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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 12 novembre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    dal 1o ottobre 2015 si assiste a una tragica recrudescenza della contrapposizione tra israeliani e palestinesi, un crescente livello di violenza e di disordini a Gerusalemme tali da aver di fatto dato inizio ormai alla terza intifada, caratterizzata da numerosi episodi di accoltellamenti delle ultime settimane;
    il conflitto israelo-palestinese è da sempre un tema assai delicato e questi episodi stanno contribuendo sempre più ad alimentare il clima d'odio nella regione, come parimenti fanno le scioccanti dichiarazioni del primo ministro israeliano Netanyahu sull'Olocausto, secondo cui non sarebbe stato Hitler a volere il genocidio degli ebrei bensì il Gran Mufti di Gerusalemme Haj Amin al Husseini a suggerirgliene il proposito;
    nel corso degli anni si è sempre affrontato la questione mediorientale da un punto di vista esclusivamente politico, minacciando e ammonendo ogni volta lo stato di Israele se non avesse rispettato le 80 risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, soprattutto rispetto alle espropriazioni indebite di terre ai palestinesi, e non da un punto di vista giuridico come invece si dovrebbe fare;
    l'obiettivo dell'Unione europea è sempre stato quello di giungere alla soluzione dei due Stati con uno Stato, quello palestinese, indipendente, democratico, contiguo e vitale fianco a fianco con Israele e gli altri vicini; tuttavia, la recente violenta escalation rende però la prospettiva di tale soluzione sempre più difficile, inserita com’è in un contesto regionale già estremamente drammatico;
    tale soluzione fortemente auspicata è quella sostenuta anche dalla comunità internazionale nel senso di un ritorno ai confini del 1967 come stabilito negli accordi di Oslo, ovvero «due Popoli, due Stati», appunto. Questo significa che sugli insediamenti dei coloni anche il Governo di Israele deve fare un passo indietro, essendo essi stati definiti illegali sia dall'Onu sia dall'Unione europea;
    fino ad ora l'Unione europea non è riuscita a essere qualcosa di più di un «contributore» nella regione piuttosto che un «giocatore», trascurando invece l'obiettivo di preservare la fattibilità della soluzione dei due Stati in linea con l'impegno dell'Unione europea e per evitare un'ulteriore escalation che potrebbe alimentare l'instabilità regionale, con ripercussioni dirette per la sicurezza stessa dell'Unione;
    l'articolo 21 del Trattato sull'Unione europea (TUE) precisa che l'azione dell'Unione sulla scena internazionale ha, tra gli altri, le finalità di preservare la pace, prevenire i conflitti e rafforzare la sicurezza internazionale, mentre l'articolo 42 sottolinea che il Consiglio può prendere la decisione di avviare una missione PESD che, ai sensi del successivo articolo 43, comprenda la prevenzione dei conflitti e le attività di mantenimento della pace;
    l'Unione europea dovrebbe svolgere un ruolo fondamentale di mediazione, partendo da una posizione di completa autonomia ed equidistanza dalle parti; le esigenze di sicurezza di Israele devono essere al vertice delle sue preoccupazioni, al pari del diritto all'autodeterminazione dei palestinesi e avere come obiettivo la realizzazione di due Stati, ben definiti nei confini, che convivono serenamente e cooperano in tutti i campi nei quali ciò è possibile, con l'attenta supervisione della comunità internazionale e dell'Onu;
    a parere dei presentatori del presente atto di indirizzo, in questo ambito, considerati anche i molteplici e importanti interessi italiani nel Mediterraneo, l'Italia potrebbe e dovrebbe fare molto di più per accreditarsi in un ruolo trainante nelle grandi organizzazioni multilaterali di cui è parte e conquistare un ruolo di primo piano nella vicenda, contribuendo attivamente alla conduzione di un'univoca politica dell'Unione europea;
    è auspicabile che l'Unione Europea, su mandato del Consiglio di sicurezza dell'ONU, predisponga una forza multinazionale di pace che operi nelle zone di frontiera tra Israele e i territori palestinesi e che vigili sulla cessazione di ogni attività bellica in vista di una tregua duratura e della firma del Trattato; la forza multinazionale potrebbe essere composta da elementi non solo europei ma turchi, arabi e musulmani, in modo da legare gli Stati della regione al successo della sua missione, il cui finanziamento potrebbe essere condiviso da tutti partecipanti al processo di pace, Paesi della regione e Stati Uniti inclusi,

impegna il Governo:

   ad avviare tutte le opportune iniziative in sede europea affinché il Consiglio valuti la possibilità di dare corso, in collaborazione con le autorità israeliane e palestinesi, a una missione di pace a Gerusalemme est;
   a valutare la possibilità di assumere iniziative per estendere il mandato di EUPOL per facilitare e contribuire alla protezione dei civili in Cisgiordania e Gerusalemme est (territori occupati) con l'obiettivo di preservare la fattibilità della soluzione dei due stati in linea con l'impegno dell'Unione europea;
   ad assumere iniziative per porre come obiettivi fondamentali delle trattative: il riconoscimento da parte di Hamas dello Stato di Israele e del suo diritto a esistere contestualmente al riconoscimento da parte di Israele del diritto alla creazione di uno Stato palestinese autonomo e indipendente; la soluzione del problema di Gerusalemme capitale; il rientro dei rifugiati.
(1-01062) «Manlio Di Stefano, Spadoni, Sibilia, Del Grosso, Grande, Di Battista, Scagliusi».


   La Camera,
   premesso che:
    la Commissione affari sociali, dopo aver svolto dal marzo al luglio 2015 un'indagine conoscitiva sulle malattie rare – che si è conclusa il 28 luglio con l'approvazione del documento conclusivo –, nel settembre scorso ha approvato alla unanimità una risoluzione, sul presupposto del documento conclusivo approvato a luglio, in cui sono contenuti alcuni impegni al Governo che costituiscono al tempo stesso una tutela per i malati e un forte incentivo alla ricerca. Si tratta di due finalità strettamente collegate tra di loro anche in funzione della prossima creazione degli ERN (European Reference Network). Le malattie rare, identificate dall'Unione europea come settore di sanità pubblica per cui è fondamentale la collaborazione tra gli Stati membri, fin dal 1999, con l'adozione della decisione del Parlamento europeo e del Consiglio n. 1295, che adotta un programma d'azione comunitaria in tale ambito, sono state spesso oggetto di raccomandazioni comunitarie finalizzate all'adozione di programmi con obiettivi ampiamente condivisi. Il contesto in cui si collocano attualmente le malattie rare abbraccia infatti tutta l'Europa in una lunga sinergia di progetti come Europlan, Eurordis, Orphanet e dal prossimo 2016 le Reti europee dei centri di eccellenza (ERN);
    come è emerso più volte durante le audizioni svolte nel corso della indagine conoscitiva, la scarsa consuetudine clinica e la scarsa disponibilità di conoscenze scientifiche, che derivano dalla rarità delle malattie, compresi i tumori rari, determina spesso lunghi tempi di latenza tra l'esordio della patologia e la diagnosi, nel caso delle malattie rare o diagnosi patologiche e trattamenti non idonei (nel caso dei tumori rari 1), incidendo negativamente sulla prognosi del paziente. Ma è proprio sul piano del diritto alla salute e più specificamente del diritto alle cure, che le richieste dei pazienti si fanno sempre più incalzanti e meno disposte alla rassegnazione nei confronti di un sistema burocratico a volte lento e farraginoso. L'Italia è stata presente fin dall'inizio in tutti gli organismi che si sono occupati di ricerca scientifica nel campo delle malattie rare a vari livelli: genetico, metabolico, farmacologico e assistenziale; dalla diagnosi precoce alla organizzazione della rete e dei servizi collegati, compresa l'integrazione tra le associazioni di malati. La competenza specifica e la disponibilità alla collaborazione del nostro Paese sono state oggetto di considerazione ed apprezzamento da parte di tutti i partner europei. E lo stesso è avvenuto in relazione ai tumori rari e alla rete di strutture di supporto che in questi anni si è andata formando, sia pure su base prevalentemente volontaristica;
    uno strumento di lavoro fondamentale in questo campo è infatti rappresentato proprio dalla rete, nelle sue diverse articolazioni e con i suoi obiettivi specifici. La Rete nazionale delle malattie rare, istituita in Italia nel 2001, prevedeva già da allora il registro nazionale delle malattie rare (RNMR) e regolamentava l'esenzione da una serie di costi per le patologie inserite in una determinata lista, stabilita dal decreto ministeriale n. 279 del 2001. La lista da allora non è stata più aggiornata. All'istituzione della Rete nazionale hanno fatto seguito due importanti accordi Stato-regioni, rispettivamente nel 2002 e nel 2007, dopo di che si è assistito ad un deciso rallentamento delle iniziative a favore di questi malati, considerati rari. L'assistenza ai malati rari richiede una serie molto complessa e articolata di interventi, che coinvolgono l'organizzazione, la programmazione e il finanziamento dell'intero sistema sanitario nazionale. Le difficoltà che i malati rari incontrano, per vedere soddisfatti i loro bisogni di presa in carico, dipendono da una molteplicità di fattori, quali la complessità delle azioni e degli interventi richiesti dalle specifiche patologie presentate dai pazienti, la necessità di coinvolgere un numero elevato di soggetti e specializzazioni per fornire loro un servizio adeguato, la differenza qualitativa che si registra nei servizi sanitari regionali del nostro Paese, nonché elementi strutturali, alcuni dei quali potrebbero essere fin da ora oggetto di azioni positive di miglioramento;
    l'Italia ha coordinato due progetti europei sui tumori rari, Surveillance of rare cancers in Europe (RARECARE) e Information network on rare cancers (RARECAREnet). Il primo, attraverso un processo di consenso, ha proposto la definizione di tumori rari ed ha prodotto una lista di 198 tumori rari. Il secondo progetto ha lavorato sulla definizione di centro di expertise per i tumori rari fornendo criteri generali e specifici per alcuni gruppi di tumori. Il Ministero della salute italiano ha supportato finanziariamente due progetti sui tumori rari, RITA (Surveillance of rare cancers in Italy) e RITA2 (Rare Cancers in Italy: surveillance and evaluation of the access to diagnosis and treatment), con gli obiettivi di fornire dati epidemiologici sui tumori rari in Italia e di raccogliere informazioni sulla qualità delle cure per alcuni tumori rari in Italia. Questi progetti sono stati basati sull'ampia collaborazione tra diversi esperti: patologi, oncologi, radioterapisti, chirurghi, epidemiologici, registri tumori di popolazione e volontariato oncologico (Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia – FAVO);
    i tumori rari condividono con le malattie rare l'aspetto della rarità, ma sono diversi per il fatto che si qualificano come tumori e in quanto tali appartengono ad una delle patologie più frequenti in Italia. Gli stessi tumori rari sono rari, se presi singolarmente, ma non sono tali se considerati cumulativamente. Il progetto «surveillance of rare cancers in Italy» (RITA) ha infatti calcolato che i 198 tumori rari corrispondono a circa il 23 per cento dei nuovi casi di tumore maligno in Italia (circa 1 tumore su 5 è un tumore raro);
    tra le principali differenze tra le malattie rare e i tumori rari se ne possono segnalare alcune per meglio comprendere la specificità dei due ambiti. I tumori rari sono tumori e quindi malattie sub-acute e vengono identificati in base all'incidenza ovvero al numero di nuovi casi/anno, mentre le malattie rare sono malattie croniche e quindi la prevalenza, che riflette il numero totale di casi in un determinato periodo nella popolazione, quantifica adeguatamente il peso che una malattia cronica ha a livello di popolazione. I tumori rari hanno una eziologia multifattoriale, mentre le malattie rare sono prevalentemente di origine genetica. I tumori rari hanno un andamento di tipo subacuto, caratterizzato da singoli eventi critici; mentre le malattie rare sono piuttosto malattie croniche, progressive e degenerative;
    nel loro insieme, i tumori rari costituiscono il 23 per cento dei nuovi casi di tumore maligno. Fanno parte dei tumori rari tutta la famiglia dei tumori pediatrici, molti della famiglia dei tumori ematologici, dieci famiglie di tumori solidi dell'adulto. In pratica, vi sono dodici famiglie di tumori rari, che sono seguite da comunità diverse di medici, pazienti, istituzioni di riferimento. Sono sarcomi; tumori rari della testa e collo; tumori del sistema nervoso centrale; mesotelioma e timoma; tumori delle vie biliari; tumori neuroendocrini; tumori delle ghiandole endocrine; tumori rari urogenitali maschili; tumori rari ginecologici; tumori degli annessi cutanei e melanoma delle mucose e dell'uvea;
    per queste famiglie, l'oncologia, in Italia ed in Europa, ha creato tipi diversi di collaborazioni, da quelle per la ricerca clinica, a quelle che producono linee guida per la pratica clinica; dalle collaborazioni su progetti ad hoc, alle reti di sorveglianza epidemiologica, per concludere con le reti di pazienti. In considerazione di queste realtà già presenti e funzionanti in buona parte dei Paesi europei, è necessario creare più Reti di riferimento europee (ERN) sui tumori rari, corrispondenti alle dodici famiglie di tumori rari che afferiscono alle relative comunità di medici, pazienti, istituzioni che se ne occupano. Il governo italiano dovrebbe sostenere con decisione a livello europeo che le ERN corrispondano alle esistenti comunità di clinici, ricercatori, istituzioni, pazienti, cioè alle dodici famiglie di tumori rari e che – perché funzionino – siano definiti ed accreditati ufficialmente i centri di riferimento che le costituiscono, secondo i criteri che le diverse comunità scientifiche di riferimento avranno prodotto;
    i dati epidemiologici relativi all'Italia sono stati raccolti nell'ambito del progetto RITA2 e si basano sui registri tumori di popolazione italiani dell'AIRTUM (htpp://www.registri-tumori.it/cms/it). Attualmente infatti non esiste un registro nazionale dedicato i tumori rari, diversamente da quanto avviene per le malattie rare per le quali il decreto n. 279 del 2001 ha istituito un registro nazionale presso l'Istituto superiore di sanità. Quindi per i dati epidemiologici sui tumori rari ci si avvale dei registri tumori, fonte affidabile grazie all'esperienza ultradecennale nel fornire correntemente i dati epidemiologici su tutti i tumori. Resta comunque il problema che sebbene l'AIRTUM sia impegnata nella produzione di una monografia dedicata ai tumori rari, tuttora questi tumori non appaiono ancora nelle statistiche correnti né in Italia né in altri Paesi europei. Appare quindi importante garantire un costante aggiornamento dei dati epidemiologici volto anche ad aumentare le informazioni di base raccolte sui tumori rari in modo da poterle utilizzare, ai fini sia di una adeguata programmazione dei servizi sanitari che per la valutazione del loro impatto;
    in Italia, le reti dell'Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica (AIEOP) e del Gruppo italiano delle malattie ematologiche dell'adulto (GIMEMA) sostengono da anni la ricerca clinica, rispettivamente, nei tumori pediatrici e nei tumori ematologici, e contribuiscono a mantenere una buona qualità di cura tra centri di riferimento. Per quanto riguarda i tumori rari solidi dell'adulto (che corrispondono al 15 per cento di tutti i tumori rari e che sono molto meno presidiati da centri di riferimento specifici), dal 1997 la Rete tumori rari opera per migliorare la qualità di cura e diminuire la migrazione sanitaria attraverso la condivisione a distanza di singoli casi clinici;
    nel 2012 e nel 2013, gli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale del servizio sanitario nazionale ne hanno incorporato il progetto, con lo scopo di far divenire la Rete tumori rari una «risorsa permanente del sistema sanitario nazionale», interfacciata con le reti oncologiche regionali, attraverso una governance ed un finanziamento centrali, in collaborazione con le regioni. Questa rete ha costituito un punto di riferimento importante per una migliore assistenza ai malati di tumori rari ma, contrariamente a quanto stabilito negli obiettivi di carattere prioritario per il 2012 e 2013, la Rete tumori rari non è stata confermata negli ultimi obiettivi di carattere prioritario, rendendo privo di un progetto formale l'unico punto di riferimento in rete per i pazienti italiani con tumori rari solidi dell'adulto;
    al contrario, la relazione finale del Gruppo di lavoro sulla Rete tumori rari del Ministero della salute, istituito con decreto ministeriale 14 febbraio 2013, ha proposto una serie di azioni, condivise dal Ministro, tra cui la formalizzazione a livello Stato-regioni della predetta Rete;
    il decreto ministeriale 14 febbraio 2013 aveva istituito un gruppo tecnico di lavoro sui tumori rari, che ha consegnato al Ministero della salute le sue conclusioni nel maggio 2015. Il gruppo di lavoro ha lavorato con il mandato di fornire elementi di analisi, identificare criticità e definire proposte in merito a quattro obiettivi:
     a) fornire indirizzi per la progettazione e valutazione dei progetti regionali attuativi, nell'ottica di promuovere la collaborazione permanente tra i centri oncologici distribuiti su tutto il territorio nazionale;
     b) formulare proposte per il pieno raggiungimento degli scopi della rete (RTR), che attualmente ha carattere prevalentemente tecnico-professionale, frutto di un processo di aggregazione spontanea che non va disperso, ma va potenziato e reso fruibile da tutti coloro che ne abbiano bisogno;
     c) elaborare proposte per aumentare l'accesso ai farmaci nel trattamento dei tumori rari, rivedendo i requisiti normativi delle evidenze scientifiche necessarie per accedere all'uso compassionevole dei farmaci (decreto ministeriale 8 maggio 2003), e indispensabili per circoscrivere gli usi off-label nei tumori rari a centri clinici di documentata esperienza in tal senso;
     d) stabilire criteri e metodi per la classificazione nosologica dei tumori rari, facendo riferimento allo studio «Surveillance of rare cancers in Italy»: la definizione di tumore raro va basata sulla incidenza, che è il miglior indicatore di frequenza e i tumori vanno distinti in base a caratteristiche anatomo-patologiche (OMS);
    le criticità maggiori emerse nell'ambito della cura e del trattamento dei tumori rari solidi dell'adulto riguardano quattro aspetti concreti:
     a) la necessità di poter accedere in tempi ragionevoli ad una seconda diagnosi, perché la prima nel 40 per cento dei casi si rivela inidonea;
     b) la necessità di accedere obbligatoriamente ad un centro di riferimento per il trattamento chirurgico, che rappresenta il cardine della cura e che – se condotto senza esperienza specifica – compromette seriamente le probabilità di guarire del singolo paziente;
     c) la possibilità di accedere con la formula «per uso compassionevole» a farmaci che abbiano mostrato risultati di attività ed efficacia anche qualora non siano disponibili studi formali di fase seconda, o non vi sia un'iniziativa di registrazione in corso da parte dell'azienda farmaceutica produttrice, o non vi siano sperimentazioni in corso, e altro (in molto Paesi ciò è già possibile);
     d) l'urgenza di disporre di una rete nazionale per i tumori rari, articolata secondo parametri condivisi, in cui sia possibile per i centri oncologici privi di un expertise iper-specialistico su un determinato tumore raro accedere a tele-consultazioni e condivisioni cliniche prolungate con centri di eccellenza;
    la RTR, esattamente per la rarità delle patologie di cui si occupa, deve configurarsi come rete di respiro nazionale con caratteristiche e necessità specifiche. In particolare deve prevedere il coinvolgimento di tutte le regioni, in sede di accordo Stato-regioni e pubbliche amministrazioni; le caratteristiche vanno adeguatamente e strutturalmente specificate (criteri di identificazione dei nodi della rete) dalle regioni in modo tale che la RTR possa essere facilmente riconoscibile; occorre implementare le funzioni di carattere nazionale, mediante la valorizzazione del sistema informativo/informatico e in coerenza con la normativa regionale delle «prestazioni per la rete»,

impegna il Governo:

   al fine di evitare l'interruzione dell'operatività della attuale Rete nazionale delle malattie rare, conseguente alla decisione della Conferenza Stato-regioni, a promuovere rapidamente iniziative in grado di assicurarne la continuità così da «traghettare», come già previsto, l'inserimento della Rete tumori rari nel servizio sanitario nazionale;
   a formalizzare una lista di tumori rari, sulla base di quella proposta dal gruppo di lavoro sulla Rete tumori rari, seguendo le conclusioni del progetto Rarecare;
   ad avviare un percorso che conduca alla definizione di criteri per l'accreditamento di centri di riferimento per i tumori rari, con l'obiettivo di centralizzarne il trattamento locale e raccordandone l'azione all'interno delle reti collaborative, così da massimizzarne l'efficacia;
   a costituire un gruppo di lavoro per l'avanzamento del progetto della Rete tumori rari, coinvolgendo i registri tumori di popolazione e le associazioni di volontariato oncologico;
   ad assicurare un più agevole accesso per i malati di tumore raro all'uso compassionevole dei farmaci attraverso l'aggiornamento del decreto ministeriale 8 maggio 2003 («Uso terapeutico di medicinale sottoposto a sperimentazione clinica»);
   ad investire sulla ricerca clinica e di sanità pubblica per i tumori rari, innanzitutto prevedendo una regolare sorveglianza epidemiologica dei tumori rari, a partire dal lavoro svolto nell'ambito di Rarecare e Rarecarenet dalla struttura di epidemiologia dell'Istituto nazionale tumori di Milano, in collaborazione con l'Associazione italiana registri tumori (AIRTUM);
   a valorizzare le eccellenze presenti nei centri di riferimento italiani, per realizzare un monitoraggio efficace degli standard di eccellenza, a livello scientifico, clinico-assistenziale ed organizzativo;
   a supportare la Commissione europea nella procedura di valutazione e selezione dei centri di riferimento italiani che entreranno a far parte delle European Reference Network su base rigorosamente meritocratica, con indicatori precisi e condivisi;
   a diffondere le informazioni relative alle European Reference Network, agli standard necessari per entrare a farne parte e alle opportunità che potrebbero scaturire fin da subito per la ricerca a vario livello, stimolando processi di autovalutazione della qualità del lavoro nel proprio centro;
   a proporre modelli di integrazione e di collaborazione tra i nodi di eccellenza delle reti e i diversi operatori del servizio sanitario nazionale, in modo da favorire la conoscenza reciproca e lo scambio di competenze necessarie per garantire un'attività scientifica e assistenziale sempre più efficace sull'intero territorio nazionale;
   a potenziare la capacità di ricerca e di formazione dei centri, attraverso la partecipazione a progetti di ricerca scientifica dedicati ai tumori rari sia sotto il profilo diagnostico-assistenziale che sotto quello della organizzazione dei servizi e dei modelli di presa in carico dei pazienti a livello individuale e familiare;
   a verificare che in tutti i tavoli di lavoro in cui si trattano i tumori rari siano presenti i rappresentanti delle associazioni di malati che hanno raggiunto livelli di esperienza e di competenza di riconosciuto valore;
   a investire sulla sicurezza dei pazienti affetti da tumori rari attraverso: elevata e comprovata competenza dei professionisti, riconosciuta qualità scientifica, capacità di giungere a diagnosi precoci in modo corretto, elevata esperienza specifica sul trattamento locale, inserimento dei pazienti in progetti di sperimentazione farmacologica ad elevata probabilità di successo, presenza di un monitoraggio costante e continuo delle procedure;
   a investire sull'aggiornamento dei pediatri di base e dei medici di medicina generale perché collaborino con i centri di riferimento nel riconoscimento di «sintomi sentinella», nella prevenzione primaria e secondaria, e attraverso un'opportuna diffusione dei fattori di protezione e dei fattori di rischio;
   a facilitare il riferimento dei pazienti ai centri della rete nelle fasi iniziali della cura, attraverso un capillare sistema informativo con il coinvolgimento del volontariato oncologico;
   ad assumere iniziative per facilitare la ricerca sul piano farmacologico attraverso misure di defiscalizzazione attrattive per gli investitori, soprattutto quando si tratta di «farmaci orfani» che potrebbero fungere da salvavita;
   a facilitare l'accesso dei pazienti ai farmaci off label, utilizzando il cosiddetto fondo AIFA, anche attraverso un opportuno coinvolgimento dei medici curanti, in modo da garantire ai malati un costante ed efficace interessamento nei loro confronti, pur in assenza, per il momento, di soluzioni certe e definitive.
(1-01063) «Binetti, Bosco, Pagano, Calabrò, Sammarco, Minardo, Garofalo, Vella, Tancredi, Scopelliti, Pizzolante, Cera».

Risoluzioni in Commissione:


   La VII Commissione,
   premesso che:
    circa 600 dipendenti delle università italiane sono inquadrati a tempo indeterminato come personale tecnico-amministrativo (di seguito indicato come PTA) e si trovano in una situazione di forte ambiguità riguardante la discrasia tra il loro ruolo e l'effettiva attività svolta;
    si tratta di dipendenti in possesso di un'elevata formazione e di specifiche competenze nel campo della ricerca, testimoniate da numerose pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali, brevetti e partecipazioni a progetti di ricerca;
    come conseguenza dell'attività di ricerca svolta, molti dei suddetti dipendenti hanno ottenuto l'abilitazione scientifica nazionale (di seguito indicata come «ASN») a posti di professore di I e II fascia e svolgono un'attività di formazione e tutoraggio;
    nonostante le competenze e le attività illustrate in premessa, i 600 dipendenti delle università italiane sono equiparati al personale amministrativo, che ha funzioni e competenze molto diverse, equiparazione che impedisce loro di vedersi riconosciuto il proprio ruolo;
    fino a qualche anno fa il quadro di riferimento normativo li aveva fortemente penalizzati, sul piano dell'attività sia di ricerca sia didattica dal momento che la loro partecipazione ai gruppi e ai progetti di ricerca sono state solo recentemente formalizzate dalla legge n. 240 del 2010 (articolo 18, comma 5, lettera e)), che ha anche rimosso il divieto di conferire incarichi di insegnamento al PTA, introdotto con la legge n. 230 del 2005 (articolo 1, comma 10);
    il ruolo della suddetta categoria è stato più volte oggetto di rivalutazione:
     il decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382 (articolo 49 e 50) ha consentito l'inquadramento nella fascia dei professori associati del personale tecnico laureato che aveva maturato tre anni di attività di ricerca e di didattica. Coloro che non furono ritenuti idonei al concorso, sono attualmente parificati ai ricercatori a tempo indeterminato per quanto riguarda tutte le attività sia didattiche che di ricerca;
     la legge n. 4 del 14 gennaio 1999 (articolo 1, comma 10) ha consentito l'inquadramento nel ruolo di ricercatore confermato di parte del personale tecnico vincitore di concorsi per posizioni professionali che prevedevano come requisito di accesso il diploma di laurea e in ruolo da tre anni. Questi requisiti però di fatto esclusero coloro che, pur essendo in possesso del diploma di laurea, erano entrati in ruolo mediante concorsi per il cui accesso non era prevista la laurea;
    nessuna proposta di riforma dell'università attuata in anni recenti ha considerato l'opportunità di riqualificare il ruolo del PTA in possesso di specifiche competenze nel campo della ricerca come una delle misure volte al miglioramento dell'efficienza del sistema universitario e, se non verranno presi opportuni provvedimenti, l'attività svolta dai dipendenti universitari non potrà avere alcuna evoluzione, perché l'attività di ricerca svolta non viene adeguatamente valutata nelle progressioni all'interno della carriera di tecnico;
    coloro che hanno conseguito l'ASN vengono difficilmente chiamati su posti da professore, nonostante l'articolo 18, comma 1, lettera b), della legge n. 240 del 2010, preveda per la chiamata dei professori l'ammissione al procedimento di studiosi in possesso dell'abilitazione per il settore concorsuale e per le funzioni oggetto del procedimento;
    per l'accesso ai ruoli di professore di I e II fascia fino ad ora il PTA con ASN è stato discriminato rispetto ai ricercatori universitari a tempo indeterminato perché le procedure di chiamata possono essere utilizzate «per la chiamata nel ruolo di Professore di I e II fascia di professori di II fascia e ricercatori a tempo indeterminato in servizio nell'università medesima, che abbiano conseguito l'abilitazione scientifica di cui all'articolo 16» (articolo 24, comma 6, della legge n. 240 del 2010). Inoltre, per queste chiamate vengono destinati fondi appositi (decreto ministeriale 8 giugno 2015, n. 335, articolo 10), fatto salvo il 20 per cento dei posti riservati agli esterni;
    coloro che non hanno conseguito l'ASN non vengono presi in considerazione per posizioni da ricercatore a tempo determinato di tipo b (di seguito indicati come RTDb), mentre a norma di legge l'ASN non è richiesta per diventare RTDb e la valutazione per il passaggio al ruolo di professore di II fascia avviene al termine del terzo anno di servizio come RTDb;
    regolarizzare le loro posizioni consentirebbe un incremento del personale ufficialmente addetto alle attività didattiche e di ricerca delle università mediante la riqualificazione di personale in servizio a tempo indeterminato e già operante nel campo della ricerca e in attività formative e il costo di questi provvedimenti sarebbe quindi uguale alla sola differenza stipendiale tra la posizione attuale e la nuova posizione di RTDb/PA/tecnologo, in accordo con le esigenze di efficacia, efficienza e contenimento dei costi,

impegna il Governo:

   ad assumere le iniziative di competenza per una valutazione e ad un conseguente inquadramento all'interno delle università sulla base delle competenze e dell'attività svolta dai dipendenti universitari facenti parte del personale tecnico-amministrativo (PTA);
   ad assumere iniziative per delineare, per i dipendenti di cui sopra, un ruolo separato da quello amministrativo e analogo a quello del tecnologo già previsto per tutti gli enti di ricerca pubblici (CNR, INFN, INAF);
   ad assumere iniziative per eliminare ogni discriminazione che attualmente impedisce ai dipendenti facenti parte del personale tecnico-amministrativo in possesso dell'ASN, ma che non è ricercatore universitario a tempo indeterminato, di accedere ai ruoli di professore di II fascia;
   a prevedere opportune iniziative atte ad eliminare qualsiasi tipo di discriminazione che attualmente impedisce l'accesso alla posizione di RTDb a coloro che non hanno conseguito l'ASN.
(7-00841) «Civati, Segoni, Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Mucci, Prodani, Rizzetto, Turco».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    la Costituzione italiana, così come le altre Costituzioni degli Stati di democrazia liberale, garantisce la libertà di circolazione (si veda l'articolo 16 della Costituzione, secondo cui: «Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità e di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche. Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvi gli obblighi di legge»);
    l'Unione europea è nata intorno ad alcuni grandi principi ed obiettivi, fra i quali va evidenziato, nell'ottica della costruzione di un mercato concorrenziale delle merci e delle prestazioni lavorative, il principio della libera circolazione di merci e persone nel territorio degli Stati membri;
    nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, ora incorporata nel Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa, la libertà di circolazione è garantita all'articolo II-105 (che recita: «Ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. La libertà di circolazione e soggiorno può essere accordata, conformemente al Trattato che istituisce la Comunità europea, ai cittadini dei Paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio di uno Stato membro»);
    il nostro Paese, nel corso di questi ultimi anni, ha garantito, sia pure con difficoltà, l'esercizio del diritto alla mobilità dei cittadini. Tuttavia, l'attuale assenza di certezza di risorse finanziarie adeguate per il settore dei trasporti e della circolazione rischia di pregiudicare in modo inevitabile l'esercizio di tale diritto, colpendo particolarmente le fasce meno abbienti della popolazione e i pendolari che sono da sempre costretti a subire le conseguenze di tale situazione;
    questi ultimi anni, in particolare, come emerge dalla stampa nazionale e locale, sono stati davvero terribili per i circa tre milioni di pendolari che ogni giorno si muovono nel nostro Paese;
    secondo quanto emerge dal rapporto Pendolaria 2014 curato da Legambiente in Sicilia si sarebbero registrati solo tagli sino ad oggi con nessun treno nuovo, mentre in Piemonte e in Campania è stato registrato il crollo numerico dei pendolari. Diversamente dove si investe i passeggeri crescono come in Alto Adige, Toscana e Puglia;
    quella descritta dal rapporto Pendolaria 2014 è in sostanza un'Italia che viaggia a due velocità: da una parte l'alta velocità delle Frecce e di Italo che collegano Roma, Milano, Napoli, Torino, Venezia con una offerta sempre più ampia, articolata e sempre più remunerativa. Tra Roma e Milano l'aumento dell'offerta in 7 anni è stato pari al 450 per cento, e anche nel 2014 i passeggeri sono cresciuti dell'8 per cento. Dall'altra parte quella «lenta» dei treni regionali, dove si viaggia troppo spesso tra tagli (–21 per cento in Abruzzo e –16 per cento in Calabria), ritardi e disservizi, e con oltre 1.189 chilometri di rete ferroviaria «storica» ormai chiusi. In questa Penisola a due velocità, si riduce il numero dei passeggeri sulle linee regionali: se ne contano 90.000 in meno al giorno, ma con differenze sostanziali tra le regioni e a causa proprio dei continui tagli effettuati in questi anni al trasporto ferroviario con risultati evidenti. Ad esempio, in Campania dal 2010 ad oggi sono stati effettuati tagli complessivi del 19 per cento al servizio con punte di –50 per cento su alcune linee. La conseguenza è che ci sono 150.000 persone in meno sui treni campani. In Piemonte, invece, i tagli e la cancellazione di ben 14 linee hanno portato a far scendere i viaggiatori da 236.000 al giorno nel 2012 ai 203.000 attuali. Eppure se si potenziasse e migliorasse il servizio, i viaggiatori aumenterebbero come nel caso della regione Toscana a seguito della riapertura della linea Cecina-Saline di Volterra, nella regione Puglia per il progetto integrato per l'area metropolitana di Bari, con un grande successo in particolare della linea Bari-Aeroporto e, infine, nella provincia di Bolzano per il recupero delle linee della Val Venosta e della Val Pusteria, dove gli investimenti in materiale rotabile e nelle stazioni hanno portato a quasi triplicare i passeggeri, passati da 11 mila nel 2011 a 29.300;
    la difficile situazione che i pendolari stanno vivendo soprattutto in questi ultimi anni deriva inesorabilmente dai tagli al trasporto pubblico e dall'assenza di controlli. Ovviamente non è colpa dei Frecciarossa se la situazione è così difficile per i pendolari come per chi si muove sulle direttrici nazionali «secondarie», ma è vero che quel che sta accadendo è «figlio» di investimenti e attenzioni, che oggi si devono spostare nelle aree urbane per dare risposta a quasi 3 milioni di cittadini e ai tanti che vorrebbero lasciare a casa ogni giorno l'automobile per prendere un treno. Senza un cambiamento radicale aumenteranno le differenze tra una parte e l'altra del Paese;
    le differenze sono ben visibili usando come paragone le due direttrici principali ad alta velocità. Ogni giorno da Roma verso Milano e Venezia partono 100 treni tra Frecciarossa, Frecciargento e Italo, erano 29 fino al 2010, con un aumento dell'offerta pari al 290 per cento. Sugli Intercity al contrario i tagli dei collegamenti tra il 2010 e il 2013 sono stati del 23 per cento. A Genova i treni che attraversano la città da Voltri a Nervi sono passati da 51 a 35, tra il 2007 ed il 2014, su una linea percorsa ogni giorno da 25 mila pendolari. Un drammatico –31 per cento. A Roma, sulla linea Fiumicino Aeroporto-Fara Sabina, i 75.000 pendolari che ogni giorno si muovono su quella tratta hanno visto cancellare nel 2012 addirittura 3 treni, quando la linea è progettata per «contenere» 50.000 viaggiatori al giorno;
    anche in Lombardia, in modo particolare sulla linea Bergamo-Milano e nel quadrante sud della regione, nelle province di Pavia, Cremona e Mantova si registrano continui disagi, ritardi e soppressioni di convogli, anche per una non adeguata manutenzione delle linee da parte di Rete ferroviaria italiana;
    i dati raccolti da Legambiente attraverso un questionario inviato alle regioni hanno evidenziato che ogni giorno sono 2.768.000 i passeggeri che usufruiscono del servizio ferroviario regionale. Tra il 2009 e il 2012 si è assistito a un autentico paradosso: mentre i passeggeri aumentavano del 17 per cento le risorse statali per il trasporto regionale su gomma e ferro veniva ridotto del 25 per cento e a ciò è conseguita la ragione della situazione di degrado e incertezza del trasporto ferroviario in Italia, nonché una delle ragioni che ha portato alla diminuzione del numero dei pendolari nel corso dell'ultimo biennio. Oltre a Campania e Piemonte, il numero dei pendolari è sceso ad esempio anche in Liguria e Abruzzo dove nel solo ultimo anno si è passati rispettivamente da 105.000 a 94.000 viaggiatori al giorno e da 23.500 a circa 19.500;
    accanto alla questione dei tagli, ci sono da sottolineare anche l'aumento del costo di biglietti e abbonamenti e la chiusura di diverse linee ferroviarie come la Piacenza-Cremona. Nel 2014 l'aumento più consistente dei biglietti ha riguardato la Calabria con un +20 per cento a fronte di un servizio sempre più carente sia in qualità sia in quantità dei treni circolanti. Altri aumenti anche in Piemonte del 47 per cento, in Abruzzo del 25 per cento, in Toscana per oltre il 21 per cento (ma con tariffe scontate per i redditi bassi), nel Lazio del 15 per cento e con un servizio inadeguato alla grande richiesta presente in questa regione, ed in Liguria dove gli aumenti che si sono susseguiti hanno portato ad un +41 per cento rispetto al 2010. Ed ancora nel corso del periodo 2010-2014 altri aumenti si sono registrati anche in Umbria (+25 per cento), Campania (+23,7 per cento) ed in Lombardia (+23;4 per cento), dove però non sono stati tagliati i servizi;
    è vero che in Italia il prezzo del biglietto è in media più basso che negli altri Paesi europei, ma i servizi che vengono offerti, nel rapporto qualità prezzo, non corrispondono minimamente ad una adeguata corresponsione della prestazione dovuta;
    appare quanto mai necessario, in un momento di crisi economica come quello attuale, occuparsi della questione dei pendolari. Invece, in Italia quando si parla di trasporti si guarda solo in due direzioni: fondi per nuove inutili grandi opere e sconti e sussidi agli autotrasportatori. Se nel 2009 il totale dei fondi disponibili per i trasporti su gomma e su ferro corrispondeva a circa 6,1 miliardi di euro; nel 2014, dopo un ennesimo taglio operato dal Governo nei trasferimenti alle regioni, questa voce vale poco più di 4,8 miliardi. Per il necessario funzionamento dei trasporti pubblici, o meglio per garantire il servizio di base, sarebbero invece necessari almeno 6,5 miliardi di euro, dunque mancano almeno il 25 per cento delle risorse;
    i treni pendolari italiani sono i più lenti d'Europa. La media è di 35,9 chilometri orari sulle linee di collegamento con le grandi città, mentre è di 51 in Spagna, 48,1 in Germania; -46,6 in Francia ed i 40,5 del Regno Unito. Oltre che lenti, i treni sono anche vecchi;
    recentissimamente, la Conferenza delle regioni ha evidenziato come il fondo nazionale trasporti istituito con la legge di stabilità per il 2013 non garantisca il pieno ristoro delle risorse del settore rispetto ai tagli operati negli ultimi anni ed è insufficiente a far fronte, non solo agli oneri derivanti dai contratti di servizio in essere, ma soprattutto al rinnovo del materiale rotabile, alla manutenzione straordinaria delle infrastrutture, all'innovazione tecnologica e al rinnovo dei contratti. Per garantire un ristoro completo rispetto alle decurtazioni precedenti, la dotazione del fondo dovrebbe essere elevata da 4.929 milioni di euro a 6.330 milioni di euro;
    una nuova fonte di preoccupazione è poi l'ulteriore taglio di 72 milioni di euro, denunciato sempre alla Conferenza delle regioni, che andrebbe a colpire il fondo nazionale trasporto (in tutto poco meno di 5 miliardi), un settore già oggi in forte sofferenza, per non parlare dell'assoluta necessità che le modalità di utilizzo del fondo non vengano stravolte in modo tale da rendere praticamente inutile quanto previsto, in termini di regole ed efficientamento dal decreto di riparto per il quinquennio 2015-2019, mettendo a repentaglio la programmazione effettuata e le gare già in corso,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa di competenza, garantendo il pieno coinvolgimento delle regioni, per promuovere finalmente scelte coraggiose e mirate in termini di mobilità urbana, a partire dallo stanziamento di maggiori risorse per arrivare a 5.000.000 di cittadini trasportati ogni giorno nel 2020, portando il trasporto ferroviario agli stessi standard qualitativi europei;
   ad attivarsi al fine di garantire il diritto alla mobilità con collegamenti ferroviari efficienti al Nord come al Sud tra i principali capoluoghi, integrati con il sistema di porti e aeroporti;
   a porre in essere ogni iniziativa di competenza finalizzata ad impedire il perdurante taglio dei collegamenti ferroviari, avviando un'azione di monitoraggio sulla rete pubblica affidata in concessione a Rete ferroviaria italiana finalizzata ad un ripensamento degli investimenti indispensabili ad aumentare la velocità dei collegamenti che parta innanzitutto dalla necessità di valorizzare la presenza di treni pendolari rispetto a quelli a mercato nella definizione delle tracce;
   a porre in essere ogni iniziativa di competenza per favorire la competitività del trasporto promuovendo l'aumento dell'offerta di collegamenti sulle principali linee pendolari, la riorganizzazione degli orari attraverso procedure di confronto con gli utenti, il controllo del rispetto del contratto di servizio rispetto alla puntualità;
   ad attivarsi al fine di avviare un programma decennale di investimenti che preveda almeno 300 milioni di euro di risorse statali l'anno per l'acquisto di treni regionali;
   a definire le politiche relative alla mobilità mettendo al centro gli utenti della mobilità, valutando altresì l'opportunità di assumere iniziative per ripristinare il finanziamento di alcune norme introdotte durante il Governo Prodi nell'ambito della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008) e non più rifinanziate dai successivi Governi che prevedono la possibilità di portare in detrazione le spese sostenute per l'acquisto dell'abbonamento annuale ai servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale, al fine di incentivare un maggior utilizzo del trasporto pubblico locale con conseguente riduzione progressiva del trasporto privato, a tutto vantaggio di una mobilità alternativa più sostenibile per gli inevitabili ed evidenti effetti positivi in termini di riduzione delle emissioni dei gas inquinanti, soprattutto nelle aree urbane più grandi e maggiormente caotiche;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per rifinanziare il fondo per la mobilità sostenibile, già istituito con la legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007) al fine di sostenere le politiche di incentivazione della mobilità sostenibile soprattutto nelle grandi aree urbane, attraverso il potenziamento e l'aumento dell'efficienza dei mezzi pubblici e l'incentivazione dell'intermodalità;
   ad assumere iniziative per revocare le risorse impegnate per opere faraoniche non più necessarie al fine di destinare le medesime risorse ad altri interventi, dalla manutenzione e messa in sicurezza della rete ferroviaria italiana, alla manutenzione delle principali infrastrutture di trasporto esistenti, al miglioramento dell'offerta di trasporto pubblico locale;
   a promuovere un concreto efficientamento del trasporto pubblico locale incentivandolo con necessari e adeguati finanziamenti del fondo nazionale trasporti.
(7-00842) «Franco Bordo, Melilla, Ricciatti, Pannarale, Duranti, Costantino, Nicchi, D'Attorre, Zaccagnini, Scotto».


   La X Commissione,
   premesso che:
    secondo quanto emerge dal rapporto su «L'industria chimica in cifre» – predisposto da Federchimica-Confindustria ed aggiornato al giugno 2015 – l'industria chimica «continua ad essere uno dei settori trainanti a livello mondiale. Nonostante la crisi del 2008-09, il consumo mondiale di chimica continua ad aumentare a ritmi intensi (+2,9 per cento nel 2000-2014)» e, in un'ottica di medio-lungo termine, la crescita della domanda mondiale di chimica proseguirà sospinta, da una parte, dai consumi dei Paesi emergenti e, dall'altra, dal fatto che «la spinta, verso lo Sviluppo Sostenibile stimolerà i consumi di chimica anche nei Paesi avanzati non solo in valore (per il crescente contenuto tecnologico dei prodotti chimici), ma anche in volume (per l'aumento della penetrazione dei prodotti chimici nei settori utilizzatori)»;
    inoltre, poiché «una quota preponderante dei prodotti chimici è destinata agli altri settori industriali (68 per cento)», «l'industria chimica rappresenta un elemento chiave per mantenere una base industriale forte in Europa in quanto – attraverso i suoi beni intermedi – trasferisce tecnologia e innovazione ai settori utilizzatori, contribuendo anche alla loro sostenibilità», sicché «la chimica dovrebbe essere al centro delle iniziative della Commissione Europea per riportare l'industria manifatturiera al 20 per cento del PIL»;
    sul versante della, produzione, poi, «dal 2012 la quota degli Emergenti sul valore della produzione chimica mondiale ha superato quella degli Avanzati, che attualmente rappresentano il 45 per cento», ma la chimica europea esprime comunque – con 546 miliardi di euro – il 17 per cento del valore mondiale della produzione, quota che raggiunge il 20 per cento tenendo conto dei Paesi europei non appartenenti all'Unione europea;
    in particolare, l'Italia «è il terzo produttore chimico europeo dopo Germania e Francia e il decimo a livello mondiale. Per alcune produzioni della chimica fine e specialistica, riveste posizioni anche più rilevanti», grazie all'attività di circa 2800 imprese chimiche il cui valore della produzione ammonta a circa 52 miliardi di euro – che generano occupazione diretta per 109 mila unità ed occupazione complessiva per oltre 350 mila unità, con una quota di addetti dedicati alla R&S (4,2 per cento) «decisamente superiore alla media manifatturiera (2,6 per cento)» e con un valore aggiunto per occupato «superiore di circa il 60 per cento alla media manifatturiera»;
    la produzione chimica italiana si connota, ancora, per «una specializzazione forte e crescente nella chimica a valle che rappresenta il 58 per cento del valore della produzione...», e per «la presenza bilanciata di 3 tipologie di attori: le imprese a capitale estero (38 per cento del valore della produzione), i medio-grandi gruppi italiani (24 per cento) e le PMI (38 per cento)»: si tratta di piccole e medie imprese di qualità «come dimostrano i dati per addetto del valore aggiunto e delle spese del personale decisamente più elevati rispetto alle piccole e medie imprese industriali»; quanto ai principali gruppi chimici a capitale italiano, ne fanno parte «grandi realtà della chimica di base e gruppi medio-grandi, poco conosciuti al grande pubblico ma spesso leader nel loro segmento di specializzazione a livello mondiale o europeo»; inoltre, «l'Italia mostra nella chimica una capacità di attrazione degli investimenti esteri più elevata della media manifatturiera e più in linea con la media europea...»;
    per quel che riguarda le performance sui mercati internazionali, «la chimica, dopo la farmaceutica, è il settore italiano con la più elevata incidenza di imprese esportatrici (54 per cento)» e «da diversi anni si evidenziano avanzi significativi e crescenti nella chimica fine e specialistica (2,5 miliardi di euro nel 2014)», risultato anche di «un posizionamento avanzato in termini di internazionalizzazione produttiva» e della centralità di ricerca e innovazione in un settore che presenta «la quota più elevata di imprese innovative in Italia (71 per cento)» ed una «diffusione dell'attività di R&S (42 per cento)», che risulta «più che doppia della media manifatturiera (19 per cento) in quanto nella chimica la ricerca non coinvolge solo i grandi gruppi ma anche tante PMI», facendo così registrare investimenti in ricerca e sviluppo di circa 480 milioni di euro (oltre il 5 per cento del valore aggiunto) e spesa complessiva in innovazione prossima ai 700 milioni di euro (circa l'8 per cento del valore aggiunto), con un posizionamento al primo posto (insieme alla farmaceutica) tra i diversi settori industriali «per quota di imprese che hanno investito in tecnologie e prodotti a favore della sostenibilità ambientale tra il 2008 e il 2014»;
    benché l'incidenza delle spese di ricerca e sviluppo sul fatturato (0,9 per cento) risulti comunque, nel nostro Paese, inferiore alla media europea (1,6 per cento), e pur vero che «in un contesto di concorrenza internazionale sempre più pressante, di costi elevati delle materie prime e – più recentemente – anche di crollo della domanda interna, molte imprese chimiche hanno reagito cercando di innalzare il contenuto tecnologico dei prodotti attraverso un maggiore impegno nella ricerca. La quota di spese di innovazione dedicate alla ricerca è passata, infatti, dal 46 per cento al 68 per cento tra il 2000 ed il 2012»;
    nel rapporto Federchimica di luglio 2015 su «Situazione e prospettive per l'industria chimica», così si legge «Nell'ipotesi che la crisi greca non comprometta la ripresa a livello europeo e italiano, le previsioni per la produzione chimica nazionale portano a chiudere il 2015 con un aumento dell'1,3 per cento sostenuto non solo dall'export (+3,5 per cento) ma finalmente anche dalla domanda interna (+1,4 per cento) dopo 4 anni di calo. Nel 2016 queste tendenze potranno diffondersi ai vari settori e consolidarsi, portando ad una crescita della produzione dell'1,8 per cento. Dopo la sostanziale stabilizzazione del 2014, l'industria chimica in Italia potrà lasciarsi alle spalle la più lunga e pesante recessione del Dopoguerra. L'intensità della ripresa rimarrà, però, modesta e le conseguenze della crisi continueranno a farsi sentire soprattutto per le PMI chimiche più dipendenti dal mercato interno i cui livelli di attività risultano, nella maggior parte dei casi, ancora decisamente inferiori al pre-crisi»;
    nella nota congiunturale di Federchimica, del novembre 2015, su «L'industria chimica in Italia», si legge inoltre «Nonostante la generale debolezza del commercio internazionale, l'export chimico italiano risulta in forte espansione, + 4,9 per cento in valore in presenza di prezzi lievemente cedenti. Il cambio favorevole offre un importante sostegno, ma tale performance è soprattutto il frutto degli sforzi di riposizionamento delle imprese italiane conseguenti alla profonda crisi del mercato interno»; «Preoccupano la frenata degli emergenti e soprattutto le possibili ripercussioni, sulla Germania che rappresenta il principale partner estero non solo per la chimica ma anche per numerosi settori clienti. Ciò nonostante, la ripresa europea è attesa consolidarsi grazie al rafforzamento della domanda interna e le previsioni, per il cambio euro/$ rimangono favorevoli. Inoltre, uno scenario di quotazioni del petrolio al di sotto dei 60 $ rappresenta un sollievo per i margini, dopo anni di forte sofferenza, e ridimensiona la competitività delle produzioni extra-europee (alimentate ad etano, derivato del gas naturale) rispetto a quelle europee (alimentate a virgin nafta, derivato del petrolio)»;
    nel contesto strutturale e nel quadro congiunturale fin qui delineati, è intervenuto, il 30 ottobre 2015, l'incontro tra l'amministratore delegato di ENI, dottor Claudio Descalzi, ed i segretari generali di Filctem-Cgil, Femca-Cisl e Uiltec-Uil – Emilio Miceli, Angelo Colombini e Paolo Pirani nel corso del quale, come riportato nel comunicato stampa diffuso dalle organizzazioni sindacali, è stata rappresentata la riorganizzazione di ENI e sono stati confermati «i contatti con Fondi internazionali con i quali ENI sta negoziando la cessione di quote di Versalis. Inoltre è stato rappresentato come il tema della salvaguardia dell'occupazione e dell'attuale piano industriale di Versalis siano per Eni due condizioni indispensabili ai fini di scegliere il partner. In ogni caso l'Eni manterrà una quota di garanzia all'interno di Versalis e dunque non si tratterebbe di una cessione totale della propria società chimica»;
    «Su questo punto – prosegue il comunicato stampa delle organizzazioni sindacali – abbiamo espresso le nostre perplessità in ordine alle preoccupazioni sulla tenuta della filiera chimica in Italia e sul rischio che una ipotesi di cessione di quote, in una fase caratterizzata dal basso costo del petrolio, possa generare appetiti speculativi. Rassicurazioni inoltre sono venute in ordine alle raffinerie di Sannazzaro, Livorno e Taranto, mentre su Gela l'Eni conferma il piano di investimenti già in corso di esecuzione (...) Eni ha confermato l'interesse verso la costituzione di un ramo funzionale nell'area «retail» del gas, ancora allo studio e non di imminente realizzazione, mentre sulla riorganizzazione di Saipem manterrà una funzione di garanzia sui futuri livelli occupazionali»;
    «Anche su questi punti – conclude il comunicato – abbiamo espresso le nostre preoccupazioni sull'impatto generale delle decisioni – prese ed in itinere – ed abbiamo informato Eni che è nostra intenzione chiedere un tavolo di confronto politico con il Governo sulle refluenze possibili che il processo di riorganizzazione dell'Eni può determinare sull'assetto industriale del Paese e sulla presenza dell'azienda sul territorio»;
    per quel che riguarda Versalis – la più grande società chimica italiana – le preoccupazioni manifestate dalle organizzazioni sindacali muovono, dunque, dallo stato di attuazione del piano industriale 2015-2018, che – con investimenti per circa 1,2 miliardi di euro aggiuntivi rispetto agli oltre 400 milioni di euro impegnati a partire dal 2012 – punta allo sviluppo di progetti di chimica verde e delle «specialities», ma segnala oggi la necessità di coerenti accelerazioni – in particolare per i siti di Porto Torres, Priolo e Porto Marghera – determinanti proprio nell'ottica della «tenuta della filiera chimica in Italia»;
    peraltro, lo stesso amministratore delegato di Eni, dottor Claudio Descalzi, aveva illustrato – nel contesto della sua audizione da parte della questa Commissione X della Camera in data 5 novembre 2014 – un documento di presentazione della strategia complessiva della società, ricomprendente anche azioni di recupero nel settore della chimica attraverso il «Piano di rilancio Versalis», avente come obiettivo il raggiungimento del breakeven operativo a fine 2016 e declinato attraverso le seguenti linee di azione: ottimizzazione della capacità di conversione della chimica di base; flessibilizzazione delle cariche; valorizzazione delle tecnologie di proprietà; nuove piattaforme di chimica verde; sviluppo prodotti «specialties» e internazionalizzazione;
    il 6 novembre 2015 si è svolto, a Roma, il Coordinamento sindacale del gruppo Eni e, in tale circostanza, i segretari generali di Filctem-Cgil Femea-Cisl ed UiltecUil hanno così dichiarato: «Il piano ENI esclude in prospettiva il paese ed alcune importanti filiere industriali – dall'estrazione, alla raffinazione, alla chimica – con il rischio concreto di un disimpegno ed un secco ridimensionamento»; «ENI, con il nuovo piano di riassetto, abbandona la chimica verde e la relega a fanalino di coda dell'Europa. Ancora una volta un'occasione perduta: si accumulano tagli nei processi di riconversione, insieme ad un abbandono di siti importanti come Porto Marghera, Porto Torres, Gela e alla stessa incertezza della prospettiva industriale di Saipem. Verranno azzerati in Italia gli investimenti previsti, mentre l'interesse dell'Eni sembra rivolto esclusivamente ai mercati internazionali. Ciò deprimerà le politiche di ricerca e innovazione che un grande campo come la chimica verde necessita nella competizione internazionale e nella acquisizione di quote di mercato»;
    sulla scorta di tali valutazioni, le organizzazioni sindacali hanno proclamato due ore di sciopero a livello territoriale ed hanno indetto una grande assemblea pubblica nazionale, a Roma, per il 28 novembre 2015, richiedendo intanto un incontro urgente alla Presidenza del Consiglio;
    forti reazioni si sono registrate anche a livello territoriale e, ad esempio, nel caso della regione Sardegna, l'assessore regionale alle attività produttive, Maria Grazia Piras, ha sottolineato che sarebbero inaccettabili, a Porto Torres, disimpegni da parte di Eni nel progetto «Matrica», affermando di «non vedere alternativa nel futuro di Porto Torres che non sia la chimica verde»;
    la questione del ruolo di Eni nella filiera chimica italiana e il tema della continuità della presenza pubblica in Eni medesima assumono rilevanza anche per quanto concerne gli investimenti per gli interventi di bonifica e caratterizzazione delle aree – industriali, ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006 – di cui Eni è protagonista attraverso la controllata Syndial – che costituiscono processo indispensabile per rilanciare l'attrattività di tali aree ai fini della allocazione di nuove, attività produttive, in particolare nel settore della chimica verde;
    in considerazione del rilievo strategico del settore chimico, sarebbe opportuno ripristinare la piena funzionalità dell'Osservatorio chimico nazionale e delle sue articolazioni territoriali come sede permanente di confronto sulle dinamiche di settore e sulle politiche industriali,

impegna il Governo

ad effettuare un più attento monitoraggio delle prospettive della filiera chimica in Italia – a partire dagli sviluppi della vicenda Versalis e dalla loro valutazione in un'ottica di continuità e sviluppo di piano industriale, investimenti ed occupazione – e ad attivare tempestivamente ogni strumento di politica industriale utile al rafforzamento della competitività e della sostenibilità della chimica italiana, con particolare riferimento ai nodi del costo dell'energia, dell'efficienza infrastrutturale e logistica, dell'impulso alla ricerca e sviluppo, del sistema formativo, del sistema normativo e del rapporto con le pubbliche amministrazioni, anche attraverso l'istituzione di tavoli di approfondimento e confronto – che registrino il contributo delle parti sociali interessate e di ogni competente livello istituzionale ed amministrativo – e, in particolare, attraverso il ripristino dell'Osservatorio chimico nazionale, in sede ministeriale, nonché delle sue articolazioni territoriali.
(7-00840) «Martella, Taranto, Benamati, Arlotti, Bargero, Becattini, Bini, Camani, Cani, Casellato, Donati, Galperti, Ginefra, Impegno, Montroni, Peluffo, Scuvera, Senaldi, Tidei, Vico, Luciano Agostini, Amoddio, Braga, Paola Bragantini, Bratti, Berlinghieri, Paola Boldrini, Carella, Carra, Censore, Cominelli, Crivellari, D'Arienzo, D'Incecco, De Menech, Marco Di Maio, Fregolent, Cinzia Maria Fontana, Giulietti, Gnecchi, Grassi, Gribaudo, Lodolini, Patrizia Maestri, Marantelli, Marchi, Mariano, Moretto, Murer, Miotto, Mognato, Morani, Naccarato, Narduolo, Pagani, Palma, Pes, Rubinato, Francesco Sanna, Sbrollini, Tullo, Venittelli, Verini, Zappulla, Zardini, Zoggia».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, DELL'ORCO, CIPRINI, LOMBARDI, CHIMIENTI, DALL'OSSO e COMINARDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 novembre 2015, veniva pubblicata sul sito di informazione «ansa.it», la notizia riguardante lo sciopero dei lavoratori del settore del commercio, delle aziende aderenti a Federdistribuzione, Confesercenti e Distribuzione Cooperativa;
   i motivi dello sciopero, tenutosi a livello nazionale in data 7 novembre 2015, sono da ricercare nel mancato rinnovo del contratto, scaduto dal 2013, e nella difesa dei diritti e del salario a fronte di turni di lavoro sempre più pesanti condizionati dalle aperture 7 giorni su 7, comprese domeniche, festivi e notturni;
   alle associazioni di categoria sopraindicate, i lavoratori e i sindacati Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil, da tempo chiedono di sbloccare le trattative per i rinnovi dei contratti;
   in assenza di segnali positivi legati allo sblocco delle trattative in tal senso, sindacati e lavoratori hanno già programmato un altra giornata di sciopero unitario per il 19 dicembre;
   per voce di Maria Grazia Gabrielli, segretaria generale Filcams Cgil, lo sciopero deciso è stato una conseguenza inevitabile «dopo 22 mesi in cui gli incontri e le trattative non hanno prodotto le condizioni minime per arrivare a definire i rinnovi contrattuali». La stessa Gabrielli, ha poi espresso la convinzione propria e del suo sindacato, riguardante la «centralità del contratto nazionale che va difeso e rafforzato»;
   sulla questione, Confesercenti ha affermato che, dal canto suo, il negoziato risulta essere ancora aperto e, anzi, la proclamazione dello sciopero non ha tenuto in considerazione la disponibilità dell'associazione nel proseguire il confronto. Federdistribuzione ha invece dichiarato di non aver proposto nessuna riduzione dei salari ma di non poter applicare, come da richiesta dei lavoratori, un contratto come quello firmato da Confcommercio nel marzo 2015, dove, secondo Federdistribuzione, venivano ingiustificatamente riconosciuti aumenti retributivi superiori all'inflazione portando, sempre a detta della stessa associazione, a grave rischio l'occupazione e lo sviluppo in molte grandi aziende, in un settore che rispetto al commercio tradizionale investe molto di più in formazione, sicurezza, sviluppo delle carriere, contrattazione integrativa, welfare aziendale ed occupazione di qualità, quest'ultima con dati dei contratti a tempo indeterminato che si attestano al 91 per cento;
   la grave crisi finanziaria che ha portato ad un indebolimento del settore dei consumi ha inevitabilmente colpito, in un periodo individuabile nel lungo termine, anche i salari degli addetti del settore del commercio, diventati sempre più esigui. Inoltre, la stessa crisi ha condotto ad una più che evidente riduzione dei diritti dei lavoratori, portandoli a turni di lavoro sempre più pesanti e ad orari sempre più massacranti, con aperture degli esercizi anche nei giorni festivi, domeniche comprese, e ad un aumento delle aperture notturne;
   l'articolo 41 della Costituzione recita che «L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.»;
   a giudizio degli interroganti, i Governi che si sono succeduti nelle ultime legislature non hanno posto la giusta attenzione ai crescenti problemi dei lavoratori del settore e dei loro diritti sempre meno tutelati, ma, anzi, hanno contribuito con politiche errate a peggiorare la situazione esistente. Un esempio su tutti è rappresentato dalla sempre più estesa pratica delle aperture domenicali degli esercizi commerciali, iniziata con le politiche di liberalizzazione promosse in continuità dagli ultimi Governi, che ha privato i lavoratori del diritto di poter godere del giorno festivo a loro spettante. A tal proposito, a titolo esemplificativo è opportuno citare la proposta di legge n. 750, del deputato Michele Dell'Orco, approvato alla Camera il 25 settembre 2014 e trasmessa al Senato, dal titolo «Modifica all'articolo 3 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, e altre disposizioni in materia di disciplina degli orari di apertura degli esercizi commerciali»;
   sempre a giudizio degli interroganti, l'eccessiva liberalizzazione prevista dai Governi succedutisi nel corso degli ultimi anni, ha creato una situazione che non porta ad alcuna distinzione tra piccoli e grandi esercenti, ponendoli in condizione di concorrenza diretta e spietata, senza mediazione alcuna. La conseguenza di questa deregulation è quella del vedere la grande distribuzione competere incidendo sulla tutela dei lavoratori e costringendo il personale a turni massacranti, ed i piccoli esercenti, impossibilitati dal contare su una risorsa di personale altrettanto consistente, soccombere nei confronti della concorrenza. Ciò ha portato alla chiusura dei piccoli esercizi con una desertificazione dei centri storici e dei quartieri più periferici e ad un'ulteriore massiccia urbanizzazione dovuta alla costruzione di innumerevoli centri commerciali, molti dei quali costretti comunque a chiudere per via della crisi. Si è, in ogni caso, andato a creare un inutile consumo di territorio che, con politiche più curate, sarebbe stato tranquillamente evitabile –:
   se il Governo non intenda intervenire, per quanto di competenza, al fine di favorire l'avvio dei rinnovi dei contratti dei lavoratori del settore del commercio;
   se e quali, iniziative di modifica delle norme esistenti abbia assunto per la tutela dei diritti degli stessi lavoratori, nel pieno rispetto della loro sicurezza, libertà e dignità umana, come sancito dall'articolo 41 della Costituzione;
   se e quali iniziative di competenza abbia previsto il Governo per modificare l'attuale politica di eccessiva liberalizzazione che ha portato ad un eccessivo consumo di territorio, preferendo la grande distribuzione ai negozi di vicinato dei piccoli commercianti. (5-06970)


   CRISTIAN IANNUZZI e BATTELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la SIAE, Società italiana degli autori ed editori, ai sensi della legge 9 gennaio 2008, n. 2, recante «Disposizioni concernenti la Società italiana degli autori ed editori», è ente pubblico economico a base associativa;
   l'articolo 1, comma 3, della suddetta legge, prevede che «il Ministro per i beni e le attività culturali esercita, congiuntamente con il Presidente del Consiglio dei ministri, la vigilanza sulla SIAE. L'attività di vigilanza è svolta sentito il Ministro dell'economia e delle finanze, per le materie di sua specifica competenza»;
   il contributo per la copia privata in Italia è stato originariamente disciplinato dalla legge 5 febbraio 1992, n. 93, in materia di «Norme a favore delle imprese fonografiche e compensi per le riproduzioni private senza scopo di lucro»; nel tempo ha subito numerose modifiche tra cui il recepimento della direttiva europea 29/2001/CE, tramite il provvedimento approvato dal Consiglio dei ministri il 20 dicembre del 2002, e ratificato con il decreto legislativo n. 68 del 9 aprile del 2003;
   secondo la relazione della Assemblée Nationale, la Siae, in Italia, alla fine del 2015, raccoglierà compensi a titolo di cosiddetta copia privata pari a 157 milioni di euro;
   in conformità a quanto stabilito dalle leggi vigenti, la Siae dopo aver trattenuto per sé un lauto rimborso spese, peraltro determinato in assoluta autonomia, ripartisce l'importo complessivo raccolto a titolo di compenso per copia privata tra le società di intermediazione dei diritti operanti sul mercato «in misura percentuale rapportata... al numero di mandati esplicitamente conferiti a ciascuna impresa dagli artisti interpreti ed esecutori alla data del 31 gennaio 2014 e che, a tal fine, ogni società di gestione comunichi alla Siae il numero di mandati ad essa esplicitamente conferiti»;
   da fonti stampa si apprende che nei mesi scorsi, la Siae, in relazione agli anni 2012 e 2013, ha raccolto oltre 11 milioni e mezzo di euro destinati agli attori di cinema e tv e – dopo aver trattenuto quanto di sua competenza – ha ripartito i compensi in favore delle due società di intermediazione dei diritti connessi sin qui operanti sul mercato: oltre otto milioni di euro sono così andati al Nuovo Imaie (Nuovo Istituto Mutualistico per la tutela dei diritti degli Artisti Interpreti ed Esecutori) e quasi tre milioni di euro alla Cooperativa 7607, neo costituita società di intermediazione fondata e gestita da attori per gli attori;
   sembra che il criterio seguito per la ripartizione dei compensi sia determinato dal numero degli artisti presenti negli elenchi presentati dalle due società;
   da fonti stampa risulta che gli elenchi presentati dalla Cooperativa 7607 non siano regolari in quanto sembrano siano stati «allungati» artificiosamente con nomi di attori che, in realtà, non le hanno mai conferito alcun mandato e, ripetendo due volte alcuni nomi, ovvero scrivendo una volta prima il nome e poi il cognome e la volta successiva, prima il cognome e poi il nome aggiudicandosi così centinaia di migliaia di euro in più;
   sembra quindi che l'ente pubblico economico Siae avrebbe raccolto in ossequio a quanto stabilito dalla legge centinaia di milioni di euro, ma li avrebbe distribuiti poi tra gli aventi diritto – al netto peraltro, dei costi di gestione unilateralmente stabiliti – in base alla lunghezza degli elenchi dei nomi senza vigilare adeguatamente sulla legittimità dei beneficiari del riparto;
   l'evoluzione tecnologica suggerirebbe la riduzione del compenso per copia privata per due ordini di motivi: di fatto il valore d'uso di un GB è decrescente nel tempo visto che ogni anno vengono sviluppati dispositivi in grado di contenere più memoria in meno spazio; inoltre, l'avvento di canali come Youtube, Vimeo oltre all'utilizzo sempre più esteso di servizi di archiviazione in remoto (cloud), hanno ridotto la propensione a riempire cd, dvd e blu-ray di opere musicali e cinematografiche –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti;
   se e quali iniziative stiano intraprendendo, per quanto di competenza, per promuovere un tavolo tecnico con il compito di riformare l'imposta del compenso per copia privata in senso più equo salvaguardando sia i consumatori dell'industria culturale e sia i diritti degli artisti, affinché gli indennizzi siano ripartiti in modo trasparente, immediato ed efficace;
   se il Governo ritenga opportuno intervenire urgentemente per vigilare sulla correttezza dell'operato della Siae e delle altre società di intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore. (5-06981)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 27 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, recante: «Misure urgenti per la crescita del Paese» reca il riordino delle discipline in materia di riconversione e riqualificazione produttiva di aree di crisi industriale complesse;
   dalla lettura del decreto del 9 giugno 2015 del Ministro dello sviluppo economico, si evince che le incentivazioni enunciate, sia per l'entità che per la tipologia degli interventi, essendo ammessi anche gli investimenti per la tutela ambientale e per il turismo, risultano di straordinario interesse per lo sviluppo dell'economia sarda;
   tali incentivazioni sono rivolte (vedasi l'articolo 2 del decreto sopra richiamato, riguardante l'ambito di applicazione), esclusivamente ai territori individuati come «aree di crisi complessa» e «aree di crisi non complessa» (individuati anche su proposta delle regioni interessate);
   a tutt'oggi, non risulta che sia stata individuata in Sardegna alcuna area di crisi, con la conseguenza che i sardi, di fatto, sono esclusi dai benefìci della legge n. 181 del 1989;
   ciò a quanto risulta all'interrogante sarebbe stato confermato anche nel corso di un convegno-dibattito con Invitalia, tenutosi l'11 novembre 2015 a Monteponi in occasione dell'ennesimo incontro sul Piano Sulcis;
   secondo la stessa Invitalia le importanti opportunità derivanti, dalla legge n. 181 del 1989 non sarebbero utilizzabili in Sardegna;
   è gravissima a giudizio dell'interrogante l'inutilizzabilità di tali opportunità in Sardegna, per la mancata individuazione delle aree di crisi;
   si veda al proposito il decreto 31 gennaio 2013 in attuazione dell'articolo 27, comma 8, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, recante: «Misure urgenti per la crescita del Paese», che prevede, al terzo comma dell'articolo 1, che «La regione o le regioni interessate, mediante deliberazione della Giunta regionale, presentano al Ministero dello sviluppo economico una istanza di riconoscimento di situazione di crisi industriale complessa [...]»;
   il decreto-legge 1o aprile 1989, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 maggio 1989, n. 181, reca misure di sostegno e di reindustrializzazione per le aree di crisi siderurgica, in attuazione del piano nazionale di risanamento della siderurgia;
   il decreto del Presidente della Repubblica 20 aprile 1994, n. 373, all'articolo 2, comma 2, ha attribuito al Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato le funzioni del soppresso CIPI in ordine alla determinazione dei criteri e delle modalità di utilizzo del Fondo speciale per la reindustrializzazione, di cui all'articolo 8 del decreto-legge 1o aprile 1989, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 maggio 1989, n. 181;
   in particolare, il comma 8, dell'articolo 27, del decreto-legge n. 83 del 2012, stabilisce che «il Ministro dello sviluppo economico, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con decreto di natura non regolamentare, disciplina le modalità di individuazione delle situazioni di crisi industriale complessa, determina i criteri per la definizione e l'attuazione dei Progetti di riconversione e riqualificazione industriale ed impartisce le opportune direttive all'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa, prevedendo la priorità di accesso agli interventi di propria competenza»;
   ai sensi dell'articolo 27, comma 6, del decreto-legge n. 83 del 2012, «per la definizione e l'attuazione degli interventi del Progetto di riconversione e riqualificazione industriale il Ministero dello sviluppo economico si avvale dell'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa spa, le cui attività sono disciplinate mediante apposita convenzione con il Ministero dello sviluppo economico [...]»;
   la Carta degli aiuti di Stato a finalità regionale 2007-2013, la cui versione modificata è stata approvata dalla Commissione europea il 6 luglio 2010 (n. 117/2010 – Italia), è pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea del 18 agosto 2010, n. 215;
   il regolamento (CE) n. 1628/2006 della Commissione del 24 ottobre 2006, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea, legge n. 302 del 1o novembre 2006, relativo all'applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato agli aiuti di Stato per gli investimenti a finalità regionale;
   nel decreto ministeriale 31 gennaio 2013 sopra citato si dispone l'individuazione delle situazioni di crisi industriale complessa con impatto significativo sulla politica industriale nazionale;
   tale decreto dispone che le crisi industriali complesse sono quelle che riguardano specifici territori soggetti a recessione economica e perdita occupazionale di rilevanza nazionale derivante da:
    una crisi di una o più imprese di grande o media dimensione con effetti sull'indotto;
    una grave crisi di uno specifico settore industriale con elevata specializzazione nel territorio;
   non sono oggetto di intervento le situazioni di crisi che risultano risolvibili con risorse e strumenti di competenza regionale;
   per l'adozione dei progetti di riconversione e riqualificazione industriale, la crisi industriale complessa ha un impatto significativo sulla politica industriale nazionale nelle situazioni in cui:
    a) settori industriali con eccesso di capacità produttiva o con squilibrio strutturale dei costi di produzione necessitano di un processo di riconversione in linea con gli indirizzi comunitari e nazionali in materia di politica industriale;
    b) settori industriali necessitano di un processo di riqualificazione produttiva al fine di perseguire un riequilibrio tra attività industriale e tutela della salute e dell'ambiente;
   la regione o le regioni interessate, mediante deliberazione della Giunta regionale, presentano al Ministero dello sviluppo economico una istanza di riconoscimento di situazione di crisi industriale complessa che contiene:
    a) la descrizione dei fattori di complessità della crisi industriale in termini di significatività sulla politica industriale nazionale;
   la grave crisi industriale che attanaglia l'intera Sardegna rende necessario e inderogabile per l'interrogante dichiarare l'intera regione area di crisi complessa per le implicazioni di livello nazionale e di comparti strategici di rilievo sovraregionale;
   è grave il ritardo secondo l'interrogante nell'attivazione delle procedure e nel riconoscimento di questa crisi ormai riconosciuta da tutti gli indicatori occupazionali ed economici –:
   se non ritenga di dover immediatamente attivare ogni iniziativa di competenza per il riconoscimento di tali indicatori;
   se il Governo non ritenga di dover immediatamente assumere iniziative normative volte a estendere i benefìci delle leggi richiamate direttamente alla regione Sardegna che viene penalizzata sia dalla grave crisi che dal mancato utilizzo di tali incentivi;
   se non ritenga, per quanto di competenza, di dover convocare immediatamente le parti per provvedere alla soluzione delle questioni poste in premessa.
(5-06986)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRACCARO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 35 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, norma di rango costituzionale approvata con decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, prevede che nelle materie non appartenenti alla competenza della regione, ma che presentano per essa particolare interesse, il consiglio regionale può emettere voti e formulare progetti. Gli uni e gli altri sono inviati dal presidente della regione al Governo per la presentazione alle Camere e sono trasmessi in copia al commissario del Governo;
   nella corrente legislatura il consiglio regionale del Trentino-Alto Adige/Südtirol ha approvato un voto. Il titolo è il seguente: «Affinché si ripristini immediatamente l'operazione Mare Nostrum e si intervenga presso l'Unione europea per attuare rapidamente un programma di aiuto e coordinamento per i flussi di migranti provenienti dall'Africa e dal Medio Oriente»;
   l'articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica n. 670 del 1972, prevede che ai consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 31, 32, 34, 35 e 38. I voti e i progetti approvati a livello provinciale sono pertanto equiparati ai voti approvati in consiglio regionale;
   il regolamento interno del consiglio provinciale di Trento, recependo le disposizioni dello statuto speciale disciplina con l'articolo 146-bis le procedure di esame dei voti di cui agli articoli 35 e 49 dello statuto speciale, in quanto possibile, con le modalità dettate per le mozioni. Tuttavia, per essere sottoposti al consiglio, i voti devono essere sottoscritti da almeno cinque consiglieri, non possono riguardare materie appartenenti alla competenza della provincia e devono presentare per essa particolare interesse. Ai sensi dell'articolo 35 dello statuto speciale, i voti approvati dal consiglio sono inviati dal presidente della provincia al Governo per la presentazione alle Camere e sono trasmessi in copia al commissario del Governo;
   il consiglio provinciale di Trento nella legislatura in corso ha approvato un solo voto; tale voto riguarda il monitoraggio sull'andamento del negoziato sul partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP) e indirizzi per il mantenimento di norme e di standard a livello europeo;
   il consiglio provinciale di Bolzano, all'articolo 85-bis del regolamento del consiglio tratta il voto in modalità analoga al consiglio provinciale di Trento e si differenzia dallo stesso per la maggiore frequenza nell'utilizzo dell'istituto;
   nella legislatura in corso, in provincia di Bolzano, sono stati approvati n. 16 voti sulle seguenti materie: eliminazione delle tariffe per telefonate, sms e trasmissione dati in roaming; riduzione del costo del lavoro; passaggio alla provincia delle infrastrutture ferroviarie; scambi di servizi; revisione generale delle autovetture; messa al bando degli alimenti ogm; trattato transatlantico su commercio e investimenti; doppia domiciliazione; aumento della potenza di allacciamento per il servizio di fornitura di energia elettrica ad uso domestico in regime di maggior tutela a costi invariati; tutela della domenica e dei giorni festivi; festività altoatesina invece della «Festa della Repubblica»; esclusione dell'inno di Mameli nelle scuole dell'Alto Adige; ritiro dell'interpretazione dell'Italia del protocollo dei trasporti; finanziamento ai partiti; partecipazione dei giovani migranti stabilmente residenti al servizio civile nazionale; concessione della grazia agli attivisti sudtirolesi;
   i voti approvati dai consiglio provinciali di Trento e Bolzano sono stati puntualmente comunicati alle autorità statali, rispettivamente, per tramite del commissario del Governo di Trento e Bolzano. Gli atti relativi alla presentazione, alla trattazione, alla votazione e alla comunicazione al Governo sono pubblicati sulle banche dati degli atti dei consigli provinciali e del consiglio regionale in caso di voto ai sensi dell'articolo 35 dello statuto di autonomia;
   per nessuno dei voti approvati in questa legislatura, al pari dei voti approvati nelle scorse legislature, risulta alcun atto ufficiale che ne documenti il recepimento, la trattazione o il rigetto a livello statale, né da parte del Governo né da parte del Parlamento. È quindi naturale supporre che i voti approvati dalle assemblee legislative delle autonomie locali non siano oggetto di un iter definitivo che ne prevede una conclusione nonostante questi siano previsti da una norma di rango costituzionale come il decreto del Presidente della Repubblica n. 670 del 1972;
   la valorizzazione dell'istituto del voto, attraverso una completa regolamentazione dell’iter di trattazione a livello statale degli indirizzi politici provenienti dalle regioni, permetterebbe un rapporto istituzionale tra Stato e regioni più proficuo e dinamico. In particolare, in riferimento alla configurazione dell'ordinamento regionale repubblicano, ciò apparirebbe ancora più necessario in una fase di accentramento dei poteri decisionali a livello statale che mette a rischio i poteri riconosciuti alle regioni autonome e che ne consentono il buon governo –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per assicurare la conclusione dell’iter relativo ai voti approvati dalle assemblee legislative delle autonomie locali, anche relazionando alle medesime assemblee legislative, al fine di favorire il consolidamento dei rapporti istituzionali con la regione Trentino-Alto Adige/Südtirol e le province autonome di Trento e Bolzano nell'ambito di uno scenario di modernizzazione istituzionale e nel segno di un regionalismo più maturo. (4-11086)


   MOLTENI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la situazione dell'ordine pubblico a Como e provincia risulta in costante e grave deterioramento, a causa di un forte aumento dei reati contro il patrimonio, la cui moltiplicazione nel tempo è ampiamente documentata dalla stampa locale;
   i ladri prendono di mira soprattutto gli appartamenti;
   a Como città, in via Varesina, nella prima decade di novembre, un'esasperata signora di 48 anni è giunta ad esporre uno striscione di protesta per denunciare l'assenza di cose da rubare in casa sua;
   a Breccia, analogamente, è apparso un altro striscione con l'eloquente dicitura «in questa casa non c’è più nulla da rubare»;
   ad Olgiate Comasco, i malviventi ricorrono anche a vere e proprie truffe, di cui sono vittime d'elezione gli anziani, più vulnerabili di altri al raggiro;
   si parla apertamente di saccheggio non soltanto nel capoluogo lariano, ma anche a Cantù, dove telecamere piazzate all'aperto hanno documentato le modalità con cui i ladri operano;
   le immagini raccolte con i sistemi di videosorveglianza hanno in effetti dimostrato come i ladri procedano indisturbati ad effettuare veri e propri sopralluoghi anche a volto scoperto;
   in molte circostanze in cui il tentativo di furto è avvenuto in presenza dei residenti, si sono altresì verificati veri e propri scontri tra i ladri ed i proprietari degli appartamenti violati, talvolta sfociati in sassaiole ed inseguimenti;
   la bassa densità della presenza delle forze di polizia sul territorio non permette loro di soddisfare interamente la crescente domanda di sicurezza che viene dalle popolazioni residenti;
   non a caso, nel comune di Montorfano ed in quello di Olgiate Comasco sta incontrando crescente successo l'idea della cittadinanza di organizzare un servizio di monitoraggio e scambio di informazioni in materia di sicurezza sfruttando i social network e whatsapp, finalizzato a scoraggiare e prevenire i furti in appartamento;
   l'allarme sociale ha raggiunto livelli di guardia;
   nel frattempo, le più recenti iniziative finanziarie presentate dal Governo alle Camere prevedono ulteriori tagli alla missione «ordine pubblico e sicurezza», che implicheranno certamente la conferma dei piani di chiusura relativi a centinaia di presidi delle forze dell'ordine, come se la situazione sul territorio fosse ottimale –:
   se il Governo sia consapevole della gravità dell'emergenza criminale in atto e cosa conti di fare, per quanto di competenza, per contrastarla, sul piano generale ed in particolare nella provincia di Como. (4-11091)


   ANDREA MAESTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 5 novembre 2015 è stata pubblicata, sul quotidiano «Il Resto del Carlino» nelle pagine locali di Ravenna, la notizia del fallimento, della ricerca di un nuovo acquirente entro due mesi e in caso negativo della vendita, per la società C.R.S.A. Med Ingegneria S.r.l. di Marina di Ravenna, meglio conosciuta sul territorio col nome di Centro di ricerche ambientali Montecatini;
   l'ex Centro di ricerche ambientali Montecatini nasce nel 1992 in simbiosi con la nascita della facoltà universitaria di scienze ambientali ravennate, per proiettare la città di Ravenna all'avanguardia mondiale della ricerca scientifica nel settore delle acque, in particolare delle acque marine e oceaniche;
   il Centro ricerche passò in seguito sotto Montedison e poi Edison e, fino al 2003, realizzando una serie importante ed ininterrotta di progetti dell'Unione europea, fungendo anche da centro di didattica e formazione per gli studenti di scienze ambientali, che al suo interno hanno sviluppato le tesi di laurea e il dottorato;
   la successiva gestione della Società Fenice (del gruppo francese Edf) tagliò la ricerca e la formazione, restrinse le attività a quelle di analisi e decise l'uscita da tutti i progetti finanziati dall'Unione europea e dalla regione e, da quel momento, impedì le attività di formazione che il centro aveva fino a quel momento svolto per il territorio, per l'attività didattica e per le aziende;
   nel 2009 il passaggio al C.R.S.A. Med Ingegneria S.r.l. permise al centro di riposizionarsi ai vertici delle strutture che operano nei settori dei servizi e delle consulenze ambientali;
   da quel momento C.R.S.A. Med Ingegneria S.r.l. è diventato un moderno centro di ricerca specializzato in consulenze ed analisi per le industrie, le imprese, le aziende e gli ti Pubblici, e un'eccellenza nel panorama delle aziende fornitrici di servizi, proposte e soluzioni in campo industriale, del monitoraggio ambientale e della salute;
   l'elevato grado di competenza e qualità dei ricercatori e delle attività analitiche svolte dal C.R.S.A. ha consentito ai suoi laboratori di ottenere la certificazione SINAL/ACCREDIA (accreditamento n. 644). La società ha inoltre implementato un sistema di gestione per la qualità e l'ambiente secondo le norme UNI EN ISO9001:2008 e UNI EN ISO14001:2004 (Reg. n. 8065-A e 8065-E);
   il Presidente del Consiglio dei ministri ha diffuso in varie sedi e con diverse modalità (25 tweet) gli incentivi per il rientro dei cervelli dall'estero. Con lo slogan «Mille ricercatori, 500 cattedre speciali e 500 assunzioni nella cultura. Mettiamo 100 milioni in più nella cultura», ha presentato le norme contenute nel disegno di legge di stabilità 2016 che stanzieranno 40 milioni per il 2016 e 100 milioni dal 2017 a favore di un piano di rientro dei cervelli dall'estero –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione in cui versa il C.R.S.A. Med Ingegneria S.r.l. e quali iniziative di competenza intenda assumere affinché non si verifichi l'ulteriore chiusura di un'eccellenza italiana e l'ennesima fuga di cervelli dal nostro Paese. (4-11092)


   SCAGLIUSI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione per le adozioni internazionali, che opera presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, è l'autorità Centrale del nostro Paese in materia di adozioni internazionali rispetto al segretariato de l'Aja;
   la Commissione per le adozioni internazionali (CAI) garantisce che le adozioni di bambini stranieri avvengano nel rispetto dei principi stabiliti dalla Convenzione de L'Aja del 29 maggio 1993 sulla tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale;
   come indicato sul sito istituzionale del Ministero dell'interno, il principio della trasparenza, inteso come «accessibilità totale» alle informazioni che riguardano l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni, è stato affermato con decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. Obiettivo della norma è quello di favorire un controllo diffuso da parte del cittadino sull'operato delle istituzioni e sull'utilizzo delle risorse pubbliche;
   alla sezione «amministrazione trasparente» del sito istituzionale governo.it esiste una sezione denominata «Piano degli indicatori e risultati attesi di bilancio» che, ai sensi dell'articolo 22 del decreto legislativo del 31 maggio 2011, n. 91, è integrato con le risultanze osservate in termini di raggiungimento dei risultati attesi e con le motivazioni degli eventuali scostamenti;
   nella sezione dedicata al «Piano degli indicatori 2014 risultati realizzati», dove è possibile analizzare il centro di responsabilità 15 «Politiche per la famiglia» e la relativa ricostruzione dei flussi finanziari e degli aspetti rilevanti della gestione, si apprende che euro 31.035,44 sono stati destinati alla spesa per indennità di carica spettante al «residente della Commissione adozioni internazionali, come previsto dal decreto-legge 26 maggio 2004, n. 136, convertito dalla legge 27 luglio 2004, n. 186. Manca invece, l'importo destinato alla spesa per indennità di carica spettante al vicepresidente della Commissione, che nel caso specifico è la medesima persona, dottoressa Silvia Della Monica;
   nella stessa sezione, si apprende che euro 2.098.767,14 sono stati destinati agli interventi di sostegno alle famiglie adottive italiane mediante l'erogazione del rimborso delle spese sostenute per l'adozione di uno o più minori stranieri;
   sempre sul medesimo documento, si apprende che euro 2.773,82 sono stati destinati al rimborso delle spese di viaggio sostenute dagli enti autorizzati per la partecipazione alle riunioni indette dal vicepresidente pro-tempore della Commissione;
   con una nota del 23 gennaio 2015 (http://goo.gl/XoEWs7) la Commissione adozioni internazionali confermava che «sono in corso le attività relative ai rimborsi delle procedure adottive in relazione al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del gennaio 2012 relativo alle adozioni concluse nel 2010 e nel 2011, decreto privo, peraltro, della copertura necessaria a coprire tali rimborsi. La Commissione è stata, quindi, costretta a finanziare i rimborsi per le adozioni concluse nel 2011 con le risorse assegnate e destinate al sostegno delle adozioni internazionali nell'anno 2013 (disponibili da marzo 2014) e nell'anno 2014 (da poco rese disponibili). Al momento, quindi, la Commissione sta procedendo ai rimborsi relativi al 2011 secondo l'oggettivo criterio cronologico della presentazione e dell'arrivo delle domande, protocollate presso la CAI. Fino a quando non saranno esauriti i rimborsi per il 2011 non si potrà, quindi, procedere ai rimborsi per gli anni successivi»;
   l'elenco del personale in servizio presso la segreteria tecnica della CAI (http://goo.gl/J5Xd3P), presente sempre nella sezione Amministrazione trasparente», risulta essere aggiornato al 20 febbraio 2014 (21 mesi fa);
   a quanto consta all'interrogante anche la pagina web (http://goo.gl/vNFP1o) relativa al personale a disposizione del dirigente generale della segreteria tecnica risulta non aggiornata;
   con decreto del segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei ministri del 18 luglio 2013, all'articolo 2, la dottoressa Patrizia Cologgi, referendario della Presidenza del Consiglio dei ministri, coordinatore del servizio per le adozioni, nonché, ad interim, coordinatore del servizio per gli affari amministrativi e contabili della segreteria tecnica della CAI, nelle more della nomina del direttore generale della segreteria tecnica, veniva delegata tra le altre cose, ad ordinare pagamenti relativamente al capitolo di bilancio 518 di pertinenza del centro di responsabilità amministrativa n. 15 «Politiche per la famiglia» (http://goo.gl/Ve2LsC);
   da un articolo de l'Espresso online del 2 novembre 2015 (http://goo.gl/sDtMmF) si apprende che la dottoressa Patrizia Cologgi sia coinvolta nell'inchiesta «Mafia Capitale» –:
   se, proprio per raggiungere l'obiettivo del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, cioè quello di favorire un controllo diffuso da parte del cittadino sull'operato delle istituzioni e sull'utilizzo delle risorse pubbliche, non ritenga opportuno aggiornare immediatamente il sito istituzionale www.governo.it, almeno nelle sezioni indicate in premessa, dal momento che la dicitura «amministrazione trasparente» risulta all'interrogante una contraddizione in termini dal momento che tante informazioni risultano non aggiornate, poco chiare o addirittura assenti;
   con quale criterio siano state scelte le famiglie da rimborsare, nonché a quanto ammonti l'importo totale necessario per rimborsare tutte le famiglie attualmente in attesa;
   quali enti autorizzati siano stati rimborsati dalla Commissione per le adozioni internazionali e sulla base di quali spese sostenute;
   se la dottoressa Cologgi sia ancora titolare dell'incarico di dirigente del servizio adozione e, in caso affermativo, se non ritenga opportuno sollevarla dalla delega conferitale. (4-11093)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella proposta di relazione sullo stato di avanzamento dei lavori di bonifica nel sito di interesse nazionale di Venezia – Porto Marghera esaminata in questi giorni dalla commissione d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati emerge un quadro inquietante sul completamento di alcune opere di bonifica fondamentali alla salvaguardia della Laguna di Venezia;
   si ricorda che il sito di interesse nazionale (SIN) di Venezia (Porto Marghera) è stato incluso nell'elenco dei siti di bonifica di interesse nazionale dalla legge n. 426 del 1998 e con il successivo decreto ministeriale 23 febbraio 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 52 del 3 marzo 2000, è stata individuata la perimetrazione del SIN, ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della legge citata;
   in data 16 aprile 2012 è stato sottoscritto dall'allora Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dal Magistrato alle acque di Venezia, dal presidente della regione del Veneto, dal presidente della provincia di Venezia, dal sindaco di Venezia e dal presidente dell'Autorità portuale di Venezia l'accordo di programma per la bonifica e la riqualificazione ambientale del sito di interesse nazionale di Venezia (Porto Marghera), finalizzato a promuovere il processo di riconversione industriale e riqualificazione economica del SIN, mediante procedimenti di bonifica e ripristino ambientale, che consentano e favoriscano lo sviluppo di attività produttive sostenibili dal punto di vista ambientale e coerente con l'esigenza di assicurare il rilancio dell'occupazione, mediante la valorizzazione delle forze lavorative dell'area (doc. 713/2)1. Il suddetto accordo di programma, all'articolo 5, comma 9, prevede che il completamento degli interventi sulle sponde della Macroisola del Nuovo Petrolchimico e della Macroisola di Fusina venga affidato, alla competenza della regione Veneto. In particolare, la regione Veneto si è impegnata «a realizzare alcuni tratti di marginamento finalizzati a chiudere le due Macroisole del Nuovo Petrolchimico e di Fusina» e si è stabilito che il completamento di tali opere, da parte della regione Veneto, sarebbe avvenuto con finanziamenti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di varia provenienza, tra cui le economie maturate nella realizzazione di interventi di disinquinamento, già finanziati con deliberazioni CIPE, destinati alla salvaguardia della laguna di Venezia, ovvero mediante l'impiego di altri fondi disponibili, tra cui quelli derivanti dalle transazioni sottoscritte o da sottoscrivere a titolo di risarcimento del danno ambientale. Viceversa, vengono assegnate alla competenza del Provveditorato interregionale per le opere pubbliche del Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, tutte le altre opere di messa in sicurezza (marginamento delle macroisole, rifacimento delle sponde, sistema di raccolta/drenaggio delle acque), ad eccezione di quelle affidate all'Autorità portuale;
   si ricorda che i sistemi di marginamento sono composti da barriere fisiche antierosione e a tenuta idraulica, con lo scopo di impedire il trasferimento dell'inquinamento proveniente dagli imbonimenti, dalle falde e dai suoli inquinati direttamente verso l'ambiente lagunare ovvero verso i canali portuali in comunicazione con l'ambiente lagunare;
   l'avanzamento dei lavo i è pari al 94 per cento circa e, per tale bonifica sono stati spesi circa 781 milioni di euro ma, sembra che al momento, non vi siano più finanziamenti che consentirebbero il completamento di quel 6 per cento di opere che manca – circa 3,5 chilometri di marginamenti e di rifacimento delle sponde delle macroisole;
   come si legge testualmente nella proposta di relazione di cui sopra, la commissione d'inchiesta sui ciclo dei rifiuti sottolinea che è stato rilevato che: «il mancato completamento di tali opere sta provocando il progressivo indebolimento anche dei tratti terminali delle strutture già realizzate e sta mettendo in serio dubbio la bontà complessiva dell'intervento finora realizzato» –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato abbia intenzione di porre in essere al fine di provvedere in tempi brevi al finanziamento dei lavori di completamento dei lavori di bonifica del Sin di Porto Marghera, con riferimento specifico alle opere di marginamento delle macro isole di cui sopra. (4-11083)


   BRIGNONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sono diciotto i circhi indagati e quarantuno gli arresti in tutta Italia eseguiti il giorno 10 novembre 2015 dalle Forze dell'ordine nell'ambito dell'operazione «Golden Circus» condotta dal procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi e coordinata dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci e i sostituti Luca Battinieri, Daniela Varone ed Enrico Bologna, per sfruttamento e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e nel traffico di essere umani;
   tra gli indagati appare anche un funzionario della regione Sicilia e i titolari dei 18 circhi che, per ogni immigrato clandestino assunto con finte procedure, avrebbero percepito tra i 2.000 e i 3.000 euro dall'organizzazione dei trafficanti;
   l'indagine condotta dalla sezione criminalità stranieri della squadra mobile di Palermo ha scoperto l'esistenza di un nuovo canale d'immigrazione clandestina;
   i più noti circhi italiani creavano ad hoc false assunzioni di personale straniero per un business stimato di circa 7 milioni di euro in soli due anni di attività illecita;
   va rilevato che a ciò si aggiungono notevoli introiti derivanti dai contributi statali, spettatori paganti e royalty per spettacoli televisivi;
   nell'operazione «Golden Circus», figurano coinvolti circhi che erano stati portati all'attenzione del Governo dal rapporto LAV 2015 sui Circhi in Italia: il Circo Città di Roma, che dal 2005 al 2009 ha percepito oltre 250.000 euro di finanziamenti pubblici, fino al 2010, anno in cui è rilevata la condanna per maltrattamento di animali. I circhi Martini e Cirque d'Europe, che dal 2010 al 2014 ha percepito oltre 90.000 euro di contributi pubblici, nonostante abbiano due procedimenti in corso per maltrattamento di animali presso i Tribunali di Bologna e di Monza e il Circo Caroli, che dal 2010 al 2014 ha percepito oltre 50.000 euro di fondi pubblici, pur essendo oggetto di due procedimenti penali per maltrattamento di animali e detenzione incompatibile con le loro caratteristiche etologiche, e recidivo per violazione delle leggi sull'immigrazione clandestina;
   in considerazione di quanto avvenuto emerge chiaramente che in ambito circense non sono solo gli animali a essere oggetto di traffici illeciti ma anche gli esseri umani –:
   se siano informati dell'operazione «Golden Circus» condotta dalla sezione criminalità della squadra mobile di Palermo;
   se non si ritenga urgente intensificare i controlli nelle attività circensi atti a garantire il benessere degli animali ma anche per contrastare le numerose irregolarità che si nascondono dietro le imprese circensi operanti in Italia in riferimento alla tratta di esseri umani;
   se alla luce di quanto esposto, non si ritenga che si debba accelerare, per quanto di competenza, l'iter per definire una nuova norma volta alla riconversione dei circhi in spettacoli senza animali e mettere fine al finanziamento pubblico dei circhi che impiegano animali, di cui hanno beneficiato, a giudizio dell'interrogante in modo inaccettabile, anche alcuni circhi condannati per il reato di maltrattamento di animali e favoreggiamento e sfruttamento dell'immigrazione clandestina.
(4-11085)


   ATTAGUILE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   un'inchiesta giornalistica locale ha portato alla ribalta la situazione critica dell'abitato di Contrada Belloluogo;
   nell'ultimo periodo, gli abitanti di via Belloluogo, una strada fuori dal centro abitato ma densamente popolata, a pochi passi dalla discarica di Corato-Bisceglie, convivono con esalazioni nauseanti sino all'insopportabile. I cattivi odori fuoriescono dalla vecchia discarica che è situata proprio al termine della strada ed è ferma da oltre vent'anni;
   infatti, come riportano i giornali, da quella discarica si sollevano dei fumi poiché la spazzatura, via via ammucchiata nel tempo, è in fase di combustione e sprigiona gas evidentemente nocivi;
   le denunce sulla contaminazione dell'area risalgono al 1998; si tratta di un'area di proprietà privata, che sorge inizialmente come una enorme cava e, dall'anno 1982, è gestita dal comune che l'ha utilizzata per circa 10 anni come discarica di rifiuti solidi urbani;
   dalle denunce dei cittadini ed esponenti politici sui giornali locali, oltre ai fumi tossici costanti durante tutto l'arco della giornata, emerge la presenza di diversi olezzi, e un rigagnolo di percolato che tende a scorrere sul manto stradale che collega Corato a Bisceglie;
   negli anni a ridosso della discarica si è costruito e coltivato e attualmente i residenti sono costretti a convivere non solo con le tremende esalazioni ma anche con la paura di possibili insorgenze tumorali;
   la cittadinanza locale definisce la discarica una bomba ecologica che, inevitabilmente, a causa dell'assenza di sentinelle d'ispezione del percolato o recupero e compensazione dei gas derivanti dalla «macerazione» dei rifiuti e a causa dell'assenza di sistemi di impermeabilizzazione, avrà come principale esito la contaminazione delle colture degli uliveti circostanti e della falda acquifera. Gli abitanti hanno paura della contaminazione dei pozzi artesiani della zona;
   l'associazione Guardie per l'Ambiente di Corato denuncia nel proprio sito che, nel 2009, aveva sollevato al Prefetto la questione della discarica, in quanto concomitante alla questione della cava dall'altro lato della strada in cui giungevano carovane di militari a far brillare alcune mine recuperate dal porto di Molfetta. Era stata evidenziata allora la possibilità di un'accelerazione della permeazione e infiltrazione del percolato con collegata creazione di biogas; tuttavia, il prefetto non aveva individuato, allora, irregolarità;
   dallo stesso sito si apprende che il comune di Corato ha impegnato 300 mila euro per la caratterizzazione e per la bonifica di un'altra discarica, quella in Contrada «Maccarone-Sant'Elia» attiva dal 1975 al 1982, senza concludere la bonifica, e tale zona evidenzia da decenni la concentrazione di patologie tumorali particolarmente acuta;
   i cittadini, preoccupati per la tossicità dei fumi e per l'imminente pericolo di inquinamento della falda idrica, temono il ripetersi della situazione della Contrada «Maccarone-Sant'Elia» e hanno chiesto l'istituzione di un registro comunale dei tumori ovvero di un sistema di osservazione sulle patologie tumorali che si verificano nell'area, in collaborazione con gli organi sanitari territoriali competenti, al fine di studiare scientificamente eventuali connessioni fra insorgenza della patologie tumorali e fattori ambientali  –:
   se il Ministro intenda intervenire attraverso il Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, per appurare quanto esposto in premessa circa la tossicità e pericolosità dei fumi sollevati dalla discarica e circa il pericolo di inquinamento della falda idrica e dei pozzi cartesiani della zona. (4-11087)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Parco nazionale dell'Alta Murgia in Puglia è stato istituito con decreto del Presidente della Repubblica del 10 marzo 2004, con il fine principale di tutelare e valorizzare le caratteristiche di naturalità, integrità territoriale ed ambientale, con particolare attenzione alla natura tipica dell'area protetta;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 31 maggio 2011 l'Ente parco nazionale dell'Alta Murgia è stato sottoposto al controllo della Corte dei conti;
   l'Ente è stato privo del Presidente dal 2010 al marzo 2012, periodo nel quale sono stati nominati e successivamente prorogati, con cinque decreti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per la durata di tre mesi ciascuno, commissari straordinari. L'attuale presidente insediatosi nel marzo 2012 ha un mandato quinquennale;
   altri organi in funzione sono il collegio dei revisori e la comunità del parco, quest'ultima, peraltro, in attesa di nomina del nuovo presidente. Non risulta ancora definita la nomina del Consiglio direttivo, scaduto nel mese di settembre 2010, né della giunta esecutiva. Il mancato rinnovo del consiglio direttivo e della giunta esecutiva, per un periodo così lungo, a detta della Corte dei Conti, non può non comportare instabilità nell'attività dell'Ente parco aumentando il quadro di incertezza con negative conseguenze sugli indirizzi politico-amministrativi, e, malgrado l'impegno della gestione corrente, nella realizzazione degli obiettivi programmati;
   gli strumenti di programmazione non risultano essere stati ancora perfezionati –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, si intendano porre in essere per risolvere le problematiche evidenziate, con particolare riferimento alle mancate nomine degli organi previsti dalla legge, che ormai perdurano da anni. (4-11090)


   ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, VIGNAROLI, DAGA, MICILLO e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come si legge nella risposta data alle interrogazioni al Parlamento europeo E-009582/11 ed E-009629/11, la direttiva 2008/98/CE non definisce quando le ceneri provenienti da incenerimento dei rifiuti siano da ritenere rifiuto pericoloso o non pericoloso, rimandando all'allegato III della medesima direttiva e all'articolo 2 della decisione 2000/532/CE che stabilisce le concentrazioni oltre le quali un determinato rifiuto debba considerarsi pericoloso;
   dal 1o giugno 2015 è entrata in vigore la decisione 2014/995/CE relativa al nuovo Elenco europeo dei rifiuti e che modifica la vecchia 2000/532/CE istitutiva del catalogo europeo rifiuti: la predetta decisione non ha modificato la disciplina esistente per quanto concerne la gestione delle ceneri pesanti e leggere derivanti dall'incenerimento dei rifiuti, di conseguenza permane la discrezionalità sul loro utilizzo o meno come materia prima secondaria in ragione della concentrazione degli inquinanti in esse contenuti;
   ove le ceneri non siano classificate come pericolose, ne è consentito l'utilizzo come materia prima, anche tramite la miscelazione con altre sostanze, per la realizzazione di sottofondi stradali e la fabbricazione di leganti e altri materiali per l'edilizia;
   nel rapporto dell'ISPRA 2014 sui rifiuti speciali si afferma che, a livello nazionale, i residui di combustione provenienti da attività di trattamento e smaltimento rifiuti, nei quali sono compresi i residui della depurazione dei fumi (ceneri leggere) e le scorie e ceneri dei processi termici di combustione (ceneri pesanti), ammontavano in totale nel 2012 a 7407 tonnellate di rifiuti speciali pericolosi e 31477 tonnellate di rifiuti speciali non pericolosi;
   di recente è stato pubblicato il rapporto rifiuti urbani ISPRA 2015 nel quale, a pagina 120, si afferma che nel 2014 gli impianti di incenerimento dei rifiuti hanno prodotto un totale di 182000 tonnellate di ceneri e scorie pericolose e 980000 tonnellate di ceneri e scorie non pericolose, riportando valori che non appaiono congrui con quelli indicati nel rapporto rifiuti speciali 2012;
   da organi di stampa internazionale si apprende che in vigenza della nuova legge ambientale del 2012 e riconoscendo gli stessi produttori la necessità di rispettare precauzioni specifiche, la Francia ha messo a punto un sistema di tracciabilità delle ceneri;
   essendo rifiuti solidi urbani una matrice estremamente disomogenea e a composizione variabile, e poiché la pericolosità o meno delle ceneri di risulta dipendere necessariamente dal materiale incenerito, non è dato conoscere a priori se le ceneri in questione siano pericolose o meno;
   Danimarca, Germania, Francia, Regno Unito utilizzano massicciamente il clinker proveniente da incenerimento dei rifiuti per opere di ingegneria e nel campo dell'edilizia;
   alla interrogazione a risposta scritta n. 4/09696 non è stata data alcuna risposta da parte del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare  –:
   a quanto ammonti effettivamente il dato di produzione delle ceneri pesanti e leggere provenienti dagli impianti di incenerimento e coincenerimento di rifiuti, anche con recupero energetico, in Italia;
   a quanto ammonti effettivamente a livello nazionale la quantità di ceneri riciclate e a quanto quella smaltita in discarica;
   a quanto ammonti la quantità di ceneri esportata come rifiuto speciale e quali siano i maggiori Paesi di destinazione;
   se il Ministro ritenga opportuno assumere iniziative per istituire un sistema di tracciabilità dedicato per le ceneri pesanti e leggere, anche classificate come non pericolose, provenienti da incenerimento di matrici disomogenee e a composizione variabile quali i rifiuti solidi urbani;
   se il Ministro ritenga opportuno, tramite apposita iniziativa, imporre la pubblicazione on line dei dati riguardanti le analisi chimiche delle ceneri in uscita da ciascuno degli impianti di incenerimento e coincenerimento di rifiuti, prima che esse siano miscelate con altri materiali.
(4-11094)


   ZACCAGNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 31 marzo 2015, la Società recuperi la Torre s.r.l., veniva autorizzata dall'amministrazione provinciale di Viterbo a riprendere le attività di recupero rifiuti non pericolosi dell’ex cava del Bucone. Il materiale versato, classificato R10, è, costituito da fanghi di cartiera provenienti dalle cartiere del lucchese, i quali, per poter essere trasferiti nei siti di ripristino ambientale, necessiterebbero di adeguati trattamenti, come prevedono le normative vigenti in materia, in quanto potrebbero contenere additivi, sostanze allergizzanti e andare incontro a processi fermentativi incontrollati. L'amministrazione comunale di Soriano nel Cimino ha uno spiccato e forte interesse di tutelare e salvaguardare il proprio territorio comunale; la passata amministrazione ha più volte sollecitato gli organismi di controllo (Arpa Lazio, amministrazione provinciale, carabinieri, Corpo forestale) affinché controllassero che le operazioni di recupero si svolgessero nel corretto rispetto della normativa di legge. A seguito delle sollecitazioni, la provincia di Viterbo richiedeva alla Società Recuperi La Torre s.r.l. una relazione geologica sul sito oggetto di recupero, che è stata successivamente trasmessa all'ARPA Lazio dalla provincia stessa. L'ARPA Lazio preso atto, inviava alla provincia, e, per conoscenza alla ditta, richieste di osservazioni tecniche ed integrazioni allo studio geologico ed al piano di monitoraggio. Solo successivamente alla presentazione della documentazione da parte della ditta, veniva autorizzata di nuovo dalla provincia l'attività di recupero. Stante agli eventi descritti, durante una riunione con i cittadini di Soriano, sono emerse perplessità e dubbi sull'attività di recupero, in quanto zone limitrofe alla cava sono interessate dal cattivo odore, ed i cittadini sono fortemente preoccupati per le conseguenze che potrebbero derivare alla pubblica incolumità;
   ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, l'esercizio delle attività di riciclaggio e di recupero dei rifiuti deve assicurare la massima protezione dell'ambiente e controlli costanti, diretti e efficaci, e i rifiuti devono essere recuperati senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero creare pregiudizio all'ambiente. Al fine di garantire un elevato livello di tutela dell'ambiente e controlli efficaci l'articolo 33 del predetto decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, stabilisce che le attività di recupero possono essere sottoposte a procedure semplificate sulla base di apposite condizioni e norme tecniche che debbono delineare e specificare in particolare: a) le quantità massime impiegabili; b) la provenienza, i tipi e le caratteristiche dei rifiuti, nonché le condizioni specifiche di utilizzo degli stessi; c) le prescrizioni necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti e metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente. Ai sensi dell'articolo 33, comma 7, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, la procedura semplificata sostituisce l'autorizzazione di cui all'articolo 15, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203, limitatamente alle variazioni qualitative e quantitative determinate dai rifiuti sottoposti ad attività di recupero semplificate, e che pertanto a tali fini e necessario fissare i limiti di emissione per ciascuna delle attività di recupero predette. L'articolo 1 del decreto ministeriale 5 febbraio 1998 recita: «Le attività, i procedimenti e i metodi di recupero di ciascuna delle tipologie di rifiuti individuati dal presente decreto non devono costituire un pericolo per la salute dell'uomo e recare pregiudizio all'ambiente, e in particolare non devono: a) creare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo e per la fauna e la flora; b) causare inconvenienti da rumori e odori; c) danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse»;
   inoltre, vi è da citare l'ordinanza n. 167 del 2012, emessa dal sindaco del comune di Soriano nel Cimino, nella quale si evince che la Società Recuperi la Torre s.r.l. entro 20 giorni dalla notifica della stessa doveva provvedere alla posa in opera di barriere frangivento e l'immediata osservanza delle prescrizioni impartite dall'organo competente in sede autorizzativa e nella fattispecie dall'amministrazione provinciale di Viterbo con determinazione di gestione n. 08/940/G del 26 agosto 2011. La relazione dell'ARPA Lazio, prot. n. 0014840 del 21 febbraio 2013, si evince che la società ha provveduto, come richiesto dall'ordinanza sopra citata alla posa in opera di una barriera frangivento; nella stessa si legge quanto segue, così integralmente riportato: «Sia lungo il perimetro dell'impianto, in particolare lungo la strada di accesso al sito, sia all'interno dell'alveo di cava, è stato avvertito un odore acre, riconducibile ai rifiuti presenti nella cava»;
   sarebbe opportuno che vengano attivate tutte le procedure necessarie ad accertare l'attività di recupero e che sia effettuata un'ulteriore analisi epidemiologica al fine di avere un quadro aggiornato della situazione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative di competenza intenda intraprendere al riguardo, eventualmente promuovendo una verifica da parte del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente in relazione allo stato dei luoghi al fine di garantire la tutela dei cittadini della zona coinvolta. (4-11097)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZACCAGNINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere, premesso che:
   l'Istituto professionale per l'agricoltura «Cavallini» di Solcio di Lesa (NO) è una scuola ubicata all'interno di un parco storico di inestimabile valore di pertinenza di una villa del 1700 appartenuta al senatore Cavallini, censita addirittura dal FAI come patrimonio di interesse storico, paesaggistico e culturale. L'ultima erede del senatore Cavallini, nel redigere il suo testamento, ha devoluto tramite un lascito tutti i suoi beni, villa e parco compresi, al pubblico tramite il comune di Lesa, affinché si aprisse una scuola per giardinieri aperta a tutti. Il lascito è tuttora valido ed è stato proprio questo testamento a permettere di aprire la scuola nel lontano 1944;
   da decenni il parco e la scuola sono caduti sempre più nel degrado causato sia da incompetenza dirigenziale dell'istituto, che ha subìto accorpamenti con altri istituti e diretto da presidi non presenti in loco, e sia da mala gestione dello stesso comune di Lesa, che negli ultimi anni ha emesso una serie di ordinanze di sequestro per transennare il parco a causa della pericolosità di alcune piante secolari e di varietà particolari per altro, che puntualmente crollano a terra per l'incuria e la mala gestione. Successivamente al crollo di un faggio secolare all'ingresso della scuola, il comune ha transennato l'intero parco impedendo di fatto il corretto svolgimento delle lezioni specie quelle pratiche all'esterno che per una scuola professionale sono fondamentali e impedendo l'ingresso, in caso di necessità, di mezzi di soccorso. Non si può più raggiungere la scuola se non attraverso una piccola stradina secondaria che vigili del fuoco e ambulanze non possono utilizzare;
   la scuola risulta inagibile dal punto di vista legale e nonostante siano passati mesi non si vedono progetti tanto meno visioni future in data 5 novembre 2015, il quotidiano La Stampa con un articolo a firma di Chiara Fabrizi dal titolo «L'istituto Cavallini sulle barricate: “Gestiamo noi il parco” » descriveva come: «Prosegue all'agrario di Lesa la protesta per l'area verde inagibile». La proposta: «Abbiamo mezzi e competenze [...]. Non è solo la chiusura del parco a bruciare». A far montare la rabbia degli studenti della «Cavallini», l'istituto professionale per l'agricoltura e l'ambiente di Solcio, è una lunga storia fatta di negligenze, di scarsi investimenti e anche di pregiudizi. «Siamo considerati studenti di serie B – dice Linda Ranzani, che frequenta la 5a A –. In realtà la nostra è una scuola di prima categoria, scelta con convinzione». [...] Stanchi di misurarsi con un'eterna emergenza e di veder di anno in anno ridotti spazi e margini per iniziative e progetti, docenti e allievi chiedono una soluzione condivisa. Il presidente della provincia Matteo Besozzi ha dato la sua disponibilità a istituire un gruppo di lavoro con comune e istituzione scolastica. Tra le prime proposte formulate c’è quella di un protocollo che consenta all'istituto la gestione diretta dei parco: «Qui ci sono mezzi e competenze per tenere pulita e in ordine l'area. I lavori sarebbero a costo zero per il comune» sottolinea Alessandro Paternò, che insegna da anni alla «Cavallini». Viene promossa anche la proposta arrivata da Coldiretti Novara, che invita gli studenti a fare pratica nelle aziende: «Meglio sarebbe se da Coldiretti ci arrivasse anche un sostegno economico per sistemare le nostre serre» aggiunge l'insegnante Giordano Stasi. Il presidente Besozzi non si è tirato indietro alla richiesta di interventi: «Daremo dignità all'edificio dove i ragazzi studiano. Subito sarà risolto il problema delle infiltrazioni nel tetto, rifatto di recente. Nelle serre non c’è alcuna situazione di rischio» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano intraprendere e se non reputino sia il caso di valorizzare questo bene pubblico di valore nazionale sia dal punto di vista formativo che come patrimonio di interesse storico, paesaggistico e culturale;
   se i Ministri interrogati, al fine di tutelare un patrimonio riconosciuto anche dal Fai di interesse storico e paesaggistico, non reputino di assumere iniziative normative che impongano di vincolare i terreni nella destinazione d'uso, al fine sia di evitare qualsiasi speculazione economica su di essi, sia di rispettare la condizione del lascito degli eredi Casalini;
   se i Ministri interrogati non reputino di dover tutelare, anche attraverso lo stanziamento di fondi utili per ristrutturare i terreni del parco, il diritto allo studio, permettendo agli studenti dell'istituto di poter usufruire degli spazi esterni e di poter ricevere gli adeguati soccorsi in caso di emergenza. (4-11084)


   LAFFRANCO, GIULIETTI, SERENI e VERINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo in conformità con il parere istruttorio formulato dalla soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici dell'Umbria e dalla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell'Umbria, in data 18 dicembre 2012, ha espresso parere negativo alla richiesta di pronuncia di compatibilità ambientale e di approvazione del progetto definitivo relativo alla realizzazione dello svincolo di Scopoli, in provincia di Foligno;
   al fine di poter realizzare un'opera strategica per il territorio umbro, nel dicembre del 2014, il consiglio di amministrazione della società «Quadrilatero spa» ha provveduto all'approvazione di un nuovo progetto al quale, sulla base di quello precedente, sono state apportate le modifiche necessarie in modo da essere pienamente conforme a quanto richiesto dalla soprintendenza regionale;
   in data 11 agosto 2015, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, sulla base del parere negativo della soprintendenza dell'Umbria ha provveduto, per la seconda volta, con parere tecnico istruttorio negativo al blocco del progetto definitivo relativo alla realizzazione dello stesso svincolo;
   lo svincolo di Scopoli, consisteste nella realizzazione delle rampe di accesso e uscita che collegherebbero la Valmenotre con la strada statale 77 della Valdichienti, è una infrastruttura di rilevanza strategica concepita al fine di interrompere l'isolamento della zona montana interessata;
   la realizzazione di tale opera infrastrutturale è estremamente importante per il territorio locale non solo dal punto di vista naturalistico e paesaggistico ma anche per rilanciare la crescita e lo sviluppo economico, turistico e culturale del territorio regionale;
   lo svincolo è da considerarsi come un'opera funzionale per le esigenze di mobilità sul territorio della regione Umbria ed in particolare per la tempestività dei mezzi di soccorso in casi di urgenza, qualora se ne presentasse la necessità;
   tale opera risulta un elemento di sicurezza fondamentale in un tratto stradale di oltre 13 chilometri costituito da viadotti e gallerie che, in assenza di questo svincolo, non avrebbe alcun altro punto di ingresso e uscita dall'infrastruttura;
   a seguito della decisione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, il territorio interessato dalla costruzione dello svincolo risulterebbe sostanzialmente sfruttato senza poter ottenere alcun vantaggio diretto per cittadini ed il commercio della zona;
   alla luce di tali fatti, i cittadini della zona si stanno impegnando in una massiccia mobilitazione, consapevoli del totale isolamento a cui sarebbero condannati se lo svincolo non dovesse essere realizzato e degli innumerevoli disagi provocati dalla mancata realizzazione dell'infrastruttura;
   il 3 novembre 2015 il consiglio regionale dell'Umbria ha approvato all'unanimità, con la sola astensione del Movimento Cinque Stelle, la mozione congiunta presentata dai gruppi di maggioranza e opposizione per garantire la realizzazione dei lavori –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine di rivedere il parere negativo espresso dallo stesso e di scongiurare la mancata realizzazione dello svincolo di Scopoli. (4-11096)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'attuazione della direttiva 2014/59/UE che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento introduce anche in Italia l'istituto del bail-in «pensionando» il bail-out cioè il meccanismo in base al quale è lo Stato a intervenire in caso di difficoltà degli Istituti di credito;
   nel nuovo contesto normativo se un istituto di credito rischia il default, i primi a dover sborsare il proprio denaro sono gli azionisti, seguiti dagli obbligazionisti meno assicurati e dai titolari di depositi bancari superiori a centomila euro in quanto la Direttiva europea garantisce solo i depositi inferiori a tale soglia;
   non devono invece partecipare al bail-in i possessori di obbligazioni garantite, i titolari di pensioni e i salari e le altre categorie previste dalla normativa nazionale;
   lo Stato interviene per salvare una banca solo dopo che azionisti e creditori ne hanno pagato l'8 per cento delle passività totali e deve costituire un fondo nazionale che nell'arco di 10 anni dovrà raggiungere un livello pari ad almeno lo 0,8 per cento dei depositi garantiti di tutte le istituzioni creditizie del Paese, utilizzandolo per il 5 per cento degli attivi;
   l'istituto del bail-in consente alle autorità competenti di ridurre gli importi dovuti ai creditori non garantiti e di convertire tali crediti in capitale ed è applicabile alle diverse passività della banca in dissesto, ad eccezione, in primo luogo, dei depositi garantiti;
   le banche sono tenute a detenere, oltre ai fondi propri, passività ricomprese nel campo di applicazione del bail-in, mentre l'applicazione dello stesso avverrà con l'introduzione della BRRD (Bank ricovery and resolution directive) secondo un ordine gerarchico predefinito, in quanto la sua applicazione riguarderà in primo luogo gli strumenti del patrimonio di vigilanza e con un regime di favore per i depositi non garantiti di titolarità di persone fisiche e di piccole e medie imprese. La preferenza accordata ai depositi appare razionale, ma rimarca la necessità di valutare la possibilità di un corretto bilanciamento riguardo alla tutela delle obbligazioni detenute dai piccoli investitori;
   l'entrata in vigore del regime della depositor preference previsto dalla direttiva 2014/59/UE determina però criticità ai possessori di obbligazioni senza garanzie (subordinate) già emesse in quanto l'utilizzazione obbligatoria dei titoli in questione, non prevista dalle clausole di acquisto dei titoli a suo tempo sottoscritti, ancorché limitata a concorrere alla semplice ricapitalizzazione della banca, senza la previsione di almeno un congruo periodo di preavviso, evidentemente comporta per gli investitori enormi danni perché:
    a) il titolo obbligazionario, che ha un valore nominale certo sino al suo integrale rimborso alla scadenza, corre seri rischi di tenuta del suo valore nominale se trasformato in azioni bancarie visto che le stesse, essendo sottoposte alla pericolosità delle oscillazioni di borsa, possono registrare rapide e significative perdite di valore;
    b) il titolo obbligazionario, che dà certezza di rendimento per tutto il tempo della sua validità, si trasformerebbe in azioni che non solo non danno certezza di rendimento ma addirittura potrebbero, almeno all'inizio, non dare dividendo alcuno;
    c) trattandosi di una riconversione coattiva senza preavviso, al proprietario delle obbligazioni si impedirebbe il legittimo diritto di poterne disporre liberamente;
   il regime della depositor preference se introdotto senza una fase transitoria finirebbe per danneggiare i piccoli risparmiatori e le stesse fondazioni bancarie, proprietarie di obbligazioni non garantite (subordinate) che sono costrette a registrare una perdita di valore del loro patrimonio impegnato nel capitale azionario delle banche conferitarie, una perdita i che sfiora ormai in taluni casi un importo oscillante tra l'80 ed il 90 per cento degli investimenti effettuati; tale situazione sta oggi sostanzialmente paralizzando le attività delle fondazioni stesse che, com’è noto, sono organismi ONLUS, sottoposti alla vigilanza del Ministero dell'economia e delle finanze, la finalità delle quali è fare welfare sul territorio utilizzando a questo fine tutto l'attivo di bilancio; penalizzare oltre misura le fondazioni significherebbe, per esempio per quanto riguarda le quattro che sono impegnate come socie di riferimento in Banca delle Marche (Fano Jesi, Macerata, Pesaro), uno dei quattro istituti creditizi oggi commissariati, diminuire gli interventi per il welfare sul territorio di competenza per oltre 25 milioni di euro ogni anno, somme che il sistema delle autonomie locali interessate non sarebbe in grado di supplire;
   appare perciò ragionevole che il Governo valuti con attenzione i riflessi derivanti dall'attuazione della direttiva 2014/59/UE al fine di evitare riflessi negativi per i possessori di obbligazioni bancarie senza garanzie (subordinate) già emesse e la cui scadenza avverrà nei prossimi anni –:
   se e quali iniziative di competenza il Governo ritenga di dover intraprendere per evitare che dal recepimento delle direttive comunitarie in materia bancaria per il risanamento e la risoluzione degli enti creditizi derivino negative conseguenze per i possessori di obbligazioni bancarie senza garanzie (subordinate) già emesse e la scadenza delle quali avverrà nei prossimi anni e se ritenga opportuno adottare iniziative volte a prevedere un adeguato periodo transitorio per consentire agli investitori privati e alle Fondazioni bancarie di poter meglio tutelare i propri patrimoni. (5-06974)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FERRARESI, SIBILIA e GRANDE. — Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 28 ottobre 2015 è stato arrestato, presso l'aeroporto internazionale di Dortmund, Hanefija Prijić, detto Paraga, cittadino bosniaco di 52 anni; l'uomo è il responsabile dell'uccisione di tre volontari italiani avvenuta il 29 maggio del 1993 presso Gornj Vakuf, nella Bosnia centrale;
   Fabio Moreni, Sergio Lana e Guido Puletti facevano parte di un convoglio umanitario diretto alla cittadina di Zavidovići, con la quale i volontari del «Coordinamento iniziative di solidarietà con l’ex Jugoslavia» avevano stretto legami di amicizia e aiuto sin dall'inizio della guerra in Bosnia Erzegovina;
   il convoglio era stato fermato dagli uomini del gruppo di Prijić tra Gornji Vakuf e Travnik; dopo aver derubato i volontari degli aiuti destinati alla popolazione, i soldati avevano ucciso Fabio Moreni, Sergio Lana, e il giornalista Guido Puletti, gli altri due volontari che facevano parte del convoglio, Christian Penocchio e Agostino Zanotti, si erano salvati fuggendo nel bosco e rifugiandosi poi nella sede dei caschi blu scozzesi a Bugojno;
   Prijić era il comandante del Terzo battaglione della 317ma brigata dell'esercito della Bosnia Erzegovina (Armija BiH) ed è già stato condannato in secondo grado, dalla giustizia bosniaca, il 3 aprile 2002, a 13 anni di reclusione per crimini di guerra contro civili;
   la procura di Brescia a quei tempi aprì un fascicolo e indagò in collaborazione con le autorità bosniache riuscendo a delineare i contorni di quanto accaduto;
   il Ministero di grazia e giustizia, il 10 settembre 1998, ha riconosciuto la natura politica di quel crimine, pur tuttavia l'autorità diplomatica italiana in Bosnia risulta che fu totalmente assente dal processo (se si eccettua una sola udienza) e rifiutò il supporto all'avvocato delle parti lese alla sua conclusione;
   Prijić non ha mai rivelato i motivi della barbara uccisione dei volontari, né la giustizia bosniaca ha mai arrestato i due esecutori materiali della strage; la rapida estradizione dell'arrestato potrebbe permettere alle autorità italiane di chiarire gli aspetti della vicenda rimasti finora oscuri, di individuare gli autori materiali della strage e di rispondere alle domande che da anni tormentano i familiari e gli amici delle vittime sul perché di quell'inspiegabile crimine;
   il forte spirito di volontariato che mosse migliaia di persone del nostro Paese verso quelle terre così vicine, martoriate dalla guerra, non si arrestò; la diplomazia dell'aiuto umanitario continuò ad operare, con il coordinamento del Consorzio italiano di solidarietà, nelle tante associazioni, nelle parrocchie e ciò fu fatto anche a nome loro ed a nome di Moreno Locatelli, l'altro volontario italiano ucciso a Sarjevo il 3 ottobre 1993, sul ponte Vrbanja, da un cecchino rimasto ignoto;
   in Italia Prijić è ricercato per «tentato omicidio, omicidio preterintenzionale e rapina a mano armata», per questo la procura di Dortmund sta valutando se estradarlo –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere, per quanto di competenza, ai fini dell'immediata estradizione di Dortmund Hanefija Prijić, in modo tale da consentire di procedere al completo accertamento dei fatti ed al giudizio di merito sulle responsabilità di quanto accaduto a Fabio Moreni, Sergio Lana e Guido Puletti. (5-06983)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   l'uso degli autovelox per accertare il superamento dei limiti di velocità è diventato per molti enti locali, di fatto, uno strumento sicuro per garantirsi entrate supplementari destinate agli scopi più disparati, essendo tali apparecchiature assai di frequente utilizzate in modo subdolo dai comuni, non tanto a scopo preventivo o dissuasivo, quanto al puro scopo di multare il maggior numero di automobilisti e aumentare in questo modo le entrate derivanti dalle sanzioni in favore dei bilanci degli enti;
   i limiti di velocità su diversi tratti stradali sono spesso discutibili e altalenanti, e la collocazione degli impianti di rilevazione automatica risulta talvolta arbitraria, se non, in qualche caso, persino pericolosa, poiché induce gli automobilisti a bruschi rallentamenti della velocità;
   la Corte Costituzionale (sentenza 113 del 2015) ha stabilito che gli strumenti tecnici di misurazione elettronica sono di dubbia funzionalità se non sono sottoposti a manutenzione e a verifiche periodiche e che «fenomeni di obsolescenza e deterioramento possono pregiudicare non solo l'affidabilità delle apparecchiature, ma anche la fede pubblica che si ripone in un settore di significativa rilevanza sociale, quale quello della sicurezza stradale»;
   molti comuni, poi, per evitare il contraccolpo di impopolarità prodotto da queste condotte sulla popolazione residente, installano queste macchine di rilevazione automatica principalmente sui tratti delle strade statali che attraversano il loro territorio di competenza, in modo da poter colpire il maggior numero possibile di automobilisti di passaggio;
   a questo genere di cattive prassi si contrappongono comportamenti di segno opposto, come quello messo in atto dal sindaco di Padova, che ha annullato decine di migliaia di sanzioni, provenienti da autovelox, ritenendo prima necessario procedere a una verifica della regolarità degli impianti;
   secondo la previsione di legge, i comuni stessi dovrebbero inviare ogni anno una relazione telematica al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e al Ministero dell'interno su quanto incassano con queste multe e destinare una quota del 50 per cento di queste entrate, provenienti da sanzioni comminate attraverso l'utilizzo degli autovelox, al miglioramento della sicurezza stradale: entrambi i suddetti obblighi restano spesso disattesi e non sanzionabili –:
   quali iniziative, anche normative, il Governo intenda assumere per mettere fine al più presto a questo utilizzo distorto degli strumenti per la sicurezza degli automobilisti, impropriamente finalizzati ad alimentare le entrate nelle casse dei comuni, e per fare rispettare la legge sia in merito alla relazione telematica che i comuni stessi devono inviare ogni anno ai Ministeri delle infrastrutture e dei trasporti e dell'interno, sia in ordine all'obbligo di destinare il 50 per cento di questi proventi alla sicurezza stradale, anche introducendo un nuovo sistema sanzionatorio, efficace e applicabile ai comuni che non adempiano agli obblighi previsti.
(2-01162) «Baldelli, Giacomoni, Polverini, Nizzi, Fucci, Marti, Palmizio, Archi, Picchi, Petrenga, Squeri, Catanoso, Lainati, Milanato, Palese, Sandra Savino, De Girolamo, Biasotti, Ciracì, Latronico, Prestigiacomo, Bianconi, Luigi Cesaro, Russo, Chiarelli, Valentini, Vella, Castiello, Elvira Savino, Occhiuto, Biancofiore, Giammanco, Fabrizio Di Stefano, Bergamini, Alberto Giorgetti».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE ROSA, BUSTO, MANNINO, MICILLO, ZOLEZZI, DAGA, TERZONI, NICOLA BIANCHI, CARINELLI, DE LORENZIS, DELL'ORCO, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il primo progetto presentato da ANAS, all'inizio degli anni 2000, per la realizzazione della strada «Magenta-Abbiategrasso-Vigevano-tangenziale ovest di Milano» prevedeva un intervento «forte» di nuova arteria stradale a due corsie per senso di marcia, notevolmente impattante sul territorio. Questa soluzione veniva avversata dai comuni interessati che, invece, hanno proposto una serie di interventi di riqualificazione e potenziamento delle strade esistenti;
   il CIPE, nella seduta del 29 marzo 2006, approvava solo parzialmente il progetto preliminare, a seguito del parere negativo del Ministero dei beni culturali che richiedeva, in alternativa, interventi di riqualifica e messa in sicurezza della rete viaria esistente. Il progetto preliminare è stato, infine approvato dal CIPE nella seduta del 31 gennaio 2008, e sono stati stanziati i primi 65,3 milioni di euro (su 281 totali). Il progetto definitivo veniva approvato dal CIPE nel dicembre 2008, per un costo complessivo di 419 milioni;
   a seguito della riduzione degli stanziamenti di 65 milioni di euro operata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il venir meno di risorse previste dalla regione Lombardia, i finanziamenti disponibili per l'intervento sono scesi da 281 milioni a 212,8 milioni. Ciò ha reso necessario il riavvio della progettazione definitiva per stralci funzionali;
   la nuova tangenziale ovest esterna di Milano (TOEM), come stralcio dell'opera principale, veniva ripresa, quale opera strategica, in occasione delle prime bozze di adeguamento del piano territoriale di coordinamento provinciale della provincia di Milano (marzo 2011). A seguito della forte mobilitazione dei cittadini e della richiesta unanime dei comuni interessati dal tracciato dell'infrastruttura, l'ipotesi di una nuova tangenziale ovest esterna di Milano veniva completamente eliminata dal piano territoriale di coordinamento provinciale adottato dal consiglio provinciale di Milano il 7 giugno 2012, con deliberazione n. 49;
   con «Lettera dei Sindaci per la cancellazione dell'infrastruttura TOEM» del 20 luglio 2015 (protocollo n. 5761/02 del comune di Rosate), i 31 sindaci interessati dal tracciato della nuova opera viabilistica chiedono nuovamente di «eliminare definitivamente dal Piano Regionale della Mobilità e Trasporti della Regione Lombardia le pagine che richiamano la Tangenziale Ovest Esterna di Milano (TOEM)»;
   la legge regionale 28 novembre 2014, n. 31 «Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per la riqualificazione del suolo degradato» che nel comma 2 dell'articolo 2, riconosce il suolo come: «risorsa non rinnovabile, bene comune di fondamentale importanza per l'equilibrio ambientale, la salvaguardia della salute, la produzione agricola finalizzata alla alimentazione umana e/o animale, la tutela degli ecosistemi naturali e la difesa dal dissesto idrogeologico»;
   è noto che l'elevato grado di frammentazione di ecosistemi e aree di naturalità, proprio soprattutto delle aree metropolitane e pedemontane, è causato dalla urbanizzazione diffusa e dall'attraversamento delle infrastrutture lineari che ostacolano la continuità della rete ecologica e sono considerate tra i principali agenti di consumo di paesaggio, risorsa complessiva fortemente connessa alla qualità della vita e dell'ambiente in cui l'uomo vive;
   l'evoluzione dell'agricoltura nel territorio interessato dal tracciato della TOEM, ha imboccato la direzione dell'agricoltura multifunzionale in via crescente nell'ultimo decennio: sono aumentate le aziende che valorizzano i propri prodotti tramite la vendita diretta, sono cresciuti gli agriturismi e la qualità dei servizi forniti, sono incrementati i rapporti di scambio e di collaborazione tra le stesse aziende agricole e le associazioni del territorio (tra cui diversi gruppi di acquisto solidali attivi nell'accorciamento della filiera), sono proliferate le aziende che hanno intrapreso la conversione al biologico e hanno realizzato misure agroambientali di cucitura delle connessioni ecologiche;
   in particolare, una concentrazione di aziende multifunzionali ed innovative si colloca nel corridoio ecologico che collega la porzione nord-ovest del parco agricolo Sud Milano (Boschi di Riazzolo e Cusago) con la porzione centrale della Valle del Ticino;
   questa connessione non è solo ecologica, ma anche funzionale al modello di agricoltura innovativo e multifunzionale. È connessione anche in termini sociali e politici in senso nobile e alto. Grazie all'attività delle aziende agricole coinvolte è nato l'AQST (accordo quadro di sviluppo territoriale) «Milano Metropoli Rurale», che ha un piano d'azione di forte impatto per il rilancio economico di tutta l'area; la superficie coltivata con la presenza di più di 1.400 aziende agricole, la cui attività principale è l'allevamento di bovini e suini, la coltura dei cereali (43 per cento), cui seguono il riso (22 per cento) ed il prato (16 per cento) nonché le colture di girasole, soia, orti e vivai;
   la tangenziale ovest andrebbe a ricadere nel parco agricolo Sud Milano, istituito il 23 aprile 1990 con lo scopo di proteggere e valorizzare l'economia agricola della zona sud di Milano e di tutelare ambiente ed economia agricola; l'ambiente naturale del parco è connotato, infatti, dalla presenza di aree riconosciute di valore ambientale diversificato (Oasi di Pasturago – Vernate, Laghetto Gamberino – Rosate, Area Faunistica della Testuggine Palustre – Zibido San Giacomo), tra le quali siti di importanza comunitaria (Oasi di Lacchiarella), parte integrante della rete Natura 2000 –:
   se i Ministri interrogati non ritengano che il progetto della tangenziale ovest esterna di Milano possa arrecare un grave pregiudizio allo sviluppo agricolo che ha caratterizzato nell'ultimo decennio l'area interessata dal tracciato infrastrutturale in progetto e che si propone come modello di agricoltura innovativo e multifunzionale, tale da concorrere alla valorizzazione e riqualificazione del territorio e dell'ambiente naturale, e quali iniziative di tutela intendano attivare;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, per rivalutare la persistenza di un interesse pubblico alla realizzazione degli interventi viabilistici a sud/sud ovest di Milano, di completamento dell'anello tangenziale esterno di Milano, rispetto a progetti alternativi che privilegino la riqualificazione e messa in sicurezza delle strade esistenti, e consentano di dotare l'area sud/sud ovest di Milano di una mobilità efficiente e sostenibile, che incentivi la valorizzazione del parco agricolo Sud Milano e la salvaguardia del suo patrimonio agricolo e ambientale, con particolare riferimento alle aree «SIC». (5-06966)


   RUSSO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la ferrovia circumvesuviana costruita nel 1890 è una delle prime strade ferrate del nostro Paese e collega la città di Napoli, nella tratta Napoli-Baiano, all'intera area ad est del capoluogo interessando due province ed un'area abitata da circa 600 mila cittadini;
   tale, tratta ferroviaria rappresenta l'unico strumento di mobilità soprattutto per le fasce più esposte di lavoratori e studenti, per quanto significativamente ridimensionato per una incauta e fallimentare gestione del passato della società holding Eav che si è ripercossa sull'efficienza degli elettrotreni oggi ridotti a poche decine;
   sono in corso iniziative di revamping di treni in manutenzione e di acquisto di treni nuovi ed usati;
   nella sola città di Nola la linea ferroviaria in tre punti taglia la città con gravissime ripercussioni sul piano della mobilità e dell'inquinamento ambientale;
   con delibera del 3 agosto 2011, n. 62, recante «Individuazione e assegnazione di risorse a interventi di rilievo nazionale e interregionale e di rilevanza strategica regionale per l'attuazione del Piano Nazionale per il Sud», il CIPE ha approvato un programma d'intervento costituito da 12 operazioni tra cui un lotto di lavori rientranti nel «Raddoppio in Nuova Sede della Linea Circumvesuviana» in provincia di Napoli e più precisamente un «Lotto Funzionale della tratta Saviano-Feudo-Nola»;
   tale intervento prevede l'eliminazione dei passaggi a livello e la costruzione della stazione con l'interramento del fascio ferroviario;
   nella seduta dell'8 agosto 2012 il tavolo tecnico costituito dalle regioni e dalle amministrazioni centrali ha definito congiuntamente il testo dell'accordo di programma quadro rafforzato, da utilizzarsi per l'attuazione delle delibere CIPE adottate dal luglio 2011 e trasmesso dal dipartimento per lo sviluppo e la coesione territoriale con mail del 30 agosto 2012;
   la delibera del CIPE n. 94 del 17 dicembre 2013 avente a oggetto «Proroga del termine per l'assunzione delle Obbligazioni Giuridicamente Vincolanti relative agli interventi finanziati con le delibere nn. 62/2011, 78/2011, 7/2012, 8/2012, 60/2012 e 87/2012» ha prorogato il termine per l'assunzione delle obbligazioni giuridicamente vincolanti al 30 giugno 2014;
   con la delibera di giunta regionale della Campania 199 del 5 giugno 2014, che approva lo schema di accordo di programma quadro, è stato verificato dall'istruttoria condotta dalla direzione generale per la mobilità, che ha già conseguito le Obbligazioni Giuridicamente Vincolanti entro il termine di cui al punto precedente, tra le altre opere elencate, la seguente:
    Titolo Intervento – CAMCV/01 Interramento ex Circumvesuviana tratta Saviano-Feudo-Nola;
    soggetto attuatore – Ente Autonomo Volturno;
    quota copertura finanziaria – (Totale) euro 120.000.000,00 ex delibera CIPE 62/11;
   in data 18 luglio 2014 è stato sottoscritto l'accordo di programma quadro «sistemi di mobilità» tra dipartimento per lo sviluppo e coesione economica, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la regione Campania, con cui è stato finanziato con euro 120.000.000,00 l'intervento;
   si riporta di seguito il cronoprogramma di realizzazione così come esposto nella scheda intervento allegata all'accordo di programma quadro sottoscritto da regione Campania:
    la progettazione preliminare è del 31 luglio 2012;
    per la progettazione definitiva la data di avvio era fissata al 1o giugno 2014, quella di conclusione era fissata al 30 settembre 2014;
    per la progettazione esecutiva la data di avvio era fissata al 1o ottobre 2014, quella di conclusione era fissata al 31 marzo 2015;
    per l'esecuzione dei lavori la data di avvio era fissata al 30 aprile 2015, quella di conclusione al 31 gennaio 2020;
    per il collaudo la data di avvio è fissata al 1o febbraio 2020, quella di conclusione al 1o febbraio 2021;
    la funzionalità è prevista tra il 30 aprile 2020 e il 4 maggio 2020;
   l'articolo 6 dell'accordo di programma quadro sottoscritto così recita:
   «Obblighi delle Parti.
  1. Le Parti si impegnano, nello svolgimento dell'attività di competenza, a rispettare e a far rispettare tutti gli obblighi previsti nell'Accordo. A tal fine, le parti si danno reciprocamente atto che il rispetto della tempistica di cui agli allegati costituisce elemento prioritario ed essenziale per l'attuazione del Programma di interventi oggetto del presente atto.
  2. In particolare le Parti si obbligano, in conformità alle funzioni e ai compiti assegnati dalla normativa vigente, all'effettuazione delle seguenti attività, nel rispetto dei tempi definiti per ciascun intervento, anche in fase di realizzazione:
   a) Il Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione economica garantisce l'esercizio delle attività di coordinamento e alta vigilanza sul complessivo processo di attuazione dell'Accordo e di tutti gli altri atti di competenza nelle materie oggetto dell'Accordo, in coerenza con le indicazioni e la tempistica di cui agli Allegati, nonché l'attivazione delle occorrenti risorse umane e strumentali; garantisce, altresì, il flusso delle risorse finanziarie di competenza;
   b) Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Direzione Generale;
   c) La Regione Campania:
    garantisce l'esecuzione del programma di interventi dell'Accordo, con le modalità, le tempistiche e le procedure indicate negli allegati 1, 1.a, 1.b, 1.c;
    garantisce l'aggiornamento dei dati di monitoraggio in SGP e in BDU;
    garantisce il compimento di tutti gli atti occorrenti per il rilascio nei tempi previsti degli atti approvativi, autorizzativi, pareri e di tutti gli altri atti di competenza, ai sensi della normativa vigente, nelle materie oggetto del presente Accordo, secondo le indicazioni e la tempistica di cui agli Allegati citati e l'attivazione delle occorrenti risorse umane e strumentali;
    assicura il coordinamento e la collaborazione con gli Enti locali e ogni altro Ente su base regionale;
    assicura l'informazione, al fine di assicurare la condivisione degli obiettivi e, ove necessario, favorire il rilascio di atti di competenza di tali Enti ai sensi della normativa vigente entro i termini previsti;
    garantisce il flusso delle risorse finanziarie di competenza ed il trasferimento delle risorse ai soggetti attuatori compatibilmente con i vincoli indotti dal rispetto del “patto di stabilità”;
    tiene conto dei predetti vincoli e delle esigenze di trasferimento collegate al fabbisogno finanziario degli interventi nella fase di elaborazione dei propri documenti di bilancio. A tali fini, l'autorità regionale competente assume i necessari impegni contabili, in relazione al proprio ordinamento e all'avanzamento progettuale/realizzativo degli interventi;
    valuta la compatibilità degli interventi infrastrutturali oggetto dell'Accordo con la normativa europea sugli Aiuti di Stato richiamata in premessa e cura, ove richieste, le procedure di notifica alla Commissione Europea;
    effettua i controlli necessari al fine di garantire la correttezza e la regolarità della spesa.

  3. Entro il 30 giugno di ogni anno su proposta del RUPA, sarà sottoposto all'approvazione del Tavolo dei Sottoscrittori l'aggiornamento degli impegni assunti dalle singole parti rispetto ai tempi di rilascio degli atti di approvazione, di autorizzazione e dei pareri, nonché alla progettazione e realizzazione delle opere, all'attivazione delle occorrenti risorse e a tutti gli altri atti di competenza nelle materie oggetto del presente Accordo.
  4. Le Parti si impegnano, inoltre, per quanto di rispettiva competenza, a:
   a) fare ricorso a forme di immediata collaborazione e di stretto coordinamento, attraverso strumenti di semplificazione dell'attività amministrativa e di snellimento dei procedimenti di decisione e di controllo previsti dalla vigente normativa;
   b) rimuovere tutti gli ostacoli che potranno sorgere in ogni fase di esecuzione degli impegni assunti per la realizzazione degli interventi, accettando, in caso di inerzia, ritardo o inadempienza accertata, le misure previste dall'Accordo;
   c) al fine di garantire gli adempimenti di cui alla successiva lettera d), eseguire, almeno con cadenza periodica, tutte le attività di monitoraggio utili a procedere periodicamente alla verifica dell'Accordo, anche al fine di attivare prontamente tutte le risorse per la realizzazione degli interventi;
   d) procedere, con periodicità semestrale, alla verifica dell'Accordo, anche al fine di attivare prontamente tutti i provvedimenti necessari per la realizzazione degli interventi;
   e) effettuare i controlli necessari al fine di garantire la correttezza e la regolarità della spesa»;
   l'articolo 9 dell'accordo di programma quadro sottoscritto recita:
   «Responsabile Unico delle Parti.
  1. Ai sensi del Sistema di Gestione e Controllo adottato dalla Regione Campania è individuato quale RUPA regionale il Direttore Generale pro-tempore della DG per la Programmazione Economica e Turismo del Dipartimento della Programmazione e dello Sviluppo Economico della Regione Campania»;
   l'articolo 17 dell'accordo di programma quadro sottoscritto recita:
   «Interventi in allegato
Sanzioni.
  1. Le parti si danno reciprocamente atto che l'esecuzione degli interventi in oggetto in tempi certi rappresenta un motivo essenziale del presente Accordo. A tali fini, le tempistiche indicate nei cronoprogrammi in allegato sono assunte come riferimento primario per l'applicazione delle misure sanzionatorie, secondo le modalità di cui ai commi che seguono. A tal fine la Regione Campania si impegna ad obbligare i Soggetti attuatori degli interventi affinché riportino le citate tempistiche all'interno dei bandi di gara e/o negli atti contrattuali sottoscritti con i soggetti affidatari.
  2. In caso di mancata aggiudicazione nei termini previsti dal cronoprogramma, allorquando il ritardo superi 90 giorni, il Tavolo dei sottoscrittori, salvo giustificati motivi, assume l'iniziativa per la revoca del finanziamento disposto in favore dell'intervento di cui trattasi, dandone informativa al CIPE per le decisioni di competenza.
  3. In fase di esecuzione, eventuali ritardi maturati rispetto ai tempi indicati nei cronoprogrammi, comportano l'applicazione nei confronti del soggetto attuatore, di apposite penali in conformità a quanto previsto dal regolamento di esecuzione e attuazione del codice dei contratti pubblici nei confronti del soggetto appaltatore. A tal fine, il soggetto attuatore si rivale sul soggetto appaltatore, incamerando le penali contrattualmente previste, a norma di legge.
  4. L'applicazione delle penali nei confronti del soggetto attuatore comporta la riduzione dei trasferimenti previsti per la copertura finanziaria dell'intervento, nell'importo corrispondente all'ammontare delle penali medesime.
  5. Nei casi più gravi di ritardo, irregolarità o inadempimento, il soggetto attuatore attiva il procedimento previsto dalla legge per la risoluzione del contratto nei confronti dell'appaltatore.
  6. La Regione, ove non coincida con il soggetto attuatore, si impegna ad inserire tali disposizioni nei disciplinari di finanziamento.
  7. Nei casi di persistente ritardo, inerzia o inadempimento, potranno essere adottati i poteri sostitutivi secondo quanto previsto dal successivo articolo 18»;
   l'articolo 18 dell'accordo di programma quadro sottoscritto recita:
   «Poteri sostitutivi in caso di inerzia, ritardo ed inadempimento.
  1. L'esercizio dei poteri sostitutivi si applica in conformità con quanto previsto dall'ordinamento vigente. L'inerzia, l'omissione e l'attività ostativa riferite alla verifica e al monitoraggio da parte dei soggetti responsabili di tali funzioni costituiscono, agli effetti del presente Accordo, fattispecie di inadempimento.
  2. Nel caso di ritardo, inerzia o inadempimento, il RUA, fermo restando quanto previsto agli articoli precedenti, invita il soggetto al quale il ritardo, l'inerzia o l'inadempimento siano imputabili ad assicurare che la struttura da esso dipendente adempia entro un termine prefissato. Il soggetto sottoscrittore cui è imputabile l'inadempimento è tenuto a far conoscere, entro il termine prefissato dal RUA, le iniziative a tal fine assunte e i risultati conseguiti.
  3. La revoca del finanziamento non pregiudica l'esercizio di eventuali pretese di risarcimento nei confronti del soggetto cui sia imputabile l'inadempimento per i danni arrecati. Ai soggetti che hanno sostenuto oneri in conseguenza diretta dell'inadempimento contestato compete, comunque, l'azione di ripetizione degli oneri medesimi»;
   con decreto della giunta regionale n. 199 del 5 giugno 2014 è stato individuato per l'attuazione dell'accordo di programma quadro (RUA) il direttore generale per la mobilità pro tempore;
   con decreto dirigenziale n. 237 del 6 agosto 2014 il direttore generale per la mobilità ha autorizzato l'ente attuatore EAV a dare avvio all'attività realizzativa dell'intervento, riservandosi di provvedere alla «formale assegnazione del finanziamento» con successivo provvedimento;
   con delibera della giunta regionale della Campania n. 482 del 21 ottobre 2014 è stato istituito nel bilancio gestionale un nuovo capitolo di spesa, nell'ambito del programma 06 della missione 10, avente la denominazione «Programmazione FSC 2007-2013: Accordo di Programma Quadro “Sistemi di Mobilità” sottoscritto il 18 luglio 2014 tra il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la regione Campania, ai sensi della delibera CIPE n. 62 del 3 agosto 2011», capitolo di spesa la cui titolarità è stata è stata attribuita alla direzione generale per la mobilità UOD 53 07 06;
   con decreto n. 24 del 12 dicembre 2014 il dipartimento politiche territoriali in coerenza con l'accordo di programma quadro sottoscritto in data 18 luglio 2014, ha calendarizzato per gli anni 2014, 2015, 2016, 2017, 2018, 2019 gli impegni di spesa per l'intervento denominato CAM CV/01-interramento ex circumvesuviana e, disposto a favore di EAV, l'impegno di spesa previsto per l'annualità 2014;
   con nota 13 aprile 2015 l'EAV ha trasmesso alla direzione generale mobilità della regione Campania, al fine di ottenere il decreto di assegnazione dei fondi, il provvedimento di approvazione del progetto, l'attestazione di cantierabilità dell'intervento, l'individuazione dell'area di localizzazione dello stesso, copia del disciplinare sottoscritto dal RUP e dal legale rappresentante di EAV, l'individuazione del codice CUP assegnato al progetto;
   in data 14 aprile 2015 l'ente attuatore EAV ha sottoscritto, al fine della realizzazione dell'opera, l'atto integrativo della convenzione 24690 del 2 ottobre 1990 intercorsa con il Consorzio ferroviario vesuviano, subordinandone l'operatività al provvedimento di «formale assegnazione del finanziamento» da riceversi da parte della direzione generale della mobilità;
   risulta all'interrogante che, con nota del 29 giugno 2015 il Consorzio ferroviario vesuviano avrebbe messo in mora l'EAV e la regione Campania per la mancata messa a disposizione del finanziamento disposto con la delibera 199 del 5 giugno 2014 e confermato con la sottoscrizione dell'accordo di programma quadro tra Ministero dello sviluppo economico, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, regione Campania in data 18 luglio 2014 –:
   quali iniziative di competenza il Governo porrà in essere per evitare che la programmazione di un'opera strategica per l'intera regione Campania e più specificamente per la provincia di Napoli possa subire ritardi nella realizzazione pur in presenza di un finanziamento approvato, certo, ma ovviamente soggetto alle rendicontazioni n+2;
   quali iniziative urgenti di competenza il Governo ritenga di attivare al fine di evitare il disimpegno della prima tranche di finanziamento di circa 20 milioni di euro e da rendicontare entro il 31 dicembre 2015;
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo per risolvere, laddove perdurassero, le inadempienze, lentezze ed incertezze che mettono a repentaglio la spesa di risorse europee così importanti alimentando, a tutto danno degli ignari cittadini campani, contenziosi milionari, peraltro senza realizzare le attese opere infrastrutturali. (5-06971)


   SPESSOTTO e DI VITA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 151 del 30 luglio 2012 recante «Regolamento in materia di strutture, contrassegno e segnaletica per facilitare la mobilità delle persone invalide» ha introdotto, mediante modifiche al regolamento di esecuzione e di attuazione del codice della strada, il «CUDE», il nuovo contrassegno unificato disabili europeo, previsto dalla raccomandazione del Consiglio dell'Unione europea 98/376/CE e destinato ai cittadini disabili per agevolarne la mobilità stradale in tutti i Paesi dell'Unione europea;
   in particolare, in base alle vigenti previsioni normative, entro tre anni dalla data di entrata in vigore del citato decreto del Presidente della Repubblica ossia entro il 15 settembre 2015, i singoli comuni dovevano garantire l'adeguamento alla normativa comunitari attraverso la sostituzione del «contrassegno invalidi» con il nuovo «contrassegno di parcheggio per disabili», conforme al modello previsto dalla raccomandazione n. 98/376/CE del Consiglio dell'Unione europea, nonché l'adeguamento alla rappresentazione grafica e cromatica del nuovo contrassegno della segnaletica stradale orizzontale e verticale relativa alla mobilità delle persone con disabilità;
   nonostante il suddetto termine di legge sia giunto formalmente a scadenza, diverse associazioni di categoria hanno denunciato alla sottoscritta il mancato rispetto del termine di adeguamento da parte di numerosi comuni italiani che ancora non si sarebbero conformati alla nuova normativa, senza quindi procedere con il rilascio dei nuovi contrassegni in formato europeo o senza adeguamento della segnaletica stradale;
   tale ritardo, fatto registrare dai comuni in merito allo stato attuale di implementazione della normativa comunitaria di riferimento, era stato peraltro già oggetto di un alto di sindacato ispettivo a prima firma della sottoscritta (interrogazione n. 5-05120), al quale il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti aveva risposto che, allo stato attuale, «non sono state segnalate agli uffici del MIT particolari criticità, né da parte di singoli cittadini che di associazioni di categoria»;
   al contrario di quanto sostenuto dal Ministro, sono giunte all'interrogante numerose segnalazioni di criticità da parte di cittadini disabili che denunciano di essere stati multati per aver esposto un contrassegno invalidi ritenuto «non conforme con quelli europei attualmente in uso», nonostante allo stato attuale non sia stato emanato alcun indirizzo ministeriale volto a fare chiarezza sulla perentorietà o meno del termine contenuto nell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 151 del 2012;
   in particolare, si rileva come alcune amministrazioni abbiano interpretato in maniera restrittiva la norma contenuta nell'articolo 3, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 151 del 2012, la quale dispone che «nel periodo transitorio di tre anni di cui al comma 1, conservano la loro validità le autorizzazioni e i corrispondenti contrassegni invalidi già rilasciati», nel senso che, al termine del periodo transitorio, i contrassegni non conformi al nuovo modello europeo cessano di avere validità e sono pertanto passibili di contravvenzione. Altre amministrazioni comunali hanno invece adottato un'interpretazione più favorevole, nel senso di prevedere, in assenza di un'espressa revoca, che il contrassegno invalidi in corso di validità (quindi non scaduto) continui a garantire i benefici previsti dal codice della strada e dal decreto del Presidente della Repubblica n. 503 del 1996, fino alla sua scadenza;
   in base a questa seconda interpretazione, adottata da molti comandi di polizia locale oltre che da numerose riviste specializzate in materia di motori, anche a conclusione del periodo transitorio di tre anni previsto dalla legge, sarebbero da considerarsi ancora idonei al loro scopo i vecchi contrassegni invalidi di colore arancione, al pari dei contrassegni di parcheggio europei di colore blu;
   in ogni caso, la mancata richiesta di sostituzione, nei termini previsti dal decreto, di un permesso invalidi «arancione» con un nuovo contrassegno di colore «blu», da parte del titolare, non sarebbe sufficiente, ad avviso dell'interrogante, a far decadere il cittadino disabile dal godimento dei benefici previsti dal codice della strada, dal momento che gli impedimenti fisici per i quali a suo tempo fu rilasciato il contrassegno invalidi, sono facilmente verificabili presso l'amministrazione che ha rilasciato il titolo e non vengono meno con il cambio di colore del contrassegno –:
   se il Ministro interrogato possa assumere iniziative per fornire una interpretazione uniforme e chiarificatoria delle disposizioni normative contenute nel decreto del Presidente della Repubblica n. 151 del 2012 in merito alla validità legale o meno dei vecchi contrassegni di colore arancione fino alla data della loro scadenza, come è attualmente previsto per le patenti di guida e le carte d'identità;
   nel caso in cui si configurasse un'interpretazione restrittiva delle norme contenute nel decreto del Presidente della Repubblica n. 151 del 2012 in merito alla sostituzione dei contrassegni e alla invalidità dei permessi successivamente al 15 settembre 2015, se si debba ritenere ugualmente invalida la segnaletica orizzontale e verticale (ad esempio gli stalli e i cartelli stradali di colore giallo) per la quale le amministrazioni comunali non hanno ancora provveduto alla sostituzione;
   quali opportune iniziative il Ministro interrogato intenda assumere affinché sia adottato un orientamento univoco ed uniforme in materia, senza che sia arrecato pregiudizio o discriminazione alcuna ai titolari di un contrassegno disabili e sia altresì scongiurata una difformità sul territorio nazionale nell'applicazione della normativa in materia. (5-06982)


   ARTINI, SEGONI e BALDASSARRE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il piano nazionale degli aeroporti prevede dei requisiti per l'individuazione degli aeroporti di interesse nazionale strategico. «Unica eccezione alla regola di un solo aeroporto strategico per ciascun bacino – si legge – è quella relativa al bacino del Centro-Nord, per il quale gli aeroporti strategici individuati sono due – Bologna e Pisa/Firenze – in considerazione delle caratteristiche morfologiche del territorio e della dimensione degli scali e a condizione, relativamente ai soli scali di Pisa e Firenze, che tra gli stessi si realizzi la piena integrazione societaria e industriale»;
   il piano nazionale aeroporti prevede un criterio di valutazione per tutti gli aeroporti in base ai quali Pisa è già aeroporto strategico prima ancora di Bologna. Il piano stesso è inconcludente nella parte relativa alle merci in quanto non prende contezza della situazione merci in generale. Nella valutazione degli aeroporti strategici, con la previsione di un nuovo;
   il regolamento dell'Unione europea 139/2014, al punto 6 dei «considerando» demanda alle Agenzie nazionali norme comuni di valutazione della conformità ai requisiti che non posso essere aggirati con «artifici finanziari» perché la valutazione deve essere certificata sull'infrastruttura tecnica e non su quella finanziaria come previsto peraltro dall'articolo 698 del codice della navigazione e dall'integrazione prevista nei progetti europei TEN;
   il piano risulta essere lacunoso nella parte relativa alle merci in quanto non tiene conto della situazione generale del settore cargo. In particolare, oltre l'80 per cento di materiale prodotto ed esportato via aerea dal comprensorio toscano è diretto nel Nord Europa, con vettori stranieri;
   se risulta vera la collocazione di City Airport per classificazione aeromobili 3C, la disponibilità della stiva rimarrà esigua: il traffico cargo sarà relativo solo a merci urgenti, mentre quelle di normale produzione verranno spedite via camion a causa squilibrio dei costi fra la parte terrestre e quella aerea;
   tale valutazione è assente nel piano ed il fattore cargo non viene minimamente considerato;
   per tale motivo e per la conformazione del territorio l'unico sbocco dove i grossi aerei passeggeri e/o cargo potrebbero tranquillamente atterrare sarebbe Pisa, ed è lì che dovrebbero essere eventualmente indirizzati gli investimenti privati aeroporto a Firenze;
   l'ingegnere Naldi in audizione presso la 6a e 7a commissione della regione, confermava che gli aeroporti di Pisa e Firenze dovevano beneficiare di non meglio precisati «finanziamenti» pubblici europei dei quali non si conoscono attualmente criteri, entità, e sussistenza giuridica;
   la regione Toscana nell'approvazione della variante PIT ha inserito quali opere mitigatori sulle emissioni in atmosfera, la riduzione della velocità di percorrenza sul tratto A/1 (Calenzano/Bagno a Ripoli) – A/11 tratto finale Firenze a 100 km/h obbligandosi ad interfacciarsi con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed Autostrade spa quale concessionario –:
   se non reputi opportuno ampliare il piano nazionale aeroporti con una valutazione approfondita del settore cargo;
   quale sia il motivo per il quale il piano nazionale aeroporti non indichi un hub toscano per le merci, creando i presupposti di concorrenza anche per le merci e quindi per lo sviluppo di tutta l'aerea toscana;
   se non reputi opportuno affinché le merci vengano veicolate dallo stesso comprensorio, sia con vettori nazionali che esteri e attraverso la combinazione passeggeri/cargo, assumere iniziative per aprire collegamenti diretti con Pisa, creando i presupposti di concorrenza anche per le merci e quindi per lo sviluppo di tutta l'aerea toscana;
   se esistano i presupposti giuridici per l'ottenimento dei fondi europei a favore degli aeroporti visto che gli orientamenti dell'Unione europea sugli aiuti di Stato agli aeroporti ed alle compagnie aeree, pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea, del 4 aprile 2014 - C 99/3 (p. 12 e 86) oltre a definire le caratteristiche di bacino di utenza, sono di diverso avviso;
   se non reputi che tali fondi e/o comunque criteri di investimento non debbano essere logicamente indirizzati verso una struttura più performante e non verso un aeroporto che a prescindere dai problemi ambientali e di rischio volo richiamati in precedenti interrogazioni, per conformazione orografica del sedime aeroportuale, non può avere un futuro e successivo sviluppo oltre alle previsioni attuali;
   se quanto attestato dalla regione Toscana nell'allegato 7 Variante del piano di indirizzo territoriale, pagine 2 e 35 circa la diminuzione di velocità nel tratto indicato e quindi con contestuale rallentamento del traffico sia tecnicamente fattibile e se la regione abbia mai formulato tali richieste al Ministero;
   in caso affermativo se possa fornire ogni utile elemento sulla documentazione fornita dalla regione e sulla risposta, con i relativi pareri tecnici, espressa dal Ministero. (5-06984)


   GRILLO, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, MANTERO, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dal sito di Asso-Aeroporti (Associazione italiana gestori aeroporti), si evince il bilancio della stagione estiva 2015 del traffico aereo di tutti gli aeroporti italiani;
   per quanto riguarda il Fontarossa di Catania, le statistiche dello scalo etneo dimostrano che, a settembre 2015 si sono persi più di quarantamila passeggeri rispetto a settembre 2014 con un –5,47 per cento mentre, facendo il raffronto tra il periodo gennaio-settembre 2015, con quello dell'anno precedente, le perdite in termini di transito sono quantificate in meno 200 mila passeggeri, con un –4 per cento per lo stesso periodo;
   per quanto concerne le tariffe dei voli per/da Catania, come riportato da notizie stampa dal giornale on line La Sicilia del 5 agosto 2015, i prezzi, anche quelli praticati dalle cosiddette compagnie low cost, risultano essere molto alti;
   le attività connesse all'aeroporto di Catania hanno ricadute economiche su molte province siciliane della Sicilia orientale; gli operatori turistici e gli albergatori della zona hanno dichiarato, in più di un'occasione, che il costo delle tariffe dei voli contribuisce all'isolamento della città e dell'intera area, con la penalizzazione delle attività turistico-alberghiere;
   il piano nazionale aeroporti, così com’è presente nel sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, prevede l'individuazione di 9 aeroporti strategici nazionali inseriti nel core network europeo, tra questi è incluso l'aeroporto di Catania;
   il decreto-legge del 23 dicembre 2013 n. 145, il cosiddetto «Destinazione Italia» prevede all'articolo 13, comma 14 che: «I gestori di aeroporti che erogano contributi, sussidi o ogni altra forma di emolumento ai vettori aerei in funzione dell'avviamento e sviluppo di rotte destinate a soddisfare e promuovere la domanda nei rispettivi bacini di utenza, devono esperire procedure di scelta del beneficiario che siano concorrenziali, trasparenti e tali da garantire la più ampia partecipazione dei vettori potenzialmente interessati, secondo modalità da definirsi con apposite Linee guida adottate dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto»;
   il decreto-legge del 23 dicembre 2013 n. 145, «Destinazione Italia», all'articolo 13 comma 15 prevede: «I gestori aeroportuali comunicano all'Ente Nazionale per l'Aviazione Civile l'esito delle procedure previste dal comma 14, ai fini della verifica del rispetto delle condizioni di trasparenza e competitività»;
   le linee guida inerenti le incentivazioni per l'avviamento e lo sviluppo di rotte aeree da parte dei vettori, ai sensi dell'articolo 13, comma 14 e 15, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 convertito con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, si applicano alla generalità del settore inclusa la tipologia di volo domestico;
   le linee guida della politica commerciale della SAC, Società dell'aeroporto di Catania, prevedono alla voce obiettivo che: «(...) Al fine di sviluppare nuovi collegamenti aerei e di incrementare la capacità delle rotte esistenti, SAC è disposta a sostenere le nuove rotte tramite accordi di partnership strategica con le Compagnie Aeree che intendono investire sull'aeroporto di Catania Fontanarossa (...)» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quali contribuiti il gestore dell'aeroporto di Catania abbia erogato ai vettori aerei in funzione dell'avviamento e dello sviluppo di rotte destinate a soddisfare e promuovere la domanda nel rispettivo bacino di utenza, così come previsto dal decreto-legge 23 dicembre 2013 n. 145, «Destinazione Italia», all'articolo 13, comma 14;
   se le scelte operate dal gestore dell'aeroporto di Catania nell'erogare contributi a vettori aerei in funzione dell'avviamento e dello sviluppo di rotte, abbiano rispettato quanto previsto dal comma 15 dell'articolo 13 del sopracitato decreto-legge, in tema di condizioni di trasparenza e competitività;
   se siano a conoscenza di scelte del gestore dell'aeroporto di Catania finalizzate all'aumento del numero di voli sulle rotte nazionali da/per Catania, tenuto conto delle linee guida della politica commerciale della società dell'aeroporto di Catania, che prevedono, anche, l'incremento di rotte esistenti;
   di quali elementi disponga il Governo in relazione alle tariffe dei voli per/da Catania, compresi quelli praticati dalle compagnie low cost e se essi risultino in linea con la media dei prezzi di mercato. (5-06985)

Interrogazione a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la A35, detta BreBeMi, autostrada che collega Brescia a Milano, era stata presentata come l'autostrada «dei privati», da realizzarsi in project financing senza nessun costo per le casse dello Stato, ma la giunta regionale lombarda avrebbe dato in questi giorni l’«ok» a 60 milioni di euro di finanziamento, in tre anni, in particolare 20 milioni nel 2015, 2016 e 2017, sostegno economico approvato in agosto dal Cipe, e sarebbe stato stabilito anche un altro stanziamento di 260 milioni di euro da parte dello Stato per un totale di ben 320 milioni di euro di fondi pubblici;
   il premier Renzi aveva promesso che la BreBeMi doveva essere «tutta finanziata dai privati, senza oneri per lo Stato», invece si è rivelata estremamente costosa per i contribuenti poiché lo Stato dovrà pagare almeno 1,7 dei 2,4 miliardi di euro di costo: 1,2 miliardi di penale di subentro, 320 milioni appena deliberati dal Cipe, più il valore dell'allungamento della concessione di sei anni, di altri 200 milioni, e così nella migliore delle ipotesi i privati ripagheranno un terzo dell'opera, ovvero 800 milioni, e i fondi dei contribuenti, 1,7 miliardi, saranno equamente divisi tra le banche (800 milioni di interessi) e gli azionisti BreBeMi (800 milioni di giusto profitto);
   più di diciotto anni fa quando partì il progetto e il suo principale azionista era proprio Autostrade per l'Italia, la A35, costruita attraverso il project financing con soci pubblici diretti e indiretti come regione, province e comuni interessati insieme a privati come banche e imprese costruttrici, doveva costare 920 milioni di euro, ma il conto finale si è triplicato fino a raggiungere 2,439 miliardi di euro, compresi gli interessi, per un totale di 38 milioni di euro a chilometro;
   l'aumento del prezzo dell'A35 sarebbe dipeso, secondo fonti di stampa, dal fatto che «nelle varie procedure autorizzative il ceto politico pretende le famigerate opere compensative e altri adeguamenti. Il privato dice «si» a tutto per poter poi dire «è la politica che ha fatto saltare i conti», visto che poi, se l'opera fosse risultata un fallimento, era previsto dalla convenzione il pagamento da parte dello Stato, come di fatto sta succedendo;
   nel frattempo Autostrade per l'Italia ha passato l'affare a Intesa Sanpaolo, e la convenzione tra lo Stato e BreBeMi è stata riscritta completamente, introducendo nuove clausole che garantissero la famosa «bancabilità», come quella che se i conti non tornano deve pagare lo Stato, di cui sopra, oppure quella che ha innalzato la remunerazione del capitale privato dal 3,59 per cento all'anno del bando di gara all'8,90 per cento, e infine quella che stabilisce che a fine concessione il privato avrà diritto a 1,2 miliardi per il cosiddetto subentro: il privato avrà dunque indietro dallo Stato la metà del costo;
   se lo Stato non pagasse per questo fallimento gli accordi stabiliscono che la società autostradale possa restituire la concessione a Concessioni autostradali lombarde (la società costituita da regione Lombardia, attraverso Infrastrutture Lombarde, e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con ANAS) che dovrebbe risarcire BreBeMi con 2,44 miliardi di euro;
   sempre secondo fonti di stampa «Intesa Sanpaolo, prima azionista della BreBeMi, ha finanziato la BreBeMi. Con Unicredit, Montepaschi, Centrobanca e Credito Bergamasco ha preso 600 milioni dalla Bei (banca europea pubblica) al 2 per cento per girarli alla BreBeMi al 7 per cento. Uno spread di 30 milioni all'anno per vent'anni su un'opera senza rischi, visto che pagherà tutto lo Stato»;
   i gestori avevano previsto di recuperare l'investimento con i pedaggi, ma finora la BreBeMi è tra le autostrade meno frequentate d'Italia e questo non a caso: prima di tutto comincia a 20 chilometri da Milano e finisce a 18 chilometri da Brescia, poi il pedaggio è salato, visto che i 56 chilometri a pagamento da Brescia a Milano costano ben 10,70 euro, ovvero 19 centesimi a chilometro mentre per fare lo stesso tratto sulla A4 se ne spendono 6,80; infine, mancano le aree di servizio: negli spazi in cui dovrebbero sorgere, la concessionaria ha temporaneamente installato bagni chimici e distributori automatici di merendine, bevande e caffè;
   per stare nei conti la A35-BreBemi doveva totalizzare 40.000 transiti nei primi sei mesi dall'apertura e 60.000 da gennaio di quest'anno, invece la società nel mese di luglio 2015 in una nota piuttosto ottimistica informava che «i volumi di traffico sono aumentati di circa il 107 per cento, passando dagli iniziali 13.000 transiti giornalieri alle attuali punte di 38.000»;
   l'interrogante aveva già presentato l'atto n. 4-07502 a gennaio 2015 per domandare la ragione e la natura di tali finanziamenti statali ad un'opera presentata come a costo zero per le casse pubbliche e diventata poi una spesa di tale portata per lo Stato, ma non è stata ancora ricevuta alcuna risposta in merito;
   ad avviso dell'interrogante contratti del genere, lungi dal realizzare una utile e proficua interazione dei privati con lo Stato, addossando allo Stato ogni rischio economico di un eventuale fallimento, possono portare di fatto a trasformare il fallimento stesso nell'affare da perseguire e concludere, arrecando un doppio danno alla collettività che si ritrova senza le opere in questione e con perdite economiche ingenti per le casse dello Stato –:
   se sia al corrente dei fatti esposti e se non ritenga necessario chiarire i motivi di quanto accaduto, sia per quanto riguarda l'innalzamento del prezzo dell'opera, sia per quanto attiene al danno per le casse dello Stato;
   se non intenda chiarire le eventuali responsabilità nella stesura del contratto, soprattutto delle nuove clausole di «bancabilità» nella seconda versione, di cui in premessa, che hanno reso tale accordo decisamente in perdita per lo Stato e a favore dei privati coinvolti nel caso in cui l'opera non si fosse rivelata un successo, come si preannunciava dal principio e come di fatto è stato;
   come si concili questo genere di collaborazioni con i privati con il bene del Paese e se non intenda dunque approfondire la natura e l'utilizzo dello strumento del project financing, che troppo spesso invece di ridurre la spesa pubblica attraverso l'apporto di capitale privato, arreca danni economici allo Stato;
   se non si ritenga necessario monitorare accuratamente la natura dei contratti delle altre opere similari per capire se esistano altri esempi di questo tipo, e in che modo eventualmente intenda intervenire per limitare i danni economici che ne potrebbero scaturire, nonché quali iniziative anche di ordine normativo intenda attuare per impedire ai concessionari e ai contraenti generali di assumere commesse che pongano a carico della parte pubblica i relativi rischi in questa maniera ed evitare così che vengano stipulati ancora accordi dannosi per lo Stato e a favore dei privati coinvolti che di fatto guadagnano sia se l'affare va bene, sia se fallisce. (4-11079)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   NACCARATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi mesi in Veneto e nella vicina provincia di Pordenone ci sono stati numerosi incendi ai danni di aziende che operano nel settore della raccolta, dello smaltimento e del trattamento dei rifiuti;
   il 18 febbraio 2014 a San Biagio di Callalta, in provincia di Treviso, un incendio è divampato in un capannone della Bigaran servizi ambientali, azienda che si occupa di trattamento e recupero di rifiuti;
   soltanto otto giorni più tardi, il 26 febbraio, un altro incendio ha distrutto cinque camion della stessa azienda in circostanze ancora oggetto di accertamenti;
   il 16 dicembre 2014 ad Aviano (Pordenone) un incendio ha colpito un capannone dell'impianto di trattamento rifiuti della Snua, azienda che si occupa di servizi di igiene ambientale;
   l'11 marzo 2015 a Bussolengo, in provincia di Verona, è scoppiato un incendio all'interno dello stabilimento industriale dell'azienda Sogetec, che si occupa di gestione e smaltimento di rifiuti industriali;
   il 21 marzo a Sant'Angelo di Piove di Sacco in provincia di Padova, un incendio ha colpito un magazzino della Intercommercio di Coccarielli Guerrino & C, azienda che si occupa di riciclo di rifiuti;
   il 26 maggio a San Pietro di Legnago (Verona) è scoppiato un incendio all'interno dell'impresa Ecologica Tredi che si occupa di rifiuti speciali;
   il 4 giugno a Este, in provincia di Padova, un incendio ha colpito un nastro trasportatore all'interno dell'impianto di compostaggio della Sesa, che si occupa della raccolta, trattamento e smaltimento rifiuti;
   l'11 giugno a Ponte di Piave (Treviso) un incendio ha parzialmente danneggiato un deposito di materie plastiche;
   il 4 luglio a Zevio (Verona) un incendio è scoppiato in un capannone contenete rifiuti industriali presso l'azienda Transeco, controllata da Amia e Agsm, che si occupa di trattamento di rifiuti;
   l'11 luglio un incendio ha colpito i mezzi parcheggiati all'interno della Mangimi Veronesi a Ospedaletto Euganeo (Padova);
   il 1o agosto ad Aviano, in provincia di Pordenone, un nuovo incendio ha colpito un capannone della Snua, che, come ricordato, si occupa di raccolta e smaltimento rifiuti;
   il 25 settembre a Villa Bartolomea, in provincia di Verona, è scoppiato un incendio all'interno dello stabilimento della Fertitalia srl, azienda di compostaggio rifiuti;
   il 26 settembre a Castelfranco (Treviso) un incendio ha colpito un capannone della Ceccato Recycling, che si occupa di recupero e riciclaggio di rifiuti;
   il 3 ottobre a Bovolone, in provincia di Verona, un incendio ha colpito l'area esterna della Alf, azienda specializzata nello stoccaggio di materiale di scarto delle acciaierie;
   il 5 ottobre a San Pietro di Legnago (Verona), dopo soli 5 mesi dall'episodio precedente, un incendio ha colpito nuovamente la sede della Ecologica Tredi, che si occupa di rifiuti speciali;
   il 27 ottobre a Villorba (Treviso) un incendio è scoppiato all'interno della DLF group, ex De Longhi giocattoli;
   come si evince dall'elenco precedente questi numerosi eventi hanno coinvolto in prevalenza aziende attive nei servizi di raccolta, trattamento e smaltimento di rifiuti;
   secondo le analisi della direzione nazionale antimafia il settore dei rifiuti è al centro degli interessi economici delle organizzazioni criminali;
   secondo l'interrogante gli incendi devono essere valutati con particolare attenzione dall'autorità giudiziaria e di pubblica sicurezza perché possono essere gli indicatori di azioni di intimidazione e di condizionamento da parte di gruppi criminali;
   l'interrogante esprime forte preoccupazione per gli episodi sopra elencati e per il rischio che siano sottovalutati –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti sopra esposti;
   quali iniziative di competenza, anche per il tramite degli uffici territoriali del Governo, intenda adottare per accertare le cause e la matrice degli episodi citati. (5-06979)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LACQUANITI, MARZANO e ZAN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le «Sentinelle in Piedi» sono una rete aconfessionale ed apartitica di persone, non un movimento riconosciuto, non un'associazione, che ha organizzato e organizza veglie in piazza in diverse città d'Italia in cui i partecipanti ritti, silenti e fermi presenziano in difesa della propria idea di famiglia;
   le «Caramelle in Piedi» sono una rete aconfessionale ed apartitica di persone nata di recente in provincia di Brescia che si è organizzata per manifestare un punto di vista differente sulla famiglia ed in difesa dei diritti civili in maniera rispettosa, ma colorata e giocosa, solitamente soffiando bolle di sapone, intonando allegre canzoni e offrendo caramelle ai passanti;
   il 10 ottobre 2015 a Salò (Brescia) alle ore 16,00 in piazza Duomo, è stata organizzata dalle Sentinelle in Piedi la terza veglia in pochi mesi, presenti tra le 70 e le 80 Sentinelle allineate;
   lo stesso giorno, stessa ora, in piazza Zanardelli (distante circa 200 metri da piazza Duomo) si è svolta analoga speculare manifestazione delle Caramelle in Piedi, presenti tra le 50 e le 60 persone;
   nelle precedenti manifestazioni non vi è mai stato il benché minimo problema di ordine pubblico né frizione alcuna;
   piazza Duomo sabato 10 è stata blindata, i quattro ingressi alla piazza transennati e presidiati dalle forze dell'ordine che chiedevano i documenti di identità a chiunque intendeva transitare;
   a quanto consta agli interroganti le forze dell'ordine erano presenti in forze: quattro carabinieri in divisa e due in borghese con due autovetture in piazza Zanardelli; un paio di vigili urbani, una decina di carabinieri, cinque o sei poliziotti in tenuta antisommossa davanti al Duomo; un'altra decina tra carabinieri e poliziotti in divisa e in borghese sul lungolago e nei vicoli intorno al Duomo a controllare gli ingressi –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti e se non ritenga che uno schieramento di forze dell'ordine così consistente non sia stato una prudenza eccessiva, ovvero, come ritengono gli interroganti, un inutile e cospicuo dispendio economico per la comunità, un vano distogliere di preziose forze dell'ordine da compiti più utili e significativi. (4-11076)


   TONINELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   presso l'asilo nido comunale del comune di Sant'Angelo Lodigiano (LO), in via Forlani, è stata da tempo accertata la presenza di vinilamianto nel pavimento di quattro locali dell'asilo: l'attuale commissario prefettizio, nominato dal prefetto di Lodi in data 28 novembre 2015, riporta infatti che la «problematica, già nota da tempo all'Amministrazione — come si evince dalla planimetria dell'Asilo Nido Comunale ritrovata agli atti, con annotazione in data 29 giugno 2010 del Dirigente e appunto del Sindaco — si è riproposta in tutta la sua portata in questi giorni» (nell'avviso alla cittadinanza del 5 novembre 2015 riportato sul sito del comune), e annuncia i conseguenti interventi urgenti, che lo stesso commissario ha predisposto una volta appresa la situazione e verificatene le implicazioni a seguito dell'intervento dell'ARPA di Lodi. Considerato il lungo lasso di tempo intercorso tra il momento in cui è stata accertata la sussistenza del problema e l'attuale intervento (oltre cinque anni) e la pericolosità di sostanze di questo tipo, specialmente se individuate in una struttura adibita all'accoglienza costante di bambini nell'età dell'infanzia per lunghe ore ogni giorno, nonostante gli interventi susseguitisi e riportati nella citata nota del commissario prefettizio, è evidente la pericolosità della carenza di interventi risolutivi definitivi che ha portato la problematica a riproporsi in tutta la sua portata nelle scorse settimane –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di situazioni analoghe in altre strutture pubbliche, e in particolare in strutture sensibili come asili e scuole, per quali motivi gli interventi risolutivi richiedano tempistiche così lunghe e quali atti iniziative di competenza intendano adottare per risolvere in generale, il problema delle tempistiche degli interventi, inclusi quelli per le singole situazioni problematiche analoghe eventualmente già note. (4-11077)


   BURTONE, BATTAGLIA, OLIVERIO e MAGORNO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si è verificato presso la sede della CGIL di Partinico in provincia di Palermo un furto;
   sono stati rubati la notte scorsa via due pc ed è stato danneggiato l'archivio cartaceo;
   si tratta di un episodio grave quand'anche si trattasse solo di atto vandalico e non di altro;
   le sedi del sindacato rappresentano comunque un presidio di libertà e di aiuto ai cittadini –:
   se il Governo sia a conoscenza di tale episodio e quali iniziative intenda assumere per verificare quanto accaduto e rafforzare la sicurezza, nell'ambito del comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica, considerata la importante funzione svolta dal sindacato. (4-11081)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende dalle informazioni riportate dagli organi di stampa è stata aperta un'inchiesta giudiziaria per presumibile voto di scambio in occasione della competizione elettorale per il rinnovo degli organi politici dell'amministrazione del comune di Termini Imerese;
   a seguito delle notizie sull'avvio dell'inchiesta giudiziaria si è dimesso il consigliere comunale Volante, primo degli eletti del Partito Democratico che ha ottenuto un numero di preferenze tali da suscitare anche nell'opinione pubblica interrogativi;
   tale situazione di illegalità presunta in merito all'andamento delle elezioni desta preoccupazione nei cittadini anche alla luce delle importanti decisioni politiche che sta assumendo il consiglio comunale in merito alla costruzione di un termovalorizzatore/inceneritore;
   lo scioglimento del consiglio comunale può essere disposto, ai sensi del decreto legislativo 267 del 2000 oltre che per infiltrazioni e condizionamenti di tipo mafioso, anche quando vengano compiuti atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge nonché per gravi motivi di ordine pubblico. Quindi, alla luce di quanto detto sarebbe doveroso avviare procedure immediate per lo scioglimento del Consiglio comunale di Termini Imerese ai sensi del decreto legislativo 267 del 2000 –:
   se il Ministro, ritenga che sussistano i presupposti per avviare iniziative ai sensi dell'articolo 141 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.
(4-11098)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CHIMIENTI, VACCA, BRESCIA, LUIGI GALLO, D'UVA, MARZANA, DI BENEDETTO e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   mediante il decreto del direttore generale per il personale scolastico numero 82 del 24 settembre 2012 «Indizione dei concorsi a posti e cattedre, per titoli ed esami, finalizzati al reclutamento del personale docente nelle scuole, dell'infanzia, primaria, secondaria di I e II grado», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale numero 75, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca indiceva l'ultimo concorso nella scuola pubblica;
   all'articolo 5, comma 6, il suddetto decreto aveva previsto che potessero essere ammessi alla prova scritta i candidati che avessero conseguito nella prova preselettiva un punteggio non inferiore a 35/50 che, come espressamente previsto dallo stesso comma, «non concorre alla formazione del voto finale nella graduatoria di merito»;
   i docenti che nel test preselettivo, contenente 50 domande dai molteplici contenuti, hanno conseguito un punteggio inferiore a quello minimo di 35/50 previsto dal bando, ma superiore o uguale ai 30/50, sono stati definiti «ricorsisti soglia 35»;
   l'articolo numero 400 del decreto legislativo numero 297 del 16 aprile 1994 «testo unico dell'istruzione», che regolamenta la disciplina dei concorsi a cattedra per il personale docente della scuola, non prevede alcuna prova preselettiva e, per di più al comma 11 fissa come criterio imprescindibile la sufficienza per considerare la prova superata;
   l'articolo 7, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 487 del 9 maggio 1994 prevede che «il punteggio finale ha come elementi costitutivi i voti delle prove scritte o pratiche o teorico-pratiche e quello del colloquio». Trattasi di norma generale valida per ogni tipo di concorso in cui siano previste le prove scritte, prove pratiche e colloquio; non viene altresì citato il punteggio del test preselettivo;
   nel testo unico del decreto legislativo n. 297 del 1994 non compaiono le parole «preselezione» e/o «prova preselettiva»;
   il decreto legislativo n. 165 del 2001 «Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche», che si applica a tutte le amministrazioni pubbliche, incluse le scuole di ogni ordine e grado e che prevede la possibilità per le pubbliche amministrazioni di realizzare forme di preselezione, non stabilisce alcuna soglia minima da superare in linea con i principi di imparzialità, economicità, celerità di espletamento del procedimento che legittimano la fase della preselezione nei concorsi pubblici;
   tramite il numero straordinario del Bollettino Ufficiale n. 2 del 14 gennaio 2015, la regione autonoma Trentino Alto Adige delibera il concorso pubblico per la copertura di complessivi 60 posti a tempo indeterminato della figura di insegnante per la provincia autonoma di Trento, stabilendo un punteggio conseguito nella preselezione pari o superiore a 30/50;
   i suddetti «ricorsisti soglia 35» presentano al tribunale amministrativo regionale per il Lazio il ricorso, con numero di registro generale 914 del 2013, mediante il quale chiedono l'annullamento del decreto del direttore generale per il personale scolastico n. 82 del 24 settembre 2012, i provvedimenti di non ammissione dei ricorrenti alle prove scritte del suddetto concorso, delle graduatorie dei candidati ammessi alle prove scritte del concorso di cui al decreto del direttore generale 82 del 2012;
   con la sentenza n. 287 del 10 gennaio 2014 il TAR del Lazio accoglie il ricorso dei suddetti, ammettendoli con riserva alle prove scritte del concorso ordinario a cattedre indetto con decreto del direttore generale 82 del 2012, dunque partecipando a tutte le prove successive del concorso. Tali prove venivano superate e i ricorsisti venivano inseriti nelle graduatorie definitive con riserva;
   con sentenza n. 5711-2014, depositata il 28 maggio, il Tar, ha nuovamente accolto il ricorso dei ricorrenti annullando la parte del bando di concorso in cui era previsto il punteggio minimo di 35/50, per il superamento della prova preselettiva, ritenendola affetta da «arbitrarietà, illogicità ed irragionevolezza, tenuto conto che nelle procedure concorsuali la prova preselettiva non è volta a saggiare le conoscenze dei candidati, avendo solo come fine quello di sfoltire la platea degli stessi»;
   con sentenza n.  327/2014, depositata l'11 gennaio 2014, il tribunale amministrativo regionale per il Lazio (sezione terza-bis) accoglie positivamente il ricorso con numero di registro generale 1719 del 2013, deducendo la illegittimità della norma del bando di concorso, che prevede il superamento della prova con un punteggio minimo di 35/50;
   mediante altre sentenze (TAR Trento sentenza n. 336/13, sentenze TAR Lazio n. 914/13, n.  1000/13, n. 272/14 e n. 287/14, n. 5711/14) altri ricorsi analoghi hanno ottenuto lo scioglimento della riserva –:
   quali immediate iniziative intenda intraprendere il Ministro per tutelare i docenti di cui in premessa, essendo alcuni in posizione utile per il ruolo;
   se il Ministro interrogato intenda assumere un'iniziativa di autotutela finalizzata ad annullare la parte del bando relativa al punteggio minimo da conseguire nella prova preselettiva e a sciogliere immediatamente tutte le riserve così da eliminare il contenzioso. (5-06973)


   AGOSTINELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con D.D.G. del 13 luglio 2011, è stato indetto un bando di concorso per esami e titoli per il reclutamento di dirigenti scolastici per la scuola primaria, secondaria di primo grado, secondaria di secondo grado e per gli istituti educativi. (Gazzetta Ufficiale 15 luglio 2011, n. 56) che è stato espletato secondo le modalità previste dal decreto del Presidente della Repubblica 10 luglio 2008, n. 140 – pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 211 serie generale – del 9 settembre 2008;
   il decreto del Presidente della Repubblica richiamato, all'articolo 10, comma 3, così disponeva: «Il presidente è scelto tra: professori di prima fascia di università statali o equiparate, magistrati amministrativi o contabili o avvocati dello Stato, dirigenti di amministrazioni pubbliche che ricoprano o abbiano ricoperto un incarico di direzione di uffici dirigenziali generali. In carenza di personale nelle qualifiche citate, la funzione di presidente è esercitata da dirigenti amministrativi o tecnici o scolastici con una anzianità di servizio di almeno dieci anni»;
   il professor Ginesio Mantuano (docente di diritto ecclesiastico presso l'università di Macerata), presentava, pertanto, regolare domanda, avendone i requisiti, candidandosi alla nomina di presidente di commissione;
   tale incarico avrebbe dovuto spettare, al professore Mantuano, non avendo nessun altro docente universitario presentato domanda. Tuttavia, l'ufficio scolastico regionale Marche sceglieva con modalità del tutto discrezionali, come presidente di commissione, un dirigente tecnico (possibile scelta nella gradualità prevista dal decreto del Presidente della Repubblica) interno all'ufficio scolastico regionale stesso (Maria Michela De Meo) (http://www.marche.istruzione.it);
   alla fine dell'espletamento delle prove concorsuali alcuni docenti partecipanti al bando, dunque, avendo riscontrato anomalie, hanno presentato ricorso alla competente autorità giudiziaria. Ad avviso dei ricorrenti vi sarebbero state, tra le altre cose, delle irregolarità procedurali e sarebbero state violate le norme relative al decreto del Presidente della Repubblica sopra citato per la nomina del presidente di commissione;
   il TAR delle Marche si è espresso con una sentenza di rigetto precisando, sul punto specifico, che: «l'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 140 del 2008, a dispetto della formulazione letterale, non pone alcuna gerarchia nella scelta del presidente della commissione di concorso. È vero che dalla norma si evince che il legislatore mostra preferenza per i soggetti appartenenti alle categorie dei professori di prima fascia di università statali o equiparate, dei magistrati amministrativi o contabili, degli avvocati dello Stato e dei dirigenti di amministrazioni pubbliche che ricoprano o abbiano ricoperto un incarico di direzione di uffici dirigenziali generali, ma ciò non vuol dire che i dirigenti tecnici, amministrativi e scolastici sono considerati dal legislatore «figli di un dio minore» (http://www.amministrativistaonline.it);
   per il bando in questione, risulterebbero ancora ricorsi pendenti al Consiglio di Stato e non è ancora possibile mettere fine alla vicenda giudiziaria;
   in tale contesto si inserisce la tanto contestata e discussa legge 13 luglio 2015, n. 107 (riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti), che agli articoli 87-91, ha previsto, in particolare, all'articolo 88, lettera b), che possono partecipare al corso intensivo con esame finale (peraltro tenuto già ad agosto scorso) i soggetti che abbiano avuto una «sentenza favorevole almeno nel primo grado di giudizio ovvero non abbiano avuto, alla data di entrata in vigore della presente legge, alcuna sentenza definitiva, nell'ambito del contenzioso riferito ai concorsi per dirigente scolastico». Tale norma è espressamente riferita, nella succitata legge, ai soli ricorrenti del 2004 e del 2006, creando ad avviso dell'interrogante una palese quanto immotivata disparità di trattamento fra i ricorrenti del 2006 e del 2004 e coloro che abbiano invece partecipato al concorso indetto con D.D.G. 13 luglio 2011;
   i ricorrenti del 2004 e del 2006 sembrerebbe che abbiano già avuto l'incarico di dirigenti nelle scuole della penisola;
   ad avviso dell'interrogante tale disposizione che determina una disparità di trattamento per situazioni identiche (visto che neppure i ricorrenti che hanno partecipato al D.D.G. 13 luglio 2011 hanno ad oggi avuto una sentenza definitiva) è connotata da profili di dubbia costituzionalità e dimostrerebbe che per il legislatore esistono cittadini di «serie A» e cittadini di «serie B» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quali iniziative di competenza intendano adottare al riguardo al fine di prevedere lo scioglimento della riserva per superare, in tempi certi, le situazioni di incertezza che molti docenti, con riferimento alla loro immissione in ruolo, e dirigenti scolastici stanno vivendo;
   se ritengano, altresì, opportuno adottare un'iniziativa con la quale prevedere la possibilità anche per i ricorrenti del concorso a dirigente scolastico 2011 con contenzioso aperto di fruire delle medesime opportunità offerte ai ricorrenti dei concorsi del 2004 e del 2006, al fine di evitare all'amministrazione di esporsi a ulteriori ricorsi che si richiamerebbero alla disparità di trattamento e di dare risposta alla criticità gestionale e organizzativa di molte istituzioni scolastiche del Paese, prive di dirigente scolastico. (5-06980)

Interrogazione a risposta scritta:


   DADONE e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel 2012 veniva bandito il cosiddetto «concorso Profumo»;
   in Piemonte detto concorso era volto all'assegnazione di 26 cattedre di tecnologia nella scuola media (A033) e, a fronte di circa 800 partecipanti alle prove scritte, solo 19 risultavano vincitori, lasciando scoperti 7 posti (con la registrazione del dati in negativo di -7 idonei);
   detto dato negativo rappresenta un caso unico a livello nazionale rispetto a quella classe di concorso, nelle altre regioni infatti gli idonei sono compresi in numeri che vanno da un minimo di 5 ad un massimo di 1.324 insegnanti;
   il concorso di cui sopra, da bando, non aveva valore abilitante né era volto all'assunzione degli idonei, ma era volto semplicemente all'assunzione dei vincitori nella regione di esame;
   in data 26 novembre 2014 la Corte di giustizia europea evidenziava l'abuso, da parte dell'Italia, dei contratti a tempo determinato per i docenti ed invitava il nostro Paese a stabilizzare entro 36 mesi;
   a seguito della pronuncia della Corte di giustizia europea, il Governo interveniva in materia con la legge n. 107 del 2015 cosiddetta «La buona scuola», a firma del Ministro Giannini, regolando l'assunzione degli iscritti nelle graduatorie ad esaurimento (GAE) nonché degli idonei al «concorso Profumo» e cancellando di fatto la cosiddetta seconda fascia d'istituto (costituita da soggetti dotati di esperienza pluriennale nell'insegnamento e di abilitazione mediante tirocinio formativo attivo (TFA));
   gli effetti della scelta fatta dal Governo Renzi hanno portato in Piemonte, relativamente alle cattedre di tecnologia, all'assunzione degli idonei al concorso del 2012 provenienti (nel caso di specie) da altre regioni, essendo questa l'unica regione d'Italia incredibilmente sprovvista di soggetti idonei all'insegnamento, assegnando ex post al citato concorso un valore che alla data del bando non era prevedibile e penalizzando così in maniera discrezionale alcune posizioni rispetto ad altre –:
   se ai fini dell'accesso all'insegnamento, alla luce delle modifiche apportate dalla «riforma Giannini», per i docenti abilitati iscritti in seconda fascia d'istituto sarà previsto un nuovo concorso o se, invece, il Ministro interrogato non ritenga più opportuno procedere ad un concorso per titoli. (4-11082)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LOMBARDI, COMINARDI, TRIPIEDI, CIPRINI, DALL'OSSO e CHIMIENTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Telecom Italia ha chiuso l'esercizio 2014 con un utile netto consolidato di 1,35 miliardi di euro mentre ha chiuso gli esercizi dal 2011 al 2013 in perdita, ma questo solo a causa della svalutazione degli avviamenti in accordo al principio contabile IAS 36;
   nei report finanziari del gruppo, l'EBITDA di Telecom è sempre stata stabilmente compresa fra 9,5 e 11 miliardi di euro;
   l'EBIT ante svalutazioni dell'avviamento negli anni 2007-2012 è stato positivo e compreso fra i 5,4 e i 6,7 miliardi di euro annui, nel 2013 è stato pari a 4,9 miliardi di euro e nel 2014 4,5 miliardi di euro;
   dai report finanziari di Telecom, in termini «normalizzati», escludendo quindi l'impatto derivante dalla svalutazione dell'avviamento e dalle altre partite non ricorrenti, Telecom negli anni 2007-2012 espone un utile di esercizio attribuibile ai soci della controllante normalizzato positivo e compreso fra i 2 ed i 2,6 miliardi di euro annui, nel 2013 l'utile normalizzato è di 1,6 miliardi di euro e, come già detto, è di 1,35 miliardi di euro nel 2014;
   nel mese di marzo 2015 l'amministratore delegato Marco Patuano agli organi di stampa commentava così: «I risultati del 2014 testimoniano che la scelta di investire sul nostro futuro si sta dimostrando vincente; anche l'andamento positivo del business dei primi mesi di quest'anno, in linea con gli obiettivi che ci eravamo prefissati, conferma che Telecom è sulla giusta traiettoria e sta tornando al ruolo che le compete di operatore di primaria importanza nel settore delle telecomunicazioni»;
   a maggio 2015 è stato distribuito un dividendo di 2,75 centesimi per azione per gli azionisti delle Telecom risparmio, per un ammontare totale di 166 milioni di euro;
   negli anni 2011-2014 Telecom ha sempre distribuito dividendi alle azioni ordinarie e risparmio anche o fronte delle perdite di esercizio legate alla svalutazione dell'avviamento;
   come è evidente per quanto detto e riportato dall'azienda stessa, i numeri dell'azienda in termini strutturali hanno sempre avuto un segno positivo ma nonostante questo, Telecom Italia ha dichiarato esuberi e poi chiesto ed ottenuto ben quattro anni di contatti di solidarietà pagati dall'INPS;
   detta solidarietà è sempre ricaduta sulle spalle dei dipendenti e non è stata applicata a tutte le strutture aziendali in modo omogeneo: da segnalazioni ricevute dagli interroganti risulta che, in alcune strutture ove non erano dichiarati esuberi e quindi escluse dai contratti di solidarietà, l'azienda abbia assunto nuovo personale che successivamente ha impiegato in aree dove aveva dichiarato esuberi coperti con i contratti di solidarietà; a solo titolo di esempio, personale assunto in area strategy & innovation sarebbe stato reimpiegato in marketing consumer, che pure dichiarava esuberi e applicava ai dipendenti il contratto di solidarietà;
   dopo due cicli biennali di contratti di solidarietà, in data 7 settembre 2015, presso il Ministero dello sviluppo economico è stato sottoscritto un accordo tra Telecom e alcune sigle sindacali (FISTel-CISL, UILCOM-UIL, UGL TLC) in base al quale le 2.800 persone in esubero dichiarate dall'azienda saranno gestite con il contratto di solidarietà previsto nei decreti di riforma degli ammortizzatori sociali (cosiddetto «decreto Poletti») per un periodo complessivo di tre anni;
   il 27 ottobre 2015 è stato siglato un contratto collettivo aziendale tra Telecom Italia spa e alcune sigle sindacali (FISTel-CISL, UILCPM-UIL, UGL TLC) che definisce le modalità di applicazione del contratto di solidarietà di cui all'articolo 21, comma 1, lettera c) comma 5, del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148 (per l'appunto il «decreto Poletti»);
   il contratto – che avrà una durata di 24 mesi – decorre dal 4 gennaio 2016 e ha termine il 3 gennaio 2018; in prossimità della scadenza le parti si sono impegnate a definire un'intesa per l'estensione del contratto per ulteriori 12 mesi, come peraltro previsto dal decreto –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare in relazione a quelle che agli interroganti appaiono situazioni palesi di uso distorto ed artificioso dei meccanismi di solidarietà verso aziende assolutamente sane come Telecom Italia, che negli ultimi 9 anni ha esposto nei propri conti economici dinamiche positive a nove zeri e che ha sempre distribuito dividendi, e se concordi con gli interroganti circa il fatto che concedere un contratto di solidarietà ad un'azienda sana che dichiara esuberi e si accorda con quota parte dei sindacati così attingendo ai fondi pubblici, oltre ad essere un utilizzo distorto di quanto pensato per crisi reali e riorganizzazioni aziendali, sia una ingiustificata spoliazione di fondi da riservare ad aziende che effettivamente ne abbiano reale necessità; nel caso, se non ritenga di stimare a quanto ammonteranno le risorse pubbliche destinate al contratto di solidarietà dei lavoratori della sola Telecom Italia nel 2016, in valore assoluto ed in percentuale rispetto al fondo stanziato complessivamente per le integrazioni salariali straordinarie per i contratti di solidarietà. (5-06978)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   trovano conferma i licenziamenti dei 19 dipendenti cassintegrati di Alcatel, sede di Vimercate, nonostante un anno fa, il Presidente del Consiglio, Renzi, affiancato dall'amministratore delegato di Alcatel Lucent Italia Loiola, aveva enfatizzato le potenzialità di questa azienda, definendola un esempio di innovazione;
   sembrerebbe che alla base ci sia la irremovibilità della multinazionale a rivedere la quota di esuberi e, questo, è il rimprovero che principalmente le rappresentanze sindacali muovono all'azienda, che «si permette di fare buone uscite milionarie al suo Ceo» e non fa alcuno sforzo per ricollocare 19 persone, dopo anni di pesanti riorganizzazioni aziendali che han visto ridurre il numero dei dipendenti dai 15 mila negli anni ’90 ai 1.100 di oggi;
   la decisione di procedere ai licenziamenti sembra sia stata convenuta all'incontro del 5 ottobre 2015 presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con regione Lombardia e sindacati –:
   quale sia stato il reale e concreto impegno del Governo, al di là delle promesse vane e degli annunci del Premier, per scongiurare i licenziamenti di cui in premessa e quali iniziative si intendano ora adottare a salvaguardia del futuro occupazionale dei lavoratori. (4-11075)


   SBERNA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la conferenza nazionale sulla famiglia è un grande momento istituzionale di partecipazione, confronto ed elaborazione sui temi della famiglia che prevede il coinvolgimento delle diverse realtà politiche, sociali, produttive e culturali del Paese. Un'occasione preziosa d'incontro tra saperi e poteri, tra conoscenze professionali e responsabilità politico-istituzionali;
   la prima conferenza nazionale sulla famiglia, prevista nella legge n. 296 del 2006 (finanziaria per il 2007) come appuntamento importante per definire le linee guida per l'elaborazione del primo piano nazionale per la famiglia, fu promossa dall'allora Ministro delle politiche per la famiglia nell'ambito delle iniziative tese al rilancio delle politiche familiari e fu realizzata a Firenze nel maggio 2007. Il piano nazionale di politiche familiari, previsto dall'articolo 1, comma 1251, della legge finanziaria 2007, è stato poi approvato per la prima volta il 7 giugno 2012;
   la seconda conferenza nazionale sulla famiglia fu svolta a Milano nel 2010 e la terza avrebbe dovuto tenersi nel 2012, ma i Governi si sono succeduti senza che ne fosse più fissata una;
   il Presidente del Consiglio Renzi aveva garantito – come pubblicato da agenzie di stampa – che prima della scadenza del semestre italiano di presidenza dell'Unione europea sarebbe stata convocata, ma ad oggi nulla è avvenuto;
   eppure gli obiettivi della conferenza sono tuttora assolutamente prioritari: non si tratta infatti di promuovere eventi celebrativi vuoti e formali ma di indicare vere e proprie proposte, verificate in termini di sostenibilità, che concorrano alla costruzione di un modello di welfare più europeo e più moderno in grado di realizzare una piena cittadinanza sociale della famiglia;
   infatti, proprio nei Paesi europei ove più forti e strutturate sono le politiche di sostegno più forte è la libertà delle famiglie di diventare, di essere e di rimanere famiglia;
   i tre soggetti coinvolti delle politiche familiari – pubblica amministrazione, privato sociale e imprese – devono integrare la loro azione non solo a livello di gestione ma anche di progettazione. Sono infatti necessarie politiche di appoggio, di accompagnamento e di sostegno che riconoscano la famiglia come bene comune e ne valorizzino il ruolo attivo e propulsivo sul versante educativo, sociale ed economico –:
   se il Ministro interrogato non intenda porre in essere iniziative volte a definire, in accordo con il dipartimento per le politiche della famiglia, la prossima data della conferenza nazionale sulla famiglia. (4-11078)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:


   DALL'OSSO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 1o novembre 2015 nella campagna friulana di San Daniele del Friuli, città nota per le peculiarità alimentari del prosciutto, un cane domestico veniva barbaramente ucciso da un cacciatore davanti agli occhi del suo inerme e disarmato proprietario;
   il cane si trovava a passeggio con il proprietario sulla strada e non all'interno di un percorso di caccia predefinito;
   il cacciatore ha sparato a sangue freddo all'animale al di fuori dei limiti del territorio consentito alla caccia e inoltre si è recato con un'arma carica sulla strada;
   il cacciatore era accompagnato dai suoi cani e poco veritiere possono sembrare le dichiarazioni relative all'aggressività del cane ucciso, essendo lo stesso un Border Collie ben noto per essere un cane da gregge che tuttalpiù difende pecore ed animali da pascolo dall'eventuale attacco da parte di lupi e volpi;
   le dichiarazioni del presidente di Federcaccia del Friuli Venezia Giulia sono state minimizzanti dichiarando che comunque si trattava «solo di un animale» e, sottolineando di riportare il caso nell'ambito dei giusti valori, cosa che non fa ben sperare né ben pensare in relazione al rispetto delle regole;
   il presidente regionale di Pro segugio e consigliere nazionale di Libera caccia ha sostenuto che si tratta di «un'infausta affermazione che in quel di San Daniele fosse stato ucciso un cane, non una – persona, insultando così implicitamente il proprietario del povero animale abbattuto»;
   lo stesso presidente ha sottolineato che un cacciatore sa quanto l'affetto per il proprio cane viene ampiamente ricambiato e afferma di essere «rimasto basito leggendo le dichiarazioni del presidente Viezzi»;
   Levan, presidente di Pro Segugio si è pertanto dissociato dalle posizioni assunte da Federcaccia affermando che «nelle vesti del sindacato dei cacciatori, non mi è parsa all'altezza di difendere adeguatamente il mondo venatorio»;
   il cane non è censito tra gli animali da cacciare –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per rivedere le normative che consentono la detenzione di armi ed il loro uso;
   se sia intenzione del Governo assumere iniziative per inasprire le pene per coloro i quali detengono armi cariche al di fuori dei luoghi consentiti alla caccia od alle discipline sportive connesse con l'uso delle armi;
   se il Governo intenda assumere iniziative per inasprire da subito le pene anche con l'aumento della detenzione e attraverso una estensione dell'ambito dell'articolo 544-bis del codice penale, per i soggetti responsabili dell'uccisione di animali per i quali non è consentita la caccia se non nel periodo previsto e soprattutto per quanto riguarda gli animali domestici. (3-01849)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VALIANTE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 10 dicembre 2013, in seguito al concorso interno bandito per 199 vice ispettori del Corpo forestale dello Stato, sono risulta idonei 236 candidati. Alla data odierna risultano 197 candidati vincitori che, il 18 settembre 2015, hanno concluso il corso di istruzione e specializzazione tecnico-professionale di sei mesi presso la scuola di polizia di Stato di Spoleto. Nei precedenti concorsi interni per vice ispettore si apprende che si è provveduto ad ampliare il numero dei posti da ricoprire collocando anche tutti gli idonei non vincitori: quello bandito per 182 unità e, successivamente, immettendo altre 222 unità, ampliato a 405 posti (ampliamento di oltre il 120 per cento dei posti banditi originariamente), il concorso per la nomina di 400 unità, ampliato poi a 481 posti (con un ampliamento del 20 per cento circa). Alla luce di questi precedenti, invece, per l'ultimo concorso bandito, non risulta esser stato esteso il numero dei posti, pur essendo lo stesso ampliamento, in base alla normativa vigente, richiamata nel bando e nel massimo del 20 per cento, previsto e possibile in caso di ruolo con posti vacanti. Giova sottolineare che l'ampliamento dei posti banditi a concorso non è in contrasto con il blocco delle assunzioni previsto dalle norme vigenti, poiché è da considerarsi come transito nei ruoli ed, infatti, il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, recante disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni ha configurato lo scorrimento delle graduatorie concorsuali valide ed efficaci come regola generale per la copertura dei posti vacanti nella dotazione organica. Pertanto, trattandosi del primo concorso penalizzato con l'immissione a ruolo per solo 29 unità e quindi con un ampliamento di molto inferiore al massimo del 20 per cento previsto dalla normativa, non si comprendono le motivazioni di tale mancato ampliamento atteso dal personale che da anni presta servizio con merito nel Corpo forestale dello Stato –:
   quali iniziative di competenza intenda porre in essere al riguardo e con quale tempistica si intenda procedere all'ampliamento dei posti relativi al concorso interno per 199 vice ispettori del Corpo forestale dello Stato, bandito il 10 dicembre 2013, per poter includere, come nelle edizioni concorsuali passate, anche gli idonei non vincitori. (5-06967)


   MASSIMILIANO BERNINI e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 55 del 2012 all'articolo 1, comma 4, stabilisce che: «si intendono per corroboranti, ossia quei potenziatori delle difese delle piante, sostanze di origine naturale diverse dai fertilizzanti che:
    1. Migliorano la resistenza delle piante nei confronti degli organismi nocivi;
    2. Proteggono le piante da danni non provocati da parassiti.»
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 55 del 2012 all'articolo 1 comma 5 riporta che: «le sostanze di cui al comma 4 che includono anche quelle agenti per via fisica o meccanica, non sono immesse sul mercato come prodotti fitosanitari e non sono utilizzate per scopi fitosanitari, ma sono nondimeno utili in funzione delle proprietà di cui ai punti 1 e 2 del comma 4»;
   il decreto ministeriale n. 18354/2009 autorizza la possibilità dell'utilizzo in agricoltura biologica dei corroboranti, potenziatori delle difese delle piante, evidenziando nell'allegato 1 un elenco di prodotti che attualmente sono riconosciuti con la possibilità di inserirne altri previa approvazione dell'apposita Commissione tecnica;
   le attuali indicazioni dell'Unione europea sono quelle tese a privilegiare l'utilizzo di prodotti naturali, sicuri per la salute, l'ambiente, la conservazione della biodiversità, e altro;
   per l'immissione sul mercato i corroboranti devono essere approvati dalla Commissione tecnica del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali dimostrando le caratteristiche di cui al punto 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 55 del 2012 all'articolo 1, comma 4;
   attualmente, le maggiori ricerche per questi prodotti sono effettuate da piccole aziende che, sviluppandosi, potrebbero creare dei posti di lavoro;
   in Italia, per l'agricoltura, le aliquote IVA applicate ai prodotti chimici sono del 4 per cento per i fertilizzanti e del 10 per cento per i fitosanitari –:
   se ritenga opportuno avviare le procedure affinché i prodotti corroboranti siano inseriti in una delle categorie citate in premessa;
   se ritenga opportuno avviare iniziative affinché ai prodotti corroboranti sia applicata l'aliquota IVA agevolata.
(5-06968)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ROMANINI, COVA, TENTORI, OLIVERIO, PRINA, TARICCO, CAPOZZOLO, TERROSI, PALMA, FIORIO e LUCIANO AGOSTINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 3 luglio 2015 la Gazzetta Ufficiale ha pubblicato la legge di conversione 2 luglio 2015, n. 91, recante «Disposizioni urgenti in materia di rilancio dei settori agricoli in crisi, di sostegno alle imprese agricole colpite da eventi di carattere eccezionale e di razionalizzazione delle strutture ministeriali»;
   l'articolo 3 «Disposizioni urgenti per favorire il riordino delle relazioni contrattuali nel settore lattiero-caseario e per l'attuazione del regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013, in materia di organizzazioni interprofessionali nel settore agricolo» regolamenta per la prima volta in modo organico tutta la disciplina delle organizzazioni interprofessionali;
   al comma 7, infatti, viene riportato che «Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche alle organizzazioni interprofessionali relative ai prodotti, gruppi di prodotti e settori di cui all'articolo 1, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 1308/2013. Ai fini del riconoscimento di cui al comma 2, la condizione di cui all'articolo 158, paragrafo 1, lettera c), del citato regolamento (UE) n. 1308/2013 si intende verificata se l'organizzazione interprofessionale richiedente dimostra di rappresentare una quota delle attività economiche di cui all'articolo 157, paragrafo 1, lettera a), del medesimo regolamento pari ad almeno il 40 per cento del relativo settore, ovvero per ciascun prodotto o gruppo di prodotti. Nel caso di organizzazioni interprofessionali operanti in una singola circoscrizione economica, la medesima condizione si intende verificata se l'organizzazione interprofessionale richiedente dimostra di rappresentare una quota delle richiamate attività economiche pari ad almeno il 51 per cento del relativo settore, ovvero per ciascun prodotto o gruppo di prodotti, nella circoscrizione economica, e comunque almeno il 30 per cento delle medesime a livello nazionale»;
   sono state dunque predisposte norme a supporto e tutoraggio di nuove esperienze e non penalizzanti per quelle organizzazioni e quei territori, come l'Emilia Romagna che in questo campo hanno già prodotto risultati concreti: sono 3 le organizzazioni interprofessionali regionali o interregionali riconosciute con l'assenso comunitario: organizzazione interprofessionale pomodoro da industria del Nord Italia, organizzazione interprofessionale gran suino italiano e organizzazione interprofessionale pera e una organizzazione interprofessionale in corso di riconoscimento sul settore delle uova;
   fino ad oggi però l'applicazione di tali norme sia per le nuove organizzazioni interprofessionali sia per quelle organizzazioni interprofessionali che avevano precedentemente avuto un riconoscimento in sede regionale è disattesa non essendo state definite da parte degli uffici del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali le procedure e le modalità con cui devono essere formalizzate le richieste di riconoscimento che dovranno essere valutate dal Ministero stesso e poi, ricorrendone le condizioni di legge, autorizzate con specifico decreto ministeriale;
   anzi, paradossalmente, l'introduzione delle nuove norme sta determinando in alcuni casi difficoltà impreviste e incertezze operative anche per organizzazioni interprofessionali già esistenti, autorizzabili ai sensi della nuova normativa, autorizzate negli anni passati da parte delle regioni e concretamente ed efficacemente operative da tempo, come ad esempio l'organizzazione interprofessionale pomodoro da industria del Nord Italia che si è vista negare l'approvazione e la pubblicazione del contratto quadro area Nord Italia per il pomodoro da industria 2015 proprio in ragione del nuovo quadro normativo e, segnatamente, delle disposizioni di cui al decreto-legge n. 51 del 2015 convertito dalla legge n. 91 del 2 luglio 2015;
   un adeguato sviluppo delle organizzazioni interprofessionali in Italia è cruciale per il miglioramento della competitività e della sostenibilità delle diverse filiere agroalimentari in quanto garantisce una sede stabile di relazione tra i soggetti, favorisce la trasparenza del mercato e la conoscenza del potenziale produttivo, la sua programmazione e qualificazione, la definizione di contratti tipo e di regole condivise, riducendo la conflittualità che sorge più facilmente quando le parti si incontrano solo per la definizione del prezzo;
   l'Italia da questo punto di vista deve compiere grandi passi poiché nel nostro Paese vi sono pochissime organizzazioni interprofessionali operative: solo 8 in base ad uno studio recente dell'università di Perugia e non tutte riconosciute, nei settori ortofrutta, tabacco, olio d'oliva, cereali, carne, pere e pomodoro da industria –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle ragioni di questi ritardi nell'applicazione della legge n. 91 del 2015 e se il Ministro non ritenga necessario intervenire per dare concretamente corso a quanto indicato dalla medesima legge in materia di organizzazioni interprofessionali in modo da salvaguardare le buone esperienze già avviate e consentire la nascita di nuove organizzazioni interprofessionali radicate fra le imprese e rispettose della varietà, delle differenze settoriali, territoriali ed organizzative del sistema agroalimentare italiano. (4-11080)


   L'ABBATE, PARENTELA, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, GAGNARLI, LUPO e CARIELLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   è res nota che il settore olivicolo-oleario nazionale attraversa una fase di profonda crisi strutturale e, considerato il pregio della produzione italiana di olio che costituisce una delle eccellenze del made in Italy agroalimentare, sono necessari interventi volti a recuperare e rilanciare la produttività;
   il decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, recante disposizioni urgenti in materia di rilancio dei settori agricoli in crisi, di sostegno alle imprese agricole colpite da eventi di carattere eccezionale e di razionalizzazione delle strutture, ministeriali’ all'articolo 4 prevede «Disposizioni urgenti per il recupero del potenziale produttivo e competitivo del settore olivicolo-oleario»;
   con l'articolo 4, comma 1 «È istituito presso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali un Fondo per sostenere la realizzazione del piano di interventi nel settore olivicolo-oleario con una dotazione iniziale pari a 4 milioni di euro per l'anno 2015 e a 14 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017»;
   inoltre, con l'articolo 4, comma 1 è previsto che «entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore», «con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, adottato previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono definiti i criteri e le modalità di attuazione del piano di interventi» –:
   quali iniziative il Ministro in indirizzo intenda attuare, con la massima celerità, affinché venga scongiurata la perdita della prima tranche di finanziamenti prevista dal decreto-legge n. 51 convertito dalla legge n. 91 del 2015 pari a 4 milioni di euro. (4-11088)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BRIGNONE. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Trattato di Lisbona riconosce gli animali come esseri senzienti;
   il 10 novembre 2015 la polizia stradale di Civitavecchia (Roma) fermava un autoarticolato adibito al trasporto degli animali da macello;
   su il Tir proveniente dalla Spagna e diretto in Sicilia erano stipati circa centosettanta suini;
   durante il controllo della polizia stradale trentatré maiali venivano rinvenuti morti;
   gli animali vivi che a metà percorso avevano viaggiato circa ventisei ore sono apparsi in condizioni precarie, senza acqua, ammassati uno sopra l'altro per mancanza di spazio;
   a seguito delle molteplici violazioni alle norme sul trasporto di animali vivi, mancata autorizzazione al trasporto di animali vivi, assenza del certificato di omologazione del rimorchio e irregolarità di soste previste per legge, sovraffollamento del mezzo, mancanza di lettiere e impianti di abbeveraggio bloccati, gli agenti della polizia stradale congiuntamente al servizio veterinario dell'ASL RM F di Civitavecchia avrebbero proceduto alla denuncia nei confronti del trasportatore –:
   se sia a conoscenza di quanto accaduto durante il controllo della polizia stradale di Civitavecchia nei confronti del tir che trasportava centosettanta suini destinati al macello nella regione Sicilia;
   per quanto concerne al trasporto a lunga distanza, considerato lo stress cui vengono sottoposti gli animali e a seguito delle numerose violazioni riscontrate dalle autorità competenti per il controllo e la vigilanza sul trasporto degli animali vivi, se non sia opportuno assumere iniziative per intensificare le ispezioni in base al decreto del Presidente della Repubblica n. 320 del 1954 e al decreto del Presidente della Repubblica n. 317 del 1996.
(5-06963)


   COLONNESE, SILVIA GIORDANO, GRILLO, BARONI, MANTERO, DI VITA e LOREFICE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 3 giugno 2015 l'Agenzia sanitaria della Catalogna comunicava di avere ricevuto il 28 maggio la notifica di un possibile caso di difterite in un bambino di sei anni, non vaccinato, residente a Olot, nella provincia di Girona. I primi sintomi erano comparsi il 25 maggio, ma per l'aggravarsi delle condizioni, era stato ricoverato il 27 maggio in un ospedale regionale, con un quadro clinico caratterizzato da febbre, malessere generale, cefalea, odinofagia e con le tonsille ricoperte da pseudomembrane. Il 30 maggio un campione inviato al Centro nazionale di microbiologia risultava positivo per una difterite tossigenica all'analisi molecolare mediante PCR e parimenti positivo risultava il test di Elek (per identificare i C. Diphtheriae produttori di tossina difterica) effettuato su di un campione inviato ad un laboratorio di riferimento del Who in Inghilterra. Per tale ragione il bambino veniva quindi trasferito in un ospedale specializzato a Barcellona. L'unico modo per sconfiggere questa malattia infettiva, acuta e contagiosa, è una cura a base di siero antidifterico (DAT) somministrato velocemente in combinazione con gli antibiotici;
   il 31 maggio la Spagna inviava all'Organizzazione mondiale della sanità e agli Stati membri dell'Unione europea una richiesta urgente di antitossina difterica (DAT). Irlanda, Svezia, Francia e Germania rispondevano che i lotti di antitossina in loro possesso erano scaduti. Il bambino dopo un paio di giorni veniva trattato con un siero antidifterico proveniente dalla Russia, ma se ne è verificato il decesso, determinato dal grave ritardo dell'inizio della terapia;
   la difterite è una malattia contagiosa, rara nei Paesi industrializzati, resta endemica in altre zona del mondo. È provocata da un batterio gram-negativo, il Corynebacterium diphtheriae, che, una volta entrato nell'organismo, rilascia una tossina in grado di danneggiare o distruggere organi e tessuti. L'ultimo caso clinico in Italia risale al 1996; nel periodo 2000-2014, i casi di difterite, confermati microbiologicamente presso l'Istituto superiore della sanità, sono stati due, entrambi segnalati nel Nord Italia e causati da C. ulcerans. Il primo segnalato nel 2002 in un paziente di 14 anni, vaccinato, che presentava pseudomembrane nel faringe. Il secondo caso è stato diagnosticato a febbraio 2014 in una paziente di 70 anni non vaccinata che presentava pseudomembrane a livello rinofaringeo; nello stesso periodo sono stati segnalati anche cinque casi di infezioni dovuti a ceppi di C. diphtheriae non produttori di tossina e, tra questi, due sono stati particolarmente gravi. Quattro soggetti erano vaccinati, di uno non si conosce lo stato vaccinale (Monaco M, Mancini F, Ciervo A, et al. La difterite: è ancora una malattia da sorvegliare ? Notiziario dell'Istituto Superiore di Sanità, Vol. 28, 3, 2015: pp. 3-8);
   la quasi scomparsa della malattia in Europa ha indotto gli Stati a non prendere particolari precauzioni e anche per questo motivo ad oggi sono pochi gli Stati che posseggono dosi di antitossina difterica;
   l'antitossina difterica, DAT, rientra nella lista dei farmaci essenziali dell'Organizzazione mondiale della sanità, che dovrebbero essere disponibili in ogni momento, in quantità adeguate e in formulazioni appropriate di qualità garantita;
   il caso di difterite in Spagna ha fatto emergere diverse questioni di grande importanza per tutta l'Unione europea fra cui la presenza di individui non vaccinati, le difficoltà che si possono incontrare oggi nella diagnosi dei casi di difterite nell'Unione europea, e sopratutto, la mancanza del siero antidifterico, unico farmaco efficace per questa malattia –:
   se diversamente dalla Spagna, in Italia l'antitossina difterica, DAT, sia disponibile in quantità adeguate e in formulazioni appropriate di qualità garantita onde instaurare in tempi utili una terapia efficace. (5-06964)


   COLONNESE, SILVIA GIORDANO, GRILLO, BARONI, MANTERO, LOREFICE e DI VITA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le vaccinazioni sono considerate il mezzo più efficace per il contenimento di alcune gravi malattie infettive. Studi scientifici rivelano che la vaccinazione obbligatoria pediatrica ha permesso alla nostra società di rimanere indenni da diverse epidemie geograficamente vicine all'Italia. Tuttavia, negli ultimi anni le numerose sentenze che hanno avuto ad oggetto i danni derivanti da vaccinazioni pediatriche hanno sollevato molte polemiche in ordine alla loro sicurezza;
   in Italia, secondo il «nuovo calendario delle vaccinazioni obbligatorie e raccomandate per l'età evolutiva» introdotto dal decreto ministeriale 7 aprile 1999, le vaccinazioni obbligatorie sono quattro e riguardano l'antidifterite, l'antitetanica, l'antipoliomielite e l'antiepatite virale B;
   oggi, poiché in commercio non è possibile reperire i vaccini in formulazione singola, l'unica tipologia di vaccinazione reperibile è infatti il vaccino esavalente che, oltre a contenere i quattro vaccini obbligatori, contiene anche quelli contro la pertosse e le infezioni da haemophilus influenzale di tipo B, due vaccini considerati «raccomandati» e che quindi non costituiscono trattamenti sanitari imposti dalla legislazione vigente, ma semplicemente promossi dalla pubblica autorità in vista di un programma di diffusione degli stessi nella società, da fonti di stampa si stima un costo aggiuntivo superiore ai 100 milioni di euro l'anno;
   il vaccino esavalente unisce insieme le 6 componenti protettive, senza moltiplicare quindi la presenza delle altre sostanze necessariamente presenti in ogni preparato vaccinale, che verrebbero a sommarsi con la somministrazione separata dei vaccini singoli;
   le vaccinazioni raccomandate dal Ministero sono quelle riguardanti: pertosse, meningite, attraverso i vaccini contro l’haemophilus influenzae tipo B, lo pneumococco e il meningococco, morbillo, parotite, rosolia, varicella, infezione da papillomavirus; analogamente con la vaccinazione DTPa, antidifterite, antitetanica e antipertosse, oltre a contenere due vaccini obbligatori contiene anche quello contro la pertosse;
   tuttavia, i dati raccolti dal centro di controllo e prevenzione delle malattie delle nazioni americane (CDC) mostrano come l'81 per cento dei soggetti di età inferiore ai 18 anni, che hanno ricevuto tutte le dosi di DTaP da bambini, sviluppano comunque la pertosse e che, l'efficacia reale del vaccino, per i bambini di età compresa tra 8 e 12, anni si attesterebbe solo intorno al 24 per cento, quindi solo 2,4 bambini su 10 non si ammalerebbero di pertosse;
   il diritto all'autodeterminazione nelle decisioni terapeutiche sancito dagli articoli 2 e 32 della Costituzione dispone che spetta al soggetto che esercita la potestà sul minore di decidere sull'opportunità o meno di far sottoporre il minore alla somministrazione di vaccini non appartenenti alla categoria delle vaccinazioni obbligatorie;
   molti Paesi europei non prevedono neppure l'obbligatorietà dei vaccini in età pediatrica, garantendo il pieno diritto dei genitori a una scelta libera e consapevole dei vaccini da far somministrare ai propri figli, e riducendo al contempo i costi sostenuti dal servizio sanitario nazionale –:
   sulla base di quali motivazioni il Ministero della salute prevede una procedura doppiamente dispendiosa per lo Stato, rispetto alla distribuzione dei singoli vaccini obbligatori, somministrando i vaccini esavalente e tetravalente, nel quale sono presenti solo tre dei quattro vaccini obbligatori, che, a giudizio degli interroganti, non garantiscono una scelta libera e consapevole dei genitori o di chi esercita la potestà rispetto ai vaccini da somministrare in età pediatrica e, in tale contesto, quali siano stati i costi sostenuti annualmente dal servizio sanitario nazionale negli ultimi cinque anni. (5-06965)


   RIZZETTO. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 7 ottobre 2015 è stato disposto dalla procura di Brescia il sequestrato del macello Italcarni di Ghedi (Bs) conseguente alla contestazione di una lunga serie di reati: maltrattamento di animali, adulterazione di alimenti, frode nell'esercizio del commercio, falso in atto pubblico e smaltimento illecito di rifiuti;
   in particolare, con l'utilizzo di telecamere nascoste, è stato appurato che vigeva una prassi di macellazioni gravemente non rispettosa della normativa in materia. Le mucche subivano vere e proprie torture: venivano ferite, trascinate con catene e scaraventate giù dai camion anche con l'uso di forche. I gravi maltrattamenti subiti dagli animali secondo la procura hanno contaminato la carne, al riguardo, le analisi dell'Istituto zooprofilattico di Torino e di Portici (Na) hanno verificato la presenza di cariche batteriche cinquanta volte superiori a quelle consentite dalla legge, con seri rischi per il consumatore;
   il 9 novembre 2015, il pubblico ministero ha presentato la richiesta di rinvio a giudizio per due veterinari e i dipendenti del macello, mentre il proprietario di Italcarni ha richiesto il patteggiamento;
   è inammissibile che si verifichino fatti del genere ed è del tutto evidente, ad avviso dell'interrogante, che alla Italcarni non sono stati compiuti i dovuti controlli dalle autorità preposte che avrebbero dovuto escludere la reiterazione dei reati in questione, in particolare, verso la salute pubblica e il benessere animale;
   si rende, dunque, necessario intensificare i controlli delle aziende del settore e adottare norme più incisive per scoraggiare la commissione di tali reati, anche prevedendo che coloro che vengono condannati non possano più lavorare nel settore –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati, per quanto di loro competenza, sui fatti esposti in premessa;
   quali siano i controlli e con quale frequenza vengano disposti nelle aziende del settore per prevenire rischi per la salute dei consumatori e tutelare gli animali, nel rispetto della normativa prevista sul benessere animale;
   se e quali iniziative normativi intendano adottare per scoraggiare concretamente la commissione di tali reati.
(5-06975)


   DE ROSA, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, GRILLO, LOREFICE, MANTERO, ALBERTI, FICO, PESCO, PISANO, RUOCCO e VILLAROSA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il 31 ottobre 2013 è entrato in vigore il decreto legislativo n. 178 del 2012, denominato «Riorganizzazione dell'Associazione italiana della Croce Rossa a norma dell'articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro (10G0209)», (privatizzazione dell'ente pubblico croce rossa italiana);
   gli obiettivi di tale provvedimento erano la razionalizzazione e l'ottimizzazione dei costi di funzionamento degli enti pubblici individuati, tra cui la Croce rossa italiana, previa riorganizzazione dei relativi centri di spesa e mediante adeguamento dell'organizzazione e della struttura amministrativa degli enti (articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183);
   a fronte di tali dichiarati obiettivi, la realtà è che la quasi totalità del personale dell'ente pubblico Cri viene in primis depauperata dalle abituali attività socio-sanitarie (ad esempio soccorso extraospedaliero) ed attualmente impiegata in servizi che, oltre a non rispecchiare più la loro professionalità (ad esempio soccorso di prossimità), comportano esclusivamente dei costi allo Stato e nessuna entrata economica e soprattutto, indirettamente, creano confusione e disagio nei cittadini, completamenti ignari della «riorganizzazione» di Croce Rossa, che non comprendono le motivazioni per le quali i soccorritori sono costretti a chiamare il numero di emergenza in caso di necessità (soccorso di prossimità) essendo privi di un mezzo di soccorso e presidi;
   i comitati regionali della Cri pubblici hanno da sempre svolto attività «amministrative/organizzative» (gestione delle patenti ministeriali della Cri, gestione delle convenzioni regionali della Cri, gestione del personale sul territorio regionale, e altro) oggi si ritrovano invece a gestire centinaia di operatori tecnici (provenienti dai comitati locali Aps – Associazione di promozione sociale – da associazioni di natura privatistica della Cri presso i quali non «possono» prestare più servizio, essendo inquadrati con contratto pubblico per enti pubblici non economici e non Associazione nazionale pubblica assistenza ente di diritto privato) senza impiegarli in attività remunerative;
   tutte le attività convenzionali dell'ente pubblico Cri (servizio d'urgenza ambulanze 118, convenzioni con varie strutture sul territorio nazionale per servizi socio-sanitari) sembrano essere state gratuitamente cedute e direttamente trasferite alle neonate associazioni di natura privatistica (Comitati locali e provinciali – Aps Cri –), alcune di queste convenzioni (quelle più importanti, remunerative e che interessano più comitati), però, dovrebbero essere gestite direttamente dai comitati privatizzati (aventi ognuno propria partita IVA e proprio bilancio nonché persona giuridica), ma risultano ancora contrattate e gestite dall'ente pubblico Cri regionale che poi si occuperebbe di suddividerle, assegnandole ai vari comitati;
   i mezzi (ambulanze, pulmini per disabili, automobili, e altro) risultano esser stati ceduti ai comitati locali/provinciali diventati associazioni private, in comodato d'uso gratuito ed i nuovi veicoli, acquistati dalle associazioni delle Cri privatizzate, risultano immatricolati, comunque, nel registro della Cri pubblica presso il comitato centrale, con targa ministeriale, dunque per la guida degli stessi è necessario che i conducenti siano in possesso di una patente di guida ministeriale rilasciata dalla Croce rossa ente pubblico; questo permetterebbe alcune agevolazioni anche per la pubblica assistenza Cri privatizzata (comitati locali e provinciali) quali, ad esempio:
    a) mancato pagamento di 2 bolli da 16 euro per immatricolazione di ogni mezzo;
    b) mancato pagamento di 2 bolli da 16 euro per trascrizione al Pubblico Registro Automobilistico;
    c) mancato pagamento del Bollo (perdita di introiti per le regioni);
    d) mancato pagamento della IPT (perdita di introiti per le province);
    e) agevolazioni sul costo del carburante;
    f) agevolazioni sul costo del pedaggio autostradale;
    g) gli autisti, utilizzando una patente ministeriale e non la propria, non incorrono nella perdita, ad esempio dei «punti» in caso di infrazione;
   i comitati regionali, in tal modo, non possedendo più mezzi di soccorso, non possono svolgere le loro normali attività. Se dovessero «chiedere in prestito» un mezzo ad un Comitato privatizzato (nonostante sia ceduto in comodato d'uso gratuito da pubblico a privato) la Cri pubblica dovrebbe prevedere un rimborso all'associazione privata;
   il «marchio» Croce rossa italiana, esistente dal 1864, viene utilizzato da qualsivoglia comitato privatizzato senza che sia riconosciuto un indennizzo alla parte pubblica, quando in realtà sarebbe «A.P.S. CRI/Pubblica Assistenza Croce Rossa O.N.L.U.S.» dal 2014;
   la maggior parte del personale dell'ente pubblico della Cri, con esperienza ventennale nel circuito dell'urgenza/emergenza risulterebbe a quanto consta agli interroganti interdetto a tale attività e sostituito da personale neoassunto, pagato per mezzo di convenzioni con aziende regionali;
   ciò comporta:
    tramite il cosiddetto «decreto Madia» del 14 settembre 2015, la messa in mobilità del personale dell'Ente Pubblico della Cri con esperienza. Non appena l’iter di privatizzazione verrà portato a compimento, dunque lo Stato continuerà a pagare lo stipendio a professionisti per attività che non rispecchiano affatto i loro profili professionali. Non risulta, inoltre, la possibilità di loro mobilità presso le aziende sanitarie, a causa del mancato accordo Stato-Regioni e del «decreto Madia» (per esempio da soccorritori inquadrati con livello economico A2 del contratto «Enti Pubblici Non Economici», nelle tabelle di equiparazione del «decreto Madia» verrebbero inquadrati, per esempio, come «ausiliari» livello A1 del CCNL Sanità – figure ormai inesistenti nel comparto sanitario – oppure utilizzati come collaboratori scolastici);
   è stata prevista l'assunzione da parte dei comitati privatizzati di nuovo personale con contratto ANPAS – Associazione nazionale pubbliche assistenze – per svolgere l'attività di «soccorritore» sulle ambulanze pubbliche, cedute in comodato d'uso gratuito ai comitati privatizzati (questo perché, nonostante il servizio 118 venga remunerato con fondi regionali pubblici, se il dipendente pubblico della Cri, viene impiegato in attività convenzionali – come lo è il 118 –, deve essere previsto il rimborso del suo stipendio da parte del Comitato centrale della Cri, ente pubblico, pertanto sarebbe più opportuno utilizzare la formula dell'affidamento diretto delle convenzioni utilizzando dipendenti pubblici – già pagati quindi dallo Stato – per svolgere attività sanitarie pubbliche);
   è stata stabilita l'assunzione da parte dei comitati privatizzati di altro nuovo personale con contratto ANPAS per gestire l'emergenza migranti senza alcuna gara d'appalto (i profughi e rifugiati siriani erano, ad esempio, già previsti dalla «convenzione a rimborso zero» tra la Cri pubblica regionale e il comune di Milano, per la gestione del «Presidio Emergenza Siria»);
   è stata prevista l'assunzione, da parte dei comitati privatizzati, di ulteriore nuovo personale, con contratto Anpas per gestire la situazione «emergenza scabbia» in Milano;
   il decreto legislativo n. 178 del 2012, dunque, secondo quanto evidenziato, non solo non sembra agli interroganti produrre un risparmio per la spesa pubblica, bensì un notevole aumento della stessa né, tanto meno, sembra richiamare i principi ispiratori della legge n. 183 del 2010 –:
   se il Governo, alla luce di quanto sopra premesso, sia in grado di produrre dati certi sull'effettività del dichiarato risparmio ottenuto con il decreto legislativo n. 178 del 2012, sul bilancio della Cri pubblica e circa un effettivo piano di ricollocazione di tutto il personale dipendente formato, lasciato a casa, o in mobilità, tenuto conto del decreto ministeriale 14 settembre 2015 del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione;
   se il Governo, in mancanza di tali evidenze, non ritenga necessario ed urgente assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a risolvere le gravi anomalie sopra descritte e, qualora lo ritenesse opportuno assumere iniziative normative al fine di abrogare il decreto legislativo n. 178 del 2012, restituendo così, alla Croce rossa italiana, ai suoi lavoratori ed al suo patrimonio, la dignità e la funzione sociale pubblica che storicamente hanno sempre rivestito sin dalla sua creazione. (5-06977)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la fibrosi cistica è una patologia degenerativa dalla quale non si guarisce;
   le aree di intervento relative a tale patologia vanno dalla qualità delle cure, alla qualità della vita dei pazienti, fino alla ricerca e all'impegno associativo;
   risulta esserci un gran numero di portatori sani che, nella maggior parte dei casi, non sanno di esserlo, e dunque pare di tutta evidenza l'importanza di uno screening neonatale al fine di identificare precocemente questa malattia, con il vantaggio di avviare un programma di cura prima che si manifestino sintomi evidenti o complicanze irreversibili –:
   quali iniziative si intendano porre in essere in relazione alla problematica evidenziata. (4-11089)


   CHIARELLI e PALESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da notizie di stampa (La Gazzetta del Mezzogiorno – ed. Taranto – dell'8 novembre 2015) che sarebbe giunta a conclusione una inchiesta della Procura di Taranto sui «Piani di acquisto delle prestazioni da privati» adottati dalla Asl di Taranto nel 2011 e nel 2012;
   secondo l'accusa, la Asl, nel ripartire tra le singole case di cura operanti nel territorio di Taranto le risorse finanziarie rivenienti dal fondo regionale, avrebbe adottato criteri difformi ed in contrasto rispetto ai dettami della regione Puglia, così favorendo (sempre secondo l'accusa) alcune strutture private rispetto ad altre;
   in particolare, si legge nell'articolo di stampa, secondo l'accusa, i vertici della Asl, abusando dei poteri derivanti dal loro ufficio, avrebbero adottato due delibere, una nel 2011 una nel 2012, riguardanti il piano di acquisto delle prestazioni erogabili in regime di ricovero presso le case di cura accreditate, adottando criteri difformi da quelli dettati dalla Regione e procurando un vantaggio ad alcune case di cura a danno di altre;
   la somma che annualmente viene ripartita dalla Asl si aggira intorno ai 70 milioni di euro e stando a quanto verificato dagli inquirenti, alcune strutture avrebbero ricevuto un danno anche superiore ai 500 mila euro dalla «nuova» ripartizione effettuata dalla Asl nel 2011 e nel 2012;
   il Ministero della salute ha il dovere di verificare l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, in condizioni di appropriatezza e di efficienza nell'utilizzo delle risorse, nonché la congruità tra le prestazioni da erogare e le risorse messe a disposizione dal Servizio sanitario nazionale, anche per quanto riguarda quelle messe a disposizione per l'erogazione delle prestazioni da parte della sanità privata; pertanto, è opportuno che si proceda agli accertamenti in merito alla congruità dei criteri adottati dalla Asl di Taranto nel piano di acquisto delle prestazioni erogabili in regime di ricovero presso le case di cura accreditate –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa, se risultino episodi analoghi nel territorio nazionale e se non intenda valutare l'opportunità di adottare iniziative normative che incidano sul sistema di erogazione delle prestazioni erogabili in regime di ricovero presso case di cura accreditate, al fine di evitare una discrezionalità tale da incidere sui livelli essenziali di assistenza costituzionalmente garantiti e da produrre evidenti danni anche sul piano economico-finanziario al servizio sanitario. (4-11095)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   AMODDIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalla stampa, la decisione di Eni di concentrare il core business esclusivamente sulle attività di oil & gas comporterebbe la vendita di Versalis e la conseguente drastica riduzione del comparto della chimica tradizionale, comparto produttivo fondamentale per il sistema industriale del nostro Paese. Versalis è la più grande azienda chimica italiana ed è evidente che dal suo futuro dipenderà quello dell'intera industria chimica nazionale. I dati presentati da Eni per il primo semestre 2015, dimostrano che i risultati del settore chimico sono in fase di miglioramento con un + 226 milioni di euro contro la perdita di 569 milioni di euro fatta registrare nel primo semestre 2014. Il piano strategico 2015-2018 di Eni prevede per Versalis obbiettivi ambiziosi ed importanti investimenti sugli stabilimenti di Priolo, Porto Marghera e Porto Torres. Un investimento di 1,2 miliardi di euro totali per la riconversione dei siti (molti dei quali come Priolo classificati S.I.N.) e per interventi atti a sviluppare il settore della chimica verde. La vendita di Versalis metterebbe a rischio questi investimenti provocando gravi conseguenze dal punto di vista occupazionale e comprometterebbe la competitività del comparto e dell'intero sistema produttivo del Paese. La scelta di vendere Versalis, rappresenta una strategia industriale sui generis e l'ennesimo, inspiegabile caso di cessione a gruppi industriali stranieri, delle punte di diamante della nostra industria –:
   se il Governo sia a conoscenza delle intenzioni di Eni in merito alla vendita di Versalis;
   se il Governo abbia un orientamento sulle prospettive industriali del nostro Paese nel settore della chimica che preveda investimenti in ricerca, in qualità dei prodotti e in sostenibilità ambientale;
   se il Governo intenda convocare un tavolo di confronto fra Governo, sindacati ed ENI al fine di fare chiarezza sul quadro complessivo della situazione e assicurare condizioni di garanzia per il futuro dei lavoratori;
   se il Governo non ritenga di dover intervenire per evitare l'ennesimo disimpegno di Eni dal settore dell'industria chimica;
   se il Governo non intenda intervenire e con quali strumenti, al fine di garantire, per quanto di competenza, l'attuazione degli investimenti industriali e ambientali già programmati da Versalis a prescindere dai futuri assetti societari. (5-06969)


   BENAMATI, BARGERO e SENALDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva 2003/87/CE ha istituito un sistema per lo scambio di quote di emissione dei gas ad effetto serra (così detto ETS), che prevede, all'articolo 11 che gli Stati membri decidano in merito alle quote totali di emissioni da assegnare per il periodo di riferimento e che, nel decidere in relazione all'assegnazione delle quote di emissione, tengano conto della necessità di permettere ai nuovi entranti di accedere a tali quote prevedendo altresì che le decisioni di assegnazione devono essere conformi al principio di non discriminazione, con espresso riferimento agli articoli 87 e 88 del Trattato CE;
   il decreto del Ministero dell'ambiente 28 febbraio 2008, di approvazione della proposta di decisione di assegnazione delle quote di CO2 per il periodo 2008-2012, ha stabilito i criteri in base ai quali sono state allocate quote di emissione gratuite agli impianti esistenti ed ha individuato per impianti «nuovi entranti» un'apposita riserva da assegnarsi secondo i medesimi criteri di allocazione usati per gli impianti esistenti e con un meccanismo first come first served: secondo tale meccanismo, gli impianti ottengono le quote spettanti per l'intero periodo 2008-12 in ragione della data di entrata in esercizio commerciale;
   la riserva individuata nella decisione di assegnazione per il periodo 2008-2012 non ha soddisfatto tutti gli aventi diritto: gli operatori che non hanno ricevuto quote a titolo gratuito per il periodo 2008-2012 hanno dovuto acquistare le quote necessarie per compensare le emissioni prodotte, trovandosi in una condizione di svantaggio competitivo rispetto agli impianti che hanno ricevuto allocazioni gratuite;
   al fine di correggere tale anomalia, il decreto legge 20 maggio 2010, n. 72, all'articolo 2 comma 3, ha stabilito che i crediti maturati dagli aventi diritto, comprensivi degli interessi legali, sarebbero stati liquidati nei limiti dei proventi della vendita all'asta delle quote di CO2, prevista nel nuovo periodo regolatorio ETS (iniziato nel 2013), entro 90 giorni dal versamento dei suddetti proventi;
   con una serie di delibere, l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il servizio idrico ha definito il valore pecuniario dei crediti spettanti ad ogni operatore intestatario;
   si è intervenuti successivamente con il decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 30, prevedendo, all'articolo 19, comma 5, che gli aventi diritto dovranno essere interamente liquidati entro l'anno 2015 e specificando che, solo il 50 per cento degli introiti delle aste di ogni anno verrà utilizzato per liquidare gli aventi diritto dei crediti di cui sopra. In pratica, il decreto ha delineato un meccanismo di liquidazione del credito che avrebbe dovuto comportare l'erogazione, anno per anno, e fino al 2015, del 50 per cento di quanto disponibile nelle casse del GSE a seguito delle aste ETS;
   in particolare, l'articolo 19, comma 5, del decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 30, stabilisce che, ogni anno, i suddetti proventi vengano trasferiti dal GSE (che li raccoglie a valle dell'effettuazione delle aste ETS) alla tesoreria dello Stato, versati all'entrata del bilancio dello Stato e successivamente assegnati all'apposito capitolo di spesa del Ministero dello sviluppo economico, che dovrà quindi procedere all'effettiva liquidazione dei crediti, da completarsi entro l'anno 2015;
   risulta agli interroganti che la formalizzazione di tutti gli atti amministrativi necessari per la liquidazione del credito per gli aventi diritto relativo è iniziata nel momento in cui, secondo quanto previsto dalla convenzione firmata in data 9 maggio 2014 con il Ministero dell'economia e delle finanze, il GSE ha trasferito in data 20 maggio 2014 alla tesoreria dello Stato i proventi delle aste (e relativi interessi) generati nel 2012 e nel 2013 (pari a euro 464.676.134,85);
   in seguito, ed in considerazione di quanto previsto dall'articolo 19, comma 3, del decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 30, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha predisposto il decreto di ripartizione dei proventi delle aste, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'economia e delle finanze. Il decreto è stato, infatti, registrato dalla Corte dei Conti in data 15 ottobre 2014;
   in data 20 maggio 2015, il GSE ha inoltre trasferito alla Tesoreria dello Stato i proventi delle aste generati nel 2014 (pari a Euro 363.774.485,15);
   successivamente, i proventi trasferiti al Ministero dell'economia e delle finanze ed imputati all'entrata del bilancio dello Stato sono stati spostati, con un decreto di variazione di bilancio, su un capitolo di spesa e poi assegnati ai Ministeri interessati: secondo tale decreto, la competenza per la liquidazione del 50 per cento dei proventi delle aste dedicato alla copertura del fabbisogno degli aventi diritto ai rimborsi dei crediti CO2 spetta al Ministero dello sviluppo economico;
   per quanto riguarda la liquidazione degli aventi diritto ai rimborsi dei crediti CO2, il Ministero dello sviluppo economico, in seguito alla ricezione da parte di ciascuna azienda della richiesta di rimborso (modulo pubblicato sul sito internet del Ministero dello sviluppo economico in data 11 novembre 2014) ha predisposto i singoli decreti di pagamento per ciascuna azienda che avrebbero dovuto essere validati entro il 19 dicembre dall'ufficio centrale di bilancio (UCB interno al Ministero dello sviluppo economico) per la richiesta di pagamento da parte della Banca d'Italia;
   due giorni prima della scadenza per la validazione l'UCB summenzionato ha ritenuto la documentazione trasmessa dalla direzione generale energia incompleta per la mancanza della certificazione antimafia delle aziende beneficiarie e ha bloccato i pagamenti;
   in data 14 gennaio 2015 il Ministero dello sviluppo economico ha richiesto agli aventi diritto al credito la documentazione necessaria per l'ottenimento della certificazione antimafia dalle prefetture competenti, prolungando l'iter per la liquidazione ai soggetti spettanti, in quanto ogni prefettura dispone di tempistiche differenti per il rilascio della certificazione antimafia;
   in seguito alla ricezione di tale documentazione da parte di ogni singola impresa, il Ministero dello sviluppo economico provvede a liquidare i crediti solo per la prima tranche corrispondente ai crediti maturati negli anni 2008, 2009 e il 65 per cento di quelli maturati nel 2010, comprensivi di quota capitale e quota interessi;
   successivamente alla liquidazione della prima tranche, il Ministero dello sviluppo economico provvederà a liquidare i crediti per la seconda tranche portando a conclusione il rimborso dell'ammontare dei crediti totali spettanti che risulterebbero essere per l'intero periodo e al lordo degli interessi circa 733 milioni di euro;
   a parere degli interroganti, in considerazione del valore attuale del titolo CO2 pari a circa 8 euro/tonnellata, e dell'andamento delle aste già effettuate, il completo rimborso per gli aventi diritto non potrà avvenire entro l'anno 2015, così come indicato dall'articolo 19 comma 5 del decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 30, anche perché a settembre 2015 risulterebbero pervenuti dalle aste e destinati al rimborso delle quote, proventi per circa 600 milioni di euro: stante il fabbisogno stimato citato prima e l'andamento previsto delle aste, si può prevedere la conclusione della procedura di liquidazione al 2017, anno in cui verrà erogato il gettito raccolto tramite le aste degli anni precedenti;
   da quanto esposto risulterebbe evidente la necessità di allineamento delle tempistiche di rimborso dei crediti spettanti con quelle della disponibilità del gettito proveniente dalle aste, eventualmente prorogando la conclusione della procedura di liquidazione precedentemente prevista entro il 2015, garantendo così le risorse finanziarie da tempo attese dalle imprese creditrici, molte delle quali già pesantemente impattate dalla crisi economica, che non si sono viste assegnare quote di emissione a titolo gratuito nel periodo 2008-12 a fronte di propri concorrenti che ne hanno potuto, in quel momento, disporre –:
   se quanto in premessa corrisponda al vero e, in caso affermativo, quali iniziative, per quanto di competenza, intenda porre in essere il Ministro per assicurare il rimborso totale dei crediti spettanti per il periodo 2008-2012 anche oltre la data prevista per la loro liquidazione. (5-06972)


   BENAMATI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Sogin è la società di Stato responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi compresi quelli prodotti dalle attività industriali, di ricerca e di medicina nucleare, un'attività svolta per garantire la sicurezza dei cittadini;
   le attività di smantellamento degli impianti nucleari devono consentire di restituire al territorio i siti liberi da vincoli radiologici;
   la società ha inoltre il compito di localizzare, realizzare e gestire il deposito nazionale dove mettere in sicurezza tutti i rifiuti radioattivi ad alta e bassa radioattività;
   il deposito nazionale sarà posizionato all'interno di un parco tecnologico: un centro di ricerca e sviluppo dotato delle più moderne tecnologie per svolgere attività nel campo dello smantellamento e della gestione dei rifiuti radioattivi;
   il 2 gennaio 2015 Sogin ha consegnato ad ISPRA la proposta di carta delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) ad ospitare il deposito nazionale e parco tecnologico, rispettando i tempi previsti dal decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31, ossia entro 7 mesi dalla pubblicazione della guida tecnica n. 29 di ISPRA, avvenuta il 4 giugno 2014;
   il 27 ottobre 2015 l'amministratore delegato Riccardo Casale, ha rassegnato il proprio mandato nelle mani dell'azionista, il Ministero dell'economia e delle finanze;
   da quanto si è appreso da articoli di stampa, Casale avrebbe indicato dissidi con il presidente dell'azienda, Giuseppe Zollino, e secondo l'agenzia Reuters, nella lettera di dimissioni Casale avrebbe parlato anche di dissidi con il resto del Consiglio d'Amministrazione convocato l'ultima volta a luglio e addirittura di «opere soggette alla valutazione di impatto ambientale non deliberate, con il rischio di illeciti penali» e con i tempi scaduti per l'approvazione del piano quadriennale di Sogin –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati in relazione ai fatti esposti in premessa e come si intenda procedere per mettere la società in grado di svolgere i compiti che le sono affidati dalla legge. (5-06976)

Apposizione di firme a risoluzioni.

  La risoluzione in Commissione Cani e altri n. 7-00557, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vico.

  La risoluzione in Commissione Carrescia e altri n. 7-00780, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Capone.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Carrescia e altri n. 5-06449, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Capone.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Businarolo e altri n. 5-06955, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Zolezzi.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Franco Bordo n. 5-06929 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 519 dell'11 novembre 2015. Alla pagina 30856, seconda colonna, alla riga quarantatreesima, deve leggersi: «in data 29 ottobre 2015, a causa di» e non come stampato.