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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 11 novembre 2015

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta orale:


   LIUZZI, SPESSOTTO, PETRAROLI e DE LORENZIS. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. – Per sapere – premesso che:
   il 3 marzo 2015 il Consiglio dei ministri ha approvato la «Strategia per la crescita digitale 2014-2020», con l'obiettivo di colmare il cosiddetto digital divide nel nostro Paese, con particolare riferimento al settore infrastrutturale e ai servizi. Il documento si propone i seguenti obiettivi strategici:
    a) determinare il progressivo switch-off dell'analogico a favore del digitale per la fruizione dei servizi pubblici, progettando e coordinando la digitalizzazione della pubblica amministrazione;
    b) al fine di garantire la crescita economica e sociale, prevedere uno sviluppo di competenze digitali nelle imprese e di diffusione della cultura digitale fra i cittadini, potenziando rispettivamente la domanda e l'offerta di servizi digitali;
    c) coordinare in maniera unitaria la programmazione e gli investimenti pubblici in innovazione digitale e information, communication and technology;
   nel documento è stata prevista una tempistica ben precisa su ogni obiettivo (come, ad esempio, sulla predisposizione dell'accesso wifi graduale in tutti gli uffici pubblici incluse le scuole, il progetto «Digital Security per la PA» e la razionalizzazione del patrimonio ICT, il consolidamento data center e cloud computing; l'avviamento del progetto SPID (Servizio pubblico d'identità digitale), la gestione digitale dell'anagrafe della popolazione; il pagamento elettronico; l'aggiornamento dei dati su IPA e adl (fatturazione elettronica); la realizzazione dell'open data; la digitalizzazione delle procedure burocratiche sanitarie e altri interventi in materia di scuola digitale e giustizia digitale; smart city e community). Nel documento è stato previsto un monitoraggio (condotto prevalentemente da AGID) sulla misurazione dei progressi dell'Italia verso il raggiungimento degli obiettivi di crescita digitale;
   secondo i dati dalla Commissione europea nel cosiddetto «digital scoreboard» l'Italia si attesta al 25o posto su 28 Paesi europei per livello di penetrazione del digitale (la classifica europea considera diversi fattori rilevanti tra i quali i dati di estensione della banda larga e ultralarga rispetto alla quale il nostro Paese è agli ultimi posti in Europa) –:
   quale sia lo stato di attuazione della «Strategia per la crescita digitale 2014-2020». (3-01843)


   GALGANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la crisi del quotidiano Giornale dell'Umbria sta assumendo contorni gravi e allarmanti;
   da giorni, infatti i giornalisti della testata sono impegnati in un difficile confronto con la nuova proprietà del giornale, al fine di salvaguardare il ruolo insostituibile del quotidiano nel più vasto panorama editoriale regionale, l'autonomia dei giornalisti e le loro prerogative professionali;
   il 5 novembre 2015 si è tenuto un incontro tra il comitato di redazione dei giornalisti e la nuova proprietà, cui hanno partecipato anche Fnsi, Ordine dei giornalisti dell'Umbria, Asu e Slc Cgil, durante il quale sono state confermate tutte le preoccupazioni legate alla critica situazione economico-finanziaria dell'azienda e alla mancanza di un piano industriale ed editoriale in grado di delineare una anche minima prospettiva di continuità delle attività;
   a fronte dell'esito di tale incontro, il comitato di redazione e i giornalisti della testata hanno proclamato una giornata di sciopero per venerdì 6 novembre 2015;
   domenica 8 novembre 2015 la testata non è stata distribuita nelle edicole della regione, che ne, sono rimaste sprovviste, e i giornalisti del Giornale dell'Umbria, attraverso il comitato di redazione, hanno fatto sapere che tale mancata uscita in edicola del quotidiano «non è stata dovuta ad ulteriori azioni di sciopero da parte del personale giornalistico e poligrafico ma è derivata da espressa volontà dell'editore»;
   quest'ultimo, infatti, con una e-mail notturna, inviata il 7 novembre 2015, ha improvvisamente deciso di non autorizzare la pubblicazione e la stampa dell'edizione cartacea del quotidiano, già confezionata dal personale giornalistico, fino a nuovo ordine, in quanto non rispecchiava la nuova foliazione prevista nel Pino editoriale; su questo punto il comitato di redazione ricorda che «il direttore responsabile non ha mai presentato tale Piano al suo insediamento e la nuova foliazione non è mai stata comunicata ufficialmente né al Cdr né al personale giornalistico e poligrafico»;
   a seguito di tale situazione, il comitato di redazione ha inviato una lettera ai parlamentari dell'Umbria nella quale si precisa che «l'editore senza fornire alcuna motivazione di ciò si è reso così protagonista di un atto che giudichiamo arbitrario e gravissimo per il lavoro e la dignità di ciascun lavoratore della testata, nonché, a nostro avviso, compiuto in violazione del Comma 2 dell'articolo 21 della Costituzione italiana e dell'articolo 28 della Legge 300»;
   il timore è che la crisi del «Giornale dell'Umbria» sia entrata nella fase più drammatica;
   grande, infatti, è ormai la preoccupazione sia per le vicende legate alla testata e al passaggio di proprietà sia per una grave crisi che da tempo investe la carta stampata e il sistema radiotelevisivo umbro nel suo complesso, crisi che mette a rischio posti di lavoro e il sistema regionale della comunicazione, a danno peraltro del pluralismo dell'informazione e del diritto dei cittadini ad essere informati –:
   se il Presidente del Consiglio sia a conoscenza dei fatti su esposti e quali iniziative ritenga opportuno intraprendere al fine di sanare una situazione che sta causando gravi conseguenze a danno dell'onorabilità professionale della categoria e del mantenimento dei livelli occupazionali. (3-01845)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BUTTIGLIONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   con direttiva datata 19 giugno 2015, pubblicata – dopo il vaglio della Corte dei Conti – sul sito del Dipartimento dell'editoria il 15 settembre 2015 e che entrerà in vigore dal 1o gennaio 2016, si è stabilito che, «anche in considerazione della riduzione delle risorse disponibili» che, «a partire dall'anno 2016», le agenzie di stampa nazionali per poter stipulare contratti con la Presidenza del Consiglio dei ministri per la fornitura di servizi informativi e giornalistici dovranno avere i seguenti requisiti minimi:
    50 giornalisti a tempo indeterminato inquadrati ai sensi dell'articolo 1 del contratto nazionale di lavoro giornalistico (CNLG), mentre prima ne bastavano dieci;
    tre sedi sul territorio nazionale;
    15 ore di trasmissione al giorno per sette giorni, prima bastavano dodici per cinque giorni;
    500 lanci giornalieri;
    abbonamenti a titolo oneroso a 30 testate, con la copertura di dieci regioni, prima ne bastavano quindici con copertura di cinque regioni;
   tali requisiti potranno essere posseduti, per l'anno 2016, dalle agenzie di stampa anche in associazione tra loro, ma dovranno essere posseduti in proprio a partire dal 2017;
   inoltre, secondo la direttiva «tali requisiti sono necessari ma non sufficienti ai fini della stipula dei contratti della Presidenza del Consiglio». Pertanto, per le agenzie di stampa minori rimanere sul mercato è secondo l'interrogante, quasi un azzardo d'impresa, visto che il corrispettivo di questi contratti con la Presidenza del Consiglio non potrà superare il 45 per cento del fatturato delle agenzie dell'anno precedente;
   l'agenzia di stampa Il Velino/AGVNews ha dichiarato che non ritiene possibile raggiungere questi requisiti, annunciando la cassa integrazione guadagni straordinaria per tutti i 26 giornalisti già dal mese di novembre 2015, prospettando la seria possibilità del ricorso a partire da gennaio 2016 ai licenziamenti collettivi –:
   in quali forme il Governo intenda tutelare i valori costituzionalmente garantiti della libertà di stampa e del pluralismo informativo, con particolare riferimento alla sopravvivenza dell’«informazione primaria» in Italia;
   per quali motivi il Dipartimento dell'editoria abbia adottato questa stretta sui fondi fin qui investiti per l'acquisto di servizi informativi e giornalistici dalle agenzie di stampa più piccole;
   se non intenda riconsiderare la «direttiva Lotti», posto che fissa parametri al momento in possesso solo di quattro grandi agenzie di stampa e che appare errata una impostazione basata più sulla quantità di informazione che sulla qualità di questa;
   come il Governo intenda fronteggiare eventuali crisi nelle altre agenzie di stampa che non dovessero raggiungere quei parametri, che si risolverebbero in danno dei cittadini, ove si consideri che decine di giornalisti finirebbero in cassa integrazione;
   cosa intenda fare il Governo per agevolare il ricorso, almeno per il 2016, ad associazioni temporanee d'Impresa tra le piccole agenzie di stampa e se non ritenga opportuno consentire, in quest'ambito, un più ampio lasso di tempo, per consentire alle piccole agenzie giornalistiche di associarsi tra di loro e trovare forme idonee per l'esercizio dell'attività di impresa.
(5-06956)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LIUZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'agenzia per l'Italia digitale (AgID) ha il compito di garantire la realizzazione degli obiettivi dell'Agenda digitale italiana (in coerenza con l'Agenda digitale europea) e contribuire alla diffusione dell'utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, favorendo l'innovazione e la crescita economica;
   fra le principali funzioni di AgID ha il compito di: coordinare le attività dell'amministrazione statale, regionale e locale, progettando e monitorando l'evoluzione del sistema informativo della pubblica amministrazione; adottare infrastrutture e standard che riducano i costi sostenuti dalle singole amministrazioni e migliorino i servizi erogati a cittadini e imprese; definire linee guida, regolamenti e standard; svolgere attività di progettazione e coordinamento di iniziative strategiche per un'efficace erogazione disservizi online della pubblica amministrazione a cittadini e imprese; assicurare l'uniformità tecnica dei sistemi informativi pubblici;
   l'articolo 33-septies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (cosiddetto decreto crescita 2.0) sanciva che «L'Agenzia per l'Italia digitale, con l'obiettivo di razionalizzare le risorse e favorire il consolidamento delle infrastrutture digitali delle pubbliche amministrazioni, avvalendosi dei principali soggetti pubblici titolari di banche dati, effettua il censimento dei Centri per l'elaborazione delle informazioni (CED) della pubblica amministrazione, come definiti al comma 2, ed elabora le linee guida, basate sulle principali metriche di efficienza internazionalmente riconosciute, finalizzate alla definizione di un piano triennale di razionalizzazione dei CED delle amministrazioni pubbliche che dovrà portare alla diffusione di standard comuni di interoperabilità, a crescenti livelli di efficienza, di sicurezza e di rapidità nell'erogazione dei servizi ai cittadini e alle imprese. [...] 4. Entro il 30 settembre 2013 l'Agenzia per l'Italia digitale trasmette al Presidente del Consiglio dei ministri, dopo adeguata consultazione pubblica, i risultati del censimento effettuato e le linee guida per la razionalizzazione dell'infrastruttura digitale della pubblica amministrazione. Entro i successivi novanta giorni il Governo, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, adotta il piano triennale di razionalizzazione dei CED delle pubbliche amministrazioni di cui al comma 1, aggiornato annualmente»;
   l'Agid, come da decreto succitato, redigeva un piano triennale (2014-2015) di razionalizzazione dei CED delle amministrazioni pubbliche inviato poi all'allora cabina di regia;
   nel documento di economia e finanza 2014, oltre a riportare l'invio delle linee guida della razionalizzazione, il Governo affermava che il piano di implementazione era in fase di approvazione. Da quanto risulta all'interrogante, il Governo non avrebbe ancora adottato il piano triennale di razionalizzazione dei CED delle pubbliche amministrazioni secondo i tempi previsti dall'articolo 33-septies comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 –:
   quali siano i tempi previsti per l'attuazione del «piano triennale di razionalizzazione dei CED delle amministrazioni pubbliche» delineato da Agid e per quale ragione non sia stato ancora adottato da parte del Governo. (4-11056)


   CATALANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il meccanismo dell'8 per 1000 prevede attualmente la distribuzione, ai soggetti che partecipano alla ripartizione, non solo delle quote che i contribuenti hanno scelto di destinare a uno specifico soggetto, ma anche di tutte le quote per le quali i contribuenti non abbiano operato alcuna scelta, con riparto di tali ultime quote secondo la proporzione data dalle scelte espresse;
   con interrogazione n. 4/07090 del 29 novembre 2014, oggetto di ripetuti solleciti in data 12 febbraio 2015, 18 marzo 2015, 7 maggio 2015 e 30 settembre 2015, si è evidenziata al Governo la sproporzione trae le scelte espresse e l'entità delle risorse effettivamente assegnate alle confessioni religiose, l'ipertrofia del flusso finanziario determinato dall'8 per mille, quintuplicatosi dal 1990 a oggi, nonché l'assai parziale corrispondenza tra il fine previsto, ossia quello di garantire il sostentamento del clero a fronte dell'eliminazione del previgente sistema della congrua, come previsto dalla relazione sui principi del 6 luglio 1985, predisposta dalla Commissione paritetica italo-vaticana ai sensi dell'articolo 7, comma 6, del nuovo concordato e dai lavori preparatori della legge n. 222 del 1985, e l'attuale utilizzo dei fondi, oggi per lo più destinate alla copertura di spese diverse da quelle per il sostentamento del clero;
   le condizioni di fatto esistenti al momento della stipula del nuovo concordato sono radicalmente mutate e l'Italia versa oggi in una grave crisi finanziaria, economica ed occupazionale, tale da minacciare la coesione sociale del Paese e la stessa stabilità delle istituzioni repubblicane;
   già nel novembre 2014 (v. La Repubblica e Il Fatto Quotidiano del 28 novembre 2014) la Corte dei Conti ha espresso posizioni profondamente critiche sul meccanismo dell'8 per mille, ritenendone opportuna una rinegoziazione;
   la Corte ha osservato, tra l'altro, che «i beneficiari ricevono più dalla quota non espressa che da quella optata. Su ciò non vi è un'adeguata informazione, benché coloro che non scelgono siano la maggioranza e si possa ragionevolmente essere indotti a ritenere che solo con un'opzione esplicita i fondi vengano assegnati», che i finanziamenti «risultano ingenti, tali da non avere riscontro in altre realtà europee» e che lo Stato «mostra disinteresse per la quota di propria competenza, cosa che ha determinato la drastica riduzione dei contribuenti a suo favore, dando l'impressione che l'istituto sia finalizzato solo a fare da apparente contrappeso al sistema di finanziamento diretto delle confessioni»;
   come emerso sulla stampa in data 2 novembre 2015, la Corte dei Conti si è nuovamente pronunciata in senso critico sul meccanismo dell'8 per mille, evidenziando di nuovo, a distanza di un anno, il perdurante «scarso interesse dello Stato per la quota di propria competenza, essendo l'unico competitore che non sensibilizza l'opinione pubblica sulle proprie attività e che non promuove i propri progetti», la discriminazione nei confronti delle confessioni prive di intesa con lo Stato, l'assenza di un monitoraggio e di un'effettiva trasparenza;
   nello stesso preambolo dell'accordo del 1984, si dichiara solennemente che la Chiesa «non pone la sua speranza nei privilegi offerti dall'autorità civile. Anzi, essa rinunzierà all'esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso può far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni» –:
   se quanto premesso trovi conferma;
   quale sia l'orientamento del Governo circa la rispondenza degli impegni a suo tempo assunti alle mutate condizioni economiche e finanziarie della Repubblica;
   se il Governo intenda avviare negoziati, anche tramite la commissione paritetica di cui all'articolo 49 della legge n. 222 del 1985, con la Chiesa cattolica e con le altre confessioni religiose destinatarie dell'8 per mille, al fine di pervenire a un abbassamento percentuale della relativa quota o all'esclusione delle quote relative a scelte non espresse dalla ripartizione;
   quali iniziative intenda il Governo adottare al fine di dare seguito alle indicazioni della Corte dei conti in materia e, in particolare, per dare pubblicità all'effettivo funzionamento dell'8 per mille e promuovere, anche sulle reti televisive, la scelta di destinarlo allo Stato. (4-11057)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   MURA. – Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   l'associazione AltraItalia di Barcellona, che nel 2012 riuscì a far istituire un processo contro i piloti dei caccia italiani che nel 1938 fecero strage di civili – almeno 5000 i morti – durante i bombardamenti su Barcellona ordinati da Benito Mussolini, ha reso noto che l'ambasciata italiana a Madrid ha concesso il patrocinio al tour che i reduci aderenti all'Associazione nazionale combattenti in Spagna (l'Ancis) hanno realizzato in Spagna in occasione del 4 novembre, festa delle Forze Armate;
   scopo del viaggio è quello di partecipare all'omaggio che le associazioni fasciste Fondazione Francisco Franco e Falange (così si chiamava il partito unico fascista del dittatore spagnolo Francisco Franco) organizzano durante la prima settimana di novembre ai caduti del corpo di volontari che Mussolini inviò a Madrid nel 1937 per schiacciare la resistenza della Repubblica che si difendeva dal colpo di stato dei fascisti spagnoli già aiutati dai nazisti tedeschi;
   secondo quanto si apprende dalle stesse «associazioni» fasciste spagnole e da un comunicato diffuso dall'Ancia, il viaggio in Spagna dei reduci del CTV (corpo truppe volontarie) prevedeva una tappa nei due principali memoriali franchisti presenti nello Stato Spagnolo: il Valle de los Caidos, alle porte di Madrid, e la Cripta di Sant'Antonio, a Saragozza (tra l'altro questa di proprietà del Governo italiano);
   i reduci italiani hanno poi visitato l'Alcazar di Toledo per rendere omaggio «agli eroici difensori e al Generale Moscardó»;
   infine, come ultimo appuntamento, si è svolta un'iniziativa al consolato italiano a Madrid, in Calle Agustin de Betancour numero 3, per «assistere alla celebrazione per la giornata delle Forze armate italiane e al 97esimo anniversario della Vittoria nella Prima Guerra Mondiale»;
   il programma dei reduci è stato ripreso da alcuni video pubblicati su youtube che documentano la celebrazione dei «caduti italiani e spagnoli» nel refettorio della Chiesa-Mausoleo di «San Antonio de los Italianos», a Saragozza. L'autore del video, che si firma «Legionario Legy», ricorda che molti dei fascisti italiani caduti durante la guerra civile spagnola sono sepolti proprio nel mausoleo fatto costruire a Saragozza da Benito Mussolini –:
   se sia a conoscenza di questa visita dei reduci in Spagna;
   se sia a conoscenza del patrocinio che l'ambasciata italiana avrebbe concesso per un'iniziativa che all'interrogante sembra avere caratteri di apologia del fascismo;
   se non ritenga grave il comportamento dell'ambasciata italiana a Madrid che sembrerebbe aver concesso, come negli anni precedenti, il patrocino per le commemorazioni annuali indette dall'A.N.C.I.S. rinnovando una tradizione di apologia del fascismo presso le più alte rappresentanze della Repubblica Italiana in Spagna;
   quali iniziative intenda adottare affinché questa situazione non abbia più a ripetersi. (4-11067)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   MARTELLA e MOGNATO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la proposta di relazione della Commissione bicamerale d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlate, attualmente all'esame della stessa, dedica un apposito capitolo alla bonifica di Porto Marghera, uno dei principali siti industriali del nostro Paese;
   nella suddetta relazione viene riportato che fino ad oggi sono stati spesi per il processo ancora incompleto di bonifica dell'area circa 781 milioni di euro e che «il mancato completamento di tali opere sta provocando il progressivo indebolimento anche dei tratti terminali delle strutture già realizzate e sta mettendo in serio dubbio la bontà complessiva degli interventi finora realizzati, che sono stati eseguiti non a regola d'arte. Ciò significa che, se non verranno reperiti nuovi fondi per completare sia i marginamenti delle macroisole, sia il sistema di depurazione delle acque di falda, rischiano di essere dispersi tutti gli oneri suora sostenuti dallo Stato, con i fondi di varia provenienza»;
   si tratta di parole forti che evidenziano criticità rilevanti e che investono una serie di responsabilità sia sui lavori di bonifica sia sul futuro della messa in sicurezza ambientale dell'area;
   emerge dalla relazione che l'inquinamento continua ad essere alimentato proprio dai tratti che non sono stati bonificati e che dunque se non si provvederà in fretta, rischia di essere compromesso tutto lavoro svolto fino ad oggi;
   mancano circa 3,5 chilometri di «marginamenti» e di rifacimento sponde, pari al 6 per cento, ma di un tratto determinante per l'intero processo di bonifica il cui mancato completamento porterebbe conseguenze davvero paradossali;
   la riqualificazione industriale, che riguarda 2.000 ettari di insediamenti produttivi, commerciali e terziari, canali navigabili e bacini, porto commerciale e infrastrutture, che fanno, di Porto Marghera, una delle più grandi zone industriali costiere d'Europa e per la quale lo Stato ha reso disponibili 153 milioni, non potrà mai partire senza il completamento della bonifica;
   si pone infatti il problema della destinazione delle somme vincolate dall'accordo di programma, sottoscritto l'8 gennaio 2015, nonché delle altre somme messe a disposizione dallo Stato, finalizzate alla reindustrializzazione del sito di Porto Marghera;
   per il completamento dei tratti citati in premessa occorrerebbero ancora circa 256 milioni di euro;
   a questo bisogna inoltre aggiungere il rischio di conseguenze sul piano giudiziario di contenziosi, poiché il mancato completamento delle opere di bonifica espone lo Stato, rispetto agli atti transattivi finora conclusi in cui lo Stato stesso si è impegnato a provvedere alla messa in sicurezza e alla bonifica della falda nelle aree in concessione o di proprietà dei privati –:
   alla luce delle considerazioni esposte nell'atto della Commissione bicamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, quali iniziative il Governo intenda intraprendere con la massima urgenza, per favorire, per quanto di competenza, il completamento del processo di bonifica nelle aree, tuttora, inquinate, al fine di non solo di non compromettere il rilevante, anche dal punto di vista finanziario per le casse pubbliche, investimento per la messa in sicurezza ambientale del sito e scongiurare i potenziali contenziosi, ma anche di evitare che tutto ciò si ripercuota negativamente sul processo di rilancio del sito legati all'accordo di programma siglato circa un anno fa. (3-01848)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   CASTIELLO e RUSSO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a Mariglianella, provincia di Napoli, nel 1995 un incendio distrusse il deposito di fitofarmaci denominato Agrimonda provocando un disastro ambientale nel mezzo di un territorio densamente popolato;
   la vicenda ha determinato un crescente allarme sociale chiamando in causa tutte le istituzioni che a vario titolo hanno responsabilità di intervento; nel 2006, la Commissione parlamentare d'inchiesta sulle ecomafie, favorì l'inserimento dell'ex deposito nel sito di interesse nazionale «Litorale Domizio Flegreo ed Agro Aversano» favorendo così nel 2012, lo stanziamento di un milione di euro da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   nel mese di febbraio del 2015 la regione Campania, dopo aver incrementato il fondo con ulteriori 600 mila euro, pubblicò il bando per l'affidamento dei lavori di bonifica;
   la data di scadenza dell'avviso pubblico fu fissata al 4 maggio 2015; l'affidamento dei lavori era stato previsto entro i 40 giorni successivi al 4 maggio;
   il crono programma degli interventi aveva previsto una durata di 4 mesi, comprese una serie di indagini e trattamenti preliminari alla rimozione dei rifiuti ed uno studio ambientale successivo alle operazioni;
   il comune di Mariglianella a più riprese ha sollecitato la regione Campania per il rispetto del cronoprogramma in ragione della convenzione sottoscritta –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere, alla luce delle risorse investite dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per verificare il motivo di un inspiegabile ritardo, anche alla luce delle risposte da dare alla popolazione che attende da 20 anni la risoluzione del problema. (5-06938)


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con la sua superficie di 114 chilometri quadrati, il lago di Bolsena è il più grande lago vulcanico d'Europa e il primo assoluto nella regione Lazio. In base all'applicazione delle direttive 92/43/CEE e 79/409/CEE – rispettivamente indicate come «direttiva habitat» e «direttiva uccelli» – recepite in Italia dal decreto del Presidente della Repubblica n. 357 dell'8 settembre 1997 e del decreto del Presidente della Repubblica n. 120 del 12 marzo 2003, il lago fa parte dell'elenco dei siti di importanza comunitaria (SIC) e della rete europea di zona di protezione speciale (ZPS) destinate alla conservazione della biodiversità della rete ecologica denominata NATURA 2000. Inoltre, esso è classificato come area sensibile e vulnerabile (direttiva 2000/60/CE, decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152) a causa del lento ricambio delle acque;
   purtroppo, da lungo tempo, lo stato di salute del lago di Bolsena desta non poche preoccupazioni;
   è noto che la depurazione degli scarichi provenienti dai comuni circumlacuali avviene per il tramite di un collettore di raccolta dei reflui fognari che, unitamente alle 20 stazioni di sollevamento dislocate lungo il tracciato e all'impianto di depurazione ubicato nei pressi del fiume Marta, a circa 3 chilometri dall'incile, sono gestiti dalla società COBALB (comunità bacino lago di Bolsena spa);
   l'attuale situazione strutturale, però, del collettore per la raccolta dei reflui e della loro depurazione, è da tempo compromessa. Ciò ha determinato il mal funzionamento dell'intero circuito di sollevamento delle elettropompe delle stazioni del collettore lungo il semi-perimetro del lago il quale ha causato e continua a causare sversamenti di sostanze nocive nel lago;
   a questo si deve aggiungere il continuo sversamento nel lago di scarichi fognari civili che ha determinato, secondo le recenti indagini della «Goletta dei Laghi» di Fare Ambiente, un aumento dei fattori inquinanti;
   infatti, secondo il rapporto presentato nei giorni scorsi, su un totale di 8 punti analizzati, ben 6 sono risultati critici, precisamente nei comuni di Montefiascone (Foce torrente presso parco giochi), Capodimonte (presso spiaggia in Via Regina Margherita, tra Via dei Pini e Via degli Eucalipti), San Lorenzo Nuovo (Foce del fosso Ponticello e Località Prati Renari), Gradoli (Foce del fosso Cannello), tutti risultati «fortemente inquinati», ovvero che superano del doppio i parametri imposti dai valori limite decisi dalle norme sulle acque interne vigenti in Italia, per presenza di «microrganismi di origine fecale»;
   infatti, i parametri indagati dal laboratorio mobile della Goletta dei Laghi sono microbiologici (enterococchi intestinali, escherichia coli, secondo le procedure indicate dal, decreto legislativo 30 maggio 2008 n. 116) per individuare la presenza di scarichi civili non depurati. Un monitoraggio il cui obiettivo è quello di individuare e denunciare le pressioni inquinanti che gravano sul lago. Si tratta di scarichi il più delle volte provenienti dal territorio circostante attraverso fossi o piccoli corsi d'acqua che sfociano direttamente nel bacino lacustre, come per la maggior parte dei punti monitorati nel lago di Bolsena;
   i gravi fattori di inquinamento a cui è sottoposto il lago di Bolsena mettono a rischio la salute pubblica, considerata l'elevata presenza turistica nelle aree prospicienti il lago specialmente durante la stagione estiva –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine di garantire lo stato di salute del lago di Bolsena, nel rispetto comunque delle competenze in materia degli altri livelli istituzionali coinvolti, con particolare riferimento all'esigenza di evitare rischi di ulteriori procedure di infrazione da parte dell'Unione europea.
(5-06939)


   ZARATTI, MELILLA, SCOTTO e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   le principali associazioni ambientaliste italiane (CAI, Italia Nostra, WWF, Legambiente, Centro Turistico Studentesco, Federazione Nazionale Pro Natura, Lega Italiana Protezione Uccelli, Touring Club, Mountain in Wilderness) in una recente lettera indirizzata al Ministro interrogato, hanno denunciato lo stato di precarietà della governance in cui versano ancora oggi numerosi parchi nazionali, precarietà che prefigura una limitata capacità di intervenire concretamente per la conservazione del patrimonio di biodiversità che queste aree sono chiamate a tutelare;
   i parchi nazionali del Cilento del Vesuvio e della Sila, da troppo tempo (quasi due anni) commissariati e privi di una guida autorevole e legittimata dal sostegno di consigli direttivi di cui sono sprovvisti, stanno compromettendo la loro funzione primaria di promozione e conservazione della biodiversità, ma anche il ruolo di presidio di legalità, per territori troppo spesso al centro di crimini ed ecoreati contro la natura e l'ambiente;
   altri Parchi (Val Grande, Dolomiti Bellunesi e Gran Sasso) sono senza un presidente, ma retti da vicepresidenti espressione delle comunità locali. Oggi, in quei territori è assente, nella sostanza, il ruolo «nazionale», garantito proprio dal presidente di nomina ministeriale. Tra questi, il parco del Gran Sasso in particolare ha bisogno urgentemente di un nuovo presidente che sia autorevole e capace, oltreché presente sul territorio, a giudizio degli interroganti in chiara discontinuità con il recente passato (dopo oltre 8 anni in cui è mancato il consiglio direttivo e il direttore);
   i parchi dell'Alta Murgia e dell'Appennino Lucano fin dalla loro istituzione sono sotto la direzione di «facenti funzione» privi di titoli, in aperto contrasto con la legge quadro sulle aree protette, cosa comune anche ai parchi del Gargano, Circeo e Pollino;
   non meno grave è la perdurante mancata nomina dei consigli direttivi di alcuni di questi parchi, oltre a quelli commissariati già citati (Cilento, Vesuvio e Sila), come Pollino e Alta Murgia;
   il deficit di governance mina la piena autorevolezza e funzionalità di questi parchi nazionali, la cui efficacia d'azione deve basarsi su propri strumenti di pianificazione e di programmazione e sulla possibilità di lavorare nel pieno dei poteri a regime ordinario e con adeguate competenze per la gestione –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro per superare al più presto il deficit attuale di governance dei parchi nazionali, garantendo la piena funzionalità degli organi di gestione ordinari e gli obiettivi comuni per lo svolgimento armonico e coordinato su tutto il territorio nazionale delle azioni a tutela della biodiversità, secondo opportuni standard di valutazione e di risultato da stabilire con apposite direttive ministeriali. (5-06940)


   MAZZOLI e BORGHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel 2003 un'operazione dei carabinieri per la tutela ambientale ha messo in luce un traffico illecito di rifiuti, prodotti in impianti delle regioni Lombardia, Veneto, Toscana e Campania e smaltiti in tre siti di ripristino ambientale del viterbese: Vetralla, Castel Sant'Elia e Capranica;
   in un'area complessiva di circa 4 ettari per una profondità di io metri sono stati collocati 700 mila metri cubi di rifiuti, corrispondenti ad un giro di affari di circa 2 milioni e 500 mila euro;
   il 10 febbraio 2003 l'Arpa comunicava al Nas di Viterbo che 2 campioni su 9 dei rifiuti appena scaricati in impianto e sull'intera area sottoposta a recupero superavano, rispetto al parametro COD (domanda chimica di ossigeno), i limiti previsti dalla tabella di cui all'allegato III del decreto ministeriale 5 febbraio 1998; i fanghi di cartiera, oggetto dell'indagine, raggiungevano il valore di 911 rispetto ad un limite di 90 e si erano innescati fenomeni di fermentazione e di conseguente inquinamento delle falde acquifere;
   nei tre siti sono stati riscontrati valori di piombo, zinco, alluminio, ferro, cadmio e rame di gran lunga superiori rispetto a quelli imposti dal decreto legislativo n. 152 del 1999 sulla tutela delle acque dall'inquinamento e dal decreto ministeriale n. 471 del 1999 relativamente alle acque sotterranee;
   i rifiuti partivano dal consorzio «Milano pulita» e giungevano a Viterbo dopo essere stati sottoposti ad un trattamento di soli 30 minuti nei centri di stoccaggio, quando invece occorrono ben 90 giorni per la trasformazione del rifiuto in «ammendante» (materia prima lecitamente conferita nei centri di ripristino ambientale);
   il 25 luglio 2003 la provincia di Viterbo, informata della situazione con forte ritardo, effettuava un sopralluogo presso l'impianto, ma a quel punto il cumulo di rifiuti oggetto dei controlli non era più rintracciabile né era più possibile ricostruire i flussi dei materiali pervenuti e la loro gestione da parte delle ditte coinvolte;
   i controlli dell'Arpa del dicembre 2004 e del gennaio 2005 hanno accertato che il materiale scaricato nelle cave non rispettava la proporzione di miscelazione – 70 per cento terra e 30 per cento rifiuti – e non presentava le caratteristiche chimico-fisiche per essere utilizzato come materiale per il recupero ambientale;
   nel maggio 2005 i tre siti sopra citati vengono posti sotto sequestro dall'autorità giudiziaria; gli interventi di messa in sicurezza iniziati successivamente non sono stati completati e le operazioni di bonifica non hanno mai avuto inizio;
   il processo – denominato «Giro d'Italia – ultima tappa Viterbo» – iniziato nel 2005 con 15 imputati accusati di falso ideologico e attività organizzata per traffico illecito di rifiuti, si è concluso con la prescrizione dei reati nel 2012 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda assumere, anche promuovendo una verifica da parte del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, al fine di accertare lo stato dei siti di ripristino ambientale del viterbese Vetralla, Castel Sant'Elia e Capranica ed escludere rischi per la salute dei cittadini, per l'ecosistema e per la filiera agroalimentare. (5-06941)


   MATARRESE, D'AGOSTINO, DAMBRUOSO, VARGIU e PIEPOLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto disposto dall'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014 cosiddetto «Sblocca Italia», «... il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto, individua a livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l'indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, e gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, determinato con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale...»;
   lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dallo «Sblocca Italia» è stato sottoposto al parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e relaziona anche sul fabbisogno residuo da coprire mediante la realizzazione di impianti di incenerimento con recupero di rifiuti urbani e assimilabili;
   la ratio del disposto del decreto-legge «Sblocca Italia», e quindi l'intento del Governo, è certamente quella di adeguare il sistema italiano alle normative europee, istituendo un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati che limiti l'utilizzo delle discariche, che tuteli l'ambiente e che eviti ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore;
   di contro, sembrerebbe che diverse amministrazioni regionali italiane abbiano evidenziato una serie di criticità relative allo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in merito alla disponibilità di impianti attivi o autorizzati come impianti di incenerimento. I rilievi mossi da alcuni uffici regionali sarebbero non solo di tipo tecnico-normativo ma anche relativi all'acquisizione di dati non aggiornati o non corretti da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   in merito e secondo quanto si evince dalla stampa, le controdeduzioni relative al predetto schema di decreto effettuate dalla regione Puglia evidenziano che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si sarebbe «... basato su dati non corretti...» e che «la Puglia non avrebbe bisogno di nuovi – inceneritori, anche se sarà costretta ad accettare l'attivazione, la riattivazione o il raddoppio dei tre già esistenti. Ha invece un deficit in termini di impianti di compostaggio, che al momento non garantiscono il trattamento della frazione organica prodotta sul territorio». La regione Puglia, dunque, riterrebbe inutile l'individuazione di nuovi inceneritori anche grazie alla consistente diminuzione del fabbisogno residuo di incenerimento che deriva dall'attuazione del piano;
   secondo le predette controdeduzioni, infatti, gli uffici della regione Puglia avrebbero rilevato che «... per la Puglia è stato ipotizzato un fabbisogno di incenerimento pari a 250 mila tonnellate l'anno, considerando come unico impianto esistente quello della Cisa di Massafra. Ma nel Dpcm non si fa alcun cenno all'inceneritore Eta di Manfredonia, già realizzato, che ha una capacità di 100.000 tonnellate annue ed è in fase di collaudo propedeutico all'entrata in esercizio. Né si considera l'impianto (pubblico) dell'Amiu di Taranto, oggi chiuso, ma a fronte di un finanziamento regionale già disponibile per i lavori di ammodernamento e messa a norma...» –:
   se, sulla scorta dei rilievi fatti dalle regione Puglia, vi siano, per quanto di competenza, nuove determinazioni in merito a ipotesi di costruzione di nuovi inceneritori su quel territorio e se non ritenga opportuno valutare l'ipotesi di riesaminare lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri inoltrato alle regioni e province autonome considerando nuove rilevazioni di dati. (5-06942)


   TERZONI, ZOLEZZI, VIGNAROLI, BUSTO, MANNINO, DAGA, DE ROSA e MICILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro interrogato in occasione dell'intervento svolto il 15 ottobre 2015 al question time al Senato sul tema dei rifiuti e dei cambiamenti climatici, a proposito del Sistri ha informato che entro il mese di ottobre la CONSIP spa, alla quale è stata affidata la procedura di affidamento in concessione del nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti, procederà all'invio delle lettere di invito alle aziende qualificate che hanno risposto al bando di gara indetto a giugno 2015;
   il Ministro ha anche ipotizzato l'estensione del sistema a tutte le tipologie di rifiuti al fine di garantire la «tracciabilità» dell'intero ciclo di vita del rifiuto stesso;
   le associazioni di categoria temono che la partenza del nuovo sistema possa subire dei ritardi a causa del ricorso al TAR presentato dal vecchio gestore il 4 agosto con il quale Selex spa contesta la legittimità di requisire il sistema che ha essa stessa realizzato senza il previo esborso del valore dell'investimento sostenuto in quasi sei anni di attività e non recuperato;
   secondo quanto si legge nel ricorso, infatti, «per la realizzazione e gestione del Sistri, il Ministero, a fronte di un corrispettivo pari (secondo le assunzioni a base della concessione) a circa 336 milioni di euro, che avrebbe dovuto pagare in cinque anni a partire dalla sottoscrizione del contratto (2009-2014), ha finora corrisposto a Se.Ma in tutto 46,1 milioni di euro (dei quali 21,9 milioni solo a fine dicembre 2014) e ciò, pur avendo Se.Ma sempre dato piena e regolare esecuzione alle propri obbligazioni contrattuali» –:
   se il Ministro intenda confermare che il nuovo sistema comporterà l'allargamento del sistema a tutti i tipi di rifiuti, che sarà avviato dal 1o gennaio 2016, e quindi se – come previsto dall'ordine del giorno Mirko Busto n. 9/01682-A/077, accolto come raccomandazione – verranno restituiti gli oneri versati dalle imprese negli anni passati e in caso di ulteriore rinvio, verranno sospesi i pagamenti e le sanzioni per il 2016. (5-06943)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO, COZZOLINO, ALBERTI, FRACCARO, TOFALO e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 17 febbraio 2014, in occasione del convegno dal titolo «Il nuovo collettore per il lago di Garda e il futuro del suo territorio», è stato presentato all'attenzione mediatica il progetto preliminare di un nuovo collettore fognario del lago di Garda;
   il progetto, per quanto concerne in particolare la sponda veronese, è stato approvato da azienda Gardesana Servizi spa, con deliberazione del consiglio di amministrazione n. 42/9 del 7 ottobre 2014;
   secondo i relatori del progetto la realizzazione dell'opera comporterebbe un costo di almeno euro 220.000.000 (duecentoventi milioni) per le sponde veronese e bresciana, con esclusione di tutti gli interventi relativi alle reti fognarie comunali, che rimangono esclusi dal progetto;
   allo stato attuale non sussistono garanzie di contenimento in termini di spesa e di tempi previsti per la realizzazione del progetto, e soprattutto non esiste la disponibilità dei fondi suddetti, né in sede regionale, né in sede nazionale o comunitaria;
   i soggetti proponenti, a partire dal settembre 2014, a giudizio dell'interrogante hanno provocato uno stato di allarmismo ingiustificato, riguardante possibili effetti sismici sulle condotte sublacuali, nei confronti dell'opinione pubblica e degli organi competenti;
   tale situazione è stata invece determinata soprattutto dalla negligenza e da un malfunzionamento, che hanno arrecato notevoli danni al sistema lacustre;
   in data 29 gennaio 2015 il comitato istituzionale del consiglio di bacino ATO veronese ha deliberato «di approvare il progetto preliminare denominato “interventi di riqualificazione del sistema di raccolta dei reflui nel bacino del lago di Garda. Collettore fognario del Lago di Garda sponda veronese”», seppur con diverse prescrizioni;
   con lettera del 24 aprile 2015 la comunità del Garda ha invitato i comuni gardesani ad aderire ad una associazione temporanea di scopo relativa al progetto di cui sopra – proponendosi quale «coordinatore generale e referente amministrativo e finanziario» di detto progetto;
   in data 7 maggio 2015 i gestori AGS spa, Garda Uno spa e Sisam spa hanno sottoscritto un protocollo d'intesa in vista della costituzione dell'ATO unico interregionale del Garda, comprendente anche le funzioni di collettamento e depurazione delle reti fognarie del lago di Garda, con l'obiettivo di costituire una struttura comune per la presentazione ufficiale, l'inoltro, la cura dei vari adempimenti amministrativi e di tutte le attività connesse al fine di poter rendere l'intero bacino interessato un ambito territoriale ottimale gestito in modo coordinato dai soggetti sottoscrittori;
   sono stati eseguiti alcuni accertamenti relativi al verbale della conferenza di servizi istruttoria del 27 novembre 2014 a Peschiera del Garda (VR) e al verbale del comitato istituzionale del consiglio di bacino ATO veronese del 29 gennaio 2015, in cui si evidenzia, tra l'altro, che:
    a) l'intervento non risulterebbe inserito nel piano degli interventi 2014-2017 di AGS spa che attualmente non prevede di sostenere un investimento di tale portata senza contributi a fondo perduto;
    b) il progetto preliminare in questione non presenterebbe tutti i requisiti di cui agli articoli 17-23 del decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010, ma può essere con considerato un valido strumento di programmazione al fine del reperimento delle risorse economiche necessarie per sostenere l'investimento;
    c) al fine di procedere con la realizzazione delle opere di progetto saranno necessari ulteriori approfondimenti ed integrazioni;
    d) il consiglio di bacino veronese non può approvare il progetto secondo quanto previsto dalla normativa in materia di lavori pubblici, poiché l'approvazione avviene solamente per le opere inserite dai gestori nel piano degli interventi, ovvero per quelle opere che vedranno la propria realizzazione nel successivo quadriennio;
    e) anche a margine della conferenza di servizi, non sono emerse informazioni sufficienti, ad avviso dell'interrogante, ad evidenziare compiutamente il reale impatto benefico che le opere di progetto portano sull'ambiente del lago di Garda, mancando approfondimenti di tipo quantitativo sui carichi inquinanti residui rilasciati a lago prima e dopo la realizza ione delle opere;
    f) si ritiene opportuno che stante l'importanza dell'intervento, le decisioni in merito alle alternative tecniche siano supportate da valutazioni di tipo quantitativo e che la società AGS spa effettui ulteriori approfondimenti nelle seguenti aree: 1) ambientale: in modo da consentire la valutazione di tipo quantitativo dei reali benefici in termini ambientali, quali la riduzione dei carichi inquinanti residui rilasciati a lago, sia in tempo secco, che in tempo di pioggia; 2) economico-finanziaria in modo da consentire la valutazione, mediante l'elaborazione di uno o più piani economico-finanziari, delle ricadute tariffarie e gestionali, così da poter esplorare, come conseguenza, la reale fattibilità pratica con gli attuali strumenti gestionali a disposizione; 3) sociale: in modo da consentire la valutazione della sostenibilità della tariffa da parte degli utenti del servizio idrico integrato;
   l'istruttoria tecnica ATO allegata al verbale del 29 gennaio 2015, riporta tra l'altro quanto segue:
    1) le due relazioni principali «relazione illustrativa» e «illustrazione tecnica generale» appaiono di contenuto pressoché identico;
    2) lo stato di fatto non appare opportunamente dettagliato in quanto:
     a) non sono contenute planimetrie di dettaglio a scala adeguata, soprattutto per la rappresentazione delle opere puntuali (manufatti di sollevamento e di fioro);
     b) la centrale di Brancolino, punto cruciale di tutto il sistema, non risulta adeguatamente descritta, così come tutti i sollevamenti esistenti;
     c) non sussiste una descrizione generale dello stato di fatto, con lunghezza, materiali, diametri, età di posa, e altro delle condotte esistenti. L'analisi delle portate attualmente veicolate, anche in rapporto ai carichi generati dall'agglomerato di Peschiera del Garda (che non viene analizzato);
    3) nello stato di progetto la relazione non descrive nel dettaglio le varie tratte di nuova realizzazione, con una indicazione chiara delle lunghezze dei vari tratti e delle portate che in esse veicoleranno;
    4) nello stato di progetto non viene dettagliato il numero e il posizionamento degli sfioratori sui rami secondari che si immettono nel collettore e viene fatta solo una stima di n. 20 sfioratori per l'Alto Lago e n. 10 sfioratori per il Basso Lago. La documentazione di progetto non riporta le dimensioni dei vari manufatti e le portate trattate in ogni singolo sfioratore. Mancano planimetrie in scala adeguata che rappresentino il posizionamento di ogni singolo sfioratore. Il costo viene quantificato con una stima di euro 44.000 ciascuno;
    5) nello stato di progetto le n. 15 vasche di prima pioggia previste non risultano dimensionate. Non vengono indicate le dimensioni e le portate trattate e non vengono dettagliate le opere di scarico. Non sono inoltre rappresentati i posizionamenti delle singole vasche in planimetrie a scala adeguata. Non risulta altresì chiara la competenza per la realizzazione di tali opere, che appaiono legate a problematiche di acque meteoriche più che di acque reflue. Gli sfioratori di progetto posti sui rami secondari risultano dotati di grigliatura, quindi non si giustifica la presenza di un ulteriore trattamento delle acque sfiorate. Il costo viene quantificato con una stima di euro 275.000, ciascuna;
    6) non sussiste l'analisi delle aree impegnate: non è chiaro se le aree interessate dalle  opere, soprattutto per quanto riguarda le opere puntuali, siano tutte pubbliche e se il progetto sia compatibile con i vari strumenti urbanistici esistenti;
    7) non sussiste una chiara individuazione di eventuali vincoli o fasce di rispetto, e l'analisi delle autorizzazioni necessarie per la realizzabilità delle opere;
    8) non è contenuto l'elaborato con le prime indicazioni sui piani di sicurezza;
    9) nello stato di progetto del Basso Lago l'individuazione dello scenario, quale migliore scelta progettuale, non appare supportata da valutazioni tecniche, economiche e gestionali sufficientemente dettagliate;
    10) si è rilevato un errore nella stima del costo dei manufatti dello scenario 3 per cui occorre procedere ad una stima dei costi;
    11) il documento dell'assessore ambiente energia e sviluppo della regione Lombardia del 30 marzo 2015 rileva «un irrinunciabile fabbisogno di interventi sulle reti, come ad esempio opere di ristrutturazione dei tratti ammalorati, l'eliminazione o lo spostamento di sfioratori, l'eliminazione di acque parassite e altro» e che «senza i suddetti interventi preliminari, la presenza di un nuovo collettamento della sponda lombarda non sarebbe risolutiva, perché non sarebbero superati gli esistenti problemi di impatto sulle acque con particolare riferimento all'intensità degli sversamenti di nutrienti ed inquinanti durante gli eventi piovosi» (risposta n. T1.2015.0016374 in risposta all'interrogazione ITR 2331 del consiglieri regionali G. Corbetta e G. Maccabiani);
   a seguito di un esame dettagliato del «progetto preliminare» da parte di alcuni ingegneri idraulici, esperti in depurazione, sono state rilevate diverse criticità:
    a) le 4 varianti progettuali prese in esame riguardano solo una parte ridotta del progetto, circoscritta alla zona Sud Veronese, mentre non sono state analizzate varianti riguardanti il progetto nella sua complessità;
    b) il progetto non tiene in adeguata considerazione le incerte sorti giudiziarie del depuratore di Visano (BS) – indicato come fondamentale nel progetto – soprattutto a seguito dei recenti sviluppi del contenzioso tra la provincia di Brescia e il gruppo di imprese VSTR (vedasi da ultimo la sentenza della corte d'appello di Brescia che ha riassegnato il depuratore a VSTR);
    c) le 4 varianti progettuali non sono state comunque sviluppate compiutamente nella considerazione dei costi economici diretti, indiretti e ambientali, ad esempio del disservizio al traffico veicolare sulla strada Gardesana;
    d) non è stata valutata l'interferenza dell'opera con tutti i sotto-servizi ubicati sotto la Gardesana;
    e) non è stata valutata l'incidenza dello smaltimento delle terre di scavo, volume dell'ordine di 50.000 mc che potrebbe presentare possibili contaminazioni da sversamento oli e carburanti derivanti dal traffico veicolare;
    f) non è stata valutata la criticità operativa su lavori in zona soggetta a frane nel tratto da Malcesine fino alla Rocca di Garda;
    g) non è stata affrontata la valutazione di impatto ambientale in un'opera che insiste in prossimità di diverse zone di interesse comunitario (SIC);
    h) non sono stati considerati i rischi, per la viabilità e per l'ambiente, di una rottura di un tubo in pressione DN 500 sulla Gardesana sversante reflui fognari;
    i) risultano mancanti: una corretta valutazione dei costi energetici derivanti dalla gestione dell'opera; un piano manutentivo del nuovo progetto con i relativi costi gestionali; una valutazione dei costi di dismissione dell'opera quando arriverà a fine vita; la validazione del progetto preliminare così come previsto dall'articolo 55 del decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010, che deve essere eseguita obbligatoriamente da un soggetto in possesso dell'ISO 9001:2008; una mappatura, anche preliminare, atta a individuare le portate delle varie tipologie di reflui (reflui civili, acque di prima pioggia, acque di dilavamento erroneamente collettate) imprescindibile per le scelte strategiche del progettuali e dimensionamento dell'opera –:
   se siano a conoscenza della situazione descritta in premessa e quali iniziative, ciascuno per la propria competenza, intendano adottare per risolvere la complessa questione legata alla realizzazione del nuovo collettore del Garda, al fine di garantire la futura sostenibilità dell'intero ecosistema del lago, delle sue acque e di tutti i comuni rivieraschi. (5-06955)


   ZARATTI, PIRAS e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge del 15 febbraio 2010, n. 31, prevede la predisposizione di una proposta di carta nazionale delle aree potenzialmente idonee e di un progetto preliminare relativi alla localizzazione di un deposito nazionale delle scorie nucleari da parte della Sogin spa (la società statale per lo smantellamento degli impianti nucleari italiani e la gestione dei rifiuti radioattivi), da approvare solo successivamente a necessarie valutazioni dell'Ispra e all'organizzazione di un seminario nazionale a cui partecipino regioni, province e comuni sul cui territorio ricadono le aree interessate;
   in risposta all'interrogazione a risposta immediata n. 5-06515 il 30 settembre 2015 il rappresentante del Governo riferiva in VIII Commissione (Ambiente) che: «Lo scorso 20 luglio la proposta di Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) è pervenuta agli uffici dei Ministeri competenti (MATTM e MISE) che si sono immediatamente messi al lavoro perché possano essere compiute al più presto le valutazioni necessarie al fine di comunicare il nulla osta alla pubblicazione della CNAPI, a seguito della quale inizierà la fase di consultazione pubblica nel cui ambito tutti i soggetti coinvolti e/o interessati potranno formulare osservazioni e proposte»;
   in quella stessa occasione il Sottosegretario di Stato Velo ha anche dichiarato come «... le valutazioni di competenza del Ministero dell'Ambiente sono tuttora in corso, essendo la tematica di particolare complessità tecnica, come peraltro già evidenziato dal Ministro Galletti in altre sedi» e che «... Al fine di addivenire alla effettiva individuazione del sito, peraltro, si renderanno necessari ulteriori passaggi amministrativi caratterizzati da una intensa partecipazione degli enti territoriali»;
   la risposta fornita dal Governo si concludeva ribadendo come: «Qualsiasi indicazione o supposizione in merito alla notorietà di aree potenzialmente idonee, al momento, è quindi da ritenersi prematura nonché infondata»;
   come confermato da un articolo comparso sul sito on line del quotidiano «La Repubblica» il giorno 9 novembre, nella sezione Economia & Finanza, è in corso da parte di Sogin una campagna nazionale pubblicitaria a mezzo stampa, tabelloni e tv, firmata da Saatchi e Saatchi e con il contributo di Cattleya, del costo complessivo di 3,2 milioni di euro, attraverso la quale si annuncia l'imminente avvio della procedura per localizzare l'area più idonea a realizzare il deposito nazionale delle scorie nucleari –:
   se trovi conferma il costo di 3,2 milioni di euro spesi dalla società statale per pubblicizzare una procedura condivisa e partecipata per la localizzazione del deposito nazionale delle scorie nucleari, a tutt'oggi peraltro mai concretamente avviata, e se detta cifra non risulti assolutamente esorbitante e spropositata.
(5-06960)


   PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con riferimento alla vicenda del magnate neozelandese che vorrebbe acquistare l'isola di Budelli si registra una situazione in cui si cerca ancora, ad avviso dell'interrogante, di smantellare i vincoli dell'isola;
   il nuovo «colpo di mano» avviene negli uffici del parco di La Maddalena con il direttore, nominato dallo Stato, che dichiara non valida la delibera del consiglio dell'ente parco che aveva ripristinato il vincolo integrale sull'isola rosa;
   con un atto gravissimo il direttore del parco ha constatato l'assenza del numero legale e dichiarato nel testo della deliberazione che quel voto non era valido;
   quindi, secondo il direttore del parco nominato dal Ministro non esiste il vincolo integrale sull'isola di Budelli;
   si tratta di un fatto di una gravità inaudita considerato che alla seduta pubblica avrebbero partecipato a quanto consta all'interrogante più di una decina di persone;
   si tratta di quello che appare all'interrogante un vero e proprio atto arbitrario per dare il via libera alla costruzione di ville con vista sulla spiaggia rosa, quelle per intenderci che vorrebbe realizzare il magnate, con aumento delle volumetrie più che raddoppiate come previsto nel piano presentato al Ministero;
   con un'operazione di dubbia legittimità si sta tentando in tutti modi di togliere i vincoli sull'area interessata con un'insistenza senza precedenti, perseguendo inoltre un disegno che darebbe luogo ad un nuovo consiglio di amministrazione della futura fondazione che gestirà i progetti sull'isola, che potrebbe includere rappresentanti dell'ente parco;
   il presidente del parco ha messo ciò nero su bianco;
   nella delibera pubblicata il 9 novembre 2015 nell'albo dell'ente, figura una lunga postilla a firma del presidente nella quale questi sconfessa il direttore del parco e annuncia di trasmettere tutti gli atti alla procura della Repubblica;
   è da rilevare quello che appare all'interrogante un comportamento discutibile del direttore del parco, che ha rivelato atteggiamenti sin dall'inizio a favore del progetto del magnate;
   a giudizio dell'interrogante il Ministero dovrebbe rimuoverlo immediatamente tenuto conto della responsabilità politica gravante sul Governo;
   è inaudito il tentativo di invalidare di fatto il voto che aveva ripristinato la tutela integrale respingendo i tentativi di realizzare suite a Budelli, resort diffuso su Razzoli e Santa Mari con la trasformazione dei fari in hotel 5 stelle;
   l'isola di Budelli, dunque è nuovamente in pericolo;
   i vincoli edificatori sono nuovamente a rischio;
   il tentativo di abbassare il livello di tutela non può che favorire gli affari di privati interessati a trarne profitto;
   oggi più che mai l'esproprio del bene e l'assegnazione alla comunità locale per la sua tutela e valorizzazione è inderogabile –:
   se non ritenga indispensabile, dopo questo grave atto, assumere iniziative per rimuovere dall'incarico il direttore dei Parco;
   se non ritenga di dover manifestare formalmente la propria contrarietà alla modifica dei vincoli integrali, così come votati dai componenti del Consiglio direttivo dell'ente Parco, compreso il membro rappresentante dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale;
   se non ritenga di dover assumere con urgenza iniziative per attivare le procedure di esproprio del bene e sottrarlo alle mire speculative private. (5-06962)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL, COMINARDI e ALBERTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo il rapporto 2015 sull'ecosistema urbano di Legambiente pubblicato dal Sole 24 Ore il 26 ottobre 2015 anche quest'anno Brescia risulta gravemente inquinata visto che si troverebbe alla 79a posizione su 104, come peggiore città del Nord Italia insieme a Torino;
   la nuova edizione del rapporto ha utilizzato 18 indicatori per confrontare tra loro i 104 capoluoghi di provincia italiani: tre indici sulla qualità dell'aria (concentrazioni di polveri sottili, biossido di azoto e ozono), tre sulla gestione delle acque (consumi idrici domestici, dispersione della rete e depurazione), due sui rifiuti (produzione e raccolta differenziata), due sul trasporto pubblico (il primo sull'offerta, il secondo sull'uso che ne fa la popolazione), cinque sulla mobilità (tasso di motorizzazione auto e moto, modale share, indice di ciclabilità e isole pedonali), uno sugli incidenti stradali, due sull'energia (consumi e diffusione rinnovabili);
   i risultati negativi per Brescia arrivano come sempre soprattutto dal versante dell'inquinamento atmosferico, con valori alti di polveri sottili, biossido di azoto e ozono, ma Brescia risulta essere anche una città che spreca le risorse idriche con ben 177 litri d'acqua consumata pro capite al giorno, mentre ad Ascoli, la città migliore d'Italia in questo campo, se ne consumano 99; inoltre per Brescia risulta anche imbarazzante il risultato della produzione annua di rifiuti, ben 705 chilogrammi a testa, valore che la pone al 91o posto;
   gli interroganti dall'inizio della legislatura segnalano con diversi atti di sindacato ispettivo la drammatica situazione della «leonessa d'Italia» dal punto di vista dell'inquinamento: il 24 luglio scorso con l'interrogazione n. 4-09987, l'8 luglio del 2014 con l'interrogazione numero 4-05434 e il 5 dicembre del 2013 con l'interrogazione n. 4-02850; tutti e tre questi atti sono tutt'oggi rimasti senza risposta –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente della situazione della città di Brescia dal punto di vista dell'inquinamento ambientale e se non considerino urgente, per quanto di competenza, approfondire i risultati del rapporto di cui in premessa e promuovere anche ulteriori monitoraggi di approfondimento;
   se in questi anni si siano attivati, per quanto di competenza, per fare in modo che la situazione ambientale della città migliorasse e in che modo e quali iniziative intendano intraprendere nel prossimo futuro, per trovare una soluzione all'inquinamento che affligge e mette in pericolo ogni giorno la salute degli abitanti della città di Brescia. (4-11059)


   RAMPELLI. – Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   in seguito alla diffusione del batterio patogeno xylella fastidiosa sulle piante di ulivi nella zona del Salento è stato disposto l'abbattimento delle piante infette e di tutte quelle che si trovano in prossimità ad esse;
   il Nuovo Quotidiano di Puglia di domenica 11 ottobre 2015 riportava a pagina 4, in una nota, l'informazione fornita dai comitati «No Tap» circa una strana coincidenza tra l'ipotesi di tracciato del metanodotto ipotizzato da Snam, collegato a Tap, e la zona in cui ci saranno i maggiori abbattimenti di ulivi a causa dei focolai di xylella fastidiosa;
   nello specifico, il Tap dif Melendugno (Lecce) dovrebbe essere collegato allo snodo di Mesagne (Brindisi) attraverso i territori di Veglie (Lecce), Oria e Torchiarolo (Brindisi): si tratta dei territori nei quali è previsto il maggior numero di abbattimenti;
   tale notizia è stata ripresa da un emittente televisiva che proprio sull'argomento riporta le dichiarazioni del sindaco del comune di Torchiarolo, che oltre ad evidenziare come il gasdotto sia «provvidenziale» per lo sviluppo del territorio, ha sottolineato che «io non sono un ingenuo e questa possibilità che ci sia una coincidenza voluta o casuale non mi sfugge», e poi, riferendosi ad un incontro che lo stesso sindaco ha tenuto con i dirigenti SNAM il 22 ottobre 2015, ha dichiarato che avrebbe valutato «insieme se ci saranno subdoli interessi»;
   nonostante i pareri negati della regione Puglia, il Governo nell'aprile 2015 ha dato mandato per la realizzazione del gasdotto in questione, provocando la presa di posizione netta da parte di comitati e amministrazioni locali, i quali avevano già sollevato dubbi e perplessità sull'opera, sia dal punto di vista di impatto ambientale sia in termini economici;
   il Fatto Quotidiano già nel dicembre 2013 aveva sollevato simili dubbi e aveva messo in luce come la joint venture «Trans Adriatic Pipeline AG» abbia sede in Svizzera, a Baar, nel cantone di Zug, dove le società anonime, come questa, grazie alla tassazione di vantaggio superano di dodici volte il numero degli abitanti –:
   per quali motivi si sia ritenuto di autorizzare la realizzazione del gasdotto, e se e di quali elementi disponga in merito all'ipotesi di un collegamento tra il tracciato dello stesso e gli abbattimenti di ulivi. (4-11064)


   GRECO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con ordinanza del commissario delegato all'emergenza rifiuti n. 1779 del 31 dicembre 2004 veniva finanziato, per l'importo di euro 4.281.892,74 a favore dell'ATO «EnnaEuno Spa», oggi in liquidazione, il Centro intercomunale di raccolta differenziata dei rifiuti (C.I.R.) da sorgere nell'area artigianale del comune di Gagliano Castelferrato (En) a beneficio delle popolazioni ricadenti nei comuni di Agira e Gagliano Castelferrato;
   il progetto dell'impianto rappresenta una innovazione nel settore del trattamento dei rifiuti con notevole benefici per le popolazioni serviti, nello specifico il progetto prevede l'avvio, dopo un periodo di sperimentazione, di un nuovo sistema di tariffazione individualizzata, l'utenza è invitata ad effettuare, con semplicità, la raccolta differenziata, direttamente nelle proprie abitazioni, mediante l'ausilio (in dotazione, una tantum, ad ogni utenza familiare e/o commerciale) del «raccoglitore familiare», che permette la raccolta differenziata della componente secca e liquida;
   tutti gli involucri (sacchetti) etichettati e raccolti nei «raccoglitori plurifamiliari» verranno successivamente trasferiti, nel centro intercomunale di raccolta differenziata di Gagliano per essere identificati per l'utenza che li ha generati, pesati e stoccati per frazioni merceologiche omogenee. Il cittadino diviene pertanto il primo attore di tutto il percorso di differenziazione del rifiuto urbano con il concreto raggiungimento di una effettiva riduzione della tariffa;
   l'utilizzo dell'impianto, una volta attivato otterrà i seguenti benefici:
    a) abbattimento dei costi di smaltimento in discarica e dall'altro attraverso ricavi certi dalla vendita delle frazioni di rifiuto differenziato;
    b) riduzione dei rifiuti da smaltire in discarica con conseguente riduzione dei costi di smaltimento a beneficio degli utenti;
    c) aumento di imprese nel campo del recupero dei rifiuti per le considerevoli quantità di frazioni di rifiuti differenziabili;
   attualmente, dopo i collaudi tecnici l'impianto non è stato attivato e il perdurare di tale ritardo ha arrecato notevoli danni agli impianti tecnologici ed alle attrezzature a causa di furti e atti vandalici;
   l'attuale crisi del sistema dei rifiuti imperversa nella regione Sicilia con grosse ripercussioni sul versante ambientale e occupazionale;
   è opportuno rimuovere a parere della scrivente ostacoli burocratici-amministrativi in atto persistenti –:
   considerati i rilevanti finanziamenti statali destinati all'impianto, quali siano i motivi che avrebbero, ad oggi, precluso l'attivazione dell'impianto medesimo, se siano stati rilevati, per quanto di competenza, ritardi, omissioni o negligenze e a che punto sia l’iter di attivazione della struttura. (4-11074)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta orale:


   PAGANO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   dal 21 novembre al 13 dicembre 2015 si svolgerà a Lucca la mostra fotografica Photolux. Tra gli altri autori, saranno esposte fotografie di Andres Serrano e Bettina Rheims, più precisamente in un percorso a tema «Sacro e profano». Più che di sacro e profano, si tratterà, ad avviso dell'interrogante, di un triste esempio di umiliazione e scherno del sentimento religioso dei cristiani: ad esempio, sarà mostrata la famosa «Piss Christ» (letteralmente «Cristo di piscio»), una fotografia del 1987 che mostra un crocefisso immerso in un barattolo di «urina d'autore»;
   anche le opere della Rheims sono a dir poco controverse, come nel caso di una Vergine Maria ritratta con una generosa scollatura sui seni e con sguardo provocante;
   le fotografie riguardanti l'Islam, al contrario di quelle con soggetti cristiani, viceversa raccontano con molto rispetto l'integrazione e il vissuto religioso dei fedeli. Come sempre, il sentimento religioso dei cristiani è umiliato e svilito; si tratta quindi di una mostra che ad avviso dell'interrogante, più che esprimere contenuti artistici, ostenta una sorta di «bullismo» religioso, aggressivo coi miti e remissivo con gli arroganti;
   risulta all'interrogante che Ministero, comune di Lucca e provincia sono partner istituzionali dell'evento, e quindi ne sono anche co-finanziatori –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative affinché sia ritirato ogni patrocinio e finanziamento alla mostra fotografica Photolux di Lucca. (3-01847)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VII Commissione:


   PANNARALE e SCOTTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   pochi giorni or sono il tribunale di Napoli ha notificato al presidente dell'Istituto italiano per gli studi filosofici i termini per la messa all'asta di alcuni dei suoi testi più preziosi, già trasferiti nei locali degli uffici per le vendite giudiziarie, al fine di coprire debiti di modesta entità vantati da uno dei creditori. Sarebbe la prima volta nella sua storia che l'istituto perde una parte del suo patrimonio librario;
   in quarant'anni di attività l'istituto, diploma d'onore del Parlamento europeo, rappresenta un luogo di studi superiori insostituibile per la cultura italiana ed europea, riconosciuto quale luogo di eccellenza dalle più importanti università ed enti di ricerca internazionali, «catalizzatore di relazioni intellettuali al servizio dell'Europa», frequentato da studiosi di fama mondiale, che hanno rappresentato l'umanesimo europeo novecentesco e contemporaneo: migliaia di persone tra filosofi, sociologi, medici e matematici sono stati ospitati dall'istituto; migliaia di borse di studio erogate a giovani ricercatori; seminari, corsi e convegni organizzati in tutto il mondo e, infine, scuole estive organizzate nei paesi del Mezzogiorno;
   in un giudizio espresso dall'Unesco, l'istituto «Ha conquistato una dimensione che non trova termini di paragone nel mondo [...] e contribuisce a fare di Napoli una vera capitale culturale»;
   la biblioteca dell'istituto, immaginata, ideata e realizzata in mezzo secolo di scrupolose ricerche presso fondi librari e antiquari in tutta Europa, nonché con grandi sacrifici personali del presidente, professor Gerardo Marotta, costituisce il nucleo fondamentale dell'istituto, fondato nel 1975 a Roma, nella sede dell'Accademia dei Lincei;
   la Soprintendenza ai beni librari della regione Campania, attestando «il grande valore bibliografico e culturale della biblioteca, frutto delle attività di studio, ricerca e formazione promosso dall'Istituto di appartenenza», decreta, in una delibera del 2008, «la necessità di salvaguardarne l'inscindibile legame con l'Istituto di emanazione» e «l'opportunità e l'utilità sociale di predisporne le migliori condizioni di fruizione pubblica»;
   la situazione debitoria dell'istituto sarebbe risolta con l'arrivo tempestivo del finanziamento complessivo, previsto dalla legge di stabilità per il triennio 2014-2016;
   la sentenza del Consiglio di Stato – Sez. VI del 12 giugno 2015, n. 02885/2015/Reg.Prov.Coll.; n. 05701/2012 Reg.Ric. sul ricorso n. 5701/2011 per posto dall'istituto, ordina al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca la concreta erogazione del contributo straordinario per il Progetto dal titolo «Umanesimo e scienze nella formazione dell'identità europea», con cui l'istituto aveva partecipato alla procedura prevista dal bando del 9 ottobre 2002 «per l'attribuzione di un contributo straordinario in favore di istituti o enti di ricerca, con sede operativa nel Mezzogiorno, che svolgessero istituzionalmente attività di ricerca o formazione postuniversitaria di particolare rilievo e interesse per lo sviluppo del territorio»;
   non risulta che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca abbia ottemperato all'obbligo, derivante dalla citata sentenza, di sottoporre all'istituto una proposta che quantifichi la misura del contributo, «la cui quantificazione» – sempre citando la sentenza – «è opportuno lasciare alle trattative che, all'uopo, saranno doverosamente intrattenute tra l'Amministrazione e l'Istituto, secondo i parametri seguiti per la remunerazione degli altri progetti ammessi. A tal fine, l'amministrazione provvederà a sottoporre all'Istituto una proposta e le parti terranno informata la Sezione in ordine all'esito della trattativa»;
   sarebbe quindi assolutamente auspicabile che fosse data ottemperanza quanto prima alla sentenza del Consiglio di Stato sopra citata –:
   se e quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda assumere per contribuire alla conservazione integrale delle collezioni dell'istituto, in tal modo impedendo che una parte del patrimonio dell'istituto italiano finisca disperso e presumibilmente consegnato all'oblio. (5-06950)


   COSCIA, MANZI, PICCOLI NARDELLI, RAMPI, NARDUOLO, MALISANI, GHIZZONI, SGAMBATO, BOSSA, D'OTTAVIO, MALPEZZI, PES, CAROCCI, BLAZINA e VENTRICELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in base alle notizie riportate in questi giorni su autorevoli quotidiani nazionali si apprende che il dipinto di Amedeo Modigliani denominato «Nu Couché», realizzato dal pittore livornese nell'inverno tra il ’17 ed il ’18, è stato venduto all'asta per 170,4 milioni di dollari (circa 158 milioni di euro), diventando così il secondo quadro più costoso di sempre dopo «Donne di Algeri (Versione “O”)» di Picasso, venduto per 179,4 milioni di dollari;
   secondo quanto racconta il Wall Street Journal, il quadro di Modigliani, messo in vendita da Laura Mattioli Rossi, figlia del collezionista italiano Gianni Mattioli, tramite la casa d'aste Christie's, sarebbe stato acquistato da due coniugi e collezionisti cinesi, Liu Yiqian e Wang Wei, il 9 novembre 2015 a New York, in occasione della evening sale dal titolo «The Artist's Muse»;
   l'opera del pittore livornese approderà dunque in Cina, dopo aver più che raddoppiato il massimo prezzo previsto da Christie's, pari a 100 milioni di dollari;
   tale vendita ha sollevato molte polemiche sia sulla vincolabilità o meno dell'opera e dunque sulla legittimità della stessa di uscire dal territorio nazionale per prendere parte a mostre all'estero, nonché sulla possibilità o meno del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo di esercitare il diritto di prelazione sull'opera realizzata dal Modigliani, in caso di vendita della stessa;
   il dipinto in questione era, in realtà, già in passato uscito dal territorio nazionale per prendere parte a mostre ed in particolare risulta che abbia partecipato ad una mostra itinerante negli Stati Uniti, curata da Franco Russoli, intitolata «Masters of Modern Italian Art from the collection of Gianni Mattioli» –:
   se, alla luce di quanto riportato, il Ministro interrogato ritenga opportuno chiarire le dinamiche che hanno portato all'esportazione di un dipinto così importante al di fuori del nostro Paese, nonché il motivo in base al quale non sia stato esercitato da parte dello stesso il diritto di prelazione per l'acquisto del dipinto, dato il suo inestimabile valore storico, artistico, culturale ed educativo per il nostro Paese. (5-06951)


   PALMIERI e LATRONICO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, contempla l'obbligo anche per i privati, possessori o detentori di beni culturali, di garantirne la conservazione;
   all'articolo 32 la norma arriva a prevedere la possibilità di imposizione, da parte del Ministero competente, di interventi necessari per assicurare la conservazione dei beni culturali;
   il combinato disposto delle disposizioni di cui all'articolo 31, comma 2 e agli articoli 35 e 37 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, prevede lo stanziamento di contributi statali, su autorizzazione delle competenti soprintendenze, per atti di restauro ed altri interventi conservativi su beni culturali ad iniziativa del proprietario, possessore o detentore;
   risulta all'interrogante che il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo debba ancora versare rimborsi per un ammontare di circa 100 milioni di euro, ai proprietari, possessori e detentori di immobili di valore storico-artistico per lavori di restauro autorizzati e già collaudati;
   molti proprietari di immobili storico-artistici si trovano già in grave difficoltà economica per l'aumento del prelievo fiscale sugli immobili in questione;
   l'apporto dei privati nelle attività di conservazione e valorizzazione dei beni culturali è essenziale, in un Paese come l'Italia, definito a livello internazionale un museo a cielo aperto per la diffusione e la concentrazione di beni e siti culturali;
   l'Unione europea ha avviato nei confronti dell'Italia una procedura di infrazione per violazione della direttiva 2011/7/UE sui tempi di pagamento della pubblica amministrazione;
   gli sgravi fiscali, i finanziamenti, le eventuali sovvenzioni che vengono concesse ai privati dallo Stato per interventi di valorizzazione di beni culturali vengono qualificati come aiuti di Stato compatibili con il diritto europeo in ragione della «eccezione di culturalità» –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per sbloccare le risorse al fine di sanare il pregiudizio arrecato ai proprietari di immobili di interesse storico-artistico e per accelerare il pagamento dei contributi previsti dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. (5-06952)


   SIMONE VALENTE, BRESCIA, DI BENEDETTO, VACCA, D'UVA, MARZANA e LUIGI GALLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa riportate in data 10 novembre 2015 sul quotidiano La Stampa, versione online, si apprende che l'opera di Amedeo Modigliani conosciuta come «Nu Couché», oppure «Nudo Rosso» o «Nudo Sdraiato» (1917), uno dei capolavori assoluti del pittore livornese, è stata venduta a un collezionista cinese per la cifra di 170,4 milioni di dollari (corrispondenti a 158,4 milioni di euro) in data 9 novembre 2015, in occasione della evening sale dal titolo «The Artist's Muse» organizzata dalla casa d'aste Christie's a New York;
   il «Nu Couché» di Modigliani risultava essere parte della collezione Gianni Mattioli, ereditata alla morte del collezionista milanese dalla figlia Laura Mattioli, la quale avrebbe deciso di affidarla per la vendita alla casa d'aste Christie's;
   secondo quanto disposto dai commi 1 e 2 dell'articolo 2 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, concernente il «Codice dei beni culturali e del paesaggio», «il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici» e si considerano beni culturali «le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà»;
   inoltre, previa denuncia di trasferimento di proprietà o di detenzione di beni culturali al Ministero, l'articolo 60 del succitato decreto legislativo stabilisce in materia di «Acquisto in via di prelazione» che «il Ministero o, nel caso previsto dall'articolo 62, comma 3, la regione o l'altro ente pubblico territoriale interessato, hanno facoltà di acquistare in via di prelazione i beni culturali alienati a titolo oneroso al medesimo prezzo stabilito nell'atto di alienazione»;
   il «Nu Couché» di Modigliani, realizzato nel 1917 dall'artista livornese per Léopold Zborowski, rappresenterebbe un bene culturale di grande valore se si considera la presenza di elementi di carattere antropologico e se si riconosce la testimonianza fornita dall'opera circa gli usi e i costumi della società europea del primo ventennio del XX secolo, così come dimostrò il suo ritiro, insieme ad altri nudi di Modigliani dalla mostra organizzata nel 1917 nella galleria Weill di Parigi, presumibilmente a causa del grado di seduzione espresso dalla posizione languida della figura femminile ritratta;
   da uno scambio telematico con la reggente della Pinacoteca di Brera (Soprintendenza BAeP Milano) si apprende che prima di approdare alla casa d'aste Christie's, il dipinto in questione è stato portato via dall'Italia in data imprecisata, ma comunque prima dello scadere dei cinquanta anni previsti dall'allora vigente legge 1° giugno 1939, n. 1089, riguardante la «Tutela delle cose di interesse artistico e storico»;
   dalla succitata corrispondenza si evince, inoltre, che dopo una temporanea importazione in Italia nel gennaio 1967, l'opera è stata definitivamente esportata in data 16 gennaio 1987;
   la scheda informativa relativa al «Nu Couché» di Modigliani contenuta nella pagina web del sito www.christies.com riporta che, a partire dal 1987, il dipinto è stato custodito in Svizzera dai proprietari che lo hanno affidato alla casa d'aste per la vendita;
   la vendita all'asta del «Nu Couché» a un collezionista privato cinese costituisce, a giudizio degli interroganti, una gravissima perdita per il patrimonio artistico e culturale italiano. Lo stesso prezzo base di 100 milioni di dollari con cui è stato presentato all'asta attestava l'immensità del valore intrinseco del dipinto;
   pur essendo stato custodito al di fuori del territorio nazionale fino alla vendita all'asta in data 9 novembre 2015, poiché decaduto il legame territoriale che vincola un bene culturale alla nazione in cui è conservato, sarebbe stato opportuno, secondo gli interroganti, da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, valutare la possibilità di esercitare, eventualmente, il diritto di prelazione su un'opera realizzata da Modigliani, o quantomeno di chiarire le dinamiche che hanno portato all'esportazione di un dipinto così importante al di fuori del nostro Paese –:
   quali iniziative abbia adottato, nel rispetto delle proprie competenze, al fine di impedire che il «Nu Couché» del Modigliani fosse battuto all'asta Christie's di New York per poi andar perduto per sempre in una collezione privata in Cina.
(5-06953)


   VEZZALI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali, 20 novembre 2007 relativo ai «Criteri e modalità di erogazione di contributi in favore delle attività circensi e di spettacolo viaggiante, in corrispondenza degli stanziamenti del Fondo unico per lo spettacolo, di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163» prevede, all'articolo 7, i casi nei quali si applica la decadenza immediata dai contributi e in particolare, al comma 2, recita: «Per i contributi al settore circense, la decadenza è disposta anche nel caso di condanna definitiva per i delitti di cui al titolo IX-bis del libro II del codice penale, o di ogni altra violazione di disposizioni normative statali e dell'Unione europea in materia di protezione degli animali»;
   il decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo 1o luglio 2014, relativo ai «Nuovi criteri per l'erogazione e modalità per la liquidazione e l'anticipazione di contributi allo spettacolo dal vivo, a valere sul Fondo unico per lo Spettacolo, di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163», al comma 3 dell'articolo 33, prevede, a pena di inammissibilità, che la domanda di contributo sia corredata dalla dichiarazione, resa ai sensi dell'articolo 46 del citato decreto n. 445 del 2000, di non aver riportato condanne definitive per i delitti di cui al Titolo IX-bis del libro II del codice penale e di non aver commesso ogni altra violazione di disposizioni normative statali e dell'Unione europea in materia di protezione, detenzione e utilizzo degli animali;
   il 24 settembre 2013 è stato approvato dall'Assemblea del Senato l'ordine del giorno n. G9.205 al disegno di legge n. 1014 di «conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, recante disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo» che ha impegnato il Governo «a prevedere, una riduzione progressiva dei contributi ai circhi che utilizzano animali (...) fino a pervenire al completo azzeramento dei contributi nell'esercizio finanziario 2018»;
   ancora oggi vi sono circa 100 strutture circensi operative in Italia che tengono in cattività circa 2.000 animali, che per la loro intera esistenza sono obbligati in angusti spazi che in molti casi non sono in grado di soddisfare le loro basilari esigenze etologiche, come evidenziato anche da numerosi procedimenti penali in corso;
   in base ai dati contenuti in un dossier-denuncia pubblicato in questi giorni dalla LAV Lega Anti Vivisezione vi sono evidenze inconfutabili secondo le quali ai circhi indagati per «sevizie», «lesioni» e «crudeltà» verso gli animali vengono concessi ancora oggi i contributi a valere sulle risorse del Fondo unico per lo spettacolo (FUS);
   il dossier in particolare, rivela che tra i circhi beneficiari di risorse pubbliche ve ne sono almeno otto con condanna definitiva o sotto processo per maltrattamenti Medrano, American Circus, Darix Togni, Martin, Caroli, Città di ama, Aldo Martini, Folloni. Si riportano di seguito tre esempi significativi: Il Circo Città di Roma è stato denunciato in quanto teneva elefanti in condizione di quasi immobilità, tigri in spazi angusti, esposte al freddo, e nel complesso tutti gli animali tenuti in strutture non idonee a garantire l'igiene e la pulizia. Nonostante una condanna definitiva il circo, ha ricevuto, negli anni, cospicui finanziamenti. Inoltre, nonostante la sentenza definitiva per il reato di maltrattamento di animali commesso nel 2003, Rolando Folloni, negli anni 2008 e 2009 ha ricevuto contributi del FUS per euro 15.000;
   il circo Lidia Togni, pur con due diverse società, ha ricevuto dal 2008 ad oggi ingenti contributi pubblici. La signora Lidia Togni è stata condannata dal tribunale di Palermo con sentenza n. 764 del 2008; sui tre casi emblematici esposti, gli uffici del Ministero hanno risposto alle richieste di chiarimento da parte della LAV, nella persona del dirigente della direzione generale per lo spettacolo dal vivo, Salvatore Nastasi nel seguente modo: per quanto riguarda Rolando Folloni, proprietario del Circo Roland Folloni, «negli anni 2008 e 2009 l'Amministrazione non aveva ancora ricevuto notifica della sentenza definitiva per reato commesso nel 2003. Nel 2010 anno in cui viene acquisito il certificato di sentenza definitiva ... il circo non viene ammesso al contributo. Viene riabilitato nel 2011». È stato altresì comunicato che «È stata inoltrata richiesta alla Avvocatura in merito alla procedura ed alla fattibilità di una apertura di procedura per restituzione della somma assegnata in anni precedenti alla acquisizione di notifica di reato da parte di questa Amministrazione. Per quanto riguarda il caso del signor Elio Bizzarro titolare del «Circo Città di Roma», «la condanna definitiva è stata rilevata tramite casellario giudiziale solo nel 2010, da allora le sue istanze non sono più state ammesse. Per quanto riguarda, infine la signora. Lidia Togni, legale rappresentate del «Circo Lidia Togni, acquisito il certificato dal tribunale, il circo non viene ammesso al contributo nel 2010»; si precisa che il «Circo Lidia Togni nel mondo» a cui sono stati assegnati i contributi fa riferimento ad una nuova società, a statuto cooperativo con un altro rappresentate locale; da ultimo è stato ammesso che: «Non si può non sottolineare, infine, che una maggiore e più tempestiva informazione interamministrativa costituisce uno strumento indispensabile –:
   se non ritenga di dover sospendere immediatamente le erogazioni dei contributi e dare avvio ad un procedimento amministrativo, con la dovuta sollecitudine, al fine della revoca e della restituzione dei contributi pubblici del fondo unico per lo spettacolo, erogati e non dovuti, a quelle attività circensi nel cui personale risultino impiegate persone che abbiano riportato condanne definitive per i reati previsti dal titolo IX-bis del codice penale, o che abbiano compiuto una qualsiasi violazione delle normative italiane o dell'Unione europea in materia di protezione degli animali. (5-06954)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CANCELLERI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'articolo 9 della Costituzione «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione»;
   il Palazzo della Civiltà Italiana nella zona Eur di Roma, dichiarato dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004 sito di interesse culturale e considerato l'icona architettonica del Novecento romano, nel luglio 2013 tramite un accordo – annunciato dalla casa di alta moda Fendi – di quindici anni tra il magnate della moda Bernard Arnault, titolare del gruppo LVMH ed Eur s.p.a. per l'affitto dell'edificio è stato destinato a diventare il quartier generale della maison romana;
   nell'ottobre 2015 in cima al «Colosseo quadrato», com’è altrimenti noto il Palazzo della Civiltà Italiana, viene installata una gigantesca struttura metallica con tanto di grandi vetrate panoramiche, altamente impattante sull'edificio al punto da alterarne fisionomia, prospetto architettonico e paesaggistico, estetica e significato organico;
   anche se pur temporanei e quindi ripristinabili non sembra accettabile che un monumento debba cambiare la sua fisionomia;
   i cittadini si dicono indignati e sul web insorgono: «Fa piacere che Fendi dopo soli due anni stia per riaprire il Colosseo Quadrato. Meno piacere fa notare che si stia bellamente cambiando faccia ad uno degli edifici più iconici della città. Se proprio si vuole fare un sopralzo ad un monumento di questa portata almeno si chiami un grande architetto...»;
   la Soprintendenza – sebbene condannata all’«estinzione» dalla «Legge Madia» e a giudizio dell'interrogante lenta nell'evadere per tempo tutte le pratiche – equipara gli immobili storici dell'Eur al Colosseo e ai palazzi rinascimentali del centro storico di Roma –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se intenda intraprendere azioni per verificare la sussistenza delle necessarie autorizzazioni in possesso dei soggetti di cui sopra ed evitare di autorizzare installazioni, anche se momentanee e removibili, in quanto immobile di raro pregio e sottoposto a vincolo storico e monumentale. (5-06927)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   LABRIOLA. — Al Ministro della difesa, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la costruzione dell'Arsenale militare marittimo di Taranto fu decisa dal Parlamento con la legge n. 833 del 29 giugno 1882, per rimediare alla crescente necessità di difesa dell'Italia allora sempre più protesa verso il mar Mediterraneo;
   i lavori di costruzione iniziarono, nel settembre del 1883, nel primo seno del Mar Piccolo e si conclusero sei anni dopo. L'arsenale fu infatti inaugurato 21 agosto 1889 alla presenza di Umberto I di Savoia;
   l'Arsenale occupa un'area di oltre 90 ettari di cui 70 scoperti, delimitata da un muro di cinta alto 7 metri e lungo 3250 metri, ed ha un fronte a mare di circa 3 chilometri, da cui si sviluppano 4,5 chilometri di banchine sulla sponda meridionale del Mar Piccolo. Tare muro è comunemente denominato «Muraglione»;
   durante il secondo dopoguerra si avvertì l'esigenza di trasferire in Mar Grande la stazione navale, sia per assicurare una maggiore mobilità alla flotta, sia per ridurre l'impatto che l'apertura del ponte girevole aveva sulla città. Così, con la realizzazione della nuova stazione navale, inaugurata il 25 giugno 2004 alla presenza del Ministro della difesa pro tempore, onorevole professor Antonio Martino, del Capo di Stato Maggiore della difesa, Ammiraglio Giampaolo Di Paola, e del Capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio di squadra Sergio Biraghi, il vecchio arsenale è utilizzato solo per l'attracco delle navi in disarmo, dei sommergibili e delle unità navali da riparare;
   la nuova stazione si affaccia direttamente sul Mar Grande in località Chiapparo, e costituisce la realizzazione più grandiosa per le Forze armate nel periodo post bellico. L'infrastruttura sorge su un'area demaniale di circa 60 ettari, ed è stata realizzata secondo due blocchi differenti: opere a mare ed opere a terra;
   nel 1992 fu firmato un protocollo d'intesa tra il comune di Taranto, Ministero Aree urbane, Ministero della difesa, Ministero per il Mezzogiorno, regione Puglia, amministrazione provinciale di Taranto per la delocalizzazione delle installazioni militari Navali sul Mar Piccolo ed il recupero e la valorizzazione degli immobili dismessi;
   esso riporta: «Considerato che un'esigenza particolarmente avvertita dalla città di Taranto è quella di poter fruire di un affaccio sul Mar Piccolo, attualmente quasi integralmente precluso da rilevanti infrastrutture logistiche ed operative di pertinenza del demanio militare marittimo; che dette infrastrutture (...) hanno ormai perduto gran parte della loro importanza a fronte della realizzazione, in corso di ultimazione della Nuova Stazione Navale in Mar Grande (...). Convengono quanto segue: costituiscono obiettivi primari per l'area di Taranto la delocalizzazione delle istituzioni militari navali sul Mar Piccolo ed il recupero e la valorizzazione degli immobili e degli spazi così dismessi, al fine di consentire un uso da parte della collettività aderente ai nuovi modelli di sviluppo della città stessa, riferiti alla sistemazione viaria, alla promozione di una nuova imprenditorialità a vocazione turistica, ad un'accresciuta rete di servizi e di verde pubblico (...);
   tale protocollo d'intesa, tuttavia non ha mai avuto attuazione pratica per i ritardi dovuti al completamento della stazione navale a Mar Grande ultimata solo da pochi anni;
   da un articolo de La gazzetta del Mezzogiorno.it, pubblicato il 14 marzo 2010 si apprende che il gruppo «Buttiamo già il Muraglione di Taranto», costituito da oltre 1600 membri, stia portando avanti una battaglia mediatica contro l'esistenza, ormai non più indispensabile, del muro che separa l'Arsenale dal resto della città;
   infatti, il gruppo sosterrebbe che senza il muraglione i tarantini «potrebbero godere di un “vista a mare” meravigliosa e della presenza di ampie zone verdi che mitigano il grigiore di asfalto e cemento»;
   dall'editoriale dal titolo «Abbattete il Muraglione ! Liberate l'Arsenale !» pubblicato da «Cronache Tarantine» il 30 marzo 2015, si apprende, che la Fondazione Michelagnoli, in collaborazione con l'amministrazione dell'Arsenale militare marittimo di Taranto, abbia organizzato un convegno «La valorizzazione culturale e turistica dell'Arsenale di Taranto»;
   durante il convegno si sarebbe evidenziata l'importanza di rendere visibile l'immenso patrimonio culturale racchiuso oltre il muraglione dell'Arsenale mettendo in dubbio, ancora una volta, l'utilità del muro stesso;
   viene anche sottolineato che l'ultimo decreto rinominato «salva Taranto» decreto-legge, n. 1 del 2015 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 20 del 4 marzo 2015 all'articolo 8, comma 3, da mandato ai «Ministeri dei beni e delle attività culturali e del turismo e della difesa, d'intesa con la Regione Puglia ed il Comune di Taranto, da acquisire nell'ambito di un tavolo Istituzionale di cui alla stessa legge, di predisporre entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, un progetto di valorizzazione culturale e turistica dell'Arsenale (...)»;
   la mozione n. 1-00766, a prima firma dell'interrogante, sulla quale il Governo ha espresso pareri favorevoli nella seduta del 14 aprile, ha impegnato l'Esecutivo «a valutare l'opportunità di favorire intese, anche fra le diverse amministrazioni pubbliche, per mettere al servizio del territorio le strutture presenti e attualmente adibite a compiti istituzionali, sviluppandone le potenzialità al fine di promuovere il recupero e la riqualificazione sociale dei centri urbani, in particolare quelli soggetti ad un pesante degrado, con particolare riferimento all'uso per tale scopo dell'arsenale marittimo di Taranto»;
   si ritiene che il muraglione, oltre ad essere di per sé un ostacolo alla valorizzazione del patrimonio artistico e naturalistico della città, rappresenti anche una barriera che si oppone al naturale deflusso delle acque piovane verso il mare, come verificatosi duranti l'ultimo nubifragio del 16 ottobre 2015, creando non poche difficoltà alla circolazione di mezzi pubblici e privati –:
   quali iniziative nell'ambito delle rispettive competenze, intendano adottare per accelerare la riqualificazione dell'area dell'Arsenale e degli edifici storici in essa contenuti;
   se abbiano informazioni dettagliate in merito al progetto della valorizzazione culturale e turistica dell'Arsenale di cui al comma 3 dell'articolo 8 della legge n. 20 del 2015 e quale sia la tempistica per la sua realizzazione;
   se ritengano l'abbattimento del muraglione dell'Arsenale un passaggio fondamentale per la valorizzazione dell'intera area ed un primo passo per la crescita dell'intera comunità tarantina e quali siano le decisioni in merito. (4-11062)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1 del decreto-legge n. 3 del 2015 impone alle Banche popolari con un attivo superiore agli otto miliardi di euro la trasformazione in società per azioni, che nel nostro Paese coinvolgerà dieci grandi banche popolari: UBI, BANCO POPOLARE, B. P. E.R. – Banca Pop. Emilia e Romagna, Banca Popolare di Milano, Banca Popolare Vicentina, VenetoBanca, Banca Popolare di Spoleto, Credito Valtellinese, Banca Popolare di Sondrio, Banca Pop. Bari;
   al fine di risolvere i problemi emersi con i cosiddetti «stress test» relativi all'equilibrio patrimoniale ed alla carenza di liquidità, le grandi banche popolari, come annunciato anche da numerosi organi di stampa, hanno deciso di cedere il 100 per cento delle azioni del gruppo ICBPI (Istituto centrale delle banche popolari);
   dopo aver espletati tutti gli accertamenti e le operazioni di valutazione delle offerte sono stati individuati come potenziali acquirenti i fondi Bain, Advent e Clessidra, che hanno a loro volta formulato un'offerta di prezzo duplice: o un pagamento effettuato in larga misura con mezzi propri intorno a 1,9 miliardi di euro o in alternativa il pagamento di un prezzo più alto, intorno ai 2,15 miliardi di euro, ma utilizzando una leva di debito ampia;
   la suddetta operazione è stata sottoposta all'attenzione della BCE e della Banca d'Italia per le necessarie autorizzazioni;
   come riportato diffusamente da autorevoli organi di stampa (ad esempio Sole24Ore e altro) la BCE e la Banca d'Italia hanno autorizzato l'operazione che contempla la seconda ipotesi, consentendo a tal fine un ricorso esteso al debito che consentirà la cessione del gruppo ICBPI a Bain, Advent e Clessidra ad un prezzo determinato intorno ai 2,15 miliardi di euro da pagare con mezzi propri e con il ricorso ad un finanziamento di 1,1 miliardi di euro attraverso l'emissione di un prestito obbligazionario dedicato a investitori istituzionali (fondi banche assicurazioni, SGR, OICR, e altro);
   il ricorso ad una leva di debito di circa 1.100 milioni di euro, stanti i tassi oggi praticati su obbligazioni Corporate, comporta che nel gruppo ICBPI tutto o quasi il risultato economico al netto delle imposte sarà destinato, per tutta la durata del debito, a copertura degli interessi per il prestito obbligazionario;
   si potrebbe quindi paventare il rischio di anteporre le esigenze del debito sia a quelle dell'investimento di processo e di prodotto, fondamentali oggi per mantenere una posizione da leader sul mercato della cosiddetta monetica, sia a quelle sul capitale umano, e perdere conseguentemente quote di mercato, attesa la mancanza di una fonte possibile ed importante fonte di finanziamento interno;
   con riferimento al capitale umano il rischio è quello di assistere, piuttosto che ad un investimento sulla formazione, alla ricerca di remunerazione attuata con l'ennesima compressione dei costi, quello del lavoro in particolare, nonché attraverso una riduzione dei livelli occupazionali;
   altro pericolo che sul piano strutturale potrebbe comportare il ricorso ad un debito così elevato è rappresentato da tutte quelle razionalizzazioni orientate a soluzioni «spezzatino», attuate anche con possibili esternalizzazioni e con l'aggressione a quei territori in cui le singole unità produttive insistono;
   a questo proposito è noto l'interessamento all'operazione mostrato dal «gruppo Bassilichi», gruppo partecipato dal Monte Paschi, attivo nella fornitura di servizi per il settore credito direttamente con la capogruppo e attraverso le società BASSNET (call center), FRUENDO, ramo aziendale del Monte Paschi che un paio d'anni fa ha acquisito nell'ambito della nota vicenda di ristrutturazione del gruppo bancario citato, e che controlla il Consorzio Trivenento (55 per cento), di cui lo stesso Gruppo ICBPI è socio con una quota di circa il 5 per cento del capitale;
   il gruppo Bassilichi si propone come outsourcer di attività analoghe a molte di quelle che svolge ICBPI/CARTASI: monetica, multicanalità, call center, gestione Pos, e (attraverso FRUENDO) back office grazie all'impiego circa 2.200 dipendenti regolati sia con il contratto dei meccanici che con quello del credito;
   nel frattempo, nell'ambito della stessa operazione, verrà ceduta Equens Italia al gruppo ATOS (FR), con la clausola del mantenimento per 5 anni del rapporto di outsourcing come definito oggi insieme a quello su SIA;
   non si prospetterebbe quindi una ricomposizione dell'intera filiera, ma piuttosto il rischio di un'ulteriore esternalizzazioni di attività all'esterno del gruppo, come tutti i rumors intorno al gruppo Bassilichi farebbero intendere;
   un'operazione come quella in argomento, propedeutica al riassetto generale delle banche popolari, di cui consente la ricapitalizzazione, e a quella ancora più in generale del sistema bancario, assume logiche di sistema e presuppone un notevole coinvolgimento politico; dovrebbe invece presupporre anche e soprattutto un'attenzione particolare verso logiche industriali e prospettive economiche, ma il ricorso ad un debito così elevato non depone certo in tal senso, ma anzi meraviglia da parte di BCE, Banca d'Italia e il Ministero dell'economia e delle finanze l'autorizzazione ad un utilizzo così ampio della leva di debito –:
   quali siano le prospettive industriali che sottendono a tale operazione e se sia a conoscenza dei motivi che hanno indotto all'autorizzazione di un'operazione, ad avviso dell'interrogante, così sbilanciata sul piano del debito. (5-06934)


   MARCO DI MAIO, PELILLO, FANUCCI e PARRINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 629, lettera b), della legge n. 190 del 2014, legge di stabilità per il 2015, ha introdotto l'articolo 17-ter nel decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 che, testualmente, al comma 1, dispone: «Per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi effettuate nei confronti dello Stato, degli organi dello Stato ancorché dotati di personalità giuridica, degli enti pubblici territoriali e dei consorzi tra essi costituiti ai sensi dell'articolo 31 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, degli istituti universitari, delle aziende sanitarie locali, degli enti ospedalieri, degli enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico, degli enti pubblici di assistenza e beneficenza e di quelli di previdenza, per i quali i suddetti cessionari o committenti non sono debitori d'imposta ai sensi delle disposizioni in materia d'imposta sul valore aggiunto, l'imposta è in ogni caso versata dai medesimi secondo modalità e termini fissati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze», precisando, al comma 2, che «Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano ai compensi per prestazioni di servizi assoggettati a ritenute alla fonte a titolo di imposta sul reddito»; la norma introduce il cosiddetto split payment, ovvero, in termini pratici, le pubbliche amministrazioni elencate nell'articolo 17-ter, all'atto del pagamento delle fatture ricevute in relazione ai propri acquisti di beni e servizi, non corrispondono più ai fornitori l'importo lordo della fattura, ma solo l'imponibile, trattenendo l'IVA e riversandola direttamente all'erario;
   tale disposizione si inquadra tra quelle finalizzate ad innovare il sistema di riscossione dell'imposta sul valore aggiunto, al fine di ridurre il «VAT gap» e contrastare i fenomeni di evasione e le frodi IVA; il meccanismo della scissione dei pagamenti, infatti, mira a garantire, da un lato l'Erario, dal rischio di inadempimento dell'obbligo di pagamento dei fornitori che addebitano in fattura l'imposta e, dall'altro, gli acquirenti, dal rischio di coinvolgimento nelle frodi commesse da propri fornitori o da terzi;
   tale meccanismo fiscale introduce una deroga al principio di neutralità dell'IVA, disciplinato dall'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, per mezzo del quale il «contribuente IVA» ad ogni versamento periodico dovuto corrisponde all'erario la differenza tra l'IVA sulle sue vendite addebitata ai suoi clienti e l'IVA sugli acquisti dovuta ai fornitori;
   per limitare gli effetti negativi il legislatore ha previsto che tali soggetti possano chiedere il rimborso dell'eccedenza detraibile con periodicità annuale o trimestrale ai sensi dell'articolo 30, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972; inoltre, ai sensi dell'articolo 38-bis, comma 10, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633, tale rimborso sarà eseguito in via prioritaria;
   in più sedi è stato evidenziato che qualora l'impresa abbia come principale committente la pubblica amministrazione, con il sistema dello split payment non avrà modo di compensare l'IVA che dovrà pagare ai fornitori con quella che invece non riceverà più per il pagamento delle fatture da parte della pubblica amministrazione, creando con ciò un flusso di cassa fortemente sbilanciato, ciò anche in considerazione del fatto che il rimborso IVA richiede tempistiche non sempre prevedibili;
   secondo i dati forniti dall'osservatorio CNA, derivanti dall'applicazione delle nuove regole IVA su split payment e reverse charge, nel 2015 le imprese che lavorano per la pubblica amministrazione, pari a circa 2 milioni, soffriranno di un ammanco di cassa mensile pari complessivamente ad un miliardo e mezzo, a causa del mancato incasso dell'IVA;
   allo stato attuale, a talune condizioni, si configura una sorta di doppia imposizione «temporanea» in cui l'Erario incassa due volte l'IVA sulla stessa operazione: se un consorzio fattura in regime di split payment, alla pubblica amministrazione un servizio, la stessa pubblica amministrazione tratterrà e verserà l'IVA relativa all'Erario; la Cooperativa, però che è in general contractor con il Consorzio, fatturerà al Consorzio il medesimo servizio (reso alla stessa pubblica amministrazione) e verserà anch'essa l'IVA relativa, l'erario, quindi, incasserà temporaneamente l'IVA due volte per lo stesso servizio imponibile – sia dal Consorzio, sia dalla Cooperativa –:
   se non ritenga opportuno, allo scopo di limitare gli evidenti rischi di liquidità dovuti ai tempi di rimborso dei crediti IVA a seguito di operazioni split payment, che rischiano di destabilizzare l'equilibrio economico di molti consorzi d'imprese, adottare specifiche iniziative che permettano ad una cooperativa, socia di un consorzio, di fatturare allo stesso con IVA, la cui esigibilità sarà differita al momento in cui l'Erario provvederà al rimborso nei confronti del consorzio. (5-06935)


   SANDRA SAVINO e BALDELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il cosiddetto «decreto IRPEF» (decreto-legge 4 aprile 2014, n. 66) ha previsto l'introduzione del «bonus 80 euro» a favore dei lavoratori dipendenti ed assimilati: nello specifico, l'articolo 1 stabiliva che, «in attesa dell'intervento normativo strutturale da attuare con legge di stabilità per l'anno 2015», era riconosciuto un credito d'imposta, che non concorre alla formazione del reddito, di importo pari a 640 euro, purché il reddito complessivo, rapportato al periodo di lavoro nell'anno, non sia superiore a 24.000 euro;
   successivamente, la legge di stabilità 2015 ha confermato e reso strutturale la misura: la medesima legge ha stabilito che, a partire dal 1o gennaio 2015, il credito d'imposta a favore dei lavoratori dipendenti ed assimilati, in rapporto al periodo di lavoro nell'anno, è di importo pari a 960 euro, se il reddito complessivo non è superiore a 24.000 euro; nel caso in cui il reddito complessivo è superiore a 24.000 euro ma non a 26.000 euro, il credito spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l'importo di 26.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e l'importo di 2.000 euro; 
   nello specifico, il bonus Irpef per il 2014 era pari a 640 euro annuali mentre il credito d'imposta per il 2015 ammonta a 960 euro: infatti, essendo stato introdotto solo a maggio 2014, il bonus finale di 80 euro circa mensili, era pari ad un totale di 640 euro; con la legge di stabilità, il bonus è stato dunque ricalcolato sull'interno anno, e per questo che ha raggiunto la cifra totale di 960 euro;
   i contribuenti che stanno usufruendo del bonus degli 80 euro sono circa 10 milioni: il dato, abbastanza approssimativo, è l'unico riportato dalle maggiori testate giornalistiche, in assenza di statistiche ufficiali pubblicate dal Governo;
   dal 15 aprile 2015, in via sperimentale, l'Agenzia delle entrate ha messo a disposizione dei titolari dei redditi di lavoro dipendenti e assimilati, il modello 730 precompilato, che può essere accettato o modificato; la dichiarazione precompilata è disponibile in un'area autenticata del sito internet dell'Agenzia delle entrate in cui il contribuente, attraverso delle credenziali personali, può accedervi e visualizzare non solo la dichiarazione dei redditi precompilata, ma anche l'elenco dei dati inseriti nella dichiarazione e di quelli che l'Agenzia non ha potuto, inserire perché non completi o incongruenti; 
   per ottenere il bonus degli 80 euro, i lavori dipendenti o assimilati nella precompilazione della dichiarazione semplificata hanno dovuto inserire anche il dato concernente il cosiddetto «Bonus IRPEF»; lo spazio per inserire il bonus Irpef è esattamente il rigo C14, contenuto nella quinta sezione del quadro c, dedicato ai redditi da lavoro dipendente e assimilati;
   una certa quantità di contribuenti si è ritrovata nelle condizioni di dover restituire il bonus degli 80 euro, soprattutto a causa della scarsa attendibilità del modello compilato dagli uffici delle imposte, in particolare per quanto riguarda le detrazioni; il nuovo modello precompilato, infatti, non le contempla e, se le prevede, non garantisce sul corretto inserimento, che ovviamente è a svantaggio del contribuente e a vantaggio del fisco;
   in particolare, gli utenti hanno più volte segnalato che nel sistema di precompilazione vi erano dati parziali o addirittura errati; nello specifico, mancando l'indicazione dei giorni lavorati, il software ha rilevato più di 365 giorni lavorativi, azzerando dunque il numero e facendo in modo che il contribuente perda il diritto a detrazioni e bonus;
   in pratica, se con deduzioni e detrazioni è possibile beneficiare del bonus degli 80 euro, senza di esse c’è il rischio di finire fuori dai parametri e di doverlo addirittura restituire; stando ad alcuni dati, riportati da alcune testate giornalistiche, con questo errore lo Stato avrebbe potuto ricavare circa dieci miliardi di tasse in più, ma non è stato ancora fornito un dato certo riguardo al numero dei contribuenti che sarebbero risultati svantaggiati dalla compilazione del 730;
   in origine, come più volte affermato dal Presidente del Consiglio Renzi, il «nuovo» 730 precompilato avrebbe dovuto essere recapitato a casa di ogni contribuente; alla prova dei fatti, invece a quanto consta agli interroganti nessun lavoratore si è visto consegnato direttamente all'indirizzo di residenza tale modello, e, per pagare le tasse, i contribuenti si sono dovuti connettere ad internet e scaricare il documento;
   va altresì rilevato che, a gennaio 2015, l'Istat ha diffuso i dati sui consumi nel terzo trimestre, quello che a detta del Governo avrebbe cominciato a registrare gli effetti del bonus di 80 euro; i consumi delle famiglie sono risultati invariati rispetto agli ultimi dati, mostrando dunque la totale inefficienza del famoso bonus –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda intraprendere al fine di fornire dati ufficiali in merito a quanti siano i beneficiari del bonus di 80 euro e quanti di questi, a causa degli innumerevoli errori dovuti alla compilazione della dichiarazione semplificata dei contribuenti, siano stati costretti a restituire tale bonus. (5-06936)


   ALBERTI, CRIPPA, PESCO, VILLAROSA, PISANO, RUOCCO e FICO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con la nota, sentenza del 21 febbraio 2005 n. 13794, la sezione tributaria della Corte di Cassazione ha riconosciuto il potere impositivo del comune sulle acque territoriali;
   la sentenza consegue a un ricorso per Cassazione presentato dal comune di Pineto al fine di imporre il pagamento dell'allora imposta comunale sugli immobili (meglio conosciuta come ICI) ad ENI e in particolare sulle sue installazioni — piattaforme di ricerca ed estrazione petrolifera-presenti nel mare territoriale;
   secondo la Corte, «sull'intero territorio dello Stato, ivi compreso il mare territoriale, convivono e si esercitano i poteri dello Stato contestualmente ai poteri dell'Ente regione e degli Enti locali»: per questo motivo «non è configurabile, quindi, che su una porzione “del territorio inteso in senso lato su cui si esercita la sovranità dello Stato” non convivano i poteri delle autorità regionali e locali»; se, infatti, per assurdo, su parte di questo territorio, ricoperto dal mare territoriale, non venissero esercitati poteri amministrativi della regione e del comune, «ne deriverebbe la necessaria conseguenza che, nell'ipotesi di costruzione su palafitte nel mare territoriale, i Comuni non avrebbero nessuna possibilità di esercitare le funzioni amministrative loro proprie»;
   è stata chiaramente rigettata, quindi, la tesi secondo la quale i fabbricati che insistono sul mare non rientrino nella potestà amministrativa degli enti locali, quindi i proprietari degli stessi non solo non godono dei vantaggi connessi alla loro esclusiva ubicazione, ma neanche di quelli di natura fiscale derivanti dalla non tassabilità degli immobili alle imposizioni locali;
   a seguito della sentenza della Corte di Cassazione, anche altri comuni hanno recapitato alle compagnie petrolifere richieste di pagamento del tributo: il comune di Falconara Marittima (Ancona) pretende dall'Api 1,2 milioni di euro; le fonti di stampa riportano che richieste milionarie sarebbero arrivate anche all'Edison dai comuni di Pedaso e Porto Sant'Elpidio (Fermo), Tortoreto (Teramo) e Termoli (Campobasso); è di qualche mese fa la notizia apparsa sui quotidiani nazionali (http://ricerca.repubblica.it/) di un verbale del 28 luglio 2015 redatto dalla guardia di finanza — nucleo, tributario di Ragusa nei confronti della Edison e della Eni in relazione al «Campo Vega», la più grande piattaforma petrolifera dell’offshore italiano, che non avrebbe pagato né l'Imu, per il biennio 2012-13, né l'Ici per il biennio 2010-11 (per complessivi 11,4 milioni di euro); nota è poi la situazione del comune di Gela, già da anni impegnato in un contenzioso con ENI spa per il recupero delle imposte ICI/IMU sulle piattaforme petrolifere antistanti lo specchio territoriale del comune;
   la sentenza della Corte di Cassazione è stata poi ripresa anche dai giudici di merito: nel novembre 2012 la commissione regionale del Molise ha accolto il ricorso presentato dal comune di Termoli, condannando l'Edison al pagamento al comune molisano di 9 milioni di euro (7,748 titolo di Ici e 1,2 di interessi);
   non mancano tuttavia orientamenti contrari delle commissioni tributarie: nel dicembre 2009 e 2012 la commissione tributaria regionale d'Abruzzo, ribaltando le sentenze pronunciate dai giudici di primo grado, ha dato ragione all'Eni secondo il principio che le piattaforme non sarebbero accatastabili e quindi non suscettibili di imposizione;
   sarebbe dunque auspicabile un intervento normativo volto a far chiarezza sul punto, sancendo definitivamente la tassabilità della piattaforme petrolifere in relazione ai tributi locali; la tesi della non tassabilità ai fini locali delle piattaforme petrolifere è in palese violazione dell'articolo 118 della Costituzione, che riconosce a comuni, le province e le città metropolitane la titolarità di «funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze» sull'intero territorio dello Stato, ivi compreso il mare territoriale; il territorio nazionale – intesa tale espressione come spazio nell'ambito del quale si esercita la potestà d'imperio dello Stato — comprende infatti, oltre la terraferma, anche il mare territoriale: «Non si può quindi negare — si legge nella motivazione della sentenza della Suprema Corte – che, in assenza di un autonomo criterio di determinazione dei limiti del territorio comunale, debbono valere al riguardo le stesse regole dettate in materia di demarcazione del territorio nazionale, atteso che non sussistono elementi che possono far pensare che il territorio comunale sia un'entità diversa, dal punto di vista qualitativo, dal territorio nazionale. Né, d'altra parte, il fatto che siano stati espressamente conferiti allo Stato determinati poteri autoritativi aventi ad oggetto attività che si svolgono sul mare territoriale può significare che si sia voluto impedire ad altre autorità amministrative di esercitare il loro potere sul medesimo bene. È incontrovertibile che nella stessa circoscrizione territoriale statuale agisce anche il Comune, quale ente pubblico autonomo e autarchico, e che tutto il territorio della Repubblica è diviso in Comuni, per cui non possono sussistere parti di territorio dello Stato italiano, e aggregati di persone viventi sullo Stato italiano, che non appartengano ad un Comune. Ulteriore conferma la troviamo nelle autorizzazioni che debbono essere rilasciate dalla Capitaneria di porto, nelle quali si precisa che le concessioni comunali relative alle strutture che insistono sul lidi demaniali vengono individuate nel Comune di appartenenza, e quindi l'ambito del territorio comunale, per i poteri di sua competenza, deve essere necessariamente esteso anche al mare territoriale che lambisce detto territorio»;
   si evidenzia inoltre come il recupero di tali imposte da parte dei comuni consentirebbe di introitare ingenti risorse finanziarie, che potrebbero essere utilizzate anche come misure compensative per la riduzione o esenzione di tributi locali per fabbricati e insediamenti industriali in genere –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative normative per far chiarezza in merito alla tassabilità ai fini delle imposte locali delle piattaforme petrolifere, uniformandosi all'orientamento espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 21 febbraio 2005, n. 13794, e, in caso affermativo, se ritenga estendibili i principi espressi in tema di IMU/ICI anche agli altri tributi locali (TASI e TARI), trovando anch'essi il presupposto impositivo nel possesso dell'immobile. (5-06937)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DA VILLA, COZZOLINO, SPESSOTTO e PETRAROLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Poveglia, isola della laguna di Venezia, storicamente abitata da una popolazione dedita prevalentemente alla pesca, dopo una lunga vicenda che va dal suo ruolo in seguito all'invasione longobarda del VI secolo d.C. fino a quando, circa millecento anni dopo, fu adibita a stazione per il rimessaggio e la sosta delle imbarcazioni e per l'immagazzinamento di attrezzature di bordo, venne infine assegnata al Magistrato alla Sanità. Dal 1782 le sue strutture servirono al controllo di uomini e merci e, all'occorrenza, funsero da lazzaretto. Mantenne le funzioni di stazione per la quarantena marittima per tutto l'Ottocento e fino al secondo dopoguerra. Nell'ultimo periodo, gli edifici che vi sorgono furono in parte adibiti a convalescenziario geriatrico, ma dal 1968 anche questo utilizzo venne dismesso e l'isola fu ceduta al Demanio. Per un periodo i suoi terreni furono assegnati a un agricoltore, mentre gli edifici andavano progressivamente in rovina. Da allora l'isola è stata oggetto di vari progetti di recupero che tuttavia non sono mai stati attuati. Nel 1997 il Centro Turistico Studentesco e Giovanile presentò un piano per la realizzazione di un ostello della gioventù; nel 1999, di conseguenza, il Ministero del tesoro escluse Poveglia dai beni da vendere ai privati e la riconsegnò al demanio perché venisse concessa al CTS, ma l'iniziativa non andò in porto. Dal 2003 l'isola è gestita, come altre, da Arsenale di Venezia s.p.a., compartecipata dal Comune di Venezia e dall'Agenzia del Demanio;
   nell'aprile 2013 si diffonde la notizia dell'intenzione, da parte dell'Agenzia del Demanio, di mettere sul mercato l'isola, nell'ambito del progetto «ValorePaese» che coinvolge anche San Giacomo in Paludo e che, riprendendo le parole della stampa locale, è «promosso dall'Agenzia del Demanio in collaborazione con Ance e Invitalia» e «raccoglie progetti di sviluppo imprenditoriale finalizzati al recupero dei beni pubblici su tutto il territorio nazionale con la concessione di valorizzazione fino a 50 anni. Partirà a breve il bando per la concessione a privati per riconvertirle a finalità turistico-ricettive, commerciali e residenziali»;
   quasi subito la stampa locale diede conto di alcune perplessità sull'operazione, connesse soprattutto alla situazione di San Giacomo in Paludo; in un articolo dedicato alla notizia, vengono così menzionati precedenti non benauguranti: «Finora gli insediamenti di tipo alberghiero sulle isole della laguna non hanno avuto grande esito e il caso più eclatante è quello di San Clemente, con un costoso intervento di trasformazione che si è poi arenato di fronte alle difficoltà economiche della gestione del nuovo hotel allargato a tutta l'isola. Per quanto riguarda Palazzo Erizzo Molin, affacciato sul Canal Grande, in puro stile gotico fiorito, l'Agenzia del Demanio, con un bando pubblico, lo aveva già offerto interamente in affitto a 530 mila euro all'anno, ma senza grande successo»;
   nel marzo 2014 viene annunciato e pubblicato un bando che, tra altro, prevede «la cessione per 99 anni della proprietà superficiaria dell'Isola di Poveglia a Venezia, costituita da tre isole molto vicine, due delle quali collegate da un ponte. Situato nella Laguna Sud, di fronte al Lido di Venezia». La gara telematica è contestualmente annunciata per il 7 maggio 2014 alle ore 11; nel darne notizia al pubblico (vedi La Nuova Venezia del 15 marzo 2014), la stampa locale spiega che le offerte si dovranno presentare entro le ore 16 del 6 maggio: «a contendersi Poveglia, dopo l'apertura delle buste saranno le migliori 5 offerte che verranno ammesse per la fase di rilancio successiva. Ognuno dei partecipanti all'asta potrà vedere il rilancio dell'altro e avrà un tempo minimo per decidere se continuare o meno», aggiunge Il Gazzettino dell'11 aprile 2014;
   prima ancora dell'asta, si svolgono incontri tra i soggetti interessati alla cessione, come quello avvenuto presso l'Agenzia del Demanio di Mestre, di cui dà conto in questi termini La Nuova Venezia dell'11 aprile 2014: «L'Isola rientra nella “top five” di 45 complessi immobiliari stimati dal Demanio superiori a 400 mila euro. Per adesso ne sono stati messi all'asta solo cinque. [...] Ieri mattina, nella sede dell'Agenzia del Demanio di Mestre, i possibili acquirenti di uno dei gioielli più corteggiati del patrimonio statale, si sono seduti uno vicino all'altro, studiandosi con finta indifferenza. Ad ascoltare i dettagli dell'asta c'erano infatti “pesci” di varie misure, grandi e piccoli: Umana, Santa Chiara, Fujiko International Trading, G&G Engineering, Te.Ca Immobiliare, Istituto Italiano dei Castelli, Vento di Venezia (“solo per curiosità” ha detto Alberto Sonino), due broker piemontesi e l’“Associazione Poveglia” che invece si è fatta sentire [...]»; nello stesso articolo, si riporta che nella preselezione delle offerte conterà solo l'aspetto economico, mentre, nel seguito, la valutazione «invece terrà conto del business plan», anche perché l'interesse pubblico, secondo quanto dichiarato dal direttore centrale Paolo Maranca, non è quello di vendere a tutti i costi, ma di concentrare i propri sforzi nel «gestire solo gli immobili utili alla pubblica amministrazione»;
   il 13 maggio 2014 i giornali locali riferiscono sull'andamento della gara, rivelando che l'offerta più alta, pari a 513.000 euro, proviene dall'allora patron di Umana, presidente della squadra di basket Reyer Venezia Mestre e da poco ex presidente di Confindustria Veneto, Luigi Brugnaro; Il Gazzettino riferisce dell'immediata dura reazione dei rappresentanti dell'associazione per Poveglia, che reputano impensabile una vendita dell'isola al «prezzo di un appartamento di 60 metri quadri alle Zattere, a Venezia», mentre Brugnaro, per circostanziare il senso economico della sua offerta, fa riferimento ad «almeno 20 milioni di euro da spendere obbligatoriamente per sistemare i 18 edifici esistenti nell'isola entro un tempo stabilito, sennò viene invalidato tutto»; sarà solo la commissione di congruità, tuttavia, a valutare le offerte e decidere;
   nel giugno 2014, l'offerta economica viene considerata incongrua e respinta, come riportato tra gli altri da La Nuova Venezia del 10 giugno 2014 e da Il Corriere del Veneto dell'11 giugno 2014;
   Umana reagisce annunciando di voler dare mandato ai suoi legali per il ricorso contro la decisione del Demanio, chiedendo al contempo che lo stesso «si faccia carico delle necessarie opere di bonifica e messa in sicurezza dell'intero complesso monumentale e ambientale dell'isola» (La Nuova Venezia del 24 giugno 2014); si fa inoltre presente che Umana ha a disposizione i 20 milioni di euro per i restauri che erano la condizione imprescindibile per la concessione, dando implicitamente a intendere, almeno a parere dell'interrogante, che forse altri aspiranti non sono altrettanto «dotati», e che i 513 milioni di euro dell'offerta rappresentano una frazione minima del reale investimento progettato nell'isola (La Nuova Venezia del 25 giugno 2014);
   il 3 ottobre 2014 Umana presenta effettivamente ricorso al TAR contro la decisione del Demanio; nelle cronache locali, viene precisato che si tratta di «un ricorso ordinario, senza nessuna istanza cautelare, il che significa che l'isola non è bloccata fino a quando non si conclude il processo, ma può essere ancora aperta a iniziative» e che «non è la prima volta che il Demanio riceve un ricorso, ma è la prima volta che qua uno fa ricorso per un caso di questo tipo» (La Nuova Venezia del 10 ottobre 2014);
   nel novembre 2014 (La Nuova Venezia del 19 novembre 2014) l'associazione Poveglia annuncia di voler tornare alla carica con il Demanio per avere l'isola in concessione: «La richiesta sarà fatta al Demanio il 10 dicembre, per tentare di dare una svolta “operativa” alla vicenda»; a dicembre 2014 avviene in effetti l'incontro con il capo del Demanio regionale, Allegroni, in cui l'associazione prospetta una «concessione d'uso della durata minima di 20 anni con una clausola risolutiva nel caso di soccombenza del giudizio contro Umana», e presenta un dossier di 35 pagine «in cui viene spiegato come rendere accessibile l'isola e come metterla in sicurezza in sei mesi, tutto fatto da volontari e senza guadagni per nessuno. La spesa sarebbe di 120 mila euro (32 mila aree verdi, area edificata 41 mila, rifiuti e scarichi 20 mila, attrezzature 12 mila, trasporti e approdi 10 mila, deposito attrezzi 5 mila), presi dal Fondo Scopo dei soci» (La Nuova Venezia del 13 dicembre 2014). Della proposta fatta al Demanio l'Associazione dà notizie anche ai propri soci, preoccupati per i tempi di risposta incerti (La Nuova Venezia del 21 dicembre 2014);
   ad aprile 2015, Luigi Brugnaro, già indicato come candidato a sindaco di Venezia, annuncia che Umana ha depositato la rinuncia al ricorso al TAR contro la decisione del Demanio, dichiarando tra l'altro che «se sarò eletto sindaco sull'area dei Pili non sarà sviluppato o realizzato alcun intervento, rimettendo tutte le decisioni ad una fase successiva» (La Nuova Venezia del 4 aprile 2015); la decisione di Brugnaro viene tacciata, da parte di alcuni ambienti della città, come il frutto di un mero opportunismo elettoralistico (La Nuova Venezia del 23 marzo 2015);
   si vanno intensificando, nel corso del 2015, le iniziative dell'Associazione «Poveglia per tutti», tra cui la «Vogapoveglia» di domenica 22 marzo 2015, rivolta a tutte le imbarcazioni a remi, in occasione della quale l'associazione, ottimista dopo l'incontro tra i suoi esponenti e il nuovo direttore del Demanio Vincenzo Capobianco, «che si è dimostrato molto disponibile al dialogo», ha ribadito l'intenzione di «ottenere dal Demanio la concessione della tanto desiderata isola per soddisfare la richiesta dei 4500 soci di non concederla ai privati e realizzare la cosiddetta “Fase Zero”, quella che mira a rendere accessibili le aree verdi e a mettere in sicurezza gli edifici. La prossima settimana verrà inviata ufficialmente al Demanio la richiesta di concessione che in questi giorni il gruppo volontario di avvocati e commercialisti sta preparando» (La Nuova Venezia del 6 marzo 2015);
   il 15 maggio 2015, La Nuova Venezia dà la notizia che «l'associazione Poveglia potrebbe ottenere la gestione per sei anni dell'omonima isola. [...] La richiesta è stata ufficialmente avanzata qualche giorno fa al direttore del Demanio, Vincenzo Capobianco, unita a un dossier in cui viene spiegato il progetto di recupero. Entro 45 giorni – prosegue l'articolo – si saprà se i volontari potranno concretizzare il primo passo per il restauro dell'isola che implica l'utilizzo di 400 mila euro, l'intera somma dei fondi versati dai soci finora. Come primo intervento si vorrebbe aprire il parco dell'isola, perimetrare le parti pericolanti e con 110 mila euro iniziare il restauro dell'edificio della casa del custode. Nel frattempo s'inizierebbe una raccolta fondi tramite crowd-funding per permettere ai soci di continuare il lavoro di recupero di Poveglia [...]. Il prossimo 21 giugno l'Associazione Poveglia organizzerà un presidio sull'isola, ma, a differenza dell'anno scorso [...], quest'anno il Demanio ha concesso tutto gratuitamente. Una bella sorpresa per i soci che hanno apprezzato il gesto di apertura»;
   nel corso dell'ultimo mese, dapprima la stampa ha riferito di un rifiuto che il Demanio avrebbe opposto alle dettagliate proposte dell'associazione Poveglia (La Nuova Venezia del 27 settembre 2015), poi ha dato conto dell'apertura di un importante spiraglio, a seguito dell'incontro che si sarebbe avuto il 15 ottobre 2015 tra il direttore nazionale del Demanio, Roberto Reggi, e una delegazione di quattro persone dell'associazione veneziana (Lorenzo Pesola, Giancarlo Ghigi, Sandro Capparelli e l'avvocato Francesco Mason), sui cui esiti così si esprime La Nuova Venezia del 17 ottobre 2015: «Reggi si è dimostrato molto interessato alla proposta dei cittadini di avere in concessione l'isola e ha gradito il dossier preparato dallo staff dove vengono spiegati i primi interventi, con tanto di dettagli economici. È da ricordare che di recente il Demanio di Venezia non aveva accettato la richiesta dell'Associazione Poveglia, rispondendo in modo sbrigativo e tirando in ballo senza spiegazioni il parere dell'amministrazione comunale, nonostante si tratti di un bene statale. Proprio per questo l'Associazione ha pronta una bozza per fare ricorso, in quanto la risposta è stata evasiva e mancante rispetto a come era stata presentata. I due percorsi, il ricorso e la richiesta di riprendere in considerazione la proposta, non si escludono. “Reggi – ha detto Pesola – ci ha riferito che è interessato a proposte di sussidiarietà orizzontale e che ne riparleremo dopo un incontro che avverrà a breve tra Demanio centrale, Regione e amministrazione comunale in cui si parlerà anche del destino altri beni demaniali”. Il nuovo bando, se fosse come quello sui fari, darebbe per il 60 per cento importanza al progetto e per il 40 per cento all'aspetto economico e potrebbe rappresentare l'ultima possibilità per l'Associazione Poveglia di avere in concessione l'isola per adibirla a spazio pubblico agibile»;
   all'interrogante non risulta che, a tutt'oggi, sia giunta alcuna risposta alla proposta contenente richiesta di concessione inoltrata il 6 maggio 2015 al Demanio da parte dell'associazione «Poveglia per tutti» –:
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda il Ministro interrogato promuovere affinché sia intrapreso un efficace percorso di concessione che, in conformità alla normativa e recependo la diffusa e motivata propensione a invertire la tendenza rispetto al modello di economia basata sulla monocultura del turismo, devastante nei suoi effetti sul centro storico veneziano, risponda all'esigenza di destinare l'isola di Poveglia a un utilizzo che favorisca il recupero delle sue strutture storiche e la sua fruizione più ampia possibile a beneficio della collettività.
(5-06957)

Interrogazione a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 19 marzo 2015 il sottosegretario per l'economia e le finanze onorevole Paola De Micheli ha dichiarato: «Non ci sarà alcun ridimensionamento dei servizi erogati dalla filiale di Fidenza dell'Agenzia delle Entrate, che manterrà piena operatività per il suo ampio bacino di utenza nelle province di Parma e Piacenza». «Non c’è all'orizzonte alcuna ipotesi di accorpamento della filiale di Fidenza con quella di Parma, né tanto meno di una riduzione dei servizi (...)»;
   nonostante le rassicuranti dichiarazioni di questo membro del Governo, il direttore centrale amministrazione pianificazione e controllo di Agenzia delle entrate con nota protocollo 5366 del 26 agosto 2015, su richiesta della regione Emilia-Romagna sollecitata da un'interrogazione del Consigliere regionale Fabio Rainieri, ha affermato: «La chiusura dell'ufficio territoriale di Fidenza rientra in un disegno complessivo di riorganizzazione delle strutture territoriali dell'Agenzia, definito in coerenza con le previsioni della legge sulla spending rewiew (decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135)» per cui verrà mantenuto in loco «un piccolo contingente di 4-5 addetti alle attività di controllo direttamente dipendente dall'ufficio (della Direzione provinciale) di Parma. L'Amministrazione comunale di Fidenza si è mostrata disponibile a concedere in comodato d'uso gratuito i locali necessari». Sempre secondo il dirigente centrale: l'immobile attualmente occupato dalla Filiale di Fidenza è destinato ad ospitare uffici dell'Arma dei Carabinieri; ulteriore ragione per cui si procede alla revisione degli uffici sono «le innovate modalità operative connesse all'aumento dell'informatizzazione dei servizi»;
   attualmente la filiale dell'Agenzia delle entrate di Fidenza è l'unica presente nei 70 chilometri tra le città di Parma e Piacenza dopo la riduzione a semplice sportello di quella di Fiorenzuola d'Arda e serve un ampio bacino di utenza di quasi 80.000 abitanti che comprende i comuni di Fidenza, Salsomaggiore Terme, Busseto, Noceto, Fontevivo, Bore, Polesine Parmense, Soragna e Zibello, caratterizzato da un tessuto economico di notevole importanza che sarebbe più difficilmente gestibile concentrando tutti i servizi fiscali e il presidio contro l'evasione sulla sola sede centrale di Parma;
   il suo declassamento a sportello comporterebbe l'erogazione di servizi minimi con la perdita di importanti attività a servizio del tessuto economico e sociale del territorio sopra ricordato, quali gli sgravi di cartelle esattoriali, le dichiarazioni di successione, controlli fiscali, consulenze in back office, tutti servizi che andrebbero ad ingolfare la sede di Parma;
   l'ufficio di Fidenza non avrebbe carichi di lavoro per addetto così esigui da giustificare un suo così drastico ridimensionamento in quanto in esso sono state eseguite lavorazioni per conto della sede di Parma e per diverse linee lavorative la media di Fidenza avrebbe sempre raggiunto i propri obiettivi di budget;
   il personale che opera nell'ufficio di Fidenza è costituito da un rilevante numero di lavoratori di quasi 60 anni ed in prossimità della pensione (quindi con il conseguente auto-ridimensionamento della struttura nei prossimi anni), sia da lavoratori con importanti carichi familiari (bambini, anziani ed invalidi);
   la sede attualmente occupata dalla filiate di Fidenza il cui contratto di locazione scade nel 2023, è stata ristretta da 1900 metri quadri, a 1164 metri quadri con notevole risparmio nei costi di affitto e gestione, oltre che ristrutturata per renderla più funzionale, tutto a spese dell'Agenzia delle Entrate solo nel 2013 per un costo di 450000 euro;
   il territorio relativo al sopra descritto bacino di utenza è già oggetto di una progressiva dismissione di servizi statali, in particolare dopo la chiusura degli uffici del tribunale a Fidenza;
   la sede dell'Agenzia delle entrate di Parma presso la quale verrebbero concentrati la gran parte dei servizi ora erogati dalla filiale di Fidenza non è agevolmente raggiungibile coi mezzi pubblici da chi proviene dalla parte occidentale della provincia di Parma e molto probabilmente avrebbe bisogno di adeguamenti funzionali per potere gestire l'aumento di attività conseguente al ridimensionamento di Fidenza attraverso ulteriori investimenti pubblici –:
   quale sarebbe il risparmio di spesa pubblica relativo alla sede attuale dell'ufficio territoriale di Fidenza se l'immobile non fosse ceduto ma destinato ad ospitare altra amministrazione dello Stato;
   se non ritenga che le stesse innovate modalità operative connesse all'aumento dell'informatizzazione dei servizi che giustificherebbero il ridimensionamento degli uffici territoriali, possano essere applicate anche al personale attualmente in carico alla filiale di Fidenza qualora, grazie alla disponibilità del comune di Fidenza, possa trovare nuova collocazione lavorativa in una nuova sede in comodato gratuito, consentendo così di mantenere inalterata l'offerta di servizi alla cittadinanza con particolare riguardo a quella fascia della popolazione che per età anagrafica o condizione sociale e culturale trova difficoltà all'utilizzo dei servizi informatici;
   se intenda intervenire affinché la direzione centrale dell'Agenzia delle entrate ripensi la sua decisione di ridimensionare drasticamente la filiale di Fidenza valutando più accuratamente che, secondo le considerazioni sopra esposte, non porterebbe a rilevanti risparmi ma solo alla riduzione di servizi ai cittadini in un territorio peraltro già immeritatamente penalizzato. (4-11061)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il gravissimo fenomeno dei sequestri di persona che nel passato ha duramente colpito diverse regioni italiane tra le quali principalmente la Sardegna ha provocato gravissime conseguenze alle vittime di tale fenomeno;
   in molti casi tali fenomeni hanno generato e generano ancor oggi effetti devastanti sulle famiglie e sulle stesse vittime dei sequestri, anche di natura economica;
   in analogia alle misure di prevenzione previste per il fenomeno mafioso è indispensabile attivarsi, anche attraverso norme ad hoc, per prevedere la confisca dei beni illecitamente accumulati e la loro devoluzione ad un fondo unico destinato alle vittime dei sequestri e a scopi sociali;
   è indispensabile perseguire, attraverso l'estensione delle norme vigenti, al sequestro e confisca dei beni dei malavitosi, realizzati con i capitali provenienti da delitto, con la loro devoluzione a favore di un fondo unico nazionale per le vittime dei sequestri e della comunità per scopi di carattere sociale;
   tale esigenza porrebbe fine a gravissime ingiustizie e discriminazioni tra le vittime di questi fenomeni delinquenziali;
   è eloquente il drammatico racconto del sequestrato Giuseppe Vinci che ancor oggi è costretto a pagare il riscatto del suo sequestro: «Ci bloccarono i beni e i conti di famiglia per impedire ai miei cari di pagare i rapitori, ma la cosa più grave è che poi l'erario ha preteso le tasse sui soldi utilizzati per il mio riscatto, causando così il fallimento delle nostre aziende»;
   Giuseppe Vinci aveva 31 anni quando, il 9 dicembre 1994, mentre rientrava a casa in auto, fu bloccato nello svincolo della 131 per Macomer e Borore;
   un incubo durato sino al 15 ottobre 1995, quando fu rilasciato in Ogliastra dopo pagamento di 4 miliardi e 250 milioni di lire;
   il racconto di Vinci è eloquente: «la mia famiglia si era trovata di fronte a una richiesta assurda di 10 miliardi di lire, che erano più di 10 milioni di euro di oggi. Tantissimi soldi che naturalmente non avevamo. Ma a complicare le cose c'era soprattutto il fatto che dal 1991 era in vigore la legge sul blocco dei beni»;
   furono versati ai banditi 4 miliardi e 250 milioni di lire, che arrivarono da Milano dentro alcune valigie;
   dopo che rilasciarono il sequestrato la magistratura sbloccò i beni e la famiglia Vinci andò subito in banca ritirando la stessa cifra in assegni, doveva restituire il denaro a chi glielo aveva prestato;
   fondi sui quali poi il fisco ha chiesto di pagare le tasse come se fossero un bene voluttuario;
   l'erario su quei 4 miliardi chiese un miliardo e 750 milioni di lire;
   la famiglia Vinci non aveva quella disponibilità, c'erano i debiti strutturali dell'azienda e quei 4 miliardi e 250 milioni da restituire;
   a quel punto la famiglia vittima del sequestro è costretta a versare non soltanto le tasse sul riscatto, ma anche gli interessi alle banche;
   l'azienda, che dava lavoro a 250 dipendenti, è fallita;
   quel sequestro costringerà quella famiglia a pagare debiti sino al 2023 per aver preteso di far tornare libero il proprio congiunto –:
   se il Governo ritenga di dover proporre iniziative normative utili a gestire i beni sequestrati o confiscati ai responsabili di sequestri di persona al fine di istituire un fondo unico per il sostegno alle vittime di tale fenomeno assimilabile al fenomeno mafioso;
   se il Governo ritenga di assumere iniziative per prendere, attraverso l'istituzione di un fondo finanziato dai beni sequestrati o confiscati ai soggetti ritenuti colpevoli di sequestri di persona, forme di indennizzo e sostegno a quelle famiglie che sono state vittime di sequestri di persona e alle stesse imprese di proprietà delle famiglie colpite da tali fenomeni. (5-06933)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MURA. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   il destino della depenalizzazione dei reati minori, soprattutto per quanto concerne il reato di immigrazione clandestina (già «bocciato» dall'Unione europea), quello di coltivazione, senza autorizzazione, di piante da cui si estraggono sostanze stupefacenti, oltre che sul reato di disturbo del riposo delle persone, è legato all'attuazione della relativa delega entro il 17 novembre 2015;
   da notizie di stampa si apprende che gli uffici giudiziari sono in fibrillazione;
   gli stessi uffici, confidando nell'attuazione della legge delega da parte del Governo, da tempo hanno congelato (d'accordo con la difesa) centinaia di migliaia di procedimenti relativi ai reati da depenalizzare (soprattutto immigrazione clandestina e omesso versamento di ritenute previdenziali fino a 10 mila euro) rinviandoli a dopo l'approvazione dei decreti legislativi;
   se i decreti dovessero saltare, in tutto o in parte, quei procedimenti si rovescerebbero sulle spalle degli uffici, con conseguenze pesanti sui carichi di lavoro e sulla durata dei processi;
   l'eventualità che i decreti legislativi non vengano approvati, fanno sapere moltissimi uffici di procura e tribunale, costituirebbe un «colpo mortale»;
   la depenalizzazione dei reati tributari, come l'omesso versamento dell'Iva fino a 250 mila euro, viene considerato dagli uffici giudiziari una norma giusta, perché oggi il reato costringe a condanne detentive irrisorie, di due mesi o poco più, al termine di un procedimento che dura tre gradi di giudizio per un mancato pagamento di fatto già accertato dall'Inps;
   con la depenalizzazione, oltre a risparmiare tempo e risorse, scatterebbe una (più rapida) sanzione amministrativa tra 10 mila e 50 mila euro, a meno che il datore di lavoro non versi le omesse ritenute entro 3 mesi dalla contestazione;
   quanto all'immigrazione clandestina, lo schema di decreto predisposto dalla giustizia prevedeva l'abrogazione secca del reato (punito con una multa) e lasciava sopravvivere la procedura amministrativa di espulsione;
   la Corte di giustizia dell'Unione europea ha «bacchettato» l'Italia ritenendo che il reato di clandestinità sia contrario alle direttive europee perché non garantisce l'obiettivo dell'effettiva espulsione dello straniero;
   la relativa norma, infatti, viene spesso disapplicata anche se, rimanendo il reato formalmente in vita, i migranti spesso si ritrovano indagati con gli scafisti per reato connesso;
   una contraddizione, visto che nel frattempo la giurisprudenza ha «cancellato» sia l'aggravante di clandestinità (che aggravava qualunque reato commesso dallo straniero semplicemente perché «clandestino») sia la responsabilità penale dello straniero che, entrato in Italia clandestinamente e destinatario di un foglio di via per lasciare il Paese, rimanesse nel territorio italiano –:
   quali iniziative intenda assumere affinché vengano approvati i decreti legislativi relativi alla depenalizzazione dei reati minori, in particolare quelli concernenti i reati tributari e l'immigrazione clandestina;
   quali iniziative intenda adottare per evitare che centinaia di migliaia di procedimenti relativi ai reati da depenalizzare, «congelati» in attesa dell'attuazione della legge delega, si rovescino sulle spalle degli uffici, con conseguenze pesanti sui carichi di lavoro e sulla durata dei processi, con una palese violazione del diritto dei cittadini ad avere un processo in tempi ragionevoli. (4-11060)


   CAPELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 81 del 2014 ha stabilito il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) ed il conseguente trasferimento degli internati alle residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza (REMS);
   in attuazione di quanto disposto dalla legge, il 24 febbraio 2015 la Conferenza unificata ha siglato un accordo con il quale si dispone che le assegnazioni e i trasferimenti degli internati delle REMS debbano essere effettuati sulla base del principio di territorialità;
   detto principio, richiamato in premessa dell'accordo citato, impegna regioni e province a garantire l'accoglienza nelle proprie REMS di persone sottoposte a misura di sicurezza detentiva residenti nel proprio ambito territoriale regionale o provinciale;
   l'articolo 1, comma 4, del suddetto accordo stabilisce che la territorialità si fondi sull'accertata residenza degli internati;
   il titolo V della parte II della Costituzione ha introdotto espressamente (articolo 120, comma 2), il riferimento al principio di leale collaborazione nei rapporti tra Stato, regioni ed enti locali, mentre la Conferenza unificata è considerata sede privilegiata della negoziazione politica tra le amministrazioni centrali e quelle periferiche, all'interno della quale si esplica al meglio il citato principio di leale collaborazione;
   detto principio non è stato, però, rispettato, dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) del Ministero della giustizia che ha deciso di inviare un internato che non risulta attualmente detenuto in Sardegna – Luigi Chiatti – nel REMS di Capoterra in Sardegna;
   appare evidente all'interrogante che il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria abbia agito in contrasto con il detto principio di leale collaborazione, giacché ha effettuato assegnazione e trasferimenti degli internati alla EMS sarda ignorando il principio di territorialità sancito dal citato accordo del 24 febbraio 2015;
   è singolare, tra l'altro, la spiegazione che il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha ritenuto di dare in replica ad una diffida per la violazione del principio di territorialità: «Tuttavia, con il venir meno della concreta disponibilità di posti letto presso le REMS attive e tenuto conto della mancata attivazione da parte di alcune Regioni delle strutture nel proprio territorio, questa Direzione Generale è stata costretta a designare, per l'assegnazione delle persone raggiunge da provvedimenti di applicazione di una misura di sicurezza detentiva, le strutture già attive nelle Regioni limitrofe (...)»;
   il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria aggiunge inoltre che «la Regione Sardegna ha previsto un numero di posti letti insufficiente ad accogliere tutti i 10 pazienti con residenza nel proprio territorio di riferimento, ancora ospitati negli OPG, e che, pur riassegnando i due pazienti non residenti nella Regione Sardegna in strutture residenziali di altra Regione, la REMS di Capoterra non sarebbe comunque in grado di accogliere i propri pazienti (...)». Da che sembra dedursi che la REMS di Capoterra non è in grado di accogliere pazienti residenti in Sardegna, ma è in grado di accogliere un paziente proveniente da altra regione;
   le risposte, a giudizio dell'interrogante illogiche, del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria mostrano, in realtà, un evidente imbarazzo nel giustificare una decisione che appare, invece, ingiustificabile –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere per evitare che l'accordo del 24 febbraio 2015 venga così clamorosamente disatteso da una struttura dello Stato centrale, che ad avviso dell'interrogante mostra di non aver compreso lo spirito di riforma del Titolo V della parte II della Costituzione, prediligendo una concezione verticale e gerarchica dei rapporti tra Stato, regioni ed enti locali che dovrebbe essere ormai «fuori gioco», vista l'introduzione del principio di leale collaborazione più volte ricordato. (4-11069)


   GIACHETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 14 agosto 2015 una ragazza di 27 anni, Ramona Cortese, muore nel carcere Don Bosco di Pisa;
   secondo quanto riportato dalla stampa, la giovane donna si sarebbe suicidata impiccandosi con un lenzuolo alla sbarre della finestra della cella;
   il 20 ottobre 2015, la sorella della ragazza, Consuelo, si mette in contatto con l'ex deputata Radicale Rita Bernardini chiedendole aiuto per far chiarezza sulla morte di Ramona, in quanto il quadro del drammatico gesto ai suoi occhi e a quello della sua famiglia non risulta chiaro;
   il 22 ottobre, nel corso della trasmissione di Radio Radicale «Radio Carcere», viene trasmessa un'intervista del conduttore Riccardo Arena alla signora Consuelo Cortese, sorella di Ramona;
   ai fini dell'accertamento dei fatti, particolarmente interessanti sono alcuni passaggi dell'intervista, di cui si riporta la trascrizione:
  «Riccardo Arena: da quanto sapete voi familiari, come si sarebbe impiccata Ramona?
  Consuelo Cortese: si sarebbe impiccata con un lenzuolo... un lenzuolo appeso alla finestra del carcere... chi dice con una striscia, chi dice con un lenzuolo intero.
  Riccardo Arena: dal carcere non ci sono notizie univoche...
  Consuelo Cortese: no.
  Riccardo Arena: quand’è che Ramona è stata vista ancora viva in carcere?
  Consuelo Cortese: alle 16 del 14 agosto, l'ha vista la guardia che faceva il giro di ronda prima che staccasse di turno; l'agente dichiara che era in cella tranquillissima e che non dava segni di squilibrio...
  Riccardo Arena: a che ora sarebbe morta sua sorella?
  Consuelo Cortese: è stato fatto il secondo giro di ronda alle 16.05 ed è stata trovata appesa.
  Riccardo Arena: è stata trovata morta o ancora viva?
  Consuelo Cortese: penso morta perché l'hanno tirata giù con l'aiuto di un'altra detenuta perché la guardia stava facendo il giro di ronda assieme all'infermiera della terapia e quando passano davanti alla cella 109 di mia sorella trovano il blindo accostato, aprono per chiamarla e la trovano appesa...
  Riccardo Arena: trovano la porta della cella socchiusa?
  Consuelo Cortese: sì, socchiusa.
  Riccardo Arena: chi la trova appesa?
  Consuelo Cortese: l'infermiera e la guardia che aveva appena attaccato; l'infermiera scappa giù in infermeria per chiedere soccorsi e prendere un paio di forbici, mentre la guardia apre la cella 108 e si fa aiutare da una detenuta per tirarla giù e infatti dichiara che secondo lui il lenzuolo era intero perché il nodo era parecchio grosso.
  Riccardo Arena: voi familiari come avete saputo che Ramona si era uccisa?
  Consuelo Cortese: tramite telefono.
  Riccardo Arena: chi vi ha chiamato?
  Consuelo Cortese: la polizia penitenziaria ha chiamato i carabinieri di Scarlino e il comandante dei carabinieri di Scarlino ha chiamato la mia mamma tramite telefono: “signora, abbiamo da darle una brutta notizia, sua figlia si è impiccata, si è tolta la vita impiccandosi”...
  Riccardo Arena: sua madre si sarà sentita male, immagino.
  Consuelo Cortese: sì, certo. Mia madre è cardiopatica, ha avuto due infarti... abbiamo dovuto chiamare il 118 perché stava proprio male.
  Riccardo Arena: a che ora vi hanno telefonato per comunicarvi il decesso?
  Consuelo Cortese: verso le 6 (diciotto N.d.R.).
  Riccardo Arena: quindi passano due ore...
  Consuelo Cortese: sì perché prima hanno provato a rianimarla... c’è scritto nella relazione del carcere... e il decesso viene dichiarato alle 5 (diciassette N.d.R.) e due minuti.
  Riccardo Arena: quindi voi non avete ricevuto alcuna comunicazione da parte della direzione del carcere di Pisa?
  Consuelo Cortese: no, addirittura siamo andati a Pisa, il tempo di far riprendere mia madre con il 118 e tutto... si arriva a Pisa tra le 9 e le 10 di sera e il corpo non sapevano nemmeno dove l'avevano portato.
  Riccardo Arena: quindi nessun dirigente o funzionario del carcere di Pisa vi ha telefonato per comunicarvi il decesso di Ramona?
  Consuelo Cortese: no, né quel giorno né i giorni successivi.
  Riccardo Arena: e per di più non avete ricevuto una visita dei carabinieri, ma una telefonata secca, asettica.
  Consuelo Cortese: sì.
  Riccardo Arena: insistevo su questo punto perché l'articolo 63 del regolamento penitenziario prevede che, in caso di decesso di un detenuto, la direzione dell'istituto ne dà immediata comunicazione a un congiunto con il mezzo più rapido e le modalità più opportune... un'ennesima violazione di legge, mi sembra evidente, no? ...Noi scriviamo le leggi tanto per violarle. Ricevuta la notizia del decesso, voi prendete subito la macchina e da Follonica andate verso il carcere di Pisa, giusto?
  Consuelo Cortese: sì, arriviamo tra le 9 e le 10 (di sera), l'orario più preciso non me lo ricordo.
  Riccardo Arena: cosa vi hanno risposto alla portineria del carcere?
  Consuelo Cortese: che loro non sapevano nulla, non sapevano cosa fosse successo, non sapevano di questa persona morta e, solo dopo che io mi sono arrabbiata tanto, hanno fatto due chiamate e hanno detto che effettivamente c'era stato un suicidio nel reparto femminile ma che non sapevano dove fosse stato portato il corpo: “provi a vedere se è a Santa Chiara” – mi hanno detto – “se non è a Santa Chiara è a Cesanello”...
  Riccardo Arena: mi faccia capire: voi parenti disperati, vi recate da Follonica al Carcere di Pisa e in portineria vi dicono di non sapere nulla?
  Consuelo Cortese: sì, la guardia ha detto “guardi, io ho attaccato ora...”. Io ho urlato talmente tanto presa dalla rabbia e dal dolore che dalla portineria sono usciti quattro poliziotti e solo a quel punto mi hanno detto “se non è a Santa Chiara, è a Cesanello”.
  Riccardo Arena: e poi vi siete messi alla ricerca del corpo di sua sorella...
  Consuelo Cortese: sì, prima siamo andati al Santa Chiara, ma non riuscivamo ad entrare nella zona guidati dal navigatore... così siamo andati a Cesanello e lì per fortuna un'infermiera e una guardia giurata hanno fatto le ricerche tramite computer e ci hanno detto che mia sorella era all'obitorio del Santa Chiara che però era chiuso essendo la sera di ferragosto. Inoltre ci hanno detto che il corpo era sotto sequestro a disposizione del magistrato e perciò non si poteva vedere. Sono stati giorni tremendi perché alla fine, per via delle feste, ce l'hanno fatta vedere il 18 agosto.
  Riccardo Arena: nei giorni antecedenti il suicidio, lei è mai andata a trovarla in carcere?
  Consuelo Cortese: sì, ci sono andata. Mi diceva che ogni tanto aveva avuto discussioni con qualche detenuta. Un'altra volta mi ha detto che ha avuto una discussione con una guardia...
  Riccardo Arena: è stata picchiata?
  Consuelo Cortese: sì. Un'altra volta mi ha raccontato che le davano i tranquillanti e psicofarmaci... non cosa le davano... una volta ci hanno messo un'ora e mezzo per svegliarla perché non si svegliava più e le hanno dovuto fare un'iniezione di adrenalina...
  Riccardo Arena: insomma, a sua sorella una volta hanno dato talmente tanti psicofarmaci che non riusciva più a svegliarsi da quel sonno chimico, da quel sonno profondo, tanto che le hanno dovuto fare un'iniezione di adrenalina?
  Consuelo Cortese: sì.
  Riccardo Arena: quando il 18 agosto avete visto il corpo senza vita di Ramona, avete notato qualcosa di strano?
  Consuelo Cortese: sì, ho notato che mia sorella non aveva segni sul collo. Aveva solo un'escoriazione sul mento destro, come se avesse sbattuto o strusciato contro qualcosa, non so come se avesse ricevuto un cazzotto. Non aveva né segni sul collo, né labbra viola, né capillari rotti in faccia. Mia sorella sembrava che dormisse, addirittura aveva le gotine (guance ndr) rosa e due piccole lacrime negli occhi. Io non ci credevo fosse morta... perché era troppo bella per essere morta.
  Riccardo Arena: come capita sempre in questi casi, il pubblico ministero apre un'indagine e immediatamente dispone l'autopsia del cadavere. Ecco, ma l'autopsia che è stata disposta per comprendere le cause della morte di Ramona, è stata fatta sì o no?
  Consuelo Cortese: è stata fatta, ma noi non abbiamo ricevuto ancora notizia. Ci hanno dato 60 giorni per i risultati, ma ancora non abbiamo ricevuto niente...
  Riccardo Arena: e quando l'avrebbero fatta quest'autopsia, lo sa il giorno?
  Consuelo Cortese: il 18 agosto...
  Riccardo Arena: quindi i sessanta giorni sono passati e oggi che è il 22 ottobre, ancora non sapete niente.
  Consuelo Cortese: no.
  Riccardo Arena: so che avete nominato un vostro medico legale, un vostro consulente tecnico...
  Consuelo Cortese: sì, l'abbiamo contattato la settimana scorsa tramite avvocato e ci ha detto che il pubblico ministero e il medico legale del pubblico ministero non sono ancora pronti per andare avanti con gli esami perché hanno avuto altre cose più importanti da fare.
  Riccardo Arena: il corpo di Ramona quanto è rimasto nell'obitorio?
  Consuelo Cortese: quando ho visto il corpo di Ramona e mi sono convinta che non poteva essersi impiccata avendo quel viso così rilassato, io ho chiesto subito al nostro legale di presentare un'istanza di sequestro e di lasciare il corpo in cella frigorifera per ulteriori esami. L'istanza di sequestro è partita il 19 agosto mattina tramite email al pubblico ministero e, da quel momento, tutto tace fino al 4 settembre quando arriva la telefonata del Santa Chiara alle pompe funebri con la richiesta di andare a ritirare il corpo; non hanno chiamato a noi che siamo i familiari né al nostro avvocato. Il signore delle pompe funebri chiese se il cadavere era sotto sequestro e dal Santa Chiara risposero “questo corpo è pronto dal 18 di agosto!” Il nulla osta del Santa Chiara non è mai partito, se lo sono perso!
  Riccardo Arena: perciò mentre voi pensavate che il corpo di Ramona fosse sotto sequestro conservato in ospedale come era stato richiesto, invece, era lì come una valigia persa?
  Consuelo Cortese: certo, se l'erano perso...
  Riccardo Arena: quindi voi fate i funerali a Ramona a molta distanza di tempo?
  Consuelo Cortese: e certo! S’è fatto il 5 di settembre!
  Riccardo Arena: a distanza di tutto questo tempo ancora non avete avuto i risultati dell'autopsia?
  Consuelo Cortese: no!
  Riccardo Arena: e nessuno vi dice niente?
  Consuelo Cortese: no, tutto tace.
  Riccardo Arena: voi a un certo punto vi siete recati anche presso il carcere Don Bosco di Pisa per ritirare gli effetti personali di Ramona?
  Consuelo Cortese: Sì, ci hanno portato un sacchetto nero con tre quattro cianfrusaglie di panni e dicendo che quella era tutta la roba di mia sorella. Quando ho aperto il sacchetto, ho visto che più della metà della roba non era di mia sorella. “ È questo quello che ho trovato dentro la cella”, mi ha detto la portantina. Io le ho replicato che mia sorella era entrata con una valigia, un paio di scarpe, con dei pantaloni lunghi, con magliette a maniche corte: dov’è tutta la roba di mia sorella? La portantina mi ha risposto “nella stanza c'era questo”. Altra discussione, altro litigio e allora sono andati a fare le ricerche in magazzino e dopo un'ora che cercavano hanno trovato la valigia con tutti i suoi effetti personali.
  Riccardo Arena: è vero che avete grandi difficoltà a ricevere risposte dal PM che sta svolgendo le indagini?
  Consuelo Cortese: sì, non si fa sentire!
  Riccardo Arena: voi parenti avete dei dubbi sulle cause della morte di Ramona?
  Consuelo Cortese: io non penso che lei abbia avuto il coraggio di suicidarsi. Perché lei voleva la verità sulla denuncia che aveva avuto... voleva chiarezza.
  Riccardo Arena: cosa teme che sia successo?
  Consuelo Cortese: il mio sospetto è che l'abbiano imbottita di sedativi e che non si sia più svegliata...
  Riccardo Arena: e pensa alla messa in scena dell'impiccagione...
  Consuelo Cortese: sì, sì.
  Riccardo Arena: questa chiaramente è una sua ipotesi.
  Consuelo Cortese: sì, è una mia ipotesi.
  Riccardo Arena: la vostra famiglia non ha mai avuto nulla a che fare con il carcere e quindi non pensavate che una persona entrata in carcere si potesse impiccare, giusto?
  Consuelo Cortese: io pensavo fossero controllati, che ci fossero norme di sicurezza.
  Riccardo Arena: ora che ci siete passati e che sapete del rischio di morire in carcere, cosa si sentirebbe di dire ai cittadini liberi che restano indifferenti di fronte al collasso in cui versa la giustizia penale e la detenzione?
  Consuelo Cortese: che potrebbe succedere a tutti che una persona cara vada a finire in carcere... che non devono essere indifferenti, che devono lottare perché le persone se entrano in carcere ci entrano per uscire migliori, non per uscire cadaveri» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'accaduto e, nel caso, se disponga di ulteriori informazioni, e quali, anche sulla dinamica che ha portato alla morte della giovane Ramona Cortese;
   se il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria abbia disposto un'indagine interna al carcere Don Bosco;
   se Ramona Cortese abbia avuto colloqui con gli psicologi e gli psichiatri del carcere Don Bosco e se questi abbiano riscontrato elementi che potessero far presagire intenti suicidi; se la ragazza sia stata sottoposta a terapia con psicofarmaci e se corrisponda al vero il fatto che la ragazza un giorno, a seguito di un sovradosaggio, sia stata risvegliata con una iniezione di adrenalina;
   quale sia la ragione per la quale la porta della cella n. 109 dove Ramona si sarebbe impiccata fosse aperta a differenza di quella delle altre celle;
   se siano stati acquisiti filmati effettuati dalle telecamere di sicurezza;
   se il pubblico ministero abbia accolto la richiesta dei familiari di porre sotto sequestro il corpo della ragazza e, in caso negativo, se sia noto come mai il cadavere sia stato trattenuto così a lungo presso il Santa Chiara prima di rientrare nella disponibilità dei familiari per il funerale;
   se rientri nella norma il fatto che dopo oltre sessanta giorni, non siano stati ancora resi noti alla famiglia gli esiti all'autopsia;
   se rientri nella norma il fatto che, un evento così tragico sia comunicato ai familiari con una telefonata dei carabinieri anziché dalla Direzione del carcere «con il mezzo più rapido e le modalità più opportune» come prescrive il regolamento d'attuazione dell'ordinamento penitenziario;
   se rientri nelle normali prassi il comportamento del personale penitenziario riscontrato da parte dei familiari di Ramona Cortese quel 14 agosto del 2015 quando hanno chiesto dove si trovasse il corpo della loro congiunta;
   se rientri nelle normali prassi penitenziarie e di giustizia che i familiari siano messi nelle condizioni di poter vedere il proprio congiunto deceduto dopo ben quattro giorni dal tragico evento;
   quali siano le regole per la restituzione ai familiari degli effetti personali dei detenuti morti in carcere e se queste siano state rispettate da parte del personale in servizio del carcere Don Bosco di Pisa;
   se, infine, alla luce di questo drammatico episodio che coinvolge una giovane detenuta il Ministro interrogato non ritenga urgente avviare un'indagine ministeriale sui decessi che avvengono tra i detenuti delle carceri italiane, inclusi i suicidi, per verificarne le cause reali e scongiurarne di nuovi. (4-11073)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FRANCO BORDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 novembre 2015, a causa di un guasto alla linea elettrica tra Crema e Casaletto Vaprio, lungo la linea ferroviaria Treviglio Cremona, il convoglio ferroviario 10467 partito da Treviglio alle ore 14,07, carico di passeggeri, è stato costretto a fermarsi in aperta campagna. La situazione ha creato notevoli disagi poiché le carrozze risultavano prive di corrente elettrica e quindi senza che vi fosse la possibilità di aprirle;
   a quanto consta all'interrogante, poiché non vi è stato alcun intervento atto ad assistere e tranquillizzare i passeggeri né alcuna informazione sul da farsi proveniente dal personale ferroviario, gli stessi passeggeri, dopo più di un'ora, mettendo a forte rischio la loro incolumità sono usciti dai finestrini e si sono riversati nelle campagne circostanti, senza trovare in loco alcun soccorso;
   la linea ferroviaria, il cui gestore risulta essere Rete Ferroviaria Italiana (RFI), controllata da Ferrovie dello Stato spa, appare in stato di evidente scarsa manutenzione. Tale situazione mette a rischio l'efficienza del trasporto ferroviario e crea notevoli disagi ai molti pendolari che ogni giorno utilizzano suddetta linea –:
   se si vi siano state da parte di RFI iniziative volte ad una corretta ed efficace manutenzione della citata rete ferroviaria e quali siano state tali iniziative;
   quale sia il programma di manutenzione di tale linea, che è risultato assolutamente insufficiente;
   quali e quante iniziative avrebbero potuto essere attuate per diminuire o tamponare il forte disagio dei passeggeri da parte del personale ferroviario e quale sia il piano per la sicurezza in casi, come quello ivi citato, in cui i passeggeri si sono trovati in momenti assai rischiosi per la loro incolumità fisica, fatte salve le doverose informazioni, che invece sono risultate totalmente mancanti. (5-06929)


   CRIVELLARI e MOGNATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale 309 «Romea», oltre ad essere una tra le arterie nazionali caratterizzate dal maggiore afflusso di mezzi pesanti, è tuttora caratterizzata da una alta incidenza del traffico automobilistico locale e intra-interregionale;
   nonostante una relativa diminuzione della mortalità derivante dagli effetti degli incidenti stradali, a livello nazionale, nel periodo compreso tra il 2001 e il 2013 — dato che lascia comunque spazio a considerazioni positive sui benefici introdotti dalle riforme del codice della strada e dalla sempre maggior educazione e consapevolezza nell'uso dell'autoveicolo — le statistiche più recenti (Aci, Istat) dicono che, tra le strade statali, la strada statale 016 «Adriatica» è l'arteria su cui sono stati rilevati il maggior numero di incidenti, 11.293 con 500 morti e 20.472 feriti ed un indice di mortalità 4,4 punti e di lesività 181,3, mentre la strada statale 106 «Jonica» e la strada statale 309 «Romea» detengono il tragico primato delle strade statali più pericolose: 2.592 incidenti per la prima e 1.856 per la seconda, con un indice di mortalità del 9,4 per la «Jonica» e di 8 punti per la «Romea»;
   l'indice di mortalità della strada statale 309 «Romea» risulta superiore del doppio rispetto alla media delle strade statali del Paese (3,7);
   l'arteria viaria insiste lungo la zona costiera ad alta vocazione turistica compresa Veneto ed Emilia Romagna e nella stagione estiva (dati Aci 2015) aumentano inevitabilmente le condizioni di pericolosità che caratterizzano quel tratto stradale, esponendo i viaggiatori a notevoli rischi per la loro incolumità;
   il progetto dell'autostrada Orte-Mestre, arteria da 432 chilometri che avrebbe dovuto attraversare l'Italia dal Nord-est fino al Lazio, compresa nell'elenco delle infrastrutture strategiche di cui alla delibera Cipe del 21 dicembre 2001, n. 121, in conformità a quanto previsto dalla «legge obiettivo» (legge n. 443 del 2001), e inserita nel piano generale dei trasporti e della logistica (PGTL), approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo del 2001, non risulta più essere allo stato delle cose tra i progetti prioritari per il Governo;
   risulta comunque assolutamente necessario e urgente un intervento organico e importante volto a mettere in sicurezza e riqualificare la strada statale 309 «Romea», come richiamato anche dalla recente mozione parlamentare sulla quale il Governo ha espresso parere favorevole il 14 aprile 2015 (1-00805: Marantelli, Borghi, Martella, Mazzoli, Stella Bianchi, Braga, Bratti, Carrescia, Cominelli, Covello, Dellai, De Menech, Gadda, Ginoble, Tino Iannuzzi, Manfredi, Mariani, Marroni, Morassut, Nardi, Realacci, Giovanna Sanna, Valiante, Zardini, Crivellari), con cui si impegna il Governo «a procedere nella strategia nazionale individuata con l'allegato infrastrutture in DEF 2015 e (...) ad avviare interventi urgenti volti alla riqualificazione, al potenziamento e alla messa in sicurezza della superstrada E-45 e della strada statale 309 Romea, valutando la possibilità di trasformarla in un'arteria a percorrenza veloce a basso impatto ambientale»;
   il collegamento da nord a sud del versante adriatico compreso tra Veneto ed Emilia Romagna riveste notevole importanza per lo sviluppo e per l'economia di tutta l'area interregionale;
   rimane da chiarire se la necessità di una riqualificazione e messa in sicurezza della strada statale 309, accolta dal Governo nelle scorse settimane, abbia definitivamente escluso – anche sotto il profilo delle soluzioni tecniche, infrastrutturali, logistiche da adottare – la realizzazione del tratto storicamente più critico della viabilità relativo alla cosiddetta «Romea commerciale», nel tratto Venezia-Ravenna. Il nuovo presidente di Anas, ingegnere Gianni Vittorio Armani, ha recentemente confermato la volontà di intervenire sulla strada statale 309 «Romea» considerandola tra le tre-quattro direttrici nazionali prioritarie e individuando anche con dichiarazioni pubbliche alcune possibili linee di intervento, nella logica di una «manutenzione straordinaria» di questa arteria finalizzata ad una sua radicale messa in sicurezza (si veda l'intervista resa al settimanale «l'Espresso» del 16 ottobre 2015) –:
   se il Ministro non ritenga necessario assumere iniziative con assoluta urgenza per la progettazione e l'esecuzione degli interventi per la messa in sicurezza della strada statale 309 «Romea» al fine di ridurre i fattori di rischio ed il numero di incidenti mortali, che ancor oggi costituiscono un prezzo troppo caro che gli autotrasportatori e gli automobilisti pagano;
   quali siano i programmi del Governo in merito alla messa in sicurezza della rete viaria nazionale con particolare riferimento alla strada statale 309 «Romea». (5-06949)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARRONI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   fondata nel 1945 l'Ethiopian Airlines è la compagnia di bandiera del Paese etiopico ed ha sede presso l'aeroporto internazionale di Addis Abeba Bole;
   ha una flotta di 60 aeromobili per trasporto passeggeri e cargo. Sono 46 le destinazioni nel continente africano e 76 le mete internazionali/intercontinentali;
   nel report annuale Tewolde Gebremarian, CEO dell'Ethiopian Airlines commenta con soddisfazione i risultati, senza precedenti, dell'azienda per l'anno fiscale 2013/2014 con un fatturato in costante crescita;
   per il 2013/2014 gli indici aziendali hanno registrato dati in positivo a due cifre: ASK (posti offerti per chilometri percorsi) +17,2 per cento RPK (Passeggeri trasportati per chilometri operati) +16 per cento, il numero dei passeggeri è stato del +13,2 per cento rispetto all'anno precedente;
   per l'anno fiscale 2013/2014 l'azienda etiope ha toccato il livello record +34 per cento to ETB 3,7 miliardi e per il profitto netto +53 per cento to ETB 3,1 miliardi;
   il CEO dell'Ethiopian Airlines afferma che tale successo è figlio dell'instancabile lavoro dei lavoratori che definisce una famiglia composta da oltre 8.000 persone;
   dall'Italia operano voli giornalieri con partenza da Roma e Milano per Adis Abeba;
   nel 2013 il «regional director» per l'Italia e il Sud Europa Aberra Beyene ha tracciato un bilancio positivo per la compagnia sul mercato italiano dichiarando «chiudiamo con una crescita della revenue del 14 per cento e un aumento del profitto netto del 178 per cento»;
   l'Ethiopian Airlines Italia ha avviato le procedure di licenziamento collettivo di personale italiano, una decisione inspiegabile alla luce anche del bilancio complessivo che registra record positivi e che vede il comparto delle tratte del mercato italiano in costante crescita –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   cosa intenda fare il Governo per quanto di competenza per tutelare e salvaguardare i livelli occupazionali del personale italiano. (4-11054)


   MUCCI, BARBANTI, RIZZETTO, PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, SEGONI e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la variante valico è il tratto autostradale compreso tra Barberino di Mugello e Sasso Marconi divisa nelle tratte di riferimento Barberino-La Quercia e La Quercia-Sasso Marconi, progettata per potenziare la porzione appenninica della A1 e migliorare la percorribilità autostradale tra Firenze e Bologna;
   nel 1996 il Governo Prodi la definì un'opera prioritaria e Antonio Di Pietro, già Ministro delle infrastrutture, avviò l’iter autorizzativo, ambientale e urbanistico per la realizzazione della variante a cui seguì nel 1997 la convenzione tra il gruppo Autostrade Spa e l'Anas per estendere la concessione dal 2018 sino al 2038;
   la tratta a monte della Variante di Valico Casalecchio-Sasso Marconi ha visto l'ampliamento da due a tre corsie, oltre alla corsia di emergenza, tra il chilometro 195 e il chilometro 199 della A1. Il progetto ha richiesto la preliminare definizione progettuale del nodo ferroviario e stradale di Casalecchio che si è conclusa nel giugno 2003 con l'accordo tra Anas, RFI, Autostrade per l'Italia e comune di Casalecchio;
   la conferenza di servizi si è chiusa nel maggio 2005 e i lavori appaltati il 21 marzo 2008 hanno portato all'apertura al traffico nel 2009;
   l'intervento sulla tratta Sasso Marconi-La Quercia è consistito nell'ampliamento a tre corsie dell'autostrada attuale per circa 20 chilometri, con numerose modifiche di tracciato in variante e nel rifacimento dello svincolo di Sasso Marconi. Ultimata la conferenza di servizi del 2000, si è potuto dare avvio ai lavori solo nel 2002 con il completamento delle procedure di esproprio. Il 9 giugno 2007 si è completata l'apertura al traffico dell'intera tratta con l'apertura della galleria Gardelletta (840 metri) in direzione nord;
   il tracciato della tratta La Quercia-Barberino, il cui primo progetto risale al 1985, è stato definitivamente approvato dal Consiglio dei ministri nell'agosto del 2001 e nel novembre 2001 è terminata la conferenza di servizi che ha assunto oltre 1.000 decisioni, determinando la necessità di ulteriori autorizzazioni. Ottenute le autorizzazioni necessarie dai vari enti competenti, comprese ulteriori 5 conferenze di servizi successivamente indette e affidati i lavori, sono stati finalmente aperti i primi cantieri nel marzo del 2004;
   sul tratto di circa 18 chilometri tra La Quercia e Badia, l'intervento consiste nella costruzione di una nuova autostrada con 2 corsie più emergenza, in aggiunta a quella attuale e realizzata ad una quota inferiore, e nella realizzazione di una galleria di 2,5 chilometri circa per la cui realizzazione Autostrade per l'Italia si avvarrà di una fresa EPB, così da rispettare i tempi di realizzazione dell'opera garantendo al contempo una maggiore sicurezza per i lavoratori ed un minore impatto ambientale;
   in località Badia Nuova sarà inoltre realizzato un nuovo casello e una bretella di collegamento tra l'autostrada A1 e la variante di valico. In questo tratto, i lavori sono stati affidati e sono già in corso. Anche per il tratto finale di circa 22 chilometri tra Badia e Barberino i lavori sono attualmente in corso, Autostrade per l'Italia ha l'obiettivo di aprire al traffico entro la fine dell'anno 2015 l'intero tratto da ampliare;
   si segnala in particolare il fatto che nel tratto di 16 chilometri compreso tra Badia e Aglio, l'opera principale è la cosiddetta galleria di base, considerata l'opera simbolo della variante di valico. Si tratta di due tunnel affiancati di una lunghezza pari a circa 9 chilometri utilizzati per il traffico diretto sia verso nord che verso sud, caratterizzati entrambi da 2 corsie di marcia più corsia di emergenza, avente un'ampiezza analoga alla corsia di marcia, che collegano le regioni Emilia Romagna e Toscana e a Sud dei quali verrà realizzato il nuovo svincolo di Poggiolino. A valle della galleria di base, nel restante tratto di 6 chilometri compreso tra Aglio e Barberino è prevista la realizzazione di una nuova carreggiata a tre corsie di marcia avente senso unico verso sud, mentre l'attuale sede autostradale verrà per intero utilizzata per la sola direzione nord, disponendo così, in totale, di 4 corsie;
   il costo dell'opera, aggiornato a settembre 2013, risulta essere pari a 3.966.600.000 euro comprensivi del lotto 0 (Casalecchio-Sasso Marconi) e di opere di compensazione sul territorio, mentre le spese stimate erano ben inferiori e pari a 2.5210000.000 di euro, con un aumento abnorme perché superiore alla previsione iniziale di oltre il 50 per cento;
   in un recente articolo del Fatto Quotidiano, del 6 novembre 2015, si è appreso che lo studio richiesto dal tribunale civile di Roma e terminato nel giugno 2015, ha individuato le responsabilità del ritardo nella realizzazione della grande opera sull'appennino bolognese a causa delle gravi frane che dal 2010 hanno interessato il paese di Ripoli;
   in un articolo delle predetta testata giornalistica pubblicato l'8 novembre 2014, si era già venuti a conoscenza che dal 2010, sopra la galleria Val di Sambro, il paesino di Ripoli in conseguenza dei lavori stessi ha subito smottamenti sin dall'inizio dei lavori;
   l'esito di tali smottamenti nella frazione di San Benedetto Val di Sambro, dalla densità inferiore a 500 abitanti, ha causato enormi disagi a 12 famiglie residenti sgomberate dalle proprie case, e complessivamente ben 140 edifici sono stati posti sotto monitoraggio stretto. Altri danni collaterali hanno provocato la chiusura della chiesetta del borgo; la rete del gas è stata ristrutturata per prevenire rotture dei tubi e il viadotto Rio Piazza della vecchia Autostrada del sole, che passa a monte del paese, si è rivelato instabile, inducendo la società Autostrade per l'Italia ad aprire due cantieri per rimetterlo in asse progettando una rete di drenaggio per tentare di frenare i movimenti che hanno portato all'esproprio di decine di terreni, per motivi di sicurezza, danni causati dai lavori descritti;
   il pubblico ministero di Bologna Morena Palazzi ha aperto un'inchiesta per frana e delitto colposo dalla quale è stato rilevato che non era mai stata valutata la possibile interferenza tra lo scavo delle gallerie e i movimenti del versante. Il GIP Andra Scarpa ha bloccato l'archiviazione anche a seguito delle copiose interrogazioni regionali depositate dall'allora consigliere regionale Andrea De Franceschi;
   in esse sono state poste domande relative al fatto che «all'interno dei materiali di risulta degli scavi della galleria di Sparvo della variante di valico, nel Comune di Castiglione dei Pepoli, si sarebbero rilevate concentrazioni anche 50 volte superiori ai limiti di legge di amianto»; che «Tali materiali sono stati trasportati fuori dalla galleria tramite nastri, frantumati e lavorati, scaricati e accumulati all'esterno della galleria, trasportati per diversi chilometri su camion scoperti e infine riversati su una golena del fiume Setta nel comune di Monzuno, dove sono stati compattati e distribuiti con ruspe, con evidente, ma incalcolabile, dispersione di fibre nell'atmosfera»; ed infine che «Le ditte responsabili dei lavori, sulla base degli appalti di Autostrade, pare non abbiano esatta percezione di dove siano stati realmente smaltiti i materiali ofiolitici contenenti amianto e solo dopo molto tempo hanno ricoperto aree contaminate, o presunte tali, con teloni bianchi»;
   nella galleria emiliana a sud della Val di Sambro, le due canne della galleria Sparvo, nel novembre 2013, furono seriamente danneggiate da altre due frane. Gli operai che lavoravano a sistemare la galleria già scavata avevano infatti notato un distacco del calcestruzzo del copriferro del concio che si era scoperto e, dopo indagini approfondite, si è accertato che il fenomeno interessava 370 metri della canna nord e 140 metri per la canna sud, un'enormità per un tunnel lungo 2500 metri. La soluzione adottata da Autostrade è stata quella di blindare internamente con cerchi di acciaio le parti in frana, un'operazione non semplice che rischia di far slittare l'apertura di tutta la variante di valico ancora una volta oltre il periodo stabilito in proroga, posticipandolo ulteriormente al 2016;
   sia in fase di progetto definitivo che in quello esecutivo non si è considerato in alcun modo il fatto che, con gli scavi, la frana quiescente si sarebbe, con grande probabilità, potuta riattivare. Nel 2004 Autostrade per l'Italia non mise in campo alcun tipo di monitoraggio sufficiente e necessario a valutare l'impatto che i lavori avrebbero avuto sulla montagna nella realizzazione della galleria Val di Sambro della variante di valico. Eppure, una perizia sulla stessa galleria conclusa nel mese di giugno 2015 è stata portata alla luce il giorno successivo alle conclusioni depositate dai consulenti della procura di Bologna sulla vicenda della frana di Ripoli, richiesto dal tribunale civile di Roma, dove si delinea con maggiore chiarezza la responsabilità nella progettazione dell'opera. I periti hanno sostenuto pubblicamente che scavare il tunnel più in profondità sarebbe costato di più, ma avrebbe causato ben minori danni, disagi e problemi;
   dalla perizia emerge altresì che le frane hanno riguardato non solo la parte del traforo sotto Ripoli ma l'intero tratto, pari a 4 chilometri, compresi quelli scavati dalla Rti (raggruppamento temporaneo di imprese) Toto-Vianini-Profacta che aveva ricevuto in appalto da Autostrade la costruzione dei lotti 6-7 di cui fa parte la metà sud della galleria Val di Sambro;
   la metà nord, quella su cui poggia Ripoli, è stata scavata dalla coop Cmb. Quando con gli scavi sono iniziate le frane, la Rti aveva chiesto per vie legali ad Autostrade un adeguamento del compenso, visti i maggiori costi di scavo dovuti alle frane non previste;
   nel luglio 2004 veniva presentato il progetto definitivo della galleria redatto da Spea, società di Autostrade con allegata una relazione geologica, che riconosceva la presenza di estesi movimenti franosi quiescenti sebbene riconosceva sufficiente profondità da sottopassare tali grandi frane;
   secondo i periti, nel progetto definitivo non ci fu un monitoraggio geotecnico strumentale dell'area in esame e la conseguente valutazione, in base ai risultati del monitoraggio, dell'impatto degli scavi, ovvero la Spea non usò strumenti tecnici indispensabili per misurare con certezza lo stato delle frane ma si limitarono soltanto a sopralluoghi e foto-interpretazione;
   secondo i periti del giudice di Roma, anche la Rti che tra il 2007 e il 2008 fece il progetto esecutivo avrebbe dovuto monitorare l'area e installare inclinometri, anche a costo di chiedere 6 mesi in più rispetto ai 6 concessi da Autostrade nell'appalto per la presentazione del progetto;
   nel mese di marzo 2015 in Senato, Giovanni Castellucci, amministratore delegato di Autostrade, aveva ammesso un raddoppio dei costi della variante di valico progettata negli anni 90 da 3,5 a 7 miliardi di euro che oggi avrebbero progettato in maniera differente, più in galleria e più profonda. I periti del tribunale di Roma dicono che fino al 2007-2008 un monitoraggio più approfondito avrebbe portato a scoprire che la possibile riattivazione delle frane era sia possibile che probabile e che se considerata avrebbe probabilmente indotto a fare scelte progettuali diverse;
   nel 2010, quando la montagna aveva iniziato a muoversi, la Rti suggerì ad Autostrade di realizzare un'unica galleria che comprendesse sia quella denominata Val di Sambro che la vicina Sparvo, anch'essa interessata da problemi di frane e di rotture del rivestimento interno, oggi blindata con degli avveniristici anelli d'acciaio;
   la proposta alternativa avanzata consisteva nella realizzazione di un unico tunnel che andasse più in profondità nella montagna. Ma la società di Castellucci, Autostrade, rifiutò di adottare la soluzione più sicura proposta;
   secondo i periti, la realizzazione di un unico tunnel più lungo e più profondo, avrebbe comportato un aumento dei costi complessivi dell'opera ma il contesto geologico e geo-morfologico avrebbe avuto un minor rischio di smottamenti poi effettivamente avvenuti, e se si fosse adottata con certezza si avrebbero avuti minori problematicità rispetto alla rovina accaduta, oltre ad avere la garanzia di una durata dei lavori corrispondente al periodo per il quale la galleria è stata progettata poiché i tempi sono stati prolungati in dipendenza unicamente dai modi con i quali l'opera è stata realizzata che non hanno tenuto conto del rischio previsto, ovvero dalla possibilità di causare smottamenti e frane, come poi effettivamente accaduto –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, se ritengano necessario e urgente effettuare immediate verifiche sulla reale situazione di pericolo determinatasi nei luoghi sopra indicati, eventualmente nominando una commissione ministeriale che abbia la missione di chiarire, per quanto di competenza, cause e responsabilità delle gravi lacune e mancanze risultate nel progetto della variante di valico, alla luce delle inchieste del tribunale civile di Roma portate alla pubblica attenzione mezzo stampa;
   quali iniziative intendano adottare per garantire la messa in sicurezza dei luoghi e, successivamente, valutare l'opportunità di aprire alla viabilità la tratta in questione;
   se, e nel caso positivo in quale modo, si intendano supportare, per quanto di competenza, le richieste di risarcimento degli abitanti di Ripoli, vittime dei disagi causati da un evidente abbandono delle regole prudenziali di tutela da parte delle istituzioni;
   se i Ministri interrogati non intendano adottare iniziative, per quanto di competenza, per procedere a verifiche e controlli, anche documentali, sul bando e sulle erogazioni economiche concesse;
   quali iniziative urgenti si intendano porre in essere per la tutela della salute pubblica dei lavoratori e degli abitanti interessati dall'evento, nocivo per gli uomini e deleterio per l'ambiente. (4-11063)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GINEFRA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la recrudescenza dei fenomeni malavitosi nella città metropolitana di Bari sta comportando contraccolpi, oltre che nella città capoluogo, anche nei paesi dell’hinterland;
   in particolare a Valenzano si sono verificati a breve distanza di tempo episodi di criminalità che stanno allarmando la popolazione;
   durante uno di questi episodi, una rapina a mano armata, il commesso di un negozio è stato ferito a coltellate, con gravi conseguenze, per fortuna non fatali;
   questi eventi, per l'elevato livello di allarme sociale che comportano, minano le basi per una serena convivenza civile –:
   quali iniziative abbia assunto o intenda assumere per potenziare la presenza delle forze dell'ordine nell'area metropolitana barese;
   se ritenga che, attraverso una rimodulazione del piano di servizio ed un efficientamento del coordinamento delle forze dell'ordine sia possibile assicurare turni che garantiscano una maggiore presenza delle stesse nei comuni della prima cintura barese. (5-06928)


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la legge del 13 maggio 1961, n. 469, ha attribuito al Ministero dell'interno la competenza per la prevenzione e la lotta dei rischi derivanti da impiego dell'energia nucleare, conferendo al Corpo nazionale dei vigili di fuoco il controllo e il monitoraggio alle frontiere di prodotti che possono contenere materiale radioattivo;
   successivamente, l'articolo 10 del decreto-legge del 17 giugno 1996, n. 321, convertito con modificazioni dalla legge dell'8 agosto 1996, n. 421, ha previsto lo stanziamento di 5 miliardi di lire per l'acquisto di sistemi di scintillazione per la rilevazione automatica della radioattività dei metalli presso i valichi di frontiera, al fine di impedire l'ingresso nel territorio nazionale di carichi di metalli contenenti fonti radioattive orfane, individuando il Ministero dell'interno come soggetto attuatore per l'utilizzo e il controllo, mediante il Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   parimenti, il decreto legislativo dell'8 marzo 2006, n. 139, recante norme per il riassetto delle disposizioni relative alle funzioni ed ai compiti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, ha confermato il ruolo del Corpo nazionale nel fronteggiare i rischi derivanti dall'impiego dell'energia nucleare e dall'uso di sostanze batteriologiche, chimiche e radiologiche;
   per quanto riguarda l'impiego industriale e sanitario dell'energia nucleare, il decreto legislativo del 17 marzo del 1995, n. 230, ha previsto una serie di ulteriori specifiche competenze del Ministero dell'interno e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, rivolte alle autorizzazioni per l'impiego ed il trasporto di sostanze radioattive, all'esercizio di impianti nucleari e laboratori, ai piani di emergenza nucleare esterna e monitoraggio della radioattività, stabilendo altresì che la rete di allarme gestita dal Ministero dell'interno ai sensi della legge n. 469 del 1961, deve concorrere autonomamente al sistema di reti nazionali;
   nel 2004 i Vigili del fuoco di Vicenza hanno ispezionato con le strumentazioni per la verifica dei dati ambientali una specifica zona delle Acciaierie Beltrame, riscontrando un carico di materiale ferroso proveniente dalla Germania dove vi erano cinque pezzi contaminati da cobalto 60;
   nello stesso periodo, le Acciaierie Beltrame avevano registrato altri due allarmi di rilievo: il primo riguardante una sorgente di cesio radioattivo intercettata ai cancelli; il secondo allarme, invece, riguardava un'analoga sorgente che non era stata intercettata dalle apparecchiature all'ingresso in acciaieria, con la conseguenza che il carico finì nell'altoforno contaminando tonnellate di polveri di fonderia;
   il 14 luglio del 2011 al porto di Genova è stato trovato un container che emetteva radioattività riferita alla presenza di cobalto 60 molto superiore al limite di sicurezza, presente in materiali ferrosi trasportati. Le indagini della prefettura hanno stabilito che il container, partito dal porto saudita di Gedda, prima di arrivare a Genova era sbarcato per qualche ora sulla banchina del porto di Gioia Tauro, dove nessuno si era accorto della radioattività dei materiali;
   in particolare, per mettere in sicurezza la zona e le persone i vigili del fuoco hanno dovuto prima allestire un campo base presso un terminal del porto e solo dopo alcune settimane hanno potuto inviare la sorgente di cobalto recuperata in Germania per essere smaltita;
   nel 2012 a Torino è stata trovata dalle autorità una partita di vassoi per la casa radioattiva che, superati i controlli alle frontiere, è finita direttamente sugli scaffali dei negozi. Allo stesso modo, nel 2013, sugli scaffali di alcuni negozi sono stati rinvenuti utensili da cucina contenenti Cobalto 60, che avevano passato senza problemi i controlli al porto di Taranto;
   il 24 giugno 2015, sempre a Genova, nel porto VTE di Prà-Voltri, è stato scoperto un container proveniente dalla Cina contenente oltre 2 tonnellate e mezzo di materiale metallico che emetteva radiazioni superiori di 40 volte alla soglia consentita –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere per assicurare che i controlli alle frontiere siano puntualmente eseguiti in tutto il territorio italiano, e per assicurare alle autorità incaricate per legge di effettuare il monitoraggio delle merci la disponibilità delle apparecchiature necessarie ad eseguire i controlli stessi;
   quali siano le motivazioni, anche di tipo economico, che fino ad oggi non hanno reso possibile evitare l'ingresso di prodotti radioattivi nel nostro Paese, esponendo la popolazione e l'ambiente ad un grave pericolo di contaminazione, considerando che ai sensi della legge 421 del 1996 risultano spesi 5 miliardi di lire per l'acquisto di apparecchiature e scanner per effettuare i controlli alle frontiere.
(5-06959)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MUCCI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la cosiddetta legge Bassanini, legge 15 marzo 1997, n. 59 ha previsto l'introduzione della carta d'identità elettronica (CIE) e con un successivo decreto attuativo del Ministro dell'interno, in data 19 luglio 2000, è stata istituita una fase di sperimentazione per il consolidamento e la razionalizzazione della CIE;
   successivamente, la legge n. 43 del 31 marzo 2005 ha stabilito che dal 1o gennaio 2006 gli ottomila comuni avrebbero dovuto fornire unicamente carte d'identità elettroniche in sostituzione di quelle cartacee;
   il cosiddetto decreto milleproroghe, decreto-legge n. 225 del 2010 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del 2011, ha stabilito che la nuova carta d'identità digitale sarebbe divenuta operativa a partire dal 2012;
   successivamente, nel 2012, è stato approvato il decreto cosiddetto «Trasforma Italia», decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, il quale ha modificato ulteriormente il panorama normativo poiché, per la promozione della cultura digitale, da un lato prevede all'articolo 1, comma 1, la seguente disposizione: «Entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto e successivamente entro il 30 giugno di ogni anno il Governo, anche avvalendosi dell'Agenzia per l'Italia digitale di cui al decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, presenta alle Commissioni parlamentari competenti una relazione che evidenzia lo stato di attuazione dell'articolo 47 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, nel quadro delle indicazioni sancite a livello europeo, con particolare riferimento agli effetti prodotti e ai risultati conseguiti. Nella relazione è fornita, altresì, dettagliata illustrazione dell'impiego di ogni finanziamento, con distinta indicazione degli interventi per i quali le risorse sono state utilizzate. In prima attuazione la relazione ha come finalità la descrizione del progetto complessivo di attuazione dell'Agenda digitale italiana, delle linee strategiche di azione e l'identificazione degli obiettivi da raggiungere»;
   mentre, al successivo comma 2, prevede il suo sviluppo mediante la seguente previsione: «ampliamento delle possibili utilizzazioni della carta d'identità elettronica anche in relazione all'unificazione sul medesimo supporto della carta d'identità elettronica con la tessera sanitaria, alle modifiche ai parametri della carta d'identità elettronica e della tessera sanitaria necessarie per l'unificazione delle stesse sul medesimo supporto, nonché al rilascio gratuito del documento unificato, mediante utilizzazione, anche ai fini di produzione e rilascio, di tutte le risorse disponibili a legislazione vigente per la tessera sanitaria.»;
   si è quindi scelta la strada dell'unificazione in un unico documento contenuto in una carta magnetica, che «avrebbe offerto al cittadino la possibilità di accedere in via telematica ai servizi erogati dalle amministrazioni pubbliche»;
   si sottolinea però che nel corso di questi numerosissimi anni di sperimentazione, lo Stato non ha sufficientemente investito per rendere effettivo il progetto enunciato, né ha dato adeguata forma di «pubblicità progresso» all'opportunità offerta ai cittadini di fruire di un servizio più moderno ed efficace, che aveva l'obiettivo di sostituire, in un lasso di tempo molto più breve, entro il 2006 prima delle tante proroghe e deroghe alla disciplina originariamente prevista dalla normativa «Bassanini», l'esaurimento del rilascio di documenti su supporto cartaceo;
   si segnala in questa sede che il costo della carta d'identità elettronica per il primo rilascio o rinnovo è pari a 25,42 euro come previsto dal decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 16 febbraio 2007 che fissa in 20 euro il rimborso in favore del Poligrafico dello Stato per i costi di emissione, cui si aggiungono 5,42 euro di diritto fisso, a fronte di costo molto inferiore e pari a euro 5,42 per il rilascio della carta di identità cartacea;
   nei lunghi anni di sperimentazione, poiché nulla è più definitivo del provvisorio, numerosi comuni non hanno nemmeno iniziato a rilasciare la CIE, mentre i rimanenti comuni si sono trovati a far fronte a spese non previste, e solo in parte coperte dallo Stato, oltre che a tempi troppo lunghi di lavorazione che hanno reso meno appetibile la richiesta di CIE da parte dei cittadini, nonostante l'indubbio vantaggio derivante dalla modernizzazione dei documenti per rendere più agevoli e veloci i rapporti con le pubbliche amministrazioni;
   la circolare n. 7 del 2015 emanata dal Ministero dell'interno relativa al fabbisogno di carte dei comuni ha evidenziato che, tra i pochi comuni che hanno attivato il servizio, molti lo hanno poi chiuso o sospeso per le ragioni suesposte e solo 200 di essi, sul totale degli 8.047, risultano nell'elenco degli enti sperimentatori, così come solo 61 di questi hanno una richiesta di CIE per l'anno in corso;
   si consideri poi che in più di 20 capoluoghi di provincia e regione il fabbisogno di carte è pari a zero e in altri il fabbisogno è inferiore rispetto alle dimensioni demografiche. Si citano a titolo di esempio i casi di Roma con 1.550 richieste e quello di Napoli con 500 richieste;
   sono numerosi i comuni che hanno dovuto sospendere il servizio per troppo tempo stabilizzatosi come sperimentale e, a titolo di esempio, si ricorda che dal 2 novembre 2015 il comune di Bologna ha sospeso il rilascio di carte di identità elettroniche dopo aver rilevato che la CIE risulta obsoleta rispetto al nuovo progetto annunciato dal Ministro interrogato denominato SPID, poiché è molto difficile reperire sul mercato i pezzi di ricambio dei macchinari necessari per rilasciarla, e se si ha la fortuna di trovarli, essi hanno costi molto elevati facendo risultare antieconomico l'investimento su un servizio che la maggior parte dei comuni non ha mai attivato o sta dismettendo, anche in considerazione delle progressive riduzioni dei trasferimenti di fondi dallo Stato agli enti territoriali periferici;
   vi sono poi stati casi di malfunzionamento del sistema che hanno provocato interruzioni del servizio di rilascio della CIE, episodi che hanno avuto in alcuni casi tempi di ripristino normali, in altri, invece, i tempi sono stati estremamente prolungati, causando conseguenti disservizi per il cittadino, fatti che, oggettivamente, hanno ostacolato le richieste e la migliore diffusione delle CIE;
   attualmente, anche il comune di Catania ha dovuto sospendere il rilascio di carte d'identità elettroniche a causa di un aggiornamento del software disposto dal Ministero dell'interno;
   il decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, all'articolo 10 ha previsto ulteriori disposizioni in materia di anagrafe nazionale della popolazione residente e di carta d'identità elettronica, manifestando in questo modo la volontà di implementazione del processo di produzione e stampa della CIE, centralizzando parte del procedimento presso l'Istituto poligrafico Zecca dello Stato, ove è prevista la sistemazione di impianti di produzione e personalizzazione dei supporti magnetici necessari per il rilascio della CIE, lasciando poi ai comuni il compito di personalizzare con i dati anagrafici necessari e sufficienti ogni singolo documento di identità elettronico, stanziando risorse per coprire il costo complessivo stimato in euro 33.000.000 circa, prevedendo l'installazione di circa 12.000 postazioni di lavoro per l'acquisizione dei dati biometrici presso i comuni (costo unitario di circa euro 2.450 IVA inclusa, per un costo complessivo di euro 29.500.000) grazie alle quali, in modalità telematica potranno inviare i dati acquisiti al sito centrale, per avviare la produzione delle carte in questa nuova forma e modalità procedurale;
   a differenza del progetto di documento digitale unificato, abrogato dal decreto-legge sopra citato, la carta d'identità elettronica non sarà più obbligatoria per i cittadini, ma rimangono a carico degli stessi i costi di gestione sostenuti dallo Stato (ad esempio personale diretto e indiretto impiegato nei processi produttivi, materiali consumabili, materie prime, come il policarbonato per la produzione delle carte, e altro), mentre rimane a carico del bilancio dello Stato la spesa per gli investimenti in attrezzature per la produzione delle carte e le postazioni presso i comuni (euro 54.500.000 per il 2015 e euro 8.000.000 per il 2016) con un investimento di spesa di euro 62.500.000 fino al 2020;
   il sistema pubblico di identità digitale (SPID) previsto nella normativa italiana dall'articolo 17-ter del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, prevede l'accesso online ai servizi della pubblica amministrazione anche attraverso la carta d'identità elettronica oltre che attraverso il rilascio di un codice SPID;
   entro quest'anno dovrebbero essere rilasciati 3 milioni di SPID e il processo dovrebbe implementarsi nei prossimi anni –:
   se i fatti esposti in premessa siano a conoscenza del Ministro e, nell'eventualità positiva, se essi trovino conferma;
   se non intenda assumere iniziative per abrogare le norme relative alla carta d'identità elettronica, in considerazione del fatto che appare di dubbia utilità per l'ordinamento giuridico l'esistenza di una norma che la mantiene in vigore, ancorché consenta anche l'accesso ai servizi della pubblica amministrazione, non essendo mai stato effettivamente obbligatorio il suo rilascio, a causa delle dette proroghe e, soprattutto, a causa dell'alto costo per le finanze pubbliche sino ad oggi sostenuto, a fronte di benefici minimi rispetto alla sua equivalente versione cartacea, ma soprattutto, a fronte della citata novità in tema di amministrazione digitale, ovvero lo SPID, previsto dall'articolo 17-ter del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 ,che ha delegato al Governo l'adozione di decreti attuativi per l'istituzione del sistema pubblico per la gestione dell'identità digitale di cittadini e imprese (SPID), grazie al quale le pubbliche amministrazioni potranno consentire l'accesso in rete ai propri servizi;
   nell'eventualità in cui il Governo non intenda assumere iniziative per abrogare le norme relative alla carta d'identità elettronica perché superate da quelle previste per l'istituzione del sistema pubblico per la gestione dell'identità digitale, entro quale termine perentorio intenda passare dalla fase della sperimentazione prolungata a quella della sua attivazione obbligatoria in tutto il territorio nazionale, per far sì che si possano dotare tutti gli 8.047 comuni degli strumenti necessari all'emissione delle carte d'identità elettroniche, e che il nuovo investimento non sia inutile o addirittura dannoso;
   se si intendano prevedere futuri vincoli per la circolazione in Europa con carta di identità elettronica o magnetica, come già previsto per il passaporto con microchip elettronico inserito nella copertina;
   se si intenda assumere iniziative per fare economia riducendo i costi, mantenendo contemporaneamente inalterata l'efficienza e l'efficacia della pubblica amministrazione nel rendere il servizio, superando la carta di identità elettronica per adottare in sua vece strumenti analoghi a quelli adottati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per il rilascio della patente di guida plastificata in formato card prevista dalla normativa europea, poiché il nuovo modello produce, a quanto risulta agli interroganti, un risparmio di circa undici milioni di euro ogni anno.
(4-11052)


   VACCA, COLLETTI e DEL GROSSO. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   come appreso dai media locali, nelle ultime settimane nella provincia di Pescara si registrano fatti di microcriminalità legati soprattutto ai furti, in particolare, nelle abitazioni, lasciando pensare che gli episodi di microcriminalità siano in aumento;
   secondo quanto riportato dalle cronache, dal 1o ottobre 2015 è andato in pensione il prefetto di Pescara, dottor Vincenzo D'Antuono;
   ai sensi della normativa vigente il prefetto è l'autorità provinciale di pubblica sicurezza ed ha la responsabilità generale dell'ordine e della sicurezza pubblica nella provincia assicurando, anche, l'unità di indirizzo e coordinamento dei compiti e delle attività degli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza nella provincia, promuovendo le misure occorrenti;
   a tali fini il prefetto deve essere tempestivamente essere informato dal questore e dai comandanti provinciali dell'Arma dei carabinieri e della guardia di finanza su quanto comunque abbia attinenza con l'ordine e la sicurezza pubblica nella provincia –:
   quali siano i dati relativi al personale delle forze dell'ordine e di pubblica sicurezza nella provincia di Pescara ed, in particolare, quelli riferiti al personale in servizio nelle ore notturne;
   quando verrà effettuata la nomina del prossimo prefetto di Pescara;
   se l'attuale vicario del prefetto abbia intrapreso iniziative, tra cui anche la convocazione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, per esaminare e predispone eventuali soluzioni alle problematiche esposte in premessa. (4-11055)


   DI LELLO e MANFREDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri, il 27 marzo 2013, scioglieva, su richiesta del Ministro dell'interno, il consiglio comunale di Quarto, in provincia di Napoli, in base alla normativa antimafia. Infatti, l'amministrazione era stata al centro di un'inchiesta riguardante pressioni del clan dei Polverino sulle scelte urbanistiche. Per questo, già nel luglio del 2012, i carabinieri avevano eseguito una serie di perquisizioni negli uffici privati del sindaco, che comunque non era indagato, e in quelli di alcuni consiglieri comunali e imprenditori;
   le risultanze della commissione d'accesso – che a Quarto ha operato per circa sei mesi subito dopo lo scioglimento del consiglio comunale – sono risultate determinanti nello stabilire l'esistenza di presunte collusioni tra il clan camorristico e la politica locale;
   non è la prima volta comunque che il comune di Quarto viene sciolto per associazione mafiosa: negli ultimi venti anni il comune è stato commissariato già tre volte ed in due occasioni per infiltrazioni camorristiche;
   con decreto del Presidente della Repubblica, in data 9 aprile 2013, la gestione del comune di Quarto viene affidata, per la durata di mesi diciotto, ad una commissione straordinaria composta da un prefetto, da un viceprefetto e da un funzionario economico finanziario;
   nell'allegato al suddetto decreto di nomina, adottato a seguito della deliberazione del Consiglio dei ministri, del 27 marzo 2013, si legge testualmente: «sono state riscontrate forme di ingerenza da parte della criminalità organizzata che hanno compromesso la libera determinazione e l'imparzialità degli organi eletti nelle consultazioni amministrative del 15 e 16 maggio 2011 nonché il buon andamento dell'amministrazione ed il funzionamento dei servizi. ..........  I lavori svolti dalla commissione d'indagine hanno preso in esame, oltre all'intero andamento gestionale dell'amministrazione comunale, la cornice criminale ed il contesto ambientale ove si colloca l'ente locale, con particolare riguardo ai rapporti tra gli amministratori e le locali cosche ed hanno evidenziato come l'uso distorto della cosa pubblica si sia concretizzato, nel tempo, nel favorire soggetti o imprese collegati direttamente od indirettamente ad ambienti malavitosi, per l'esistenza di una fitta ed intricata rete di amicizie e frequentazioni, che lega alcuni amministratori ad esponenti delle locali consorterie criminali od a soggetti ad esse contigui. (......) tenuto conto anche dell'assenza, in quel periodo, di un Piano regolatore, ha comportato una contestuale disordinata espansione dell'edilizia locale, nonché problematiche connesse ad un crescente abusivismo edilizio. (......) Proprio i consistenti aspetti economici legati al settore immobiliare hanno suscitato l'interesse e le ingerenze dell'organizzazione criminale che opera in quel territorio sull'attività dell'amministrazione locale, circostanza che, già nel 1992, aveva portato allo scioglimento del consiglio comunale per condizionamenti da parte della criminalità organizzata.»;
   dal momento che non risultava esaurita l'azione di recupero e risanamento complessivo dell'istituzione locale e della realtà sociale, ancora segnate dalla malavita organizzata e, ritenuto che le esigenze della collettività locale e la tutela degli interessi primari richiedessero un ulteriore intervento dello Stato, al fine di assicurare il ripristino dei principi democratici e di legalità e per restituire efficienza e trasparenza all'azione amministrativa dell'ente, il commissariamento viene prorogato per altri sei mesi con decreto datato 11 agosto 2014;
   il 15 giugno 2015 è stato eletto il nuovo sindaco (Rosa Capuozzo, M5S);
   il 15 ottobre 2015, sul quotidiano on line «l'Unità.Tv» viene pubblicata la notizia che il nuovo sindaco «pentastellato» si è fatto stampare i manifesti istituzionali dalla Tipografia Baiano, di proprietà del marito. Una decisione che, a giudizio degli interroganti senza ombra di dubbio, va contro le normali regole di deontologia e trasparenza amministrativa che prevedono di non attribuire ai propri familiari i lavori del comune. Ciò ha determinato una dura presa di posizione delle opposizioni hanno annunciato un esposto alla procura chiedendo l'immediata convocazione di un consiglio comunale per affrontare la problematica in questione;
   si legge ancora nell'articolo che, già nella composizione della giunta, il sindaco, appena insediato, aveva scelto, suscitando una serie di polemiche, di affidare l'incarico di vicesindaco ad Andrea Perotti, fratello di Anna Perotti, consigliera comunale neo-eletta;
   infine, è emerso qualche dubbio sulla recente revoca, datata 25 settembre, della delibera sul piano urbanistico comunale, una scelta singolare e preoccupante, visto che la commissione prefettizia straordinaria che ha guidato l'ente comunale durante il lungo commissariamento aveva appena approvato la delibera;
   il 5 novembre 2015, i quotidiani on line riportano la notizia di un nuovo scandalo al centro del qual sarebbe ancora il sindaco pentastellato: la signora Capuozzo, infatti, vivrebbe, con la sua famiglia, in un attico nel centro flegreo, abusivo. Il caso è esploso dopo l'invio ai carabinieri, da parte di un cittadino, di un dossier che contiene una aerofotogrammetria risalente al 12 maggio- del 2003, l'anno in cui secondo il marito del sindaco, Ignazio Baiano, sarebbe stato realizzato l'abuso da sanare: un sottotetto trasformato in un attico. Ebbene, la richiesta di sanatoria risale al mese di aprile del 2003 ma dalla foto scattata a maggio dello stesso anno quell'abuso ancora non appare. E non solo. Lo stesso dossier contiene anche un certificato di idoneità statica redatto dall'ingegnere Rosario Altamonte, indagato in un'ordinanza del gip di Napoli Alberto Capuano eseguita nel giugno dello scorso anno nell'ambito di un sequestro di immobili. Un'inchiesta che riguarda le infiltrazioni del clan Polverino nelle attività edilizie a Marano e Quarto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative urgenti abbia intenzione di intraprendere, anche ai sensi degli articoli 141 e seguenti del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, sopratutto con riferimento agli abusi edilizi, che sembra continuino a manifestarsi.
(4-11071)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta orale:


   BINETTI. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:
   ogni anno le prove di selezione per l'accesso al corso di laurea in medicina e chirurgia suscitano un elevato livello di aspettative tra gli studenti dell'ultimo anno di corso della scuola media superiore e le loro famiglie. Sono quasi 80.000 gli studenti che sperano di iscriversi al corso di laurea in medicina e si preparano a sostenere una prova che selezionerà solo il 10 per cento di loro e che negli ultimi anni ha cambiato spesso la sua impostazione sia per la confezione finale della graduatoria, che per la data e per i contenuti dei quiz;
   l'efficacia, ai fini dell'orientamento e della selezione, di una prova di valutazione pre-universitaria è legata al grado di predittività, alla sua capacità cioè di «misurare» le conoscenze di base e le attitudini richieste allo studente per affrontare con successo un determinato percorso di studi;
   interessanti ricerche in tal senso sono state fatte negli ultimi anni dalla Conferenza dei presidenti di corso di laurea in medicina e chirurgia, che confermano il maggior valore predittivo di alcune serie di quiz, quelli di logica ad esempio, rispetto ad altre serie a carattere prevalentemente nozionistico;
   nel rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca 2013 dell'ANVUR, si afferma che i corsi ad accesso programmato, come quelli di medicina, dove opera un processo di selezione in ingresso, presentano gli indicatori migliori in tutto il percorso degli studi. Gli studenti di area medica hanno infatti bassi tassi di abbandono, un'elevata quota di laureati regolari e con una buona media e un minor numero di iscritti fuori corso;
   l'indagine denominata «Affidabilità e capacità predittiva del test Cisia» condotta dal Consorzio interuniversitario sistemi integrati per l'accesso alle scuole di ingegneria ed architettura sugli studenti immatricolati nel 2005 al Politecnico di Torino e di Pisa, ha evidenziato la presenza di una forte correlazione tra il punteggio ottenuto nel test di ammissione da una parte e il numero e la votazione degli esami superati e il tempo di conseguimento della laurea dall'altra;
   negli ultimi anni, il sistema di selezione all'ingresso dei corsi universitari è stato caratterizzato da un quadro di incertezza circa date, modalità di svolgimento e contenuti delle prove, ma soprattutto è stato oggetto di alcune sentenze dei TAR che hanno accolto i ricorsi collettivi presentati da migliaia di studenti di tutta Italia per violazioni in potenza dell'anonimato nelle fasi di correzione delle prove o per altri vizi nelle procedure concorsuali;
   considerando gli alti tassi di abbandono che si registrano in Italia negli studi universitari e l'elevato numero di studenti inattivi o fuoricorso, è opinione condivisa che le attività e le opportunità di orientamento alla scelta degli studi universitari debbano essere potenziate e favorite, anche per ridurre il numero dei potenziali aspiranti agli studi di medicina;
   la stabilità del sistema e la trasparenza e tempestività delle comunicazioni sul test d'accesso hanno in sé un valore orientativo molto importante. Le scelte di uno studente che deve iscriversi all'università possono infatti essere tanto più consapevoli e meditate quanto più lo scenario che lo aspetta risulti consolidato e noto con largo anticipo temporale –:
   quali iniziative urgenti il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca intenda adottare al fine di rendere note con chiarezza e con largo anticipo agli studenti potenzialmente interessati le informazioni sui prossimi test nazionali 2016-2017, quali data delle prove, programmi d'esame e criteri di valutazione adottati, anche per mettere in sicurezza i concorsi dal fenomeno dei ricorsi collettivi. (3-01844)


   BURTONE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a Militello Val di Catania da tempo vi è il problema della ubicazione di alcune aule facenti parte dell'istituto scolastico di scuola primaria «Carrera» poiché a seguito della carente sicurezza di un'ala dell'istituto sono state trasferite dall'amministrazione comunale in prossimità dell'obitorio comunale;
   è evidente che avere delle finestre che danno non su un cortile o un parco giochi ma sull'ingresso di un obitorio non è indicato per una scuola primaria;
   da tempo i genitori e alcuni insegnanti protestano per avere una soluzione diversa in grado di consentire agli alunni frequentanti spazi e ambienti più consoni e funzionali anche perché gli attuali non rispondono a canoni di sicurezza;
   vi sarebbe la possibilità di poter usufruire di aule e spazi adeguati presso l'istituti di scuola secondaria «Orlando» sempre ubicato a Militello val di Catania;
   inspiegabilmente fino ad ora questa opzione non è mai stata presa in considerazione dal sindaco e dalla giunta municipale –:
   se il Ministro sia a conoscenza di tale situazione e quali iniziative intenda adottare nell'ambito delle proprie competenze, al fine di assicurare agli alunni della scuola primaria «Carrera» aule e spazi maggiormente rispondenti a canoni di sicurezza e opportunità. (3-01846)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, GIANCARLO GIORDANO, PANNARALE, QUARANTA, COSTANTINO, PAGLIA, MELILLA, MARCON, PIRAS, SANNICANDRO, DANIELE FARINA e KRONBICHLER. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. – Per sapere – premesso che:
   con la lettera prot. n. 7433 del 28 agosto 2015 il comune di Santa Maria Nuova (Ancona) avanzava una richiesta di chiarimenti, alla Presidenza del Consiglio (Dipartimento della funzione pubblica) e al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, in merito alla possibilità di escludere dagli aggregati rilevanti ai fini del patto di stabilità alcuni interventi di edilizia scolastica;
   tali interventi, ricompresi nell'elenco approvato con delibera CIPE n. 22 del 30 giugno 2014, avente ad oggetto «Misure di riqualificazione e messa in sicurezza di edifici pubblici, sedi di istituzioni scolastiche statali», sono stati finanziati in parte con fondi del comune di Santa Maria Nuova e in parte con fondi statali;
   il dubbio interpretativo avanzato dal comune si fonda sul fatto che «Da un lato una nota dell'Ufficio di Gabinetto del MIUR del 10.09.2014 (prot. 0025327) sembra affermare che tali spese, purché effettuate (pagate) entro l'anno 2015 non debbano essere conteggiate nel computo del patto di stabilità. Dall'altro lato, non si è potuto rinvenire una normativa di legge che espressamente escluda queste spese (e correlative entrate) dai saldi del patto di stabilità»;
   il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze n. 52505 del 26 giugno 2015 concernente «il monitoraggio semestrale del patto di stabilità interno per l'anno 2015 per le città metropolitane, le province e i comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti e i prospetti di rilevazione», non prevedeva una specifica voce di esclusione per tali tipologie di spesa;
   il comune di Santa Maria Nuova ha diligentemente sottoposto la questione al Ministero dell'economia e delle finanze, che rispondeva nel modo che si riporta: «In merito a quanto ulteriormente richiesto, si chiede a codesto ente di verificare di quali risorse si tratti e per quali interventi siano stati attribuiti. Se gli interventi sono quelli di cui al comma 14-ter dell'articolo 31 della legge n. 183 del 2011, come introdotto dall'articolo 48, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, e se per tali interventi codesto ente ha ottenuto spazi finanziari con il DPCM del 24 dicembre 2014, come sotto specificato, allora i relativi pagamenti delle spese sostenute nel 2015 sono esclusi dal patto 2015 nei limiti degli spazi ottenuti di cui al DPCM indicato. Tale esclusione trova evidenza nella voce S16 del monitoraggio semestrale MONIT/15. L'esclusione riguarda solo le spese ma non anche le relative entrate. Ciò meglio precisato, si suggerisce di rivolgere il quesito alla Presidenza del Consiglio e allo stesso Miur che ha comunicato quanto indicato dall'ente.»;
   il comune di Santa Maria Nuova non è ricompreso nell'elenco aggiornato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 dicembre 2014;
   con una lettera dell'8 ottobre 2015, la firmataria del presente atto aveva già segnalato ai Ministri interrogati la vicenda e la necessità di sollecitare i competenti uffici per fornire un chiarimento su quanto suesposto, sussistendo tuttora i dubbi a fondamento della richiesta;
   ad oggi non è pervenuta alcuna risposta né al comune di Santa Maria Nuova, né all'interrogante –:
   se i Ministri interrogati non intendano fornire i chiarimenti richiesti in tempi rapidi, al fine di consentire al comune richiedente di svolgere in modo corretto gli adempimenti previsti dalla legge per il bilancio dell'ente. (5-06931)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIPRINI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI e TRIPIEDI. – Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
   il 7 novembre 2015 si è svolto lo sciopero proclamato da Filcams, Fisascat e Uiltucs degli addetti alla Grande distribuzione organizzata (cosiddetta Gdo) per i rinnovi dei contratti collettivi nazionali di Federdistribuzione, della Distribuzione cooperativa e di Confesercenti;
   gli addetti delle aziende della grande distribuzione organizzata che fanno riferimento a Federdistribuzione sono circa 223.500, quelli della grande distribuzione organizzata, food e non food 450.000 e il contratto collettivo afferente al settore è ormai scaduto da 22 mesi;
   dopo due anni dall'avvio del negoziato, secondo la Filcams Cgil, le trattative si sono interrotte «a causa delle rigidità da parte di Federdistribuzione che si è rifiutata di prendere in considerazione la piattaforma rivendicativa dei sindacati e ha avanzato proposte con l'unico obiettivo di recuperare la produttività abbassando il costo del lavoro» (da www.rassegna.it del 5 novembre 2015);
   i sindacati confederali stigmatizzano la scarsa disponibilità di tutte e tre le associazioni datoriali che «continuano a chiedere meno diritti e meno salari, per l'esattezza un arretramento dei diritti normativi e una diminuzione del costo del lavoro: Federdistribuzione, attraverso la cancellazione degli scatti di anzianità, la diminuzione dei permessi retribuiti, l'aumento della flessibilità dell'orario, norme di riduzione dei livelli retributivi e indisponibilità a riconoscere l'aumento salariale con le stesse modalità del ccnl; Confcommercio, con altre richieste tese a destrutturare il contratto; la Cooperazione, attraverso il peggioramento delle condizioni normative ed economiche dei nuovi assunti, la diminuzione del costo dell'ora lavorata, la riduzione delle maggiorazioni per il lavoro straordinario, domenicale e festivo, supplementare e notturno, il peggioramento del trattamento economico della malattia, interventi peggiorativi per le cooperative minori, deroghe al ccnl per il Sud, ribadendo la pregiudiziale del recupero del differenziale di costo tra il contratto della cooperazione e quello del commercio privato; Confesercenti, attraverso un ulteriore peggioramento complessivo delle tutele economiche e normative, con le richieste di deroghe al ceni su base dimensionale» (da www.rassegna.it del 4 novembre 2015);
   dall'altra parte Federdistribuzione, per bocca del presidente Giovanni Cobolli Gigli, ha fatto sapere che «paradossalmente noi potremmo arrivare anche a 90 euro di aumento per il periodo 2016-2018, però solo se trovassimo l'accoglimento da parte dei sindacati delle nostre istanze». E cioè la produttività «con una maggiore presenza al lavoro nelle aziende». La sostenibilità «con misure che consentano recuperi senza incidere direttamente sulla busta paga, ma sugli accantonamenti del tfr, per esempio». La flessibilità «per il lavoro a tempo determinato che oggi è consentito nella misura del 25 per cento... Poi anche per l'uso del part time durante il sabato e la domenica per poter utilizzare meglio il lavoro dei colleghi» (da Il Sole24ore del 6 novembre 2015);
   persino con le cooperative, nate su basi mutualistiche e solidaristiche, i sindacati non sono riusciti a trovare l'accordo per il rinnovo del contratto degli addetti alla grande distribuzione;
   il settore degli addetti alla grande distribuzione organizzata occupa numerosissimi dipendenti, lavoratori spesso part time, moltissime donne, con stipendi che si aggirano intorno ai 1.000-1.100 euro ma più spesso anche meno, già con orari lunghi e difficoltà di conciliazione dei tempi di vita privata, di famiglia e di lavoro a causa dei cambi turno, ritmi di lavoro molto elevati, difficili da sostenere anche fisicamente e legati alla produttività, prestazioni di lavoro anche nella domenica;
   a parere degli interroganti, forte è il rischio che l'abbandono del trattamento normativo ed economico previsto per il contratto del settore del commercio ovvero l'estensione delle regole previste per altri settori produca un vistoso e grave arretramento delle tutele e dei diritti nonché delle condizioni economiche, di vita e di lavoro degli addetti alla grande distribuzione organizzata creando così anche discriminazioni a parità di lavoro e mansione tra dipendenti del settore del commercio e lavoratori addetti alla grande distribuzione;
   si rende necessario un intervento del Governo per riavviare un negoziato che non abbia come unico obiettivo quello di ricercare la competitività colpendo i diritti dei lavoratori e risparmiando sul costo del lavoro e che eviti l'effetto di generare un peggioramento complessivo delle tutele economiche e normative con un abbassamento del salario e dei diritti dei lavoratori –:
   quali iniziative intenda attuare il Governo – anche aprendo un tavolo di confronto con le parti interessate – finalizzate a favorire e promuovere un accordo che tenga conto dei diritti dei lavoratori, che assicuri agli stessi una retribuzione adeguata e dignitosa per sé e la propria famiglia in conformità all'articolo 36 della Carta costituzionale e regole di organizzazione del lavoro che siano rispettose dei tempi di vita e di famiglia, così scongiurando l'effetto di un peggioramento complessivo del salario e delle tutele economiche e normative dei lavoratori interessati ridando centralità al valore del lavoro e non alla ricerca esasperata della competitività. (5-06930)


   ALBANELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   lo storico punto vendita Cash & Carry di Mestre, prima apertura Metro in Veneto, ha annunciato, dopo 36 anni di attività, che avvierà la procedura di mobilità entro il 18 gennaio 2016, lasciando a casa quasi settanta lavoratori, cui vanno aggiunti i dipendenti degli appalti che si occupano della mensa, delle pulizie e delle consegne a domicilio. La chiusura nel complesso coinvolgerà quasi ottanta persone;
   l'annuncio ai lavoratori della Metro è stato dato, inaspettatamente, martedì scorso, senza alcun confronto preventivo, mentre i rappresentanti sindacali erano a Roma per discutere a livello nazionale il nuovo contratto integrativo con i vertici della multinazionale tedesca del Cash & Carry;
   il gruppo Metro è attivo in Italia da oltre 40 anni, in questi anni, l'azienda ha già riconvertito la Metro di Padova, che è stata trasformata in «Piazza Affari», la formula Metro che dà più merce a bancale che a scaffale; a Verona è stato rinnovato da poco il contratto di solidarietà, la sede di Pordenone ha chiuso lo scorso anno, mentre in Sicilia, dove è presente solo a Catania, dopo il primo anno di una procedura di solidarietà, l'azienda ha dichiarato lo stato di crisi;
   nel 2014 la catena Metro Italia Cash and Carry aveva ridefinito le strategie commerciali puntando sui clienti della ristorazione, ospitalità e catering (Horeca);
   l'azienda, inoltre, ha realizzato un'importante ristrutturazione, conclusasi a fine 2014, che gli ha consentito di realizzare un grande risparmio grazie alla cassa integrazione, usufruita per più del 70 per cento dell'organico di 7 punti vendita, e al licenziamento di 150 lavoratori;
   secondo i dati dell'impresa, il punto vendita di Mestre tra il 2006 e il 2015, ha perso più del 30 per cento del fatturato, provocando perdite di gestione per 20 milioni di euro. Inoltre, ha dichiarato di aver preso tale decisione solo dopo aver fatto un'attenta valutazioni su possibili alternative che potessero rendere sostenibile il punto vendita;
   le associazioni sindacali segnalano che non è stato fatto alcun investimento per cercare di risollevare le sorti del magazzino di Mestre, neanche ipotizzando una riconversione verso «casa dell'Horeca», un formato coerente con gli obiettivi dell'impresa, che avrebbe potuto rispondente alle caratteristiche del territorio;
   inoltre la disdetta unilaterale del contratto integrativo aziendale, comunicata il 18 settembre 2015 dalla Metro Italia Cash and Carry Spa, preoccupa non poco i lavoratori del gruppo;
    sembra questo, a giudizio dell'interrogante, solo l'inizio di una strategia aziendale volta a non creare alcun investimento in Italia –:
   se, a fronte di tale situazione, i Ministri interrogati non intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, per convocare con urgenza un tavolo istituzionale che coinvolga i rappresentanti dell'azienda, le organizzazioni sindacali e le istituzioni locali interessate per conoscere le reali intenzioni della società in ordine al destino del punto vendita di Mestre e degli altri punti vendita aperti nel nostro Paese, al fine di individuare le misure strutturali idonee a limitare gli effetti negativi sul piano occupazionale nel territorio nazionale. (5-06961)

Interrogazione a risposta scritta:


   SORIAL, COMINARDI e ALBERTI. – Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   il 5 ottobre 2015 l'azienda Ipc Tool, ex-Pulex di Mompiano, Brescia, di proprietà del gruppo Ip Cleaning, nato nel 2005 dalla fusione di alcune delle maggiori società del settore del cleaning professionale, ha comunicato la volontà di trasferire in blocco tutti gli addetti, ovvero 36 lavoratori (28 donne e 8 uomini), a Ronchi di Villafranca, Padova, a 160 chilometri di distanza dalla sede d'origine;
   il giorno stesso in cui è arrivata la comunicazione del trasferimento, le dipendenti hanno scelto la via dello sciopero e dal 6 ottobre 2015 sono in presidio permanente davanti all'azienda: i lavoratori sono scesi in strada contro i vertici dell'Ipc, con un presidio in attesa di chiarimenti e di una risoluzione della vertenza;
   si tratterebbe dell'ennesima azienda che se ne va dal territorio e sembra sia stato convocato un tavolo di crisi proprio a Brescia;
   la decisione ha colto di sorpresa le 36 persone interessate e i sindacati stessi, dato che la società, attiva nel settore dei sistemi per la pulizia dei grattacieli, è in salute: l'azienda ha un fatturato eccellente, con utili per quasi 1 milioni di euro e non c’è un problema di produttività e redditività, come scrive l'amministratore delegato; il costo del lavoro, inoltre, inciderebbe solo per il 18 per cento;
   alle richieste di chiarimento da parte delle organizzazioni sindacali, l'azienda ha dichiarato di non voler licenziare nessun addetto ma di aver comunicato agli stessi la possibilità di trasferire la sede di lavoro, motivando la decisione con supposti risparmi di gestione, senza presentare un vero e proprio piano industriale;
   la vicenda ha generato non poche perplessità per la scarsa trasparenza della compagine aziendale che senza comprensibili motivi di ordine economico sta di fatto costringendo i lavoratori a scegliere tra un trasferimento il più delle volte impossibile e le dimissioni;
   il sindacato ha assicurato che non ci saranno rivendicazioni salariali per tutto il 2016 e ha rilanciato con l'avvio di un tavolo istituzionale dove poter discutere, ma l'azienda si è presentata all'incontro con un proprio rappresentante e un'unica proposta: sei mensilità di incentivi per l'esodo a chi sceglierà di non trasferirsi a Padova;
   Eugenio Seletti della Fiom di Brescia sottolinea che sarebbe stato richiesto anche un incontro al Ministero dello sviluppo economico per potersi confrontare con l'azienda su «un piano industriale che ad oggi ancora non c’è»;
   il trasferimento dei lavoratori da una sede di lavoro ad un'altra è regolato rigidamente dalla legge, più precisamente, l'articolo 2103 c.c. modificato dall'articolo 13 della legge n. 300 del 1970 «Statuto dei lavoratori» dispone che il trasferimento possa essere attuato solo in presenza di «comprovate ragioni tecniche organizzative o produttive»;
   ai trasferimenti collettivi si applicano in via analogica le disposizioni di cui all'articolo 2103 c.c.;
   ad avviso degli interroganti è di dubbia legittimità il trasferimento collettivo di lavoratori ad altra nuova unità produttiva, per soppressione di quella di provenienza, sulla sola base della generica affermazione di sinergie di mercato, insufficiente a integrare le comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive previste dall'articolo 2103 c.c.;
   per molti dei lavoratori coinvolti risulta troppo oneroso affrontare lo spostamento necessario per mantenere il posto di lavoro;
   di fronte a questa decisione dell'azienda le organizzazioni sindacali ritengono che si stia utilizzando una via poco trasparente per evitare di affrontare i costi della procedura di mobilità, di fatto costringendo i lavoratori a licenziarsi per impossibilità ad accettare le condizioni proposte dalla ditta per mantenere i posti di lavoro;
   la notizia, riportata dalla stampa locale, ha suscitato forte preoccupazione per il numero dei lavoratori interessati e per la modalità unilaterale con la quale la proprietà si starebbe rivolgendo agli stessi –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente dei fatti sopra esposti e se ne stiano seguendo l'evoluzione;
   quali orientamenti intendano esprimere, in riferimento a quanto esposto in premessa e, conseguentemente, quali urgenti iniziative intendano intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, a tutela dei lavoratori coinvolti e delle loro famiglie, per garantire il rispetto dei loro diritti;
   se non ritengano opportuno acquisire adeguate informazioni presso i livelli istituzionali competenti, ed attivarsi per evitare il trasferimento dei 36 dipendenti, avviando, conseguentemente, idonee iniziative al fine di promuovere l'avvio di un percorso che eviti l'eventuale perdita del posto di lavoro nel caso in cui non sia possibile effettuare il trasferimento, al fine di salvaguardare l'economia del territorio e le famiglie dei lavoratori coinvolti;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno esaminare la delicata questione nelle opportune sedi negoziali, e quali iniziative, di competenza, anche per il tramite degli uffici territoriali del Governo e in collaborazione con la provincia e la regione, intendano adottare per attivare un tavolo di concertazione con la proprietà, le rappresentanze sindacali e tutte le parti coinvolte, affinché queste addivengano a soluzioni alternative per scongiurare le soluzioni unilaterali anticipate in questi giorni e tutelare i posti di lavoro, soprattutto considerato l'impatto sociale di un trasferimento collettivo del genere.
(4-11058)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   TENTORI e TERROSI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   si riscontrano diversi casi, in particolare in alcune zone d'Italia quali le aree pedemontane lombarde, in cui si presenta l'indisponibilità dei proprietari terrieri a sottoscrivere contratti di affitto con gli agricoltori;
   nonostante ad oggi vi sia una reale convenienza nel regolarizzare i rapporti di conduzione in essere sottoscrivendo i relativi contratti, tale indisponibilità permane ed è frutto di diverse cause, tra le quali l'elevata frammentazione delle particelle fondiarie ed in particolare una consuetudine che si è tramandata per molto tempo, ma anche l'approssimativa e spesso distorta conoscenza delle norme che regolamentano i rapporti fra proprietà fondiaria ed aziende agricole;
   la circolare ALEA del 29 febbraio del 2012 (ACIU.2012.90) ha stabilito che a decorrere dal 25 novembre del 2011 non possono più essere utilizzati ai fini della costituzione del fascicolo aziendale i contratti di affitto cumulativi sottoscritti unilateralmente dal conduttore dei terreni, di conseguenza non è più possibile ottenere gli interventi comunitari per tutti quei fondi agricoli condotti con contratto agrario verbale, nonostante questo sia tuttora previsto dalle normative che disciplinano i contratti agrari quali il Codice Civile e la legge 203 del 1982;
   la regione Lombardia, disponendo di un proprio organismo pagatore e dunque di una propria autonomia per quanto riguarda le regole di gestione del fascicolo, non ha mai precluso l'utilizzo di tale tipologia di contratto anche in assenza di dichiarazioni da parte dei proprietari;
   il decreto ministeriale n. 1922 del 20 marzo 2015 all'articolo 9 comma 2 disciplina la questione dei contratti verbali per il periodo 2006/2014 e al contempo intende che sia da considerare valida per le attività in essere dal 2015 in poi;
   nonostante ciò il comma 1 del suddetto decreto secondo alcune interpretazioni sembra circoscrivere gli effetti del provvedimento ai controlli dell'operazione bonifica del 2013;
   il 1o luglio 2015 la regione Lombardia ha approvato il manuale di gestione del fascicolo aziendale, recependo le disposizioni della circolare ALEA n. ACIU.2012.90 del 29 febbraio 2012, e non sembra quindi aver recepito l'articolo 9 del decreto ministeriale n.1922 del 20 marzo 2015;
   tale epilogo ha comportato la sottrazione di migliaia di particelle fondiarie dai fascicoli aziendali degli agricoltori lombardi, in particolare nella fascia pedemontana caratterizzata da una più alta frammentazione fondiaria, e di conseguenza la perdita dei premi comunitari e dei requisiti fondamentali per la sussistenza stessa di molte aziende agricole –:
   se sia a conoscenza della situazione sopra descritta e se esistano riscontri di quanto esposto in premessa;
   quali iniziative intenda promuovere, qualora tali premesse siano confermate, a favore degli agricoltori coinvolti e se non ritenga urgente fornire un'interpretazione autentica delle norme esistenti al fine di chiarire in maniera inequivocabile la questione descritta in premessa per evitare la sottrazione di migliaia di ettari di superfici coltivate dai fascicoli delle aziende agricole, in conseguenza dell'indisponibilità dei proprietari a sottoscrivere contratti bilaterali di affitto;
   se non ritenga utile prevedere azioni di sensibilizzazione ed informazione tra proprietà fondiarie e aziende agricole per promuovere la sottoscrizione di regolari contratti di affitto, e valutare sanzioni non solo per i conduttori, che già ne sono soggetti, ma anche per i proprietari che, disponendo di terreni coltivati in assenza di regolari contratti di affitto, non siano in grado di dimostrare all'amministrazione finanziaria con quali mezzi e con quali modalità vengano coltivate tali superfici. (4-11066)


   PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'ondata di maltempo che si è abbattuta sulla provincia di Reggio Calabria dal 30 ottobre al 2 novembre 2015 ha generato danni alle colture, alle strutture agricole, alle sistemazioni agrarie (terrazzamenti, muri di contenimento, canali di scolo) alla viabilità interpoderale e poderale, con esondazioni di fiumi e torrenti e conseguente allagamento delle campagne, compromettendo, inoltre, le principali vie di accesso ai centri abitati. Tutto il territorio provinciale è stato interessato, ma l'evento eccezionale si è manifestato con maggiore incidenza e violenza nella fascia jonica della provincia;
   dalla prima ricognizione, quindi non definitiva, si segnalano i seguenti danni alle produzioni agricole:
    bergamotto: 150 ettari risultano danneggiati in modo quasi irreversibile, prevalentemente nei comuni di Brancaleone, Bruzzano Zeffirio, Bianco, Africo, Ferruzzano;
    ortaggi in pieno campo: 40 ettari risultano danneggiati nei comuni di Bruzzano Zeffirio, Palizzi, Africo, Ferruzzano;
   serre fisse: 12 ettari sono interessati con danni parziali alle strutture e totali alle colture in atto, nei comuni di Bruzzano Zeffirio, Africo, Ferruzzano;
    olivicoltura: in campagna olivicola in corso, tutte le aziende sono interessate da problemi di viabilità poderale e interpoderale, e quindi perdita di prodotto sia per cascola che difficoltà nella raccolta, con maggior rilevanza nel basso Jonio Reggino e Locride;
    agrumicoltura: vi sono allagamenti in centinaia di ettari in tutto il territorio, in decine di ettari nella fascia jonica da Palizzi a Monasterace dovuti anche all'esondazione dei torrenti;
    zootecnia: nei comuni aspromontani, nel Basso Jonio e Locride, vi registrano difficoltà provocate dalla distruzione delle strade interne, impossibilità di raggiungere l'azienda con i mezzi rotabili per molti allevatori e quindi conseguenze sulla vendita dei prodotti lattiero-caseari;
   la Coldiretti Calabria ha stimato danni all'agricoltura per circa 27 milioni di euro (12 milioni alla produzione, 15 milioni alle strutture) ed è solo un primo bilancio stimato per difetto a pochi giorni dai tragici eventi;
   un grave contraccolpo – annuncia Coldiretti – si potrà avere anche sul fronte occupazionale. Prendendo in esame solo l'area dove l'evento calamitoso ha arrecato maggiori danni, cioè la fascia di territorio compresa tra Melito Porto Salvo e Monasterace compresi i comuni interni, si segnala che in detta area in agricoltura svolgono la propria attività n. 587 imprenditori agricoli professionali, n. 503 coltivatori diretti, n. 4.748 ditte per un numero complessivo di giornate lavorative pari a 2.088.653 milioni –:
   quali iniziative urgenti intendano adottare, per quanto di competenza, al fine di mitigare i danni al comparto agricolo calabrese gravemente colpito dall'ondata di maltempo che si è abbattuta sulla provincia di Reggio Calabria dal 30 ottobre al 2 novembre 2015. (4-11068)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SILVIA GIORDANO, COLONNESE, LOREFICE, DI VITA, MANTERO, GRILLO e BARONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 1o dicembre 2014 la giunta regionale della Campania con la delibera n. 598 ha approvato il progetto «Istituzione di una bio banca per la conservazione e lo studio del tessuto ovarico e dei gameti. Potenziamento del Centro di Pma» presentato dall'azienda ospedaliera universitaria «San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona», ritenendo il progetto coerente con gli scopi previsti dalla legge 40 del 2004 finanziando le relative attività fino ad un massimo di euro 600.000,00 e demandando a successivi atti monocratici l'impiego, la liquidazione e il pagamento delle risorse necessarie per la realizzazione del progetto de quo;
   in un articolo apparso sul quotidiano la Città di Salerno del 5 novembre 2015 «Il dottor Giorgio Colarieti, dirigente del centro di procreazione medicalmente assistita del «Ruggi» ha affermato nonostante ci sia una delibera datata dicembre 2014 che assegna 600 mila euro al «Ruggi», fondi del Ministero della Sanità a favore della procreazione assistita, non è stato fatto niente a distanza di un anno. Ora l'azienda ospedaliera ha inviato un crono-programma. Se non si fa qualcosa entro fine dicembre si perdono i soldi»;
   il 6 novembre 2015 il quotidiano «la Città di Salerno» ha pubblicato un'intervista al direttore generale dell'A.O.U., S. Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona, Vincenzo Viggiani, rendendo noto che «Il Ruggi si è attivato per aprire nell'ospedale il centro di procreazione medicalmente assistita tanto atteso da chi desidera diventare mamma, per il quale sono stati stanziati dei fondi non ancora impiegati. L'ospedale intende potenziare la struttura che già c’è ma che si è fermata alla sola terapia d'inseminazione nell'utero materno non essendo in grado di eseguire interventi più complessi, come la formazione degli embrioni in vitro e poi da reimpiantare nell'utero materno. "È vero che c’è una delibera regionale che assegna all'ospedale i fondi, cioè 600 mila euro, per attivare il centro – puntualizza il direttore generale Vincenzo Viggiani – ma è anche vero che assegnare i fondi non vuoi dire trasferirli». In pratica i soldi al Ruggi non sono ancora arrivati, perciò il dg ha sollecitato la Regione chiedendo l'anticipazione del 70 per cento del finanziamento, ovvero 420 mila euro per consentire l'avvio dei lavori» –:
   se non si ritenga necessario, anche attraverso il commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali e considerata la rilevanza del progetto sotto il profilo finanziario, verificare se dopo l'approvazione della delibera della giunta regionale della Campania n. 598 del 2014 siano seguiti gli opportuni atti relativi all'impiego, alla liquidazione e al pagamento delle risorse per la realizzazione del progetto descritto in premessa; caso contrario quali siano le ragioni di tale ritardo.
(5-06926)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'AGOSTINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sin dal 1993 l'Unione europea con la direttiva 104 ha imposto ai Paesi membri una disciplina comune sull'orario di lavoro;
   dal 2000, con la direttiva 34 tali standard vengono applicati a tutti i settori dell'economia;
   tale direttiva garantisce ai lavoratori il rispetto del periodo minimo di riposo;
   nel mese di novembre del 2003 l'Unione europea ha emanato la direttiva 88/2003/CE considerata una sorta di testo unico sulla disciplina dell'orario di lavoro;
   detta direttiva indica la disciplina relativa a riposi, ferie, orario massimo di lavoro, e lavoro notturno;
   a giudizio dell'interrogante, la prescrizione del riposo serve a garantire il benessere psicofisico del personale medico e paramedico e, di conseguenza, ad assicurare ai pazienti cure più adeguate;
   per il riposo giornaliero la misura considerata «minima» dall'Unione europea è quella di 11 ore consecutive nell'arco di 24 ore partendo dall'inizio dell'attività, mentre il tempo di lavoro massimo settimanale è individuato in 48 ore, comprendendo oltre all'orario contrattuale anche le eventuali ore di lavoro straordinario, che in ogni caso non possono essere imposte al lavoratore;
   le succitate direttive sono state recepite nel mese di aprile del 2003 con il decreto legislativo n. 66;
   tale decreto non è stato mai realmente attuato nel campo della sanità ospedaliera, in quanto l'errore derivante dal calo della performance è sempre stato considerato come episodio sporadico;
   al contrario, si sono spesso verificate nell'ambito sanitario tragedie attribuibili a stanchezza derivante da turni di lavoro prolungati e a mancanza di riposo;
   a giudizio dell'interrogante, è fondamentale prendere atto che periodi lavorativi prolungati producono effetti significativi sulla salute degli interessati ed aumentano il rischio d'errore;
   l'articolo 1 del decreto legislativo n. 66 del 2003 definisce il riposo adeguato: «Il fatto che i lavoratori dispongano di periodi di riposo regolari, la cui durata è espressa in unità di tempo, e sufficientemente lunghi e continui per evitare che essi, a causa della stanchezza, della fatica o di altri fattori che perturbano l'organizzazione del lavoro, causino lesioni a se stessi, ad altri lavoratori o a terzi o danneggino la loro salute a breve o a lungo termine»;
   l'articolo 14 della legge n. 161 del 2014, recante «Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – Legge europea 2013-bis», stabilisce che dal 25 novembre 2015 «nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 17 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, e successive modificazioni, al fine di garantire la continuità nell'erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni, i contratti collettivi nazionali di lavoro del comparto sanità disciplinano le deroghe alle disposizioni in materia di riposo giornaliero del personale del Servizio sanitario nazionale preposto ai servizi relativi all'accettazione, al trattamento e alle cure, prevedendo altresì equivalenti periodi di riposo compensativo, immediatamente successivi al periodo di lavoro da compensare, ovvero, in casi eccezionali in cui la concessione di tali periodi equivalenti di riposo compensativo non sia possibile per ragioni oggettive, adeguate misure di protezione del personale stesso. Nelle more del rinnovo  dei contratti collettivi vigenti, le disposizioni contrattuali in materia di durata settimanale dell'orario di lavoro e di riposo giornaliero, attuative dell'articolo 41, comma 13, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e dell'articolo 17, comma 6-bis, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, cessano di avere applicazione a decorrere dalla data di abrogazione di cui al comma 1»;
   con il ripristino del diritto al riposo dei medici, moltissime aziende ospedaliere italiane si troveranno in una condizione di difficoltà legata al mancato sblocco del turn-over e alla cronica carenza di personale; una condizione fin qui risolta con gli autoconvenzionamenti pagati dalle stesse aziende ospedaliere;
   a giudizio dell'interrogante, al fine di evitare gravi disservizi ai pazienti, è necessario che il Governo non solo autorizzi l'assunzione di nuovo personale, ma al contempo chieda all'Unione europea una deroga di 4-5 mesi nell'applicazione della direttiva per poter espletare le procedure concorsuali necessarie all'assunzione del nuovo personale;
   è evidente l'esigenza di sbloccare il turn-over, impiegando le risorse che le aziende attualmente utilizzano per gli autoconvenzionamenti, ma anche di chiedere alla Commissione europea il tempo necessario per espletare i concorsi e inserire in organico il nuovo personale;
   in mancanza gli ospedali si troveranno in una condizione di ulteriore e sempre più grave difficoltà –:
   se il Ministro interrogato non ritenga che sussistano i presupposti per assumere iniziative volte a differire il termine di applicazione della direttiva che fissa al 25 novembre 2015 la data entro la quale il personale medico dovrà osservare i turni di riposo, così come disciplinato dalla normativa indicata, per consentire alle aziende ospedaliere e sanitarie di espletare le procedure concorsuali necessarie all'assunzione attualmente mancante in ragione del blocco del turn-over. (4-11070)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

X Commissione:


   RICCIATTI, PAGLIA, FERRARA e DURANTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la strategia energetica nazionale e il decreto-legge cosiddetto «Sblocca Italia» puntano sulla moltiplicazione della capacità estrattiva nazionale di petrolio e gas in terra e in mare;
   dalla lettura degli approfondimenti pubblicati sul sito internet della Camera dei deputati emerge che, al 31 dicembre 2013, risultano vigenti sul territorio italiano 115 permessi di ricerca (di cui 94 in terraferma, e 21 in mare) e 200 concessioni di coltivazione (di cui 134 in terraferma e 66 in mare). Le regioni con il maggior numero di titoli minerari in terraferma, per la maggior parte inattivi e in attesa di autorizzazioni, sarebbero l'Emilia-Romagna (72), la Lombardia (31) e la Basilicata (31);
   informazioni più aggiornate sono pubblicate sul sito internet del Ministero dello sviluppo economico, direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche, dove si trovano l'elenco delle concessioni di coltivazioni vigenti, la carta dei titoli minerari, la carta degli impianti con relativa selezione in base alla regione, le istanze per il conferimento di concessioni di coltivazione e l'elenco delle società titolari di concessioni di coltivazione;
   ciononostante, non si conosce ad oggi l'attuale mappa delle concessioni di esplorazione, prospezione e estrazione di idrocarburi, in essere e in richiesta, con particolare riferimento alle società richiedenti o concessionarie ed il relativo bilancio d'esercizio, mentre si susseguono in particolare allarmi sulla stampa relativi a nuove concessioni di esplorazione, prospezione e estrazione di idrocarburi, anche in aree particolarmente sviluppate sui piano turistico con tutte le implicazioni che ne derivano sotto il profilo ambientale –:
   quali elementi di dettaglio si intendano fornire sulla attuale mappatura delle concessioni di esplorazione, prospezione e estrazione di idrocarburi, in essere e in richiesta, con particolare riferimento all'elenco delle società attualmente richiedenti o concessionarie ed al relativo bilancio d'esercizio. (5-06944)


   BENAMATI, SCUVERA, BASSO, GALPERTI, SENALDI, ARLOTTI, TARANTO, CAMANI, BARGERO, MARTELLA, VICO, TIDEI, MONTRONI, BINI e CANI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con la strategia «Europa 2020» l'Unione ha dato ai Paesi membri importanti indirizzi per una strategia innovativa per la reindustrializzazione e, in particolare, con le comunicazioni 614/2010 «Una politica industriale integrata nell'era della globalizzazione», 582/2012 «Un'industria europea più forte per la crescita» e 14/2014 «Per una rinascita industriale europea», atti affrontati dal Parlamento italiano;
   è assolutamente prioritario che l'Europa si reindustrializzi e recuperi competitività nel mondo; recenti studi, infatti, dimostrano che il blocco dei Paesi emergenti oggi rappresenta il 40 per cento della manifattura globale, avendo raddoppiato in due decenni (1991-2011), la propria percentuale, mentre l'industria manifatturiera in Europa ha perso competitività: infatti, a livello globale, il contributo dei, Paesi dell'Europa occidentale alla creazione di valore aggiunto della manifattura, nello stesso periodo, si è ridotto di oltre il 10 per cento (dal 36 per cento al 25 per cento), dato che non può che ripercuotersi su quello dell'occupazione (in Italia, ad esempio, tra il 2000 e il 2013 la percentuale di occupati nel settore manifatturiero è passata dal 21 al 18 per cento, in Germania dal 20 per cento al 17 per cento);
   per realizzare una rinascita industriale europea è necessario rivedere la politica industriale tradizionale promuovendo una nuova strategia che colga le opportunità della cosiddetta «quarta rivoluzione industriale», identificata dai paradigmi «fabbrica innovativa», «smart industry», «advanced manufacturing», «industria 4.0», che cogliendo la svolta dell’«internet degli oggetti e dei servizi», secondo alcuni studi, potrà comportare un aumento degli occupati nell'industria dai 25 milioni del 2011 ai 31 milioni entro il 2030;
   questa nuova cornice produttiva è caratterizzata da una profonda integrazione delle tecnologie digitali nei processi manifatturieri, conferisce alla fabbrica digitale molteplici vantaggi di processo rispetto alla fabbrica tradizionale, tra i quali la possibilità di sviluppare un ininterrotto flusso di comunicazione interno e in tempo reale nella filiera produttiva – che ne consente l'autodiagnosi e il controllo, anche a distanza, dei processi – e di personalizzare i prodotti in funzione della domanda, senza accrescere i tempi della produzione;
   le nuove politiche industriali europee finalizzate a contrastare il processo di declino dei territori di antica industrializzazione – capitolo factory of the future nel programma Horizon 2020 – sono caratterizzate da una notevole attenzione verso questo tipo di innovazione tecnologica e organizzativa;
   questa opportunità non può che interessare l'Italia che, insieme alla Germania, è il secondo, cluster di esportazione della manifattura nel mondo, dopo la Cina e che, dopo Expo 2015, deve coltivare una leadership nei processi di innovazione, facilitando il trasferimento tecnologico e l'osmosi tra ricerca e industria;
   in Italia l'industria 4.0 è già presente nel settore manifatturiero, anche con alcune eccellenze, tra cui si segnalano importanti applicazioni nella medicina; tuttavia, è necessario sviluppare una strategia nazionale e complessiva, per rafforzare la ripresa industriale in atto, indirizzandola verso processi più competitivi in grado di esaltare le specificità del tessuto produttivo nazionale;
   la Germania ha messo in campo «Industrie 4.0 come iniziativa strategica del Governo», nell'ambito dell’High-tech Strategy 2020 action Plan del 2011, per realizzare la Smart Factory, mentre, fuori dall'Europa, strategie significative e importanti sono state promosse da USA, Cina e India;
   è necessario affrontare il problema del gap infrastrutturale in Europa e in Italia; come è stato sottolineato anche dal Comitato economico e sociale (Cese) «l'industria 4.0 offrirà all'Europa l'opportunità unica di perseguire diversi obiettivi investendo in una sola infrastruttura. Rinviare tale investimento significherebbe compromettere la competitività europea» e a livello europeo diverse sono le iniziative della Commissione per sostenere il mercato unico digitale e, quindi, promuovere in sistema industriale intelligente;
   il Governo italiano ha approvato la «Strategia italiana per la crescita digitale 2014-2020» e la «Strategia italiana per la banda ultra-larga» per anche per favorire un ecosistema digitale favorevole agli investimenti e alla crescita economica e sostenere la competitività del sistema industriale;
   il Ministero per lo sviluppo economico sta elaborando un documento di posizionamento strategico su «Industria 4.0»;
   occorre, dunque, anche alla luce della fase congiunturale incoraggiante per la produzione industriale nazionale, favorire investimenti per l'infrastrutturazione digitale, la ricerca e l'elaborazione di una strategia del Governo italiano su «Industria 4.0», per sostenere nel lungo periodo la competitività del nostro sistema manifatturiero, creare nuova occupazione, essere leader sulla crescita sostenibile e socialmente responsabile –:
   come il Ministro, e più in generale il Governo, intendano favorire una strategia industriale che diffonda ed attui nel Paese il modello di Industria 4.0 come descritta in premessa. (5-06945)


   ALLASIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'annuncio di una possibile chiusura dello stabilimento tedesco DR FISHER di Alpignano ha messo in stato di profonda agitazione i dipendenti che rischiano di perdere il proprio posto di lavoro;
   la notizia è stata appresa dai dipendenti attraverso una lettera con la quale si comunicava l'imminente sospensione della produzione, senza che nessuno dell'azienda si presentasse agli incontri convocati presso l'unione industriale di Torino;
   se il sito produttivo di Alpignano dovesse chiudere, il territorio perderebbe un importante bacino di ricchezza e di occupazione in un settore, quello delle lampadine, che a Torino esiste da quasi un secolo;
   dal 2009 ad oggi i volumi produttivi sono calati da 60 milioni di lampade a poco più di 30mila. Anche la Philips, che dopo aver venduto lei stessa lo stabilimento al gruppo tedesco, restava uno dei principali clienti, non ha rinnovato un contratto da 12 milioni di pezzi, facendo ulteriormente calare la produzione;
   la crisi, se pur evidente, non può ricadere, come ormai troppo spesso accade, sulle spalle dei lavoratori e delle loro famiglie che, a solo un anno di distanza dall'approvazione del piano industriale, non hanno più certezza del loro futuro –:
   se il Ministro interrogato intenda favorire l'apertura di un tavolo di confronto tra tutti soggetti interessati, al fine di arrivare ad una soluzione positiva della vicenda, a garanzia della continuità produttiva dello stabilimento di Alpignano e, quindi, della connessa tutela dei livelli occupazionali. (5-06946)


   GALGANO e BOMBASSEI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati pubblicati da Cna Umbria, in collaborazione con il centro studi Sintesi, negli ultimi cinque anni sono state 1.787 le imprese che hanno chiuso i battenti, ovvero il 2,1 per cento del totale, pari ad una perdita di circa il 9 per cento del prodotto interno lordo regionale;
   le perdite assolute più consistenti hanno investito il settore delle costruzioni (- 1.209 imprese), l'agricoltura (- 1.755) e i trasporti (- 229), mentre nel comparto manifatturiero, che ha visto chiudere 470 imprese, diminuiscono in particolare il sistema moda che perde 155 unità, la metallurgia e la meccanica che arretrano di 162 e il settore legno/arredo che retrocede di 187;
   nonostante Cna Umbria evidenzi nel 2015 l'aumento del 2,85 per cento degli occupati nel settore artigianato e il calo al ricorso della cassa integrazione con 422 aziende che ne hanno usufruito contro le 708 del 2014, l'associazione umbra sottolinea la caduta verticale dell'occupazione nelle imprese artigiane edili dove gli addetti passano da 3.396 a 3.157 con un calo complessivo di 239 unità dall'inizio dell'anno ad oggi;
   continua a diminuire anche il numero delle imprese artigiane attive che in Umbria sono passate da 22.163 del dicembre 2014 a 21.956 di marzo 2015 con un calo complessivo di 207 unità;
   mentre i dati Cerved mostrano un calo dei fallimenti a livello nazionale pari al 6,8 per cento nel primo semestre 2015, per l'Umbria si parla di un aumento dell'11,4 per cento con 147 imprese che hanno depositato i libri in tribunale contro le 132 del 2014 –:
   quali iniziative urgenti di competenza intenda adottare per rilanciare l'economia partendo dal tessuto delle micro e piccole imprese che rappresentano uno dei principali fattori di sviluppo per la regione Umbria e per il Paese in particolare, nell'ottica delle disposizioni dello «Small Business Act» per quanto riguarda la riduzione della pressione fiscale, la semplificazione amministrativa, l'accesso al credito, la valorizzazione dei confidi e la coniugazione tra innovazione e mestieri tradizionali. (5-06947)


   DA VILLA, CRIPPA, VALLASCAS, FANTINATI, CANCELLERI e DELLA VALLE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (ISIN), autorità italiana di controllo in materia di sicurezza nucleare e di radioprotezione, è stato istituito con il decreto legislativo n. 45 del 4 marzo 2014, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 26 marzo 2014 in recepimento della direttiva 2011/70/EURATOM, volta ad istituire un quadro comunitario per la gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi;
   tra le funzioni attribuite all'ISIN vi sono: le istruttorie connesse ai processi autorizzativi, le valutazioni tecniche, il controllo e la vigilanza delle installazioni nucleari non più in esercizio, degli impianti e delle attività connesse alla gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito; gli adempimenti dello Stato italiano agli obblighi derivanti dagli accordi internazionali sulle salvaguardie; la rappresentanza dello Stato italiano nell'ambito delle attività svolte dalle organizzazioni internazionali e dall'Unione europea in materia nucleare;
   ai sensi dell'articolo 6, comma 4, del citato decreto legislativo, il direttore dell'ISIN è nominato entro 90 giorni dall'entrata in vigore del decreto stesso, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri da adottarsi su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, acquisito il parere favorevole delle Commissioni parlamentari competenti, vincolante ai fini della suddetta nomina;
   il Direttore dell'ISIN è scelto, ai sensi dell'articolo 6, comma 5, del decreto legislativo n. 45 del 2014, tra persone di indiscussa moralità e indipendenza, di comprovata e documentata esperienza e professionalità ed elevata qualificazione e competenza nei settori della sicurezza nucleare, della radioprotezione, della tutela dell'ambiente e sulla valutazione di progetti complessi e di difesa contro gli eventi estremi naturali o incidentali;
   in data 26 settembre 2014 il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto, di concerto col Ministro dell'ambiente e col Ministro dello sviluppo economico, la nomina del consigliere Antonio Agostini quale direttore dell'ISIN;
   già in sede di discussione per l'espressione del parere presso le commissioni competenti della Camera dei deputati, nelle sedute dei primi di novembre 2014, i componenti del M5S hanno dichiarato il proprio voto contrario alla nomina valutando il profilo del dottor Antonio Agostini non compatibile rispetto a quanto stabilito dal citato articolo 6, comma 5, del decreto legislativo n. 45, anche in ragione delle notizie diffuse dagli organi di stampa sui risultati delle indagini svolte dagli ispettori della Ragioneria di Stato quando il dottor Agostini era direttore generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Ciononostante, le commissioni parlamentari competenti di Camera e Senato, con voto segreto, esprimevano parere favorevole alla nomina;
   il 14 novembre 2014 giungeva notizia dell'avviso di chiusura indagini per abuso d'ufficio e turbativa d'asta nell'assegnazione di fondi comunitari da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca notificato dal pm Roberto Felici ad Antonio Agostini, segretario generale al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed in procinto di diventare capo dell'ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare; lo stesso giorno, in modo irrituale e, a parere degli interroganti, intempestivo, i presidenti delle commissioni VIII e X della Camera invitavano pubblicamente i Ministri competenti dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Gian Luca Galletti, e dello sviluppo economico, Federica Guidi, a sospendere la nomina di Agostini alla direzione dell'ISIN ai fini di valutarne l'opportunità alla luce dei necessari chiarimenti;
   nell'aprile 2015 è stato chiesto il rinvio a giudizio del dottor Agostini in seguito alle accuse di abuso d'ufficio e turbativa d'asta riguardanti l'assegnazione di fondi comunitari da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per progetti di ricerca. Il procedimento di nomina è allo stato rimesso al Consiglio dei ministri;
   a parere degli interroganti è importante completare quanto prima il processo istitutivo dell'ISIN e dotarlo di idoneo personale, anche in vista della definizione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) a ospitare il deposito unico delle scorie nucleari; occorre quindi che a vigilare vi sia un ispettorato autorevole e indipendente, in grado così di ispirare la massima fiducia nella correttezza di tutte le azioni che esso intraprenderà –:
   se non ritenga opportuno e urgente, nell'ambito della proprie competenze, adottare tutte le iniziative necessarie a procedere alla nomina di un nuovo direttore dell'ISIN e rendere pienamente operativo l'istituto tramite la designazione degli organi del medesimo ente nel pieno rispetto dei requisiti di indiscussa moralità e indipendenza e di documentata esperienza ed elevata competenza nei settori della sicurezza nucleare, della radioprotezione, della tutela dell'ambiente e sulla valutazione di progetti complessi di difesa contro eventi estremi o incidenti, così come richiesto dalla normativa. (5-06948)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CANI, MARROCU, MARCO MELONI, MURA, PES, GIOVANNA SANNA, FRANCESCO SANNA e SCANU. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 9 novembre 2015 Terna sul proprio sito internet ha comunicato che tra i sette impianti di produzione di energia in Italia ritenuti «essenziali per la sicurezza del sistema elettrico» nel 2016 solo uno, la centrale Enel di Assemini, in provincia di Cagliari, viene riconosciuto in Sardegna, cancellando così il regime di essenzialità per le tre centrali sarde di Fiumesanto, Ottana e Portovesme;
   questa decisione comporta che le citate centrali non avranno più il riconoscimento economico insulare per la loro gestione, privandole così del contributo associato ai maggiori costi gestionali legati al rischio di black out derivanti dall'essere un'isola, e mettendone in forse la stessa operatività, con evidenti ricadute in termini di sicurezza e equilibrio della rete elettrica, di efficienza e stabilità della fornitura della stessa e di salvaguardia dell'occupazione;
   il mantenimento del regime di essenzialità è fondamentale per garantire il mantenimento dell'attuale sistema energetico insulare, per tutelare migliaia di posti di lavoro e per difendere l'apparato produttivo regionale consentendo una transizione non traumatica tra il vecchio modello energetico e quello nuovo in costruzione nei piano energetico regionale, piano che porterebbe a una migliore integrazione della Sardegna con il sistema nazionale, oltre a prevedere l'uso del metano; il piano prevede infatti la graduale riconversione delle centrali, e il riequilibrio, secondo criteri, regole e obiettivi di qualità, dell'utilizzo delle rinnovabili –:
   attualmente è in discussione a Bruxelles il regime di «interrompibilità» e «superinterrompibilità» per le industrie energivore di cui fanno parte nei territori interessati dalla decisione di terna Alcoa e Portovesme srl, nonché altre sedici imprese isolane che operano in settori produttivi diversificati;
   appare giusta la presa di posizione dei sindacati confederali e di categoria e delle associazioni datoriali della Sardegna, secondo cui, la decisione di Terna e dell’Autority per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, è una scelta che, insieme ai ritardi della proroga del provvedimento di «superinterrompibilità», mette in serissima difficoltà pezzi importantissimi del sistema industriale della Sardegna –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative per quanto di competenza, intenda porre in atto per prorogare il regime di «essenzialità» almeno sino alla possibilità di uso del metano e se sia intenzione del Governo promuovere i necessari interventi di riqualificazione tecnologica delle centrali Ep, Enel e Ottana Energia, finalizzati a una maggiore sostenibilità ambientale e competitività economica. (5-06932)


   VICO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la società Sogin ha il duplice compito di smantellare tutti i siti nucleari e, nel frattempo, di mantenerli in sicurezza e i costi relativi ai due compiti vengono finanziati dai consumatori in particolare, il mero mantenimento in sicurezza comporta un onere di circa 70 milioni di euro l'anno nella bolletta elettrica;
   nel dicembre 2013, l'amministratore delegato, dottor Riccardo Casale, aveva proposto la riduzione del 20 per cento delle attività per il quadriennio 2014-2017 e il consiglio di amministrazione presieduto dal dottor Giuseppe Zollino aveva approvato tale proposta, riscuotendo il consenso del Governo, del Parlamento e dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico;
   nell'ottobre 2014, l'amministratore delegato propose un rallentamento delle operazioni, con un ulteriore taglio di 120 milioni di euro per il triennio restante, al consiglio di amministrazione, il quale ne prese atto e, al tempo stesso, approfondì le cause dei ritardi individuandole in carenze gestionali;
   numerosi senatori della Commissione industria, commercio, turismo rilevarono l'esistenza del problema nel novembre 2014 durante le audizioni dell'amministratore delegato e del presidente della Sogin, e denunciarono la situazione con una lettera al Ministro dello sviluppo economico, deputato al controllo della Sogin, e al Ministro dell'economia e delle finanze, in quanto azionista –:
   se il Ministro sia a conoscenza dello stato di avanzamento dei lavori a un anno dalla revisione del piano, in particolare se ritenga attendibile la conferma dell'obiettivo, per quanto ridotto, di un fatturato, alimentato dalla bolletta, di 80 milioni di euro nel 2015, quando al 30 settembre la Sogin aveva concluso lavori per soli 36 milioni;
   quali siano gli orientamenti, nel complesso, in ordine alla lettera di dimissioni presentata dall'amministratore delegato di Sogin, di cui ha dato notizia l'edizione di martedì 27 ottobre 2015 di la Repubblica;
   come intenda garantire la continuità e il miglioramento delle attività di Sogin.  (5-06958)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRECO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Telecom ha dato inizio, in molte città siciliane, ai lavori per la realizzazione della rete della banda larga. Recentemente è stata data notizia della possibilità che 2.300.000 siciliani sparsi in circa 145 comuni potranno accedere alla connessione superveloce, fino a 30 megabit, dopo che sarà realizzata la rete della banda ultra larga in programma a breve nell'Isola;
   una recente delibera della giunta regionale, che dà il via all'investimento grazie ai fondi, della politica agricola comune cui si aggiungeranno 30 minuti dell'operatore privato che si è aggiudicato l'appalto, cioè Telecom, ha consentito, subito dopo la firma della convenzione tra la regione e Infratel, di dare il via alla realizzazione dell'opera. Alla notizia, apparsa sui media, hanno fatto eco i sindacati chiedendo al governatore Crocetta di accelerare i tempi per la convocazione della conferenza, di servizi con la presenza dei comuni, ex, province, e Anas, affinché si proceda celermente, nel rispetto delle leggi, all'apertura dei cantieri;
   le preoccupazioni secondo le quali Enna e il suo territorio fossero stati tagliati fuori dai lavori di Telecom Italia per gli interventi sulla banda larga sono state dissipate da una nota ufficiale della stessa azienda di telefonia fissa;
   quindi, si prevede un futuro più veloce nella rete per ben 10 comuni della provincia. Si tratta precisamente, oltre a Enna, anche di Agira, Barrafranca, Leonforte, Nicosia, Piazza Armerina, Pietraperzia, Regalbuto, Troina e Valguarnera;
   la Telecom sollecitata dalle indiscrezioni che volevano il territorio ennese fuori dai lavori ha comunicato che «si è aggiudicata il bando indetto dalla Regione e realizzerà, entro gennaio 2017, le infrastrutture di rete passiva in fibra ottica, adeguando 231 aree di centrale, nei 142 comuni previsti dal progetto, ossia i 60 già indicati dal ministero dello Sviluppo economico e da Infratel nel bando di gara; più altri 82 comuni»;
   i dati forniti dall'azienda sono di certo importanti: «Saranno circa un milione e 250 mila le unità immobiliari abilitate alla fornitura di servizi digitali innovativi con connessioni da 30 fino a 100 Megabit al secondo per oltre 2 milioni e 300 mila abitanti»;
   l'intero investimento conta 106 milioni di euro. Di questi, oltre 73 milioni derivano da un finanziamento pubblico mentre circa 33 milioni sono a totale a carico di Telecom Italia;
   va sottolineata l'importanza del progetto volto a superare le «differenze tecnologiche territoriali» che contraddistinguono alcuni territori del Paese;
   il problema infatti è duplice: da un lato vi è l'alto costo di connessione per le imprese e le famiglie, che aumenta ed è spesso insostenibile nei territori decentrati, dall'altro c’è l'assenza di competitività tra operatori proprio in periferia. A questo si aggiunge un gap culturale, che andrebbe colmato, per la diffusione dell'utilizzo delle tecnologie anche tra gli anziani e anche per i servizi al cittadino, in analogia con quanto avviene in altri Paesi europei;
   va considerato l'impatto economico e sociale che il potenziamento della banda larga produce sul territorio –:
   quali siano tempi e modalità di impiego delle risorse previste dal piano per la banda ultra larga e, nello specifico, quando inizieranno i lavori di realizzazione della banda nel territorio ennese con particolare riferimento a Enna;
   quali procedure siano state attivate per assicurare in tempi rapidi l'attivazione della rete della banda larga sul territorio interessato e se l’iter di realizzazione della rete proceda speditamente per consentire la realizzazione delle infrastrutture connesse. (4-11053)


   D'ARIENZO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   per il triennio 2016/2018 la camera di commercio di Verona ha aumentato il diritto annuale al massimo previsto per legge;
   il diritto annuale è il tributo dovuto ad ogni singola camera di commercio da ogni impresa, iscritta o annotata nel registro delle imprese e da ogni soggetto iscritto nel REA repertorio delle notizie economiche amministrative;
   la misura del diritto annuale dovuto è determinata dal Ministro della sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;
   il diritto annuale che tutte le imprese devono pagare può essere aumentato dalla camera di commercio per il cofinanziamento di specifici progetti fino ad un massimo del 20 per cento aventi per scopo l'aumento della produzione e il miglioramento delle condizioni economiche della circoscrizione territoriale di competenza;
   la camera di commercio di Verona l'ha aumentato anche se nel provvedimento decisorio, per gli anni 2016, 2017 e 2018, non si trova alcuna indicazione di specifici progetti, ma si parla genericamente di finanziamento di bandi a sostegno diretto ed indiretto delle imprese;
   l'aumento del 20 per cento del diritto annuale potrebbe valere per la Camera di commercio di Verona circa 2 milioni di euro (circa 20 euro ad impresa, in media), che verrà, a quanto scritto, utilizzato per finanziare ulteriormente i bandi per le imprese e per i consorzi fidi;
   nel 2015, senza dover ricorrere all'incremento del 20 per cento del diritto annuale, i bandi per l'innovazione tecnologica e per i confidi sono stati finanziati per un totale di 3.650.000,00;
   a quanto risulta all'interrogante nella delibera di aumento i progetti non sono esplicitati;
   si tratta di una consistente diversità rispetto ai finanziamenti elargiti nel 2015 con fondi non derivanti da nessun aumento del diritto annuale;
   l'interrogante ritiene opportuno approfondire se questi fondi possano essere impiegati anche per altro –:
   se l'aumento deciso debba essere legato a progetti specifici a favore degli iscritti da indicare espressamente nella delibera di aumento;
   se siano previste verifiche successive a riscontro degli intenti manifestati;
   se non sia il caso di assumere iniziative volte a circoscrivere con esattezza le tipologie di progetti da cofinanziare.
(4-11065)


   NUTI e TRIPIEDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'ultimo album musicale del cantante rap Fedez è stato oggetto di una comunicazione da parte del Ministero dello sviluppo economico in cui, a seguito di accertamenti non formali di cui all'articolo 170 del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, era dichiarato che il marchio «Fedez presenta Pop-hoolista + Figura», cioè la copertina dell'album, non risulta essere conforme a quanto disposto dall'articolo 14, comma 1, lettera a) e b), del citato decreto legislativo, in quanto il segno è contrario all'ordine pubblico e al buon costume;
   in particolare, come riportato in un video pubblicato dallo stesso cantante, il marchio sarebbe contrario all'ordine pubblico in quanto raffigurante un funzionario di pubblica sicurezza a cavallo di un unicorno di colore bianco e arcobaleno mentre sarebbe contrario al buon costume in quanto è ritratto il medesimo cantante vomitando un arcobaleno;
   il Ministero dello sviluppo economico ha attivato la procedura prevista dall'articolo 173, comma 7, concedendo un termine di 2 mesi al cantante per formulare osservazioni proprie, dopodiché l'ufficio competente potrà decidere di respingere in tutto o in parte l'istanza di registrazione del marchio, cioè la copertina dell'ultimo album musicale dell'artista;
   il Ministero dello sviluppo economico ha replicato alle proteste del cantante con una nota in cui dichiarava che «I contenuti del marchio [...] sono sembrati all'Ufficio italiano dei marchi e dei brevetti come non rispondenti alla normativa che regola la tutela dei brand»;
   tuttavia, a giudizio dell'interrogante, comunicato del Ministero dello sviluppo economico sopra citato appare assimilabile ad una censura in quanto la copertina dell'album in oggetto non sembrerebbe costituire, a giudizio dell'interrogante, una violazione dell'ordine pubblico o del buon costume –:
   per quali ragioni siano state effettuate rilevazioni in merito al marchio «Fedez presenta Pop-hoolista + Figura», il cui contenuto è stato esposto in premessa con riferimento a violazioni di norme su ordine pubblico e buon costume. (4-11072)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Catania e altri n. 1-01056, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bombassei.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Dambruoso n. 4-10901, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bruno Bossio.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
    interrogazione a risposta scritta Vezzali n. 4-09133 dell'11 maggio 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Pannarale n. 5-06766 del 22 ottobre 2015;
   interpellanza Brescia n. 2-01146 del 3 novembre 2015.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Tentori e Terrosi n. 5-06324 del 9 settembre 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-11066.