta da ICOMOS si rileva che non è stato considerato il grado di impatto di queste grandi opere infrastrutturali sulla città e non è stato tenuto conto del fatto che gli scavi da effettuare, molto invasivi, potrebbero costituire una grave minaccia per il territorio e per la stabilità dei monumenti fiorentini, sia durante che dopo i lavori, a causa delle forti vibrazioni provocate portando ad una sostanziale modifica degli equilibri idrogeologici;
   una ulteriore perplessità, sollevata dall'ICOMOS, deriva dal fatto che il nuovo regolamento urbanistico sembra non rispondere alle tutele previste dall'UNESCO in quanto il nuovo regolamento prevede la trasformazione d'uso di importanti edifici storici; nello specifico, lo stesso ICOMOS ricorda che Firenze fu inscritta come «realizzazione artistica unica» proprio per il modo in cui vi si riflette lo sviluppo dei principi architettonici che hanno avuto una reale influenza in tutto il mondo a tal punto da considerare molti edifici capolavori di architettura preservandoli come monumenti;
   alla luce dei fatti esposti sembrerebbe all'interrogante che si voglia minimizzare sul «richiamo» di UNESCO al comune di Firenze che ha programmato da molto tempo questi progetti senza informare preventivamente il Comitato del patrimonio mondiale tramite il suo segretariato, come previsto dal paragrafo 172 delle istruzioni operative a giudizio dell'interrogante senza rendere adeguatamente nota la richiesta di urgenti informazioni sulle criticità rilevate da parte dell'ufficio tecnico dell'UNESCO –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei motivi per cui a ICOMOS non sia mai giunta un'informativa circa l'evoluzione dei progetti che avrebbero potuto determinare un impatto su un territorio ritenuto patrimonio mondiale dell'Unesco;
   se e quali iniziative i Ministri interrogati intendano porre in essere per evitare che si verifichino danni e lesioni al territorio, alla popolazione e ai monumenti fiorentini. (4-11351)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   BRATTI. — Al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 30 settembre del 1988 fu ritrovato a Goro (FE), presso l'argine del fiume Po, il cadavere nudo e massacrato dell'allora diciottenne Vilfrido Luciano Branchi, detto Willy;
   le indagini, al tempo, si concentrarono immediatamente e in via esclusiva su un pluripregiudicato del luogo, Valeriano Forzati, iscritto come unico indagato nel fascicolo n. R.G.N.R. 622/89/A aperto presso il Tribunale di Ferrara;
   lo stesso tribunale l'8 gennaio 1990 emise nei confronti di Forzati sentenza di non luogo a procedere per non aver commesso il fatto e nessuna altra pista investigativa fu in seguito ufficialmente seguita;
   ad oggi, quindi, l'omicidio Branchi risulta essere ancora purtroppo irrisolto;
   il «caso Branchi» viene riportato all'attenzione pubblica nel 2014 con il contributo determinate dei media, dapprima in sede locale, e successivamente anche con testate nazionali, tant’è che nel febbraio 2015 se ne occupò la trasmissione «Chi l'Ha visto»;
   la procura di Ferrara ha riaperto il caso con l'avvio di nuove indagini, il 10 novembre 2014, a distanza di ormai 26 anni dall'omicidio, a seguito di un esposto presentato dall'avvocato della famiglia Branchi, e basato sulle risultanze di investigazioni private svolte su incarico della famiglia medesima e il 16 novembre 2015 si è proceduto su disposizione dell'autorità giudiziaria alla riesumazione della salma;
   da notizie apparsa su La Nuova Ferrara dell'11 novembre 2014, risulterebbe che nel 1996 sarebbe stata svolta, su iniziativa di un gruppo di investigatori di Polizia Giudiziaria, un'indagine che avrebbe condotto ad individuare una rosa di nomi, tra cui addirittura quello dell'esecutore materiale, così come il possibile movente dell'omicidio e altri elementi utili alla soluzione del caso Branchi;
   il documento finale di tale indagine, sempre secondo la stampa, consistente in una annotazione di servizio firmata dall'allora comandante dell'Arma dei carabinieri Mauro Obinu, non sarebbe stato mai trasmesso alla procura e non avrebbe avuto quindi alcun seguito, vanificando gli sforzi investigativi che avrebbero forse potuto condurre all'individuazione del o dei responsabili dell'omicidio;
   sempre sulla base delle ricostruzioni della stampa di un anno fa, l'indagine del 1996 sarebbe arrivata «ad un passo» dalla soluzione del caso, considerato che i risultati allora raggiunti, con l'attività degli investigatori di Polizia Giudiziaria sarebbero coincidenti con gli elementi riportati nell'esposto della famiglia Branchi, ritenuti sufficienti dalla procura per la riapertura delle indagini nel 2014;
   è ragionevole supporre che se l'attività del 1996 avesse avuto un seguito, avrebbe consentito di individuare di assicurare alla giustizia chi ha compiuto l'efferato omicidio di un ragazzo di 18 anni, rendendo finalmente giustizia alla vittima e alla sua famiglia e risparmiando a quest'ultima quasi vent'anni di dolorosa incertezza;
   se le notizie di stampa fossero confermate, il mancato seguito dell'indagine nel 1996, le cui conclusioni sarebbero state inspiegabilmente ignorate, evidenzierebbero una pesante responsabilità dello Stato nei confronti della vittima, della sua famiglia e della loro comunità –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se, alla luce delle citate ricostruzioni giornalistiche del 2014, non ritenga di assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a verificare presunte omissioni da parte dell'Arma dei carabinieri, al fine di contribuire a fare chiarezza in merito ad una vicenda che vede ancora, a distanza di 26 anni, un caso di omicidio irrisolto.
(4-11356)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   PELILLO e SENALDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge del 23 dicembre 2013, n. 145 «Destinazione Italia», convertito in con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, all'articolo 9 «Misure per favorire la diffusione della lettura» ha previsto, per il triennio 2014-2016, il cosiddetto «bonus libri», ossia uno stanziamento di 50 milioni di euro per l'acquisto da parte degli studenti dei soli libri di lettura, inclusi quelli in formato digitale;
   le modalità attuative, comprese quelle per usufruire del credito di imposta e per la comunicazione delle spese effettuate ai fini della verifica della capienza dei fondi annualmente disponibili, il regime dei controlli sulle spese nonché ogni altra disposizione necessaria per il monitoraggio dell'agevolazione avrebbero dovuto essere stabilite con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione;
   ad oggi non si ha notizia del previsto decreto attuativo nonostante siano già passati due dei tre anni individuati per utilizzare l'agevolazione –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti e quale sia il suo orientamento riguardo all'emanazione del decreto citato in premessa. (5-07141)


   VILLAROSA, CANCELLERI, PESCO, FICO, PISANO e RUOCCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i buoni fruttiferi postali qui di seguito denominati B.F.P. – sono titoli emessi dalla Cassa depositi e prestiti per propri fini istituzionali, garantiti dallo Stato Italiano e collocati in esclusiva da Poste Italiane. I relativi rendimenti sono stabiliti dall'emittente ed approvati dal Ministero dell'economia e delle finanze. I rendimenti e le tabelle con il relativo calcolo sono stampati a tergo, sul retro, di ogni singolo B.F.P.;
   il Ministro del tesoro del Governo Amato, con il decreto del 13 giugno 1986 pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 148 del giugno 1986 – detto decreto-legge Gava Goria – istituì una nuova serie di buoni con la lettera «Q» e stabilì che tutti i buoni postali fruttiferi delle serie precedenti (le serie L, M, N, O) fossero convertiti in titoli della nuova serie Q;
   l'introduzione della nuova serie Q rappresentò un vero e proprio «declassamento» delle serie interessate, presentando tassi di interesse notevolmente più bassi rispetto a quelli sottoscritti al momento dell'acquisto, comportando la perdita, ovvero la sottrazione di utili per valori compresi tra il 20 per cento e il 50 per cento;
   il nodo fondamentale della vicenda è che di questo declassamento realizzato medianti decreto-legge dallo Stato italiano non venne fatta alcuna comunicazione individuale ai possessori dei B.F.P.;
   nel 2002 il tribunale di Napoli sollevò la questione di legittimità costituzionale del decreto-legge ed in relazione al decreto legislativo n. 284 del 1999, il quale prevedeva che un'eventuale variazione sfavorevole dei tassi di interesse andava comunicata direttamente a tutti i possessori di buoni postali cui sarebbe spettato il diritto di recesso, tutela non prevista nel 1986;
   nel 2003 la Corte Costituzionale con sentenza n. 333, dichiarò inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevati dal tribunale di Napoli, pur lasciando degli spiragli aperti facendo riferimento a una questione di metodo procedurale della contestazione e non tanto e non solo di merito;
   intervenendo nuovamente sulla questione, nel 2007 le sezioni unite della Corte di cassazione, in seguito a denuncia di altri cittadini con sentenza n. 13979, hanno stabilito che nella disciplina dei buoni postali fruttiferi dettata dal testo unico approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156, il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore dei titoli si forma sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti; ne deriva che il contrasto tra le condizioni, in riferimento al saggio degli interessi, apposte sul titolo e quelle stabilite dal decreto ministeriale che ne dispone l'emissione deve essere risolto dando la prevalenza alle prime, essendo contrario alla funzione stessa dei buoni postali – destinati ad essere emessi in serie, per rispondere a richieste di un numero indeterminato di sottoscrittori – che le condizioni alle quali l'amministrazione postale si obbliga possano essere, sin da principio, diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore all'atto della sottoscrizione del buono;
   la Corte di cassazione ha precisato che nella disciplina dei buoni postali fruttiferi, il rapporto tra Poste Italiane spa e il sottoscrittore dei titoli si forma sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta acquistati;
   il contrasto tra le condizioni indicate sul titolo e quelle stabilite dal decreto ministeriale che ne ha disposto la remissione, deve essere risolto dando la prevalenza alle prime, essendo contrario alla funzione stessa dei buoni postali che le condizioni alle quali le Poste si obbligano possano essere, sin da principio, diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore all'atto della sottoscrizione –:
   se intenda verificare, per quanto di competenza, quanti dei cittadini che ad oggi hanno proposto ricorso sono stati rimborsati di quanto realmente dovuto in base alle tabelle riportate a tergo dei B.F.P alla luce della sentenza n. 13979 del 2007 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, specificando al riguardo la misura del rimborso, nonché quale sia, oggi la figura preposta all'erogazione e alla restituzione di quanto sottratto ai possessori, dei buoni fruttiferi postali declassati con decreto-legge n. 148 del 1986, in virtù della privatizzazione di Poste Italiane avvenuta nel 1998. (5-07142)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la recente decisione del Governo di dare il via libera alla proroga delle vecchie licenze in scadenza per una serie di giochi mettendole a gara all'esclusivo fine di garantire allo Stato un ulteriore incasso di 500 milioni di euro, determinerà, con il rilascio/rinnovo delle concessioni per 15 mila agenzie e 7 mila corner, l'apertura di 22.000 nuovi «punti di scommesse», un aumento esponenziale del 50 per cento circa dei giochi on line;
   si tratta di una previsione destina a far dilagare la piaga della ludopatia, soprattutto tra i giovani; E impensabile che mere esigenze di bilancio portino uno Stato, trasformatosi in «biscazziere», a sacrificare la salute degli italiani: infatti, attualmente la facilità di accesso dei ragazzi ai giochi di azzardo on line non conosce filtri, e prevedere un aumento ulteriore, nella misura del 50 per cento di questi strumenti perversi significa stimolare una diffusione senza limiti della ludopatia che, già oggi nel nostro Paese conta 2 milioni di vittime conclamate, senza peraltro destinare risorse al servizio sanitario nazionale finalizzate alla prevenzione ed alla cura delle patologie prodotta dall'azzardo (GAP, gioco d'azzardo patologico);
   i dati drammatici sono più eloquenti di qualsiasi altra argomentazione per criticare tale intervento; i 22.000 nuovi «casinò» sparpagliati sul territorio, si aggiungono, secondo dati forniti dagli operatori della filiera del gioco, agli oltre 90 mila « corner» (angoli-bisca nei bar e nei più diversi locali pubblici) che oggi ospitano nel nostro Paese circa 380.000 slot machine, e alle circa 3.000 «sale giochi» che ospitano altre 40 mila macchinette;
   in tale contesto, gli italiani, che nel 2000 giocavano poco più di 4 miliardi di euro, nel solo 2015 ne hanno giocati «legalmente» 84,5, vale a dire oltre un decimo della spesa complessiva delle famiglie, pari a circa 800 miliardi di euro;
   il Governo, dal canto suo, si giustifica opponendo che intende «offrire» nuovamente la possibilità di sanare la condizione dei luoghi dove si somministra gioco con vincita in denaro a circa 5000 attività dichiarate «illegali» e che tuttavia oggi continuano ad operare, senza pagare alcuna somma all'Erario, muovendo un giro d'affari di 2 miliardi e mezzo di euro l'anno, a fronte di circa mezzo miliardo di tasse evase: in particolare, detta sanatoria riguarda i CTD (centro di trasmissione dati) e muove sulla linea di intervento del forte contrasto al fenomeno della raccolta parallela delle scommesse che, prive di regole, giacché i relativi operatori si sottraggono al dovere di auto-sottomettersi al quadro regolatorio nazionale, in Italia desta ormai da tempo una seria preoccupazione gaia per la mancata tutela dei giocatori, in particolar modo di minori – dal momento che è ignoto il grado di effettiva protezione che tale rete è in grado di garantire veramente, rispetto a quella ufficiale dei concessionari di Stato –:
   quale sia l'esatto numero delle slot e delle, video lotterie attualmente installate nel nostro Paese, con articolare riferimento alla loro distribuzione per provincia, alla società concessionaria e alla scadenza della relativa concessione. (5-07143)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4, comma 1-quater, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari, convertito, con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, ha disposto che: «Per agevolare il transito dell'erogazione dei servizi di volo dell'ambito militare alla società ENAV spa negli aeroporti di Roma-Ciampino, Verona-Villafranca, Brindisi-Casale, Rimini e Treviso, il personale militare, in possesso delle abilitazioni di controllore del traffico militare ivi impiegato, può transitare, a domanda, nei corrispondenti ruoli del personale civile dell'ENAV spa, entro il limite del relativo fabbisogno, secondo i criteri di mobilità geografica e di anzianità di servizio e senza limite di età anagrafica, nonché nei limiti della sostenibilità finanziaria consentita dal bilancio della medesima società. L'inquadramento del personale avviene sulla base di apposte tabelle di equiparazione tra i livelli di inquadramento previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale civile dell'ENAV spa e quelli del personale appartenente al corpo militare. Dall'attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»;
   la sopra integralmente richiamata disposizione di legge ha di fatto comportato l'interruzione dell’iter parlamentare della risoluzione in Commissione n. 7/00082, a prima firma del deputato Michele Dell'Orco, che impegnava il Governo: «a valutare l'ipotesi di prevedere una procedura di transito diretto sotto l'amministrazione Enav dei CTA militari già operanti in ambito civile, in modo da garantire all'Aeronautica militare una diminuzione del personale in esubero e contemporaneamente all'Enav di risparmiare i costi di selezione e formazione di personale da destinare al ruolo di cui sopra»;
   dall'entrata in vigore, il 19 agosto 2014, della suddetta disposizione, numerose sono state le domande di transito diretto sotto l'amministrazione dell'Ente nazionale di assistenza al volo (ENAV) dei controllori del traffico aereo (CTA) militari in servizio presso gli aeroporti (Roma-Ciampino, Verona-Villafranca, Brindisi-Casale, Rimini e Treviso) che il Ministero della difesa, con decreto del 25 gennaio 2008, ha individuato come adeguati al loro trasferimento per attività di traffico passeggeri e merci, divenendo a tutti gli effetti aeroporti civili;
   la pacifica interpretazione della norma è stata subito messa alla prova dal diniego di Enav spa a favorire tale transito del personale militare adducendo, come motivazione al rigetto della domanda, il fatto che: «non sussistono le condizioni oggettive configurate dalla normativa in oggetto per l'accoglibilità della stessa, avuto particolare ma non esclusivo riguardo ai limiti del relativo fabbisogno, dalla scrivente società già integralmente soddisfatto ovvero assicurabile con proprio personale disponibile attraverso gli istituti della mobilità interna previsti e disciplinati dal vigente contratto». Tale contrarietà della società di assistenza ai voli si è manifestata anche tramite il Sottosegretario per le infrastrutture e i trasporti, Umberto Del Basso de Caro, che, in occasione della risposta alla specifica interrogazione n. 5-03662 del 13 novembre 2014, ha dichiarato che Enav spa: «..allo stato attuale non ravvisa alcuna esigenza di incremento delle dotazioni organiche del personale di categoria onde far fronte alla eventuale presa in carico degli aeroporti in questione. Ed invero, in occasione del recente transito dell'erogazione dei servizi della navigazione aerea presso gli aeroporti di Roma Ciampino e Verona Villafranca, il relativo fabbisogno organico di personale CTA (controllore del traffico aereo) è stato garantito con proprio personale operativo, attraverso gli istituti della mobilità interna previsti e disciplinati dal CCNL in vigore, e senza alcun costo aggiuntivo aziendale. Allo stesso modo ENAV rileva come il processo di reperimento dell'organico necessario alla fornitura dei servizi ATM (Air Traffic Management) presso gli aeroporti di Brindisi, Rimini e Treviso, sia stato da tempo avviato, ancor prima dell'entrata in vigore della norma in oggetto, ricorrendo proprio agli elementi di mobilità interna richiamati in precedenza e al normale turnover pianificato in virtù delle risorse interne in disponibilità, peraltro senza aggravio di costi»;
   desta perplessità quanto dichiarato da ENAV spa in quanto preme ricordare che della necessità di selezionare e formare nuovi controllori di volo, con tempi lunghi e costi quantificabili in circa centomila euro per ogni lavoratore, per sopperire alla mancanza di organico in vista dell'acquisizione dei nuovi aeroporti ex militari diventati civili, fu l'allora amministratore unico ENAV, Massimo Garbini, a riferire nella sua audizione presso la IX Commissione Camera del 24 luglio 2013. In tale occasione, infatti, l'allora amministratore unico Massimo Garbini ha espressamente dichiarato che finché non si sarà certi che gli aeroporti non trasferiranno personale non si faranno assunzioni e che il costo per la selezione e la formazione si aggira sui centomila euro per ognuno dei lavoratori;
   inoltre all'interrogante risulta che immediatamente dopo l'entrata in vigore dell'articolo 4, comma 1 quater, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, il 19 agosto 2014, Enav spa ha provveduto ad inserire nel proprio organico giovani diplomati provenienti dagli istituti aeronautici in possesso di qualifica FISO (operatore del servizio informazioni volo). Oltre a ciò, nel mese di ottobre 2014, Enav spa ha avviato un corso di riqualifica CTA (controllore del traffico aereo) per il proprio personale EAV (esperto di assistenza al volo), mentre nella sopra ricordata risposta all'interrogazione n. 5-03662 del 13 novembre 2014 si dichiarava «... di non avere in programmazione per i prossimi due anni alcuna assunzione di personale controllore di volo»;
   si apprende, per di più, che nel febbraio 2015 Enav spa ha avviato un ulteriore corso di riqualifica CTA per nuovo personale EAV e che a seguito dell'incontro del 31 marzo 2015 tra le sigle sindacali più rappresentative della società e il management aziendale viene resa nota la necessità di formare 70 nuovi controllori del traffico aereo per sopperire alla mancanza di organico. Infatti, con comunicazione prot. RU/68727 del 2 aprile 2015, Enav spa ha avviato l'ennesimo processo di selezione interna di CTA riservata al personale EAV, specificando che il personale selezionato sarà inviato presso l’Academy di Forlì per la frequenza di un corso formativo della durata di 9 mesi, seguito da un periodo di ulteriori 3 mesi da svolgersi presso la futura sede di assegnazione;
   inoltre si apprende che nel novembre 2015 Enav spa ha pubblicato sul proprio sito istituzionale, nella sezione «lavora con noi», un bando di reclutamento di 70 unità di personale esterno da assumere ed impiegare quali FISO (operatore del servizio informazioni volo) presso gli impianti gestiti dalla società stessa. Le modalità di questo bando, con lettera del 16 novembre 2015 inviata al management aziendale, sono dalle stesse organizzazioni sindacali nazionali (Filt Cgil, FIT Cisl, Uiltrasporti, Ugl trasporto aereo) contestate: «... per la totale assenza di informazione e l'assoluta mancanza delle normali e corrette relazioni industriali, riguardo la recente pubblicazione dei bandi di selezione per personale FISO. Abbiamo infatti appreso dell'avvio dei processi selettivi da fonti esterne, nonostante poche ore prima ci fossimo incontrati con i massimi vertici di ENAV e con il responsabile Risorse Umane/Relazioni Industriali, e fossimo stati rassicurati circa la piena condivisione e trasparenza, proprio in merito a nuove assunzioni e ad eventuali processi di riorganizzazione interna. Rende ancor più inspiegabile un tale atteggiamento da parte aziendale, il fatto che durante gli ultimi incontri, ci fossero state prospettate modalità e tempistiche di selezione completamente diverse e che parte dei contenuti dei bandi risulta, a nostro avviso, contraria alle attuali norme di legge ed al vigente contratto. Chiediamo pertanto l'immediata sospensione dell’iter già avviato ed un incontro entro cinque giorni a far data da oggi, in assenza del quale la presente sarà da considerarsi valida ai fini dell'attivazione della prima fase di conciliazione preventiva, come da legge 146/90 e successive modificazioni»;
   ENAV spa ha sempre dichiarato di voler far fronte alla carenza di CTA riqualificando il proprio personale EAV (esperti assistenza al volo), così da non ricorrere al personale CTA militare come viceversa imponeva la legge. Nel frattempo ha provveduto a riqualificare come CTA anche il personale interno con qualifica FISO (operatori di servizio informazioni volo), per poi avviare il reclutamento esterno di 70 unità di nuovi operatori FISO. Appare sempre più evidente all'interrogante che il management aziendale per evitare di assumere il personale militare, che ha già le qualifiche per operare come controllore del traffico aereo, ha di fatto attinto agli operatori FISO creando una carenza nell'organico che di fatto ha portato ad aggirare la legge e a indire una nuova selezione pubblica e questo spiega anche le modalità discutibili relative alla «totale assenza di informazione» di questo nuovo bando denunciate dalle organizzazioni sindacali nella soprarichiamata lettera del 16 novembre 2015;
   appare evidente, ad avviso dell'interrogante, che tale nuovo bando di reclutamento deciso da ENAV spa sia non solo infondato ma chiaramente elusivo dell'articolo 4, comma 1-quater, del decreto-legge n. 90 del 2014 comportando inoltre un aggravio di costi per le casse dello Stato per la necessità di selezionare e formare nuovo personale. Questo comportamento elusivo di Enav spa è già stato fatto oggetto di contestazione in sede giudiziaria da parte dei presentatori della domanda di transito con rischi per la società, in caso di condanna per il suo comportamento omissivo, di ingenti risarcimenti dei danni –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non ritengano opportuno fare chiarezza sulle procedure di reclutamento interne ed esterne messe in atto da Enav spa per sopperire alla mancanza di controllori di traffico aereo CTA in seguito al trasferimento al traffico civile degli aeroporti ex militari;
   se i Ministri interrogati non ritengano urgente intervenire per rendere pienamente efficace l'articolo 4, comma 1-quater, del decreto-legge n. 90 del 2014, su cui ampia è stata la convergenza parlamentare fra forze politiche di maggioranza e di opposizione, consentendo al personale militare che ha fatto domanda di poter transitare in Enav così da evitare gli ingenti costi necessari per la selezione e formazione di nuove assunzioni di personale e quelli eventuali di possibili condanne da parte dell'autorità giudiziaria per l'evidente comportamento elusivo del management di Enav spa con ulteriori aggravi per le casse pubbliche. (5-07155)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CAPONE e MARIANO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   grande attenzione è stata data in questi giorni sulla stampa territoriale alla notizia – emersa nel corso del Congresso associazione giovani avvocati di Padova – secondo cui in tema di riorganizzazione e ridefinizione della geografia giudiziaria la commissione istituita nel settembre scorso dal Ministro della giustizia ipotizzerebbe la chiusura delle sedi decentrate di corti d'appello;
   in Puglia tale orientamento potrebbe significare la chiusura, tra le altre, della Corte d'appello di Lecce che, al momento, risulta viceversa interessata dalla chiusura delle sedi distaccate del tribunale fino a mesi fa di stanza a Tricase, Galatina, Campi Salentina, Gallipoli, Casarano, Maglie, Nardò, con relativo sovraffaticamento logistico e organizzativo della sede comprensoriale e conseguenti gravi disagi. Come si legge: «Il risultato è che i problemi logistici e organizzativi si sono ingigantiti nella città barocca: più traffico, pochi parcheggi, maggiori costi e disagi per quei cittadini, avvocati, forze dell'ordine che percorrono ogni giorno chilometri per raggiungere i tribunali del capoluogo. Ed è proprio questa una delle questioni più calde della protesta del Foro di Lecce, protagonista di uno sciopero senza sosta per più di tre mesi, dal febbraio al maggio del 2014, e a seguire, di astensioni a scacchiera dal 22 al 27 settembre, dal 20 al 25 ottobre, dal 17 al 22 novembre, dal 29 al 30 giugno scorsi, culminate nell'occupazione simbolica, lo scorso ottobre, del tribunale di via Brenta, sede della giustizia civile». La notizia diffusa a Padova riguarderebbe dunque la fase successiva a quella che ha ridisegnato la geografia giudiziaria pugliese coinvolgendo oltre a Lecce anche Brindisi con il trasferimento nel capoluogo messapico delle sedi di Ostuni, Mesagne, Fasano, Francavilla, e Taranto, che ha dovuto riassorbire Manduria, Grottaglie, Martina Franca e Ginosa, mentre nei mesi scorsi non sono mancate voci relative a un possibile ulteriore trasferimento e accorpamento della sede di Taranto con quella di Lecce;
   come si evince da queste pur schematiche note non mancherebbero dunque le ragioni per la mobilitazione che in questi giorni si registra con prese di posizione da parte delle categorie coinvolte e delle popolazioni interessate, preoccupate di una conseguente limitazione nell'esplicazione di legittimi diritti e in ogni caso del rischio di una denegata giustizia, e financo da parte di rappresentanti parlamentari;
   nello specifico della questione al progetto di chiusura e accorpamento appaiono contrarie, sia pure con distinguo, le posizioni dei magistrati come quelle degli avvocati. Questi ultimi peraltro hanno già avviato a livello centrale attraverso il Consiglio nazionale forense una interlocuzione con il Ministero della giustizia. Contestualmente anche i presidenti dei tre Consigli degli Ordini di Taranto, Brindisi e Lecce, pur ritenendo al momento quanto diffuso dagli organi di stampa esclusivamente un'ipotesi di studio, la ritengono in ogni caso «un'ipotesi da scongiurare». Al riguardo il presidente dell'Ordine degli avvocati di Lecce ha così dichiarato: «La realtà leccese verrebbe impoverita, mentre a Bari, non esistono le strutture per ospitare un'unica grande Corte D'Appello regionale. Idem riguardo la soppressione della sede distaccata di Taranto che, come abbiamo ricordato durante l'inaugurazione dell'anno giudiziario, ha un enorme carico di lavoro nella sezione penale e comunque anche la struttura leccese sarebbe inidonea ad accorpare tutto. Già notevoli sono i disagi legati al trasferimento delle controversie in materia societaria alla corte d'Appello di Bari». Più recentemente anche il presidente dell'Anm distrettuale ha definito tale ipotesi una «scelta assurda ed ingiustificata», paventando il rischio «di un accesso alla giustizia più difficoltoso per i più deboli»;
   inoltre ancor più delicata appare la situazione tratteggiata se il trasferimento della corte d'appello con unica stazione Bari dovesse determinare, come pure è stato ipotizzato nel corso dei servizi dedicati dalla stampa, conseguentemente anche analoga sorte per la direzione distrettuale antimafia, essendo «le Direzioni Distrettuali Antimafia organi delle Procure della Repubblica istituite presso i Tribunali dei capoluoghi dei 26 distretti di Corte d'Appello», dal momento che oggetto del progetto di riforma allo studio della Commissione incaricata dal Ministro, «oltre al restyling della carriera dei magistrati, della figura del pm e delle procedure disciplinari, saranno anche le procure generali, i tribunali ordinari e le procure della repubblica, sempre nel segno della razionalizzazione, dell'eliminazione del "surplus" mediante accorpamenti e di una maggiore specializzazione» (fonte: «Nuova riforma della giustizia: entro dicembre una Corte d'appello per regione e tagli alle procure», www.studiocataldi.it);
   da ultimo si è dichiarato fermamente contrario all'ipotesi di studio anche il presidente della regione Puglia Michele Emiliano che ha dichiarato: «se decideranno di cancellare la sede leccese mi opporrò con forza: mortificherebbe il territorio... l'accorpamento e i disagi che ne deriverebbero farebbero pensare piuttosto a un attacco al processo d'appello in quanto tale, un tentativo di minimizzare le fattispecie di ricorso, sia in sede civile che penale, rendendolo più difficile e costoso e convincendo l'opinione pubblica a farne a meno, anche tenuto conto che si tratta di un parametro europeo che l'Italia non rispetta» –:
   se corrisponda al vero quanto evidenziato in premessa e, in caso affermativo, quali iniziative il Ministro interrogato intenda attivare alla luce di quanto sopra per scongiurare il rischio che un accorpamento e una centralizzazione del servizio giustizia in una regione come la Puglia e in un territorio come il Salento possano ingenerare, a causa dell'assenza di adeguati presidi di legalità, una situazione di allarme sociale e di denegata giustizia tale da rendere del tutto ininfluente e ingiustificato il rapporto costi/benefici di una eventuale riorganizzazione della geografia e dell'amministrazione giudiziaria.
(5-07136)


   BUSINAROLO e CECCONI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   quella degli ospedali psichiatrici giudiziari ha costituito una realtà parallela a quella delle carceri, ospitando circa mille persone nelle sette strutture presenti sul territorio nazionale, a Castiglione delle Stiviere, ad Aversa, a Barcellona Pozzo di Gotto, a Montelupo Fiorentino, a Napoli, a Salerno e a Reggio Emilia;
   nel 2008 la Commissione di inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del servizio sanitario nazionale aveva denunciato una realtà desolante riguardanti tali strutture, in cui venivano perpetrati episodi di abusi e maltrattamenti nei confronti dei pazienti e in cui l'inadeguatezza del personale sanitario ed infermieristico contribuivano a determinare una situazione di degrado molto grave;
   il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari è iniziato con il decreto legislativo del 22 giugno 1999 relativo al riordino della medicina penitenziaria, cui sono seguiti diversi decreti-legge ed accordi, fino al sopraggiungere della legge n. 9 del 2012 che vincolava le regioni a realizzare specifici programmi per la realizzazione di percorsi terapeutico-riabilitativi, entro marzo 2013, termine slittato al 1o aprile 2014;
   con la legge 30 maggio 2014, n. 81, cosiddetto «svuotacarceri» è stata definita la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) e la contestuale attivazione delle REMS (residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza), strutture ricettive a carattere sanitario che devono rispondere anche a criteri di custodia, poiché ad esse vengono assegnati pazienti con disturbo psichico, autori di reato, ritenuti non dimissibili dagli ospedali psichiatrici giudiziari; allo stato attuale, la chiusura è rimasta praticamente disattesa;
   ad oggi, infatti, dei sei ospedali psichiatrici giudiziari presenti sul territorio nazionale l'unico a essere stato chiuso è quello di Castiglione delle Stiviere (peraltro trasformato in REMS con un semplice «cambio di targa»), nessuno ha mai davvero chiuso i battenti;
   risulta inoltre agli interroganti, come si evince da recenti notizie di cronaca (vedasi articolo de « Il Fatto Quotidiano» del 23 novembre 2015) che l'Emilia Romagna ha attivato alcune rems provvisorie, a Bologna e a Parma, che accolgono 21 internati, provengono dalla Lombardia (5) e soprattutto dal Veneto (16), la regione che risulta più indietro nel realizzare le nuove strutture;
   di recente il sottosegretario per la salute, Vito de Filippo, dopo la costituzione del comitato StopOpg, ha annunciato l'invio di lettere di diffida alle otto regioni (oltre il Veneto, Piemonte, Toscana, Abruzzo, Lazio, Campania, Calabria e Puglia) che non hanno ottemperato il proprio dovere;
   sussiste inoltre un ulteriore problema, legato a coloro ai quali l'infermità psichica è sopraggiunta durante la detenzione, che sono stati dichiarati incompatibili con il regime carcerario, ma per i quali non è prevista l'assegnazione presso le rems e che probabilmente saranno costretti a ritornare nelle strutture carcerarie –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e sé intendano assumere iniziative per chiarire le modalità di trasferimento dei pazienti ancora detenuti negli ospedali psichiatrici giudiziari che si ritengono non dimissibili, al fine di garantire loro condizioni di vita dignitose all'interno delle strutture ospitanti. (5-07140)


   COLLETTI, GRILLO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO e MANTERO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da fonti di stampa risulta che Giovanni Pitruzzella, presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato e tra i «candidati» alla Corte costituzionale, è indagato a Catania insieme ad altre tre persone per corruzione in atti giudiziari nell'ambito di un'inchiesta, nata nel 2008, su un lodo arbitrale tra l'Università del capoluogo etneo e quella della Kore di Enna;
   l'indagine nasce nel 2008 da un esposto anonimo che indicava i presunti retroscena del lodo arbitrale per risolvere il contenzioso tra l'università Kore di Enna e l'ateneo di Catania. Quest'ultimo, dopo aver fornito per sei anni personale know how per l'attività didattica dell'università Kore, non aveva mai incassato il compenso stabilito. Nel 2008, a fronte di una cifra richiesta da parte dell'università di Catania di 25 milioni di euro, il collegio arbitrale deliberò (a maggioranza) un risarcimento simbolico di 100.000 euro. A votare a favore furono Pitruzzella, arbitro scelto dalla Kore, e il presidente del collegio, l'allora avvocato dello Stato Giuseppe Di Gesù. Contro votò il terzo arbitro scelto dall'università di Catania, Giuseppe Barone. Qualche tempo dopo, alla Procura di Catania arrivò l'esposto anonimo sopra menzionato nel quale si segnalava che, praticamente in coincidenza con l'avvio del lodo, la Kore di Enna aveva dato, per puro caso, alla figlia di Di Gesù, appena laureata e senza alcun titolo accademico, un importante incarico come docente di tre materie importanti: diritto internazionale, diritto pubblico e diritto privato, Le indagini, delegate alla Digos della questura di Catania, accertarono che la figlia del presidente del collegio arbitrale era una docente della Kore, ma per più di sei anni il fascicolo (contro ignoti e con l'ipotesi di reato di abuso d'ufficio) non venne toccato;
   per l'inchiesta la procura di Catania ha sollecitato, per ben tre Volte, l'archiviazione del fascicolo per prescrizione, ma il presidente dell'ufficio del Gip Nunzio Sarpietro ha rigettato le richieste, disponendo anche il cambio di reato da contestare: da abuso d'ufficio a corruzione – in atti giudiziari nei confronti di quattro persone: Di Gesù, Pitruzzella, l'allora presidente del Consorzio ennese universitario Giuseppe Petralia e Carlo Comandè, il legale che nel lodo arbitrale rappresentava la Kore ma che, nella sua qualità di avvocato dello studio legale Pitruzzella, aveva un rapporto particolarmente stretto con uno degli arbitri. Il Gip Nunzio Sarpietro ha altresì fissato un'udienza camerale per il prossimo 4 dicembre che potrebbe portare ad una imputazione coatta –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti in premessa e se intenda disporre un'ispezione ministeriale nei confronti della procura di Catania in relazione al fatto che non siano state svolte indagini per quasi sei anni e sia stata chiesta per ben tre volte l'archiviazione nonostante le indagini della Digos e il rigetto delle precedenti richieste di archiviazione da parte del giudice per le indagini preliminari. (5-07156)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


   GRIMOLDI e RONDINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il tunnel di Gattamelata, ideato negli anni ’90 con l'obiettivo di razionalizzare uno dei maggiori nodi di collegamento di Milano con le autostrade, fa parte del progetto di trasformazione urbana dell'area Portello, ed è connesso anche al futuro riutilizzo dell'area della ex Fiera di Milano;
   l'opera, cofinanziata da Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, regione Lombardia e comune di Milano, per un costo di oltre 115 milioni di euro, sembra finalmente completata dopo 15 anni, tra l'approvazione del progetto e l'esecuzione dei lavori, e a seguito di una serie di vicissitudini, interventi di bonifica del terreno e modifiche progettuali, che hanno fatto lievitare i costi;
   i lavori della galleria che ha una lunghezza di 970 metri sono conclusi da tempo e già ad agosto si aspettava che per la fine del mese sarebbe stato il taglio del nastro a collaudo finito;
   nel mese di settembre 2015 i mass media, tra consensi e contestazioni, ancora annunciavano il taglio del nastro a fine mese, e ancora ad oggi la galleria non risulta aperta al traffico –:
   se il Ministro intenda appurare con certezza quando sia prevista l'apertura al traffico del tunnel Gattamelata. (5-07146)


   COMINELLI e BORGHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Tignale sul Lago di Garda è una delle località turistiche lacustri più belle e rinomate del Paese, molto frequentata soprattutto nei mesi primaverili ed estivi. Purtroppo il comune soffre una viabilità piuttosto angusta che crea, soprattutto nei mesi in cui la presenza turistica si fa particolarmente intensa, forti disagi alla circolazione;
   una delle situazioni di maggiore criticità riguarda la strada statale Gardesana occidentale 45-bis, nel tratto Gagnano-Tignale. La strada statale è interessata dalla presenza di numerose gallerie, alcune delle quali sono troppo strette per il passaggio nei due sensi di marcia di camion o di autobus;
   nel corso degli anni sono state ipotizzate varie soluzioni, l'ultima delle quali, predisposta dall'Anas, ha visto l'installazione di un semaforo che alterna il traffico nelle due direzioni di marcia. Questa soluzione, tuttavia, presenta molte controindicazioni, perché genera lunghissime code di veicoli, accresciute dai frequenti guasti occorsi ai semafori;
   il sindaco del comune di Tignale lamenta da anni la gravità della situazione, divenuta ormai insostenibile sia per ragioni di sicurezza della circolazione, sia perché un traffico veicolare così mal gestito va a discapito della qualità dell'offerta turistica e rappresenta un pessimo biglietto da visita per una zona che ha puntato molto sulla promozione della qualità ambientale del territorio;
   in particolare; estate scorsa è stata una vera e propria via crucis con cantieri aperti senza informare i comuni, impianti semaforici lungo le gallerie tra Gargnano e Tignale continuamente fuori uso, code infinite, caos e ritardi, turisti imbufaliti, residenti sdegnati, operatori in difficoltà;
   l'economia del comune di Tignale, un piccolo comune con poco più di 1300 abitanti, si regge sulla piccola e media impresa e il paese negli anni ha saputo riconvertirsi, passando dall'agricoltura di sussistenza a rappresentare il fiore all'occhiello del turismo gardesano. I molti investimenti fatti nel settore turistico, divenuto ormai la principale fonte di reddito, hanno evitato lo spopolamento, soprattutto giovanile, e hanno creato occupazione in tutti i settori legati all'indotto;
   quello di Tignale è solo uno dei casi più gravi di una situazione di disagio complessiva riguardante la viabilità della strada statale 45-bis, che incide su tutti i comuni dell'Alto Garda come Limone, Tremosine, Gargnano; anche i comuni di Salò e Riva risentono di un problema analogo;
   per venire incontro alle esigenze del territorio, che ha individuato nelle sue bellezze naturalistiche un asset fondamentale di crescita occupazionale ed economica, risulta di grande utilità prevedere interventi mirati alle infrastrutture del trasporto viario, adeguandole alle esigenze odierne –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per migliorare la viabilità della strada statale Gardesana occidentale 45-bis, mediante i necessari interventi infrastrutturali per agevolare la circolazione dei veicoli pesanti soprattutto nelle gallerie, come ad esempio la realizzazione di piazzole di sosta temporanea che consentano agli automezzi ingombranti di accostarsi ed agevolare il traffico. (5-07147)


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MATARRELLI, TURCO, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 luglio 2014, regione Emilia Romagna, provincia di Bologna e comune di Bologna hanno firmato un accordo con Autostrade per l'Italia (ASPI) e con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per la costruzione del «Passante Autostradale Nord»: circa 38 chilometri di semianello autostradale da costruirsi a nord della città di Bologna (per oltrepassarla senza immettersi nel contesto di viabilità cittadina della tangenziale), che attraverserà undici comuni della provincia del Capoluogo;
   il tracciato di 38 chilometri comporterà la perdita definitiva di almeno 600 ettari di pianura bolognese, ma, oltre al consumo diretto di suolo naturale ed agricolo, causati dal tracciato, dagli svincoli e dai caselli, il passante nord attraverserà decine di aziende agricole, ritagliando ampie superfici che non potranno più essere coltivate convenientemente e che sono state stimate intorno ai 130-150 ettari dallo studio di fattibilità. Ciò comporterebbe un danno significativo per decine di aziende agricole e per la filiera a monte ed a valle e inoltre potrebbe causare la perdita definitiva di molti posti di lavoro in uno dei settori economici che paiono avere più potenzialità di generare reddito ed occupazione;
   per attuare l'opera verranno impermeabilizzati almeno 100 ettari di terreno – considerando solo il nastro senza caselli e svincoli –, impedendo l'infiltrazione delle precipitazioni nella falda il cui livello è già in calo di 9 milioni di metri cubi all'anno da 30 anni. L'acqua che non filtra nel terreno scorrerà in superficie e andrà ad impegnare il reticolo di scolo della pianura in cui le esondazioni sono sempre più frequenti;
   in base a tale accordo (http://www.legambientebologna.org), l'ASPI realizzerà il «passante autostradale nord» solo nel caso in cui vengano rispettati i seguenti impegni:
    l'importo fisso e non modificabile a carico di ASPI sia pari a 1.280.000,00 di euro;
    regione, provincia e comune di Bologna si impegnino a contenere i costi di ASPI per le mitigazioni ambientali e per il reperimento dei siti di cava;
    l'attuale tracciato A14 resti separato dalla tangenziale (saranno aperti solo alcuni bypass di comunicazione);
    venga aumentato il pedaggio di attraversamento dell'attuale asse autostradale;
    si introduca un divieto di attraversamento ai mezzi pesanti che farà collassare i paesi a nord;
    venga introdotto un pedaggio forfettario pari a 15,5 chilometri per chi entra o esce dai caselli;
    non sia prevista alcuna procedura di consultazione pubblica e nemmeno l'accordo dei comuni rappresentati sul progetto preliminare;
   il circolo Pianura Nord di Bologna di Legambiente ha pubblicamente dichiarato, in un documento ufficiale, (http://www.pianuranord.bo.it), che l'ASPI, riferendosi all'opera, ha sostenuto che avrebbe garantito «scarsi benefici trasportistici» e «consistente impatto territoriale», mentre si rileva la «mancanza di elementi necessari a garantire la fattibilità tecnico/economica dell'iniziativa» (negli stessi documenti si afferma che «la soluzione Passante + Banalizzazione» genera un peggioramento delle condizioni di deflusso della A14 e non migliora in maniera efficace le condizioni di deflusso sulle complanari);
   per risolvere la congestione del traffico e diminuire l'inquinamento totale del nodo di Bologna, sono state proposte varie alternative molto meno costose, sia dal punto di vista economico che ambientale, come l'allargamento della tangenziale, senza consumo di nuovo territorio; il completamento della viabilità alternativa, già prevista da anni nella pianificazione territoriale vigente ma rimasta incompiuta;
   lo sviluppo del servizio ferroviario metropolitano e del trasporto pubblico bolognese, nello specifico, il comitato «per l'Alternativa al passante nord», ha presentato una proposta alternativa che interviene, in sede di tracciato attuale e agisce sulle scarpate laterali, senza ricorrere all'esproprio di terreni, creando, con la tecnica dei diaframmi, l'allargamento della tangenziale/autostrada a tre corsie per carreggiata e relative corsie di emergenza;
   il suddetto progetto alternativo, validato tecnicamente in un convegno pubblico alla facoltà di ingegneria di Bologna, avrebbe un costo stimato intorno ai 600 milioni di euro e i tempi di realizzazione sarebbero notevolmente inferiori e consentirebbero l'uso parziale dell'opera a breve, contro l'impossibilità di utilizzare il passante nord, fin tanto che quest'ultimo non sarà terminato nella sua intera estensione;
   il 9 settembre 2015, gli uffici del settore mobilità sostenibile e infrastrutture del comune di Bologna, in risposta ad una interrogazione della consigliera comunale Federica Salsi, hanno dichiarato che l'unico progetto al vaglio risulta essere quello redatto da ASPI che ha elaborato uno Studio di Fattibilità del passante autostradale nord di Bologna, con un tracciato della lunghezza di circa 37,5 chilometri e degli interventi di banalizzazione sull'attuale tratto autostradale dell'A14 sotteso al passante di Bologna, ricompreso tra Borgo Panigale e S. Lazzaro, comprensivo del sistema di pedaggio, per un importo complessivo dell'opera non superiore ad euro 1.280.000.000,00 netti, sottoposto alla valutazione degli enti territoriali preposti e sulla base del quale è stato sottoscritto l'Accordo del 29 luglio 2014 (https://drive.google.com);
   l'assessore ai trasporti della regione Emilia Romagna, Raffaele Donini, nell'assemblea legislativa il 16 giugno 2015, ha dichiarato che è stato invitato il Comitato che propone l'alternativa perché si vuole che oltre al passante si esamini in questa fase anche la loro idea progettuale ha preso impegni che ora non sembrano venir rispettati;
   nella risposta all'interrogazione n. 5/00694 si legge, invece che «allo stato attuale, prosegue ancora l'esame di tutte le possibili soluzioni ivi compresa l'opzione 0, ovverosia la possibilità di non realizzare l'opera. Si assicura, pertanto, che saranno attentamente esaminate e valutate tutte le posizioni espresse sulla questione, ivi compreso lo studio del progetto Comitato per «alternativa Passante Nord, cui si fa riferimento. Infine, si ricorda che anche la procedura VIA garantirà, senza dubbio, il più ampio confronto di tutte le posizioni prospettate»;
   come dimostra la lottizzazione di 22 ettari agricoli decisa dall'amministrazione di Granarolo, su cui sorgeranno nuovi insediamenti residenziali e il nuovo centro sportivo del Bologna Calcio, il progetto del passante autostradale nord appare agli interroganti aver poco a che fare con la razionalizzazione dei di traffico e la riqualificazione urbana e rischi di smuovere interessi che non sono di pubblica utilità;
   da fonti stampa si apprende che ai primi di novembre di quest'anno, durante una conferenza Virginio Merola, sindaco di Bologna (insieme all'assessore metropolitano ai trasporti Irene Priolo e all'assessore comunale ai trasporti Andrea Colombo), abbia dichiarato di voler rinunciare ad un'opera obsoleta e impattante come quella del passante nord, preferendo investire in maniera più opportuna fondi pubblici, per opere realmente necessarie alla collettività come l'allargamento della tangenziale (che insieme alla A14 attraversa la città congiungendosi con la A1) e il ritorno del tram, che dalla stazione ferroviaria dovrebbe arrivare al Caab –:
   se il Ministro interrogato, alla luce dei fatti sopra descritti, pur garantendo la necessità di risolvere le problematiche legate alla viabilità e alla sicurezza stradale, non consideri indispensabile coordinarsi opportunamente, per quanto di competenza, con gli enti locali coinvolti dall'opera (specificatamente con gli uffici del settore mobilità sostenibile e infrastrutture dei vari comuni) in merito alle procedure e ai progetti che verranno realmente presi in esame, soprattutto in occasione della valutazione di impatto ambientale (VIA) e in nome dei reali interessi della collettività, non ritenga doveroso, prendere in esame, per quanto di competenza, soluzioni alternative al progetto del «passante autostradale nord» che possano comportare un evidente risparmio sia sotto il punto di vista economico che ambientale. (5-07148)


   TERZONI, GALLINELLA, CIPRINI, AGOSTINELLI, CECCONI, MICILLO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in un comunicato stampa del 23 luglio 2015 (http:/ /www.(iberatiumbria.it) il capogruppo del Movimento 5 stelle al consiglio regionale umbro, Andrea Liberati, ha denunciato che per illuminare i tunnel nella Quadrilatero Marche-Umbria sono state impiegate soluzioni antiquate, ossia corpi illuminanti ai vapori di sodio ad alta pressione (sap), anziché a led;
   il consigliere ha sottolineato anche il fatto che il risultato è che, tra manutenzione e bolletta elettrica, la collettività spenderà ogni anno circa il 70-75 per cento in più rispetto alla migliore tecnologia esistente;
   questa rappresenta l'ennesima scelta scellerata nell'ambito di un cantiere che ancora vede chiuse le gallerie coinvolte dalla nota vicenda dei sottospessori cementizi –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere per garantire che nei cantieri della Quadrilatero spa, sotto ogni punto di vista vengano adottate le scelte tecnologicamente più avanzate e in grado di perseguire l'obiettivo della massima efficienza e detta minore spesa, anche in termini di gestione e manutenzione, per la collettività, se tali impianti di illuminazione installati corrispondano ai requisiti tecnici ed alle richieste presenti nel capitolato tecnico e se sia in grado di relazionare riguardo allo stato di avanzamento delle operazioni che ANAS ha annunciato a inizio luglio 2015 nel quadro delle verifiche disposte su tutte le opere della Quadrilatero Marche-Umbria. (5-07149)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PELLEGRINO e FRANCO BORDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 17 settembre 2015 si è svolto a Trieste il Forum dedicato allo sviluppo infrastrutturale ferroviario tra Italia e Balcani. L'amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato italiane, Mario Michele Elia, ha annunciato uno studio di fattibilità per rendere più veloce la tratta Venezia-Trieste in particolare utilizzando in gran parte la linea esistente;
   presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stato depositato in data 28 dicembre 2010 un progetto alta velocità/alta capacità Mestre – Trieste, tratta Portogruaro – Ronchi dei Legionari, la cui valutazione d'impatto ambientale V.I.A. recentemente è stata sospesa. La tratta Portogruaro-Ronchi dei Legionari, come si legge nella scheda sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare «costituisce una parte dell'intervento di realizzazione della nuova linea AV/AC Venezia – Trieste. La tratta si sviluppa per 46 km, prevalentemente in rilevato. Inoltre sono previsti 28 km. Di linea per interconnessioni varianti e raccordi», da organi di stampa risulta che in una intervista dell'amministratore delegato della Rete ferroviaria italiana «R.F.I.», Maurizio Gentile, abbia dichiarato che nella tratta interessante il Veneto verrebbe utilizzata la linea esistente. Per quanto riguarda la porzione del Friuli Venezia Giulia, per eliminare due criticità tra Portogruaro e Latisana, e tra S. Giorgio di Nogaro e Aurisina, sono previste appunto due varianti che prevedono la costruzione di una nuova linea già, prevista nel Progetto AV/AC Mestre – Trieste presentato nel 2010;
   le caratteristiche geotecniche dell'area interessata alla costruzione della nuova linea, sono molto sensibili in quanto hanno un livello piezometrico di falda freatica variabile tra piano di campagna e 2 metri sotto il piano di campagna –:
   se nel nuovo studio di fattibilità della linea Venezia – Trieste sia prevista una nuova linea da Portogruaro verso Aurisina e dove sia previsto il collegamento della nuova linea con la linea storica. (5-07137)


   MURA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Sardegna è una delle regioni italiane con il più alto tasso di incidenti stradali mortali rispetto alla popolazione;
   il 2014 ha registrato un calo degli incidenti mortali in Sardegna: sono stati 27, rispetto a 38 del 2013, mentre le vittime sono state 28, contro le 45 dell'anno precedente, 1.110 i feriti;
   il 2015, i cui dati sono soltanto parziali, segna purtroppo un triste record per l'isola: il numero delle vittime da gennaio a novembre nel complesso ha superato di gran lunga quelle dei due anni precedenti (2013-2014);
   nell'ultimo fine settimana di novembre, in sole 24 ore, in Sardegna sono morte 4 persone e 7 sono rimaste ferite, alcune in modo molto grave;
   gli incidenti mortali sono in notevole aumento in tutta Italia, come rivelano i dati rilevati da polizia di Stato e carabinieri, segnando anche a livello nazionale un'inversione di tendenza rispetto a un trend virtuoso di bilanci positivi che aveva caratterizzato oltre un decennio (2001-2013);
   agli eccessi di velocità e ai conducenti irresponsabili, al volante dopo abusi di alcol e droghe, si aggiunge oggi un ulteriore elemento di distrazione, quello legato alla tecnologia, che distoglie l'attenzione dalla guida per fare contemporaneamente anche altro: messaggiare, scrivere email e addirittura scattare « selfie»;
   stress e distrazione stanno creando soprattutto nei tratti urbani, i più colpiti dall'aumento dell'incidentalità, un deficit d'attenzione negli automobilisti che risulta letale;
   per brevi percorsi la cintura di sicurezza è spesso un optional, soprattutto nei sedili posteriori dove i passeggeri, contravvenendo all'obbligo, rischiano, in caso di urto, di essere catapultati fuori dall'auto e di venire travolti dai veicoli che sopraggiungono;
   la crisi economica ha prodotto, tra gli altri, anche un altro effetto che ha inciso pesantemente sulla sicurezza: un parco auto nazionale tra i più vecchi d'Europa, i mancati controlli periodici delle autovetture e l'assenza di revisione di molti mezzi a motore che circolano sulle strade;
   la polizia stradale, che tiene sotto osservazione costante la mobilità, ha già iniziato a porre in essere nuove strategie per la sicurezza, che prevedono controlli più stringenti e l'esigenza di maggiore manutenzione dei veicoli;
   il Governo e il Parlamento sono fortemente impegnati per contrastare il fenomeno degli incidenti stradali sul territorio nazionale, sia sul fronte della prevenzione/educazione sia sul fronte della repressione, come dimostra la nuova legge che introduce il reato di omicidio stradale –:
   se sia a conoscenza di questa situazione;
   quali ulteriori iniziative intenda adottare per limitare un fenomeno che nell'anno in corso si è riproposto con drammaticità, con un sensibile aumento degli incidenti stradali;
   quali iniziative intenda adottare per «ringiovanire» il parco auto in Italia, aumentare i controlli sui mezzi in circolazione sulle strade e impedire la circolazione ai veicoli privi di revisione. (5-07138)


   DE LORENZIS, LIUZZI, DELL'ORCO, CARINELLI, LUIGI DI MAIO e SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 marzo 2015, è stata presentata dall'ENAC istanza per l'avvio della procedura di valutazione d'impatto ambientale concernente la realizzazione dell’«aeroporto di Firenze – Master Plan aeroportuale 2014-2029» nel quale si prevede, tra l'altro, una nuova pista con orientamento « 12-30» al posto dell'attuale pista con orientamento « 05-23»;
   tale opera sarebbe stata garantita con fondi pubblici pari a 150 milioni di euro in forme diverse e con provvedimenti ad oggi non meglio precisati a giudizio degli interroganti in contrasto con le regole comunitarie di cui al regolamento 1315/2013 e gli orientamenti prescrittivi menzionati nella GU UE 99/3 C del 4 aprile 2014, che pongono il divieto di aiuti di Stato, palesando il rischio che, in forza dell'articolo 107 del TFUE, si provveda al successivo recupero coatto delle somme impropriamente concesse;
   per la realizzazione della pista si dovrebbero porre in essere opere di intervento che si presentano complicate e assai costose: si tratterebbe, invero, di un'opera implicante investimenti superiori a 50 milioni di euro;
   la stima dell'ammontare dei costi non risulta ben definita, in quanto si registra un continuo mutamento delle indicazioni in merito anche con evidenti contraddizioni fra ENAC e ENAV anche sulle volumetrie delle terre, e dei relativi costi, nonché quelli di bonifica bellica non menzionati nel testo ENAC. Si parla di 86 milioni di euro ma senza menzionare i costi aggiuntivi, palesando, secondo gli interroganti, la mera volontà di ottenere una compatibilità formale dei costi;
   risulta che il 16 luglio 2014 il consiglio regionale della Toscana abbia approvato il piano di indirizzo territoriale che prevede una nuova pista per l'aeroporto di Firenze e il Governo, come riportato da fonti stampa, abbia stanziato 50 milioni di euro con il decreto-legge cosiddetto «Sblocca Italia» come cofinanziamento per la nuova pista di Peretola che risulta tra le opere finanziate «con condizione che siano cantierabili entro il 31 agosto 2015» e con procedure semplificate;
   da fonti stampa, risulta che, con una lettera ad Adf, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti abbia altresì assicurato ogni azione utile per sostenere l'attuazione degli interventi infrastrutturali relativi agli scali aeroportuali di Pisa e di Firenze, in modo da consentire la natura strategica del sistema aeroportuale toscano;
   il piano nazionale degli aeroporti menziona, fra i requisiti per l'individuazione degli aeroporti di interesse nazionale strategico, la regola di un solo aeroporto strategico per ciascun bacino, rispetto alla quale costituisce unica eccezione quella relativa al bacino del Centro-nord, per il quale gli aeroporti strategici individuati sono due – Bologna e Pisa/Firenze – in considerazione delle caratteristiche morfologiche del territorio e della dimensione degli scali e a condizione, relativamente ai soli scali di Pisa e Firenze, che tra gli stessi si realizzi la piena integrazione societaria e industriale;
   la comunicazione della Commissione-orientamenti sugli aiuti di Stato agli aeroporti e alle compagnie aeree (2014/C 99/03) prescrive che le valutazioni devono essere fatte per singolo aeroporto anche se parte di aggregazione e, tra i criteri individuati dal regolamento-europeo n. 1315/2013 sugli orientamenti dell'Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti, TEN-T, non è in alcun modo individuata l'eccezione contenuta nel piano nazionale aeroporti che, pertanto, secondo gli interroganti, si configura in maniera inequivocabile in contrasto con le indicazioni europee;
   risulta che proprio il commissario ai trasporti dell'UE, su precisa richiesta della Corte dei conti dell'Unione europea, abbia chiarito che i nuovi aeroporti, proprio per il loro impatto sui territori, devono essere performanti (da qui la regola dei bacini di utenza) e che in diverse Nazioni del sud Europa, incluso l'Italia, si dissipano risorse ambientali parcellizzando invece di razionalizzare le infrastrutture aeroportuali;
   la comunicazione della Commissione relativa agli aiuti di Stato agli aeroporti e alle compagnie aeree (2014/C 99/03) definisce le caratteristiche di bacino di utenza, indicando in 100 chilometri la distanza minima fra aeroporti o un tempo di percorrenza di 60 minuti in automobile, autobus, treno o treno ad alta velocità. Al riguardo, occorre considerare che l'aeroporto di Firenze dista in linea d'aria 70 chilometri da Pisa e 85 chilometri da Bologna, rientrando pertanto nelle ipotesi di obbligo di notifica di «aiuti a favore degli aeroporti» ovvero di «aiuti agli investimenti a favore di aeroporti»;
   sul punto, il paragrafo 5.1, «Aiuti agli aeroporti», e in particolare il sottoparagrafo 5.1.1, «Aiuti agli investimenti a favore di aeroporti», prescrivono che gli aiuti agli investimenti concessi agli aeroporti, sia a titolo individuale sia nell'ambito di un regime di aiuti, sono considerati compatibili con il mercato interno ai sensi dell'articolo 107, paragrafo 3, lettera c), del Trattato, purché siano soddisfatte le condizioni cumulative previste. È altresì necessario che un aiuto agli investimenti negli aeroporti contribuisca al conseguimento di un obiettivo di interesse comune, dovendosi verificare almeno una delle seguenti condizioni: a) incremento della mobilità dei cittadini dell'Unione e della connettività delle regioni mediante la creazione di punti di accesso a voli intraunionali; oppure b) lotta alla congestione del traffico aereo nei principali hub aeroportuali unionali; oppure c) facilitazione allo sviluppo regionale;
   sempre secondo le indicazioni comunitarie citate, il moltiplicarsi di aeroporti non redditizi o la creazione di ulteriore capacità inutilizzata non contribuisce a un obiettivo di interesse comune. Se un progetto d'investimento è destinato principalmente a creare nuova capacità aeroportuale, la nuova infrastruttura deve, a medio termine, soddisfare la domanda attesa delle compagnie aeree, dei passeggeri e degli spedizionieri nel bacino di utenza dell'aeroporto. Ogni investimento che non abbia soddisfacenti prospettive di utilizzo a medio termine o che riduca le prospettive a medio termine di utilizzo dell'infrastruttura esistente nel bacino d'utenza non può essere considerato utile ai fini di un obiettivo di interesse comune. Di conseguenza, si nutrono dubbi circa le prospettive di utilizzo a medio termine di infrastrutture aeroportuali in un aeroporto situato nel bacino di utenza di un altro già esistente che già non funziona a piena capacità o quasi. Le prospettive di utilizzo a medio termine devono essere dimostrate sulla base di corrette previsioni del traffico di passeggeri e di merci inserite in un piano industriale ex ante e devono individuare i probabili effetti dell'investimento sull'utilizzo di infrastrutture esistenti, come un altro aeroporto o altri modi di trasporto, in particolare collegamenti ferroviari ad alta velocità;
   in ragione di ciò si pone un obbligo di notifica, a causa del rischio più elevato di distorsione di concorrenza che esse comportano, per le misure di aiuto agli investimenti per la creazione o lo sviluppo di un aeroporto situato entro una distanza di 100 chilometri o 60 minuti di percorrenza in auto, bus, treno o treno ad alta velocità da un aeroporto esistente e si individua un obbligo di notifica, a causa del rischio più elevato di distorsione di concorrenza che esse comportano, per le misure di aiuto al funzionamento di un aeroporto, se altri aeroporti si trovano in un raggio di 100 chilometri o 60 minuti di percorrenza in auto, bus, treno o treno ad alta velocità;
   allo stato, tuttavia, non si hanno notizie di eventuali notifiche alla Commissione europea relative al finanziamento;
   recentemente anche il presidente dell'ENAC ed il presidente Toscana Aeroporti in una conferenza stampa a Firenze hanno confermato che i fondi stanziati sono dovuti perché Firenze ha una capacità inferiore ai 3 milioni di passeggeri/anno. Per cui sembra che i 50 milioni di euro di finanziamento si avvalorino in quanto necessari per le nuove opere di salvaguardia idraulica del Fosso Reale per esigenze ambientali, che tuttavia non sussisterebbero senza la costruzione dell'aeroporto stesso: in tal modo, secondo gli interroganti, si tratterebbe di aiuti di Stato in quanto correlati ed ascrivibili al nuovo aeroporto –:
   se il Ministro interrogato intenda intervenire in merito alla realizzazione dell'aeroporto di Firenze per conformare la propria attività alle prescrizioni della normativa comunitaria in materia, escludendo forme di aiuti di Stato agli aeroporti e alle compagnie aeree;
   se il Ministro interrogato possa dar conto di eventuali notifiche, previste dalla normativa europea, effettuate alla Commissione europea relative al finanziamento per la realizzazione dell'aeroporto di Firenze, e riferire circa il rischio che, in forza dell'articolo 107 del TFUE, sussistano i presupposti per un successivo recupero coatto delle somme concesse, con l'eventualità di incorrere in ipotesi di responsabilità erariale;
   se il Ministro possa indicare il preciso ammontare dei finanziamenti disposti per la realizzazione dell'aeroporto di Firenze. (5-07152)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BORGHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   relativamente al trasporto su rotaia, di competenza della regione Piemonte, il cui servizio ad oggi fa capo alla Società Trenord esistono gravissime carenze e disservizi;
   tale linea ferroviaria di trasporto è quotidianamente utilizzata da centinaia di lavoratori e studenti pendolari che dalle province del Verbano Cusio Ossola, di Novara, di Varese e di Milano si recano nel territorio regionale della Lombardia e nel suo capoluogo;
   negli scorsi mesi, proprio in considerazione delle problematiche sopracitate e mai risolte, sono stati fatti numerosi incontri tra i rappresentanti dei pendolari, il sindaco di Verbania Silvia Marchionini, il presidente della provincia del Verbano Cusio Ossola Stefano Costa, il vicepresidente della regione Piemonte Aldo Reschigna e l'interrogante, dai quali sono emerse con forza le problematiche legate alla pulizia delle vetture, al sovraffollamento ed agli eccessivi e ripetuti ritardi dei mezzi sulla richiamata linea ferroviaria;
   tali disservizi sono già stati oggetto di segnalazione da parte dal comune di Verbania, di Premosello-Chiovenda e di Arona nei confronti di Trenord e dell'assessorato ai trasporti della regione Piemonte;
   tale grave situazione è già stata oggetto di una specifica interrogazione da parte dell'interrogante al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del Governo Letta, Maurizio Lupi senza risposta;
   all'inizio del 2015 è stata intentata una causa per risarcimento danni nei confronti della società concessionaria del servizio Trenord da parte di circa 100 pendolari per i gravi disservizi sopracitati;
   con l'arrivo della stagione invernale il traffico su rotaia conosce un importante incremento dato dall'afflusso di turisti sul territorio della provincia del Verbano Cusio Ossola –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle gravi problematiche sopra riportate interessanti la linea ferroviaria Milano – Domodossola;
   se, a fronte di quanto sopra riportato, il Ministro non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza nei confronti della concessionaria Trenord, partecipata da Ferrovie dello Stato italiane, affinché ripristini gli standard minimi di servizio. (4-11353)


   PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il porto di Taranto, fra i primi in Italia per traffico di merci, è localizzato sulla costa settentrionale dell'omonimo golfo e riveste un ruolo importante sia da un punto di vista commerciale che strategico;
   le installazioni del porto mercantile ed industriale sono distribuite lungo il settore nord occidentale del Mar Grande, ed immediatamente al di fuori di esso in direzione ovest. È provvisto di tre accessi di cui due operativi, la sua gestione è affidata all'autorità portuale la cui sede è all'interno del porto stesso;
   da un articolo della rubrica «le inchieste» del giornale on-line « LaRepubblica.it», dal titolo I porti d'oro del sistema incalza pubblicato in data 21 aprile 2015, si apprende del coinvolgimento del porto di Taranto nel cosiddetto «Sistema Incalza» legato agli appalti sulle grandi opere, che ha visto coinvolto l’ex top manager del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti Ercole Incalza;
   secondo i carabinieri del Ros (raggruppamento operativo speciale) «l'ex-ministro Claudio Signorile e suo figlio Jacopo, per vicende riguardanti appalti pubblici, erano in rapporti, sia con Incalza sia con Stefano Perotti», figlio di Massimo Perotti ex direttore generale di ANAS ed ex presidente della Cassa per il Mezzogiorno, arrestato negli anni ‘80;
   i carabinieri del Ros e i pubblici ministeri di Firenze stanno cercando di approfondire le modalità di assegnazione del maxi appalto della piastra logistica di Taranto e soprattutto sulla composizione dell'ATI che dal 2002 guida i lavori;
   l'opera vale circa 219,1 milioni di euro, naturalmente lievitati rispetto ai 156,1 milioni previsti dalla prima delibera CIPE del 2003, stanziati per migliorare la dotazione infrastrutturale del porto e realizzare una piattaforma logistica integrata per lo scambio delle merci tra le navi e la rete ferroviaria;
   nella compagine delle imprese un piccolo ma decisivo ruolo è svolto dalla Logsystem International. La società ha una sede principale a Roma (in via XX settembre) e un bilancio dai numeri contenuti (179 mila euro i ricavi nel 2013 e 989 euro gli utili alla fine dell'anno). La sua composizione azionaria non passa inosservata: il 50 per cento è controllato dalla Proter srl, società partecipata al 75 per cento da Jacopo Signorile (figlio dell'ex-ministro Claudio) e al 25 per cento da Felice Borgoglio, ex parlamentare dei socialisti italiani. Il 5 per cento di Logsystem è poi in mano ad Eurolog srl (altra società dove figurano ancora Jacopo Signorile e Borgoglio), mentre il restante 45 per cento è detenuto dalla Argo Finanziaria, azienda del gruppo Gavio, presieduta da Beniamino Gavio. Nel CDA della Logsystem siede l'ex ministro del Psi Claudio Signorile, l'uomo che negli anni ‘80 portò con sé Ercole Incalza al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   all'interno dell'informativa i Ros dei carabinieri annotano anche una cena al ristorante «Pani e pesci» di Roma tra l'ex supermanager delle infrastrutture e dei trasporti e i due Signorile, padre e figlio. Per i soggetti seduti intorno al tavolo, la piastra di Taranto è un'opera decisiva anche in virtù delle imprese e degli amici presenti in ATI. La famiglia Gavio, prima di tutto, la stessa che attraverso l'Argo Finanziaria almeno fino al 2010 ha pagato incarichi di consulenza al genero di Incalza, Alberto Donati –:
   se il Ministro interrogato sia informato su quanto descritto in premessa, se intenda verificare, per quanto di competenza, la correttezza degli appalti concessi per la costruzione della piastra logistica di Taranto, e quali iniziative intenda adottare per garantire maggiore trasparenza nelle gare d'appalto di opere pubbliche.
(4-11354)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZO e BASILIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dal 13, novembre 2015, a causa dei gravi attenti di Parigi che hanno causato la morte di 130 civili, si sono intensificate anche sul suolo italiano le attività di controllo e pattugliamento dei centinaia di potenziali obiettivi a rischio delle cellule terroristiche di matrice Daesh;
   da Roma a Milano, da Torino a Firenze migliaia sono gli uomini delle forze dell'ordine impegnati quotidianamente a garantire il controllo del territorio;
   come emerso da alcuni servizi giornalistici de « Il Giornale» e della trasmissione TV « Ballarò» «i poliziotti italiani sono costretti a vigilare gli obiettivi sensibili in piena emergenza terrorismo spesso con pochi giubbotti antiproiettile e, qualora ne siano dotati, con materiali scaduti (i giubbotti durano dieci anni)», ad utilizzare autovetture con oltre 240.000 chilometri di percorrenza e a fare servizio in strutture immobiliari al limite dell'agibilità;
   proprio tramite la trasmissione RAI del 24 novembre 2015 scorso due agenti di polizia spiegano come non vengano garantiti standard di addestramento e di attrezzatura all'altezza del compito che si trovano ad affrontare quotidianamente;
   successivamente alla messa in onda di detto servizio, il questore di Roma, Nicolò D'Angelo, ha disposto l'apertura di un fascicolo d'inchiesta interna per le dichiarazioni rilasciate dai due poliziotti in servizio in un commissariato romano;
   si apprende, così, che l'inchiesta è «a carico di persone dichiaratesi appartenenti alla Polizia di Stato, attualmente in fase di identificazione», in quanto gli agenti «hanno reso dichiarazioni che recano un grave pregiudizio all'immagine della Polizia, alimentando la percezione di insicurezza dei cittadini»;
   l'interrogante, ritiene grave l'atteggiamento della questura di Roma in un momento in cui non si dovrebbero distogliere ulteriormente uomini per una indagine interna e ritiene d'interesse pubblico denunciare presso le sedi preposte le gravi condizioni di disagio ed il rischio a cui sono soggetti gli uomini e le donne impegnati quotidianamente a garanzia e tutela dei cittadini –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra menzionati;
   quali iniziative abbia già preso per garantire l'aggiornamento dei mezzi e delle attrezzature in dotazione al personale e quali garanzie possa offrire sulla preparazione dello stesso;
   se non intenda aprire una verifica interna per accertare se la grave situazione di mezzi e attrezzature non sia da ricondurre ad inadempienze e lungaggini di carattere burocratico amministrativo nell'ambito del Ministero stesso. (4-11347)


   BORGHESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i vigili del fuoco di Paitone, in provincia di Brescia, attendono da tempo l'apertura di un distaccamento nuovo di vigili del fuoco volontari;
   l'apertura del nuovo distaccamento è richiesta dal comune di Paitone e diversi altri comuni limitrofi della provincia bresciana;
   il nuovo distaccamento dei vigili volontari è altresì l'oggetto di una petizione popolare;
   per procedere all'apertura del nuovo distaccamento manca solo la specifica autorizzazione prescritta da parte del Ministero dell'interno, che però tarda ad arrivare, non si sa precisamente per quali ragioni –:
   quali motivi impediscano al Ministero dell'interno di autorizzare l'apertura di un nuovo distaccamento di vigili del fuoco volontari a Paitone. (4-11350)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FEDRIGA e SIMONETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'INPS, con circolare n.194/2015 del 27 novembre, nell'impartire le istruzioni applicative in merito alle novità contenute nei due decreti legislativi n. 48 del 2015 (ammortizzatori sociali) e n. 150 del 2015) (politiche attive), attuativi della legge cosiddetta « Jobs act», in materia di indennità della nuova assicurazione sociale per l'impiego (NASPI), precisa che – in base all'articolo 24 del decreto legislativo 150 – i datori di lavoro che assumeranno disoccupati percettori di Naspi incasseranno il 20 per cento invece del 50 per cento del trattamento residuo che avrebbe dovuto essere erogato al lavoratore; la restante parte (30 per cento) sarà devoluta all'ANPAL per finanziare il fondo delle politiche attive;
   in assenza di ulteriori precisazioni in merito alla decorrenza della nuova disposizione, al punto 6 della circolare l'Istituto ritiene che la riduzione debba applicarsi a decorrere dal 24 settembre 2015 (data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 150), lasciando, dunque, intendere che dovranno attendersi nuove istruzioni per la restituzione dell'eventuale quota già fruita dalle aziende e non più spettante;
   non è la prima volta che l'INPS, interpretando in maniera restrittiva – e del tutto discrezionale – norme di legge finisce col penalizzare la platea interessata, generando altresì contenziosi giudiziari con conseguente aggravio per le casse pubbliche;
   si ricorda, a puro titolo esemplificativo, la circolare dell'Inps n. 35 del 14 marzo 2012, con la quale l'Istituto, con interpretazione restrittiva, ha escluso dal regime sperimentale cosiddetto «opzione donna» una platea di potenziali beneficiari cui il Tar, dopo tre anni, ha dato ragione con sentenza n.13016 del 2015 –:
   se trovi conferma quanto esposto in premessa, ovvero la volontà di attribuire un'efficacia retroattiva alla riduzione del contributo mensile spettante al datore di lavoro che assume soggetti fruitori dell'indennità in ambito «ASpI», con conseguente richiesta di restituzione della maggior quota già fruita;
   in caso di risposta affermativa, come si giustifichino i comportamenti del Governo, a giudizio degli interroganti contraddittori e incoerenti, con riferimento alle politiche «del» e «per il» lavoro posto che – a parole – si esprime sostegno alle imprese ed alla ricollocazione di lavoratori esclusi dal ciclo produttivo e – nei fatti – si colpisce e si tartassa chi il lavoro lo crea e lo offre. (5-07139)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   dal dossier «L'attacco alle stalle italiane» presentato dalla Coldiretti già nel febbraio 2015, in occasione della manifestazione di maximungitura organizzata nelle principali piazze italiane, trasformate in vere e proprie stalle, con l'intervento di Ministri, Governatori delle regioni, sindaci, politici, esponenti della cultura, dello spettacolo e dell'economia emerge che il mondo zootecnico sta vivendo una fase di forte crisi imputabile ad un mancato equilibrio tra domanda e offerta con la conseguente formazione di un prezzo che, collocandosi ben lontano dalle posizioni di equilibrio, finisce per penalizzare le imprese agricole. È vero che i prezzi del latte ovino e bovino non sono capaci di remunerare i costi totali sostenuti dalle imprese; da molti anni si parla di un settore lattiero-caseario in crisi e, con la fine del regime delle quote latte, il rischio si è fatto ancora più reale e concreto; solo nell'ultimo anno si è assistito alla scomparsa di ben 66.000 stalle italiane. Dall'inizio della recessione è stata chiusa una stalla italiana su cinque, con la perdita di 32 mila posti di lavoro e "il rischio concreto della scomparsa del latte italiano e dei prestigiosi formaggi made in Italy, con effetti drammatici anche sulla sicurezza alimentare e sul presidio ambientale»;
   in data 15 novembre 2015, dal sito della Coldiretti si legge la seguente notizia dal titolo «Latte, 1/3 del mercato italiano è in mano alla francese Lactalis» nella quale si descriveva come: «La multinazionale francese Lactalis, che negli anni si è comperata i marchi nazionali Parmalat, Locatelli, Invernizzi, Galbani e Cademartori, detiene il 33 per cento del mercato italiano del latte a lunga conservazione, ma la quota sale al 34 per cento nella mozzarella, al 37 per cento nei formaggi freschi e arriva addirittura la 49,8 per cento nella ricotta solo per citare alcuni esempi. È quanto emerge dal dossier della Coldiretti, sul potere di mercato conquistato in Italia dal gruppo d'oltralpe, sulla base dei dati di Italiainprimapagina, divulgato in occasione della mobilitazione degli allevatori italiani giunti, con cagliate e sacchi di polvere di latte e caseina, davanti alla sede dell'Antitrust a Roma. Un'iniziativa per far luce sull'evidente squilibrio contrattuale tra le parti che determina un abuso, da parte dell'industria, dovuto alla maggiore forza economica sul mercato, con imposizione di condizioni ingiustificatamente gravose agli allevatori. I prezzi praticati dagli operatori a valle della filiera del latte fresco sono iniqui e gli allevatori sono costretti a chiudere, perché non riescono a coprire neanche i costi di produzione. (...). La multinazionale Lactalis è il primo gruppo lattiero-caseario nel mondo con un fatturato complessivo di 16 miliardi che in Italia nel 2014 ha sviluppato un giro d'affari per 1,4 miliardi di euro con una quota di mercato complessiva nel settore lattiero-caseario del 23,4 per cento in volume, mentre acquista circa l'8 per cento del latte italiano;
   il gruppo francese ha ridotto i compensi agli allevatori italiani che chiedono soltanto che il prezzo a loro riconosciuto, sia almeno commisurato ai costi di produzione che variano dai 38 ai 41 centesimi al litro, secondo l'analisi ufficiale effettuata dall'Ismea in attuazione della legge n. 91 del luglio 2015. Inoltre, l'assenza dell'indicazione chiara dell'origine del latte a lunga conservazione, ma anche di quello impiegato in yogurt, latticini e formaggi, non consente di conoscere un elemento di scelta determinante per le caratteristiche qualitative e impedisce anche ai consumatori di sostenere le realtà produttive nazionale e con esse il lavoro e l'economia del vero made in Italy. Il risultato è che nell'ultimo anno, oltre mille stalle da latte sono state chiuse, il 60 per cento delle quali in montagna e quasi 4000 posti di lavoro andati in fumo per effetto della perdita nei bilanci di circa 550 milioni di euro, perché il latte agli allevatori viene pagato al di sotto dei costi di produzione, con una riduzione dei compensi fino al 30 per cento rispetto allo scorso anno, su valori inferiori a quelli di venti anni. A fronte di una produzione nazionale di circa 110 milioni di quintali di latte sono 85 milioni di quintali le importazioni di latte equivalente dall'estero, circa il 40 per cento e c’è il rischio concreto che il latte straniero possa a breve per la prima volta superare quello tricolore. Si legge nel comunicato della Coldiretti: «(...) Sembrano prevalere le ragioni di un patto scellerato per puntare sulla produzione straniera da rivendere ai consumatori italiani a prezzi maggiorati fino al 50 per cento rispetto a quelli di altri Paesi Europei. Il disegno è quello di far chiudere il maggior numero di stalle per dimezzare la produzione italiana e lucrare sull'importazione di latte da Paesi, con meno controlli e bassa qualità. (...) La presenza della multinazionale francese Lactalis in Italia, inizia nel 2003 con l'acquisizione dell'Invernizzi, continua con quella della Galbani e della Locatelli e poi nel 2011 con la Parmalat e infine all'inizio del 2015 con l'acquisto del Consorzio Cooperativo Latterie Friulane. A ciò si aggiunge la strana storia della Centrale del Latte di Roma, che vede coinvolto sempre il colosso transalpino. Nel marzo del 2010 una Sentenza del Consiglio di Stato ha dichiarato la nullità della vendita della Centrale del Latte di Roma a Cirio da parte del comune di Roma e tutti gli atti conseguenti, compresa la successiva vendita a Parmalat; pertanto le azioni della Centrale del Latte sono ritornate al Comune di Roma, il quale però, dopo cinque anni non ha ancora avviato le procedure di recupero delle proprie azioni. Secondo Coldiretti il progetto per il recupero della Centrale deve prevede un ruolo di partecipazione diretto degli allevatori nelle scelte che riguardano l'azienda»;
   in Italia – denuncia la Coldiretti – occorre dunque verificare l'esistenza di comportamenti scorretti nel pagamento del latte agli allevatori che hanno portato prima in Spagna e anche in Francia alla condanna delle principali industrie lattiero-casearie, molte delle quali, peraltro, operano anche sul territorio nazionale. In Francia l'Antitrust – ricorda la Coldiretti – ha multato per un importo di 193 milioni di euro 11 industrie lattiero-casearie tra le quali Lactalis, Laita, Senagral e Andros's Novandie per pratiche anticoncorrenziali dopo che era precedentemente intervenuto anche l'Antitrust iberico che aveva annunciato multe per un totale di 88 milioni di euro a gruppi come Danone (23,2 milioni), Corporation Alimentaria (21,8 milioni), Gruppo Lactalis Iberica (11,6 milioni);
   la multinazionale Lactalis è il primo gruppo lattiero caseario nel mondo con un fatturato complessivo di 16 miliardi di euro che in Italia nel 2014 ha sviluppato un giro d'affari per 1,4 miliardi di euro con una quota di mercato complessiva nel settore lattiero caseario del 23,4 per cento in volume, mentre acquista circa l'8 per cento del latte italiano. Il gruppo francese ha tagliato i compensi agli allevatori italiani che chiedono soltanto che – sottolinea la Coldiretti – il prezzo a loro riconosciuto sia almeno commisurato ai costi di produzione che variano dai 38 ai 41 centesimi al litro, secondo l'analisi ufficiale effettuata dall'Ismea in attuazione della legge 91 del luglio 2015. La vita o la morte delle stalle sopravvissute fino ad ora in Italia dipende da almeno 5 centesimi per litro di latte che si ricavano dalla differenza tra i costi medi di produzione e i compensi riconosciuti scesi a 34 centesimi al litro;
   secondo l'interrogante c’è il rischio concreto di un monopolio in atto da parte del gruppo francese Lactalis, anche alla luce della possibile imminente acquisizione della Centrale del Latte di Roma spa, che raccoglie buona parte del latte del Centro-sud –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intendano intraprendere al fine di tutelare un settore come quello lattierocaseraio strategico per l'economia del nostro Paese, e il prodotto made in Italy messo in seria crisi dagli ultimi orientamenti commerciali;
   se il Governo non intenda assumere iniziative, anche tramite il commissario straordinario di Roma Capitale dottor Tronca, per la sospensione degli effetti della delibera (successiva alla sentenza del Tar in cui al comune di Roma tornava il 75 per cento delle quote) relativa all'accordo transattivo con Parmalat adottata, ad avviso dell'interrogante, senza una motivazione valida dal punto di vista del bilancio costi/benefici dell'operazione;
   se il Governo non intraveda un rischio concreto della scomparsa del latte italiano e dei prestigiosi formaggi made in Italy, con effetti drammatici anche sulla sicurezza alimentare e sul presidio ambientale, dovuti anche ad un'assenza di indicazione chiara in etichetta;
   se e quali iniziative il Governo intenda mettere in atto, a supporto dell'intera filiera, in ragione del particolare momento che sta attraversando, al fine di consentire agli allevatori di avere un'equa remunerazione, un giusto prezzo, nonché regole trasparenti sulle produzioni lattiero-casearie, condizioni queste indispensabili affinché si possa garantire agli allevamenti di poter continuare a lavorare;
   se e quali iniziative intenda adottare, il Governo, al fine di raggiungere un'intesa, che sia di supporto dell'intera filiera, tale da poter consentire agli allevatori, di competere con il latte estero, che ha un minor costo e soprattutto una qualità inferiore cosa che è causa dell'abbattimento del prezzo del latte e della conseguente chiusura di molteplici stalle.
(2-01194) «Zaccagnini».

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   NICCHI e GREGORI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 23 novembre 2015 è stato presentato il «Rapporto sullo stato di attuazione delle azioni adottate dalla sanità pubblica in materia di trasparenza ed integrità» in Italia, frutto della collaborazione tra Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali e Libera. Il settore sanitario, infatti, è considerato uno dei più esposti al rischio di illegalità e per questo – si legge nel rapporto – necessita di adeguati livelli di trasparenza: date le notevoli dimensioni della spesa, la pervasività delle asimmetrie informative, l'entità dei rapporti con i privati, l'incertezza e l'imprevedibilità della domanda, l'alta specializzazione dei prodotti acquistati e delle prestazioni fornite, la necessità di complessi sistemi di regolazione, e altro;
   in Europa circa il 6 per cento del budget, per la sanità è assorbito dalla corruzione (in base alla stima dell'Organizzazione no profit Rete europea contro le frodi e la corruzione nel settore sanitario), ma, tranne valutazioni sporadiche, non sono disponibili stime certificabili con specifico riferimento alla realtà italiana;
   in Italia, il monitoraggio del rapporto si è concentrato sulla pubblicazione dei piani triennali di prevenzione della corruzione (Ptpc) con riferimento ai trienni 2014-2016 e 2015-2017, ed ha avuto ad oggetto le relazioni annuali relative al 2013 e 2014, un documento che i responsabili della prevenzione della corruzione devono predisporre ogni anno per documentare l'attività svolta e i risultati ottenuti;
   il rapporto ha fornito informazioni su come si stanno applicando le misure sulla trasparenza in sanità e ha mostrato ancora una importante diversità tra Nord e Sud, che spinge a fare riflessioni e interventi più accurati per promuovere una cultura che sia ordinaria e omogenea sul territorio;
   il rapporto ha costituito un primo feedback per le regioni e alle aziende ed enti del servizio sanitario nazionale sulle azioni intraprese in questi ultimi anni sui temi della trasparenza, dell'etica e della legalità;
   nel settore sanitario la corruzione produce effetti non solo economici (in particolare, sulle finanze pubbliche), ma anche sulla salute delle popolazioni: riduce l'accesso ai servizi, soprattutto fra i più vulnerabili; peggiora in modo significativo – a parità di ogni altra condizione – gli indicatori generali di salute ed è associata a una più elevata mortalità infantile. Più in generale, le varie forme di illegalità messe in atto nel settore sanitario non si limitano a sottrarre risorse ai programmi di assistenza, ma minano la fiducia nel sistema di tutela della salute da parte delle persone;
   la sanità è settore delicato dato che i destinatari dei servizi sanitari, non sono solo i pazienti ma l'intera collettività e le loro associazioni e rappresentanze;
   il 18 per cento delle Asl non ha ancora adottato né pubblicato il piano di prevenzione della corruzione;
   dai siti istituzionali delle 240 aziende monitorate è emerso che l'82 per cento delle stesse ha adottato e pubblicato il piano triennale di prevenzione della corruzione 2015-2017, una percentuale in crescita rispetto a quella relativa al precedente piano 2014-2016, ma ancora insoddisfacente;
   i risultati del monitoraggio indicano che le dimensioni più presenti nei piani triennali di prevenzione della corruzione sono quelle obbligatoriamente previste dalla normativa, quelle più trascurate sono al contrario quelle relative ad alcune specifiche aree di rischio del settore sanitario come ad esempio, i rapporti con gli informatori dell'industria, i compensi per consulenze effettuate dai professionisti per conto dell'industria, la regolamentazione delle sponsorizzazioni e delle donazioni –:
   quali efficaci iniziative il Governo intenda predisporre in linea con i dati emersi dal rapporto ai fini della verifica costante degli strumenti, dei tempi e dei modi di attuazione dei trattamenti sanitari;
   quali iniziative di competenza si intendano intraprendere al fine di garantire che quanto prima, tutte le strutture del servizio sanitario nazionale adottino e pubblichino il piano di prevenzione della corruzione;
   quali specifiche iniziative si intendano adottare per il contrasto alla corruzione, con particolare riguardo alle aree di maggior rischio del settore sanitario, quali, per esempio, i rapporti con gli informatori dell'industria, i compensi per consulenze effettuate dai professionisti per conto dell'industria e la regolamentazione delle sponsorizzazioni e delle donazioni;
   se non si intenda intervenire con opportune iniziative al fine di garantire la massima trasparenza nel settore sanitario e ridurre i rischi di illegalità;
   se non si ritenga indispensabile garantire che tutte le risorse rivenienti dal contrasto alla corruzione siano reinvestite nel settore sanitario. (5-07144)

Interrogazione a risposta scritta:


   MURA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la sclerosi multipla è una malattia cronica del sistema nervoso centrale spesso progressivamente invalidante. È una delle più frequenti cause di disabilità nelle persone giovani. L'esordio è tra i 15 e i 50, ma spesso si manifesta tra i 20 e i 30 anni;
   recentemente sulla rivista scientifica Multiple Sclerosis Journal, cofinanziato da AISM e la sua fondazione, è stato pubblicato il più ampio studio di genetica della sclerosi multipla finora condotto sulla popolazione italiana;
   ha coinvolto oltre 30 centri e analizzato il profilo genetico di circa 9.500 persone (4.500 con sclerosi multipla e 5.000 nei gruppi di controllo, non affetti da questa e altre patologie autoimmuni), appartenenti alla popolazione dell'Italia continentale e sarda e ha analizzato l'impatto cumulativo dei geni di suscettibilità in Italia, con un confronto tra le due popolazioni italiane;
   lo studio ha valutato l'impatto cumulativo dei geni di suscettibilità, finora identificati dai grandi studi internazionali su popolazioni prevalentemente di origine nord europea, nella popolazione italiana, con un confronto tra la popolazione continentale e quella sarda;
   i ricercatori hanno analizzato il ruolo di 102 geni non HLA e 5 alleli HLA attraverso la costruzione di uno score di rischio genetico;
   i risultati hanno mostrato che l'effetto cumulativo o «carico genetico» di questi geni, identificati in popolazioni prevalentemente di origine nord europea, hanno un ruolo importante anche nelle due popolazioni italiane esaminate. In particolare le persone che presentavano il numero più elevato di varianti di rischio rispetto alle persone con minor numero presentano un rischio di sviluppare la sclerosi multipla almeno 12 volte superiore;
   inoltre, la popolazione sarda ha presentato un carico genetico superiore a quello della popolazione italiana, e in particolare la popolazione di controllo sarda presenta uno score di rischio genetico significativamente più elevato rispetto alla popolazione di controllo dell'Italia continentale;
   questa osservazione è in accordo con la più elevata prevalenza della malattia nella popolazione sarda. Estendendo questa osservazione anche ad altre popolazioni di origine europea, si è osservato come ci sia una correlazione tra prevalenza di malattia ed il carico genetico;
   la sclerosi multipla colpisce più le donne che gli uomini con un rapporto di 3 a 1;
   quando la sclerosi multipla entra nella vita di una donna, investe la sfera personale, quella della vita di coppia, interferisce con il suo essere madre, con la gestione della famiglia e in tutte le dimensioni della vita sociale e lavorativa;
   nel panorama europeo l'Italia si colloca in una posizione intermedia con 113 casi ogni 100 mila abitanti. I malati di sclerosi multipla in Italia sono circa 68 mila, per un totale di circa 1800 nuovi casi ogni anno. Particolarmente colpita dalla sclerosi multipla è la Sardegna, con un tasso d'incidenza di gran lunga superiore alla media nazionale;
   l'Organizzazione mondiale della sanità ha definito la sclerosi multipla una delle malattie socialmente più costose: in Italia il costo sociale annuo è di oltre 1 miliardo e 600 mila euro all'anno. Una grande fetta di quel costo ricade sulla Sardegna;
   si tratta di una patologia che ha costi sociali ed economici rilevanti per il sistema sanitario sardo. Per la cura si spendono dai 22 mila ai 650 mila euro per ogni caso;
   la Sardegna ha anche il primato mondiale della più alta incidenza della sclerosi multipla in età pediatrica, di due-tre volte superiore, con 2,85 nuovi casi l'anno fra i sardi under 18, cui si aggiunge uno 0,68 per le diagnosi di Cis (Clinically isolated syndrome), considerata l'esordio della sclerosi multipla;
   il dato è contenuto nell'articolo «Epidemiologia della sclerosi multipla nella popolazione pediatrica del Nord Sardegna», pubblicato sulla rivista scientifica European Journal of Pediatrics;
   un gruppo di ricerca dell'università di Sassari, guidato da Stefano Sotgiu, ha dimostrato, per la prima volta, che nell'isola il primato per questa malattia, cronica, infiammatoria, autoimmune del sistema nervoso centrale, non è limitato solo alla popolazione adulta;
   l’équipe della clinica di neuropsichiatria infantile dell'azienda ospedaliero-universitaria di Sassari, guidata da Sotgiu – ha esaminato cartelle cliniche, ambulatoriali e risonanze magnetiche di tutti i centri neuropsichiatrici, neurologici, riabilitativi territoriali e ospedalieri delle province di Sassari e Olbia-Tempio;
   nel complesso, fra sclerosi multipla e Clinically isolated syndrome risultano ogni anno 3,5 nuovi casi ogni 100 mila ragazzi nel nord Sardegna. La prevalenza totale calcolata dallo studio è pari a 33,3 casi di sclerosi multipla definita o iniziale ogni 100 mila under 18:
   questi numeri allarmanti superano di 2, e in alcuni casi anche di 3 volte, i dati riscontrati in altri Paesi nei quali la medesima analisi è stata effettuata: Olanda, Germania, Usa e Canada;
   dopo i traumatismi della strada, la sclerosi multipla è la più importante causa di disabilità nei giovani;
   la Sardegna è l'isola delle autoimmunità: oltre alla sclerosi multipla, diabete di tipo 1, tiroiditi e celiachia sono le patologie che colpiscono la popolazione sarda molto più che la gran parte del resto del mondo;
   la causa principale, secondo gli studiosi, è dovuta alla secolare lotta genetica dei sardi contro la malaria. Tale processo ha portato, fra l'altro, alla selezione di globuli rossi lievemente modificati, utili per neutralizzare il plasmodio della malaria, ma collegato in seguito a patologie caratteristiche della popolazione sarda come le talassemie e il favismo –:
   se sia a conoscenza di questa situazione;
   se non ritenga opportuno adottare iniziative, anche di natura finanziaria, che possano garantire al sistema sanitario sardo di fronteggiare gli elevati costi della cura di questa patologia, che colpisce in particolare le donne e i più giovani, costi che si aggiungono a quelli per la cura di diabete di tipo 1, tiroiditi e celiachia, altre gravi patologie che colpiscono la popolazione sarda molto più che la gran parte del resto del mondo;
   quali iniziative intenda adottare per assicurare una buona qualità di vita alle donne affette da sclerosi multipla, visti i rilevanti effetti fisici, psicologici, sociali ed economici che costringono le mogli, le figlie, le madri e le lavoratrici a ricostruire costantemente l'identità femminile minata da questa grave patologia. (4-11348)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   ABRIGNANI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si è nell'imminenza dell'apertura del Giubileo straordinario indetto dal Papa che porterà nella città di Roma milioni di pellegrini provenienti da tutto il mondo, che ovviamente utilizzeranno i servizi di banda ultralarga, in particolare mobili;
   Roma Capitale ha approvato il 14 maggio 2015, il regolamento per la localizzazione, l'installazione e la modifica degli impianti di connettività mobile (voce e dati), che, tra l'altro, prevede una valutazione preventiva di impatto ambientale sulle antenne, anche laddove non sussistano vincoli di carattere monumentale, architettonico, paesaggistico e ambientale;
   viene previsto dallo stesso regolamento il divieto di installazione delle stazioni radio basa entro un raggio di 100 metri dai cosiddetti «siti sensibili» (ospedali, case di cura e di riposo, scuole ed asili nido, oratori, orfanotrofi, parchi gioco, ivi comprese le relative pertinenze);
   tale misura, pur non aggiungendo nessuna tutela certa, limita di molto la possibilità di creare una infrastruttura di banda larga mobile efficace; non esistendo un catasto del comune di Roma con la individuazione dei siti sensibili, è di fatto impossibile ottemperare alla previsione di creazione di un piano territoriale della telefonia;
   è stata già presentata l'interrogazione a risposta in commissione n. 5-06230 a firma dell'onorevole Losacco in data 31 luglio 2015, che segnalava già il pericolo di congestione della rete;
   ad aggravare la situazione si registra la fine del mandato della giunta di Roma Capitale e, dopo la decadenza del consiglio comunale, il commissariamento con il prefetto Tronca –:
   quali iniziative urgenti, anche di carattere normativo, il Governo intenda promuovere per garantire la sicurezza e per consentire ai cittadini romani ed ai turisti di usufruire di servizi in banda ultralarga. (3-01889)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, PLACIDO, AIRAUDO, MELILLA, DURANTI, FASSINA, DANIELE FARINA, COSTANTINO, QUARANTA, GREGORI, SANNICANDRO, KRONBICHLER, ZARATTI, MARCHETTI e LUCIANO AGOSTINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la prima firmataria del presente atto è più volte intervenuta per chiedere al Ministro interrogato, sia con atti di sindacato ispettivo, sia con interventi in Commissione attività produttive ed in Aula, chiarimenti sulle prospettive di sviluppo della società Saipem, interessata da un significativo cambio di strategia del gruppo Eni, raccogliendo le preoccupazioni sollevate dai diversi attori interessati (oltre ai lavoratori e agli operatori dell'indotto, i rappresentanti istituzionali dei territori coinvolti) in ordine alle possibili ripercussioni sui livelli occupazionali;
   il 17 novembre 2015 si è tenuta alla Camera dei deputati, presso le Commissioni riunite attività produttive della Camera industria del Senato, l'audizione informale dei vertici di Saipem: il presidente Colombo e l'amministratore delegato Cao;
   nel corso dell'audizione la prima firmataria del presente atto esprimeva nuovamente le proprie preoccupazioni e quelle del suo gruppo parlamentare riguardo al piano degli esuberi (8.800 persone) annunciato dall'azienda nel mese di luglio, chiedendo: quali sono le intenzioni di Saipem relativamente al tessuto occupazionale italiano e, in particolare, al centro di ingegneria di Fano e in quali proporzioni e se ci sarà protagonismo diretto di Saipem nell'esplorazione del giacimento Zohr scoperto in Egitto dall'Eni;
   sul punto Saipem faceva sapere che la priorità di Saipem è mantenere le persone e le competenze. Si ribadiva pertanto che non ci saranno impatti significativi sull'occupazione italiana e in particolare a Fano, un centro di eccellenza ingegneristica di primaria importanza per lo svolgimento di tutte le attività di Saipem nel mondo, assolutamente da preservare; si riferiva poi che il giacimento giant Zohr, presente nelle acque del Mediterraneo davanti all'Egitto, è stato scoperto da Eni grazie all'attività della nave Saipem 10000. Si segnalava infine che l'amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, ha ripetutamente affermato in occasioni pubbliche che, al fine di ottenere l'avvio accelerato della produzione entro la seconda metà del 2017, le competenze Saipem saranno importanti nello sviluppo di tale giacimento;
   nonostante le generiche rassicurazioni più volte fornite sull'intenzione dell'azienda di salvaguardare livelli occupazionali e competenze, permangono dubbi in concreto soprattutto alla luce delle informazioni sul piano industriale di Eni; dubbi condivisi anche dalle organizzazioni dei lavoratori;
   le sigle sindacali Filctem, Femca e Uiltec, infatti, hanno indetto per sabato 5 dicembre 2015 una assemblea nazionale a Roma dei quadri e delegati del settore chimico, dell'Eni e della società Saipem alla presenza dei segretari generali di Cgil, Cisl, e Uil;
   tale iniziativa dei sindacati scaturisce – secondo quanto sostengono gli stessi – dalla volontà dei due gruppi di disinvestire nei settori dell'energia e della chimica in Italia, e dalle conseguenti preoccupazioni per le possibili ripercussioni per i livelli occupazionali;
   a preoccupare, in particolare, le organizzazioni dei lavoratori è il nuovo piano di riassetto, «principalmente rivolto ai mercati internazionali», con il quale «Eni abbandona la “chimica verde” e la relega a fanalino di coda dell'Europa, crea incertezze sulle prospettive industriali di Saipem, azzera gli investimenti previsti in alcune altre importanti filiere (estrazione, raffinazione), rallenta gli impegni già presi in alcuni territori strategici (Porto Marghera, Porto Torres, Gela), con il rischio concreto di un disimpegno e un secco ridimensionamento» –:
   se il Ministro interrogato, in qualità di titolare della funzione di regolazione della politica industriale nazionale, ritenga che le scelte strategiche annunciate dai vertici delle società Eni e Saipem siano coerenti rispetto alle determinazioni di politica industriale stabilite dal Governo, soprattutto in ordine al ridimensionamento delle attività in Italia del gruppo Eni;
   in caso ritenga sussistere una divergenza tra le due politiche di sviluppo (aziendale e di governo), quali iniziative intenda assumere il Governo in qualità di azionista di riferimento di Eni. (5-07154)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Miotto e altri n. 1-01074, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vico.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in commissione Martella e altri n. 7-00840, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Mura.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Nuti e altri n. 4-11340, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o dicembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato D'Uva.

Cambio di presentatore di una interpellanza urgente.

  L'interpellanza urgente n. 2-01188, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o dicembre 2015, è da intendersi presentata dall'onorevole Scotto, già cofirmatario della stessa.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Scagliusi n. 7-00748, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 469 del 27 luglio 2015.

   La III Commissione,
   premesso che:
    nella Repubblica popolare cinese i 165 centri cinesi per il trapianto di organi pubblicizzano la loro capacità di individuare organi compatibili in un periodo compreso tra due e quattro settimane;
    la Repubblica popolare cinese ha annunciato che solo a partire dal 2015 inizierà una graduale messa al bando dell'espianto coatto di organi dai detenuti. Come però confermato anche dall'ex vice ministro della Salute e attuale capo del Human Organ Donation and Transplant Committee in Cina, Dr. Huang, rimangono in vigore nel Paese espianti di organi volontari da detenuti;
    le organizzazioni mediche internazionali come il World Medical Association e il Transplantation Society, sottolineano come la donazione di organi da parte dei prigionieri in qualsiasi Paese dove sia in vigore la pena di morte, rappresenta una violazione degli standard medici internazionali dal momento che il prigioniero non può dare il suo consenso liberamente;
    la commissione delle Nazioni Unite contro la tortura ha espresso preoccupazione per le accuse di espianto coatto di organi dai detenuti e ha invitato il Governo della Repubblica popolare cinese ad aumentare il livello di rendicontabilità e trasparenza del sistema di trapianto di organi, nonché a punire i responsabili degli abusi;
    in data 12 dicembre 2013 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che condanna il sistematico espianto di organi da prigionieri di coscienza non consenzienti;
    il 25 marzo 2015, l'Italia ha firmato la convenzione del Consiglio d'Europa contro il traffico di organi umani impegnandosi a metterla in atto, attraverso leggi e misure appropriate, la quale impone agli Stati di proteggere, attraverso misure idonee, le vittime del traffico e invita gli Stati membri a legiferare per una giurisdizione universale;
    il 4 marzo 2015, il Senato con il disegno di legge n. 922 a prima firma Romani, ha approvato le modifiche al codice penale e alla legge 1° aprile 1999, n. 91, in materia di traffico di organi destinati al trapianto, aumentando le pene con la reclusione da 3 a 12 anni e con una multa da 50.000 a 300.000 euro per chi è coinvolto nel traffico di organi. Il disegno di legge è in attesa di discussione alla Commissione giustizia alla Camera,

impegna il Governo:

   a raccogliere, tramite le rappresentanze diplomatiche, dati e informazioni per delineare in modo completo e trasparente la situazione in merito alle pratiche di trapianto di organi sul territorio cinese e alla tracciabilità relativa alla loro provenienza;
   a perseguire per quanto di competenza, il traffico di organi secondo le convenzioni internazionali alle quali l'Italia ha aderito e ai sensi di legge, promuovendo un inasprimento delle sanzioni per gli intermediari coinvolti;
   a proporre e favorire, nelle sedi istituzionali internazionali, la possibilità di vietare congressi e incontri formativi sul tema del trapianto degli organi nei Paesi che non rispettano le convenzioni internazionali relative al trapianto degli organi.
(7-00748)
«Scagliusi, Petraroli, Di Battista, Manlio Di Stefano, Del Grosso, Sibilia, Grande, Spadoni, Agostinelli, Ferraresi, Bonafede, Sarti, Colletti, Mantero, Grillo, Lorefice, Silvia Giordano, Dall'Osso».

  Si pubblica il testo riformulato della interpellanza urgente Airaudo n. 2-01188, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 533 del 1° dicembre 2015.

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:
   in data 1° dicembre 2015 Il Sole 24 Ore ha pubblicato un'inchiesta a firma Claudio Gatti sul traffico d'armi internazionale e in particolare sulla fornitura di armi a formazioni estremiste legate al terrorismo e i ruoli di Turchia, Qatar e Stati uniti d'America;
   da quanto emerge nell'inchiesta, risulta evidente che non solo Turchia e Qatar hanno interessi in contrasto con la mission della coalizione internazionale, ossia sconfiggere il terrorismo, ma hanno in questi anni armato le formazioni estremistiche legate al terrorismo;
   dall'inchiesta, supportata da altre investigazioni attivate in ambito ONU, da precedenti articoli del New York Times e da altre fonti attendibili emerge che addirittura gli Stati uniti abbiano agevolato le forniture di armi a dette formazioni terroristiche;
   l'inchiesta è incentrata su un episodio che ha visto protagonisti a vario titolo Turchia, Qatar e Stati Uniti, su una serie di voli C-17, aerei da trasporto militare del Qatar;
   secondo quanto accertato dall'inchiesta dell'ONU, tra il 1° gennaio e il 30 aprile 2013, l'Aeronautica militare del Qatar ha operato 28 voli tra Doha e Ankara e uno tra Doha e Gaziantep. Tutti i voli in realtà partivano da Tripoli o Bengasi e a Doha e ripartivano per la Turchia dopo aver fatto una tappa intermedia alla base di Al Udeid, ovvero il cosiddetto «quartier generale avanzato» del comando mediorientale delle Forze armate americane, il Central Command, che oltre a ospitare il 379o stormo dell'Usaf è sede anche dell'83o stormo della Raf, l'Aeronautica militare britannica;
   per il gruppo d'inchiesta ONU ai voli da Tripoli e Bengasi a Doha era stato concesso uno speciale nullaosta diplomatico-militare, solitamente utilizzato per il trasporto di armi o equipaggiamento bellico;
   poiché, come si legge nel rapporto, «per ottenere il numero di nullaosta diplomatico-militare il richiedente deve generalmente fornire dettagli precisi sulla natura dei voli e sul carico trasportato», gli esperti ONU hanno chiesto chiarimenti e dettagli alle autorità di tre Paesi i cui spazi aerei erano lungo la rotta percorsa – Grecia, Egitto e Arabia Saudita – e alla società responsabile dei piani di volo, ottenendo scarsi risultati;
   «la Grecia ha risposto di non aver traccia di alcuna richiesta o concessione, di nullaosta diplomatico-militare per quei voli, comunicando però che il 14 e 15 gennaio un aereo della Aeronautica militare qatariana è volato ai margini dello spazio aereo greco», si legge nel rapporto. «L'Egitto ha risposto che il Qatar ha richiesto un numero di nullaosta diplomatico-militare al fine di procedere alla rotazione del personale di guardia dell'ambasciata qatariana a Tripoli. L'Arabia Saudita non ha risposto»;
   più reticente di tutti è risultata la società responsabile dei piani di volo. Gli esperti hanno chiesto i dettagli sui nullaosta diplomatici per i voli in questione, i manifesti di carico e l'elenco di tutti i voli operati dall'Aeronautica militare del Qatar da e verso la Libia a partire dal luglio 2012. Ma non hanno ricevuto risposta su nulla. «La società ha detto di non aver partecipato alle procedure per l'ottenimento dei nullaosta e di non conoscere il carico di quei voli. Né ha fornito l'elenco dei voli richiesti dal Gruppo», hanno scritto gli esperti;
   secondo l'inchiesta de Il Sole 24 Ore: «A far pensare che Washington non solo sapesse di quei voli e del loro carico ma li avesse assistiti, è un dettaglio notato da Il Sole 24 Ore: la società responsabile della pianificazione dei voli di quei C-17 era la Jeppesen. Non è una società qualsiasi, bensì la controllata di Boeing, un colosso industriale che deve il 30 per cento del suo fatturato al Pentagono, scelta dalla Cia per una delle delicate operazioni degli ultimi 15 anni: la campagna di extraordinary rendition, cioè la cattura extragiudiziaria di soggetti che dopo la strage dell'11 settembre erano sospettati di rapporti con al Qaeda»;
   contattata da Il Sole 24 Ore, la sussidiaria della Boeing non ha voluto né smentire né confermare di aver dato supporto logistico a quei voli, mentre la Cia ha riferito alla testata di «non poter fare commenti»;
   il sospetto che quegli aerei trasportassero armi non è finora stato suffragato da prove concrete, ma alcuni dati sono stati accertati. Si sa per esempio che i C-17 utilizzati per la spedizione erano qatariani, che i destinatari dei carichi trasportati erano turchi e che a fornire pianificazione e logistica per quei voli sono stati degli americani. Ma per l'appunto non americani qualsiasi, bensì funzionari di una società che tempo fa è stata chiamata dai media statunitensi «l'agente di viaggio della Cia», ovvero la Jeppesen. Tutto ciò fa dedurre che il carico di quegli aerei non consistesse in beni umanitari, ma in armi e munizioni;
   questa lettura sarebbe supportata dalle evidenze riportate in questi ultimi anni sul comportamento di Turchia e Qatar che evidentemente hanno interessi opposti a quelli del mondo occidentale nel contrastare il terrorismo;
   nel 2009, in un messaggio classificato «segreto» ma reso pubblico da Wikileaks, il dipartimento di Stato definiva il grado di collaborazione del Qatar nell'antiterrorismo «il più basso della regione». Nell'ottobre dell'anno scorso, l'allora sottosegretario al Tesoro Usa David Cohen ha chiamato il Qatar «permissivo» in materia di finanziamento al terrorismo;
   nel rapporto consegnato nel marzo del 2013 al Consiglio di sicurezza dell'Onu dal cosiddetto «gruppo di esperti» sulla Libia, si legge che il Qatar ha giocato «un ruolo fondamentale» nelle forniture di materiale bellico – armi e munizioni – alle forze ribelli libiche. E che nonostante le smentite delle autorità qatariane, «il Qatar ha violato l'embargo sui materiali militari»;
   la Turchia non sembra essere stata da meno nella partita, e secondo diverse fonti ha continuato ad armare le forze islamiste di Tripoli fino all'inizio di quest'anno. Abdullah al-Thinni, primo ministro del Governo di Tobruck, nel febbraio scorso dichiarava che «La Turchia sta continuando a esportare armi in Libia», ribadendo quanto era stato detto qualche tempo prima dal presidente del Parlamento di Tobruck, ossia che «la Turchia ancora supporta le milizie terroristiche in Libia»;
   ci sono evidenze che la Turchia abbia spedito armi tra il 2013 e la fine del 2014 in Libia, in aperta violazione dell'embargo previsto dalla risoluzione 1970, approvata all'unanimità dal Consiglio di sicurezza dell'Onu il 26 febbraio 2011;
   in un rapporto recente il gruppo di esperti dell'Onu ha confermato che il 20 febbraio 2013 armi e munizioni sono state trovate dalla polizia doganale greca a bordo di una nave proveniente dalla Turchia, diretta in Libia e appartenente a un armatore siriano condannato per traffico d'armi;
   così come ha confermato che a bordo del mercantile Nour M, diretto a Tripoli e perquisito dai doganieri greci nel novembre del 2013, sono stati trovati 55 container con 1.103 tonnellate di munizioni dirette a Tripoli. Dalla documentazione sequestrata in quell'occasione è emerso che il cargo proveniva dalla Ukrinmash, società di armamenti ucraina e che a fare da broker era stata la Tss Silah, una società turca che in una nota interna resa pubblica da Wikileaks il Dipartimento di Stato definisce «broker di armi turco»;
   il gruppo di esperti ha inoltre riportato al Consiglio di sicurezza di aver ricevuto informazioni riguardanti il trasporto di materiale militare su un Airbus A320 della linea aerea libica Afriqiyah che il 17 settembre 2014 è volato da Istanbul a Tripoli: «Il Gruppo ha intervistato un passeggero di quel volo che ha confermato di aver visto casse di materiale militare scaricate dall'aereo. Un tipico Airbus A320 può accomodare 150 passeggeri ma il testimone ha spiegato che solo 15 bagagli sono stati scaricati e quando i passeggeri si sono lamentati perché i loro bagagli erano stati lasciati a Istanbul, i miliziani hanno ordinato loro di lasciare l'aeroporto»;
   ancora più recente la segnalazione riguardante un volo operato da un'altra linea aerea libica che il 13 novembre 2014 da Istanbul è arrivato a Misurata e che gli esperti sospettano abbia trasportato materiale militare;
   il gruppo di esperti dell'Onu ritiene che la Turchia ha doppiamente violato la risoluzione 1970 del Consiglio di sicurezza, la quale vieta sia l'importazione di armi in Libia sia l'esportazione dalla Libia. Si legge nel rapporto: «A detta di fonti attendibili, dalla Libia sono state trasportate armi in Siria con voli decollati dall'aeroporto Mitiga di Tripoli o da quello di Benina a Bengasi e atterrati ad Ankara o Antakya e con navi approdate a Mersin e Iskenderun. Da lì il materiale sarebbe stato trasferito su camion che avrebbero attraversato la frontiera con la Siria a Reyhanli e Kilis. Membri dell'opposizione siriana e combattenti libici reduci della Siria ascoltati dal Gruppo hanno detto che a supervisionare il trasferimento e la consegna delle armi a elementi dell'opposizione siriana sono stati funzionari turchi»;
   interpellato dagli esperti dell'Onu il Governo di Ankara ha negato «di essere a conoscenza di trasferimenti di armi dalla Libia alla Turchia». Ma la vicenda del peschereccio libico al-Entisar pone pesanti interrogativi sull'operato del Governo di Ankara;
   infatti nel settembre del 2012 il New York Times aveva riportato che quel peschereccio era salpato da Bengasi e aveva trasportato un carico di armi a Iskenderun, sulla costa meridionale turca, poco a nord del confine con la Siria. Il gruppo ha chiesto dettagli alle autorità turche e si è sentito rispondere che «trattandosi di beni umanitari, non è stata condotta alcuna ispezione del carico». Ma pochi mesi dopo, il 21 aprile 2013, lo stesso peschereccio è arrivato nel porto di Istanbul con un carico diretto in Libia che di umanitario non aveva proprio nulla. Come si legge nel rapporto degli esperti Onu, il cosiddetto «manifesto di carico» includeva infatti «due maschere antigas, 199 pistole da 7,65 millimetri, 214 pistole da 9 millimetri, 1.000 fucili a pompa, 5.000 munizioni da 7,65 mm e 251 mila cartucce per fucili»;
   chi abbia realmente orchestrato quella spedizione non è stato mai stabilito ma il forte sospetto è che sia stato il Mit, ovvero il servizio di intelligence di Ankara;
   secondo il quotidiano di opposizione Cumhuriyet, il Mit, sarebbe responsabile di un convoglio di camion casualmente intercettato dalla polizia al confine con la Siria nel gennaio del 2014 con un carico di casse piene di armi e munizioni. Per quelle rivelazioni, il 26 novembre 2015 il direttore di Cumhuriyet Can Dundar e il capo della redazione di Ankara Erdem Gul sono stati arrestati su richiesta del tribunale di Istanbul. A innescare la reazione giudiziaria era stato lo stesso presidente Erdogan, il quale ha prima promesso che i due avrebbero «pagato un duro prezzo» e poi ha presentato di persona una denuncia per tradimento e divulgazione di segreti di Stato ai due giornalisti;
   ad opinione degli interpellanti, se in quelle casse ci fossero stati beni umanitari, come Ankara ha sempre sostenuto, quelle accuse non si spiegherebbero. Invece oggi i due giornalisti rischiano l'ergastolo;
   oltre le specifiche vicende del convoglio intercettato al confine, turco-siriano, è certamente impensabile che quella che è stata ribattezzata come la cosiddetta «autostrada della Jihad», ossia la rotta che il Califfato ha per anni usato per portare foreign fighters e rifornimenti dalla Turchia in Siria, non fosse monitorata dalle forze di sicurezza del Governo di Ankara. Ci sono molte testimonianze che provano la collaborazione del Mit e dell'esercito turco con le formazioni jihadiste, anche in funzione, anti-curda, così come numerose sono quelle che provano la partecipazione della Turchia nel contrabbando di petrolio dalla Siria e Iraq od opera di Daesh;
   in aggiunta, è difficile credere che tutte queste iniziative turco-qatariane sia in Libia che in Siria siano passate inosservate agli Stati Uniti d'America. Al contrario, e come dimostrato dalla vicenda dei C-17 qatariani, ci sono molti elementi che portano a sospettare che il Governo di Washington le, abbia assecondate;
   infatti, dopo aver saputo di una direttiva presidenziale segreta di Barack Obama che agli inizi del 2011 autorizzava la Cia ad armare i ribelli anti-Gheddafi, il New York Times ha rivelato che, «poche settimane dopo aver patrocinato l'invio di armi dal Qatar in Libia nella primavera del 2011, la Casa Bianca ha cominciato a ricevere informazioni che quelle armi stavano andando a militanti islamisti». Nello stesso articolo si diceva che in Siria le cose erano o meno andate nello stesso modo: «Quando il Qatar ha cominciato a inviare aiuti militari a gruppi dell'opposizione siriana, l'amministrazione Obama non ha fatto obiezioni. Ma adesso ci sono crescenti preoccupazioni che, come in Libia, i qatariani stiano equipaggiando i combattenti “sbagliati”»;
   agli interpellanti non può che venire in mente l'inquietante parallelo con quanto avvenuto con Al Qaeda che il Governo degli Stati Uniti aveva aiutato nel combattere l'invasore sovietico in Afghanistan negli anni ’80 e che poi è diventata la principale minaccia degli Stati Uniti stessi –:
   quale sia la posizione del Governo rispetto ai fatti esposti in premessa;
   quali iniziative intenda assumere nei confronti di Qatar e Turchia alla luce di quanto esposto in premessa e del loro ruolo nell'ascesa e crescita di Daesh e delle altre formazioni jihadiste;
   se non intenda intraprendere urgenti iniziative per impedire la vendita di armi ai Paesi responsabili di aver supportato direttamente o indirettamente Daesh e se non intenda proporre in sede europea e nei consessi internazionali una moratoria sulla vendita di armi e un embargo ai Paesi coinvolti direttamente o indirettamente nei conflitti o che sono sospettati di aver armato o finanziato gruppi terroristici;
   se non intenda assumere iniziative, anche in collaborazione con gli altri partner internazionali per interrompere i flussi di finanziamento a Daesh, prevedendo rigide sanzioni per gli Stati che finanziano direttamente o indirettamente il terrorismo o che facilitano, con legislazioni «opache», la raccolta di donazioni «private» destinate alle organizzazioni terroristiche;
   quali iniziative intenda adottare per arginare il flusso dei foreign fighters e soprattutto se non intenda assumere iniziative politico-diplomatiche nei confronti della Turchia e se non ritenga opportuno chiedere che al confine tra Turchia e Siria venga dislocato un controllo internazionale della frontiera sotto mandato dell'ONU;
   se il Governo non intenda chiedere chiarimenti agli Stati Uniti e agli altri Governi circa il comportamento dei servizi di intelligence.
(2-01188)
«Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti, Zaccagnini».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Terzoni n. 5-06368 dell'11 settembre 2015;
   interpellanza urgente Capelli n. 2-01129 del 19 ottobre 2015;
   interrogazione a risposta scritta Segoni n. 4-10958 del 3 novembre 2015;
   interrogazione a risposta scritta Gigli n. 4-11137 del 16 novembre 2015;
   interrogazione a risposta immediata in Assemblea Carfagna n. 3-01868 del 25 novembre 2015.

ERRATA CORRIGE

  La risoluzione in Commissione Martella e altri n. 7-00840 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 520 del 12 novembre 2015 deve intendersi sottoscritta dalla deputata Giovanna Sanna e non dal deputato Francesco Sanna come stampato.