Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 27 novembre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a. è la più importante società operante nel trasporto ferroviario italiano, con un fatturato di 8,4 miliardi di euro, 70 mila dipendenti che gestiscono 8 mila treni al giorno, 600 milioni di passeggeri e 50 milioni di tonnellate-merci all'anno ed un totale di 16.700 chilometri di rete ferroviaria;
    Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a. ha chiuso i primi sei mesi del 2015 con un fatturato in crescita di oltre 2 punti percentuali rispetto all'anno 2014. Grande rilievo ha assunto il nuovo sistema «alta velocità», di alto valore strategico, che ha costituito una vera rivoluzione nelle abitudini di vita e di lavoro degli italiani accorciando le distanze e dando un forte impulso alla crescita ed allo sviluppo del Paese. Negli ultimi anni, tra l'altro, Ferrovie dello Stato Italiane spa ha esteso la sua presenza, con acquisizioni e partnership ad altri grandi mercati come Germania, Francia, Olanda e Nord-Est Europa;
    il processo di liberalizzazione del trasporto ferroviario ha comportato una complessa ridefinizione giuridica ed organizzativa dell'assetto dell'azienda autonoma delle ferrovie dello Stato, resasi necessaria anche a seguito della crisi maturata nel corso degli anni ’60 e ’70 dovuta principalmente alla inefficienza organizzativa e produttiva dell'azienda. L'azienda è stata trasformata con legge n.  210 del 1985 in Ente Ferrovie dello Stato ed ha successivamente acquisito l'identità di ente pubblico economico. Successivamente, alla luce dell'evoluzione della disciplina comunitaria, è stata trasformata con delibera Cipe, in società per azioni «Ferrovie dello Stato – Società di trasporti e servizi per azioni» cui sono state demandate le funzioni relative ai servizi di trasporto ferroviario sulla rete nazionale; al Ministro dell'economia e delle finanze è stata attribuita la titolarità delle azioni; al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è stata assegnata la competenza a definire le modalità ed i contenuti delle concessioni intestate alla società;
    per quanto riguarda l'assetto societario, con il contratto di programma 1994-2000 e con le direttive del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 gennaio 1997 e del 18 marzo 1999 si è scelto di procedere alla separazione delle attività di gestione dell'infrastruttura da quelle di gestione dei servizi di trasporto. Il processo di separazione societaria è stato completato dopo la realizzazione del processo di «divisionalizzazione» con la costituzione, il 1o giugno 2000, di una società che svolge l'attività di trasporto (Trenitalia S.p.a.) cui ha fatto seguito il 1o luglio 2001, la costituzione di un'ulteriore società per la gestione dell'infrastruttura (RFI-Rete ferroviaria italiana S.p.a.) entrambe interamente possedute da Ferrovie dello Stato S.p.a;
    lo schema organizzativo delle Ferrovie dello Stato è quindi quello di una holding, FSI S.p.a., cui fanno capo sia la società di gestione delle infrastrutture, RFI S.p.A., che l'impresa di trasporto, Trenitalia S.p.a., la cui separazione legale, amministrativa, contabile e gestionale è garantita e vigilata dallo Stato;
    alla società Ferrovie dello Stato italiane S.p.a., (in base alla concessione di cui al decreto ministeriale 26 novembre 1993, n. 225) era stato attribuito l'esercizio del servizio ferroviario di trasporto pubblico per la durata di settanta anni. Successivamente il decreto ministeriale 31 ottobre 2002, n. 138 ha abrogato il precedente decreto, attribuendo la concessione a RFI ai soli fini della gestione dell'infrastruttura ferroviaria nazionale, per un periodo di sessanta anni;
    gli strumenti che regolano i rapporti tra Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. e lo Stato sono:
     a) il contratto di programma ed il contratto di servizio con il gestore dell'infrastruttura che individuano, da un lato gli investimenti necessari allo sviluppo e al mantenimento in efficienza dell'infrastruttura ferroviaria e gli oneri di gestione della medesima posti a carico dello Stato, dall'altro, la manutenzione ordinaria della rete ferroviaria;
     b) il contratto di servizio con l'impresa di trasporto, che individua gli obblighi di servizio pubblico posti a carico di quest'ultima con riferimento al servizio universale;
    Ferrovie dello Stato italiane ha svolto negli ultimi anni un grande lavoro di razionalizzazione e di risanamento. Ha portato avanti un piano di ristrutturazione, ma anche operazioni di investimento e di sviluppo. La dirigenza di Ferrovie dello Stato italiane ha inoltre operato per rendere più efficiente e più produttiva l'azienda con risultati positivi. Oggi, infatti, il gruppo rappresenta una realtà di sicuro affidamento;
    il Consiglio dei ministri ha approvato in via preliminare, un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, predisposto dal Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, relativo alla cessione di non oltre il 40 per cento di quote della società Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A. ai sensi della normativa sulle privatizzazioni;
    con tale schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri viene regolamentata l'alienazione di una quota della partecipazione nella società non superiore al 40 per cento disponendo che tale cessione potrà essere effettuata anche in più fasi. Il 40 per cento alienabile andrà ad un azionariato diffuso ed a investitori istituzionali;
    lo schema di decreto, inoltre, prevede che al fine di favorire la partecipazione all'offerta, possono essere previste per i dipendenti del gruppo ferroviario forme di incentivazione;
    il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha chiarito che questa operazione dovrà tenere presenti alcune questioni fondamentali: la proprietà dell'infrastruttura ferroviaria, che dovrà rimanere pubblica, la garanzia di accesso a tutti in maniera uguale, l'indipendenza completa del gestore della rete, la garanzia degli obblighi del servizio pubblico e la piena maggioranza dell'azionariato dello Stato,

impegna il Governo:

   a proseguire la procedura di privatizzazione già avviata, garantendo che la proprietà della rete resti pubblica e, al contempo, assicurando gli obblighi del servizio pubblico e la maggioranza piena dell'azionariato dello Stato;
   ad informare compiutamente il Parlamento sui dati finanziari ed industriali degli effetti della privatizzazione.
(1-01070) «Dorina Bianchi, Garofalo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   DORINA BIANCHI e SCOPELLITI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   a causa delle forti precipitazioni che si sono abbattute sulla regione Calabria nella notte tra il 31 ottobre ed il 1o novembre 2015 (in 48 ore sono caduti 600 mm di pioggia, con venti che hanno raggiunto gli 80 chilometri orari), ingenti danni sono stati riportati sulla rete ferroviaria e sulla statale 106 Jonica, lasciando interi centri abitati praticamente isolati;
   le abbondanti precipitazioni hanno provocato un generale e considerevole innalzamento dei livelli idrometrici di tutti i corsi d'acqua (ad esempio, sulle Serre vibonesi il torrente Ancinale che sfocia nello Ionio nella zona di Noverato, è stato raggiunto il livello di 4,95 metri);
   oltre che nella zona del Reggino, la circolazione ferroviaria è stata interrotta anche fra Roccella Jonica e Monasterace, sulla linea Catanzaro-Roccella Jonica, così come reso noto da un comunicato delle Ferrovie dello Stato italiane;
   la strada statale 106 jonica è stata chiusa momentaneamente al traffico in quattro diversi tratti, sempre nel Reggino, a causa di alcune frane e dello straripamento del torrente Ferruzzano che hanno completamente travolto la sede stradale. In entrambe le direzioni, dal chilometro 50 al chilometro 65, è chiuso il tratto compreso tra Palazzi Marina e Brancaleone Marina;
   il secondo tratto interessato si estende dal chilometro 65,8 al 67,20 in località Marinella di Ferruzzano. Stessa situazione si presenta dal chilometro 83 al 92 tra Bovalino ed Ardore, mentre il quarto tratto chiuso è compreso fra il chilometro 121 e 122 tra Marina di Paulonia e Riace Marina;
   a causa di queste interruzioni, il traffico è stato deviato su strade locali, con il tempestivo intervento sul posto delle forze dell'ordine, dei Vigili del fuoco e del personale dell'ANAS;
   per quanto concerne la fascia costiera tirrenica, una frana ha fatto crollare circa 70 metri di muro tra Scilla e Favazzina, mentre a Gioia Tauro le condizioni del fiume Budello, a rischio esondazione, sono tenute sotto stretta osservazione sebbene non siano considerate da criticità rossa;
   è in questa zona, inoltre, che i vigili del fuoco hanno recuperato la salma di un uomo inizialmente disperso che era stato sorpreso in auto con la figlia (quest'ultima tratta in salvo da alcuni passanti) dalla piena di un torrente straripato;
   allo stato attuale, risultano ancora isolati i comuni di Platì, Ferruzzano e Bruzzano, con ingenti danni riportati anche da numerosi altri comuni colpiti dalla violenza delle precipitazioni e dalla straripamento dei torrenti –:
   alla luce di quanto espresso in premessa, se non sia opportuno dichiarare lo stato di emergenza per calamità naturale nelle regione Calabria, visti i danni riportati in seguito alle ultime precipitazioni ed in considerazione di un livello di dissesto idrogeologico che già interessava il territorio dell'intera regione e che non può che essersi aggravato. (4-11302)


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da Il Sole 24 ORE, i tempi previsti per il pagamento delle pubbliche amministrazioni sono peggiorati: rispetto all'ultimo censimento del Ministero dell'economia e delle finanze che indicava un tempo medio di 39 giorni, ora l'attesa per saldare una fattura supera a livello-locale i tre mesi, con un ritardo medio rispetto alla scadenza di oltre 60 giorni;
   l'ultimo aggiornamento del ministero dell'economia e delle finanze sui pagamenti delle pubbliche amministrazioni, visibile sul sito del Ministero dell'economia e delle finanze, è frutto di un'analisi delle fatture ricevute e pagate su base geografica, e illustra che la pubblica amministrazione italiana impiega ancora in media 100 giorni;
   i tempi d'attesa più lunghi si registrano al Sud, in particolare in Calabria, con un tempo medio di pagamento di 148,81 giorni, ma i tempi sono lunghissimi anche per la Campania, con 127,96 giorni e per la Sicilia, con 116,74;
   nella seduta dell'Assemblea del 13 ottobre 2015, con una interpellanza urgente, l'interrogante ha chiesto al Governo di fare luce sulle ragioni del ritardo dei pagamenti della Pubblica Amministrazione, ritardo che pesa in maniera molto grave sull'economia italiana, e in che modo intendesse attivarsi per rendere possibile lo sblocco immediato e totale dei debiti della pubblica amministrazione, assicurato a più riprese dallo stesso Premier, anche intervenendo sulla carente procedura introdotta con il decreto 66/2014, per garantire alle imprese ciò che spetta loro di diritto nel rispetto del lavoro e di tutti i loro sacrifici in un momento di difficoltà come quello che il tessuto produttivo del nostro Paese sta attraversando;
   il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Baretta aveva risposto all'interpellanza urgente di cui sopra, dichiarando che per superare queste criticità, il Governo avrebbe messo in campo diversi interventi come «l'erogazione di anticipazioni di liquidità e la concessione di spazi finanziari a favore degli enti territoriali, l'accelerazione dei rimborsi fiscali, l'obbligo di erogare entro termini certi (60 giorni) i trasferimenti tra amministrazioni pubbliche, la possibilità per le aziende di cedere crediti nei confronti delle pubbliche amministrazioni a intermediari finanziari, cessione assistita da garanzia dello Stato con riferimento a debiti maturati al 31 dicembre 2013, per i quali sia stata presentata istanza di certificazione da parte del creditore entro il 30 ottobre 2014» nonché «l'implementazione di strumenti informatici di particolare rilevanza»;
   il mancato pagamento delle pubbliche amministrazioni rappresenta una delle grandi cancrene del sistema economico-finanziario italiano, poiché pregiudica la reale uscita dalla crisi e mette quotidianamente a rischio la vita stessa di migliaia di imprese;
   anche i nuovi pagamenti vanno a rilento e visto che ogni mese la pubblica amministrazione compra beni e servizi per circa 12 miliardi di euro, mentre le vecchie fatture vengono smaltite a rilento, se ne accumulano sempre di nuove a causa dei tempi di pagamento che nel 2014, secondo lo European Payment Report 2015, si sono attestati in media a 144 giorni contro i 24 giorni della Germania, costando all'Italia una procedura di infrazione visto che una direttiva europea recepita già nel 2012 fissa il limite a 30 giorni;
   uno dei motivi del ritardo è anche la procedura introdotta con il decreto-legge n. 66 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89 del 2014, per consentire alle aziende di cedere il proprio credito a una banca o a un intermediario finanziario, che si fanno carico della riscossione, che si è rivelata molto complessa e macchinosa, tanto da aver addirittura scoraggiato molti creditori: tra l'aprile e il dicembre 2014 sono state presentate solo 91 mila istanze per un controvalore di 9,8 miliardi di euro, nemmeno un quarto rispetto ai debiti complessivi –:
   che tipo di risultati stiano dando i diversi interventi che il Governo avrebbe messo in azione per superare le criticità che hanno inficiato la capacità di pagamento della pubblica amministrazione, come dichiarato dal sottosegretario Baretta;
   se il Governo stia procedendo all'implementazione degli strumenti informatici annunciati dal sottosegretario Baretta in sede di risposta alla interpellanza urgente di cui in premessa, e in che modo e con quali risultati starebbe avvenendo tale operazione;
   se il Governo sia intervenuto o lo stia facendo e in tal caso, in quale modo, per correggere la procedura introdotta con il decreto-legge n. 66 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89 del 2014, che si era rivelata molto complessa e macchinosa al punto da scoraggiare i creditori;
   se il Governo non intenda chiarire suoi orientamenti in merito a questo peggioramento dei tempi dei pagamenti della pubblica amministrazione, che mette in grave difficoltà tutti gli imprenditori italiani già vessati da tasse e crisi economica, alle prese con quella che è stata definita una piaga del sistema economico-finanziario italiano che mette quotidianamente a rischio la vita stessa di migliaia di imprese;
   se il Governo non consideri necessario ed urgente attivarsi per rendere possibile lo sblocco immediato e totale dei debiti della pubblica amministrazione, assicurato a più riprese dallo stesso Presidente del Consiglio dei ministri. (4-11303)


   FEDRIGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 26 novembre 2015 la Guardia di finanza ha scoperto e sequestrato in collaborazione con le Dogane del porto di Trieste un carico di armi provenienti dalla Turchia e dirette in Germania, Olanda e Belgio;
   del pericoloso carico sono risultati parte 800 fucili a pompa, classificabili come da guerra; le armi erano trasportate senza alcuna autorizzazione;
   il pericoloso carico era trasportato da un autoarticolato olandese condotto da un cittadino turco –:
   se, in base agli elementi in possesso del Governo, si possa ritenere che questo carico di armi sequestrato dalla guardia di finanza e dalle Dogane del porto di Trieste fosse materiale d'armamento destinato alle cellule dell'Isis in Europa;
   se il porto di Trieste possa ritenersi parte della catena logistica che lega le cellule europee dell'Isis al sedicente Stato Islamico costituitosi a cavallo tra Siria ed Iraq;
   quali misure il Governo intenda assumere per potenziare la sorveglianza a Trieste e lungo tutta la frontiera orientale del nostro Paese e per rafforzare la cooperazione internazionale nella lotta al terrorismo di matrice jihadista, in particolare per disarticolarne la logistica che sembrerebbe legare le cellule europee al territorio del sedicente. (4-11304)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 ottobre 2015 recante «Interventi per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate», pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 249 del 26 ottobre 2015, il Governo ha provveduto, ai fini della predisposizione del piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate – in attuazione dell'articolo 1, commi 431, 432, 433 e 434, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 – all'approvazione di un bando con il quale sono definite le modalità e la procedura per la presentazione, da parte dei comuni, di progetti di riqualificazione, costituiti da un insieme coordinato di interventi diretti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale, nonché al miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale ed ambientale;
   con l'articolo 2 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 ottobre 2015 – ai sensi dell'articolo 1, comma 432, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 – è istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, un comitato per la valutazione dei progetti di riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate, di cui ai commi da 431 a 434 dell'articolo 1 della citata legge n. 190 del 2014;
   con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, secondo quanto stabilito dall'articolo 3 del suddetto decreto, sono individuati i progetti ai fini della stipulazione di convenzioni o accordi di programma con i soggetti promotori dei progetti medesimi. Tali convenzioni o accordi di programma definiscono i soggetti partecipanti alla realizzazione dei progetti, l'ammontare complessivo delle risorse finanziarie, ivi incluse quelle a valere sul fondo di cui all'articolo 1, comma 434, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, i tempi di attuazione dei progetti medesimi, nonché i criteri e le modalità per la revoca dei finanziamenti in caso di inerzia nella realizzazione e le modalità necessarie all'espletamento della attività di monitoraggio degli interventi;
   le convenzioni o gli accordi di programma, contenenti gli interventi, costituenti il piano sono finanziati, ai sensi dell'articolo 4 del sopra richiamato decreto, in ordine di punteggio decrescente ottenuto, fino al limite di capienza annuale delle risorse finanziarie disponibili per ciascun esercizio finanziario 2015, 2016 e 2017;
   l'articolo 1, comma 434, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, stabilisce che, per l'attuazione degli interventi di cui ai commi da 431 a 433 del medesimo articolo, a decorrere dall'esercizio finanziario 2015 e fino al 31 dicembre 2017, è istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, un fondo denominato «Somme da trasferire alla Presidenza del Consiglio dei ministri per la costituzione del Fondo per l'attuazione del Piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate» e che, a tal fine, è autorizzata la spesa di 50 milioni di euro per l'anno 2015 e di 75 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2016 e 2017;
   l'articolo 1 del bando allegato al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 ottobre 2015, stabilisce che la dotazione del fondo per l'attuazione del piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate, di cui all'articolo 1, comma 434, della legge n. 190 del 2014, è di euro 44.138.500,00 per il 2015 e di euro 75.000.000,00 per ciascuno degli anni 2016 e 2017, per complessivi euro 194.138.500,00;
   l'articolo 2 del sopra citato, bando stabilisce che sono ammessi a presentare i progetti e la domanda di finanziamento, entro il 30 novembre 2015, i comuni, senza alcun limite dimensionale o territoriale, che abbiano nel loro territorio aree urbane degradate, individuate attraverso l'ausilio di indicatori — di disagio sociale ed edilizio — da calcolarsi sulla base dei dati per sezione censuaria rilevati dal censimento Istat del 2011;
   le proposte di progetto, a pena di esclusione — secondo quanto stabilito dall'articolo 3 del bando allegato al decreto — devono illustrare gli obiettivi generali e specifici, i risultati attesi, le attività progettuali e le modalità di realizzazione del progetto; indicare il numero di destinatari diretti e beneficiari indiretti e le aree in cui saranno svolte le attività progettuali; prevedere un programma di intervento delle attività e contenere un programma economico finanziario, completo di eventuali contributi da parte del mercato privato, così come dei fondi comunitari. Il progetto deve, altresì, essere elaborato a livello di studio di fattibilità, masterplan e progetto preliminare. Quest'ultimo, per gli interventi di riqualificazione urbanistica e infrastrutturale, costituisce il livello minimo;
   in considerazione della particolare rilevanza del presente bando a livello nazionale e, più nello specifico, dei notevoli benefici di ordine economico, sociale ed ambientale, connessi alla realizzazione dei sopra citati interventi di riqualificazione, soprattutto a livello locale — e tenuto conto, peraltro, della mole della documentazione che comuni debbono allegare ai fini della verifica dell'ammissibilità della domanda e dell'attribuzione dei punteggi — appare evidente secondo gli interroganti che sia poco congruo il termine perentorio del 30 novembre 2015 per la predisposizione e l'invio delle domande di partecipazione, preso atto che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 ottobre 2015 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale in data 26 ottobre 2015 –:
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative per concedere una proroga del termine perentorio fissato nel bando di cui al sopra citato decreto, al fine di consentire a tutti i soggetti promotori di avere a disposizione un maggiore e più adeguato lasso di tempo, comunque non inferiore a novanta giorni, per la predisposizione delle proposte di progetto e dei connessi adempimenti di carattere amministrativo previsti per la presentazione delle domande di partecipazione. (4-11307)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BORGHESI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009 concerne la conservazione di tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il Trattato che istituisce la Comunità europea;
   nessun articolo della direttiva vieta il commercio tout court di tutte le specie di uccelli legittimamente allevate ed importate dai Paesi extraeuropei;
   l'articolo 21 della legge n. 157 del 1992 come modificato dalla legge n. 116 del 2014 vieta, invece, a chiunque di vendere, detenere per vendere, trasportare per vendere, acquistare uccelli vivi o morti, nonché loro parti o prodotti derivati facilmente riconoscibili, anche se importati dall'estero, appartenenti a tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri dell'Unione, ad eccezione di germano reale, pernice rossa, pernice di Sardegna, starna, fagiano, colombaccio;
   di fatto questa restrizione normativa impedisce di cucinare in tutti i luoghi pubblici il secolare e tradizionale spiedo bresciano, la polenta osei bergamasca piuttosto che tutti i piatti tradizionali tipici dell'arte culinaria di molte province italiane che hanno come ingrediente fondamentale la piccola selvaggina;
   il danno economico e sociale che sta creando la norma così modificata a migliaia di esercenti e ristoratori anche in termini di posti di lavoro è, a giudizio dell'interrogante, e di estrema gravità –:
   se il ministro interrogato non ritenga opportuno, assumere iniziative normative volte a risolvere il problema evidenziato in premessa, valutando l'introduzione di misure per far fronte al danno economico causato a migliaia di esercenti e ristoratori; (5-07113)


   DE LORENZIS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   OASI WWF «Vai di Rose» è un'area erpetologica unica nel suo genere in Italia. L'Oasi si trova all'interno di un sito di importanza comunitaria (SIC IT5140011) nel comune di Sesto Fiorentino (FI) ed inoltre è anche una zona di protezione speciale (ZPS IT5140011). L'area dell'Oasi è di 2 ettari e racchiude un sistema di stagni realizzati da WWF Toscana e università degli studi di Firenze per la protezione di popolazioni di anfibi minacciate;
   il progetto della costruzione del nuovo aeroporto di Firenze prevede di effettuare anche dei lavori propedeutici alla costruzione dell'infrastruttura aeroportuale presso quest'area protetta;
   da testimonianza diretta dell'interrogante si è appreso che nell'Oasi WWF sopra citata si stanno effettuando carotaggi propedeutici ai lavori di costruzione del nuovo Aeroporto di Firenze che attualmente è in fase di procedura di valutazione d'impatto ambientale presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e quindi attualmente nessuna autorizzazione, a quanto consta all'interrogante, è stata rilasciata –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e come si giustifichino i lavori di carotaggi senza una regolare procedura di valutazione impatto ambientale che dimostri l'irrilevanza dei medesimi su un'area protetta e, in caso negativo, quali iniziative intenda adottare al fine di preservare l'integrità dell'OASI WWF «Val di Rose». (5-07120)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MALPEZZI, CAROCCI, ROCCHI, GHIZZONI, ASCANI, MALISANI, MANZI, NARDUOLO, CRIVELLARI e SGAMBATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i docenti che hanno svolto supplenze fin dall'avvio dell'anno scolastico in corso non hanno ancora ricevuto lo stipendio;
   si tratta di una vicenda gravissima che si procrastina già da due mesi e che sembrava essere stata risolta il 10 novembre 2015, quando il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, aveva garantito che fossero in arrivo i pagamenti per i mesi di ottobre e novembre;
   tuttavia, ad oggi, sono state attivate da NoiPA soltanto le procedure per l'80 per cento dei contratti di settembre e una parte di quelli di ottobre;
   in questi anni il sistema di pagamento delle supplenze è cambiato: il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha provveduto a introdurre delle nuove modalità di pagamento degli stipendi mediante l'immissione dei dati contrattuali da parte delle singole scuole nel sistema informatico centralizzato lasciando che sia direttamente il Ministero dell'economia e delle finanze a pagare quelli relativi ai rispettivi supplenti d'istituto;
   in questo senso, appare evidente come il ritardo nei pagamenti sia da addebitarsi interamente all'amministrazione centrale;
   inoltre, a ciò si aggiunge il ritardo per il pagamento della «NASPI» e le ferie non fruite;
   tutto questo sta creando notevoli disagi agli insegnanti precari che svolgono supplenze nelle scuole –:
   quali iniziative urgenti si intendano intraprendere perché siano effettuate al più presto le retribuzioni spettanti.
(5-07112)

Interrogazione a risposta scritta:


   RUOCCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è il Paese europeo con il più alto debito commerciale verso le imprese per beni e servizi. Esso ammonta, per la sola parte di spesa corrente, a circa il 3,1 per cento del prodotto interno lordo. Il doppio rispetto all'1,5 per cento della Spagna e all'1,4 per cento della Francia, nonché il triplo rispetto allo 0,9 per cento del Regno Unito;
   al fine di arginare il fenomeno, il decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale 15 novembre 2012, n. 267), di recepimento della direttiva 2011/7/UE in materia di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, ha fissato in 30 giorni il termine per i pagamenti nelle transazioni commerciali tra imprese, e tra pubbliche amministrazioni, e imprese (ad esclusione di alcuni casi eccezionali, come ad esempio in materia sanitaria, ove è stato previsto un termine raddoppiato di 60 giorni). Lo stesso decreto ha poi aumento dal 7 all'8 per cento la misura degli interessi legali moratori in caso di ritardo, che decorrono senza necessità di costituzione in mora;
   nonostante il chiaro obbligo di legge (a decorrere dal 1o gennaio 2013), il rapporto di confartigianato sull'applicazione da parte della pubblica amministrazione della direttiva contro i ritardi di pagamento (consegnato alla Commissione europea nel 2014) ha evidenziato come, nel 2013, la pubblica amministrazione italiana è stata la più lenta in Europa a pagare le imprese fornitrici di beni e servizi: con una media di 170 giorni di ritardo, l'Italia ha superato di 109 giorni la media UE di 61 giorni. I ritardi di pagamento degli enti pubblici sono costati alle imprese italiane 2,1 miliardi di euro di maggiori oneri finanziari. Gli imprenditori sono stati costretti a chiedere prestiti in banca per finanziare la carenza di liquidità derivante dalle fatture non saldate. Le piccole imprese sono state le più vulnerabili, perché solo la puntualità dei pagamenti può permettere loro di mantenere sufficienti disponibilità di cassa (considerate le resistenze delle banche a concedere crediti). Nel medesimo rapporto si legge poi che i ritardi dei pagamenti hanno avuto pesanti conseguenze sul 37 per cento degli artigiani e delle piccole aziende. In assenza delle risorse dovute dalla pubblica amministrazione, il 10 per cento dei piccoli imprenditori ha dovuto rinunciare ad effettuare investimenti per lo sviluppo dell'impresa, l'8 per cento è stato costretto a ritardare a sua volta i pagamenti ai propri fornitori, 7 per cento, ha dovuto chiedere un finanziamento bancario, un altro 7 per cento ha ridotto le riserve di liquidità d'impresa, il 6 per cento ha ritardato il pagamento di imposte e contributi e un altro 6 per cento i ha ritardato il pagamento dello stipendio ai dipendenti. Senza contare che un quarto delle piccole imprese, che nel 2013 hanno lavorato per la pubblica amministrazione, ha subito restrizioni ad opere delle banche, proprio a causa dei ritardi di pagamento degli enti pubblici. In particolare, gli istituti di credito hanno richiesto maggiori garanzie oppure hanno imposto un aumento del costo delle commissioni bancarie;
   la situazione non è migliorata nell'anno 2014. Anche per tale annualità, i tempi medi di pagamento degli enti pubblici italiani, pari a 125 giorni, hanno superato puntualmente i 3060 giorni imposti dalla legge. Ritardi che hanno portato nel giugno 2014 la Commissione europea ad avviare una procedura d'infrazione ai danni dell'Italia;
   come risulta dallo studio condotto dalla Banca d'Italia, a fine 2014 risulterebbe un ammontare di debiti da saldare di circa 71,6 miliardi di euro. Secondo lo studio della Banca d'Italia, il problema non sarebbe stato ancora risolto perché alcuni enti della pubblica amministrazione «potrebbero aver destinato parte dei fondi ricevuti dal Ministero dell'economia e delle finanze al finanziamento di nuove spese anziché alla riduzione dei debiti commerciali pregressi». Ciò infatti spiegherebbe il motivo per il quale nell'ultimo biennio i debiti siano scesi, ma in quantità inferiore a quella stimata, sulla base del monitoraggio dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   al fine di consentire ai creditori della, pubblica amministrazione una maggiore celerità nel recupero del credito, il legislatore ha ammesso la possibilità di cedere il credito, pro soluto o pro solvendo, a favore di banche o intermediari finanziari riconosciuti dalla legislazione vigente. A tal fine è stato introdotto l'istituto della certificazione dei crediti attraverso l'apposita piattaforma online. Tuttavia, anche tale strumento non garantisce al creditore il recupero integrale del credito maturato in quanto, oltre al margine di sconto concesso dall'istituto cessionario del credito, il creditore è costretto a rinunciare agli interessi moratori maturati sul credito, riconosciuti per legge. Al riguardo, nel rispondere all'interrogazione a risposta in commissione (5-06679), il Ministero dell'economia e delle finanze ha espressamente confermato che la piattaforma elettronica per la gestione telematica è stata predisposta per il rilascio delle certificazioni dei soli crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, precisando che, «in assenza di specifico riferimento normativo sulla certificazione degli interessi, non è possibile sommare un debito di natura finanziaria al debito principale di natura commerciale»;
   dimenticando, quindi, che il riconoscimento degli interessi moratori è previsto dalla legge (ex articolo 3 della legge 18 giugno 1998, n. 192) e dallo stesso decreto ministeriale del 22 maggio 2012, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 143 del 2012 che, all'articolo 1, comma 2, chiarisce che la certificazione non pregiudica il diritto del creditore agli interessi relativi ai crediti certificati, «in qualunque modo definiti, come regolati dalla normativa vigente o, ove possibile e indicato, dalle pattuizioni contrattuali tra le parti»;
   al fine poi di garantire la trasparenza in merito alla gestione delle certificazioni e dei pagamenti dei debiti da parte della pubblica amministrazione sul sito istituzionale del Ministero dell'economia e delle finanze è stata istituita un apposita sezione per il monitoraggio dei pagamenti dei debiti degli enti pubblici e delle certificazioni;
   tuttavia, tale monitoraggio è bloccato da più di 3 mesi. Risale infatti all'11 agosto 2015 l'ultima comunicazione del ministro dell'economia e delle finanze sulla quantità di risorse effettivamente erogate agli imprenditori, pari a 38,6 miliardi di euro; a fronte di un finanziamento complessivo ai debitori di 44,6 miliardi di euro. Mentre il monitoraggio delle istanze di certificazione del credito, risulta addirittura fermo alla data del 29 dicembre 2014;
   sarebbero in ogni caso auspicabili iniziative normative volte ad agevolare il recupero del crediti nei confronti della pubblica amministrazione –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare per sanare la costante e perdurante violazione dei tempi legali di pagamento definiti dalla direttiva 2011/7/UE, recepita nel nostro ordinamento dal decreto legislativo n. 192 del 2012, che modifica e integra il decreto legislativo n. 231 del 2002;
   se trovi conferma la sospensione del monitoraggio dei debiti degli enti pubblici pagati agli imprenditori e delle istanze di certificazione del credito e, in caso affermativo, quali siano le ragioni e quali provvedimenti intende in ogni caso adottare in merito;
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative per potenziare gli strumenti di recupero dei crediti verso la pubblica amministrazione da parte delle imprese anche attraverso l'estensione dell'istituto della compensazione tra crediti e debiti erariali, tra cui la possibilità di compensazione diretta e universale tra i debiti e i crediti che le imprese vantano verso la pubblica amministrazione, di fatto garantendo un maggiore virtuosismo delle amministrazioni pubbliche nella gestione delle risorse;
   considerata la risposta resa all'interrogazione n. 5-06679, se non ritenga opportuno assumere iniziative normative al fine di garantire il riconoscimento degli interessi legali moratori all'esito del procedimento di certificazione dei crediti, così come prescritto dalla legge. (4-11309)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   FRACCARO, BUSINAROLO e FERRARESI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la struttura di Spini di Gardolo (Trento) fu ideata come luogo detentivo all'avanguardia per l'espletamento della funzione rieducativa della pena. La provincia autonoma di Trento curò la realizzazione del complesso penitenziario all'accordo di programma quadro (A.P.Q. n. 1) concernente «interventi per la razionalizzazione delle sedi delle strutture statali e provinciali nella città di Trento», sottoscritto in data 8 febbraio 2002, dal Governo italiano (rappresentato dai Ministeri dell'interno, della giustizia, dell'economia e finanze, della difesa e dalle Agenzie del demanio e delle entrate), dalla provincia autonoma e dal comune di Trento. Nella scheda tecnica n. 1 allegata all'accordo sopra citato si descrivevano con chiarezza gli elementi che avrebbero dovuto caratterizzare il nuovo edificio di pena, gli spazi accessori e complementari al fine di soddisfare una capienza nel numero di 240 detenuti di cui 200 detenuti maschi, 20 detenute femmine e 20 detenuti in regime di semilibertà;
   tali caratteristiche furono riconfermate integralmente in accordi siglati in periodi successivi. Nell'aprile 2008 con la firma da parte di tutti i sottoscrittori originali dell'atto aggiuntivo e modificativo dell'accordo di programma quadro del 2002 si ribadì esplicitamente il mantenimento della capienza stabilita dall'accordo di programma quadro n.1. In data 28 giugno 2011, nell'ambito della riunione della segreteria tecnica paritetica prevista dall'accordo di programma stipulato fra la regione trentino – Alto Adige e il Ministero della giustizia, il cui scopo è di controllare e stimolare il miglior funzionamento degli uffici giudiziari e penitenziari dislocati sul territorio regionale, fu confermato che non vi era alcuna previsione di superamento dei limiti di capienza individuati dall'accordo di programma quadro del febbraio 2002 e Atto aggiuntivo dell'aprile 2008;
   con le interrogazioni n. 4-06976, presentata il 21 novembre 2014, e n. 4-07333, presentata in data 18 dicembre 2014, alle quali il Governo non ha ancora risposto, è stata rappresentata la necessità di un adeguamento della dotazione di personale di polizia penitenziaria della casa circondariale di Trento al fine di rimediare al sottodimensionamento delle scorte degli agenti impiegati nel nucleo traduzioni e piantonamenti della casa circondariale di Trento e di assicurare un adeguato livello di sicurezza nelle traduzioni verso i luoghi di cura;
   con l'interrogazione n. 4-09687 presentata in data 3 luglio 2015, anch'essa senza risposta da parte del Governo, è stata nuovamente sottolineata la carenza di organico della struttura. A seguito di una prolungata protesta dei detenuti nella casa circondariale emerse come il personale di polizia penitenziaria effettivamente a disposizione fosse di sole 130 unità, contro le 186 unità a disposizione nel luglio 2011, periodo di incorporazione delle case circondariali di via Pilati (Trento) e di Rovereto, contro le 162 dichiarate sulla carta ma soprattutto contro le 214 unità previste dalla pianta organica;
   in data 19 novembre si è appreso da notizie di stampa dell'imminente trasferimento presso la casa circondariale in oggetto di una cinquantina di detenuti dal Veneto. La popolazione carceraria incrementerebbe fino a 350 unità rendendo la struttura, considerate anche le carenze di organico rilevate dalle predette interrogazioni parlamentari tuttora senza risposta, non più adeguata al numero di detenuti. Tale trasferimento si aggiunge a un quadro complessivo che a partire dal momento dell'apertura della casa circondariale è divenuto sempre più problematico a causa della mancata compensazione alla cessazione dei rapporti di servizio e dei provvedimenti di trasferimento e distacco di personale presso altri sedi e dell'apertura di due sezioni riservate ai detenuti protetti avvenuta il maggio 2015;
   la Corte europea dei diritti dell'uomo con sentenza dell'8 gennaio 2013 Torregiani ed altri contro Italia ha condannato l'Italia per violazione degli standard minimi di vivibilità che determina una situazione di vita degradante dei detenuti ai sensi dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. I fatti che originarono il ricorso rivelarono l'esistenza in Italia, quale Stato contraente interessato, d'un problema strutturale e di una violazione ricorrente della Convenzione a causa del sovraffollamento carcerario. Lo Stato italiano, quale contraente delle obbligazioni iscritte nella Convenzione, pertanto in virtù dell'articolo 46 della Convenzione stessa, è tenuto a conformarsi alle indicazioni della Corte essendo queste dotate di vincolatività e titolo esecutivo –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per garantire i livelli di sicurezza e le attività previsti dagli accordi menzionati in premessa, per soddisfare le esigenze di adeguamento di organico e per assicurare il rispetto della sentenza emessa dalla Corte europea dei diritti dell'uomo dell'8 gennaio 2013 Torreggiani ed altri contro Italia in materia di sovraffollamento carcerario. (4-11308)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   l'uso degli autovelox per accertare il superamento dei limiti di velocità è diventato per molti enti locali, di fatto, uno strumento sicuro per garantirsi entrate supplementari destinate agli scopi più disparati, essendo tali apparecchiature assai di frequente utilizzate in modo subdolo dai comuni, non tanto a scopo preventivo o dissuasivo, quanto al puro scopo di multare il maggior numero di automobilisti e aumentare in questo modo le entrate derivanti dalle sanzioni in favore dei bilanci degli enti;
   i limiti di velocità su diversi tratti stradali sono spesso discutibili e altalenanti, e la collocazione degli impianti di rilevazione automatica risulta talvolta arbitraria, se non, in qualche caso, persino pericolosa, poiché induce gli automobilisti a bruschi rallentamenti della velocità;
   la Corte Costituzionale (sentenza 113 del 2015) ha stabilito che gli strumenti tecnici di misurazione elettronica sono di dubbia funzionalità se non sono sottoposti a manutenzione e a verifiche periodiche e che «fenomeni di obsolescenza e deterioramento possono pregiudicare non solo l'affidabilità delle apparecchiature, ma anche la fede pubblica che si ripone in un settore di significativa rilevanza sociale, quale quello della sicurezza stradale»;
   molti comuni, poi, per evitare il contraccolpo di impopolarità prodotto da queste condotte sulla popolazione residente, installano queste macchine di rilevazione automatica principalmente sui tratti delle strade statali che attraversano il loro territorio di competenza, in modo da poter colpire il maggior numero possibile di automobilisti di passaggio;
   a questo genere di cattive prassi si contrappongono comportamenti di segno opposto, come quello messo in atto dal sindaco di Padova, che ha annullato decine di migliaia di sanzioni, provenienti da autovelox, ritenendo prima necessario procedere a una verifica della regolarità degli impianti;
   secondo la previsione di legge, i comuni stessi dovrebbero inviare ogni anno una relazione telematica al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e al Ministero dell'interno su quanto incassano con queste multe e destinare una quota del 50 per cento di queste entrate, provenienti da sanzioni comminate attraverso l'utilizzo degli autovelox, al miglioramento della sicurezza stradale: entrambi i suddetti obblighi restano spesso disattesi e non sanzionabili –:
   quali iniziative, anche normative, il Governo intenda assumere per mettere fine al più presto a questo utilizzo distorto degli strumenti per la sicurezza degli automobilisti, impropriamente finalizzati ad alimentare le entrate nelle casse dei comuni, e per fare rispettare la legge sia in merito alla relazione telematica che i comuni stessi devono inviare ogni anno ai Ministeri delle infrastrutture e dei trasporti e dell'interno, sia in ordine all'obbligo di destinare il 50 per cento di questi proventi alla sicurezza stradale, anche introducendo un nuovo sistema sanzionatorio, efficace e applicabile ai comuni che non adempiano agli obblighi previsti.
(2-01184) «Baldelli, Giacomoni, Polverini, Nizzi, Fucci, Marti, Palmizio, Archi, Picchi, Petrenga, Squeri, Catanoso, Lainati, Milanato, Palese, Sandra Savino, De Girolamo, Biasotti, Ciracì, Latronico, Prestigiacomo, Bianconi, Luigi Cesaro, Russo, Chiarelli, Valentini, Vella, Castiello, Elvira Savino, Occhiuto, Biancofiore, Giammanco, Fabrizio Di Stefano, Bergamini, Alberto Giorgetti».

Interrogazione a risposta orale:


   BURTONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale 7 Ferrandina-Matera è un asse viario molto importante in quanto collega la strada statale 407 Basentana alla città capoluogo di provincia e dall'ottobre 2015 è stata nominata capitale europea della cultura per l'anno 2019;
   la strada in questione, oltre ad essere ad unica carreggiata a doppio senso di marcia che mal sopporta l'enorme mole di traffico soprattutto nei giorni feriali per via dei mezzi pesanti che la percorrono, è in pessime condizioni strutturali;
   un fondo stradale sconnesso e pieno di avvallamenti pericolosi per gli automobilisti soprattutto nel tratto tra lo svincolo di Pomarico e quello di Miglionico, una galleria, quella in prossimità di Pomarico che dovrebbe essere maggiormente illuminata, sterpaglie ed erba alta a bordo strada, sono alcuni degli elementi che la rendono altamente insicura;
   purtroppo si verificano spesso una serie di incidenti;
   in considerazione dell'incremento del traffico legato al richiamo turistico della città di Matera, si rendono necessari interventi di manutenzione straordinaria che la mettano in sicurezza prima di qualsiasi studio di fattibilità per un possibile e necessario raddoppio;
   la stessa segnaletica è lacunosa e non degna di una strada che collega una città importante come Matera e i paesi dell’hinterland occorrerebbe effettuare interventi per facilitare la vita ai turisti;
   se e quali iniziative il Governo intenda attivare affinché ANAS metta in sicurezza e migliori la viabilità lungo la strada statale 7 Matera-Ferrandina al fine di renderla adeguata a consentire l'accesso ad una capitale europea della cultura e meno pericolosa per i tanti pendolari che quotidianamente la percorrono. (3-01879)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dal 20 settembre 2015 i treni «Frecciarossa» percorrono anche la tratta ferroviaria della linea adriatica passando dalle stazioni ferroviarie di Pescara, Foggia e giungendo fino a Bari, grazie a 2 nuovi collegamenti giornalieri per e da Milano Centrale, Reggio Emilia AV e Bologna Centrale, percorrendo quindi tutta la linea classificata come «fondamentale»;
   la tratta ferroviaria adriatica da Bologna fino alla Puglia, sia la linea «fondamentale» sia la linea «complementare», non è provvista di infrastrutture ferroviarie ad «Alta Velocità» ma di normali infrastrutture ferroviarie ed inoltre il servizio dei treni Frecciarossa fa parte del cosiddetto servizio a media e lunga percorrenza di Trenitalia che include sia i treni a mercato, come i Freccia, ossia i convogli potenzialmente profittevoli – per i quali i ricavi da biglietti venduti possono pareggiare o superare i costi di realizzazione del servizio – sia i treni del servizio universale – realizzato con treni intercity quelli per i quali i ricavi non possono coprire i costi del servizio e la loro effettuazione avviene quindi grazie ad un contributo pubblico. Per tali treni viene sottoscritto un contratto di servizio con lo Stato, che determina numero e caratteristiche di tali convogli e le risorse finanziarie che ne garantiscono la circolazione;
   con il diffondersi della notizia sopracitata sono nate polemiche, alimentate da testate giornalistiche e da diversi politici che lamentavano il mancato raggiungimento delle corse dei Frecciarossa fino alla stazione ferroviaria di Lecce – in una linea considerata «complementare» – ignorando completamente nelle loro richieste la tratta ferroviaria Bari – Taranto che unisce due porti "CORE" della rete TEN-T. Di contro l'amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, Michele Mario Elia dichiarava, come si evince da fonti stampa della Gazzetta del Mezzogiorno del 4 settembre 2015, che: «Abbiamo fatto tutte le verifiche, su tempi e costi, e siamo giunti alla decisione che l'ipotesi di allungare la corsa del Frecciarossa oltre Bari non è praticabile. Almeno per il momento» ed inoltre aggiungeva che «Ci sono delle regole di mercato a cui dobbiamo attenerci. Dobbiamo verificare se il "load factor" ci consente di fare altre scelte. Se il treno non si riempie chi ce lo paga ? Comunque non escludiamo nessuna possibilità. Queste cose si reggono se si autosostengono. Se c’è la domanda va bene, altrimenti l'azienda non può sostenere un servizio in perdita. Nessuno attuerebbe una attività non remunerativa, dove i costi sono maggiori dei ricavi». Infine aggiunge che «i tempi di percorrenza, il numero dei passeggeri (600) e il costo del servizio rappresentano fattori che devono rispondere ad una regola di mercato»;
   il 14 ottobre 2015 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti pubblica una nota stampa a seguito dell'incontro tra il Ministro Graziano Delrio, il Presidente della regione Puglia Michele Emiliano e l'amministratore delegato di Ferrovie dello Stato Michele Mario Elia relativamente al servizio del treno Frecciarossa sulla linea Adriatica, in particolare in Puglia e a Lecce: «Durante l'incontro si è convenuto di allargare anche a Lecce il servizio del treno Frecciarossa e questa estensione sarà resa possibile non appena disponibile un convoglio aggiuntivo e trascorsi i tempi tecnici per l'allestimento del servizio, compresi gli aspetti relativi alla manutenzione necessaria al termine della corsa. Inoltre essendo la tratta a oggi non remunerativa a mercato, si è convenuto di inserire questa sperimentazione all'interno del rinnovo del contratto di servizio ferroviario di lunga percorrenza. Si lavorerà inoltre per modulare l'offerta dei Frecciabianca in modo da ottenere tempi di percorrenza più rapidi. L'obiettivo è di arrivare alla predisposizione di tutti questi servizi prima dell'avvio della stagione estiva. La Regione Puglia è impegnata per la promozione sul territorio di questo ulteriore miglioramento del servizio, al fine di consentire la sua sostenibilità economica. Dopo un congruo periodo di sperimentazione verranno valutati gli obiettivi di pieno equilibrio economico al fine di poter decidere in merito alla stabilizzazione»;
   il contratto di servizio con Trenitalia è scaduto il 31 dicembre 2014 ma la validità dello stesso è stata ampliata di 12 mesi – fino al 31 dicembre 2015 – ai sensi dell'articolo 6 del vigente contratto di servizio –:
   quale saranno le fonti e l'entità delle risorse economiche per sostenere i costi del convoglio aggiuntivo, dell'allestimento del servizio e degli aspetti relativi alla manutenzione necessaria al termine della corsa e quali siano i tempi stabiliti per definire il «congruo periodo di sperimentazione» espresso in premessa;
   se per questa «sperimentazione» e per la fase successiva, qualora il servizio diventi stabile e definitivo, verranno stanziati fondi aggiuntivi da parte dello Stato nel prossimo contratto di servizio ferroviario di lunga percorrenza, supplementari rispetto all'attuale contributo statale, e se questo intervento sia in linea con i criteri di concorrenza e con le norme europee che regolano i servizi a mercato e se vi sia il rischio l'Italia sia oggetto di una procedura di infrazione dell'Unione europea;
   se per sostenere questa sperimentazione, verranno eliminate una o più corse dei treni che attualmente sono garantiti dal contratto di servizio perché considerati funzionali all'erogazione del servizio universale e in caso affermativo quali;
   se, per sostenere questa sperimentazione, verranno eliminate una o più corse dei treni che attualmente sono garantiti dai contratto di servizio perché considerati funzionali all'erogazione del servizio universale e in caso affermativo, quali;
   se possa confermare che tale sperimentazione non comporti un aumento tariffario per le tratte vigenti;
   se il prolungamento fino a Lecce sia previsto anche per la tratta Bari-Taranto;
   in cosa consista, la modulazione dell'offerta dei treni Frecciabianca in modo da ottenere tempi di percorrenza più rapidi, enunciata in premessa, e come si intenda garantirne la sostenibilità economica. (5-07116)


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 17 luglio 2015, la Corte dei Conti, a norma dell'articolo 7 della legge n. 259 del 1958, ha presentato una relazione in cui comunica alle Presidenze delle due Camere del Parlamento, insieme con i conti consuntivi per gli esercizi 2010, 2011, 2012 e 2013 – corredati delle relazioni degli organi amministrativi e di revisione – dell'autorità portuale di Manfredonia, Punita relazione con la quale la Corte riferisce il risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Ente stesso;
   nella suddetta relazione la Corte ha espresso le proprie perplessità sull'utilità dell'ente commissariato, riassunte e di seguito elencate:
    l'autorità portuale di Manfredonia, istituita con l'articolo 4, comma 65, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (finanziaria 2004), è stata soppressa con decreto del Presidente della Repubblica del 12 ottobre 2007, per carenza dei necessari requisiti di traffico previsti dalla legge. A seguito di ricorso, il provvedimento di soppressione è stato dapprima sospeso in via cautelare, con conseguente cessazione del commissario liquidatore già nominato in data 22 ottobre 2007 e reintegro del commissario e del commissario aggiunto, a far data dal 21 gennaio 2008 e, successivamente è stato annullato con sentenza del Tar Lazio in data 13 dicembre 2011, confermata anche in sede di appello dal Consiglio di Stato nel 2014;
    l'Ente non è dotato degli organi di amministrazione previsti dalla legge 84 del 1994 (presidente, comitato portuale, segretariato generale), pur disponendo dell'organo di controllo costituito dal Collegio dei revisori dei conti. È inoltre sprovvisto di pianta organica e di personale proprio, avvalendosi per lo svolgimento dell'attività di istituto di collaboratori esterni;
    l'Autorità non è ancora dotata di un piano regolatore portuale, né ha ottenuto il richiesto allargamento della circoscrizione territoriale;
    il volume di traffico resta, nel quadriennio esaminato, come già nel triennio precedente, largamente al di sotto del limite minimo stabilito dalla legge n. 84 del 1994 (tre milioni di tonnellate annue al netto del 90 per cento delle rinfuse liquide o 200.000 Twenty Feet Equivalent — TEU) per la costituzione e il mantenimento delle autorità portuali;
    le entrate per canoni demaniali mostrano un incremento degli accertamenti nel quadriennio, passando dai 255.694 euro del 2010 ai 407.911 euro del 2013, evidenziando peraltro una progressiva diminuzione degli importi riscossi che passano dal 96,9 per cento sugli accertamenti di, entrata per canoni del 2010 al 19,1 per cento del 2013;
    l'autorità portuale non ha avviato le procedure di gara in tempo utile per garantire la continuità del servizio di raccolta rifiuti dalla navi e di pulizia degli specchi acquei e del servizio di portierato ai fini della security; il collegio dei revisori ha rilevato la non coerenza della proroga con i principi generali desumibili dalla normativa vigente ed ha invitato l'Ente ad avviare con urgenza le procedure di gara;
    per ciò che concerne i dati strettamente contabili, i risultati finanziari mostrano un andamento decrescente nel quadriennio, fortemente influenzato dai saldi negativi delle poste in conto capitale, che determinano nel 2012 un disavanzo di euro 11.678.799. L'esercizio 2013 si chiude con un avanzo di euro 12.281, a fronte dei 10.052.412 euro del 2009. L'avanzo di amministrazione si attesta sui trenta milioni di euro nel biennio 2010-2011, sostanzialmente stabile rispetto al 2009, mentre nel biennio 2012-2013 mostra un notevole decremento ed ammonta a circa 18,5 milioni di euro. Il risultato economico, di segno positivo ad eccezione del 2011, mostra un andamento decrescente nel quadriennio, fino a raggiungere nel 2013, in cui ammonta ad euro 43.326, una riduzione del 44 per cento rispetto al 2009. Il patrimonio netto, ad eccezione del 2011, risulta in crescita per effetto degli avanzi economici e passa dai 382.900 euro del 2009 ai 529.129 euro del 2013;
   la Corte scrive nella relazione che: «ribadendo le notazioni critiche già formulate nei precedenti referti, richiama l'attenzione del Ministero vigilante sulla necessità che la posizione dell'Autorità portuale di Manfredonia venga al più presto definita. Appare infatti indubbio che, in assenza di personale proprio, di idonei strumenti operativi e gestionali e di ridottissimi volumi di traffico, la gestione commissariale in atto non sembra rispondere agli scopi per cui sono state istituite le Autorità portuali»;
   infine il collegio dei revisori, in merito agli adempimenti di cui al decreto 14 marzo 2013, n. 33, (obblighi di pubblicità e trasparenza nelle pubbliche amministrazioni), nei verbali n. 2 e 3 del 2015, ritenendo il sito istituzionale gravemente deficitario delle informazioni richieste, ha invitato l'ente ad adeguarlo con urgenza a quanto previsto dalla normativa in materia –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di superare le criticità elencate nella relazione dalla Corte dei Conti e quelle espresse dal collegio dei revisori di cui in premessa. (5-07118)


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa del «Quotidiano Puglia» del 27 luglio 2015 dal titolo «Salento preso d'assalto ma i treni sono già pieni. Addio viaggi aggiuntivi», si apprende che per l'esodo di turisti in vacanza verso la Puglia previsto per il week end di fine luglio, risultassero quasi del tutto esauriti i biglietti per effettuare il viaggio in treno e contestualmente si prevedesse il «bollino rosso» per quanto riguarda il traffico stradale verso la Puglia;
   la situazione è apparsa critica per l'intero Mezzogiorno ma è diventata drammatica soprattutto per la Puglia meridionale per i collegamenti a lunga percorrenza per Lecce, Brindisi, Taranto, e come se non bastasse anche per i collegamenti locali;
   i treni in partenza dalle grandi città del nord verso il sud hanno registrato, secondo la fonte stampa succitata, il tutto esaurito e questo ha creato la reazione di molti viaggiatori che avrebbero chiesto spiegazioni alle associazioni dei consumatori, tanto che «Lo sportello dei diritti di Lecce» ha riportato in una nota che sono state ricevute decine di segnalazioni in pochi giorni tanto che lo stesso ha espresso perplessità rispetto all'assenza di «treni speciali» di Trenitalia che avrebbero potuto favorire i flussi turistici in viaggio dal nord al sud del Paese e quindi ha imputato alla stessa società di trasporto ferroviario, la mancata organizzazione e pianificazione nel fornire altre corse verso il Mezzogiorno nonostante il prevedibile esodo estivo;
   la conseguente risposta di Trenitalia a questa situazione è stata alquanto esplicativa, infatti l'ufficio stampa di Trenitalia avrebbe scritto che: «l'azienda basa la sua offerta commerciale sull'analisi dei parametri di mercato». Mentre, rispetto ai treni speciali, Trenitalia ha ricordato che queste vetture mancano da anni perché non esiste un committente che se ne faccia carico;
   a detta dell'interrogante, è evidente che le analisi dei parametri di mercato non siano sufficienti per garantire il servizio di trasporto ferroviario al maggior numero di persone possibili che nei periodi dediti alle vacanze si apprestano a recarsi al Sud –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di garantire un potenziamento nei periodi estivi del trasporto ferroviario per le tratte che collegano il Nord al Sud, soprattutto verso la Puglia, regione che ha visto crescere notevolmente nel corso degli ultimi anni i flussi turistici. (5-07121)


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa del «Quotidiano Puglia» del 28 luglio 2015 dal titolo «Ma collegamenti e servizi restano un colabrodo», si apprende che sono pochi i collegamenti con gli aeroporti pugliesi e il trasporto locale presenta notevoli criticità. Il trend turistico pugliese e salentino aumenta di anno in anno e nonostante questo trend in crescita i collegamenti rimangono inefficienti e non favoriscono un adeguata diffusione sul territorio pugliese dei flussi turistici;
   sempre dal suddetto articolo si apprende che l'aeroporto di Brindisi, a fronte di innumerevoli collegamenti con tutta Europa anche grazie all'utilizzo di voli low-cost, è in attesa della realizzazione dello «shuttle» per la ferrovia;
   nel dossier del piano nazionale aeroporti in merito agli interventi prioritari (paragrafo 18.3), si afferma che per l'aeroporto di Brindisi è previsto un «collegamento alla rete ferroviaria» con la competenza di Aeroporti di Puglia spa, dal valore di 40 milioni di euro finanziato al 100 per cento che fa riferimento all'intesa tra il Governo e la regione Puglia del 28 luglio 2011;
   il piano attuativo 2009-2013 del piano regionale dei trasporti della regione Puglia, ha portato a riconsiderare l'intervento già previsto dal quadro programmatico progettuale «Collegamento ferroviario aeroporto di Brindisi-stazione ferroviaria di Brindisi (f402)», condizionandolo all'elaborazione di uno studio di fattibilità per valutare quale sia la migliore tra le due possibili opzioni che prevedono alternativamente di realizzare il collegamento mediante:
    a) un raccordo ferroviario dedicato che si dovrebbe sfioccare dalla linea Adriatica; questa opzione consentirebbe ai soli treni provenienti dal Salento di attestarsi, eventualmente, in aeroporto dopo avere effettuato fermata alla stazione di Brindisi, mentre in tutti gli altri casi si renderebbe necessaria una rottura di carico alla stazione di Brindisi e l'istituzione di una navetta ferroviaria dedicata;
    b) un sistema shuttle del tipo automated people mover, APM, collegato ad una nuova fermata da prevedere sulla rete di RFI in corrispondenza della confluenza tra la linea adriatica e la Taranto-Brindisi dedicata alla connessione diretta con l'aerostazione; in tal caso l'aeroporto potrebbe essere servito da tutte le direttrici;
   la delibera del CIPE 62/2011 prevede l'intervento prioritario come «adeguamento e potenziamento delle ferrovie», per il progetto «Shuttle aeroporto di Brindisi – rete ferroviaria», per il quale vengono stanziati 40 milioni di euro;
   il protocollo d'intesa del marzo del 2012 tra regione Puglia, comune di Brindisi e Aeroporti di Puglia per la realizzazione del collegamento Metrobus tra l'aeroporto di Brindisi e la rete ferroviaria, individua le competenze di ciascun ente per l'esecuzione della suddetta infrastruttura e prevede diverse tipologie d'intervento:
    a) la realizzazione di una sede riservata in affrancamento o su tracciati indipendenti rispetto alla sede stradale esistente;
    b) la realizzazione delle stazioni di Penino e dell'Aeroporto;
    c) l'introduzione di sistemi di priorità semaforica alle intersezioni;
    d) la realizzazione di capolinea e fermate intermedie attrezzate, la fornitura di una flotta di 8 autobus;
   i veicoli che saranno adottati potranno essere articolati «a doppia cassa», a pianale integralmente ribassato e dotati di sistemi di propulsione di tipo ibrido in modo da garantire una maggiore compatibilità in caso di circolazione all'interno di aree a traffico limitato o pedonali e la sostenibilità ambientale;
   nel succitato protocollo, tuttavia, nonostante il collegamento sia con una rete ferroviaria, non è presente ne RFI spa, ne FSE spa per cui a detta dell'interrogante l'assenza nell'accordo di RFI, ovvero di altra società di gestione delle reti ferroviarie pugliesi, è ingiustificata in quanto il protocollo entra nel merito della qualità del collegamento e «impone» non solo di andare nella direzione di un «sistema shuttle» senza avere realizzato la formulazione dello studio di fattibilità, fondamentale per decidere le alternative possibili su base rigorosamente scientifica secondo puntuali studi di costi-benefici, ma anche di «declassare» la qualità del collegamento da ferroviario a stradale tramite l'utilizzo della tecnologia «metro-bus»;
   la realizzazione dell'opera darebbe la possibilità ad un passeggero proveniente dalle località di Lecce o Taranto e diretto all'aeroporto di Brindisi, di dover accedere alla piccola stazione RFI nei pressi dell'ospedale Penino e prendere il bus/shuttle che porta all'aeroporto superando di fatto la logica ferroviaria, il tutto nonostante attualmente è già attivo un collegamento bus urbano stazione centrale – aeroporto di Brindisi;
   a detta degli interroganti, i collegamenti di trasporto pubblico attuali tra l'aeroporto di Brindisi e le città di Lecce ma soprattutto di Taranto non sono sufficientemente supportati da infrastrutture di tipo ferroviario per cui soprattutto dalla città di Taranto si impiega ancora molto tempo per raggiungere l'aeroporto di Brindisi nonostante la distanza sia di circa 70 chilometri per cui il collegamento con l'aeroporto di Brindisi, teso ad aumentare l'accessibilità dell'aeroporto dal proprio bacino di traffico naturale, è fondamentale per migliorare l'intermodalità –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali iniziative intenda adottare al fine di rendere effettivo il collegamento ferroviario con l'aeroporto di Brindisi in ottica di risparmio di tempo per i cittadini provenienti da Taranto e Lecce e quindi per agevolare i flussi turistici provenienti dall'aeroporto di Brindisi e diretti nelle province di Taranto e di Lecce;
   come si spieghi che il protocollo d'intesa del marzo del 2012 tra regione Puglia, comune di Brindisi e Aeroporti di Puglia per la realizzazione del collegamento Metrobus tra l'aeroporto di Brindisi e la rete ferroviaria, sia stato concluso senza la partecipazione di RFI spa, ovvero altro soggetto gestore di rete ferroviaria;
   se il Ministro intenda verificare l'esistenza di uno studio di fattibilità che abbia determinato la scelta delle opzioni a disposizione e se i finanziamenti stanziati dalla delibera del CIPE 62/2011 fossero subordinati al suddetto studio di fattibilità;
   quale sia lo stato dell'avanzamento dei lavori e quando verrà definitivamente completato. (5-07122)


   RICCIATTI, FRANCO BORDO, FERRARA, AIRAUDO, PLACIDO, FRATOIANNI, ZARATTI, PELLEGRINO, PIRAS, QUARANTA, SANNICANDRO e KRONBICHLER. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 26 novembre 2015 i carabinieri del comando provinciale di Perugia, supportati dal reparto indagini tecniche del Raggruppamento operativo speciale (Ros) dell'Arma dei carabinieri hanno effettuato un sopralluogo tecnico presso la galleria «La Franca», sulla quale è stata aperta una indagine a seguito delle rivelazioni della trasmissione televisiva Report (Cronache Maceratesi.it, 26 novembre 2015);
   gli accertamenti sono stati disposti dalla procura della Repubblica di Spoleto nell'ambito dell'inchiesta relativa ai lavori effettuai nella galleria;
   l'interrogante aveva già segnalato la vicenda con l'interrogazione a risposta in commissione n. 5-05313 del 13 aprile 2015;
   nella risposta (pubblicata giovedì 4 giugno 2015 nel bollettino in Commissione Ambiente) il sottosegretario per le infrastrutture e i trasporti Del Basso De Caro riferiva che, a seguito delle segnalazioni anonime, divulgate dagli organi di informazione, la società Quadrilatero aveva esteso i controlli a tutta la galleria. Il 10 aprile 2015 sono stati quindi avviati controlli georadar, completati il successivo 16 maggio. Nella risposta, si da inoltre atto del fatto che il 27 maggio 2015 «la società Quadrilatero ha acquisito la relazione del progettista del Contraente generale dalla quale risulta quanto segue: i dati relativi ai maggiori volumi di calcestruzzo impiegati sono stati confermati sulla base delle restituzioni tridimensionali dei rilievi georadar; non sono emersi vuoti dietro al rivestimento definitivo; per circa il 77 per cento della canna nord e il 68 per cento della canna sud non sono presenti sottospessori significativi del rivestimento definitivo, previsto da progetto in 50 cm; nell'ambito dei restanti tratti sono state evidenziate riduzioni di spessore superiori a 5 cm, dei quali complessivamente il 10 per cento circa presenta entità superiore ai 20 cm. Nell'ambito di tale 10 per cento e per una quota pari al 3 per cento saranno previsti interventi integrativi, quali ad esempio il placcaggio con lastre di acciaio. In particolare, come si evince dalla relazione del progettista, anche in questi ultimi tratti, che rappresentano il 3 per cento del rivestimento complessivo, la problematica statica non coinvolge il breve-medio termine della vita dell'opera. Pertanto saranno effettuati a carico del Contraente generale gli opportuni interventi integrativi puntuali, tali da ripristinare l'efficienza prestazionale del rivestimento nel lungo periodo, prima del collaudo definitivo e dell'apertura al traffico»; a quanto si apprende dalla testata citata altre verifiche potrebbero essere effettuate nelle gallerie di Serravalle e Varano nel maceratese, già aperte al transito –:
   se il Governo sia in grado di riferire sullo stato degli interventi integrativi disposti a seguito delle verifiche presso la galleria «La Franca» come riportato nella risposta all'atto di sindacato ispettivo di cui in premessa. (5-07123)


   SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'11 novembre 2015 è stato pubblicato sul quotidiano «la Nuova Venezia» un articolo intitolato «Aeroporto, quale sicurezza», in cui un lavoratore aeroportuale denunciava all'opinione pubblica una grave omissione nei sistemi di controllo afferenti all'aeroporto Marco Polo di Tessera (Venezia);
   secondo quanto denunciato da tale lavoratore aeroportuale, due figure dirigenziali appartenenti ad una delle tre aziende di handling operanti presso l'aeroporto Marco Polo, avrebbero, di proposito e per motivi strettamente personali, attribuito un bagaglio a un passeggero diverso dal suo legittimo proprietario;
   tale denuncia viene peraltro supportata nell'articolo di cui sopra dalla pubblicazione di un documento grafico in cui viene riportato il testo di una mail e una nota scritta in cui si legge chiaramente, con riferimento a un bagaglio, che «il terzo pezzo è da attribuire ad un passeggero a caso che non spedisca bagaglio»;
   tale grave violazione delle più elementari norme comuni sulla sicurezza dell'aviazione civile appare ancora più inquietante, secondo l'interrogante, se si considera l'attuale panorama internazionale di rischio terroristico e l'allerta massima che i sistemi di sicurezza dovrebbero adottare in risposta alle minacce e ai gravissimi attentati degli ultimi mesi;
   come è noto, con il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 21 luglio 2009, l'Enac è stato designato quale unica autorità responsabile del coordinamento e del monitoraggio dell'attuazione delle norme fondamentali comuni in tema di sicurezza;
   ai sensi degli articoli 10 e 11 del regolamento (CE) 300/2008, l'Enac assicura inoltre la redazione l'attuazione e l'aggiornamento del programma nazionale per la sicurezza dell'aviazione civile e del Programma nazionale per il controllo di qualità della sicurezza dell'aviazione civile, anche attraverso il supporto del Comitato interministeriale per la sicurezza dei trasporti aerei e degli aeroporti (CISA);
   come riportato sul sito dell'Ente nazionale per l'aviazione civile, a seguito dei fatti dell'11 settembre 2001, si è reso altresì necessario garantire misure di prevenzione e controllo severissime, strutturate su standard internazionali e abbinate a un'attività di continuo monitoraggio sull'intera organizzazione del trasporto aereo, e cioè su infrastrutture, gestori, compagnie, scuole di volo, oltre che su passeggeri, bagagli, merci e aeromobili;
   inoltre, sempre sullo stesso sito, si legge testualmente che «garantire la sicurezza del volo e dei passeggeri trasportati, sia durante il volo che a terra, in ambito aeroportuale, è obiettivo primario dell'Enac»;
   per quanto risulta all'interrogante, nonostante, l'Ente nazionale per l'aviazione civile e il gestore aeroportuale Save siano stati messi al corrente della violazione di tali norme di sicurezza, di cui dovrebbero essere i primi garanti, nessun provvedimento è stato adottato per sanzionare tale comportamento altamente lesivo –:  
   se il Ministro interrogato, verificati i fatti esposti in premessa, non ritenga opportuno intervenire nei confronti di Enac per accertare tutte le eventuali responsabilità che dovessero emergere da una mancata attività di vigilanza e controllo sull'applicazione delle misure di security per il trasporto di bagagli, in merito al caso di cui in premessa. (5-07124)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sulla tratta Domodossola – Milano, a ottobre più della metà dei treni ha viaggiato con un ritardo superiore ai 5 minuti. Da quanto si apprende da un articolo del quotidiano on-line «La Provincia di Varese», intitolato «Il treno in ritardo cronico “Sfora una corsa su due”», a ottobre su 1.544 treni della linea, ben 816 hanno viaggiato con ritardo superiore ai 5 minuti, con una percentuale che arriva al 53 per cento, alla quale si aggiungono 16 treni che sono stati soppressi;
   sulla vicenda che ha coinvolto il treno delle 18,29 di venerdì 30 ottobre 2015, Rete ferroviaria italiana ha attivato le procedure atte ad appurare la dinamica dei fatti e risalire alle responsabilità per le attività di competenza. «Nella giornata del 30 ottobre – dichiara RFI – per carenze alla rete di alimentazione, si sono registrati diversi inconvenienti al sistema d'informazioni audio e video all'interno della stazione»;
   si tratta di un convoglio partito semivuoto dalla stazione di Milano centrale, con 20 minuti di ritardo. Stando alle testimonianze dei pendolari, i viaggiatori sono rimasti a lungo in attesa di una comunicazione riguardante il binario di partenza del treno, diretto a Domodossola. L'annuncio, giunto all'improvviso, è arrivato nello stesso istante in cui si sono chiuse le porte dei vagoni, lasciando sulla banchina 300 persone che hanno così dovuto attendere la corsa delle 19,29 per tornare finalmente a casa –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per risolvere i problemi di efficienza e puntualità dei treni sulla tratta Domodossola – Milano. (4-11300)


   MARCO DI MAIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in generale il sistema tangenziale è stato pianificato con l'accordo di programma tra ANAS e comune di Forlì (10 luglio 2003) e con un protocollo d'intesa tra ANAS – regione Emilia Romagna – provincia di Forlì Cesena e comune di Forlì (17 luglio 2003);
   nei rapporti intercorsi tra la presidenza dell'ANAS, l'amministrazione del comune di Forlì e la regione Emilia-Romagna, si legge la disponibilità a contribuire al finanziamento del lotto 3 anche in termini di aggiornamento del progetto originale;
   l'importanza della realizzazione di questo tronco di raccordo della parte sud della città di Forlì con la tangenziale est è da considerarsi strategica per tre motivi: congiunge, senza soluzione di continuità, la strada statale 67 e si connette con la strada statale 59 Emilia, permettendo l'alleggerimento del sistema circolatorio urbano e una maggiore scorrevolezza del traffico extraurbano; collega il traffico di attraversamento proveniente dalla vallate del Montone e del Rabbi e le attività economiche ed industriali con la A14 e la E45-E55; garantisce un alleggerimento del traffico in una zona in cui è presente l'importante polo provinciale ospedaliero del «Pierantoni»;
   il sistema tangenziale di Forlì è un esempio di efficacia ed efficienza nella realizzazione di grandi opere, perché, attraverso la sinergia tra ANAS e istituzioni nel territorio, l'azienda è riuscita a risparmiare, rispetto agli interventi fin qui realizzati, quasi il 10 per cento dei finanziamenti stanziati in origine;
   la realizzazione del terzo lotto della tangenziale di Forlì risulta essere in priorità 1 nel programma infrastrutture strategiche (Pis) della regione Emilia-Romagna;
   il sistema tangenziale di Forlì è sorto come variante alla strada statale 67 «Tosco-Romagnola», arteria di vitale importanza per il collegamento tra la Romagna e la Toscana;
   numerosi sono gli appelli, le lettere, le richieste, le sollecitazioni arrivate dal territorio in questi anni, in via formale e informale, nei confronti del Ministero, della sede regionale di Anas Emilia-Romagna e di quella nazionale circa l'esigenza improcrastinabile di investimenti per la messa in sicurezza del tratto romagnolo della strada statale 67;
   le intense precipitazioni atmosferiche degli ultimi anni hanno notevolmente peggiorato la qualità del manto stradale della strada statale 67, soprattutto nel tratto romagnolo, compromettendo la sicurezza dei cittadini e la fruibilità della strada stessa;
   esistono progetti già ideati per la riqualificazione e l'ammodernamento della strada statale 67, che necessiterebbero di essere aggiornati e adeguati alle nuove normative, ma che possono essere perfettamente congrui alle esigenze attuali della vallata e dei paesi attraversati dalla «Tosco-Romagnola» –:
   quali siano le cause del mancato di inserimento di questo progetto all'interno del nuovo piano pluriennale dell'ANAS previsto per l'anno 2013 e quali iniziative abbia intenzione di attuare per far sì che ciò avvenga in tempi brevi, vista l'importanza dell'opera;
   quali iniziative il Ministero e l'Anas abbiano intenzione di porre in essere per mettere mano alle ineludibili esigenze di manutenzione e messa in sicurezza del tratto romagnolo della strada statale 67 «Tosco-Romagnola», che nel piano pluriennale di Anas risulta finanziata solo con riferimento al versante toscano dell'arteria. (4-11301)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DA VILLA, PETRAROLI e CRIPPA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il settore dell’open air, dei campeggi e dei villaggi turistici ospita circa 9 milioni di arrivi all'anno con oltre 66 milioni di pernottamenti. L'offerta italiana è composta da circa 2.700 imprese con una capacità ricettiva complessiva di 1,4 milioni di posti letto, occupando oltre 48.000 addetti, per un fatturato di circa 3 miliardi di euro, più l'indotto;
   l'articolo 4, comma 2-ter, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, spostava al 1onovembre2015 il termine (originariamente fissato nel decreto ministeriale 28 febbraio 2014, conosciuto come «Regola tecnica», e precisamente all'articolo 6, per la presentazione al comando provinciale dei vigili del fuoco territorialmente competente, da parte dei gestori di strutture turistico-ricettive all'aria aperta con capacità ricettiva superiore alle 400 persone (ricomprese nella categoria B dell'allegato I al decreto del Presidente della Repubblica 1o agosto 2011, n. 151), dell'istanza per «l'esame dei progetti di nuovi impianti o costruzioni, nonché dei progetti di modifiche da apportare a quelli esistenti, che comportino un aggravio delle preesistenti condizioni di sicurezza antincendio» (ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 1o agosto 2011, n. 151);
   il citato decreto del Presidente della Repubblica 1o agosto 2011, n. 151, con particolare riferimento agli articoli 3, 4 e 11, comma 4, in combinazione con quanto disposto dal decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, con particolare riferimento al capo III, interessa tutte le strutture turistico-ricettive all'aria aperta con capacità ricettiva superiore alle 400 persone già esistenti, laddove, a parere di associazioni degli operatori del settore, anche considerando che le strutture in oggetto operano già nell'ambito della normativa comunitaria di riferimento e che non risulterebbe che essa preveda obblighi più stringenti, i maggiori vincoli posti dalle normative nazionali citate dovrebbero essere indirizzati alle strutture di nuova realizzazione e a quelle esistenti solo in caso di ristrutturazioni che comportino un aggravio delle preesistenti condizioni di sicurezza;
   sussistono tuttora alcuni rilevanti dubbi interpretativi relativi alla normativa di settore (in particolare al decreto ministeriale 28 febbraio 2014); la circolare emanata dal Ministro dell'interno in data 12 settembre 2014, contenente i «primi indirizzi esplicativi», non sembra infatti sufficiente per garantire una applicazione certa e uniforme del provvedimento su tutto il territorio nazionale, giacché i progetti di adeguamento rischierebbero di essere valutati in modo difforme tra luoghi diversi, in base alle interpretazioni prevalenti nel locale corpo dei vigili del fuoco;
   per dissipare i summenzionati dubbi, inoltre, risultano necessari ulteriori incontri di chiarimento e delucidazione tra gli operatori interessati e i funzionari dei comandi provinciali dei vigili del fuoco; tale complessità e la conseguente esigenza di confronti tecnici determinano altresì il prolungamento dei tempi di redazione degli appositi progetti di adeguamento, propedeutici all'esecuzione delle opere;
   le attività coinvolte nel processo di adeguamento antincendio si svolgono in forma stagionale, ragion per cui l'attuazione degli interventi di adeguamento durante il periodo di apertura comporta forti limitazioni all'esercizio dell'attività e possibili ripercussioni sulla sicurezza degli ospiti; 
   la situazione sopra descritta è resa ancor più complicata dalla circostanza per cui le norme generali di prevenzione incendi (in particolare il decreto ministeriale 10 marzo 1998) sono state concepite per garantire la sicurezza antincendio in edifici o locali al chiuso che presentano peculiarità e problematiche di sicurezza antincendio ben diverse da quelle tipiche di realtà all'aperto quali, per l'appunto, i campeggi, risultando, pertanto, difficilmente adattabili a quest'ultima tipologia di struttura turistico-ricettive, e direttamente applicabili alle sole parti al chiuso non soggette a normativa specifica, quali bar, ristoranti, e altro;
   l'adeguamento descritto non sembra; all'interrogante poter prescindere dalle caratteristiche e dalle peculiarità delle strutture ricettive all'aria aperta che, sviluppandosi su ampie superfici sulle quali, sovente, esistono anche vincoli ambientali che limitano la possibilità di intervento, necessitano della predisposizione di indispensabili linee guida per la sicurezza antincendio «dedicate», ossia appositamente concepite per queste specifiche realtà; tali rinnovate linee guida dovrebbero essere formulate, anzitutto basandosi sul presupposto di una raccolta di dati quanto più possibile aggiornati e completi sia sullo stato delle strutture interessate, sia sulla incidenza effettiva, storicamente prodottasi, del rischio specifico, e tenendo conto dell'esperienza e della professionalità degli operatori che gestiscono queste strutture e che, per primi, hanno tutto l'interesse a garantire un'effettiva sicurezza delle loro attività;
   per quanto concerne gli interventi sulle strutture esistenti, in caso di modifiche e ristrutturazioni, le associazioni degli operatori hanno suggerito, in comunicazioni aperte rivolte al Governo e in audizioni tenute nella Commissione, attività produttive, commercio e turismo della Camera di applicare le prescrizioni previste in maniera «flessibile», a seconda delle caratteristiche del singolo campeggio: al fine di raggiungere un medesimo livello di sicurezza complessiva, si potrebbe cioè agire in modo calibrato e diversificato sui tre elementi cardine su cui è imperniata la sicurezza antincendio di un campeggio, cioè la «Gestione», la «Struttura» ed i «Sistemi». Tali componenti potrebbero essere opportunamente bilanciati fra di loro in modo differenziato, da valutarsi caso per caso a seconda delle caratteristiche del campeggio, consentendo di garantire il medesimo livello di sicurezza con un pacchetto di interventi specificamente adattati alla struttura interessata, in modo da ridurre sia i tempi di esecuzione che i costi, e soprattutto da poter operare su strutture già esistenti, molte delle quali rispondono a criteri e a esigenze che rispecchiano il periodo nel quale sono state costruite su molte delle quali, per via del loro posizionamento, risulta assai difficile (quando non in contrasto con altri vincoli ambientali e paesaggistici) intervenire in conformità a rigidi parametri astratti;
   nella eventualità di una tale opportuna revisione della «regola tecnica di prevenzione incendi» specifica per le strutture ricettive all'aria aperta, gli operatori del settore hanno consigliato di tenere conto, oltre a quanto detto sopra, anche del criterio della «prestazionalità», prevedendo la possibilità di intervenire, in ambito correttivo, su più fronti, in relazione alle caratteristiche e alle potenzialità del singolo esercizio, consentendo, a parità di livello di sicurezza raggiunto, di limitare i costi economici degli interventi e i disagi durante i lavori di adeguamento. Il raggiungimento dell'adeguato livello di sicurezza potrebbe essere conseguito attraverso un'analisi personalizzata della struttura, che consenta di definire l'entità delle varie misure di sicurezza da adottare in relazione alle caratteristiche della stessa e dei vincoli sul territorio. La «prestazionalità» sarebbe appunto la capacità di prestazione-sicurezza antincendio di un complesso, una volta attuato un piano di interventi, che dovrebbe avere un livello obbligatorio, permettendo però di modulare i singoli profili di intervento in funzione delle caratteristiche della struttura, ad esempio nell'articolazione degli impianti idrici antincendio;
   il primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo ha appreso con soddisfazione, dalla cortese risposta del Ministero dell'interno e, informalmente, dalle rappresentanze di categoria, che il competente Dipartimento, dando attuazione alla lettera e allo spirito delle risoluzioni 8-00133, 800134 e 8-00135, approvate presso la X commissione della Camera dei deputati in materia di misure antincendio negli alberghi, ha convocato le associazioni di categoria, a rendo un confronto costruttivo con tutte le parti interessate, confronto che sta determinando in tutti i soggetti coinvolti l'aspettativa legittima di una proficua attitudine a risolvere le criticità sollevate dalle associazioni di categoria, nella prospettiva di una soluzione definitiva che ponga termine al ricorso sistematico a proroghe per sopperire alla problematica applicabilità delle norme –:
   se il Ministro interrogato convenga nel considerare la problematica esposta, relativa alle strutture turistico-ricettive in aria aperta e alla regola tecnica di cui al decreto ministeriale 28 febbraio 2014, assimilabile a quella trattata nelle citate risoluzioni in materia di misure antincendio negli alberghi, e quindi proficuamente affrontabile con analogo approccio e metodo di lavoro da parte delle competenti direzioni ministeriali;
   se il Ministro interrogato intenda ampliare il confronto inaugurato per quanto riguarda le strutture ricettive-turistico alberghiere, indicate nelle risoluzioni di cui in premessa, estendendone espressamente, l'oggetto alle problematiche della regola tecnica afferenti alle strutture turistico-ricettive in aria aperta con capacità ricettiva superiore alle 400 persone, coinvolgendo pertanto in forma piena le loro rappresentanze;
   se il Ministro interrogato intenda farsi promotore di iniziative normative che, nelle more della conclusione dei lavori summenzionati, consentano di limitare l'applicazione integrale delle disposizioni antincendio attualmente vigenti alle strutture di nuova realizzazione e a quelle esistenti solo in caso di ristrutturazioni che comportino un aggravio delle preesistenti condizioni di sicurezza. (5-07115)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DE LORENZIS. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 agosto 2015 intorno alle ore 22:00 nel quartiere Paolo VI di Taranto c’è stata una nuova sassaiola verso l'autobus della linea 11 dell'Amat che effettuava una consueta corsa di trasporto pubblico urbano. Una delle pietre lanciate nel buio ha colpito e distrutto uno dei finestrini e fortunatamente le schegge non hanno ferito nessuna delle persone trasportate. L'autista è quindi stato costretto a far ritorno in deposito interrompendo il suo giro consueto, per sfuggire a delle possibili conseguenze ancora più pericolose;
   l'episodio non è che l'ultimo verificatosi ai danni dei mezzi e personale della società partecipata dal comune di Taranto. In data 22 luglio 2015 si è verificata un'altra aggressione ai danni di un autista dell'Amat spa, mentre era a bordo dell'autobus della linea 17 che percorreva viale della Liberazione al quartiere Tamburi di Taranto. Dapprima è stato preso a sassate l'autobus da un gruppo di ragazzini rimasto ignoto e successivamente si è verificata un'aggressione all'interno dello stesso autobus nei confronti del conducente che ha dovuto interrompere la corsa per difendersi dall'aggressione;
   nel mese di giugno 2015 si è registrata un'altra aggressione ai danni del personale Amat all'interno di un autobus che percorreva via Falanto a Taranto che si è concluso con due persone in servizio rimaste ferite;
   le aggressioni verso i mezzi e il personale Amat continuano da diversi anni e a detta dell'interrogante sembrerebbe che in questo ultimo periodo siano aumentate. La sicurezza del personale e degli autisti nonché dei passeggeri è messa a rischio dalle continue aggressioni che hanno un diversi effetti; i danni nei confronti del personale impossibilitato ad operare in sicurezza, l'interruzione del pubblico servizio e la palese insicurezza che si trasmette ai cittadini che di contro si sentono abbandonati dallo Stato –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali iniziative urgenti per propria competenza, intenda adottare;
   se il Ministro abbia intenzione, tramite la prefettura di Taranto, di promuovere una intesa con l'Amat di Taranto e i lavoratori al fine di garantire la sicurezza del personale e dei passeggeri durante le corse di trasporto pubblico, soprattutto nei quartieri periferici della città. (4-11299)


   GINEFRA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 novembre 2015 I l'interrogante aveva già depositato l'interrogazione a risposta in commissione n. 5-6928 in merito alla recrudescenza dei fenomeni malavitosi che stanno intaccando la convivenza civile nell’hinterland barese e in special modo presso la cittadina di Valenzano;
   successivamente, sempre a Valenzano si sono susseguiti nuovi episodi di criminalità, che hanno colpito in particolare esercizi commerciali;
   le dichiarazioni rese alla magistratura dal boss Antonio Di Cosola, che ha recentemente deciso di collaborare con la giustizia, aprono scenari inquietanti in merito alla capacità di radicamento e condizionamento da parte dei poteri malavitosi rispetto alla vita della comunità;
   nello specifico, in base a notizie riportate dagli organi di informazione, il capoclan Di Cosola avrebbe parlato di «milioni» investiti a Valenzano e di falde acquifere inquinate dagli scarti e dai residui dei frantoi e delle cave;
   il livello di allarme è evidentemente elevatissimo, non solo rispetto alla sicurezza pubblica, ma anche sul piano dell'ambiente e della salute –:
   quali iniziative abbia assunto o intenda assumere per assicurare una più efficace presenza e capacità di intervento sul territorio da parte delle forze dell'ordine e in generale delle istituzioni.
(4-11305)


   DIENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il consiglio comunale di Melito Porto Salvo (Reggio Calabria) è stato sciolto per tre volte per infiltrazioni mafiose, secondo quanto stabilito dall'articolo 143 del decreto legislativo n. 267 del 18 agosto 2000 (cosiddetto testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), rispettivamente nel 1991, nel 1996 e nel 2013, a causa di accertate infiltrazioni nell'ente della criminalità organizzata e a riprova della pesante presenza ‘ndranghetista nel tessuto sociale, politico ed economico della zona;
   l'ultimo scioglimento del consiglio comunale di Melito di Porto Salvo ai sensi della normativa antimafia, è avvenuto in seguito all'arresto del sindaco Gesualdo Costantino il 12 febbraio 2013 per associazione mafiosa;
   la città di Melito Porto Salvo, infatti, si è svegliata il mattino del 12 febbraio 2013 con l'esecuzione della cosiddetta operazione «ADA» condotta dalla direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria che ha portato all'ordinanza custodiale per 65 persone tra cui l'allora sindaco Gesualdo Costantino già vice presidente della provincia di Reggio Calabria ed eletto primo cittadino, a capo di una lista civica, in esito alle amministrative del maggio 2012;
   in essa era coinvolto anche il suo predecessore Giuseppe Iaria, tre volte sindaco di Melito, successivamente raggiunto da ordinanza di applicazione degli arresti domiciliari in esito alla cosiddetta operazione «SIPARIO» nel novembre 2013;
   il prefetto di Reggio Calabria dottor Vittorio Piscitelli ha disposto la gestione della commissione straordinaria, poi confermata con decreto del Consiglio dei ministri n. 74 del 27 marzo 2013, su proposta del Ministro dell'interno Anna Maria Cancellieri, ai sensi della normativa antimafia;
   tale gestione è stata in seguito prorogata fino a 24 mesi e le motivazioni addotte a sostegno della richiesta della commissione straordinaria, che il prefetto di Reggio Calabria ha fatto proprie, con relazione del 20 giugno 2014, sono state condivise dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica nel corso della riunione tenuta, in data 18 giugno 2014, alla presenza del procuratore distrettuale antimafia, anche per favorire la massima discontinuità;
   tale discontinuità purtroppo non sembra all'interrogante tuttavia aver segnato un reale cambiamento nella vita politica del comune;
   nel corso delle consultazioni amministrative, tenutesi il 31 maggio 2015 e volte al rinnovo del consiglio comunale ed all'elezione del sindaco, è stato candidato a capo della lista civica denominata «MELITO NEL CUORE» l'ingegnere Giuseppe Salvatore Meduri, poi eletto sindaco;
   egli, consigliere di minoranza all'epoca degli ultimi due scioglimenti, ha rapporti di frequentazione e di stretta parentela con numerosi soggetti coinvolti nell'operazione «ADA» che ha determinato l'ultimo scioglimento del comune con l'arresto del sindaco Costantino;
   l'ingegnere Meduri, in particolare, secondo la prospettazione dell'assetto ’ndranghestico locale fornita dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Ambrogio Giuseppe, la cui attendibilità è già stata vagliata dal tribunale di Reggio Calabria, è figlio del fratello del defunto capo ’ndrina della frazione di Prunella, Natale Meduri e cugino di Antonio Meduri, attuale capo n'drina della frazione di Prunella;
   emerge dagli atti relativi all'operazione «ADA» una evidente contiguità locale con ambienti legati alla criminalità organizzata, desumibile peraltro da ulteriori rapporti di frequentazione e parentela con soggetti raggiunti da ordinanza custodiale;
   oltre a questi dati, pure preoccupanti, va rilevato che, nel corso del primo consiglio comunale tenutosi in data 10 giugno 2015 e conclusosi con deliberazione n. 1 di pari data (https://www.youtube.com), si sono esaminate le cause di incandidabilità, ineleggibilità, e incompatibilità dei consiglieri e del sindaco risultato eletto;
   nelle fasi preparatorie del primo consiglio comunale, allorché è stato depositato certificato del casellario giudiziale, richiesto dal comune di Melito di P.S. in data 4 giugno 2015, dell'ingegnere Meduri, si è appreso che egli è stato condannato, in via definitiva, con sentenza della corte di appello di Reggio Calabria irrevocabile il 29 aprile 2009, alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione (pena sospesa) con sanzione accessoria della confisca dei beni ex articolo 12-sexies, del decreto-legge n. 306 del 1992 per il reato di cui all'articolo 12-quinquies del decreto-legge n. 306 del 1992 aggravato dagli articoli 112, n. 1 e 2. c-p. e dall'articolo 7, legge n. 575 del 1965. Reato di interposizione fittizia commesso in Reggio Calabria dal 28 aprile 1995 e fino al gennaio 2001;
   a fronte di questa condanna definitiva, il Meduri, a norma dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 235 del 2012 non avrebbe potuto essere candidato alle elezioni comunali e non può ricoprire la carica di sindaco;
   il caso appare di una straordinaria gravità perché avvenuto in un comune commissariato e gestito da una commissione straordinaria che, ad avviso dell'interrogante, sarebbe dovuta intervenire, proprio in relazione ai presupposti che ne giustificavano la proroga, con un controllo stringente prima della consultazione elettorale;
   avverso il provvedimento di convalida del sindaco Meduri, adottato dal consiglio comunale in data 10 giugno 2015, e per la dichiarazione della incandidabilità dello stesso è pendente un ricorso presso il tribunale di Reggio Calabria che si è riservato di decidere se riconoscere la sussistenza delle cause di incandidabilità del sindaco di Melito di Porto Salvo ingegnere Giuseppe Salvatore Meduri e, di conseguenza, dichiararlo decaduto e dichiarare la nullità delle elezioni amministrative del 31 maggio 2015;
   fermo restando questo appare doverosa un'azione repentina del Ministro interrogato al fine di ripristinare la legalità ed evitare che si possa nuocere al clima di legalità in un comune già toccato dal fenomeno mafioso –:
   se non ritenga, visti i gravi profili evidenziati a carico del sindaco di Melito di Porto Salvo, ingegnere Giuseppe Salvatore Meduri, di valutare la sussistenza di presupposti per avviare le iniziative di competenza ai sensi degli articoli 141 e seguenti del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, eventualmente promuovendo l'invio di una commissione di accesso presso il comune medesimo. (4-11306)


   RONDINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le notizie di stampa degli ultimi giorni hanno riportato il caso di un padre che ha cercato di difendere la propria famiglia tra le mura di casa; un padre costretto dagli eventi, minacciato di ritorsioni fisiche alla figlia di undici anni, ha esploso un colpo di pistola togliendo la vita ad uno dei malviventi che tenevano in ostaggio la famiglia;
   questo evento tragico si aggiunge all'altro caso noto accaduto nelle scorse settimane a Vaprio d'Adda;
   le statistiche riportano un aumento di casi di intrusione nei domicili con i residenti presenti, con conseguenti atti di violenza per costringere alla consegna di tutti i preziosi o contanti, anche quando palesemente non disponibili;
   le cronache riportano altresì dei crimini che vengono perpetrati nelle abitazioni o nelle proprietà in cui le vittime, impossibilitate o non attrezzate alla difesa, subiscono conseguenze tragiche come nei casi di Ferrara e Mineo –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione descritta e quali iniziative di competenza, anche normative, intenda assumere per fronteggiare le problematiche di cui in premessa. (4-11312)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PANNARALE, FRATOIANNI e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da settembre 2015 ad oggi, moltissimi lavoratori precari della scuola non hanno ancora ricevuto gli stipendi;
   il diritto alla retribuzione del lavoro è garantito dalla Costituzione a prescindere dalla tipologia contrattuale;
   questa pessima prassi dello Stato va a penalizzare ulteriormente persone già in difficoltà, spesso costrette a lavorare lontano da casa con un aggravio quotidiano di costi e spese da sostenere;
   risulta che alla cronica e grave carenza di risorse per il personale della scuola si siano sommati intoppi burocratici connessi a eccessivi carichi di lavoro delle segreterie, e numerose disfunzionalità del Sidi (il sistema informatico delle scuole) segnalate da molte scuole. Queste ultime sono state confermate dalla stessa amministrazione che ha riconosciuto come, nel nuovo sistema che imputa direttamente al Ministero dell'economia e delle finanze il pagamento, molte criticità non fossero state previste nella fase di sperimentazione e che via via che esse vengono segnalate si lavorerà alla soluzione con i vari soggetti interessati a tutta la procedura (le direzioni presenti, NoiPa, SIDI);
   la procedura di liquidazione degli stipendi, affidata al Ministero dell'economia e delle finanze che pure non risponde del servizio scolastico, risulta palesemente inefficace sul piano normativo e contabile perché basata su uno stanziamento programmatico sottostimato e ha come inevitabile esito quello di lasciare ogni anno le scuole in affanno e i docenti precari senza retribuzione;
   il codice di procedura civile, relativamente agli articoli 633 e seguenti, disciplina la possibilità di procedere al decreto ingiuntivo di pagamento in caso di violazione del diritto alla retribuzione –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere per risolvere con urgenza il ritardo nell'erogazione delle retribuzioni al personale con contratto di supplenza e per garantire continuità nell'assegnazione dei fondi sui capitoli utilizzati dagli istituti scolastici al fine di consentire un puntuale pagamento delle competenze spettanti. (5-07110)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dalla fonte stampa di «Inchiostro Verde» del 30 luglio 2015 si apprende come denunciato dal comitato «cittadini e lavoratori Liberi e Pensanti» di Taranto, che, da circa 20 giorni, si sta provvedendo alla demolizione della batteria 10 del reparto Cokerie dell'Ilva;
   a detta del comitato sopraccitato, all'interno della batteria c’è presenza di amianto, e nei pressi dell'area in oggetto, operano centinaia di lavoratori;
   sono decine e decine i lavoratori deceduti per esposizione all'Amianto in Ilva;
   in data 23 maggio 2014 la procura ha condannato 27 ex dirigenti Ilva – tra i quali Fabio Riva, ex vice presidente del gruppo condannato a 6 anni di carcere – accusati di omicidio colposo e disastro ambientale. Nelle motivazioni della sentenza riportate in 268 pagine, il magistrato Simone Orazio mette in evidenza che, se i vertici dello stabilimento avessero sottoposto a visite mediche adeguate i lavoratori, queste avrebbero consentito di «diagnosticare una patologia (es. placche pleuriche) che poteva essere un campanello d'allarme per il mesotelioma e che certamente avrebbe obbligato il datore di lavoro a non esporre più il lavoratore, affetto da tale problematica di salute, alle fibre di asbesto» e quindi a «valutare la incompatibilità del lavoratore rispetto alle mansioni sino ad allora espletate e quindi anche rispetto all'esposizione ad amianto, motivo per cui in questi casi l'accertamento sanitario avrebbe permesso di adibire il dipendente ad altre mansioni, sottraendolo al pericolo di morte»;
   inoltre, sempre nelle motivazioni della sentenza viene anche riportato che «gli interventi seri in materia di amianto nello stabilimento di Taranto sono stati sempre volutamente evitati» proprio perché avrebbero determinato un blocco e una ripartenza dell'attività produttiva oltre che «uno stravolgimento degli impianti e l'investimento di notevolissime somme di denaro». Ma per salvare la salute dei dipendenti, i vertici dello stabilimento avrebbero potuto almeno fornire un'adeguata attrezzatura e invece le testimonianze hanno chiarito che agli operai venivano date in dotazione solo mascherine respiratorie «usa e getta» che gli esperti hanno definito «del tutto inadeguate». Infine si sentenzia che una «situazione di consapevole e lucida omissione si è perpetrata per decenni, essendo sotto gli occhi di tutti nel senso che l'inerzia è stata maturata e voluta sia da coloro che avevano ruoli operativi e che pertanto erano a conoscenza delle inaccettabili condizioni in cui costringevano a lavorare i dipendenti sia da parte di color che avevano responsabilità manageriali, gestionali e di controllo finanziario data l'assenza di alcuno stanziamento al riguardo» –:
   quanti e quali siano i reparti nello stabilimento Ilva di Taranto in cui è ancora presente l'amianto e quanti siano i lavoratori che lavorano nei suddetti reparti;
   quali provvedimenti siano stati presi affinché i lavoratori dell'Ilva non siano a contatto con l'Amianto e se al personale venga fornito l'equipaggiamento adatto per non correre rischi;
   se, attualmente, si svolgano con regolarità visite mediche specifiche per i lavoratori dell'Ilva, al fine di prevenire i danni per l'esposizione dell'Amianto;
   a quanti lavoratori dell'Ilva, attualmente in servizio, spetterebbero i benefici pensionistici per esser stati a contatto con l'amianto e se il Governo preveda di assumere ulteriori iniziative al fine di tutelare la sicurezza dei lavoratori esposti ad amianto nello stabilimento dell'Ilva di Taranto. (5-07119)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   FRANCO BORDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il rapporto di Greenpeace pubblicato nel mese di ottobre 2015 mostra che l'agricoltura industriale, con il suo massiccio uso di pesticidi chimici, inquina le acque e i suoli causando la perdita di habitat e di biodiversità. Quasi un quarto (24,5 per cento) delle specie vulnerabili o in via d'estinzione nell'Unione europea e minacciata dagli effluenti agricoli, compresi pesticidi e fertilizzanti, che metto o a rischio la stessa sopravvivenza delle specie e preziosi servizi ecosistemici come l'impollinazione. È, dunque, auspicabile e necessario un sostegno politico e finanziario per passare da un'agricoltura intensiva dipendente da sostanze chimiche dannose, a pratiche agricole ecologiche;
   nel 2015 la «Task force sui pesticidi sistemici» dell'IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della natura), dopo aver analizzato oltre 800 relazioni scientifiche, ha segnalato un catastrofico declino degli insetti in Europa. Gli impatti possono essere devastanti, poiché il 70 per cento delle 124 principali derrate alimentari coltivate per il consumo umano, come mele e colza, dipendono dall'impollinazione, che migliora la produzione di semi, frutta e ortaggi;
   «...la dipendenza dell'Europa dai pesticidi chimici è più che altro una tossicodipendenza», dichiara Federica Ferrario, responsabile della campagna Agricoltura Sostenibile di Greenpeace. Le colture sono regolarmente irrorate con diverse sostanze chimiche, di solito applicate più volte su ogni coltura durante l'intera stagione di crescita. Eppure gli agricoltori dispongono già di alternative non chimiche per contrastare le specie nocive, ma hanno bisogno del necessario sostegno politico e finanziario affinché queste diventino il metodo più diffuso ...»;
   il rapporto di Greenpeace «Tossicodipendenza da pesticidi. Come l'agricoltura industriale danneggia il nostro ambiente» esamina la letteratura scientifica disponibile sull'uso dei pesticidi chimici di sintesi in agricoltura. I risultati mostrano che i pesticidi sono una grave minaccia per la biodiversità, sia perché mettono in pericolo le specie, avvelenandole e alla fine uccidendole, sia perché alterano gli ecosistemi, per esempio provocando il collasso della catena alimentare. Secondo la stessa Unione europea, un quarto dei 471 principi attivi approvati in Europa supera le soglie critiche per la persistenza nel suolo o nelle acque e 79 di questi oltrepassano i valori critici di tossicità per gli organismi acquatici;
   i diversi «cocktail» di pesticidi contaminano l'ambiente, anche se di norma gli effetti di questi mix chimici non sono valutati nei processi di autorizzazione effettuati dall'Unione europea. Inoltre, i pesticidi sono valutati in base ai singoli principi attivi, anziché in base ai reali effetti dei prodotti in commercio, che spesso contengono più sostanze. Il processo di autorizzazione dell'Unione europea, inoltre, non permetta di valutare correttamente, secondo l'interrogante, gli effetti a lungo termine dell'esposizione a basse dosi dei pesticidi, perché si concentra principalmente sulla loro tossicità acuta;
   l'Unione europea autorizza l'uso di circa 500 principi attivi, ma il numero delle formulazioni in commercio è di gran lunga superiore. Queste formulazioni generalmente non contengono solo il principio attivo, ma anche additivi come solventi, tensioattivi ed emulsionanti progettati per renderli più efficaci (ad esempio per agevolare la penetrazione delle membrane cellulari). Solo i principi attivi, però, sono sottoposti ad autorizzazione, non l'intero composto. Dato che i formulati commerciali possono avere livelli di tossicità molto più elevati rispetto ai singoli principi attivi, e che i residui di pesticidi non compaiono generalmente da soli ma in combinazioni di più sostanze, è allarmante il fatto, secondo l'interrogante, che l'Unione europea non sia ancora riuscita o non abbia voluto esprimere un indirizzo chiaro per regolamentarli adeguatamente. Nonostante gli effetti degli additivi e di quelli sinergici (additivi più principio attivo) siano descritti; nella letteratura scientifica, essi non vengono ancora presi in considerazione nelle procedure di valutazione dei rischi. La discussione sulla standardizzazione dei metodi per valutare i composti va avanti da tempo, ma un accordo non è ancora stato raggiunto;
   l'Unione europea, inoltre, non è in grado a parere dell'interrogante, di valutare correttamente i danni a lungo termine dell'esposizione a basse dosi di pesticidi, perché le sue rilevazioni si concentrano principalmente sulla tossicità acuta;
   a livello dell'Unione europea, poi, oltre ai problemi fin qui esposti, ci sono altri aspetti che a giudizio dell'interrogante, non vengono adeguatamente considerati. Un esempio è il fatto che, fin dal 2009, per l'Unione europea, la capacità delle sostanze di interferire con il sistema endocrino rappresenta uno dei criteri che può prevenirne l'autorizzazione. Fino a oggi, tuttavia, nessuna autorizzazione è stata negata a causa dei possibili effetti nocivi sul sistema endocrino e, nonostante il pericolo per la salute umana sia molto elevato, non sono ancora stati stabiliti metodi standard per quantificare tali effetti. Questa grave carenza va letta alla luce del fatto che, con grande probabilità, inserire un'adeguata valutazione delle interferenze endocrine all'interno dei processi autorizzativi porterebbe secondo l'interrogante al ritiro di una serie di sostanze dal mercato e renderebbe più difficile l'autorizzare di nuove sostanze –:
   quali iniziative il Governo intenda porre in essere in sede comunitaria per far sì che i procedimenti autorizzativi di sostanze contenenti pesticidi vengano valutate nell'insieme del formulato commerciale e non isolatamente per i soli principi attivi, così da poter valutare l'insieme del composto anche per ciò che riguarda l'impatto sul sistema endocrino umano stabilendo criteri standard per quantificarne gli effetti;
   quali iniziative anche di carattere normativo il Governo intenda intraprendere al fine di tutelare le falde acquifere, i suoli, gli habitat e la biodiversità che la stessa Unione Europea ammette essere al di sopra delle soglie critiche per la persistenza di sostanze chimiche intrise nell'ambiente. (4-11310)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le malattie cardiovascolari costituiscono oggi la prima causa di mortalità nei Paesi occidentali. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità esse sono responsabili di 17,3 milioni di morti premature ogni anno;
   in Italia sono state 185.000 le morti per malattie cardiovascolari nel 2012 (dato ISTAT 2014). Le cure e la riabilitazione delle persone colpite hanno costi socio-sanitari elevati e sempre crescenti;
   secondo i dati INPS, i costi sanitari diretti per le malattie cardiovascolari in Italia ammontano a circa 16 miliardi di euro, mentre quelli relativi alla perdita di produttività sono stimati in 5 miliardi;
   sempre secondo l'INPS, le malattie del sistema cardiocircolatorio rappresentano la prima voce di costo in termini di assegni di invalidità (dati 2001-2012);
   uno studio pubblicato sull’European Journal of Health Economics nel 2014 ha dimostrato come ad un'adeguata aderenza alla terapia si associ un miglioramento dello stato di salute dei pazienti e un risparmio notevole di risorse per il sistema sanitario: il raggiungimento di un livello di aderenza alla terapia del 70 per cento, ad esempio, determinerebbe per l'Italia un risparmio pari a 100 milioni di euro nei prossimi dieci anni;
   1/3 della quota stimata di casi di malattia ischemica è causata da ipercolesterolemia. Livelli elevati di colesterolo, in particolare di colesterolo «cattivo» (LDL) costituiscono uno dei fattori di rischio più importanti perché favoriscono la formazione delle placche aterosclerotiche e l'indurimento delle arterie, aumentando l'incidenza di eventi coronarici e vascolari maggiori. La riduzione del colesterolo «cattivo» (LDL) è il principale target per ridurre gli eventi cardiaci;
   l'Istituto superiore di sanità stima che, in Italia, il 21 per cento degli uomini e il 25 per cento delle donne italiane hanno livelli elevati di colesterolemia totale (maggiore di 250 mg/dl) e più di un terzo della popolazione nazionale è al limite della soglia di rischio;
   il livello di colesterolo totale nel sangue dovrebbe essere inferiore ai 200 mg/dl, con un valore del colesterolo «buono» (HDL) maggiore di 40-45 mg/dl e quello dei colesterolo «cattivo» (LDL) inferiore a 100 mg/dl nelle persone ad alto rischio, che non hanno avuto eventi cardiovascolari, e inferiore a 70 mg/dl nelle persone a rischio molto alto, che hanno già avuto eventi cardiovascolari;
   l'ipercolesterolemia familiare (FH, dall'inglese «Familial Hypercholesterolemia») è una Malattia genetica ereditaria che provoca livelli molto alti di colesterolo LDL nel sangue, a causa di alterazioni genetiche che ne impediscono un'adeguata rimozione da parte del fegato;
   l'ipercolesterolemia familiare è detta eterozigote (HeFH, Heterozygous Familial Hypercholesterolaemia) quando, come nella maggioranza dei casi, la persona colpita ha ereditato un gene alterato da un genitore e un gene normale dall'altro genitore;
   nella HeFH non tutti i membri della famiglia sono colpiti: i parenti stretti di un soggetto affetto da HeFH (per esempio fratelli, sorelle, figli) hanno il 50 per cento di probabilità di avere la HeFH;
   la HeFH è una delle condizioni genetiche gravi più comuni, e colpisce da 1 persona su 500 fino a 1 persona su 200. In Italia i soggetti affetti da ipercolesterolemia familiare su base genetica sono stimati intorno a 250.000, di cui quasi 25.000 nel Lazio e oltre 10.000 nella sola città di Roma;
   si stima che su tutto il territorio nazionale siano circa 22.000 i soggetti sotto i 14 anni affetti da ipercolesterolemia familiare. Questi soggetti, se non diagnosticati precocemente e avviati ad un corretto percorso di cura, restano esposti a livelli elevati di colesterolo LDL per un tempo prolungato. Ne consegue un elevato rischio di eventi cardiovascolari precoci (infarto del miocardio, ischemia del miocardio e ictus) già a partire dai 30 anni. Ciò aumenta i costi di gestione per il sistema sanitario enormemente più gravosi rispetto a quelli necessari per la prevenzione;
   la HeFH aumenta notevolmente il rischio di eventi cardiovascolari precoce (fino a 20 volte di più rispetto alla popolazione generale non colpita dalla malattia). Negli individui con HeFH, l'età media di sviluppo di una malattia cardiovascolare è bassa, attorno a 50 anni per gli uomini e a 60 anni per le donne;
   nel nostro Paese, l'ipercolesterolemia familiare viene diagnostica solo all'1 per cento dei pazienti ipercolesterolemici mentre in alcune nazioni europee, come l'Olanda, si arriva fino al 70 per cento;
   la diagnosi di HeFH si basa sul rilievo di alti livelli di LDL-C e di un quadro clinico caratteristico. Può essere facilitata dall'impiego di un sistema a punteggio (Dutch Lipid Clinic Network Score) e confermata dopo l'accertamento genetico, su un campione di DNA;
   il riscontro di un caso di HeFH in una famiglia deve indurre a ricercare precocemente la presenza della malattia anche nei familiari più stretti («screening a cascata»), con l'obiettivo di trattarli tempestivamente;
   la diagnosi precoce è resa difficile dalla limitata rilevazione del colesterolo LDL e dalla scarsa conoscenza e dal limitato utilizzo del Dutch Lipid Score fondamentali per far acquisire al medico e al paziente la consapevolezza e avviare un percorso di cura;
   la terapia adeguata, che comprende uno stile di vita corretto e farmaci che riducono efficacemente i livelli di colesterolo LDL, riduce il rischio associato alla HeFH;
   le cliniche e gli istituti specializzati sono pochi e spesso lontani dai comuni di residenza dei pazienti, sui quali, oltre al peso della malattia, gravano continui viaggi per sottoporsi a cure periodiche e spossanti, come ben evidenziato nell'indagine civica sulle criticità assistenziali delle persone con ipercolesterolemia familiare, condotta dal Tribunale per i Diritti dei malati-Cittadinanzattiva nell'anno in corso;
   in alcune regioni come la Sicilia, è prevista la compilazione di un piano terapeutico annuale con grave disagio per i pazienti;
   nei Paesi nordeuropei, come ad esempio l'Olanda, viene utilizzato il programma di «screening a cascata», permettendo l'identificazione dei tre quarti degli ipercolesterolemici familiari con conseguenti benefici a livello terapeutico per i pazienti e ingenti risparmi per le casse dello Stato;
   in data 24 settembre 2015 si è celebrata la prima giornata europea dedicata all'ipercolesterolemia familiare e durante una conferenza presso la Camera dei deputati associazioni dei pazienti ed autorevoli esponenti del mondo scientifico hanno evidenziato come la possibilità di effettuare la diagnosi precoce sia una priorità da inserire nell'agenda politica sanitaria anche al fine di contribuire alla sostenibilità del servizio sanitario, visto gli ingenti risparmi, come dimostrato in altri Paesi europei –:
   se i Ministri interrogati non intendano opportuno promuovere una campagna di sensibilizzazione sull'ipercolesterolemia familiare, anche attraverso le associazioni di categoria di riferimento e le società scientifiche interessate, in collaborazione con le società dei medici di medicina generale e di pediatria, per promuovere la diagnosi precoce;
   se i Ministri interrogati non ritengano prioritario e urgente assumere iniziative per istituire, in accordo con le regioni, un registro centrale nazionale della patologia e un programma di «screening a cascata», ovvero effettuare test del colesterolo dei parenti più stretti dei soggetti ritenuti a rischio, così come avviene in altri Paesi europei;
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano attuare, nel rispetto del federalismo sanitario, per semplificare l'accesso alla diagnosi e alla terapia, anche al fine di garantire risparmi per lo Stato nel medio-lungo periodo e una migliore presa in carico del paziente. (5-07114)

Interrogazione a risposta scritta:


   LOCATELLI, NICCHI, GANDOLFI, MATTIELLO, TENTORI, GIUSEPPE GUERINI e MARZANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 maggio 2015 veniva depositata l'interrogazione parlamentare n. 4-09195;
   la Ministra della salute vi rispondeva in data 22 giugno 2015;
   il Centro nazionale trapianti (CNT) ha formulato richieste per la raccolta dati alle regioni nelle seguenti date:
    a) 19 marzo 2015 con prot. 1066/CNT 2015;
    b) 28 aprile 2015 con nota prot. 1558/CNT 2015;
    c) 5 maggio 2015 con e-mail successiva in cui si fa riferimento agli allegati del 28 aprile 2015;
   alle richieste inviate alle regioni è stato allegato, per la compilazione da parte dei centri di procreazione medicalmente assistita, un modulo DATA SET (insieme di dati e informazioni) relativo a:
    a) donatori di cellule riproduttive con codice fiscale in chiaro oltre a informazioni personali;
    b) riceventi delle medesime cellule per tecniche di fecondazione assistita di tipo eterologo;
    c) dettaglio dei trattamenti clinici di Procreazione Medicalmente Assistita;
    d) circonferenza cranica per i nati da tecniche di fecondazione assistita di tipo eterologo (nel primo Data Set del 19 marzo 2015).
   è stato richiesto che l'invio verso il Centro nazionali trapianti di tali informazioni avvenisse via fax o e-mail;
   nella legge n. 190 del 2014, si esplicita che «[...] le strutture sanitarie autorizzate al prelievo e al trattamento delle cellule riproduttive comunicano al Registro i dati anagrafici dei donatori, con modalità informatiche specificamente predefinite, idonee ad assicurare l'anonimato dei donatori medesimi [...]»;
   nella legge, n. 190 del 2014, si esplicita che nel registro «sono registrati tutti i soggetti ammessi alla donazione, mediante l'attribuzione ad ogni donatore di un codice»;
   nella legge n. 190 del 2014, si evidenziano due modalità contrastanti di raccolta dati e nello specifico:
    a) con comunicazione al registro dei dati anagrafici dei donatori;
    b) con modalità informatiche specificamente predefinite idonee ad assicurare l'anonimato dei donatori medesimi;
   si precisa inoltre che: «...Fino alla completa operatività del Registro, i predetti dati sono comunicati al Centro Nazionale Trapianti in modalità cartacea, salvaguardando comunque l'anonimato dei donatori...»;
   l'unica finalità espressa dalla legge n. 190 del 2014 è quella di «...garantire, in relazione alle tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, la tracciabilità del percorso delle cellule riproduttive dal donatore al nato e viceversa, nonché il conteggio dei nati generati dalle cellule riproduttive di un medesimo donatore [...]»;
   in attuazione della direttiva 2004/23/CE il decreto legislativo n. 191 del 2007 all'articolo 8 chiarisce i termini necessari per assicurare la «tracciabilità» e, ai commi 2 e 4, entra nello specifico della fattispecie oggetto della presente e nel complesso detta testualmente:
    «1. Con apposito decreto di recepimento di direttive tecniche europee adottato dal Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono fissate le disposizioni necessarie a garantire per tutti i tessuti e le cellule prelevati, lavorati, stoccati o distribuiti sul territorio nazionale la tracciabilità del percorso dal donatore al ricevente e viceversa. Tale tracciabilità riguarda anche le informazioni concernenti prodotti e materiali che entrano in contatto con i medesimi tessuti e cellule.
    2. Con il medesimo decreto di cui al comma 1 è istituito un sistema di individuazione dei donatori, che assegna un codice unico a ciascuna donazione e a ciascuno dei prodotti da essa derivati.
    3. Tutti i tessuti e le cellule sono resi identificabili tramite un'etichetta contenente le informazioni o i riferimenti che ne consentono il collegamento con le fasi di cui all'articolo 28, comma 1, lettere f) e h).
    4. Gli Istituti dei tessuti conservano i dati necessari ad assicurare la tracciabilità in tutte le fasi. I dati richiesti ai fini della completa tracciabilità sono conservati per un periodo minimo di trenta anni dopo l'uso clinico. L'archiviazione dei dati può avvenire anche in forma elettronica.
    5. Con il decreto di cui al comma 1 sono anche fissati, nel rispetto della normativa vigente e delle indicazioni formulate in sede europea, i requisiti di tracciabilità per tessuti e cellule, così come per prodotti e materiali che entrano in contatto con i predetti tessuti e cellule e che possono influenzarne qualità e sicurezza.
    6. Con apposito decreto di recepimento di direttive tecniche europee adottato dal Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, è data attuazione alle procedure volte a garantire la tracciabilità a livello comunitario, formulate in sede europea»;
   in attuazione delle direttive 2006/17/CE e 2006/86/CE il decreto, legislativo n. 16 del 2010 all'articolo 14 «Rintracciabilità», comma 1, prevede che «L'Istituto dei tessuti pone in atto sistemi efficaci ed accurati per identificare ed etichettare individualmente cellule e tessuti ricevuti e distribuiti»;
   a seguito di segnalazione da parte delle Associazioni Luca Coscioni, l'Altra Cicogna, Cerco un Bimbo, AIDAGG, HERA al Garante per la protezione dei dati personali sulle violazioni di dati dei donatori di gameti da parte del Centro Nazionale Trapianti, il Garante, con comunicazione di chiusura procedimento, il 10 novembre ha risposto che il Centro nazionale trapianti dal 1o luglio 2015 ha modificato la procedura di raccolta dati, al fine di conformarla alle regole in materia di protezione dei dati personali, in particolare è stato previsto un algoritmo di cifratura per la tracciabilità rispetto ai dati conservati presso i centri di procreazione medicalmente assistita;
   per il periodo pregresso il Garante per la tutela dei dati personali, pur avendo riscontrato una condotta non conforme alla disciplina applicabile in materia di protezione dati, alla luce delle rassicurazioni ricevute dal Centro nazionale trapianti non ravvisa i presupposti per adottare un provvedimento, ma nel contempo ha avviato necessari adempimenti per valutare l'eventuale applicazione della sanzione amministrativa prevista dal codice –:
   quale esito abbia avuto l'iniziativa riportata nella risposta all'interrogazione citata in premessa di interessare il Garante, considerato che è stata necessaria la segnalazione delle associazioni per sollevare la questione della tutela dell'anonimato ai sensi delle leggi in vigore nel nostro Paese;
   quali iniziative per quanto di competenza intenda assumere in merito alla violazione della privacy dei donatori, delle donatrici, delle coppie che accedono alla procreazione medicalmente assistita eterologa (egg-sharing, sperm sharing) e dei nati da, fecondazione eterologa, violazione che si è determinata con le richieste del Centro nazionale trapianti a tutti i centri italiani di procreazione medicalmente assistita.
(4-11311)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MUCCI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, «il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco si distingue in per permanente e volontario. Il rapporto d'impiego del personale permanente è disciplinato in regime di diritto pubblico, secondo le disposizioni previste nei decreti legislativi emanati ai sensi dell'articolo 2 della legge 30 settembre 2004, n. 252. Il personale volontario non è legato da un rapporto d'impiego all'Amministrazione ed è iscritto in appositi elenchi istituiti presso i comandi provinciali dei vigili del fuoco»;
   i «vigili volontari discontinui» sono distinti in due diverse categorie di appartenenza:
    a) personale congedato dopo aver prestato il servizio militare di leva in Italia che hanno offerto la propria disponibilità a proseguire il rapporto con il corpo;
    b) cittadini volontari che hanno seguito un corso specifico, presso i comandi di appartenenza, con esito favorevole, (cosiddetti vigili del fuoco volontari);
   il personale di leva congedato percepisce una retribuzione alla stregua dei permanenti, anche se è essenzialmente impiegato solo come figure di sostegno come, un tempo, lo erano i militari di leva, e prestano servizio presso i comandi provinciali e i rispettivi distaccamenti; tale personale sarà tuttavia collocato a riposo intorno ai 58 anni. I volontari invece prestano servizio presso specifici distaccamenti volontari;
   i discontinui possono essere richiamati in servizio per 14 giorni fino ad un massimo di 8 richiami all'anno e quando sono in servizio svolgono tutte le funzioni come un vigile del fuoco permanente, mentre i volontari, essendo in sostanziale autogestione, ricoprono tutti ruoli tipici dei permanenti (a partire dal vigile semplice fino al funzionario di rango più elevato), ma hanno diritto alla retribuzione esclusivamente se si verifica l'evento che determina il loro intervento, ed è su base oraria, anche se comprensiva delle ore di addestramento mensili obbligatorie (5 al mese);
   l'articolo 8 della legge 7 agosto 2015, n. 124, «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche» prevede l'ottimizzazione dell'efficacia delle funzioni del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, mediante modifiche al decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, in relazione alle funzioni e ai compiti del personale permanente e volontario del medesimo Corpo e conseguente revisione del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217, anche con soppressione e modifica dei ruoli e delle qualifiche esistenti ed eventuale istituzione di nuovi appositi ruoli e qualifiche, con rideterminazione delle relative dotazioni organiche e utilizzo, previa verifica da parte del dipartimento della ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze, di una quota parte dei risparmi di spesa di natura permanente, non superiore al 50 per cento, derivanti al Corpo nazionale dei vigili del fuoco dall'attuazione della presente delega –:
   se il Governo dopo aver indicato l'effettiva utilità dell'impiego dei vigili del fuoco discontinui, non intenda assumere iniziative per regolarizzare la loro posizione sulla base della sopra menzionata «legge di semplificazione» anche bandendo un concorso pubblico. (5-07111)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALLASCAS, DA VILLA, FANTINATI, DELLA VALLE, CRIPPA, ALBERTI e VILLAROSA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 27 ottobre 2015, il consiglio di amministrazione di Saipem s.p.a., i cui principali azionisti sono Eni (42,93 per cento), Dodge & Cox (10,423 per cento) e People's Bank of China (2,035 per cento), ha approvato il piano strategico 2016-2019 che prevede, tra gli orientamenti principali, un aumento di capitale di 3,5 miliardi di euro e l'apertura di nuove linee di credito per una ammontare di 4,7 miliardi di euro;
   questa misura consentirebbe a Saipem di estinguere con Eni un debito consolidato di circa 6,7 miliardi di euro, oltre alla disponibilità di una liquidità di oltre 1,5 miliardi;
   congiuntamente Eni ha definito, di concerto con Cassa depositi e prestiti, la cessione di una quota pari al 12,5 per cento al Fondo strategico italiano, che dovrebbe portare nelle casse di Eni circa 400 milioni di euro, con un impegno del Fondo strategico italiano che dovrebbe ammontare, inclusa la sottoscrizione dell'aumento di capitale, a 929 milioni di euro;
   il Fondo, infatti, si sarebbe impegnato a sottoscrivere la quota parte della ricapitalizzazione della Saipem;
   tra Eni e Fondo strategico italiano sarebbe stato stipulato un patto parasociale al fine di vincolare per i prossimi tre anni i due soci in un'attività di controllo reciproco con una partecipazione paritetica del 12,5 per cento;
   con la cessione, seppure di una quota parte, Eni sembrerebbe considerare Saipem non più strategica per le attività del gruppo;
   per contro, la cessione di una parte cospicua del gruppo verrebbe conclusa, con il Fondo strategico italiano, circostanza che rafforzerebbe, viceversa, l'importanza e il ruolo strategico che Saipem avrebbe per il Paese;
   questo stato di cose introdurrebbe diversi elementi contraddittori nell'operazione di cessione di Saipem, operazione che non apparirebbe frutto di un'esigenza di crescita pianificata delle società interessate, quanto determinata dalla necessità di cancellare il debito di Saipem nei confronti di Eni;
   il 17 novembre 2015, si è svolta un'audizione informale delle commissioni congiunte di Camera e Senato dei vertici Saipem;
   in quella circostanza, il presidente del gruppo, Paolo Andrea Colombo, nell'illustrare gli obiettivi del piano strategico 2016-2019, tra le altre cose, avrebbe formulato la considerazione che il rafforzamento patrimoniale, oggetto del piano, consentirebbe a Saipem di affrontare meglio l'attuale fase di crisi del settore petrolifero, fase congiunturale che sta inducendo le compagnie petrolifere a rinviare o addirittura a cancellare gli investimenti in esplorazione e produzione con un impatto diretto sui volumi di attività delle aziende come Saipem;
   questa considerazione confermerebbe l'ipotesi che alla base dell'operazione di cessione e di ricapitalizzazione non vi sarebbe, come detto, la necessità di rilanciare il gruppo, ma di recuperare le forti perdite accumulate in passato e, da quanto rilevato sopra, quelle che si prevedono di registrare in futuro per effetto delle criticità del settore petrolifero;
   questa evenienza, se confermata, solleverebbe forti preoccupazioni, in considerazione del fatto che il Fondo strategico italiano è per l'80 per cento controllato da Cassa depositi e prestiti e per il restante 20 per cento da Banca d'Italia, e che pertanto l'operazione di risanamento verrebbe portata a termine ricorrendo alle risorse dei cittadini –:
   quale sia il piano di sviluppo industriale che sottende la scelta di Eni di cedere una quota societaria di Saipem;
   quali siano le valutazioni alla base della decisione del Fondo strategico italiano nel farsi carico di un'operazione di rafforzamento patrimoniale e ricapitalizzazione di Saipem;
   quali iniziative intenda adottare per evitare che i risparmi degli italiani e le risorse del Fondo strategico italiano siano messi a rischio da un'operazione che appare oggi dettata da un'esigenza di ripianamento di un consistente debito del gruppo;
   come si sia formato il debito di Saipem nei confronti di Eni e quali siano le principali diseconomie del gruppo.
(5-07117)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza urgente Dorina Bianchi n. 2-01144 del 3 novembre 2015;
   interpellanza urgente Baldelli n. 2-01162 del 12 novembre 2015;

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Burtone n. 5-05928 del 1o luglio 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-01879.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BORGHESE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   a seguito del commissariamento di Federconsorzi il consorzio agrario provinciale di Rovigo è stato posto in liquidazione coatta amministrativa (L. C. A.);
   tale consorzio risultava in liquidazione coatta amministrativa, in data del 31 dicembre 1991, con esercizio provvisorio;
   tale situazione veniva giustificata tramite la relazione parlamentare su Federconsorzi in data 2001;
   nell'aprile dell'anno 2011 tale consorzio ritornava in stato di «bonis» dopo che erano trascorsi 20 anni;
   a seguito del ricorso da parte di alcuni creditori, l'azienda veniva nuovamente commissariata con decreto-legge n. 563 del 2011 del 19 ottobre 2011;
   in data 3 luglio 2012 veniva depositato presso il tribunale di Rovigo lo stato del passivo del Consorzio agrario provinciale di Rovigo;
   dopo oltre tre anni, i creditori sono in attesa di notizie e/o informazioni sull'operato della gestione commissariale del consorzio –:
   se il Governo sia al corrente di queste mutate condizioni del consorzio nel corso di questi anni e quali azioni siano state prodotte sino ad ora;
   se nel frattempo siano stati effettuati pagamenti a creditori e, se ci sono stati pagamenti, in quali forme;
   quali siano le attività liquidate e non e se siano risultate offerte di acquisto da parte di enti in riferimento al ramo dell'azienda. (4-09220)

  Risposta. — Il consorzio agrario provinciale di Rovigo è stato posto, come peraltro noto all'interrogante, in liquidazione coatta amministrativa nel corso del 1991, con decreto del Ministro delle politiche agricole.
  L'autorità di vigilanza del Ministero dello sviluppo economico ha informato di alcune vicende afferenti il citato consorzio, che nel tempo, hanno portato a diverse sostituzioni del proprio organo commissariale.
  Brevemente, in data 13 dicembre 2006, il Ministero dello sviluppo economico ha autorizzato il deposito della proposta di concordato preventivo, presentata dal consorzio agrario provinciale di Rovigo. Il tribunale di Rovigo, con proprio decreto del 22 dicembre 2009 (n. 21 del 2010), ha approvato il concordato preventivo. Il concordato è stato interamente eseguito ed in data 8 ottobre 2010 sono stati ricostituiti gli organi sociali.
  In data 20 maggio 2011, l'Assemblea dei soci deliberava lo scioglimento volontario anticipato della società e la messa in liquidazione del Consorzio con la contestuale nomina di due liquidatori.
  Questi ultimi, analizzando il bilancio al 31 dicembre 2010, hanno evidenziato un
deficit patrimoniale di euro 2.359.088,00, a seguito di una perdita d'esercizio euro 2.422.088,00, ed hanno posto in essere un tentativo di concordato stragiudiziale con i creditori che non ha avuto, tuttavia, esito positivo.
  Tenuto conto che, nel frattempo, la banca di credito cooperativo del Polesine e la banca di Rovigo avevano presentato istanza di fallimento, il consorzio ha presentato istanza di adozione di un nuovo provvedimento di liquidazione coatta amministrativa e, con decreto direttoriale del 14 ottobre del 2011, il consorzio è stato nuovamente sottoposto alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, con la nomina di un nuovo commissario liquidatore.
  Per quanto riguarda più nello specifico le azioni poste in essere dal consorzio risulta quanto segue.
  In data 3 luglio 2012 è stato depositato presso il tribunale di Rovigo lo stato passivo della procedura il quale conteneva 138 creditori privilegiati mobiliari per euro 2.053.946;48 in linea capitale:
   fra i creditori privilegiati mobiliari, 87 imprese agricole sono assistite da privilegio
ex articolo 2751-bis n. 4, per un importo complessivo pari a euro 1.374.325,30;
   i crediti privilegiati di rango anteriore a quelli di cui sopra (priv. 2751-
bis n. 2 e 3) ammontano a complessivi euro 464.533,57;
   i crediti privilegiati di pari rango, ai sensi dell'articolo 2771 codice civile) punto
c) (priv. 2751-bis n. 5 e 5-bis) ammontano a complessivi euro 215.087,61.

  Nell'anno 2012, sia a seguito dell'eccezionale stato di calamità naturale determinato dalla siccità estiva di Rovigo, che ha abbattuto del 35 per cento la produzione del mais, nonché dei danni conseguenti, al terremoto dell'Emilia, venne concesso un acconto di riparto parziale ex articolo 212 delle legge fallimentare, alle imprese agricole assistite da privilegio (ex articolo 275-bis n. 4) pari al 20 per cento dei rispettivi crediti iscritti nello stato passivo della procedura per complessivi euro 274.865,06, rimanendo però accantonate, nel rispetto dell'articolo 113 della legge fallimentare, somme ampiamente sufficienti al pagamento integrale dei creditori privilegiati di rango prioritario e paritario nonché, per la gestione della procedura medesima.
  Relativamente alle attività liquidate si è rilevato quanto segue.
  Per quanto attiene il compendio immobiliare ubicato in Rovigo alla via Porta a Mare, 49, costituito dalla palazzina sede degli uffici del consorzio, dal magazzino, da ampie aree a parcheggio, da un'ampia area a piazzale e da un terreno agricolo adiacente al predetto immobile, si informa che il commissario, prima di procedere alla messa in vendita del bene attraverso il sistema della gara pubblica senza incanto, sta procedendo ad un aggiornamento peritale in quanto il valore di stima di euro 4.170.000,00 non risulta più attuale.
  Sono stati, inoltre, esperiti diversi infruttuosi tentativi di vendita «del centro di stoccaggio cereali ed essiccatoio» ubicato in comune di Crespino (RO) alla via G. Verdi, 19 e del ramo d'azienda medesimo, attraverso il sistema della pubblicazione di inviti ad offrire, effettuati reiteratamente dal 2007 fino all'inizio del mese di giugno 2015.
  Da ultimo, nelle more della pubblicazione dell'avviso di vendita, per i succitati lotti sono pervenute alla procedura due offerte irrevocabili di acquisto da parte del consorzio agrario del nordest.
  Considerata la congruità delle offerte pervenute dal consorzio agrario nordest, che è titolare della prelazione prevista dall'articolo 6 della legge 28 ottobre 1999, n. 410 e della prelazione sui beni aziendali condotti in locazione ai sensi della legge n. 223 del 1991, è stata disposta la pubblicazione delle offerte di acquisto ricevute su un quotidiano a tiratura nazionale ed uno a tiratura locale nonché su siti
web dedicati al fine di raccogliere eventuali offerte migliorative. Si è ritenuto comunque prevedere in caso di presentazione di offerte valide, la effettuazione di una gara avanti a notaio e, nel caso in cui non dovessero pervenire offerte migliorative, la vendita dei citati lotti a trattativa privata al consorzio agrario nordest, così come previsto dall'articolo 210, 2 comma della legge fallimentare.
  Si informa, infine, che la procedura ha ceduto pro-soluto alla banca Ifis spa il residuo credito Iva, pari ad euro 689.979,55, vantato nei confronti dell'Agenzia delle Entrate, a fronte di un corrispettivo di euro 551.984,00 pari all'80 per cento del valore residuo ancora esigibile.

La Sottosegretaria di Stato per lo sviluppo economicoSimona Vicari.


   CAPONE, GINEFRA, MONGIELLO, VENTRICELLI, GRASSI, MARIANO, MICHELE BORDO, PELILLO, MASSA, CASSANO, VICO e LOSACCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni grande preoccupazione sta assumendo, tra gli amministratori e nelle popolazioni pugliesi, la notizia di autorizzazioni da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e da parte del Ministero dello sviluppo economico per la prospezione delle coste pugliesi finalizzate alla ricerca, meglio coltivazione, di idrocarburi;
   più specificamente dai siti istituzionali dei due Ministeri e da quanto riportato dagli organi di stampa si apprende di una autorizzazione su un milione 400 mila ettari di area del mar Adriatico dal Gargano a Santa Maria di Leuca, a quanto si legge l'ultima in ordine di tempo, rilasciata alla Petroleum Geo Service Asia Pacific a conclusione della Via presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, mentre negli stessi giorni è stato dato il via libera anche a Enel Longanesi per la ricerca di petrolio sulla costa jonica, al largo di Gallipoli;
   è sufficiente – in ogni caso – osservare la mappa sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, relativa alle procedure di Via-Vas in corso, e nello specifico alle prospezioni idrocarburi, mappate in verde, e alla ricerca idrocarburi, mappata in fucsia, per una idea aggiornata sullo stato dell'arte e sul coinvolgimento intensivo della regione Puglia e dell'ultimo segmento del canale adriatico in fatto di ricerca/prospezioni idrocarburi;
   secondo quanto riportato da organi di stampa «nell'intera area sarà dunque possibile esplorare i fondali utilizzando la tecnica dell'air gun, la pistola sottomarina ad area compressa in grado di generare onde sismiche utili per poter individuare i possibili giacimenti petroliferi. Non le trivellazioni, quelle arriverebbero solo una volta accertata la presenza del petrolio, ma la nuova tecnica che negli anni ha sostituito l'esplosivo in mare, ritenuta meno dannosa per l'ambiente ma letale per la fauna marina, in particolare per i cetacei»;
   si legge inoltre: «Con il nuovo decreto, datato 12 giugno, il Ministero autorizza dunque la Petroleum Geo-service Asia Pacific ad effettuare prospezioni di idrocarburi liquidi e gassosi sull'intero tratto pugliese, una linea di mare spessa e lunghissima, che assorbe al suo interno anche le aree richieste – e ottenute – dalla Northern Petroleum, una sovrapposizione che comunque non scoraggia le compagnie, abituate anche a capitalizzare sul mercato ogni singolo atto autorizzativo»;
   alla linea lungo il basso Adriatico deve aggiungersi quella jonica che per quanto riguarda la regione Puglia è relativa all'autorizzazione rilasciata ad Enel Longanesi Development «con un progetto che prevede l'Air Gun nell'area centrale del Golfo di Taranto, di fronte alle coste di Gallipoli e Nardò e, sull'altra sponda, di Rossano Calabro». Anche in questa area, secondo la mappa presente sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono cinque i siti autorizzati per la ricerca di idrocarburi e sei finalizzati alla prospezione idrocarburi;
   è dunque questo stato di cose che fa osservare: «L'accerchiamento denunciato dalle istituzioni locali e dagli ambientalisti è un dato di fatto, soprattutto tenuto conto che alle richieste più vecchie arrivate al traguardo in queste ore si sono aggiunte successivamente quelle della texana Schlumberger Italia, per 4.285 chilometri quadrati, che si estendono dal Salento a Taranto, e interessano i comuni salentini di Porto Cesareo, Nardò, Galatone, Gallipoli, Melissano, Racale, Sannicola, Taviano, Alliste, Ugento, Castrignano del Capo, Morciano di Leuca, Patù, Salve e nel Tarantino, oltre al capoluogo anche Torricella, Lizzano, Manduria, Pulsano, Maruggio, Castellaneta, Palagiano, Leporano, Ginosa, Massafra nel tarantino, proseguendo verso Basilicata e Calabria. E poi ci sono quelle della Global Med, con sede in Colorado, che la scorsa estate bussò alla porta di 24 comuni salentini del Basso Salento con la richiesta di prospezione per 1.493,7 chilometri quadrati al largo di Leuca (oltre che di Crotone e Capo Colonna). Solo una delle due istanze è bloccata per il contenzioso con Petroceltic Italia-Edison, anche lei interessata alla medesima area. Per il resto, l’iter è in corso e non è detto che non si concluda a breve, dando il via a quella che da parte dei territori si annuncia come una resistenza a oltranza»;
   per opporsi a tale stato di cose lo scorso 18 giugno la giunta regionale pugliese ha approvato d'urgenza la delibera con cui dà mandato all'Avvocatura di impugnare dinanzi al TAR del Lazio i nove decreti di Via del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e tale linea sarebbe stata anticipata e confermata anche nel corso dell'incontro organizzato dal comune di Polignano a Mare il 17 giugno scorso allo scopo di concordare una strategia unitaria;
   nello stesso incontro svoltosi a Polignano la presidenza del consiglio regionale ha presentato una scheda tecnica dove si sottolinea: «il 71 per cento delle richieste di permessi per prospezioni di idrocarburi in mare riguarda la Puglia; ... le tecniche geosismiche adottate per risultano estremamente dannose per l'ambiente e la fauna sottomarina e marina; ... ad un chilometro di distanza dal sito in cui si effettua la prospezione l'intensità sonora si mantiene sui 150 decibel (120 possono causare negli uomini danni irreversibili)», E ancora: «la probabilità di trovare idrocarburi secondo i tecnici è stimata intorno al 17 per cento, mentre il petrolio adriatico è classificato col grado 9 della scala internazionale Api (fino a 25 è petrolio pesante, oltre i 40 leggero). Le torri petrolifere possono elevarsi dalle acque marine fino a 60 metri, visibili dalla costa; le più vicine sorgerebbero all'interno delle 12 miglia dal litorale». Nel corso dell'incontro il presidente del consiglio regionale ha poi ricordato come già nei primi anni ’70 «l'Eni di Mattei aveva scartato gli idrocarburi dell'Adriatico perché troppo costoso estrarli, troppo scadenti e buoni al massimo per bitumare strade»;
   tale parere negativo espresso dai vertici del Governo regionale viene confermato tecnicamente anche dall'autorità di bacino che per voce dell'assessore alle opere pubbliche della Puglia sottolinea come nella regione «negli ultimi anni siano state istituite numerose aree protette costiere e parchi marini che, pur introducendo vincoli nell'uso del territorio hanno sviluppato una cultura ambientale della popolazioni locali interessate e di quelle extraregionali»;
   nel frattempo contro le prospezioni in mare si sono pronunciati anche i vertici nazionali di Federalberghi che in una nota ufficiale afferma: «I sei decreti emessi dal Ministero dell'Ambiente nei primi mesi di giugno hanno di fatto consegnato tutto il mare pugliese nelle mani delle società multinazionali che avevano richiesto le autorizzazioni alla trivellazione per la ricerca di giacimenti petroliferi. Sono interessati a questa operazione 1,6 milioni di ettari di mare: una superficie paragonabile a quella dell'intera Puglia». E prosegue: «L'impatto dell'intera operazione è dirompente per il futuro della nostra regione: il settore del turismo non può permettersi il lusso di vedere vanificati gli importanti investimenti, pubblici e privati, degli ultimi cinque anni, e proprio adesso che l'intera filiera comincia i registrare i primi segnali positivi rispetto alla drammatica crisi che ci ha aggredito negli ultimi tre anni e che il brand Puglia naviga a piene vele nei mercati internazionali». Mentre il presidente regionale di Federalberghi si dichiara «al fianco dei sindaci e della gente di Puglia nella mobilitazione per salvare le bellezze della nostra costa»;
   a questo stato di cose va sommato l'allarme del rischio connesso alla presenza di ordigni inesplosi nel mare Adriatico. Rischio che coinvolge il fronte italiano, quello croato e, più in generale, anche le coste delle altre sponde adriatiche come si evince dalla comunicazione del Ministero dell'economia della Croazia del 2 gennaio 2015 circa la concessione da parte del Governo di Zagabria di dieci licenze per esplorazione e sfruttamento di idrocarburi in Adriatico in seguito alla prima gara pubblica conclusasi il 2 novembre 2014 e come d'altra parte confermano anche numerosi atti parlamentari prodotti in questi anni;
   in particolare il Governo, rispondendo nell'aprile scorso a una interrogazione in merito, per voce della sottosegretaria all'ambiente onorevole Silvia Velo, si è detto consapevole della presenza di «numerosissimi ordigni bellici inesplosi, caricati anche con aggressivi chimici, distribuiti in svariate aree di fondale marino in Adriatico, la cui esplosione accidentale potrebbe causare danni diretti agli organismi marini o provocare la fuoriuscita incontrollabile di prodotti petroliferi dai pozzi in via di perforazione» e che a tal fine era stata prevista sia una azione di bonifica degli ordigni in capo al Nucleo Sdai della marina militare con uno stanziamento di 5 milioni di euro, sia la condizione di una «adeguata attività di survey» relativamente alle autorizzazione alle attività di ricerca cui le società sarebbero, a quanto pare, obbligate anche in Croazia;
   d'altra parte anche nell'Alto Adriatico la regione Veneto si è dichiarata per voce del suo Governatore contraria alle trivellazioni paventando il rischio di incidenti sulle piattaforme con gravissime ripercussioni sull'ecosistema causa il cosiddetto fenomeno di subsidenza;
   va ricordato inoltre, e stavolta sotto il profilo prettamente energetico, che la Puglia in modo rilevante (pari circa all'80 per cento eccedente il proprio fabbisogno di energia) ha contribuito e contribuisce al bilancio energetico nazionale con le centrali a carbone di Brindisi, con la raffineria petrolifera, con l'oleodotto di Taranto, con gli impianti per la produzione di energia eolica e fotovoltaica e, da ultimo, con i gasdotti che attraversando l'Adriatico potrebbero a breve collegare il sistema produttivo dell'est europeo alla dorsale appenninica, e che alla produzione di energia ha pagato un prezzo altissimo in termini di tutela e salvaguardia territoriale, di minacce alla salute delle popolazioni, di aumento dell'incidenza tumorale –:
   quale sia, ad oggi lo stato, dell'arte relativamente alla situazione descritta;
   quali iniziative intendano intraprendere a tutela del mare Adriatico e delle coste pugliesi;
   quali iniziative intendano intraprendere in relazione ai rischi più volte paventati relativamente agli ordigni inesplosi nel Mare Adriatico;
   se in relazione a quanto sopra descritto e anche in considerazione di analogo stato d'animo tra le popolazioni e gli amministratori locali croati non si renda opportuno l'avvio di una moratoria in sede europea tale da definire protocolli comuni e condivisi relativamente alle richieste di prospezioni e autorizzazioni alla ricerca e coltivazione di idrocarburi e, contemporaneamente, non si ritenga necessaria e opportuna la definizione di un protocollo condiviso tra i Paesi che si affacciano sul corridoio Adriatico a tutela dell'ambiente marino e costiero, a salvaguardia dell'unicità di quell'ambiente e degli sforzi sviluppatisi negli anni verso un turismo di qualità. (4-09959)

  Risposta. — Appare opportuno premettere che lo sviluppo della ricerca e della coltivazione degli idrocarburi, sia in forma liquida che gassosa, costituisce un irrinunciabile elemento di valorizzazione delle risorse energetiche del Paese che, per di più, ha un'importante rilevanza strategica, in considerazione della ben nota scarsità di risorse sul territorio nazionale.
  Il mare Adriatico si è rivelato, da tempo, di notevole interesse per le attività di ricerca e di coltivazione di idrocarburi: tali attività si sono sviluppate nel corso degli ultimi decenni, portando al rinvenimento di importanti giacimenti.
  Per quello che riguarda la situazione croata, il Governo di Zagabria, che ha aderito alla Nato dal 2009 e alla Ue dal 2013, autorizza le attività di ricerca e produzione di idrocarburi a seguito di controlli preliminari
(survey) del fondo marino. Inoltre, occorre ricordare anche che le competenti autorità di Italia e Croazia hanno istituzionalizzato incontri trimestrali per fare il punto della situazione sui vari aspetti della materia. A tal proposito, possiamo preannunciare che tali incontri avranno sempre maggiore rilievo al fine di assicurare la conformità (già peraltro di fatto garantita) agli articoli 31, 32 e 33 della richiamata direttiva 2013/30/UE, in merito all'obbligo di un opportuno coordinamento tra i Paesi interessa in materia di preparazione, risposta e gestione delle emergenze in caso di incidente.
  Per ciò che riguarda le possibili iniziative che il Governo può intraprendere a tutela del mare Adriatico e delle coste pugliesi in particolare, come richiesto dagli interroganti, si ricorda che, prima dell'eventuale conferimento di nuove istanze di permesso di ricerca di idrocarburi, non solo nel mare Adriatico, ma in tutto il territorio italiano, le richieste sono sottoposte all'esame della Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie (Cirm), organo consultivo del Ministero dello sviluppo economico e, quindi, all'esame da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, cui è demandata la relativa verifica di compatibilità ambientale.
  Riguardo all'alterazione degli equilibri marini rappresentata dalle piattaforme italiane a gas presenti nel medio ed alto Adriatico, quest'ultima è paragonabile a quella cagionata dalle strutture per l'itticoltura, mentre diverso ne risulta l'effetto sugli
habitat naturali. Infatti, le strutture sommerse delle piattaforme rappresentano spesso le sole zone di salvaguardia delle specie ittiche, come dimostrato dall'area di ripopolamento ittico antistante Ravenna, costituita da piattaforme petrolifere dismesse e sommerse, dichiarati sito di interesse comunitario (Sic).
  Sui rischi, più volte paventati, connessi alla presenza di ordigni inesplosi nel mare Adriatico, confermo che questi possono ricadere sulle molteplici attività svolte sul fondo marino, in misura comunque molto differente: il rischio più elevato è connesso alle attività che si svolgono su vaste superfici e senza l'esecuzione di controlli preliminari
(survey), come le attività di pesca. In misura minore riguardano le attività lineari, come la posa di cavi e condotte, o puntuali, come la posa di una piattaforma di perforazione, che vengono precedute da un controllo preliminare del fondo marino. Nuove attività di perforazione e sviluppo, attualmente eseguite in numero estremamente ridotto, sono autorizzate solo a seguito dell'esecuzione della campagna di survey del fondo marino che escluda la presenza di ordigni nel punto prescelto. Per queste ragioni non si sono verificati incidenti nel corso di tali attività.
  Il Ministero dello sviluppo economico, autorità deputata al rilascio e alla gestione dei titoli minerari in mare per la ricerca e coltivazione idrocarburi, oltre all'acquisizione dei pareri delle Amministrazioni competenti in materia e coinvolte nell’
iter stesso, tra cui la Marina militare e il corpo delle capitanerie di porto, ha recentemente posto in essere un nuovo sistema integrato di controllo della sicurezza offshore con altri apparati dello Stato e con istituti ed enti di ricerca.
  Segnalo, in proposito, l'accordo di cooperazione, attualmente in corso con la Marina militare, mirato a rafforzare la salvaguardia delle risorse nazionali e degli impianti di estrazione di idrocarburi a mare.
  Tale accordo, siglato il 30 gennaio 2014, per una durata di 3 anni, ha lo scopo di sviluppare le procedure tese ad assicurare la sorveglianza e il controllo degli impianti e delle aree marine di possibile sfruttamento del sottosuolo nazionale.
  La Marina militare ha messo a disposizione risorse umane e mezzi per la vigilanza sugli impianti, con particolare riguardo alle aree marine lontane dalla costa e alle acque profonde, fornendo un importante supporto alle attività di controllo del Ministero dello sviluppo economico, con economia di spesa per entrambe le Amministrazioni, che in tal modo mettono in campo le proprie risorse nel comune interesse del Paese.
  La collaborazione prevede, oltre alla sorveglianza e al controllo degli impianti e delle aree marittime, la condivisione delle informazioni e dei dati di rispettivo interesse, inclusi quelli disponibili presso l'istituto idrografico della Marina militare e relativi all'ubicazione di ordigni bellici in mare, il supporto tecnico professionale nel settore sicurezza e protezione degli impianti
offshore, mediante l'impiego del personale e dei mezzi della Marina militare dotati di adeguate capacità.
  Analogamente, un simile accordo è stato siglato anche con il Corpo delle capitanerie di porto, quale struttura di elezione per il controllo delle acque territoriali.
  In aggiunta a queste misure, messe in campo dalle Amministrazioni, evidenzio comunque che gli operatori del settore conducono apposite indagini conoscitive puntuali (
survey di dettaglio), nelle varie fasi della ricerca e della messa in produzione dei campi, atte a scongiurare qualsiasi tipologia di interferenza con infrastrutture lineari o ordigni eventualmente presenti.
  Per quello che riguarda, infine, l'ultimo quesito formulato, evidenzio che protocolli comuni europei a tutela dell'ambiente marino e costiero sono stati già previsti dalle normative del settore, quali la direttiva 92/91 CE, recepita con decreto legislativo n. 624 del 1996, e la direttiva UE 30/2013, in corso di recepimento e proprio nell'ottica di dedicare la massima attenzione all'ambiente marino nello schema di recepimento della direttiva 30/2013, è prevista la presenza di rappresentanti della Marina militare e delle capitanerie di porto quali membri dell'autorità competente in materia di sicurezza in mare.
  Il Governo e, in particolare, il Ministero dello sviluppo economico sono già attivi da tempo nella promozione presso le sedi comunitarie ed internazionali della sicurezza, anche ambientale, di tutto il bacino del Mediterraneo. La questione sarà comunque sempre in primo piano nei dialoghi con i Paesi rivieraschi adriatici.

La Sottosegretaria di Stato per lo sviluppo economicoSimona Vicari.


   MANLIO DI STEFANO, DEL GROSSO, DI BATTISTA, GRANDE, SCAGLIUSI, SIBILIA e SPADONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 21 settembre 2015 la società italiana denominata «AlmavivA» si aggiudicava l'appalto per lo sviluppo e la gestione del sistema per il rilascio dei visti Schengen, indetto dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (MAECI), che raggiunge e serve le sedi all'estero del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, le ambasciate e gli uffici consolari, per un totale di 163 uffici in tutto il mondo;
   Antonio Amati, direttore generale divisione IT AlmavivA, affermava, in tale occasione, che: «Grazie all'aggiudicazione della gara per i visti Schengen, AlmavivA rafforza la propria presenza presso il Ministero, per il quale già da un anno gestisce il Sistema Integrato di Contabilità e Bilancio. L'Azienda conferma così il proprio ruolo di partner tecnologico della Farnesina, anche in un settore più che mai strategico in questo momento storico, con l'Expo in corso e in vista dell'imminente Giubileo»;
   AlmavivA si è aggiudicata l'appalto del valore a base d'asta di 4,6 milioni di euro, superando sul punteggio tecnico undici RTI concorrenti. Il contratto sottoscritto prevede una durata di 36 mesi ed è prorogabile per altri tre anni;
   negli ultimi anni la posizione di direttore delle comunicazione e relazioni esterne della stessa AlmavivA veniva ricoperta dalla signora Elena Di Giovanni, attuale moglie dell'ambasciatore Michele Valensise, segretario generale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, profilandosi, ad avviso degli interroganti, così la possibilità di un conflitto d'interessi;
   attualmente la signora Di Giovanni lavora in qualità di «consulente di comunicazione internazionale e di promozione culturale per la “Comin & Partners”, una società di comunicazione che, tra i suoi clienti, ha anche il gruppo informatico “AlmavivA”, vincitore degli appalti di cui sopra. La Comin & Partners ha la sua sede romana a Palazzo Colonna e usufruisce di locali affittati dalla famiglia di Marco Tripi, proprietaria di AlmavivA»;
   è plausibile, quindi, a giudizio degli interroganti, ipotizzare un conflitto d'interessi di non facile composizione vista l'influente posizione rivestita dal citato Valensise in seno all'amministrazione degli esteri nonché l'ingenza dell'appalto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative intenda intraprendere per fare chiarezza sulla vicenda in questione e per ripristinare una situazione di piena trasparenza e legalità. (4-10790)

  Risposta. — Con riferimento alla gara relativa alla fornitura dei servizi di sviluppo e gestione del sistema per il rilascio dei visti Schengen (Vis) aggiudicata alla società Almaviva, si segnala che il bando di gara europea per l'affidamento di tali servizi è stato pubblicato sulla Gazzetta dell'Unione europea, sulla Gazzetta della Repubblica italiana e sul sito istituzionale del Maeci in data 17 aprile 2014.
  A tale gara hanno partecipato, nella fase di prequalifica, quattordici operatori economici raccolti in Raggruppamenti temporanei di imprese (Rti) o singolarmente. Tutti gli operatori hanno superato la fase di prequalifica ma solamente quattro di essi hanno presentato l'offerta tecnico-economica. Le offerte, vagliate in base al criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, sono state valutate da una Commissione di gara composta da membri individuati sulla base delle loro specifiche competenze di natura tecnico-informatica e amministrativo-contabile e dei requisiti di alta professionalità ed esperienza. L'aggiudicazione della gara è stata notificata agli operatori economici partecipanti in data 26 gennaio 2015.
  Successivamente all'aggiudicazione della gara alla società Almaviva, l'operatore economico classificato al secondo posto ha presentato ricorso presso il Tar del Lazio, il Tribunale amministrativo regionale ha dichiarato tale ricorso inammissibile con sentenza dell'11 giugno 2015. La Corte dei conti ha poi confermato la correttezza dell'intera procedura e ha apposto, in data 9 settembre 2015, il visto preventivo di legittimità previsto dalla normativa vigente.
  La Farnesina continua ad applicare con rigore il principio della buona e trasparente gestione delle risorse e quanto sopra esposto conferma che la procedura di affidamento della gara ad evidenza pubblica per la gestione informatica del sistema di rilascio visti Schengen, come riconosciuto dagli organi giurisdizionali e di controllo, si è svolta nell'assoluto rispetto della legalità, garantendo massima trasparenza ed economicità.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   MANTERO, BATTELLI, SIMONE VALENTE, SILVIA GIORDANO e LOREFICE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la collina di Pitelli, situata sulla sponda orientale del golfo di La Spezia e considerata un sito di alto valore paesistico secondo una legge del 1939, è stata oggetto di uno dei peggiori disastri ecologici nella storia d'Italia, e dopo 15 anni di inchieste, tutti gli imputati sono stati assolti per «insussistenza del fatto» nonostante la vicenda ad avviso degli interroganti presenti aspetti oscuri ed ambigui;
   difatti, sono ancora molti i misteri irrisolti dei rifiuti tossici e radioattivi sepolti sotto le banchine portuali, commerciali e turistiche della collina, considerata per anni il crocevia di traffici illeciti di rifiuti;
   alla fine degli anni 70, la società Contenitori Trasporti predispose un progetto per una discarica sulla collina che nonostante i numerosi esposti rivolti alla magistratura da parte di forze politiche e cittadini locali, riuscì a realizzare, nonostante l'effettuazione del sequestro giudiziario dell'area avvenuto nel 1996, quando furono definitivamente chiusi tutti gli impianti;
   durante quegli anni vennero di fatto insabbiati circa tre milioni di chili di rifiuti di ogni genere, dalle diossine al benzene ed idrocarburi, dagli scarti di industria farmaceutica ai residui di demolizione degli autoveicoli, dalle 116 tonnellate di fanghi alle ceneri e scorie metalliche, passando dai fusti di olii al catrame. Per non parlare di tracce di mercurio, piombo e nichel rinvenute nelle acque sotterranee e di scorie radioattive provenienti dai Paesi dell'Est;
   su tale questione, la procura di Asti fu la prima ad incardinare nel 1996 l'inchiesta per accertare la presenza di infiltrazioni camorristiche che dietro dazioni di denaro avrebbero dato luogo a illeciti, smaltendo grandi quantità di rifiuti tossici in maniera assolutamente difforme dalle previsioni di legge; in un secondo momento si occupò del caso anche la procura di Spezia (territorialmente competente) che iscrisse ben 130 persone nel registro degli indagati;
   le indagini si conclusero qualche decennio dopo con l'assoluzione per la dozzina di imputati accusati di disastro ambientale. Neanche l'entrata in vigore della legge n. 426 del 1988 (recante nuovi interventi in campo ambientale, la quale prevedeva ingenti finanziamenti per la bonifica e il ripristino dei siti inquinati) è riuscita a risollevare le sorti dell'area ormai chiaramente considerata ad alto rischio ambientale;
   come se non bastasse, si è assistiti anche alla morte bianca di un operaio dipendente della società Contenitori Trasporti che lavorava nella discarica, sul quale è stato aperto un processo –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se intenda promuovere una verifica sullo stato di inquinamento dei luoghi, anche per il tramite del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare il Governo al fine di ripristinare e restituire all'area il giusto valore paesaggistico. (4-05339)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, vertente sulla riqualificazione della Collina Pitelli, nell'area dell'ex Sin «Pitelli», si rappresenta quanto segue.
  Il sito «Pitelli» (La Spezia) è stato dichiarato sito di bonifica di interesse nazionale dalla legge n. 426 del 2008, perimetrato con decreto ministeriale del 10 gennaio 2000 e successivamente modificato con decreto ministeriale del 27 febbraio 2001.
  A seguito dell'emanazione del decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dell'11 gennaio 2013, il sito Pitelli non è più ricompreso tra i siti di interesse nazionale e la competenza per le necessarie operazioni di bonifica è stata trasferita alla regione Liguria, che è subentrata nella titolarità dei relativi procedimenti a partire dalla data di pubblicazione del medesimo sulla
Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 12 marzo 2013.
  La regione Liguria, con delibera di giunta regionale del 26 luglio 2013 classificava l’
ex Sin di Pitelli quale sito di interesse regionale (Sir). Di conseguenza, la regione ad oggi provvede direttamente alla gestione dei procedimenti attraverso l'indizione di specifiche conferenze di servizi.
  Dal 2013 ad oggi sono state svolte cinque conferenze dei servizi regionali, con le quali sono stati avviati gli esami dei progetti ancora pendenti all'atto del trasferimento di competenze alla regione Liguria. Inoltre, con la conferenza di servizi del 20 maggio 2013, è stato approvato il documento integrativo all'analisi di rischio per le aree pubbliche, redatto da agenzia regionale per la professione ambientale Liguria, che individua le aree verdi con assenza di rischio sanitario verso cui è stata avviata la procedura di restituzione agli usi legittimi.
  Ai fini della pianificazione e realizzazione di interventi di bonifica, il sito Pitelli è stato suddiviso in «aree di pertinenza della pubblica amministrazione» ed in «aree private». Le prime comprendono le aree dedicate all'uso pubblico (compresa l'area marino-costiera) e le aree residenziali che sono oggetto passivo dell'inquinamento. Le aree private invece, sono costituite dalle discariche private, dalle aree su cui insistono impianti industriali attivi o dismessi e dai cantieri navali.
  Tenuto conto che le attività eseguite da soggetti privati per la messa in sicurezza d'emergenza, la caratterizzazione e l'eventuale bonifica sono iniziate nel 2001, si riporta, di seguito, lo stato di avanzamento relativo a ciascuna area con procedimento in corso:
   
Area ex Ipodec: il progetto di smessa in sicurezza permanente di copertura con capping dei rifiuti conforme al decreto legislativo n. 36 del 2003, è stato approvato con prescrizioni in conferenza dei servizi;
   
Area Campetto: il piano di caratterizzazione è stato approvato e realizzato per l'area di proprietà «Stock Containers»;
   
Vallegrande «La Marina»: area già soggetta ad interventi di messa in sicurezza permanente mediante capping con materiale impermeabile, sistema di drenaggio acque di ruscellamento e realizzazione di vasca di raccolta percolato al piede della discarica;
   
Saturnia: il piano di caratterizzazione approvato in conferenza dei servizi;
   M. Montada:
la proprietà ha presentato il documento «Linee guide per, l'adeguamento della chiusura della discarica di M. Montada ai sensi del decreto legislativo n. 36 del 2003, approvato dalla conferenza di servizi con prescrizioni;
   Val Bosca: discarica completata, gestione impianto post chiusura da parte di Acam. Non soggetta a procedimenti ambientali;
   
Bacini ceneri ENEL: progetto di Misp con sistema trattamento acque sotterranee caratterizzate da inquinamento antropico (solfati e selenio) da integrare. Indagini integrative per verifica grado di impermeabilizzazione del fondo dei bacini;
   Discarica di Ruffino Pitelli e inceneritore:
approvato il progetto di messa in sicurezza permanente per tutta la discarica il cui intervento è in corso;
   Impianto Penox, ex-PbO: analisi di rischio approvata in conferenza di servizi, necessità di interventi di bonifica con asportazione degli hot spot individuati;
   
Centrale ENEL E Montale e carbonili: approvata analisi di rischio;
   
Ex fonderia Pertusola-Navalmare: in attesa della presentazione del nuovo progetto e della realizzazione di una parte degli interventi di messa in sicurezza d'emergenza;
   
Fincantieri: l'area è suddivisa in 3 lotti. L'analisi di rischio sito, specifica per inquinamento, rilevato nei lotti 2 e 3, progetto di bonifica della falda nella zona del lotto 3 approvato.

  I presidi militari non sono stati sottoposti a caratterizzazione o bonifica in quanto aree vincolate, soggette ad accordi specifici.
  Infine, per quanto riguarda le aree pubbliche, il piano di caratterizzazione (Pdc) è stato redatto da agenzia regionale per la protezione dell'ambiente ligure e approvato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e la sua esecuzione è stata assegnata ad agenzia regionale per la protezione dell'ambiente ligure con delibera di Giunta regionale del 7 agosto 2003. Il documento di analisi di rischio è stato elaborato da agenzia regionale per la protezione dell'ambiente ligure e riguarda solamente le aree pubbliche e private (soggetti privati non inquinatori) di competenza della pubblica amministrazione.
  I privati non soggetti inquinatori non sono stati obbligati ad effettuare un piano di caratterizzazione e le proprietà sono state inserite nell'omonimo piano delle aree pubbliche realizzato da agenzia regionale per la protezione dell'ambiente ligure. Tuttavia, la realizzazione di manufatti sulle proprietà è stata subordinata alla restituzione agli usi legittimi delle aree previa caratterizzazione ed eventuale bonifica.
  Alla data del 30 settembre 2015, 15 proprietari di piccole aree hanno eseguito la caratterizzazione del loro sito ed ottenuto lo svincolo dell'area per gli usi legittimi.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la regione Calabria e, in particolare le province di Crotone e Catanzaro, rappresenta una delle zone del territorio italiano a più elevato rischio idrogeologico;
   lo stesso progetto IFFI (inventario dei fenomeni franosi in Italia), il cui obiettivo era quella di ottenere una conoscenza globale del territorio nazionale, cercando di uniformare il più possibile i criteri di interpretazione e di definizione dei fenomeni franosi, ha evidenziato la diffusa fragilità del territorio calabrese;
   l'ultimo evento, purtroppo solo in ordine cronologico, riportato dalla Gazzetta del Sud del 6 aprile 2014 evidenzia gravi movimenti franosi nella provincia di Catanzaro;
   in particolare, sono state registrate gravissime forme di dissesto idrogeologico che interessano l'area che va dalla frazione di Migliuso a Serrastretta;
   il sindaco di Serrastretta Molinaro ha chiesto e sollecitato l'intervento delle autorità competenti affinché possano essere adottati provvedimenti risolutivi e definitivi;
   è assolutamente prioritario definire una programmazione di lavori di consolidamento di quel territorio che ormai sembrano improcrastinabili;
   negli ultimi mesi il movimento franoso ha messo in evidenza preoccupanti peggioramenti con effetti derivanti da una evoluzione del movimento della terra che sembra non avere fine;
   la località interessata è popolata da numerosi nuclei familiari, molti dei quali direttamente interessati al dissesto; nell'area sono presenti fognature e un tratto della provinciale 84;
   copiosa e interessante documentazione è stata presentata presso la prefettura di Catanzaro al fine di illustrare la grave situazione e per cercare di prevenire una tragedia che risulta già annunciata;
   nel mese di novembre 2010 veniva sottoscritto dalla regione Calabria e dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un accordo di programma quadro finalizzato a fronteggiare il rischio idrogeologico, anche se pochissimi sono stati gli interventi eseguiti diversamente;
   la situazione risulta, pertanto, ancora molto critica. Nelle località suddette, tra l'altro, la precarietà del sistema stradale, continua a provocare forti disagi tra la popolazione;
   a tutt'oggi non è stata messa in campo nessuna delle iniziative richieste, lasciando presagire ipotesi di ulteriori gravi dissesti –:
   se il Governo intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per adottare un piano organico di prevenzione e messa in sicurezza dei territori colpiti dagli eccezionali eventi franosi che sostenga e favorisca gli enti locali, che godono di scarse risorse e mezzi limitati e non sono in grado di far fronte ai danni subiti dal territorio e dalla popolazione. (4-04638)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, unitamente alla struttura di missione contro il dissesto idrogeologica, ha avviato il piano operativo nazionale degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico per il periodo 2014-2020.
  Il piano è stato definito dalle proposte presentate dalle regioni nel corso degli anni 2014 e 2015 attraverso l'utilizzo del sistema web ReNDiS del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in collaborazione con istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.
  L'insieme degli interventi localizzati sull'intero territorio nazionale comporta un fabbisogno complessivo pari a circa 20,3 miliardi di euro e, rispetto a tale importo, quello relativo alle richieste validate dalle regioni nel sistema ReNDiS, ammonta, ad oggi, a circa 17,5 miliardi di euro.
  Attesa l'impossibilità di poter finanziare contemporaneamente tutti gli interventi individuati, ed al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico nelle aree soggette a frequenti esondazioni, è stato individuato, nell'ambito del piano operativo nazionale, un piano stralcio costituito da un insieme di interventi di mitigazione del rischio riguardanti, principalmente, le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposte a rischio di alluvione (l'importo di detti interventi è pari a circa 1,4 miliardi di euro).
  Con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, proposto dal Ministero dell'ambiente e della tutela e del mare, sono state altresì individuate le procedure, le modalità ed i criteri di selezione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico.
  Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri citato è stato condiviso con i soggetti istituzionalmente coinvolti nella seduta della conferenza Stato-regioni e province autonome del 25 marzo 2015.
  Al fine di garantire il rapido avvio degli interventi più urgenti e tempestivamente cantierabili, ricompresi nel piano stralcio, la delibera Cipe n. 32/2015 ha assegnato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'importo di 450 milioni di euro, a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione afferenti alla programmazione 2014-2020.
  Per la medesima finalità sono state individuate risorse disponibili a legislazione vigente pari a 150 milioni di euro, di cui 40 milioni di euro costituiti da risorse del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a valere sulle disponibilità recate dall'articolo 1, comma 111, della legge di stabilità n. 147 del 2013, e la restante quota di 110 milioni di euro a carico delle risorse del Fondo di sviluppo e coesione per il periodo 2007-2013, di cui all'articolo 7, comma 8, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 133 (cosiddetto «sblocca Italia»).
  A questi si devono aggiungere, per il biennio 2015-2016, ulteriori 54 milioni di euro circa che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha disposto di destinare al fine di incrementare la copertura del piano stralcio citato, in considerazione della rilevanza e dell'urgenza degli interventi in esso previsti.
  In relazione al piano nazionale 2014-2020, infine, si segnala che le richieste avanzate dalla regione Calabria ammontano a euro 159.643.962,14, per un totale di 119 interventi per la provincia di Catanzaro e a euro 62.266.513,57 per un totale di 45 interventi per la provincia di Crotone che saranno valutati, non appena rinvenute le ulteriori risorse finanziarie necessarie per l'attuazione del suddetto piano nazionale, secondo la procedura prevista dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015.
  La priorità di assegnazione di tali risorse sarà determinata secondo i criteri previsti dal citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri nonché in base alle priorità che saranno espresse dalla regione, attribuendo rilevanza a:
   interventi integrati che, oltre a contrastare/mitigare il dissesto idrogeologico, contribuiscano al miglioramento dello stato ecologico dei corsi d'acqua e alla tutela degli ecosistemi e della biodiversità;
   interventi ricadenti in aree con un maggior numero di persone esposte a rischio diretto e/o con edifici strategici a rischio grave;
   interventi ricadenti in aree caratterizzati da eventi ad elevata frequenza di accadimento;
   interventi che presentino misure di compensazione e/o mitigazione ambientale, collegati agli impatti dell'opera principale.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'alta vulnerabilità del territorio regionale calabrese al rischio idrogeologico impone una serie di interventi urgenti e mirati;
   in Calabria sono state censite circa 8.000 frane che coprono oltre 800 chilometri quadrati di territorio; mentre circa 400 chilometri quadrati del territorio regionale è esposto a rischio idraulico, oltre l'80 per cento dei comuni calabresi presenta abitazioni che ricadono in area a rischio frana o alluvione;
   i disastri di Crotone nel 1996, Soverato nel 2000, Sinopoli nel 2003, Cerzeto nel 2005, Scilla nel 2005, Vibo Valentia nel 2006 e, in ultimo Sibari, devono servire per aumentare la sensibilità rispetto a questo importante problema. Infatti, non è più sufficiente limitarsi alla riparazione dei danni ed all'erogazione di sostegni economici alle popolazioni colpite, ma occorre creare una cultura di previsione e prevenzione, che deve essere diffusa ai vari livelli, imperniata sull'individuazione delle condizioni di rischio ed all'adozione di interventi finalizzati alla minimizzazione dell'impatto degli eventi;
   è giunto il momento di adottare un serio programma di risanamento e di prevenzione dei rischi;
   attualmente gli investimenti di cui all'Accordo di programma quadro, siglato nel 2010 tra la regione Calabria ed il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che prevede finanziamenti per 220 milioni di euro per interventi «urgenti» di mitigazione del rischio idrogeologico, risultano ancora in fase di lenta attuazione, poiché in tre anni e mezzo di regime commissariale, come si può facilmente rilevare dai dati pubblicati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (ReNDIS-web INSPRA), solo sei interventi, su un totale di 185, risultano in fase di aggiudicazione;
   l'attuazione degli interventi rischia di subire un ulteriore rallentamento, nonostante il carattere d'urgenza, visto che dal 7 marzo 2014, termine ulteriore di proroga del commissario previsto per legge, tutta l'attività dell'ufficio commissariale è interrotta ed all'orizzonte non si intravede ancora, a distanza di due mesi, la nomina di alcun successore;
   tale condizione di vacatio va subito colmata con la nomina di un nuovo commissario, dotato delle necessarie e giuste competenze, affinché le gare aperte vadano a buon fine, le imprese possano essere pagate, patrimoni archeologici come l'area di Sibari siano preservate e che, dunque, gli interventi di messa in sicurezza del nostro territorio regionale possano essere realizzati –:
   se sia a conoscenza che dal 7 marzo 2014 è scaduto il mandato del Commissario delegato per l'attuazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico e se, conseguentemente, non ritenga di dovere intervenire urgentemente per la nomina di un nuovo commissario;
   se non ritenga opportuno, nell'ambito delle sue competenze, di intraprendere ogni utile iniziativa finalizzata all'adozione di un serio programma di risanamento e di prevenzione dei rischi in una regione come la Calabria, dove oltre l'80 per cento dei comuni ricade in area a rischio frana o alluvione. (4-04851)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Calabria hanno stipulato, in data il 25 novembre 2010, un accordo di programma finalizzato alla «Programmazione e al finanziamento di interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico» da effettuare nel territorio della regione Calabria nell'ambito del piano straordinario previsto dal comma 240 dell'articolo 2 della legge n. 191 del 2009.
  Gli interventi, da realizzare nell'ambito del suddetto accordo di programma «Difesa del Suolo», rientrano nella proposta di programmazione regionale per gli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico che tiene conto delle numerose richieste pervenute agli uffici della regione Calabria oltre che di quelle trasmesse, dagli enti territoriali interessati, direttamente al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare o alla protezione civile nazionale e/o regionale.
  L'accordo prevedeva la realizzazione di n. 185 interventi per un importo complessivo pari ad euro 220.000.000,00 dei quali oltre 39.000.000,00 euro, di competenza di questo Ministero, sono stati già trasferiti sulla contabilità speciale.
  Ai sensi dell'articolo 10 del decreto-legge n. 91 del 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 116 del 2014, i presidenti delle regioni sono subentrati ai commissari straordinari delegati e nella titolarità delle relative contabilità speciali con la funzione di assicurare la celere attuazione degli interventi in qualità di Commissari di Governo contro il dissesto idrogeologico.
  A gennaio 2015, sulla contabilità speciale, risultavano impegnati euro 72.300.000,00, incrementati rispetto ai euro 5.700.000,00 impegnati a luglio 2014, come riportato nella relazione del Commissario ad acta che, da luglio 2014 a febbraio 2015, ha proseguito la gestione commissariale nelle more del subentro del presidente della regione nella titolarità della contabilità speciale avvenuto a fine febbraio 2015.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, insieme alla struttura di missione contro il dissesto idrogeologico, ha avviato il piano operativo nazionale degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico per il periodo 2014-2020.
  Il piano è stato definito dalle proposte presentate dalle regioni nel corso degli anni 2014 e 2015, attraverso l'utilizzo del sistema web ReNDiS del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in collaborazione con istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.
  L'insieme degli interventi localizzati sull'intero territorio nazionale comporta un fabbisogno complessivo pari a circa 20,3 miliardi di euro e, rispetto a tale importo, quello relativo alle richieste validate dalle regioni nel sistema ReNDiS, ammonta, ad oggi, a circa 17,5 miliardi di euro.
  Attesa l'impossibilità di poter finanziare contemporaneamente tutti gli interventi individuati, ed al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico nelle aree soggette a frequenti esondazioni, è stato individuato, nell'ambito del piano operativo nazionale, un primo piano stralcio, costituito da un insieme di interventi di mitigazione del rischio riguardanti principalmente le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposte a rischio di alluvione (l'importo di detti interventi è pari a circa 1,4 miliardi di euro).
  Con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, proposto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono altresì state individuate le procedure, le modalità ed i criteri di selezione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico.
  Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri citato è stato condiviso con i soggetti istituzionalmente coinvolti nella seduta della conferenza Stato-regioni e province autonome del 25 marzo 2015.
  Al fine di garantire il rapido avvio degli interventi più urgenti e tempestivamente cantierabili, ricompresi nel piano stralcio, la delibera Cipe n. 32/2015 ha assegnato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'importo di 450 milioni di euro, a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione afferenti alla programmazione 2014-2020.
  Per la medesima finalità sono state individuate risorse disponibili, a legislazione vigente, pari a 150 milioni di euro, di cui 40 milioni di euro costituiti da risorse del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a valere sulle disponibilità recate dall'articolo 1, comma 111, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014), e la restante quota di 110 milioni di euro a carico delle risorse del Fondo di sviluppo e coesione per il periodo 2007-2013, di cui all'articolo 7, comma 8, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 133 (cosiddetto sblocca Italia).
  A questi si devono aggiungere, per il biennio 2015-2016, ulteriori 54 milioni di euro circa che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha disposto di destinare al fine di incrementare la copertura del piano stralcio citato, in considerazione della rilevanza e dell'urgenza degli interventi in esso previsti.
  In relazione al piano nazionale 2014-2020, in fine, si segnala che le richieste avanzate dalla regione Calabria ammontano a euro 829.899.924,21 per un totale di 533 interventi che saranno valutati, non appena rinvenute le ulteriori risorse finanziarie necessarie per l'attuazione del suddetto piano nazionale, secondo la procedura prevista dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015.
  La priorità di assegnazione di tali risorse sarà determinata secondo i criteri previsti dal citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché in base alle priorità che saranno espresse dalla regione, attribuendo rilevanza a:
   interventi integrati che, oltre a contrastare/mitigare il dissesto idrogeologico, contribuiscano al miglioramento dello stato ecologico dei corsi d'acqua e alla tutela degli ecosistemi e della biodiversità;
   interventi ricadenti in aree con un maggior numero di persone esposte a rischio diretto e/o con edifici strategici a rischio grave;
   interventi ricadenti in aree caratterizzati da eventi ad elevata frequenza di accadimento;
   interventi che presentino misure di compensazione e/o mitigazione ambientale, collegati agli impatti dell'opera principale.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PAGLIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la trasmissione Report del 7 giugno 2015 ha consentito di riaccendere e ampliare l'attenzione sulle modalità di stoccaggio dei rifiuti vetrosi praticate da Emiliana Rottami spa;
   Emiliana Rottami spa è una società con sede in San Cesario sul Panaro (Modena), fatturato vicino ai 10 milioni di euro e utili superiori ai 2 milioni;
   la sua attività è lo stoccaggio di materiali provenienti da raccolta differenziata, con particolare riferimento al vetro, che mantiene in 2 siti, entrambi situati nel comune di San Cesario sul Panaro, in via Verdi e via Bonvino;
   fra i clienti, va segnalata Hera spa, multiutility quotata a Piazza Affari, che conferisce a Emiliana Rottami un terzo del vetro complessivamente raccolto tramite raccolta differenziata;
   le best practice nella gestione del ciclo dei rifiuti stabiliscono che il vetro di cui non sia possibile il reimpiego, vada riciclato e recuperato al 100 per cento non certo abbandonato in discariche all'aperto;
   la stessa Unione Europea vieta peraltro un deposito superiore ai 3 anni, pena l'acquisizione dello status di discarica, con tutto ciò che questo comporta in termini di regime autorizzativo;
   pare tuttavia che Emiliana Rottami non sia attrezzata sul piano impiantistico ad una gestione pienamente efficace del materiale, avendo probabilmente quindi maggiore interesse alla conservazione che alla sua vendita;
   ci si chiede se questo possa essere accettato dai committenti, e in particolare da Hera spa, dato l'impegno a gestire il riciclaggio del materiale e non la sua semplice differenziazione;
   nel corso degli anni sui depositi di Emiliana Rottami si è concentrata l'attenzione del comune di San Cesario che ha prodotto un'ordinanza non rispettata con cui si imponeva la copertura con teloni dei cumuli e l'adeguamento dell'altezza relativa fra questi e le barriere del sito, ordinanza peraltro avallata da Tar e Consiglio di Stato che hanno entrambi rigettato il ricorso presentato dall'azienda; dell'Arpa le cui analisi hanno accertato che nelle vicinanze dei due stabilimenti sono presenti nell'aria concentrazioni di particelle di vetro, anche di dimensioni molto piccole e per questo più pericolose in quanto in grado di penetrare l'apparato respiratorio fino ai bronchi e agli alveoli; della Ausl di Modena che ha steso una relazione in cui afferma di non poter escludere i rischi per la popolazione, in particolare per i soggetti più sensibili: bambini, anziani e persone con malattie respiratorie; di cittadini e associazioni locali, che da anni chiedono soluzioni che riducano l'impatto sull'ambiente e sulla salute dell'attività aziendale;
   ad oggi non si hanno notizie di reali adeguamenti delle procedure aziendali, nonostante l'ordinanza avallata dalla massima corte amministrativa del Paese –:
   se ritenga opportuno inviare il comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente presso le aree citate in premessa. (4-09485)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame e, sulla base delle informazioni acquisite dall'Agenzia regionale prevenzione e ambiente dell'Emilia Romagna, si rappresenta quanto segue.
  La ditta Emiliana Rottami spa svolge attività di messa in riserva e recupero di rifiuti di vetro (urbani e speciali non pericolosi), eseguite in conformità al regolamento UE n. 1179/2012 per il quale la ditta è in possesso di regolare certificazione rilasciata nel giugno 2013 da organismo europeo riconosciuto (Dnv) valida fino al giugno 2016.
  La Emiliana Rottami ha due sedi nel territorio del comune di San Cesario sul Panaro collocate in 2 aree che distano circa 7-8 km tra di loro.
  La sede produttiva di via Verdi è autorizzata alle attività di recupero e messa in riserva di rifiuti di vetro e risulta in possesso di autorizzazione alle attività di recupero rifiuti (Det. provincia di Modena n. 184 del 17 ottobre 2011), autorizzazione allo scarico idrico (Det. provincia di Modena n. 273 del 15 luglio 2014) e autorizzazione alle emissioni convogliate in atmosfera (Det. provincia di Modena n. 57 del 15 febbraio 2012).
  L'autorizzazione alle attività di recupero rifiuti contiene anche le prescrizioni per il contenimento delle emissioni diffuse derivanti dalle operazioni e dalle lavorazioni effettuate nello stabilimento.
  La sede di via Bonvino funge da magazzino/deposito per il prodotto finito, atteso che, per la stessa, non vi sono autorizzazioni per le attività di recupero e messa in riserva di rifiuti di vetro e che non si svolge alcuna lavorazione al suo interno.
  Nel periodo 2009-2012 la sede di via Bonvino è stata autorizzata, con provvedimento temporaneo, anche alle attività di recupero rifiuti, con l'installazione di una linea di lavorazione analoga a quella dello stabilimento di via Verdi; tale autorizzazione temporanea era finalizzata esclusivamente alla lavorazione del semilavorato stoccato nella sede di via Bonvino (circa 34.000 tonnellate) e di una quota del semilavorato stoccato nella sede di via Verdi (circa 36.000 tonnellate) con lo scopo di ridurne le quantità in stoccaggio. Dal luglio 2012, nella sede di Bonvino non si sono più effettuate attività di recupero o messa in riserva di rifiuti.
  In ordine ai controlli, l'Arpa precisa anzitutto che le verifiche effettuate dalla stessa hanno riguardato nel tempo sia gli aspetti generali sulla qualità dell'aria (monitoraggi di qualità dell'aria per la determinazione degli inquinanti previsti per gli ambienti di vita: PM10, NOx), sia gli aspetti specifici relativi alle ricadute ambientali ascrivibili agli stabilimenti dell'Emiliana Rottami nelle aree circostanti (monitoraggi ambientali per la ricerca di polveri di vetro), sia gli aspetti correlati alla corretta gestione dell'attività produttiva (vigilanza all'interno delle sedi aziendali).
  I monitoraggi per la rilevazione della qualità dell'aria, condotti in postazioni intermedie tra l'arteria autostradale e il centro abitato, sono iniziati a partire dal 1998 e sono stati ripetuti nel 2003, 2004 (con due distinte campagne), 2005, 2011 (con due distinte campagne) e 2012.
  L'Arpa riferisce anche di aver concordato con le autorità comunali, ulteriori monitoraggi di qualità dell'aria da eseguirsi nel periodo autunnale 2015.
  I monitoraggi per la ricerca delle polveri di vetro sono stati condotti in prossimità di entrambi gli stabilimenti, all'esterno del perimetro aziendale e, per entrambi gli stabilimenti in tutte le campagne di rilevamento effettuate è stata documentata la presenza di particelle vetrose nelle polveri aerodisperse.
  A seguito di tali risultanze le competenti autorità (comune, provincia e Ausl) hanno imposto all'azienda modifiche gestionali o strutturali per limitare la diffusione di polveri vetrose, mediante modifica dell'atto autorizzativo per l'attività di recupero rifiuti riferita allo stabilimento di via Verdi mentre, per lo stabilimento di via Bonvino gli obblighi citati sono stati imposti tramite ordinanza comunale. Entrambi i provvedimenti sono stati impugnati dall'azienda alla fine del 2012, e il Tar dell'Emilia Romagna adito, per dirimere la questione, ha incaricato Arpa – sezione provinciale di Modena e Ausl di Modena di effettuare ulteriori approfondimenti sulla vicenda. Questi ultimi hanno accertato che i livelli di polveri di vetro riscontrati potevano significativamente incrementarsi in condizioni meteoclimatiche sfavorevoli o in condizioni di non corretta applicazione delle prescrizioni gestionali. Pertanto, la piena operatività dei provvedimenti prescrittivi si è avuta solo ad esaurimento del suddetto iter giudiziario.
  L'ultimo monitoraggio ambientale si è svolto nel periodo compreso dall'8 giugno 2015 all'8 luglio 2015, presso le due sedi della ditta in questione. Gli esiti del monitoraggio hanno evidenziato quanto segue:
   per la sede produttiva di via Verdi, sono stati rilevati livelli – in termini di ordine di grandezza del numero di particelle su metro cubo di aria – analoghi a quelli riscontrati nei precedenti monitoraggi;
   per quel che riguarda la sede produttiva di via Bonvino invece, il numero di particelle vetrose su metro cubo di aria si attesta su livelli significativamente inferiori a quelli evidenziati nei precedenti monitoraggi.

  Le attuali normative ambientali non prevedono livelli di attenzione e/o allarme che regolamentano il contributo delle polveri di vetro aerodisperse. La relazione tecnica, che riassume e descrive i monitoraggi effettuati nel 2015 ed i relativi esiti, è in corso di predisposizione, sarà ad ogni modo inoltrata, al pari di quanto avvenuto per tutte le altre note tecniche, alla provincia di Modena, in qualità di autorità competente per gli eventuali provvedimenti amministrativi, nonché al comune di San Cesario sul Panaro e all'azienda Usl di Modena, per le valutazioni di competenza in ambito sanitario.
  Sono inoltre già previsti monitoraggi per la determinazione di polveri di vetro contestualmente ai monitoraggi autunnali di qualità dell'aria, nella medesima postazione in cui sarà collocato il mezzo mobile.
  L'Arpa evidenzia, inoltre, che i controlli di vigilanza, eseguiti nelle due sedi dell'Emiliana Rottami spa, finalizzati alla verifica del rispetto delle normative ambientali e del rispetto delle autorizzazioni vigenti per i due impianti, sono stati sempre frequenti nel corso degli ultimi anni e, nei casi in cui si sono state riscontrate irregolarità nella gestione degli impianti, è stata data notizia alle autorità competenti ed alla autorità giudiziaria.
  Merita di essere evidenziato, infine, che nel piano delle attività di Arpa 2015, sono state previste ulteriori attività di vigilanza per la ditta in questione, finalizzate alla verifica del rispetto delle autorizzazioni ad essa concesse.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   RICCIATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Independent gas management Srl (IGM) è una società che opera (anche se attualmente risulta inattiva) nel campo dello sviluppo, ed esercizio di progetti di stoccaggio di gas naturale e della CO2 (anidride carbonica, biossido di carbonio). Nata nel 2002 è posseduta al 100 per cento da Independent Resources plc (IR), società di diritto inglese fondata il 16 giugno 2005 e quotata dal 15 dicembre 2005 presso la Borsa di Londra, mercato AIM (Alternative Investment Market). Nel febbraio 2011, la società si era dotata di capitale sociale interamente versato di 10 milioni di euro;
   in data 25 luglio 2012 la società Independent Gas Management Srl depositava una istanza per l'ottenimento della pronuncia di compatibilità ambientale per un progetto di ricerca finalizzato all'ottenimento della licenza di esplorazione per lo stoccaggio geologico di biossido di carbonio, in un'area del Mar Adriatico centrale, denominata Sibilla, a circa 27 chilometri ad Est dalla costa marchigiana di Ancona, nell'area marittima antistante la città di Senigallia (Ancona);
   nella «Sintesi non tecnica dello Studio di impatto ambientale», presentato dalla società al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nell'ambito della procedura di valutazione di impatto ambientale, si apprende che il progetto «Sibilla» prevede essenzialmente lo studio di dati pregressi e il re-entry di un pozzo già esistente, denominato «Cornelia 1» (profondità da fondo mare a 1613 m s.s.l., perforato per conto della joint-venture AGIP-SHELL nel periodo aprile-giugno 1969), come sito di stoccaggio di biossido di carbonio;
   l'iniziativa era stata avviata nell'ambito del quadro di misure volte a regolare il sequestro di anidride carbonica ed il suo stoccaggio geologico permanente in formazioni geologiche sotterranee, considerato come tecnologia fondamentale per l'abbattimento delle emissioni, di CO2 in atmosfera, previste dalla direttiva europea 2009/31/CE e recepite dall'Italia con il decreto legislativo 14 settembre 2011, n.162, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 231 del 4 ottobre 2011;
   in data 17 luglio 2012 veniva data notizia dell'avvio del procedimento di valutazione di impatto ambientale sulle testate Il Messaggero e Il Corriere Adriatico;
   in data 22 novembre 2012 il dirigente della posizione di funzione valutazioni ed autorizzazioni ambientali della regione Marche esprimeva parere favorevole al progetto di ricerca, ai sensi dell'articolo 25 del decreto legislativo 152 del 2006 e dell'articolo 23 della legge regionale 37 del 2012, ai fini della pronuncia di compatibilità ambientale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   in data 14 dicembre 2012, con il parere n. 1127, la commissione tecnica per la verifica dell'impatto ambientale VIA-VAS del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare esprimeva parere favorevole riguardo alla compatibilità ambientale del progetto «Ricerca finalizzata all'ottenimento della licenza di esplorazione per il progetto “Sibilla”» della Indipendent Gas Management Srl, rilasciata comunque in via provvisoria ai sensi dell'articolo 7 comma 3 decreto legislativo 14 settembre 2011;
   la Valutazione citata era chiaramente non intesa ai fini di autorizzazioni allo stoccaggio di gas ma alla sola indagine esplorativa;
   il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (cosiddetto «Sblocca Italia»), recante misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive (Gazzetta Ufficiale n. 212 del 12 settembre 2014) ha trasferito le competenze in materia energetica al Ministro dello sviluppo economico (articolo 38) –:
   se il Ministro interrogato sia in grado di fornire informazioni circa lo stato dell’iter del progetto segnalato in premessa, in particolare per sapere se sia stata approvata la Valutazione di impatto ambientale ed accolto il progetto, se sia stata attivata la convenzione con la società proponente e, in caso positivo, se e quando abbiano avuto inizio, o si prevede avranno inizio, i lavori relativi. (4-10310)

  Risposta. — Si ritiene opportuno evidenziare preliminarmente che, con il decreto-legge del 12 settembre 2014, n. 133, (cosiddetto «sblocca Italia») ed in particolare, con l'articolo 38, cui fa riferimento l'interrogante nell'atto in esame, non sono state trasferite al Ministro dello sviluppo economico nuove competenze in materia energetica.
  Come noto, infatti, le competenze in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia sono, ai sensi della Costituzione vigente, di competenza concorrente Stato-regione.
  Con l'articolo 38 del citato decreto-legge, inoltre, non è stata modificata tale previsione. In armonia con il dettato costituzionale la citata disposizione, che si inserisce nell'ambito di un testo normativo volto a favorire lo sviluppo delle risorse energetiche, si limita ad attribuire carattere strategico alle attività di prospezione ricerca e coltivazione di idrocarburi e a quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale.
  Come logica conseguenza di tale strategicità, l'articolo 38 ha previsto il trasferimento dalle regioni allo Stato della competenza per le valutazioni di impatto ambientale per la realizzazione delle opere relative alle predette attività, come già previsto per le attività offshore.
  Ciò permette di riportare la materia su un piano tecnico uniforme ed altamente qualificato (sia per l’offshore che per l’onshore sono competenti gli esperti nazionali della commissione tecnica Via), mantenendo comunque inalterata la partecipazione degli enti locali al procedimento per il rilascio dei titoli minerari, nonché la funzione concorrente delle regioni in materia.
  Per le attività di stoccaggio di biossido di carbonio si fa riferimento, invece, al decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 162 di recepimento della direttiva europea 2009/31/CE.
  Ciò premesso, nello specifico delle questioni poste dall'interrogante si rileva quanto segue.
  La società Independent Gas Management s.r.l., in data 31 ottobre 2011, ha presentato, ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 162 del 2011, istanza per il rilascio della licenza di esplorazione per la verifica della fattibilità dello stoccaggio in sotterraneo di biossido di carbonio, denominata «Sibilla», in una struttura geologica, la struttura «Cornelia». Tale struttura, già individuata nel 1969 con la perforazione del pozzo «Cornelia 1» (risultato sterile), è situata nel mare Adriatico centrale, a circa 27 chilometri (14,6 miglia nautiche) dalla costa marchigiana.
  La licenza di esplorazione, come peraltro espresso anche nell'interrogazione, è il titolo minerario che la Società deve acquisire per effettuare le indagini del sottosuolo, necessarie per una corretta valutazione della fattibilità dello stoccaggio nelle strutture geologiche individuate. La licenza di esplorazione, quindi, non autorizza di per se, lo stoccaggio di biossido di carbonio.
  Il progetto di esplorazione prevede:
   l'acquisto e la rielaborazione di linee sismiche 2D e 3D esistenti;
   la predisposizione di un modello geologico statico tridimensionale, di un modello dinamico tridimensionale preliminare, di un modello geo chimico e geo meccanico preliminare;
   la perforazione di un nuovo pozzo a partire dal pozzo esistente «Cornelia 1», fino ad almeno 2.700 metri di profondità, per l'effettuazione di prove in pozzo (per lo studio delle fratture e scanner sonico per lo studio geo meccanico), prove idrauliche, test di permeabilità, prove di fratturazione (leak test), prelievo campioni della roccia di copertura. La perforazione verrà effettuata tramite una piattaforma temporanea di perforazione a 3 gambe di tipo jack-up.

  Ai sensi dell'articolo 8, comma 2, del decreto legislativo n. 162 del 2011, le licenze di esplorazione a mare sono rilasciate, su parere del Comitato nazionale per la gestione della direttiva 2003/87/CE opportunamente integrato, dal Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con procedimento unico nel cui ambito vengono acquisiti gli atti di assenso delle amministrazioni interessate e l'esito della procedura di valutazione d'impatto ambientale.
  Infatti, la normativa prevede che il Ministero dello sviluppo economico ed il Ministero dell'ambiente, nello svolgimento delle proprie funzioni in materia, si avvalgano, come organo tecnico, del Comitato nazionale per la gestione della direttiva 2003/87/CE, integrato da tre componenti, di cui due nominati, rispettivamente, dal Ministro dell'ambiente e dal Ministro dello sviluppo economico, e uno designato dalla Conferenza unificata.
  Il Comitato, ai fini sia del rilascio della licenza di esplorazione che dell'autorizzazione allo stoccaggio, esprime il proprio giudizio avvalendosi di una apposita segreteria tecnica composta da tredici tecnici di comprovata esperienza, ai sensi dell'articolo 4, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 162 del 2011 in rappresentanza di tutte le amministrazioni coinvolte.
  Con riferimento all'istanza di pronuncia di compatibilità ambientale presentata dalla società Independent Gas Management s.r.l., per l'ottenimento della licenza di esplorazione in esame, si rileva che, in data 10 dicembre 2013, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha rilasciato un decreto, adottato di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, con il quale è stata espressa «la compatibilità ambientale del progetto di ricerca finalizzata all'ottenimento della licenza di esplorazione per il progetto Sibilla», subordinatamente al rispetto di determinate prescrizioni.
  Come previsto dalla citata normativa, nel decreto di compatibilità ambientale viene precisato che «il pozzo Cornelia 1 è destinato alla sola attività esplorativa, secondo quanto previsto dagli elaborati di progetto» e che qualsiasi altro diverso utilizzo della struttura (ad esempio per lo stoccaggio) dovrà essere assoggettato a specifica e ulteriore valutazione di impatto ambientale.
  Il decreto di Via, ha, inoltre, prescritto alla società istante di provvedere alla realizzazione del progetto entro cinque anni dalla data di pubblicazione, salvo eventuali proroghe richieste dal proponente, specificando che qualora trascorresse invano tale termine la procedura di valutazione dell'impatto ambientale dovrà essere reiterata.
  Attualmente, il progetto di esplorazione è all'esame del comitato per l'espressione del parere, così come previsto dal citato decreto legislativo n. 162 del 2011.
  Una volta che il comitato avrà completato l'esame dell'istanza ed espresso il proprio parere, il Ministero dello sviluppo economico, acquisirà i pareri delle altre amministrazioni competenti ai fini del rilascio, di concerto con Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della licenza di esplorazione «Sibilla» per lo stoccaggio di biossido di carbonio.
  In conclusione, i lavori relativi al progetto di verifica della fattibilità dello stoccaggio potranno essere avviati solo dopo il rilascio della licenza di esplorazione.
  Per poter effettuare l'attività di stoccaggio vera e propria la società dovrà, una volta completata tale fase di verifica, dimostrare la fattibilità dello stoccaggio, sottoponendo il relativo progetto all'esame del Ministero dello sviluppo economico e al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Il progetto dovrà quindi essere sottoposto a ulteriore valutazione di impatto ambientale e, in caso di esito positivo, dovranno essere acquisiti nuovamente i pareri del citato e delle amministrazioni interessate.
La Sottosegretaria di Stato per lo sviluppo economicoSimona Vicari.