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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 6 novembre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    oggi, nel mondo, vivono oltre 300 milioni di indigeni, distribuiti in più di sessanta Paesi diversi. Tra questi, 150 milioni di persone appartengono in senso stretto ai popoli tribali e comprendono almeno settanta gruppi che non hanno mai avuto contatti con l'esterno;
    solitamente, i popoli indigeni rappresentano gli abitanti originari dei luoghi in cui vivono. Nella maggior parte dei casi, infatti, essi abitano le loro terre da secoli se non addirittura da migliaia di anni. Le loro società si distinguono notevolmente dalle altre: sono complesse, vitali e in costante mutamento. Culture, lingue e stili di vita dei popoli tribali, infatti, sono molto diversi, ed essi stessi si percepiscono come nettamente distinti dai popoli confinanti, anche se accomunati da un fortissimo attaccamento spirituale alle loro terre ancestrali;
    pur vivendo in ambienti incredibilmente diversi ed in regime di autosufficienza, i popoli tribali sono costantemente ed incessantemente minacciati dalla sostanziale mancanza di rispetto dei loro diritti territoriali da parte di Governi, società ed altri enti. Le loro terre, infatti, vengono invase senza soluzione di continuità. A farlo sono coloni, allevatori, società e multinazionali, soprattutto quelle petrolifere, minerarie o di disboscamento. Frequentemente, però, risultano essere invasivi e devastanti anche i progetti di sviluppo privati o governativi che vengono varati, ad esempio, per la costruzione di strade e dighe, o per la creazione di parchi e riserve naturali, determinando sempre, in un modo o nell'altro, invasioni che si traducono poi nella distruzione delle risorse necessarie alla loro sussistenza: il cibo e la casa;
    le invasioni sopra descritte, inoltre, spesso causano la morte, introducendo malattie verso cui, i popoli tribali, specialmente quelli più isolati, non hanno difese immunitarie. La mancanza di terra può turbare e sconvolgere la struttura sociale delle comunità portando sconforto e depressione, fino ad arrivare alla scomparsa irreversibile di un popolo. Nel nome del progresso, intere tribù sono ancora oggi cacciate dalle terre dei loro avi, ricorrendo in molti casi alla violenza, attaccando, imprigionando e uccidendo gli indigeni;
    per citare alcuni dei recenti casi, in cui sono state denunciate delle gravissime violazioni nei confronti delle popolazioni tribali, basti pensare a quanto stia tuttora accadendo ai Penan, popolazione indigena dello Stato malese del Sarawak, minacciati dalla programmata ed avviata costruzione di una serie di dighe, che li obbligherà ad abbandonare la loro terra, oppure alle tribù indigene del Brasile come gli Awà, popolo di cacciatori-raccoglitori la cui sopravvivenza è a rischio per i continui disboscamenti, o i Guaranì, soggetti alle continue violenze da parte degli allevatori locali. Proprio in Brasile diverse proposte di legge stanno minando la base dei diritti costituzionali faticosamente conquistati dagli indios, indebolendo le loro posizioni sulla questione territoriale, aprendo, tra l'altro, alla edificazione nelle loro terre di basi militari e alla realizzazione di attività minerarie, dighe ed altri progetti industriali. Così come le pratiche turistiche di veri e propri «safari umani» stanno seriamente compromettendo la preservazione dell’habitat e delle risorse degli Jarawa, popolo natio delle isole indiane Andamane; analogamente nello stato africano del Botswana, la popolazione indigena dei Boscimani continua ad essere perseguitata, arrestata e maltrattata, impedendo l'ingresso e la caccia nella loro terra di appartenenza, nonostante una pronuncia della Corte Suprema di quello Stato avesse confermato il loro diritto a vivere e cacciare nella riserva;
    tuttavia laddove i diritti dei popoli indigeni sono rispettati e viene data loro la possibilità di vivere in pace sulle proprie terre, molte società tribali prosperano e crescono numericamente, invertendo la tendenza al forte ribasso demografico che li caratterizzava fino a qualche tempo fa;
    la comunità internazionale, riconoscendo come le violazioni perpetrate negli ultimi cinque secoli nei confronti dei popoli indigeni abbiano condotto ad un vero e proprio genocidio, e come esse abbiano causato la perdita della vita di milioni di persone e l'estinzione di centinaia di culture, lingue, tradizioni, stili di vita e conoscenze, ha sancito, in diversi atti internazionali, la necessità di tutelare la diversità culturale dei popoli indigeni, nel rispetto degli universali principi di giustizia, democrazia, eguaglianza, non discriminazione, e dei diritti umani;
    in forza di ciò, a partire dal 1982 l'Organizzazione delle Nazioni Unite ha istituito il «Working Group on Indigenous Populations», mentre il 27 giugno del 1989, l'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) ha adottato la Convenzione n. 169, concernente il riconoscimento e la tutela dei diritti dei popoli indigeni e tribali in Stati indipendenti. In seguito, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato l'anno 1993 come «Anno internazionale dei popoli indigeni» ed il periodo 1995-2004 come «Decennio internazionale dei popoli indigeni» e ancora, successivamente, il periodo 2005-2014 come «Secondo decennio internazionale dei popoli indigeni», istituendo la «giornata mondiale delle popolazioni indigene» nella data del 9 agosto, mentre il 13 settembre 2007 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la «Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni», in cui l'Italia ha assunto un importante ruolo di sponsor nel difficile processo di negoziazione;
    in data 22 settembre 2014 si è tenuta la riunione plenaria ad alto livello dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, conosciuta come Conferenza mondiale sui popoli indigeni, che ha adottato la risoluzione 69/2 (allegata) che ha identificato le misure necessarie per assicurare il rispetto dei loro diritti riconosciuti sia dalla dichiarazione ONU sui diritti dei popoli indigeni (UNDRIP) che dalla Convenzione n. 169;
    la diversità culturale dei popoli indigeni ancora oggi costituisce la stragrande maggioranza della diversità culturale dell'umanità e tale diversità culturale è una ricchezza che è necessario trasmettere alle generazioni future;
    la possibilità di costruire un futuro di pace, fondato su un vero rapporto di rispetto e incontro reciproco fra i popoli indigeni ed il mondo non indigeno, può essere possibile solo partendo dal riconoscimento di ciò che è accaduto in passato, e continua ad accadere anche oggi, ai popoli indigeni in ogni parte del mondo, dall'Africa all'Asia, dalle Americhe all'Oceania;
    la data dell'11 ottobre 1492 può essere considerata, simbolicamente, come l'ultimo giorno di libertà dei popoli indigeni,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per istituire la «Giornata della memoria del genocidio dei popoli indigeni», in corrispondenza dell'11 ottobre di ogni anno a venire.
(1-01054) «Zaratti, Scotto, Marcon, Melilla, Palazzotto».


   La Camera,
   premesso che:
    le infezioni nosocomiali e la resistenza antimicrobica costituiscono due specifiche problematiche sanitarie richiamate nell'allegato 1 della decisione n. 2000/96/CE del 22 dicembre 1999 della Commissione europea relativa alle malattie trasmissibili da inserire progressivamente nella rete comunitaria in forza della decisione n. 2119/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio;
    la resistenza antimicrobica è la capacità di un microrganismo (batterio, virus o parassita) di resistere ad uno o più antimicrobici (multiresistenza) usati in via terapeutica o profilattica;
    i maggiori fattori causali di tale fenomeno sono l'abuso di antimicrobici (che finisce per esercitare una pressione ecologica sui microrganismi e contribuisce alla comparsa e alla selezione di elementi resistenti); la mutazione genetica degli stessi microrganismi; la loro diffusione/trasmissione crociata uomo-uomo, animale-animale e uomo-animale-ambiente);
    nell'ambito della mortalità per malattie infettive, il fenomeno dei microrganismi multiresistenti rappresenta un rischio sanitario assai rilevante dal momento che le terapie alternative sono limitate o addirittura inesistenti e che esso presenta un'incidenza primaria nell'ambito delle prestazioni erogate negli ospedali, in particolare nelle situazioni più critiche, ad esempio nei reparti di terapia intensiva o dove si svolge chirurgia invasiva e/o in genere nelle situazioni associate all'assistenza sanitaria (reparti di lungodegenza, ricoveri per anziani, assistenza domiciliare, e altro);
    oggi la mortalità per le cosiddette «infezioni ospedaliere» si aggira intorno al 25-30 per cento. L'entità di tale percentuale è talmente allarmante che l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha ripetutamente dedicato negli ultimi anni documenti strategici e linee guida per quei paesi che vogliono istituire sistemi di monitoraggio della resistenza antimicrobica e intraprendere interventi efficaci;
    come per tutti i microrganismi, anche in riferimento ai «batteri antibiotico resistenti» si parla di totale o quasi totale impotenza del contrasto farmacologico alla loro proliferazione. Questi batteri producono infatti degli enzimi che distruggono gli antibiotici appartenenti alla classe dei «carbapenemici» (imipenem e meropenem) usati nelle infezioni più gravi. La loro proliferazione, specie in ambito nosocomiale e sanitario, permane elevata e, in alcune realtà europee come la Grecia e l'Italia, addirittura in costante aumento;
    tra i batteri più insidiosi e mortali che agiscono in ambito nosocomiale, vi è la Klebsiella pneumoniae (KP), un enterobatterio della famiglia delle Enterobacteriaceae, che comunemente convive in modo opportunistico con l'organismo umano a livello di apparato intestinale;
    la KP può scatenarsi ed avere esiti fatali nell'entrare in contatto con il fisico defedato di persone affette da malattie severe e/o provate da terapie che ne hanno compromesso il sistema immunitario;
    la Klebsiella pneumoniae resistente (CRKP – carbapenem-resistent Klebsiella pneumoniae) rappresenta il paradigma della criticità del fenomeno testé descritto, anche sotto il profilo della sua crescente diffusione e difficoltà di contrasto. Da anni si registrano in tutto il mondo casi letali di Klebsiella pneumoniae e nemmeno le eccellenze ospedaliere sono risultate immuni dai contagi. I reparti più colpiti sono generalmente le rianimazioni, i centri grandi ustionati, le chirurgie ed i centri di trapianti di organi;
    la prima causa scatenante per la diffusione delle infezioni da batteri Gram negativi, produttori di carbapenemasi (CPE) è costituito dal trasferimento dei pazienti tra le diverse strutture sanitarie. Numerosi studi scientifici hanno evidenziato che i fattori di rischio per le infezioni da CPE sono: la gravità, delle condizioni cliniche del paziente; il trasferimento da altre strutture ospedaliere; la permanenza, per un determinato periodo di tempo, in unità di terapia intensiva; un precedente intervento, chirurgico; i trapianti di midollo o organi solidi; la presenza di ferite chirurgiche; il cateterismo delle vie biliari; la ventilazione assistita;
    le più recenti evidenze disponibili in letteratura suggeriscono che uno dei più sensibili segmenti di intervento per il contenimento dell'emergenza sanitaria legata alla trasmissione delle infezioni da CPE ed in particolare da CRKP rimane ancora un ricorso prudente di antimicrobici (vale a dire un uso limitato ai soli casi in cui è realmente necessario nel rispetto delle dosi, degli intervalli e della durata del trattamento);
    il network di sorveglianza europea sul consumo degli antimicrobici (EuropeanSurveillance of Antimicrobial Consumption – ESAC), operativo nell'ambito del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie di Stoccolma (ECDC), ha recentemente messo in luce proprio quest'ultimo fattore e la preoccupante esistenza di un ampio range tra i Paesi dell'Unione europea e dell'area economica europea per uso di antimicrobici. In rapporto alla popolazione, Grecia e Cipro registrano, per la cura dei pazienti ambulatoriali, un uso per abitante/anno 3 volte maggiore rispetto ai Paesi Bassi. Questa circostanza non è casuale, laddove la Grecia risulta essere il primo Paese dell'Unione europea nella graduatoria negativa della resistenza antimicrobica alla Klebsiella pneumoniae;
    ai fini del controllo e del contenimento della trasmissione crociata dei microrganismi resistenti agli antimicrobici, ESAC ha inoltre evidenziato l'inderogabile necessità di implementare tutte le precauzioni igieniche ed i protocolli di sicurezza in uso negli ospedali e nelle strutture sanitarie;
    il 5 giugno 2012 il Ministero della salute ha presentato le «Indicazioni contenenti le misure di prevenzione e controllo delle infezioni da CPE» ed, in particolare, da klebsiella pneumoniae resistente. Da tali indicazioni è emersa la necessità di implementare le precauzioni igieniche e in particolare rafforzare:
     l'utilizzo scrupoloso delle precauzioni da contatto da parte del personale sanitario, attraverso una maggiore igiene delle mani prima e dopo il contatto con il paziente colonizzato o infetto da CPE, l'uso di guanti e sovra-camicie, l'intensificazione dell'igiene ambientale;
     l'isolamento dei pazienti colonizzati/infetti in stanza singola con bagno dedicato o loro raggruppamento in aree dedicate dell'ospedale («cohorting»);
     l'assistenza dei pazienti colonizzati/infetti da CPE da parte di personale sanitario dedicato;
     l'educazione/formazione del personale sanitario sulle misure di sorveglianza e controllo contro le infezioni da CPE;
    il 18 novembre di ogni anno l'ECDC organizza la «Giornata europea degli antibiotici» che si inserisce in una più ampia iniziativa europea per la prevenzione ed il controllo delle malattie infettive;
    i dati più recenti diffusi dal Centro europeo di Stoccolma confermano che, nell'area dell'Unione europea il numero di pazienti infetti da batteri resistenti sia in continuo aumento e che la resistenza agli antibiotici rappresenti un problema emergente di sanità pubblica. Le cifre riportate dal focus sull'Italia dovrebbero indurre le nostre istituzioni sanitarie ad innalzare la soglia di attenzione e di sorveglianza per quanto attiene, in particolare, alla diffusione della Klebsiella pneumoniae (KP), la cui trasmissione permane elevata e sia addirittura in aumento;
    nel triennio 2010-2013, la resistenza antimicrobica della Klebsiella pneumoniae(CRKP) è cresciuta infatti in 5 Stati su 9 (Grecia, Italia, Repubblica Ceca, Francia e Spagna). Nel nostro Paese, il trend segue un andamento assai preoccupante: 1,3 per cento nel 2009, 16 per cento nel 2010, 26,7 per cento nel 2011 e del 13 per cento nel 2013. L'ECDC riporta che l'Italia stessa si è dichiarata in una situazione di endemicità per tale resistenza antimicrobica;
    il 22 gennaio 2013 il Ministro Balduzzi rispondeva ad un atto di sindacato ispettivo in relazione al caso di tre pazienti deceduti in un brevissimo arco temporale (dal 30 gennaio all'8 febbraio 2012), all'ospedale San Bassiano, a Bassano del Grappa, per un'infezione originata dal batterio Klebsiella pneumonlae e riconosceva che: «...le infezioni da batteri Gram negativi produttori di carbapenemasi (CPE), soprattutto delle specie Klebsiella pneumoniae e Escherichia coli rappresentano sicuramente una problematica emergente per la sanità pubblica in particolare negli ultimi dieci anni»;
    il 26 febbraio 2013 il Ministero della salute ha pubblicato la circolare n. 4968 in materia di «Sorveglianza e controllo delle infezioni da batteri produttori di carbapenemasi(CPE)», contenente le linee di indirizzo da seguire in materia di:
     a) sorveglianza passiva, attraverso la rilevazione di batteriemie da ceppi di CPE;
     b) sorveglianza attiva dei contatti dei pazienti infetti o colonizzati, di tutti i pazienti identificati in precedenza come infetti o colonizzati che accedono una seconda volta in ospedale, di tutti i pazienti provenienti da Paesi endemici (Grecia, Cipro, Pakistan, Colombia, India, e altro), di pazienti che vengono ricoverati o trasferiti in reparti a rischio quali terapia intensiva, oncologia, ematologia, neuro-riabilitazione, unità spinale, chirurgia dei trapianti;
     c) misure di controllo attraverso l'adozione di precauzioni da contatto (che ricalcano le indicazioni del Ministero della salute del 5 giugno 2012);
    sono trascorsi ormai due anni dalla circolare sopra ricordata e dal tentativo delle nostre istituzioni sanitarie di instaurare un sistema di sorveglianza delle infezioni ospedaliere resistenti. Le preannunciate azioni di contrasto, avviate dal Governo, appaiono meri, seppur meritori, propositi mai divenuti concretamente operativi a giudizio dei presentatori del presente atto di indirizzo, nelle corsie degli ospedali italiani e comunque del tutto inadeguati alla serietà della situazione in atto, soprattutto sul versante della deterrenza del consumo di antibiotici e del contenimento delle infezioni nosocomiali;
    è sempre più urgente un efficace ed adeguato piano di interventi volti al controllo e al contenimento delle infezioni ospedaliere, dell'allarmante fenomeno dell'antibiotico-resistenza e dell'epidemiologia delle resistenze batteriche in relazione a tutte le infezioni da CPE e della Klebsiella pneumoniae in particolare;
    il rischio che negli ospedali italiani si possa profilare presto un’«emergenza sanitaria» è oggi molto alto e ad aggravare tale previsione è la consapevolezza che sono pochissime le sostanze attualmente in fase di ricerca e sviluppo che potrebbero avere efficacia contro il batterio-killer della Klebsiella pneumoniae e che comunque tali farmaci non potrebbero essere in commercio prima dei prossimi 5-10 anni,

impegna il Governo:

   a potenziare il sistema nazionale di raccolta di informazioni omogenee sulle infezioni ospedaliere resistenti, rendendo obbligatoria la notifica dei ceppi resistenti, al fine di poter disporre di un accurato monitoraggio della loro incidenza nel nostro Paese, propedeutico all'adozione delle indispensabili misure di intervento;
   a dare piena attuazione al disposto della circolare n. 4968 del 2013 del Ministero della salute, anche adeguandone il contenuto alle nuove emergenze sanitarie e istituendo il sistema di sorveglianza nazionale, obbligatorio e comprensivo per i ceppi resistenti come richiesto dal Consiglio europeo (raccomandazione del Consiglio 2002/77/CE e successive raccomandazioni);
   ad assumere iniziative per prevedere un percorso guidato di coinvolgimento delle regioni che garantisca la piena attuazione delle esigenze di sorveglianza sulla resistenza antibiotica, secondo le indicazioni del Ministero della salute;
   a promuovere l'attivazione dei programmi di formazione professionale specifica, in particolare rivolti agli operatori nosocomiali, che consentano di certificare il livello di qualità di tutte le specifiche procedure ospedaliere e di segnalare eventuali errori e «quasi errori» che consentano di perfezionare i percorsi di risk management;
   ad adottare iniziative urgenti ed efficaci, volte ad elevare e standardizzare la qualità di tutti i protocolli di sicurezza in uso negli ospedali italiani, in linea con i dossier sanitari europei e con le linee guida internazionali dell'OMS;
   ad adottare iniziative efficaci che mirino alla riduzione del consumo degli antibiotici in ambito ospedaliero e comunitario, limitandone l'uso esclusivamente alle situazioni nelle quali ce ne sia reale necessità come, tra l'altro, raccomandato dal Consiglio dell'Unione europea (raccomandazione 2002/77/CE);
   ad assumere iniziative per redigere, finanziare adeguatamente ed adottare, in collaborazione con gli esperti del settore, un vero «piano nazionale di prevenzione e controllo», con l'obiettivo di contrastare l'allarmante fenomeno della trasmissione di casi di infezione o colonizzazione da batteri antibiotico resistenti e, in particolare, gram negativi, produttori di carbapenemasi (CPE) in ambiente ospedaliero e sanitario;
   ad implementare un sistema di sorveglianza dell'antibioticoresistenza integrato fra gli aspetti di sanità umana e sanità animale, che comprenda i dati generati nel settore veterinario (sia per gli animali da reddito, che per gli animali d'affezione), attraverso la rete degli istituti zooprofilattici, che miri all'ottenimento del consumo prudente degli antibiotici in ambito agro-alimentare e veterinario.
(1-01055) «Capua, Vargiu, Monchiero, Quintarelli, Matarrese, Galgano».


   La Camera,
   premesso che:
    la risicoltura italiana ha sempre rivestito un ruolo significativo nel comparto agro-alimentare ed il nostro Paese detiene saldamente la leadership produttiva nell'ambito dell'Unione europea;
    la coltura del riso è storicamente insediata in alcune aree del Paese, fra le quali spicca un ampio territorio posto a cavallo del Piemonte e della Lombardia, con un fulcro nelle province di Vercelli, Novara e Pavia, ove la coltivazione ha modellato il paesaggio, anche per effetto degli importanti interventi di regimentazione idrica effettuati a partire dalla metà dell'Ottocento. La produzione di riso è presente anche in alcune zone della pianura padana centro-orientale, in Sardegna, nonché, in misura minore, in altre località. La positiva valenza ambientale della coltura, con il suo caratteristico regime di sommersione, è oggi largamente riconosciuta ed apprezzata;
    ovunque venga coltivato, il riso presenta un forte rilievo per l'economia locale, trattandosi di una coltura che richiede professionalità, investimenti, mezzi tecnici, e che può garantire, in normali condizioni di mercato, un reddito idoneo. L'importanza è ovviamente ancor più rilevante in quel triangolo di province ove si situano le maggiori estensioni;
    il prodotto comporta anche un significativo ruolo industriale e in tale ambito le imprese italiane hanno saputo ritagliarsi uno spazio di rilievo sul mercato europeo. Si è dunque in presenza di una filiera agro-industriale virtuosa, che in passato ha assicurato lavoro e reddito a moltissime imprese agricole ed industriali e ai loro addetti;
    come per ogni altro prodotto agro-alimentare, il mercato del riso ed il reddito delle imprese sono fortemente condizionati dalla politica agricola dell'Unione europea;
    negli ultimi anni la situazione del comparto si è sensibilmente deteriorata, anche per effetto della politica di apertura alle importazioni extracomunitarie adottata dall'Unione europea;
    la concorrenza dei risi asiatici è particolarmente pressante per le varietà indica e le importazioni crescenti di tale prodotto (in particolare dalla Cambogia, dall'India, dal Pakistan, dal Vietnam e dalla Tailandia) stanno rendendo impossibile la prosecuzione di tali colture in Europa e minano l'equilibrio complessivo della filiera risicola italiana;
    dal 2010 al 2015 la superficie complessiva coltivata a riso si è ridotta in Italia di circa 20.000 ettari (-8 per cento) e la superficie investita a riso indica si è dimezzata dal 2013 al 2015, essendo passata da 71.000 a 35.000 ettari;
    prima della completa liberalizzazione delle importazioni decisa dall'Unione europea (1o settembre 2009) il volume di importazione dell'Unione europea dai Paesi meno avanzati (PMA, fra cui Cambogia e Myanmar) si attestava a circa 8.000 tonnellate annue, mentre il dato della campagna 2014/2015 evidenzia circa 345.000 tonnellate, il che significa un incremento del 4200 per cento;
    emergono inoltre anche motivate preoccupazioni per i consumatori, attesa la presenza di principi attivi non autorizzati su alcune partite di prodotto importato;
    in questo quadro complessivo va sottolineato in particolare il ruolo della Cambogia, che in virtù del regime speciale a favore dei Paesi meno avanzati può esportare nell'Unione europea senza alcun dazio e senza alcun limite quantitativo, e che mostra una crescita delle esportazioni assai marcata, facendo anche sospettare che una parte dei quantitativi inviati in Europa sia frutto di triangolazioni (e provenga in realtà da Paesi che non beneficiano di un regime agevolato per l’export verso l'Europa);
    ma va anche sottolineato che questo stato di cose non avvantaggia nemmeno le comunità rurali della Cambogia. Conformemente a quanto è avvenuto in situazioni analoghe, queste condizioni privilegiate di export verso l'Europa stanno producendo effetti negativi sull'economia locale. Secondo il rapporto dell'organizzazione per lo sviluppo dell'ONU del 2014 (UNDP, Human Development Report, 2014), l'ingresso massiccio di aziende estere nell'economia cambogiana ha fatto sorgere fenomeni di land grabbing, con pesanti conseguenze per la maggioranza della popolazione cambogiana, che risiede in aree rurali ed è dipendente dalla risicoltura,

impegna il Governo:

   a presentare e a sostenere, presso la Commissione europea, la richiesta di adozione delle clausole di salvaguardia nei confronti dell'importazione a dazio zero di riso cambogiano, ai sensi dell'articolo 22 del regolamento (UE) n. 978/2012, al fine di tutelare il settore risicolo italiano;
   a promuovere, a livello europeo, un approccio più equilibrato nella politica commerciale rivolta ai Paesi meno avanzati, coniugando l'esigenza di tutelare le imprese europee con le giuste aspettative di crescita dei predetti Paesi, e tenendo conto che in tale ottica assumono particolare rilievo, da un lato, l'esigenza di evitare ogni possibile fenomeno di triangolazione dei flussi commerciali e, dall'altro, l'obiettivo di assicurare reali effetti positivi sulle popolazioni rurali dei Paesi meno avanzati, scongiurando il pericolo di nuove forme di marginalizzazione e sottosviluppo;
   a rappresentare nelle sedi competenti dell'Unione europea l'esigenza di evitare nuove aperture ad importazioni agevolate di riso nel contesto del negoziato del Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP);
   ad attuare campagne di promozione per incrementare l'utilizzo del riso italiano in Italia, nell'Unione europea e nei Paesi terzi;
   a promuovere e ad attuare, a livello nazionale, misure che prevedano puntuali obblighi di trasparenza nell'etichettatura del riso commercializzato in Italia, in particolar modo specificando lo stabilimento di confezionamento e, qualora venga utilizzato riso proveniente da Paesi terzi, l'origine del prodotto.
(1-01056) «Catania, Monchiero, Catalano, Capua, Antimo Cesaro, D'Agostino, Dambruoso, Galgano, Librandi, Molea, Oliaro, Palladino, Pinna, Quintarelli, Rabino, Vargiu, Vecchio, Vezzali».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia è il primo produttore europeo di riso con il 50 per cento del totale dell'Unione europea, la coltivazione è concentrata principalmente nelle regioni Piemonte e Lombardia, nel triangolo Vercelli- Novara-Pavia. Viene inoltre coltivato in provincia di Mantova ed in Emilia-Romagna in particolare nel basso ferrarese, in Veneto nella bassa veronese, in Sardegna nella valle del Tirso e in Calabria nella Piana di Sibari;
    la fase agricola della filiera del risone (riso grezzo) è composta da 4.093 aziende, che rappresentano 220 mila ettari coltivati con una produzione di 1.386.092 di tonnellate raccolte nel 2014 con un valore di 359 milioni di euro. La fase industriale della filiera del riso lavorato è costituita da 95 riserie (industrie di trasformazione) con 850.478 tonnellate prodotte nel 2014, il cui fatturato è stato di 1.100 milioni di euro. L’export del riso italiano nel 2014 è stato di 751 mila tonnellate, il cui valore è stato di 527 milioni di euro con un surplus della bilancia risicola nazionale di 412 milioni di euro;
    la risicoltura italiana è organizzata per distretti agroindustriali e la dimensione media aziendale è molto più elevata rispetto a quella dell'agricoltura italiana (54 ettari contro 8 ettari). Le prime cinque province (Vercelli - 68 mila ettari, Pavia - 77 mila ettari, Novara - 32 mila ettari, Milano - 12 mila ettari, Alessandria - 8 mila ettari) concentrano il 90 per cento delle superfici e il 74 per cento delle riserie;
    in Italia si coltivano oltre 140 varietà di riso. Le varietà principali sono:
     a) Selenio, Centauro (risi tondi);
     b) Vialone nano (risi medi);
     c) Loto, Baldo, Carnaroli, Arborio, Volano, Ariete, Roma, S. Andrea (risi lunghi A);
     d) Gladio, Sirio (risi lunghi B);
    sono circa 2000 gli ettari destinati alla coltivazione di risi a denominazione protetta (riso DOP di Baraggia Biellese e Vercellese, riso IGP Vialone nano veronese, riso IGP Delta del Po). Le varietà preferite dagli italiani, con un consumo pro capite di 5,5/6 chilogrammi, sono quelle appartenenti al gruppo medio e lungo A che rappresentano il 60 per cento del consumo totale, mentre le varietà preferite dai mercati comunitari sono quelle appartenenti al gruppo lungo B che rappresentano il 45 per cento dell’export totale;
    l’export del riso lavorato è di 638 mila tonnellate con un valore di 449 milioni di euro (dati 2014) e gli sbocchi commerciali del riso italiano nell'Unione europea sono: la Germania (19 per cento), la Francia (17 per cento), il Regno Unito (10 per cento) e la Repubblica Ceca (4 per cento), invece i primi sbocchi commerciali extra Unione europea sono la Turchia (8 per cento), il Libano (2 per cento) e la Svizzera (2 per cento);
    l'andamento dei prezzi ha fortemente condizionato le scelte varietali. Coerentemente al calo dei prezzi negli ultimi mesi e al crescente aumento dell’import dai Paesi meno avanzati (PMA), nel 2015 i risi lunghi B hanno perso 20 mila ettari e i risi lunghi A ne hanno guadagnato più di 21 mila ettari; nel complesso le superfici seminate in Italia ammontano a 227.329 ettari (+3,5 per cento);
    i competitor sui mercati esteri dell'Italia sono: in Germania, i Paesi Bassi, la Cambogia e il Belgio; nel Regno Unito i Paesi Bassi, la Thailandia, gli Stati Uniti e la Spagna; in Francia, la Thailandia, il Belgio, la Cambogia e i Paesi Bassi. Mentre i principali fornitori dell'Unione europea nel 2014 sono stati l'India con un 5 per cento, la Spagna con un 6 per cento, i Paesi Bassi con un 9 per cento, il Belgio con un 10 per cento, la Cambogia con un 10 per cento, la Thailandia con un 11 per cento, l'Italia con un 24 per cento e altri Paesi con un 25 per cento. È opportuno ricordare che la quota di mercato dell'Italia nel 2009 era del 34 per cento e quella della Cambogia dell'uno per cento;
    in data 1o settembre 2009 è stato concesso alla Cambogia la liberalizzazione tariffaria con il sistema di preferenze generalizzate, istituito nel 1971 per aiutare la crescita dei Paesi in via di sviluppo. È lo strumento con il quale l'Unione europea accorda un accesso preferenziale al proprio mercato ad alcuni Paesi mediante la concessione di una tariffa preferenziale dei dazi applicabili all'atto dell'importazione. Il sistema comprende il cosiddetto regime EBA, Everything but arms, che concede l'accesso senza dazi e contingentamenti a tutti i prodotti provenienti dai Paesi meno sviluppati (Least Developed Country – LDC), senza limitazioni quantitative e senza dover pagare alcuna tariffa, eccezion fatta per le armi e le munizioni;
    il regolamento (UE) n. 978/2012, relativo all'applicazione di un sistema di preferenze tariffarie generalizzate, stabilisce che, a partire dal 1o gennaio 2014, in presenza di aumenti delle importazioni di prodotti esenti da dazi e provenienti da Paesi meno sviluppati che possano causare o rischiare di causare gravi difficoltà, i normali dazi della tariffa doganale comune possono essere ripristinati per detto prodotto, in dettaglio la clausola di salvaguardia all'articolo 22 recita che: «(...) qualora un prodotto originario di un paese beneficiario di uno dei regimi preferenziali di cui all'articolo 1, paragrafo 2, sia importato in volumi e/o a prezzi tali da causare o rischiare di causare gravi difficoltà ai produttori dell'Unione di prodotti simili o direttamente concorrenti, i normali dazi della tariffa doganale comune possono essere ripristinati per detto prodotto». Il regolamento specifica che se esistono sufficienti elementi provanti al riguardo, «(...) la Commissione avvia un'inchiesta per determinare se è necessario ristabilire i normali dazi della tariffa doganale comune (...)»; inoltre, il regolamento (UE) n. 1083/2013 consente l'apertura d'ufficio dell'inchiesta da parte della Commissione qualora vi siano «(...) elementi di prova sufficienti a dimostrare che sono soddisfatte le condizioni di istituzione della misura di salvaguardia di cui all'articolo 22, paragrafo 1, del regolamento del sistema delle preferenze generalizzate, SPG»;
    da un dossier della Coldiretti del 2014 emerge che le importazioni agevolate dalla Cambogia e dalla Birmania hanno fatto segnare un aumento del 754 per cento nei primi mesi del 2014 rispetto al 2013 con un grave rischio per la salute dei consumatori con il Sistema rapido di allerta per gli alimenti e i mangimi europeo (RASFF) che ha effettuato una notifica a settimana per riso e prodotti derivati di provenienza asiatica per la presenza di pesticidi non autorizzati e assenza di certificazioni sanitarie. Tale trend delle importazioni ha comportato nel 2014 una riduzione di 15.446 ettari (-21,6 per cento) di riso di varietà indica (riso lungo gruppo B);
    sempre secondo il dossier l'insediamento di multinazionali in Paesi meno avanzati hanno prodotto un'incetta di terreni e il riso viene coltivato senza adeguate tutele del lavoro e con l'utilizzo di prodotti chimici vietati da decenni in Italia e in Europa. Il riso di varietà indica lavorato cambogiano arriva in Italia ad un prezzo riferito al grezzo inferiore ai 200 euro a tonnellata, pari a circa la metà di quanto costa produrlo in Italia nel rispetto delle norme sulla salute, sulla sicurezza alimentare e ambientale, con rischi alti per i consumatori perché la produzione straniera può essere spacciata come nazionale, non essendo obbligatorio indicare in etichetta l'origine (provenienza) nelle confezioni di vendita. Questo atteggiamento si configura a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo come concorrenza sleale nei confronti della filiera risicola italiana e di quelle oltre diecimila famiglie che lavorano all'interno della stessa;
    nel luglio del 2014 il Ministero dello sviluppo economico, unitamente all'Ente nazionale risi, ha predisposto un dossier sull'esportazioni della Cambogia che è stato consegnato alla Commissione europea al fine di applicare la clausola di salvaguardia per le produzioni italiane. Nel dossier si legge che: «(...) le importazioni a dazio zero di riso lavorato dalla Cambogia hanno raggiunto livelli tali da creare gravi turbative di mercato; la produzione di riso greggio indica non è più remunerativa per l'azienda risicola italiana; la produzione di riso greggio indica non può essere sostituita da varietà di tipo japonica; l'abbandono delle superfici a riso causerà gravi danni all'ambiente e alla biodiversità; i consumatori comunitari potranno acquistare riso indica esclusivamente di origine extraeuropea e conseguentemente diminuiscono le garanzie di approvvigionamento del mercato (food security); l'industria di trasformazione italiana non potrà più disporre di riso greggio indica da trasformare; tutto ciò creerà un dissesto economico, finanziario e sociale delle imprese industriali e agricole (...)». Il dossier sostiene anche che: «(...) i prezzi del riso greggio indica non sono stati remunerativi per gli agricoltori per tutta la campagna, scoraggiando il mantenimento della coltura; le scorte invendute sono aumentate; è diminuito il quantitativo lavorato dalle industrie italiane, in particolare di quelle che forniscono riso alla rinfusa alle industrie che confezionano in nord Europa (...)». Il documento prevede che, nell'eventualità in cui proseguano le importazioni di riso cambogiano a dazio zero, già in questa campagna «(...) le superfici seminate a riso indica caleranno del 21 per cento rispetto alla campagna precedente; ci sarà un aumento delle superfici seminate a japonica, premessa della creazione di una eccedenza in questo segmento di mercato e di una conseguente probabile diminuzione di remuneratività anche del riso japonica nella campagna 2014/15; si verificherà una perdurante inadeguatezza dei prezzi del riso greggio indica. Guardando alla primavera del 2015, se l'Europa non porrà rimedio, si avrà l'ulteriore e drastica contrazione delle superfici seminate con inevitabili ripercussioni a livello economico, sociale e ambientale e dall'autunno 2015 riscontreremo una ulteriore minore disponibilità iniziale di riso greggio indica per l'industria; la difficoltà di quest'ultima di stipulare contratti con la grande distribuzione organizzata europea con conseguente riduzione del giro d'affari; la diminuzione del personale occupato nelle industrie risiere e la “crisi dell'indotto economico”, fino al “rischio di chiusura impianti” e al “rischio di fallimenti dell'industria”, a partire da quelle che si sono specializzate nel segmento indica da vendersi in Europa. Il dossier precisa anche che ai prezzi della campagna corrente il rischio di fallimento è reale, in quanto le quotazioni del riso greggio indica sono “stabilmente” al di sotto dei costi di produzione agricoli» e i risicoltori sono disincentivati a seminare riso;
    il Ministero dello sviluppo economico nel dossier presenta quest'analisi di scenario: «(...) l'Unione Europea consuma 2,5 milioni di tonnellate di riso lavorato e non è autosufficiente. Otto Paesi dell'Unione europea sono produttori di riso e soddisfano questo fabbisogno per solo 1,7 milioni di tonnellate. L'Italia è il primo produttore nell'UE con circa 0,9 milioni di tonnellate. Il consumo di riso lavorato nell'Unione Europea è diviso in due grandi segmenti: 1 milione di tonnellate di riso lavorato tondo, medio e lungo A (japonica) e di cui l'UE è autosufficiente; 1,5 milioni di tonnellate di riso lavorato lungo B (Indica). L'Unione Europea soddisfa in parte questa domanda con 700 mila tonnellate di riso lavorato ottenute da 1,1 milioni di tonnellate di riso greggio prodotto dalle aziende agricole europee. Da rilevare che la coltivazione del riso indica in Europa è stata introdotta alla fine degli anni ’80 grazie a specifici aiuti UE per incentivare la coltivazione di questo tipo di riso, gradito dal consumatore europeo, riducendo la dipendenza dal riso d'importazione. In pochi anni la coltivazione di tali varietà in Italia è cresciuta, sia grazie all'apprezzamento dei consumatori e all'allargamento della UE, fino a superare i 70.000 ettari negli ultimi anni. La concorrenza esercitata dal riso lavorato cambogiano riguarda il riso lavorato non parboiled e parboiled ricavato dal riso greggio indica coltivato nell'Unione Europea (...)». Quindi, il dossier prodotto dall'Ente nazionale risi per il Ministero dello sviluppo economico rammenta che «(...) nelle ultime cinque campagne le importazioni di riso lavorato dalla Cambogia nell'Unione europea sono aumentate da 5 mila a 181 mila tonnellate, raggiungendo il 23 per cento di tutto l'import UE, grazie alla completa liberalizzazione tariffaria (...)»; ed ancora: «(...) l'evoluzione delle importazioni a dazio zero dalla Cambogia ha assunto proporzioni che compromettono il corretto funzionamento dell'organizzazione comune di mercato. La concorrenza cambogiana ha di fatto ridotto i prezzi di mercato del riso greggio di tipo indica prodotto nell'Unione Europea al di sotto dei costi di produzione, provocando, di conseguenza, una prima sensibile contrazione delle superfici seminate nel 2014 (circa 22 per cento in meno). Il persistente aumento delle importazioni dalla Cambogia, oltre che dal Myanmar, continua a creare pressione sul mercato UE con conseguente ulteriore riduzione dei prezzi del riso greggio e disincentivo a coltivare questo tipo di riso. Senza l'urgente attivazione delle misure di salvaguardia, le industrie italiane (e quelle dei Paesi produttori dell'UE), non potranno più approvvigionarsi di riso greggio indica e perderanno il mercato del riso lavorato indica, acquisito nell'ultimo decennio grazie a importanti investimenti in corso di ammortamento. Ciò causerà un irreversibile deterioramento dell'equilibrio economico e finanziario del settore industriale al quale sarà impossibile porre rimedio a posteriori, con conseguente crisi occupazionale e serio rischio di fallimenti. Il consumo comunitario tenderà a dipendere sempre più dalle importazioni. Poiché il riso è un prodotto estremamente sensibile per molti Paesi, in particolare dell'estremo Oriente, la sicurezza degli approvvigionamenti di riso per il mercato comunitario sarà a rischio (si vedano le misure protezionistiche adottate in anni recenti dall'India, dall'Egitto e dalla Thailandia). In considerazione della peculiarità della coltura, un drastico calo delle superfici determinerà difficoltà di approvvigionamento e aumento del costo dell'acqua per le aziende agricole che continueranno a coltivare riso japonica; conseguenze ambientali irreversibili nel medio periodo, tra cui lo sconvolgimento della biodiversità; l'abbassamento della falda freatica con conseguenze per l'approvvigionamento idrico anche per uso domestico e industriale (...)»;
    alla quinta World Rice Conference svoltasi a Hong Kong il rappresentante degli esportatori cambogiani ha evidenziato l'intenzione di continuare la rapida espansione delle esportazioni anche nei prossimi anni. A fronte delle 328 mila tonnellate di riso lavorato esportate nella campagna 2012-2013 (di cui 181 mila nell'Unione europea), i rappresentanti cambogiani hanno indicato come obiettivo dei prossimi anni un surplus esportabile di 3,35 milioni di tonnellate di riso greggio, pari a 2,08 milioni di tonnellate di riso lavorato (superiore all'intero consumo dell'Unione europea di 1,5 milioni di tonnellate di riso indica);
    dal giugno del 2013 (con effetto retroattivo dal 2012) il Myanmar ha potuto aderire al regime EBA, Everything But Arms, che gli consente di poter esportare in Europa a dazio zero rappresentando un ulteriore serio pericolo per il mercato del riso e sull'applicazione delle norme in materia sanitaria e sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, non prevedendo, tale regime, alcuna clausola di reciprocità sugli standard fitosanitari;
    il 5 agosto del 2015 è stato firmato un accordo di libero scambio con il Vietnam, che prevede, tra i beni e servizi oggetto dell'accordo, il libero accesso all'importazione a dazio zero per 76 mila tonnellate di riso di varietà indica all'anno;
    la risicoltura italiana rischia di essere fortemente ridimensionata, mettendo in pericolo un vasto territorio e tutta la filiera del comparto, con gravi ripercussioni economiche ed occupazionali, va inoltre riconosciuta la valenza ambientale delle coltivazioni di riso e la loro importanza vitale per il regime delle acque superficiali e sotterranee dell'intera pianura padana. Una risicoltura ridimensionata esplicherebbe i suoi effetti anche sui consorzi irrigui e sul territorio, in quanto i risicoltori non avrebbero più interesse a mantenere quella rete irrigua che, fino ad oggi, ha salvaguardato il territorio dai dissesti idrogeologici e dalle alluvioni che con sempre maggiore frequenza si manifestano in altre zone;
    secondo notizie di stampa si apprende che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, con la collaborazione di Ismea e dell'Ente nazionale risi, avvierà una campagna di promozione del riso italiano con un contributo del solo Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali di 130 mila euro;
    a distanza di un anno rispetto al 2014 l'Italia ha perso circa 30 mila ettari di riso indica e da settembre 2014 ad aprile del 2015 l'Unione europea ha già importato quasi 205 mila tonnellate di riso lavorato dai Paesi meno avanzati,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative volte alla tutela del sistema risicolo italiano, riprendendo il dossier sul riso che la Commissione europea ha accantonato, al fine di far attivare in tempi rapidissimi la clausola di salvaguardia prevista dall'articolo 22 del regolamento (UE) n. 978/2012;
   a chiedere in sede comunitaria la sospensione temporanea del regime EBA, Everything but arms, affinché nell'ambito degli scambi commerciali extra Unione europea che attengono a prodotti agroalimentari vengano introdotti criteri e prescrizioni cogenti che tengano conto, quale punto di riferimento, dei disciplinari di produzione del riso vigenti nell'Unione europea, a fronte del fatto che il Sistema rapido di allerta per gli alimenti e i mangimi europeo (RASFF) ha effettuato una notifica a settimana per riso e prodotti derivati di provenienza asiatica per la presenza di pesticidi non autorizzati e assenza di certificazioni sanitarie;
   ad assumere iniziative per investire il Commissario europeo all'agricoltura, Phil Hogan, della grave alterazione dell'organizzazione comune del mercato europeo, in merito alle importazioni a dazio zero provenienti dai Paesi asiatici citati in premessa, stimolando l'avvio di azioni di politica agricola tese a riequilibrare il comparto della risicoltura nell'organizzazione comune del mercato;
   a sostenere in ambito comunitario l'obbligo di etichettatura del riso rispetto alla provenienza della materia prima e non all'indicazione del Paese di origine del prodotto che si identifica con il luogo dove il prodotto ha subito la sua ultima trasformazione sostanziale perché tale indicazione è in via generale facoltativa (regolamento (UE) n. 1169/2011) e non obbligatoria;
   ad assumere iniziative per rimuovere il segreto e a rendere pubblici i flussi commerciali delle materie prime provenienti dall'estero, al fine di far conoscere ai consumatori italiani i nomi delle aziende che usano ingredienti stranieri che, in verità, dopo la trasformazione vengono venduti come prodotti made in Italy;
   ad avviare con maggiori risorse una campagna promozionale che illustri le caratteristiche nutrizionali delle varietà italiane di riso, l'importanza storica, sociale e ambientale del sistema delle risaie e del suo complesso sistema irriguo, l'importanza nel consumare riso e suoi derivati per chi è celiaco;
   a valorizzare il ruolo del marchio collettivo «Riso italiano», registrato dall'Ente nazionale risi, che fornisce al consumatore un'indicazione certa circa l'origine nazionale del riso e dell'inestimabile patrimonio varietale italiano che conta ben 200 varietà di riso iscritte al registro varietale;
   a promuovere l'istituzione di un'unica borsa merci nazionale per il settore risicolo, oltre ad un registro unico dove vengano elencate le caratteristiche merceologiche utilizzate per la classificazione delle nuove varietà.
(1-01057) «Zaccagnini, Franco Bordo, Scotto, Pellegrino, Zaratti, Nicchi».


   La Camera,
   premesso che:
    il mondo della risicoltura attraversa una fase di cambiamento di notevole portata, recenti studi sul comparto del riso, sulle prospettive e sugli sviluppi tanto del mercato interno quanto di quello estero evidenziano una tendenza all'accorpamento della proprietà e all'aumento delle proporzioni delle superfici a disposizione delle singole aziende;
    il comparto del riso, tuttavia, appare per certi versi vulnerabile a causa di un paventato e progressivo venir meno della protezione offerta dalle politiche integrative della Politica agricola comune e per l'aumento progressivo delle importazioni a dazio zero dai paesi che hanno aderito all'accordo EBA, Everything But Arms;
    nel contempo gli scenari internazionali confermano un quadro molto fluido e di grandi trasformazioni, il mercato tende a farsi ancora più globale, livellato e allo stesso tempo aperto. Questo processo reca con sé rischi, difficoltà e importanti opportunità: all'interno di un mercato senza confini, sempre secondo gli analisti, si consolida e si definisce un'area di mercato ampia che chiede qualità;
    l'Italia è il primo produttore nell'Unione europea con oltre il cinquanta per cento della produzione e più di 14 milioni di quintali l'anno. Il primato nazionale nella produzione spetta al Piemonte, con più di 120 mila ettari di risaia e una produzione totale di 8 milioni e 500 mila quintali;
    quanto all’export l'Italia è il sesto tra i principali Paesi esportatori al mondo e per oltre dieci anni la filiera risicola italiana ha rafforzato la propria leadership nell'Unione europea, passando dalla vendita del prodotto primario alle industrie del nord alla consegna del prodotto confezionato direttamente alle catene commerciali;
    dopo anni di recessione, nel 2015, si è invertita la tendenza e le risaie italiane sono tornate a crescere: da settembre 2014 a marzo 2015, in base agli ultimi aggiornamenti dell'Istat, le esportazioni italiane di risi, tra greggi, semilavorati e lavorati, hanno sfiorato le 455.000 tonnellate, facendo segnare una crescita del 9 per cento su base annua. Nell'Unione europea, con 370.000 tonnellate circa, le spedizioni sono però cresciute a un tasso più contenuto del 5,2 per cento, così come, nell'Unione europea dei 28 Paesi, l’export che dall'84 per cento della scorsa campagna è sceso nei primi mesi dell'anno all'81 per cento;
    due fattori tra tutti – l'introduzione in Europa del riso a dazio zero proveniente da Cambogia e Myanmar e la prossima approvazione del Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) – possono mettere in discussione il primato italiano in un settore produttivo simbolo della qualità agroalimentare italiana, per qualità, tipicità e sostenibilità;
    i risicoltori italiani temono anche un'altra minaccia che richiede una maggiore difesa del riso made in Italy: le importazioni dall'estero di prodotto spacciato come italiano, attività di contraffazione rese possibili dalla mancanza di un sistema trasparente di etichettatura che obblighi ad indicare la provenienza del prodotto; il prodotto importato è meno controllato dal punto di vista sanitario e gode pertanto di una notevole facilitazione competitiva sui prezzi rispetto alle produzioni italiane;
    il sistema di preferenze generalizzate – istituito fin dal 1971 per aiutare la crescita dei Paesi in via di sviluppo – è lo strumento con il quale l'Unione europea accorda un accesso preferenziale al proprio mercato ad alcuni Paesi mediante la concessione di una tariffa preferenziale dei dazi, o a dazio zero, applicabili all'atto dell'importazione;
    il riso è uno dei prodotti che stanno maggiormente risentendo degli effetti di questo sistema; in particolare, le importazioni di riso a basso prezzo dai Paesi asiatici stanno schiacciando i produttori nazionali, che devono invece affrontare costi che superano ampiamente i ricavi per alcune varietà di riso;
    inoltre, il Sistema rapido di allerta per gli alimenti e i mangimi europeo (RASFF) – istituito in ambito europeo per la notifica in tempo reale dei rischi diretti o indiretti per la salute pubblica connessi al consumo di alimenti o mangimi – ha registrato nel primo semestre del 2014 quasi una notifica a settimana per riso e prodotti derivati di provenienza asiatica per la presenza di pesticidi non autorizzati o che superano i limiti ammessi di residui e assenza di certificazioni sanitarie;
    il Sistema delle preferenze tariffarie generalizzate prevede in ogni caso meccanismi di sorveglianza e di salvaguardia, che consentono anche di ripristinare i normali dazi della tariffa doganale comune qualora un prodotto originario di un Paese beneficiario di uno dei regimi preferenziali sia importato in volumi o a prezzi tali da causare o rischiare di causare gravi difficoltà ai produttori dell'Unione europea di prodotti simili o direttamente concorrenti. In particolare, nel regime ora vigente, sono considerati anche i prezzi tra i fattori tali da causare o da minacciare di causare serie difficoltà ai produttori comunitari e anche il deterioramento della condizione economica e finanziaria delle imprese dell'Unione europea costituisce causa efficiente per configurare la «seria difficoltà». Ulteriori disposizioni di salvaguardia sono poi specificamente dettate per i prodotti agricoli;
    l'Italia, già nel 2014, ha avviato un'iniziativa a Bruxelles, insieme ad altri Paesi europei, per l'attivazione della clausola di salvaguardia nei confronti dell'importazione di riso greggio cambogiano del tipo indica ed ha inviato un documento tecnico sull'impatto delle importazioni a dazio zero alla Commissione europea;
    rispetto alle nuove sfide del mercato, per quanto riguarda la filiera del riso, prendono forma i primi tentativi di creare rapporti tra gli attori della filiera; il comparto sembra puntare, anche se per ora con molta prudenza, sulla filiera corta e sulla produzione biologica certificata che rappresenta un'opportunità per le aziende di straordinario valore dal punto di vista del mercato e una necessità per ridurre l'impatto ambientale dei processi colturali nell'ambito della cura del territorio;
    alla necessità di conoscere la provenienza della materia prima si aggiunge la richiesta, da parte del consumatore, di una serie di informazioni che determinano l'identità del prodotto e i contenuti di cui il prodotto stesso è portatore; questo processo è ormai avviato e in fase di consolidamento e costituisce uno strumento di fondamentale importanza per l'accesso al target di livello alto e medio-alto che premia l'eccellenza e la qualità, tipiche delle produzioni italiane;
    la visione più suggestiva di quale potrebbe essere il rapporto tra consumatore e distribuzione nei prossimi anni è stata fornita dal Future Food District di EXPO 2015, dove Coop ha aperto un supermercato nel quale i visitatori possono esplorare e conoscere una catena alimentare più etica e trasparente, resa possibile dall'uso delle nuove tecnologie;
    una delle eredità più significative di Expo 2015 è proprio la diffusione, nel mercato globale e in quello interno, della consapevolezza che i temi della sostenibilità ambientale – sia per quanto concerne la salvaguardia dei suoli e della risorsa idrica, sia per quanto concerne la qualità e la salubrità delle produzioni – sono una sfida competitiva globale sulla quale il made in Italy può esercitare un'influenza importante promuovendo ed incoraggiando una nuova cultura di impresa;
    nel comparto del riso sia l'indicazione della varietà, sia, più in generale, la tracciabilità del prodotto sono limitate alla certificazione dell'approvvigionamento del seme e di poche fasi del conferimento del prodotto al trasformatore, generando uno squilibrio tra risaia e risiera, cioè tra produttore e trasformatore;
    la tracciabilità del riso non è riducibile alla sola indicazione del seme e non può essere confinata all'autocertificazione nella maggior parte delle fasi del processo produttivo; occorre quindi incentivare metodi scientifici e tecnologie per dare supporto, coerenza e continuità alla ricerca che si sta facendo in questi settori;
    per quanto riguarda l'indicazione varietale del riso essa è un primo fondamentale passo verso la tutela dell'eccellenza e del made in Italy; tale indicazione deve essere estesa a tutti gli altri attori della filiera, nel processo che porta dal produttore al consumatore finale, garantendo a quest'ultimo l'accessibilità alle notizie riguardanti tutte le fasi del processo di produzione, dal campo alla grande o piccola distribuzione;
    l'Ente nazionale risi ricopre un ruolo di grande valore per quanto riguarda la tutela, la ricerca e il supporto alla filiera; tuttavia, in questa stagione è quanto mai necessario concentrare il massimo degli sforzi su scala europea ed internazionale per comunicare e promuovere la qualità delle produzioni italiane anche in relazione agli alti livelli di tutela ambientale, della salute, del lavoro e dei processi produttivi garantiti dalle produzioni di riso nazionale;
    il Parlamento è già impegnato nella riforma della legislazione vigente sul mercato interno del riso con l'articolo 25 del collegato agricolo (A.C. 3119) che reca una delega al Governo per il sostegno del settore del riso,

impegna il Governo:

   ad intervenire nelle competenti sedi comunitarie a tutela del mercato italiano del riso, in particolare affinché sia attivata la clausola di salvaguardia prevista dal Sistema delle preferenze tariffarie generalizzate in ragione della delicata situazione determinatasi con l'aumento progressivo delle importazioni a dazio zero dai Paesi aderenti all'accordo EBA, Everything But Arms;
   ad intervenire a livello europeo per l'attivazione di adeguate misure di controllo e di garanzia in relazione ai modelli di produzione dei Paesi terzi con particolare riguardo al rispetto dei diritti sociali, alla salvaguardia ambientale ed alla sicurezza e salubrità dei prodotti;
   ad adottare le iniziative necessarie in sede europea per rendere immediatamente applicabile al riso e ai prodotti a base di riso la normativa sull'etichettatura di origine dei prodotti agroalimentari;
   ad assumere iniziative per innovare la normativa nazionale vigente disciplinando sistemi di etichettatura volti ad indicare la varietà del riso e dei prodotti a base di riso e, più in generale, ad identificare tali prodotti attraverso una vera e propria «carta di identità», anche incentivando l'adozione di tecnologie informatiche e telematiche da parte degli operatori;
   ad adottare idonee iniziative normative volte ad introdurre sanzioni accessorie affinché siano resi noti e pubblici i riferimenti degli operatori eventualmente coinvolti in pratiche commerciali ingannevoli, fraudolente o scorrette, finalizzate ad immettere sui mercati finti prodotti made in Italy, nonché i dati dei traffici illeciti accertati;
   ad avviare un programma di comunicazione, su scala europea ed internazionale, sulla qualità del riso italiano valorizzando le peculiarità di sostenibilità ambientale e di salubrità delle produzioni italiane.
(1-01058) «Falcone, Lavagno, Taricco, Fiorio, Ferrari, Oliverio, Sani, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Capozzolo, Carra, Cova, Dal Moro, Marrocu, Mongiello, Palma, Prina, Romanini, Tentori, Terrosi, Venittelli, Zanin».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia è il principale produttore di riso dell'Unione europea, con oltre il 50 per cento della produzione e delle superfici investite; dei 475 mila ettari che in Europa sono dedicati alla risicoltura, circa 220 mila ettari sono in Italia (dati 2015 Ente nazionale risi, nel 2011 si contavano 247.653 ettari); la filiera italiana produce circa 1 milione e 400 mila tonnellate di riso greggio, raggiungendo anche un massimo di 1 milione e 500 mila tonnellate, dal quale si ottiene 1 milione di tonnellate di riso lavorato e un fatturato, rispettivamente di 500 milioni e 1,55 miliardi di euro;
    le aziende risicole italiane sono 4090, ancora tantissime ma, di sicuro, in forte calo rispetto al 2010, in cui se ne contavano oltre 4700; vi sono 107 aziende di trasformazione e 70 aziende che trasformano solo la propria produzione, per un totale di 10 mila addetti ai lavori;
    l'Italia è l'unico Paese europeo e mondiale che, per la sua lunga tradizione, ha creato e migliorato la varietà originale, in modo da adattarla al territorio e alle tradizioni locali, basti pensare che l'areale risicolo italiano si contraddistingue come il territorio più a Nord (circa 45 gradi di latitudine nord). Le regioni in cui si coltiva la maggior parte del riso italiano sono Piemonte, Lombardia, che rappresentano il 92 per cento del totale delle superfici risicole italiane, e poi Veneto, Emilia-Romagna e alcune zone tipiche della Sardegna, Calabria e Toscana;
    il settore risicolo nazionale sta vivendo una delicata congiuntura economica già da alcuni anni; dal 2010 al 2015 la superficie coltivata a riso si è ridotta di circa 20.000 ettari (-8 per cento) e la superficie investita a riso indica si è dimezzata dal 2013 al 2015, essendo passata da 71.000 a 35.000 ettari;
    la crisi del settore risicolo nazionale è divenuta sempre più urgente e allarmante nel corso degli ultimi anni quando, a seguito dell'iniziativa cosiddetta EBA – «Everything But Arms» l'Unione europea, nel quadro del sistema di preferenze generalizzate adottato con i Paesi in via di sviluppo, ha concesso ad alcuni prodotti provenienti da questi Paesi, specie Vietnam e Cambogia, l'accesso nel mercato interno senza limitazioni quantitative e senza dazio, eccezione fatta per le armi e le munizioni;
    alla data del 30 giugno 2014 le importazioni di riso lavorato dai Paesi meno avanzati (PMA) sono passate da 10.094 tonnellate a 236.687 tonnellate (quantitativo destinato ad aumentare nei mesi di luglio ed agosto) di cui 166.966 tonnellate in piccole confezioni. Degno di nota è il fatto che delle 236 mila tonnellate importate, 200 mila tonnellate circa provengono solamente dalla Cambogia e 27 mila circa dal Myanmar;
    quanto sopra evidenziato ha comportato un aumento, nell'attuale campagna, delle importazioni di riso lavorato anche in Italia pari a 29.144 tonnellate (+43 per cento) rispetto ad un anno fa, dovuto quasi esclusivamente all'incremento delle importazioni di riso lavorato dai Paesi meno avanzati, una riduzione delle consegne del riso lavorato italiano verso il mercato dell'Unione europea di meno 24.827 tonnellate, nonché una riduzione della coltivazione di riso di tipo indica, nel 2014, per oltre 15.000 ettari;
    l'eccesso di offerta provoca un drastico ridimensionamento della risicoltura, specialmente italiana, con un significativo abbassamento dei prezzi di mercato dei risoni di varietà di tipo indica e conseguentemente una contrazione dei redditi dei risicoltori;
    la revisione della normativa di settore è pertanto indispensabile al fine di assicurare la tutela delle varietà tipiche italiane, oltre un centinaio, Carnaroli, Arborio, Roma-Baldo, Ribe, Vialone Nano, Sant'Andrea e Thaibonnet. Ognuna di queste varietà possiede caratteristiche specifiche, legate ai luoghi e alle tecniche con cui avviene la coltivazione, per questo preservare e difendere l'esistenza di tali varietà è importante anche per custodire una lunga tradizione agricola, nonché per riconoscere le caratteristiche legate alla trasformazione ed alla lavorazione in cucina, del prodotto e preservarne le tipicità della tradizione gastronomica che così fortemente caratterizza la coltura e la ricchezza italiana nel mondo;
    la riorganizzazione del mercato del riso dovrebbe, pertanto, andare nella duplice direzione di valorizzare le varietà e le produzioni, anche quelle nuove, e di fornire al consumatore informazioni reali sulle caratteristiche del prodotto che sta acquistando e consumando;
    è fondamentale quindi, a tutela della tipicità, adottare un sistema di etichettatura e tracciabilità efficace, anche attraverso l'indicazione obbligatoria dell'origine, al fine di consentire ai consumatori di poter scegliere, sulla base di una corretta ed esaustiva informazione, le varietà di riso e la sua provenienza;
    è evidente che l'importanza della filiera risicola italiana risiede nella strategicità territoriale e nella necessità di salvaguardare una specializzazione ed una specificità ad una agro-biodiversità di prodotto che contribuisce a mantenere alta l'immagine del made in Italy alimentare, ma anche assicurare la stabilità socio-economica di un complesso territoriale di assoluta rilevanza. Nelle regioni Piemonte e Lombardia la coltura del riso rappresenta il motore trainante dell'economia,

impegna il Governo:

   ad intervenire, presso le competenti sedi comunitarie, per richiedere l'attivazione della clausola di salvaguarda di cui all'articolo 22 del regolamento (UE) n. 978/2012, al fine di evitare che il riso originario di alcuni dei Paesi beneficiari dei regimi preferenziali sia importato in volumi e/o prezzi tali da causare gravi difficoltà ai produttori unionali, anche in considerazione della recente conclusione dell'accordo bilaterale Unione europea- Vietnam che prevede, nel corso dei prossimi tre anni, il completo azzeramento dei dazi in entrata, o in alternativa, a valutare l'opportunità di assumere iniziative per introdurre un dazio proporzionato per l'importazione di un prodotto fondamentale per l'economia agroalimentare italiana come il riso;
   ad attuare campagne di promozione per incrementare l'utilizzo del riso italiano in Italia, nell'Unione europea e nei Paesi terzi;
   a promuovere e attuare, a livello nazionale, misure che prevedano puntuali obblighi di pubblicità e trasparenza nell'etichettatura del riso commercializzato in Italia, in particolar modo specificando lo stabilimento di confezionamento e, qualora venga utilizzato riso proveniente da Paesi terzi, l'origine del prodotto;
   ad assumere iniziative per rendere più trasparente l'informazione sulle nomenclature specifiche delle varietà sulle confezioni di riso vendute in Italia con l'indicazione, oltre delle varietà capofila o delle caratteristiche generali del riso (tondo, medio, lungo A e lungo B), di tutte le specificità e le cultivar dei risi utilizzati per confezionare un determinato prodotto;
   ad assumere iniziative per regolamentare in maniera stringente la miscelazione di più risi all'interno della stessa confezione, sempre con l'obiettivo di fornire la massima trasparenza al consumatore e maggiore qualità ai fini dell'utilizzo;
   a valorizzare il prodotto coltivato in Italia, escludendo qualsiasi forma di miscelazione con risi o risoni importati dall'estero, anche se di tipologia equiparabile;
   ad assumere iniziative per escludere dall'attuale regolamentazione il riso prodotto e lavorato direttamente dagli agricoltori (oppure in delega a laboratori terzi), immesso nel mercato locale tramite una filiera diretta ed una vendita «in sede», attraverso agriturismi (o equiparabili), oppure nei circuiti di vendita associativi, in modo da preservare l'identità e la tipicità della filiera locale tra produttore e prodotto;
   a mettere in atto tutte le azioni necessarie per non disperdere, pur nella chiara ottica di una semplificazione del sistema di etichettatura dei prodotti, mossa da esigenze unionali e di mercato, la particolare tradizione della coltura risicola italiana;
   ad assumere iniziative per prevedere una normativa specifica per il risone (riso greggio) ai fini della valorizzazione e della tutela del coltivatore di riso italiano.
(1-01059) «Parentela, Busto, L'Abbate, Gagnarli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gallinella, Lupo, De Rosa, Mannino».

Risoluzioni in Commissione:


   La VI Commissione,
   premesso che:
    la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha statuito che l'assistenza distrettuale fornita dai medici di base è prestata al fine garantire a tutti i cittadini un percorso di accesso ai servizi sanitari in modo coordinato e integrato grazie al servizio pubblico essenziale prestato dai medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta. Questi professionisti sono convenzionati con il Servizio sanitario nazionale ma operano in una organizzazione a loro esterna. La giurisprudenza ha asserito che il medico di assistenza primaria (M.A.P.) è operante all'interno del sistema sanitario nazionale;
   conseguenzialmente, i medici di assistenza primaria dovrebbero essere esentati dal pagamento dall'IRAP. Tale considerazione, si basa sul fatto che la presenza di un collaboratore part time o infermiere presso lo studio medico del medico di assistenza primaria, la cui presenza è altresì prevista nell'ACN (accordo collettivo nazionale) è in parte rimborsata ai sensi del medesimo accordo collettivo nazionale, non integra una fattispecie di sostituzione del professionista e, conseguentemente, non può concorrere ad incrementarne il reddito;
   il Sindacato dei medici italiani – SMI – ha promosso ricorsi per i propri iscritti giungendo all'ultimo grado di giudizio innanzi alla Corte di Cassazione, giudizi conclusi sempre con esito favorevole dei medici stessi;
   l'Agenzia delle entrate, nonostante la consolidata giurisprudenza dell'organo nomofilattico che ha da tempo indicato un preciso, saldo e dettagliato orientamento giurisprudenziale, prosegue nelle richieste massificate ai medici di assistenza primaria di pagamento dell'IRAP. La medesima considerazione può farsi rispetto alla giurisprudenza di merito che, proprio in base alle sentenze della Corte di cassazione, ha ben delimitato la portata delle norme regolanti tale tributo nei confronti dei professionisti;
   i giudici di merito e di legittimità hanno emanato numerose sentenze ove è esplicitamente dichiarata l'assenza del presupposto impositivo in presenza di un'attività professionale come. Sul punto, appaiono dirimenti le sentenze della Corte di Cassazione del febbraio 2007 ed in particolare la n. 3678 del 2007;
   si ricorda che il professionista è inserito in una organizzazione da lui non governata, il servizio sanitario nazionale, e svolge la sua attività non in totale autonomia poiché è posto sotto il diretto controllo dell'ASL, secondo le direttive da questa impartite compreso, l'obbligo di apertura dello studio negli orari predeterminati dall'ASL e con compensi predeterminati dalla convenzione di medicina generale di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 270 del 2000;
   aggiungasi che, ai sensi dell'articolo 22, comma 1, del menzionato decreto del Presidente della Repubblica n. 270 del 2000 «lo studio del medico di assistenza primaria è considerato presidio del Servizio sanitario nazionale» a dimostrazione dell'assenza di quella organizzazione che è invero rimessa all'ASL. Quindi, il medico di medicina generale, titolare di rapporto convenzionale, continuativo e coordinato, svolge nell'ambito della pubblica organizzazione del servizio sanitario nazionale un servizio pubblico con compiti e compensi predeterminati, in uno studio medico che è definito presidio del servizio sanitario nazionale. Inoltre, con la circolare n. 28/E del 28 maggio 2010, l'Agenzia delle Entrate ha riconosciuto l'esonero dall'Irap per i medici privi del requisito dell'autonoma organizzazione;
   la Corte di Cassazione con ordinanza n. 27008 del 19 dicembre 2014, ha ribadito il principio secondo cui «I medici condotti convenzionati con il sistema sanitario nazionale sono obbligati ad avvalersi di determinati mezzi e personale ausiliario, i quali non costituiscono di per sé un incremento reddituale imponibile ai fini IRAP»;
   in risposta all'interrogazione a risposta immediata in Commissione rivolta allo stesso Ministro, vertente sul medesimo tema, la n. 5/06817, è stata fornita la seguente risposta: «Con il documento in esame, gli onorevoli interroganti chiedono chiarimenti in merito alla sussistenza del presupposto impositivo dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) con riferimento all'attività dei medici di medicina generale convenzionati con il Servizio sanitario nazionale (SSN), operanti presso gli ambulatori sanitari della ASL, che si avvalgono di collaboratori di studio al fine di agevolare l'accesso ai servizi medici di base da parte dell'utenza;
   al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue;
   l'Agenzia delle Entrate, sulla specifica questione, è intervenuta con la Circolare 28 maggio 2010, n. 28, par. 4, affermando che la stretta disponibilità di uno studio attrezzato non può essere considerato indice di autonoma organizzazione poiché le attrezzature detenute (in base ai parametri della convenzione con il SSN) rientrano nel minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività;
   diversamente, la presenza di altri elementi ulteriori rispetto allo standard convenzionale, tra cui si ritiene vadano ragionevolmente ricompresi anche terzi collaboratori, dovrebbe configurare l'esistenza di autonoma organizzazione;
   siffatta interpretazione è sostanzialmente in linea con quanto sostenuto in sede giurisprudenziale, almeno fino al 2012. Al riguardo, si rammenta che la Corte di Cassazione con le sentenze n. 12108 del 2009 e n. 8556 del 2011 (adottate a sezioni riunite) ha riconosciuto, tra l'altro, la presenza dell'autonoma organizzazione qualora il contribuente che esercita un'attività di lavoro autonomo si avvalga, in modo non occasionale, di lavoro altrui. Dette sentenze hanno portato a riconoscere la sussistenza dell'autonoma organizzazione, e quindi la riconducibilità delle attività professionali nell'ambito applicativo dell'IRAP, ogniqualvolta ci fosse la presenza di personale, anche part-time, con mansioni di segretariato o persino con funzioni meramente accessorie;
   va, tuttavia, osservato che nel corso del 2013, con le pronunce nn. 22020 e 22022, la Suprema Corte ha affermato – diversamente da quanto asserito fino a quel momento – che la circostanza secondo cui un medico si avvalga del lavoro di un dipendente part-time non implica l'obbligo di assoggettamento ad IRAP, essendo la presenza di un solo dipendente part-time addetto allo studio non sufficiente, di per sé, a concretizzare il presupposto di autonoma organizzazione, posto che la presenza di detto dipendente con funzioni accessorie non accresce la capacità produttiva del professionista ma costituisce semplicemente una comodità per quest'ultimo. Tale orientamento è stato recentemente ribadito dalla stessa Corte con la sentenza n. 958 del 17 gennaio 2014;
   recentemente, l'assenza di un indirizzo giurisprudenziale univoco è stata rilevata dalle stesse Sezioni tributarie della Suprema Corte di Cassazione che, nel mese di marzo 2015 (Sezione V, ordinanza 13 marzo 2015, n. 5040 e Sezione VI, ordinanza 27 marzo 2015, n. 6330) – preso atto dei contrastanti orientamenti venutisi a creare nella giurisprudenza di legittimità – hanno interessato il Primo Presidente per l'eventuale rimessione alle Sezioni Unite»,

impegna il Governo

ad adottare iniziative normative volte alla sospensione dell'invio di nuove cartelle in attesa della pronuncia della Corte di cassazione riunita in Sezioni Unite e alla sospensione della riscossione degli importi indicati nelle cartelle di pagamento relative all'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), con riferimento all'attività dei medici di medicina generale convenzionati con il servizio sanitario nazionale (SSN), operanti presso gli ambulatori sanitari della ASL, che si avvalgono di collaboratori di studio al fine di agevolare l'accesso ai servizi medici di base da parte dell'utenza, sospendendo altresì, gli interessi di mora, quelli di ritardata iscrizione a ruolo, le sanzioni civili pecuniarie, i compensi di riscossione o aggio e le eventuali spese per le procedure cautelari ed esecutive.
(7-00838) «Barbanti, Artini, Baldassarre, Bechis, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    dal 30 novembre all'11 dicembre 2015 si svolgerà a Parigi la XXI COP delle Parti (COP 21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), dedicata a stabilire accordi internazionali ai fini di contenere il cambiamento climatico. L'obiettivo della conferenza è quello di concludere, per la prima volta in oltre 20 anni di mediazione da parte delle Nazioni Unite, un accordo vincolante e universale sul clima, accettato da tutte le nazioni. Si tratta di un appuntamento che viene definito da molti come decisivo, sia in ordine a scelte non più rinviabili, sia in ordine alla qualità condivisa degli obiettivi per gli Stati e le popolazioni del pianeta. In questo contesto diventa decisivo il fatto che tutti i soggetti operino con la consapevolezza delle proprie responsabilità;
    in particolare, tra i contesti produttivi, l'agricoltura, che è tra l'altro un comparto produttore di notevoli quantità di gas serra, nei prossimi decenni sarà inevitabilmente e pesantemente condizionata dai cambiamenti climatici in atto a livello planetario. Disponibilità idrica, rese colturali, tipologie produttive, tutela del suolo, sistemi assicurativi sono solo alcune delle variabili che il mutamento climatico inevitabilmente sta portando in gioco in modo inedito. Diventa decisivo dunque assumere da dentro il contesto agricolo, a livello locale, nazionale ed internazionale, una specifica iniziativa che prepari ed accompagni il mutamento in atto, anche a tutela del reddito agricolo nazionale;
    le più recenti simulazioni sugli impatti attesi dal cambiamento climatico sull'agricoltura europea (prospettiva 2030-2050) indicano abbastanza chiaramente che i sistemi produttivi che risentiranno più negativamente del global warming saranno quelli del sud Europa. Il centro nord Europa avrà prevalentemente vantaggi in termini di produzioni attese delle principali colture. Questo trend generale va poi declinato negli specifici contesti della variegata agricoltura europea, per cui è possibile che, in uno stesso distretto rurale, ci saranno sistemi produttivi che trarranno vantaggi, altri che invece saranno svantaggiati o non subiranno alcun effetto. Quel che è praticamente certo è che l'incremento della frequenza di ondate di calore, per fare un esempio, avrà effetti molto gravi soprattutto sulla produzione di latte bovino, determinerà un aumento dei consumi irrigui delle colture e un aumento degli attacchi parassitari, soprattutto nell'Europa mediterranea. L'aumento della frequenza di eventi estremi potrà avere effetti particolarmente devastanti nei territori in cui prevale l'abbandono dell'agricoltura e il dissesto idrogeologico. Per quanto concerne il nostro Paese e la sua fascia climatica, assistiamo, e assisteremo, ad un progressivo aumento delle temperature e a una progressiva riduzione delle precipitazioni, peraltro paradossalmente accompagnata da una accentuazione dei fenomeni di elevata intensità e breve durata. L'impatto sull'agricoltura potrebbe rivelarsi devastante, con condizioni necessariamente differenziate tra le varie aree regionali. Se nel breve periodo la relativa resilienza del sistema sarà probabilmente sufficiente a mascherare gli effetti del clima, in un orizzonte temporale più lungo (10-30 anni) dovranno necessariamente essere approntate adeguate strategie di adattamento, che richiedono tempo per essere individuate, studiate e calibrate. La qualità politica dei sistemi nazionali e internazionali, com’è chiaro anche dal dibattito preparatorio della stessa COP 21, si misura, in questo senso, con la capacità di uscire rapidamente dalla sottovalutazione del fenomeno, prodotta dall'attuale lentezza percepita della trasformazione in atto. Si impone quindi, da subito, l'avvio di una riflessione sul ruolo futuro delle diverse produzioni agricole, sia alla luce dei diversi requisiti climatici sia, in relazione agli effetti economici, alla luce della dinamica dei mercati;
    di fronte a questo scenario, le strategie da mettere in atto comprendono due strade tra loro distinte ed integrabili: mitigazione e adattamento;
    da un lato vi sono le tecniche di riduzione delle emissioni di gas serra dal comparto agricolo (mitigazione), quali, ad esempio, il ricorso a energie rinnovabili, l'accumulo di carbonio organico in forma stabile nel suolo (C-sink), la riduzione dell'impiego di fertilizzanti azotati. Particolare attenzione sarà necessario porre alla scelta delle tecniche di allevamento è nel pianificare l'intensità delle produzioni animali, forti produttori di gas serra, anche alla luce delle possibili evoluzioni culturali e del mercato;
    dall'altro si hanno le tecniche di adattamento ai cambiamenti climatici, ovvero il complesso delle azioni possibili, a livello istituzionale e a scala locale, mirate a garantire le produzioni agrarie e la sopravvivenza economica del comparto. Si tratta anche di avviare una riflessione per decidere quali produzioni agricole risultino strategiche nel lungo periodo rispetto alle relative esigenze climatiche e tenuto conto del fabbisogno idrico, e di mettere in atto adeguate azioni di ricerca per selezionare varietà e specie vegetali particolarmente capaci di resistere alle mutate condizioni del clima. Parallelamente sarà necessario investire nella formazione degli addetti per la messa in atto delle pratiche agricole più adeguate, nell'integrazione dei sistemi di monitoraggio e allerta per mitigare gli effetti degli eventi idro-meteorologici estremi, di una adeguata pianificazione del territorio rurale ai fini di contenere i fenomeni di dissesto idrogeologico. Le risposte adattative non necessariamente dovranno essere recessive. Potrebbero esserlo se ci si limitasse a chiedere ulteriori sussidi o a finanziare contratti di assicurazione, che in sostanza andrebbero a vantaggio delle compagnie e non certo degli agricoltori. È però possibile interpretare l'adattamento in modo strategico, quindi non solo legato al cambiamento della varietà, ma anche a creare le condizioni per una maggiore sinergia tra aziende e distretti produttivi con evidenti complementarietà (come per esempio tra i distretti asciutti e quelli irrigui), che aggregandosi in reti, potranno così permettersi un maggior supporto organizzato da parte di professionisti dell'assistenza tecnica e mondo della ricerca scientifica, valorizzando potenziali oggi per lo più inespressi;
    si tratta in tutti i casi di percorsi che richiedono una notevole dose di ricerca, di investimenti e di tecniche, aspetti che rinviano, più in generale, ad una distribuzione capillare prima delle informazioni e poi delle applicazioni. La resilienza del sistema agricoltura è legata in misura notevole al tradizionale passaggio generazionale di conoscenze che, nella maggior parte dei casi, bypassa un sistema di istruzione capace di fornire strumenti tecnici e scientifici oggettivi. L'esperienza diretta, tramandata di padre in figlio, e/o in generale attraverso le organizzazioni di categoria orientate in primo luogo alla tutela del reddito, consente di adeguare le tecniche di produzione nel contesto di una limitata variabilità del clima, ovvero la tipica variabilità annuale o del breve periodo. L'esperienza non è tuttavia sufficiente a percepire il trend climatico di medio e lungo periodo, configurandosi piuttosto come elemento capace di mascherarne in qualche modo gli effetti, rendendolo finalmente un elemento critico solo quando l'alterazione assume dimensioni non più gestibili;
    si configura quindi come indispensabile un mutamento di paradigma, dato che in generale è strategico a questo fine che si istituisca un legame stretto fra ricercatori e consulenti aziendali degli agricoltori, per porre fattivamente in campo le scelte necessarie ad una produzione che, tra l'altro, rispetti l'ambiente nel mentre è in corso una modificazione strutturale che potrebbe condurre a forzature per assicurare la continuità dello status quo. Le istituzioni di istruzione, formazione e assistenza devono assumere in questo senso un ruolo primario per coadiuvare gli agricoltori, mentre le organizzazioni agricole devono collaborare nel progetto coerente di innovazione dei processi produttivi. Innovazione che assume una configurazione dinamica non essendo possibile, a priori, definire nel dettaglio le future interazioni tra clima e agricoltura. La potenziali rapidità di taluni mutamenti indotti dai cambiamenti climatici, suggerisce in questo senso una grande flessibilità di approcci;
    in questo processo dovranno essere salvaguardate, sia pure in un'ottica di trasformazione, quelle caratterizzazioni locali che enfatizzano, specialmente nella realtà italiana, la variabilità della produzione del comparto primario e che offrono le peculiarità e le diversità dei prodotti tipicamente italiani assai appetiti dai mercati internazionali. Non si tratterà quindi di individuare e trasmettere, o peggio imporre, nuove tecniche di produzione e nuove varietà da seminare, bensì di offrire quelle competenze tecniche e scientifiche che risultano tipicamente carenti nei processi decisionali autonomi basati sulla mera esperienza. L'agricoltore, già ora responsabile delle proprie azioni, dovrà rimanere autonomo ma accompagnato da un lato dalla consapevolezza che lo scenario agricolo sta rapidamente cambiando, dall'altro dalla possibilità di accedere a risorse culturali e scientifiche per attuare al meglio le trasformazioni necessarie;
    un ruolo strategico, in questo senso, per l'intero sistema hanno le reti di sperimentazioni agronomiche di lunga durata. Ce ne sono alcune in Italia che durano dal 1962, oggi mantenute in vita su base per lo più volontaria da alcune strutture universitarie e del CREA. Questo tipo di iniziative sta evolvendo verso la costituzione di una rete internazionale che vede l'Italia – rispetto ad altri Paesi – particolarmente sofferente per la carenza di risorse disponibili per la ricerca. Esse rappresentano un patrimonio nazionale inestimabile per poter calibrare i modelli matematici di sistema colturale, strumenti insostituibili nella valutazione degli effetti di lungo termine sulla fertilità del suolo di diverse pratiche agronomiche;
    sono già stati messi in atto alcuni tentativi di affrontare il tema del ruolo dell'agricoltura nei mutati scenari climatici, come ad esempio i progetti finalizzati «Agroscenari» e «Climagri» finanziati dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, il Libro bianco «Sfide ed opportunità dello sviluppo rurale per la mitigazione e l'adattamento ai cambiamenti climatici» del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, o, più in generale, gli «Elementi per una Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici» del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Gli elementi dominanti in tutti questi studi sono però l'assenza di una prospettiva concreta di pianificazione del medio e lungo periodo e la proposta di attuare strategie e tecniche di adattamento che sono già mature e consolidate. Al contrario, la sfida, ancora sottovalutata, sarà tale da richiedere forti elementi di innovazione e un radicale cambiamento di prospettiva. Inoltre, si tratta di progetti di respiro relativamente breve, perlopiù avviati e conclusi nel giro di pochi anni, a fronte della evidente necessità di un tavolo permanente capace di cogliere con continuità la dinamica dei cambiamenti del clima, dell'evoluzione della tecnica, degli sviluppi dei mercati,

impegna il Governo:

   a costituire presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali un organismo permanente, qualificato scientificamente e capace di far tesoro delle esperienze positive già maturate, che valorizzando adeguatamente sia gli istituti di ricerca scientifica nazionale, sia le organizzazioni di settore e i consulenti aziendali, promuova la pianificazione agricola nazionale nell'ambito dei cambiamenti climatici, con traguardi verificabili in termini di mitigazione e attraverso la redazione di studi evolutivi del comparto agricolo in relazione ai mutamenti climatici, con un raggio previsionale di almeno trent'anni da aggiornare ogni cinque anni;
   a valorizzare la qualità strategica di, questa pianificazione per porre politicamente e tecnicamente per tempo in sede di Unione europea la scelta di investimenti adeguati sull'adattamento agricolo a beneficio in primo luogo delle aree agricole europee più svantaggiate e a tutela del sistema produttivo nazionale, facendo sì che questa pianificazione supporti le valutazioni per comprendere quanto l'adattamento necessario per mantenere in vita i sistemi produttivi attuali confligga con le attuali (e future) politiche agricole, ambientali e climatiche scala europea;
   a promuovere, attraverso la conferenza Stato-regioni, un preciso orientamento di integrazione tra ricerca scientifica e assistenza tecnica agronomica al mondo produttivo, considerato che tale indirizzo di collaborazione del mondo scientifico in termini di aggiornamento e formazione, nel merito delle evoluzioni agronomiche di contesto regionale contrassegnate dai cambiamenti climatici, è volto a potenziare le buone qualità tecniche già presenti e potrebbe realizzarsi negli specifici enti preposti a livello territoriale (ad esempio Ersa), sia direttamente nei propri organismi direttivi, sia attraverso specifici comitati;
   ad assicurare il sostegno per il mantenimento e l'implementazione di una rete di sperimentazioni agronomiche di lunga durata, per poter calibrare i modelli matematici di sistema colturale, strumenti insostituibili per la valutazione degli effetti di lungo termine sulla fertilità del suolo di diverse pratiche agronomiche.
(7-00837) «Zanin, Cova, Oliverio, Tentori, Romanini, Venittelli, Terrosi, Prina, Taricco, Capozzolo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
   il 12 settembre 2015 il Corriere della Sera, con l'articolo a firma di Marco Galluzzo «Un Air Force One (in leasing) per Renzi», e il Fatto Quotidiano, con l'articolo a firma di Marco Palombi «Decolla l'Air Force Renzi», davano la notizia dell'ordine di acquisto di un Airbus A340 da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri per assolvere ai compiti di trasporto aereo dei vertici dello Stato nelle loro missioni istituzionali. Dalle indiscrezioni di stampa si evince che tale decisione è stata presa direttamente dal Premier per garantirsi spostamenti più lunghi senza dover effettuare soste per i rifornimenti e per consentire una più ampia accoglienza di ospiti a bordo e migliori dotazioni tecnologiche e comfort (sala riunioni, wifi, zone relax e altro). Lo stesso Premier Renzi è stato il primo a far trapelare la notizia in occasione di una conferenza stampa durante un suo viaggio in Africa del luglio 2015;
   risulta dalla stampa che il nuovo aeromobile è stato preso in leasing da Etihad per un valore che, secondo gli specialisti, dovrebbe aggirarsi da un minimo di 400 mila euro ad un massimo di un milione di euro a settimana per un costo tra i 20 e i 50 milioni di euro annui. A seguito delle inevitabili polemiche sulla necessità, opportunità e onerosità di tale nuovo «acquisto» la Presidenza del Consiglio dei ministri ha inizialmente fatto ricadere la responsabilità di tale ordine sull’ex Presidente del Consiglio, Enrico Letta, poi, dopo la sua immediata replica, ha mantenuto il più totale riserbo al punto da rinviare il suo debutto previsto per il tour del Premier Renzi in America Latina (viaggio in Cile, Perù, Colombia e Cuba) della scorsa settimana;
   in merito alla replica, tramite un tweet, dell’ex Presidente Enrico Letta, oltre a ritenersi estraneo a tale decisione l'ha anche giudicata fondamentalmente sbagliata. Si ricorda, ad onor del vero, che l’ex Premier Enrico Letta non solo utilizzava regolarmente voli di linea per i suoi spostamenti privati, ma aveva avviato anche le procedure per mettere in vendita tre aerei (un Airbus A319 e due Falcon) considerati di troppo per un ricavato stimato di 50 milioni di euro che sarebbero dovuti servire per finanziare la flotta antincendio della Protezione civile. Vendita che Renzi, al suo insediamento, ha subito bloccato; come dimostra il caso illustrato, sta anche aumentando il numero dei velivoli per esigenze istituzionali;
   sulla necessità, opportunità ed onerosità di tale operazione si sono espressi anche autorevoli esponenti dell'aviazione civile e militare del nostro Paese tra cui l’ex Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica militare, il generale Leonardo Tricarico, attuale Presidente della Fondazione Icsa (Intelligence Culture and Strategic Analysis), che sulla testata quotidiana online www.formiche.net, nel suo articolo «Cosa penso del nuovo aereo blu di palazzo Chigi», ha posto tutta una serie di perplessità ed interrogativi ragion per cui con questa interrogazione si chiama il Governo a rispondere. In primis, il generale ha sottolineato che «la flotta della Presidenza è da sempre ampiamente ridondante rispetto alle effettive esigenze di trasporto e persino alle norme molto restrittive che la stessa Presidenza si è data da tempo. Grazie a questo, ogni anno migliaia di ore di volo potenziali non vengono sfruttate, diventando uno spreco. Proprio per questo negli ultimi anni si era deciso di ridurla, vendendo alcuni piccoli Falcon e un grande Airbus A319». Inoltre, «l'Aeronautica Militare gestisce la flotta della Presidenza. La forza armata anticipa tutte le spese di esercizio – dal carburante alla manutenzione fino alle tasse di atterraggio – attingendo ai capitoli di bilancio dell'attività operativa, girando il costo alla Presidenza per il rimborso a pie’ di lista. In realtà la Presidenza lo restituisce solo in parte, costringendo l'Aeronautica ad arrangiarsi. Di fatto più volano gli Airbus di Stato, meno volano Tornado, Eurofighter e persino elicotteri del soccorso»;
   se fossero confermate queste dichiarazioni, ovverosia che non volano «Tornado, Eurofighter e persino elicotteri del soccorso» per risparmiare sui mancati rimborsi dei voli di Stato ci si troverebbe di fronte a responsabilità politiche del Governo veramente molto gravi;
   l’ex Capo di Stato maggiore dell'Aeronautica militare, nel sopra menzionato articolo, non si è limitato ad esprimere solo una critica tout court sulla decisione di questo nuovo acquisto, ma ha posto tutta una serie di interrogativi cui i firmatari del presente atto ritengono necessario ed urgente che il Governo venga a rispondere quanto prima. In sintesi:
    «1. chi ha definito l'esigenza di un nuovo Airbus ha fatto un'analisi dei costi ?
    2. E i capitolati tecnici, compresi i requisiti di sicurezza, sono stati preparati dal cliente (attraverso le apposite direzioni del ministero della Difesa) o da Airbus (in base a ciò che è interessata a vendere, magari facendo lavorare ditte francesi al posto di quelle italiane, con tutto ciò che implica in termini di riservatezza delle comunicazioni governative) ?
    3. Sono state valutate le alternative, comprese le possibili sinergie con gli aerei già in linea ?
    4. È stato pubblicato un requisito o si è secretato tutto, con buona pace della trasparenza e della competizione ?»;
   in merito ai costi benefici dell'operazione il generale Leonardo Tricarico fa un'analisi impietosa considerando il noleggio in leasing «...un'operazione finanziaria poco vantaggiosa come dimostrano i precedenti», mentre sulla opportunità di acquistare il nuovo velivolo esprime apertamente forti dubbi anche perché «... quanto verrebbe usato il super-Airbus ? Posto che l'attuale A319 può già portare fino a 50 persone fino a 8.500 km senza scalo, quante volte sono necessarie prestazioni maggiori ? L'esperienza suggerisce pochissime. E allora perché non utilizzare i quattro Boeing 767 dell'Aeronautica Militare ? Sono aerei nuovi di zecca, hanno un'autonomia illimitata, portano sulla fusoliera impresse le insegne di Stato, hanno una completa dotazione di comunicazione e autoprotezione. Questi Boeing sono adibiti a velivoli cisterna, ma possono già oggi essere allestiti per portare passeggeri con uno standard da compagnia aerea; con poca spesa potrebbero essere dotati di un kit smontabile per adeguarli al rango delle personalità trasportate». Insomma il giudizio del più autorevole esponente dell'Aviazione militare è totalmente negativo e, infatti, i suoi commenti non passano inosservati, essendo oggetto di numerosi articoli di stampa;
   oltre alla mancanza dei requisiti di necessità ed opportunità in questa operazione di «acquisto» mancano anche i requisiti minimi di sicurezza, poiché, oltre a quanto già detto in premessa sulla ditta appaltatrice dei lavori sulla dotazione tecnologia e di sicurezza, si apprende dalla stampa che il super-jet richiede piste (l'aeroporto di Ciampino è inidoneo) e piloti adatti, al punto che il personale di volo sarà fornito da Etihad, una compagnia privata araba, e non dall'Aeronautica militare e questo lascia fortemente perplessi;
   oltre all'onerosità del leasing, come sopra detto stimato sui 50 milioni di euro annui, i costi di funzionamento di un Airbus 340 sono molto alti, poiché, con i suoi quattro motori, è unanimemente considerato l'aereo più inquinante del mondo per i suoi eccessivi consumi, ragion per cui è stato messo fuori produzione. Infatti, il Consorzio europeo che lo produceva ha annunciato nel 2011 la sua cessazione in quanto ritenuto poco competitivo rispetto al suo rivale, il Boeing, e questo spiega il perché molte compagnie aeree come Etihad stanno dismettendo questo tipo di velivoli;
   il Premier Matteo Renzi si reca all'estero in media 3 volte al mese. In meno di 20 mesi ha già visitato 49 Paesi nel mondo (20 in Europa con Bruxelles raggiunta ben 16 volte, 8 nel continente americano, 8 Paesi africani, 11 in Asia e 2 in Oceania) senza contare i voli di Stato utilizzati per le tratte nazionali, dove non si fa scrupolo di utilizzarli anche per andare a sciare o per spostarsi tra Firenze e Roma tratta facilmente percorribile in macchina;
   questa preferenza per i voli sorprende l'interrogante, considerando che il Premier Matteo Renzi ha fatto del taglio degli sprechi uno dei suoi cavalli di battaglia nella sua politica di «rottamazione» della vecchia classe dirigente del PD e numerose sono state le sue dichiarazioni su un uso parco e morigerato dei beni pubblici poiché mai avrebbe assunto comportamenti e abitudini tipici degli uomini di potere. È celebre infatti la sua frase pochi giorni prima del suo insediamento a Palazzo Chigi: «Io la scorta non la voglio, la mia scorta è la gente. Non voglio violare le regole, ma nemmeno dare l'impressione di un uomo che il giorno che va al Governo cambia status, immagine, stile. Non posso e non voglio passare dalla bicicletta all'auto blu.» (Messaggio scritto il 14 febbraio 2014, la settimana prima della sua successione al Presidente Letta alla guida del Governo). Infatti, Matteo Renzi è passato direttamente dalla bicicletta all’«elicottero blu». Nei suoi spostamenti tra una città e l'altra nei fatti non usa più l'auto ma direttamente l'elicottero, dalla stampa definito ormai «Renzicottero»;
   questo acquisto rappresenta, a giudizio degli interpellanti, l'ennesima dimostrazione dell'arroganza di una classe politica completamente scollegata dalle reali preoccupazioni del Paese. Spendere 50 milioni di euro l'anno per un «aereo blu» solo per ragioni di status internazionale, quando la stessa Aeronautica militare non ha le risorse per far volare i propri velivoli per assicurare compiutamente la sicurezza aerea, significa non rendersi conto di quali sono le vere priorità del Paese;
   la Presidenza del Consiglio ha già a disposizione una discreta flotta dell'aeronautica militare. Si tratta di 3 Airbus per i voli internazionali, sette Falcon per le tratte interne e due elicotteri –:
   se il Governo non ritenga doveroso chiarire quanto in premessa e, in particolare, chi abbia effettivamente deciso l'acquisto in leasing del nuovo Airbus A340 e per quali evidenti e indifferibili necessità, e quali siano gli effettivi costi diretti ed indiretti di tutta l'operazione di leasing, specificando se siano state valutate delle alternative più economiche, comprese le possibili sinergie con gli aerei già in dotazione e che per tutti questi anni hanno assolto compiutamente il loro dovere;
   se il Governo non ritenga doveroso rendere pubblico il contratto di leasing con Etihad con relativi capitolati tecnici, requisiti di sicurezza e personale impiegato, specificando, inoltre, le ragioni dell'impiego di tale strumento contrattuale e del mancato impiego fin dal principio di personale dell'Aeronautica militare italiana.
(2-01155) «Paolo Nicolò Romano, De Lorenzis, Liuzzi, Spessotto».

Interrogazioni a risposta scritta:


   FORMISANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la legge 5 febbraio 1998, n. 22 e il decreto del Presidente della Repubblica 7 aprile 2000, n. 121, stabiliscono i criteri e le modalità di esposizione della bandiera della Repubblica italiana e di quella dell'Unione europea;
   la bandiera della Repubblica italiana e quella dell'Unione europea vengono stabilmente esposte all'esterno degli edifici degli organi costituzionali e di rilievo costituzionale, i Ministeri, i consigli regionali, provinciali e comunali, in occasione delle riunioni degli stessi, gli uffici giudiziari, le scuole e le università statali;
   l'esposizione delle bandiere coincide con l'orario di attività dei rispettivi uffici, salvo che il luogo ove siano esposte sia adeguatamente illuminato anche nelle ore notturne, allora può rimanere esposta ininterrottamente;
   purtroppo, capita sempre più spesso, compreso all'interrogante, di vedere sugli edifici pubblici bandiere strappate, sporche o arrotolate indistricabilmente su loro stesse;
   risale al 26 gennaio 2011 la nota del dipartimento del cerimoniale di Stato alla Presidenza del Consiglio, prot. N. UCE 0000331 P-2.11.4.10, indirizzata a tutte le amministrazioni dello Stato, agli enti pubblici, agli istituti autonomi, agli organismi costituzionali, al CSM, al CNEL alle autorità autonome e alla Banca d'Italia, nella quale si richiamava le stesse al decoro delle bandiere esposte all'esterno degli edifici pubblici;
   nella stessa comunicazione si raccomandava di procedere ad un'attenta verifica sui vessilli esposti, avendo cura di controllare che gli stessi non si presentassero logori, scoloriti, strappati, sporchi o male avvolti intorno all'asta;
   benché la comunicazione suddetta fosse stata fatta per gli eventi celebrativi del centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia, l'ultimo paragrafo della stessa indicava un regolamento che avrebbe dovuto perdurare poi nel tempo, e cioè l'invito ai prefetti di inviare alla Presidenza del Consiglio un periodico riscontro circa il rispetto dei requisiti di decoro delle bandiere sopra rappresentati;
   a parere dell'interrogante, le condizioni in cui sono esposte le bandiere, sulle facciate degli edifici pubblici e delle sedi delle istituzioni, rischiano di riflettere un livello di crisi sociale e di sfiducia che si sta tentando di sradicare, come se il Paese avesse perso i suoi punti di riferimento e i suoi valori –:
   se il Presidente del Consiglio non ritenga opportuno verificare se, a seguito della nota precedentemente menzionata, siano giunti alla Presidenza i periodici riscontri richiesti e, altrimenti, se non intenda porre in essere ulteriori iniziative a tutela della bandiera italiana. (4-10992)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva europea 2008/98/CE all'articolo 28, paragrafi 1 e 2, riporta quanto segue: «1. Gli Stati membri provvedono affinché le rispettive autorità competenti predispongano, a norma degli articoli 1, 4, 13 e 16, uno o più piani di gestione dei rifiuti. Tali piani coprono, singolarmente o in combinazione tra loro, l'intero territorio geografico dello Stato membro interessato.». «2. I piani di gestione dei rifiuti comprendono un'analisi della situazione della gestione dei rifiuti esistente nell'ambito geografico interessato nonché le misure da adottare per migliorare una preparazione per il riutilizzo, un riciclaggio, un recupero e uno smaltimento dei rifiuti corretti dal punto vista ambientale e una valutazione del modo in cui i piani contribuiranno all'attuazione degli obiettivi e delle disposizioni della presente direttiva»;
   la direttiva europea 2008/98/CE all'articolo 30 riporta quanto segue: «1. Gli Stati membri provvedono affinché i piani di gestione e i programmi di prevenzione dei rifiuti siano valutati almeno ogni sei anni e, se opportuno, riesaminati ai sensi degli articoli 9 e 11. 2. L'Agenzia europea per l'ambiente è invitata a includere nella sua relazione annuale un riesame dei progressi compiuti nel completamento e nell'attuazione dei programmi di prevenzione dei rifiuti»;
   la Commissione europea, a ottobre 2015, ha avviato contro l'Italia la procedura di infrazione 2015–2165 avente come oggetto: piani regionali di gestione dei rifiuti. Attuazione degli articoli 28 e 30 della Direttiva 2008/98/CE. La Commissione, che ha inviato una lettera di messa in mora, ha verificato l'attività di aggiornamento, riscontrando inadempienze per tutte le regioni e province autonome ita- liane ad eccezione del Lazio, messosi in regola nel 2012, delle Marche, regolarizzatesi nel corso di quest'anno, della Puglia e dell'Umbria, non ancora in ordine ma che hanno tempo sino a fine anno per farlo;
   le procedure di infrazione possono comportare degli oneri diretti a carico degli Stati inadempienti, a seguito di una condanna da parte della Corte di giustizia al pagamento di sanzioni, in esito ai ricorsi ex articolo 60 TFUE. Tuttavia, anche a prescindere dalla comminazione di sanzioni, le procedure di infrazione possono comportare oneri finanziari per lo Stato membro interessato, derivanti dall'adozione delle misure finalizzate al superamento del contenzioso con l'Unione europea;
   il regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio del 21 giugno 1999 riguarda le disposizioni generali sui fondi strutturali, in particolare l'articolo 32 prevede le norme per i pagamenti;
   la lettera f) del paragrafo 3 del suddetto articolo riporta tra le condizioni che devono essere rispettate: «l'assenza di sospensione di pagamenti, a norma dell'articolo 39, paragrafo 2, primo comma, e assenza di decisione della Commissione di avviare un procedimento d'infrazione in forza dell'articolo 226 del trattato, riguardo alla misura o alle misure oggetto della domanda di cui trattasi.»;
   se una delle condizioni riportate dal summenzionato paragrafo non è rispetta, la domanda di pagamento non è ammissibile;
   la Commissione europea, in data 8 agosto 2000, approvò il programma operativo FESR relativo alla gestione e allo smaltimento dei rifiuti della regione Campania. Le azioni effettuate e destinate a migliorare ed a promuovere il sistema di raccolta e di smaltimento diedero luogo ad esborsi pari a circa 93 milioni di euro, il cui 50 per cento — ovvero circa 46,5 milioni — erano stati cofinanziati dai fondi strutturali. La stessa Commissione europea — dopo diversi anni e più precisamente il 29 giugno 2007 — inviò alle autorità italiane una lettera di costituzione in mora che aprì il procedimento d'infrazione 2007/2195 per non aver adottato, in relazione alla regione Campania, tutte le misure necessarie ad assicurare che i rifiuti venissero smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza recare pregiudizio all'ambiente ed, in particolare, per non aver creato una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento. Il 31 marzo del 2008, la Commissione informò le autorità italiane delle conseguenze che intendeva trarre dal procedimento d'infrazione citato, rispetto al finanziamento per l'attuazione del programma operativo della Campania, dichiarando esplicitamente che — conformemente all'articolo 32, paragrafo 3, del regolamento n. 1260/1999 — non poteva ulteriormente procedere ai pagamenti intermedi, poiché tale misura ha ad oggetto il sistema regionale di gestione e smaltimento dei rifiuti a cui si riferisce proprio la procedura d'infrazione 2007/2195, che evidenzia appunto l'inefficacia nella messa in opera di una rete adeguata ed integrata di impianti di smaltimento. La Commissione, in più, precisò che la data a partire dalla quale considerava inammissibili le spese relative al programma operativo FESR era il 29 giugno 2007 coincidente con l'invio della lettera di costituzione di messa in mora. Alla luce di queste decisioni, gli organi competenti dichiararono inammissibili due domande di pagamento delle autorità italiane. La prima era quella del 18 novembre 2008 per un importo di circa 12 milioni di euro, la seconda era datata 22 dicembre 2008 per un ammontare di circa 18,5 milioni di euro –:
   quali siano le motivazioni puntuali che hanno portato la Commissione europea ad aprire il procedimento di infrazione 2015–2165;
   se le regioni oggetto della procedura di infrazione 2015–2165 corrano il rischio — ai sensi dell'articolo 32 del regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio del 21 giugno 1999 — di vedersi bloccati i pagamenti dei fondi strutturali programmati (2014-2020) aventi per materia la gestione dei rifiuti;
   se si intenda rendere pubblica la lettera di messa in mora inviata dalla Commissione europea all'Italia in merito alla procedura di infrazione 2015–2165. (4-10994)


   LO MONTE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da diversi giorni la città di Messina è senza acqua. Una frana ha, infatti, danneggiato la condotta che approvvigiona la città siciliana creando enormi disagi ai cittadini, costretti a rifornirsi alle autobotti;
   la situazione sembrava essere tornata alla normalità quando, l'erogazione dell'acqua è stata interrotta nuovamente per una nuova frana sulla condotta da Fiumefreddo a Calatabiano che porta l'acqua alla città di Messina. La tubazione nei giorni scorsi, dopo che la città era rimasta senz'acqua per oltre una settimana, era stata riparata dai tecnici dell'Amam, ma la frana di Calatabiano è tornata attiva rompendo il tubo dell'acquedotto esattamente dove era stato riparato;
   nella città intanto il rifornimento di acqua potabile avviene con le autobotti e le lunghe code creano non poche difficoltà soprattutto a disabili e anziani, che faticano a trasportare le taniche piene d'acqua. Da giorni, inoltre, le scuole, l'università e gli uffici pubblici, che non hanno un proprio serbatoio idrico, sono chiusi e ci sono stati disagi anche negli ospedali cittadini;
   in questa situazione di drammatica emergenza, da un lato ci sono privati che distribuiscono acqua a pagamento senza averne le autorizzazioni per cui il direttore generale dell'Amam ha invitato i cittadini a segnalare all'azienda queste pratiche «poco ortodosse»; dall'altro lato c’è il prefetto di Messina che viste le difficoltà di coordinamento del comune con una nota fa sapere che: «la Prefettura si è soffermata prioritariamente sulla necessità di una più idonea distribuzione di acqua alla cittadinanza chiedendo alla Protezione Civile Regionale ed al Ministero della Difesa ulteriori dieci autobotti oltre quelle già disponibili .... Sono state ribadite le priorità da tenere presenti nell'ordine della distribuzione, e precisamente: Sicurezza, Sanità, Servizi pubblici essenziali, Carceri, Uffici giudiziari e fasce disagiate della popolazione, senza tralasciare l'esigenza condivisa da tutti di ampliare i punti di distribuzione, coprendo le zone della città meno servite. È stata evidenziata anche la possibilità dell'arrivo di una nave cisterna da Napoli con una portata di acqua pari a circa cinquemila tonnellate da immettere direttamente nelle condotte cittadine»;
   intanto con una nota Ansa, del 29 ottobre, il Presidente del Consiglio definisce «vergognosa» la vicenda. È di ieri poi la decisione di inviare gli uomini della Protezione civile. Così, si legge in una nota di Palazzo Chigi: «Alla luce del verificarsi di nuove criticità nell'erogazione idrica a Messina e del perdurare di pesanti disagi per la cittadinanza, la Presidenza del Consiglio ha disposto l'immediato invio in loco di uomini della Protezione civile nazionale» –:
   quali iniziative urgenti il Governo abbia intenzione di assumere al fine di trovare una soluzione positiva e duratura ai problemi strutturali connessi con il rischio idrogeologico in Sicilia di cui la frana sulla condotta da Fiumefreddo a Calatabiano è solo l'ultima manifestazione in ordine di tempo. (4-10997)


   PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 ha recepito a livello nazionale la direttiva 2009/28/CE (cosiddetta Renewable Energy Directive, «RED»), che prevede il raggiungimento, entro il 2020, da parte dell'Unione europea dell'obiettivo di copertura di almeno il 20 per cento del proprio fabbisogno energetico, tramite il ricorso all'energia da fonti rinnovabili;
   la RED ha previsto che «il contributo dei biocarburanti prodotti a partire da rifiuti, residui, materie cellulosiche di origine non alimentare e materie lignocellulosiche è considerato equivalente al doppio di quello di altri carburanti». Tale meccanismo, comunemente indicato come double counting, costituisce un significativo incentivo al ricorso a determinate materie per soddisfare il bilancio energetico dei trasporti nei diversi Stati membri, ai quali è stata tuttavia lasciata ampia discrezionalità nell'individuare più precisamente le materie cui riconoscere tale incentivo;
   la Commissione europea, nella comunicazione COM (2014)14 final del 22 gennaio 2014, ha chiarito che le biomasse debbono essere impiegate per scopi energetici solo qualora non esistano sbocchi di mercato alternativi, sancendo il cosiddetto principio di utilizzo «a cascata» di tali prodotti;
   sul piano nazionale, ai fini del raggiungimento dell'obiettivo di copertura di almeno il 10 per cento del consumo energetico destinato al settore dei trasporti tramite energia rinnovabile, il legislatore ha previsto un obbligo di miscelazione dei carburanti tradizionali con una quota minima di biocarburanti prodotti a partire dalle biomasse (articolo 33, comma 4, del decreto legislativo n. 28 del 2011). Inoltre, il comma 5 del medesimo articolo ha trasposto il criterio del double counting introdotto dalla RED, nel quadro normativo nazionale stabilendo che «il contributo dei biocarburanti, incluso il biometano, per i quali il soggetto che li immette in consumo dimostri [...] che essi sono stati prodotti a partire da rifiuti e sottoprodotti [...] è equivalente all'immissione in consumo di una quantità pari a due volte l'immissione in consumo di altri biocarburanti»;
   tale formulazione della norma consente di includere anche la sansa di oliva nella lista delle materie incentivate con il meccanismo del double counting. A supporto di quanto asserito è intervenuto il decreto 6 luglio 2012 del Ministero dello sviluppo economico, di attuazione all'articolo 24 del decreto legislativo n. 28 del 2011 — recante le modalità di incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti da fonti rinnovabili — che ha incluso, all'Allegato 1, Tabella 1.A, punto 3, «i sottoprodotti della trasformazione delle olive (sanse, sanse di oliva disoleata)» tra i «sottoprodotti utilizzabili negli impianti a biomasse e biogas ai fini dell'accesso ai meccanismi incentivanti di cui al presente decreto»;
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, con segnalazione AS933 del 26 aprile 2012, riguardante «Applicazione di incentivi all'immissione di biocarburanti realizzati dal grasso animale e AS102 del 23 ottobre 1997, Riutilizzo delle biomasse per la produzione di energia», ha indicato come preferibile, dal punto di vista concorrenziale, l'individuazione di regimi di incentivazione per la produzione di energia da biomasse che trovino applicazione per i soli rifiuti e sottoprodotti che non abbiano altra utilità produttiva o commerciale al di fuori di un loro impiego per la produzione di energia;
   l'Autorità, in data 4 marzo 2015, ha inviato una segnalazione ai sensi dell'articolo 21 della legge n. 287 del 1990 ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati e al Ministro dello sviluppo economico, ha affermato che: «l'inclusione, tra le materie destinatarie di incentivi economici per la produzione di energia rinnovabile e biocarburanti, della sansa di oliva possa generare delle rilevanti distorsioni sui mercati dei prodotti per i quali si utilizza la sansa come fattore produttivo. La sansa di oliva costituisce infatti un sottoprodotto della lavorazione dell'olio di oliva che ha modalità di impiego alternative a quello energetico, ad esempio per la produzione dell'olio di sansa. Gli incentivi economici riconosciuti per l'utilizzo della sansa ai fini energetici potrebbero comportare dunque una crescita artificiosa dei prezzi della sansa, turbando le condizioni di approvvigionamento degli altri settori industriali (in modo particolare quello alimentare) che ricorrono alla stessa materia prima. Questa valutazione sull'effetto distorsivo dell'incentivazione per l'uso energetico della sansa è peraltro in linea con il principio dell'utilizzo a cascata delle biomasse indicato dalla Commissione europea nella Comunicazione COM (2014)14 final, in base alla quale è opportuno indirizzare tali prodotti verso l'impiego energetico solo qualora non vi siano sbocchi di mercato alternativi»;
   l'Autorità, a più riprese, ha reiterato la proposta di emendamento dell'articolo 33, comma 5, del decreto legislativo n. 28 del 2011 nel senso sopra indicato, auspicando altresì una modifica dell'Allegato 1, Tabella 1.A, punto 3, del decreto 6 luglio 2012 del Ministero dello sviluppo economico, al fine di eliminare il riferimento generico alle sanse nell'elenco dei sottoprodotti utilizzabili negli impianti a biomasse e biogas ai fini dell'accesso ai meccanismi incentivanti;
   a partire dal 2010 l'Autorità, nella relazione annuale inviata alla Presidenza del Consiglio dei ministri, indica tutte le leggi che impediscono la competizione e che vanno dunque eliminate o riformate ed il Governo, successivamente, presenta alle Camere un disegno di legge — la legge annuale della concorrenza — con il quale vengono recepite le indicazioni dell'Antitrust, eventualmente indicando i settori nei quali ha deciso di non dare seguiti alle sue osservazioni. Allo stato attuale, non risulta all'interrogante, che il Governo si sia espresso in merito a quanto sinora asserito –:
   per quali ragioni non siano state ancora recepite le segnalazioni dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato e se, a seguito di quanto esposto nelle premesse, non si ritenga opportuno assumere iniziative per eliminare il riferimento generico alle sanse nell'elenco dei sottoprodotti utilizzabili negli impianti a biomasse e biogas ai fini dell'accesso i meccanismi incentivanti. (4-11001)


   CASO, CARINELLI e PESCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   come riportato da un comunicato stampa della Presidenza del Consiglio dei ministri, il 13 ottobre 2015 si è svolta una riunione a Palazzo Chigi, alla presenza del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti, del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Maurizio Martina, del sindaco di Milano Giuliano Pisapia e del Segretario generale della regione Lombardia Giuseppe Bonomi;
   nella suddetta riunione, il Governo ha espresso la volontà di entrare nel capitale della società Arexpo – che possiede i terreni su cui sorge Expo 2015 – a seguito della richiesta che sarebbe stata avanzata congiuntamente da comune di Milano e regione Lombardia;
   a tal fine si è insediata, presso la Presidenza del Consiglio, una cabina di regia – composta da Governo, regione e comune – che si occuperà di gestire la fase «post Expo»;
   dallo studio realizzato dalla Cassa depositi e prestiti e dall'Agenzia del demanio si evince che l'intenzione del Governo sia quella di trasformare l'area di Rho-Pero in una cittadella della conoscenza e dell'innovazione e di coinvolgere i privati nella realizzazione dell'opera;
   a conferma di tale ipotesi, nella relazione sulla gestione del bilancio 2014 di Arexpo S.p.S. si legge: «In data 24 aprile 2015 si è svolta a Milano una riunione promossa dal Governo per esaminare la percorribilità di una soluzione del tema post-Expo in una logica di interesse pubblico. Alla riunione coordinata dal Ministro Martina hanno partecipato, oltre al presidente della regione Lombardia Roberto Maroni, la Vice sindaco di Milano Ada Lucia De Cesaris, il rettore dell'Università Statale di Milano Gianluca Vago, il Presidente di Cassa depositi e prestiti Franco Bassanini, il consigliere economico della Presidenza del Consiglio dei ministri e il Direttore dell'Agenzia del demanio Roberto Reggi, il Presidente di Arexpo spa Luciano Pilotti, il direttore generale di Arexpo Guido Bonomelli, oltre al Presidente e al Direttore Generale di Fondazione Fiera Milano. Dal confronto è emersa la disponibilità a destinare le aree di Arexpo, una volta concluso expo 2015, alla realizzazione di un progetto connotato da contenuti di interesse pubblico e di elevata qualità: in tal senso appare unitamente apprezzata l'ipotesi di realizzare quel «polo della conoscenza e dell'innovazione» che potrebbe sorgere sul sito espositivo grazie al progetto dell'Università degli studi di Milano (che lì vorrebbe trasferire le sue facoltà scientifiche per creare un campus), degli uffici che fanno riferimento ad Agenzia del demanio e al progetto di Assolombardia»;
   nel giugno 2011 i cittadini milanesi si sono espressi in merito alla destinazione futura dei terreni su cui è ospitata l'esposizione, attraverso lo strumento del referendum consultivo; il 95,51 per cento dei votanti ha chiesto la conservazione integrale del parco agroalimentare che, secondo il progetto originario, avrebbe dovuto essere realizzato sul sito Expo 2015 e si sarebbe realizzata la sua connessione al sistema delle aree verdi e delle acque;
   l'indirizzo espresso quasi all'unanimità dai partecipanti al voto riflette l'esigenza dei milanesi di ampliare le zone verdi della città, di fatto molto carenti e continuamente minacciate dai cantieri, non ultimo quello della Metro 4;
   l'articolo 14 del decreto-legge 112 del 2008 ha previsto un'autorizzazione di spesa pari a 1.486 milioni di euro per il periodo 2009-2015 per la realizzazione delle opere e delle attività connesse allo svolgimento del grande evento Expo Milano 2015;
   l'onere complessivo, previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 maggio 2013, per le opere infrastrutturali «essenziali» di Expo 2015 ammonta ad oltre 2 miliardi di euro e consta di finanziamenti statali, regionali e provinciali;
   l'onere complessivo, previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 maggio 2013, per interventi e attività relativi alle opere connesse riguardanti aree diverse da quelle concernenti il sito Expo 2015, inseriti nelle programmazioni comunali, provinciali e regionali ammonta a circa 16 miliardi di euro;
   la Expo 2015 spa è stata costituita in data 1o dicembre 2008 ed è partecipata, per il 40 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, per il 20 per cento dalla regione Lombardia, per il 20 per cento dal comune di Milano, per il 10 per cento dalla provincia di Milano e per il 10 per cento dalla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Milano;
   come riporta un comunicato stampa della regione Lombardia del 30 gennaio 2015, le aree su cui sorge il sito Expo, ed attualmente possedute dalla società Arexpo, erano, originariamente, per il 57 per cento di proprietà di Fondazione Fiera, per il 29 per cento del gruppo Cabassi e per il 13 per cento del comune di Milano;
   la Corte dei conti, nella relazione sul risultato del controllo sulla gestione finanziaria di Expo 2015 spa per il 2013, ha ricordato come l'area effettivamente individuata quale «sito espositivo» nel dossier di registrazione, approvato dal BIE (1 milione e 100 mila metri quadrati), fosse per l'85 per cento di proprietà privata e come «sull'origine prevalentemente privata delle aree siano state sollevate diverse condivisibili obiezioni»;
   tale circostanza, anche secondo la Corte dei conti, ha indubbiamente determinato diverse criticità, sia per i costi di acquisizione, che per le difficoltà operative connesse alle procedure di rilascio delle aree, ed ha evidenziato come la convergenza di interessi pubblici e privati, che ne ha costituito lo scenario di fondo, tipico del partenariato pubblico privato, «avrebbe potuto essere caratterizzato da un diverso e più omogeneo coinvolgimento degli operatori privati coinvolti, specie nella ripartizione dei rischi, ed impostato a criteri di massima efficienza, in ragione delle rilevanti risorse pubbliche impiegate»;
   la Arexpo spa, costituita in data 1o giugno 2011 da regione Lombardia, è attualmente partecipata da regione Lombardia e dal comune di Milano che detengono il 34,67 per cento del capitale ciascuno, dalla Fondazione Fiera di Milano che ne detiene il 27,66 per cento, dalla provincia di Milano e dal comune di Rho che detengono rispettivamente il 2 per cento e l'1 per cento del capitale. Il capitale totale ammonta a 94 milioni di euro;
   la società Arexpo ha, in sintesi, le seguenti finalità:
    (a) l'acquisizione delle aree del sito espositivo Expo 2015 dai soggetti privati e pubblici, anche a mezzo di atti di conferimento, (b) la messa a disposizione di dette aree alla società Expo 2015 spa per gli interventi di progettazione e realizzazione della manifestazione espositiva, attraverso la costituzione di un diritto di uso o di superficie o di altro diritto che comunque garantisca le finalità per le quali la messa a disposizione è realizzata, (c) il monitoraggio, unitamente alla società Expo 2015 spa, del processo di infrastrutturazione e trasformazione dell'area per assicurare la valorizzazione e la riqualificazione dell'area medesima anche nella fase post-Expo, (d) il coordinamento, anche attraverso le competenze tecniche dei Soci, del processo di sviluppo del piano urbanistico dell'area, relativamente alla fase post-Expo, tenendo conto della disciplina urbanistica e del mix funzionale definito dalla variante urbanistica approvata mediante l'Accordo di Programma approvato con decreto del Presidente della Giunta regionale 4 agosto 2011, n. 7471, (e) la valorizzazione e la riqualificazione del sito espositivo, privilegiando progetti miranti a realizzare una più elevata qualità del contesto sociale, economico e territoriale, anche attraverso la possibile alienazione, mediante procedura ad evidenza pubblica, del compendio immobiliare di proprietà della Società nella fase post-Expo;
   si indica, inoltre, che la società Arexpo potrà occuparsi anche dell'elaborazione della progettazione urbanistica dell'intervento post-Expo, curando la formazione di un programma integrato di Intervento, che dovrà essere sottoposto all'approvazione degli organi competenti delle amministrazioni comunali di Milano e di Rho e delle altre amministrazioni pubbliche competenti;
   secondo il bilancio 2014 di Arexpo spa, il valore delle aree ed i fabbricati che costituiscono il complesso immobiliare Expo 2015 e che risultano già acquisite alla data del 31 dicembre 2014 ammontano a circa 200.000.000 di euro, di questi il «costo/valore di conferimento» ammonta a circa 176 milioni di euro, la restante parte è rappresentata da oneri finanziari, di sviluppo ed accessori;
   in data 8 agosto 2014, la società Arexpo ha pubblicato un bando, con base d'asta del valore di 315.426.000 euro, che aveva ad oggetto l'alienazione dell'area di proprietà di Arexpo ma la gara, scaduta il 15 novembre 2014, è andata deserta;
   nella relazione di stima dei terreni, commissionata da Arexpo spa all'Agenzia delle Entrate, per la determinazione del valore a base d'asta dell'area Expo, si legge: «non sono state fatte indagini in loco atte a verificare eventuali necessità di bonifica ed i relativi costi, [...] tutte le elaborazioni sono basate sulla documentazione fornita da Arexpo spa e non sono state fatte verifiche indipendenti;
   dalla nota integrativa al bilancio 2014 di Arexpo spa si evince che il nuovo valore di mercato, prudenzialmente stimato, dei terreni in possesso della società, ammonterebbe a 295 milioni di euro;
   nella relazione sulla gestione del bilancio 2014 di Arexpo spa si legge: «gli eventi inquinanti, la cui causa sia antecedente alle date di consegna delle aree da parte di Arexpo ad Expo 2015, saranno riferibili ad Arexpo, che mantiene il diritto di rivalersi, in tutto o in parte, nei confronti dei precedenti proprietari; al riguardo Arexpo si impegna a rimborsare i costi sostenuti da Expo 2015 per la bonifica dei terreni entro 30 giorni dalla richiesta, sulla base dei SAL sostenuti, nei limiti degli importi di cui all'Allegato tecnico all'Accordo Quadro nel quale sono individuati i punti di contaminazione e i relativi oneri per la realizzazione degli interventi di bonifica (stimati in complessivi 6 milioni). [...] Gli eventi inquinanti, la cui causa sia successiva alle date di consegna delle aree da parte di Arexpo ad Expo 2015, saranno riferibili ad Expo 2015. Si segnala che l'ammontare complessivo degli oneri di bonifica sostenuti da Expo 2015 risulta entro il limite di 6 milioni di euro previsti dall'Accordo Quadro. Occorre tuttavia rilevare come alcuni degli oneri che sono stati sostenuti da Expo 2015 e che devono essere riaddebitati ad Arexpo, sono superiori ai cap previsti negli specifici contratti di compravendita delle aree a suo tempo da quest'ultima stipulati, cap che erano stati determinati sulla base delle indicazioni tecniche fornite da Metropolitana Milanese, braccio operativo di Expo 2015, tra l'altro, sul tema delle bonifiche. A fronte dell'eventualità che Arexpo, nel rivalersi di detti costi di bonifica nei confronti dei proprietari originari, non dovesse riuscire a recuperare in tutto o in parte detti costi, si è ritenuto opportuno, in via prudenziale, confermare, anche in questo esercizio, lo stanziamento di un fondo rischi di euro 1.350.000, determinato sulla base delle eccedenze rispetto ai cap, che consenta, se del caso, di coprire le eccedenze medesime, sempre che le stesse non siano successivamente valutate ad incremento del valore delle aree»;
   in data 10 ottobre 2015, Expo 2015 spa ha inviato ad Arexpo spa, secondo quanto previsto dall'articolo 7 del capitolo primo dell'Accordo quadro Expo-Arexpo del 2 agosto 2012, un prospetto riepilogativo dei costi complessivi sostenuti dalla società per le attività svolte sul sito espositivo (bonifiche, smaltimenti) per un importo totale di 72,5 milioni di euro;
   gli interroganti, condividendo le preoccupazioni già espresse da esponenti del gruppo Movimento 5 Stelle del consiglio regionale della Lombardia, riportate in un'intervista della capogruppo, Silvana Carcano, apparsa il 24 ottobre 2015 sul Corriere della Sera, intendono scongiurare l'eventualità che a pagare i costi della bonifica siano contribuenti (attraverso le società a controllo pubblico Expo ed Arexpo) e non, come dovrebbe essere, i proprietari originari dei terreni;
   nella suddetta intervista, la consigliera Carcano ipotizza che il Governo possa essere interessato ad acquistare le quote di Fiera Milano;
   il 25 ottobre 2015, il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo dal quale si evince la chiara intenzione dei proprietari originari dei terreni su cui è stata organizzata l'Esposizione Universale 2015 di non coprire i costi di bonifica rendicontati dalla società Expo;
   nell'intervista a Marco Cabassi, pubblicata da Radio Popolare sul proprio sito internet il 26 ottobre 2015, l'ex proprietario di quasi un terzo dell'area Expo ha raccontato come la spesa finale recentemente rendicontata da Expo spa per le bonifiche sia pari ad una «cifra dodici volte più alta dei 6 milioni preventivati nel 2011», grazie ad una campagna di carotaggi in contraddittorio con i compratori che Arexpo spa avrebbe delegato a MM, Metropolitana Milanese;
   inoltre, il sig. Cabassi ha specificato che, per l'area di sua competenza, erano stati individuati tre hotspot valutati in circa 100 mila euro di costo bonifica per scavo, rimozione e conferimento in discarica e per i quali era stato conferito un deposito di circa 250 mila euro con l'impegno, da parte di Arexpo, a rendicontare (entro trenta giorni dalla fine dei lavori) esattamente il costo delle bonifiche e restituire, eventualmente, la cifra eccedente; alla data dell'intervista, Marco Cabassi denunciava di non aver ancora ricevuto, nonostante le continue richieste, «né la rendicontazione, né l'eventuale differenza di costo»;
   il 19 ottobre 2015, Fondazione Fiera di Milano, con una lettera in merito alla comunicazione dell'amministratore delegato di Expo 2015 spa, dottor Giuseppe Sala, in data 10 ottobre 2015, relativa alle bonifiche del sito Expo ed alla risposta di Arexpo spa del 14 ottobre 2015 prot. 98, ha reso noto ad Arexpo che la gran parte (67,1 milioni su 72 milioni di euro complessivi) dei valori contenuti nella tabella allegata alla lettera di Expo contenente i conteggi complessivi dei costi sostenuti sul sito espositivo dagli appaltatori di Expo 2015, «non riguardano affatto il tema bonifiche e nulla hanno a che vedere con gli accordi sottoscritti tra Arexpo ed Expo. «Riguardo poi al solo valore economico relativo ai lavori di bonifica attribuibile a Fondazione Fiera di Milano (FFM), pari ad un importo massimo pagabile di 2.234.037,00 euro, derivante dalla sommatoria degli importi indicati negli atti di compravendita del 1o agosto 2012» e del 19 settembre 2012, Arexpo spa, non avrebbe fornito a Fondazione Fiera di Milano alcun giustificativo, nonostante si fosse impegnata a fornire «apposita rendicontazione dei costi di bonifica entro 60 giorni dal completamento delle attività relative», conclusesi nel 2013;
   Fondazione Fiera Internazionale di Milano ha chiesto, pertanto, ad Arexpo spa di provvedere «tempestivamente a contro dedurre in modo fermo e dettagliato i contenuti della comunicazione di Expo in termini legali e coerenti con gli accordi sottoscritti» e di «non prendere in considerazione elementi di spesa estranei agli impegni in essere con Expo»;
   nella lettera del presidente di Arexpo spa, allegata al bilancio 2014, si auspica «una rifocalizzazione dei rapporti tra Expo spa ed Arexpo spa quale bridge ideale tra la legacy (materiale ed immateriale) dell'esposizione universale e il post-Expo»;
   il 26 ottobre 2015, secondo quanto riferisce l'agenzia di stampa ANSA, il presidente della regione Lombardia Roberto Maroni avrebbe suggerito l'esigenza di ricorrere ad una fusione fra Arexpo e Expo per favorire le bonifiche necessarie a trasformare l'area in un campus universitario;
   durante la seduta del 20 ottobre 2015, il consiglio regionale della Lombardia ha approvato, una risoluzione che impegna il presidente della giunta regionale «a intervenire presso la società Arexpo spa affinché venga firmato al più presto il protocollo di legalità con la Prefettura» e ad «attivare, sentita la Commissione speciale Antimafia del Consiglio regionale, un tavolo di programmazione in tempi brevi che coinvolga gli enti competenti in materia di lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione, affinché vengano definiti sin da subito i criteri con i quali si definiranno criteri e barriere all'ingresso alla corruzione e alle mafie per quanto attiene al dopo Expo e al suo periodo di smantellamento» –:
   se si intenda rendere trasparenti gli incontri della cabina di regia che gestirà la posa «post Expo», attraverso la pubblicazione on line dei relativi verbali sul sito ufficiale della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   se si intenda rendere note le modalità operative attraverso le quali il Governo entrerà a far parte di Arexpo spa;
   se corrisponda al vero che il Governo intenda rilevare le quote societarie di Fiera Milano;
   se il Governo ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, per assicurare, una volta che sarà entrato a far parte della società Arexpo, che questa si rivalga, per quanto riguarda i costi di bonifica ad essa imputati da Expo 2015 spa, sui precedenti proprietari dei terreni;
   se il Governo, una volta entrato a far parte della società Arexpo, intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per una nuova stima del valore dei terreni ed una verifica, da parte di un soggetto terzo ed indipendente, dello stato attuale dei terreni e dell'eventuale necessità di nuove bonifiche;
   quali orientamenti abbia assunto il Governo circa la possibile fusione tra le società Expo ed Arexpo;
   se si intenda rendere note le possibili destinazioni d'uso che l'area attualmente occupata dalle infrastrutture funzionali all'Esposizione universale assumerà una volta terminato l'evento;
   se la sopracitata cabina di regia abbia previsto un eventuale coinvolgimento di Cassa deposi e prestiti e, nell'eventualità che questo sia stato previsto, quale sarà il ruolo e l'impegno finanziario della società a controllo pubblico;
   quale percentuale dell'area attualmente destinata ad Expo 2015 il Governo si impegni a destinare ad area verde;
   quale sarà il ruolo dei privati nei progetti di sviluppo delle suddette aree, in particolare se si intenda utilizzare gli strumenti del project financing;
   se si ritenga necessario porre in essere iniziative volte al coinvolgimento dei cittadini milanesi nel processo decisionale sulle sorti di un'area particolarmente estesa del loro territorio;
   se si ritenga opportuno rassicurare i cittadini interessati, escludendo che l'annunciato coinvolgimento del Governo all'interno di Arexpo spa possa comportare un ulteriore esborso di fondi pubblici per ripianare le perdite di bilancio che potrebbero scaturire dalla gestione delle società legate all'Esposizione Universale 2015. (4-11003)


   MURER. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi il post di una giovane donna di Mestre, Paola Filippini, pubblicato sui social network, ha ricevuto migliaia di condivisioni e di apprezzamenti, aprendo un dibattito importante sul destino delle donne sui luoghi di lavoro;
   la ragazza raccontava una vicenda scandalosa di discriminazione nel corso di un colloquio di lavoro; si è vista, infatti, sottoporre alcune domande di carattere personale sul suo stato civile, sul fatto che fosse o meno sposata, sul fatto che avesse o no figli; la ragazza si è opportunamente sottratta a tali domande e, per tutta replica, si è visto strappato il questionario davanti al suo volto da parte di un datore di lavoro maschio, che prima avrebbe ammesso che tali domande servono a misurare la produttività della persona, poi ha confessato che ad un maschio non avrebbe mai proposto quei quesiti e, infine, ha messo sostanzialmente alla porta la giovane, che si è vista negata l'opportunità;
   l'episodio rivela, unitamente alla grande quantità di consensi e condivisioni ricevute dal post, quanto sia ancora forte nel nostro Paese la discriminazione a cui è sottoposta la donna sui luoghi di lavoro, soprattutto rispetto al suo diritto alla vita familiare e alla maternità;
   il 2 novembre 2015, l'Unione europea ha istituito l’Equal pay day, chiedendo una riflessione collettiva sul divario di genere in busta paga. Una occasione per riflettere su quello che viene definito «gender pay gap»: in sostanza, a parità di incarichi e ruoli, in Europa la donna guadagna il 16,3 per cento in meno di un collega uomo;
   come è stato evidenziato da una inchiesta pubblicata dal quotidiano Repubblica, non si tratta di un fenomeno presente solo nei Paesi meno avanzati; la Francia è 14a in Europa con un gap del 15,2 per cento; la Finlandia è 20a, con un gap del 18,7 per cento, mentre il Regno Unito è 22o, con una differenza di stipendi a vantaggio degli uomini del 19,7 per cento;
   in Italia, il «gender pay gap» appare più basso che nel resto d'Europa, con retribuzioni femminili inferiori del 7,3 per cento rispetto a quelle maschili; ma alcuni studi scientifici (Istat, Isfol, Banca d'Italia) dichiarano questo dato ingannevole, dal momento che non tiene conto della bassa occupazione femminile, addirittura al di sotto del 50 per cento in particolare al Sud, dove una donna su due non lavora; con questo dato aggiuntivo, il vero gap sfiorerebbe addirittura il 20 per cento di differenza;
   inoltre, analizzando l'andamento temporale del gap in l'Italia c’è stato un aumento delle differenze retributive: nel 2008 il dislivello era del 4,9 per cento, nel 2009 del 5,5 per cento, e nel 2015, è al 7,3 per cento. Tutto ciò nonostante le donne laureate superino i colleghi maschi (per ogni 100 laureati maschi ci sono 155,8 laureate femmine);
   Chiara Saraceno, in una interessante analisi pubblicata dal quotidiano la Repubblica, riflette sulle cause del gap e si sofferma su due fattori: la concentrazione delle donne in particolari settori, come l'insegnamento primario e secondario, i servizi alla persona, le attività impiegatizie e amministrative del terziario, il settore tessile che sono tutti mediamente meno pagati di altri, ma con orari di lavoro più favorevoli alla conciliazione con le responsabilità familiari; la maggiore lentezza e compressione delle carriere femminili, a parità di titolo di studio e di settore professionale;
   appare evidente, quindi, che il tema della donna e il lavoro, per quanto concerne le condizioni di diseguaglianza e di discriminazione, è ancora tutto aperto e chiede politiche nuove complessive, non solo rispetto a normative antidiscriminazione, ma anche rispetto alla necessità di distribuire meglio i carichi di lavoro familiare tra uomini e donne, di ampliare l'offerta di servizi alla famiglia accessibili e di buona qualità, di favorire la partecipazione stessa delle donne al mondo del lavoro –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto e quali iniziative intenda assumere, in termini di politiche per le pari opportunità, rispetto, soprattutto, al mondo del lavoro al fine di annullare discriminazioni e diseguaglianze che ancora pesano sulla condizione femminile nel nostro Paese. (4-11008)


   CARFAGNA e CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   con la legge «antistalking» nel 2009, il Parlamento ha colmato un vuoto normativo che, fino ad allora, aveva impedito alle donne, 80 per cento delle vittime di stalking, di essere tutelate da atti persecutori che spesso sfociano in una serie di comportamenti intrusivi, assillanti, ossessivi che non consentono a chi li riceve di vivere normalmente;
   come ogni legge, anche questa è perfettibile ed il Parlamento ha il dovere di vigilare, di monitorare e di capire quali aspetti funzionano e quali risultano meno efficaci. Il legislatore deve fare la sua parte nel contrasto, nella prevenzione e nella protezione delle vittime;
   su un tema così delicato gli attori istituzionali chiamati a collaborare sono diversi: le forze dell'ordine che già fanno un lavoro straordinario e che devono essere messe nelle condizioni di continuare a farlo, individuando i casi più a rischio e magari dando loro la precedenza; la magistratura che dovrebbe applicare le misure cautelari di cui dispone: carcerazione preventiva, divieto di avvicinamento e allontanamento coatto, con il massimo rigore e la massima severità. Queste sono tutte misure che hanno lo scopo di proteggere e tutelare la vittima e di prevenire reati più gravi, come violenze fisiche, stupri e omicidi; i centri antiviolenza che devono disporre delle risorse necessarie per accogliere e proteggere le donne che fuggono da situazioni insostenibili;
   il caso di Giordana Di Stefano, la giovane donna di Nicolosi uccisa dal padre di sua figlia, già denunciato per stalking, ha particolarmente toccato gli interroganti e l'opinione pubblica tutta inducendo una particolare riflessione proprio sull'applicazione delle misure cautelari;
   Giordana aveva sporto varie denunce per stalking da parte del suo convivente e il giorno del suo assassinio si sarebbe dovuta tenere, anche se poi era stata rinviata, l'udienza preliminare per una delle sue denunce;
   è stato dimostrato dagli investigatori che la morte della donna e le denunce sono collegate. E ci si è ritrovati di fronte ad una nuova tragedia che, forse, poteva essere evitata;
   per fare in modo che tragedie come quella di Giordana non si ripetano è fondamentale una collaborazione a tutti i livelli, partendo dal legislatore, passando per forze dell'ordine e magistratura, arrivando anche ai mass media che possono svolgere un'azione preziosa nella sensibilizzazione dell'opinione pubblica –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo, anche di natura normativa, per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-11010)


   SANDRA SAVINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa pubblicate dal quotidiano «Il Piccolo» si è appreso di una scossa di terremoto di magnitudo 4.8 della scala Richter verificatasi il 1o novembre 2015 – al confine tra la Slovenia e la Croazia, con epicentro nella cittadina di Podbocje, a soli 13 chilometri dalla centrale nucleare di Krško;
   nella centrale di Krško, che esiste da 32 anni e dista 139 chilometri Trieste e 146 chilometri da Gorizia, si sono verificati, nel corso del tempo, diversi incidenti, più o meno gravi;
   nel 2008, una fuga di acqua di raffreddamento del reattore fece scattare un primo allarme, ma già nel 2007, per motivi non del tutto noti, la centrale venne isolata e chiusa per un mese per interventi urgenti; proseguendo a ritroso, nel 2005 il reattore venne fermato per problemi al sistema di contenimento di una ventola per il trattamento dei vapori;
   la società che gestisce la centrale nucleare, in vista della realizzazione del progetto di una nuova centrale limitrofa (Krško 2) ha commissionato uno studio all'Istituto francese di radioprotezione e sicurezza nucleare (IRSN); gli esiti dello studio non sono mai stati resi noti ufficialmente, ma anzi, sottoposti ad un regime di riservatezza da parte degli stessi vertici della centrale, perché, secondo quanto riportato dalla stampa, sarebbe stato riscontrato un elevato rischio sismico nella zona di Krško l'Istituto francese avrebbe quindi espresso parere contrario in merito all'insediamento di una nuova centrale nucleare adiacente a quella già esistente;
   le autorità slovene si sono caratterizzate per un atteggiamento ad avviso dell'interrogante totalmente reticente circa le reali condizioni dell'impianto nucleare, fornendo informazioni tardive e parziali; tale comportamento, a giudizio dell'interrogante irresponsabile, è ancor più preoccupante perché riguarda una centrale nucleare sita in un territorio ritenuto ad elevato rischio sismico;
   l'interrogante ritiene doveroso che il Governo italiano intervenga formalmente, nelle opportune sedi europee perché si faccia piena luce sul reale stato dell'impianto e sul progetto di realizzazione di un impianto Krško 2, di potenza molto più elevata rispetto alla struttura già esistente –:
   quali iniziative urgenti intenda intraprendere il Governo al fine di verificare i livelli di rischio collegati all'attività della centrale nucleare di Krško, anche attraverso l'ausilio di esperti del settore e interpellando direttamente l'Istituto francese di radioprotezione e sicurezza nucleare, al fine di conoscere, in via ufficiale, le valutazioni tecniche di rischio elaborate dall'Istituto francese, sia in merito all'impianto esistente, sia in relazione al progetto della nuova centrale;
   se il Governo intenda attivarsi, nelle opportune sedi europee, per l'istituzione di una commissione tecnica di coordinamento permanente, composta da delegazioni del Governo italiano e sloveno e da esperti dell'Istituto francese di radioprotezione e sicurezza nucleare, con compiti di monitoraggio e controllo. (4-11012)


   CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la pubblicazione del decreto che fissa i criteri per la mobilità del personale in esubero delle province rischia di generare una situazione di stallo che si aggiunge alla già critica situazione di tali territori;
   in particolare, il 30 settembre sono scaduti i termini per chiudere i bilanci «preventivi» dell'anno in corso ed è arrivato in Gazzetta Ufficiale il decreto del dipartimento della funzione pubblica che fissa i criteri per la mobilità del personale in esubero;
   entrambi tali passaggi finiscono per certificare una situazione allarmante che coinvolge i 43mila dipendenti degli enti di area vasta (50mila se si calcolano anche le Regioni autonome) e le migliaia di persone che hanno vinto un concorso in altri enti pubblici e ora si incrociano con la ricollocazione degli esuberi;
   come se ciò non bastasse, in ballo ci sono anche i cittadini, che, nonostante i 3,7 miliardi di euro di tasse «provinciali» versati, vedono strade e servizi in stato di abbandono, anche perché metà di queste imposte finiscono in realtà allo Stato;
   il caos nasce soprattutto dal fatto che a un anno e mezzo dall'approvazione della «legge Delrio», e dieci mesi dopo il taglio del 50 per cento (30 per cento nelle città metropolitane) alle spese di personale previsto dall'ultima manovra, la macchina della mobilità che avrebbe dovuto spostare quanti diventati «di troppo» nelle province alleggerite di funzioni non è ancora partita;
   i bilanci locali, quindi, sono stati super-tagliati ma i costi sono ancora a loro carico, in un corto-circuito che sposta le risorse superstiti dai servizi agli stipendi e nelle realtà più zoppicanti mette a rischio lo stesso pagamento delle buste paga;
   il «portale nazionale della mobilità», cioè il cervellone che dovrebbe incrociare la domanda di lavoro dei dipendenti provinciali in uscita e l'offerta da parte delle altre amministrazioni è ancora desolatamente vuoto, perché nell'incertezza su funzioni e prospettive le province si sono ben guardate dallo scrivere gli elenchi nominativi degli esuberi, così come le altre amministrazioni non hanno inserito i dati sui posti disponibili;
   la riscrittura della geografia del pubblico impiego non si dovrebbe concludere prima della prossima primavera, ammesso che tutto fili liscio, ma, ovviamente, non è detto, se si considera che solo sette regioni su 15 a statuto ordinario hanno approvato la legge sul riordino delle funzioni, spesso rinviando a provvedimenti successivi la problematica del personale;
   se le province e le città metropolitane non sanno quali sono i compiti che rimangono nella loro competenza difficilmente potranno capire quali dipendenti non servono più;
   altro conflitto in arrivo è quello con i sindacati, perché la mobilità non offre una garanzia automatica su tutto il trattamento accessorio e sono già stati annunciati ricorsi in tutti i casi in cui le buste paga dovessero alleggerirsi;
   secondo la «legge Delrio», infatti, i dipendenti in uscita dalle province avrebbero portato con se le risorse per garantirsi tutta la busta paga, ma, dopo i tagli della manovra, saranno gli uffici di destinazione a doversi fare carico di tutti i costi, assicurando solo le voci «fisse e continuative» del trattamento accessorio se hanno in bilancio la copertura finanziaria;
   gli amari frutti della inaccettabile riforma delle province, nata con il Governo Monti e portata avanti dall'attuale Governo, sono già sotto gli occhi di tutti: a Lecco il riscaldamento delle scuole è stato garantito fino alle vacanze di Natale, grazie a un finanziamento che il Pirellone è riuscito a definire per le province più in difficoltà; così come a Monza, dove per chiudere il bilancio si è deciso di rimandare a data da destinarsi la costruzione delle nuove scuole di Arcore e Brugherio;
   anche in Umbria la regione sta provando a correre ai ripari, ma la coperta è corta e sia a Perugia sia a Terni l'agenda delle province per le prossime settimane parla apertamente di dissesto –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, ritengano opportuno adottare per scongiurare il rischio di dissesto degli enti territoriali e sbloccare le criticità legate alla mobilità del personale delle province. (4-11014)


   LUIGI DI MAIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   all'interrogante vengono segnalate ripetute violazioni del codice degli appalti che lascerebbero presupporre la necessità di una sua revisione;
   in particolare, in un caso è stato inviato all'interrogante un esposto concernente alcuni fatti che si sono verificati presso l'azienda ospedaliera di rilievo nazionale «A. Cardarelli» (di seguito Azienda);
   infatti, con delibera n. 561 del 2013, l'azienda ha indetto una procedura per l'affidamento quinquennale dei servizi di pulizia, sanificazione e sanitizzazione delle aree ospedaliere, da aggiudicare con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa;
   a tale gara hanno partecipato tre concorrenti, ovvero la Romeo gestioni spa (di seguito Romeo) e la Florida 2000 srl (di seguito Florida, precedente gestore del servizio). Tali aziende, all'esito della competizione, si classificavano, rispettivamente al primo e al secondo posto in graduatoria, tant’è che con determina n. 1067 dell'8 luglio 2014 l'azienda ospedaliera aggiudicava definitivamente alla Romeo gestioni spa;
   secondo quanto segnalato nell'esposto pervenuto all'interrogante, la Romeo si sarebbe aggiudicata l'appalto nonostante l'offerta evidenziasse l'impiego delle unità da assumere secondo un monte orario settimanale inferiore rispetto a quello praticato in precedenza, in conformità alla normativa ed ai CCNL vigenti;
   peraltro, l'azienda concorrente avrebbe accertato – in seguito ad un accesso agli atti – che l'importo per i servizi ammonta a complessivi 53.866.947,60 euro contro i 53.449.947,81 pattuiti, ovvero oltre 400.000 euro in più rispetto a quanto previsto dall'importo oggetto d'offerta nella procedura ad evidenza pubblica. Peraltro, oltre al sostanzioso incremento dell'importo contrattuale, la Romeo avrebbe modificato in sede esecutiva l'offerta, riportando il monte ore di ciascun lavoratore alle 40 ore settimanali con conseguente aumento – a quanto è dato sapere – anche del monte ore settimanale e della presenza giornaliera di personale;
   pertanto, alla luce di quanto descritto, sempre secondo quanto segnalato all'interrogante, la Romeo starebbe eseguendo il servizio a condizioni diverse da quelle offerte in gara ed aggiudicate e tutto ciò evidenzierebbe una palese elusione delle regole di gara con grave compromissione della par conditio concorrentium: in tal modo la Romeo, si sarebbe aggiudicata il servizio presentando un'offerta vantaggiosa con l'applicazione, in sede esecutiva, di condizioni ben diverse;
   inoltre, sempre secondo quanto denunciato all'interrogante, in sede di esecuzione del servizio la società aggiudicataria starebbe facendo ruotare il personale assunto dal precedente gestore in maniera tale da non effettuare straordinari, né sostituzioni, ferie con grave compromissione dei diritti sindacali e contrattuali dei lavoratori, oltre che della produttività degli stessi: dette criticità, peraltro, trovano riscontro in numerose notizie di cronaca, le quali riportano altresì l'emersione di gravi e numerosi disagi ed episodi di malasanità in danno dei pazienti dell'ospedale Cardarelli;
   è di tutta evidenza, secondo l'interrogante, come l'affidamento del servizio a prezzi e modalità diverse da quelle previste in gara ed in sede di offerta configuri in ogni caso una fattispecie di rinegoziazione delle offerte non consentita dall'ordinamento nazionale né da quello comunitario;
   infatti, alle stazioni appaltanti non è assolutamente concessa la facoltà di modificare le condizioni contrattuali di affidamento di un servizio in difformità dalle condizioni previste nel bando sia prima che dopo l'aggiudicazione, poiché, oltre a non esserci capacità di agire di diritto privato da parte delle stazioni appaltanti medesime in tal senso, ciò configura una palese violazione delle regole di concorrenza e di parità di condizioni tra i partecipanti alle gare pubbliche;
   peraltro, una giurisprudenza ormai consolidata vieta alle amministrazioni pubbliche di procedere alla rinegoziazione delle offerte con i concorrenti in carenza dei presupposti di legge pena la nullità dell'assetto di interessi posto in essere;
   all'interrogante sono giunte diverse segnalazioni di questo tipo e ciò sostanzia una grave forma di aggiramento della normativa in materia di appalti –:
   se il Governo non ritenga di dover intervenire – esercitando il suo potere d'iniziativa normativa – al fine di predisporre un argine più penetrante alle pratiche elusive descritte in premessa, anche prevedendo la nullità del contratto d'appalto in presenza di modificazioni delle condizioni contrattuali di affidamento di un servizio in difformità dalle condizioni previste nel bando sia prima che dopo l'aggiudicazione. (4-11023)


   DAGA, TERZONI, MICILLO, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   già nel mese di febbraio 2015 in una interrogazione che non ha ancora ricevuto risposta gli interroganti segnalavano ai Ministri interrogati quanto rilevato rispetto alla possibile non estraneità di Acea spa alla vicenda di Mafia Capitale, anche in base a quanto rilevato negli articoli de l'Espresso e del Fatto Quotidiano usciti tra il 2014 e il 2015;
   in particolare secondo quanto riportato dal Corriere della sera il 13 luglio 2015: «il processo in cui Riccardo Mancini è imputato insieme a Furio Patrizio Monaco è uno stralcio di quello sulla tangente da 500 mila euro che a marzo lo ha condotto in carcere e lo ha costretto alle dimissioni. Per entrambi il pm Paolo Ielo ha chiesto il rinvio a giudizio dell'ex ad di Eur spa come “espressione della maggioranza e dell'amministrazione del Comune di Roma” e di Monaco come “espressione dell'Ati (Associazione temporanea d'impresa, ndr) aggiudicataria dell'appalto” relativo alla mobilità su rotaia, cioè ai cosiddetti corridoi Eur-Tor de’ Cenci ed Eur-Laurentina. I due avrebbero minacciato Alessandro Fibozzi, al vertice del CCC (Consorzio cooperative costruzioni), affinché non impugnasse al Tar l'aggiudicazione dell'appalto. Per questo nei prossimi mesi dovranno difendersi dall'accusa di estorsione»;
   ora si apprende dal sito di Acea che le gare di appalto per circa 220 milioni di euro per lavori di manutenzione, compreso il pronto intervento delle reti idriche e fognarie nonché degli impianti distribuiti sul territorio sono state vinte proprio dalla Monaco spa e dalla CCC entrambe coinvolte nei fatti sopra riportati;
   secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, «La Monaco spa, un'impresa romana specializzata in appalti pubblici infrastrutturali, opera in tutta Italia dal 1950. Furio Patrizio Monaco, 47 anni, ha ereditato l'azienda dal padre ed oggi è il titolare oltre che di Monaco spa anche di altre aziende attive nelle opere pubbliche e nell'edilizia privata per un totale di 150 dipendenti e un fatturato annuo di circa 30 milioni di euro. Il Gruppo ha importanti appalti con Anas, Acea, Comune di Roma, regione Lazio e Sardegna dove ha appena realizzato un impianto idraulico in provincia di Cagliari. Oltre ad ultimare la strada statale Sora-Frosinone e la SS 156 Monte dei Pini con il contributo della regione Lazio, il gruppo ha appena finito di costruire, per conto del comune di Roma, le fognature di Ponte Ladrone, un quartiere periferico della capitale. Furio Patrizio Monaco fino a pochi giorni fa è stato anche alla guida della Sezione Edile della Federlazio, che raggruppa oltre 800 Pmi di costruzione che danno lavoro a più di 6.500 addetti»;
   gli interrogati ritengono grave, nonostante i fatti rilevati, che una ulteriore commessa da 95.223.524 euro iva esclusa venga vinta da una ditta il cui proprietario è coinvolto in un processo di estorsione (con uno dei principali imputati per associazione mafiosa nella inchiesta denominata Mafia Capitale) –:
   se, visti fatti rilevati e la nomina dei due prefetti Gabrielli e Tronca alla guida del comune di Roma, non ritengano di dover assumere iniziative, per quanto di competenza per acquisire ulteriori elementi relativamente ad un possibile coinvolgimento dei dirigenti di Acea spa nei fatti relativi all'inchiesta denominata «Mafia Capitale»;
   se i Ministri interrogati siano informati di tali fatti;
   se siano a conoscenza di eventuali verifiche state fatte dall'ANAC in merito alle gare di appalto effettuate da ACEA spa società al 51 per cento controllata dal comune di Roma, dal 2010 ad oggi;
(4-11025)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   PELLEGRINO e ZARATTI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 1o novembre 2015, un terremoto è stato registrato poco prima delle 9 nel Sud est della Slovenia. L'epicentro del movimento tellurico è stato individuato nella zona di Obrezje, a 26 chilometri dalla centrale nucleare di Krško. L'Agenzia per l'ambiente slovena (Arso) ha reso noto che il sisma è stato di magnitudo 4,2; il Centro ricerche sismologiche parla di 4,8;
   la suddetta centrale nucleare si trova a 125 chilometri dal confine italo-sloveno;
   da alcuni anni, l'ente elettrico/energetico sloveno (GEN) ha inoltre allo studio la costruzione nella medesima località di una nuova centrale, di potenza tripla dell'attuale;
   il 31 marzo 2013 il quotidiano Il Piccolo di Trieste pubblicava uno scoop del giornalista Mauro Manzin, che dava notizia di un clamoroso rapporto dell'Istituto francese di radioprotezione e sicurezza nucleare, IRSN (coinvolto nella progettazione di Krško-2). Vi si leggeva che l'istituzione pubblica francese IRSN aveva giudicato il sito di Krško inadatto alla costruzione del nuovo impianto a causa del rischio sismico. La notizia è clamorosa perché, ovviamente, getta un'ombra preoccupante anche sulla sicurezza della centrale in funzione;
   come risulta ufficialmente, l'Istituto francese di radioprotezione e sicurezza nucleare aveva addirittura scritto ufficialmente all'ente elettrico/energetico sloveno in questi termini: «questa nuova e grave scoperta di una faglia attiva vicina all'impianto; ndr] non permette di concludere in modo favorevole sull'adeguatezza dei due siti per la costruzione di una nuova centrale nucleare»;
   «andrebbe ricordato che la valutazione dei fenomeni di spostamento permanente del terreno di fondazione è un tema altamente impegnativo, data l'insufficiente esperienza internazionale attualmente disponibile nonché la mancanza di metodi e strumenti consolidati [di analisi]». «Questo Istituto francese di radioprotezione e sicurezza nucleare considera che è di estrema [utmost] importanza che le possibili implicazioni di questa capacità di faglia [rottura della faglia Libna] sulla sicurezza dell'impianto esistente, così come la sua potenziale relazione strutturale con altre faglie vicine, sia affrontata senza ritardo. Io [scrive il direttore francese Repussard] ho capito che GEN si è sentita preoccupata su questo argomento ed era sicuramente intenzionata ad informare su questa scoperta l'esercente dell'impianto Krško-1 (Nuklearna Elektrarna Krško – NEK) così come l'Agenzia slovena per la sicurezza nucleare (NSA). Io sarei molto grato se voi poteste confermare che ciò è stato effettivamente fatto, dal momento che io ravviso importante richiamare l'attenzione della NSA su questo argomento, in considerazione delle potenziali implicazioni di sicurezza che esso può avere a livello nazionale ed internazionale»;
   come si vede, una lettera molto forte, che pare voler superare reticenze slovene, ventilando problemi di sicurezza per lo meno anche italiani;
   si noti che gli insanabili dissidi tecnici sulla valutazione del rischio sismico/di Krško tra l'ente elettrico/energetico sloveno (GEN) e l'Agenzia slovena per la sicurezza nucleare (NSA), da una parte, e l'IRSN pubblico francese — dall'altra — portavano i francesi ad abbandonare il consorzio tecnico scientifica franco-slovena per lo studio di Krško-2 e inducevano il Governo sloveno a scioglierla;
   al 33o Congresso europeo di sismologia, a Mosca (General Assembly of the European Seismological Commission ESC 2012, 19-24 agosto 2012, simposio NIS-3, p. 350) era stato per altro già presentato uno studio italiano in cui si calcolava per la zona di Krško un terremoto massimo di magnitudo Richter M=7,2 (oltre 30 volte più forte del terremoto dell'Emilia del 2012). Autori di questo rapporto erano due ricercatori dell'Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale, OGS, e due docenti dell'università di Trieste; fra i quali lo stesso coordinatore della sessione del congresso dedicata alla valutazione delle faglie capaci di produrre i massimi terremoti da considerare nella progettazione dei grandi impianti ed il segretario dell'Associazione internazionale di sismologia e di fisica dell'interno della terra (che riunisce i massimi esperti mondiali);
   nel 2014 gli stessi autori hanno pubblicato su una rivista scientifica con verifica internazionale («peer review») un articolo sulla pericolosità sismica dell'area della centrale in questione (si veda Sirovich L., Suhadolc P., Costa G. and F. Pettenati 2013. A review of the seismotectonics and some considerations on the seismic hazard of the Krško NPP area; SE Slovenia. Boll. Geof. Teor. e Appl., 55, 1, 175-195, DOI 10.4430/bgta0103.). In esso viene spiegato il calcolo della magnitudo di 7,2 e vengono proposte valutazioni sulla pericolosità delle faglie nel sottosuolo della zona, la cui presenza — si badi bene — era ignota ai progettisti dell'impianto alla fine degli anni settanta del Novecento;
   lo stesso articolo si sofferma anche sui risultati dei cosiddetti «Stress Tests» della centrale (calcoli di verifica dei margini di sicurezza) distribuiti dal Ministero per l'ambiente della Repubblica di Slovenia. In particolare, i quattro studiosi italiani scrivono: a) che l'unico parametro adottato per le verifiche (scuotimento massimo del suolo espresso come accelerazione con una certa probabilità di occorrenza) è insufficiente per consentire, anche a un’équipe di esperti, di trarre conclusioni attendibili; b) gli stessi (così criticabili) stress test ammettono tuttavia che la centrale potrebbe subire incidenti e danni assai rilevanti per scuotimenti del terreno compatibili con la situazione sismologica della zona (ad esempio, danni ai sistemi di raffreddamento e perfino al nocciolo);
   i quattro esperti citati ricordano, fra l'altro che, in poco più di un secolo, la regione di Krško è stata sede di un terremoto nel 1880 (magnitudo Richter circa 6,3; 60 chilometri a est di Krško) e di un altro nel 1917 (magnitudo Richter 5,7-6,2 nelle immediate vicinanze dell'impianto);
   in un articolo divulgativo, apparso sulla rivista mensile Konrad gli stessi quattro esperti scrivono di avere sentito la necessità di presentare la situazione alla presidente del Friuli-Venezia Giulia, Serracchiani, trasmettendole anche un appunto con bibliografia ed illustrazioni. In esso, i quattro esperti in questione scrivevano che «in un momento non prevedibile, la centrale potrebbe venire colpita da un terremoto in grado forse di causare gravi conseguenze [...] secondo questi Stress test, danni gravi — comprese lesioni alla piscina delle barre e blocco dei sistemi di raffreddamento —, potrebbero venire causati da un terremoto di magnitudo M compatibile con la situazione sismologica della zona, oggi nota, se l'evento si verificasse vicino all'impianto, com’è purtroppo possibile». «A nostro avviso,» — era la conclusione — «sarebbe auspicabile una sensibilizzazione del Governo italiano sull'argomento da parte del Presidente, affinché si giunga ad una verifica della situazione, anche con la partecipazione di esperti italiani»;
   l'attuale centrale Krško-1 (e, tanto più, un secondo impianto più potente), presente a ridosso del territorio nazionale, costituisce oggettivamente un pericolo per l'Italia, della cui entità il nostro Paese deve essere consapevole. La situazione sismica della regione di Krško — un'area sismica riconosciuta senza possibilità di dubbio — sembra rendere indispensabile un serio approfondimento di studio, anche in coordinamento per lo meno con il Governo sloveno e l'Agenzia internazionale per l'energia atomica (IAEA) di Vienna –:
   se non si intenda avviare al più presto, in collaborazione con il governo sloveno, le verifiche necessarie ad accertare che l'evento sismico di cui in premessa, non abbia prodotto alcun danno alla centrale nucleare di Krško;
   se, e come, il Governo si intenda attivare affinché l'Italia sia consapevole della pericolosità sismica dell'area in questione e dei livelli di rischio connessi, verificando che tali livelli rispettino i limiti imposti dalle più avanzate normative internazionali;
   se il Governo non intenda — anche con l'ausilio di esperti di fiducia — interpellare il Servizio geologico francese (BRGM) e l'Istituto francese di radioprotezione e sicurezza nucleare (IRSN), facenti parte — fino al suo scioglimento — della Commissione tecnico scientifica franco-slovena per lo studio di Krško-2, per conoscere le valutazioni tecniche di rischio elaborate dalle due istituzioni francesi, anche al fine di verificare se i livelli di pericolosità sismica dell'area in questione rispettino i limiti imposti dalle più avanzate normative internazionali;
   se non intendano attivarsi per l'istituzione di una sede di coordinamento tecnico permanente almeno fra i due Governi e la IAEA, al fine di prevedere l'inserimento di esperti italiani nelle commissioni di studio coinvolte nelle valutazioni su Krško-1 e su Krško-2. (4-11021)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha presentato l'atto di sindacato ispettivo n. 4-08838 in data 17 aprile 2015, ancora senza risposta, chiedendo al Ministro interrogato se fosse intenzionato a promuovere una verifica da parte del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente nell'ottica di scongiurare il pericolo di inquinamento ambientale derivante dallo sversamento in mare del percolato prodotto dalla discarica di Casignana (Reggio Calabria) denunciato dagli ambientalisti del comitato «No discarica a Casignana»;
   da notizie a mezzo stampa di oggi 4 novembre 2015 si apprende che: «lo sversamento di percolato dell'ondata di maltempo dei giorni scorsi ha provocato un danno ambientale: a questo punto sarà necessario intervenire in tempi rapidi quantomeno per contenerlo. Interventi comunque difficili da realizzare: «L'area — afferma l'esperto – attualmente tra i 5 e 6 ettari di estensione, è oggi praticamente impossibile da mettere in sicurezza». Non ci sarebbero infatti somme che possano finanziare un intervento efficace. Per Raso infatti «l'area non si sarebbe dovuta estendere oltre l'ettaro e mezzo», in un sito che tra l'altro ha particolari condizioni meteoclimatiche, dove piovono facilmente «bombe d'acqua» che vanno ad incrementare l'erosione e soprattutto causano facilmente sversamenti, come di fatto è accaduto;
   sarebbe opportuno, anche se ormai fuori tempo massimo, pianificare una serie di interventi che possano arginare lo sversamento del percolato prodotto dalla discarica di Casignana –:
   di quali elementi disponga il Ministro in relazione alla situazione di cui in premessa e se non intenda promuovere un'immediata verifica da parte del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente allo scopo di accertare lo stato dei luoghi;
   quali iniziative di competenza intenda mettere in campo per ottenere il giusto risarcimento per l'ingente danno ambientale citato nelle promesse. (5-06898)


   GALLINELLA, GAGNARLI e CIPRINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di ottobre 2015, molte famiglie umbre si sono viste recapitare a casa una lettera da parte della regione Umbria nella quale si illustra il «Progetto Life U-SAVEREDS», finanziato da fondi europei, per la salvaguardia dello scoiattolo rosso, nella quale si chiede la disponibilità di allestire impianti di cattura degli scoiattoli nelle proprietà dei cittadini e si prevede, conseguentemente, la completa eradicazione (attraverso l'inalazione di gas) dello scoiattolo grigio;
   lo scoiattolo grigio è una specie alloctona, originaria del Nord America, che è stata introdotta nel nostro Paese a scopo «ludico» e della quale, però, non si è stati in grado di contenere la diffusione, poiché, nonostante faccia parte della stessa nicchia ecologica dei «nostri» scoiattoli rossi, essa è più grande e maggiormente prolifica;
   anche a causa della presenza degli scoiattoli grigi nel territorio nazionale, lo scoiattolo rosso negli ultimi anni è stato ritenuto a rischio estinzione e per questo si sono moltiplicati programmi per la sua salvaguardia; tuttavia secondo le Liste rosse delle specie minacciate, redatte e continuamente aggiornate dall'Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN, International Union for Conservation of Nature), che rappresentano il più completo inventario del rischio di estinzione delle specie a livello globale, per quanto riguarda l'Italia e lo scoiattolo rosso, questo è classificato con l'indice di «minor preoccupazione», in una scala che va da «non applicabile» a «estinto»;
   in Liguria, qualche anno fa, è stato avviato un progetto simile a quello umbro, denominato «Life Ec-Square», che, perseguendo gli stessi scopi del piano della regione Umbria, prevedeva la sterilizzazione e il mantenimento degli scoiattoli grigi presso centri abilitati, ma anche lo svolgimento di attività di educazione ambientale nelle scuole della città, la produzione di materiali divulgativi e di punti di osservazione degli scoiattoli rossi, tuttora presenti in diversi altri parchi urbani e suburbani della città, il tutto al fine di utilizzare metodi di controllo sviluppati, tenendo conto della dimensione delle colonie di scoiattoli e della loro collocazione in ambiti naturali o urbani;
   oggi in Umbria, come già tentò di fare la provincia di Perugia nel 2012, si ripropone invece, direttamente, lo sterminio della popolazione, senza attraversare le fasi, fissate comunque dalle linee guida dell'ISPRA, di prevenzione e monitoraggio, ma arrivando direttamente alla fase dell'eradicazione, attuata, si legge nella missiva recapitata ai cittadini, attraverso l'inalazione di gas; metodo contemplata come ultima strada nelle «Linee guida per il controllo dello scoiattolo grigio (Sciurus carolinensis)», in Italia redatte dall'ISPRA;
   nel 2012, il piano di sterminio dello scoiattolo grigio, proposto dalla provincia di Perugia, che fino a quel momento aveva catturato e ucciso molti esemplari, fu bloccato ma, dal 2014, gli stessi sostenitori del precedente progetto, e cioè l'Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale, l'Agenzia regionale parchi della regione Lazio, l'Istituto zooprofilattico sperimentale Umbria e Marche, l'Istituto Oikos s.r.l. e Legambiente, stanno tentando di nuovo di attuare il progetto, passando attraverso la regione Umbria e il comune di Perugia;
   la fase del controllo è stata avviata a livello nazionale 2013, con la pubblicazione del decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e dello sviluppo economico (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 28 del 2 febbraio 20132), che, recependo la normativa europea, vietava il commercio, la detenzione e l'allevamento in cattività di scoiattoli esotici;
   a questo potrebbe essere aggiunto, come suggerito dalle risoluzioni europee in materia e auspicato da diverse associazioni animaliste, un controllo/anagrafe per chi li detiene come animali domestici e anche un censimento e monitoraggio di entrambe le popolazioni di scoiattoli;
   relativamente al contenimento di tali animali, lo Stato dovrebbe, a parere degli interroganti, promuovere programmi di sterilizzazione chirurgica o, laddove possibile, chimica degli esemplari grigi con «marcatura» di quelli catturati e reimmessi nel territorio, anche al fine di evitare qua/rito accaduto nel 2003, quando la Corte di cassazione, sezione penale, sez. III, il 31 gennaio 2003 (udienza 11 dicembre 2002), con la sentenza n. 4694, ha condannato un intervento di eradicazione dello scoiattolo grigio attuato dall'ISPRA (allora, INFS) a Torino: l'Istituto non aveva infatti alcuna autorità per procedere alla cattura e all'eutanasia di 188 scoiattoli grigi, tra cui femmine incinte – sebbene già da tempo le convenzioni internazionali auspicassero interventi di controllo per specie alloctone –:
   di quali elementi dispongano in relazione a quanto esposto in premessa e se non ritengano opportuno promuovere, per quanto di competenza, un programma basato su attività di censimento, monitoraggio, sterilizzazione e mantenimento presso centri abilitati degli esemplari di scoiattoli grigi presenti sul territorio italiano, specie considerando che nel nostro Paese l'emergenza estinzione per lo scoiattolo rosso non è ancora stata valutata, dall'Unione internazionale per la conservazione della natura, come grave.
(5-06906)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRUGNEROTTO e D'INCÀ. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 novembre 2015 nei pressi della località Capriccio di Vigonza (Padova) un camion ha perso due contenitori con 10 quintali di sostanze liquide altamente tossiche, paralizzando il traffico tra Padova e Riviera del Brenta, con lunghe code e rallentamenti all'imbocco della strada regionale 11;
   la composizione del liquido non è ancora perfettamente nota, ma i tecnici dell'Arpav, immediatamente sul posto, ne hanno riscontrato la pericolosità sin dai primi test;
   i vigili del fuoco con le maschere antigas procedono alla bonifica dell'area contaminata ed hanno provveduto a isolare e a mettere in sicurezza l'area per consentire ai tecnici dell'Arpav di completare le analisi, mentre due pattuglie dei carabinieri e i vigili urbani di Vigonza, sul posto anche con la stazione mobile, hanno provveduto a creare un doppio senso di marcia all'interno della rotatoria per far defluire in direzione di Vigonza il traffico, paralizzato intorno allo snodo viario;
   l'area viene mantenuta «off limits»: non appena ultimate le analisi dell'Arpav, i vigili del fuoco dovranno procedere alla rimozione dei contenitori e alla bonifica con il solvente prima che si alzi la temperatura, perché il liquido sversato, se inalato, può provocare gravi danni alle vie respiratorie;
   per questo motivo le forze dell'ordine stanno cercando di accelerare anche lo sgombero della rotatoria e il deflusso del traffico, ancora notevolmente rallentato –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del fatto suesposto e se possano rendere note informazioni in merito alla composizione chimico-organica del materiale sversato a seguito dell'incidente, all'entità reale dei danni prodotti da detti sversamenti ed ai conseguenti rischi per l'ambiente e le popolazioni della zona interessata da far verificare anche attraverso l'intervento del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente;
   se e quali iniziative urgenti intendano intraprendere, ognuno nell'ambito delle proprie competenze, a tutela della salute dei cittadini residenti nella zone interessate dalla vicenda suesposta. (4-10998)


   LUIGI DI MAIO e FRUSONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   gli interroganti intendono svolgere alcune considerazioni circa l'inopportunità del rilascio di un provvedimento di valutazione di impatto ambientale positivo in merito al deposito costiero di GPL nel comune di Manfredonia (Fg) località Santo Spiriticchio – proponente società Energas s.p.a. con nota prot. DVA 2013-0024526 del 28 ottobre 2013;
   la società Energas s.p.a., con nota prot. DVA 2013-0024526 del 28 ottobre 2013, ha chiesto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il rilascio del decreto di compatibilità ambientale in merito al progetto di cui sopra;
   la commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS nella seduta plenaria del 19 settembre 2014, con parere n. 1614, ha dettato 43 prescrizioni per salvaguardare la compatibilità ambientale del progetto;
   più in particolare, il parere della commissione tecnica ha evidenziato (pagine 35 e seguenti) che il progetto rientra tra le attività a rischio di incidente rilevante di cui al decreto legislativo n. 334 del 1999 oggi abrogato dal decreto legislativo n. 105 del 2015;
   a quanto consta agli interroganti la valutazione sulla sicurezza dell'impianto da parte dei vigili del fuoco sarebbe stata condotta (in base a una normativa che appare oggi del tutto superata) esclusivamente con riferimento al deposito a terra di GPL, mentre risulterebbe assente ogni analisi e valutazione da parte dei vigili del fuoco in ordine alla sicurezza delle altre installazioni e relative operazioni previste nel progetto, ossia il pontile a mare, l'approdo delle navi gasiere, il carico e lo scarico del GPL in condotta e il gasdotto di collegamento a terra;
   la valutazione sulla sismicità secondo gli interroganti risulta datata, alla luce delle nuove normative adottate in materia (decreto ministeriale 14 gennaio 2008 e successive modificazioni e integrazioni) e gravemente carente, dal momento che non sembrerebbero affrontati gli aspetti della subsidenza e della liquefazione del terreno in caso di terremoti in un'area, come quella del golfo di Manfredonia, che è affetta da rilevante subsidenza con fenomeno in graduale, ma inesorabile, aumento, soprattutto nella zona dell'Ippocampo (cfr: Atti della giornata scientifica «Criticità geologiche del territorio pugliese: metodi di studio ed esempi» dipartimento di scienze della terra e geo ambientali – università di Bari – 22 giugno 2011 a cura di Triggiani – Refice – Capolongo – Bovenga – Caldara);
   la valutazione sull'impatto del tratto di gasdotto sui sedimenti marini è risultata, ad avviso degli interroganti, del tutto insoddisfacente, dal momento che si basa su studi risalenti a oltre 15 anni addietro e gli interventi non appaiono sufficientemente dettagliati nel progetto depositato (pagina 42 del parere);
   sotto un profilo più generale, ma ugualmente grave, il livello della progettazione presentata nello studio di impatto ambientale, dato il rilevantissimo impatto del progetto sull'ambiente circostante, è risultato ampiamente insoddisfacente, dal momento che non sarebbe stato possibile, per le autorità preposte, valutare aspetti rilevanti di incidenza ambientale a causa dell'assenza di indicazioni di dettaglio sulla realizzazione dell'intervento;
   le conclusioni rassegnate nel parere del comitato tecnico per la VIA della regione Puglia, allegate alla deliberazione di giunta regionale n. 1361/2015 del 5 giugno 2015 nell'ambito del procedimento VIA nazionale, evidenziano, a giudizio degli interroganti, una rilevante carenza nella valutazione dell'incidenza ambientale del progetto;
   le citate prescrizioni del comitato tecnico per la VIA della regione Puglia evidenziano gravi carenze del progetto sotto il profilo della valutazione del clima acustico, del rischio per le componenti biotiche esistenti, dell'ottemperanza alle prescrizioni in materia di ZPS (deliberazione giunta regionale n. 346 del 2010), del peso sulle infrastrutture esistenti, dell'urbanistica. Tali carenze inducono il comitato a formulare penetranti prescrizioni in ordine alla realizzazione del progetto;
   il parere del comitato tecnico per la VIA della regione Puglia evidenzierebbe, poi, la gravissima circostanza dell'omesso coinvolgimento dell'autorità di bacino della Puglia per gli aspetti idrogeologici del territorio interessato dal progetto (PAI), dal momento che il tracciato del gasdotto attraversa una zona ad alta pericolosità idraulica;
   occorre evitare l'avvio di un'ulteriore procedura di infrazione da parte della Commissione europea ai danni dell'Italia, dal momento che la zona in cui è localizzato l'intervento rientra tra le ZPS di cui alle direttive comunitarie nn. 79/409/CEE (direttiva uccelli) e 92/43/CEE (direttiva habitat). L'archiviazione della procedura di infrazione 2001/4156, alla luce della sentenza di condanna della Corte di giustizia del 20 settembre 2007 nella causa C-388/05 per violazione delle medesime direttive, non esime lo Stato italiano dall'osservanza delle prescrizioni di cui all'articolo 6, paragrafo 3, della direttiva 92/43/CEE (direttiva habitat) come risulta dalla risposta scritta all'interrogazione al Parlamento europeo n. E-002450-15 del 13 febbraio 2015, per il quale le «autorità nazionali competenti danno il loro accordo su tale piano o progetto soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà l'integrità del sito in causa e, se del caso, previo parere dell'opinione pubblica»;
   né il parere della commissione tecnica VIA e VAS del Ministero, né il parere del comitato tecnico della regione Puglia consentono, a giudizio degli interroganti, di ritenere che sia stata raggiunta la certezza richiesta sull'assenza di pregiudizio all'integrità del sito in questione, il quale rientra nel protocollo europeo Natura 2000;
   nessun cenno è compiuto al profilo delle interferenze con la vicina base aerea dell'aeroporto militare di Amendola «Luigi Rovelli Comando 32o Stormo» –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in relazione alla valutazione di compatibilità ambientale;
   quali iniziative intenda assumere per l'esatto adempimento delle prescrizioni indicate nei pareri della commissione nazionale VIA e del comitato tecnico della regione Puglia;
   quali siano i motivi per cui sarebbe mancato il coinvolgimento dell'autorità di bacino della Puglia per gli aspetti di tutela idrogeologica del territorio interessato dall'intervento;
   se il Comitato tecnico regionale per la prevenzione incendi della regione Puglia del Ministero dell'interno intenda rilasciare il nulla osta di fattibilità, a norma della vigente normativa in tema di attività a rischio di incidente rilevante, nonostante quella che agli interroganti appare l'assenza: a) di un adeguata valutazione della sicurezza dell'intero impianto da realizzare; b) di un'adeguata valutazione in ordine agli aspetti di sismicità del territorio di realizzazione del sito; c) di un'aggiornata valutazione del fondale marino e dei sedimenti marini interessati dall'intervento, anche in ordine al cosiddetto effetto domino che si potrebbe avere nella zona interessata dall'intervento. (4-11019)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LUIGI GALLO, MARZANA, D'UVA, VACCA, BRESCIA, SIBILIA e MICILLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Massa Lubrense (Napoli), in località Punta Campanella sono in fase di ultimazione alcuni lavori edili concernenti in restauro manufatti ed abbattimento barriere architettoniche con progetto approvato con delibera della giunta comunale n. 1 del 14 gennaio 2014  e finanziato con fondi POR CAMPANIA FESR 2007/2013 – D.G.R. n. 378 del 24 settembre 2013 – recante Misure di accelerazione della spesa: attuazione D.G.R. n. 148/2013;
   tali lavori riguardano la parte terminale della via Minerva, denominata Via Campanella, all'interno dell'area archeologica di Punta Campanella;
   l'area comprende Via Campanella, un tempo via Minerva, la quale permette di accedere al Tempio di Minerva, alla Villa Marittima, all'Iscrizione Osca, agli approdi di levante (verso la baia di Leranto ed il Golfo di Salerno) e di ponente (verso il Golfo di Napoli), alla Torre di Minerva;
   l'intera area archeologica è soggetta a molteplici vincoli tra i quali si individuano:
    piano urbanistico territoriale dell'area sorrentino-amalfitana: legge regione Campania n. 35 del 27 giugno 1987 – Zona «13» – riserva naturale integrale;
    piano regolatore generale: Zona «L» – riserva naturale integrale e parco di protezione terrestre e marino;
    vincolo archeologico: legge n. 364 del 20 giugno 1909 e legge n. 1089 del 1o giugno 1939;
    la Torre di Minerva è vincolata dalla legge n. 1089 del 1o giugno 1939 con decreto ministeriale del 5 agosto 1998;
    sussiste un vincolo sulla fascia costiera – parco marino: decreto 12 dicembre 1997 di «Istituzione dell'area protetta denominata Punta Campanella»;
    sussiste un vincolo ambientale ai sensi della legge n. 1497 del 29 giugno 1939 imposto con decreto ministeriale 22 dicembre 1965;
    sussiste un vincolo idrogeologico: regio decreto n. 3267 del 30 dicembre 1923 – zona III (l'intera area oggetto dell'intervento ricade nella perimetrazione dell'autorità di bacino Campania centrale, di cui al piano di assetto idrogeologico, in area classificata a pericolo frana P4 molto elevato e rischio frana R4 molto elevato);
    l'area è sito di interesse comunitario (IT8030024) e zona di protezione speciale;
   il progetto di cui sopra prevede, come detto in precedenza, opere di restauro e di abbattimento delle barriere architettoniche tra le quali il restauro e la rifunzionalizzazione di via Campanella;
   dalla relazione generale del progetto esecutivo si evincono nel dettaglio i lavori che si andranno a realizzare e si specifica che: «Esso [il progetto esecutivo – n.d.r. –] è dotato di ogni parere necessario, in particolare di quello della Soprintendenza ai Beni Paesaggistici ed Architettonici di Napoli e provincia» (pagina 14, punto 3);
   talune associazioni, che si occupano di tutela ambientale e paesaggistica, segnalano molteplici anomalie circa l'effettiva realizzazione delle opere di restauro dichiarate nel progetto esecutivo, le quali avrebbero già compromesso in maniera irreparabile il carattere storico artistico del paesaggio nonché le particolari flora e fauna che in esso insistevano;
   nello specifico, le segnalazioni evidenziano, anche tramite cospicua documentazione fotografica, che:
    le opere edilizie realizzate non si configurano come restauro ma, piuttosto, come opere di edificazione in quanto consistono in ampliamento della sede stradale la quale, prima dei lavori, era una storica mulattiera costeggiata in diversi punti da muri a secco demoliti e ricostruiti ora con cemento; costruzione di parapetti murari ex novo posti a protezione della strada; realizzazione di sottoservizi quali elettrodotti, e altro;
    al fine di realizzare quanto detto sopra, sono stati eseguiti interventi di taglio su alberi d'alto fusto e sulla vegetazione, danneggiando anche specie rare come le orchidee primaverili, tutelate dalla legge regionale n. 40 del 1994, i quali rendevano la zona sito di interesse comunitario e zona di protezione speciale proprio in virtù della rarità di tale vegetazione endemica è della presenza di una fauna e una flora uniche nel loro genere;
    si è provveduto a realizzare varchi e passi carrabili in proprietà private in una zona dove vige, tra l'altro, il divieto di transito per i veicoli a motore, giustificato dal pericolo di frane (ordinanza sindacale n. 205 del 31 ottobre 2013);
   dalla documentazione prodotta dalle associazioni che hanno a cuore la riserva di Punta Campanella, emergono seri dubbi sugli obiettivi che il progetto si pone, ovvero restauro e abbattimento delle barriere architettoniche, poiché ciò che sembra si sia, de facto, ottenuto è la compromissione del paesaggio e dei beni archeologici presenti nella riserva, inserita dall'Unesco fra i beni «patrimonio dell'umanità»;
   i dubbi appena esposti sono stati già manifestati in precedenza al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo oltreché alla Soprintendenza per i Beni Archeologici di Napoli, alla Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio di Napoli e Provincia, al Fondo Ambiente Italiano mediante appello pubblico del WWF e di altre associazioni (prot. n. 106T/15 in data 14 ottobre 2015) e alla procura della Repubblica presso il tribunale di Torre Annunziata, alla Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio e per il patrimonio storico artistico ed etnoantropologico di Napoli e provincia e al Nucleo operativo dei carabinieri di Sorrento in un esposto del WWF (prot. n. 96T/15 del 4 settembre 2015) senza che siano pervenute risposte per quanto a conoscenza degli interroganti –:
   se il Ministro sia a conoscenza di tale controversa questione;
   se, con quali tempistiche e con quali modalità ritenga di intervenire, per quanto di competenza, per impedire che l'area protetta di Punta Campanella sia definitivamente e irreversibilmente compromessa. (5-06908)

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha recentemente pubblicato un avviso per la selezione di tirocinanti per la fruizione e valorizzazione delle risorse culturali e artistiche;
   tra i titoli di studio ammessi a concorrere alla selezione non è prevista la laurea magistrale in «Progettazione e gestione dei sistemi turistici», fatto tanto più sorprendente se si considera che lo stesso Ministro ha manifestato a più riprese l'intenzione di valorizzare la risorsa culturale come attrattore turistico;
   l'esclusione di tali laureati dimostra ancora una volta che al di là dei generici proclami di interventi volti alla valorizzazione del sistema turistico, nei provvedimenti tecnici manchi la consapevolezza di cosa sia il turismo e di come debba essere gestito;
   il turismo è un settore trasversale, che per essere gestito necessita di una conoscenza multidisciplinare e di una particolare professionalità che abbia contezza di come l'accessibilità ai territori e l'utilizzo e l'individuazione degli attrattori siano solo alcuni elementi del «sistema turismo»;
   le professionalità del turismo debbono essere impiegate per garantire il rilancio delle potenzialità artistiche e culturali del nostro Paese –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere con riferimento a quanto esposto in premessa. (4-10988)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRUSONE, BRESCIA, L'ABBATE, D'AMBROSIO, CARIELLO, SCAGLIUSI, BASILIO, CORDA, RIZZO, PAOLO BERNINI e DE LORENZIS. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 10 novembre 1999 la società Isosar srl (oggi Energas spa compartecipata Q8) depositò, presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, un'istanza di valutazione di impatto ambientale per la realizzazione di un deposito costiero di GPL nel territorio del comune di Manfredonia (Foggia) località Santo Spiriticchio. L'autorizzazione venne rifiutato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   in data 25 ottobre 2013 la società Energas spa ha depositato nuovi documenti relativi all'istanza di valutazione di impatto ambientale presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dello sviluppo economico, la regione Puglia, la provincia di Foggia e il comune di Manfredonia;
   il progetto prevede l'installazione di un deposito costiero di GPL con capacità di stoccaggio di 60.000.000 di litri (oltre 30.000 tonnellate di GPL). L'opera prevede anche il posizionamento in mare di un gasdotto lungo 10 chilometri, che parte dal porto industriale e attraversa il golfo di Manfredonia per continuare interrato nel sottosuolo, attraversando zone archeologiche e zone ZPS e SIC (zona a protezione speciale e sito di interesse comunitario) censite nel protocollo europeo «Natura 2000» fra le più importanti d'Europa. Il trasporto del GPL dal deposito verrà effettuato sia via ferroviaria, via gomma. La distribuzione ferroviaria è permessa dal raccordo ferroviario di circa 1,5 chilometri con la vicina stazione delle ferrovie dello stato di Frattarolo, dalla quale partiranno le ferro cisterne da 120 metri cubi cadauna, transitando nella vicina stazione dell'aeroporto militare di Amendola. Il trasporto su gomma utilizzerà la strada statale 89. Il volume totale stimato di movimentazione su trasporto ferroviario e su gomma si stima sia di circa. 300.000 quintali annui;
   il deposito in questione dovrebbe sorgere a 10 chilometri in linea d'aria dall'aeroporto militare di Amendola «Luigi Rovelli Comando 32o Stormo» e a 2 chilometri dal centro abitato di Manfredonia (Foggia); l'aeroporto è disposto a «sandwich» fra la ferrovia e la strada statale 89 per diversi chilometri. La posizione della base la pone al centro della distribuzione logistica del GPL, dato che l'unica strada per accedere all'autostrada A14 è la statale 89, passante esattamente a pochi metri dalla base e dal villaggio dove risiedono le famiglie dei militari. A poche centinaia di metri al nord della base corrono i binari sui quali viaggeranno le ferro cisterne, al ritmo di una ogni sette minuti. Pertanto la base è esattamente al centro tra i binari e la statale. L'intera situazione andrebbe analizzata con molta attenzione, prendendo in considerazione aspetti fondamentali come eventi naturali, eventi umani ed eventi terroristici;
   nell'aeroporto militare è presente il modello di UAV (Unmanned Aerial Vehicle) MQ-9 Predator B (Reaper) in servizio presso la Forza aerea italiana e consegnato di recente al 28o gruppo velivoli teleguidati del 32o stormo; inoltre, l'aeroporto sarà il primo aeroporto d'Italia ad ospitare il caccia multiruolo F-35, aumentando ancor di più l'importanza strategica di tale zona. L'aeroporto ospita in modo stabile personale militare non italiano in forza alla NATO. La base militare di Amendola è la base logistica di numerose operazioni nazionali ed internazionali per la tutela della pace nel bacino del Mediterraneo. Queste informazioni risultano essere di dominio pubblico e l'attività di intelligence svolta dai droni aerei è stata anche riportata su stampa generalista, quotidiana e periodica, con toni enfatici ed elogiativi in diverse occasioni e contesti;
   il 26 giugno 2015, in un impianto di gas industriale nell'Isère, a 30 chilometri da Lione, in Francia, nella regione del Rodano-Alpi, un individuo, non terrorista, per motivi di vendetta personale ha innescato una esplosione proprio in deposito GPL provocando ferimento di due persone ed un morto;
   la posizione e la logistica dell'impianto di GPL, fra i più grandi di Europa se venisse realizzato, esporrebbe la sicurezza dei civili e delle strutture militari dell'area a rischi concreti. Inoltre, Manfredonia è una zona sismica di intensità media (registrate anche scosse di livello 4 Mercalli) pertanto sono da considerare e analizzare a fondo nell'ipotesi in cui ci sia un evento sismico quali siano gli effetti sull'impianto e quali i rischi per la popolazione; nel progetto infatti non viene presa in considerazione la sismicità della zona tanto che lo stesso Ingegnere Marino (rappresentante dell'ENERGAS) in un recente articolo su un quotidiano locale minimizza il problema dichiarando che se si dovesse prendere in considerazione la sismicità non si dovrebbe costruire da nessuna parte in Italia e nel mondo;
   per quel che riguarda poi le attività umane di carico e scarico di tutta la filiera del gpl, dalla nave gassiera alle ferro cisterne e autobotti, occorre ricordare che sono tutte operazioni in cui il minimo errore umano comporta grandi rischi per la sicurezza;
   al rischio imprevedibile sismico, idrogeologico dell'area e all'errore umano si aggiungono i pericoli commessi alle possibili mire terroristiche che potrebbero avere motivi molteplici: sia se si volesse attaccare la stessa multinazionale Q8 che è dietro al progetto (la base militare sarebbe colpita indirettamente), sia se si volesse colpire direttamente la base (allora l'impianto con 60.000.000 di litri di GPL, le ferro cisterne che transiterebbero a poche centinaia di metri dalla base e i camion per trasporto su strada porrebbero la base all'interno di una forbice e senza via di scampo);
   le preoccupazioni sono tante vista anche quella che l'interrogante giudica la superficialità con cui l'ENERGAS s.p.a. continua a portare avanti le richieste di autorizzazioni senza integrare la documentazione richiesta, in particolare piani sicurezza, evacuazioni ed esercitazioni con la cittadinanza, e soprattutto perché continua a ragionare su una progettazione che si basa sulla normativa del 1999 che invece dovrebbe adeguarsi necessariamente alla nuova normativa posta dalla Direttiva SEVESO III, entrata in vigore a luglio 2015 –:
   se il Ministro della difesa abbia valutato l'aumento del rischio inerente a eventi naturali o incidenti correlati alla futura presenza dell'impianto GPL nell'aeroporto militare di Amendola;
   se esista o sia allo studio, un piano d'emergenza, in grado di tutelare i lavoratori che prestano servizio presso la base di Amendola. (5-06909)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ROMANINI e PATRIZIA MAESTRI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in occasione del 70o anniversario della Liberazione, il Ministro della difesa ha realizzato un riconoscimento particolare — la «Medaglia della Liberazione» — destinato a tutti coloro, che hanno partecipato alla Resistenza e alla Lotta di Liberazione: partigiani, internati militari nei lager nazisti, combattenti inquadrati nei reparti delle Forze armate, oggi viventi;
   tale riconoscimento, come ha dichiarato il Ministro, ha il significato di sottolineare a settant'anni di distanza, il ringraziamento a quanti non esitarono a sacrificarsi in nome della libertà e a diffondere tra le nuove generazioni l'importanza della lotta di liberazione e dei sacrifici che sono stati fatti per dare un nuovo futuro al Paese;
   a Parma la Cerimonia di consegna della medaglia con relativo attestato nominativo si è tenuta in prefettura il IV novembre, giornata dell'unità nazionale e delle Forze armate. Le medaglie promesse a maggio, sulla base delle domande effettuate dalle organizzazioni partigiane e dei soggetti aventi diritto, sono arrivate in numero minore e per questa ragione sono state consegnate ai soli partigiani dell'Anpc e ai superstiti della Divisione Acqui;
   tale fatto ha deluso le aspettative dei partigiani dell'Anpi e di quelli delle altre associazioni le cui sezioni locali si erano mobilitate intensamente per portare a termine nei migliore dei modi la ricerca coinvolgendo le famiglie e il territorio –:
   quali siano le ragioni dell'accaduto;
   se non ritenga, considerata anche l'età ragguardevole dei partigiani aventi diritto, di procedere nei tempi più celeri possibili con la consegna delle altre medaglie in modo che si ponga riparo a quanto accaduto e si concluda nel migliore dei modi la celebrazione del 70esimo della Liberazione. (4-10991)


   CRIPPA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 agosto 2014 due caccia Tornado dell'Aeronautica militare, nomi in codice «Freccia 21» e «Freccia 11» entrarono in collisione mentre sorvolavano le colline di Ascoli Piceno, all'altezza della frazione di Venarotta;
   nello schianto persero la vita i capitani piloti Mariangela Valentini e Alessandro Dotto, e i capitani navigatori Giuseppe Palminteri e Paolo Piero Franzese;
   tra le primissime ipotesi riscontrabili sulle agenzie stampa uscite nei momenti subito successivi allo schianto vi fu quella dell'errore umano;
   come si può leggere dall'articolo pubblicato nella versione online della testata «La Repubblica» in data 2 ottobre 2015 dal titolo «Collisione aerei militari, i periti: "Non fu colpa dei piloti. A terra i possibili responsabili"», parrebbe come tale errore umano non possa essere imputabile ai due piloti in quanto i due Tornado «entrarono in contatto per "carenze organizzative" nella pianificazione e nell'assistenza al volo, che crearono le premesse per una situazione di "estremo pericolo"»;
   tali informazioni proverrebbero dalla perizia dei comandanti Mario Pica e Giuliano Currado, incaricati dalla procura di Ascoli di effettuare la perizia con l'obiettivo di stabilire le esatte cause dell'incidente;
   come riscontrabile dall'articolo sopra citato, «Durante il volo non ci sarebbero state comunicazioni con i piloti, per questo Valentini e Dotto non sarebbero stati a conoscenza ciascuno dell'esatta posizione dell'altro. Avrebbero volato a vista, anche perché, affermano i periti, si sarebbero verificate anomalie nella strumentazione dei due caccia. [...] Il disastro sarebbe dunque derivato da condotte erronee di natura "colposa", di cui potrebbero essere imputati altri cinque ufficiali delle Forze Armate. I comandanti Mario Pica e Giuliano Currado hanno segnalato i loro nomi al pubblico ministero perché tragga le sue valutazioni. È dunque sulla base militare dell'Aeronautica di Ghedi, in provincia di Brescia, dove erano di stanza gli equipaggi, e su chi al suo interno ha organizzato e assistito la missione aerea che punta l'indice la consulenza dei due comandanti» –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente di quanto descritto in premessa;
   se si stiano effettuando i controlli di sicurezza sui mezzi dei corpi militari stiano necessari al fine di evitare che incidenti simili possano accadere nuovamente. (4-11016)


   COZZOLINO. — Al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il settimanale Cronaca Vera in data 12 maggio 2015 ha pubblicato l'articolo intitolato «Mi hanno maltrattato in ogni modo» e così ha sintetizzato la vicenda: «Nel corso di un'inchiesta da lui curata, un suo superiore fu indagato per omissioni di atti d'ufficio. È stato forse questo episodio a scatenare nei confronti del maresciallo Antonio Cautillo (vedi Cronaca Vera n. 1961) quella che lo stesso militare definisce una “rappresaglia senza fine”, iniziata nel 1990 e ancora in corso, che ha sottoposto Cautillo a decine di procedimenti disciplinari e penali. Il calvario è iniziato con una graduale emarginazione che si è trasformata ben presto in rapporti sempre più esasperati con superiori e colleghi, fino ad arrivare a boicottaggi, minacce ed altre azioni che Cautillo ha sempre considerato illegali. "Ho sempre denunciato le minacce che, di volta in volta, ho ricevuto", racconta. "Perseguire i reati è sempre stato il mio compito e l'ho svolto senza compromessi. Proprio per non essere rimasto in silenzio di fronte a gravissime situazioni di cui sono stato testimone, ho subito di tutto: procedimenti disciplinari, punizioni, trasferimenti coatti, continue umiliazioni. A tutto questo si sono aggiunte le denunce nei miei confronti per ipotetiche mancanze in servizio: disobbedienza aggravata e continuata, falsità ideologica, diffamazione, abuso d'ufficio, insubordinazione con ingiuria. Nonostante tutto questo, resisto e resto in servizio. Mi sono opposto a qualsiasi tipo di provvedimento emesso dai miei superiori. Recentemente, per aver documentato un'ingiusta punizione subita, al mio curriculum si sono aggiunti altri due giorni di consegna: per me vale più di un encomio». VICENDA ALLUCINANTE. In due esposti inviati al Ministero della difesa, il maresciallo definisce «gerarchi» tre superiori. Basta questo per beccarsi una nuova denuncia per diffamazione, l'ultima di una serie di disavventure nel suo disperato tentativo di difendersi da quello che lui percepisce come un vero e proprio accerchiamento. Un noto generale, oggi in pensione, l'aveva preso proprio di petto. «Dopo essere stato assolto da una delle tante accuse di diffamazione fui punito con 10 giorni di consegna di rigore, poi venni sanzionato “per aver svolto con apprezzabile continuità attività sindacale”. E infine punito con tre mesi di sospensione dal servizio, dopo un'altra sentenza di assoluzione. Tutti dati in possesso del Ministro della Giustizia, che fa finta di niente. Ho subito trattamenti crudeli, inumani, degradanti per mole, ripetitività e durata delle accuse rivolte nei miei confronti. Sono stato costretto a difendermi in 16 processi penali. Tutti questi provvedimenti possono sembrare ineccepibili perché emanati da persone in divisa, ma proprio chi dovrebbe difenderti spesso ti pugnala alle spalle»;
   come se non bastasse, oltre a tutto questo, il maresciallo Cautillo ha dovuto far fronte alle conseguenti cause di pignoramento di beni immobili di cui non era neanche più proprietario e al blocco dello stipendio, sostenendo numerose udienze senza avvocati difensori. «Gli stessi individui da me segnalati mi hanno privato di importanti incentivi concessi a tutti, come il premio di produzione e l'indennità di funzione. Se sei accusato e poi ti assolvono non ti chiedono scusa: ti puniscono, ti bloccano la carriera e, in branco, tentano di licenziarti. Finisci tu stesso sotto accusa». Sul caso Cautillo sono state presentate 15 interrogazioni in Parlamento, una quantità di esposti al Ministero della giustizia e 30 al Ministero della difesa. Senza alcuna risposta esaustiva. Della questione sono state investite anche le istituzioni europee. «Sono un sopravvissuto, nessuno può resistere a tutto questo. Non c’è tirannia peggiore di quella esercitata nel nome della giustizia e sotto lo scudo della legge da poteri intoccabili. Con la consapevolezza che questa battaglia giudiziaria e disciplinare capovolta possa andare avanti a vita. Anche questo governo, come i precedenti, non difende chi denuncia la corruzione, protegge le caste militari e giudiziarie, si trincera dietro silenzi e omertà. Ho scritto a tutti, anche alla presidenza del Consiglio, segnalando dove andavano i miei superiori utilizzando l'auto di servizio, con chi s'incontravano e quali tipi di scambi avvenivano. Nessuno è mai intervenuto»;
   il maresciallo sulla vicenda ha sinora presentato 44 esposti al Ministro della giustizia, da cui risulterebbero inquietanti profili meritevoli di approfondimento;
   nell'esposto n. 44 inviato al Ministro della giustizia il 25 settembre 2015, atto emblematico e divenuto di dominio pubblico, il carabiniere ha denunciato di essere vittima di ripetuti episodi di malagiustizia;
   sulla vicenda che riguarda il militare, sono stati presentati 3 precedenti atti di sindacato ispettivo (4-02661, 4-01366 e 4-00975) al Senato che ad oggi non hanno ricevuto risposta, così come i numerosi atti di sindacato ispettivo presentati nel corso della XVI legislatura –:
   se il Governo non ritenga opportuna; affinché si faccia piena luce sulla vicenda, attivare le iniziative ispettive di competenza. (4-11017)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GULLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la città di Patti è la quarta città della provincia di Messina, è sede del tribunale ordinario e del consiglio dell'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili;
   con la soppressione del tribunale ordinario di Mistretta e della sezione staccata di Sant'Agata di Militello, accorpati al tribunale ordinario di Patti, il carico di lavoro della sede locale dell'Agenzia delle entrate è aumentato del 120 per cento;
   il tribunale ordinario di Patti si occupa di un comprensorio di ben 56 comuni; paradossalmente, alla data odierna, l'Agenzia delle entrate avrebbe previsto per il prossimo gennaio 2016 la chiusura di diversi uffici territoriali sulla base della spending review;
   tra gli uffici di cui sarebbe prevista la chiusura c’è l'ufficio di Patti (ME) dell'Agenzia delle Entrate;
   i criteri di riduzione adottati tengono in conto solo «ipotetiche» riduzioni di spesa, nonché il numero dei dipendenti, determinando la chiusura delle sedi con meno di 30 dipendenti;
   la riduzione del numero dei dipendenti dell'Agenzia di Patti non è dipesa dalla riduzione del carico di lavoro, bensì da scelte di «politica» interna alla direzione regionale. Infatti, sino al 2010 il numero dei dipendenti della sede pattese era superiore alla soglia di 30 unità e solo dopo tale data l'ufficio è andato «sotto soglia» a causa dei pensionamenti e della scelta di autorizzare trasferimenti verso la sede provinciale;
   nonostante le richieste del consiglio dell'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e dei rappresentanti sindacali dei dipendenti dell'Agenzia negli scorsi tre anni non si è proceduto a potenziare la struttura pattese, né a rimpiazzare i dipendenti mancanti;
   il numero degli atti pubblici registrati dall'Agenzia di Patti è superiore a quello di altre agenzie del circondario;
   altri uffici della provincia non verranno toccati dalla predetta riduzione nonostante l'inferiore carico di lavoro;
   appare all'interrogante assurdo legare la sopravvivenza delle sedi al numero dei dipendenti e non al carico di lavoro e/o al rapporto costi benefici e, comunque, non sono chiaramente indicati i parametri in base ai quali dovrebbe chiudere l'ufficio di Patti, anche alla luce dell'impegno del sindaco della città di provvedere a trovare un altro locale a minor costo;
   l'eventuale chiusura della sede di Patti determinerebbe un grave disagio per gli utenti ed i professionisti, nonché un dispendio di denaro, mezzi e personale per la locale sede del tribunale ordinario di Patti che dovrebbe trasferire gli atti da registrare a molti chilometri di distanza;
   le possibili sedi di un eventuale, inopinato, accorpamento possono essere solo due, Barcellona Pozzo di Gotto che dista ben 30 chilometri e Sant'Agata di Militello che è sita a ben 50 chilometri di distanza e si profila un eventuale accorpamento alla seconda, la più distante e la meno collegata delle due –:
   quali iniziative urgenti di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per:
    a) razionalizzare e rendere comprensibili le modalità di riordino delle sedi degli uffici dell'Agenzia delle entrate;
    b) salvaguardare la migliore funzionalità delle diverse sedi degli uffici dell'Agenzia delle entrate;
    c) potenziare la sede di Patti dell'Agenzia delle entrate;
    d) facilitare l'attività degli uffici del tribunale ordinario di Patti che richiedono un continuo contatto ed una costante collaborazione con l'Agenzia delle entrate;
    e) evitare l'eventuale inopinata chiusura della sede dell'Agenzia delle entrate di Patti (ME);
    f) evitare che, comunque, si determinino costi e disagi a carico di cittadini, utenti e professionisti, nonché del tribunale ordinario di Patti. (5-06903)


   GINEFRA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   gli autotrasportatori albanesi pagano un diritto fisso pari a 6,30 euro a tonnellata entro 100 km e 9,30 euro a tonnellate oltre i 100 chilometri che risulta al momento essere la più alta confrontata con gli autotrasporti da altri Paesi;
   i Paesi dell'ex Yugoslavia (Serbia, Montenegro, Macedonia) pagano 0,77 euro a tonnellata entro i 100 chilometri e 1,29 oltre, mentre i turchi pagano 3,10 e 4,65 e gli iraniani 1,55 e 2,32;
   oltre a questa tassa gli albanesi pagano insieme a turchi e iraniani anche la tassa ACI di circolazione (da cui sono esonerati i paesi dell'ex Yugoslavia) nella misura di 2,27 euro al giorno per 120 giorni (si paga per l'intero periodo);
   la questione è stata ripetutamente posta negli anni alle autorità italiane;
   l’import dall'Albania è in larga misura riconducibile a processi di delocalizzazione di imprese italiane e al rientro dei semilavorati per cui alla fine sono le imprese e i consumatori finali italiani a subire il peso dell'imposta;
   il livello delle relazioni tra Italia e Albania non giustifica questo tipo di tassazione;
   il 30 dicembre 2014 il Premier Renzi in visita a Tirana, a conclusione del semestre italiano di presidenza dell'Unione europea, annunciò pubblicamente che nella legge di stabilità era stata inserita una norma per la modifica di queste tassazioni e nell'arco di pochi mesi sarebbero stati pronti i decreti attuativi;
   il 16 giugno 2015 nella riunione della commissione mista italo albanese 8 che si riuniva dopo 5 anni la parte albanese ha posto nuovamente la questione particolarmente sentita dai trasportatori albanesi e dalla comunità degli imprenditori;
   la parte italiana ha assicurato che si stava provvedendo e che vi era un problema in soluzione di copertura dei mancati introiti da parte della Agenzia delle dogane;
   il Premier albanese Edi Rama nel corso della sua visita a Bari il 15 settembre 2015 ha pubblicamente sollevato la questione sottolineando il disagio degli imprenditori ma anche la sorpresa delle autorità albanesi verso un ritardo da parte italiana nel rimuovere o comunque riportare agli stessi livelli degli altri Paesi dei balcani sud occidentali una tassazione che nelle forme attuali non è in alcun modo più giustificata –:
   quale sia lo stato di avanzamento dell'iniziativa di cui in premessa;
   quali siano i tempi per definire l'operatività della citata misura. (5-06905)

Interrogazione a risposta scritta:


   MICILLO, BUSTO, DE ROSA, DAGA, MANNINO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185 prevede agevolazioni riguardanti finanziamenti destinati all'apertura di nuove attività d'impresa e professionali da parte di soggetti disoccupati in aree del Mezzogiorno d'Italia;
   tra le misure è previsto un contributo a fondo perduto ed un finanziamento agevolato volto a finanziare investimenti e spese di gestione. Il finanziamento è erogato trascorsi al massimo 6 mesi dall'invio della domanda e prevede un iter istruttorio costituito dalla presentazione di un progetto d'impresa e da un colloquio di valutazione con i proponenti il progetto d'impresa. Al finanziamento possono accedere persone fisiche (misura lavoro autonomo/prestito d'onore) attraverso la costituzione di ditte individuali o società di persone (misura «microimpresa») costituite al momento della presentazione della domanda ma inattive;
   la gestione di tali fondi è affidata a Invitalia – Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa spa – che è una società per azioni italiana partecipata al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   con comunicato pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 183 del 8 agosto 2015, è stata data notizia dell'esaurimento delle risorse finanziarie disponibili concernenti le misure agevolative previste dal decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185 (15A06055), e questo ha comportato la chiusura dello sportello per la presentazione delle relative domande di finanziamento;
   lo sportello per la presentazione delle domande è stato chiuso – senza alcun congruo preavviso – attraverso il comunicato ufficiale di cui sopra;
   negli ultimi anni l’iter istruttorio, sebbene Invitalia comunicasse una tempistica di 6 mesi, ha avuto una durata di circa 10 mesi, iter che si è sempre prolungato in presenza di problemi di tipo burocratico. Per quelli che hanno potuto accedere al finanziamento non è stato raro il verificarsi di problemi per il pagamento dei fornitori, perché Invitalia raramente ha rispettato le scadenze;
   è stata abolita una delle poche misure vantaggiose per i disoccupati del Mezzogiorno che volevano crearsi un auto-impiego nei settori professionali, artigiani, di servizi, commerciali e altro;
   la comunicazione di chiusura ha come causa proprio l'esaurimento delle risorse, ma non è prassi corretta chiudere da un giorno all'altro senza preavviso, mentre ci sono disoccupati che stanno preparando una domanda di finanziamento investendo risorse importanti. Difatti l'istruzione della domanda non è delle più semplici e richiede almeno 20 giorni o un mese, e, soprattutto per la misura della «microimpresa», è necessario costituire una società di persone investendo tra spese notarili, di commercialista e di istruzione della domanda circa 2.000 – 2.500 euro. Chiudere lo sportello all'improvviso significa non curarsi di risorse che stanno investendo i disoccupati. I soggetti che hanno costituito una società che non verrà mai finanziata dovranno inoltre recarsi nuovamente dal notaio e spendere almeno altri 1.200/1.500 euro per chiudere una società che non è servita a nulla;
   il Movimento 5 Stelle già si è occupato della problematica attraverso una interrogazione del deputato Ivan Della Valle;
   negli ultimi giorni Invitalia a quanto costa agli interroganti sarebbe comunicando a vari proponenti che hanno già inviato le domande e che quindi hanno una domanda già protocollata, che la loro richiesta di finanziamento non può essere presa in considerazione per l'esaurimento delle risorse. L'Infopoint di Invitalia comunica che le domande presentate dal 26 marzo 2015, saranno tutte respinte;
   Invitalia non solo ha chiuso lo sportello da un giorno all'altro, ma non procederà a valutare – e quindi finanziare – neanche domande di finanziamento già presentate oltre 4 mesi prima della chiusura dello sportello avvenuta nella prima decade di agosto 2015;
   ci sono casi in cui dei proponenti avrebbero rifiutato contratti di lavoro subordinato in quanto avrebbero perso i requisiti di soggetto disoccupato previsto dalla normativa della misura (decreto legislativo n. 185 del 2000), tutto per veder realizzato il loro progetto di lavoro;
   una siffatta gestione non solo crea disoccupazione invece di risolverla, ma crea anche un danno patrimoniale alle persone (disoccupate) che hanno investito dei fondi per accedere ad un iter istruttorio che non porta a nulla;
   la chiusura dello sportello, come riportato dai mass media, ha già portato a qualche protesta isolata –:
   quali  iniziative  i  Ministri interrogati intendano intraprendere  per rifinanziare nuove attività d'impresa e professionali da parte di soggetti disoccupati in aree del Mezzogiorno d'Italia;
   quali  iniziative  i Ministri interrogati intendano intraprendere per finanziare le domande presentate dal 26 marzo 2015 all'8 agosto 2015 meritevoli di accoglimento. (4-11005)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FABBRI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il regolare svolgimento dei processi, in tutte i suoi aspetti, è principale responsabilità del Ministero della giustizia;
   la legge di stabilità 2015 legge 23 dicembre 2014, n. 190, ha previsto l'istituzione di un fondo per il recupero di efficienza del sistema giudiziario e il potenziamento dei relativi servizi, nonché per il completamento del processo telematico (articolo 10) e il trasferimento allo Stato, dal 1o settembre 2015, dell'obbligo di corrispondere le spese per gli uffici giudiziari, attualmente a carico dei comuni (articolo 38, commi 6-10);
   è iniziata da pochi giorni l'udienza preliminare dell'inchiesta Aemilia sulla `ndrangheta in Emilia Romagna;
   si tratta di un evento di portata eccezionale per la regione Emilia Romagna, sia per il numero di persone coinvolte che per la necessità di imponenti misure di sicurezza;
   la regione Emilia-Romagna, impegnata con una forte azione di contrasto alla criminalità organizzata anche costituendosi parte civile nel processo, ha speso quasi 800.000 euro per garantire che la suddetta l'udienza preliminare si tenesse a Bologna e non venisse spostata altrove come più volte paventato a causa della mancanza di locali idonei a contenere il cospicuo numero di imputati;
   dopo l'udienza preliminare, il dibattimento si dovrebbe spostare a Reggio Emilia, visti i probabili patteggiamenti e giudizi abbreviati, ed anche in questo caso, se il numero degli imputati dovesse restare elevato, servirà nuovamente un'aula attrezzata;
   il cambio di sede processuale inevitabilmente comporterà un aggravio di risorse non solo per lo spostamento della sede processuale, ma anche di imputati e testimoni nonché della documentazione necessaria –:
   se sia in grado di garantire il regolare svolgimento di processi di questo genere, dal punto di vista economico ma anche della pubblica sicurezza, evitando ulteriori esborsi alla regione Emilia Romagna.
(5-06893)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PATRIZIA MAESTRI e ROMANINI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 31 ottobre 2015 un cittadino 66enne di Fidenza (Parma), Roberto Frati, pensionato, è stato aggredito e gravemente ferito nella sua abitazione a seguito di una tentata rapina;
   nelle ore immediatamente seguenti all'accadimento i Carabinieri della stazione di Fidenza hanno prontamente posto in stato di fermo un cittadino italiano 43enne, di origini sarde ma parmigiano d'adozione, in stato di alterazione da alcool e con le mani sporche di sangue;
   sulla base di quanto riportato dalla stampa locale, il fermato, Maurizio Mascia, era già noto alle forze dell'ordine: arrestato a Parma il 19 novembre 2014 dopo aver tentato una rapina in un negozio, è stato condannato per direttissima a 3 anni di reclusione poi commutati negli arresti domiciliari con l'obbligo di dimora. Stava scontando la pena, non più ai domiciliari ma con il solo obbligo di dimora, in una struttura di media protezione nei pressi di Castelvetro Piacentino, dopo aver trascorso alcuni mesi presso la Casa di Lodesana, storica comunità terapeutica di Fidenza.;
   la mattina del 30 ottobre 2015, il signor Mascia, è stato nuovamente posto in stato di fermo per un tentato furto in provincia di Piacenza e ricoverato presso l'ospedale cittadino in conseguenza del suo evidente stato di alterazione;
   il 2 novembre 2015 il sindaco di Fidenza, Andrea Massari, ha inviato una lettera al Ministro della giustizia chiedendo che sia fatta piena luce sull'accaduto e in particolare sulle condizioni di cura e detenzione di Maurizio Mascia, convinto che l'episodio criminale ai danni del signor Roberto Frati e di tutta la comunità fidentina potesse essere evitato –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del grave episodio descritto in premessa, se non ritengano di valutare l'opportunità di disporre per quanto di competenza tutti gli accertamenti del caso e se non considerino opportuno rafforzare gli strumenti di cooperazione tra le amministrazioni locali e le forze di polizia dello Stato al fine di prevenire il ripetersi di accadimenti criminali di questa natura, come proposto dal sindaco di Fidenza nella lettera inviata al Ministro della giustizia. (4-11009)


   NACCARATO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la casa di reclusione «Due Palazzi» di Padova è stata teatro negli scorsi mesi di gravi episodi che hanno generato un'inchiesta giudiziaria dalla quale è emerso un traffico di stupefacenti e di schede Sim per telefonia cellulare all'interno del carcere con il coinvolgimento di detenuti e di alcuni addetti alla sorveglianza;
   di fronte a questi eventi il Ministro della giustizia ha tempestivamente disposto un intervento di controllo del penitenziario per far luce sull'accaduto e per ripristinare le normali condizioni all'interno del carcere;
   all'esito dell'intervento, nel mese di ottobre 2015, è stato disposto l'avvicendamento delle figure apicali della dirigenza dell'istituto;
   nonostante l'intervento del Ministero, in questi giorni si sono verificati alcuni fatti che destano preoccupazione e che meritano ulteriore attenzione;
   nei primi giorni del mese di novembre 2015, nel corso di una perquisizione, sono stati rinvenuti 8 telefoni cellulari nella disponibilità dei detenuti, dei quali rimane ancora sconosciuta la provenienza;
   inoltre, da qualche tempo la casa di reclusione compare in un profilo facebook dal quale si diffondono messaggi distorti e poco consoni ad un ufficio pubblico dai compiti così delicati;
   in particolare, nel profilo casa reclusione N.C. Di Padova «due Palazzi» appaiono immagini che inneggiano al regime fascista e scritte che negano il valore rieducativo della pena –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   quali iniziative di competenza intenda adottare per far luce sui recenti episodi citati e per rafforzare i controlli sull'amministrazione del carcere Due Palazzi di Padova. (4-11022)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta orale:


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da diverse fonti stampa si apprende che la Galleria Forca di Cerro, sulla strada statale 685 delle Tre Valli Umbre, che collega la valle dell'area Spoleto-Foligno con la Valnerina, è diventata difficile da percorrere a causa del malfunzionamento del sistema di ventilazione interno al tunnel;
   alcuni automobilisti segnalano difficoltà specialmente nel primo tratto del traforo dove l'aria sarebbe irrespirabile a causa dell'accumulo dei gas di scarico delle auto che non è sufficientemente supportato dal necessario ricambio dell'aria;
   anche la visibilità nel primo tratto della Forca di Cerro è ridotta a causa del sistema di illuminazione spento per circa un terzo del tragitto; una tale situazione oltre a creare grande disagio può essere pericolosa per l'incolumità degli automobilisti che ogni giorno percorrono quel tratto della statale 685;
   la Galleria Forca di Cerro nel corso degli anni ha subito diversi lavori di manutenzione, segno di problemi, anche di diversa natura, che caratterizzano il tunnel;
   uno degli interventi più recenti, che ha portato anche alla chiusura notturna del tratto, risale al marzo del 2015 ed era demandato, secondo quanto si legge in una nota dell'Anas, alla manutenzione degli impianti tecnologici a servizio della galleria –:
   se sia a conoscenza della situazione esposta in premessa e cosa intenda fare per provvedere nel più breve tempo possibile al ripristino degli impianti di ventilazione e illuminazione;
   se, durante i lavori effettuati quattro mesi fa, si sia provveduto alla manutenzione anche dell'impianto di ventilazione e illuminazione della Galleria Forca di Cerro, il cui malfunzionamento, oggi, sta compromettendo la sicurezza degli automobilisti. (3-01821)


   DAL MORO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel luglio 2013 all'assemblea dei soci della società Aeroporto Valerio Catullo viene presentato il bilancio 2012 che presenta un passivo di 14 milioni di euro, che si somma alla perdita del precedente esercizio, con 26 milioni di perdite;
   nel luglio 2013, l'assemblea degli azionisti della società Aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca Spa approva un nuovo piano industriale che prevede circa 130 milioni di euro di investimenti in 10 anni e importanti misure occupazionali per ricollocare i lavoratori in cassa integrazione;
   contestualmente alla presentazione del piano industriale i soci iniziano a valutare un piano di intervento straordinario in grado di poter assicurare il rilancio del sistema aeroportuale con almeno 50 milioni di euro di investimento nei primi tre anni;
   vengono valutate tre possibili soluzioni:
    a) un nuovo aumento di capitale da sottoporre ai soci (soluzione difficile per le restrizioni legate al patto di stabilità degli enti);
    b) l'ingresso di un «partner industriale» o «partner finanziario» per lo sviluppo del sistema aeroportuale del Garda che investa immediatamente nella infrastruttura;
    c) una gara a evidenza europea per la vendita totale o parziale della Catullo spa;

   l'assemblea dei soci opta per la soluzione b) «partner industriale» o «partner finanziario» per lo sviluppo del sistema aeroportuale del Garda con particolare riguardo a Brescia con il settore cargo e Verona con lo sviluppo passeggeri;
   nel mese di agosto 2013 SAVE spa, società di gestione aeroportuale che gestisce gli scali di Venezia, Treviso e partecipa all'azionariato dell'aeroporto di Charleroi, Belgio, fa pervenire alla Presidenza della Catullo spa, un'offerta per entrare nella Catullo. La Catullo SpA viene valutata da SAVE circa 70 milioni di euro come Enterprise Value; la proposta SAVE ha 30 giorni di validità. Nel settembre 2013, viene convocata una nuova assemblea dei soci per decidere sulla proposta SAVE;
   l'assemblea dei soci delibera di accettare la proposta SAVE consentendo di avere una esclusiva per mettere in atto una formale due diligence per finalizzare la proposta definitiva alla Catullo spa;
   nel periodo settembre 2013 – aprile 2014 è applicata una due diligence sui conti della Catullo da parte di SAVE e allo stesso tempo i soci Catullo, insieme a SAVE, lavorano anche sugli aspetti legali, su come operare considerato che il 91 per cento della Catullo è in mano a soci pubblici e secondo la normativa vigente sarebbe necessario fare una gara ad evidenza europea per venderne le quote;
   da inizio 2014 viene presentato ai soci il risultato del gruppo di lavoro costituito da professionisti legali individuati dalla società dove si determina che l'ingresso di Save può avvenire senza gara ad evidenza pubblica sulla base di due condizioni indispensabili e non prescindibili:
    a) che il controllo della società Catullo sia in termini operativi che di governance societario rimanga in mano ai soci pubblici;
    b) che la società SAVE abbia visionato e sottoscritto piano industriale senza condizioni e problemi;

   nel periodo marzo 2014 – luglio 2014 vengono convocati dei Consigli di amministrazione per approvare le modifiche allo statuto della Catullo per consentire l'ingresso di SAVE; tra i documenti portati in Consiglio di amministrazione non risulta all'interrogante ci fosse la presentazione di un piano industriale, né tantomeno condivisione del piano industriale Catullo approvato all'assemblea di luglio 2013;
   non risulta all'interrogante sia stato mai presentato al Consiglio di amministrazione un documento di approvazione dell'operazione Catullo – SAVE; da parte di ENAC, né tanto meno alcuna nota di approvazione da parte del Ministero;
   in data 6-10 giugno 2014, alcuni soci pubblici di maggioranza della società Aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca Spa (CCIAA di Verona, comune di Verona, provincia di Verona e provincia autonoma di Trento) sottoscrivono un accordo di investimento con Save spa, società di gestione degli aeroporti di Venezia e Treviso, per consentirne l'ingresso nella compagine sociale attraverso l'acquisto di una quota di azioni cedute da uno dei soci pubblici o attraverso la sottoscrizione da parte di Save spa delle azioni inoptate derivanti da un aumento di capitale;
   con delibera il comune di Villafranca, socio minoritario della società Aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca spa, cede a mezzo di trattativa privata circa il 2 per cento della partecipazione societaria alla società Save spa;
   quindi, nonostante le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 163 DEL 2006, l'ingresso di un socio privato nella gestione del servizio aeroportuale dello scalo di Verona avviene attraverso la cessione della partecipazione azionaria di un ente locale senza prevedere una procedura di evidenza pubblica;
   con assemblea straordinaria dei soci del 30 luglio 2014, la società Aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca delibera un aumento di capitale tale da consentire a Save spa di vedere aumentata la propria partecipazione sociale sino al 35 per cento;
   nel dicembre 2014 con ulteriore operazione di capitalizzazione la partecipazione di Save spa aumenta sino al 40,3 per cento;
   per effetto di tale partecipazione Save spa incide in modo determinante sulla governance della società aeroportuale, indicando 4 consiglieri di amministrazione su 9 membri effettivi oltre a nominare il nuovo amministratore delegato;
   ad oltre un anno dall'ingresso di Save spa nella società Aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca spa non risulta effettuato alcuno degli importanti investimenti previsti dal piano industriale approvato nel 2013 né risulta approvato un piano industriale alternativo in grado di garantire lo sviluppo dell'Aeroporto di Verona;
   in nessuno degli atti deliberativi degli organi di indirizzo dei soci pubblici, autorizzativi dell'accordo di investimento e dell'alienazione di azioni della società Aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca spa, si rinviene la sottoscrizione del piano industriale approvato nel 2013 o di un qualsiasi piano industriale;
   inoltre in questi giorni 28 lavoratori del gruppo Catullo sono stati messi in mobilità. Di fronte ai continui proclami di espansione la società riduce il proprio personale licenziando dei lavoratori –:
   se nella fattispecie Enac abbia dato parere favorevole alla cessione a trattativa privata senza procedura ad evidenza pubblica di una quota di partecipazione alla società Valerio Catullo;
   se alla luce delle informazioni raccolte l'ingresso di Save in Catullo spa nelle modalità sopra descritte sia da considerarsi in linea con la normativa vigente;
   se risulti che l'accordo di investimento sottoscritto tra i soci pubblici della società Aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca spa e la società Save prevedesse un piano industriale e se tale piano sia stato approvato o ritenuto idoneo da Enac e fosse vincolante per Save;
   in caso affermativo, quali e quanti investimenti Save spa si sia obbligata a realizzare e con quali tempi di realizzazione;
   in caso negativo, in assenza di un reale piano industriale allegato all'accordo di investimento, come sia stato possibile realizzare l'operazione di dismissione di una partecipazione pubblica di una società di trasporti in assenza del controllo di ENAC sui piani di sviluppo dello scalo aeroportuale di Verona;
   cosa intenda fare il Governo per salvaguardare i posti di lavoro dei dipendenti messi in mobilità dalla società Catullo. (3-01824)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MOGNATO, MARTELLA, MURER e ZOGGIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Air France ha comunicato alle competenti strutture e alle organizzazioni sin- dacali l'avvio della procedura prevista dalla legge 23 luglio 1991, n. 223, per la riduzione del proprio personale impiegato negli scali italiani;
   tale procedura interessa particolarmente anche la sede veneziana di Air France, per la quale si prevede la riduzione complessiva di 11 unità, di cui 9 appartenenti alle attività di biglietteria, 2 a quella di supervisione ai voli;
   il piano di Air France ha come conseguenza la chiusura definitiva della biglietteria della compagnia transalpina, che verrebbe affidata ad uno dei tre handler operanti presso l'aeroporto Marco Polo, con ripercussioni negative sul piano della tutela del lavoro, giacché gli operatori di handling non hanno ancora siglato il CCNL del trasporto aereo e uno di queste società ha già dichiarato 70 esuberi nello stesso aeroporto di Tessera (Venezia);
   ad essere interessate dalla procedura di licenziamento sono 11 lavoratrici, altamente professionalizzate e con un'età compresa tra i 40 e i 50 anni, quindi difficilmente ricollocabili nell'odierno mercato del lavoro;
   all'interno della propria strategia globale di ridimensionamento Air France per quanto riguarda l'Italia concentra i tagli di personale proprio nell'unità operativa di Venezia;
   la procedura contemplata dalla normativa prevede che il datore di lavoro e le organizzazioni sindacali abbiano 45 giorni di tempo per trovare un'intesa che scongiuri i licenziamenti, trascorsi i quali la convocazione del tavolo ministeriale deve essere fatta entro 30 giorni –:
   se i Ministri siano al corrente dei fatti sopra esposti e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano adottare per scongiurare il licenziamento delle 11 lavoratrici interessate. (5-06901)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SBERNA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel tempo in cui si vive, le persone viaggiano di più e spesso si trasferiscono a vivere in altri Paesi per lavoro o per altre esigenze; tra esse si annoverano coloro che, laici o religiosi, vanno in missione all'estero dedicando tutta la vita a beneficio di chi ha più bisogno di aiuto;
   in un mondo ormai quasi senza confini, il rischio che la morte sopravvenga in un Paese straniero è maggiore e le probabilità che questo accada aumentano laddove si vive come volontari e missionari nei cosiddetti Paesi a rischio. In questi casi la famiglia o la comunità religiosa si trovano ad affrontare una pesante situazione, non solo dal punto di vista emotivo, ma anche dal punto di vista economico e burocratico a causa delle complesse procedure da seguire per riportare il proprio caro defunto a casa;
   il trasporto transfrontaliero delle salme è regolato attualmente da due strumenti di diritto internazionale, l'accordo di Berlino del 10 febbraio 1937 e l'accordo di Strasburgo, concluso il 26 ottobre 1973 sotto gli auspici del Consiglio d'Europa, a cui solo una parte degli Stati membri ha aderito (l'Italia non è fra questi) e che rivestono un carattere obsoleto sotto molteplici aspetti;
   per quanto riguarda la disciplina nazionale in materia essa è rintracciabile nel testo unico delle leggi sanitarie approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, nel decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1990, n. 285, recante approvazione del regolamento di polizia mortuaria, ma solo per quanto riguarda gli aspetti igienico-sanitari ed amministrativi, nonché nelle relative circolari interpretative del Ministero della sanità, la n. 24 del 24 giugno 1993 e la n. 10 del 31 luglio 1998;
   la quasi totalità degli scali aeroportuali italiani disciplina attraverso i singoli regolamenti di scalo unicamente l'imbarco e lo sbarco delle salme ma non l'accoglienza delle stesse;
   la morte di un congiunto in un Paese lontano sottopone, dunque, i parenti a dolore aggiuntivo: accade, infatti, che quando non si tratta di persone alle quali lo Stato offre una decorosa accoglienza i congiunti sono sottoposti allo strazio di ritirare il feretro contenente le spoglie del proprio caro alla stregua di un pacco qualsiasi: con le relative operazioni di stivaggio, di carico e scarico su di un carrello e collocamento delle bare nei locali di smistamento delle merci. Solo nel caso di sbarco di salme maleodoranti o che presentano perdite di liquidi organici è prevista giustamente la collocazione in locali idonei per attuare gli eventuali interventi della cosiddetta sanità aerea. In tutti gli altri casi non sono previsti locali adeguati;
   il recupero della salma, simbolica ricongiunzione con il caro estinto, dovrebbe avvenire in un ambiente protetto, nel quale dovrebbe essere tutelata e rispettata la dignità di tutti. La vita di un, uomo e la tutela della dignità anche nella morte, nonché il rispetto verso i congiunti, non possono e non devono essere riconosciute solo in casi particolari;
   la situazione sopradescritta ha assunto anche una rilevanza mediatica in seguito ad un articolo pubblicato il 17 marzo 2012 sulle pagine del Corriere.it, versione on-line del Corriere della Sera, che denunciava nello scalo di Fiumicino la gestione delle salme poco rispettosa sia di chi è morto sia di chi attende il rientro delle salme;
   nell'articolo citato si denunciava, altresì, come quanto succedeva a Fiumicino riguardo all'accoglienza delle salme fosse una pratica comune in tutti gli scali aeroportuali italiani, ad eccezione di quelli di Venezia, Treviso e Trieste che già all'epoca avevano a disposizione zone riservate per questo delicato compito;
   in un successivo articolo del 26 novembre 2012, il Corriere.it annunciava, l'intervento dell'Enac (Ente nazionale aviazione civile) che in una circolare «invitava le direzioni aeroportuali ad organizzare zone riservate esclusivamente alle bare all'interno degli aeroporti»;
   a distanza di tre anni non risulta all'interrogante, che di recente ha potuto accertare di persona quanto avviene negli scali aeroportuali relativamente all'accoglienza delle salme, che sia stato dato seguito a quanto disposto dalla circolare dell'Enac sopra citata, delle quale per la verità non è risultato possibile all'interrogante nemmeno rinvenire il testo –:
   quali tempestive iniziative intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, affinché le famiglie possano avere a disposizioni aree riservate negli aeroporti per l'accoglienza dei propri congiunti deceduti all'estero. (4-11004)


   FORMISANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la parte III del decreto legislativo n. 163 del 2006 prevede una disciplina ad hoc per i cosiddetti settori speciali (ex settori esclusi) caratterizzati, per ragioni oggettive ex lege, dalla peculiarità delle prestazioni e dalla conseguente, specializzazione degli operatori economici interessati;
   tanto il giudice comunitario (cfr. C.G.C.E. 20.4.2008, causa C-393/06) quanto il Consiglio di Stato (cfr. Adunanza plenaria 1 agosto 2011, n. 16) hanno univocamente ritenuto che le norme inerenti l'ambito di applicazione degli articoli 206 e seguenti del decreto legislativo n. 163 del 2006 vanno applicate in modo assai restrittivo al fine di salvaguardare la «regola madre» della tutela della concorrenza sicché gli schemi di bando adottati nei «settori speciali» non devono differenziarsi rispetto a quelli tipici dei «settori ordinari», con particolare riguardo ai princìpi di parità di trattamento degli operatori economici ed all'obbligo di trasparenza;
   in sede di prassi applicativa, si ravvisano talune distorsioni dai modelli di selezione fissati dalla cornice normativa comunitaria;
   nei settori in esame è frequente il ricorso ai cosiddetti accordi quadro;
   l'articolo 222 del decreto legislativo n. 163 del 2006, al comma 3, chiarisce che «gli enti aggiudicatori non possono ricorrere agli accordi quadro in modo abusivo, per ostacolare, limitare o falsare la concorrenza»;
   conformemente al quadro normativo, il Ministro, in risposta all'interrogazione n. 4-09017 del 4 maggio 2015, ha chiarito, anche alla luce del Considerando n. 61 della direttiva 2014/24/UE, la natura legittima degli accordi quadro che non consente di avallare prassi elusive o distorsive della concorrenza;
   ai sensi dell'articolo 59 del codice dei contratti pubblici, gli accordi quadro dovrebbero essere riservati alle sole attività di manutenzione, intesa come serie di interventi («programmati» e/o «straordinari») finalizzati a preservare l'efficienza di un quid già esistente;
   in molti settori speciali, gli enti aggiudicatori ricorrono agli accordi quadro in violazione dei principi generali fissati dall'ordinamento;
   in particolare, vengono sovente banditi accordi quadro anche per l'affidamento di attività e/o opere diverse dalla «manutenzione», gestite poi nello specifico attraverso uno o più ordini di lavori, che sono privi, «a monte», della necessaria e realistica progettazione esecutiva;
   l'elusione dallo schema classico, che impone di procedere all'affidamento di commesse pubbliche solo quando la stazione appaltante abbia minuziosamente predeterminato modelli e costi dell'acquisizione, sembrerebbe connessa alle note difficoltà di cassa degli enti aggiudicatori;
   una prassi di questo genere, che sottrae agli affidamenti le preordinate fasi di progettazione e copertura finanziaria, determina il rischio di sacrificare la «programmazione» delle opere sull'altare del «risparmio» che, in periodo di austerity, pur costituendo un «valore aggiunto» dell'azione amministrativa, non può certamente giustificare l'iterazione di modelli illegittimi;
   d'altro canto, l'accorpamento degli «ipotetici» ordini di lavori, finisce paradossalmente per determinare un ingiustificato incremento della soglia dei requisiti di partecipazione ed il consequenziale assottigliarsi della platea dei concorrenti, a fronte di rendicontazioni ben inferiori all'importo complessivo presunto, come confermato dal tenore della risposta scritta del Ministro all'interrogazione n. 4-08989 del 29 aprile 2015;
   più chiaramente viene richiesto, in sede di partecipazione, il possesso di requisiti pregressi pari all'importo complessivo dell'accordo quadro indipendentemente dall'effettiva esecuzione dell'intera commessa;
   non meno rilevanti appaiono le criticità in tema di all'alimento ai fini della qualificazione prevista con ambiti ingiustificatamente più restrittivi rispetto alle previsioni del combinato disposto articoli 50 e 232 del decreto legislativo n. 163 del 2006;
   secondo l'articolo 50, nel sistema cosiddetto ordinario, le S.O.A. sono tenute a riconoscere la possibilità di avvalimento ai fini della qualificazione alla sola condizione che tra l'ausiliaria e l'ausiliata esista un rapporto di controllo ai sensi dell'articolo 2359, commi 1 e 2, del codice civile oppure entrambe le imprese siano controllate da una stessa impresa ai sensi dell'articolo 2359, commi 1 e 2, del codice civile;
   nel sistema del cosiddetti settori speciali, l'articolo 232, comma 6, del decreto legislativo n. 163 del 2006, statuisce espressamente che «se chi chiede la qualificazione intende avvalersi dei requisiti di capacità economica e finanziaria o tecnica e professionale di altri soggetti, il sistema di qualificazione deve essere gestito garantendo il rispetto dell'articolo 50, con esclusione del comma 1, lettera a)»;
   il considerato n. 79 della direttiva 2014/25/UE «sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE» al paragrafo 3, ha evidenziato che «se le norme e i criteri oggettivi per l'esclusione e la selezione degli operatori economici che richiedono di essere qualificati in un sistema di qualificazione comportano requisiti relativi alle capacità economiche e finanziarie dell'operatore economico o alle sue capacità tecniche e professionali, questi può far valere, se necessario, la capacità di altri soggetti, indipendentemente dalla natura giuridica dei legami con essi»;
   in molti sistemi di qualificazione «speciali» appaiono richiami, più o meno espliciti, all'articolo 50 del decreto legislativo n. 163 del 2006, ciò vale a dire che, contrariamente alle prescrizioni del codice dei contratti pubblici e della citata direttiva, per l'avvalimento in sede di attestazione viene richiesto il collegamento e/o il controllo inter societario;
   siffatta prassi, a giudizio dell'interrogante, oltre che palesemente contraria alla norma, finisce inevitabilmente per restringere l'ambito concorrenziale siccome garantito dai principi fissati dalle vigenti direttive comunitarie;
   sa il Ministro condivida gli anzidetti rilievi e intenda, anche attraverso formale coinvolgimento e dell'Avvocatura dello Stato e delle altre istituzioni competenti, promuovere, per quanto di competenza, un'indagine amministrativa sulla corretta applicazione dei principi comunitari nei settori speciali al fine di garantire la massima concorrenzialità e concorrenza, assumendo ogni iniziativa utile a superare ostacoli e limitazioni all'effettiva contendibilità delle commesse e paritaria concorrenza. (4-11015)


   LO MONTE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i servizi di autolinea gestiti con autorizzazioni statali e in regime di concessione comunale e regionale sono sottoposti al controllo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   le autorizzazioni statali sono soggette al controllo del predetto Ministero che verifica il rispetto assoluto delle vigenti normative comunitarie nazionali e contrattuali;
   l'intera materia è disciplinata dal decreto legislativo n. 285 del 2005 e dal decreto ministeriale n. 316 del 1o dicembre 2006;
   ai sensi della circolare emanata dal dipartimento per i trasporti, la navigazione ed i sistemi informativi e statistici, in data 9 agosto 2013 prot. N. 19341/U, al punto 4.1 si recita testualmente: «... le imprese, per ottenere o mantenere l'autorizzazione a svolgere i servizi, devono possedere determinati requisiti volti ad assicurare la qualità professionale del soggetto che esercisce i servizi resi all'utenza, .... L'applicazione, nei confronti dei propri addetti – in materia di rapporti di lavoro –, le norme di diritto comune e le norme del contratto collettivo di lavoro»;
   sembra che, da alcune verifiche effettuate dal Sindacato unitario lavoratori in merito all'operato della Baltour srl con sede a Teramo, diverse disposizioni di legge vengano disattese: così il sindacato lamenta la mancanza delle previste visite psicoattitudinali per i dipendenti, la violazione di norme sul contratto nazionale di lavoro, il mancato rispetto degli orari oggetto delle rispettive autorizzazioni, la soppressione di fermate che costringe i passeggeri a continui spostamenti per prendere i pullman che percorrono linee interregionali. L'ultima in ordine di tempo riguarda la sospensione, a tempo indeterminato, della fermata di Giardini Naxos, in provincia di Messina, relativamente alle tratte Agrigento – Pisa e Modica – Palermo. La fermata a metà strada tra Catania e Messina serviva un amplio bacino di utenti che ora si troveranno costretti a spostamenti in macchina per raggiungere le fermate di Catania o Messina –:
   quali iniziative il Governo abbia intenzione di porre in essere, per quanto di competenza, al fine di verificare la regolarità dell'operato della ditta Baltour in ordine sia al rispetto delle norme in materia di circolazione dei veicoli sia in merito al rispetto della normativa riguardanti i contratti di lavoro dei dipendenti e la sicurezza a bordo dei passeggeri.
(4-11026)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FABBRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 22, lettera g), della legge n. 94 del 2009 («pacchetto sicurezza») entrata in vigore l'8 agosto 2009, stabilisce l'obbligo dell'esibizione del permesso di soggiorno per qualsiasi atto inerente lo stato civile;
   quindi, per registrare un figlio alla nascita è obbligatorio presentare il permesso di soggiorno;
   e però evidente che i cittadini extracomunitari in situazione di irregolarità non dispongono del permesso di soggiorno e se tale documento fosse loro richiesto, per evitare il rischio di espulsione, potrebbero privare il nuovo nato del certificato di nascita, un documento indispensabile per la vita e per la dignità di ogni persona;
   la circolare n. 19 del 7 agosto 2009 emanata dal Ministero dell'interno il giorno precedente all'entrata in vigore della legge n. 94 del 2009, sancisce tuttavia che: «Per le dichiarazioni di nascita non devono essere esibiti documenti inerenti al soggiorno»;
   in adempimento alla legge n. 94 del 2009 potrebbe quindi essere stata rifiutata l'iscrizione all'anagrafe dei nuovi nati da genitori privi del permesso di soggiorno, essendo una legge dello Stato più cogente di una circolare ministeriale, emanata in data antecedente;
   nel 1991 l'Italia ha ratificato la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo (legge n. 176 del 1991), che sancisce quanto segue: «il bambino è persona con diritti propri non dipendenti da altri»; «il suo interesse superiore è preminente» a prescindere dallo status dei genitori; «il fanciullo è registrato immediatamente al momento della nascita e da allora ha diritto a un nome»; «gli Stati si impegnano a garantire a ogni bambino i diritti enunciati a prescindere dalla origine loro o dei loro genitori o da qualsiasi altra circostanza (...) e adottano tutti i provvedimenti appropriati», a prescindere dalla origine loro o dei loro genitori o da qualsiasi altra circostanza;
   da 4 anni la Convention on the rights of the child (Crc), gruppo che raccoglie 80 associazioni e realtà mondiali, Caritas italiana compresa, segnala il problema e ne chiede con forza una risoluzione istituzionale, raccomandando una riforma che garantisca la registrazione per tutti i minorenni nati in Italia, indipendentemente dalla situazione amministrativa dei genitori;
   secondo i dati del Crc, «non ci sono dati certi sull'esistenza del fenomeno dei “bambini invisibili”, ma le ultime stime evidenziano la presenza di 544 mila migranti privi di permesso di soggiorno e ciò fa presumere che il numero di questi “bambini invisibili” potrebbe essere significativo»;
   il certificato di nascita è l'unica testimonianza certa e riconosciuta dell'esistenza di una persona e senza questo nessun diritto è garantito. In mancanza di ciò il bambino non risulta esistere quale persona e quale individuo destinatario delle regole dell'ordinamento giuridico, non gli viene assicurata la tutela da parte dei genitori ed è condannato ad essere per sempre un irregolare, privato di qualunque cittadinanza e pertanto invisibile agli occhi di un qualsiasi Stato;
   sul tema sono state presentate alcune proposte di legge in Parlamento;
   il problema è stato di recente sollevato anche dalla stampa. Nello specifico il quotidiano Avvenire ha pubblicato due articoli inerenti il tema citato in premessa;
   se sia a conoscenza del problema suesposto, se sia in grado di fornire una stima orientativa del numero di questi bambini e in che modo intenda affrontare tale questione, per far emergere il fenomeno descritto in premessa, nel rispetto di quanto sancito dalla legge in materia di tutela e diritti dei minori. (5-06895)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRILLO, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, MANTERO, DELL'ORCO, LIUZZI e DE LORENZIS. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che il 19 ottobre 2015, in piena notte è stato assaltato l'ufficio postale di via Tripoli nella frazione di Ficarazzi di Aci Castello, in provincia di Catania; dalle mura dell'edificio è stato sradicato il distributore automatico di banconote, con un bottino di venticinquemila euro;
   i malviventi hanno raggiunto il loro scopo utilizzando un camion, rubato da un cantiere di Catania, che aveva a bordo una pala meccanica;
   nessuno degli abitanti dello stabile, che ospita l'ufficio postale, ha sentito qualcosa, nonostante il furto fosse avvenuto alle ore 4,30 di notte e che la pala meccanica, poi abbandonata sul posto, facesse molto rumore;
   nel Comune di Motta S. Anastasia, in provincia di Catania, nella notte tra sabato 17 e domenica 18 ottobre 2015 vi è stato un tentativo di furto all'ufficio postale in via Terre Nere;
   il pronto intervento delle forze dell'ordine ha sventato il furto che aveva come obiettivo, anche questa volta, il distributore automatico di carta moneta;
   il tentativo di furto all'ufficio postale di Motta S. Anastasia ha danneggiato la facciata dello stabile e lo stesso bancomat;
   il segretario provinciale della Cisl – Poste catanese ha dichiarato che gli ultimi episodi ai danni delle poste di Ficarazzi, di Aci Castello e di Motta S. Anastasia rappresentano solo la punta dell’iceberg di un'emergenza che riguarda la sicurezza del personale postale e i gravi disagi causati ai cittadini-utenti delle poste –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano intraprendere per porre in atto misure che mettano in sicurezza tutti gli uffici postali della provincia di Catania;
   se non intendano assumere iniziative per destinare risorse, uomini e mezzi, per scongiurare le scorribande della criminalità contro gli uffici postali e garantire l'incolumità dei lavoratori e dei cittadini/utenti;
   se non ritengano di avere elementi sufficienti per valutare, alla luce degli episodi sopra esposti, che vi sia una particolare attenzione della criminalità catanese verso gli uffici postali di tutta la provincia e quali iniziative di competenza intendano adottare. (4-10989)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo cooperativo GOEL opera da anni nella Locride, la sua mission è il «cambiamento della Locride e della Calabria nell'affermazione piena della libertà, della democrazia, della sussidiarietà, della giustizia sociale ed economica, del rispetto dei diritti delle persone e fasce sociali più deboli e marginali, del bene comune delle comunità locali e dei territori»;
   «GOEL Bio» è la società del Gruppo GOEL che opera nel settore agroalimentare, raggruppando produttori della Locride e della Piana di Gioia Tauro che si oppongono alla ’ndrangheta, che garantiscono una condotta aziendale etica e offrono prodotti tipici di alta qualità;
   il 31 ottobre 2015 l'agriturismo biologico «A Lanterna», di Monasterace nella Locride, socio della cooperativa GOEL, ha subito un attentato incendiario nel quale sono andati distrutti il capannone per il ricovero delle attrezzature dell'azienda e gli attrezzi agricoli posti all'interno, tra cui un trattore, il gasolio agricolo e l'attrezzatura meccanica, con un danno pari ad almeno trentamila euro;
   l'attentato subito dall'agriturismo è il settimo in sette anni ed appare evidente l'intento intimidatorio di stampo mafioso contro questa azienda che è, invece, impegnata in un modello di sviluppo sostenibile che crea valore sociale ed economico nel territorio;
   la vigente normativa, che presuppone la richiesta estorsiva come condizione necessaria per il riconoscimento di un attentato come di stampo mafioso esclude dai benefici di legge, in primo luogo di sostegno finanziario, tutte quelle aziende che pur non avendo ancora subito la richiesta di versare il «pizzo» sono oggetto di attacchi da parte della criminalità organizzata –:
   quali iniziative intenda assumere a tutela delle aziende che si battono contro la criminalità organizzata come l'azienda citata in premessa, in primo luogo) promuovendo le necessarie modifiche normative per garantire ad esse il pieno sostegno anche finanziario da parte delle istituzioni. (4-10993)


   FABBRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Questura, sotto la responsabilità del Ministero dell'interno, è l'autorità competente per la concessione dei permessi di soggiorno ai cittadini provenienti da Paesi terzi;
   secondo quanto previsto dalla normativa italiana, a coloro che hanno ottenuto un permesso di soggiorno a tempo indeterminato (cosiddetta carta di soggiorno) viene comunque richiesto di aggiornare il proprio documento ogni 5 anni;
   con sentenza n. 01477/2015 il Tar della Lombardia ha accolto il ricorso (n. 01220/2015) di un cittadino srilankese che, dopo aver lavorato a lungo come custode, a causa della crisi economica, non era riuscito a trovare una nuova occupazione e ha dato torto alla Questura, che gli aveva revocato la carta di soggiorno perché non aveva un reddito;
   il Tar della Lombardia ha infatti annullato il decreto prot. n. 13198/2014 Imm. del 3 dicembre 2014 notificato il 26 marzo 2015, con cui è stato revocato il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo e conseguentemente rigettata l'istanza di aggiornamento presentata il 14 marzo 2014, nonché di tutti gli atti allo stesso preordinati, presupposti, consequenziali e comunque connessi;
   secondo le motivazioni della sentenza l'azione della Questura è da considerarsi illegittima dal momento che sia le norme europee (articolo 8 della direttiva 2003/109/CE), sia il Testo unico sull'immigrazione che le ha recepite (articolo 9 del decreto legislativo n. 286 del 1998), prevedono infatti che lo «status di soggiornante di lungo periodo è permanente» e può essere revocato solo «qualora lo straniero sia pericoloso per l'ordine pubblico e la sicurezza dello Stato, e non invece a fronte della mera mancanza di redditi»;
   il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo infatti è a tempo indeterminato ed è valido come documento di identificazione personale per 5 anni dalla data di rilascio o di rinnovo (successivamente il richiedente può chiederne il rinnovo producendo nuove fotografie). Il rinnovo è effettuato a richiesta dall'interessato e corredato di fotografie aggiornate. Questo lascia pertanto intendere, a parere dell'interrogante, che non vanno riverificati i requisiti costitutivi del titolo di soggiorno, ma solo aggiornata la fotografia e l'eventuale cambio di residenza, come avviene nel caso di rinnovo della carta d'identità italiana;
   la decisione di vincolare l'aggiornamento o il duplicato di un permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo alla condizione di poter dimostrare il regolare versamento dei contributi all'INPS o un contratto di lavoro regolare negli anni precedenti alla presentazione dell'istanza è in contrasto con il diritto comunitario e nello specifico con la direttiva europea 109/2003/CE, con ampi profili di violazione del «diritto acquisito comunitario» in materia di anti-discriminazione –:
   quante siano le domande di permesso di soggiorno di lungo periodo ad oggi rilasciate complessivamente;
   quante siano le domande di permesso di soggiorno di lungo periodo presentate, rilasciate, accolte e rigettate negli ultimi 3 anni, suddivise per singole Questure, quali siano i tempi medi di risposta e l'eventuale motivo del rigetto. (4-10996)


   SIMONETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte di Halloween, tra il 31 ottobre ed il 1o novembre 2015, più di 2.000 giovani hanno dato vita ad un rave party all'interno di alcuni capannoni abbandonati nel territorio comunale di Verrone, nel biellese;
   i giovani sono penetrati nei capannoni abbandonati senza alcuna autorizzazione;
   nulla ha impedito loro l'accesso alle infrastrutture, malgrado il sindaco di Verrone avesse fin dal gennaio 2015 emanato un'apposita ordinanza, invitando altresì i proprietari dei capannoni – il gruppo Auchan ed un soggetto imprenditoriale britannico – ad assumere i provvedimenti necessari alla bonifica e protezione delle aree loro appartenenti;
   i rave party sono abitualmente organizzati e promossi attraverso i social media, pubblicamente accessibili attraverso la rete internet, ed è quindi teoricamente possibile averne anticipatamente notizia ed assumere provvedimenti diretti ad evitarne lo svolgimento;
   i giovani sono arrivati da tutto il Nord Italia e persino dalla Francia;
   in occasione dei rave party, è frequente il consumo di alcoolici e sostanze stupefacenti, mentre si balla con musica ad altissimo volume;
   cessato il rave party, i giovani hanno lasciato l'area occupata in condizioni di grave degrado, cosparsa di rifiuti di ogni genere e persino deiezioni;
   alla luce di quanto precede, pare incredibile che nessuno si sia accorto di nulla o abbia fatto niente per impedire lo svolgimento di questo raduno;
   in effetti, almeno le forze dell'ordine hanno seguito a debita distanza gli eventi, preoccupandosi soprattutto che non degenerassero completamente, assumendo connotazioni ancora più pericolose per la quiete e la sicurezza pubblica;
   alcune delle macchine con le quali i numerosi giovani convenuti hanno raggiunto il sito della festa rave sono peraltro state identificate, circostanza che permetterà di risalire ai proprietari ed inviare loro l'eventuale notifica di apertura di indagini –:
   se la relativa passività che, a quanto pare, avrebbero dimostrato nella circostanza le forze dell'ordine si debba o meno ad un preciso indirizzo del Ministero dell'interno ed eventualmente cosa la giustifichi;
   quali iniziative si ritenga di dover e poter assumere per impedire che i capannoni abbandonati ed il territorio comunale di Verrone siano utilizzati in futuro per svolgervi ulteriori party selvaggi come quello che ha avuto luogo nella notte tra il 31 ottobre ed il 1o novembre 2015.
(4-11011)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha presentato numerose interrogazioni per segnalare il pericolo a cui è esposto il giovane acerrano Alessandro Cannavacciuolo a causa della sua instancabile attività di denuncia. In particolare, si segnalano le interrogazioni a risposta scritta n. 4-02232 del 21 ottobre 2013 e n. 4-04726 del 6 maggio 2014 alle quali non è ancora stata data alcuna risposta, nonostante quanto previsto dall'articolo 134 del regolamento della Camera e i reiterati solleciti. In tali atti si chiedeva al Ministro interrogato quali provvedimenti intendesse assumere a tutela dell'incolumità del cittadino Cannavacciuolo;
   negli ultimi anni Alessandro Cannavacciuolo e la sua famiglia hanno subito ripetute minacce e intimidazioni;
   l'ultima grave intimidazione sarebbe avvenuta negli ultimi giorni, quando i due cani di proprietà della famiglia Cannavacciuolo (due bellissimi esemplari di pastore maremmano di nome Sergente e Belle, rispettivamente di 7 anni e di 1 anno e mezzo) sono stati avvelenati mortalmente. Tale diagnosi sarebbe stata confermata anche dal medico veterinario;
   i due animali – curati da Franco, fratello di Alessandro – sarebbero stati avvelenati in un terreno gestito dalla famiglia dove erano custoditi sito presso Acerra in via Ciminiera, in contrada Pagliarone. Peraltro, secondo quanto si apprende da fonti di stampa, i Cannavacciuolo hanno sporto denuncia contro ignoti alla polizia, giunta sul posto per accertarsi del decesso dei due cani;
   non sarebbero state trovate tracce di veleno sul terreno per cui l'ipotesi è che la sostanza mortale sia stata offerta agli animali da qualcuno, forse mescolata a qualche boccone di carne;
   si è in presenza dell'ennesima intimidazione ai danni di una famiglia che ha messo al primo posto la passione civile per la denuncia della gravissima contaminazione ambientale che attanaglia il territorio della cosiddetta «terra dei fuochi» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti delineati in premessa e quali siano gli elementi in suo possesso;
   se il Ministro interrogato non ritenga di doversi attivare al fine di valutare le modalità attraverso le quali tutelare l'incolumità del cittadino Alessandro Cannavacciuolo e della sua famiglia da anni esposti a quelle che appaiono reiterate intimidazioni di stampo mafioso a causa di una instancabile ed encomiabile opera di denuncia civile. (4-11020)


   FORMISANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 17 ottobre 2015 sulle pagine dei quotidiani nazionali è apparsa la notizia della scarcerazione di quattro presunti «boss» ritenuti i registi della nuova faida dei rioni di Forcella e Sanità nella città di Napoli;
   i quattro erano accusati di possesso di armi, le stesse ritrovate nella loro auto che viaggiava nel rione Sanità;
   l'ipotesi degli inquirenti, suffragata dalle intercettazioni, è che stessero per porre in essere un omicidio nell'ambito della guerra che imperversa al centro di Napoli e per questo furono fermati e colti in flagranza del reato suddetto;
   in data 16 ottobre il GIP di Napoli li ha scarcerati per «perdita di inefficacia della misura cautelare» a causa della scadenza dei termini di fase, ovvero quelli che vanno dall'arresto al decreto di rinvio a giudizio che per i reati di camorra è di un anno, ma che il Gip, in sede di convalida del fermo dei quattro, avendo escluso l'aggravante dell'articolo 7, aveva determinato in sei mesi e due giorni;
   le forze dell'ordine si impegnano quotidianamente alla salvaguardia dell'ordine pubblico e alla sicurezza dei cittadini; talvolta nell'ambito di operazioni lunghe e delicate si trovano a dover scegliere nell'immediato se tutelare la vita delle persone o salvaguardare prove e materiali atti all'incriminazione dei rei;
   è inconcepibile, a parere dell'interrogante, che quella che sembrerebbe una distrazione, sicuramente dovuta alla mole di lavoro ricadente su i magistrati preposti, possa vanificare gli sforzi delle forze dell'ordine e rimettere in libertà persone imputate di reati gravi –:
   se il Ministro non ritenga opportuno valutare se sussistono i presupposti per inviare degli ispettori ministeriali, anche al fine di chiarire se quanto è successo sia da ascrivere a situazioni di difficoltà lavorative all'interno della procura di Napoli. (4-11024)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   sta per trascorre un anno dalla procedura avviata il 19 novembre 2014 dalla direzione generale per lo studente per riattivare l'osservatorio professioni sanitarie del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, istituito nel 2003. L'ultima riunione infatti si è svolta 1'11 dicembre 2013;
   l'osservatorio è stato istituito il 24 luglio 1996, con decreto dei due Ministeri università-sanità, articolo 1, comma 10. Il 7 giugno 2001 il decreto del Ministero dell'università prevede come componenti dell'Osservatorio la rappresentanza di tutte le 22 professioni di area sanitaria;
   attualmente, il campo di intervento dell'Osservatorio riguarda 42 università, 452 corsi di laurea, 750 sedi formative e 27 mila posti attivati annualmente;
   nonostante siano pervenute tutte le designazioni previste da parte della CRUI, del Ministero della salute, della Conferenza Stato-regioni, della Conferenza dei corsi di laurea delle professioni sanitarie, del Consiglio universitario nazionale e dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, sembrerebbe che – paradossalmente – per completare l’iter manchi ancora e solo la designazione dei due rappresentanti da parte dello stesso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   questo ritardo non permette l'emanazione del successivo decreto ministeriale per la richiesta dei rappresentanti per ognuna delle 22 professioni sanitarie, designati dalle rispettive federazioni di infermieri, ostetriche, tecnici di radiologia e dalle associazioni professionali riconosciute dal Ministero della salute (fisioterapisti, logopedisti, ortottisti, dietisti, tecnici della prevenzione, e altro);
   questo ritardo di oltre due anni pone seri ostacoli per l'adempimento dei compiti a cui l'Osservatorio è chiamato ad ottemperare. All'Osservatorio infatti compete in primis la programmazione dei posti per l'anno accademico 2016-17 e la regolamentazione dei master specialistici –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato affinché l’iter di nomina, e di insediamento di tutti i componenti dell'Osservatorio possa essere concluso entro i prossimi 30 giorni e l'Osservatorio possa ottemperare alle sue responsabilità specifiche, previste a norma di legge. (5-06900)


   SANGA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le università popolari sono istituzioni che non rientrano nell'ordinamento universitario italiano e non possono rilasciare titoli accademici che, ai sensi del regio decreto n. 1592 del 1933, possono essere rilasciati solamente dalle università degli studi, statali e non statali, legalmente riconosciute, istituite con apposito decreto dal Ministro (articolo 2, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 25 del 1998 e articolo 1-ter del decreto-legge n. 7 del 2005);
   l'Università popolare di Milano vanta il riconoscimento come università degli studi e l'autorizzazione a rilasciare titoli accademici in virtù di una presa d'atto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 14 ottobre 2011, dell'allora Sottosegretario Senatore Guido Viceconte, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 5a serie speciale n. 146 del 12 dicembre 2011 e sulla scorta di essa, l'Università pubblicava il bando di apertura «Facoltà per studenti – università popolare degli studi di Milano»;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con nota del 28 luglio 2014 diffidava l'Università popolare a non rilasciare titoli accademici, sostenendo che la presa d'atto non è idonea alla costituzione di una nuova persona giuridica pubblica e alla conseguente autorizzazione al rilascio dei titoli, atteso che l'istituto risulta abrogato dal decreto-legge n. 250 del 2005 e, in ogni caso, la competenza è del Ministro ed essa non risulta delegabile. Tale atto veniva impugnato dall'università ed il TAR Lazio, con ordinanza in data 29 gennaio 2015, rigettava l'istanza di sospensiva dell'efficacia della, diffida stessa. Successivamente anche il Consiglio di Stato, con ordinanza in data 25 marzo 2015, rigettava l'ulteriore ricorso proposto dall'università, affermando però la persistenza di efficacia della presa d'atto suddetta;
   dal punto di vista giuridico la questione della legittimità o meno dei titoli rilasciati dall'Università popolare di Milano resta aperta e dibattuta;
   a prescindere dalla validità giuridica o meno dei titoli accademici rilasciati dall'Università popolare di Milano è evidente che si è venuto a creare negli anni una sorta di «vuoto legislativo», derivandone che alcuni studenti hanno conseguito i titoli presso tale università, confidando nella bontà e legittimità di quanto dalla stessa pubblicato (a seguito della presa d'atto, del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 14 ottobre 2011, dell'allora Sottosegretario Senatore Guido Viceconte, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, 5a serie speciale n. 146 del 12 dicembre 2011), e si trovano, ad oggi, nell'impossibilità di ottenere l'eventuale conferimento di incarichi dirigenziali presso la pubblica amministrazione proprio a causa del contenzioso in essere e dell'asserita illegittimità dei titoli stessi –:
   se in considerazione della buona fede e del legittimo affidamento che gli studenti hanno riposto nella presa d'atto sopra descritta, intenda adottare un'iniziativa «risolutiva», idonea a sanare la situazione pregressa ed evitare l'insorgenza, per il futuro ed in relazione a tutte le università popolari, di ulteriori problematiche della stessa specie, ciò affinché il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca salvaguardi la buona fede ed il legittimo affidamento degli studenti che, confidando nella legittimità e operatività della suddetta presa d'atto e di quanto pubblicato sia in Gazzetta Ufficiale che sul sito dell'università, hanno frequentato tali corsi di laurea e conseguito un titolo che avrebbe dovuto e potuto garantire loro, tra l'altro, l'accesso ad eventuali incarichi dirigenziali presso l'amministrazione stessa.
(5-06902)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIANCARLO GIORDANO, PANNARALE e SCOTTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o settembre 2015 sono state introdotte, dopo una lunghissima gestazione e proroghe legislative dell'adempimento, le nuove modalità di retribuzione dei supplenti mediante l'immissione dei dati contrattuali da parte delle scuole al sistema informativo del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca (Sidi) e il successivo, pagamento delle competenze da parte del Ministero dell'Economia e delle finanze (procedura cedolino unico);
   nonostante l'avvio di questo nuovo sistema, che in teoria dovrebbe snellire le procedure di pagamento delle retribuzioni, ad oggi si registrano ancora una volta ritardi nella corresponsione delle retribuzione spettanti al personale precario, ma, cosa altrettanto grave, difficoltà pratiche nella gestione della procedura da parte delle istituzioni scolastiche: lentezza e funzionamento «a singhiozzo» del sistema informatico, convalida singola anziché cumulativa dei contratti immessi a sistema e soprattutto, impossibilità di procedere per «incapienza di fondi»;
   si ripete, così, l'emergenza salariale nei confronti dei precari, lesi in uno dei diritti fondamentali, che non possono contare sul pagamento regolare dello stipendio poiché Governo e ministeri competenti continuano a non programmare per tempo il reale fabbisogno per assicurare la regolarità delle liquidazioni spettanti;
   se a ciò si aggiungono i ritardi per il pagamento della «NASPI» e per le ferie non fruite ormai ridotto a pochi spiccioli; non è difficile comprendere quanto sia difficile per un insegnante e il personale ATA supplente, che deve far fronte già a oggettive difficoltà, credere nell'efficienza della cosiddetta e decantata «buona scuola»;
   inoltre, si apprende, che ben 60 milioni di euro di «eccedenze», già destinate al pagamento delle supplenze temporanee, sarebbero giacenti formalmente nei bilanci degli istituti scolastici ma custodite nella tesoreria unica, quando negli ultimi anni i supplenti sono stati pagati sempre con mesi e mesi di ritardo e le scuole sono rimaste sempre senza le risorse necessarie;
   il numero degli aventi diritto è destinato ad aumentare considerato che ai precari supplenti con incarico annuale sono da aggiungere quelli con contratto fino al subentro dell'avente diritto, i quali prima di ottenere la propria busta paga e l'effettiva retribuzione dovranno attendere il caricamento dei contratti a sistema da parte delle scuole e la validazione dei dirigenti scolastici e del direttore Sga –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della grave situazione descritta e quali siano il numero effettivo degli aventi diritto e l'ammontare del cumulo di emolumenti non liquidati dal Ministero dell'economia e delle finanze per i mesi di settembre e ottobre 2015;
   quali iniziative urgenti intendano intraprendere affinché siano messe al più presto in pagamento le retribuzioni maturate e non liquidate ai supplenti precari;
   se e quali iniziative intendano assumere per un adeguamento dell'apposito capitolo di bilancio rispetto alle reali esigenze finanziarie per i pagamenti degli stipendi riguardanti i supplenti precari, finora dimostratosi ampiamente insufficiente;
   quali siano le eventuali responsabilità per inefficienze e disfunzioni relative all'utilizzo secondo gli interroganti negligente, per la giacenza e l'immobilizzo per anni, di una così importante quantità di risorse, pari a 61 milioni di euro, presso i bilanci delle istituzioni scolastiche per «supplenze brevi» evidentemente effettuate e non retribuite. (4-10990)


   NESCI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   L.C. è una bambina di 13 anni, nata a Soveria Mannelli (Catanzaro), affetta da cecità assoluta;
   la suddetta patologia è stata accertata l'11 settembre 2006 dalla Commissione per l'accertamento dell’handicap da parte dell'U.O. di medicina legale del comune di Vibo Valentia, quale causa di disabilità in condizione di gravità ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge n. 104 del 5 febbraio 1992;
   i genitori della minore hanno più volte sollecitato le amministrazioni pubbliche competenti al fine di poter vedere riconosciuto alla minore il diritto allo studio;
   nello specifico lamentavano il mancato adattamento integrale dei libri di testo in braille in tempi adeguati all'inizio dell'anno scolastico, nonché la mancanza di tutti gli strumenti di tiflotecnica e di tiflodidattica necessari affinché la minore potesse svolgere un normale percorso formativo scolastico;
   essendo rimasti inascoltati i numerosi solleciti, nella fattispecie diretti al comune di Vibo Valentia, i genitori della minore proponevano ricorso dinanzi al Tar contro la suddetta amministrazione comunale, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in persona del Ministro legale rappresentante pro tempore, l'ufficio scolastico regionale per la Calabria, l'istituto comprensivo «Amerigo Vespucci» di Vibo Valentia in persona del dirigente scolastico, per l'accertamento del diritto ad ottenere l'adattamento dei libri di testo in braille, nonché di tutti gli strumenti idonei all'assolvimento dell'obbligo scolastico, dell'insegnante di sostegno specializzato in lingua braille ed esperto in tiflotecniche e tiflodidattica;
   il 6 giugno 2014 il tribunale amministrativo regionale riteneva la manifesta fondatezza del ricorso proposto dai genitori della minore e lo accoglieva;
   con tale pronuncia si stabilisce il diritto della minore ad ottenere l'assegnazione di un'insegnante di sostegno specializzata in lingua braille, nel rispetto del dettato Costituzionale che, ai sensi dell'articolo 3 e dell'articolo 38, riconosce e garantisce agli alunni disabili il diritto allo studio e il diritto di uguaglianza, formale e sostanziale;
   inoltre, la succitata legge n. 104 del 1992 riconosce alle persone disabili la partecipazione alla vita sociale, in particolare nelle scuole durante l'infanzia e l'adolescenza e nei luoghi professionali, nell'età adulta;
   purtroppo ad oggi la succitata sentenza non è stata ottemperata;
   secondo quanto risulta all'interrogante, l'insegnante di sostegno continua a non avere nessuna competenza delle tecniche di traduzione in braille né competenze in tiflotecnica ed in tiflodidattica;
   secondo quanto si legge su «Il Quotidiano del Sud» del 2 novembre 2015, la dottoressa Marilina Intrieri, garante per l'infanzia e l'adolescenza per la regione, ha evidenziato, «con amarezza, come la scuola abbia il compito di istruire ed educare i fanciulli, non di violarne i diritti costituzionalmente garantiti»;
   non è la prima volta, peraltro, che in Calabria accadono episodi di tale sorta, come denunciato ancora dal garante per l'infanzia che, nel summenzionato articolo, ha ricordato che «già l'anno scorso i giudici amministrativi della sezione di Reggio Calabria si sono dovuti pronunciare sul ricorso dei genitori di quattro fanciulli diversamente abili frequentanti la scuola di Molochio-Varapodio nel Reggino, nonostante il dirigente scolastico fosse stato sollecitato più volte dal garante dell'infanzia e il Miur fosse stato portato a conoscenza»;
   al riguardo si segnala anche la battaglia condotta dall'interrogante per il riconoscimento del diritto allo studio per un bambino di 12 anni nel territorio vibonese, a cui – esattamente come nel caso illustrato – non era garantita autonomia e piena integrazione nella scuola e nella società, attraverso la predisposizione di interventi e servizi idonei, anche per prevenire e/o rimuovere stati di emargina-
zione e di esclusione sociale (come previsto dall'articolo 9 della legge n. 104 del 1992) –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere a garanzia del diritto allo studio della riferita minorenne, che per l'interrogante è nello specifico gravemente calpestato;
   quale iniziative intenda adottare in merito alla formazione di docenti che possano essere effettivamente di sostegno a soggetti colpiti da patologie quali cecità e sordomutismo, considerato che nella sostanza il sistema della formazione polivalente è, a giudizio dell'interrogante, un vuoto simulacro di false competenze che allo stato non è in grado di garantire il diritto allo studio ed alla formazione professionale degli alunni ciechi e sordomuti;
   quale iniziativa intenda adottare per rendere fruibile il diritto allo studio a disabili colpiti da cecità e sordomutismo, allorquando gli insegnanti di sostegno inseriti negli elenchi di fatto non abbiano le competenze specifiche nel metodo braille ovvero nella lingua dei segni. (4-11007)


   VIGNALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 21 dicembre 1999, n. 508, finalizzata alla riforma del sistema di alta formazione e specializzazione artistica e musicale (AFAM), ha disciplinato in modo organico la struttura, l'organizzazione e le finalità delle Accademie di belle arti, dell'Accademia nazionale di danza, dell'Accademia nazionale di arte drammatica, degli Istituti superiori per le industrie artistiche, dei Conservatori di musica e degli Istituti musicali pareggiati;
   a distanza di ben sedici anni tale previsione legislativa non ha ancora trovato completa attuazione, vista la mancata emanazione di alcuni decreti attuativi necessari al suo funzionamento;
   di particolare importanza, si segnala la mancata emanazione del regolamento concernente le procedure di reclutamento del personale, che l'articolo 19, comma 1, del decreto-legge 104 del 2013, richiamando l'articolo 2, comma 7, delle suddetta legge, aveva prescritto fosse emanato entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione;
   l'efficace completamento dell'intera riforma, con l'emanazione del predetto regolamento e di altri decreti di complemento, costituisce la base sulla quale poggiare il rilancio dell'intero sistema AFAM, stante la necessità di avere la certezza di un quadro normativo definitivo su cui impostare la programmazione e l'offerta didattica;
   la situazione di precarietà e di incertezza normativa del sistema AFAM inoltre, si consolida per la perdurante assenza operativa del Consiglio nazionale per l'alta formazione artistica e musicale (CNAM) che, nelle previsioni della legge 508 del 1999, deve svolgere funzioni inderogabili e fondamentali, in ambito organizzativo e didattico (ad esempio l'approvazione dei nuovi piani di studio), nonché consultivo per le istituzioni deputate a legiferare in materia;
   il CNAM, dopo l'iniziale costituzione avvenuta con decreto ministeriale febbraio 2007, n. 19, è stato più volte prorogato, fino al 31 dicembre 2012, al fine di garantire la continuità allo stesso nelle more del completamento della riforma del settore, nonostante l'avvicendarsi di alcuni componenti per dimissioni spontanee o per il venir meno dei requisiti necessari all'elezione;
   ad oggi, in mancanza di una proroga ulteriore, il CNAM risulta decaduto, tanto che la sua attività, fondamentale per l'intero settore, è ferma dal febbraio 2013;
   inoltre, la legge 107 del 2015 di riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione (buona scuola), all'articolo 1, comma 27, stabilisce che «nelle more della ridefinizione delle procedure per la rielezione del CNAM, gli atti e i provvedimenti adottati dal Ministero dell'istruzione, dell'Università e delle ricerca in mancanza del parere del medesimo Consiglio... sono perfetti ed efficaci», individuando, in tal modo, una modalità operativa per l'immediato, ma affermando allo stesso tempo sia l'importanza che riveste il CNAM quale organo consultivo e di indirizzo, sia l'assoluta necessità di procedere quanto prima ad una sua rielezione per renderlo pienamente operativo;
   il superamento dell'incertezza e il rilancio dell'intero settore non possono quindi che passare per il completamento della riforma, con l'emanazione di tutti i dispositivi normativi ancora mancanti, e con la riattivazione del CNAM, in modo da potersi dotare di tutti gli strumenti necessari al buon funzionamento del sistema AFAM –:
   se non ritenga necessario dare immediata attuazione alla previsione normativa di cui alla legge 508 del 1999; emanando quanto prima i regolamenti ancora mancanti per la sua completa attuazione;
   quali iniziative, di carattere regolamentare o altro, intenda adottare, al fine di restituire operatività al CNAM, vista la particolare importanza che esso riveste per l'intero settore AFAM;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per la modifica del regolamento di cui al decreto ministeriale n. 236 del 2005 in modo da renderlo omogeneo con le norme di completamento della riforma.
(4-11018)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   ZOGGIA, MOGNATO, CAMANI, CASELLATO, MURER, MARTELLA e MORETTO. —Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dopo 36 anni di attività la Metro Cash&Carry di Mestre Venezia chiude i battenti;
   la notizia, è stata comunicata ai lavoratori dall'azienda il 3 novembre 2015, mentre i rappresentanti sindacali erano a Roma per discutere del nuovo contratto integrativo con la Metro Italia Cash&Carry di cui Metro Mestre Venezia fa parte;
   dal 19 gennaio 2014 gli oltre 80 lavoratori tra diretti e indiretti della sede di Mestre Venezia saranno licenziati;
   le ragioni addotte dall'azienda sono legate al calo delle vendite e alla crisi complessiva che sta investendo la grande distribuzione nel comprensorio;
   nel corso del 2014 la Metro Italia aveva già aperto una procedura di licenziamento così come normato dalla legge n. 223 del 1991, articoli 4 e 24, in 17 punti vendita tra cui anche Mestre Venezia ed a seguito di un accordo sindacale sottoscritto al Ministero del lavoro e delle politiche sociali si era autorizzata cassa integrazione e procedure di messa in mobilità;
   l'azienda nell'ambito del Nord-est ha chiuso Pordenone e riconvertito la sede di Padova trasformandola in «Piazza Affari» con la merce a bancale, mentre a Verona è stato rinnovato il contratto di solidarietà;
   i sindacati, hanno contestato la decisione aziendale, evidenziando anche un comportamento scorretto, proclamato uno sciopero immediato per l'intera giornata del 3 novembre e indetto altre iniziative di mobilitazione tra cui il prossimo 7 novembre con un altro sciopero –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti sopra esposti e quali iniziative, nell'ambito delle sue competenze, intenda assumere per evitare conseguenze drammatiche per tante lavoratrici e lavoratori in una realtà veneziana già colpita da gravi situazioni di crisi industriali e commerciali e se non ritenga necessario convocare un tavolo istituzionale al fine di verificare la possibilità di scongiurare questa chiusura individuando soluzioni in grado di garantire il mantenimento degli attuali livelli occupazionali anche per l'intera area industriale e commerciale veneziana. (3-01825)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO, ZAN, NACCARATO, CRIVELLARI e CAMANI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalla stampa locale, nello specifico «il mattino di Padova» che a causa di una riorganizzazione aziendale la Michelin di Tribano cesserà l'attività entro il 2017;
   i lavoratori coinvolti in questa operazione sono 28 dipendenti della multinazionale, trenta addetti alla logistica della Brio Srl (operativa da diversi anni a Tribano) ed alcuni impiegati di un'altra ditta, la Ceva;
   dall'articolo si evince che «la notizia è arrivata ieri direttamente dalla Michelin attraverso un comunicato in cui annuncia “un piano strategico per migliorare la competitività delle proprie attività in Italia” con un investimento da 180 milioni di euro ma anche la chiusura dello stabilimento di Fossano, tagli ad Alessandria, Torino e Tribano per un totale di 578 dipendenti coinvolti»;
   il magazzino logistico di Tribano è stato aperto nel 1998, e occupa una superficie di 22 mila metri quadrati e conta circa un centinaio tra lavoratori e camionisti, persone impegnate quotidianamente nello stabilimento;
   da qui partono gli pneumatici destinati a tutto il mercato del Nordest, Emilia Romagna e Toscana: oltre tre milioni di pezzi all'anno, ben 86 mila tonnellate, vengono caricati sui camion e distribuiti tutti i giorni;
   nella nota diffusa, la Michelin scrive che «l'azienda assicura la propria disponibilità ad accompagnare ogni persona nella ricerca di una soluzione. In questa logica conferma la volontà di aprire un confronto con le organizzazioni sindacali»;
   nel frattempo Adl Cobas e la Cigl stanno mobilitando i lavoratori al fine di scongiurare la chiusura prevista, attraverso la convocazione immediata di un'assemblea e la proclamazione di uno sciopero nazionale di tutti lavoratori del gruppo Michelin –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente dei preoccupanti fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, al fine di scongiurare la chiusura degli stabilimenti di Fossano, Torino ed, in particolare, di Tribano. (5-06894)


   GRIBAUDO, TARICCO, NARDUOLO, LAVAGNO, GNECCHI, DAMIANO, ALBANELLA, BARUFFI, BOCCUZZI, CASELLATO, CUOMO, DI SALVO, GIACOBBE, INCERTI, PATRIZIA MAESTRI, MARTELLI, MICCOLI, PARIS, GIORGIO PICCOLO, ROSTELLATO, ROTTA, SIMONI, TINAGLI e ZAPPULLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo le linee guida del piano strategico per i prossimi anni annunciato dalla, società Michelin Italiana si profilano, a fronte di ipotizzati investimenti per 180 milioni di euro entro il 2020, ben 578 esuberi di personale, su un totale di 4.300 addetti, distribuiti nelle diverse sedi di Cuneo, Alessandria, Fossano (CN), Torino, Roma e Tribano (PD);
   il principale sacrificio occupazionale dovrebbe riguardare l'impianto di Fossano (CN), con la chiusura totale dello stabilimento e un esubero di 400 lavoratori, ma esuberi per 120 unità su 400 addetti si produrranno anche nell'impianto di Torino, ad Alessandria con 30 esuberi su 810 addetti e a Tribano (PD) con 28 esuberi;
   la società ha chiuso il 2014 con un fatturato di 1,7 miliardi di euro e con una predominante proiezione internazionale, tenuto che già oggi almeno il 90 per cento della produzione è destinata all'estero;
   nonostante tali performance e nonostante l'annunciato piano di investimenti, la società ha annunciato che non vi sarebbero possibilità di ricollocazione interna del personale in esubero, prefigurando indefinite ipotesi di ricollocazione esterna o di ricorso alla cassa integrazione;
   a fronte di tali intenzioni, i lavoratori dello stabilimento di Fossano hanno bloccato per alcune ore il traffico sulla statale 28, in Piemonte, e sono state annunciate ulteriori manifestazioni e mobilitazioni –:
   quali iniziative intendano adottare al fine di scongiurare la perdita occupazionale annunciata dalla società Michelin italiana, a tal fine adoperandosi affinché si attivi, nel più breve tempo possibile, un tavolo di confronto tra l'impresa, le organizzazioni sindacali e le istituzioni locali. (5-06897)


   ZARDINI, CAMANI, CARELLA, CARNEVALI, CIMBRO, COMINELLI, CRIVELLARI, D'INCECCO, DAL MORO, DE MENECH, GINATO, MANFREDI, MANZI, MAURI, MOGNATO, MORETTO, NACCARATO, NARDUOLO, RAMPI, ROTTA, SBROLLINI e SCUVERA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 ottobre 2015 MSD Italia Srl con sede legale a Roma, via Vitorchiano 151, azienda farmaceutica che in Italia è filiale della, multinazionale Merck&Co., con sede in New Jersey (USA) e quotata alla Borsa di New York, comunicava di voler procedere al più presto, e comunque nei termini di legge, al licenziamento collettivo per riduzione di personale per un numero complessivo di 186 lavoratori, annuncio inopportunamente preceduto da due assunzioni esterne in data 7 ottobre 2015;
   questa procedura di mobilità è l'ultima di una lunghissima serie, iniziata nel 2007, che ha portato una delle più grandi multinazionali farmaceutiche al mondo a ridurre la sua presenza in Italia a un mero aspetto commerciale;
   nel corso degli anni sono state via via eliminate le fasi della filiera del farmaco, presenti nel nostro Paese nella loro completezza (stabilimenti di produzione, centri di ricerca, linee di informazione medico scientifica, e altro);
   più precisamente, nel febbraio 2007, MSD avviava la mobilità di 133 lavoratori (informatori medico scientifici ed impiegati); nel novembre dello stesso anno cedeva il ramo d'azienda Linea Corum (144 lavoratori, la maggior parte informatori medico scientifici) ad X-Pharma (in seguito fallita); nel successivo anno 2008 MSD chiudeva lo stabilimento di Baranzate di Bollate (Milano) con 130 lavoratori, vendeva il Centro di Ricerca IRBM di Pomezia (Roma) che occupava 150 lavoratori, poneva 35 lavoratori in mobilità e cedeva il ramo d'azienda delle linee Neopharmed e Gentili (250 informatori medico scientifici) a Mediolanum; nel 2009 l'ex Schering Plough (acquistata da MSD l'anno precedente) metteva 93 lavoratori in mobilità, la MSD 18; nel 2010 l'ex Schering Plough metteva 96 lavoratori in mobilità ed operava la chiusura dello stabilimento di Comazzo (Lodi) che occupava 150 lavoratori, MSD poneva 78 lavoratori in mobilità; nel 2011 l'ex Schering Plough poneva 220 lavoratori in mobilità, MSD dichiarava la mobilità per 180 lavoratori; nel giugno 2013 veniva annunciata la chiusura dello stabilimento di Pavia (che occupava 250 lavoratori e con vendita realizzata nei primi mesi del 2015), sempre nel medesimo anno 2013 MSD dichiarava la mobilità per 206 lavoratori; nel 2014, infine, veniva ceduto il ramo d'azienda Linea Oftalmologica (occupante 35 unità) a Santen;
   questo elenco dà immediatamente il conto del disimpegno di MSD da uno scenario di mercato che rimane, nonostante la manovra finanziaria sul farmaco in Italia, uno dei primi 10 del mondo;
   MSD non è un'azienda in crisi;
   MSD ad avviso degli interroganti, ha, di fatto, massimizzato i guadagni, riducendo in modo drammatico il numero di addetti con elevato tasso di scolarità, senza operare investimenti produttivi sul territorio nazionale. In pratica, a giudizio degli interroganti, un'azienda come MSD, che vive dei proventi di farmaci rimborsati dal servizio sanitario nazionale, ha letteralmente «scaricato» sulla collettività migliaia di lavoratori –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quale sia il piano industriale di MSD Italia Srl, vista la riduzione progressiva e costante degli organici che, di fatto, ha portato una grande azienda multinazionale a passare da migliaia di dipendenti agli attuali 950, ulteriormente diminuiti dai 186 esuberi appena annunciati nella procedura di licenziamento collettivo dell'8 ottobre 2015 (preceduta dall'assunzione, ad avviso degli interroganti irrispettosa, di due esterni addirittura il giorno prima);
   se intendano, nei limiti delle proprie competenze, convocare un tavolo di confronto tra le parti, al fine di salvaguardare i livelli occupazionali, nonché l'incremento in Italia di farmaci ad elevato contenuto tecnologico, come quelli di MSD. (5-06904)


   ALBANELLA e MICCOLI. —Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'importanza dell'attività svolta dai call center, utilizzati sia per le attività di assistenza ai clienti e agli utenti di pubblici servizi, sia per quelle dirette all'acquisizione di nuovi clienti, è aumentata negli ultimi anni, grazie alla possibilità di assicurare contestualmente una molteplicità di servizi, il contenimento dei costi e l'immediatezza dei contatti con i consumatori-utenti;
   dai dati forniti nel 2013 il settore dei call center in outsourcing occupava 43 mila operatori in bound, in calo rispetto ai 45 mila del 2012, a fronte di 33.500 operatori out bound, in flessione rispetto ai 35 mila del 2012. Il 63 per cento dei lavoratori è concentrato nelle aree del Sud, il 37 per cento al Centro Nord. Il 62 per cento degli operatori in bound è rappresentato da donne, l'83 per cento con contratto part time;
   nel 2015, la Camera dei deputati ha concluso un'indagine conoscitiva proprio sul settore dei call center; tra le varie criticità emerse, si è osservato come con il sopraggiungere della crisi, talune imprese abbiano cominciato a spostare parte delle proprie attività in aree nelle quali il costo del lavoro è molto più basso rispetto al nostro paese. È stato inoltre sottolineato che le attività delocalizzate risultano quantificabili in misura pari a circa il 10 per cento del mercato e che la quota trasferita in Paesi che non fanno parte dell'Unione europea ammonta a circa la metà del volume di attività delocalizzate, evidenziando un trend di incremento del fenomeno, con particolare riferimento alle imprese che abbiano beneficiato di incentivi in Italia;
   il legislatore, nel tentativo di affrontare tali problemi emersi nel settore dei call center (delocalizzazioni, uso distorto degli incentivi della legge n. 407 del 1990, tutela della privacy), è intervenuto sulla materia con l'articolo 24-bis del decreto- legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, recante «Misure a sostegno della tutela dei dati personali, della sicurezza nazionale, della concorrenza e dell'occupazione nell'attività svolta da call center»;
   tale norma risulta agli interroganti essere totalmente disattesa tanto dalle società committenti quanto da chi è preposto alla sua osservanza;
   il comma 2 del citato articolo 24-bis, stabilisce che, qualora un'azienda decida di spostare l'attività di call center fuori dal territorio nazionale, debba darne comunicazione, almeno centoventi giorni prima del trasferimento, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali indicando i lavoratori coinvolti, e all'Autorità garante per la protezione dei dati personali, indicando quali misure vengano adottate per il rispetto della legislazione nazionale, in particolare del codice in materia di protezione dei dati personali e del registro delle opposizioni. Analoga informativa deve essere fornita dalle aziende che già operano in Paesi esteri;
   il comma 3 dispone, inoltre, che in attesa di procedere alla ridefinizione del sistema degli incentivi all'occupazione nel settore dei call center, i benefici previsti dall'articolo 8 della legge 29 dicembre 1990, n. 407, in materia di contratti di formazione e lavoro e assunzioni a tempo indeterminato, non possano essere erogati ad aziende che delocalizzano attività in Paesi esteri;
   le disposizioni dei commi 4, 5, e 6 del richiamato articolo 24-bis, inoltre, sono volte a garantire la protezione dei dati personali nei casi di contatto con operatori di call center collocati in Paesi esteri. I cittadini che effettuano una chiamata ad un call center, hanno il diritto ad essere informati preliminarmente sul Paese estero in cui è collocato l'operatore contattato e hanno la facoltà di scegliere che il servizio richiesto sia reso tramite un operatore collocato nel territorio nazionale. Specularmente, in caso di chiamata da parte di un call center, i cittadini devono essere preliminarmente informati sul Paese estero in cui è collocato l'operatore. In caso di mancato rispetto delle disposizioni di cui al presente articolo si stabilisce una sanzione amministrativa pecuniaria di 10 mila euro per ogni giornata di violazione;
   secondo i sindacati, nessun operatore che chiama da altri Paesi, diversamente da quanto prescritto dalla legge, chiede all'utente italiano se accetta o meno una chiamata dall'estero creando così non pochi problemi di privacy e protezione dei dati, visto che in diversi casi l'utente lascia i propri dati personali e gli estremi della carta di credito ad operatori che spesso lavorano in paesi extra Unione europea;
   tale situazione risulta essere non più sostenibile, in quanto a causa delle delocalizzazioni le aziende si trovano a dover fronteggiare migliaia di esuberi strutturali e i lavoratori rischiano quotidianamente di perdere il proprio posto di lavoro –:
   quali siano, fino ad oggi, i dati certi riguardanti le attività di delocalizzazione, gli incentivi sinora riconosciuti, nonché le eventuali sanzioni poste in essere ai sensi del richiamato articolo 24-bis del decreto- legge n. 83 del 2012;
   quali iniziative intendano adottare, nel più breve tempo possibile, al fine di verificare se tali delocalizzazioni siano avvenute nel rispetto della normativa vigente, e se del caso, assicurare, per quanto di competenza, l'applicazione delle relative sanzioni previste dal citato articolo 24-bis;
   se il Governo non intenda, quanto prima, assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a garantire la piena applicazione della normativa vigente in materia di delocalizzazione dei call center, al fine di tutelare i lavoratori di tale settore, con particolare riferimento al rispetto dell'obbligo di comunicazione agli utenti circa la localizzazione territoriale della struttura chiamante. (5-06907)

Interrogazione a risposta scritta:


   MARCON. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Ethiopian Airlines è la compagnia di bandiera dell'Etiopia con 67 anni di attività alle spalle. È uno dei maggiori vettori del continente africano, come testimoniano profitti e utili conseguiti di anno in anno nonché i premi continui che la compagnia riceve da forum dei clienti, esperti di alto livello del settore, e partner internazionali;
   dall'Italia operano voli giornalieri per/da Addis Abeba da Roma e da Milano Malpensa. Tutti i voli hanno coincidenze con le destinazioni nel network di scalo. I collegamenti dagli altri aeroporti italiani sono assicurati sia via Roma che via Francoforte grazie ad accordi con altri vettori, quindi, con una copertura molto ampia della domanda del mercato;
   Ethiopian Airlines oltre a essere parte di Star Alliance ha anche accordi di code share con: Air China, Air India, Asiana Airlines, ASKY Airlines, EgyptAir, Kuwait Airways, Lufthansa, Mozambique Airlines, Oman Air, Rwanda Air, Saudi Arabian Airways, Scandinavian Airlines, Singapore Airlines, South African Airways, Turkish Airlines e molti altri in corso di definizione;
   la Ethiopian Airlines ha in essere anche alleanze strategiche, ad esempio ha contribuito a fondare la ASKY, una compagnia aerea basata a Lomè in Togo di cui detiene una quota proprietaria;
   nonostante un bilancio ampiamente in attivo, l'Ethiopian Airlines Italia ha avviato una procedura di licenziamento collettivo. Dalle notizie emerse sembrerebbe che il licenziamento sia concentrato essenzialmente tra personale italiano. Non c’è alcuna riduzione che concerne l'operativo, anzi un aumento della capacità (e quindi dell'offerta di posti);
   la peculiarità dell'operazione, sulla quale si ritiene opportuna l'attenzione del Ministero, consiste nell'assunzione del costo sociale, com’è la mobilità in cui verranno messi da dicembre i lavoratori, da parte dello Stato italiano, mentre ricavi e benefici ritorneranno all'azienda etiopica. Questo dato appare in contrasto con i principi degli accordi bilaterali recentemente ravvivati dal presidente Renzi, in considerazione della presenza economica italiana in Etiopia –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative urgenti di competenza il Governo intenda adottare alla luce di quanto descritto in premessa, considerata l'enorme contraddizione tra lo sviluppo del mercato del trasporto aereo della compagnia Ethiopian Aerlines in Italia e la gravissima situazione occupazionale che sta interessando i lavoratori italiani e che rappresenta purtroppo un esempio eclatante;
   quali iniziative di competenza intenda assumere per garantire i livelli occupazionali dei lavoratori di Ethiopian Aerlines, e l'applicazione degli accordi bilaterali verso il personale italiano da parte della società, che negli ultimi anni ha avuto bilanci ampiamente in attivo e che non giustificano il disimpegno della stessa compagnia verso i propri lavoratori in Italia;
   come intenda intervenire il Governo, per quanto di competenza, per garantire l'occupazione dei dipendenti di Ethiopian aerlines e per contrastare le dinamiche di cui in premessa. (4-11027)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta orale:


   MASSIMILIANO BERNINI, DELLA VALLE, VIGNAROLI, PETRAROLI, BENEDETTI, L'ABBATE, GAGNARLI e TOFALO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'ape è un insetto pronùbo che svolge un importantissimo ruolo riguardo il mantenimento della bio-diversità vegetale, sia tra le piante coltivate che quelle spontanee;
   il continuo contatto con l'ambiente che caratterizza l'operato delle api che svolgono attività bottinatrice, favorisce l'accumulo all'interno dell'alveare delle sostanze con le quali le api stesse entrano in contatto, rendendo l'alveare una preziosa fonte di informazioni circa la presenza di sostanze inquinanti;
   secondo un recente allarmante rapporto di Greenpeace, in tutta Europa il polline con il quale entrano in contatto le api è altamente inquinato da un «pesante cocktail di pesticidi tossici» tra i quali molti neonicotinoidi;
   alla luce di quanto riscontrato dal nuovo rapporto sulla contaminazione del polline, Greenpeace invita la Commissione europea e i Governi nazionali a vietare completamente l'utilizzo dei pesticidi clothianidin, imidacloprid, thiamethoxam e fipronil, attualmente sottoposti a un divieto temporaneo e a vietare gli altri pesticidi dannosi per api e altri impollinatori (compresi clorpirifos, cipermetrina e deltametrina);
   l'11 febbraio 2014, con primo firmatario deputato Bernini Massimiliano, è stata depositata una proposta di legge A.C. 2069 «concernente la disciplina dell'uso dei fitofarmaci nell'apicoltura» dove si vietano, in qualunque periodo dell'anno, i trattamenti antiparassitari condotti con l'utilizzo di prodotti fitosanitari ed erbicidi a base di neonicotinoidi –:
   se sia al corrente del rapporto pubblicato da Greenpeace e quali misure urgenti siano in programma per ovviare al pericolo ambientale provocato dall'utilizzo dei pesticidi. (3-01820)


   BURTONE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel corso del pomeriggio di sabato 9 maggio 2015 un violentissimo nubifragio si è abbattuto lungo la fascia jonica del metapontino interessando un territorio compreso da Bernalda fino a Policoro e particolarmente colpito è stato il comprensorio di Montalbano Jonico;
   l'evento atmosferico ha inferto un ulteriore durissimo colpo ad un settore, quale quello agricolo, già provato da eventi calamitosi che si sono susseguiti nel corso degli ultimi anni;
   la grandine caduta con inaudita violenza ha colpito alberi, piante e frutti, compromettendo l'intera stagione soprattutto per quanto riguarda colture pregiate;
   è in corso la conta dei danni da parte degli amministratori e della regione Basilicata –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e se non intenda altresì attivarsi per procedere al riconoscimento dello stato di calamità nonché per promuovere adeguate misure di sostegno al comparto agricolo metapontino. (3-01822)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO e OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il quadro giuridico di riferimento per la pesca si inserisce nel più ampio contesto del diritto internazionale, della normativa comunitaria e nazionale, oltre che della legislazione regionale;
   quanto al quadro della programmazione nazionale è necessario garantire la gestione razionale delle risorse biologiche, l'incremento di talune produzioni, la valorizzazione della distribuzione e non ultimo, il miglioramento delle condizioni di lavoro del settore;
   i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori si differenziano da un luogo di lavoro all'altro. Il settore della pesca presenta una serie di rischi eterogenei e particolarmente correlati all'esercizio dell'attività lavorativa svolta;
   secondo l'Agenzia europea per la sicurezza (EU-OSHA) «la pesca è uno dei mestieri più pericolosi. In questo settore il rischio di infortunio è 2,4 volte maggiore della media di tutti i settori industriali dell'UE»;
   per esempio, sulle barche da pesca e in generale sui pescherecci, vi è un'alta percentuale di rischio di scivolare o di cadere anche fuori bordo. Guardando alle condizioni climatiche, è ben noto come i pescatori si trovino spesso a lavorare in condizioni di freddo e in ambienti umidi; sono soggetti per ore a rumori incessanti dovuti alle macchine del motore (soprattutto delle piccole imbarcazioni); sono soggetti ad orari di lavoro notturno e quindi a stress psicofisico;
   svolgere quindi, attività lavorative in condizioni di questo tipo può comportare un abbassamento delle difese immunitarie oltre a disagi di tipo psicologico;
   sono 3 i decreti legislativi ai quali far riferimento quanto si parla di normativa sulla sicurezza sul lavoro per i pescatori e in generale il settore: il decreto legislativo n. 271 del 1999 – «Adeguamento della normativa sulla sicurezza e salute dei lavoratori marittimi a bordo delle navi mercantili da pesca nazionali, a norma della legge 31 dicembre 1998, n. 485», il decreto legislativo n. 272 del 1999 – «Adeguamento della normativa sulla sicurezza e salute dei lavoratori nell'espletamento di operazioni e servizi portuali, nonché di operazioni di manutenzione, riparazione e trasformazione delle navi in ambito portuale, a norma della legge 31 dicembre 1998, n. 485», e decreto legislativo n. 298 del 1999 – «Attuazione della direttiva 93/103/CE relativa alle prescrizioni minime di sicurezza e di salute per il lavoro a bordo delle navi da pesca»;
   il corpo legislativo di riferimento in materia di tutela dei pescatori è costituito dalle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 271 del 1999, nel decreto legislativo n. 298 del 1999, nel decreto legislativo n. 272 del 1999 riguardante la manutenzione in banchina cui si aggiunge, il decreto legislativo n. 81 del 2008, vero e proprio testo unico in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro;
   l'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 81 del 2008 stabilisce che con decreti, da emanare entro trentasei mesi (15 maggio 2011) da a data di entrata in vigore del decreto predetto ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri competenti, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Ministro della salute, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, si provvede a dettare le disposizioni necessarie a consentire il coordinamento con la disciplina recata in materia di salute e sicurezza sul lavoro relative alle attività che si svolgono a terra con la normativa riguardante le attività lavorative a bordo delle navi, di cui al decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 271, in ambito portuale, di cui al decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 272, e per il settore delle navi da pesca, di cui al decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 298;
   la prima stesura del decreto legislativo n. 81 del 2008 prevedeva l'emanazione di tali decreti di coordinamento entro 12 mesi e quindi entro il 15 maggio 2009, scadenza che fu poi posticipata una prima volta al 15 maggio del 2010 dal decreto-legge, 30 dicembre 2008, n. 207 (articolo 32, comma 2-bis e comma 2-ter) convertito con legge 27 febbraio 2009, ed ulteriormente prorogato al 15 maggio 2011 dal decreto-legge 30 dicembre n. 194 (articolo 6 comma 9-quater), convertito dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25;
   a tutt'oggi i decreti di coordinamento non risultano ancora emanato;
   quello della pesca è un settore la cui normativa è da tempo deficitaria, troppo lontana dall'eterogeneità che caratterizza le varie tipologie di imprese operanti nel comparto e dunque di lavoratori, e che da oltre 10 anni attende un adeguamento –:
   se il Ministro interrogato, alla luce dei rischi connessi all'attività in mare, non si intendano urgentemente emanare i decreti di cui all'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 81 del 2008 recante le disposizioni necessarie a consentire il coordinamento tra la disciplina recata in materia di salute e sicurezza sul lavoro relativamente alle attività che si svolgono a terra e la normativa riguardante le attività lavorative a bordo delle navi. (5-06896)

Interrogazioni a risposta scritta:


   L'ABBATE, PARENTELA, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI e GALLINELLA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   al fine di garantire la trasparenza nelle relazioni contrattuali tra gli operatori di mercato e nella formazione dei prezzi, il decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, convertito con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2015, n. 91, istituisce le commissioni uniche nazionali (Cun) per le filiere maggiormente rappresentative del sistema agricolo-alimentare italiano;
   la determinazione da parte delle Cun di quotazioni di prezzo che gli operatori commerciali possono adottare come riferimento nei contratti di compravendita e di cessione stipulati ai sensi delle disposizioni vigenti, segna un decisivo cambio di passo nelle relazioni contrattuali che si svolgono all'interno delle filiere agricole, anche in linea con gli orientamenti europei in materia di organizzazione comune dei mercati;
   è noto infatti che, attualmente, i prezzi, determinati dalle, Borse merci provinciali, non sempre rispecchiano quotazioni di riferimento univoche, trasparenti e rappresentative, e lungi dal risultare da una reale contrattazione interprofessionale, sono spesso il risultato di meccanismi di cartello con gravi restrizioni alla libera concorrenza;
   la legge 2 luglio 2015, n. 91, assegna ad un decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, l'adozione di disposizioni di dettaglio concernenti l'istituzione e il funzionamento delle Cun;
   il suddetto decreto, secondo quanto disposto dall'articolo 6-bis del provvedimento sopracitato, avrebbe dovuto essere adottato entro novanta giorni decorrenti dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, ma ad oggi, non risulta ancora emanato –:
   quali siano le motivazioni alla base del ritardo nell'adozione del decreto di cui all'articolo 6-bis, comma 1, del decreto leggi 5 maggio 2015, n. 51, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2015, n. 91, e se non si intenda provvedere con urgenza al fine di consentire l'istituzione delle commissioni uniche nazionali per le filiere maggiormente rappresentative del comparto agro-alimentare. (4-11000)


   PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il regolamento (CEE) n. 2568/91 (2) della Commissione definisce le caratteristiche fisico-chimiche e organolettiche degli oli di oliva e degli oli di sansa di oliva e stabilisce i metodi di valutazione di tali caratteristiche. Tali metodi e valori limite relativi alle caratteristiche degli oli vengono aggiornati periodicamente sulla base del parere degli esperti chimici e conformemente all'attività svolta in sede di Consiglio oleicolo internazionale (COI);
   il metodo di rilevazione della presenza di oli vegetali estranei negli oli di oliva di cui all'allegato XX-bis del regolamento (CEE) n. 2568/91 non è più utilizzato;
   il, regolamento delegato (UE) 2015/1830 della Commissione dell'8 luglio 2015 ha modificato il regolamento (CEE) 2568/911 con l'intento di garantire l'applicazione a livello dell'Unione europea delle più recenti norme internazionali stabilite dal COI;
   nel succitato regolamento, all'allegato I relativo alle «caratteristiche degli oli di oliva», vengono indicati i limiti sulla composizione degli acidi grassi, stabiliti con l'intento di impedire le sofisticazioni dell'olio extra vergine con altri oli vegetali;
   non di rado capita che l'olio ottenuto dalle olive prodotte dalle aziende agricole nazionali, una volta analizzato, presenti valori non conformi all'allegato I. Se l'olio non rispetta tali condizioni non può essere considerato olio d'oliva, se viene invece, miscelato, non può essere venduto come olio cosiddetto «tracciato»;
   quanto sinora asserito è riscontrabile, ad esempio, per gli oli calabresi delle cultivar maggiori come la Carolea che non possono essere imbottigliati e venduti come olio «tracciato» poiché la normativa vigente stabilisce limiti per l'acido eptadecenoico inferiori a 0,30 punti percentuali. Resta incomprensibile, a parere dell'interrogante, fissare limiti per l'acido eptadecenoico, lì dove un superamento degli stessi non sarebbe interpretabile come un tentativo di sofisticazione non essendo presente, il suddetto acido, in oli vegetali miscibili con gli oli extra vergine –:
   se non ritenga che le analisi sulla composizione in acidi grassi ed i parametri di conformità stabiliti dal Consiglio oleicolo internazionale, contenuti all'interno del regolamento delegato (UE) 2015/1830 della Commissione dell'8 luglio 2015, vadano ad impattare negativamente sulla già precaria economia delle aziende agricole italiane, che hanno volontariamente scelto l'assoggettamento ad un sistema di certificazione di qualità dei prodotti la cosiddetta «tracciabilità» e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo. (4-11002)


   PRODANI, ARTINI, RIZZETTO, MUCCI, BARBANTI, BALDASSARRE, BECHIS, TURCO e SEGONI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il Terrano è un vino prodotto dagli omonimi vitigni tipici coltivati sui terreni del Carso triestino e di quello sloveno;
   nel «Disciplinare di produzione della denominazione di origine controllata dei vini «Carso» o «Carso-Kras», per il Terrano Classico DOC vengono indicate specificamente le aree di produzione; all'articolo 3, comma 3 si legge: «La zona di produzione delle uve atte alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata «Carso» o «Carso — Kras» Terrano Classico» comprende in tutto o in parte i territori amministrativi dei comuni di Trieste, Duino-Aurisina, Monrupino e Sgonico in provincia di Trieste»;
   da articoli di stampa del 10 e dell'11 ottobre 2015, pubblicati dal quotidiano Il Piccolo, si apprende che, in sede europea, la Slovenia abbia fatto valere la sua DOP (Denominazione di Origine Protetta) «Teran» e che, per tale motivo, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, abbia inviato una missiva, firmata dal funzionario Emilio Gatto, con la quale viene invitato il Consorzio «DOC CARSO» ad individuare una denominazione alternativa a «Terrano» per il vino prodotto sul territorio triestino; con la stessa comunicazione è stata informata anche la regione Friuli Venezia Giulia;
   la lettera del Ministero comunica, in base all'articolo 100, paragrafo 3, del Registro dell'Unione europea, che, in presenza di una DOP «Teran», «(...) l'Italia non può legittimamente prevedere che il vitigno «Terrano» possa essere utilizzato per qualificare taluni vini Dop o Igp (indicazione geografica protetta)» e «(...) al fine di prevenire eventuali contestazioni da parte della Commissione Ue, la Regione è invitata a consultare i produttori interessati e il loro Consorzio, in modo da consentire agli stessi produttori di effettuare la scelta più appropriata per sosti- tuire il nome del vitigno «Terrano» per le relative tipologie di vino»;
   si apprende che la Slovenia abbia avviato nel 2004, in sede europea, le procedure per il riconoscimento della DOP «Teran» allo scopo di tutelare la propria produzione da quella croata;
   a seguito della comunicazione del Ministero, come riportato dal quotidiano Il Piccolo, Edi Bukavec, segretario dell'Associazione Agricoltori Kmecka Zveza, a cui risultano iscritti la maggior parte dei viticoltori della provincia di Trieste, afferma che, a livello europeo, è tutelata solamente la DOC Carso che comprende anche il Terrano, ma non la specifica denominazione in senso stretto. La DOP slovena, dunque, porrebbe un serio problema per i produttori italiani. Bukavec conferma che, comunque, i viticoltori italiani e sloveni da tempo sono all'opera per attribuire la stessa denominazione al vino prodotto sia in Italia che in Slovenia;
   difatti, già in un articolo del 2014, pubblicato dal quotidiano il Piccolo, veniva riportata la dichiarazione del Signor Beniamin Zidarich, al tempo Presidente dell'associazione viticoltori del Carso, rilasciata in occasione dell'evento «Mare e Vitoska», in cui affermava che i produttori italiani e sloveni stessero lavorando alla creazione di una DOC nuova per il Terrano prodotto nelle zone a cavallo del confine tra i due paesi;
   secondo quanto riportato dalla stampa nei giorni scorsi (Il Piccolo del 10 ottobre 2015), emergerebbe che i produttori italiani e sloveni siano concordi nel perseguire l'istituzione di una DOC Transfrontaliera per il Terrano e per avviare il procedimento relativo al riconoscimento della denominazione;
   il presidente della Coldiretti regionale, Dario Ermacora, avrebbe espresso le proprie preoccupazioni asserendo che, in caso di esistenza di una dop per il Teran, si correrebbe il rischio di perdere la denominazione Terrano come avvenuto in passato per il Tocai;
   secondo l'articolo del 14 ottobre 2015, pubblicato dal quotidiano Il Piccolo, il Ministro interrogato avrebbe promesso il proprio sostegno alla richiesta presentata dalla Regione Friuli Venezia Giulia per l'istituzione di una DOC transfrontaliera;
   in un articolo del 16 ottobre 2015, pubblicato dal quotidiano Il Piccolo, Silvia Bolognini, professore associato di diritto agrario, docente di diritto agro-alimentare e di diritto agrario europeo del dipartimento di scienze giuridiche dell'Università di Udine, consultata sulla questione, ha espresso il proprio parere in merito alla richiesta slovena di denominazione «Teran», ritenendola legittima dal punto di vista giuridico;
   il 31 ottobre 2015, il quotidiano Il Piccolo informa dell'invio, da parte dei produttori e con il supporto delle principali associazioni di categoria, di una lettera indirizzata alla Regione Friuli Venezia Giulia con la quale si richiede di portare a termine il progetto della Doc transfrontaliera, apparentemente frenato dall'iniziativa del Governo sloveno. La proposta prevedrebbe un percorso di confronto che, partendo dai consorzi italiano e sloveno, coinvolgerebbe i Ministeri dei due Paesi nello studio di un disciplinare comune;
   in una intervista pubblicata su Il Piccolo del 3 novembre 2015, il Ministro Martina annuncia di aver inviato una missiva all'omologo Ministro sloveno Dejan Židan, oltre alla notizia che è stato programmato per venerdì 6 novembre 2015 un vertice a Lubiana tra il segretario di Stato del ministero sloveno dell'agricoltura Tanja Strniša e l'ambasciatore d'Italia a Lubiana Rossella Franchini Sherifis –:
   se e quali iniziative, di concerto con la Regione Friuli Venezia Giulia ed i produttori locali, abbia intrapreso e abbia in programma di assumere nelle sedi opportune;
   se intenda chiarire quale valore si debba attribuire alla comunicazione pervenuta dal Ministero con la quale veniva invitato il Consorzio «DOC CARSO» ad individuare una denominazione alternativa a «Terrano» per il vino prodotto sul territorio triestino;
   quali iniziative abbia assunto per verificare la percorribilità della denominazione transfrontaliera che unisca i produttori italiani e sloveni di Terrano;
   se intenda confermare l'impegno di sostenere, in sede europea, la creazione di una DOC transfrontaliera, quali siano i tempi previsti per l'inizio dell’iter per il suo riconoscimento e se ritenga opportuno fornire informazioni relative al procedimento di approvazione. (4-11013)

SALUTE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   nel 2014 la Corte Europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, adita da migliaia di danneggiati italiani da emotrasfusioni o emoderivati infetti ha «incalzato» lo Stato Italiano affinché prevedesse delle forme di risarcimento, in considerazione del fatto che la procedura transattiva è bloccata da anni;
   nell'estate 2014 è stato approvato l'articolo 27-bis, inserito nel decreto-legge 90 del 2014 convertito dalla legge n. 114 del 2014 che prevede un’«equa riparazione» (così definita sulla scorta della terminologia europea) di 100 mila euro per tutti coloro che hanno fatto domanda di accesso alla transazione (con nesso causale, ascrivibilità e ricevibilità dell'istanza);
   tale somma è considerata inadeguata e, in certi casi, irrisoria per le tante vittime e per gli eredi delle persone decedute a causa delle trasfusioni o dell'assunzione dei farmaci salvavita infetti;
   viene posta la condizione che, accettando tale somma, il danneggiato rinunci a proseguire o intraprendere azioni legali;
   a seguito dell'entrata in vigore del decreto n. 90 del 2014 il Ministero della salute ha iniziato ad inviare lettere ai 7000 malati, lettere che dal tenore e dalle parole usate appaiono come vere e proprie proposte (anche perché mandate direttamente ai danneggiati e non ai loro legali) che quindi si perfezionerebbero con l'accettazione della parte;
   i primi a essere interpellati sono gli eredi dei deceduti: molti di loro accettano, rispediscono i moduli compilati, con firme autenticate, con l'indicazione del codice iban, seguendo le istruzioni del Ministero della salute;
   qualche mese fa il Ministero ha bloccato i pagamenti agli eredi che hanno agito per il risarcimento del danno da loro stessi subito (iure proprio), sostenendo che la legge si riferisce solo agli eredi che agiscono per il risarcimento del danno subito dal congiunto quando era ancora in vita e che loro hanno ereditato (iure hereditatis);
   secondo tale argomentazione quindi i danneggiati da sangue infetto, per il Ministero della salute, sono solo coloro che sono stati infettati, non i loro familiari: vedersi morire un figlio o un papà o un marito non rappresenterebbe un danno risarcibile con l’«equa riparazione»;
   il Ministero della salute, in un incontro avuto con le associazioni dei danneggiati, ha riferito di aver avviato un progetto di ristrutturazione interna volto all'arruolamento di personale, ora ridotto a poche unità, per poter lavorare più velocemente le pratiche per quanto riguarda equa riparazione, iter transattivo e pagamento degli importi riconosciuti dalle sentenze –:
   come stia procedendo l’iter avviato ai sensi dell'articolo 27-bis del decreto-legge n. 90 del 2014 e quale sia ad oggi, quindi, il numero esatto delle lettere inviate ai danneggiati, il numero di risposte ricevute dal Ministero e il numero dei soggetti cui è stato effettivamente pagata l'equa riparazione;
   se le somme necessarie al pagamento di tutti gli assegni a titolo di equa riparazione siano concretamente presenti nel capitolo di bilancio del Ministero;
   quale sia il numero degli eredi che hanno agito iure proprio e che si vedrebbero rigettare la richiesta di pagamento, nonostante abbiano prima ricevuto la lettera dal Ministero con la proposta di accettazione dell'equa riparazione;
   se non ritenga necessario e doveroso assumere immediatamente iniziative per definire una norma di interpretazione autentica che chiarisca in maniera inequivocabile che tutti gli eredi, anche coloro che hanno agito solo iure proprio, possono accedere all'equa riparazione.
(2-01153) «Lorefice, Di Vita, Baroni, Mantero, Colonnese, Grillo, Silvia Giordano».

Interrogazione a risposta orale:


   DALL'OSSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le malattie mitocondriali sono un insieme di malattie genetiche rare che colpiscono 1 persona su 5.000 e secondo alcune stime, prese nel complesso, le malattie mitocondriali colpiscono il gruppo più numeroso di pazienti rari in Italia;
   nonostante la loro diffusione tra la popolazione, queste malattie sono in realtà ancora molto poco conosciute alla stessa comunità medica, poiché si presentano sotto diverse e mutevoli forme, con esordi sia in età giovanissima o perinatale che in età adulta e con sintomi molto diversi e con diversi livelli di gravità pur tuttavia, le sindromi che colpiscono i bambini sono quelle più gravi e maggiormente invalidanti;
   come per tutte le malattie rare, anche per le malattie mitocondriali il maggior ostacolo alla corretta gestione delle patologie è la diffusione delle informazioni e la preparazione clinica adeguata;
   ad Ancona, all'ospedale Pediatrico Salesi, recentemente un bambino di 11 anni, malato mitocondriale grave, ma che, grazie alla costante attenzione e premura dei genitori, era riuscito ad avere una vita tranquilla e serena, si è dovuto arrendere nella battaglia più importante della sua vita, davanti a quella che appare all'interrogante l'incompetenza del sistema sanitario regionale nel trattare il caso specifico, considerato anche che la gestione delle malattie rare prevede che in ogni regione ci siano dei centri di riferimento per ciascuna patologia rara;
   per la rarità delle malattie rare, non si può e non si deve pensare che ogni regione possa avere centri di riferimento con personale sanitario effettivamente competente, perché è difficilmente verosimile come palesato dall'esempio europeo;
   i malati rari in quanto tali per essere assistiti dovrebbero godere di un vero centro di competenze; la diagnosi e la cura dei pazienti devono essere concentrate in pochi centri di carattere nazionale al fine di non disperdere, di non duplicare, di non sprecare tantissime risorse, ma, al contrario di concentrare i saperi e le risorse per permettere, ai medici ed ai ricercatori, di essere più efficaci ed efficienti nella ricerca di nuove e migliori terapie e modalità di gestione dei pazienti e delle patologie rare e, ai pazienti, di avere dei servizi che possano essere all'altezza dei bisogni, che in casi come quello qui richiamato, sono bisogni vitali –:
   su quali economie e razionalizzazioni della spesa pubblica si fondi la scelta di lasciare che ogni regione sviluppi e promuova un centro di riferimento per ciascuna delle patologie definite rare;
   se il Governo intenda valutare l'opportunità di promuovere l'organizzazione, per le malattie rare, di poli nazionali di specializzazione, ricerca e cura, a cui fare riferimento per la diagnosi e per la consulenza immediata nella gestione a distanza dei casi di emergenza, come si è ad esempio fatto per il trattamento e la gestione dei grandi ustionati, che in caso di emergenza sono subito trasferiti presso il centro di riferimento;
   se il Governo sia a conoscenza del caso citato e se intenda assumere ogni iniziativa di competenza al fine di ricercare le cause dell'accaduto. (3-01823)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALIANTE e LENZI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la legge 30 ottobre 2014, n. 161, recante «disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea» (legge europea 2013-bis), ha recepito le disposizioni dell'Unione Europea (direttiva 2003/88/CE del 4 novembre 2003) in materia di ruolo sanitario finalizzate ad evitare eccessi lavorativi prolungati e a garantire la funzione dei riposi nei modi e nei limiti previsti per gli altri lavoratori. Tale legge, all'articolo 14 comma 1, sancisce esplicitamente che: «decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono abrogati il comma 13 dell'articolo 41 del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112 convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008 n. 133 e il comma 6-bis dell'articolo 17 del decreto legislativo 8 aprile 2003 n. 66». La direttiva 2003/88/Ce, così come alcune sentenze della Corte di giustizia europea, precisa che, essendo la stessa direttiva vigente in tutti i Paesi dell'Unione, si prevede l'automatico adeguamento nel corpo delle leggi di ciascuno Stato, indipendentemente dall'atto formale di recepimento, risultando così inefficaci le leggi dello Stato pregresse e soprattutto successive che ne ostacolino, in qualsiasi modo, la corretta applicazione. Considerando che il provvedimento è entrato in vigore il 25 novembre 2014, i dodici mesi transitori per il riallineamento ufficiale alla normativa europea e la consequenziale abrogazione delle disposizioni nazionali illegittime scadrebbero il giorno 25 novembre 2015, data dalla quale tutte le amministrazioni saranno obbligate a garantire direttamente e immediatamente ogni tutela prevista ai lavoratori del comparto sanitario. Le norme che regolamentano l'orario di lavoro e la durata minima dei riposi sono state, da sempre, un argomento molto dibattuto specialmente per il peggioramento delle condizioni legato al cosiddetto «blocco del turn over», per i risvolti che si generano in campo organizzativo e per le potenziali conseguenze sui risultati professionali, sulla salute del lavoratore e su quella dei pazienti. Proprio alla luce di tali considerazioni, specialmente nelle regioni la cui sanità è commissariata, l'applicazione puntuale delle nuove regole in presenza di «blocco da turn-over», per la mancanza di concorsi da oramai diversi anni, verosimilmente comporterebbe un blocco dell'attività di molti reparti ospedalieri il cui spesso scarso personale, proprio ricorrendo a turni straordinari, riesce a garantire la continuità delle prestazioni medico chirurgiche e che, ritrovandosi ad osservare riposi ed interruzioni di attività, determinerebbe una paralisi della regolare attività medico chirurgica con consequenziale chiusura di diversi reparti ospedalieri soprattutto in quelle zone già fortemente penalizzate –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per scongiurare, in seguito all'entrata in vigore delle nuove norme il 25 novembre 2015, la paventata paralisi dell'attività sanitaria di molti nosocomi con relativo enorme danno alla collettività o, in alternativa, quali iniziative intenda porre in essere per modificare il regime del blocco del turn-over garantendo così un opportuno supporto mediante assunzione di nuovo personale.
(5-06899)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NESCI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con decreto n. 77 del primo giugno 2012 del presidente della giunta regionale della Calabria in qualità di commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario, è stato approvato il protocollo d'intesa tra la regione Calabria e l'università degli studi «La Sapienza» di Roma concernente l'attivazione, nelle aziende sanitarie provinciali e ospedaliere del servizio sanitario regionale, dei corsi di laurea delle professioni sanitarie – obiettivo PdR: G031s11;
   la mancata sottoscrizione da parte del dirigente generale del dipartimento regionale di competenza, a ciò obbligato dallo stesso decreto n. 77/2012, ha costretto di fatto il precedente commissario ad acta, Scopelliti, a emanare un nuovo decreto – n. 48 del 16 Aprile 2013 – con il quale è stato trasferito in capo al commissario ad acta il compito, per la regione, della sottoscrizione del protocollo;
   tale decreto ha incontrato la contrarietà dell'università di Catanzaro, che giungeva addirittura a presentare ricorso al giudice amministrativo, che dichiarava inammissibile il ricorso stesso; 
   le sedi per lo svolgimento delle attività didattiche dei corsi di laurea di cui al suddetto protocollo sono l'università «La Sapienza» di Roma e l'Asp e l'azienda ospedaliera di Cosenza;
   in sede di prima applicazione i corsi di laurea delle professioni sanitarie sono individuati in classe SNT/1 CdL infermieristiche (Cosenza 20 posti), e classe SNT/4 CdL tecniche della prevenzione (Cosenza 10 posti);
   per gli anni a seguire il numero degli studenti da accogliere avrebbe dovuto essere concordato e programmato annualmente, in relazione alla capacità di ricezione delle strutture disponibili;
   l'adozione del su citato protocollo offriva la possibilità agli studenti calabresi iscritti all'ateneo romano di frequentare e ultimare i medesimi studi, compresa la fase pratica e di tirocinio, direttamente in Calabria, sì da radicare in loco le eventuali basi di un futuro lavorativo;
   il precedente presidente della giunta regionale della Calabria in qualità di commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario, pur avendo portato in capo alla sua persona il compito della sottoscrizione, non ha inteso siglare il protocollo d'intesa;
   a parere dell'interrogante l'inerzia e nello specifico, l'evidente mancanza di volontà politica del precedente presidente e commissario ad acta ha dunque inciso nella credibilità delle istituzioni regionali e colpito l'interesse pubblico, vista la crescente domanda di formazione di personale parasanitario;
   la riferita inerzia continua anche da parte dell'odierno commissario ad acta, senza obiezioni da parte dell'attuale, presidente della regione –:
   quali iniziative di competenza intendano adottare per agevolare l'adozione del protocollo d'intesa in argomento. (4-10995)


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, DI VITA, MANTERO, GRILLO, COLONNESE, BARONI e DALL'OSSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la joëlette è una speciale sedia a rotelle per disabili da fuori strada, che consente anche ai non deambulanti, cui la montagna dal vivo è normalmente preclusa, di partecipare alle escursioni. La carrozzina ha una sola ruota, con sospensione e freno, ed è condotta abitualmente da due accompagnatori mediante appositi bracci sul davanti e sul dietro. Può andare su tutti i sentieri, anche scoscesi e inclinati;
   un simile ausilio è stato dimostrato essere importantissimo e molto utile ai fini dell'inclusione sociale della persona disabile. Una gita in montagna ad esempio può regalare alle persone emozioni difficili da descrivere e che possono sicuramente migliorare la loro salute psico-fisica: panorami, aria frizzante e silenzio;
   utilizzata in Francia già dal 1987, adesso anche in Italia si sta diffondendo l'utilizzo di queste «carrozzine fuoristrada» che permettono di scalare le montagne anche a chi non può camminare;
   le spese per l'acquisto di questo presidio non sono a carico del SSN, e per questo motivo sono pochissime le associazioni che possono permettersi il suo acquisto al costo di qualche migliaio di euro;
   per una asl o un comune un acquisto del genere rappresenterebbe una spesa una tantum il cui beneficio verrebbe tratto da tutte le persone disabili che ne facessero richiesta –:
   se si a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga opportuno intraprendere le iniziative di competenza al fine di inserire l'acquisto di questa tipologia di carrozzina nei livelli essenziali di assistenza. (4-11006)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   con la legge n. 41 del 22 marzo 2010 sono state introdotte misure urgenti per garantire la sicurezza dell'approvvigionamento di energia elettrica in Sicilia e in Sardegna per il triennio 2010-2012 per quantità massime di 500MW per la Sardegna e 500MW per la Sicilia;
   in seguito, il Governo italiano ha fatto richiesta di proroga delle misure per il triennio 2013-2015. La Commissione europea ha ritenuto che il regime di compensazione per la fornitura di servizi d'interrompibilità istantanea nelle isole, ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 1, TFUE, non costituisce aiuto di Stato e ha confermato le proprie valutazioni in merito;
   recentemente il Governo ha inviato una nota presso la Commissione europea per una seconda proroga. Le due isole, a causa della loro insularità, stanno attraversano gravi problemi di energia dovuti dagli elevati costi di approvvigionamento. Qualora tali richieste non dovessero essere prorogate si avrebbero serie e importanti ripercussioni sia produttive che occupazionali;
   nell'ottobre 2012, con delibera 400/12, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) ha definito unità essenziali al sistema elettrico nazionale la centrale termoelettrica di Ottana Energia, la centrale di E.on Fiume Santo e quella di Enel Sulcis;
   il progetto del Galsi su cui si basava la conversione della centrale termoelettrica di Ottana è stato di fatto congelato, e la giunta regionale della Sardegna non ha potuto che adeguarsi, uscendo dalla compagnia sociale di Galsi;
   rispondendo all'interrogazione a risposta scritta n. 4-05841, a firma Capelli, presentata il 7 agosto 2014, il Vice Ministro De Vincenti l'8 aprile 2015 al riguardo affermava: «Un ulteriore rinvio della decisione di investimento da parte dell'azionista di maggioranza algerino della società Galsi, è il segnale che il ritardo della realizzazione del progetto Galsi e quindi della metanizzazione dell'isola, è da imputarsi alla crisi del mercato energetico che non favorisce e non sostiene tale investimento. Tuttavia il Ministero nell'ottica del citato progetto di metanizzazione si è attivata, su richiesta della regione, promuovendo e supportando degli incontri con la regione medesima, la società Galsi e la società Snam Rete Gas, al fine di individuare soluzioni alternative progettuali relative alla metanizzazione dell'isola»;
   è apprezzabile l'impegno del Governo ma certamente non sufficiente per sanare una situazione che nel corso del tempo è divenuta sempre più complessa;
   nel suo «Rapporto annuale in materia di monitoraggio dei mercati elettrici a pronti, a termine e dei servizi di dispacciamento. Consuntivo 2013», si osservava, infatti, che i prezzi medi su MSD (Mercato dei Servizi di Dispacciamento) nel corso del 2013 avevano fatto registrare un differenziale tra prezzi a salire e prezzi a scendere pari ad un incremento del 13 per cento per quel che riguardava il continente, mentre si riduceva sulle isole;
   in particolare, il succitato rapporto osservava che «In Sardegna la riduzione è stata del 90 per cento a seguito dell'inserimento di Ottana Energia nella lista degli impianti essenziali per la fornitura di Riserva Secondaria»;
   si trattava di un risultato importante, raggiunto proprio grazie all'inserimento di Ottana Energia nelle liste degli impianti essenziali;
   nel febbraio 2014 la regione Sardegna varava il «Piano Energetico ed Ambientale della regione Sardegna» nel quale per la centrale di Ottana era prevista una riconversione a metano «con la finalità del servizio ancillare alla rete»;
   nello stesso documento si legge, inoltre, che «In particolare la regione si pone l'obiettivo nell'ambito delle azioni interne ai distretti energetici di promuovere contestualmente con il territorio, le azioni consentite per una riconversione a metano entro il 2020 della suddetta centrale cogenerativa per il superamento dell'attuale configurazione ad olio combustibile. La regione si impegna pertanto a porre in essere in sinergia con gli enti locali interessati e lo Stato quanto necessario per raggiungere tale obiettivo»;
   la mancanza di una fornitura di gas naturale ha condizionato negativamente tutto il sistema energetico regionale, vincolando l'avvio della realizzazione della rete di trasmissione interna ed esterna, rendendo potenzialmente inefficace, in quanto non remunerativo, l'utilizzo delle reti urbane o comprensoriali di distribuzione del gas, in quanto non collegate tra loro in un'unica rete;
   dopo il ricordato congelamento del progetto Galsi, la regione Sardegna, con ordine del giorno n. 5 del 27 maggio 2014, approvava un testo volto a richiedere al Governo «l'attivazione delle disponibilità finanziarie occorrenti per il mantenimento dei regimi di essenzialità energetica attualmente vigenti in Sardegna, nonché per la perequazione, nelle more del compimento del processo di metanizzazione, dei maggiori costi energetici gravanti sulle famiglie e sulle imprese della Sardegna»;
   invece, il decreto-legge n. 90 del 2014 – «Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari», convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114 del 2014, invece garantiva il sistema di essenzialità delle centrali elettriche siciliane sopra i 50 mega watt, disponendo contestualmente la cancellazione della macro-zona Sardegna-Sicilia;
   due decisioni che, unite, al blocco del progetto Galsi, hanno suscitato gravi preoccupazioni in Sardegna per una assolutamente prevedibile crisi di tutto il sistema della produzione energetica sarda;
   al riguardo, fu presentato un ordine del giorno, a prima firma Capelli, (n. 9-02568-Ar/002), accolto dal Governo, nel quale si chiedeva di valutare gli effetti applicativi delle decisioni prese, in modo da prendere iniziative per sanare «questo vero e proprio vulnus inferto a tutto il sistema energetico sardo» con la cancellazione del sistema di essenzialità;
   sempre a prima firma Capelli, come detto, era stata presentata un'interrogazione a risposta scritta (n. 4-05841), che ha avuto risposta 1'8 aprile 2015 da parte dell'allora sottosegretario per lo sviluppo economico De Vincenti;
   nella risposta del Governo, inoltre, si legge tra l'altro "Nel merito, si fa presente che, secondo i dati del Gestore dei mercati energetici, il valore medio del prezzo dell'energia sul mercato del giorno prima (Mgp) nel 2013 in Sardegna si è attestato al valore di 61,52 euro/MWh, addirittura inferiore al valore del prezzo unico nazionale (Pun), il cui valore è stato 62,99 euro MWh. Occorre precisare che il prezzo dell'energia elettrica in Sardegna si è allineato al Pun solo negli ultimi due anni, infatti fino al 2011 si attestava su valori di circa 1015 euro superiori ai valori del Pun; a tal riguardo è di rilievo il ruolo del cavo Sapei, entrato in servizio nel 2012 e che ha contribuito ad allineare il prezzo della Sardegna a quello delle altre zone continentali. Discorso completamente diverso per la Sicilia, dove il mancato completamento del cavo Sorgente-Rizziconi ha lasciato immutate le condizioni che hanno determinato un prezzo medio annuo ben più elevato, che nel 2013 è stato di 92,00 euro/MWh, quindi superiore di quasi 30 euro al prezzo sardo. Si segnala, inoltre, che anche nel 2014 la Sardegna ha avuto prezzi allineati al resto delle zone continentali mentre la Sicilia si è attestata su prezzi superiori di circa 30 euro, tra cui spicca il dato di agosto 2014, quando nell'Isola è stato rilevato un prezzo di ben 102,15 euro MWh a fronte di un Pun a 47,17 euro/MWh. I dati appena mostrati sono utili a far evidenziare le motivazioni che hanno portato il Governo ad intervenire per cercare di contenere i prezzi dell'energia in Sicilia, ed a tal proposito si rileva il dato del mese di gennaio 2015 quando, proprio grazie alla norma citata, il gap di prezzo tra la Sicilia ed il resto delle zone si è ridotto a poco più di 10 euro/MWh. Il regime di essenzialità per gli impianti siciliani è quindi un modo che ha l'effetto di ridurre il prezzo zonale dell'energia nell'Isola, e quindi il prezzo pagato ai produttori, ma di conseguenza produce una diminuzione del prezzo sul fronte della domanda (Pun) a livello nazionale (...).prezzi continentali, ricaverà un evidente beneficio da tale norma (diminuzione del Pun). Sul fronte dell'offerta, invece, il provvedimento appare neutro nei confronti dei produttori in Sardegna, il cui prezzo zonale è ormai allineato a quello delle altre zone grazie al Sapei, appare quindi neutra per i produttori sardi anche la decisione di eliminare le macro zone Insulari»;
   appare apprezzabile la risposta, documentata, ma che non sembra cogliere i rischi che la scelta del Governo ha, invece, causato a tutto il settore della produzione di energia in Sardegna;
   con delibera dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico n. 500 del 16 ottobre 2014, la centrale di Ottana energia, così come le altre sarde dichiarate essenziali, hanno visto una proroga di tale modalità di esercizio sino all'aprile 2015, e successivamente sino al dicembre 2015;
   fonti di stampa (in particolare Il Sole 24 ore del 23 ottobre 2014) informano che gli impianti E. On Fiume Santo ed Enel Sulcis figurano tra gli impianti in possibile chiusura;
   tale possibilità potrebbe causare la perdita di interesse da parte delle grandi multinazionali per la riattivazione di grosse industrie energivore sarde, quali Alcoa;
   la chiusura di tutto il sistema della produzione energetica in Sardegna porterebbe la regione ad essere del tutto priva di impianti produttivi di potenza programmabile;
   lo stato di declino dei grandi poli industriali del Sulcis, di Porto Torres e di Ottana sono da addebitare in gran parte al deficit strutturale dell'approvvigionamento energetico, così come la diminuita competitività dell'industria ancora presente;
   inoltre, tale assetto produttivo non garantirebbe la sicurezza del sistema elettrico sardo, e comporterebbe la perdita occupativa diretta di circa 800 addetti, più indotto;
   il 2 ottobre 2015 la giunta regionale della Sardegna ha approvato la delibera 48/2013 in cui vengono approvate le linee guida del Piano Energetico Ambientale Regionale, nel quale tra l'altro si legge che «Per la metanizzazione della Sardegna l'Assessore ricorda che, a seguito dell'accantonamento del progetto GALSI, il tema ha assunto una rilevanza tale che implica un focus specifico nel PEARS con la possibilità, da valutare in sede di predisposizione dell'aggiornamento della proposta tecnica, di affrontare gli aspetti di dettaglio da un punto di vista tecnico e amministrativo attraverso la predisposizione di un piano attuativo dedicato. Tale impostazione metodologica è supportata anche dagli esiti del confronto in corso con il Governo sulle modalità di approvvigionamento di gas naturale per l'isola, nel quadro della strategia nazionale GNL»;
   risulta, che l'estensione del regime di essenzialità alle centrali siciliane di potenza superiore ai 50 mega watt dovrebbe essere esteso a tutto il primo semestre 2016;
   la cosiddetta «interrompibilità» nei fatti è il riconoscimento di un rischio energetico per le imprese sarde energivore che potrebbe essere cancellato a fine 2015;
   se fosse così, le stesse imprese – sono 19 in Sardegna – non avrebbero più i 51 milioni e mezzo di euro ottenuti finora e pagherebbero l'energia elettrica il 30 per cento in più, mettendo a fortissimo rischio, come osserva anche Confindustria, un sistema che vale 4 mila buste paghe e fattura un miliardo e mezzo, quello manifatturiero;
   l'indennizzo per l'interrompibilità è, come detto, riconosciuto a 19 aziende sarde, analogamente a quanto accade in Sicilia, in cambio del rischio di essere slacciate dalla rete elettrica con un minimo preavviso per evitare in caso di emergenze elettriche ed evitare black-out generalizzati;
   introdotto per la prima volta nel 2010, il regime di difesa della rete è a conclusione del secondo triennio e la scadenza è prevista per il 3 dicembre. Nonostante le diverse sollecitazioni, l'Agenzia nazionale per l'energia sembrerebbe pronta a fare marcia indietro e a cancellare i bandi pubblici con cui alle imprese è riconosciuto quello che potrebbe essere definito un bonus in costo di ogni megawattora;
   si tratta di una questione che richiede risposte urgenti, anche perché la procedura per la proroga è lunga dovrebbe passare anche al vaglio determinante dell'Unione europea;
   la mancata proroga sarebbe un colpo troppo forte per queste aziende: Portovesme srl, Italcementi, Ottana energia, BeKaert Sardegna, Syndial, Air liquide, Sugherificio Ganu, Ceramica Mediterranea, Fluorsid, Buzzi-Unicem, Simec, 3A Arborea, Matrica, Cementi centrosud, Fratelli Pinna industria casearia, Maffei silicati, Molinas, Pastificio fratelli Cellino e Telecom;
   si tratta di imprese che hanno un alto valore strategico per l'intera economia della Sardegna e i contraccolpi della fine del regime d'interrompibilità finirebbero per mettere a rischio la loro stessa sopravvivenza prima ancora della loro già difficile competitività rispetto alle concorrenti in aree meno svantaggiate –:
   quali ulteriori iniziative di competenza intenda il Governo attuare per evitare la fermata delle centrali elettriche sarde dopo il mese di dicembre 2015, chiarendo, in particolare, se intenda prevedere la proroga del regime di «essenzialità», come previsto per la Sicilia, e quali azioni il Governo stia già intraprendendo per contribuire alla soluzione della metanizzazione della Sardegna, unica regione europea priva di tale infrastruttura fondamentale per la competitività del sistema industriale.
(2-01154) «Capelli, Dellai».

Interrogazione a risposta scritta:


   LAVAGNO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Michelin (Manufacture Française des Pneumatiques Michelin) è una delle principali aziende mondiali produttrici di pneumatici. Con sede a Clermont-Ferrand in Francia, è anche famosa nel mondo per le Guide Michelin, guide turistiche diventate una delle classifiche di riferimento dei migliori ristoranti. Fondata nel 1889, l'azienda ha una settantina di stabilimenti produttivi dislocati nei 5 continenti che producono 180 milioni di pneumatici ogni anno ed è presente commercialmente in oltre 170 Paesi del mondo con una quota del mercato mondiale pari al 20 per cento. Inoltre, è attiva in molte competizioni automobilistiche e motociclistiche internazionali;
   nell'ambito del piano strategico 2016-2020, la multinazionale francese delle gomme ha previsto investimenti in Italia per 180 milioni, ma anche chiusure con conseguenti esuberi di tre impianti in Europa di cui uno in Italia. In totale sono 1.500 i posti di lavoro a rischio, di cui quasi 578 in Italia;
   il piano strategico 2016-2020 prevede la riorganizzazione delle filiali di Gran Bretagna, Germania e Italia. Per Fossano, in provincia di Cuneo, Michelin parla di una flessione dei volumi del 45 per cento, che si traduce in 400 esuberi e una «situazione di cronica non saturazione degli impianti». Gli altri esuberi italiani sono a Spinetta Marengo Alessandria (so), Torino (120) e Tribano (Padova) (28);
   a Spinetta Marengo, entro i primi 6 mesi 2016, è prevista la liquidazione del reparto «rechapage», che si occupa di ricostruire i copertoni da camion usati, nonostante la Michelin indica per Alessandria un + 20 per cento di produzione (oggi sfiora il milione di pneumatici all'anno). Inoltre, verrà realizzato un nuovo magazzino da 5 mila metri quadrati per accogliere la produzione in attesa di destinazione;
   entro la fine del 2016 Michelin chiuderà il sito italiano di Fossano in provincia di Cuneo (400 dipendenti) e quello di Oranienburg in Germania ed entro la metà del 2018 anche quello di Ballymena nel Regno Unito –:
   se il Governo sia a conoscenza delle problematiche sopra esposte e se intenda procedere in tempi rapidi per l'apertura di un tavolo nazionale di confronto per poter salvaguardare gli attuali livelli occupazionali. (4-10999)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Bergamini e Occhiuto n. 1-00979, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Catanoso, Palese.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Brunetta e altri n. 2-01147, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vito.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Nicchi e altri n. 5-02698, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 aprile 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ricciatti.

  L'interrogazione a risposta in Commissione De Rosa ed altri n. 5-05924, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Da Villa.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Ascani n. 5-06256, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 agosto 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Piccoli Nardelli.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Cimbro ed altri n. 5-06843, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Gullo.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Carrescia e altri n. 5-06891, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Paola Boldrini.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Bergamini n. 1-00979, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 477 dell'8 settembre 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    in Italia, la risicoltura ha sempre rivestito grande importanza economica. Le aziende agricole che coltivano riso in Italia sono circa 4.100. L'industria risiera è rappresentata da più di 100 imprese strutturate per trasformare il riso greggio in riso lavorato e sono pertanto dislocate nelle stesse zone di coltivazione del riso;
    nel nostro Paese, la maggior parte della superficie investita a riso è ubicata lungo il confine tra le regioni del Piemonte e della Lombardia. Quest'area risicola è delimitata dagli alvei dei fiumi Sesia, Ticino e Po, nelle province di Pavia, Vercelli e Novara e contorna uno dei più grandi parchi fluviali d'Europa che occupa una superficie di 91.000 ettari. La coltivazione ha una plurisecolare tradizione irrigua che ha portato alla realizzazione di complesse e capillari reti di canali, rogge e navigli in grado di provvedere alla fornitura di acqua a favore di tutti i terreni. Il sistema irriguo delle risaie svolge un ruolo plurifunzionale, fondamentale non solo per l'agricoltura, ma anche per lo sviluppo del territorio e dell'economia;
    la superficie investita a riso non è marginale rispetto alla circoscrizione territoriale di riferimento e la coltura del riso presenta delle caratteristiche economico strutturali marcatamente differenti rispetto agli altri cereali, poiché richiede un efficiente sistema irriguo ed un'alta specializzazione. In Italia l'importanza della filiera risicola risiede, pertanto, nella sua strategicità territoriale, nella necessità di salvaguardare una specializzazione di prodotto che contribuisce a mantenere alta l'immagine del «made in Italy» alimentare, ma anche nell'assicurare la stabilità socio-economica di un distretto territoriale di assoluta rilevanza;
    secondo i dati pubblicati, nel mese di ottobre 2014, nel dossier del Ministero dello sviluppo economico, le aziende risicole italiane nel 2013 hanno prodotto 485 mila tonnellate di riso greggio di qualità indica, dalla cui vendita, considerati i prezzi medi della campagna, ricaveranno circa 126 milioni di euro, con una perdita di 30 milioni di euro, tenuto conto di una stima dei costi di produzione pari a circa 156 milioni di euro. Da questo riso greggio l'industria ricaverà una disponibilità vendibile di circa 290.00 tonnellate di riso lavorato indica, diretto concorrente del riso lavorato cambogiano. Per l'industria italiana il riso lavorato indica rappresenta, a prezzi correnti, un giro d'affari di 232 milioni di euro;
    la quasi totalità del riso indica italiano viene venduto negli altri Paesi dell'Unione europea. Circa l'80 per cento viene venduto in sette Paesi dell'Unione europea: Francia, Germania, Repubblica Ceca, Belgio, Ungheria e Polonia, tra cui figurano anche i principali importatori di riso cambogiano. Secondo il citato documento del Ministero dello sviluppo economico, «nel 2013 le aziende risicole di tutti gli altri Paesi dell'Unione europea hanno prodotto circa 37.000 tonnellate di riso greggio, per un valore, a prezzi medi di mercato, di 160 milioni di euro»;
    il settore risicolo italiano sta vivendo una delicata congiuntura economica già da alcuni anni. Dal 2010, la progressiva riduzione delle aree dedicate alla coltivazione di riso non conosce sosta; nel solo 2014 le risaie destinate alla coltivazione della varietà indica si sono ridotte di oltre 15 mila ettari, corrispondenti al 22 per cento della superficie totale e nel 2015 si stimano ulteriori importanti cali della superficie dedicata alle varietà indica; il progressivo calo delle aree destinate alla produzione di riso in Italia si accompagna ad un incremento delle esportazioni di riso di qualità indica proveniente dalla Cambogia e più in generale dai Paesi meno avanzati (PMA);
    diversi studi indicano che nel primo trimestre del 2014 si è registrato un aumento record del 360 per cento delle importazioni da Paesi meno avanzati in tutta l'Unione europea, con evidenti ricadute negative in primis per i produttori italiani, in particolar modo per i coltivatori locali, che non riescono a conformare i propri prezzi di vendita a quelli importati, alla luce dei costi di produzione da sostenere, certamente superiori rispetto a quelli sostenuti dai Paesi meno avanzati; ci sono conseguenze di lungo periodo anche per i consumatori: si stanno intensificando le segnalazioni giunte al Sistema rapido di allerta per gli alimenti e i mangimi europeo (RASFF), che ha effettuato quasi una notifica a settimana per riso e prodotti derivati di provenienza asiatica per la presenza di principi attivi non autorizzati e assenza di certificazioni sanitarie;
    la Cambogia, in virtù del regime speciale a favore dei Paesi meno sviluppati, regime EBA (Everything But Arms), di cui agli articoli 17 e 18 del regolamento (UE) N. 978/2012, può esportare nell'Unione europea a dazio zero; il riso esportato deve essere originario della Cambogia ai sensi del regolamento (CEE) n. 2454/93 e viene esportato dalle industrie risiere rappresentate dalla Federation of Cambodian Rice Exporters e dalla Cambodian Rice Exports Association;
    il sistema che si è venuto a delineare non ha avvantaggiato i produttori cambogiani come si potrebbe erroneamente supporre. Infatti, molto diffusa è la cosiddetta pratica della «triangolazione», in base alla quale il riso che giunge a dazio zero dalla Cambogia non è di origine cambogiana, ma viene prodotto in altri Paesi asiatici, per poi essere importato in Cambogia ed esportato nuovamente verso l'Unione europea, beneficiando del trattamento privilegiato. In tal modo, si concretizza un utilizzo illegittimo del beneficio accordato dall'Unione europea al riso cambogiano, poiché alcuni operatori cambogiani del settore non rispettano le regole d'origine, mescolando il riso con altre qualità prodotte in Paesi limitrofi;
    secondo il rapporto dell'organizzazione per lo sviluppo dell'ONU del 2014 (UNDP 2014), l'ingresso massiccio di aziende estere nell'economia cambogiana ha fatto sorgere fenomeni di land grabbing. Secondo l'organizzazione Oxfam, si parla di land grabbing (accaparramento delle terre) quando una larga porzione di terra considerata «inutilizzata» è venduta a terzi, aziende o Governi di altri Paesi senza il consenso delle comunità che ci abitano o che la utilizzano, spesso da anni, per coltivare e produrre il loro cibo. Questo a fronte del fatto che, approssimativamente, l'80 per cento della popolazione cambogiana risiede in aree rurali ed il 71 per cento di queste è dipendente dalla risicoltura, mentre il 46,96 per cento della popolazione vive in una condizione di povertà multidimensionale;
    da fonti di stampa si è appreso che, nei giorni scorsi, il Governo italiano avrebbe avanzato presso la Commissione europea richiesta di adozione di misure di salvaguardia nei confronti dell'importazione di riso greggio cambogiano del tipo indica, di cui all'articolo 22 del regolamento (UE) n. 978/2012, per ristabilire i normali dazi della tariffa doganale comune per le importazioni di riso dalla Cambogia;
    in una recente dichiarazione, i rappresentanti di Coldiretti hanno spiegato che l'adozione delle misure di salvaguardia è giustificata dal fatto che «nelle ultime 5 campagne, le importazioni di riso dalla Cambogia nell'Unione europea sono aumentate da 5.000 a 181 mila tonnellate raggiungendo il 23 per cento di tutto l'import UE grazie alla completa liberalizzazione tariffaria avvenuta il primo settembre 2009 a favore dei Paesi beneficiari del sistema di preferenze tariffarie generalizzate di cui all'articolo 1, paragrafo, lettera c (EBA) del regolamento UE n. 987»;
    il persistente aumento delle importazioni dalla Cambogia continua a creare pressione sul mercato dell'Unione europea con conseguente ulteriore riduzione dei prezzi del riso di tipo indica e disincentivo alla coltivazione;
    il 4 agosto 2015, la Commissione europea ha diramato una nota stampa, con la quale è stata annunciata la conclusione del negoziato per un ulteriore accordo di libero scambio tra l'Unione europea e, stavolta, il Vietnam; l'accordo prevede infatti l'apertura di un contingente d'importazione pari a 80.000 tonnellate di riso vietnamita esente dal pagamento del dazio doganale;
    in conseguenza dei citati accordi, si attendono per il 2016 non meno di 500.000 tonnellate di riso asiatico esenti da dazio, una quantità pari a metà dell’import totale, che sarà commercializzata a prezzi talmente bassi da mettere a rischio le vendite di riso italiano nell'Unione europea, che ad oggi ammontano a 500 mila tonnellate all'anno, di cui 270 mila in diretta concorrenza con il riso asiatico, come segnalato, con preoccupazione da Confagricoltura,

impegna il Governo:

   a dare seguito formale e concreto, presso la Commissione europea, alla richiesta di adozione delle clausole di salvaguardia nei confronti dell'importazione a dazio zero di riso cambogiano, nei Paesi dell'Unione europea, ai sensi dell'articolo 22 del regolamento (UE) n. 978/2012, al fine di tutelare il settore risicolo italiano che vive da alcuni anni una delicata congiuntura, e a valutare l'opportunità di richiedere l'attivazione di clausole di salvaguardia, anche per quanto riguarda le importazioni di riso dal Vietnam;
   a promuovere, a livello europeo, l'adozione di clausole di condizionalità democratica più stringenti e di precise sanzioni per il loro mancato rispetto, all'interno degli accordi siglati tra l'Unione europea e Paesi terzi relativamente alla regolazione di regimi fiscali a «dazio zero», nel settore agricolo e più in generale nel commercio, al fine di evitare che tali accordi possano essere snaturati nelle loro finalità di aiuto allo sviluppo per i Paesi destinatari;
   a promuovere e attuare, a livello nazionale, misure che prevedano puntuali obblighi di pubblicità e trasparenza nell'etichettatura del riso commercializzato in Italia, in particolar modo specificando il nome dell'azienda che utilizza riso proveniente da Paesi terzi rispetto all'Unione europea.
(1-00979)
(Nuova formulazione) «Bergamini, Occhiuto, Catanoso, Palese».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Barbanti n. 5-06831, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 513 del 30 ottobre 2015.

   BARBANTI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MATARRELLI, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la nota situazione di disagio relativa al Porto di Gioia Tauro potrebbe complicarsi ulteriormente poiché il gruppo Maersk tramite APM Terminals ha raggiunto un accordo con Perez y Cia per l'acquisizione della relativa quota di maggioranza nel gruppo marittimo di Barcellona TCB, con le rispettive attività di servizi container in Europa e America Latina. Grup Maritim TCB controlla 11 terminal per container con una capacità annuale di 4,3 milioni di TEU. TCB ha concessioni a Barcellona, Valencia, Castellon, Isole Canarie, Izmir (Turchia), Yucatan (Messico), Quetzal (Guatemala), Buenaventura (Colombia) e Paranagua (Brasile);
   la MSC del gruppo Aponte ha manifestato un vivo interesse verso il terminal di Taranto, ormai fallito per l'addio dei coreani di Evergreen. Fonti di stampa hanno pubblicato la notizia dell'acquisto del 45 per cento del Trieste Marine Terminal, società del Gruppo «To Delta» che gestisce il terminal sul Molo VII;
   gli interessi dei maggiori operatori del porto di Gioia Tauro potrebbero deviare il proprio asse dall'importante porto calabrese ed, in effetti, la cessione delle quote azionarie del terminal Medcenter di Gioia Tauro da parte del Gruppo Maersk che ne deteneva il 33 per cento conferma l'ipotesi;
   l'alleanza tra i due colossi dello shipping Maersk ed MSC, denominata 2M, al momento non ha prodotto alcun incremento di volumi su Gioia Tauro, anzi, gli stessi sono in netta discesa (il terminal rispetto allo scorso anno ha avuto una contrazione del 15 per cento in termini di contenitori movimentati ed il mese di agosto appena trascorso si attesta come uno dei più drammatici dall'inizio della crisi con appena 120.645 container movimentati, livelli così bassi non si toccavano ormai dall'inizio del 2012);
   i volumi di traffico su rotaia non hanno avuto l'incremento sperato, nonostante sia stato dimostrato proprio nei mesi scorsi, in occasione degli scioperi a Napoli, come l'infrastruttura ferroviaria sia in perfetta efficienza. Il traffico contenitori da Napoli è stato dirottato, infatti, su Gioia Tauro che nel 2008 lavorava 200 treni ogni mese; è chiaramente solo una scelta commerciale quella di non utilizzare lo snodo ferroviario già esistente nello scalo gioiese. Una scelta dettata puramente da interessi economici e privati dell'unico cliente-proprietario-concessionario che ormai è MSC del gruppo Aponte (che detiene al momento il 50 per cento delle azioni del terminal di Gioia Tauro avendo acquisito anche quota parte delle azioni di Maersk);
   sul tema concessioni occorre, comunque, effettuare una riflessione specifica verificando quale sia il reale livello di utilizzo delle banchine e degli spazi concessi a Medcenter Container Terminal spa la quale, a fronte di una concessione cinquantennale che scadrà il 2043, attualmente ne sfrutta poco più del 60 per cento ed ha attivato, di conseguenza, la cassa integrazione straordinaria per oltre 350 unità lavorative;
   l'attività di verifica dovrebbe essere svolta dal presidente dell'autorità portuale di Gioia Tauro secondo quanto previsto dall'articolo 8, lettera h), della legge n. 84 del 1994 e dagli articoli da 36 a 55 e 68 del codice della navigazione il quale, sentito il comitato portuale di cui all'articolo 9 della legge n. 84 del 1994, potrà esercitare tutte le verifiche previste dalle norme sopra citate e gli spazi non adeguatamente utilizzati potrebbero essere dunque revocati per essere messi a gara internazionale ed in questo modo attrarre eventuali nuovi terminalisti nel porto di Gioia Tauro. Tutto ciò però non è possibile da realizzare perché è stata, ad avviso degli interroganti inspiegabilmente commissariata l'autorità da oltre un anno e mezzo;
   lo stato di protratto commissariamento impedisce l'applicazione all'autorità portuale di Gioia Tauro delle norme in materia di risanamento dei conti e di competitività previste dalle più recenti norme; ad esempio in avvio della XVII legislatura è intervenuto, in materia di autonomia finanziaria delle autorità portuali, l'articolo 22, del decreto-legge n. 69 del 2013;
   in materia, l'articolo 14 del decreto-legge n. 83 del 2012 ha previsto la destinazione su base annua, nel limite di 70 milioni di euro annui, dell'uno per cento del gettito dell'IVA relativa all'importazione di merci introdotte nel territorio nazionale per il tramite di ciascun porto rientrante nelle circoscrizioni delle autorità portuali;
   l'articolo 14 del decreto-legge n. 83 del 2012 è stato successivamente modificato dall'articolo 22 del decreto-legge n. 69 del 2013, prevedendo: a) l'innalzamento da 70 milioni di euro annui a 90 milioni di euro annui del limite entro il quale le autorità portuali possono trattenere la percentuale dell'uno per cento dell'IVA riscossa nei porti; b) la destinazione delle risorse anche agli investimenti necessari alla messa in sicurezza, alla manutenzione e alla riqualificazione strutturale degli ambiti portuali;
   l'articolo 22 ha inoltre consentito, stabilizzando e sviluppando la disciplina sperimentale introdotta anni 2010, 2011 e 2012 dall'articolo 5, comma 7-duodecies, del decreto-legge n. 194 del 2009, alle autorità portuali di diminuire, fino all'azzeramento, ovvero di aumentare, fino a un tetto massimo pari al doppio, le tasse di ancoraggio;
   successivamente, l'articolo 13 del decreto-legge n. 145 del 2013 (cosiddetto «decreto-legge destinazione Italia») ha consentito la destinazione della quota di IVA riscossa nei porti e trattenuta dalle autorità portuali anche a interventi cantierabili per la competitività dei porti italiani, interventi finanziati anche con risorse revocate dalla realizzazione di altre infrastrutture nonché erogate per interventi nelle aree portuali per i quali non si sia proceduto, entro due anni dall'erogazione del finanziamento, all'approvazione del bando di gara –:
   se quanto esposto in premessa trovi conferma e, nell'eventualità positiva, quali iniziative intenda assumere il Governo, alla luce di quanto sopra descritto, affinché si determino le condizioni per il superamento della situazione di commissariamento in cui versa l'autorità portuale di Gioia Tauro, posto che appare vitale l'istituzione di una «cabina di regia» non-emergenziale per rilanciare nel complesso l'area dei Porto di Gioia Tauro;
   quali siano le ragioni che impediscono una diversificazione delle attività del porto e se si intendano assumere iniziative per revisionare il piano regolatore portuale e rivedere gli spazi in funzione del loro reale utilizzo. (5-06831)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Frusone n. 5-06684 del 15 ottobre 2015.
   interrogazione a risposta scritta Capelli n. 4-10874 del 26 ottobre 2015;

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Massimiliano Bernini e altri n. 5-02702 del 24 aprile 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-01820;
   interrogazione a risposta in Commissione Burtone n. 5-05561 dell'11 maggio 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-01822;
   interrogazione a risposta in Commissione Gallinella e Ciprini n. 5-06171 del 29 luglio 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-01821.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ANTEZZA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il blocco dei concorsi ed i pensionamenti dei professori universitari hanno causato la riduzione del numero dei professori ordinari da 19.858 unità al 31.12.2006 a 12.531 unità ad oggi. Nei prossimi tre anni andranno in pensione altri 10.000 professori universitari, in maggioranza ordinari;
   tale riduzione riteniamo possa essere compensata dalla chiamata nel ruolo degli abilitati dell'anno 2012;
   gli abilitati 2012 alla I fascia dei professori universitari sono i «leader» dell'innovazione scientifica e tecnologica da cui dipendono la crescita e lo sviluppo del Paese;
   l'abolizione della ricostruzione economica della carriera, operata dalla riforma Gelmini, legge 30 dicembre 2010, n. 240, ha superato la circolare ministeriale del 2009, per cui 0,3 punti organico non è più il costo reale dell’upgrading da associato ad ordinario;
   l'abolizione della ricostruzione della carriera per i nuovi ordinari rende obsoleto il differenziale di 0,3 punti organico richiesti per il passaggio dalla II alla I fascia;
   infatti, se la media del costo del passaggio dalla II alla I fascia era di 0,3 punti organico nel 2009, oggi è pari a 0,1 punti organico e il «budget» necessario alla «chiamata» si riduce ad un terzo;
   per i professori associati confermati, in servizio nel ruolo da almeno dieci anni, la chiamata sarebbe a costo zero, e pertanto non dovrebbe esistere alcun vincolo alla chiamata nel ruolo degli ordinari –:
   alla luce delle considerazioni espresse in premessa, se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative per prevedere, per gli abilitati nell'anno 2012 alla I fascia e in servizio da almeno dieci anni nel ruolo dei professori associati confermati, la chiamata nel ruolo di professore ordinario. (4-08635)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto si rappresenta quanto segue.
  Come è noto, la disciplina vigente sul reclutamento dei professori universitari non consente il passaggio diretto (al di fuori delle normali procedure di chiamata) di professori di seconda fascia nel ruolo dei professori di prima fascia, neanche nell'ipotesi di una presunta mancanza di maggiori oneri.
  Per consentire alle università di chiamare nel ruolo di professore ordinario coloro che abbiano conseguito l'abilitazione alla prima fascia e siano in servizio da almeno dieci anni nel ruolo dei professori di seconda fascia, si renderebbe pertanto necessario un intervento legislativo.
  Al riguardo occorre considerare in primo luogo che la logica sopra delineata rischierebbe di favorire alcuni passaggi di carriera non in base al merito scientifico ma in base a parametri economici.
  Ciò in passato si è verificato al punto da incrementare in maniera abnorme il numero degli ordinari in vigenza della legge n. 210 del 1998, tanto da indurre a intervenire con precise quote nei rapporti fra i tre ruoli della docenza, nell'ambito delle disposizioni sul turn-over (ne resta ancor oggi traccia all'articolo 4, comma 2, lettera a) del decreto legislativo n. 49 del 2012). Va infatti, rammentato che tra il 1997 e il 2007 gli ordinari passarono da 13.402 a 19.625, con un incremento del 46 per cento, laddove gli associati passarono da 15.618 a 18.733, con un incremento del solo 16 per cento.
  In ogni caso, anche in passato, in vigenza della citata legge n. 210 del 1998, i passaggi da professore associato a professore ordinario sono sempre avvenuti, seppure con costi relativamente bassi, all'interno di procedure di valutazione comparativa.
  Un intervento legislativo, che prevedesse il passaggio automatico del professore associato «anziano» nel ruolo di prima fascia finirebbe oggi con il configurarsi come una vera e propria «sanatoria» ope legis.
  Tuttavia, quanto osservato dall'interrogante sull'evoluzione delle differenze stipendiali delle due figure docenti è un aspetto che richiede la massima attenzione da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e che, proprio in relazione al blocco degli stipendi a partire ormai dall'anno 2011 e al fatto che con la legge n. 240 del 2010 le progressioni economiche di carriera dei docenti universitari non sono più automatiche e biennali ma sono attribuite in base a valutazione e con cadenza triennale, consente di aggiornare il meccanismo dei punti-organico.
  A tal fine il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sta analizzando i dati economici degli ultimi quattro anni e sta verificando quali margini di rimodulazione possono essere adottati per tenere conto della situazione che si è venuta a creare senza che questo determini, in prospettiva, un impatto negativo sui bilanci degli atenei.
  Occorre però chiarire che non è comunque sostenibile il concetto di passaggio di qualifica a costo zero in quanto la parità stipendiale può, semmai, valere al solo momento dell'assunzione nel nuovo ruolo di prima fascia di un professore di seconda fascia «anziano» ma non può poi proiettarsi nel prosieguo della sua carriera fino alla quiescenza.
  In altri termini, i differenziali di costo medio potrebbero ridursi di qualche decimo percentuale. In tal senso, entro la fine del corrente anno, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si impegna a valutare la predisposizione degli opportuni correttivi.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   BORGHESE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di giugno 2005, il Presidente della Federazione di Assistenza italiana della circoscrizione consolare di Cordoba, denominata «FED.A.SC.IT» acquista tramite la figura del dr. Claudio Mizzau le mura della scuola dal cedente dr. Julio Cesar S.Juan attraverso il Banco nazionale argentino;
   nei vari passaggi burocratici che ci sono stati per l'acquisto della scuola «Dante Alighieri» pare che ci sia stato un incidente burocratico riguardante l'esecuzione ipotecaria promossa dal Banco Nazionale;
   la Fondazione italiana, tramite il console in pectore, si ritrova a non essere proprietaria in quanto pare abbia comperato un immobile parzialmente gravato da ipoteca;
   trovandosi in un simile contesto, la Fondazione chiede lo sfratto alla cooperativa di lavoro integrata di docenti del collegio che occupa lo stabile, la quale ovviamente si oppone allo sfratto;
   i giudici della Corte suprema di Tucuman, visto l'atto di compravendita respingono la disdetta locazione;
   in base all'articolo 3.151 del codice civile del 20 luglio 2013, la Fondazione ha chiesto al registro immobiliare di Tucuman la registrazione gratuita al fine di riscrivere l'ipoteca del «Banco Nacion»;
   il giudice che esamina la pratica ordina la riscrizione dell'ipoteca in forma gratuita –:
   quali iniziative il Ministro interrogato voglia adottare al fine di verificare le reali condizioni riguardanti l'acquisto dell'ipoteca da parte dello Stato italiano;
   su quali diritti legali si possa basare la difesa della Comunità italiana che ha stanziato fondi pubblici per non avere nulla in cambio;
   se i passi compiuti dal console in rappresentanza diplomatica a Cordoba, e del presidente della FED.A.SC.IT, dr. Claudio Mizzau nella vicenda sopra citata sono corretti. (4-08869)

  Risposta. — L'edificio scolastico oggetto dell'interrogazione era proprietà di una società, successivamente fallita. Il banco de la Nación Argentina, per recuperare i crediti che vantava nei confronti di questa società, ha messo in vendita i relativi diritti ipotecari. Nel frattempo, l'edificio ha continuato ed essere utilizzato come scuola, grazie all'iniziativa di un gruppo di genitori e docenti che hanno costituito la cooperativa «Colegio del Aconquija S.A.».
  Nel giugno 2005, la federazione di assistenza scolastica delle scuole italiane (Fed.a.sc.it) di Cordoba – ente gestore di corsi di lingua e cultura italiana operativo nella regione già da diversi anni – ha acquistato dal Banco la totalità dei crediti ipotecari che lo stesso vantava nei confronti della società, pur sapendo che il Banco non ne garantiva il credito né la solvenza.
  Entrata in possesso dei diritti ipotecari, la Fed.a.sc.it ha presentato istanza di sgombero dell'edificio scolastico. Tale diritto le è stato riconosciuto nei tre gradi di giudizio aditi dalle parti. In seguito alla decisione favorevole all'Ente assunta in via definitiva dalla corte suprema, è stato nominato un mediatore con il compito di definire i rapporti economici tra la Cooperativa «Colegio del Aconquija S.A.» e la stessa Fed.a.sc.it. Ma il mediatore nominato ha rinunciato all'incarico e analogamente hanno fatto i mediatori nominati successivamente. Ad oggi la situazione resta invariata. Di quanto precede è stato a più riprese informato il Comites locale.
  La Fed.a.sc.it, quale ente gestore di corsi distingua e cultura italiana, usufruisce di contributi
ad hoc da parte del Maeci e i suoi bilanci sono soggetti al controllo ministeriale e alla vigilanza del Dirigente scolastico responsabile dell'Ufficio Scuole del Consolato Generale di Cordoba. Nel caso di specie, l'acquisto dei crediti ipotecari in questione non è stato effettuato dallo Stato italiano ma dalla Fed.a.sc.it, quale ente di diritto privato. Pertanto, trattandosi di una compravendita tra privati, è difficilmente ipotizzabile un intervento del predetto consolato generale per cercare di risolvere una vertenza che, tra l'altro, dal punto di vista giuridico è già stata risolta con giudizio definitivo a favore della Fed.a.sc.it.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   CAPELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con lettera del 17 luglio 2015 prot. N. 009240), il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca trasmetteva il decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 468, del 6 luglio 2015, con cui vengono assegnate le risorse autorizzate dall'articolo 1, comma 152 della legge n. 190 del 23 dicembre 2014, per la realizzazione di interventi per la messa in sicurezza e la ristrutturazione degli edifici scolastici dei comuni della regione Sardegna danneggiati dall'alluvione del 2013;
   l'articolo 1 del succitato decreto, al comma 1, assegna la somma complessiva di cinque milioni di euro per l'attuazione degli interventi ricordati in precedenza;
   all'articolo 2, comma 2, del medesimo decreto si stabilisce che gli enti locali beneficiari dei contributi devono aggiudicare i lavori, anche in via provvisoria, entro il 30 settembre 2015, a pena di revoca delle risorse concesse;
   si tratta di un termine che molti comuni, soprattutto i più piccoli, hanno grosse difficoltà a rispettare;
   è noto, infatti, che tutta la procedura di assegnazione è lunga e complessa, mentre molti piccoli comuni non hanno personale sufficiente negli uffici tecnici per poter attuare la suddetta procedura, in particolare durante il mese di agosto;
   inoltre, risulta all'interrogante che la ricezione della comunicazione del Ministero sia avvenuta nei vari comuni solo intorno al 25 luglio 2015 –:
   se il Ministro interrogato non intenda assumere le iniziative di sua competenza per venire incontro a questi comuni, già duramente danneggiati dall'alluvione del 2013 e che rischiano di perdere, non per colpa propria, i finanziamenti necessari per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, concedendo una proroga di almeno sessanta giorni per i termini di aggiudicazione, anche in via provvisoria, dei lavori, evitando la revoca dei contributi, che sarebbe molto grave per i cittadini dei comuni che venissero esclusi dalla erogazione delle previste risorse. (4-10366)

  Risposta. — Con riferimento a quanto rappresentato dall'interrogante con l'interrogazione in oggetto, si rappresenta che, in attuazione di quanto previsto nella legge di stabilità per il 2015 e previa richiesta alla regione Sardegna della relativa programmazione, con decreto ministeriale 6 luglio 2015, n. 468, sono stati assegnati 5 milioni di euro per finanziare interventi in 26 enti locali colpiti dall'alluvione del 2013.
  Tale decreto è stato notificato a tutti i comuni beneficiari il 17 luglio 2015 ed è stato assegnato agli stessi, per l'aggiudicazione dei lavori, il termine ultimo del 30 settembre 2015.
  Il citato termine è stato ritenuto congruo in considerazione del fatto che si tratta di interventi di piccoli importi e, comunque, sotto la soglia comunitaria e le cui procedure possono essere gestite nei tempi previsti.
  Tuttavia, in considerazione delle richieste pervenute anche direttamente dagli enti locali beneficiari, questo Ministero sta valutando la possibilità di differire di qualche settimana il termine previsto per le aggiudicazioni provvisorie, pur nella consapevolezza dell'urgenza di far partire gli interventi e rendere, quindi, da subito le scuole più sicure.
  Si ritiene, in ogni caso, doveroso precisare che l'esigenza degli enti locali beneficiari va contemperata con l'evidenza che si tratta di risorse a valere sull'esercizio finanziario 2015, che devono essere impegnate entro il termine del 31 dicembre 2015 per evitare che le stesse vadano in economia.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   COLONNESE, LOREFICE e BRESCIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'8 maggio 2015 veniva ubicato sul territorio di Camipiglia Marittima, in prossimità della stazione ferroviaria, un centro di accoglienza di migranti, a quanto consta agli interroganti senza previa comunicazione ai cittadini. Il centro gestito dall'associazione «Diogene», ospita 57 migranti, uomini e giovani donne, fra cui 5 in stato di gravidanza e impiega alcune strutture ricettive del comune. Da quando diverse decine di profughi hanno cominciato a riversarsi sulle strade della cittadina sostando spesso intorno alle abitazioni site nella zona della stazione si è generato un certo allarmismo nella comunità locale che, ravvisando l'assenza di un piano di integrazione dell'autorità comunale, chiedeva un pronto intervento del primo cittadino di Campiglia –:
   se intendano assumere iniziative, anche normative, che stabiliscano la necessità in tali situazioni di convocare una conferenza dei sindaci dei comuni confinanti, cui riferire gli esiti in apposite assemblee pubbliche, con l'obiettivo di distribuire in maniera opportuna i flussi favorendo l'integrazione, il rispetto fra gli individui e la trasparenza ed evitando al contempo di destabilizzare e allarmare le comunità locali; se intendano fornire informazioni, circa: la gara d'appalto indetta per stabilire quale associazione e quali strutture si sarebbero occupate dell'accoglienza; le modalità operative dell'associazione vincitrice; l'effettiva sussistenza nelle strutture ospitanti di adeguati requisiti igienico-sanitari e di sicurezza; la frequenza con la quale i migranti di cui in premessa sono seguiti dai mediatori culturali; le misure adottate per la tutela delle donne e dei minori ospitanti; le modalità con le quali intendano garantire la tutela della sicurezza e l'ordine pubblico nei comuni ospitanti centri di accoglienza per migranti. (4-09525)

  Risposta. — In relazione al perdurante e straordinario afflusso di cittadini stranieri che sta interessando l'intero territorio nazionale, nonché alla necessità di garantire la prosecuzione dell'accoglienza a coloro che sono già presenti nei centri straordinari, questa amministrazione ha disposto, alla fine dello scorso anno, l'espletamento delle procedure di gara per reperire le strutture necessarie allo scopo per l'anno in corso.
  In tale ambito, la prefettura di Livorno, il 3 marzo 2015, ha indetto una gara finalizzata a concludere un accordo quadro, ai sensi dell'articolo 59, commi 6 e 7 del decreto legislativo n. 163 del 2006, per l'affidamento del servizio di «prima accoglienza di cittadini extracomunitari e la gestione dei servizi connessi per i migranti ospitati presso la provincia di Livorno», secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
  In aggiunta ai posti assegnati tramite gara, interamente ricoperti, al fine di assicurare una adeguata sistemazione ai migranti sopraggiunti a seguito di ulteriori sbarchi presso le coste italiane, si è reso necessario individuare altre strutture messe a disposizione da soggetti operanti nel privato-sociale e aventi comprovata esperienza nell'ambito del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) o in progetti di accoglienza similari destinati agli stranieri.
  A tal fine la prefettura di Livorno, in data 17 aprile 2015, ha pubblicato un'apposita manifestazione di interesse nelle forme previste, concernente la messa a disposizione di posti straordinari per la prima accoglienza dei cittadini stranieri temporaneamente presenti sul territorio.
  Il successivo 20 aprile 2015 l'associazione Homo Diogene, con sede legale in Gavorrano (GR), tra le cui finalità figura la gestione dei centri di pronta accoglienza per migranti, sfollati e richiedenti asilo, ha presentato un'offerta per la messa a disposizione di una struttura alberghiera denominata «I Cinque Lecci», sita nel comune di Campiglia Marittima, in località Venturina.
  L'immobile è stato oggetto di preventivo controllo da parte degli operatori della Asl di Piombino e del comando provinciale dei vigili del fuoco di Livorno, i quali, a seguito di sopralluogo, hanno emesso i pareri di competenza concernenti l'idoneità della struttura riguardo all'aspetto igienico sanitario e la conformità alla normativa sulla prevenzione incendi e sicurezza, per un numero di 50 ospiti.
  Pertanto, con atto del 30 aprile 2015, la prefettura di Livorno, al fine di assicurare i servizi di accoglienza ai migranti assegnati in via straordinaria, secondo un piano di riparto concordato con la prefettura di Firenze, ha stipulato apposita convenzione con la predetta associazione per la gestione fino ad un massimo di 50 migranti presso la suddetta struttura.
  Successivamente, sempre l'associazione Homo Diogene ha reperito la disponibilità di ulteriori 20 posti, dislocati in 5 appartamenti presso la struttura turistica denominata «La rosa dei venti», sita anch'essa in località Venturina, regolarmente funzionante ed in possesso dei requisiti di esercizio.
  Con atto del 15 maggio 2015, la prefettura di Livorno ha stipulato apposita convenzione con la medesima associazione per la gestione fino ad un massimo di 20 migranti presso la struttura «La rosa dei venti».
  Si fa presente che, nelle due strutture, sono stati allestiti alloggi separati per uomini, donne e nuclei familiari con bagni appositamente dedicati in grado di garantire la tutela della privacy.
  Particolare attenzione è stata riservata alle donne in stato di gravidanza.
  Il servizio di mediazione linguistica è svolto da due operatrici fisse ed un operatore a chiamata che assicurano corrette comunicazioni in lingua inglese, francese, arabo, tigrino e wolof. I servizi resi riguardano l'accompagnamento esterno, informativa legale, sostegno psicologico e visite mediche.
  Tutte le attività svolte, le loro variazioni, le problematiche e/o le difficoltà incontrate nella gestione degli ospiti, vengono monitorate attraverso comunicazioni quotidiane alla prefettura, nonché riassunte nelle relazioni mensili inviate dall'associazione, come previsto dalle convenzioni vigenti.
  Infine, si rappresenta che, a seguito della stipula di un protocollo d'intesa per lo svolgimento di attività di volontariato da parte dei migranti accolti nella provincia di Livorno, sottoscritto dal prefetto e dai rappresentanti dei comuni di Livorno, Castagneto Carducci, Campiglia Marittima, Cecina, Piombino, Rosignano Marittimo e Suvereto, alcuni migranti sono già stati coinvolti, in forma volontaria e gratuita, in attività di pubblica utilità quali operazioni di decoro urbano, piccola manutenzione e pulizia ed altri verranno progressivamente impiegati nelle prossime settimane.
  Su un piano più generale, per quanto riguarda gli interventi di accoglienza e di sistemazione dei migranti richiedenti asilo, sono da tempo oggetto di una partnership con il sistema regionale e locale.
  Tale scelta di condivisione è alla base del Piano nazionale approvato nell'estate dell'anno scorso dalla conferenza unificata, incentrato sul coordinamento della attività sia attraverso un tavolo nazionale, insediato al Viminale, sia attraverso tavoli regionali, attivati presso ciascuna prefettura capoluogo di regione.
  È del tutto evidente che questo sistema funziona a condizione che tutti i diversi livelli di governo facciano la propria parte, collaborando in maniera responsabile alla filiera amministrativa, sia per gli aspetti decisionali che per quelli attuativi.
  In questa logica, si è dato seguito alle proposte delle regioni ed è stata rafforzata la compartecipazione delle altre istituzioni, cristallizzando anche in norma una linea collaborativa, già peraltro sperimentata nella prassi, secondo la quale i criteri di ripartizione dei migranti, definiti dal tavolo nazionale, andranno condivisi in sede di conferenza unificata, mentre ai tavoli regionali sarà affidato di declinare quegli stessi criteri nel loro ambito di competenza territoriale.
  In questo senso va il decreto legislativo n. 142 del 18 agosto 2015 di recepimento di due direttive europee in materia di protezione internazionale, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 15 settembre 2015.
  Con tale ultimo provvedimento normativo viene anche stabilito che laddove sia temporaneamente esaurita la disponibilità dei posti nei centri di prima accoglienza e nella rete dello Sprar, spetti alla prefettura individuare strutture temporanee appositamente allestite per l'accoglienza dei migranti, secondo le procedure di affidamento dei contratti pubblici e previa consultazione dell'ente locale nel cui territorio è situata la struttura medesima.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   COVA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   lo Stato italiano combatte la pratica del doping per i danni che causano alla salute degli atleti e degli sportivi che ne fanno uso, per l'alterazione dei risultati sportivi fatti in modo contrario allo spirito olimpico, per i possibili legami ad attività di commercializzazione fraudolenta di farmaci e di sostanze stupefacenti svolta anche dal mondo della malavita organizzata;
   lo sport e l'attività sportiva deve avere come base il principio del rispetto di sé e degli altri atleti, la lealtà, l'onestà e una sana competizione;
   il Corpo dei carabinieri rappresenta un'Arma gloriosa che difende, tutela e promuove i Valori fondanti della nostra nazione;
   nel 2008 in occasione della Maratona d'Italia svolta a Carpi il carabiniere Alberico Di Cecco, facente parte del corpo dei carabinieri e della squadra sportiva dei carabinieri, veniva trovato positivo al controllo antidoping e successivamente squalificato per 2 anni dall'attività sportiva;
   gli atleti che si onorano di appartenere ai gruppi sportivi delle forze armate devono essere di esempio per gli altri atleti e non devono disonorare i propri Corpi di appartenenza con atteggiamenti sconvenienti o contrari ai principi dello Sport e alla legge dello Stato –:
   se l'appuntato dei carabinieri Alberico Di Cecco, attualmente presso il comando della caserma di Lama dei Peligni (CH), sia ancora appartenente alla squadra sportiva dell'Arma dei carabinieri;
   se la pratica dopante usata dall'Appuntato dei Carabinieri Alberico Di Cecco sia in contrasto con i valori del gruppo sportivo dell'arma dei Carabinieri e l'applicazione delle norme che disciplinano lo status e il modus operandi dei dipendenti dell'Arma dei carabinieri e alla legge dello Stato;
   la condanna per uso di sostanze dopanti e la conseguente squalifica che ha arrecato danno di immagine a tutto il Corpo dei carabinieri sia motivo per l'estromissione dell'appuntato dei Carabinieri Alberico Di Cecco dal Corpo dei carabinieri. (4-07581)

  Risposta. — Lo sport è una realtà storica e culturale, che ha per suo scopo la diffusione di valori universali quali lealtà, onestà e sana competizione, certamente condivisi anche dalle Forze armate i cui atleti hanno raggiunto traguardi sportivi prestigiosi.
  Quando questi valori sono disattesi ed anzi traditi, come accade nella triste circostanza in cui atleti fanno uso di sostanze dopanti, non può che emergere la massima determinazione nel condannare qualsiasi pratica finalizzata ad alterare le prestazioni agonistiche.
  Le Forze armate, infatti, non si limitano a educare i militari alle sole «virtù militari», ma sono tradizionalmente anche una scuola di etica sportiva.
  In particolare, gli atleti militari, sin dal momento dell'arruolamento e, successivamente, con cadenza periodica, vengono periodicamente e specificatamente educati e formati al rispetto della normativa antidoping nazionale e internazionale.
  Inoltre, mi preme ricordare che i medesimi atleti militari devono, altresì, comunicare trimestralmente gli indirizzi e i recapiti dove possono essere rintracciati per un eventuale controllo cosiddetto «fuori dalle competizioni», ovvero a sorpresa.
  Riguardo al caso specifico, considero che effettivamente l'appuntato dell'arma dei carabinieri A.D.C., all'esito di un controllo antidoping – effettuato al termine della gara valida per i «Campionati assoluti maratona d'Italia», svoltasi a Carpi il 12 ottobre 2008 – è risultato positivo alla sostanza dopante «eritropoietina ricombinante»; conseguentemente, sospeso dal tribunale nazionale antidoping dalla partecipazione ad ogni attività sportiva per due anni, dal 12 ottobre 2008 all'11 ottobre 2010 e sanzionato disciplinarmente dall'autorità militare con ben 7 giorni di consegna, esonerato dal comparto agonistico dell'arma dal 5 gennaio 2009 e, ad oggi, reimpiegato presso un reparto dell'organizzazione territoriale dell'arma che nulla ha a che vedere con la sua pregressa esperienza sportiva.
  L'autorità militare competente, dunque, nell'immediatezza del fatto ha valutato nel rispetto del principio di tassatività delle sanzioni (articolo 1353 del decreto legislativo n. 66 del 2010 recante il codice dell'ordinamento militare) e secondo i criteri previsti dall'articolo 1355 del citato codice, la punizione da infliggere nel caso concreto che, come evidente, ha inciso il graduato sia sul piano disciplinare sia su quello dell'impiego.
  Sottolineo, infine, che tali azioni – connotate da giusta severità – sono state assunte proprio in virtù del particolare status del responsabile, ma indipendentemente dalle indagini dell'autorità giudiziaria e dalle sue conclusioni, e che fino all'esito della vicenda giudiziaria stessa, al militare non può che essere assicurato, ora, il medesimo trattamento di un comune cittadino; conseguentemente, al termine del procedimento penale presso il tribunale di Pescara nel quale è peraltro imputato per «assunzione di sostanze ad azione dopante», accertata la colpevolezza, l'amministrazione potrà sviluppare le valutazioni e le conseguenti ulteriori azioni disciplinari riservate ad ogni pubblico dipendente, giudicato in sede penale.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   D'ALIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco è certamente una delle istituzioni più importanti e significative per il nostro Paese;
   numerosi sono gli interventi che esso affronta e gestisce quotidianamente sul territorio: interventi assicurati sempre con la massima professionalità e competenza;
   di fronte a tali gravosi, fondamentali impegni risulta necessario assicurare al Corpo nazionale dei vigili del fuoco un aumento di organico che consenta l'espletamento della sua attività nel migliore dei modi;
   nella fase di discussione e approvazione del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, all'articolo 8, si è disposta l'assunzione di 1000 unità di vigili del fuoco tramite lo scorrimento delle graduatorie per la procedura di stabilizzazione del personale precario del Corpo ai sensi della legge n. 296 del 2006 e della graduatoria del concorso pubblico ad 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco;
   con la conversione in legge del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, la validità delle graduatorie è stata prorogata al 31 dicembre 2016 ed in base all'articolo 3, comma 3-octies del citato decreto-legge, si è disposto un ulteriore incremento della dotazione organica del Corpo nazionale dei vigili del fuoco di 1030 unità, di cui 1.000 nel ruolo operativo utilizzando lo scorrimento delle citate graduatorie;
   l'aumento di 2000 unità non è tuttavia riuscita a compensare la carenza di personale dell'organico dei vigili del fuoco;
   inoltre, le limitazioni imposte dal turnover hanno impoverito il già carente organico dei vigili del fuoco –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative per stanziare ulteriori risorse economiche per l'assunzione di nuove unità di personale al fine di garantire al Corpo nazionale dei vigili del fuoco di svolgere la propria attività nel migliore dei modi. (4-08911)

  Risposta. — Le manovre di finanza pubblica attuate dal Governo negli ultimi anni, come è noto, hanno ridotto in modo significativo le dotazioni finanziarie destinate alle spese di funzionamento delle strutture del corpo nazionale dei vigili del fuoco e alle attività di soccorso pubblico.
  Tali circostanze non hanno consentito la sistematica copertura del turn over del personale posto in quiescenza determinando l'impossibilità non soltanto di completare l'organico teorico del personale – previsto dal decreto legislativo n. 217 del 2005 –, ma persino di mantenere l'organico reale al passo con la copertura dei pensionamenti effettuati.
  In proposito, il decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, ha previsto assunzioni in misura massima del venti per cento del turn over per il triennio 2012-2014, del cinquanta per cento nell'anno 2015 e del cento per cento a decorrere dall'anno 2016.
  Successivamente la legge di stabilità per il 2013, al fine di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato, ha mitigato parzialmente il rigore del citato decreto-legge n. 112 del 2008, prevedendo per le peculiari esigenze del comparto sicurezza-difesa e del corpo nazionale dei vigili del fuoco la possibilità di incrementare le percentuali di copertura del turn over fino al 50 per cento per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e fino al 70 per cento per l'anno 2015, tramite l'istituzione di un apposito fondo finanziato a partire dal 2013 con 70 milioni di euro e, a decorrere dal 2014, con 120 milioni di euro, da ripartire tra le amministrazioni interessate.
  Infine la legge di stabilità 2014, tenendo conto delle specificità e delle peculiari esigenze del comparto vigili del fuoco e soccorso pubblico, ha innalzato, per l'anno 2014, la percentuale del turn over al 55 per cento in deroga ai limiti di cui al decreto- legge 25 giugno 2008, n. 112 ed all'articolo 1, comma 91, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
  Al fine poi di incrementare le dotazioni organiche dei ruoli operativi del corpo nazionale dei vigili del fuoco, il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, recante disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni, convertito in legge 30 ottobre 2013, n. 125, ha previsto un incremento delle dotazioni organiche del corpo nazionale, nella qualifica iniziale di vigile del fuoco, di 1000 unità.
  Un ulteriore potenziamento di organico è stato, successivamente, previsto con il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 convertito in legge 11 agosto 2014, n. 114, che ha consentito l'assunzione di mille e trenta unità di personale.
  In applicazione della suddetta normativa, lo scorso 29 dicembre si è provveduto all'assunzione di un primo blocco di 400 unità ed il 7 settembre 2015 sono state assunte altre 600 unità attingendo nella misura del 50 per cento ciascuna dalla graduatoria degli idonei del concorso pubblico a 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco e della graduatoria degli idonei della procedura selettiva indetta con decreto ministeriale del 27 agosto 2007 relativa ai vigili volontari.
  Per far fronte agli oneri derivanti dalle assunzioni previste dai predetti decreti-legge n. 101 del 2013 e n. 114 del 2014, è stata disposta la corrispondente riduzione degli stanziamenti di spesa per la retribuzione del personale volontario del corpo nazionale.
  Ulteriori stanziamenti in favore del corpo nazionale sono strettamente legati all'intervento di nuove disposizioni legislative.
  Tuttavia, al fine di ottimizzare le risorse esistenti e razionalizzare il funzionamento delle strutture, è stato predisposto, a legislazione vigente, un progetto di riordino delle strutture centrali e territoriali del corpo nazionale.
  L'analisi, effettuata sulla base di dati oggettivi, ha consentito di bilanciare nel miglior modo possibile la distribuzione del personale nei vari comandi provinciali, garantendo le esigenze di sicurezza e tutela di tutti i territori.
  Si rappresenta, infine, che questa amministrazione e favorevole ad un'introduzione immediata della previsione di assunzione nel limite del cento per cento del turn over, a condizione che l'introduzione di questa possibilità non vada a gravare sulle ordinarie risorse finanziarie a disposizione.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   LUIGI DI MAIO, LOMBARDI, NESCI, CIPRINI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sindacato di polizia CONSAP segnala agli interroganti che, come già accaduto alcuni giorni fa, nella giornata di domenica 16 novembre 2014 un aereo che avrebbe dovuto trasportare migranti, circa 150 appena sbarcati a Pozzallo, è ripartito vuoto da Comiso;
   in questa occasione, la causa a quanto consta all'interroganti non sembrerebbe essere legata a motivi sanitari, ma ad un ritardo: pare, infatti, che la compilazione degli elenchi di questi profughi abbia impegnato più tempo del previsto, probabilmente a causa dell'alto numero dei migranti sbarcati, quasi 900 dalla stessa nave (si sta parlando del secondo sbarco più numeroso di quest'anno nel ragusano);
   una parte delle persone appena arrivate erano destinate a Palermo, altre a Messina e altre ancora Siracusa (al centro Umberto I). Una parte, invece, destinati all'aeroporto di Comiso, dove con due voli charter dovevano essere trasferiti nella penisola;
   il primo charter sarebbe partito normalmente, il secondo no. Nonostante i poliziotti del reparto mobile di Catania fossero arrivati all'aeroporto di Comiso attorno alle 18,30, con i tre pullman di migranti e l'aereo fosse ancora in pista, a causa del ritardo il velivolo non ha potuto attendere l'imbarco ed è decollato vuoto. È stato necessario attendere fino a sera un altro velivolo per completare il trasporto;
   non è ben chiaro come sia possibile che avvengano queste cose e soprattutto se questi viaggi a vuoto vengano pagati dai contribuenti;
   del resto, è evidente l'impegno delle forze di polizia che, nonostante le note carenze d'organico, riescono a gestire numeri del genere (quasi mille persone sbarcate in un solo giorno);
   tutto questo è una ragione in più di stress e malcontento per gli operatori dei reparti mobili, già provati per l'attività svolta;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto denunciato dagli interroganti;
   per quale ragione l'aereo sia partito vuoto e quali siano stati i costi a carico dello Stato;
   quali siano gli intendimenti del Ministro interrogato per facilitare le operazioni di gestione degli sbarchi. (4-06984)

  Risposta. — Il 16 novembre 2014, sulla base delle indicazioni fornite dal dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, la direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del dipartimento della pubblica sicurezza ha organizzato due voli di trasferimento nazionale di migranti da Comiso, in provincia di Ragusa, il primo, con 133 migranti a bordo, diretto a Napoli e Bari e il secondo, con 142 migranti, diretto a Pisa.
  Il volo diretto a Pisa si è svolto regolarmente.
  Relativamente al volo diretto a Napoli, invece, si sono riscontrate alcune criticità dovute all'elevato numero di stranieri da trasferire nel medesimo giorno.
  Tali criticità hanno causato dei ritardi rispetto ai tempi previsti per l'imbarco.
  In considerazione del ritardo maturato, la compagnia aerea, per esigenze connesse alla propria gestione aziendale, ha ritenuto opportuno far ripartire l'aeromobile sostituendolo con un altro che è giunto a Comiso alle ore 21.30 e ripartito alle successive 22.30, con a bordo sia i 133 stranieri che il personale di scorta.
  Il cambio di volo non ha comportato costi ulteriori per l'amministrazione.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 9 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, dispone sui «Richiami in servizio del personale volontario del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco», tra cui il personale volontario che viene richiamato in servizio per periodi di 20 giorni e che in precedenza aveva la denominazione di «vigile del fuoco discontinuo»;
   l'articolo 10 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, prevede che «per l'intera durata di tale richiamo, spetta il trattamento economico iniziale del personale permanente di corrispondente qualifica, il trattamento di missione, i compensi inerenti alle prestazioni di lavoro straordinario» nonché all'articolo 8, comma 3, del medesimo decreto si prevede che «Al personale volontario nel periodo di richiamo si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni in materia di doveri, attribuzioni e responsabilità previste per il personale permanente di corrispondente qualifica», così sancendo equipollenza di doveri e di retribuzione tra il personale permanente e quello volontario, ovvero equipollenza di risorse finanziarie occorrenti per garantire la presenza in servizio;
   in particolare, detto decreto, all'articolo 9, comma 2, lettera a), prevede che il personale volontario dei vigili del fuoco può essere richiamato in servizio «in caso di particolari necessità delle strutture centrali e periferiche del Corpo nazionale», specificando altresì che tali richiami «sono disposti nel limite di centosessanta giorni all'anno per le emergenze di protezione civile e per le esigenze dei comandi provinciali dei vigili del fuoco nei quali il personale volontario sia numericamente insufficiente»;
   secondo quanto riferisce il sindacato Conapo dei vigili del fuoco, a causa della sistematica carenza di personale operativo dovuta anche alle limitazioni al turnover, i richiami di personale volontario/discontinuo sono stati nel passato disposti non solo nei casi di «particolari necessità», ma in via sistematica, così da costituire, negli ultimi anni, una forza costante di quasi il 15 per cento dell'organico effettivo con una spesa sistematica di oltre 110 milioni di euro all'anno, tanto da indurre il sindacato a chiedere di arginare il fenomeno e di utilizzare le corrispondenti risorse per assunzioni a tempo indeterminato e di riformare il servizio mediante l'istituzione di una «ferma biennale» con analogie al modello dei volontari in ferma breve delle forze armate;
   con l'articolo 8 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, e con l'articolo 3, comma 3-octies, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, la dotazione organica della qualifica di vigile del fuoco è stata incrementata per un totale di 2.000 unità, allo scopo proprio utilizzando le risorse finanziarie derivanti dalla corrispondente riduzione degli stanziamenti di spesa per la retribuzione del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, iscritti nello stato di previsione del Ministero dell'interno, nell'ambito della missione «Soccorso civile», così riducendo il ricorso a rapporti di lavoro di tipo precario a tutto vantaggio della professionalizzazione del soccorso pubblico, della occupazione, e soprattutto senza alcun aggravio di spesa a carico dell'erario;
   a seguito di quanto sopra esposto, l'impiego del personale volontario dei vigili del fuoco ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, è stato limitato all'autorizzazione annuale di spesa di euro 31.075.700 a decorrere dall'anno 2016;
   inoltre, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco è destinatario di provvedimenti legislativi di limitazione del turnover che stanno determinando carenza di personale e difficoltà operative, oltre ad un pericoloso innalzamento dell'età media degli appartenenti al Corpo ormai prossima ai 50 anni, e quindi incompatibile con i livelli di efficienza operativa dei decenni passati –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno continuare con le azioni di riduzione del precariato e di contestuale potenziamento dell'organico permanente dei vigili del fuoco, nell'ambito della missione «Soccorso civile»;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno attuare una riforma del servizio volontario/discontinuo dei vigili del fuoco, valutando anche l'opportunità di sostituire tale servizio precario di richiamo a tempo determinato per 20 giorni, con una sorta di «ferma biennale» propedeutica ad un primo inquadramento e valutazione professionale degli aspiranti vigili del fuoco, cui riservare una riserva di posti nei concorsi pubblici per l'assunzione nei vigili del fuoco, in similitudine ai volontari in ferma breve (VFB) delle forze armate;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative per sbloccare ulteriormente le limitazioni al turnover dei vigili del fuoco che sono causa di forte limitazione dell'organico e di conseguente impoverimento dell'azione di sicurezza e soccorso pubblico che il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, con abnegazione, garantisce quotidianamente alla popolazione italiana. (4-07399)

  Risposta. — La questione sollevata dall'interrogante, relativa alle iniziative che si intendono porre in essere per favorire la stabilizzazione del personale volontario e discontinuo dei vigili del fuoco, è seguita con attenzione da questa amministrazione che da sempre ha avvertito l'esigenza di non disperdere le professionalità acquisite nel corso degli anni di servizio dal personale volontario.
  Ciò è testimoniato, da un lato, dalla previsione a regime, in favore dei vigili volontari, di una riserva del 25 per cento dei posti nei concorsi pubblici per l'accesso alla qualifica di vigile del fuoco; dall'altro, dall'indizione in via eccezionale, nell'agosto 2007, di una procedura di stabilizzazione riservata ai vigili volontari con almeno tre anni di anzianità di iscrizione negli appositi elenchi e 120 giorni di servizio.
  Tale procedura che è derogatoria del principio costituzionale dell'accesso all'impiego nelle pubbliche amministrazioni mediante concorso pubblico, è ancora aperta e tale rimarrà fino al 31 dicembre 2016, in virtù delle concordate volontà del Parlamento e del Governo.
  A tutt'oggi, essa ha consentito di immettere nei ruoli dei vigili del fuoco permanenti 3.381 volontari attraverso lo scorrimento di ben 5.189 delle 6008 posizioni di cui si compone complessivamente la graduatoria.
  Inoltre, per le esigenze del soccorso pubblico connesse all'imminente svolgimento del Giubileo straordinario 2015/2016, il decreto legge n. 78 del 2015 ha autorizzato, in via eccezionale, l'assunzione straordinaria nei ruoli iniziali del Corpo nazionale di 250 vigili del fuoco, 125 dei quali saranno tratti proprio dalla graduatoria in parola.
  Resta, comunque fermo il principio che fino alla data di validità di tale graduatoria (31 dicembre 2016), il 50 per cento delle assunzioni nella qualifica di vigile del fuoco, che potranno essere effettuate a titolo di turn-over, saranno riservate ai volontari utilmente collocati nella graduatoria medesima.
  Non è prevista al momento l'indizione di nuove procedure di stabilizzazione. In ogni caso, una siffatta iniziativa richiederebbe un mirato intervento legislativo, che dovrebbe farsi carico di reperire la necessaria copertura finanziaria, oltreché di realizzare un equilibrato bilanciamento delle varie aspirazioni e interessi coinvolti.
  Si soggiunge, che è in fase di predisposizione un apposito schema di regolamento, da adottare ai sensi dell'articolo 8, comma 2, del decreto legislativo n. 139 del 2006, che individua i requisiti, le modalità di reclutamento e d'impiego, l'addestramento iniziale, il rapporto di servizio e la progressione del personale volontario, Tale provvedimento sostituirà l'attuale decreto del Presidente della Repubblica del 6 febbraio 2004, n. 76.
  Quanto all'ulteriore sblocco delle limitazioni al turn-over dei vigili del fuoco, se ne condivide l'utilità. Come negli anni passati, tale misura sarà presa in considerazione in sede di predisposizione della legge di stabilità, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica e tenendo conto delle analoghe esigenze di ripianamento delle vacanze di organico delle Forze di polizia.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   LUIGI DI MAIO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'azione svolta dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Isernia e dal comando provinciale della Guardia di finanza di Isernia, in data 23 giugno 2015 è stato posto agli arresti domiciliari Massimiliano Scarabeo, consigliere regionale molisano del Partito Democratico e assessore regionale con delega alle politiche dello sviluppo economico, politiche del credito, società partecipate, marketing territoriale;
   le accuse mosse dalla procura della Repubblica sono di frode fiscale e truffa aggravata ai danni della regione Molise;
   il GIP presso il tribunale di Isernia, su richiesta della procura della Repubblica di Isernia, ha emesso inizialmente due ordinanze di custodia cautelare agli arresti domiciliari a carico del consigliere regionale Massimiliano Scarabeo e del fratello;
   in seguito all'ordinanza Massimiliano Scarabeo, in data 23 giugno 2015, ha rassegnato le sue dimissioni dalla giunta regionale, secondo quanto si apprende da fonti di stampa, per quanto dal sito web della regione Molise ciò non risulti;
   il tribunale del riesame di Campobasso, in data 15 luglio 2015, si è pronunciato sulla richiesta di revoca dei domiciliari avanzata dagli avvocati difensori dell'ex assessore regionale Massimiliano Scarabeo revocandoli, ma contestualmente disponendo il divieto di dimora nel territorio della regione Molise;
   il secondo comma dell'articolo 8 dei decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 «Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi» (cosiddetta «legge Severino») stabilisce che per i consiglieri regionali «la sospensione di diritto consegue, altresì, quando è disposta l'applicazione di una delle misure coercitive di cui agli articoli 284, 285 e 286 del codice di procedura penale nonché di cui all'articolo 283, comma 1, del codice di procedura penale, quando il divieto di dimora riguarda la sede dove si svolge il mandato elettorale»;
   il provvedimento emessi dalla magistratura a carico di Massimiliano Scarabeo riguardano le norme del codice di procedura penale richiamate dal citato secondo comma dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 235 del 2012 (articolo 283, divieto e obbligo di dimora; articolo 284, arresti domiciliari);
   secondo quanto previsto dal citato decreto legislativo n. 235 del 2012, è competenza del Presidente del Consiglio dei ministri, sentiti il Ministro per gli affari regionali e il Ministro dell'interno, disporre la sospensione del consigliere Scarabeo;
   tuttavia, ad oggi, non risulta che sia stato emanato il necessario decreto del Presidente del Consiglio dei ministri –:
   per quale motivo il Governo, alla luce di quanto sopra esposto, non abbia proceduto a dare attuazione a quanto previsto dal decreto legislativo n. 235 del 2012 – adottando il provvedimento che accerta la sospensione del consigliere regionale Massimiliano Scarabeo – e se non ritenga doveroso procedere con la massima urgenza alla predisposizione delle iniziative necessarie all'immediata adozione dei provvedimenti citati. (4-10052)

  Risposta. — In merito alla richiesta di adozione del provvedimento di sospensione nei confronti del consigliere regionale Massimiliano Scarabeo, in ottemperanza alle previsioni del decreto legislativo n. 235 del 2012, si comunica quanto segue.
  Come riportato nell'interrogazione dell'interrogante, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Isernia, con ordinanza in data 12 giugno 2015, ha disposto nei confronti del signor Massimiliano Scarabeo, assessore e consigliere regionale del Molise, l'applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari (articolo 284 codice di procedura penale), eseguita il successivo 23 giugno, per le fattispecie delittuose di cui agli articoli 81, 110, 2 del decreto legislativo n. 74 del 2000, 640, 640-bis, 61 n. 7 del codice penale.
  Si sono così avverati i presupposti per la sospensione del predetto dalle cariche di assessore e consigliere regionale, ai sensi dell'articolo 8, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235.
  Al fine di adottare il relativo provvedimento, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha predisposto e inviato a questo Ministero la richiesta di assenso, propedeutica alla firma del provvedimento stesso da parte del Presidente del Consiglio dei ministri.
  Acquisito l'assenso del Ministro dell'interno, il Presidente del Consiglio dei ministri ha emanato, in data 3 agosto 2015, il decreto di sospensione in questione.
  In pari data, copia conforme del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di sospensione è stata inviata alla prefettura ufficio territoriale del governo di Campobasso per la notifica al Consiglio regionale e all'interessato, come previsto dal comma 4 del citato articolo 8 del decreto legislativo n. 235 del 2015.
  Con nota del 4 agosto 2015 la prefettura ha comunicato di aver provveduto alla notifica.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   MARCO DI MAIO. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   il tribunale di Pescara il 22 luglio scorso ha stabilito, nel giudizio di primo grado nel processo sulla «Sanitopoli» abruzzese, la condanna del presidente della Federazione italiana hockey e pattinaggio (FIHP) a quattro anni di reclusione e a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici;
   il presidente (tuttora in carica) di detta federazione guida la FIHP Federazione da quasi venti anni ed è stato citato in giudizio dalla procura di Roma per appropriazione indebita di fondi attribuiti alla Federazione;
   si apprende da fonti giornalistiche che la prima denuncia dettagliata e motivata risale a maggio 2009 ed è stata effettuata dalla stessa moglie del presidente;
   il CONI ha provveduto ad effettuare un'indagine interna finalizzata «all'accertamento della conformità, legittimità e congruità delle spese», che l'indagine non è stata né condotta nel dettaglio né completata, per questo non può essere utilizzata per chiarire la posizione del presidente della FIHP. L'indagine è stata ugualmente inviata alla Corte dei conti del Lazio;
   durante l'inaugurazione dell'anno giudiziario 2012 il procuratore generale della Corte dei conti del Lazio, Raffaele De Dominicis, ha parlato di gestione poco trasparente dei fondi destinati alla FIHP;
   chi presiede la Federazione italiana hockey e pattinaggio aderisce anche alla FIRS (Federation international de roller sports) e quindi rappresenta l'Italia in questo particolare settore sportivo;
   in Italia qualsiasi condanna non è definitiva fino al pronunciamento dei tre gradi di giudizio;
   lo sport, in ogni sua disciplina e specialità, rappresenta valori e principi che devono essere improntati alla buona condotta, al rispetto delle regole, all'ispirare comportamenti virtuosi in tutti i suoi praticanti –:
   se e come si intenda affrontare la situazione della FIHP, che rappresenta un pezzo importante della galassia delle discipline sportive praticate in Italia e il cui funzionamento impatta anche sull'immagine del nostro Paese nel mondo, e se non ritenga opportuno (qualora non fosse già stato fatto) attivare gli opportuni canali di relazione con il CONI per capire come assicurare il corretto funzionamento della federazione, tutelarne i praticanti e gli appassionati e, più in generale, lo sport italiano. (4-02305)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione a risposta scritta indicata in oggetto, si rappresenta quanto segue.
  Le federazioni sportive nazionali, inclusa la Federazione italiana Hockey e Pattinaggio, hanno natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato e sono rette da norme statutarie e regolamentari autonome. Gli statuti definiscono i poteri di vigilanza e controllo esercitabili dalla Federazione nei confronti della propria organizzazione.

  Lo statuto del Coni all'articolo 5, comma 3, precisa i requisiti generali che devono possedere i componenti degli organi, e tra questi è contemplato il requisito di non aver riportato condanne penali passate in giudicato, per reati non colposi, a pene detentive superiori a un anno ovvero a pene che comportino l'interdizione dai pubblici uffici superiore ad un anno.
  Il codice di comportamento sportivo del Coni all'articolo 11 prevede la misura cautelare della sospensione, la cui durata massima è di diciotto mesi, per i componenti degli organismi che sono stati condannati o sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza personale, ancorché con sentenza non definitiva, per i delitti contro la pubblica amministrazione. Il medesimo prevede, inoltre, che spetta agli organismi direttivi della Federazione interessata, in relazione al proprio specifico ambito di attività, l'adozione delle norme attuative che individuano l'organo competente a disporre la misura cautelare della sospensione e i connessi adempimenti procedurali.
  Pertanto il Coni non è legittimato ad adottare alcun tipo di intervento nei confronti della Federazione italiana hockey e pattinaggio il cui presidente, causa la «sanitopoli abruzzese», è stato condannato dal Tribunale di Pescara, nel giudizio di primo grado, a quattro anni di reclusione e a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriClaudio De Vincenti.


   GALLINELLA, L'ABBATE, GAGNARLI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   quando per l'adozione di sanzioni da parte dell'Unione europea è richiesta un'azione dell'Unione, come nel caso del pacchetto di misure restrittive contro la Federazione russa decise a seguito della crisi russo-ucraina, il Consiglio europeo adotta una posizione comune ai sensi dell'articolo 15 del Trattato sull'Unione europea;
   il suddetto articolo prescrive che, salvo i casi in cui i Trattati dispongano diversamente, il Consiglio europeo si pronuncia per consenso;
   come noto, il metodo del consenso, sempre più utilizzato nei consessi internazionali, non prevede che si proceda ad una vera e propria votazione ed implica invece che una deliberazione sia adottata solo nel momento in cui tutti i componenti del gruppo trovano un accordo; tale procedura si differenzia pertanto da quella della maggioranza qualificata e da quella dell'unanimità in quanto configura una fattispecie particolare basata su una accurata partecipazione, negoziazione ed inclusione delle posizioni al fine, appunto, di conseguire un ampio consenso che integri le ragioni della minoranza;
   ancorché inopportuno da un punto di vista politico che uno Stato membro ponga un qualche diritto di veto, è tuttavia indispensabile che, qualora siano compromessi rilevantissimi interessi nazionali, ciascun Capo di Stato o di Governo, accordi il proprio assenso solo dopo aver ottenuto le più ampie rassicurazioni circa le garanzie da dare al proprio Paese qualora le decisioni da deliberare impattino negativamente su di esso;
   le contromisure commerciali adottate dalla Federazione russa in risposta alle sanzioni imposte dall'Unione europea stanno arrecando gravissime conseguenze al sistema produttivo italiano in particolare quello agroalimentare; risulta infatti che nel 2013 le esportazioni verso il Cremlino hanno raggiunto un valore di oltre 700 milioni di euro e che le sanzioni economiche costano al settore oltre 200 milioni di euro causando perdite molto più ingenti che in qualsiasi altro Stato membro;
   l'Esecutivo comunitario pare intenzionato a sospendere gli aiuti concessi ai produttori unionali a titolo di indennizzo per le mancate esportazioni in Russia, prospettando di fatto una situazione allarmante posto che l'entità del danno economico non è ancora precisamente quantificata e che la situazione nell'est Europa è tutt'altro che normalizzata –:
   quali garanzie siano state chieste ed ottenute dal nostro Presidente del Consiglio nella riunione straordinaria del Consiglio europeo del 6 marzo 2014 in considerazione del prevedibile danno economico che sarebbe scaturito dalle sanzioni in via di adozione e se, alla luce dei recenti orientamenti dell'Esecutivo comunitario, in particolare la sospensione degli aiuti oltre che l'adozione di ulteriori sanzioni nei confronti di Mosca, non ritengano opportuno riconsiderare le ragioni sulle quali si basa l'allineamento del nostro Paese a queste decisioni di politica estera europea al fine di tutelare il sistema produttivo italiano specialmente quello agroalimentare. (4-06026)

  Risposta. — A seguito della crisi Russia-Ucraina, l'Unione europea ha adottato un pacchetto di sanzioni progressive nei confronti della federazione russa e dell'Ucraina filorussa di tre tipi: diplomatico, con la sospensione dei negoziati economici; individuali, attraverso l'adozione di misure restrittive nei confronti di persone ed entità russe ed ucraine filo-russe; economico-finanziarie.
  Quest'ultime sono state introdotte con il regolamento del consiglio n. 833/2014 e sono entrate in vigore il 1o agosto 2014 e colpiscono il settore finanziario, le tecnologie per l'industria petrolifera e le tecnologie sensibili a duplice uso civile e militare (qualora possano essere destinate, in tutto o in parte, ad un uso militare o ad un utilizzatore finale militare).
  In considerazione della ulteriore azione di destabilizzazione seguita alle operazioni condotte da militari russi in territorio ucraino, il Consiglio europeo del 30 agosto 2014 ha deciso di ampliare le misure sanzionatorie nei medesimi settori, con un «pacchetto» integrativo, entrato in vigore con regolamento del consiglio n. 960 del 12 settembre 2014.
  A seguito dei mancati sviluppi positivi del coretto ucraino ed al mancato completo rispetto degli Accordi di Minsk, il Coreper (Comitato dei rappresentanti permanenti dell'Unione europea), nella riunione del 17 giugno scorso si è espresso per la proroga di 6 mesi delle sanzioni fino a fine gennaio 2016. La riunione del Coreper è stata in funzione preparatoria del CAE (Consiglio degli affari esteri) e del Consiglio europeo, che nella riunione del 25-26 dello stesso mese ha pertanto adottato il regolamento di proroga delle sanzioni contro la Russia per ulteriori 6 mesi.
  Per quanto riguarda invece la Federazione russa, in data 6 agosto 2014, il Presidente Putin ha ufficialmente introdotto misure di ritorsione sull'import di alcuni prodotti agro-alimentari, provenienti da USA, Unione europea, Canada, Australia e Norvegia.
  Si attende nelle prossime settimane, a seguito della imminente proroga delle sanzioni contro la Russia da parte del Consiglio europeo della Unione europea, la risposta di Mosca in termini di contromisure di ritorsione.
  Il Ministero dello sviluppo economico, attraverso l'ufficio ICE agenzia di Mosca ha stimato in 100 milioni di euro la perdita in valore di export italiano verso la Russia per il 2014, mentre per il 2015 la perdita potrebbe raggiungere 250 milioni di Euro come effetto diretto delle sanzioni, ma anche di molto superiore, se si considerano gli effetti cosiddetti indiretti sul comparto agro-alimentare e supponendo che le esportazioni nell'anno in esame sarebbero potute crescere sia in quantità che per i prezzi unitari. Sempre dall'ICE di Mosca si apprende che, in base al calcolo delle importazioni russe nel 2013 di prodotti sanzionati nel settore agro-alimentare (dati dogane russe), i principali partner europei registrano perdite ancora maggiori rispetto all'Italia.
  Oltre agli effetti diretti da mancato export verso la Russia, è possibile individuare almeno tre categorie di conseguenze collaterali, la cui quantificazione non appare però agevole. In primo luogo, alcuni prodotti italiani (in particolare ortofrutta) venivano esportati in Russia anche attraverso triangolazioni con partner europei quali Germania e Olanda, ed è quindi possibile che il valore complessivo dei prodotti italiani con destinazione finale Russia sia superiore a quello rilevato dalle statistiche. In secondo luogo, le aziende italiane operanti in Russia nel comparto agroalimentare, sia con attività di distribuzione che produttiva, hanno subito in taluni casi forti ridimensionamenti del loro fatturato o difficoltà a proseguire con regolarità la produzione. Infine, è possibile ipotizzare che prodotti impossibilitati ad essere esportati in Russia saranno riversati sui mercati europei determinando un eccesso di offerta e un possibile calo dei prezzi; al punto che la Commissione europea ha deciso di varare, con procedura d'urgenza, due regolamenti, il 932/2014 e il 950/2014 (quest'ultimo abrogato dal regolamento 992/2014), finalizzati alla erogazione di fondi a supporto dei produttori europei colpiti dalle conseguenze del divieto (nello specifico, nel settore ortofrutticolo e in quello dei formaggi).
  Di conseguenza è difficile negare come sussista un rapporto diretto tra le misure restrittive, sia europee sia russe, e la riduzione delle esportazioni italiane in Russia. Tuttavia, tale riduzione è dipesa anche dalla contrazione della domanda interna russa, dovuta alla recente crisi economica indotta dal crollo del prezzo del greggio e dal deprezzamento del rublo. Non si deve dimenticare, in ogni caso, che le misure russe sono la risposta a sanzioni comunitarie che rientrano nel più ampio quadro della politica estera del nostro Paese, la quale deve contemperare la promozione degli interessi economici con la tutela di principi e valori quali il rispetto dell'integrità territoriale e la solidarietà atlantica ed europea. Le sanzioni dell'Unione europea verso la Russia, ispirate ai principi di gradualità, proporzionalità, efficacia e non retroattività, sono state infatti adottate a seguito di gravi violazioni di principi e norme di diritto internazionale, e si inseriscono in una più ampia strategia che privilegia il dialogo politico e diplomatico volto a promuovere una soluzione concordata basata sull'attuazione delle intese di Minsk. L'applicazione di questo accordo, come indicata dal Consiglio europeo di marzo, è direttamente connessa alla durata delle misure comunitarie, e di riflesso alle sanzioni europee.
  Benché le misure restrittive abbiano inciso sulla contrazione dell'importante interscambio commerciale tra Italia e federazione Russa, il Governo ha continuato a incoraggiare la collaborazione economica, compatibilmente alle restrizioni in atto, e l'esplorazione di forme innovative di partenariato. Bisogna poi considerare che il calo dell'interscambio con la Russia, per quanto rilevante per alcuni settori produttivi, si inserisce in una fase espansiva per il commercio estero dell'Italia, previsto crescere del 5,6 per cento nel 2015 e superare il 6 per cento nel biennio 2016-2017. L'economia italiana è fortemente diversificata, e dispone pertanto degli strumenti per rafforzare la presenza su altri mercati, sia tradizionali che emergenti, grazie anche alle risorse messe a disposizione dal Governo, in particolare con il piano straordinario per il made in Italy. In questo quadro, ci si è quindi attivati per accompagnare le imprese del settore verso nuovi sbocchi all'export agricolo e agroalimentare, con particolare riguardo al mercato nordamericano.
  Il Ministero dello sviluppo economico, nell'ambito consentito dalla sopra descritta situazione politica internazionale, ha avviato anche una serie di azioni a tutela dell'export italiano.
  Nel quadro dell'attività promozionale 2015, infatti ha dato mandato all'ICE agenzia di proseguire e potenziare le sue attività promozionali nei settori dell'agro-alimentare non colpiti dall'embargo russo. Ha inoltre, dato istruzioni di supportare i settori colpiti dall'embargo con adeguate iniziative di promozione su altri mercati esteri in modo tale da consentire una «compensazione» delle mancate esportazioni nella Federazione russa.
  Sempre nel quadro delle attività promozionali, è stata promossa attraverso gli uffici dell'ICE in Russia, una complessa serie di attività locali a presidio del settore agroalimentare, anche avvalendosi delle attività del Desk di assistenza alle imprese per gli ostacoli al commercio.
  Tali azioni si sostanziano innanzitutto nella realizzazione in loco di iniziative promozionali in occasione delle maggiori fiere di settore, tra le quali si intende evidenziare l'organizzazione da parte di ICE Mosca di una missione collettiva, con la partecipazione di 30 aziende italiane, in occasione del world food che si è svolta dal 14 al 17 settembre 2015 a Mosca.
  Nel contempo, l'Italia attuerà una più intensa vigilanza per prevenire su quel mercato fenomeni di Italian Sounding e di contraffazione, a tutela delle nostre produzioni e per evitare il potenziale incremento dell'effetto-sostituzione da parte dei consumatori locali.
  Occorre infine rilevare che l'agenzia ICE di Mosca, su indicazione del Ministero dello sviluppo economico e d'intesa con il Ministero degli affari esteri, continua ad operare regolarmente sia dal punto di vista dell'attività promozionale che in termini di attività di assistenza prestata alle aziende italiane interessate ad operare nella Federazione russa, come dimostrato – in ordine di tempo – dall'ultima missione istituzionale ed imprenditoriale, tenutasi a Kazan dal 25 al 27 marzo 2015 e organizzata dall'ambasciata d'Italia e che ha visto la partecipazione di 20 aziende italiane (meccanica, logistica, materiali per edilizia, servizi bancari, filiera agroindustriale, energia) e la realizzazione di oltre 100 incontri bilaterali d'affari con operatori economici locali.
  Analogamente, la prossima edizione della task force italo-russa sulle PMI che si terrà a Cheboksary (nella Repubblica di Chuvashia) tra il 15 ed il 16 ottobre, a cui parteciperanno numerose aziende italiane dei settori meccanica (filiera legno e agroindustriale), elettrotecnica e risparmio energetico, rappresenterà un'ulteriore occasione per mantenere aperto il dialogo promozionale e commerciale con la Russia.
Il Viceministro dello sviluppo economicoCarlo Calenda.


   MATARRELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco è una delle realtà più importanti per la sicurezza dei cittadini del nostro Paese e in molte occasioni si è rivelato decisivo per la salvezza di tante vite umane;
   i vigili discontinui sono tutti vigili del fuoco ex ausiliari che hanno effettuato il servizio di leva nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco oppure iscritti nei quadri provinciali discontinui dopo il superamento di un Corso di addestramento pratico della durata di 120 ore presso le strutture periferiche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   essi effettuano mediamente da 20 a 160 giorni di servizio attivo l'anno (in periodi di 20 giorni rispettando la normale turnazione dei colleghi permanenti) rispetto una norma che ne consente fino ad un massimo di 180 giorni;
   lavorano in propri distaccamenti dotati di mezzi antincendio, presenti in quasi tutto il territorio italiano, e partecipano alle operazioni di soccorso con proprie squadre di intervento al pari dei vigili permanenti;
   questi uomini e donne dai 18 fino ai 45 anni di età e anche oltre, con centinaia di giorni e tanta esperienza alle spalle sono impiegati giornalmente in tutte le sedi di servizio operative sempre in prima linea con i colleghi permanenti per limitare la fortissima carenza di organico che insiste nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco e che limita fortemente il servizio di prevenzione, sicurezza e soccorso cui il corpo medesimo è deputato a svolgere su tutto il territorio nazionale in maniera ottimale mantenendo gli standard europei;
   se l'operatività del Corpo è sempre prontamente attiva ed efficiente, un grande merito è da attribuire alle figure degli stessi volontari, sempre pronti a sostituire i colleghi effettivi e sempre disponibili a prestare soccorso nelle situazioni più difficili, sia quando si tratta di disastri dovuti a calamità naturali, sia quando si tratta del singolo individuo in pericolo, mettendo anche a repentaglio la loro stessa vita;
   i vigili discontinui rappresentati dall'Associazione nazionale e dal comitato precari vigili del fuoco, combattono da anni per raggiungere una certezza economica per le proprie famiglie e permettere di effettuare il lavoro cui si sentono vocati e per il quale mettono a repentaglio la propria vita per salvare quella agli altri;
   i vigili discontinui servono lo Stato per lenire la carenza cronica di personale –:
   se stia provvedendo a predisporre delle misure volte a stabilizzare il precariato dei vigili discontinui nel pubblico impiego per tutelare le posizioni di quei lavoratori precari che già hanno prestato la loro attività lavorativa a tempo determinato presso la pubblica amministrazione e, pertanto, sono in possesso di adeguata professionalità;
   quali iniziative, con quali modalità ed entro quali tempi intenda intraprendere per estendere la partecipazione del personale cosiddetto precario, consolidare il rapporto di lavoro e garantire a tutti una pari opportunità, valorizzando e tutelando la professionalità dei volontari che operano nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco. (4-06950)

  Risposta. — La questione sollevata dall'interrogante, relativa alle iniziative che si intendono porre in essere per favorire la stabilizzazione del personale volontario e discontinuo dei vigili del fuoco, è seguita con attenzione da questa Amministrazione che da sempre ha avvertito l'esigenza di non disperdere le professionalità acquisite nel corso degli anni di servizio dal personale volontario.
  Ciò è testimoniato, da un lato, dalla previsione a regime, in favore dei vigili volontari, di una riserva del 25 per cento dei posti nei concorsi pubblici per l'accesso alla qualifica di vigile del fuoco; dall'altro, dall'indizione in via eccezionale, nell'agosto 2007, di una procedura di stabilizzazione riservata ai vigili volontari con almeno tre anni di anzianità di iscrizione negli appositi elenchi e 120 giorni di servizio.
  Tale procedura che è derogatoria del principio costituzionale dell'accesso all'impiego nelle pubbliche amministrazioni mediante concorso pubblico, è ancora aperta e tale rimarrà fino al 31 dicembre 2016, in virtù delle concordate volontà del Parlamento e del Governo.
  A tutt'oggi, essa ha consentito di immettere nei ruoli dei vigili del fuoco permanenti 3.381 volontari attraverso lo scorrimento di ben 5.189 delle 6008 posizioni di cui si compone complessivamente la graduatoria.
  Inoltre, per le esigenze del soccorso pubblico connesse all'imminente svolgimento del Giubileo straordinario 2015/2016, il decreto-legge n. 78 del 2015 ha autorizzato, in via eccezionale, l'assunzione straordinaria nei ruoli iniziali del Corpo nazionale di 250 vigili del fuoco, 125 dei quali saranno tratti proprio dalla graduatoria in parola.
  Resta, comunque fermo il principio che fino alla data di validità di tale graduatoria (31 dicembre 2016), il 50 per cento delle assunzioni nella qualifica di vigile del fuoco, che potranno essere effettuate a titolo di turn-over, saranno riservate ai volontari utilmente collocati nella graduatoria medesima.
  Non è prevista al momento l'indizione di nuove procedure di stabilizzazione. In ogni caso, una siffatta iniziativa richiederebbe un mirato intervento legislativo, che dovrebbe farsi carico di reperire la necessaria copertura finanziaria, oltreché di realizzare un equilibrato bilanciamento delle varie aspirazioni e interessi coinvolti.
  Infine si soggiunge, che è in fase di approvazione un apposito schema di regolamento, da adottare ai sensi dell'articolo 8, comma 2, del decreto legislativo n. 139 del 2006, che individua i requisiti, le modalità di reclutamento e d'impiego, l'addestramento iniziale, il rapporto di servizio e la progressione del personale volontario. Tale provvedimento sostituirà l'attuale decreto del Presidente della Repubblica del 6 febbraio 2004, n. 76.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   MERLO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   dai provvedimenti sin d'ora assunti dal Governo sembrerebbe che le scuole d'italiano all'estero non sono una priorità, preferendo ridurre il numero degli insegnanti, per ridurre le spese;
   il ridimensionamento del personale era già stato previsto dalla spending review;
   per gli insegnanti italiani nel mondo sono previsti circa 5 milioni di euro in meno per i prossimi anni, che dovrebbero significare una riduzione della busta paga del 10 per cento per tutti; tagli sono contenuti nella manovra per il 2015 e sono previsti non nel capitolo dedicato al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ma a quello degli affari esteri e della cooperazione internazionale, da cui dipendono questi docenti;
   in particolare, si parla di una contrazione di 3,7 milioni nel 2015 e 5,1 milioni per il 2016 e il 2017 sugli stanziamenti per le indennità di servizio. Oltre allo stipendio tradizionale, infatti, gli insegnanti all'estero percepiscono un assegno «extra», che varia a seconda delle sedi di lavoro e che sino ad oggi non veniva sottoposto a tassazione, se non per una minima parte considerata reddito. Su questo trattamento ha deciso di intervenire il Governo, quadruplicando l'imponibile;
   il provvedimento riguarda tutto il personale all'estero: già decurtato di 57 milioni tra il 2011 e il 2014; il fondo per le indennità di servizio passa da 212 a 170 milioni di euro l'anno, con un taglio pari circa al 20 per cento. Il risultato è stato quello di ridurre l'indebitamento netto di circa 31 milioni di euro, ma a spese dei lavoratori;
   la spending review aveva già deciso un taglio di quasi il 50 per cento del contingente, passando dai circa mille insegnanti del 2010 a 624. Il ridimensionamento doveva essere attuato entro il 2017, ma ci si è arrivati con due anni d'anticipo sulla tabella di marcia, decidendo di non rinnovare tutti i mandati in scadenza;
   dall'Algeria al Venezuela, da New York negli Stati Uniti a Brazzaville nella Repubblica Democratica del Congo, le scuole d'italiano all'estero sono 51, di cui otto istituti onnicomprensivi statali, e 43 istituti paritari, a cui si aggiungono 79 sezioni italiane presso scuole straniere. In totale ospitano circa 31mila alunni, di cui il 90 per cento stranieri, proprio per quella che è la loro funzione di promuovere la lingua e la cultura italiana nel mondo;
   i docenti però devono superare delle prove di lingua, e poi inserirsi in graduatorie a punteggio divise per classi di concorso e aree linguistiche. Sono queste liste a determinare la sede d'assegnazione, ciascuna delle quali prevede un coefficiente (sulla base di vari criteri come la distanza da casa, la pericolosità della regione, il costo e la qualità della vita, e altro) per calcolare l'importo dell'indennità di servizio;
   dal 1° luglio 2015 quest'assegno avrà un regime fiscale decisamente più sfavorevole –:
   se il Ministro ritenga necessaria una revisione delle riduzioni di spesa esposte in premessa, che hanno come unico scopo quello di colpire i docenti, continuando a portare una serie di tagli lineari che non risolvono i problemi e riducono il servizio necessario per una prestazione minima, e se non ritenga di assumere iniziative per una modifica immediata della normativa che disciplina il settore degli insegnanti italiani all'estero. (4-08462)

  Risposta. — In relazione alla «spending review», il decreto-legge 95/12 ha imposto, come rilevato dall'interrogante, una graduale riduzione del contingente del personale scolastico da destinare all'estero fissando a 624 il limite massimo di unità di personale da raggiungere entro l'anno scolastico 2015/16, e comportando di fatto una diminuzione entro quella data di 400 unità rispetto alle 1.024 stabilite prima dell'entrata in vigore della norma. Tuttavia, l'entità delle soppressioni non è derivata da mancate proroghe del personale, ma dall'automatismo insito nella norma medesima per cui il numero dei posti da sopprimere è stato uguale al numero dei rientri del personale in scadenza di mandato. Sono state, pertanto, operate le seguenti riduzioni: per l'anno scolastico 2012/13, 134 posti; per il 2013/14, 57; per il 2014/15, 61; per il 2015/2016, 148.
  A partire dal 1o luglio 2015 è entrata in vigore anche per il personale scolastico all'estero la riforma dell'indennità (assegno di sede), ma relativamente alla sola applicazione della modifica al testo unico delle imposte sui redditi. A seguito di tale modifica normativa, ampliando la base imponibile, si è determinata una riduzione dell'indennità netta percepita dal personale scolastico a fronte di un maggiore gettito fiscale e contributivo.
  Va tenuto presente che la norma prevede che: «Gli assegni di sede e le altre indennità percepite per servizi prestati all'estero costituiscono reddito nella misura del 50 per cento. Se per i servizi prestati all'estero dai dipendenti delle Amministrazioni statali la legge prevede la corresponsione di una indennità base e di maggiorazioni ad esse collegate, concorre a formare il reddito la sola indennità base nella misura del 50 per cento nonché il 50 per cento delle maggiorazioni percepite fino alla concorrenza di due volte l'indennità base». Per converso, tale modifica comporterà vantaggi pensionistici per il personale interessato.
  Si è dovuto, in ogni caso, considerare quanto indicato nella relazione tecnica alla legge di stabilità 2015, che quantifica in euro 2,75 milioni il maggiore gettito fiscale e contributivo per il 2015 e in euro 5,5 milioni quello relativo al 2016.
  La necessità di garantire tale maggiore gettito, unitamente alla riduzione per l'anno 2015 dello stanziamento iniziale di bilancio per gli assegni di sede di 3,7 milioni di euro, sino a 35,9 milioni di euro, mantenendo il contingente a 624 unità, ha comportato una rimodulazione dei coefficienti di sede per il secondo semestre del 2015.
  Il 13 luglio 2015 è stata approvata la legge n. 107 recante la «Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti» (cosiddetta «Buona Scuola»). Tale legge prevede, tra le altre cose, anche un riordino e l'aggiornamento della normativa relativa alle Istituzioni scolastiche ed educative all'estero. In particolare, contiene una delega espressa al Governo per una revisione del trattamento economico: è proprio in questo ambito che si collocherà un intervento volto a modificare la struttura dell'assegno di sede, tenendo presente la modifica già compiuta per l'indennità di servizio all'estero del personale del MAECI, così come altre voci relative agli emolumenti percepiti.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   MOSCATT. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i vigili discontinui sono vigili del fuoco ex ausiliari che hanno effettuato il servizio di leva nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco oppure iscritti nei quadri provinciali discontinui dopo il superamento di un corso della durata di 120 ore presso le strutture periferiche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   effettuano mediamente da 20 a 160 giorni di servizio attivo l'anno in periodi di 20 giorni rispettando la normale turnazione dei colleghi permanenti;
   questi uomini in tutto il territorio nazionale, con centinaia di giorni e tanta esperienza alle spalle, sono impiegati giornalmente in tutte le sedi di servizio operative con i colleghi permanenti per limitare la carenza di organico che insiste nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco mantenendo in maniera ottimale gli standard europei;
   i vigili discontinui rappresentati dall'Associazione Nazionale e dal comitato precari vigili del fuoco, si impegnano da anni per raggiungere una certezza economica;
   una norma ha consentito l'assunzione di solo una parte degli ex discontinui escludendo quelli che hanno superato il limite di età fissata a 37 anni per la partecipazione ai concorsi per l'accesso al ruolo di vigile del fuoco;
   la stabilizzazione non è un concorso, ma è una procedura di consolidamento del rapporto di lavoro –:
   quali iniziative intenda adottare per combattere la precarietà del lavoro e garantire pari opportunità ai vigili discontinui con lo scorrimento fino ad esaurimento delle graduatorie esistenti, che consentirebbe, in tempi di spending review, anche l'ottimizzazione dei costi. (4-06948)

  Risposta. — La questione sollevata dall'interrogante, relativa alle iniziative che si intendono porre in essere per favorire la stabilizzazione del personale volontario e discontinuo dei vigili del fuoco, è seguita con attenzione da questa Amministrazione che da sempre ha avvertito l'esigenza di non disperdere le professionalità acquisite nel corso degli anni di servizio dal personale volontario.
  Ciò è testimoniato, da un lato, dalla previsione a regime, in favore dei vigili volontari, di una riserva del 25 per cento dei posti nel concorsi pubblici per l'accesso alla qualifica di vigile del fuoco; dall'altro, dall'indizione in via eccezionale, nell'agosto 2007, di una procedura di stabilizzazione riservata ai vigili volontari con almeno tre anni di anzianità di iscrizione negli appositi elenchi e 120 giorni di servizio.
  Tale procedura che è derogatoria del principio costituzionale dell'accesso all'impiego nelle pubbliche amministrazioni mediante concorso pubblico, è ancora aperta e tale rimarrà fino al 31 dicembre 2016, in virtù delle concordate volontà del Parlamento e del Governo.
  A tutt'oggi, essa ha consentito di immettere nei ruoli dei vigili del fuoco permanenti 3.381 volontari attraverso lo scorrimento di ben 5.189 delle 6008 posizioni di cui si compone complessivamente la graduatoria.
  Inoltre, per le esigenze del soccorso pubblico connesse all'imminente svolgimento del Giubileo straordinario 2015/2016, il decreto-legge n. 78 del 2015 ha autorizzato, in via eccezionale, l'assunzione straordinaria nei ruoli iniziali del Corpo nazionale di 250 vigili del fuoco, 125 dei quali saranno tratti proprio dalla graduatoria in parola.
  Resta, comunque fermo il principio che fino alla data di validità di tale graduatoria (31 dicembre 2016), il 50 per cento delle assunzioni nella qualifica di vigile del fuoco, che potranno essere effettuate a titolo di turn-over, saranno riservate ai volontari utilmente collocati nella graduatoria medesima.
  Non è prevista al momento l'indizione di nuove procedure di stabilizzazione. In ogni caso, una siffatta iniziativa richiederebbe un mirato intervento legislativo, che dovrebbe farsi carico di reperire la necessaria copertura finanziaria, oltreché di realizzare un equilibrato bilanciamento delle varie aspirazioni e interessi coinvolti.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   PAGANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 1° settembre 2015 alle ore 17, nell'aula consiliare del comune di Monreale, circa sessanta persone erano presenti per partecipare ad un convegno, relativo alle riforme introdotte dalla recente riforma della scuola (cosiddetta «La buona scuola») ed ai possibili progetti scolastici da esso introdotti;
   la conferenza era organizzata dal Comitato «Si alla Famiglia» e da alcuni genitori fortemente interessati alla teoria del Gender ed alle possibili ricadute sulla educazione scolastica;
   quali relatori erano stati invitati il dottor Nino Amato neurologo e l'avvocato Maria Letizia Russo, docente, entrambi di Alleanza Cattolica e del Comitato «Si alla Famiglia», presentati dalla signora Tiziana Piedimonte, referente regionale del «Comitato articolo 26» Palermo;
   già durante l'intervento del dottor Nino Amato, incentrato sugli aspetti scientifici della differenziazione sessuale, gruppi di persone hanno disturbato il corso della relazione, che è stata portata a termine faticosamente;
   il secondo intervento, invece, avente per titolo «Gender: consigli per i genitori», è stato letteralmente impedito;
   sia i relatori sia gli organizzatori hanno tentato di dissuadere i disturbatori invitandoli ad attendere la fine delle relazioni, a cui avrebbe fatto seguito il dibattito, senza successo;
   in più occasioni, tali soggetti, il cui scopo evidente era quello di impedire il libero esercizio della libertà di opinione, hanno apostrofato pesantemente i relatori senza che gli stessi potessero replicare;
   l'azione di disturbo ha tra l'altro impedito ai partecipanti alla conferenza di ottenere le informazioni che si aspettavano dall'incontro di studio, ed alcuni dei presenti, con bambini al seguito, una, volta resisi conto di quello che stava accadendo, si sono allontanati;
   i relatori, nel constatare la totale assenza di senso civico e della libertà dei gruppi filo-gay non hanno potuto far altro che sospendere il momento di riflessione, studio e approfondimento voluto da famiglie sensibili al tema dell'educazione e preoccupate per il futuro dei propri figli;
   una delle organizzatrici, la signora Alessandra Anselmo, alcuni giorni prima dell'incontro, si era recata presso la locale stazione dei carabinieri per comunicare l'iniziativa e chiedere garanzie circa la tutela delle forze dell'ordine così come da circolare dei Ministro dell'interno, segnalando che già altre decine e decine di volte ci fossero stati atti di intolleranza se non di violenza da parte dei gruppi facenti capo alle lesbiche, gay, transessuali bisex, comunemente chiamate LGBT;
   presso la stazione dei carabinieri, veniva dichiarato che non era necessaria una presenza sul posto dell'Arma, atteso che si trattava di un incontro di genitori;
   Alleanza Cattolica e il Comitato «Si alla famiglia», spesso insieme ad altri organismi, organizzano in tutta Italia con frequenza convegni e conferenze su questi temi. È prassi corrente, più volte fatta presente in atti parlamentari, che i siti dell'associazionismo gay segnalino questi eventi chiedendo ai propri militanti di interrompere le manifestazioni e provocano i relatori. La macchina propagandistica afferma sui loro siti che occorre «evitare con tutti i mezzi» che si tengano iniziative sgradite e considera gli organizzatori di queste iniziative una sorta di «Ku Klux Klan anti-omosessuale, che strumentalizza la religione»;
   nel rispondere ad atti parlamentari su vicende analoghe il Governo ha espressamente dichiarato che: «L'impegno delle Forze dell'ordine è continuamente teso a garantire la libertà, a garantire l'autonomia nell'espressione del proprio pensiero da parte dei cittadini e, quindi, in una parola a garantire i diritti costituzionalmente definiti» (sottosegretario Bubbico, Aula della Camera 27 settembre 2013);
   a Monreale in particolare, oltre a essere stati messi in atto comportamenti di dubbia liceità, si è impedito l'esercizio di diritti costituzionalmente tutelati, come la libertà di manifestare il pensiero, la libertà di riunirsi pacificamente, la libertà di ricerca; i siti omosessuali a loro volta, hanno posto in essere un'azione di istigazione che deve ritenersi altrettanto dubbia sotto il profilo della legalità –:
   quali siano gli orientamenti del Governo sull'episodio esposto in premessa;
   per quali motivi le forze dell'ordine, preventivamente avvertite, non siano intervenute in applicazione della circolare del Ministero dell'interno diramata a seguito di precedenti ed analoghi episodi di aggressione subiti da associazioni che come Alleanza Cattolica si occupano di formazione e di studio in difesa del valore della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna;
   quali ulteriori iniziative di prevenzione il Governo intenda adottare per evitare il ripetersi sempre più frequente di episodi simili a quello esposto in premessa. (4-10493)

  Risposta. — L'interrogante nel riferirsi all'azione di disturbo posta in essere da alcuni contestatori nel corso di una recente conferenza organizzata a Monreale dal comitato «Si alla famiglia» e da alcuni genitori interessati alla teoria del gender, chiede al Ministro dell'interno quali iniziative di prevenzione intenda adottare per evitare il ripetersi di situazioni analoghe.
  Si premette che il 26 agosto 2015 una delle organizzatrici della iniziativa culturale ha presentato alla stazione carabinieri di Monreale una comunicazione con la quale chiedeva la presenza di carabinieri in occasione di un'assemblea di genitori in programma il 1o settembre 2015, presso l'aula consiliare del comune di Monreale, per «discutere di problemi scolastici e familiari». Nella stessa giornata l'organizzatrice si è anche rivolta al sindaco per richiedere l'autorizzazione all'utilizzo della citata sala.
  Il successivo 29 agosto, la medesima organizzatrice ha contattato il comandante della stazione carabinieri al fine di conoscere l'esito dell'istanza. Nell'occasione, il predetto ha rappresentato che l'evento non necessitava dell'intervento della forza pubblica, avuto riguardo al tema del convegno, per come genericamente esposto nella comunicazione, nonché al luogo di svolgimento del medesimo.
  Nel corso del colloquio l'organizzatrice ha specificato unicamente che l'incontro era incentrato sui temi del bullismo e della diffusione della droga fra i giovani.
  Questi i fatti antecedenti l'iniziativa, dai quali emerge, in sostanza, che la stazione dei carabinieri, basandosi sulle comunicazioni rese dall'organizzazione, non ha ravvisato profili di rischio di turbative dell'ordine e sicurezza pubblica legati allo svolgimento dell'evento.
  Si informa, inoltre, che durante lo svolgimento del convegno le forze dell'ordine non hanno ricevuto richieste di intervento e che, a tutt'oggi, non risultano essere state presentate denunce circa i fatti segnalati nell'atto di sindacato ispettivo.
  Su un piano più generale, rispetto alla legittime richieste formulate dall'onorevole interrogante, si ribadisce quanto già espresso in diversi atti di sindacato ispettivo, vale a dire che, in occasione di manifestazioni pubbliche, le Forze dell'ordine prestano sempre la massima attenzione alla tutela dei diritti di libertà di riunione e di manifestazione del pensiero costituzionalmente garantiti.
  Si tratta, a ben vedere, di uno degli impegni più delicati per le forze di polizia, che operano attraverso sperimentati moduli operativi, consistenti nell'attivazione in via preventiva di opportuni canali informativi e nella predisposizione, in loco, di accurati servizi di ordine pubblico commisurati al livello di rischio atteso, fatte salve – all'occorrenza e ove possibile – successive integrazioni del dispositivo che si rendano necessarie a manifestazione in corso.
  I fatti illeciti posti in essere nel corso degli eventi, attentamente monitorati da operatori di polizia specializzati, vengono sottoposti, al termine delle relative indagini, alle valutazioni dell'autorità giudiziaria.
  Si assicura che a tale consolidato modus operandi le Forze di polizia si atterranno anche in futuro, in modo da garantire il sereno e regolare svolgimento di ogni iniziativa pacifica che sia espressione della libertà di manifestazione del pensiero.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   RIZZO, FRUSONE, CORDA e BASILIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'istituto giuridico dell'avvicendamento consente al personale militare in servizio permanente di avanzare istanza di trasferimento di sede avvicendandosi con un altro militare della medesima categoria;
   con la circolare del 16 marzo 2004 n. 1940/07/PIC-100 lo Stato maggiore dell'Esercito ha disciplinato le istanze di avvicendamento reciproco individuando specifici criteri di ammissibilità delle domande e la relativa procedura amministrativa;
   in particolare, nella richiamata circolare si prevede che i militari interessati al trasferimento devono aver maturato almeno 2 anni di permanenza effettiva presso l'attuale sede di lavoro, non devono essere stati condannati per delitti non colposi, né sottoposti a procedimenti penali, nell'anno di effettivo servizio antecedente la data di presentazione dell'istanza. Si prevede, infine, che l'interessato non abbia riportato qualifiche inferiori a «Superiore alla Media», ovvero rapporti informativi equivalenti;
   si precisa, inoltre, che nel caso di istanze che implicano un cambio di specialità, saranno tenuti in conto i requisiti richiesti per le singole specialità, la necessità di realizzare corsi specifici da parte del personale coinvolto, la necessità di assicurare una permanenza minima nell'incarico al personale destinato ai reparti in prima assegnazione, al fine di massimizzare le conoscenze acquisite durante l’iter formativo di base relativamente alla specialità o incarico assegnato. In questo caso, la permanenza minima richiesta è 3 anni anziché due;
   allo stato non risultano emanate analoghe circolari da parte delle altre Forze armate sebbene l'istituto in esame risulti di estremo interesse anche per il personale militare appartenente alle altre Forze armate –:
   quale sia il quadro normativo di riferimento che regola l'istituto dell'avvicendamento nelle Forze armate e la sua concreta applicazione da parte delle singole Forze armate. (4-08962)

  Risposta. — A premessa della risposta giova specificare che la circolare a cui si riferisce l'interrogante nell'atto è stata abrogata e sostituita da una datata 17 luglio 2012, a sua volta confluita, con modificazioni, nella direttiva P-001, recante le «Procedure per l'impiego del personale militare dell'esercito» del 23 luglio 2014.
  Tanto chiarito, per ciò che attiene al quadro normativo di riferimento, l'istituto giuridico dell'avvicendamento s'inserisce nelle attribuzioni dei capi di Stato Maggiore di Forza armata in materia d'impiego del personale che sono definite dagli articoli 33, comma 1 e 976, comma 2, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, recante «Codice dell'ordinamento Militare» e dall'articolo 95, comma 1, lettera h) punto 2) e lettera l), del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90 «Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare».
  Le circolari/direttive d'impiego della marina, dell'aeronautica e del comando generale dell'Arma dei carabinieri, ancorché non prevedano la possibilità del cosiddetto avvicendamento reciproco, sono in linea con le vigenti norme in materia che prevedono l'assegnazione di sede d'autorità, per il soddisfacimento di esigenze funzionali dell'amministrazione, oppure, a domanda dell'interessato.
  Nello specifico, il citato quadro normativo garantisce al personale la facoltà di presentare istanza di trasferimento per le seguenti specifiche esigenze:
   all'assistenza dei soggetti portatori di handicap, legge n. 104 del 1992;
   al ricongiungimento familiare, previsto dall'articolo 17 della legge 28 luglio 1999, n. 266;
   all'assegnazione temporanea entro il terzo anno di vita del figlio minore, previsto dall'articolo 42-bis del decreto legislativo n. 151 del 2001.
  In aggiunta alle fattispecie sopra elencate, è comunque garantita al personale la facoltà di presentare un'istanza tesa ad ottenere il trasferimento a domanda.
  Tali istanze vengono esaminate con la dovuta attenzione e valutate singolarmente, ricercando un adeguato bilanciamento tra le esigenze d'istituto e l'interesse personale.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.