Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 1 dicembre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


  La Camera,
   premesso che:
    le patologie cosiddette «rare» rappresentano una vera e propria frontiera di civiltà nell'erogazione di prestazioni di assistenza di qualità perché impegnano il sistema sanitario a garantire un appropriato fiancheggiamento di pazienti spesso «difficili», sia nel primo, corretto inquadramento diagnostico che nel successivo trattamento terapeutico;
    le patologie rare rappresentano anche una sfida di sostenibilità economica per il nostro sistema di welfare in quanto richiedono specificità di approccio, spesso tarata su pochi casi o, addirittura, sul singolo caso;
    l'aggiornamento dell'elenco delle malattie rare è uno degli «step» più attesi ed impegnativi delle azioni di innovazione in programma presso il Ministero della salute;
    le patologie rare rappresentano altresì una sfida per la verifica delle capacità di integrazione dei sistemi sanitari regionali italiani, in quanto spingono verso la strutturazione di sistemi di risposta ramificati e a rete, che abbiano punti di riferimento che vanno ben oltre i tradizionali bacini di utenza regionali;
    le patologie rare rappresentano inoltre una scommessa che può aiutare a disegnare i primi passi di un sistema di welfare sanitario di dimensione europea. Le più recenti direttive dell'Unione europea sulla mobilità sanitaria transfrontaliera e sulla libera circolazione del paziente in ambito europeo accelerano infatti l'esigenza di un nuovo confronto tra le diverse filosofie di risposta sanitaria dei Paesi dell'Unione europea e suggeriscono forme di collaborazione immediata che consentano la concertazione di una risposta sanitaria europea adeguata, per patologie che hanno numeri e frequenze che rendono assai difficile la strutturazione di centri di eccellenza di dimensione nazionale;
    nell'ambito delle patologie rare sono ricompresi anche i «tumori rari», che in Italia sono trattati nell'ambito delle reti oncologiche e sono pertanto esclusi dall'elencazione classica delle «malattie rare»;
    la XII Commissione (Affari sociali) della Camera dei deputati, nei mesi precedenti all'estate 2015, ha svolto un'indagine conoscitiva sulle malattie rare, compendiata da un'ampia fase di audizioni, nel corso della quale sono stati sentiti anche i referenti delle associazioni di riferimento per i tumori rari;
    la stessa XII Commissione (Affari sociali) della Camera dei deputati ha successivamente approvato una risoluzione finalizzata a ottenere il massimo impegno del Governo per il decollo delle attività dei network europei di riferimento per le malattie rare (ERN);
    lo stesso impegno appare necessario per l'attivazione delle reti europee di riferimento per i tumori rari;
    analogamente alle «malattie rare», anche i «tumori rari» sono spesso effettivamente «rari» se conteggiati singolarmente, ma non lo sono affatto nel loro complesso, al punto di rappresentare di fatto circa il 23 per cento delle complessive nuove diagnosi di tumore in Italia, con circa 86.000 nuovi casi l'anno;
    le forme di tumore raro sono oggi oltre 200, compendiate in dodici famiglie: dieci famiglie di tumori solidi dell'adulto a cui si aggiungono la famiglia dei tumori rari pediatrici e quella dei tumori rari ematologici;
    circa 600.000 italiani convivono oggi con un «tumore raro»;
    oggi in Italia, a fronte di tale massiccia presenza di patologie oncologiche «rare», sono purtroppo attive soltanto le due reti di riferimento dell'AIEOP (ematologie e oncologia pediatrica) e del GINEMA (ematologia dell'adulto). È invece ancora atteso il definitivo decollo delle attività della Rete dei tumori rari (RTR) che fin qui si è occupata molto di sarcomi, ma sta progressivamente allargando il suo interesse a tutte le 10 famiglie dei tumori rari solidi dell'adulto, che costituiscono circa il 15 per cento dei nuovi casi di tumore. La Rete dei tumori rari, che pure era stata considerata un obiettivo prioritario dell'intesa Stato-regioni, non ha ancora avuto la definitiva istituzionalizzazione ed opera pertanto in regime non ufficiale, con significativi limiti organizzativi, di risorse e di autorevolezza;
    la nascita e la crescita delle reti, oltre che rappresentare un solido punto di riferimento per le esigenze del paziente, costituisce anche uno stimolo alla relazione e alla ricerca clinica tra «centri di riferimento» che possono mettere in comune esperienze e best practice, collaborando tra loro, scambiandosi know how e conoscenze, correlando le esperienze di ricerca e contribuendo alla formazione delle risorse umane dedicate;
    il ritardo nella strutturazione delle reti e nel loro potenziamento si traduce in una riduzione di qualità della risposta alle esigenze del paziente che, spesso, non trova i punti di riferimento indispensabili per un approccio più sereno alla gestione della propria patologia;
    il ritardo nella strutturazione delle reti si accompagna al deficit nell'individuazione dei centri di riferimento e nella valutazione dell'appropriatezza delle cure erogate dalle singole strutture, con complessiva perdita di qualità della risposta al singolo paziente, che spesso ha difficoltà persino ad individuare la struttura del servizio sanitario nazionale più idonea a fornire risposte diagnostiche e terapeutiche di qualità al proprio problema oncologico;
    tale situazione di ritardo organizzativo è stata più volte segnalata dalle organizzazioni che tutelano l'interesse dei pazienti oncologici al punto che la Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo), il 30 ottobre 2015, ha organizzato un momento di incontro con l'intergruppo parlamentare che segue le malattie rare, finalizzato a sensibilizzare le istituzioni parlamentari alla necessità di accelerare i provvedimenti indispensabili per modificare la capacità di risposta del nostro servizio sanitario nazionale all'emergenti esigenze dei malati affetti da tumore raro;
    in tale circostanza, la stessa Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia ha ancora una volta sottolineato la difficoltà nella reperibilità e nell'utilizzo dei farmaci oncologici ad alto costo (Fac), conseguente al diverso regime autorizzativo reso possibile dalla disomogeneità della normativa in materia di disponibilità dei farmaci nelle differenti regioni italiane;
    in tale occasione, la stessa Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia ha ancora denunciato con forza la necessità di dirimere quanto prima le difficoltà applicative del decreto ministeriale dell'8 maggio 2003, che disciplina l'uso terapeutico dei medicinali sottoposti a sperimentazione clinica, rendendo possibile il cosiddetto «uso compassionevole» dei farmaci spesso indispensabili a dare nuova speranza ai pazienti affetti da tumore raro;
    le difficoltà interpretative delle norme nazionali e le differenze di erogazione di prestazioni e presidi nelle diverse regioni italiane rendono ancora più urgente ed indispensabile la creazione di centri di riferimento per i tumori rari e delle reti di relazioni nazionali ed internazionali, finalizzate alla qualità e omogeneità delle prestazioni erogate, che garantiscano nella sostanza i principi di equità e universalità che stanno alla base della legge n. 833 del 1978, che ha fatto nascere il nostro sistema sanitario nazionale,

impegna il Governo

   ad inserire le iniziative di tutela dei malati oncologici rari negli obiettivi prioritari dell'attività del Ministero della salute:
    a) stabilendo tempi e metodologia per l'individuazione e l'accreditamento dei centri nazionali di riferimento per i tumori oncologici rari;
    b) potenziando le reti dei tumori rari già esistenti (AIEOP e GIMEMA) e istituzionalizzando e dotando di risorse adeguate la Rete dei tumori rari, già operativa di fatto dal 1997;
    c) potenziando l'infrastrutturazione informatica e l'aggiornamento delle risorse umane che consenta ai centri di riferimento di ottimizzare le proprie capacità di comunicazione attraverso la tecnologia, contribuendo a «spostare le informazioni e le conoscenze» senza «spostare il paziente»;
    d) promuovendo l'integrazione delle Reti dei tumori rari nazionali con analoghe iniziative europee, orientate all'organizzazione di veri e propri network (ERN) in grado di orientare e accompagnare i pazienti verso le eccellenze certificate di livello europeo;
    e) ponendo in carico all'Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) il ruolo di promozione e di coordinamento di tali attività di rete e quello di contatto con le società scientifiche e le associazioni di tutela dei diritti dei pazienti;
    f) attivando rapporti di collaborazione e di confronto con il mondo scientifico e l'industria del farmaco per potenziare la capacità di ricerca sia in ambito epidemiologico, che clinico favorendo tutte le attività di sperimentazione finalizzate al progresso delle conoscenze specifiche e di nuove opportunità terapeutiche, in particolare per le patologie con numeri più bassi, meno attrattive di capitali per la ricerca;
    g) promuovendo, in collaborazione con l'Agenas, con i registri tumori e con le associazioni dei pazienti, le specifiche attività di sanità pubbliche rivolte alla identificazione della migliore organizzazione dei servizi e dei modelli di presa in carico dei pazienti a livello individuale e familiare;
    h) favorendo la crescita qualitativa e l'omogeneizzazione dei trattamenti dei pazienti affetti da tumori rari su tutto il territorio nazionale, anche intervenendo sulle politiche del farmaco oncologico ad alto costo (FAC) per facilitare l'accesso all'innovazione in modo uniforme, in tutte le regioni italiane;
    i) disponendo il puntuale aggiornamento del decreto ministeriale dell'8 luglio 2003, per garantirne l'efficacia e per dirimere ogni dubbio di interpretazione normativa che possa rendere difficoltoso l'accesso dei pazienti alla sperimentazione farmacologica di tipo «compassionevole»;
    l) garantendo la piena collaborazione con le associazioni di tutela dei malati oncologici, finalizzata alla conoscenza e al superamento con adeguati interventi organizzativi, interpretativi e normativi delle difficoltà incontrate dai pazienti affetti da tali gravi patologie.
(1-01075) «Vargiu, Monchiero, Vecchio, Catania, Matarrese, Dambruoso, Capua, Librandi, Galgano, Vezzali, Mazziotti Di Celso, Rabino, D'Agostino, Sottanelli, Oliaro, Pinna».


   La Camera,
   premesso che:
    i tumori rari sono neoplasie che si possono sviluppare in un numero ristretto di persone, con il rischio che talvolta vengano impropriamente associati alle malattie rare. Rispetto agli altri tumori, l'unica differenza delle patologie tumorali rare è la loro scarsa diffusione; non è semplice individuare una definizione univoca, ma generalmente, viene presa a riferimento la soglia incidenza utilizzata dalla Rete dei tumori rari in 6 casi su 100.000 persone;
    i ricercatori del progetto Rarecare (Surveillance of rare cancers in Europe) che è uno dei due progetti coordinati dall'Italia, ne hanno individuati oltre 250. I tumori rari rappresentano, purtroppo, oltre il 20 per cento di tutti i tumori diagnosticati ogni anno nell'Unione Europea (il 23 per cento dei nuovi casi di tumore maligno diagnosticati) e riguardano, in questo territorio, più di 4 milioni di persone. Si tratta di oltre 500 mila nuove diagnosi ogni anno in Europa e almeno 10 mila in Italia (dati Associazione italiana dei registri tumori – AIRTUM);
    fanno parte dei tumori rari tutta la famiglia dei tumori pediatrici, molti della famiglia dei tumori ematologici e alcuni tumori solidi dell'adulto. Il fatto che si parli di un tumore raro non significa che sia incurabile o che le possibilità di guarigione siano più limitate rispetto a quelle di un tumore più comune: alcune neoplasie rare hanno infatti percentuali di guarigione o di controllo della malattia superiori a tumori molto più diffusi;
    sicuramente, la rarità di queste malattie crea una serie di problemi come, per esempio, la difficoltà di effettuare la diagnosi o di incontrare medici veramente esperti nella scelta e nella gestione della terapia e l'incertezza di medici e ricercatori sulle strategie di cura, legata soprattutto alla mancanza di studi clinici su numeri elevati di pazienti;
    la diagnosi è un momento cruciale nel percorso di una persona che si confronta con il cancro: una diagnosi precoce e precisa permette, infatti, in molti casi, di affrontare la malattia con gli strumenti più adatti a sconfiggerla o a tenerla sotto controllo. Nel caso dei tumori rari, però, la diagnosi arriva spesso in ritardo, dopo che il paziente si è sottoposto a diverse visite o esami clinici. La ragione principale di questo ritardo è la difficoltà che incontrano i medici a riconoscere una patologia rara;
    in occasione della conclusione di un'indagine conoscitiva condotta nella XII Commissione (Affari sociali) della Camera dei deputati sulle malattie rare, nel luglio 2015, è stato affermato: «per quanto concerne specificatamente la rete dei tumori rari, essa funziona dal 1997 come collaborazione permanente tra centri oncologici distribuiti sul territorio nazionale. Nel 2012 la linea progettuale n. 4 degli obiettivi del piano sanitario nazionale intendeva istituzionalizzare la Rete come risorsa permanente. Gli obiettivi di piano del 2013 hanno ribadito il progetto dell'anno precedente, prevedendo un finanziamento globale di euro 55.000.000 per la Rete dei tumori rari e Rete delle malattie rare». Dal 2014 nel riparto del fondo sanitario è venuto meno lo stanziamento dedicato e vincolato con il rischio di indebolire la Rete che faticosamente era stata creata, anche alla luce di quanto prevede il piano nazionale sulle malattie rare 2013-2016 che al punto 2.2 afferma: «Al momento i tumori rari sono in gran parte esclusi dall'elenco delle malattie rare, allegato al decreto ministeriale n. 279 del 2001, tuttavia è necessario rivalutare tale situazione anche alla luce dei risultati delle sperimentazioni in corso, al fine di integrare modelli organizzativi e processi assistenziali tra le reti esistenti in analogia a quanto avviene negli altri Paesi europei»;
    la Rete nazionale delle malattie rare, che è stata istituita in Italia nel 2001, prevedeva già da allora il Registro nazionale delle malattie rare (Rnmr) e regolamentava l'esenzione da una serie di costi, per le patologie inserite in una determinata lista, stabilita dal decreto ministeriale n. 279 del 2001. La lista da allora non è stata più aggiornata. Dopo l'istituzione della Rete nazionale hanno fatto seguito due importanti accordi Stato-regioni, dopo i quali si è purtroppo assistito ad un progressivo rallentamento delle iniziative in favore dei malati considerati rari;
    la Rete dei tumori rari è una collaborazione permanente tra centri oncologici su tutto il territorio nazionale, finalizzata al miglioramento dell'assistenza ai pazienti con tumori rari, attraverso la condivisione a distanza di casi clinici, l'assimilazione della diagnosi e del trattamento secondo criteri comuni, il razionale accesso dei pazienti alle risorse di diagnosi e cura. Attualmente, la Rete considera «rare» le neoplasie con incidenza annuale inferiore o uguale a 6/100.000. Questa è peraltro una definizione conservativa, rispetto, in particolare, a quella in uso per le malattie rare in genere (basata sulla prevalenza, intesa come inferiore a 50/100.000). Ciò che è importante, nella sostanza, è che i tumori rari sono molti, e dunque i casi, ancorché pochi per ogni tumore, sono numerosi globalmente;
    il problema dei tumori rari è socialmente rilevante, paradossalmente proprio in termini quantitativi, oltre naturalmente a costituire una priorità per motivi etici. Sotto il profilo etico, infatti, non è giusto che i pazienti con tumore raro abbiano a soffrire discriminazioni dovute alla bassa incidenza della loro malattia, come invece può accadere. I tumori rari, come le malattie rare in genere, comportano difficoltà particolari. Le competenze cliniche sui tumori rari non sono reperibili con facilità dalla persona malata, in quanto i centri che ne dispongono sono pochi e dispersi geograficamente. Inoltre, il trattamento dei tumori rari richiede spesso approcci multidisciplinari, e dunque la dispersione geografica delle competenze risulta ancora più frequente. Di fatto, i tumori rari sottendono un elevato grado di migrazione sanitaria, all'interno e verso l'esterno del Paese;
    in questo senso, i costi sociali dei tumori rari sono impressionanti, se appunto si considera la migrazione sanitaria. La migrazione sanitaria all'interno del Paese, talora verso l'esterno, è notoriamente un problema maggiore dell'ambito oncologico italiano, ma naturalmente essa diventa ancora più importante se si considerano i tumori rari;
    la Rete dei tumori rari è dunque una collaborazione permanente tra strutture sanitarie con lo scopo di migliorare la qualità di cura ai pazienti con «tumore raro»;
    per migliorare la qualità di cura nell'ambito dei tumori rari sono obiettivi primari della Rete:
     a) assimilare la diagnosi e il trattamento nei centri partecipanti secondo criteri comuni (si definisce «logico di rete» il paziente il cui caso viene affrontato nell'ambito della Rete secondo criteri condivisi);
     b) realizzare la condivisione a distanza di casi clinici fra i centri partecipanti (si definisce «virtuale di rete» il paziente il cui caso sia condiviso a distanza nell'ambito della Rete);
     c) promuovere un razionale accesso alle risorse di diagnosi e cura, limitando se e quanto possibile la migrazione del paziente;
     d) contribuire alla ricerca clinica sui tumori rari;
     e) contribuire alla diffusione della conoscenza sui tumori rari;
     f) fungere da modello metodologico e tecnologico per la collaborazione in rete geografica nell'ambito oncologico e delle malattie rare;
    nelle scorse settimane è stata incardinata, presso la XII Commissione (Affari sociali) della Camera dei deputati, una proposta di legge per promuovere l’«Istituzione e la disciplina del Registro nazionale e dei registri regionali dei tumori». In Italia, i registri dei tumori sono nati su base volontaristica per iniziative spontanee di singoli clinici, epidemiologi, patologi o operatori della sanità pubblica che hanno inizialmente portato alla costituzione di nuclei di sorveglianza di dimensioni medio-piccole;
    l'attività dei registri dei tumori ha già dimostrato in maniera diffusa l'utilità di un sistema di sorveglianza delle patologie oncologiche. Infatti, i registri dei tumori raccolgono, valutano, organizzano e archiviano in modo continuativo e sistematico le informazioni più importanti su tutti i casi di tumore e le relative variazioni territoriali e temporali attraverso misure di incidenza, sopravvivenza per i diversi casi e mortalità, fornendo così un indicatore fondamentale della qualità dei servizi diagnostici e terapeutici nei diversi territori. I registri dei tumori sono strumenti fondamentali per l'organizzazione e la valutazione dell'efficacia degli interventi anche di prevenzione in aree o per popolazione ad alto rischio,

impegna il Governo:

   a definire in maniera univoca quali siano i tumori che devono essere riconosciuti come rari, predisponendo conseguentemente, un prospetto aggiornato di tali patologie, nell'ambito dell'elenco delle malattie rare;
   ad individuare i centri di eccellenza per la prevenzione, la diagnosi e la terapia dei tumori rari, con particolare riferimento alla loro presenza capillare sul territorio nazionale;
   a promuovere l'inserimento delle patologie tumorali rare tra le 21 ERN (European Reference Network), che accedono ai fondi comunitari per le malattie rare e che la Commissione europea dovrà costituire nel 2016;
   a dare continuità alla Rete nazionale per la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi, cura e terapia delle malattie rare, inserendo in questo ambito anche i tumori rari, anche dando seguito agli accordi Stato-regioni, dopo i quali si era verificato un rallentamento delle iniziative a favore dei malati di tumore raro.
(1-01076) «Nizzi, Occhiuto».


   La Camera,
   premesso che:
    Ferrovie dello Stato S.p.a. è la più importante società operante nel trasporto ferroviario italiano e per tale motivo costituisce una delle più grandi realtà industriali del Paese, con un fatturato di 8,4 miliardi di euro, 70 mila dipendenti che gestiscono oltre 8 mila treni al giorno, 600 milioni di passeggeri e 50 milioni di tonnellate-merci all'anno su una rete di oltre 16.700 chilometri;
    le Ferrovie dello Stato S.p.a. sono state istituite con la legge 22 aprile 1905, n. 137, assumendo a totale carico dello Stato la proprietà e l'esercizio della maggior parte delle linee ferroviarie nazionali, fino ad allora in mano a varie società private. Già nel 1945 l'azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato, sotto il controllo del Ministero dei trasporti, dal 1o gennaio 1986 fu trasformata in ente pubblico economico in applicazione della legge n. 210 del 1985, che istituiva l'ente Ferrovie dello Stato. Il 12 agosto 1992 l'ente fu trasformato in società per azioni con partecipazione statale totale attraverso il Ministero dell'economia e delle finanze;
    con il contratto di programma 1994-2000 e con le direttive del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 gennaio 1997 e del 18 marzo 1999 si è scelto di procedere alla separazione delle attività di gestione dell'infrastruttura da quelle di gestione dei servizi di trasporto: attualmente Ferrovie dello Stato italiane Spa rappresenta una holding cui fanno capo sia RFI S.p.a., la società di gestione delle infrastrutture, che Trenitalia S.p.a., l'impresa di trasporto, la cui separazione legale, amministrativa, contabile e gestionale è garantita e vigilata dallo Stato;
    le ferrovie rappresentano un bene strategico per il Paese e appare inspiegabile la decisione del Governo di privatizzare una società in crescita non solo nel mercato nazionale ma anche europeo senza previa consultazione del Parlamento che avrebbe dovuto esercitare la sua funzione di controllo e indirizzo politico visto che Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. non solo è una società controllata dallo Stato, ma è anche un'impresa partecipata pubblica che ha contribuito a sviluppare per l'Italia un grande progetto di mobilità e di logistica, nel rispetto dell'ambiente, ed ha dato un forte impulso alla crescita del Paese tale da rappresentare un fiore all'occhiello della nazione;
    il 23 novembre 2015 il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio, ha annunciato che sarà avviata la procedura di privatizzazione di Ferrovie dello Stato italiane, specificando che non potrà andare oltre il 40 per cento: secondo il decreto avverrà attraverso un'offerta pubblica di vendita rivolta al pubblico dei risparmiatori in Italia, inclusi i dipendenti del gruppo Ferrovie dello Stato, e ad investitori istituzionali italiani e internazionali, e quotazione sul mercato azionario. Come nel caso di Poste italiane potranno essere previste forme di incentivazione, tenuto conto anche della prassi di mercato e di precedenti operazioni di privatizzazione, in termini di quote dell'offerta riservate (tranche dell'offerta riservata e lotti minimi garantiti) e di prezzo o di modalità di finanziamento;
    nella stessa occasione, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Delrio ha annunciato che l'infrastruttura di rete rimarrà pubblica e che la procedura che verrà avviata terrà conto della complessità di gestione di Ferrovie dello Stato, della necessità di aumentare gli obblighi di servizio pubblico nonché il diritto di accesso a tutte le società private;
    la questione della separazione dell'infrastruttura, che è inserita nel bilancio delle Ferrovie dello Stato a un valore di 30 miliardi di euro, è da sempre oggetto di scontro tra l'ex presidente Messori e l'ex amministratore delegato Michele Mario Elia. Messori, in una lettera inviata nell'estate 2015 al Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, ha dichiarato che privatizzare una parte dell'intero gruppo senza prima scorporare le reti e alcune controllate si tradurrebbe in una «svendita»: lo Stato, secondo l'economista, rischia di incassare non più di 4 miliardi di euro conto i 10-11 miliardi di euro di introito potenziale. Su questa posizione si è consumata la rottura con Elia, favorevole alla vendita in blocco;
    effettivamente le società private che offrono servizi di trasporto, come Ntv, potrebbero utilizzare la rete infrastrutturale senza discriminazioni rispetto a Trenitalia, che del gruppo Ferrovie dello Stato fa parte, come peraltro richiesto più volte dall'Autorità per la regolazione dei trasporti anche senza un vero e proprio scorporo societario di Rfi, la società che ne è proprietaria, operazione che però non consentirebbe allo Stato gli introiti auspicati pur garantendo però la libera concorrenza tra i diversi operatori di trasporto ferroviario;
    si esprime una forte contrarietà rispetto al prospettato processo di privatizzazione,

impegna il Governo:

   a chiarire come l'annunciato progetto di privatizzazione costituisca un'opportunità di crescita e di sviluppo per l'intero sistema del trasporto ferroviario italiano, con particolare riguardo al rispetto del principio di libera concorrenza, e non una mera operazione economico-finanziaria;
   a presentare al Parlamento, prima di proseguire con la procedura di privatizzazione, una relazione che illustri in modo puntuale tutti gli aspetti e le conseguenze industriali, economiche, occupazionali, sociali e relative alla qualità del servizio derivanti dall'annunciato piano di alienazione del gruppo;
   ad assicurare che il piano di privatizzazione messo in campo garantisca la proprietà pubblica della rete infrastrutturale a vantaggio di una completa indipendenza e terzietà del gestore della rete rispetto a tutti gli operatori ferroviari ed intermodali operanti sul mercato del trasporto;
   a salvaguardare il servizio pubblico e la maggioranza piena dell'azionariato dello Stato;
   a garantire che il piano di privatizzazione non determini un ulteriore deterioramento della qualità e dell'efficienza del servizio erogato, e a ridiscutere, rafforzandolo ed inasprendolo, il meccanismo di pagamento di penali a seguito di gravi disservizi;
   ad adoperarsi affinché, anche a seguito del processo di privatizzazione, sia potenziato il servizio nei confronti di disabili, ciclisti e trasporto intermodale;
   ad investire maggiori risorse e a dare priorità al trasporto pubblico locale.
(1-01077) «Cristian Iannuzzi, Segoni, Artini, Baldassarre, Bechis, Turco, Furnari, Pastorino, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli».


   La Camera,
   premesso che:
    Ferrovie dello Stato S.p.a. riveste un ruolo di primaria importanza nel panorama delle aziende pubbliche, gestendo opere e servizi nel trasporto ferroviario che vengono utilizzati quotidianamente per lo spostamento di persone e merci sul territorio nazionale e internazionale;
    l'azienda ha un fatturato di 8,4 miliardi di euro, maggiorato di 2 punti percentuali rispetto al 2014, impiega circa 70.000 dipendenti per un totale di 16.700 chilometri di rete ferroviaria, di cui circa 1.000 ad Alta velocità;
    a fronte di questi numeri, che fanno del gruppo Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. una delle aziende italiane più appetibili dal punto di vista economico, l'azienda risulta comunque al dodicesimo posto nella classifica delle ferrovie europee per percorrenza media chilometrica per abitante: i settori più problematici, anche perché meno redditizi, sono quelli relativi al trasporto su intercity e regionali, e quindi quelli a servizio dei cittadini e dei tanti pendolari che utilizzano il treno come mezzo di trasporto privilegiato per raggiungere le postazioni di lavoro e di studio;
    nonostante l'azienda abbia usufruito di cospicui contributi pubblici, la stessa non ha mai realmente investito nel migliorare la qualità dei servizi di trasporto ferroviario e le prestazioni gestionali, accumulando negli anni un gap rispetto alle concorrenti, il quale rappresenta oggi un ostacolo allo sviluppo competitivo del settore del trasporto, sia merci che passeggeri;
    il Governo ha recentemente reso nota la scelta di procedere alla messa sul mercato del 40 per cento delle Ferrovie dello Stato italiane dando il via ad un processo di privatizzazione che suscita perplessità per la mancanza di un quadro chiaro e completo sui futuri scenari che si andrebbero a delineare, soprattutto in termini di qualità del servizio offerto al pubblico;
    infatti, sia Trenitalia (l'impresa di trasporto passeggeri e merci) sia Rfi (società che si occupa della gestione dell'infrastruttura) sono partecipate della società pubblica Ferrovie dello Stato S.p.a. e quindi sembra fondamentale che il progetto di privatizzazione chiarisca quale siano gli ambiti coinvolti nella vendita, per non incorrere nel rischio che si cedano alla proprietà privata gli asset a maggior redditività e rimangano in mano pubblica i rami diseconomici;
    nel bilancio delle Ferrovie dello Stato, l'infrastruttura ferroviaria ha un valore di 30 miliardi di euro e questa rilevanza dovrebbe essere tenuta in debito conto nell'ambito del processo di privatizzazione ai fini degli introiti economici che potrebbero derivarne e dei potenziali assetti societari determinanti per il mantenimento degli equilibri concorrenziali sul mercato, perché l'accesso alla rete deve essere garantito ad eque condizioni a tutti gli operatori;
    per evitare che sia solo un'operazione economico-finanziaria e garantire che sia, invece, un momento di crescita e sviluppo per l'intero sistema del trasporto ferroviario, un'eventuale privatizzazione deve essere accompagnata da specifiche clausole a salvaguardia della qualità del servizio offerto agli utenti, soprattutto nei settori a maggior richiesta che presentano attualmente profili di grosse criticità. A tal fine, è necessario che i futuri contratti di servizio prevedano la garanzia di standard minimi nel numero e nella qualità dei servizi offerti ai cittadini e che i programmi e gli accordi europei, strategici per il Paese, sul trasporto ferroviario di merci vengano salvaguardati e sostenuti nei futuri piani industriali;
    il servizio del trasporto pubblico locale rappresenta un servizio fondamentale sia sotto il profilo economico sia sotto il profilo sociale perché attraverso di esso deve essere garantita la possibilità di effettuare gli spostamenti necessari per lo svolgimento delle attività principali della vita economica e sociale, assicurando comunque un livello adeguato di prestazioni su tutto il territorio;
    le privatizzazioni in Italia hanno sempre diviso l'opinione pubblica per le numerose incognite e gli interessi che ne possono scaturire, che non sempre rispondono a criteri di maggiore efficienza e competitività, sia rischiando di non apportare reali benefici per gli utenti sia mettendo a rischio l'universalità di un servizio che, seppur gestito da privati, svolge un ruolo di fondamentale importanza per il pubblico,

impegna il Governo:

   a rendere noti i dettagli del programma di privatizzazione che interessa la rete ferroviaria italiana, chiarendo, in particolare, quali siano i ricavi attesi dall'operazione affinché questi stessi possano essere impiegati a favore del trasporto pubblico locale, garantendo che il servizio venga svolto su tutto il territorio nazionale nel rispetto di più alti criteri di qualità e a prezzi sostenibili per i cittadini;
   a tenere informato il Parlamento sull'evolversi della vicenda di cui in premessa e sui possibili scenari che da essa ne potrebbero scaturire, chiarendo, in particolare, quali rami del trasporto ferroviario saranno interessati dall'eventuale privatizzazione e se questa sarà accompagnata da un intervento di scorporo della rete infrastrutturale;
   ad assumere iniziative per inserire nei prossimi contratti di servizio apposite clausole di impegno per l'ente gestore del servizio ferroviario atte a garantire il buon funzionamento del servizio stesso, anche per quanto concerne i servizi a minore profitto;
   a far valere, in qualità di azionista di riferimento, le decisioni che interessano strategie funzionali allo sviluppo del Paese nell'ambito dei programmi e degli accordi europei.
(1-01078) «Guidesi, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».

Risoluzioni in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:
    la Repubblica islamica dell'Iran ha condannato a morte più di 500 persone per reati legati alla droga nel 2015, con molte esecuzioni che si svolgono in pubblico, secondo i dati raccolti dalla Ong internazionale Iran Human Rights;
    il 12 ottobre 2015 il presidente iraniano Rouhani ha difeso la pena di morte per reati di droga in un'intervista al Corriere della Sera, sostenendo che: «Se abolissimo la pena di morte rafforzeremmo il traffico di droga fino ai Paesi europei e questo sarebbe pericoloso per voi»;
    l'Italia ha contribuito con più di 2 milioni di euro ai programmi per la lotta al narcotraffico gestiti dall'Ufficio delle Nazioni unite contro la droga e il crimine che sostengono l'arresto di trafficanti di droga in Iran, tra cui più di 1 milione di euro per l'UNODC per il «Programma regionale per l'Afghanistan e i paesi limitrofi 2011-2014»;
    un rapporto ufficiale dei risultati ottenuti con questo programma mostra che, l'anno successivo rispetto all'ultimo contributo italiano, il programma ha permesso l'arresto di almeno 10 persone in possesso di quantità di stupefacenti che comporta una condanna a morte secondo la legge iraniana;
    la politica dei diritti umani dell'UNODC raccomanda che «se a seguito di richieste di garanzie e di un intervento politico di alto livello, le esecuzioni per reati legati alla droga continuassero, UNODC dovrebbe assumere due decisioni: un blocco temporaneo o il ritiro del sostegno»;
    il finanziamento da parte di Regno Unito, Irlanda e Danimarca è stato unilateralmente ritirato per le operazioni UNODC in Iran sulla base del fatto che, secondo le parole del Ministro per lo sviluppo danese, «le donazioni stanno portando  alle esecuzioni»;
    l'8 ottobre 2015 il Parlamento europeo ha votato, con 569 voti a favore e 38 contrari, una risoluzione che invita gli Stati membri dell'Unione europea a «riaffermare il principio categorico che gli aiuti e l'assistenza europea, anche per i programmi antidroga UNODC, non possono facilitare le operazioni delle forze dell'ordine che portano a condanne a morte e l'esecuzione delle persone arrestate»;
    nonostante questi avvertimenti, UNODC sta sollecitando donazioni dagli Stati europei per nuovi programmi nazionali pluriennali in Iran,

impegna il Governo:

   ad accogliere l'invito contenuto nella risoluzione del Parlamento europeo;
   a sostenere l'abolizione della pena di morte per reati legati alla droga come condizione preliminare per qualsiasi forma di assistenza finanziaria, assistenza tecnica, capacity building e altre tipologie di sostegno per la politica antidroga;
   a vincolare i futuri finanziamenti a favore dei programmi antidroga dell'Ufficio delle Nazioni unite contro la droga e il crimine alla capacità di quest'ultimo di dimostrare in che modo i principi fondamentali dei suoi orientamenti in materia di diritti umani saranno applicati nella gestione dei finanziamenti e, in particolare, in che modo tali finanziamenti saranno congelati o ritirati qualora il Paese beneficiario si ostini a condannare a morte chi commette reati di droga;
   a confermare che non verrà finanziato alcun programma dell'UNODC nazionale, regionale o internazionale per la lotta al narcotraffico che possa facilitare gli arresti per droga nei Paesi in cui si applica la pena di morte per tali reati;
   a pubblicare un resoconto annuale di tutti i precedenti contributi italiani ai programmi antidroga nei Paesi che applicano la pena di morte per reati di droga;
   a sollecitare l'adozione di una risoluzione presso l'Ufficio delle Nazioni unite contro la droga e il crimine di Vienna chiedendo la pubblicazione da parte del medesimo UNODC di un resoconto annuale su come la sua politica sui diritti umani sia stata attuata negli Stati che ricevono finanziamenti programmatici.
(7-00858) «Spadoni, Manlio Di Stefano, Sibilia, Grande, Scagliusi, Di Battista, Del Grosso».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    il regolamento (CEE) n. 2568/91 della Commissione dell'11 luglio 1991 relativo alle caratteristiche degli oli d'oliva e degli oli di sansa d'oliva nonché ai metodi ad essi attinenti stabilisce i metodi di valutazione di tali caratteristiche e i valori limite degli stessi che vengono aggiornati periodicamente sulla base del parere degli esperti chimici e conformemente all'attività svolta in sede di Consiglio oleicolo internazionale (COI);
    il metodo di rilevazione della presenza di oli vegetali estranei negli oli di oliva di cui all'allegato XX-bis del regolamento (CEE) n. 2568/91 non è più utilizzato, infatti, il Regolamento delegato n. 2015/1830 della Commissione dell'8 luglio 2015 ha apportato alcune modifiche con l'intento di garantire l'applicazione a livello dell'Unione delle più recenti norme internazionali stabilite ddl COI;
    nel regolamento delegato sopracitato, all'allegato I «caratteristiche degli oli di oliva» vengono indicati i limiti sulla composizione degli acidi grassi stabiliti con l'intento di impedire le sofisticazioni dell'olio extra vergine con altri oli vegetali;
    non di rado capita che l'olio ottenuto dalle olive prodotte dalle aziende agricole nazionali, una volta analizzato, presenti valori non conformi all'allegato I; pertanto non è consentita la vendita come «olio di oliva» salvo che non sia miscelato con altri oli perdendo così tutto il valore aggiunto che gli conferiscono le informazioni relative alla propria storia, origine ed identità ovvero la sua tracciabilità;
    quanto sopra esposto è riscontrabile, ad esempio, per gli oli calabresi derivanti dalle cultivar maggiori come la Carolea che superano i limiti consentiti di acido eptadecenoico (0,30 punti percentuali) senza che tuttavia tale superamento costituisca tentativo di sofisticazione,

impegna il Governo

ad assumere urgentemente iniziative presso le competenti sedi comunitarie affinché le prescrizioni recate dal regolamento delegato n. 2015/1830 con riferimento alle analisi sulla composizione in acidi grassi ed i parametri di conformità stabiliti dal Consiglio oleicolo internazionale non vadano ad impattare negativamente sulla già precaria economia delle aziende agricole italiane che hanno volontariamente scelto l'assoggettamento ad un sistema di certificazione di qualità dei prodotti, ovvero la tracciabilità.
(7-00857) «Parentela, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Lupo, Nesci, Dieni».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


  I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   l'UNAR, Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, è un organismo del dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri che vigila, in attuazione della normativa europea, sull'operatività degli strumenti di tutela vigenti contro le discriminazioni e che contribuisce a rimuovere le discriminazioni svolgendo, più in particolare, la funzione di garantire, in piena autonomia di giudizio e in condizioni di imparzialità, l'effettività del principio di parità di trattamento fra le persone ai sensi dell'articolo 7, comma 2, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, di recepimento della direttiva comunitaria n. 2000/43 CE, e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 dicembre 2003;
   l'FSE è uno dei cinque fondi strutturali e di investimento europei (ESIF). Tali fondi rappresentano la principale fonte di investimenti a livello unionale per aiutare gli Stati membri a ripristinare e incrementare la crescita garantendo al contempo uno sviluppo inclusivo per una forte coesione del tessuto sociale, in linea con gli obiettivi di Europa 2020;
   da fonti stampa del 20 novembre 2015 – il riferimento è all'articolo online pubblicato da L'Espresso dal titolo «Pari opportunità, ritardo sulle nomine. E i fondi europei sono bloccati» – gli interpellanti hanno appreso che l'Unar sarebbe privo dell'organo direttivo dallo scorso settembre in conseguenza della polemica innescata dalla parlamentare Giorgia Meloni;
   difatti – come verificabile dalla sezione web trasparenza del Governo – alla scadenza del triennio, il dirigente preposto Marco De Giorgi non è stato confermato nella direzione dell'ufficio. Così da più di due mesi – si legge – la nomina del successore non sarebbe ancora arrivata. La pagina del sito istituzionale dove c'era il curriculum di De Giorgi – prosegue l'articolo – dice solo «in aggiornamento». Da palazzo Chigi farebbero sapere che è stata avviata la procedura di interpello, la call interna destinata ai dirigenti che hanno i titoli. Lo stesso De Giorgi pare abbia presentato la candidatura;
   L'Espresso riferisce altresì dell'ulteriore mancanza di 15 esperti incaricati alla cura di progetti europei e di molte delle attività dell'UNAR. La cosa che preoccupa maggiormente è il depotenziamento dell'ufficio poiché l'assenza di quest'ultimi potrebbe compromettere le regolari procedure di finanziamento di circa 50 milioni di euro di fondi comunitari, una porzione dei fondi che l'Europa stanzia per l'Italia attraverso il fondo speciale europeo, fondi – si legge – per cui l'Italia sarebbe in ritardo e a cui quindi, almeno in parte, potrebbe finire col rinunciare, essendo pari a zero la spesa per 2014 e 2015 a valere sul Pon inclusione sociale;
   in merito palazzo Chigi avrebbe fatto sapere che l'incarico dei 15 esperti è già cessato nel giugno 2015;
   il 2015 è il primo anno in cui inspiegabilmente non si fa luogo, nel mese di ottobre, alla consueta settimana contro le discriminazioni nelle scuole così come prevista dal Protocollo con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 30 gennaio 2013;
   nel complesso dei fondi europei per la programmazione del settennato precedente – la cui rendicontazione scade a dicembre – l'Italia ad oggi si starebbe preparando a restituire circa 6 miliardi di euro, rende noto l'approfondimento de L'Espresso;
   come se non bastasse recentemente la deputata Giovanna Martelli si è dimessa dall'incarico di consigliere per le pari opportunità del Governo;
   a rischio, dunque, potrebbe essere non solo il pieno corretto funzionamento dell'Unar, ma dell'intero dipartimento per le pari opportunità;
   in più occasioni la Commissione del Consiglio d'Europa contro il razzismo e l'intolleranza (ECRI), in merito alla struttura dell'UNAR, ha chiesto al Governo italiano «un ulteriore rafforzamento sia in termini di risorse umane e finanziarie, che da punto di vista giuridico, prevedendone l'ampliamento formale dell'operatività a tutti gli altri ambiti discriminatori e l'innalzamento del livello di autonomia finanziaria ed amministrativa»;
   in merito gli interpellanti reputano necessario che il Governo intervenga urgentemente in merito, in particolare al fine ultimo di conseguire l'allocazione del suddetto finanziamento europeo di 50 milioni di euro – cifra non certo da disperdere – destinato alla realizzazione di progetti che mirerebbero ad esempio all'inclusione sociale, all'occupazione e al contrasto delle discriminazioni delle minoranze, dai rom alle vittime di tratta, dalle discriminazioni per l'orientamento sessuale alle vittime di omotransfobia;
   per quei fondi, rivela tuttavia L'Espresso, mancherebbero ancora la convenzione con cui l'autorità di gestione, il ministero del lavoro e delle politiche sociali, dovrebbe incaricare della corretta spesa il dipartimento delle pari opportunità per il ciclo in corso 2014-2020;
   l'articolo non lesina di denunciare in conclusione anche la vacatio di un nuovo capo dell'intero dipartimento delle pari opportunità di palazzo Chigi. Risulterebbe scaduto, infatti, l’interim assegnato alla direttrice del dipartimento per le politiche della famiglia Ermenegilda Siniscalchi;
   nell'attuale delicato momento storico, in cui la tensione sociale tra etnie e culture diverse, percepite perfino come una minaccia per la sicurezza nazionale, è messa a dura prova soprattutto dopo le stragi terroristiche dei giorni appena trascorsi, è necessario che le diverse confessioni religiose esprimano invece con ancor più voce i valori di pace e di rispetto per la persona che sono propri di ciascuna fede;
   in tale ottica l'Unar si trova oggi più che mai in prima linea nel dover far fronte alla richiesta sociale di favorire l'integrazione razziale attraverso ogni iniziativa, quale ad esempio l'alfabetizzazione religiosa e il dialogo interreligioso e culturale, utile ad evitare una strumentalizzazione della religione e del sentimento religioso degli uomini e delle donne in Italia;
   il Dipartimento per le pari opportunità ha il compito di prendere in carico le situazioni di disagio sociale e di individuare e fornire gli strumenti adatti al superamento degli ostacoli che impediscono il conseguimento di uguaglianza ed equità sociale;
   sovente la prima firmataria del presente atto si è trovata nel corso della legislatura ad affrontare questioni inerenti alle pari opportunità e a presentare numerosi atti parlamentari in merito, a partire da una risoluzione che, anzitutto, si proponeva di impegnare il Governo, già in tempi non sospetti, a proporre la nomina di un nuovo Ministro per le pari opportunità; in particolare la risoluzione in commissione 7-00147 del 29 ottobre 2013, seduta n. 107, depositata in Commissione affari sociali, impegnava il Governo all'indomani delle dimissioni del Ministro per le pari opportunità Josefa Idem, a individuare un nuovo Ministro al quale assegnare anche la delega alla famiglia, avendo questa materia molte attinenze con le competenze del dipartimento;
   nel luglio 2014 la prima firmataria del presente atto ha inoltre avviato la petizione on-line «Si nomini subito un ministro per le pari opportunità» (sul sito www.change.org), diretta in special modo al Premier Matteo Renzi, in cui venivano elencate le principali emergenze inerenti alle pari opportunità segnalate da cittadini, giornalisti, associazioni, politici, che il Governo avrebbe dovuto affrontare al più presto;
   prendendo le mosse da tale petizione la prima firmataria del presente atto ha infine depositato alla Camera nell'ottobre 2014 la mozione n. 1-00649;
   purtroppo, dopo oltre un anno, la situazione appare sostanzialmente immutata; le suddette iniziative parlamentari e sollecitazioni sono rimaste inascoltate, non avendo ricevuto alcun riscontro, se non qualche cenno di apprezzamento e condivisione sfociati poi, numerose volte, in un nulla di fatto;
   per le ragioni sopracitate si ritiene opportuno e necessario che il Governo rivolga maggiore attenzione all'intero dipartimento delle pari opportunità – tutt'oggi privo di un Ministro con delega che possa rappresentare un solido punto di riferimento, operativo ed efficace, nel dispiego delle necessarie iniziative sociali che ai temi citati fanno riferimento – cominciando col rimediare all'inaccettabile depotenziamento dell'Unar in cui, per converso, si ritiene occorrerebbe investire maggiori risorse che consentano all'ufficio di non ritrovarsi d'ora in poi in balia di ulteriori adempimenti burocratici insanati, quali quelli sopraenunciati –:
   in relazione alle circostanze esposte in premessa, quali iniziative abbia medio tempore intrapreso, o intenda prontamente intraprendere, per assicurare il pieno funzionamento del dipartimento per le pari opportunità e dell'Unar e garantire inoltre l'allocazione dei suddetti fondi europei;
   considerate le peculiarità dell'attuale contesto storico sia nazionale che internazionale, nonché in ragione delle recenti dimissioni del consigliere per le pari opportunità del Governo, Giovanna Martelli, se il Governo non ritenga doveroso proporre nel più breve tempo possibile la nomina di un Ministro senza portafoglio cui affidare la delega relativa alle politiche delle pari opportunità, individuando così un nuovo membro del Governo, che possa rappresentare un solido punto di riferimento, operativo ed efficace, nel dispiego delle necessarie iniziative sociali che ai temi citati fanno riferimento;
   se possa indicare le ragioni per cui dal 14 settembre 2015 l'UNAR sia privo di un direttore nonostante la disponibilità di risorse umane interne;
   per quali motivi non si sia ancora proceduto alla stipula della succitata convenzione per l'utilizzo dei fondi europei a valere sul fondo sociale europeo e sul Pon inclusione sociale 2014-2020 lasciando pari a zero la spesa per gli anni 2014-2015, con un evidente spreco di risorse;
   per quali ragioni non si sia proceduto alla sesta settimana di azione contro le discriminazioni nelle scuole prevista nel mese di ottobre dal succitato protocollo;
   quali siano le motivazioni del forte ridimensionamento di personale esperto dell'Unar nei temi di antidiscriminazione e pari opportunità con conseguente riduzione delle attività.
(2-01191) «Di Vita, Colonnese, Grillo, Silvia Giordano, Baroni, Lorefice, Mantero, Carinelli, Caso, Castelli, Chimienti, Ciprini, Colletti, Cominardi, Corda, Crippa, Da Villa, Daga, Dall'Osso, De Lorenzis, De Rosa, Della Valle, Dell'Orco, Di Benedetto, Luigi Di Maio, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro».

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDRIGA. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il codice penale prevede per il reato di vilipendio nei confronti delle Camere, del Governo e della magistratura una pena pecuniaria da mille a cinquemila euro;
   viceversa, per gli stessi fatti posti nei confronti del Capo dello Stato prevede una pena detentiva da un anno a cinque anni;
   ciò è probabilmente dovuto al fatto che, in origine, il reato era previsto nei confronti della «sacra» persona del Re;
   con l'avvento della Repubblica, la Camera dei deputati, il Senato della Repubblica, la magistratura, ad avviso dell'interrogante, hanno pari se non maggiore dignità rispetto al Capo dello Stato, in quanto sono tutti organi costituzionali, ma il Parlamento è immediata rappresentanza della democrazia, essendo esso direttamente eletto dai cittadini, mentre il Capo dello Stato è eletto in modo indiretto –:
   se, stante quella che appare all'interrogante una irragionevole differenza sanzionatoria, il Governo intenda porvi rimedio, assumendo iniziative normative al fine di una riforma sul punto. (4-11326)


   COSTANTINO, ZARATTI, PELLEGRINO, SCOTTO, RICCIATTI e DURANTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal 31 ottobre 2015, una forte ondata di maltempo ha colpito la regione Calabria, in particolare nelle sue zone montane e nell'area ionica della provincia di Reggio Calabria e nell'acquedotto della città capoluogo;
   si considera che in due giorni si sia riversata una quantità di pioggia che mediamente in quel territorio si riversa in quasi un anno (600 millilitri d'acqua);
   sono stati spazzati interi tratti della linea ferroviaria che va da Roccella Jonica a Monasterace (esondato il torrente Ferruzzano che ha interrotto non solo la linea ferroviaria, ma anche la circolazione sulla strada statale 106, isolando di fatto interi paesi); è morto un uomo, Salvatore Comandé, di 43 anni, travolto dalla piena di un torrente mentre si trovava nella sua auto a Taurianova, in provincia di Reggio Calabria;
   Anas ha fatto sapere che, a causa di alcune frane prodotte dalle forti precipitazioni, è stato necessario chiudere momentaneamente al traffico quattro diversi tratti della strada statale 106 Jonica: in entrambe le direzioni, dal chilometro 50 al chilometro 65 è chiuso il tratto compreso tra Palizzi Marina e Brancaleone Marina, il secondo tratto interessato va dal chilometro 65,8 al 67,20 in località Marinella di Ferruzzano, poi dal chilometro 83 al 92 tra Bovalino e Ardore. Il quarto tratto chiuso è compreso fra chilometro 121 e il chilometro 122 tra Marina di Caulonia e Riace Marina; nella città di Reggio Calabria i vigili del fuoco hanno effettuato 200 interventi di soccorso, sono intervenuti anche per la messa in sicurezza di alcune case a Vibo Valentia. Centocinquanta in totale gli interventi effettuati nella provincia, 110 quelli nel territorio di Catanzaro. Il torrente Catona è esondato nel comune di Laganadi, nel comune di Reggio Calabria, provocando forti danni. Cinque famiglie che abitavano a poca distanza dal luogo dell'esondazione sono state evacuate;
   ancora una volta, in presenza di forti e insistenti piogge, il nostro Paese si trova a dover fare i conti con frane, cedimenti di infrastrutture, argini che non riescono più a trattenere l'impatto con le acque; le forti piogge hanno devastato ampi tratti del litorale e impedito il regolare deflusso delle piene dei fiumi, causando ingenti danni alle infrastrutture pubbliche e private e alle attività produttive localizzate sulla costa;
   in una regione in cui il rischio idrogeologico riguarda praticamente il suo intero territorio, già profondamente penalizzato da una forte carenza di infrastrutture e investimenti, emerge con ancora più forza la necessità di spostare l'asse degli interventi di messa in sicurezza dei territori da una logica emergenziale ad una logica di lungo periodo –:
   se non si ritenga di deliberare quanto prima lo stato di emergenza per le province calabresi e per i territori colpiti dalla forte ondata di maltempo iniziata il 31 ottobre 2015, stanziando le prime risorse volte al ristoro dei danni subiti dai privati e dalle attività produttive, per la messa in sicurezza delle aree colpite, e più in generale per il contrasto al dissesto idrogeologico dell'intero territorio nazionale, anche attraverso la previsione per le aree colpite di cui in premessa, dell'esclusione dal patto di stabilità interno delle risorse necessarie per gli interventi post-calamità provenienti dallo Stato, nonché delle spese sostenute dagli enti locali a valere su risorse proprie o provenienti da donazioni di terzi. (4-11344)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:
   in data 1o dicembre 2015 Il Sole 24 Ore ha pubblicato un'inchiesta a firma Claudio Gatti sul traffico d'armi internazionale e in particolare sulla fornitura di armi a formazioni estremiste legate al terrorismo e i ruoli di Turchia, Qatar e Stati uniti d'America;
   da quanto emerge nell'inchiesta, risulta evidente che non solo Turchia e Qatar hanno interessi in contrasto con la mission della coalizione internazionale, ossia sconfiggere il terrorismo, ma hanno in questi anni armato le formazioni estremistiche legate al terrorismo;
   dall'inchiesta, supportata da altre investigazioni attivate in ambito ONU, da precedenti articoli del New York Times e da altre fonti attendibili emerge che addirittura gli Stati uniti abbiano agevolato le forniture di armi a dette formazioni terroristiche;
   l'inchiesta è incentrata su un episodio che ha visto protagonisti a vario titolo Turchia, Qatar e Stati uniti, su una serie di voli C-17, aerei da trasporto militare del Qatar;
   secondo quanto accertato dall'inchiesta dell'ONU, tra il 1o gennaio e il 30 aprile 2013, l'Aeronautica militare del Qatar ha operato 28 voli tra Doha e Ankara e uno tra Doha e Gaziantep. Tutti i voli in realtà partivano da Tripoli o Bengasi e a Doha e ripartivano per la Turchia dopo aver fatto una tappa intermedia alla base di Al Udeid, ovvero il cosiddetto «quartier generale avanzato» del comando mediorientale delle Forze armate americane, il Central Command, che oltre a ospitare il 379o stormo dell'Usaf è sede anche dell'83o stormo della Raf, l'Aeronautica militare britannica;
   per il gruppo d'inchiesta ONU ai voli da Tripoli e Bengasi a Doha era stato concesso uno speciale nullaosta diplomatico-militare, solitamente utilizzato per il trasporto di armi o equipaggiamento bellico;
   poiché, come si legge nel rapporto, «per ottenere il numero di nullaosta diplomatico-militare il richiedente deve generalmente fornire dettagli precisi sulla natura dei voli e sul carico trasportato», gli esperti ONU hanno chiesto chiarimenti e dettagli alle autorità di tre Paesi i cui spazi aerei erano lungo la rotta percorsa – Grecia, Egitto e Arabia Saudita – e alla società responsabile dei piani di volo, ottenendo scarsi risultati;
   «La Grecia ha risposto di non aver traccia di alcuna richiesta o concessione di nullaosta diplomatico-militare per quei voli, comunicando però che il 14 e 15 gennaio un aereo della Aeronautica militare qatariana è volato ai margini dello spazio aereo greco», si legge nel rapporto. «L'Egitto ha risposto che il Qatar ha richiesto un numero di nullaosta diplomatico-militare al fine di procedere alla rotazione del personale di guardia dell'ambasciata qatariana a Tripoli. L'Arabia Saudita non ha risposto»;
   più reticente di tutti è risultata la società responsabile dei piani di volo. Gli esperti hanno chiesto i dettagli sui nullaosta diplomatici per i voli in questione, i manifesti di carico e l'elenco di tutti i voli operati dall'Aeronautica militare del Qatar da e verso la Libia a partire dal luglio 2012. Ma non hanno ricevuto risposta su nulla. «La società ha detto di non aver partecipato alle procedure per l'ottenimento dei nullaosta e di non conoscere il carico di quei voli. Né ha fornito l'elenco dei voli richiesti dal Gruppo», hanno scritto gli esperti;
   secondo l'inchiesta de Il Sole 24 Ore: «A far pensare che Washington non solo sapesse di quei voli e del loro carico ma li avesse assistiti, è un dettaglio notato da Il Sole 24 Ore: la società responsabile della pianificazione dei voli di quei C-17 era la Jeppesen. Non è una società qualsiasi, bensì la controllata di Boeing, un colosso industriale che deve il 30 per cento del suo fatturato al Pentagono, scelta dalla Cia per una delle delicate operazioni degli ultimi 15 anni: la campagna di extraordinary rendition, cioè la cattura extragiudiziaria di soggetti che dopo la strage dell'11 settembre erano sospettati di rapporti con al Qaeda»;
   contattata da Il Sole 24 Ore, la sussidiaria della Boeing non ha voluto né smentire né confermare di aver dato supporto logistico a quei voli, mentre la Cia ha riferito alla testata di «non poter fare commenti»;
   il sospetto che quegli aerei trasportassero armi non è finora stato suffragato da prove concrete, ma alcuni dati sono stati accertati. Si sa per esempio che i C-17 utilizzati per la spedizione erano qatariani, che i destinatari dei carichi trasportati erano turchi e che a fornire pianificazione e logistica per quei voli sono stati degli americani. Ma per l'appunto non americani qualsiasi, bensì funzionari di una società che tempo fa è stata chiamata dai media statunitensi «l'agente di viaggio della Cia», ovvero la Jeppesen. Tutto ciò fa dedurre che il carico di quegli aerei non consistesse in beni umanitari, ma in armi e munizioni;
   questa lettura sarebbe supportata dalle evidenze riportate in questi ultimi anni sul comportamento di Turchia e Qatar che evidentemente hanno interessi opposti a quelli del mondo occidentale nel contrastare il terrorismo;
   nel 2009, in un messaggio classificato «segreto» ma reso pubblico da Wikileaks, il dipartimento di Stato definiva il grado di collaborazione del Qatar nell'antiterrorismo «il più basso della regione». Nell'ottobre dell'anno scorso, l'allora sottosegretario al Tesoro Usa David Cohen ha chiamato il Qatar «permissivo» in materia di finanziamento al terrorismo;
   nel rapporto consegnato nel marzo del 2013 al Consiglio di sicurezza dell'Onu dal cosiddetto «gruppo di esperti» sulla Libia, si legge che il Qatar ha giocato «un ruolo fondamentale» nelle forniture di materiale bellico — armi e munizioni — alle forze ribelli libiche. E che nonostante le smentite delle autorità qatariane, «il Qatar ha violato l'embargo sui materiali militari»;
   la Turchia non sembra essere stata da meno nella partita, e secondo diverse fonti ha continuato ad armare le forze islamiste di Tripoli fino all'inizio di quest'anno. Abdullah al-Thinni, primo ministro del Governo di Tobruck, nel febbraio scorso dichiarava che «La Turchia sta continuando a esportare armi in Libia», ribadendo quanto era stato detto qualche tempo prima dal presidente del Parlamento di Tobruck, ossia che «la Turchia ancora supporta le milizie terroristiche in Libia»;
   ci sono evidenze che la Turchia abbia spedito armi tra il 2013 e la fine del 2014 in Libia, in aperta violazione dell'embargo previsto dalla risoluzione 1970, approvata all'unanimità dal Consiglio di sicurezza dell'Onu il 26 febbraio 2011;
   in un rapporto recente il gruppo di esperti dell'Onu ha confermato che il 20 febbraio 2013 armi e munizioni sono state trovate dalla polizia doganale greca a bordo di una nave proveniente dalla Turchia, diretta in Libia e appartenente a un armatore siriano condannato per traffico d'armi;
   così come ha confermato che a bordo del mercantile Nour M, diretto a Tripoli e perquisito dai doganieri greci nel novembre del 2013, sono stati trovati 55 container con 1.103 tonnellate di munizioni dirette a Tripoli. Dalla documentazione sequestrata in quell'occasione è emerso che il cargo proveniva dalla Ukrinmash, società di armamenti ucraina e che a fare da broker era stata la Tss Silah, una società turca che in una nota interna resa pubblica da Wikileaks il Dipartimento di Stato definisce «broker di armi turco»;
   il gruppo di esperti ha inoltre riportato al Consiglio di sicurezza di aver ricevuto informazioni riguardanti il trasporto di materiale militare su un Airbus A320 della linea aerea libica Afriqiyah che il 17 settembre 2014 è volato da Istanbul a Tripoli: «Il Gruppo ha intervistato un passeggero di quel volo che ha confermato di aver visto casse di materiale militare scaricate dall'aereo. Un tipico Airbus A320 può accomodare 150 passeggeri ma il testimone ha spiegato che solo 15 bagagli sono stati scaricati e quando i passeggeri si sono lamentati perché i loro bagagli erano stati lasciati a Istanbul, i miliziani hanno ordinato loro di lasciare l'aeroporto»;
   ancora più recente la segnalazione riguardante un volo operato da un'altra linea aerea libica che il 13 novembre 2014 da Istanbul è arrivato a Misurata e che gli esperti sospettano abbia trasportato materiale militare;
   il gruppo di esperti dell'Onu ritiene che la Turchia ha doppiamente violato la risoluzione 1970 del Consiglio di sicurezza, la quale vieta sia l'importazione di armi in Libia sia l'esportazione dalla Libia. Si legge nel rapporto: «A detta di fonti attendibili, dalla Libia sono state trasportate armi in Siria con voli decollati dall'aeroporto Mitiga di Tripoli o da quello di Benina a Bengasi e atterrati ad Ankara o Antakya e con navi approdate a Mersin e Iskenderun. Da lì il materiale sarebbe stato trasferito su camion che avrebbero attraversato la frontiera con la Siria a Reyhanli e Kilis. Membri dell'opposizione siriana e combattenti libici reduci della Siria ascoltati dal Gruppo hanno detto che a supervisionare il trasferimento e la consegna delle armi a elementi dell'opposizione siriana sono stati funzionari turchi»;
   interpellato dagli esperti dell'Onu il Governo di Ankara ha negato «di essere a conoscenza di trasferimenti di armi dalla Libia alla Turchia». Ma la vicenda del peschereccio libico al-Entisar pone pesanti interrogativi sull'operato del Governo di Ankara;
   infatti nel settembre del 2012 il New York Times aveva riportato che quel peschereccio era salpato da Bengasi e aveva trasportato un carico di armi a Iskenderun, sulla costa meridionale turca, poco a nord del confine con la Siria. Il gruppo ha chiesto dettagli alle autorità turche e si è sentito rispondere che «trattandosi di beni umanitari, non è stata condotta alcuna ispezione del carico». Ma pochi mesi dopo, il 21 aprile 2013, lo stesso peschereccio è arrivato nel porto di Istanbul con un carico diretto in Libia che di umanitario non aveva proprio nulla. Come si legge nel rapporto degli esperti Onu, il cosiddetto «manifesto di carico» includeva infatti «due maschere antigas, 199 pistole da 7,65 millimetri, 214 pistole da 9 millimetri, 1.000 fucili a pompa, 5.000 munizioni da 7,65 mm e 251 mila cartucce per fucili»;
   chi abbia realmente orchestrato quella spedizione non è stato mai stabilito ma il forte sospetto è che sia stato il Mit, ovvero il servizio di intelligence di Ankara;
   secondo il quotidiano di opposizione Cumhuriyet, il Mit, sarebbe responsabile di un convoglio di camion casualmente intercettato dalla polizia al confine con la Siria nel gennaio del 2014 con un carico di casse piene di armi e munizioni. Per quelle rivelazioni, il 26 novembre 2015 il direttore di Cumhuriyet Can Dundar e il capo della redazione di Ankara Erdem Gul sono stati arrestati su richiesta del tribunale di Istanbul. A innescare la reazione giudiziaria era stato lo stesso presidente Erdogan, il quale ha prima promesso che i due avrebbero «pagato un duro prezzo» e poi ha presentato di persona una denuncia per tradimento e divulgazione di segreti di Stato ai due giornalisti;
   ad opinione degli interpellanti, se in quelle casse ci fossero stati beni umanitari, come Ankara ha sempre sostenuto, quelle accuse non si spiegherebbero. Invece oggi i due giornalisti rischiano l'ergastolo;
   oltre le specifiche vicende del convoglio intercettato al confine, turco-siriano, è certamente impensabile che quella che è stata ribattezzata come la cosiddetta «autostrada della Jihad», ossia la rotta che il Califfato ha per anni usato per portare foreign fighters e rifornimenti dalla Turchia in Siria, non fosse monitorata dalle forze di sicurezza del Governo di Ankara. Ci sono molte testimonianze che provano la collaborazione del Mit e dell'esercito turco con le formazioni jihadiste, anche in funzione anti-curda, così come numerose sono quelle che provano la partecipazione della Turchia nel contrabbando di petrolio dalla Siria e Iraq od opera di Daesh;
   in aggiunta, è difficile credere che tutte queste iniziative turco-qatariane sia in Libia che in Siria siano passate inosservate agli Stati uniti d'America. Al contrario, e come dimostrato dalla vicenda dei C-17 qatariani, ci sono molti elementi che portano a sospettare che il Governo di Washington le abbia assecondate;
   infatti, dopo aver saputo di una direttiva presidenziale segreta di Barack Obama che agli inizi del 2011 autorizzava la Cia ad armare i ribelli anti-Gheddafi, il New York Times ha rivelato che, «poche settimane dopo aver patrocinato l'invio di armi dal Qatar in Libia nella primavera del 2011, la Casa Bianca ha cominciato a ricevere informazioni che quelle armi stavano andando a militanti islamisti». Nello stesso articolo si diceva che in Siria le cose erano o meno andate nello stesso modo: «Quando il Qatar ha cominciato a inviare aiuti militari a gruppi dell'opposizione siriana, l'amministrazione Obama non ha fatto obiezioni. Ma adesso ci sono crescenti preoccupazioni che, come in Libia, i qatariani stiano equipaggiando i combattenti "sbagliati"»;
   agli interpellanti non può che venire in mente l'inquietante parallelo con quanto avvenuto con Al Qaeda che il Governo degli Stati uniti aveva aiutato nel combattere l'invasore sovietico in Afghanistan negli anni ’80 e che poi è diventata la principale minaccia degli Stati uniti stessi –:
   quale sia la posizione del Governo rispetto ai fatti esposti in premessa;
   quali iniziative intenda assumere nei confronti di Qatar e Turchia alla luce di quanto esposto in premessa e del loro ruolo nell'ascesa e crescita di Daesh e delle altre formazioni jihadiste;
   se non intenda intraprendere urgenti iniziative per impedire la vendita di armi ai Paesi responsabili di aver supportato direttamente o indirettamente Daesh e se non intenda proporre in sede europea e nei consessi internazionali una moratoria sulla vendita di armi e un embargo ai Paesi coinvolti direttamente o indirettamente nei conflitti o che sono sospettati di aver armato o finanziato gruppi terroristici;
   se non intenda assumere iniziative, anche in collaborazione con gli altri partner internazionali per interrompere i flussi di finanziamento a Daesh, prevedendo rigide sanzioni per gli Stati che finanziano direttamente o indirettamente il terrorismo o che facilitano, con legislazioni «opache», la raccolta di donazioni «private» destinate alle organizzazioni terroristiche;
   quali iniziative intenda adottare per arginare il flusso dei foreign fighters e soprattutto se non intenda assumere iniziative politico-diplomatiche nei confronti della Turchia e se non ritenga opportuno chiedere che al confine tra Turchia e Siria venga dislocato un controllo internazionale della frontiera sotto mandato dell'ONU.
(2-01188) «Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zaratti, Zaccagnini».

Interrogazione a risposta scritta:


   SBERNA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo alcuni organi stampa e trasmissioni televisive, negli ultimi cinque anni, l’export italiano di armi verso Medio Oriente e Nord Africa è cresciuto del 30 per cento; non da ultimo il cargo 4K-SW888 Boeing 747 della compagnia aerea Silk Way Airlines, decollato da Cagliari il 30 ottobre 2015 carico, secondo le organizzazioni non governative, di diverse tonnellate di bombe della RWM Italia destinate all'Arabia Saudita/paese guida della coalizione che – senza mandato internazionale – sta bombardando lo Yemen;
   in Yemen è in corso un conflitto che ha già causato più di 5.700 morti di cui almeno 830 tra donne e bambini e 20 mila feriti. Una vera e propria «catastrofe umanitaria», con oltre un milione di sfollati e 21 milioni di persone che necessitano di urgenti aiuti. Sui molteplici attacchi indiscriminati contro le infrastrutture civili, in particolare quelle sanitarie e le scuole ha espresso una grande preoccupazione anche il Consiglio, Europeo. Sotto le bombe a Sa'dah, il 26 ottobre 2015 è infatti finito anche un ospedale di Medici senza frontiere;
   la Rete italiana per il disarmo, Amnesty International Italia e l'Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di difesa e sicurezza (OPAL) di Brescia hanno chiesto al Governo di sospendere l'invio di bombe e armamenti nei Paesi militarmente impegnati nel conflitto in Yemen, anche in osservanza della legge n. 185 del 1990 che vieta espressamente l'esportazione di armamenti «verso i Paesi in stato di conflitto armato;
   secondo l'Osservatorio Opal di Brescia, nell'ultimo quinquennio, le autorizzazioni all’export di armi da guerra a Paesi non dell'Unità europea, né della Nato sono salite al 62,9 per cento, e tra i primi 20 destinatari, solo 7 sono «democrazie complete» secondo la classifica del Democracy Index stilato dall'Economist. Amnesty International, inoltre, denuncia le incoerenze della comunità internazionale rispetto al tema delle violazioni dei diritti umani in Arabia Saudita. Da un lato, infatti, essa si mobilita contro il rischio che venga messo a morte un attivista minorenne e premia un blogger dissidente. Dall'altro, tace sui crimini di guerra commessi in Yemen e, anzi, li alimenta con trasferimenti irresponsabili di armi;
   assicurare la trasparenza in casi come questi, significa, secondo l'interrogante, specificare, ad esempio, il genere di «velivoli» utilizzati (se elicotteri per la ricerca di dispersi o Mangusta da attacco), i destinatari e il dettaglio delle operazioni bancarie (non si conosce, ad avviso dell'interrogante, la banca che gestisce le transazioni tra RWM e Arabia Saudita); in particolare, specificare se si tratti di esportazioni che rispondono a nuove e recenti autorizzazioni, oppure a quelle rilasciate negli anni scorsi, è assolutamente necessario in momenti come quello attuale in cui è elevato lo stato di preoccupazione a causa degli attacchi terroristici;
   non si può trascurare il fatto che, secondo un'analisi dell’Institute for economics and peace di Sidney, l'80 per cento delle vittime del terrorismo si verifica in Pakistan, Afghanistan, Irak, Siria e Nigeria. E, secondo molti analisti, l'Arabia Saudita ospita i finanziatori della guerra del Daesh contro Assad –:
   quali iniziative di competenza intendano promuovere per assicurare la trasparenza e una maggiore chiarezza in merito alla situazione descritta in premessa ed eventualmente, per bloccare la vendita di armi alla coalizione guidata dall'Arabia Saudita. (4-11327)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata:


   PALESE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in questo periodo si sta provvedendo ad adeguare all'indice Istat la tariffa che i comuni, quindi i cittadini, versano ai gestori degli impianti di conferimento per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti;
   tale adeguamento risulta particolarmente oneroso e sta causando notevoli preoccupazioni per numerosi sindaci pugliesi e della provincia di Lecce in particolare;
   i contratti sottoscritti dal commissario straordinario per l'emergenza rifiuti in Puglia con i soggetti gestori degli impianti complessi di biostabilizzazione di Poggiardo (Lecce), di Ugento (Lecce) e dell'impianto di produzione CDR di Cavallino (Lecce) prevedono una clausola di revisione della tariffa che così recita: «La tariffa sarà aggiornata, a partire dal 2o (secondo) anno di esercizio, entro il 28 (ventotto) febbraio di ciascun anno con conguaglio e valere dal 1o (uno) gennaio precedente sulla base dell'indice ISTAT dei prezzi della produzione dei prodotti industriali»;
   i soggetti gestori degli impianti, ai fini del calcolo della revisione tariffaria, rivendicano l'applicazione dell'indice Istat dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali – mercato interno, serie E «Fornitura di acqua; reti fognarie, attività di trattamento dei rifiuti e risanamento», in quanto trattasi di indice specifico riferito alla tipologia di attività svolta ed in quanto il loro codice Ateco di impianto è ricompreso nell'elenco di codici attribuiti al sopradetto indice;
   a seguito di specifiche analisi da parte della struttura tecnica dell'Ato della provincia di Lecce, è emerso che l'Istat nella formulazione dell'indice specifico di cui alla serie E non valuta le componenti di costo riferite ai servizi di trattamento e smaltimento dei rifiuti, bensì i costi riferiti ai servizi di fornitura delle acque; è stato posto all'Istat il seguente quesito: «Con riferimento all'Indice ISTAT dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali – Mercato interno, Serie E “Fornitura di acqua; reti fognarie, attività di trattamento dei rifiuti e risanamento” si chiede allo Spett.le Ente destinatario del presente quesito, se il suddetto indice fornisce informazione in merito alle variazioni mensili del costo del servizio di trattamento dei rifiuti. Si chiede, altresì, di conoscere i prodotti industriali valutati per la definizione dell'indice in questione con particolare riguardo alle attività di trattamento dei rifiuti»;
   al quesito formulato seguiva la seguente risposta: «In riferimento alla richiesta in oggetto si comunica che all'interno della sezione E “Fornitura di acqua; reti fognarie, attività di gestione dei rifiuti e risanamento”, dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali è quotata solo la divisione 36 che contempla la “Raccolta, trattamento e fornitura di acqua, quindi buona parte dell'articolazione tariffaria delle società che gestiscono la fornitura di acqua. Lo smaltimento dei rifiuti si trova nella Divisione 38 delle attività economiche che non è considerata nel campione dei prezzi alla produzione”»; ;
   un consorzio Ato della provincia di Lecce (ex Consorzio ATO LE/2), sempre in merito alla medesima problematica, poneva all'Istat il seguente quesito: «A quale categoria di indice nazionale devo fare riferimento per aggiornare una tariffa di conferimento ribiostabilizzatore ?». L'Istat così rispondeva: «Scusandoci per il ritardo nella risposta dovuto ad un errore nella segnalazione della richiesta pervenuta, le invio il file con gli indici dei prezzi e le variazioni tendenziali per la voce «raccolta dei rifiuti» (indice dei prezzi al consumo per l'intera collettività (base 2010=100)). È l'unico indice diffuso sulla raccolta rifiuti»;
   le riflessioni effettuate dai tecnici Ato in merito all'attinenza della serie E dell'indice Istat dei prezzi della produzione dei prodotti industriali con le attività di trattamento e smaltimento dei rifiuti sono state confermate dall'Istat specificando che, pur con una denominazione riferita alle «attività di trattamento dei rifiuti e risanamento», la formulazione dell'indice prende in considerazione esclusivamente l'articolazione tariffaria delle società che effettuano attività di «raccolta, trattamento e fornitura di acqua»;
   emergerebbe, pertanto, in maniera evidente come l'applicazione dell'indice Istat dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali – mercato interno, serie E «Fornitura di acqua; reti fognarie, attività di trattamento dei rifiuti e risanamento» al settore dell'impiantistica del trattamento e smaltimento dei rifiuti risulti non rispondente alle reali variazioni tariffarie che interessano quest'ultimo settore;
   altrettanto, inappropriata potrà essere l'applicazione dell'unico indice Istat sui rifiuti «raccolta dei rifiuti» (indice dei prezzi al consumo per l'intera collettività (base 2010=100)), in quanto riferibile a tipologie di servizi completamente diversi dal trattamento/smaltimento dei rifiuti;
   infine, si rileva come l'indice Istat dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali – Mercato interno, serie E «Fornitura di acqua; reti fognarie, attività di trattamento dei rifiuti e risanamento» risulta essere caratterizzato da variazioni estremamente rilevanti nei valori mensili con conseguenti sopravvalutazioni delle variazioni tariffarie di conferimento dei rifiuti solidi urbani –:
   alla luce delle problematiche e delle incongruenze sollevate dall'Ato della provincia di Lecce e, di fatto, in parte condivise anche dall'Istat, se il Governo non ritenga di doversi adoperare affinché venga fornito, agli enti pubblici, un indice che possa essere espressione reale delle variazioni tariffarie che interessano gli impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, calcolato sulla base delle effettive variabili di costo che interessato tale settore. (3-01885)


   ZARATTI, PELLEGRINO, MELILLA, SCOTTO, ZACCAGNINI e KRONBICHLER. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 30 novembre 2015, è iniziata a Parigi la Conferenza Onu sul clima COP 21, che si concluderà l'11 dicembre. Partecipano 147 Capi di Stato e di Governo e 195 delegazioni nazionali, con l'obiettivo auspicato di arrivare a un accordo universale, con obblighi precisi e costrittivi per i tutti i Paesi, per limitare il riscaldamento climatico;
   durante la prima giornata dei lavori, il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi ha dichiarato che «l'Italia vuole stare tra i protagonisti della lotta all'egoismo, dalla parte di chi sceglie valori non negoziabili come la difesa della nostra madre terra. (...) Siamo tra i protagonisti della green economy»;
   tra le sue dichiarazioni, spicca quella nella quale il Presidente del Consiglio dei ministri afferma che «con la legge di stabilità abbiamo stanziato 4 miliardi sul climate change da qui al 2020»;
   dalla lettura della legge di stabilità, in queste ore all'esame del Parlamento, non emerge alcuno stanziamento consistente per la lotta ai cambiamenti climatici, e men che meno i 4 miliardi dichiarati dal Presidente del Consiglio dei ministri;
   peraltro, le scelte finora decise dal Governo in materia di sviluppo sostenibile indicano una direzione diversa da quella di incentivare le energie alternative e di abbandonare gradualmente l'uso dei combustibili fossili;
   la strategia energetica nazionale prevede sì un capitolo rinnovabili ma si basa ancora sul petrolio e sulla riduzione degli incentivi alle fonti energetiche rinnovabili. E in questa direzione va tutta l'azione di Governo;
   se le fonti rinnovabili hanno avuto un ruolo affatto trascurabile nel panorama energetico nazionale, lo si deve – pur con tutti i loro limiti – alle incentivazioni introdotte nei Governi Prodi;
   nella XVII legislatura si è invece assistito a un costante ridimensionamento, fino all'azzeramento degli incentivi per il fotovoltaico, e a interventi di annacquamento degli stessi diritti acquisiti dagli operatori delle rinnovabili, attraverso il cosiddetto decreto «spalma-incentivi» che ha cambiato «in corso d'opera», con evidenti elementi di incostituzionalità, il sistema di incentivazione alla corrente prodotta dal fotovoltaico;
   il nostro Paese continua invece a sostenere e mantenere con sussidi e diversi regimi di incentivazione la produzione di combustibili fossili: dal CIP6; ai termovalorizzatori; all'autotrasporto; all'approvvigionamento dei servizi di interrompibilità ed altro;
   in controtendenza alla Conferenza di Parigi, il decreto-legge «sblocca Italia» ha, quindi, dato il via a misure volte ad agevolare – scavalcando le regioni – decreti di compatibilità ambientale per nuovi permessi di ricerca e concessioni di estrazione petrolifera;
   «Ombrina mare», progetto di estrazioni petrolifere nell'Adriatico al largo dell'Abruzzo, è in attesa dell'imminente concessione; il progetto ’Vega B’ nel Canale di Sicilia; decreti di compatibilità ambientale per nuovi progetti di ricerca ed estrazione petrolifera per la Shell nel golfo di Taranto che si aggiungono a quelli che già ci sono. Solo la Puglia è stata interessata ultimamente da 4-5 decreti di compatibilità ambientale per ottenere il rilascio dei titoli minerari; il progetto di prospezione della società inglese Spectrum Geo nel Mare Adriatico è il più grande in assoluto ed altro;
   è peraltro di queste ore il rapporto dell'Agenzia europea dell'Ambiente (Aea), secondo il quale l'Italia è il primo tra i paesi dell'Unione europea per morti per inquinamento atmosferico. Nel 2012 in Italia ci sono stati 84.400 decessi su un totale di 491 mila vittime a livello di Unione europea –:
   dove siano rinvenibili i 4 miliardi fino al 2020 stanziati dal Governo per la lotta ai cambiamenti climatici, secondo le dichiarazioni richiamate in premessa, e se non si ritenga indispensabile, anche alla luce di quanto esposto in premessa, avviare tutte le iniziative necessarie per rendere finalmente le politiche del Governo pienamente coerenti con gli obiettivi della Conferenza di Parigi. (3-01886)


   GIGLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il ritardo dell'Italia nel ciclo del rifiuto urbano costa caro: si tratta di una grande opportunità che rischia di andare persa non solo sul fronte dell'ambiente, ma anche per quanto riguarda la crescita economica e occupazionale;
   questo è l'allarme lanciato da uno studio, pubblicato nell'aprile 2015, del Laboratorio Spl (Servizi pubblici locali) di Ref Ricerche-Confesercenti, il quale precisa, altresì, che da un miglioramento del ciclo di trattamento dei rifiuti urbani si possono attendere 10 miliardi di euro di risparmi di costo all'anno e la creazione di 60 mila posti nel riciclo e nel trattamento. Il solo recupero energetico dei rifiuti smaltiti in discarica vale un miliardo di euro all'anno;
   nel confronto europeo il Paese, secondo lo studio citato, non è tra i virtuosi: ad esempio, nell'Unione europea a 28 membri, a fronte di una produzione di rifiuti pari a 489 chilogrammi per abitante, l'Italia si situa a quota 505 chilogrammi. Inoltre riesce a trattarne solo 476 chilogrammi per abitante, ossia il 94 per cento (davanti solo a Bulgaria, Slovenia, Romania, Polonia ed Estonia), mentre una dozzina di Paesi arriva al 100 per cento. Ma c’è di peggio: il 41 per cento delle frazioni trattate va a finire ancora in discarica (contro una media europea del 34 per cento e una Germania a zero) ed è fermo al 18 per cento il ricorso al trattamento termico, contro un valore medio del 27 per cento nell'Unione europea a 28, con Danimarca e Olanda al 52 e al 49 per cento;
   questi dati spiegano anche il perché delle numerose procedure di infrazione relative alla normativa comunitaria a carico dell'Italia in materia ambientale, mentre è chiaro che, se oltre il 40 per cento dei rifiuti urbani viene smaltito in discarica, non si favorisce alcuna iniziativa verso soluzioni in grado di generare qualità, crescita e valore per la collettività. Tutto questo nonostante che la direttiva del 1999 abbia imposto la chiusura delle discariche non a norma e abbia vietato di smaltire in discarica i rifiuti urbani non trattati;
   l'articolo 35 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164 (cosiddetto «Sblocca Italia»), prevede la realizzazione di una rete nazionale integrata di impianti di trattamento, la cui individuazione è stata affidata alla Presidenza del Consiglio dei ministri, superando in tal modo i problemi di coordinamento tra gli attori in campo (regioni, enti locali, gestori);
   dal punto di vista geografico la situazione attuale è molto eterogenea: dei 44 impianti di incenerimento attivi, 28 sono al Nord, nove al Centro e otto al Sud. In parallelo con lo sviluppo infrastrutturale cala il ricorso alla discarica: vi è conferito il 20 per cento dei rifiuti urbani al Nord, contro il 56 per cento al Sud e il 44 per cento al Centro. Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Veneto sono le aree più virtuose (rispettivamente 10 per cento, 7 per cento e 9 per cento). Sul lato opposto finiscono in discarica il 93 per cento e il 71 per cento dei rifiuti in Sicilia e in Calabria;
   tale disomogeneità si riflette anche sul piano degli oneri medi di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani, passando dai 34 ai 33 eurocent al chilogrammo al Sud e al Centro, mentre il Nord resta sotto i 29;
   la Conferenza mondiale sul clima attualmente in corso a Parigi ribadisce con forza la necessità non più procrastinabile di attuare politiche di salvaguardia dell'ambiente, con particolare riferimento ad un utilizzo sempre maggiore delle energie rinnovabili;
   nel campo delle energie rinnovabili il nostro Paese ha fatto molto ma può fare di più anche in considerazione delle sua caratteristiche climatiche;
   se la discarica resterà la modalità di trattamento più conveniente, questo significherà l'invio di segnali tariffari che non incentiveranno gli operatori (gestori e utenti) a prendere altre direzioni, in grado di generare qualità, crescita e valore per la collettività, come testimoniano alcune aziende già esistenti, eccellenze in ambito nazionale e internazionale. Per un Paese che è la patria del bello, della buona alimentazione e del turismo, l'ambiente deve essere il centro di una strategia industriale, un volano di sviluppo –:
   quali tempestive iniziative, nell'ambito delle sue competenze, intenda adottare al fine di promuovere l'ottimizzazione del ciclo del rifiuto urbano, dando seguito – altresì – a quanto previsto dal citato articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014 in un'ottica di tutela dell'ambiente ma anche di crescita occupazionale ed economica. (3-01887)


   BORGHESI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.— Per sapere – premesso che:
   la direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, oggi direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009, concerne la conservazione di tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato;
   nessun articolo della direttiva uccelli 2009/147/CE vieta espressamente il commercio tout court di tutte le specie di uccelli legittimamente allevate ed importate dai Paesi extraeuropei, ne tantomeno nessuna sentenza o normativa europea o internazionale lo ha richiesto;
   l'articolo 21 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, così come modificato dal decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, concernente «Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea», vieta a chiunque di vendere, detenere per vendere, trasportare per vendere, acquistare uccelli vivi o morti, nonché loro parti o prodotti derivati facilmente riconoscibili, anche se importati dall'estero, appartenenti a tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri dell'Unione europea, ad eccezione di germano reale, pernice rossa, pernice di Sardegna, starna, fagiano e colombaccio;
   di fatto, questa normativa impedisce di cucinare in tutti i luoghi pubblici il secolare e tradizionale spiedo bresciano, la polenta e osei bergamasca, piuttosto che tutti i piatti tradizionali tipici dell'arte culinaria di molte province italiane che hanno come ingrediente fondamentale la piccola selvaggina, una vera e propria «ghigliottina» per i ristoratori bresciani;
   tutto ciò non lascia molti spazi d'azione a centinaia di ristoratori che hanno impostato la loro attività su di un'arte culinaria con piatti tipici locali nei quali figurano i piccoli volatili. Il danno economico e sociale che sta creando la norma, così modificata, a migliaia di esercenti e ristoratori anche in termini di posti di lavoro, è di estrema gravità – negli ultimi due anni, ha prodotto un conseguente danno economico quantificato in un mancato incasso di circa il 40 per cento – mettendo così a rischio di chiusura moltissime attività commerciali con il conseguente licenziamento di migliaia di dipendenti;
   in un momento di crisi economica come quella che si sta affrontando, pensare di vietare senza motivo il commercio di uccelli o parti di essi legittimamente catturati o abbattuti in altri Paesi, a parere degli interroganti è poco lungimirante e sicuramente dannoso per l'economia del nostro Paese;
   durante la discussione in Parlamento della legge europea 2014, risulta agli interroganti che il Governo, visto che la questione non è priva di interesse ed è invece meritevole di approfondimenti, abbia assunto un impegno formale per creare un «tavolo tecnico», dove dovrebbero essere coinvolti province, comuni, associazioni di categoria e rappresentanti della Camera di commercio;
   nel mese di luglio 2015 a Brescia si è svolto un incontro alla presenza del Ministro interrogato dove sembra che questi abbia invitato le associazioni e i ristoratori a fornire un contributo tecnico, raccogliendo quanti più dati e informazioni possibili a difesa del piatto nostrano, al fine di poter trattare con l'Unione europea una deroga per i territori che utilizzano questo piatto tipico, per rimarcare una presenza non solo produttiva ma anche di tradizione e territorialità –:
   quale sia lo stato dei lavori del sopra citato «tavolo tecnico» e a quale soluzione si voglia addivenire per risolvere il problema, anche in sede europea. (3-01888)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ANDREA MAESTRI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio compreso tra Roccasecca, Colfelice, San Giovanni Incarico e Pontecorvo, nella provincia di Frosinone, è presente una situazione estremamente preoccupante per la tutela del territorio e per la salute dei cittadini dovuta dalla presenza degli impianti di gestione e trattamento dei rifiuti gestiti dalle società MAD s.r.l. e SAF s.p.a.;
   la discarica di Cerreto, località sita all'estremo margine del comune di Roccasecca, nasce nel 2002, quando il presidente della giunta regionale del Lazio, nella sua qualità di commissario delegato per l'attuazione degli interventi per il superamento dell'emergenza socio-economico-ambientale nel settore dei rifiuti urbani, speciali e speciali pericolosi nel territorio della città di Roma e provincia, nonché nelle province di Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo, con ordinanza n. 2 del 28 novembre 2002, approvò il progetto per la realizzazione e la gestione di una discarica provvisoria per rifiuti urbani e assimilati sita in Roccasecca (Frosinone), località Cerreto;
   la suddetta ordinanza disponeva: «con separato decreto l'avvio delle procedure per la progettazione, realizzazione e gestione dell'intera discarica definitiva comprensoriale della provincia di Frosinone che verrà affidata nel rispetto di procedure che, pur adeguando taluni profili operativi all'eccezionalità della situazione, garantiscono, in ogni caso, il necessario confronto concorrenziale tra gli operatori del settore». Il suddetto separato decreto non è stato mai emanato dal presidente della giunta regionale del Lazio, in qualità di commissario delegato;
   in nome dell'emergenza, grazie ai poteri straordinari, ad avviso degli interroganti, si sono di fatto ignorate tutte le leggi di tutela ambientate e alla salute. Ai cittadini residenti nei territori limitrofi agli impianti di Colfelice e Roccasecca si sono imposte decisioni, non è mai stata garantita un'informazione preventiva e mai è stata permessa una partecipazione effettiva nei percorsi di definizione e di attuazione dei piani e dei progetti sulla gestione dei rifiuti;
   dal 2002 ad oggi, sono stati creati ben 4 invasi con due soli risultati: il deturpamento dei territori di Roccasecca, Colfelice, San Giovanni Incarico e dei comuni attigui, e la contaminazione dell'area da sostanze tossiche rischiose per la salute umana, oltre che per l'ambiente;
   all'ingente carico ambientale dovuto dall'attività della discarica Cerreto è necessario aggiungere, inoltre, l'immenso lavoro dell'impianto TMB (trattamento meccanico biologico) di Colfelice, situato ad appena 100 metri dalla discarica, che oltre al trattamento dei rifiuti della Ciociaria, da circa 2 anni riceve anche l'immondizia da Roma;
   il 22 aprile 2015 è apparso sul sito della regione Lazio – sezione ambiente, il progetto per l'ampliamento della discarica di rifiuti non pericolosi Bacino V in Località Cerreto, a Roccasecca (Frosinone). La richiesta avanzata da MAD s.r.l. prevede 4,5 ettari da destinare a discarica, 500 tonnellate al giorno di rifiuti, un volume finale complessivo pari ad 1 milione di metri cubi;
   nella sintesi non tecnica allegata alla richiesta della MAD è scritta una motivazione agghiacciante che ha sollevato preoccupazioni e proteste da parte della popolazione residente. Nella sintesi è così scritto: «Proprio la vicinanza dell'impianto di Colfelice ha rappresentato, e tutt'oggi ancora rappresenta, fattore trainante e di ottima ratio logistica oltre che di ottimizzazione di impatto ambientale piuttosto che non effetto cumulo con accezione “negativa”: come già più volte evidenziato, infatti, la maggior parte delle volumetrie in ingresso all'impianto di Cerreto (che non meno del 50 per cento) sono costituite proprio dai cosiddetti “sovvalli” che rappresentano, in sostanza, lo scarto delle lavorazioni operate presso l'impianto di pretrattamento di Colfelice [...] si riscontrano una serie di elementi di indubbia positività che appaiono chiaramente dare giustificazione ambientalmente ottimale al prospettato intervento. [...] L'intera area di impianto, e quindi anche l'ampliamento di cui trattasi, trovano collocazione all'interno di una realtà territoriale già fortemente compromessa dall'uomo, ancor prima dell'insorgenza delle pioniere realizzazioni impiantistiche. Dal punto di vista della qualità ambientale tale circostanza costituisce, anzitutto e di per sé stessa, un fatto positivo per l'evidente motivo legato al consumo di territorio già compromesso piuttosto che non di altro territorio potenzialmente vocato a sfruttamenti “maggiormente nobili” rispetto a quello di cui trattasi». Come se non bastasse, c’è dell'altro: «Per quanto riguarda, invece, la produzione futura sia di percolato sia di biogas, i quantitativi di tali sostanze potenzialmente impattanti sono inevitabilmente destinati a crescere (p. 71)» e «si può presumere che l'impianto in questione produrrà senz'altro odori, per il tipo specifico di rifiuti smaltiti. [...] In particolare, le esalazioni maleodoranti e mefitiche, provenienti dalle sostanze organiche  depositate, sono dovute a gas prodotti durante la decomposizione delle sostanze stesse»;
   da un recente Rapporto Arpa Lazio sulla discarica MAD viene rilevato che:
    dall'esame dei risultati relativi al campionamento delle acque di prima pioggia in corrispondenza del punto di scarico denominato MI1 effettuato in data 15 gennaio 2013, si evince un valore del parametro «Azoto Ammoniacale» pari a 15.5 mg/l, superiore al valore limite prescritto, fissato dalla Tabella 3 Allegato 5 parte III del decreto legislativo n.152 del 2006 e smi, pari a 15 mg/l per gli scarichi in corpi idrici superficiali;
    è presente uno scarico non autorizzato. Dal campionamento delle acque di scarico nel punto denominato «SF2» effettuato in data 12 novembre 2014 si rileva che il suddetto punto di scarico non risulta autorizzato sulla base della determinazione n. C2099/2010. Trattasi, pertanto, salvo diversa indicazione e valutazione che potrà, allo scopo, fornire la regione Lazio quale autorità competente, di uno scarico in corpo idrico superficiale non autorizzato;
    dall'esame dei risultati delle analisi trasmesse dalla Ditta MAD srl sono stati riscontrati per i parametri «Ferro, Manganese, Arsenico, Nitriti, Solfati» valori di concentrazioni superiori alle concentrazioni soglia di contaminazione nelle acque sotterranee previste dalla legge;
   inoltre, l'Arpa aggiunge che: «Nonostante nel corso dei citati monitoraggi delle acque di falda siano stati riscontrati valori superiori alle concentrazioni soglia di contaminazione previste dalla Tabella 2 – Allegato 5 alla Parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, non risulta che la Ditta abbia attivato le procedure previste dalla normativa vigente in materia di bonifica dei siti contaminati»;
   il 4 giugno 2015 il NOE (nucleo operativo ecologico) di Roma veniva investito di delega indagini dalla pocura della Repubblica presso il tribunale di Cassino, circa la compromissione delle acque di falda sottostanti la zona sulla quale insistono gli impianti di gestione rifiuti RS, in particolare il sito di discarica gestito dalla società MAD s.r.l. e l'impianto di trattamento TMB gestito dalla società SAF s.p.a.;
   il nucleo operativo ecologico, in seguito a un sopralluogo congiunto con Arpa Lazio, ha confermato i preoccupanti dati già forniti in precedenza dall'agenzia regionale e, in data 3 settembre 2015, ha inviato una comunicazione ai sindaci di Roccasecca, di Colfelice e di San Giovanni Incarico, oltre che alla provincia di Frosinone e alla regione Lazio, comunicando i risultati delle sue indagini. Nella sua relazione dichiara: «I dati ottenuti dalle analisi di laboratorio hanno riscontrato nelle acque sotterranee valori di concentrazione superiori ai valori limite stabiliti pari alle concentrazioni soglie di contaminazione prescritte di cui alla Tabella 2 Allegato 5 al Titolo V alla parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006 e s.m.i. Alla luce di essi l'area in questione è potenzialmente contaminata e presenta degli indici di rischio per la salute umana, oltre che per l'ambiente»;
   sia la relazione dei Noe, sia il precedente rapporto dell'Arpa sono stati messi in dubbio dalla regione Lazio, che ha convocato per il prossimo 4 dicembre 2015 un tavolo tecnico per rivalutare i valori di fondo per verificare l'esattezza dei dati emersi;
   alla luce di quanto emerso, per gli interroganti è incomprensibile pensare di autorizzare un ulteriore ampliamento della discarica Cerreto. Nel 2015 un sistema di rifiuti efficiente non può e non deve essere basato sull'utilizzo delle discariche, che rappresentano un retaggio del passato, altrove ampiamente superato (questa in discussione è per esempio destinata ad esaurirsi in 68 mesi), mentre è prioritario difendere il territorio e proporre modelli di gestione completamente diversi, moderni ed efficienti, in cui i rifiuti possano essere finalmente considerati come una risorsa e la tutela dell'ambiente la condizione imprescindibile per qualsiasi ulteriore discorso –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione oggetto di cui in premessa e delle legittime richieste e preoccupazioni degli abitanti del Frusinate per la propria salute e per la tutela del loro territorio e, nell'ambito delle sue competenze, quali iniziative intendano assumere per approfondire i dati diffusi a seguito del sopralluogo congiunto del nucleo operativo ecologico e dell'Arpa Lazio, messi in dubbio dalla regione Lazio. (4-11328)


   SORIAL, ALBERTI e COMINARDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la tangenziale-circonvallazione che unisce Orzivecchi a Pompiano è un'opera costata 9 milioni di euro e sequestrata nel 2010 da parte del nucleo operativo ecologico del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare causa delle scorie smaltite nel sottofondo stradale;
   la variante della provinciale 235 di Orzivecchi nel 2009 era stata affidata a un consorzio di imprese riconducibili al gruppo Locatelli di Bergamo, lo stesso che in quei mesi stava lavorando sui cantieri dell'autostrada Brebemi;
   in data 3 novembre 2015 si è concluso il processo in primo grado con cui l'imprenditore bergamasco Pierluca Locatelli è stato condannato a 6 anni per i reati di frode in pubbliche forniture e traffico illecito di rifiuti: secondo quanto emerso dal processo, in quel tratto di strada si troverebbero 187 mila tonnellate di scorie di fonderia che devono essere smaltite facendo lievitare i costi a oltre 10 milioni di euro, per ultimare l'opera e poter ottemperare alla bonifica delle sostanze rinvenute, quali cromo esavalente e fluoruri; 
   la provincia, che aveva chiesto 14 milioni di euro danni se ne è vista riconosciuti dalla sentenza complessivamente 627 mila, cifra decisamente insufficienti a coprire i 10 milioni di euro che servirebbero per la bonifica e la conclusione dell'opera, e che non basterebbero nemmeno a finire i lavori di asfaltatura;
   secondo fonti di stampa, in un documento del settore viabilità della provincia di Brescia, i tecnici hanno evidenziato che l'opera andrà completamente demolita e ricostruita e il materiale dovrà essere smaltito in discarica come rifiuto: «Il poco fatto era talmente pessimo che deve essere distrutto e rifatto di sana pianta – ha sottolineato il pubblico ministero Silvia Bonardi davanti ai giudici del Tribunale di Bergamo nella sua requisitoria – così si buttano i soldi nel nostro Paese»;
   il giudice del tribunale di Bergamo, Vito Di Vita, non ha ordinato il ripristino dello stato dell'ambiente e non ha imposto la bonifica;
   secondo il capitolato d'appalto, la tangenziale di Orzivecchi doveva essere costruita con la ghiaia estratta da una cava, ma le imprese Origini Srl, Locatelli Geom. Gabriele Srl e Tecnofrese Srl, che si sono aggiudicate i lavori, hanno miscelato la ghiaia con scorie di fonderia: per anni avrebbero trasportato e trasferito scorie industriali, chimiche e siderurgiche, rifiuti e scarti arrivati anche da fuori provincia e da fuori regione;
   l'uso delle scorie sarebbe stato reso possibile da una variante in corso d'opera (il «verbale di concordamento nuovi prezzi» del 2 dicembre 2009) firmata da un funzionario della provincia di Brescia imputato nel processo per truffa e frode;
   secondo la ricostruzione del pubblico ministero gli scarti delle fonderie bresciane, contaminate principalmente da cromo esavalente e fluoruri, anziché essere trattati da Locatelli nel suo impianto bergamasco di Biancinella, finivano direttamente in cantiere o passavano nell'impianto solo per pochi minuti, giusto il tempo di cambiare la bolla di trasporto;
   occorrerebbe chiarire in che modo si intenda procedere e quali siano i tempi previsti per portare a compimento le necessarie operazioni di bonifica –:
   se i Ministri in indirizzo siano al corrente dei fatti esposti in premessa;
   se il Governo non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza anche per il tramite dell'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale e l'istituto superiore di sanità; per approfondire l'analisi della situazione ambientale e i relativi potenziali danni per la salute degli abitanti della zona dovuti alla presenza delle scorie pericolose, tra cui, in particolare, cromo esavalente e floruro e in che modo intendano informare la cittadinanza circa i possibili pericoli relativi alla presenza di tali sostanze, per salvaguardarne al salute;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, per limitare la produzione di scorie di fonderia e per escludere totalmente la possibilità di utilizzare rifiuti, ed in particolare tali scorie di fonderia, su aree non destinate al loro smaltimento o come inerti per fondi stradali. (4-11335)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   MERLO e BORGHESE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in Europa e nel mondo ci si chiede che ruolo, oggi, giocherà il patrimonio artistico-culturale della maggior parte delle città culturali dell'Italia, nella società futura;
   la questione del patrimonio artistico-culturale è particolarmente attuale nell'agenda politica in Italia, in ragione di quella che appare agli interroganti una cieca politica di drastici tagli che la prossima legge di stabilità si prepara ad attuare per la cultura, partendo anche dalla privatizzazione del patrimonio culturale e dall'alleggerimento degli enti di tutela storica attualmente vigenti;
   nel nostro Paese, il patrimonio storico-artistico, però, appartiene in parte a cittadini privati che si trovano allo stato di fatto, in una situazione preoccupante e ciò anche a causa di inadempienza e disapplicazioni di leggi precedentemente emanate;
   non è stato corrisposto ai proprietari interessati quanto dovuto (circa 100 milioni di euro a quanto consta agli interroganti), a titolo di contributo ex articolo 31 del decreto legislativo n. 42 del 2004 per gli interventi di restauro o conservativi autorizzati e già collaudati da diversi anni, eseguiti su beni d'interesse storico-artistico –:
   quale sia la ragione per la quale i fondi di cui in premessa non sono stati erogati ai proprietari che ne avevano diritto;
   se non ritenga che debbano essere elargiti almeno acconti a coloro che, pur avendone diritto, ancora non hanno ricevuto nulla, così da poter permettere ai proprietari di tali beni storici, specialmente nelle più belle città storiche d'Italia, la loro conservazione, in modo da non provocare ulteriori deterioramenti di beni che vengono amati da tutto il mondo per la loro bellezza storica. (4-11325)


   GAGNARLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la recente inaugurazione del Museo della Città di Cortona, dove sono collocati numerosi reperti provenienti dalle aree di Camucia negli anni passati oggetto di danneggiamenti collegati a cantieri edili, ha riproposto all'attenzione dell'opinione pubblica la vastità dell'area archeologica camuciese e la grande occasione perduta a causa dell'ignavia di chi doveva esercitare la tutela di tale patrimonio culturale;
   in una lettera inviata al Ministro interrogato, lo storico e studioso aretino Santino Gallorini ha ripercorso nel loro complesso le varie scoperte per rendere tutti consapevoli del danno ormai fatto e per cercare, quindi, di evitare che nel futuro accadano fatti simili;
   fin dall'Ottocento, scrive Gallorini, archeologi illustri o semplici abitanti, spesso in maniera casuale, hanno effettuato ritrovamenti di oggetti, di tombe, di epigrafi ed altri materiali davvero importanti. Si potrebbe accennare al tumulo funerario, detto il Melone di Camucia, scavato nel 1842 da Alessandro François, alla corniola con incise le lettere PEL I UST, alle tombe ad inumazione presso la Fonte di Boarco, contenenti bronzi, al sepolcro «con pietre grandissime» ed un «orciolo» rinvenuto presso la via per Cortona, all'epigrafe circolare su lastrone di arenaria, alle varie tombe romane alla cappuccina rinvenute nel XX secolo nelle proprietà Bistarelli e Schippa;
   di recente si sono aggiunte le più clamorose scoperte della cosiddetta Tabula Cortonensis, la ormai celebre lastra di bronzo contenente ben 40 righe di testo etrusco rinvenuta da Giovanni Ghiottini, e della vasta area sacra di Camucia situata a cavallo della strada statale 71, dopo il centro del paese, andando verso Terontola, un abitato immerso in un'area ricca di santuari e strutture culturali abbraccianti un vastissimo arco temporale;
   in due siti archeologici individuati, scrive lo storico aretino, lo scavo stratigrafico è stato fatto solo dopo che le ruspe avevano pesantemente devastato il contesto e quindi le testimonianze, che potenzialmente potevano essere restituite dalle aree archeologiche, sono state in buona parte distrutte (http://www.informarezzo.com);
   in questi giorni a Camucia si rinnova il rischio, per l'ennesima volta, di ripetere la distruzione o obliterazione di strutture archeologiche tardo etrusche, ed il comune di Cortona dovrebbe farsi portatore dell'interesse al recupero nei luoghi deputati alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio storico e artistico;
   è noto che, su chi dirige i siti archeologici e su chi vigila, vengono esercitate forti pressioni dettate dall'impulso imprenditoriale; tuttavia, sui due appezzamenti di territorio rimasti liberi che rientrano in quell'area di rilevanza archeologica individuata a monte e a valle della strada statale 71, uno pubblico (la Maialina) e uno privato, è necessario alzare il livello di attenzione;
   il sistema legislativo italiano prevede, con l'articolo 840 del codice civile, che «La proprietà del suolo si estende al sottosuolo, con tutto ciò che vi si contiene, e il proprietario può fare qualsiasi escavazione od opera che non rechi danno al vicino. Questa disposizione non si applica a quanto forma oggetto delle leggi sulle miniere, cave e torbiere. Sono del pari salve le limitazioni derivanti dalle leggi sulle antichità e belle arti, sulle acque, sulle opere idrauliche e da altre leggi speciali. In virtù di tale disposizione il proprietario del suolo non può opporsi ad attività di terzi che si svolgano a tale profondità nel sottosuolo o a tale altezza nello spazio sovrastante...»;
   a monte della strada statale 71 sono stati recentemente eseguiti, come previsto dal piano regolatore, dei saggi esplorativi sotto la supervisione della Sovrintendenza durante i quali ci sono stati dei primi ritrovamenti, prelevati e trasferiti altrove per il loro studio e datazione;
   si ritiene, insieme all'Associazione tutela Valdichiana ed allo storico aretino Santino Gallorini, che quest'area non debba essere sottratta alla comunità camuciese, che debba essere esplorata e recuperata al godimento pubblico e alla storia ed eventualmente trasformata in un parco archeologico fruibile a tutti –:
   se il Ministro interrogato non ritenga urgente intervenire, nell'ambito delle sue competenze, per assicurare un'efficace controllo delle tutele previste dalle leggi vigenti, al fine di salvaguardare questo ultimo fazzoletto dell'area sacra etrusca di Camucia da ulteriori cementificazioni.
(4-11330)

DIFESA

Interrogazione a risposta immediata:


   VITO, BRUNETTA e VELLA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   dal 19 febbraio 2012, i due fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, sono trattenuti ingiustamente e illegalmente in India, salvo il permesso per motivi di salute dato il 12 settembre 2014 a Massimiliano Latorre di rientrare in Italia per un periodo di quattro mesi, per curarsi da un ictus che lo ha colpito, permesso successivamente prorogato e che scadrà a metà gennaio 2016;
   solo in data 26 giugno 2015 è stato attivato l'arbitrato internazionale sul caso dei marò nel quadro della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, rivolgendosi, quindi, al Tribunale internazionale del diritto del mare di Amburgo;
   nel frattempo Salvatore Girone ha contratto un'infezione da virus dengue e gli aspetti sanitari subentrati a seguito dell'infezione hanno accresciuto le ragioni per le quali si contestano i vincoli imposti dall'India alla libertà di movimento del fuciliere, che potrebbe, restando nella stessa zona sub-tropicale, avere una recidiva con gravi conseguenze sulla sua salute;
   organi di stampa hanno riportato che la prova dell'innocenza dei due marò italiani prigionieri in India è contenuta negli stessi documenti che lo Stato indiano ha depositato ad Amburgo presso il Tribunale internazionale del diritto del mare –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo, anche in sede di arbitrato internazionale in corso, per il rapido e definitivo rientro dei fucilieri italiani di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. (3-01883)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BASILIO, RIZZO, CORDA, FRUSONE e TOFALO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la legge 12 gennaio 2015, n. 2, recante «Modifica all'articolo 635 del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e altre disposizioni in materia di parametri fisici per l'ammissione ai concorsi per il reclutamento nelle Forze armate, nelle Forze di polizia e nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco», entrata in vigore il 6 febbraio 2015, introduce un nuovo importante principio nei criteri di selezione per il reclutamento del personale delle Forze armate, rappresentato dalla valutazione di parametri fisici correlati alla composizione corporea, alla forza muscolare ed alla massa metabolicamente attiva;
   i predetti nuovi criteri, che sostituiscono – di fatto superandolo – il precedente requisito «oggettivo» dei limiti di altezza, dovranno essere specificati con apposito regolamento attuativo, da adottarsi entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge, di concerto con i Ministri della difesa, dell'interno, dell'economia e delle finanze e delle politiche agricole, alimentari e forestali;
   nel corso della conferenza stampa tenuta a margine della seduta del Consiglio dei ministri del 31 luglio 2015, il Presidente del Consiglio ha espressamente annunciato l'adozione, entro breve tempo, del regolamento attuativo alla legge n. 2 del 2015;
   ad oggi, a distanza di oltre nove mesi dall'entrata in vigore della predetta legge e a distanza di oltre quattro mesi dall'annuncio alla stampa da parte del Presidente del Consiglio, il Governo non ha ancora provveduto all'adozione del regolamento attuativo;
   la mancata adozione del predetto regolamento in tempi brevi potrebbe generare una pericolosa, disparità di trattamento tra i partecipanti ai prossimi concorsi per l'accesso alle Forze armate, posto che continuerebbero ad essere applicati i parametri fisici dei limiti di altezza, pur essendo già in vigore una nuova legge dello Stato che di fatto li abolisce –:
   se il Governo intenda adottare il regolamento attuativo alla legge n. 2 del 2015 in tempi brevissimi, considerando che risultano già ampiamente superati i termini previsti dalla legge;
   in attesa delle nuove disposizioni regolamentari, quali parametri saranno adottati per l'ammissione ai concorsi di accesso alle Forze armate, al fine di evitare disparità di trattamento e forme di discriminazione tra i concorrenti, nel rispetto della legge vigente. (5-07132)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta immediata:


   PESCO, VILLAROSA, ALBERTI, RUOCCO, PISANO e FICO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, è stata data attuazione alla direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 82/891/CEE del Consiglio, e le direttive 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE, 2011/35/UE, 2012/30/UE e 2013/36/UE e i regolamenti (UE), n. 1093/2010 e (UE) n. 648/2012, del Parlamento europeo e del Consiglio;
   la Sezione III del Capo IV del Titolo IV del suddetto decreto legislativo ha introdotto nell'ordinamento giuridico nazionale la disciplina sul bail-in preposta a ripristinare il patrimonio delle banche e delle società finanziarie per il rispetto dei requisiti prudenziali mediante la riduzione del valore nominale degli strumenti finanziari e di deposito sottoscritti dai risparmiatori;
   lo strumento del bail-in, a giudizio degli interroganti, non è corretto sul piano morale nei confronti dei cittadini e soprattutto implica rilevanti questioni di legittimità costituzionale, infatti:
    a) potrebbe violare l'articolo 47 della Costituzione in quanto il primo comma del medesimo articolo sancisce esplicitamente: «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito». Da quanto si desume la Repubblica ha il dovere di incoraggiare e tutelare il risparmio, in ogni forma attraverso la quale viene depositato presso gli istituti di credito, ed a tal fine disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito. Quindi, giusto per precisare, l'esercizio del credito deve essere disciplinato, coordinato e controllato proprio al fine di non arrecare ogni genere di pregiudizio al risparmio (o meglio alla gestione del risparmio). Sulla base di quanto asserito non si esclude che la disciplina del bail-in possa dar seguito a numerose azioni giudiziarie preposte ad affermare l'inviolabilità delle disposizioni costituzionali;
    b) potrebbe violare l'articolo 42 della Costituzione in quanto il terzo comma del medesimo articolo sancisce esplicitamente: «La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale». L'applicazione del bail-in sul piano sostanziale si materializza in un «esproprio per motivi d'interesse generale» finalizzato, nel caso specifico, alla stabilità del sistema bancario e finanziario nel suo complesso. Il sopradetto decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, non prevede forme di indennizzo «dell'esproprio subito» in quanto i crediti vengono trasformati in capitale di rischio ovvero compensati con le passività subite dalla banca a prescindere dal momento in cui tali passività sono state emesse;
   l'articolo 106 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, prevede che la disciplina sul bail-in di cui alla Sezione III del Capo IV del Titolo IV del medesimo decreto legislativo entrerà in vigore il 1o gennaio 2016 –:
   visto che le disposizioni del capo II del titolo IV del decreto legislativo n. 180 del 2015 rinviano integralmente alle disposizioni di cui alla Sezione III del Capo IV del Titolo IV del medesimo decreto legislativo che entrerà in vigore solo il 1o gennaio 2016, se il Governo, il Ministro dell'economia e delle finanze e la Banca d'Italia abbiano assunto provvedimenti sulla base di una normativa non ancora in vigore ed in caso affermativo per quali ragioni non siano state poste in essere misure più garantiste verso i creditori ed obbligazionisti. (3-01880)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RUBINATO e NACCARATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 21, comma 14, del decreto legislativo n. 504 del 1995, le accise sui carburanti vengono versate allo Stato sui volumi alla temperatura di 15o Celsius ed alla «pressione normale» (101.325 Pa);
   il ricorso all'impiego del volume misurato a 15o C per la tassazione dei prodotti energetici, già contemplato dall'ordinamento nazionale (decreto ministeriale 9 ottobre 1979), risponde al dettato della specifica disposizione dell'Unione europea;
   in particolare, la misurazione dei volumi di prodotto da accertare ai fini della determinazione del relativo carico fiscale va effettuata alla predetta temperatura a norma dell'articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 96/2003/CE del Consiglio del 27 ottobre 2003 (prima ancora ex articolo 3 della direttiva 92/81/CEE del 19 ottobre 1992);
   tale indicazione è stata recepita con l'articolo 17, comma 4, del decreto-legge n. 331/93 convertito in legge n. 427/93, poi confluito nell'articolo 21, comma 14, del sopra richiamato decreto legislativo n. 504/95;
   ai fini della corretta individuazione dei volumi soggetti alle accise, nei documenti di accompagnamento dei carburanti (documenti di accompagnamento semplificato, denominati in seguito DAS), è previsto l'obbligo di indicare la densità specifica a 15o Celsius e alla pressione normale e il peso del prodotto, con ciò individuando l'esatta quantità soggetta a tassazione;
   sempre nei DAS è indicato (casella 13) il volume a temperatura ambiente dei carburanti che normalmente è diverso da quello a 15o Celsius;
   inoltre nei DAS è presente lo spazio (casella 10) per indicare il volume a 15o Celsius, tale indicazione è facoltativa, non obbligatoria;
   i carburanti sono soggetti alla variazione di volume dell'uno per mille per ogni grado di temperatura, variazione apparentemente insignificante ma di notevole importanza visti i quantitativi di carburanti commercializzati in Italia;
   i fornitori, compagnie petrolifere o grossisti, consegnano e fanno pagare ai gestori di pompe di carburante, non i volumi a 15o Celsius, ma i volumi a temperatura ambiente ovvero alla temperatura di caricamento in deposito che, nell'arco dell'anno, sono generalmente superiori a quelli per i quali gli stessi pagano le accise allo Stato;
   questa pratica è frutto di una lacuna dell'attuale normativa del settore e ha conseguenze negative per gestori e consumatori;
   inoltre, tale pratica genera una zona grigia di elusione fiscale;
   rispetto ai gestori la detta pratica crea problemi di carattere economico e di regolare tenuta delle scritture contabili obbligatorie;
   infatti, le cisterne interrate dei distributori di carburanti hanno una temperatura inferiore a quella del prodotto alla consegna, con una conseguente perdita di volumi (litri), dovuta al raffreddamento del carburante una volta immesso in cisterna;
   da ciò il gestore subisce un danno economico dovuto alla perdita di litri, ma quel che è più grave è che queste perdite comportano dei gravi problemi con l'amministrazione fiscale in quanto in sede di verifica della guardia di finanza in molti casi le perdite vengono considerate delle vendite in evasione di imposta con la conseguente stesura di verbali e relative sanzioni da parte dell'Agenzia delle entrate;
   tali verbali comportano notevoli costi, in caso di impugnazione, e, purtroppo, in molti casi, il costo del contenzioso è maggiore della sanzione per cui il gestore si trova a pagare non avendo evaso le tasse in alcun modo;
   anche i consumatori sono penalizzati dall'attuale sistema, visto che nella media dei rifornimenti annuali pagano più prodotto di quanto ne abbiano realmente acquistato;
   ciò si comprende se si pensa che il prodotto «caldo» viene erogato al cliente appena travasato dall'autobotte alla cisterna e servono giorni perché il carburante raggiunga la stessa temperatura del sottosuolo, che comunque non sempre è pari o inferiore ai 15o Celsius;
   in generale, circa i 2/3 del prodotto caldo vengono venduti ai consumatori;
   i consumatori quindi pagano per un prodotto che non hanno acquistato determinando, su base nazionale, un valore piuttosto considerevole visto che soltanto 1 grado superiore ai 15o Celsius vale ben 57 milioni di euro tenuto conto dell'attuale prezzo di vendita al pubblico dei carburanti;
   le compagnie petrolifere rimborsano i cali di carburanti ai gestori solamente a fronte di un notevole impegno burocratico e sono previste percentuali di penalizzazioni nel caso le procedure non siano totalmente rispettate;
   inoltre al massimo, viene rimborsata la differenza tra i volumi fatturati e quelli effettivamente venduti ovvero al massimo un terzo della differenza tra i volumi a 15o Celsius e quelli fatturati a temperatura ambiente –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti;
   quali iniziative il Ministro intenda assumere per rendere più trasparente il rapporto tra compagnie petrolifere, gestori, fornitori e consumatori e per far cessare le procedure denunciate in premessa. (5-07129)

GIUSTIZIA

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 2005, n. 169, regola il riordino del sistema elettorale e della composizione degli organi degli ordini dei dottori agronomi e dottori forestali, degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori, degli assistenti sociali, degli attuari, dei biologi, dei chimici, dei geologi e degli ingegneri;
   all'articolo 2, comma 4, il decreto del Presidente della Repubblica stabilisce che i componenti dei consigli territoriali restino in carica quattro anni a partire dalla data della proclamazione dei risultati e non possono essere eletti per più di due volte consecutive;
   all'articolo 5, comma 1, il decreto del Presidente della Repubblica stabilisce inoltre che il consiglio nazionale degli ordini è costituito da quindici componenti, che restano in carica cinque anni;
   il comma 4-septies dell'articolo 2 del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 convertito dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10 (cosiddetto decreto Milleproroghe del 2010) ha stabilito che l'articolo 2, comma 4, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 2005, n. 169, si applicasse ai componenti degli organi in carica alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, con il limite massimo di durata corrispondente a tre mandati consecutivi;
   l'aumento da due a tre mandati del limite di legge, previsto dal «decreto Milleproroghe» del 2010, ha consentito la ricandidatura a componenti degli organi che altrimenti non avrebbero potuto farlo dopo aver raggiunto tale limite;
   il limite dei due mandati, poi ampliato a tre, rappresentava una garanzia di ricambio della governance degli ordini professionali a fronte di un sistema elettorale assolutamente maggioritario;
   gli articoli 3 e 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 169 del 2005 descrivono infatti una combinazione tra le modalità di espressioni di voto e la traduzione dei voti in seggi che sostanzialmente incoraggia la concentrazione del consenso su candidati coalizzati ad excludendum e incentiva processi di aggregazione dei consenso dall'alto verso il basso, penalizzando la partecipazione democratica alle elezioni e l'autonomia dei consigli territoriali e annullando la presenza di una anche minima minoranza;
   sono in scadenza gli organi di governo degli assistenti sociali, nel 2016 scadranno gli organi di governo di ingegneri, architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori e dei chimici, mentre nel 2017 andrà in scadenza il consiglio nazionale dei biologi;
   risulta sia allo studio del Ministero della giustizia un intervento normativo, rubricato come «Riforma del sistema elettorale Professioni tecniche ed Ordine degli assistenti sociali. Modifica al decreto del Presidente della Repubblica n. 169 del 2005», recante al suo interno una norma che, emendando il suddetto decreto del Presidente della Repubblica, permetterebbe a chi, «alla data in vigore del decreto», ha assunto uno o più mandati nel consiglio territoriale o nazionale di assumerne un altro;
   il riferimento all'entrata in vigore del decreto rende la norma poco comprensibile. Non si coglie facilmente, infatti, la ratio giuridica di un intervento normativo che avrebbe l'effetto di emendare una disposizione del 2005 permettendo l'assunzione di un nuovo mandato, dal 2005 in poi, a chi alla data del 26 agosto 2005 (data di entrata in vigore del decreto) aveva assunto uno o più mandati;
   con lo stesso intervento normativo allo studio del Ministero, che parrebbe sostanziarsi in un decreto del Presidente della Repubblica verrebbero abbassati i quorum richiesti per la validità dell'elezione dei consigli territoriali e nazionali e si modificherebbero meccanismi e procedure di voto, mantenendo ancora una volta la possibilità di indicare un numero di preferenze (di norma 15 ogni votante) pari a quello dei consiglieri da eleggere e così pervenendo a vere e proprie «liste» di soggetti votati, attribuendo direttamente al consiglio uscente la scelta degli scrutatori e permettendo la sommatoria delle schede che riportano i voti espressi in prima votazione alle schede della seconda convocazione;
   l'abbassamento del quorum, dal 33 al 25 per cento in prima convocazione e dal 20 per cento a qualunque sia il numero dei votanti in seconda votazione, ridurrebbe ancora di più la partecipazione, lasciando il processo elettorale in mano a pochi a tutto detrimento della legittimazione dei candidati eletti e di riflesso della effettiva rappresentatività dell'ordine rappresentato;
   la possibile apertura alla sommatoria delle schede che riportano i voti espressi in prima votazione alle schede della seconda convocazione pone rilevanti questioni relativi alla regolarità delle procedure di voto, esposte a una possibile manipolazione alla luce del dubbio processo di conservazione della scheda;
   il mantenimento della possibilità che ogni elettore indichi un numero di preferenze pari al numero dèi consiglieri da eleggere perviene alla definizione di «liste di fatto» le quali, con solo il 50 per cento dei voti, possono facilmente ottenere il 100 per cento dei seggi con la totale eliminazione delle minoranze, una patologia già oggi presente e che, con l'emanando decreto del Presidente della Repubblica, risulterebbe rafforzare ancora di più la concentrazione del consenso in capo a pochi;
   sotto il profilo giuridico-formale andrebbe chiarito il tipo di atto che autorizza la modifica del regolamento;
   risulta agli interroganti che il Ministero della giustizia abbia trasmesso il testo ad alcuni, ma non a tutti gli ordini oggetto del decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 2005, n. 169. Vi sarebbe quindi stata una consultazione informale e parziale, non adeguata per un idoneo approfondimento delle conseguenze e delle implicazioni dell'eventuale provvedimento –:
   se le informazioni esposte in premessa rispondano al vero;
   se ritenga di chiarire quale tipo di atto verrà adottato per modificare il decreto del Presidente della Repubblica 169 del 2005 e se tale atto normativo sarà eventualmente autorizzato da un'iniziativa legislativa;
   se non ritenga di chiarire la ratio della norma all'oggetto dello studio del Ministero che, modificando il decreto del Presidente della Repubblica 169 del 2005, permetterebbe a chi, alla data di entrata in vigore del decreto, ha assunto uno o più mandati nel consiglio territoriale o nazionale di assumerne un altro;
   quali siano gli intendimenti generali del Governo nell'adozione di tale provvedimento;
   se non ritenga necessario assumere iniziative per riformare il sistema elettorale degli ordini in modo da incoraggiare la partecipazione degli iscritti e la legittimazione e la rappresentatività degli eletti, garantire la rappresentanza e la tutela delle minoranze (ad esempio, limitando il numero di preferenze esprimibili per ciascun votante alla metà oppure ai due terzi dei consiglieri da eleggere) e preferire, in caso di parità, il candidato più giovane anziché quello più anziano.
(2-01189) «Mazziotti Di Celso, Monchiero».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   l'articolo 111 della Costituzione, così come modificato con legge costituzionale 23 novembre 1999. n. 2, sancendo i principi del «giusto processo», stabilisce che ogni processo debba svolgersi di fronte ad un giudice indipendente, terzo e imparziale;
   l'articolo 24 della Costituzione, garantendo la possibilità per tutti di agire in giudizio e sancendo quindi l'inviolabilità del diritto di difesa, pone le basi essenziali della tutela giudiziaria e di conseguenza del diritto ad un giudizio imparziale;
   l'articolo 6 della Carta europea dei diritti dell'uomo, sancisce il diritto di ogni persona a che la sua causa sia esaminata equamente e da un tribunale terzo e imparziale;
   i requisiti di imparzialità e terzietà del giudice sono definiti in modo pressoché unanime da giurisprudenza e autorevole dottrina come caratteristica di neutralità del giudice, che deve agire libero da ogni tipo di interesse, pregiudizio e preconcetto;
   la Corte di cassazione, con sentenza n. 32619/2014, ha stabilito che il giudice d'appello deve rinnovare l'istruttoria se vuole dare una diversa valutazione della prova testimoniale, sia nel caso egli voglia riformare in peius la sentenza di assoluzione di primo grado, che nel caso in cui vi sia già stata condanna;
   la Corte europea dei diritti dell'uomo, interpretando l'articolo 6 della Carta, con sentenza del 5 luglio 2011 (Dan c. Moldavia), ha sancito l'obbligo del giudice d'appello di riesaminare il testimone, qualora intenda utilizzare in modo difforme dal giudice di primo grado la sua dichiarazione, per «ascoltarlo personalmente e così valutarne l'attendibilità intrinseca»;
   alla luce del differente giudizio della Corte di appello, in contrasto con quanto affermato dalla Corte di cassazione con la citata sentenza n. 326 19/2014, il Ministro della giustizia dovrebbe chiarire come possa essere assicurato il rispetto dei principi affermati dalla Corte di cassazione medesima, e dovrebbe provocare una maggiore e più approfondita riflessione sul tema del ribaltamento delle sentenze ed in particolare sul ribaltamento dell'assoluzione, soprattutto laddove questo venga fatto dipendere da una diversa valutazione dei fatti;
   il 27 ottobre 2014, la terza Corte d'appello di Roma ha condannato a 2 anni e 6 mesi per peculato (dopo che i pubblici ministeri avevano chiesto 2 anni di reclusione) il senatore in carica Augusto Minzolini, parlamentare di Forza Italia, dopo che era stato assolto in primo grado, nel febbraio 2013, il giudice ha fissato anche per lo stesso periodo l'interdizione dai pubblici uffici;
   il 12 novembre 2015, la VI sezione penale della Corte di cassazione ha poi confermato la condanna a due anni e mezzo e l'interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena, come stabilito dalla Corte d'Appello di Roma il 27 ottobre 2014;
   giova, inoltre, evidenziare la grave circostanza che ha visto la presenza, all'interno del collegio giudicante in appello, del magistrato Giannicola Sinisi, ex parlamentare dell'Ulivo, nonché sottosegretario per l'interno durante il primo governo Prodi, e nel primo Governo D'Alema;
   risulta inoltre all'interpellante che, a tre giorni dalla data fissata per l'udienza presso la Corte di cassazione, sia stata modificata la composizione del collegio giudicante, sostituendone il Presidente –:
   se il Governo intenda assumere ogni iniziativa di competenza, anche di tipo normativo, al fine di chiarire e comunque escludere che un esponente politico, seduto in Parlamento dal 1996 al 2008, sottosegretario all'interno durante il primo Governo Prodi e D'Alema, quando a capo del Ministero dell'interno vi erano prima Giorgio Napolitano e poi Rosa Russo Iervolino, possa far parte di un collegio di Corte d'Appello che giudica un esponente politico eletto in un partito avversario. Un collegio che, infliggendo una pena superiore a quella richiesta dal pubblico ministero, nei fatti decreta la decadenza dell'avversario politico imputato dalla carica di parlamentare;
   se il Governo intenda assumere ogni iniziativa di competenza, anche di tipo normativo, al fine di chiarire e comunque escludere che lo stesso collegio di Corte d'appello, composto fra gli altri dal giudice avente le caratteristiche sopra citate, nel giudicare lo stesso imputato, capovolga la sentenza di assoluzione emessa dal giudice di primo grado, emettendo una condanna senza prima procedere alla riapertura dell'istruttoria, riascoltando i testimoni o assumendo nuove prove, come invece previsto dall'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;
   se il Ministro della giustizia titolare dell'azione disciplinare, non intenda aprire un procedimento nei confronti di questo magistrato che, ad avviso dell'interpellante, ricorrendone le condizioni, non si è astenuto dal partecipare al collegio di Corte di appello.
(2-01192) «Brunetta».

Interrogazioni a risposta scritta:


   NUTI, DI BENEDETTO, DI VITA, LUPO e MANNINO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   come descritto all'interno di un comunicato stampa del Ministero della giustizia del 2 settembre 2015, il Ministro, tramite proprio decreto, avrebbe disposto l'istituzione, presso il proprio ufficio di gabinetto, di una commissione con l'incarico di elaborare uno schema di riforma della disciplina legale in materia di costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura, tenendo conto anche delle iniziative di «autoriforma» e delle proposte elaborate dallo stesso Consiglio superiore della magistratura;
   di questa commissione, composta da 12 membri, fa parte anche il magistrato dottor Tommaso Virga, già membro del Consiglio superiore della magistratura ed attualmente con incarico presso il tribunale di Palermo;
   il dottor Virga attualmente risulta essere sotto procedimento disciplinare da parte del Consiglio superiore della magistratura per fatti legati allo scandalo che ha investito la sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo e che ha visto come protagonista il magistrato Silvana Saguto e l'amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara;
   in particolare, secondo quanto emerge dalle indagini e dagli articoli di stampa, all'interno del sistema di gestione illegittima dei beni sequestrati e confiscati alla mafia messo in atto dalla dottoressa Saguto, il dottor Virga avrebbe preso parte attiva in quanto avrebbe evitato l'avvio di un procedimento disciplinare a carico della Saguto e avrebbe ottenuto la nomina del proprio figlio per incarichi di amministratore giudiziario;
   inoltre, per i fatti sopra descritti il dottor Virga sarebbe indagato per induzione alla concussione dalla procura di Caltanissetta;
   ancorché il Consiglio superiore della magistratura non si sia espresso in maniera definitiva in merito al procedimento aperto nei confronti del dottor Virga, secondo gli interroganti appare del tutto inopportuno, anche alla luce degli evidenti e documentati rapporti con la dottoressa Saguto, che il magistrato possa continuare a far parte della commissione ministeriale di riforma della disciplina legale in materia di costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura, in quanto ciò rischierebbe di delegittimare sin dall'inizio i risultati che verranno prodotti dalla sopra citata commissione, oltre a costituire un potenziale elemento di conflitto di interesse –:
   se non intenda procedere alla rimozione del magistrato dottor Tommaso Virga dalla commissione ministeriale avente l'incarico di elaborare uno schema di riforma della disciplina legale in materia di costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura.
(4-11340)


   SCOTTO e FAVA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da quanto a conoscenza degli interroganti, sembrerebbe che il magistrato che, in appello, dovrebbe giudicare Vincenzo De Luca per abuso d'ufficio in relazione alla vicenda del termovalorizzatore di Salerno – che, come noto, in primo grado, ha visto la condanna dello stesso ad un anno di reclusione e l'applicazione della legge Severino – sia il dottor Michelangelo Russo;
   tempo fa fu avviato un procedimento nei riguardi del dottor Russo, nonché del dottor Luciano Santoro, entrambi magistrati presso la procura della Repubblica di Salerno, per aver cercato di accedere al computer del tribunale di Salerno al fine di verificare se fossero in corso procedimenti penali a carico di Vincenzo De Luca, quando pubblico ministero era la dottoressa Gabriella Nuzzi e il procuratore capo di Salerno il dottor Luigi Apicella;
   il dottor Apicella presentò al riguardo un esposto al Consiglio superiore della Magistratura che avviò gli accertamenti di competenza; il dottor Michelangelo Russo nel frattempo fu trasferito, su sua richiesta, ad altra sede e ad altro incarico, per poi tornare con incarico a Salerno, con ciò destando forti perplessità;
   a parere degli interroganti, non può che suscitare forti dubbi e preoccupazioni circa il rispetto della legalità – e, in particolare, delle norme vigenti in tema di corretto esercizio delle funzioni – il fatto che lo stesso magistrato che qualche anno fa aveva cercato di adoperarsi in favore di Vincenzo De Luca, sia incaricato di giudicare (nel gennaio 2016) la stessa persona per cui si adoperò, qualche anno fa;
   la questione sarà affrontata verosimilmente nell'ambito del processo;
   ad avviso degli interroganti, tuttavia, questioni siffatte non dovrebbero nemmeno sorgere, dovendo provvedere la legge ad escludere la loro insorgenza –:
   se non ritenga di adottare iniziative normative volte a rendere più stringenti i meccanismi di incompatibilità dei magistrati. (4-11341)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BRESCIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel quartiere San Nicola della città di Bari, conosciuto anche con il nome «Bari Vecchia», più precisamente nell'area demaniale interna alla zona portuale adiacente al Castello Normanno-Svevo, sono attualmente in corso i lavori per la realizzazione di «straordinaria manutenzione e ampliamento dell'edificio sede degli uffici OO.MM. del Provveditorato interregionale alle OO.PP. di Puglia e Basilicata»;
   il nuovo edificio, la cui costruzione prevede una spesa pari a 3.345.722 euro, si articola su tre piani più seminterrato, con un'altezza di circa 12 metri e una cubatura di 9.451,40 metri cubi, ed è prossimo al completamento della struttura al rustico e all'esecuzione di lavori di impiantistica e di sistemazioni interne;
   fin dall'avvio dei lavori nel gennaio 2014, i cittadini baresi residenti nel quartiere San Nicola si sono mobilitati creando un «Comitato di quartiere Bari Vecchia» contrario alla costruzione della nuova sede degli uffici OO.MM. del provveditorato interregionale alle opere pubbliche di Puglia e Basilicata;
   secondo il Comitato, la nuova palazzina comprometterebbe la visuale verso il Castello Normanno-Svevo, già danneggiata dalla presenza di altri edifici. Inoltre, l'insediamento dei nuovi uffici OO.MM. comporterebbe la creazione di nuove aree di parcheggio a discapito del giardino che circonda la struttura preesistente, congestionando ulteriormente la viabilità della zona;
   nell'estate 2014 il Comitato si è rivolto al sindaco di Bari Antonio Decaro e all'assessore all'urbanistica Carla Tedesco, i quali hanno da subito condiviso le critiche e le perplessità dei cittadini in merito all'intervento di manutenzione e ampliamento di cui sopra;
   a seguito di alcune ricerche condotte dall'assessore all'urbanistica Carla Tedesco, è stata attestata l'esistenza di un vincolo del Castello e della zona adiacente, risalente al 1930 e riconosciuto come ancora valido dalla direzione regionale per i beni e culturali e paesaggistici;
   il decreto di vincolo di rispetto, firmato in data 15 maggio 1930 dal Ministro per l'educazione nazionale, decreta la «necessità di preservare da mutamenti, a scopi edilizi, la zona circostante il Castello medioevale di Bari e d'impedire che con nuove costruzioni o con qualsiasi altra opera si alteri la visione generale del Castello stesso»;
   richiamando l'articolo 3 della legge 23 giugno 1912, n. 688, secondo cui «nei luoghi nei quali si trovano monumenti o cose immobili soggette alle disposizioni della presente legge, nei casi di nuove costruzioni, ricostruzioni ed attuazione di piani regolatori, possono essere prescritte dall'autorità governativa le distanze, le misure e le altre norme necessarie, affinché le nuove opere non danneggino la prospettiva e la luce richiesta dai monumenti stessi», il decreto del 1930 stabilisce i limiti della «zona di rispetto» intorno al Castello sottoposta a vincolo da parte degli organi competenti;
   l'assessore all'urbanistica di Bari ha quindi chiesto che i lavori di edificazione della nuova palazzina fossero bloccati e che fosse indetta una nuova conferenza di servizi per riesaminare l'intero progetto alla luce del decreto del 1930 precedentemente ignorato;
   nella nota n. 5225 del 14 giugno 2010 di «Accertamento della conformità urbanistica» ad opera della Soprintendenza di Bari si attestava che «il progetto riguarda l'ampliamento di un fabbricato risalente agli anni 1957-58 [...]» e che «l'area su cui esso insiste non è sottoposta a vincoli di competenza», per cui le opere di ampliamento e manutenzione sono «accettate favorevolmente, in quanto il nuovo fabbricato si pone in addossamento al preesistente senza modificare l'assetto planovolumetrico»;
   alla richiesta dell'assessore Tedesco la Soprintendenza ha risposto con l’«Approfondimento istruttorio» del 19 agosto 2014 in cui, facendo riferimento al decreto del 1930, ha dichiarato che il fabbricato rientra solo parzialmente all'interno dell'area sottoposta a vincolo di rispetto e che già in occasione della Conferenza Servizi del 2010, pur non rilevando allora alcun vincolo, ci si era premurati di eseguire una valutazione per considerare un eventuale impatto negativo dell'opera, suggerendo però di piantare «nuove alberature in prosecuzione di quelle esistenti sul fronte verso il mare»;
   in questo approfondimento, inoltre, la Soprintendenza richiama l'articolo 2 del vincolo del 1930 nel quale è sancito che «i proprietari o possessori a qualsiasi titolo di aree e di fabbricati compresi nel perimetro della zona monumentale, i quali intendano costruire nuovi edifici o in qualunque modo apportare modificazioni ed innovazioni in dette aree e fabbricati, devono farne domanda al Ministero della Educazione Nazionale indicando le limitazioni e le modalità delle costruzioni e dei lavori», con lo scopo di dimostrare che il decreto in questione non fissa un vincolo di inedificabilità, bensì è da considerarsi un provvedimento per il controllo delle attività edilizie che sarebbe possibile svolgere nella zona del Castello;
   in virtù di tali considerazioni, la Soprintendenza conclude l'approfondimento esprimendo «ora per allora» il suo parere favorevole all'ampliamento dell'edificio del provveditorato interregionale alle OO.PP. di Puglia e Basilicata, in quanto è ritenuto compatibile con gli obiettivi di tutela previsti dal vincolo e non va a modificare le condizioni di godibilità del Castello;
   ulteriori ricerche condotte dal Comitato nei versi archivi locali e in quello centrale di Roma hanno peraltro dimostrato che anche la struttura preesistente del Provveditorato alle OO.PP. costituisce un caso di dubbia conformità alla normativa edilizia;
   la richiesta presentata nel 1954 per l'edificazione della prima palazzina per gli uffici OO.MM. fu infatti rifiutata dal Ministro competente proprio perché situata in un'area sottoposta a vincolo. Spostando di una decina metri la posizione degli uffici e dichiarando in tal modo che la costruzione non sarebbe rientrata nell'area vincolata del Castello, l'edificio fu comunque realizzato nel 1955 con discutibili modalità;
   dopo aver ritrovato il decreto di vicolo di rispetto del 1930 con le relative carte in scala 1:500, il comitato e il comune di Bari hanno effettuato il riporto del perimetro del suddetto vincolo, evidenziando in maniera inequivocabile che sia la palazzina del 1955 che quella in costruzione ricadono in area vincolata e che, poiché prive delle necessarie autorizzazioni, sarebbero da ritenersi costruzioni abusive;
   a quanto consta all'interrogante a fine maggio 2015 anche la Soprintendenza ha effettuato un riporto del perimetro del vincolo, confermando tuttavia che entrambe le palazzine ricadono nell'area sottoposta a vincolo soltanto in parte;
   il Comitato ha provveduto a consegnare tutta la documentazione di cui sopra alla procura di Bari e al TAR Puglia che nel luglio 2015 ha rigettato il ricorso perché ritenuto tardivo rispetto alla data di inizio dei lavori, senza tuttavia esaminare i documenti che attesterebbero l'abusività delle due costruzioni e non rilevando quindi quella che all'interrogante appare l'illegittimità di un parere dato «ora per allora» dalla Soprintendenza nell’«Approfondimento istruttorio» del 19 agosto 2014;
   in riferimento alla sentenza di rigetto da parte del TAR Puglia, motivata con la tardività del ricorso rispetto all'avvio dei lavori per la realizzazione della seconda palazzina a gennaio 2014, è necessario specificare che il Comitato è venuto a conoscenza dell'esistenza del vincolo di rispetto del 1930 soltanto a luglio 2014 e che solo allora ha potuto rivolgersi al tribunale mostrando prove effettive di un abuso edilizio perpetrato a partite dal lontano 1955. Sarebbe stato perciò auspicabile che, ad avviso dell'interrogante, il TAR avesse valutato il ricorso del Comitato in base alla data di ritrovamento del vincolo e non in riferimento a quella di avvio dei lavori;
   non da ultimo, è necessario far notare che i due edifici del provveditorato alle OO.PP di Puglia e Basilicata sorgono in una zona, quella del Castello e dintorni, che secondo la relazione generale del piano particolareggiato della città vecchia approvato nel 2001, avrebbe potuto essere destinata alla realizzazione di un parco del Castello di Bari;
   nella relazione generale, infatti, si legge che «l'insieme delle aree verdi attorno al Castello [...] può essere pensato, in prospettiva, come un vero e proprio "sistema" di verde attrezzato. [...] si potrebbe pensare ad una vasta area verde e pedonale costituita da: il verde attualmente di pertinenza della Capitaneria di porto-Demanio marittimo, lo slargo di piazza Ruggero il Normanno, i giardini Isabella D'Aragona, i fossati del Castello» –:
   se i Ministri interpellati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se, alla luce degli stessi, non ritengano opportuno intervenire al fine di chiarire le dinamiche che hanno portato alla realizzazione in un'area sottoposta a vincolo di rispetto di entrambi gli edifici del provveditorato alle OO.PP. di Puglia e Basilicata, il primo nel 1955 e il secondo, ancora in fase costruzione, nel 2014;
   se non ritengano indispensabile, per quanto di competenza, avviare verifiche al fine di individuare eventuali responsabilità da parte degli uffici coinvolti nei fatti esposti in premessa, da cui dipenderebbe la costruzione delle due palazzine di fatto in contrasto con le norme vigenti, nell'area adiacente al Castello Normanno-Svevo di Bari e sottoposta per legge a vincolo di rispetto. (5-07134)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NUTI, GRILLO, DELL'ORCO, DI BENEDETTO, DI VITA, LUPO e MANNINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la società Tecnis s.p.a. è stata ultimamente al centro delle cronache in seguito all'arresto di alcuni suoi esponenti e per l'interdittiva antimafia rilasciata dal prefetto di Catania;
   in particolare, a seguito dell'indagine denominata «Dama nera», relativa alla gestione di alcuni appalti per lavori gestiti da A.N.A.S., risulterebbe che due membri del consiglio di amministrazione della Tecnis s.p.a., nonché proprietari della stessa, Francesco Domenico Costanzo e Concetto Bosco Lo Giudice, abbiano ottenuti appalti pubblici per lavori relativi ad importanti infrastrutture nazionali, quali, ad esempio, autostrade e porti, grazie ad uno scambio di tangenti;
   negli ultimi anni la Tecnis s.p.a. e le società comunque riconducibili agli imprenditori Costanzo e Bosco Lo Giudice, si sono aggiudicati numerosissimi appalti, soprattutto nel meridione, tant’è che Tecnis arriva ad impiegare circa 1.200 dipendenti e per questo viene considerata una tra le più importanti imprese del Sud Italia;
   alcune di queste opere, tuttavia, hanno subito ritardi o gravi problemi; ad esempio, Tecnis ha partecipato, assieme ad altre aziende, alla realizzazione del viadotto Scorciavacche 2, sulla strada statale 121 Palermo-Agrigento, che a fine dicembre è parzialmente crollato; ha partecipato ai lavori al porto di Messina, in particolare provvedendo ai lavori di allargamento delle banchine Vespri e Colapesce, utilizzando calcestruzzo depotenziato; similmente nei lavori per la realizzazione di nuove gallerie attigue al porto di Salerno è stata riscontrata una miscela differente da quella prevista; più recentemente, il 27 novembre 2015 i carabinieri, su richiesta della direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta hanno provveduto al sequestro del viadotto Salso e della galleria naturale Caltanissetta, in quanto, tra l'altro, sarebbe stato utilizzato calcestruzzo non conforme, utilizzato materiale per la realizzazione di pali non conformi, occultato alla Direzione dei Lavori difficoltà tecniche ed irregolarità;
   recentemente, come detto, la prefettura di Catania ha emesso un provvedimento interdittivo antimafia nel confronti della Tecnis s.p.a.; le motivazioni non sono ancora note in quanto coperte da segreto di ufficio;
   secondo gli interroganti, considerati i problemi tecnici in alcuni appalti vinti dalla Tecnis, nonché i problemi giudiziari che sta affrontando, in parte legati anche alla criminalità organizzata di tipo mafioso, vi potrebbe essere il concreto rischio che anche altre opere, già terminate o in corso, possano risultare instabili e quindi costituire grave minaccia per l'incolumità delle persone –:
   se si intendano assumere iniziative, per le parti di competenza, volte ad effettuare verifiche tecniche sull'esecuzione delle opere in corso ovvero a controllare le opere già terminate da parte di Tecnis s.p.a. o comunque riconducibili agli imprenditori Francesco Domenico Costanzo e Concetto Bosco Lo Giudice;
   quali siano gli appalti statali, anche fornendo la relativa documentazione, eseguiti o in esecuzione da parte di Tecnis s.p.a. o società comunque riconducibili agli imprenditori Francesco Domenico Costanzo e Concetto Bosco Lo Giudice, anche in forma consorziata, ed eventuali sub-appalti connessi. (4-11339)


   DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il diritto alla mobilità, che gode di garanzia di rango costituzionale di cui all'articolo 16, si realizza anche in forza del servizio pubblico di trasporto, quale strumento per il miglioramento della vivibilità urbana e rimedio contro l'inquinamento atmosferico;
   nell'ambito delle materie di cui all'articolo 117 della Costituzione, è stato disposto, ai sensi dell'articolo 4, comma 4, della legge n. 59 del 15 marzo 1997, il conferimento alle regioni di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, anche ferroviario, attuato con il decreto legislativo n. 422 del 19 novembre 1997, per quanto concerne la programmazione e la gestione regolata da specifici contratti di servizio, che definiscono, tra l'altro, il volume e le caratteristiche dei servizi da effettuare, sulla base delle risorse economiche rese disponibili, nonché i relativi standard qualitativi ed i meccanismi di penalità da applicare nei casi di eventuali difformità dai parametri contrattualmente stabiliti;
   restano attribuite alla competenza statale i peculiari profili attinenti alla concorrenza (articolo 117, secondo comma, lettera e)), al controllo (articolo 117, secondo comma, lettera l)), e alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (articolo 117, secondo comma, lettera m));
   in materia, tuttavia, si assiste a considerevoli tagli sui servizi pubblici, specie dal 2011, in maniera particolarmente incisiva con riferimento ai trasporti;
   con la previsione di cui all'articolo 16-bis del decreto-legge n. 95 del 6 luglio 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 135 del 7 agosto 2012, così sostituito dall'articolo 1, comma 301, della legge n. 228 del 24 dicembre 2012, è stato istituito il Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario, con lo scopo di incentivare le regioni a riprogrammare i servizi, tra l'altro individuando e riducendo quelli scarsamente utili e sovrapposti, o prodotti con modalità eccessivamente onerosa in relazione alla domanda esistente;
   detta riprogrammazione deve avvenire secondo criteri oggettivi di efficientamento e razionalizzazione, uniformi a livello nazionale, definiti con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 marzo 2013, consistenti in:
    a) un'offerta di servizio più idonea, efficiente ed economica per il soddisfacimento della domanda di trasporto pubblico;
    b) il progressivo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi;
    c) una progressiva riduzione dei servizi offerti in eccesso in relazione alla domanda e il corrispondente incremento qualitativo e quantitativo dei servizi a domanda elevata;
    d) una definizione dei livelli occupazionali appropriati;
    e) una previsione di idonei strumenti di monitoraggio e di verifica;
   compete, in particolare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di verificare, anche per il tramite dell'Osservatorio istituito ai sensi dell'articolo 1, comma 300, della legge 244 del 2007, che la regione proceda alla riprogrammazione dei servizi, secondo i predetti criteri, al fine di ovviare alle criticità riscontrate dall'utenza. Gli esiti della verifica sono prodromici al riparto, tra le regioni a statuto ordinario, delle somme stanziate sul citato fondo, essendo prevista, se del caso, una penalizzazione pari al massimo al 10 per cento delle risorse alla stessa destinate;
   in difformità dalla volontà popolare, che in occasione del referendum abrogativo del 2011 si era espressa contro i processi di privatizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica, comportando l'abrogazione dell'articolo 23-bis del decreto-legge 112 del 2008, convertito in legge 133 del 2008, si è continuato a procedere nel percorso di privatizzazione;
   la regione Toscana, in particolare, ha – da ultimo in materia – disposto una gara, conclusasi di recente, per la scelta di un gestore unico per il trasporto pubblico locale su gomma con lotto unico in misura regionale, richiedendo, a fini partecipativi, fusioni e aggregazioni dei soggetti in una unica società per azioni. Elemento che aveva anche sollecitato perplessità sul profilo della concorrenza;
   con tale meccanismo procedurale, tuttavia, la trasformazione in società per azioni, con l'ingresso del socio privato, rischia di comportare un impoverimento sia del potere decisionale pubblicistico, sia del relativo potere di controllo della gestione e dei bilanci dei soggetti economici;
   sul fronte del servizio, inoltre, rischia di realizzarsi un peggioramento dello stesso con aumento delle tariffe e dei titolo di viaggio;
   le relative riorganizzazioni aziendali, dovute alle necessarie aggregazioni e fusioni, rischiano di comportare altresì, situazioni di conflitti di interesse, da un canto, e esuberi di personale, precarizzazione e diminuzione dei posti di lavoro, dall'altro –:
   se il Ministro interrogato possa riferire con riferimento alla richiamata procedura di evidenza pubblica posta in essere dalla regione Toscana, ogni utile elemento circa i finanziamenti statali stanziati e la misura in cui si attinga al Fondo nazionale per di concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario;
   se si sia proceduto alla verifica, anche per il tramite dell'Osservatorio istituito ai sensi dell'articolo 1, comma 300, della legge 244 del 2007, della riprogrammazione dei servizi della regione, secondo i criteri previsti dalla legge;
   se il Governo intenda promuovere iniziative normative in tema di qualità, efficienza, economicità del servizio, di eventuali situazioni di conflitto di interessi nonché in materia di trasparenza e controllo dei bilanci;
   se i Ministri interrogati possano fornire informazioni a garanzia del mantenimento dei posti di lavoro e quali iniziative ritengano opportuno adottare, per quanto di competenza, al fine di assicurare i diritti dei lavoratori. (4-11343)

INTERNO

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il fenomeno della radicalizzazione delle comunità islamiche ha assunto dimensioni decisamente preoccupanti: il recente aumento di correnti radicali all'interno dell'Islam, il sostegno teoretico e logistico della Jihad globale e le ripetute minacce di attacchi terroristici sul suolo italiano sollevano questioni di sicurezza nazionale;
   sono oltre ottocento i luoghi di culto sparsi in tutta Italia, da Nord a Sud, isole comprese, definiti impropriamente moschee: una diffusione capillare che si estende per tutto il territorio nazionale, ma che quasi sempre utilizza strutture (comunque «tollerate», perché sono definite «associazioni culturali») in cui mancano i requisiti minimi essenziali per essere riconoscibili come posti in cui si prega;
   a parte la Grande Moschea di Roma, e poche altre, come quella di Segrate, Catania e Colle Val d'Elsa (che sono individuabili anche architettonicamente), il resto è costituito da garage, scantinati e cantine che raccolgono fedeli all'occorrenza: una galassia che rimane sempre nella penombra e che espone alla mercé di imam, tabligh itineranti e predicatori d'odio, la parte moderata dell'islam, tentando di inculcare la dottrina fondamentalista;
   oltre alle moschee riconosciute come «moderate», di cui fanno parte i musulmani devoti alla preghiera, al digiuno e all'elemosina, è da segnalare la presenza anche di quelle più inquietanti dei reclutatori e delle «cellule in sonno» (oltre 5,500 attivabili autonomamente in qualsiasi momento), più volte oggetto di indagini dei servizi di intelligence e delle forze di polizia;
   un monitoraggio dell'Antiterrorismo ha identificato, in tutta Italia, 184 moschee. Solo a Roma quelle censite sono poco più di 30, ma in realtà sfiorano quota 100 i garage in cui si riuniscono musulmani per pregare; in alcuni di questi centri, infatti, la preghiera è solo una copertura per poter indottrinare alla guerra santa con il grave rischio di infiltrazioni terroristiche;
   dal 2001 al 2011 sono state 146 le condanne di terroristi islamici «italiani». È appena il caso di segnalare come stiano tornando a circolare personaggi che frequentarono l'ex imam di Cremona, Mourad Trabelsi, condannato con sentenza definitiva con l'accusa di terrorismo internazionale di matrice islamica. O come Hamed Gouran, predicatore in Calabria, finito in manette perché incitava fedeli alla cacciata dei miscredenti in nome di Allah. A Vicenza, poi, la Digos ha monitorato ingenti somme di denaro inviate all'estero che potrebbero essere state utilizzate per finanziare campagne terroristiche in Medioriente. Roma, poi, ha visto la presenza di numerosi soggetti vicini al terrorismo islamico, come il finanziatore Aweys Dahir Ubeidullah, cittadino somalo già residente a Roma, a Casalbertone, anch'egli incluso nella black list degli Stati Uniti, stilata successivamente ai fatti dell'11 settembre 2001;
   si rivela, dunque, una rete fitta e a volte impenetrabile quella degli estremisti islamici, che negli ultimi venti anni è cambiata e si è arricchita anche grazie al progresso tecnologico che facilita le comunicazioni tra le varie reti di jihadisti;
   il «Dossier sulla comunità islamica italiana: indice di radicalizzazione», pubblicato dal Cemiss, Centro militare di studi strategici del ministero della Difesa, fa il punto sulla penetrazione dell'estremismo nella comunità islamica italiana, composta da 1,6 milioni di persone (circa un terzo degli stranieri presenti, cui si aggiungono 60 – 70 mila italiani convertiti);
   l'analisi tiene conto del fatto che l'Italia non ha subito gravi attacchi dal terrorismo islamista ma non può considerarsi al sicuro, soprattutto se si considera che da tempo molti imam predicano odio, dozzine di centri islamici sono impegnati nel proselitismo e nel finanziamento a gruppi terroristici e che dall'Italia partono volontari per i teatri bellici del Jihad; per anni, secondo lo studio, ha esportato kamikaze nei teatri di guerra quali Afghanistan, Cecenia, Balcani e Iraq;
   il panorama dell'Islam italiano, dunque, fatto di realtà sommerse, conta al suo interno centinaia di potenziali estremisti che orbitano nelle moschee non autorizzate, divenute il centro di accoglienza e smistamento di immigrati arrivati sul territorio senza documenti e quindi senza identità;
   per quel che concerne la sicurezza nazionale, non vi è alcun dubbio sul fatto che la radicalizzazione della comunità islamica rappresenti una potenziale seria minaccia, poiché visioni estremiste hanno penetrato varie moschee ed organizzazioni sociali (è opportuno sottolineare che dal 2001 in Italia vi sono stati 13 tentativi e piani per compiere attentati, 6 sono stati effettuati ma non sono riusciti);
   in certi casi, il radicalismo si limita alla retorica ma in altri, sostiene attivamente o passivamente il terrorismo: un certo numero di leader sociali e religiosi predica versioni wahabite e salafite dell'islam, odio razziale, intolleranza religiosa e promozione della jihad attraverso reclutamento di martiri, fondi ed armi;
   con decreto ministeriale del 23 aprile 2007, l'allora Ministro dell'interno ha adottato la carta dei valori della cittadinanza e integrazione – condivisa da numerose comunità religiose, tra cui alcune rappresentate anche nel Comitato per l'Islam italiano – al fine di «dare un concetto unitario di cittadinanza e di convivenza tra le diverse comunità nazionali, etniche, e religiose, che si sono radicate negli ultimi anni sul territorio italiano», ponendo le basi per «un patto tra cittadini e immigrati, in vista di una integrazione che vuole conciliare il rispetto delle differenze di cultura e di comportamento legittime e positive con il rispetto dei valori comuni»;
   al fine di evitare futuri scontri sul piano culturale, sociale e religioso la collaborazione tra ufficiali e forze politiche assume un ruolo di estrema importanza nel fronteggiare la radicalizzazione delle società islamiche –:
   se intenda adottare in tempi rapidissimi incisive ed efficaci misure per contrastare l'estremismo islamico e la sua infiltrazione nella società e procedere, anche con la collaborazione della comunità islamica, ad una mappatura delle moschee, verificando che le loro sedi e le attività che vi si svolgono siano in regola con la normativa vigente e, qualora non lo fossero, assumere per quanto di competenza gli opportuni provvedimenti.
(2-01190) «Galgano, Monchiero».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il Ministro interrogato ha in molteplici circostanze, anche nelle aule parlamentari, ribadito di essere stato all'oscuro dell'intera vicenda della rendition della signora Shalabayeva e delle sua figlioletta di sei anni, fatto avvenuto alla fine di maggio del 2013;
   circa una settimana fa si è appreso che la procura della Repubblica di Perugia, in relazione alla vicenda Shalabayeva, ha inviato numerosi avvisi di garanzia per sequestro di persona e/o altre ipotesi di reato a dirigenti, funzionari e agenti di polizia nonché al magistrato di pace romano Levore;
   il quotidiano Il Manifesto del 29 novembre 2015 così riporta: «La Procura di Perugia e i Ros, che hanno iscritto nel registro degli indagati sette poliziotti, tre funzionari dell'ambasciata kazaka e la giudice di pace Stefania Levore, hanno accertato che per sette volte, da quando venne «prelevata» con la figlia dalla sua abitazione di Casal Palocco il 29 maggio 2013 a quando, il 31 maggio, venne caricata a forza sull'aereo diretto in Kazakhistan, la moglie del dissidente Mukthar Ablyazov chiarì la propria posizione. Illustrò, implorò, parlò delle torture subite dal marito in patria, ripeté che sarebbe stata considerata dal regime del «presidente» (da 25 anni) Nazarbaev un ostaggio, invocò invano il rispetto della legge. La legge in quei tre giorni era però sospesa: almeno su questo c’è certezza. Per ordine di chi, e con quali complicità, invece resta oscuro, e pochi, nel Palazzo, sembrano interessati ad accertarlo (...) Neppure gli agenti in servizio nell'ultima fase del rapimento, con Shalabayeva che già sulla scaletta dell'aereo tentava ancora una volta di difendere il proprio diritto a restare in Italia, credevano che il tutto fosse stato partorito da un gruppetto di poliziotti troppo solerti: «Tutto è già stato deciso ad alto livello». Senza contare che l'indagine di Perugia ha accertato che aereo e pilota erano stati messi a disposizione, sia pur per via indiretta, dall'Eni. Basta e avanza per essere certi che in quella rendition erano avvero coinvolti interessi di altissimo livello, e che il petrolio kazako la faceva da protagonista. Però per smuovere la polizia trasformando gli agenti in complici attivi di un sequestro di persona a livello internazionale non basta nemmeno l'interessamento dell'Eni. L'ordine deve aver seguito le vie gerarchiche. Deve essere stato dato da qualcuno a cui gli agenti non potevano non obbedire;
   Ruotolo, ne La Stampa del 28 novembre 2015, a proposito del presunto forte intimorimento esercitato sul giudice Levore, scrive «i suoi interlocutori al telefono avrebbero detto «mi avrebbero schiacciato», «ho fatto pippa», «non ho sputtanato nessuno». Frasi che gli inquirenti di Perugia interpretano a conferma della sua consapevolezza che convalidando il trattenimento al Cie, Alma Shalabayeva sarebbe stata rimpatriata con la forza»;
   ad avviso degli interpellanti, in una Repubblica democratica non è ammissibile che un magistrato possa aver taciuto ossequiosa su chi la obbligherebbe a venire meno al giuramento di fedeltà; altresì in una Repubblica democratica non è accettabile anche la sola ombra che il Ministro dell'interno non sia a conoscenza delle azioni poste in essere da dirigenti, funzionari e agenti di polizia e se, effettivamente, tali azioni sono state poste in essere senza informarlo, non può essere accettata l'esistenza di una catena di comando apicale parallela, a quella ufficiale e legale; né è credibile che dirigenti di polizia di esperienza possano aver deciso di nuocere gratuitamente, come mossi da impulsi personali, alla Signora Shalabayeva –:
   se a fronte delle circostanze evidenziate dalla procura della Repubblica di Perugia e riportate diffusamente dagli organi della stampa non intenda chiarire pubblicamente e formalmente quali siano state le linee di comando attraverso le quali sono stati impartiti gli ordina nella vicenda di cui in premessa.
(2-01193) «Manlio Di Stefano, Nuti, Del Grosso, Di Battista, Grande, Scagliusi, Sibilia, Spadoni, Cecconi, Cozzolino, Dadone, D'Ambrosio, Dieni, Toninelli, Agostinelli, Alberti, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cariello».

Interrogazione a risposta immediata:


   FIANO, ROBERTA AGOSTINI, BERSANI, CUPERLO, MARCO DI MAIO, FABBRI, FAMIGLIETTI, FERRARI, GASPARINI, GIACHETTI, GIORGIS, GULLO, LATTUCA, LAURICELLA, MARCO MELONI, MIGLIORE, NACCARATO, NARDI, PICCIONE, POLLASTRINI, RICHETTI, FRANCESCO SANNA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dell'interno.— Per sapere – premesso che:
   i drammatici fatti di Parigi hanno purtroppo evidenziato un netto e definitivo innalzamento del grado di violenza ed efferatezza della minaccia terroristica, che, costituendo ormai una gravissima insidia per la sicurezza interna di diversi Stati, richiede una capacità di risposta globale attraverso misure sia sul versante interno, che su quello internazionale, capaci di offrire una risposta strategicamente efficace e duratura nel tempo;
   in questo quadro, come già annunciato dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Ministro interrogato, occorre innanzitutto incrementare le misure capaci di prevenire il reclutamento, l'organizzazione e l'azione delle organizzazioni terroristiche, perseguendo nell'azione di controllo sul territorio nazionale e su tutte le modalità di comunicazione;
   come è noto, il vicinissimo svolgimento del Giubileo straordinario che si terrà a Roma costituisce uno dei maggiori elementi di attenzione del sistema di sicurezza italiano;
   recentemente lo svolgimento di Expo a Milano ha dimostrato la capacità complessiva del nostro sistema di coordinamento di tutte le competenze interessate atte a garantire la sicurezza di un così grande e complesso evento che ha visto la partecipazione di oltre 20 milioni di visitatori provenienti da tutto il mondo;
   particolarmente importante, a questo scopo, appare il potenziamento in termini di mezzi, personale e risorse, già attuato sin qui dal Governo e che, come dichiarato dal Presidente del Consiglio dei ministri, sarà ulteriormente incrementato nella legge di stabilità attualmente in discussione in questo ramo del Parlamento, in un'ottica di azione quanto più possibile integrata tra le attività di intelligence e le forze di polizia dei diversi Paesi europei;
   del resto, lo stesso Ministro interrogato, all'indomani dei fatti di Parigi e Bruxelles, ha prontamente dichiarato l'elevazione dello stato di allerta nazionale al livello 2, consentendo così un massiccio dispiegamento di forze civili e militari a salvaguardia degli obiettivi ritenuti maggiormente sensibili, e in un'informativa urgente in questo ramo del Parlamento ha ricordato come nel comitato nazionale per la sicurezza e l'ordine pubblico, presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri, si è deciso di anticipare l'arrivo a Roma del contingente di 1.000 uomini delle Forze armate già previsti per il Giubileo –:
   quale sia la valutazione del Ministro interrogato sullo stato complessivo del sistema di sicurezza italiano, anche alla luce dei recenti episodi di matrice terroristica.
(3-01884)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LABRIOLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come ormai noto dalle notizie di cronaca, gli attentati del 13 novembre 2015 a Parigi sono stati attacchi terroristici ad opera di gruppi armati ricollegabili all'autoproclamato Stato islamico (un gruppo terroristico islamista attivo in Siria e Iraq, il cui attuale capo, Abu Bakr al-Baghdadi, nel giugno 2014 ha unilateralmente proclamato la nascita di un califfato nei territori caduti sotto il suo controllo);
   tali attentati sono stati compiuti in diversi luoghi pubblici della capitale francese, fra i quali il più significativo è avvenuto presso il teatro Bataclan, dove sono rimaste uccise ottantanove persone. Si è trattato della più disastrosa aggressione in territorio francese dalla seconda guerra mondiale e del secondo più grave atto terroristico nei confini dell'Unione europea dopo gli attentati dell'11 marzo 2004 a Madrid;
   la Francia, dall'inizio del 2015, è stata vittima di numerosi attentati terroristici di matrice islamica, compiuti da sostenitori di Al-Qaeda e dello Stato Islamico. Infatti, a gennaio erano stati attaccati la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, a Parigi, e un supermercato kosher a Porte de Vincennes. Inoltre, come riportato dalla cronaca francese, nel corso dell'anno si sono verificati ulteriori attacchi minori;
   da un articolo del 26 giugno 2015, pubblicato da il giornale.it, si apprende che, dopo gli attacchi alle Torre Gemelle dell'11 settembre del 2001, per l'Italia il Viminale avesse stilato una lista di 13 mila obiettivi sensibili di potenziali bersagli degli estremisti islamici, tra cui il sito Expo 2015; per tale motivo il prefetto di Milano Francesco Paolo Tronca avrebbe disposto «una massima intensificazione delle misure di sicurezza» nell'ambito dell'operazione «strade sicure»;
   secondo l'articolo nella lista degli obiettivi sensibili rientrerebbero dicasteri, ambasciate, gruppi finanziari, sedi NATO, scuole americane, aeroporti, stazioni ferroviarie, metropolitane e luoghi di culto, in particolare sinagoghe;
   inoltre, risulterebbe che negli ultimi mesi siano rientrati in Europa oltre 400 combattenti addestrati in Siria dai miliziani del Califfato e che in generale si sia passati da una strategia terroristica organizzata di matrice qaedista ad attacchi dei cosiddetti «lupi solitari» e dei «foreign fighter» molto più imprevedibili e incontrollabili;
   in un articolo pubblicato il 30 novembre 2015 dal quotidiano on line strettoweb.com si sostiene che la Sicilia e la Calabria siano divenute basi logistiche dell'Isis e che precedenti operazioni condotte dalle forze dell'ordine avessero portato già nel 2013 alla scoperta di operazioni legate al terrorismo presso la Moschea di Sellia Marina, vicino Catanzaro, e nelle campagne alle pendici dell'Etna;
   da articoli de il quotidiano.it. e Lagazzettadelmezzogiorno.it, pubblicati in data 30 novembre 2015, si apprende che l'Isis punterebbe sui porti ed in particolare sui porti di Brindisi e di Bari;
   in particolare, secondo l'articolo de Lagazzettadelmezzogiorno.it, il Ministro interrogato avrebbe, a seguito di un vertice sulla sicurezza nella provincia di Bari, dichiarato che il porto del capoluogo pugliese sia ritenuto dall’intelligence «una possibile porta di ingresso per aspiranti jiadisti» e che non siano da sottovalutare le conseguenze derivanti dalla sentenza del 24 settembre da parte del tribunale di Bari con cui ha condannato cinque presunte persone componenti la cellula terroristica internazionale facente capo all'imam tunisino della moschea di Andria, Hosni Hachemi Ben Hassem, accusato anche di istigazione all'odio razziale (arrestato in Belgio nell'aprile 2013), alias ‘Abu Haronnè di 47 anni;
   l'interrogante, a seguito dell'allarme terrorismo derivante dai fatti di Parigi, ritenendo tutti i porti pugliesi possibili accessi per cellule terroristiche, ha inviato una richiesta formale alla prefettura di Taranto per avere contezza della presenza degli stranieri immigrati nella città e provincia, soprattutto a seguito degli ultimi sbarchi avvenuti nell'ambito dell'operazione «Triton»;
   dai dati trasmessi dalla prefettura si apprende che al 19 novembre 2015 il numero complessivo dei cittadini stranieri residenti sia pari a 6396, di cui 3560 uomini e 2836 donne e che, nel corso del 2015, nell'ambito dell'operazione Triton, siano avvenuti 20 sbarchi di navi civili e militari con un totale di 9025 migranti, di cui 7401 uomini, 1634 donne e 643 minori non accompagnati –:
   se non ritenga il porto di Taranto uno tra i probabili obiettivi dell'Isis e punto d'ingresso delle cellule terroristiche;
   di quali ulteriori dati disponga;
   se intenda fornire informazioni dettagliate sulla sistemazione e sull'alloggiamento dei migranti sbarcati nella città nel corso del 2015 e su quali siano le loro destinazioni;
   se siano in corso controlli sulle attività degli stranieri presenti sul territorio della provincia di Taranto e come intenda garantire la sicurezza dei cittadini italiani dell'intera area che già vivono disagi dovuti alla crisi economica e dal Commissariamento dell'ILVA;
   se sia stato disposto un piano per intensificare i servizi di controllo del territorio e quali ne siano le modalità;
   se reputi necessario, alla luce dei fatti espressi in premessa, un coordinamento congiunto degli uffici territoriali del Governo delle regioni Puglia, Calabria e Sicilia, per la messa a punto di azioni mirate per il controllo dei punti di accesso via mare ed in che modo intenda procedere. (5-07133)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NACCARATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 26 novembre scorso la direzione investigativa antimafia di Padova ha notificato ad alcune aziende padovane i procedimenti di confisca relativi ad un provvedimento di sequestro emesso dal tribunale di Catania il 12 febbraio 2013;
   il decreto della direzione investigativa antimafia di Catania riguarda beni e quote societarie per circa 7 milioni di euro tra Veneto e Sicilia;
   l'indagine si è concentrata su Giuseppe Faro, 58 anni, imprenditore operante nei settori dell'edilizia e del movimento terra, ritenuto vicino al clan La Rocca, affiliato alla famiglia Santapaola di Catania;
   Faro è stato già condannato a tre anni di reclusione per estorsione in concorso con l'aggravante del metodo mafioso, per una serie di rapine ai danni di autotrasportatori su cui si è concentrata l'operazione di polizia denominata «Calatino», condotta dalla direzione investigativa antimafia di Catania nel 2000 nei confronti del clan operante nel territorio di Caltagirone capeggiato dal boss Francesco La Rocca;
   dalle intercettazioni ambientali disposte in passato, nell'ambito dell'operazione «Iblis», Faro veniva inoltre indicato come il riferimento del boss Vincenzo Aiello, all'epoca rappresentante di «Cosa Nostra», e rappresentava il tramite per l'illecita aggiudicazione di gare di appalto;
   tra il 1992 ed il 2011, le indagini sulla sua capacità di reddito dell'imprenditore hanno permesso di accertare una forte sproporzione tra i redditi dichiarati ed il patrimonio dell'imprenditore;
   da tali indagini è emerso, inoltre, come Faro, dopo l'arresto del 2001, ha delegato alla moglie Maria Tomaselli e ai figli il compito di incrementare il patrimonio di famiglia;
   con quest'ultimo provvedimento Faro è stato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale per due anni;
   nel corso di questi anni, pur essendo nota la posizione di Giuseppe Faro, l'imprenditore ha continuato a fare affari attraverso le imprese riconducibili alla sua famiglia coinvolgendo anche società padovane e venete che hanno lavorato in associazioni temporanee d'impresa o in società con altre ditte collegate all'imprenditore per il quale il tribunale di Catania aveva ravvisato legami con le organizzazioni criminali;
   la confisca riguarda quota del 25 per cento dell'azienda 3MG immobiliare, con sede legale ad Albignasego (Padova), di proprietà di Maria Tomaselli, la quota del 40 per cento) di Edil Adriatica srl, con sede a Cona nel Veneziano, di proprietà della Tomaselli, il 49,5 per cento di Teolo Residence srl, con sede legale ad Albignasego (Padova) anch'essa della Tomaselli;
   l'indagine ha coinvolto anche la società Edil Guizza srl, con sede legale in via Guizza 91 a Padova, con capitale sociale diviso a metà tra la moglie di Giuseppe Faro e il figlio;
   inoltre il provvedimento della direzione investigativa antimafia è stato notificato alle aziende Sep snc di Franchin Stefano e Rostellato Lucio di Selvazzano (Padova), la Favaretti srl di Padova e la EdilCrivellin di Albignasego;
   questa confisca è il risultato di una importante operazione della direzione investigativa antimafia di Catania risalente a due anni fa sulla quale tuttavia l'opinione pubblica ha manifestato sensibilità soltanto oggi, mostrando ancora una volta un atteggiamento di generale sottovalutazione rispetto alla presenza della mafia in tale territorio;
   anche questa vicenda, al contrario, conferma una presenza stabile e strutturata della mafia in Veneto e nel tessuto produttivo dell'area: da un lato, le organizzazioni criminali entrano nelle imprese locali per ampliare la sfera di influenza e ingrandire il volume di affari, dall'altro imprenditori veneti cercano capitali per nuove operazioni, rivolgendosi anche a soggetti collegati alla Criminalità organizzata;
   le operazioni messe a segno dalle forze dell'ordine negli ultimi anni testimoniano che in Veneto si è ormai costituito un sistema strutturato di legami tra imprenditori locali e imprese riconducibili alle cosche che fanno affari, partecipano alla realizzazione di appalti pubblici e riciclano denaro sporco attraverso operazioni finanziarie nel nostro territorio;
   questo fenomeno altera le regole della concorrenza e penalizza le imprese oneste che tentano di rimanere sul mercato nel rispetto della legge –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti sopra esposti;
   quali iniziative di competenza, anche per il tramite degli uffici territoriali del Governo, intenda adottare per prevenire e contrastare la presenza della criminalità organizzata in Veneto. (4-11329)


   ZAN, CAMANI, CASELLATO, CRIVELLARI, D'ARIENZO, GINATO, MARTELLA, MOGNATO, MORETTO, MURER, NACCARATO, NARDUOLO, ROSTELLATO, ROTTA, RUBINATO e ZARDINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la notte del 26 novembre 2015 si sono registrati blitz del Fronte Veneto Skinheads davanti alla sede del Pd a Vigonza, in provincia di Padova, e della Caritas a Padova: gli attivisti neonazisti hanno posizionato davanti all'ingresso dei due edifici sagome tricolori di morti e manifesti funebri per protestare contro l'accoglienza dei migranti;
   nella sede vigontina del Pd sono stati rinvenuti inoltre due fori nel vetro della porta di accesso, evidentemente provocati nel tentativo di fare irruzione nell'ufficio;
   nella notte del 24 novembre 2015 le sedi della Caritas e del Pd a Como, Brescia, Crema, Lodi, Reggio Emilia-Guastalla, Piacenza-Bobbio, Trento, Vicenza, Treviso, Oderzo erano state analogamente prese di mira da azioni definite «dimostrative» dagli stessi autori;
   episodi analoghi si sono verificati le notti del 24 e 25 novembre nel veneziano, coinvolgendo la sede della Caritas di via Querini a Mestre e le sedi del Pd di San Donà di Piave e Quarto D'Altino;
   «Masse di stranieri ci stanno invadendo»: così il Veneto Fronte Skinheads aveva rivendicato la partecipazione al blitz nella notte del 24 novembre. Anche davanti a tali sedi erano stati lasciati all'esterno degli edifici manifesti funebri e sagome di cadaveri con i colori della bandiera italiana contro lo ius soli e il «favoreggiamento di un'invasione pianificata di orde di immigrati extraeuropei»;
   la rivendicazione delle intimidazioni è stata pubblicata sul sito del gruppo Veneto Fronte Skinheads (http://www.venetofronteskinheads.org/) insieme alle foto delle azioni con un comunicato intitolato «Guerra ai nemici della nostra terra !». Nel testo scrivono che «di fronte ai tiepidi, rari e scarni festeggiamenti per l'anniversario della vittoria della Prima guerra mondiale, l'associazione culturale Veneto Fronte Skinheads intende rivendicare le azioni tenutesi nella notte di ieri, volte a denunciare chi continua a condurre un chiaro disegno politico finalizzato all'annientamento dell'identità italiana»;
   «Associazioni come la Caritas – sostengono ancora gli estremisti di destra – in nome di un ipocrita umanitarismo di facciata e un falso filantropismo, trovano motivo di speculazione ed interesse, proponendo un pericolosissimo modello di integrazione volto solo ed esclusivamente a ridurre i popoli in una poltiglia indifferenziata, sradicandoli dalle loro radici e dalle loro tradizioni, in nome e per conto di un multiculturalismo dominante»;
   già nel settembre del 2015 in provincia di Pavia, la notte tra l'8 e il 9 settembre, erano state prese di mira sedi del Pd a Pavia, Vigevano, Mortara, Stradella e Dorno da «Progetto Nazionale», associazione politica di destra con sede a Verona e con collegamenti con il Veneto Fronte Skin;
   prendendo di mira le sedi Caritas è evidente che il danno prima di tutto coinvolga direttamente gli italiani che vivono in condizioni di estrema difficoltà economica e precarietà abitativa; a più riprese la Caritas ha chiesto il sostegno dello Stato a tali vili attacchi;
   a parere degli interroganti si tratta di azioni squadriste e intimidatorie che contrastano con i più basilari diritti costituzionali di libertà e che si pongono come una vera e propria istigazione alla delinquenza e all'odio razziale;
   la legge 25 giugno 1993, n. 205, meglio nota come legge Mancino, è oggi il principale strumento legislativo che l'ordinamento italiano offre per la repressione dei crimini d'odio, sanzionando e condannando gesti, azioni e slogan legati all'ideologia nazifascista e aventi per scopo l'incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali;
   il nostro ordinamento vieta ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. E si prevede che chi partecipi a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presti assistenza alla loro attività, sia punito, per il solo fatto della partecipazione o dell'assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni; analogamente, coloro i quali promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni;
   è stata prevista inoltre la procedibilità d'ufficio «in ogni caso» dei reati aggravati dalla finalità di discriminazione razziale –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, se non intenda intensificare le misure di sicurezza per le sedi Caritas presenti sul territorio nazionale, per prevenire ulteriori blitz da parte dei gruppi neonazisti;
   quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, il Ministro intenda assumere affinché venga assicurato il rispetto nel nostro Paese della «legge Mancino» e, conseguentemente, vengano contrastate tali azioni, riconducibili al gruppo Fronte Veneto Skinheads. (4-11334)


   DE MITA. — Al Ministro dell'interno. – per sapere – premesso che:
   in data 10 luglio 2015 il Ministero dell'interno rispondeva con la nota n. 300/a/5072/15/127/34 del 10 luglio 2015 ad un quesito formulato dalla prefettura di Ferrara avente ad oggetto «Pagamento sanzioni codice della strada con bonifico bancario ex articolo 6-ter, decreto-legge n. 5 del 2012 volto ad individuare l'effettiva scadenza del termine di cui al citato articolo nel caso di pagamento effettuato on line con bonifico bancario»;
   in pratica, si chiedeva al Ministero se il pagamento effettuato nei cinque giorni, ma accreditato nel conto corrente della polizia il giorno successivo (6o giorno) fosse in linea con il dettato normativo;
   il Ministero, con la suddetta nota del 10 luglio 2015, uniformandosi ad un parere reso dal Ministero dell'economia e delle finanze del 14 gennaio 2015 disponeva che: «diversamente dal pagamento in conto corrente postale, che ha valore liberatorio per la somma riportata sulla relativa ricevuta dalla data in cui il versamento è stato eseguito, nei pagamenti tramite conto corrente e bonifico bancario ovvero con strumenti di pagamento elettronico, l'effetto liberatorio per il pagatore, e quindi la definizione del verbale, si ha alla data di accredito dell'importo sul conto del destinatario, ossia dell'organo di Polizia stradale»;
   sulla base di tale nota, il comune di Lecce, per il tramite della polizia municipale, ha notificato numerosissime lettere pre-ruolo per la riscossione di somme a seguito di pagamenti effettuati «in ritardo tramite bonifico bancario» addirittura riferentesi a multe del biennio 2013/2014, sanzionando i cittadini che avevano effettuato il pagamento della contravvenzione nei cinque giorni, ma con valuta accreditata il giorno successivo;
   pertanto, l'amministrazione di Lecce ha applicato tale nota in modo retroattivo in malam partem;
   tutte le Amministrazioni locali italiane, sempre ai fini dell'adozione di tale interpretazione, dovrebbero, comunque, chiedere alle società che emettono le sanzioni e gli avvisi di pagamento di inserire la specificazione secondo la quale il pagamento effettuato il quinto giorno non è valido se la valuta non è parimenti di tale giorno spendendo comunque ingenti somme –:
   se, trattandosi di pagamenti effettuati nei termini e che sono accreditati nel conto corrente del beneficiario al massimo con un giorno di ritardo rispetto al termine previsto ex lege e considerato che la giurisprudenza considera – unanimemente – le circolari ministeriali inidonee ad innovare l'ordinamento giuridico, si intenda confermare tale interpretazione che appare all'interrogante ingiustificatamente penalizzante per i cittadini, i quali operando il bonifico nei termini dovrebbero essere liberati dall'obbligazione. (4-11338)


   LUIGI DI MAIO, RUOCCO, SIBILIA, DI BATTISTA e FICO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la società municipalizzata per a gestione dei rifiuti (A.AM.P.S.) del comune di Livorno ha allo stato attuale circa 42 milioni di uro di debiti: secondo quanto risulta, le amministrazioni precedenti avevano fatto a meno di riscuotere la tassa sui rifiuti, dal momento che l'A.AM.P.S. era «tenuta in vita» da una serie di banche, tra cui il Monte dei Paschi di Siena, che una volta eletto un sindaco del MoVimento 5 Stelle di fatto hanno «chiuso i rubinetti»;
   nel giro di pochi mesi la situazione è degenerata e il sindaco di Livorno Filippo Nogarin ha attualmente due possibilità: ricapitalizzare l'azienda, sottraendo al bilancio quasi 11 milioni di euro nel 2016, gravando così sui servizi essenziali, tagliando in maniera pesante, anche da punto di vista occupazionale, esponendo il comune al rischio del dissesto finanziario e coprendo le responsabilità di chi ha creato questa situazione oppure, in alternativa, avviare un concordato preventivo in continuità, capace di risanare l'azienda attraverso l'intervento dei commissari e garantendo al massimo i creditori, i posti di lavoro di tutti gli operai e i loro stipendi;
   ovviamente, la giunta di Filippo Nogarin ha puntato sulla seconda opzione, scegliendo di non gravare sui cittadini, tutelare i dipendenti e far emergere le responsabilità delle precedenti amministrazioni;
   occorre a questo proposito segnalare che la gestione del reclutamento, negli anni, è sempre stata legata a logiche diverse da quelle della meritocrazia e dell'efficienza: come si legge nel rapporto predisposto nel maggio 2015 dal dottor Andrea Marzovilla, «gran parte del personale è confluito in azienda in epoche nelle quali la selezione del personale non seguiva propriamente le regole base della meritocrazia e per i quali il posto fisso all'interno di una azienda pubblica rappresentava sicurezza, solidità, e garanzie contrattuali. Tutto ciò a prescindere dai risultati aziendali e dalle capacità individuali e dall'impegno richiesto durante lo svolgimento della propria mansione»;
   sempre in tale rapporto, il dottor Marzovilla denuncia la totale assenza di alcuni dei fondamentali elementi di gestione del personale: «- totale assenza di gestione inter-aziendale: Assenza di coordinamento tra i reparti. Assenza di breefing settimanali tra i responsabili di area, per il coordinamento e la programmazione delle attività. – Totale assenza di gestione del personale: in Assenza di un ufficio di gestione del personale in grado di organizzare al meglio le risorse umane presenti in azienda. – Totale assenza di programmazione organizzativa: Assenza di visione programmatica delle attività da svolgere, salvo quelle di ordinaria gestione, routine quotidiana o a breve termine. Totale mancanza di programmazione delle attività straordinarie. – Totale assenza di visione strategica: Nessuna attività di progettazione delle iniziative strategiche tese al consolidamento, miglioramento, crescita, dell'azienda. Totale mancanza di piani aziendali a medio/lungo periodo. – Totale assenza di obiettivi in termini di efficienza produttiva: Non ci sono tracce di una politica aziendale che fissi obiettivi premianti circa target di produttività da conseguire. Sebbene alcuni settori godano di una sostanziale, sana e indiscutibile efficienza, questo lo si deve esclusivamente alla professionalità, scrupolo e competenza dei singoli capi area. – Totale assenza di Team-working: Ogni sezione dell'azienda lavora a compartimenti stagni. Nessuna attività che preveda cooperazione tra le varie aree in una logica di gruppo. L'estrema sindacalizzazione dell'azienda ha dato luogo, in qualche caso, al fenomeno dei "recinti interni": piccoli potentati nei quali l'obiettivo perentorio è il mantenimento dello status quo»;
   interessanti sono anche i dati relativi al numero di amministrativi che, secondo quanto risulta all'interrogante, sarebbe del 50 per cento, laddove normalmente in aziende di questo tipo sarebbe di circa il 15 per cento. Il numero degli operativi sarebbe, quindi, di gran lunga inferiore alla media;
   nonostante questi dati, il sindaco Nogarin si è più volte impegnato pubblicamente per la salvaguardia dei posti di lavoro;
   alla luce di quanto fino ad ora esposto, appare evidente come quella che l'interrogante ritiene una ignobile gazzarra mediatica sollevata dalle forze politiche responsabili dello scempio attuale sia dettata dal timore che emergano gravissime responsabilità, a parere di chi scrive potenzialmente anche penali, delle precedenti amministrazioni e a gettare discredito sull'attuale amministrazione, l'unica che, dopo decenni di gestioni dissennate, ha cercato di porre un argine allo sfacelo;
   nella giornata di lunedì 30 novembre si è svolta una lunga riunione del consiglio comunale che ha ratificato la decisione della giunta di procedere alla seconda opzione;
   in vista di tale appuntamento istituzionale, l'assemblea dei lavoratori di A.AM.P.S., così come si apprende da un comunicato stampa pubblicato sul sito web dell'azienda, il 28 novembre ha indetto uno stato di agitazione e ha sospeso per alcuni giorni le attività di rimozione dei rifiuti, creando così un grave problema di igiene pubblica: è evidente come tale situazione non si possa protrarre avanti nel tempo senza che la pubblica incolumità sia messa in grave pregiudizio;
   nella mattinata del 1o dicembre la FP CGIL di Livorno ha annunciato la ripresa delle attività di pulizia, ma la situazione rimane sempre molto tesa e saranno necessari alcuni giorni per ripristinare una situazione igienicamente accettabile;
   è opportuno che, qualora dovesse riprendere l'astensione dal lavoro sia repentinamente considerata l'opportunità di avviare le procedure di cui all'articolo 8 della legge 12 giugno 1990, n. 146, che conducano il prefetto di Livorno ad emanare, se necessario, misure precettive che costringano i lavoratori dell'A.AM.P.S. ad interrompere quella che l'interrogante giudica una loro scriteriata astensione dal lavoro –:
   se non si intenda assicurare, per quanto di competenza, una attenta vigilanza affinché, qualora si dovessero ripresentare problemi analoghi a quelli degli ultimi giorni sia tempestivamente attivata la la procedura di cui all'articolo 6 della legge 12 giugno 1990, n. 146, per giungere alla precettazione dei dipendenti dell'A.AM.P.S. che, con la loro astensione dal lavoro rischiano di creare un grave pregiudizio alla salute pubblica e alla pubblica incolumità. (4-11342)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRATOIANNI e PANNARALE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Accademia delle belle arti di Bari vive una situazione drammatica. Gli 850 iscritti svolgono le attività formative in un palazzo in via Re David a Bari, che non ha le caratteristiche idonee ad ospitare in maniera adeguata gli studenti e i lavoratori;
   molto spesso i professori sono costretti a ripetere le lezioni per consentire agli studenti di seguire, suddivisi in gruppi, dal momento che gli spazi interni possono contenere solo pochi studenti;
   l'Accademia ha anche un patrimonio di circa 9000 titoli, tra monografie, cataloghi e riviste di settore. Una biblioteca, inoltre, aperta anche a studiosi esterni. Ma ai locali sotterranei della biblioteca non si può entrare in più di tre persone perché c’è il deposito del gasolio del condominio e i vigili del fuoco hanno imposto delle limitazioni per ragioni di sicurezza;
   a questo si aggiunge anche una situazione economica disastrosa, dal momento che i locali di via Re David sono di proprietà della ex provincia, che vanta un credito di circa 5 milioni di euro dall'Accademia delle belle arti, costretta, quindi, a pagare un fitto. Ma l'Accademia non ha risorse sufficienti;
   le attività dell'Accademia sono, pertanto, a forte rischio, anche perché da anni si cerca un immobile a Bari o in provincia, adeguato a ospitare gli studenti, senza risultato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione e quali iniziative urgenti di competenza intenda adottare per garantire che l'Accademia delle belle arti di Bari abbia una struttura adeguata alle attività. (5-07130)

Interrogazione a risposta scritta:


   MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, BENEDETTI, GAGNARLI e PARENTELA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la cosiddetta «fuga dei cervelli» in ambito scientifico, riguardante l'espatrio delle migliori «menti» in cerca di occupazione all'estero, non sembra arrestarsi ed è generato dalla difficoltà dei ricercatori italiani di trovare un lavoro stabile e duraturo e/o a proseguire le sperimentazioni per le quali si sono formati e specializzati presso gli ambiti di ricerca pubblici o privati del nostro Paese. In questo momento pare difficile indurre cambiamenti strutturali tali da arrestare tale emorragia;
   il fenomeno è aggravato anche dal fatto che i ricercatori italiani sono indotti a pubblicare in lingua Inglese e soprattutto su riviste straniere, perché così previsto da un regolamento dello Stato italiano. Alla «fuga dei cervelli» si aggiunge quindi la «fuga delle idee» prodotte in Italia e pagate dai contribuenti italiani. In questo modo è evidente che si limita la possibilità del Paese di accedere a contributi scientifici fondamentali per lo sviluppo e la competitività delle imprese italiane;
   la ricerca in ambito forestale e del verde ornamentale non è esente da questa vera e propria emorragia. È quindi più che mai necessario promuovere iniziative per "trattenere" in Italia la conoscenza prodotta, onde evitare di perdere competitività sia sul piano nazionale che su quello internazionale;
   ciò che spinge studiosi e ricercatori italiani a pubblicare all'estero i risultati del proprio lavoro è legato alle regole di valutazione della ricerca stessa che si è date lo Stato italiano. In pratica il principale metodo di valutazione della ricerca è di tipo bibliometrico e prevede che un ricercatore debba avere il proprio lavoro citato, da altri ricercatori, in riviste scientifiche internazionali pubblicate quasi esclusivamente in inglese e dotate di Impact Factor (IF);
   l'IF è un sistema valutativo, made in USA, basato sul numero di «citazioni» che riceve ciascun articolo; i docenti universitari, i ricercatori e i relativi dipartimenti e istituti vengono valutati, per la loro carriera o per l'ottenimento di finanziamenti, principalmente attraverso questo sistema. Per comprendere le proporzioni basti pensare che la valutazione di articoli IF può portare ad ottenere fino a 75 punti, mentre la creazione di uno spin-off che dà lavoro e trasferisce i risultati nel nostro Paese, al massimo può portare un punto alla quantificazione dei risultati; Io stesso dicasi per tutti gli altri aspetti che richiedano sforzi organizzativi con ricadute benefiche sul territorio, sull'occupazione e sulla competitività che di fatto non vengono valutati ai fini dell’Impact Factor;
   ai fini della bontà di una ricerca dovrebbero essere valutati anche libri, didattica universitaria, articoli in riviste peer review, convegni scientifici e molto altro ancora, oltre alla capacità di proporre progetti concreti con ricadute dirette sul benessere dei cittadini oltre alla capacità di raccogliere e gestire risorse su scala locale, regionale, nazionale, europea e internazionale, nonché dell'abilità nel gestire team complessi e nel valorizzare le persone;
   è opinione degli interroganti che il sistema valutativo attuale, ossia incentrato quasi esclusivamente sull'IF spinge ad approfondire solo gli argomenti che possano incontrare l'interesse di colleghi ricercatori di altre nazioni, più che affrontare problematiche di interesse nazionale o regionale, ma anche a non investire tempo nella divulgazione del proprio operato in Italia;
   urge l'esigenza di migliorare il trasferimento di conoscenza tra chi la produce a chi può applicarla anche nel nostro Paese, in particolar modo per quelle discipline nelle quali gli studi hanno una rilevanza forzatamente legata alla situazione locale o nazionale, a causa di condizioni geografiche, stazionali, climatiche, socioeconomiche non riscontrabili in contesti internazionali, e tra queste si ribadisce il caso eclatante delle scienze forestali e ambientali;
   dare molto peso all'IF, soprattutto nel settore forestale e del verde ornamentale, può distorcere i contenuti dell'attività di ricerca allontanandoli dall'interesse dei cittadini e del territorio. Tra l'altro questo problema non riguarda solo l'Italia e neppure solo i settori citati. Basti sapere che anche il premio Nobel per la medicina del 2013, Randy Schekman durante l'assegnazione del premio, ha affermato: «Le principali riviste scientifiche distorcono il processo scientifico e rappresentano una “tirannia” che va spezzata»;
   per queste ragioni, le due riviste di riferimento che si rivolgono ai settori forestale e del verde ornamentale, rispettivamente «Sherwood Foreste» ed «Alberi Oggi» e «ACER», hanno promosso una petizione rivolta a chiedere il cambiamento del metodo di valutazione della ricerca italiana nel settore forestale e del verde ornamentale;
   la petizione è diretta alle istituzioni responsabili delle scelte attuali e nello specifico al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (MIUR), all'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), al Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) e al Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (ex CRA ora CREA) con l'obiettivo di prevenire la fuga delle idee e dei risultati che questi producono, modificando le regole di valutazione e includendo, con pari dignità la divulgazione dei risultati anche attraverso efficaci canali e strumenti di divulgazione in lingua italiana;
   la petizione di cui sopra ha raccolto 1.088 firme, provenienti da tutta Italia e da tutte le categorie di portatori d'interesse, compresi molti ricercatori che si trovano a dover rispondere al suddetto sistema di valutazione;
   l'appello è stato ripreso recentemente per raccogliere il sostegno da parte di associazioni, enti e gruppi di rappresentanza del settore e ad oggi ha ricevuto il sostegno ufficiale da parte di undici importanti associazioni quali:
    AALSEA (Associazione italiana arboricoltura da legno sostenibile per l'economia e l'ambiente);
    AFI (Associazione forestale italiana);
    AIEL (Associazione italiana energie agroforestali);
    AIFOR (Associazione italiana istruttori forestali);
   CoNalBo (Coordinamento nazionale imprese boschive);
   EFESC Italia (European Forestry and Environmental Skills Council);
   ETIFOR s.r.l. (Spin-off università di Padova);
   FMMF (Foresta modello delle montagne fiorentine);
   FSC Italia (Forest Stewardship Council);
   PEFC Italia (Programme for Endorsement of Forest Certification schemes);
   Pro Silva Italia –:
   se ritenga fondate le osservazioni riguardanti la metodologia valutativa basata sull'IF sollevata dalle due importanti riviste forestali e sostenute attraverso la petizione che ha visto oltre mille sottoscrizioni l'adesione di 11 associazioni di settore;
   se consideri necessario assumere iniziative per assumere iniziative per rivalutare il «peso» della metodologia basata sull'IF nel determinare la carriera e i finanziamenti della ricerca, adottando metodi oggettivi che tengano conto anche di libri, convegni, attività didattiche, articoli o altri prodotti della divulgazione scientifica sviluppati in lingua italiana, e in caso affermativo, con quale iniziativa normativa;
   se non ritenga, opportuno intraprendere le iniziative di competenza finalizzate a facilitare l'accesso ai risultati della ricerca in ambito forestale e del verde ornamentale alle imprese e ai cittadini italiani. (4-11332)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   BORGHESI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il sistema sanzionatorio dell'INPS sui contributi, previdenziali omessi o versati in ritardo vigente ante 2000 prevedeva, oltre agli interessi legali, «multe» pari al 200 per cento; tale sistema ha subito profonde modifiche con la legge finanziaria per il 2001 legge 23 dicembre 2000, n. 388 ai sensi dell'articolo 116, commi 8-18;
   in particolare, l'articolo 118 della predetta legge dispone che per i crediti accertati al 30 settembre 2000 le sanzioni sono dovute nella misura e secondo le modalità previste dalla previgente normativa (commi 217, 218, 219, 220, 221, 222, 223 e 224 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662) e che il maggiore importo versato – quale differenza fra quanto dovuto secondo la previgente normativa e quanto calcolato in base alla nuova normativa sanzionatoria – avrebbe costituito un credito contributivo nei confronti dell'ente previdenziale, da porre a conguaglio ratealmente nell'arco di un anno;
   la Corte di Cassazione sezione civile con sentenza 7981 del 5 aprile 2006, ha precisato che il sistema sanzionatorio più grave previsto dall'articolo 1, comma 217, della legge 662 del 1996, si applica, alla stregua dell'articolo 116, comma 18, della legge n. 388 del 2000, ai «crediti accertati e in essere al 30 settembre 2000», considerando come crediti accertati quelli ammessi espressamente nella denuncia resa dal contribuente prima della detta data, con ciò cassando la decisione di merito che aveva applicato il regime sanzionatorio più lieve previsto dalla legge n. 388 del 2000, sul presupposto della notifica della cartella esattoriale in epoca successiva al settembre 2000 e ribaltando quanto precedentemente affermato nella sentenza n. 6680 del 9 maggio 2012 sempre resa dalla Corte di Cassazione, sezione civica;
   inevitabilmente tale decisione ha avuto ricadute più che pesanti su coloro che, anche per mancanza di disponibilità immediata di liquidità, si sono ritrovati nell'impossibilità di chiudere la propria posizione debitoria nei confronti dell'Inps a causa della «riattivazione» del regime sanzionatorio più grave e pregiudica oltremodo le ditte cessate, per le quali la legge non si è pronunciata, provocando un evidente vuoto normativo, ditte che, a parte la difficoltà di pagare ingenti somme, non potrebbero comunque più beneficiare del cosiddetto «credito contributivo» previsto dalla legge;
   evidente disparità di trattamento determinata dal tempo (crediti accertati e in essere o non accertati al 30 settembre 2000) e dalla pronta disponibilità di liquidità si pone in palese contrasto con la Carta costituzionale in particolare con gli articoli 3 e 53 –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano assumere per risolvere un problema di così ampia portata ed evitare che l'interpretazione giurisprudenziale provochi forme discriminazione;
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative per riaprire i termini per i soggetti che non hanno potuto beneficiare della possibilità di sanare, allora, la propria posizione debitoria, peraltro nel frattempo aggravatasi ulteriormente, con ciò perseguendo la duplice finalità di salvaguardare realtà occupazionali e garantire più certe entrate nel bilancio dello Stato. (4-11323)


   CAMANI, ZAN, MIOTTO, NARDUOLO, NACCARATO e ROSTELLATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 27 novembre 2015 una operazione congiunta tra la polizia locale di Abano Terme e i carabinieri ha scoperto un gruppo di persone che occupavano abusivamente l'Hotel Magnolia di via Volta ad Abano Terme;
   gli occupanti sono stati identificati come cittadini di nazionalità tunisina e marocchina e tra questi anche una ragazza, di vent'anni, di Nervesa della Battaglia in provincia di Treviso con una bambina di un anno;
   una delle persone fermate è stata condotta in isolamento in quanto affetta da tubercolosi, a testimonianza delle condizioni malsane in cui viveva il gruppo;
   un altro degli occupanti è destinatario di un decreto di espulsione;
   nell'albergo sono state trovate tracce di sangue sul pavimento, segni di un falò acceso, medicinali e oggetti sparsi per i cinque piani dell'albergo;
   la struttura alberghiera è dismessa da molto tempo e abbandonata in situazione di degrado;
   l'hotel Magnolia, insieme ad altre tre strutture alberghiere dismesse, è di proprietà di ENPAM – Ente nazionale di previdenza ed assistenza medici, Fondazione, che si occupa di previdenza e assistenza per medici e odontoiatri, sottoposta alla vigilanza del Governo;
   anche gli altri alberghi di proprietà dell'ENPAM, in particolare l'Orologio ad Abano e gli hotel Montecarlo e Caesar a Montegrotto Terme, versano in precarie condizioni e, ad oggi, non vi è notizia della volontà dell'ente di predisporre un piano strategico per riqualificare le strutture o destinarle al mercato privato;
   questa situazione ha generato forte allarme nell'amministrazione comunale e nella comunità locale;
   la vicenda suscita particolare preoccupazione presso gli interroganti anche perché non si tratta del primo episodio di degrado scoperto dalle forze dell'ordine, in questi immobili e appare evidente che in mancanza dell'intervento della proprietà di ENPAM fatti analoghi potrebbero ripetersi generando anche problemi di ordine pubblico –:
   se i Ministri siano al corrente dei fatti sopra esposti;
   se intendano assumere iniziative affinché l'Ente nazionale di previdenza ed assistenza medici adotti provvedimenti volti a evitare che si ripetano simili situazioni di degrado;
   quali iniziative di competenza intenda adottare affinché l'Ente nazionale di previdenza ed assistenza medici predisponga un piano di riqualificazione o di alienazione degli immobili di sua proprietà nei comuni di Abano e Montegrotto Terme. (4-11333)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI, FRANCO BORDO, FOLINO, PIRAS, QUARANTA, FERRARA, COSTANTINO, SANNICANDRO, DURANTI, MELILLA e KRONBICHLER. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la testata il Resto del Carlino (edizione di Pesaro) del 28 novembre 2015, riporta la notizia del termine di una complessa operazione denominata «Vertical Bio», volta a smantellare una organizzazione dedita ad attività di importazione di prodotti alimentari falsamente indicati come biologici;
   le indagini sono state condotte dal, Comando provinciale della guardia di finanza di Pesaro e dall'ispettorato repressione frodi (ICQRF) del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, diretti dalla procura della Repubblica di Pesaro;
   l'attività investigativa ha consentito di individuare due complesse associazioni per delinquere, composte da imprenditori italiani, attivi, attraverso collaborazioni a vario livello, a Pesaro, Campobasso, Piacenza e Verona;
   secondo gli inquirenti l'organizzazione si avvaleva di due organismi di certificazione compiacenti, con sede a Fano (PU) e Sassari, che si occupavano del controllo dei prodotti falsamente attestati come «biologici»;
   il sistema di frode consisteva nella produzione di granaglie in Paesi terzi, quali Moldavia, Ucraina, Kazakistan, che venivano qualificate come «biologiche» dagli organismi di certificazione locali, ma controllati dai soggetti italiani collegati agli imprenditori attivi nel sodalizio suddetto. In un secondo momento le granaglie venivano importate in Italia, anche per il tramite di una società con sede a Malta, che importava i prodotti nel mercato comune, eludendo i controlli italiani;
   gli inquirenti stimano che il sistema abbia fruttato alle società coinvolte, nel periodo dal 2007 al 2013, un fatturato di 1.26 milioni di euro, con proventi illeciti pari a circa 32 milioni di euro;
   il quantitativo di granaglie introdotte (mais, soia, grano, colza, semi di girasole) è stimato in circa 350.000 tonnellate;
   l'inchiesta ha portato al rinvio a giudizio di 33 persone  –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato al fine di rafforzare i controlli sulle filiere relative a prodotti «biologici»;
   quali iniziative intenda assumere per rendere più stringenti le verifiche sulla conformità di tali prodotti, importati in Italia da società con sedi in altri Paesi dell'Ue. (4-11324)


   DI BATTISTA e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo forestale dello Stato è una forza di polizia dello Stato ad ordinamento civile, specializzata nella tutela dell'ambiente e dell'ecosistema;
   l'articolo 3, comma 4, della legge 36 del 2004 dispone testualmente che «Il capo del Corpo forestale dello Stato è nominato ai sensi dell'articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748»;
   l'articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 748 del 1972 prevede che: «La nomina a dirigente generale, o a qualifiche superiori, è conferita, nei limiti delle disponibilità di organico, con decreto del Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente. La nomina può essere conferita anche ad impiegati di altri ruoli o di altre Amministrazioni, ovvero a persone estranee all'Amministrazione dello Stato, salvo le riserve di posti previste da speciali disposizioni in favore di funzionari delle Amministrazioni interessate»;
   l'attuale Capo del Corpo forestale dello Stato è Cesare Patrone, nominato dal Consiglio dei ministri in data 28 aprile 2004, oltre 11 anni e mezzo fa;
   gli interroganti hanno già sottoposto, con precedenti atti di sindacato ispettivo, alcuni aspetti al Governo che dovrebbero portare ad un avvicendamento al vertice del Corpo forestale dello Stato;
   innanzitutto, la permanenza al vertice di una forza di polizia per un periodo pari ad oltre 11 anni risulta assolutamente priva di giustificazione;
   a ciò si aggiungano una serie di vicende personali che vedono coinvolto l'ingegner Cesare Patrone;
   in primo luogo, come già esposto in precedenti interrogazioni, nelle selezioni ai concorsi di allievi e agenti e di vice ispettori del Corpo forestale dello Stato sono risultati vincitori numerosi figli di comandanti, dirigenti o persone legate al Capo del Corpo forestale, Cesare Patrone;
   in particolare alla nipote del Capo del Corpo forestale, nel 2008, sarebbe stata riconosciuta l'idoneità al concorso da primo dirigente, nonostante si sia classificata quarta su tre posti disponibili nonché, con riferimento al concorso per il grado di «vice-ispettore» le cui selezioni si sono tenute a Roma in data 7, 8, e 9 maggio 2008, sempre secondo quanto riportato nella suddetta inchiesta giornalistica, tra i vincitori risulterebbero esserci persone riconducibili al Capo del Corpo forestale come il fratello, la cognata, l'autista nonché diverse persone provenienti dalla sua segreteria;
   in secondo luogo, l'ingegner Cesare Patrone è stato condannato per danno erariale in due differenti pronunce dalla Corte dei Conti: con una prima sentenza (n.148/2012/R) la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale della Basilicata, ha condannato l'ingegner Cesare Patrone al pagamento in favore del Corpo Forestale della Stato della somma di 16.307,08 euro, per aver disposto e mantenuto, al di fuori delle previsioni di legge, in oneroso distacco a Roma, presso la Cassa Mutua del Corpo, un assistente in servizio presso il Coordinamento locale di Lagonegro; con una seconda sentenza (n. 454/2012) la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale del Lazio, ha condannato l'ingegner Patrone a risarcire allo Stato la somma di 50.000,00 euro oltre interessi e rivalutazione, per aver affidato ad uno studio legale l'incarico di consulenza per la gestione della flotta elicotteristica ed il contenzioso radicato per contrasti insorti con società fornitrici, affidamento che, secondo la magistratura contabile, è risultata in larga parte inutile in quanto avente ad oggetto attività che rientrano «indubbiamente nell'ambito delle funzioni ordinarie, per lo svolgimento delle quali l'amministrazione pubblica non può fare ricorso a contratti di collaborazione e consulenza esterna» ... e che «avrebbe potuto essere svolta da funzionari del Corpo Forestale»;
   a ciò si aggiunga, in terzo luogo, che l'ingegner Cesare Patrone ha altresì subito un procedimento penale per il reato p. e p. dall'articolo 361 del codice penale perché, in qualità di pubblico ufficiale, quale Capo del Corpo Forestale dello Stato, ometteva di denunciare all'autorità giudiziaria i fatti costituenti reato di cui aveva avuto notizia nell'esercizio delle sue funzioni;
   in esito al predetto procedimento l'ingegner Patrone, è stato condannato dal tribunale ordinario di Roma, sezione penale, in composizione monocratica, con sentenza portante n. 14351/13 del 19/07/2013, che ha dichiarato «Patrone Cesare colpevole del reato ascrittogli e, concesse le attenuanti generiche, lo condanna alla pena di gg. Venti di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali»;
   in aggiunta a quanto appena esposto sono emersi nuovi aspetti di rilievo che devono necessariamente essere portati a conoscenza del Governo dal quale, questa volta, sarebbe finalmente utile ricevere delle risposte che, ad oggi, non sono mai arrivate;
   in particolare organi di stampa hanno riportato come l'ingegner Cesare Patrone sembra non aver detto la verità davanti alla Commissione di inchiesta antimafia in merito ai suoi rapporti con Cipriano Chianese, condannato in primo grado per estorsione nonché sotto processo per associazione mafiosa, disastro ambientale e avvelenamento delle acque in Campania;
   organi di stampa riportano addirittura come la procura consideri Chianese «l'inventore e ideatore dell'Ecomafia in Campania» che, insieme al vertice del clan dei Casalesi, in particolare Francesco Bidognetti, conosciuto come Cicciotto ‘e mezzanotte, avrebbe imbastito il grande affare del pattume tossico;
   nello specifico, nel mese di luglio 2015, l'attuale capo del Corpo forestale avrebbe dichiarato, davanti alla predetta Commissione bicamerale, di non ricordare chi fosse Cipriano Chianese;
   organi d'informazione, primo fra tutti Il Fatto Quotidiano, hanno però dato atto dell'informativa consegnata alla procura di Napoli nel marzo 2013 dal poliziotto Roberto Mancini, dalla quale emergerebbero familiarità proprio tra Patrone e Chianese;
   da alcune intercettazioni, sempre secondo Il Fatto Quotidiano nell'articolo a firma di Luca Ferrari e Nello Trocchia, risalenti al 1994, emergerebbe come i rapporti tra i due fossero assolutamente familiari e colloquiali: Patrone si riferisce a Cipriano Chianese con espressioni del tipo «Come stai caro ?», «Cipriano ti abbraccio»;
   la vicenda appena esposta è stata altresì oggetto di un altro atto di sindacato ispettivo e, nello specifico dell'interrogazione a risposta in Commissione, a prima firma della deputata Terzoni, n. 5-07062;
   a prescindere dai rilievi penali della vicenda appena esposta, gli interroganti ritengono comunque inopportuno, da un lato, che il capo del Corpo forestale possa non aver detto la completa verità innanzi alla Commissione bicamerale d'inchiesta e, dall'altro lato, ove confermati, che esistano rapporti, anche se datati, tra un soggetto coinvolto in processi di ecomafie e chi è invece, a capo di un corpo di polizia specializzato nella tutela dell'ambiente e dell'ecosistema che ha il compito di perseguire reati ambientali;
   la questione assume ancor più importanza laddove si consideri che i tre Ministri competenti in materia di controlli nella cosiddetta «Terra dei fuochi», il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e il Ministro della salute, unitamente all'allora presidente della regione Campania, hanno concordato di individuare, nella persona del Capo del Corpo forestale, ingegner Cesare Patrone, il nuovo coordinatore del gruppo di lavoro (istituito in base alla direttiva interministeriale del 23 dicembre 2013) relativo agli interventi necessari al rapido completamento delle indagini (dirette e indirette) nei siti classificati come a rischio –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti di cui in premessa ed in particolare della sentenza di condanna per danno erariale e della sentenza di condanna per il reato di cui all'articolo 361 del codice penale emesse nei confronti dell'ingegner Cesare Patrone;
   quali siano le ragioni per cui l'ingegner Cesare Patrone continui a ricoprire l'incarico di capo del Corpo forestale dello Stato, nonostante le circostanze evidenziate in premessa e quelle portate in evidenza da ormai numerosi atti di sindacato ispettivo, presentati anche dagli interroganti;
   quali iniziative il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali abbia assunto ed intenda assumere alla luce delle vicende descritte, tenuto conto che il Corpo forestale dello Stato è posto alle sue dirette dipendenze ai sensi dell'articolo 3 della legge 6 febbraio 2004, n. 36;
   se il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali non consideri opportuno, sulla base delle argomentazioni di cui in premessa, sottoporre immediatamente la proposta di un nuovo capo del Corpo forestale dello Stato al Consiglio dei ministri;
   se i Ministri interrogati, alla luce di quanto esposto nelle premesse che precedono, non ritengano di procedere alla revoca dell'incarico dell'ingegner Cesare Patrone quale coordinatore del gruppo di lavoro sulla «Terra dei Fuochi». (4-11331)

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata:


   SOTTANELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto 7 ottobre 2015, n. 96, del presidente della regione Abruzzo, in qualità di commissario ad acta, avente ad oggetto «Art. 30 del decreto legislativo 23 giugno 2011 n. 118: Finanziamento degli interventi operativi per la qualificazione e il potenziamento della Rete di Emergenza Urgenza Territoriale e delle Prestazioni del 118», la regione Abruzzo ha riorganizzato la rete dell'emergenza urgenza territoriale e delle prestazioni del 118;
   il piano prevede che la postazione del 118 del comune di Isola del Gran Sasso d'Italia venga privata dell'infermiere con il dimezzamento delle ore di volontariato del soccorso nella stessa sede, con la conseguente e grave riduzione della sicurezza, in termini di sopravvivenza e salute per i cittadini dei comuni di Isola del Gran Sasso d'Italia, Castelli, Colledara, Castel Castagna e Tossicia, oltre che dei numerosi pellegrini – oltre un milione e mezzo ogni anno – che visitano il santuario di San Gabriele ubicato nello stesso comune e di tutti i turisti dell'area montana;
   tale scelta allontana pericolosamente le aree più interne della provincia di Teramo dalla postazione di soccorso sanitario più vicina, visto che anche nel comune di Bisenti nella Val Fino il piano prevede di privare la postazione del 118 del personale infermieristico e visto che l'area citata dista dai 25 ai 50 minuti dall'ospedale del comune capoluogo di Teramo;
   questa decisione ha destato l'indignazione della popolazione montana del Gran Sasso, preoccupata per la tutela della propria incolumità fisica e per il rischio di una reale squalificazione e perdita di sicurezza sanitaria per l'entroterra, sicurezza conquistata e mantenuta per 15 anni che ha consentito fin qui di salvare numerose vite;
   è evidente il pericolo che correrà chiunque – vecchio o giovane che sia, residente, pellegrino o turista – che dovesse subire un arresto cardiorespiratorio, dal momento che dovrà attendere troppo a lungo il soccorso del 118 per un intervento salvavita, da una postazione 118 che diventerà troppo lontana;
   dopo diversi anni nei quali sono stati raggiunti e rispettati, per l'emergenza sanitaria, gli standard europei dei tempi di arrivo dei soccorsi, dal momento della chiamata del 118 (8 minuti in area urbana e 20 minuti in area extraurbana), se la postazione venisse chiusa, l'area montana correrebbe il serio rischio di essere retrocessa ad area «extraurbana» con una drammatica involuzione e un serio rischio per la vita dei cittadini;
   a una verifica sulle conclusioni dello studio dell'Agenas, su cui si fonda l'atto regionale di revisione della rete dell'emergenza sanitaria da parte dell'allora commissario ad acta della regione Abruzzo, si evince che nello studio medesimo non si è tenuto conto della notevole differenza di richieste telefoniche di soccorso afferenti alle centrali del 118 tra Teramo e L'Aquila, ma solo della popolazione anagrafica. In realtà, tale dato dimostra che molta parte della popolazione aquilana dopo l'evento sismico del 2009 si è trasferita in provincia di Teramo e vi è evidentemente rimasta, indipendentemente dalla residenza fiscale. Il dato è dimostrato proprio dalla mole di richieste di soccorso al 118 di Teramo, di molto superiore a quelle della centrale aquilana;
   la situazione è ulteriormente aggravata dall'individuazione, nell'organizzazione del Giubileo della Misericordia, del santuario di San Gabriele dell'Addolorata in Isola del Gran Sasso d'Italia come unica porta giubilare della diocesi di Teramo, che comporterà un notevole ulteriore incremento del flusso turistico pellegrino nell'area. Inoltre, la diocesi di Pescara-Penne ha individuato come chiesa giubilare aggiuntiva quella di Santa Maria di Ronzano, nel comune di Castel Castagna, sempre nel bacino intercomunale servito dalla postazione 118 del comune di Isola del Gran Sasso d'Italia;
   considerato che nella riorganizzazione è prevista la contestuale apertura di due ulteriori postazioni medicalizzate, non si comprende quale sarebbe il risparmio economico, né tantomeno il principio di razionalizzazione che, di fatto, peggiora la copertura territoriale del 118; basti pensare alla certezza che da ogni evento «tempo-dipendente» che comporti il decesso del paziente, o una sequela di danni cerebrali permanenti per ritardo nel soccorso, deriverebbe un aumento considerevole della spesa sanitaria;
   il progetto di riorganizzazione della rete dell'emergenza sanitaria prevede una nuova postazione medicalizzata a Val Vomano (uscita Basciano della A 24); questa, ad avviso dell'interrogante, non inciderebbe affatto in modo sostanziale sull'abbattimento dei tempi di soccorso per il bacino servito dalla postazione di Isola del Gran Sasso d'Italia –:
   quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, per impedire la chiusura della postazione del 118 di Isola del Gran Sasso d'Italia, che, ad avviso dell'interrogante, comporterebbe seri rischi per la garanzia dei livelli essenziali di assistenza e per la sicurezza e la tutela della salute pubblica, non solo degli abitanti del posto, ma anche dei turisti che ogni anno vi accorrono. (3-01881)


   LUPI, BINETTI e CALABRÒ. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 3 dicembre ricorre la giornata internazionale delle persone con disabilità: la ricorrenza risale al 1981, anno internazionale delle persone disabili; dal mese di luglio del 1993, il 3 dicembre è diventato anche la giornata europea delle persone con disabilità, a seguito dell'iniziativa della Commissione europea;
   l'iniziativa è volta a promuovere una più diffusa e approfondita conoscenza dei problemi correlati alla disabilità, per sostenere la piena inclusione delle persone con disabilità in ogni ambito della vita, allo scopo di superare ogni forma di discriminazione e violenza;
   si è avuto già modo di apprezzare la sensibilità del Governo dimostrata con modalità trasversali su tutti i problemi correlati allo stato della disabilità, non solo nei riguardi delle persone direttamente interessate ma anche nei riguardi delle famiglie;
   nel disegno di legge di stabilità per il 2016, si è avuto modo di apprezzare sia la disposizione recata dall'articolo 1, comma 218, che istituisce presso il Ministero dell'economia e delle finanze un fondo, con una dotazione di 90 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016, destinato al finanziamento di misure per il sostegno delle persone con disabilità grave, in particolare stato di indigenza e prive di legami familiari di primo grado, che le disposizioni di cui al comma 220, finalizzate ad integrare lo stanziamento del fondo per le non autosufficienze, anche ai fini del finanziamento degli interventi a sostegno delle persone affette da sclerosi laterale amiotrofica di 150 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2016; tenuto conto che la legge n. 190 del 2014, (legge di stabilità per il 2015) aveva fissato dal 2016 lo stanziamento del fondo in 250 milioni di euro annui, lo stanziamento a regime, a decorrere dal 2016, risulta pari a 400 milioni di euro;
   si ritiene che sia opportuno menzionare in questo contesto anche il Patto per la salute 2014-2016, che all'articolo 6 dedica una particolare disciplina e attenzione all'assistenza socio sanitaria, prevedendo, allo scopo, che le regioni disciplinino i principi e gli strumenti per l'integrazione dei servizi e delle attività socio sanitarie e sociali, particolarmente per le aree della non autosufficienza e della disabilità –:
   quali siano le ulteriori iniziative e le prospettive future che il Governo vorrà mettere in campo, in un settore di particolare delicatezza e sensibilità, quale è il settore dell'assistenza socio sanitaria per le persone con disabilità. (3-01882)

Interrogazione a risposta scritta:


   MIOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'epatocarcinoma (HCC) è una delle più frequenti e letali forme di cancro, al quarto posto per tasso di incidenza nel mondo;
   il tasso di sopravvivenza a 5 anni, dal momento della diagnosi, è inferiore al 5 cento per cento con una prognosi spesso fatale. Purtroppo una diagnosi precoce è ancora difficile dal momento che mancano biomarcatori in grado di operare una distinzione dell'HCC dalle lesioni epatiche benigne, con livelli di specificità e sensibilità diagnostiche accettabili;
   finora, il marcatore di riferimento per la diagnosi dell'epatocarcinoma è stato l'afetoproteina (AFP), che risulta elevata in un discreto numero di pazienti con HCC (30- 60 per cento), ma manca di specificità diagnostica (40-80 per cento);
   occorre rilevare che lo screening degli epatopatici a rischio di HCC viene effettuato con esecuzione periodica di ecografia epato-biliare, indagini strumentali e di laboratorio onerose e solo parzialmente utili ad una corretta diagnosi. Talvolta i malati vengono avviati al trattamento chirurgico, incluso il trapianto di fegato, la cui efficacia viene valutata alla fine del trattamento;
   anche la recente immissione nel prontuario di farmaci efficaci contro l'epatite C, caratterizzati peraltro da alto costo, induce la necessità di un utilizzo appropriato degli antivirali in pazienti colpiti da epatiti croniche di origine virale che potrebbero evolvere in cirrosi ed HCC;
   sarebbe utile perciò sviluppare la ricerca nel campo di nuovi bio-marcatori in grado di monitorare i pazienti a rischio, evitando il disagevole e costoso ricorso ad indagini strumentali e di laboratorio per i pazienti;
   notizie di stampa riferiscono peraltro di costi molto contenuti di tali dispositivi, nell'ordine di poche decine di euro;
   studi di efficacia sono stati condotti in numerosi centri specialistici pubblici del sistema sanitario nazionale e sono stati sottoposti all'attenzione dei competenti organi ministeriali, senza peraltro ottenere l'inserimento nel nomenclatore tariffario nazionale che ne consentirebbe l'utilizzo nella pratica clinica;
   una iniziativa in questo campo appare utile ai pazienti e necessaria ai fini della sostenibilità del sistema sanitario nazionale –:
   se sia a conoscenza delle iniziative sottoposte all'attenzione degli organi ministeriali competenti, riguardanti l'utilizzo di nuovi bio-marcatori utili per la corretta diagnosi dell'epatocarcinoma (HCC), di cui in premessa;
   quali iniziative intenda porre in essere per l'accesso ai predetti bio-marcatori nel solo interesse dei pazienti e come contributo alla sostenibilità del sistema sanitario. (4-11337)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DA VILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 febbraio 2015, la provincia di Venezia ha emanato la determina n. 333/2015 di non assoggettamento alla procedura di valutazione impatto ambientale dell'ampliamento del deposito di oli minerali mediante realizzazione di uno stoccaggio di GPL di 9000 metri cubi proposto dalla società Costa bioenergie srl, situato a 300 metri dal centro storico di Chioggia, condizionando il provvedimento «all'approvazione da parte dell'autorità competente delle necessarie varianti conseguenti all'introduzione del traffico di navi gasiere alla struttura organizzativa e gestionale del porto, emergenti dal piano di sicurezza»;
   per quanto risulta all'interrogante:
    in data 2 ottobre 2015, presso la stazione dei carabinieri di Chioggia sottomarina è stato depositato un apposito esposto;
    nel verbale del comitato tecnico regionale del 30 giugno 2014 per l'integrazione dell'esame preistruttorio del rapporto preliminare di sicurezza, fase «nulla osta» di fattibilità, per la realizzazione di un nuovo deposito costiero di GPL a Chioggia, località Val da Rio, si analizzavano le distanze delle strutture più vicine al deposito GPL, e ne risultava che: 1) a distanza inferiore, ai 500 metri dall'ex cittadella della giustizia si trovano la stazione ferroviaria è il supermercato Eurospin; 2) a distanza tra i 500 e 600 metri, si trovano lo stadio Ballarin, il cimitero, la biblioteca e le scuole elementari. Inoltre, il verbale riportava il parere del gruppo di lavoro secondo cui il deposito ha un elevato livello di sicurezza, ma andrebbe vincolato a varie prescrizioni ulteriori da recepire nel progetto particolareggiato;
    nel verbale del comitato tecnico regionale n. 1359 del 2 settembre 2014, si leggeva che «nella valutazione della destinazione d'uso di terreni in prossimità di stabilimenti a rischio d'incidente rilevante, ad integrazione dei criteri di compatibilità esposti nel decreto ministeriale del 15 maggio 1996, le autorità preposte alla pianificazione territoriale ed urbanistica debbano tenere in debita considerazione la presenza o la previsione di elementi particolarmente vulnerabili soggetti a grandi affollamenti, ovvero stante il grado d'incertezza delle analisi delle frequenze e della magnitudo degli scenari incidentali, si auspica che non venga utilizzato un approccio esclusivamente di tipo deterministico nella pianificazione territoriale. Inoltre, la destinazione di aree a possibile grande affollamento, anche se compatibili, in prossimità di stabilimenti a rischio d'incidente rilevante, rende indispensabile un'accurata pianificazione dell'emergenza esterna»;
    la capitaneria di porto di Chioggia, in data 18 giugno 2014 con nota n. 0011913, affermava che al momento nel porto di Chioggia era autorizzata la movimentazione di gas GPL (classe 2) solo in colli e in quantità molto limitate, come da ordinanza n. 60/1999 della Capitaneria stessa;
    inoltre, la Capitaneria asseriva che la valutazione sulla realizzabilità del progetto avrebbe dovuto essere effettuata nell'ambito di una proposta di variante al piano regolatore portuale, ai sensi dell'articolo 5 della legge n. 84 del 1994;
    il comune di Chioggia, con nota n. 41898 del 10 settembre 2012 firmata dal dirigente all'urbanistica, nel riconfermare il parere favorevole precedentemente comunicato alla regione Veneto con nota n. 30350 del 10 giugno 2009, riteneva doveroso ed importante precisare che l'installazione e l'esercizio del deposito costiero per i carburanti nella zona portuale di Val da Rio non doveva comportare la costituzione di una fascia di rispetto e/o vincolo di edificabilità tale da compromettere le previsioni dell'amministrazione comunale per la realizzazione del nuovo mercato ittico nell'area adiacente al sito in cui sorge il deposito costiero della società;
    il comune di Chioggia, con nota n. 28369 del 16 giugno 2014, firmata dal dirigente all'urbanistica, comunicava di non poter partecipare alla conferenza dei servizi, convocata dal Ministero dello sviluppo economico con nota n. 10828 del 4 giugno, per l'autorizzazione all'ampliamento del deposito costiero di prodotti energetici ad uso commerciale, confermando altresì il proprio parere favorevole alla richiesta di ampliamento a condizione che fossero risolte le problematiche di cui alle sanatorie edilizie in corso e rispettate le condizioni indicate nella nota n. 41898 del 10 settembre 2012;
    il comune di Chioggia, con nota n. 38997 del 22 agosto 2014 firmata dal dirigente all'urbanistica, comunicava che con l'adozione della delibera di Giunta n. 136 del 19 giugno 2013 era stato individuato un nuovo sito denominato «Aleghero» per l'ubicazione del mercato ittico all'ingrosso e che pertanto non sussistevano più le condizioni poste nel precedente parere, espresso con la citata nota n. 418989 del 10 settembre 2012, indicanti che «l'installazione e l'esercizio del deposito costiero per i carburanti nella zona portuale di Val da Rio, non deve comportare la costituzione di una fascia di rispetto e/o vincolo di edificabilità tale da compromettere le previsioni dell'Amministrazione Comunale per la realizzazione del nuovo mercato ittico nell'area adiacente al sito in cui sorge il deposito costiero della società in oggetto»;
    il comune di Chioggia, con nota n. 8979 del 3 marzo 2015 firmata dal dirigente all'urbanistica, comunicava di non poter partecipare alla seconda conferenza di servizi, convocata dal Ministero dello sviluppo economico con nota n. 3061 del 16 febbraio 2015, per l'autorizzazione all'ampliamento del deposito costiero di prodotti energetici ad uso commerciale da tenersi il 3 marzo 2015 presso lo stesso Ministero, e confermava i pareri precedentemente espressi in data 16 giugno 2014, prot. n. 28369, e in data 22 agosto 2014, prot. n. 38997;
    nel già citato verbale del comitato tecnico regionale del 30 giugno 2014, nell'elencare le distanze dagli altri edifici circostanti, non si citava o si ometteva che a 300 metri sono situate le prime abitazioni del centro storico di Chioggia;
   a giudizio dell'interrogante, inoltre, dal piano della sicurezza ed evacuazione non si evinceva il coinvolgimento dei residenti nel centro storico di Chioggia (circa 10.000 abitanti) che, invece, è fondamentale anche in virtù della morfologia dell'impianto urbanistico del centro storico, dove l'eventuale incendio di alcune abitazioni potrebbe facilmente propagarsi agli altri edifici contigui;
   sembra all'interrogante contraddittoria la linea seguita dal comune di Chioggia in merito alla scelta che ha portato a individuare la futura ubicazione del mercato ittico all'ingrosso, richiamando in data 22 agosto 2014 la delibera di giunta n. 136/2013 già in essere quando il comune stesso, con la seconda nota n. 28369 del 16 giugno 2014, ha confermato il problema delle distanze dal deposito di GPL –:
   se i Ministri interrogati indirizzo siano a conoscenza dei fatti esposti;
   come si intenda conciliare, per quanto di competenza, tale progetto con le peculiarità di una zona collocata in piena laguna di Venezia, a 300 metri dal centro urbano di Chioggia e in un'area sottoposta a salvaguardia e al piano di area della laguna e dell'area veneziana;
   quali iniziative di competenza intendano intraprendere per risolvere le criticità connesse al traffico navale all'interno del porto di Chioggia che, a giudizio dell'interrogante, verrà condizionato dal transito delle navi gasiere in ingresso dal porto di Chioggia, nonché relative al grado di pericolo dovuto alla navigazione di tali navi, che transiteranno a poche decine di metri dal centro abitato;
   se non ritengano opportuno attivarsi, nell'ambito delle proprie competenze, per impedire che il deposito di GPL da 9.000 metri cubi sia situato a circa 300 metri dal centro storico di Chioggia, che da tale fatto verrebbe irrimediabilmente deturpato;
   se non ritengano opportuno attivarsi, per quanto di propria competenza, al fine di predispone un piano di sicurezza e di evacuazione, anche via acqua verso la laguna, che consenta agli abitanti del centro storico di Chioggia di mettersi in salvo, in caso di necessità, nel minor tempo possibile;
   se non ritengano, per quanto di competenza, di dover verificare l'effettivo fondamento delle motivazioni per cui, nonostante i pareri non positivi espressi dalla capitaneria di porto di Chioggia, che specifica che la movimentazione di gas GPL può essere effettuata solo in colli e in quantità molto limitate come da ordinanza n. 60/1999, sia stata rilasciata l'autorizzazione alla costruzione del deposito GPL. (5-07128)


   COVELLO, MAGORNO, BRUNO BOSSIO e AIELLO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni giorni è in atto una protesta da parte dei lavoratori dello stabilimento Italcementi di Castrovillari a seguito della volontà aziendale di procedere alla trasformazione dell'impianto calabrese in centro di macinazione;
   la decisione aziendale comporterebbe un ridimensionamento dei livelli occupazionali inaccettabile per il territorio;
   nel momento in cui il Governo nazionale sta ponendo in essere misure finalizzate al rilancio dell'economia del Mezzogiorno richiamando tutti ad una maggiore responsabilità e attenzione verso questo territorio risulta agli interroganti grave ed inconcepibile un atto unilaterale da parte del gruppo Italcementi –:
   quali iniziative intenda promuovere il Governo per attivare in sede ministeriale un tavolo di confronto finalizzato a scongiurare un piano che attualmente penalizza Io stabilimento di Castrovillari e a trovare soluzioni di profilo industriale che salvino la produttività del sito e assicurino il mantenimento dei livelli occupazionali. (5-07131)

Interrogazione a risposta scritta:


   GALLINELLA e DA VILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il rating di legalità è uno strumento introdotto nel 2012 per le imprese italiane, volto alla promozione e all'introduzione di principi di comportamento etico in ambito aziendale, tramite l'assegnazione di un «riconoscimento» – misurato in «stellette» – indicativo del rispetto della legalità da parte delle imprese che ne abbiano fatto richiesta e, più in generale, del grado di attenzione riposto nella corretta gestione del proprio business;
   esso è stato disciplinato con delibera AGCM 14 novembre 2012, n. 24075, ha durata di due anni dal rilascio ed è rinnovabile su richiesta;
   all'attribuzione del rating l'ordinamento collega vantaggi in sede di concessione di finanziamenti pubblici – le pubbliche amministrazioni in sede di predisposizione dei provvedimenti di concessione di finanziamenti alle imprese, tengono conto del rating di legalità ad esse attribuito, secondo le modalità stabilite nel decreto medesimo, prevedendo almeno uno dei seguenti sistemi di premialità per le imprese in possesso del rating: a) preferenza in graduatoria; b) attribuzione di punteggio aggiuntivo; c) riserva di quota delle risorse finanziarie allocate e agevolazioni per l'accesso al credito bancario; le banche, inoltre, considerano il rating di legalità nella determinazione delle condizioni economiche di erogazione, ove ne riscontrino la rilevanza spetto all'andamento del rapporto creditizio;
   i requisiti per accedere a questo importante strumento sono sostanzialmente due: essere iscritti da almeno 2 anni al registro imprese e raggiungere un fatturato non inferiore ai 2 milioni di euro nell'esercizio chiuso l'anno precedente rispetto alla richiesta di rating;
   proprio quest'ultimo requisito è uno dei punti di maggiore criticità dello strumento; infatti, da un'indagine condotta da ASSEPRIM emerge come l'imposizione di tale soglia di accesso esclude automaticamente dall'accesso al rating gran parte delle aziende non solo del terziario, ma di molta parte del sistema economico del nostro Paese;
   le imprese presenti in Italia, infatti, sono 4.351.018, mentre quelle con fatturato superiore ai 2 milioni di euro sono soltanto 133.897, il 3,1 per cento del totale;
   l'attenzione delle imprese per questo strumento, in un'ottica sempre maggiore di contrasto alla corruzione e alla criminalità, è in crescita e per questo sarebbe necessario renderlo più efficace, trovare soluzioni per aprirlo maggiormente alle imprese e tararlo su quella che è la realtà italiana, in cui sono proprio le piccole e medie imprese quelle che avrebbero maggiore bisogno di agevolazioni per l'accesso al credito bancario e per le quali sarebbe necessario incentivare la partecipazione a bandi e finanziamenti pubblici –:
   se, in base a quanto esposto in premessa, il Governo non intenda assumere iniziative normative per rivedere lo strumento del rating di legalità così da renderlo concretamente utilizzabile dalla maggior parte delle imprese italiane ottenendo il duplice risultato di una maggiore sensibilizzazione alla legalità e di una agevolazione concreta alle imprese più piccole;
   se, in alternativa, il Governo non ritenga di assumere iniziative per introdurre criteri di premialità che non danneggino, nel caso di richiesta di accesso ad un finanziamento pubblico/privato o di accesso al credito bancario, le imprese che per fatturato inferiore ai 2 milioni di euro non possono avere accesso al rating e quindi non entrare in possesso delle «stellette» di riconoscimento. (4-11336)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Oliverio n. 5-06060, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fossati.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Guidesi n. 5-06325, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rondini.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta orale Sottanelli n. 3-01829 del 10 novembre 2015;
   interpellanza Costantino n. 2-01166 del 16 novembre 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Sottanelli n. 5-07002 del 17 novembre 2015;
   interrogazione a risposta scritta Palese n. 4-11170 del 18 novembre 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Ciprini n. 5-07043 del 18 novembre 2015;
   interpellanza Brunetta n. 2-01182 del 26 novembre 2015;
   interpellanza Brescia n. 2-01186 del 30 novembre 2015.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Scuvera n. 5-06603 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 498 dell'8 ottobre 2015.
  Alla pagina 29479, prima colonna, alla riga ventottesima deve leggersi: «libertà non è un dono», a cura della dottoressa» e non come stampato.