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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 27 ottobre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    i drammatici fatti di cronaca negli ultimi mesi hanno evidenziato come l'eccezionale migrazione di cittadini provenienti dai Paesi extraeuropei sia divenuta ormai un fenomeno strutturale che costituirà una delle più complesse questioni che l'Italia e l'Unione europea saranno chiamate ad affrontare nei prossimi anni;
    il livello dei richiedenti asilo in Italia nel 2015 è risultato piuttosto elevato: nel primo semestre del 2015 le richieste sono state 30.150 (dati Eurostat, 18 settembre 2015). Nel 2014 le domande presentate sono state 64.886 a fronte delle 26.620 del 2013 (fonte Consiglio italiano per i rifugiati). Il forte incremento è collegato alla notevole ripresa dei flussi migratori;
    il nostro Paese ha predisposto misure adeguate sia sul piano emergenziale che sul piano strettamente amministrativo che hanno consentito, per questo ultimo aspetto, di migliorare l'efficacia e l'efficienza dell'apparato amministrativo. Infatti, con l'adozione del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, che ha dato attuazione alle direttive europee n. 32 (cosiddetta direttiva procedure) e n. 33 del 2013 (cosiddetta direttiva accoglienza) e con l'emanazione del relativo regolamento di attuazione, il nostro Paese ha regolamentato in modo più semplice e più snello il procedimento amministrativo per quanto concerne il riconoscimento e la revoca dello status di protezione internazionale;
    in particolare, il citato decreto legislativo ridisegna il sistema di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale sulla base, (per quanto riguarda le strutture) del Piano nazionale per fronteggiare il flusso straordinario di migranti, adulti, famiglie e minori non accompagnati, definito d'intesa tra Stato, regioni ed enti locali il 10 luglio 2014, inserendo la previsione di strutture temporanee appositamente destinate ad accoglienza straordinaria in caso di saturazione delle strutture ordinarie a seguito di flussi ravvicinati e numerosi;
    per fare fronte all'eccezionale afflusso di rifugiati nel nostro Paese sono state aumentate le risorse destinate ai servizi di asilo con l'adozione di diversi provvedimenti, anche a carattere di urgenza, tra cui il decreto-legge n. 119 del 2014, che ha raddoppiato il numero delle commissioni per l'esame delle domande di protezione internazionale. Tali misure hanno sicuramente reso più sostenibile il sistema; infatti, dall'inizio del 2015 le istanze definite dalle commissioni territoriali sono state 46.490, con un aumento di circa il 70 per cento rispetto al 2014;
    l'articolo 18-ter del decreto-legge n. 83 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, ha previsto, peraltro, un piano straordinario di applicazioni extra-distrettuali idoneo a fronteggiare l'incremento del numero dei procedimenti giurisdizionali connessi con le richieste di accesso al regime di protezione internazionale e umanitaria da parte dei migranti presenti sul territorio nazionale e di altri procedimenti connessi al fenomeno dell'immigrazione;
    tuttavia, nonostante gli interventi del Governo precedentemente citati, sono necessarie maggiori risorse in termini di personale qualificato idoneo per ridurre i tempi delle richieste di asilo in modo da riconoscere l'effettivo diritto di protezione internazionale a quanti effettivamente ne hanno diritto ed effettuando i rimpatri volontari ed assistiti o i respingimenti, ove tali condizioni non sussistano;
    occorre, in ogni caso, procedere anche ad iniziative di natura organizzativa destinate a garantire un'adeguata gestione dei flussi migratori. Sarebbe utile al proposito valutare la possibilità di semplificare ancora di più la materia e procedere a soluzioni digitalizzate che consentano di creare modelli più moderni e più efficaci di gestione dei flussi,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di introdurre misure idonee, oltre a quelle già previste, atte a velocizzare ancora di più le procedure concernenti il riconoscimento dello status e l'accoglienza dei rifugiati;
   a valutare la possibilità di istituire presso i tribunali sezioni specializzate per i procedimenti di protezione internazionale;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative dirette alla formazione specifica sia del personale delle commissioni territoriali che dei magistrati ordinari;
   a valutare l'opportunità di intervenire attraverso semplificazioni di carattere procedurale atte a rendere più efficiente ed efficace il procedimento giurisdizionale sulle materie di cui in premessa;
   a valutare, qualora ve ne fosse bisogno, il ricorso alla mobilità del personale degli enti territoriali nel frattempo sciolti da inserire nelle sezioni specializzate per i procedimenti di protezione internazionale.
(1-01039) «Marotta, Pagano, Dorina Bianchi».


   La Camera,
   premesso che:
    l'aggravarsi dei conflitti nell'area mediterranea e mediorientale, il gonfiarsi delle ondate di migranti in cerca di protezione e asilo, e il crescente numero di morti per migrazione, stanno spingendo finalmente l'Unione europea, insieme agli Stati membri, ad adottare una serie di misure volte a rispondere alle sfide sollevate dai flussi migratori, cercando di affrontare la questione con maggiore realismo e determinazione;
    è ora più che mai necessario intensificare gli sforzi per garantire una risposta sufficiente e adeguata all'attuale crisi in materia di migrazione e rifugiati, e definire una politica migratoria europea credibile. Siamo infatti di fronte ad una svolta epocale, in cui assistiamo a vere e proprie migrazioni di popoli;
    la risposta alle pressioni migratorie che caratterizzano in particolare il Mediterraneo, passa innanzitutto attraverso la protezione di coloro che ne hanno bisogno, anche per evitare ulteriori perdite di vite umane in mare. Ma è fondamentale, allo stesso tempo, affrontare con sistematicità le cause profonde della migrazione, chiave di volta per offrire soluzioni ad una questione che oramai da troppo tempo non si muove più sulla linea dell'emergenza, ma che ha carattere strutturale;
    da questo punto di vista, le azioni definite dall'Unione europea, non sono state affatto sufficienti: l'attenzione si è concentrata piuttosto sul rafforzamento della presenza in mare, la lotta ai trafficanti, e sul potenziamento della solidarietà e della responsabilità interne dei singoli Stati, mentre praticamente nulla è stato fatto per la creazione di canali di migrazione legale;
    nonostante nel recente dibattito sulla questione si parli sempre più spesso della necessità di una politica finalizzata al miglioramento delle condizioni di vita nei Paesi «di provenienza», ovvero quelli da cui hanno origine i flussi, cambiando totalmente l'approccio al tema migratorio, anche su questo fronte gli sforzi risultano inadeguati;
    Papa Francesco, nel suo messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che la Chiesa celebrerà il 17 gennaio 2016, ha parlato di «diritto a non emigrare per contribuire allo sviluppo del Paese d'origine», evidenziando l'opportunità di un processo che «dovrebbe includere, nel suo primo livello, la necessità di aiutare i Paesi da cui partono migranti e profughi.», confermando che «la solidarietà, la cooperazione, l'interdipendenza internazionale e l'equa distribuzione dei beni della terra sono elementi fondamentali per operare in profondità e con incisività soprattutto nelle aree di partenza dei flussi migratori, affinché cessino quegli scompensi che inducono le persone, in forma individuale o collettiva, ad abbandonare il proprio ambiente naturale e culturale»;
    lo sviluppo, sostenne Amartya Sen, premio Nobel 1998 per l'economia, deve essere inteso come un processo di espansione delle libertà reali di cui godono gli esseri umani, nella sfera privata come in quella sociale e politica;
    la libertà, quindi, implica sviluppo: la libertà è condizione determinante per la prosperità, mentre la guerra impoverisce e crea miseria. Di conseguenza, la sfida dello sviluppo consiste nell'eliminare i vari tipi di «illibertà», tra cui la fame e la miseria, la tirannia, l'intolleranza e la repressione, l'analfabetismo, la mancanza di assistenza sanitaria e di tutela ambientale, la libertà di espressione;
    in questa chiave, lo sviluppo economico diventa fattore di superamento del fondamentalismo religioso; l'economia diventa fattore di pace. La lotta alla guerra e alla tirannia deve quindi puntare su educazione (a partire da quella scolastica) e sviluppo, esaltando sempre di più la capacità di cambiamento espressa dai giovani;
    gli investimenti in progetti di educazione, soprattutto per l'infanzia, sono fondamentali per fornire un'impronta consapevole dei diritti umani;
    l'educazione implica sviluppo se incanalata verso i valori di libertà: il mondo occidentale, a partire dall'Europa, è quindi chiamato ad investire di più, e in modo più sistematico, nei Paesi da cui provengono gli stessi migranti, anche perché, se non sarà l'Occidente a creare lavoro e occupazione, sarà lo Stato islamico a farlo, con dinamiche e conseguenze ben diverse. Basta solo ricordare che, ad esempio, il nome «Boko Haram», organizzazione terroristica jihadista vicina ad al-Qaeda particolarmente attiva nel Nord-Est della Nigeria, ma presente anche in Camerun, Ciad e Niger, significa letteralmente «l'educazione occidentale è peccato», veicolando, quindi, un messaggio ben chiaro;
    la cooperazione allo sviluppo dei Paesi in via di sviluppo dovrebbe quindi rappresentare lo strumento più efficace per contrastare l'esodo di milioni di persone che vogliono sottrarsi alla fame, alle guerre, allo sfruttamento e alle malattie;
    se da una parte, però, lo sviluppo dei Paesi di provenienza sembrerebbe essere la «soluzione», dall'altra i dati dimostrano che gli aiuti internazionali ai Paesi in via di sviluppo – salvo poche eccezioni – sono da anni fermi sotto allo «zero virgola» del prodotto interno lordo; così i trasferimenti delle collettività all'estero verso i luoghi d'origine continuano a rappresentare il «sostegno» più cospicuo alle economie dei Paesi che maggiormente alimentano i flussi migratori;
    inoltre, gli aiuti tradizionali, in particolare ai Paesi africani, sono spesso inefficaci non solo perché sovente distratti dal loro scopo specifico a causa anche di strutture di governance dei Paesi riceventi che non garantiscono trasparenza e democrazia, ma anche perché non inseriti in un quadro strategico complessivo;
    metà della popolazione mondiale che oggi si trova in povertà estrema (nel 2030 saranno i due terzi), vive in Stati privi della capacità e della legittimazione necessaria a proteggere i propri cittadini, che ricevono soltanto il 38 per cento, degli aiuti umanitari. Bisogna invertire questa tendenza, e intervenire con processi efficaci di institution building, con un ampio coinvolgimento multilaterale, partendo dalla sfida che riguarda il continente africano, il cui potenziale di crescita è enorme, e in cui l'Italia può e deve essere protagonista;
    l'inversione di tendenza rispetto alla strategia di cooperazione allo sviluppo italiana – con il suo sistema integrato di partenariato pubblico/privato – e, in particolare, europea, per essere efficace, ha bisogno di essere supportata da una collaborazione fattiva proprio da parte di quei Paesi che si cerca di traghettare verso una rinnovata capacità statuale e nuove dinamiche di sviluppo, al fine (quantomeno) di arginare quegli «scompensi» che inducono le persone, in forma individuale o collettiva, ad abbandonare il proprio ambiente,

impegna il Governo:

   a cooperare con gli altri Paesi dell'Unione europea per un rafforzamento delle relazioni con i Paesi africani, diretto al contenimento dei flussi migratori, nonché al potenziamento di ogni forma di collaborazione legata a procedure di identificazione e rimpatrio dei clandestini;
   sollecitare con forza un fattivo impegno degli Stati dell'Unione europea volto a rafforzare il sostegno allo sviluppo dei Paesi di africani nella prospettiva di una necessaria partnership che favorisca sicurezza, cooperazione e sviluppo, anche condizionando gli aiuti economici ad un'efficace lotta alla migrazione clandestina, alle organizzazioni criminali che la sostengono e al terrorismo internazionale;
   a rafforzare i partenariati istituzionali e commerciali strategici con i Paesi africani per interrompere i flussi di immigrazione clandestina e creare canali di migrazione legale;
   ad incrementare gli interventi di cooperazione allo sviluppo per i Paesi africani, soprattutto nei settori agricolo e sanitario, coinvolgendo il più possibile le associazioni della società civile;
   a favorire, anche con sostegni economici e giuridico-tecnici, l’institution building dei Paesi africani, favorendo le condizioni di stabilità politico-istituzionale indispensabili anche per garantire le necessarie condizioni di sicurezza per i cittadini, per gli operatori internazionali e per gli investitori esteri;
   ad adoperarsi per la realizzazione di progetti di educazione scolastica e infantile nei Paesi africani, per trasmettere il carattere distintivo e consapevole dei diritti umani, con ogni forma di garanzia e tutela dei minori;
   ad adottare, nelle sedi internazionali, opportune iniziative volte alla promozione della democrazia e del pieno rispetto dei diritti umani, e dei diritti fondamentali di libertà e di uguaglianza;
   ad agire, con particolare riferimento all'area mediterranea, per promuovere condizioni di sviluppo equilibrate, anche mediante la diffusione dell'informazione e delle conoscenze tecnologiche, nel rispetto dell'ambiente e dei diritti universali dell'uomo.
(1-01040) «Palese, Bergamini, Valentini, Occhiuto».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia e l'Europa sono interessati in questi anni da un'ondata migratoria senza precedenti i cui numeri sono, peraltro, in costante aumento, ma a differenza dei suoi partner comunitari il nostro. Paese è meta prevalentemente dei migranti cosiddetti economici;
    le statistiche dicono, infatti, che delle oltre centotrentamila persone che nei primi sette mesi di quest'anno hanno fatto ingresso nel nostro territorio nazionale la stragrande maggioranza proviene dai paesi africani dell'Eritrea, Nigeria, Somalia, e Sudan;
    l'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati ha accertato, inoltre, che quasi il novanta per cento di questi migranti sono partiti dalla Libia per raggiungere clandestinamente le nostre coste;
    il flusso migratorio proveniente dall'Africa, in particolare dalla regione sub sahariana, ha assunto ormai carattere strutturale e non può più essere affrontata solo con misure di emergenza volte a tutelare la sicurezza dei confini europei;
    esso necessita, invece, di un'azione politica concordata e di un impegno stabile e duraturo per la pacificazione delle zone di conflitto e il miglioramento della qualità della vita nei paesi dell'area, con particolare riferimento anche ai profili sanitari visto che non a caso proprio in queste regioni ha avuto avvio la recente epidemia del virus ebola;
    la cooperazione allo sviluppo, sia nella sua dimensione bilaterale che in quella multilaterale, e in particolar modo a livello europeo, deve intervenire a sostegno dei Paesi in cui la povertà, le pessime condizioni di vita e spesso i conflitti e le violenze e violazioni dei diritti umani che ne conseguono spingono la popolazione alla fuga, con un impegno;
    pur avendo in numerose sedi internazionali dichiarato la propria volontà di arrivare a destinare per pubblico allo sviluppo lo 0,3 per cento del prodotto interno lordo entro il 2017-2018, ancora nel 2014 questa area era ferma ad appena la metà, lo 0,16 per cento;
    il 28 novembre 2014 è stato siglato un accordo noto come «processo di Khartoum», tra i paesi dell'Unione europea e i paesi di origine e di passaggio dei migranti che, dal Corno d'Africa e dall'Africa dell'Est ai riversano sulle coste della Libia per raggiungere l'Europa approdando nel nostro paese;
    il Processo di Khartoum si propone di controllare i flussi migratori attraverso accordi con questi paesi che prevedono l'organizzazione di campi per filtrare chi ha diritto all'asilo, il rafforzamento delle polizie di confine e delle istituzioni locali che si occupano di migrazione, scambi di informazioni e supporti allo sviluppo con l'obiettivo finale di stabilizzare la regione,

impegna il Governo:

   ad adoperarsi affinché l'Italia mantenga gli impegni pubblicamente espressi in favore dell'aiuto pubblico allo sviluppo, arrivando a destinare ad esso la promessa percentuale di prodotto interno lordo, mettendosi al passo con i principali partner europei;
   a rafforzare l'impegno della cooperazione italiana nella lotta alla povertà, migliorando la sicurezza alimentare e lo sviluppo agricolo, nel rafforzamento dei servizi sanitari, nel potenziamento dell'accesso all'istruzione, nel miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni residenti, con particolare riguardo alla condizione femminile e infantile;
   a sostenere ogni sforzo promosso in ambito internazionale al fine di pacificare le aree oggetto di conflitto, sostenendo la democrazia e l'affermazione dei diritti umani;
   a proseguire nell'attività negoziale con i Paesi posti sulla rotta dell'immigrazione clandestina già avviati con il cosiddetto processo di Khartoum;
   a porre con forza in ambito europeo il tema dei migranti economici e delle politiche che devono essere realizzate per combattere le cause profonde della migrazione e degli sfollati in Africa;
   a porre in essere ogni atto di competenza finalizzato a rafforzare le relazioni bilaterali con i Paesi dai quali provengono il maggior numero di immigrati, al fine di garantire la realizzazione degli obiettivi delle attività di aiuto allo sviluppo e al fine di stipulare con medesimi Paesi accordi di riammissione.
(1-01041) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Maietta, Giorgia Meloni, Nastri, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    nonostante sia diffusa l'opinione che il settore delle partecipate locali, troppo numerose, troppo piccole, troppo inefficienti, debba essere radicalmente riformato, gli interventi effettivi sono stati finora di scarsa efficacia;
    è necessaria una strategia di riordino con l'obiettivo di ridurne il numero favorendo l'aggregazione e lo sfruttamento di economie di scala e, anche per questa via, migliorarne l'efficienza, con benefici per la finanza pubblica poiché i risparmi a regime sono stimati in un importo pari ad almeno 3 miliardi di euro, aumentando contemporaneamente la qualità e la quantità dei servizi offerti;
    è necessario circoscrivere il campo di azione delle partecipate entro lo stretto perimetro dei compiti istituzionali dell'ente partecipante, rafforzando quanto previsto in proposito dalla legge finanziaria del 2008;
    è necessario fare ampio ricorso alla trasparenza, all’accountability e alla conseguente informazione dell'opinione pubblica che possa divenire effettivo soggetto di controllo;
    è necessario promuovere l'efficienza delle partecipate che rimarranno operative dopo le dismissioni, attraverso l'uso diffuso dei costi standard, favorendo l'aggregazione tra partecipate che offrono servizi simili per sfruttare al meglio le economie di scala;
    le partecipate devono agire entro i limiti rappresentati dai compiti istituzionali dell'ente pubblico partecipante, evitando di produrre beni e servizi che il settore privato può offrire in modo più efficiente, efficace ed economico. Per operare in ulteriori settori, invece, la decisione dell'ente partecipante potrebbe essere vagliata da un ente esterno già esistente, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato;
    per ridurre ulteriormente il rischio di detenzione di partecipate non essenziali, sarebbe necessario limitare le partecipazioni indirette, le cosiddette partecipate di partecipate (strumento assai poco trasparente, per evitare il rischio detenere ancora partecipate non essenziali), oltre a ridurre il fenomeno delle cosiddette micro partecipazioni, fenomeno dannoso perché consente partecipazioni troppo piccole per essere considerate strategiche;
    occorre ridurre il fenomeno delle cosiddette «scatole vuote», cioè delle società partecipate con un numero bassissimo di dipendenti e fatturato, ma che comunque richiedono un apparato di amministrazione costoso;
    è opportuno chiudere le partecipate in perdita prolungata partecipate da piccoli comuni;
    sono poi necessari il forte ridimensionamento degli affidamenti diretti, l'accelerazione del processo di chiusura delle partecipate già in liquidazione e norme più restrittive sulle fondazioni pubbliche;
    è necessaria una strategia basata su più componenti interconnesse, ovvero l'uso diffuso dei costi standard come strumento di gestione per la determinazione dei trasferimenti necessari alle partecipate;
    è indispensabile aggregare altresì le partecipate che offrono servizi simili. Questo aspetto è particolarmente rilevante per il settore dei servizi pubblici locali a rete come nel caso di acqua, gas, rifiuti e elettricità. Una scelta ideale sarebbe, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, quella di utilizzare la disciplina sugli ambiti territoriali ottimali per promuovere gare e affidamenti su territori sufficientemente ampi. È poi necessaria una strategia ad hoc per il difficile caso del trasporto pubblico locale che manifesta perdite particolarmente elevate ed indici di efficienza molto deboli, anche sulla base di confronti internazionali;
    ineludibile appare la definizione, per le venti partecipate con perdite più elevate, di piani di rientro che dovrebbero essere approvati centralmente, con possibilità di commissariamento in assenza di progressi;
    fondamentale appare la necessità di introdurre elementi di effettiva trasparenza a beneficio soprattutto dell'opinione pubblica. Maggiore trasparenza delle informazioni sulle partecipate vuol dire maggiore pressione da parte dell'opinione pubblica e quindi maggiore efficienza, oltre che miglioramenti nella gestione delle informazioni , ottenibili con la definizione di un testo unico sulle partecipate locali e la creazione di una banca dati unica sulle partecipate;
    è utile mettere a disposizione del pubblico indicatori di efficienza e strumenti di business intelligence, seguendo il modello in via di completamento seguito per i fabbisogni e costi standard dei comuni,

impegna il Governo

   ad adottare iniziative volte:
    a) a favorire la partecipazione dei cittadini, utenti, contribuenti, nelle procedure di selezione degli organi delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni, garantendo la massima trasparenza delle medesime procedure di selezione, anche divulgando pubblicamente nel sito internet dell'ente pubblico di riferimento gli organi da rinnovare, per qualsiasi motivo, prevedendo lo svolgimento di istruttorie pubbliche con scelte fondate sul merito, sulle conoscenze effettive dei candidati, divulgando le eventuali loro proposte innovative per la gestione degli enti per i quali si candidano, rendendo noto mediante pubblicazione nel sito internet dell'ente pubblico di riferimento anche un rapporto di sintesi che illustri i criteri adottati per le scelte;
    b) con riferimento alle specifiche caratteristiche della singola società, a prevedere la pubblicazione dei curricula e i profili dei candidati proposti, anche prevedendo la valutazione pubblica delle candidature pervenute;
    c) ad adottare, nel quadro delle esigenze di trasparenza, misure di contenimento delle retribuzioni dei dirigenti delle società, in analogia a quanto già previsto per la pubblica amministrazione.
(1-01042) «Mucci, Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco, Matarrelli».


   La Camera,
   premesso che:
    l'inefficienza e gli sprechi che caratterizzano molte delle società partecipate da amministrazioni pubbliche costituiscono un gravissimo problema per l'economia italiana e per il «sistema Paese»: si tratta di una realtà molto complessa per numero di operatori, interconnessioni esistenti tra questi e varietà delle attività svolte e le degenerazioni del fenomeno, oltre a comportare costi ingenti per la finanza pubblica, determinano anche gravissime distorsioni della concorrenza;
    le società partecipate possono svolgere un ruolo essenziale per lo svolgimento delle funzioni degli enti locali, ma questo ruolo deve essere esercitato in modo più efficiente e trasparente;
    il procuratore generale della Corte dei conti ha parlato di «un mondo oscuro» che necessita di un riordino complessivo, dal momento che comporta per lo Stato un costo pari a 26 miliardi di euro;
    il rapporto del commissario Cottarelli, pubblicato il 7 agosto 2014 e intitolato «Programma di razionalizzazione delle partecipate locali», contiene dati impressionanti: delle 7.726 partecipate censite dal Ministero dell'economia e delle finanze, quasi 2.000 (1.869) hanno un attivo inferiore a 2 milioni di euro, 1.300 hanno un fatturato sotto i 100.000 euro, oltre 3.000 hanno meno di sei addetti, 2.123 non ne hanno neppure uno e in almeno 1.900 di esse la partecipazione pubblica è inferiore al 10 per cento;
    secondo dati Cerved Pa, i posti in consiglio di amministrazione sono oltre 37.000, 27.000 dei quali in società comunali. Oltre 15.000 sono stati assegnati in società dove il numero dei membri degli organi supera il numero degli addetti. La dimensione media dei consigli di amministrazione supera i sei consiglieri e in sole 1.198 società a partecipazione comunale esiste un amministratore unico;
    quasi il 20 per cento delle società controllate da comuni e province è in perdita strutturale, da almeno tre anni consecutivi: in pratica una su cinque delle aziende in cui uno o più comuni e province detengono quote strategiche non sopravvive senza il rifinanziamento pubblico;
    l'anomalia più evidente è costituita dal gran numero di partecipate in perdita, senza dipendenti ma con un consiglio di amministrazione attivo e remunerato: in effetti, su 153 società di capitale che dichiarano zero dipendenti (o un numero non segnalato) sono 26 quelle in perdita fissa da cinque anni e 13 quelle controllate da comuni e province;
    nella legge di stabilità per il 2015 è stata approvata una norma che impone agli enti locali di predisporre e pubblicare entro il 31 marzo 2015 piani di razionalizzazione delle partecipate da attuarsi entro il 31 dicembre 2015; nella norma si prevede l'obbligo di dismettere o chiudere le società non indispensabili per l'esercizio delle funzioni istituzionali degli enti e si impone la soppressione, in ogni caso, di tutte le società che sono costituite dai soli amministratori o nelle quali questi ultimi sono più dei dipendenti; a tale norma risulta, però, data un'attuazione parziale e insufficiente, dovuta fondamentalmente alla mancata prescrizione di sanzioni a carico degli enti inadempienti;
    con l'articolo 18 della legge 7 agosto 2015, n. 124, il Governo è stato delegato a riordinare la disciplina in materia di partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche, al fine prioritario di assicurare la chiarezza della disciplina, la semplificazione normativa e la tutela e promozione della concorrenza; ai sensi dell'articolo 16 della stessa legge, il Governo è, altresì, delegato a elaborare un testo unico che raccolga le disposizioni in materia di partecipate pubbliche;
    tra i principi della delega va ricordato anzitutto l'obiettivo di limitare il mantenimento di partecipazioni societarie da parte di amministrazioni pubbliche entro il perimetro dei compiti istituzionali o di ambiti strategici per la tutela di interessi pubblici rilevanti, quale la gestione di servizi di interesse economico generale;
    ulteriori fondamentali principi di delega sono: a) la definizione, al fine di assicurare la tutela degli interessi pubblici, la corretta gestione delle risorse e la salvaguardia dell'immagine del socio pubblico, dei requisiti e della garanzia di onorabilità dei candidati e dei componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società, anche al fine di garantirne l'autonomia rispetto agli enti proprietari; b) la promozione della trasparenza e dell'efficienza attraverso l'unificazione, la completezza e la massima intelligibilità dei dati economico-patrimoniali e dei principali indicatori di efficienza, nonché la loro pubblicità e accessibilità;
    in particolare, con riguardo agli enti locali, la legge prescrive la promozione della trasparenza mediante pubblicazione, nel sito internet degli enti locali e delle società partecipate interessati, dei dati economico-patrimoniali e di indicatori di efficienza, sulla base di modelli generali che consentano il confronto;
    il Governo è delegato anche a introdurre un sistema sanzionatorio per la mancata attuazione dei principi di razionalizzazione e riduzione di cui al presente articolo, basato anche sulla riduzione dei trasferimenti dello Stato alle amministrazioni che non ottemperano alle disposizioni in materia;
    nel disegno di legge di stabilità per il 2016 approvato dal Governo sono contenute norme che regolamentano i compensi degli amministratori di società pubbliche e regole di trasparenza per gli incarichi di consulenza, collaborazione e professionali, che condizionano ogni pagamento al rispetto delle norme di trasparenza,

impegna il Governo

ad adottare iniziative normative che assicurino la trasparenza dei processi di nomina dei membri degli organi di amministrazione e di controllo delle società partecipate dalle amministrazioni pubbliche, con pubblicazione di ogni informazione rilevante sui siti istituzionali di ciascuna amministrazione, inclusa l'indicazione dei candidati considerati ai fini della nomina, dei relativi curricula vitae e il procedimento seguito per la selezione.
(1-01043) «Mazziotti Di Celso, Monchiero».


   La Camera,
   premesso che:
    dall'inizio degli anni ’80 quote sempre maggiori di servizi in ambito pubblico sono state gestite attraverso le società partecipate, società di capitali esterne create con risorse economiche pubbliche;
    ad oggi un terzo di queste società hanno dei bilanci in perdita, con uscite molto superiori agli utili, in certi casi anche di quattro volte, e, con riferimento a quelle nelle quali l'ente partecipante è una regione, la situazione appare particolarmente critica con riferimento alle società di Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Calabria e Sicilia;
    secondo le stime della Corte dei conti le società partecipate costano allo Stato e alle sue articolazioni territoriali oltre 25 miliardi di euro all'anno, rappresentando una voce di spesa enorme rispetto ai bilanci, soprattutto, degli enti locali, i quali spesso rischiano di essere travolti dalle passività delle società che hanno creato;
    alla data del 19 giugno del 2015, la banca dati della Corte dei conti aveva censito 7.684 partecipate locali, quasi duemila delle quali sono totalmente pubbliche, con uno o più enti partecipanti, poco più di un terzo delle quali offrono servizi, quali forniture di acqua, energia, gestione dei rifiuti, trasporti e magazzinaggio, sanità e assistenza sociale, mentre la parte rimanente opera nelle attività strumentali, che vanno dalla pesca alle assicurazioni fino alle «altre attività di servizi»;
    negli ultimi anni si sono susseguiti diversi interventi legislativi volti al contenimento della spesa da parte delle società partecipate, nel quadro più generale delle misure di spending review che hanno interessato le amministrazioni centrali e gli enti locali;
    l'ultimo di questi interventi era contenuto nella legge di stabilità per il 2015, la quale ha previsto la predisposizione di un piano di razionalizzazione finalizzato a ridurre il numero e i costi delle partecipate, disponendo che le regioni, le province, i comuni, le camere di commercio, le università e gli istituti di istruzione universitaria pubblici e le autorità portuali, a decorrere dal 1o gennaio 2015, attivassero un processo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute;
    il piano operativo di razionalizzazione avrebbe dovuto ispirarsi ai principi del coordinamento della finanza pubblica, del contenimento della spesa, del buon andamento dell'azione amministrativa e della tutela della concorrenza e del mercato ed essere approntato entro il 31 marzo 2015;
    in realtà, in base ad una ricognizione effettuata dalla Corte dei conti nel mese di giugno 2015, i piani di razionalizzazione delle società partecipate previsti dalla legge di stabilità per il 2015 sono stati presentati da «oltre la metà degli enti» di Lombardia, Umbria, Toscana, Marche, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Abruzzo e Veneto, mentre nelle altre regioni sarebbero ancora in via di predisposizione e si registrano percentuali più basse;
    delle 7.684 partecipate locali, quelle oggi ancora attive sono ancora 6.402, mentre appena 1.200 sono cessate o in liquidazione;
    i poteri di nomina da parte dell'azionista pubblico degli amministratori delle società partecipate sono disciplinati a livello generale dal codice civile, recentemente modificato ai fini di un suo adeguamento alla disciplina comunitaria, nonché da una serie di ulteriori norme introdotte nell'ordinamento quale lex specialis;
    la disciplina generale del codice prevede che se lo Stato o gli enti pubblici hanno partecipazioni in una società per azioni che non fa ricorso al mercato del capitale di rischio, lo statuto possa attribuire ad essi la facoltà di nominare amministratori, sindaci, o componenti del consiglio di sorveglianza, in numero proporzionale alla partecipazione al capitale sociale, mentre per le società che fanno ricorso al mercato azionario gli enti partecipanti sono esclusi dal voto nell'assemblea generale degli azionisti;
    già nel 2010 la proliferazione delle società a partecipazione locale era stata oggetto di un'indagine della Corte dei conti e in questi anni la magistratura contabile ha segnalato a più riprese che un giro d'affari così consistente richiederebbe «assoluta trasparenza del fenomeno», mentre, invece, «la realtà è diversa», perché l'assetto delle società è spesso soggetto a vicende che i magistrati definiscono «complesse», con aspetti contabili che sono «spesso oscuri»;
    inoltre, la Corte dei conti ha segnalato come la costituzione e la partecipazione in società da parte degli enti locali risulti essere spesso utilizzata quale strumento per forzare le regole poste a tutela della concorrenza e finalizzato ad eludere i vincoli di finanza pubblica imposti agli enti locali;
    secondo la Corte dei conti urge un «disegno di ristrutturazione organico e complessivo, che preveda regole chiare e cogenti, forme organizzative omogenee, criteri razionali di partecipazione, imprescindibili ed effettivi controlli da parte degli enti conferenti e dia a questi ultimi la responsabilità dell'effettivo governo degli enti partecipati» richiesto a più riprese con riferimento alla creazione e gestione delle società partecipate,

impegna il Governo:

   a porre in essere ogni iniziativa di competenza finalizzata a garantire la massima trasparenza dei criteri e delle procedure di nomina all'interno dei consigli di amministrazione delle società partecipate;
   ad assumere ogni iniziativa, anche normativa, idonea affinché la scelta dei collegi sindacali delle società a partecipazione pubblica sia effettuata in una logica di netta separazione tra i soggetti controllanti e soggetti controllati, se del caso affidandola agli ordini professionali territorialmente competenti.
(1-01044) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Maietta, Giorgia Meloni, Nastri, Taglialatela, Totaro».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   TIDEI, MARCO DI MAIO, BORGHI, VICO, LUCIANO AGOSTINI, CRIVELLARI, MINNUCCI, ROMANINI, SCUVERA, D'OTTAVIO, ZAN, GADDA, BONOMO, FABBRI, CARRESCIA, PORTA, VILLECCO CALIPARI, CASELLATO, CIMBRO, MORETTO, MURA, CANI, NARDUOLO, LODOLINI, GRASSI, CARLONI, CAMPANA, QUARTAPELLE PROCOPIO, MIOTTO, PREZIOSI, IORI, ROSSOMANDO e LACQUANITI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni anni si apprende da fonti della stampa, e non solo, delle difficoltà relative al mantenimento in vita della memoria legata a quei folli e drammatici eventi che hanno caratterizzato gli anni della seconda guerra mondiale. Le deportazioni e lo sterminio degli ebrei vengono ricordati con straordinaria efficacia nel museo di Auschwitz-Birkenau;
   i campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau oggi sono uno straordinario spazio dedicato alla memoria. La visita di quei luoghi rappresenta un fattore di indiscutibile importanza per conoscere quelle funeste pagine della Storia, tra le più orrende e vergognose;
   nel «Blocco 21» del museo di Auschwitz, padiglione destinato a tramandare la memoria della deportazione italiana, è installato, dal 1980, il Memoriale, vera e propria opera d'arte multimediale, realizzata da artisti e intellettuali che sperimentarono di persona la deportazione, di proprietà dell'ANED (Associazione nazionale ex deportati), che rappresenta un potente simbolo della memoria, pur riflettendo il contesto storico, culturale e politico dell'epoca in cui fu realizzato;
   da alcuni anni il «Blocco 21» è chiuso al pubblico e il Memoriale, non più accessibile ed a rischio di degrado – con grave sconcerto dei numerosissimi visitatori, in particolare italiani – a causa dei rilievi avanzati dalle autorità polacche, responsabili del complesso museale di Auschwitz, circa la non rispondenza del Memoriale stesso ai criteri museografici prescritti per i padiglioni nazionali inseriti nel complesso;
   in via di principio, la soluzione culturalmente più corretta sarebbe stata il restauro del Memoriale nella sede per la quale fu concepito, insieme ad una opportuna contestualizzazione storica e culturale, ma le autorità polacche si sono sempre fermamente opposte a ciò, giungendo da ultimo ad esigere una data per la rimozione del Memoriale dal «Blocco 21»;
   conseguentemente, negli anni si è svolta una complessa trattativa fra autorità polacche, Governo italiano e ANED, a conclusione della quale l'associazione, dando prova di moderazione e di realismo, si è piegata obtorto collo a questa richiesta, pur non condividendola, e si è detta disponibile a trasferire l'opera in Italia, così da lasciare spazio a un nuovo allestimento italiano nel Blocco 21 di Auschwitz. Pertanto l'ANED ha rivolto un appello al Governo, alle istituzioni e alle forze politiche e culturali, affinché concorressero a reperire le risorse e gli spazi necessari per una degna conclusione di una vicenda spiacevolissima e offensiva per tutti i superstiti dei campi e i familiari dei caduti. L'ANED ha quindi chiesto al Governo di proporre, in tempi stretti, una soluzione concreta e praticabile e mettere a disposizione le risorse per realizzarla;
   a seguito di una lunga e complessa istruttoria, condotta dalla Presidenza del Consiglio, con la collaborazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, e grazie alla disponibilità manifestata dal comune di Firenze e dalla regione Toscana, nonché dall'ANED stessa, è stato sottoscritto, il 20 maggio 2015, un protocollo di intesa fra comune, regione, ANED e Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ai sensi del quale, in sintesi:
    1) i sottoscrittori si impegnano, ciascuno negli ambiti di competenza propri, a restituire alla fruibilità ed alla memoria pubblica il Memoriale, nella pluralità dei suoi significati storici, artistici e di memoria civile;
    2) in particolare, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, grazie ai fondi messi a disposizione dalla Presidenza del Consiglio, si impegna a:
     a) espletare le procedure per l'individuazione del soggetto cui saranno affidate le operazioni di documentazione, messa in sicurezza, smontaggio e trasporto del Memoriale dalla collocazione attuale nel museo di Auschwitz a Firenze;
     b) coordinare le operazioni di cui alla lettera a) attraverso l'Istituto superiore per la conservazione ed il restauro (ISCR) e l'Opificio delle pietre dure di Firenze;
     c) avviare le procedure per la dichiarazione del Memoriale quale opera di interesse culturale, ai sensi della normativa vigente in materia di diritto d'autore;
    3) il comune di Firenze si impegna a individuare e destinare uno spazio adeguato al temporaneo ricovero del Memoriale per il tempo strettamente necessario alle operazioni di trasformazione dell'intero immobile denominato «EX3» e alla funzionalizzazione della porzione destinata ad accogliere l'opera, nonché a:
     a) curare la progettazione esecutiva e la realizzazione delle opere di trasformazione dell'immobile denominato EX3, che dovranno essere condivise con i sottoscrittori del protocollo, al fine di consentire il riallestimento del Memoriale;
     b) assumere la direzione tecnica della realizzazione dei lavori;
    4) l'ANED si impegna:
     a) a consentire le operazioni di smontaggio, trasporto, restauro e deposito temporaneo del Memoriale nello spazio individuato dal comune di Firenze;
     b) a stipulare un contratto di comodato d'uso gratuito con il comune di Firenze, proprietario dell'immobile che ospiterà il Memoriale, al fine di garantire l'esposizione, in via permanente, nell'area indicata e la sua fruizione pubblica;
    5) il nuovo allestimento, ispirandosi alle esperienze museografiche internazionali più aggiornate, verrà corredato da un apparato storico-documentario che favorisca:
     a) la più ampia fruibilità culturale, formativa e didattica;
     b) la comprensione storico-critica del Memoriale, nel suo aspetto originario e documentale di testimonianza artistica multidisciplinare, della deportazione razziale e politica nell'universo concentrazionario, nel quadro del totalitarismo nazi-fascista in Italia e in Europa;
    6) la regione Toscana si impegna in particolare a riorientare le pluriennali politiche della memoria, aggregando intorno al Memoriale le seguenti attività: ricerca, formazione, diffusione di conoscenze su leggi razziali, deportazioni, sterminio; costruzione di memoria civile sui meccanismi che hanno determinato la degenerazione del sistema democratico nel fascismo e nel totalitarismo nazi-fascista, da porre in relazione con la conoscenza delle discriminazioni, violenze, esclusioni ancora perpetrate nel Novecento ed oggi a danno di popoli, categorie, settori e persone;
    7) il comune di Firenze si impegna a garantire la fruizione pubblica del monumento nella sede individuata, secondo orari di apertura in linea con gli standard nazionali e con un adeguato servizio di sorveglianza;
    8) il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo si impegna a esercitare attivamente, in coordinamento con l'associazione proprietaria e gli enti sottoscrittori della presente Intesa, le proprie funzioni, ai fini della migliore tutela e valorizzazione del Memoriale, in conformità ai princìpi del codice dei beni culturali e del paesaggio;
    9) un comitato tecnico-scientifico presidierà all'elaborazione del progetto scientifico-culturale della ricontestualizzazione del Memoriale. Il comitato sarà composto dai rappresentanti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, della regione Toscana, del comune di Firenze, dell'ANED e da studiosi e personalità della cultura congiuntamente individuati;
   il Governo ha più volte informato il Parlamento sulla complessa vicenda, in particolare il Ministro Franceschini rispondendo al question time nell'Aula della Camera, nella seduta dell'11 febbraio 2015, n. 375, e fornendo risposte scritte all'interrogazione presentata alla Camera: la n. 4-03864, la cui risposta è stata pubblicata l'11 giugno 2015 (Sottosegretario per i beni e le attività culturali e il turismo Borletti Buitoni) e alle interrogazioni presentate al Senato n. 4-07719, la cui risposta è stata pubblicata il 28 luglio 2015 (Sottosegretario per i beni e le attività culturali e il turismo Borletti Buitoni) e n. 4-07473, la cui risposta è stata pubblicata l'8 settembre 2015 (Sottosegretario per gli affari esteri e la cooperazione internazionale Della Vedova);
   l'Italia non può perdere quell'inestimabile patrimonio storico perché ciò significherebbe lasciar morire la memoria. Soltanto con la salvaguardia del Memoriale e la nuova valorizzazione del «Blocco 21» è possibile tenere alta l'attenzione per quei temi tanto delicati quanto drammatici. L'antidoto più forte per contrastare l'odio razziale, il pregiudizio dominante, le guerre è, e sarà, la memoria –:
   quali iniziative il Governo abbia intrapreso, per assicurare, da un lato, la piena salvaguardia e valorizzazione del Memoriale e la sua migliore contestualizzazione storica e culturale nella nuova sede e, dall'altro, il nuovo allestimento del «Blocco 21» nel museo di Auschwitz, in conformità con i più aggiornati criteri storici, didattici e museografici, al fine comune di conservare e tramandare una memoria storica di inestimabile importanza. (4-10881)


   BRIGNONE, CIVATI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 3 maggio 2014 una violenta alluvione si è abbattuta sulle Marche. Precipitazioni a carattere torrenziale intense e persistenti hanno travolto gran parte della provincia di Ancona, investendo i comuni di Ostra Vetere, Ostra, Montemarciano, Corinaldo, Chiaravalle e, in particolare, la zona del Senigalliese, la più colpita dalla calamità a causa dell'esondazione del fiume Misa;
   l'evento disastroso ha procurato nel Senigalliese ingenti danni: i residenti coinvolti dall'alluvione sono stati 7.727 che compongono 3.587 famiglie; le unità abitative ricadenti nella zona alluvione sono 9.707, le famiglie che hanno perso tutti i loro beni sono 1.250, 542 sono le aziende colpite, 280 gli esercizi commerciali, 95 le attività di servizi, 85 le attività artigianali, 5 le attività agricole e 77 le altre attività economiche;
   il giorno successivo all'alluvione, il Presidente del Consiglio dei ministri ha fatto visita alle zone alluvionate ed è intervenuto con indicazioni e impegni precisi del Governo in favore delle zone colpite dalla calamità;
   la regione Marche, con nota del 5 maggio 2014, per l'eccezionale condizione di maltempo che ha colpito il territorio marchigiano ha chiesto la delibera dello stato di emergenza, ai sensi dell'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225;
   a seguito degli eccezionali eventi meteorologici verificatisi nei giorni dal 2 al 4 maggio nel territorio della regione Marche il Consiglio dei ministri ha deliberato con apposito decreto del 30 giugno 2014 (Gazzetta Ufficiale n. 162 del 15 luglio 2014);
   «per l'attuazione dei primi interventi, nelle more della ricognizione in ordine agli effettivi ed indispensabili fabbisogni, si provvede nel limite di 10 milioni di euro a valere sul fondo per le emergenze nazionali di cui all'articolo 5, comma 5-quinquies, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, che presenta le necessarie disponibilità», ai sensi del comma 4 del decreto 30 giugno 2014;
   in data 10 luglio 2014 con ordinanza del Capo del dipartimento della Protezione civile n. 179 «Primi interventi urgenti di protezione civile in conseguenza delle eccezionali avversità atmosferiche verificatesi nei giorni dal 2 al 4 maggio 2014 nel territorio della regione Marche» sono concordati con l'amministrazione comunale di Senigallia interventi di primo soccorso e di assistenza alla popolazione, contributi per autonoma sistemazione, tutela della pubblica e/o privata incolumità, ricognizione dei fabbisogni relativi al patrimonio pubblico, ricognizione dei fabbisogni relativi al patrimonio privato, ricognizione dei fabbisogni relativi alle attività economiche e produttive, ricognizione dei danni provocati ai beni mobili privati;
   l'amministrazione comunale, inoltre, mette immediatamente in atto misure di agevolazione di sostegno alla ripresa e interventi di sostegno economico con la costituzione di un fondo unico comune-Caritas per interventi immediati e interventi per la popolazione colpita dall'evento calamitoso con oltre 1 milione di euro raccolti nel fondo «SOS alluvione»;
   i fondi a copertura dei danni subiti dalla popolazione senigalliese non potranno essere erogati sino a che il Governo non avrà stanziato e assegnato i rimborsi alla regione Marche, ente preposto per l'emergenza;
   a seguito delle procedure di ricognizione dei danni finalizzate al risarcimento, si calcola che il danno per la popolazione del comune di Senigallia sia di circa 99 milioni e 355 mila euro;
   della predetta somma, a distanza di 18 mesi, i cittadini, le imprese e le attività produttive non hanno ricevuto nemmeno un euro d'indennizzo cui il Governo dovrebbe invece far fronte –:
   se il Governo intenda assumere tempestive iniziative al fine di rispettare nella totalità gli impegni presi per il territorio della regione Marche con la deliberazione del Consiglio dei ministri del 30 giugno 2014 con la quale erano stati stanziati 10 milioni di euro per l'attuazione dei primi interventi nelle more della ricognizione in ordine agli effettivi e indispensabili fabbisogni e come da successiva ordinanza del Capo del dipartimento della Protezione civile n. 179 del 10 luglio 2014;
   in particolare, quali siano i tempi di erogazione dei rimborsi ancora non pervenuti destinati al comune di Senigallia, il più colpito dall'evento calamitoso, cui devono essere ancora erogati i rimborsi pari a euro 415.785,00 in base alla deliberazione del Consiglio dei ministri del 30 giugno 2014 e successiva ordinanza del Capo del dipartimento della Protezione civile n. 179 del 10 luglio 2014;
   a quanto ammonti l'effettivo indennizzo previsto per il ripristino del territorio e, in particolare per la popolazione della regione Marche e del comune di Senigallia. (4-10882)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta immediata:


   CIRIELLI, MAIETTA, TAGLIALATELA, RAMPELLI, GIORGIA MELONI, TOTARO, LA RUSSA e NASTRI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   sono trascorsi oltre quattro anni dalla caduta del regime di Gheddafi in Libia, ma il Paese continua ad essere lontano da una pacificazione e, anzi, l’escalation dei conflitti e la conquista da parte del sedicente Stato islamico di porzioni di territorio e insediamenti strategici sta mettendo a rischio la sicurezza dell'intera area nordafricana e mediterranea;
   il caos istituzionale e l'impossibilità di controllare larga parte dei territori che ne deriva continuano, inoltre, ad agevolare l'attività dei trafficanti di esseri umani, posto che dalle coste libiche partono la stragrande maggioranza dei clandestini diretti nel nostro Paese;
   il recente fallimento del tentativo messo in atto dall'inviato speciale dell'Onu per la Libia Bernardino Léon di formare un Governo di unità nazionale dimostra una volta di più quanto sia difficile giungere ad una soluzione politica condivisa nel Paese e quanto sia inefficace l'azione della linea diplomatica attivata sinora;
   dal 7 ottobre 2015 ha preso avvio la fase due dell'operazione navale europea Eunavfor Med, nata con l'ambizioso scopo di combattere il traffico di esseri umani via mare, ma le cui regole d'ingaggio continuano ad essere limitate alle attività di abbordaggio, ispezione e sequestro delle imbarcazioni sempre e solo in acque internazionali;
   nonostante l'Italia abbia espresso l'Alto rappresentante per la politica estera europea e abbia retto per sei mesi la Presidenza dell'Unione europea e nonostante la sua posizione di vicinanza geografica, l'Italia sta avendo un ruolo marginale nella gestione della crisi libica;
   la perdurante instabilità politica e la crescente penetrazione del terrorismo islamico nei suoi territori, unite all'assenza di una posizione strategica sulla Libia da parte del Governo italiano, mette in serio pericolo anche la sicurezza nazionale italiana –:
   quali iniziative intenda assumere con riferimento alla crisi in Libia. (3-01793)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   la vendita di Budelli ad un magnate è una vicenda che, ad avviso dell'interpellante, presenta troppi intrecci tra politica e magistratura, tra magistrati e avvocati, con sentenze uguali e contrarie, modifiche di vincoli ad «orologeria», dichiarazioni gravissime fatte in Australia dal magnate dalle quali sembrerebbe evincersi che sia dato per acquisito il cambio dei vincoli e un parere del presidente emerito della Corte dei conti che concludeva nel senso dell'acquisizione del bene e infine il progetto, a giudizio dell'interpellante, sotterraneo, di mettere le mani sull'intero arcipelago, dall'acquisto del faro di Razzoli per farne un resort esclusivo all'acquisto di altri immobili nella zona, compresi campi boa in concessione;
   si starebbe silenziosamente pianificando di rendere esclusivo e vietato l'intero compendio naturalistico intorno all'isola di Budelli;
   in questa vicenda l'interpellante registra la ingiustificabile fretta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di promuovere per la giornata del 27 ottobre 2015, un incontro con il parco de La Maddalena al fine di favorire la cessione al privato nonostante non ci sia stato ancora nessun versamento di denaro;
   alla luce di quanto sta emergendo su questa vicenda si configura quella che l'interpellante giudica una compravendita scandalosa se si pensa che il Parlamento aveva stanziato le risorse per la prelazione del bene naturalistico e sottrarlo a qualsiasi tipo di possibile speculazione o privatizzazione;
   nonostante questo e una pronuncia netta del Tar Sardegna, con una più che argomentata sentenza, il Consiglio di Stato, con esiti del tutto inaccettabili, ha ribaltato quella decisione;
   alla luce dei fatti si è trattato di una sentenza che, secondo l'interpellante, produce un risultato inaccettabile, considerato che si afferma che non esista un piano da parte dell'ente, anche se non è chiaro a quale piano si faccia riferimento;
   ci sarebbe da domandarsi che tipo di piano i giudici del Consiglio di stato auspicassero;
   l'interpellante si chiede come sia stato possibile non dichiarare, come ha fatto il Tar Sardegna, che la pianificazione dei vincoli e la protezione del bene era sufficiente per acquisire il bene con la prelazione;
   la decisione del Consiglio di Stato lascia troppi dubbi;
   vanno esaminati alcuni elementi sui quali è indispensabile che il Ministro della giustizia svolga gli opportuni approfondimenti nell'ambito delle proprie competenze;
   un legale messo in campo da parte del magnate per la causa al Consiglio di Stato risulta stretto conoscente e aver come collaboratore in una rivista giuridica di cui è direttore proprio il presidente del collegio giudicante;
   è facilmente individuabile la frequentazione accademica tra il presidente della sezione del Consiglio di Stato Filippo Patroni Griffi e l'avvocato-direttore dell'impresa editoriale «Amministrativamente» Gennaro Terracciano;
   l'avvocato, è direttore della Rivista, il giudice è componente del comitato scientifico dell'iniziativa editoriale;
   occorre valutare se questa vicinanza non avrebbe dovuto suggerire di astenersi da quella pronuncia;
   occorre valutare se esistano altre implicazioni di opportunità come il fatto che il presidente della sezione del Consiglio di Stato che si è pronunciato è lo stesso Filippo Patroni Griffi da sempre dentro le stanze della politica, dove ha svolto sia le funzioni di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri che di Ministro;
   il punto più inquietante è quello relativo alle dichiarazioni riportate in un rapporto della Australian Financial Review, Harte nelle quali ha sostenuto di avere il permesso di ricostruire tre edifici esistenti sull'isola (http.//www.cio.com.au);
   il report australiano è dell'8 ottobre 2013 quando, a quanto consta all'interpellante, nessun tipo di ristrutturazione di immobili era stata autorizzata, ma che stranamente veniva data per acquisita proprio dal magnate;
   occorre sapere se il Ministero avesse dato tali rassicurazioni al privato anche attraverso organi del parco stesso;
   tutto questo è gravissimo proprio perché alla vigilia della decisione del tribunale di Tempio è stata votata una proposta di piano di vincoli che declassa quelli precedenti e, a giudizio dell'interpellante, va direttamente nella direzione di quello annunciato due anni prima proprio dal magnate australiano;
   in questa direzione assumono contorni alquanto discutibili le nomine all'ente parco imposte qualche settimana prima dello svolgimento delle elezioni comunali di La Maddalena e che erano state oggetto di una puntuale interrogazione parlamentare su conflitti d'interesse fin troppo evidenti relativamente alla nomina di due membri del parco nazionale; si tratterebbe di Enzo Di Fraia, marito dell'ex assessore comunale Patrizia Carrera, del segretario particolare del sindaco, Luca Ronchi;
   nomine che hanno di fatto portato alla proposta di modifica dei vincoli sull'area di Budelli;
   occorre sapere e capire se su questa vicenda il Governo abbia favorito l'operazione privata o meno;
   risulta all'interpellante che a metà settembre 2015 nell'isola Santa Maria in un pubblico esercizio, ma dai connotati più che esclusivi si sarebbe svolto un incontro riservato al quale avrebbero partecipato, a quanto consta all'interpellante, esponenti politici tra i quali un rappresentante del Governo;
   il Governo deve rispondere chiarendo in modo chiaro e inequivocabile la propria posizione, smentendo o confermando la presenza del Ministro a quel vertice;
   a questi aspetti se ne aggiunge uno di rilevante importanza, il parere del procuratore generale emerito della Corte dei Conti, Claudio De Rose, sul diritto-obbligo alla prelazione nel caso di Budelli;
   il giudice emerito nel suo parere sulla vicenda Budelli afferma: «Sotto il profilo delle intenzioni speculative del subentrante – consistenti, a quanto risulta, nella creazione di un museo aperto con relativa bigliettazione – va altresì considerato che le stesse, una volta iniziate, renderebbero necessario un rafforzamento degli attuali controlli, aumentandone il costo complessivo a carico del bilancio pubblico. E tale aumento tanto più risulterebbe ingiustificabile dal momento che l'Ente Parco nel cui ambito operativo rientra l'isola di Budelli ha in progetto iniziative analoghe, intese non a fini speculativi ma, più propriamente, al conseguimento di un valore aggiunto per bene nel quadro strategico della sua valorizzazione. Pur non dovendosi trascurare, naturalmente, il valore dei possibili introiti derivanti da tali iniziative, quale pubblica entrata da destinarsi alle esigenze di valorizzazione del bene. In definitiva, questo primo ordine di valutazioni, sia per quanto detto, sia perché l'Isola di Budelli è un bene unico al mondo per le sue caratteristiche naturali, dovrebbe portare ad una conclusione favorevole all'esercizio del diritto di prelazione»;
   l'interpellante trasmetterà tutti gli atti di questa vicenda alla Corte dei Conti e per conoscenza alla stessa procura della Repubblica di Roma e Tempio;
   è impensabile che su un bene naturalistico come questo si pensi a favorire il privato piuttosto che la collettività –:
   se il Governo intenda chiarire il ruolo che ha svolto nella vicenda relativa alla vendita dell'isola di Budelli e alla mancata prelazione del bene stesso;
   se e per quale motivo il 27 ottobre 2015 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia convocato una riunione alla quale avrebbero partecipato i legali di un privato che risulta ancora non disporre del bene oggetto della compravendita;
   se e cosa sia stato deciso in quell'incontro;
   se sia a conoscenza di un incontro svoltosi a metà settembre nell'isola di Santa Maria alla presenza di un rappresentante del Governo;
   se non ritenga, anche alla luce del parere espresso dal procuratore emerito della Corte dei Conti, di dover mettere in atto ogni possibile iniziativa per acquisire, eventualmente anche attraverso l'esproprio, il bene dell'isola di Budelli;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per indennizzare la comunità di La Maddalena con la pianificazione del prossimo G7 negli spazi già allestiti;
   se non ritenga di dover con urgenza assumere ogni iniziativa di competenza per la bonifica delle aree e degli specchi acquei dell'ex arsenale di La Maddalena.
(2-01139) «Pili».

Interrogazione a risposta orale:


   LATRONICO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni desta grande preoccupazione nelle amministrazioni locali, nelle associazioni ambientaliste e nella popolazione lucana, la notizia delle autorizzazioni concesse dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare alla multinazionale del settore energetico – petrolifero Shell, per procedere a due trivellazioni per la ricerca di idrocarburi al largo delle coste della Basilicata e Puglia;
   il 13 ottobre 2015 la compagnia petrolifera Shell ha ottenuto una valutazione positiva di compatibilità ambientale per le istanze d73 F.R-SEI con un'estensione di 730 chilometri quadrati nel Mar Ionio (Zona F) e d74 F.R-SH con un'estensione di 617,8 chilometri quadrati, ubicata nella porzione settentrionale del Mar Ionio, ricadendo essa quasi interamente all'interno e la zona marina F, malgrado i pareri contrari delle regioni Basilicata e Puglia, di numerosi comuni rivieraschi e delle associazioni ambientaliste;
   i progetti della Shell si aggiungono a quello della Enel Longanesi autorizzato con decreto emesso nel mese di luglio 2015 e in pochi mesi si è giunti a ben tre istanze che hanno ottenuto il riconoscimento di compatibilità ambientale in un mare chiuso come quello del golfo di Taranto; si tratta di interventi che possono provocare ripercussioni economiche e ambientali sulle popolazioni delle tre regioni direttamente interessate;
   la ricerca di idrocarburi prima e l'estrazione poi sono altamente dannose per gli ecosistemi e soprattutto per le economie locali e per il prodotto interno lordo delle imprese (settore del turismo, della pesca e dell'agricoltura) che rischiano di essere seriamente danneggiate dalle estrazioni e lavorazioni petrolifere;
   l'area jonica con il golfo di Taranto è stata riconosciuta dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale come area prioritaria di conservazione di alto mare e delle acque profonde da candidare come riserva e area protetta ASPIM (area specialmente protetta di interesse mediterraneo), area di protezione e tutela dei cetacei;
   l'intero mar Jonio e il golfo di Taranto custodiscono enormi patrimoni archeologici della Magna Grecia, ancora da riportare alla luce per mancanza di fondi, come documentato nello studio scientifico «Archeomar» del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e le popolazioni che vivono di turismo e di pesca oltre che di agricoltura biologica, lungo le coste ioniche non vogliono assolutamente che sia distrutto il proprio mare e, al riguardo è in atto una grande mobilitazione di persone e di coscienze;
   nell'intera area sarà possibile esplorare i fondali utilizzando la tecnica dell’air gun, la pistola sottomarina ad area compressa in grado di generare onde sismiche utili per poter individuare i possibili giacimenti petroliferi. Con questa tecnica il suono viaggia nell'acqua circa quattro volte più in fretta che nell'aria (la velocità di propagazione del suono in aria è di 343 metri al secondo, in acqua di circa 1.483 metri al secondo), per cui le onde hanno la potenzialità di diffondersi su raggi molto elevati, anche di 100 chilometri e a ridosso dell’air gun si possono misurare picchi di pressione dell'ordine di 230 dB (a mero paragone, un'esplosione nucleare in mare ha un valore di 300-310 decibel) e può essere dannosa per l'integrità degli ecosistemi marini e letale per la fauna marina, in particolare per i cetacei;
   va ricordato che la Basilicata ha il più grande giacimento di petrolio d'Europa, e da quasi 20 anni contribuisce allo sfruttamento degli idrocarburi con il 69 per cento del greggio e il 16 per cento del gas prodotti in Italia e che alla produzione di energia ha pagato un prezzo altissimo in termini di tutela e salvaguardia territoriale, di minacce alla salute delle popolazioni, di aumento dell'incidenza tumorale;
   nonostante 10 consigli regionali, compreso quello lucano, abbiano depositato in Cassazione sei quesiti referendari contro le trivellazioni previste dall'articolo 38 del decreto-legge «Sblocca Italia» (legge 11 novembre 2014, n. 164) e dall'articolo 35 del decreto sviluppo decreto-legge 7 agosto 2012 n.134) e la Conferenza delle regioni il 20 ottobre 2015 all'unanimità ha approvato il documento di Termoli sottoscritto il 24 luglio 2015 dai rappresentanti di Basilicata, Molise, Abruzzo, Calabria, Marche e Puglia per condividere una visione comune sul tema della ricerca e coltivazione di idrocarburi in mare e riaprire il confronto con il Governo sulle prerogative delle regioni che non possono essere tagliati fuori dalle scelte che riguardano i propri territori;
   per opporsi a tale stato di cose la giunta regionale della Basilicata ha dato mandato agli avvocati di presentare ricorso al Tar contro le autorizzazioni concesse alla società Shell per la ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi nel mar Ionio dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   con la designazione di Matera a capitale europea della cultura 2019 la stessa città Policoro e il Metapontino rappresentano una straordinaria risorsa ed un importante strumento per la valorizzazione dell'economia turistica dell'intera regione, per cui diventa imprescindibile adottare misure di difesa dai rischi di estrazione nel mar Ionio. Il settore del turismo e della pesca non possono permettersi il lusso di vedere vanificati gli investimenti pubblici e privati, proprio adesso che l'intera filiera inizia a registrare i primi segnali positivi rispetto alla drammatica crisi che si è verificata negli ultimi anni –:
   se il Governo non intenda, per quanto di competenza attivarsi affinché venga interrotta ogni tipo di attività di ricerca di idrocarburi nel mar Jonio al fine di evitare ogni serio e grave pericolo per l'ambiente marino e per la vocazione economica, agricola e turistica dei territori interessati. (3-01792)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto emerge dalla ventiduesima edizione di Ecosistema Urbano, la ricerca di Legambiente realizzata in collaborazione con l'Istituto di ricerche Ambiente Italia e il quotidiano economico Il Sole 24 Ore sulla vivibilità ambientale dei capoluoghi di provincia italiani, le ultime cinque città in classifica risultano posizionate nel meridione, tra le quali Vibo Valentia, Catania, Palermo, Agrigento e Messina;
   il rapporto evidenzia le difficoltà legate alla staticità delle città, che faticano a rinnovarsi in chiave sostenibile, con qualche passo in avanti sul fronte della raccolta dei rifiuti e delle energie rinnovabili, ma ancora fortemente in ritardo sui trasporti pubblici;
   al riguardo, l'interrogante evidenzia come in tema di politiche dei trasporti e di ecosostenibilità ambientale, la città di Agrigento e, in senso generale, l'intera regione siciliana siano in gravissima difficoltà a causa dell'assenza da parte del Governo Renzi di significative misure volte a colmare il gap infrastrutturale che da decenni caratterizza in negativo l'isola;
   il rapporto di Legambiente, a parere dell'interrogante, conferma nuovamente l'evidente scarsa qualità dei servizi di trasporto ferroviari, marittimi, stradali e autostradali esistenti nella regione Sicilia, causati da ritardi, carenza di comfort e inefficienze a cui sono seguite risposte da parte dei Governi succedutisi negli ultimi anni nel complesso insoddisfacenti, derivanti da decenni di investimenti insufficienti, a cui si sono aggiunti i recenti tagli sui trasferimenti, che hanno determinato gravi carenze in termini di servizi resi alla mobilità urbana;
   ulteriori profili di criticità, a giudizio dell'interrogante, si riscontrano dall'analisi di Legambiente con riferimento al divario tra Nord e Sud, che si conferma motivo di debolezza del nostro Paese, sul benessere equo e sostenibile nelle città; il documento ambientalista ribadisce gli inaccettabili livelli raggiunti in termini di ritardo socioeconomico del Mezzogiorno ed in particolare della regione siciliana, rispetto altre aree del Paese –:
   quali orientamenti i Ministri interrogati intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa e quali iniziative urgenti e necessarie intendano adottare, nell'ambito delle rispettive competenze, al fine di attuare interventi di impatto immediato per la regione Sicilia, che affianchino interventi di riforma volti a rimuovere inadeguatezze strutturali e diffuse inefficienze. (4-10875)


   ZOLEZZI, DAGA, MANNINO, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, MICILLO e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il virus del Nilo occidentale (noto anche con la denominazione inglese West Nile Virus, WNV) è un flaviviridae del genere Flavivirus (di cui fanno parte anche il virus della febbre gialla, il virus dell'encefalite di Saint-Louis, il virus dell'encefalite di Murray Valley e il virus dell'encefalite giapponese). Il suo nome viene dal distretto di West Nile in Uganda, dove è stato individuato per la prima volta nel 1937, in una donna che soffriva di una febbre particolarmente alta. In seguito è stato trovato negli uomini, negli uccelli e nei moscerini in Egitto negli anni cinquanta, diffondendosi infine anche in altri Paesi. La malattia ha un andamento endemico-epidemico ed inizialmente risultava diffusa soprattutto in Africa (specie in Egitto), Medio Oriente, India. Ad oggi il virus del Nilo occidentale deve essere ormai considerato un patogeno endemico in Africa, Asia, Australia, Medio Oriente, Europa e negli Stati Uniti;
   nel 2008 un focolaio endemico in Italia ha determinato casi sia nelle persone sia nei cavalli. Sono stati riportati casi di infezione in 77 cavalli e due persone; approssimativamente, circa l'80 per cento delle infezioni da West Nile Virus, nell'essere umano, non causano sintomi evidenti. Il periodo d'incubazione è tipicamente compreso tra 2 e 15 giorni. Nel caso, invece, si verifichi una sintomatologia, questa è generalmente dominata dalla febbre e da qui il nome di febbre del Nilo occidentale. Raramente, oltre alla febbre possono comparire alcune gravi complicazioni neurologiche, quali meningite e encefalite; la modalità principale di trasmissione del virus del Nilo occidentale è rappresentata da diverse specie di zanzare, che sono il primo vettore. Tra queste, in particolare, riveste un ruolo primario il genere Culex. Ovviamente, tutti i fattori che favoriscono la proliferazione delle zanzare, come ad esempio le piogge abbondanti, le irrigazioni dei terreni agricoli o condizioni climatiche con temperature alte, determinano un importante aumento del numero dei casi di contagio. Gli uccelli, siano essi stanziali, migratori o domestici, giocano un ruolo cruciale nella disseminazione del virus, essendo l'animale più comunemente infettato e rappresentando il primo serbatoio. Gli uccelli migratori permettono lo spostamento del virus dall'Africa, prima zona endemica, verso altre zone temperate. Le zanzare, in particolare del genere Culex, pungendo gli uccelli migratori asportano sangue infetto, infettano sé stesse e quindi ogni altro animale, uomo compreso, di cui assumono il sangue successivamente. Bisogna comunque tenere presente che non tutte le specie animali suscettibili di infezione da virus, WNV (compresi gli esseri umani), così come non tutte le specie di uccelli, sono in grado di sviluppare nel sangue concentrazione virali sufficienti per poter trasmettere la malattia alle zanzare infettandole. Pertanto non tutti gli animali suscettibili possono essere considerati fattori principali di trasmissione virale;
   afferma il prof. Roberto Ronchetti, professore emerito di pediatria all'Università di Roma «La Sapienza» che il nostro clima sempre più caldo e umido (global warning) potrebbe favorire negli anni a venire una maggior infettività dei virus «tropicali» e la comparsa, nelle aree mediterranee, di casi singoli o addirittura di epidemie delle temute malattie. Occorre chiarire, aggiunge il prof. Ronchetti che il pericolo viene dai virus tropicali che potrebbero espandere le loro aree di colonizzazione e non dalla «zanzara tigre» che ormai da trenta anni vive «tranquillamente» in Italia: è verissimo che tale animaletto in estate rende «non tranquille» le nostre cene all'aperto e le nostre notti, ma fare la «lotta» alle zanzare, intendiamo quella condotta con l'irrorazione di aree pubbliche e private con «insetticidi», si rivela, a giudizio del professore, inutile (le zanzare non se ne vanno) e contaminante (tutti gli insetticidi attentano alla biodiversità e sono in vario modo pericolosi). Ma soprattutto l'uso degli insetticidi apparirebbe, a suo giudizio, controproducente: infatti tutte le zanzare sono in grado di attivare un alto numero di processi metabolici che, in tempi brevi, le rendono «resistenti» agli insetticidi, oche in teoria dovrebbero ucciderle. È per questo che, secondo il professore, bisogna evitare l'uso di insetticidi oggi se non si vuole avere armi inefficaci nel caso in cui eventi epidemici le rendessero indispensabili per la difesa della popolazione;
   è opinione dell'interrogante che, al momento attuale, per difenderci dalle zanzare, è necessario ricorrere a «rimedi» tradizionali, scelti e messi in opera da ciascuno di noi, sulla propria persona e nel proprio ambiente, considerato che si ha scarsa consapevolezza dell'impatto sul nel nostro suolo privato e finanche sulle aree pubbliche di «irrorazioni o disinfestazioni», non si ha infatti in merito una precisa definizione dell'impatto ambientale e del conseguente grado di inquinamento. Sta di fatto che in Italia il consumo attuale di insetticidi è largamente eccessivo (ne utilizziamo addirittura il 50 per cento del totale di tutti quelli usati in Europa);
   secondo lo studio di Sanford et al, pubblicato sul J. Med. Entomol. nel 2005, le aree umide e i corsi d'acqua arricchiti di azoto (fertilizzanti azotati e altre sorgenti azotate antropiche) costituiscono un habitat favorevole per speci nitrofile come le zanzare Culex, il conteggio delle larve è di 9,4 volte superiore rispetto alle stesse aree prima del trattamento azotato o altre aree con valori di componenti azotati nella norma, per un potere trofico verso le larve e per l'ipossia e la soppressione dei predatori delle zanzare come alcuni pesci;
   in Italia è in vigore dall'anno 2008 una ordinanza del Ministero della salute (Ordinanza 5 novembre 2008 West Nile Disease – Notifica alla Commissione europea e all'OIE – Piano di sorveglianza straordinaria) che dà il via ad un piano di sorveglianza straordinaria della West Nile Disease. Il virus del Nilo è stato infatti dichiarato endemico nel nostro Paese dalle autorità sanitarie. Questa ordinanza prevede anche il coinvolgimento dei medici veterinari liberi professionisti. Con il piano di sorveglianza straordinaria si intensificano le misure eccezionali di sorveglianza «finalizzate alla cognizione dell'espansione del fenomeno». L'attenzione al fenomeno è rivolta ad uccelli stanziali appartenenti a specie bersaglio (gazza, cornacchia grigia, tortora dal collare orientale), e alla fauna culicidica (anche con posizionamento di trappole per la cattura di zanzare);
   in Italia, nell'agosto 2008, si è registrata la presenza del virus West Nile (WNV) in alcune province dell'Emilia-Romagna, del Veneto e della Lombardia, tutte in prossimità del fiume Po e del suo delta. Il primo caso, è stato poi confermato in un cavallo, il 29 luglio 2009, a nord di Correggio, una cittadina che dista 60 chilometri da Ferrara, luogo dove ha avuto inizio l'epidemia del 2008, che ha colpito complessivamente una settantina di cavalli e sei esseri umani. Dopo questa epidemia, il WNV è stato dichiarato endemico in Italia. Sono 86 casi documentati in Italia fino alla fine del 2014, che hanno portato a 10 decessi;
   nel 2015, in provincia di Mantova, sono stati già documentati 5 casi di WNV in realtà comunali segnate da impatti ambientali notevoli (Pegognaga, Moglia, Revere, Roncoferraro, Curtatone); si segnala come, a Pegognaga, siano in funzione, fra l'altro, due impianti notevolmente inquinanti: la Copernit spa (bitumificio), che ha recentemente ottenuto di costruire una nuova linea produttiva, nonostante le segnalazioni di molestie odorigene e le emissioni importanti, e l'impianto a biomasse Unitea, che tratta scarti di macellazione provenienti da buona parte della provincia di Reggio Emilia; ad oggi è anche in corso la sperimentazione Gedis per l'incenerimento del digestato (si veda al proposito l'interrogazione 4/10179 a prima firma Zolezzi e altri);
   nel comune di Moglia è prevista la costruzione di un impianto di trattamento di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi da parte della azienda Ecologia Papotti srl, che comprometterebbe notevolmente la qualità dell'aria in tale comune;
   a Curtatone sono presenti ben 4 impianti a biogas, peraltro limitrofi al centro abitato, che praticano spandimenti del digestato anche in caso di utilizzo di rifiuti speciali come matrice, contro le vigenti normative il digestato ha un contenuto di azoto molto maggiore e sbilanciato nei confronti del carbonio rispetto a liquami e letame;
   il WNV si manifesta più facilmente in persone anziane, immunodepresse o in condizioni di salute scadenti; l'inquinamento atmosferico è causa intrinseca di incremento di mortalità (dati AIRC 2014) e di morbilità e può comportare alla riduzione delle difese immunitarie –:
   quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati, per quanto di competenza, per arginare la diffusione del virus;
   se, in particolare, i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non intendano adoperarsi, in raccordo con gli enti territoriali competenti, per contrastare il più efficacemente possibile, specie nelle aree limitrofe al Po, la presenza di elementi inquinanti che possono favorire tale diffusione;
   se intendano assumere iniziative per una diversa gestione di tutto il ciclo dell'azoto nelle aree vulnerabili, in particolare quelle dove si siano verificati casi di WNV, limitando gli spandimenti di nitrati e la fertilizzazione, in particolare nelle aree limitrofe ai centri abitati. (4-10884)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CANCELLERI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'intero processo di liquidazione della società in house del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e di trasformazione di Enit si sta rivelando un vero disastro;
   i dipendenti di Enit, messi di fronte alla scelta se rimanere all'interno dell'ente trasformato dopo più di un anno di gestione commissariale, oppure restare all'interno della pubblica amministrazione, hanno scelto di lasciare Enit;
   il vecchio Enit aveva 80 addetti, che vorranno rimanere nella pubblica amministrazione, mentre nella nuova organizzazione, delineata da Radaelli con il placet di Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e Presidenza del Consiglio e il definitivo sigillo della Corte dei Conti, gli addetti saliranno a quota 160 unità;
   quindi saranno pagati gli 80 addetti che hanno deciso di non operare più per Enit, pur rimanendo nella pubblica amministrazione, e i 160 che verranno selezionati nei prossimi mesi per lavorare in Enit;
   attualmente l'ente è protagonista di un conflitto tra il Ministero dello sviluppo economico (Mise) e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo: il Ministero dello sviluppo economico ha infatti presentato nelle scorse settimane un articolato ricorso contro il fallimento di Promuovi Italia, la controllata di Enit messa in liquidazione dal Ministro Dario Franceschini, dichiarata fallita dal tribunale di Roma su richiesta del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, a seguito dell'accertamento di un «buco» pari a quasi 20 milioni di euro;
   ci si trova di fronte a una realtà formalmente trasformata in ente pubblico economico e nella sostanza svuotata di ogni operatività: da mesi l'attività di promozione del brand Italia è in stand by, il sito Italia.it è stato chiuso nel 2014 senza neanche pagare i redattori. È costato 20 milioni di euro, però è ancora visibile, abbandonato e non aggiornato, ed è la prima cosa che trova in rete chiunque digiti «turismo Italia»; della campagna di marketing sui mercati internazionali che avrebbe dovuto essere già lanciata da settimane non c’è traccia e all'estero, da quasi un anno, non è presente alcun rappresentante di Enit;
   il World economic forum che compila le classifiche internazionali, colloca l'Italia al 123 posto su 144 Paesi per qualità del marketing turistico, oggi il 50 per cento dei turisti cerca notizie in rete. Il 70 per cento dei turisti più ricchi cerca notizie in rete prima ancora di decidere dove andrà e l'Italia non ha un sito ufficiale del turismo;
   il turismo è fonte di oltre il 10 per cento del prodotto interno lordo italiano –:
   se il Ministro interrogato intenda intraprendere iniziative per far sì che l'Italia abbia un ente turistico funzionante, con un sito attraente, chiaro e ben indicizzato con una mission chiara che tenda a sviluppare il turismo italiano;
   che fine faranno gli 80 impiegati del «vecchio Enit» che hanno deciso di rimanere nella pubblica amministrazione;
   da quale fondo saranno pagati i nuovi 160 addetti che verranno assunti per far funzionare il nuovo Enit. (5-06779)

DIFESA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
   in Afghanistan sono entrate in azione anche milizie che fanno riferimento allo stato islamico di Abu Bakral-Baghdadi e il ritiro delle forze internazionali doveva avvenire entro fine anno ma la debolezza del Governo di Kabul e dell'esercito regolare è tale da rimettere in discussione la scelta americana;
   il Presidente degli Stati Uniti ha chiesto ai partner occidentali impegnati in Afghanistan, tra i quali l'Italia, di prolungare la loro presenza fino al 2017;
   la missione in Afghanistan prevede l'impiego di 727 uomini della Resolute Support Mission, la precedente missione Nato che subentra alla precedente Isaf e che è volta a favorire la transizione e l'integrazione regionale del Paese e, connessa alla prima, vi è la Eupol, diretta al monitoraggio e all'addestramento per la ricostruzione delle forze di polizia locale;
   il Governo ha dichiarato di star vagliando l'ipotesi di lasciare gli italiani in Afghanistan per un altro anno la Spagna ha ritirato il contingente di Herat prevedendo che i militari spagnoli siano soltanto 20, impegnati presso il quartier generale di Kabul;
   i 570 spagnoli rientrati in Spagna erano incaricati della «force protection», cioè della difesa della base e dell'annesso aeroporto da eventuali attacchi, in modo da consentire agli italiani (727) di condurre le attività di addestramento e di «mentoring» delle forze afghane in sicurezza;
   il contingente spagnolo è costituito anche dal personale dell’Ejército del Aire che garantisce le operazioni dell'aeroporto e che gestisce l'ospedale Role 2E della base, nonché un'unità logistica di supporto;
   con il ritiro degli spagnoli, agli italiani non resta che procedere nelle operazioni senza aiuti ed infatti, dal 15 ottobre 2015, il 5o reggimento di fanteria della brigata Aosta, che ha recentemente sostituito la brigata Julia, ha assunto la responsabilità della vigilanza e della sicurezza della base di Camp Arena;
   con la maggior parte del personale del contingente italiano adesso dedicato al ruolo di «force protection», si è assistito alla trasformazione della missione che, da finalità esclusivamente di addestramento e mentoring delle forze afghane, dunque «non combat», si è trasformata in una sorta di «difesa del bastione»;
   sembra chiaro agli interpellanti che lo scopo è quello di affiancare gli americani in una missione che dovrà difendere alcune città chiave dell'Afghanistan per evitare che la sconfitta della coalizione a guida americana venga «certificata» prima che si tengano le elezioni presidenziali statunitensi del novembre 2016, lasciando credere all'opinione pubblica italiana che si tratta ancora di una missione di addestramento;
   se si fosse voluto garantire lo stesso livello di funzionalità della base e, soprattutto, la sicurezza degli stessi militari italiani, sarebbe stato necessario incrementare il contingente inviando tanto personale in più quanto ne ritirano gli spagnoli, ma ciò avrebbe comportato un enorme incremento dei fondi da assegnare a quella che è, ancora oggi, la missione più costosa condotta dalle Forze Armate italiane, dal momento che nel Consiglio dei ministri del 12 ottobre 2015 è stata autorizzata, dal 1o ottobre 2015 al 31 dicembre 2015, la spesa di euro 58.617.770 per la partecipazione di personale militare alla missione della NATO in Afghanistan, denominata Resolute Support Mission (RSM), e per la proroga della partecipazione alla missione EUPOL Afghanistan;
   per continuare a impegnare l'Italia in quella che appare agli interpellanti una fallimentare avventura, dal momento che chi doveva fare la cosiddetta «Force Protection» si è ritirato prima di noi, il Governo dovrebbe almeno garantire la sicurezza ai soldati, assumendosi la responsabilità di aumentare il contingente a Herat fino ad almeno 900 militari, soglia ritenuta minima per consentire al contingente di essere in grado di difendersi autonomamente e per evitare di piangere nuovi morti;
   i talebani stanno riconquistando numerosi distretti in Afghanistan e si stanno pericolosamente avvicinando anche a Herat e hanno già annunciato di volersi concentrare nel colpire proprio le basi della Coalizione;
   l'avanzata talebana verso Herat segue due direttrici: a sud stanno combattendo per la conquista di Shindand (provincia di Herat), già sede della base avanzata italiana «La Marmora», dopo aver già catturato la base di Baia Baluk (sempre a sud, nella provincia di Farah) che le forze italiane avevano ceduto a quelle afghane; a est di Herat, le milizie talebane stanno combattendo per Tulak (provincia di Ghor), dopo aver conquistato il 18 ottobre 2015 il distretto di Gormach (provincia di Baghdis), il 30 settembre il distretto di Khald Safed (Farah) a maggio il distretto di Jawand (provincia di Baghdis). Le province di Herat, Bagdis, Ghor e Farah rientrano tutte nell'aree di competenza del Train Advise Assist Command West a comando italiano;
   sarebbe gravissimo trovarsi di fronte a una nuova strage e, nell'eventuale ritiro delle truppe italiane dall'Afghanistan, il Governo italiano dovrebbe garantire una difesa adeguata del contingente rientrante, magari chiedendo un intervento di supporto della NATO –:
   quale sia l'utilità per il nostro Paese di una presenza militare in Afghanistan e se non convenga il ritiro del contingente italiano dall'Afghanistan entro ottobre 2015 o, comunque, entro la fine dell'anno in corso, a fronte di un mancato incremento dello stesso che consenta ai nostri uomini di operare in sicurezza.
(2-01137) «Artini, Segoni, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Mucci, Prodani, Rizzetto, Turco, Pisicchio».

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata:


   PAGLIA, SCOTTO, MARCON e MELILLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 19 settembre 2015 il Governo, nel presentare al Parlamento la nota di aggiornamento al documento di economia e finanza 2015, allegava un «Rapporto sui risultati conseguiti in materia di misure di contrasto dell'evasione fiscale» con il quale evidenziava il risultato molto lusinghiero raggiunto grazie all'attività di accertamento dell'amministrazione finanziaria che ha assicurato, nel solo 2014, all'erario riscossioni per complessivi 14,2 miliardi di euro, con un incremento rispetto al 2013 pari all'8,4 per cento. Tuttavia, il consolidamento di tale strategia di contrasto all'evasione fiscale sembra oggi essere sconfessato dalle recente scelta del Governo di voler innalzare, al fine di aumentare la domanda di consumi interni, da 1.000 euro a 3.000 euro il limite di utilizzo del contante nei pagamenti;
   non più tardi di un anno fa, il 19 novembre 2014, il Ministro interrogato, rispondendo in aula ad un atto di sindacato ispettivo, dichiarava testualmente: «La scelta di limitare la circolazione del contante e di procedere ad un progressivo abbassamento della soglia è motivata dall'esigenza di fare emergere le economie sommerse in considerazione del vasto utilizzo di tale modalità di pagamento in Italia e alla necessità di aumentare la tracciabilità delle movimentazioni finanziarie per contrastare il riciclaggio dei capitali di provenienza illecita, l'evasione e l'elusione fiscale. Va ricordato, poi, l'elevato costo di gestione del contante, che secondo le più recenti stime, comporta un onere in media pari allo 0,4 per cento del prodotto interno lordo, che diventa 0,5 in un Paese come l'Italia, per un ammontare pari a circa 8 miliardi di euro l'anno. La normativa volta a limitare la circolazione del contante, se rafforzata da interventi paralleli tesi ad incentivare l'utilizzo della moneta elettronica e degli altri strumenti di pagamento, produce prevedibili effetti positivi sui consumi»;
   di contro, oggi nell'ambito della «rivoluzione copernicana» preannunciata dal Governo in materia fiscale ed a giustificazione della decisione di aumentare la soglia del contante, il Ministro interrogato sostiene che non ci sarebbe alcuna «correlazione tra intensità del limite del contante e la diffusione dell'economia sommersa e che in quei Paesi che non hanno fissato un limite l'evasione fiscale sarebbe bassissima»;
   dalla fissazione a 3.000 euro del limite di utilizzo del denaro contante, che impedisce, tra l'altro, di tracciare il pagamento degli affitti «in nero» e tutte quelle operazioni di money transfer che consentono di inviare denaro in tutto il mondo, ma alle quali spesso si ricorre per attività di riciclaggio, la lotta all'evasione condotta fino ad oggi dall'Agenzia delle entrate ne uscirebbe sminuita e mortificata;
   diversi studi dimostrano, piuttosto, come un ricorso più diffuso a forme di pagamento elettronico permetterebbe, da un lato, attraverso la tracciabilità delle transazioni, di coadiuvare le azioni di contrasto all'evasione fiscale ed al riciclaggio di denaro, di compliance fiscale e, quindi, favorire l'emersione di ricchezza sommersa, e, dall'altro, di ridurre il costo di gestione del denaro contante a tutto vantaggio dell'economia italiana, aspetto, quest'ultimo, spesso sottovalutato dagli esercenti stessi, ma che secondo dati diffusi dalla Banca d'Italia sfiorerebbe, anche a causa dell'eccessiva rigidità della filiera del trasporto e della contazione del denaro, gli 8 miliardi di euro all'anno, che corrispondono allo 0,5 per cento del prodotto interno lordo, il 49 per cento dei quali sarebbe sostenuto da banche ed infrastrutture per l'offerta dei servizi di pagamento, mentre il restante 51 per cento sarebbe a carico delle imprese –:
   quali siano i reali motivi che hanno indotto il Governo a compiere una tale virata nella strategia di contrasto all'evasione fiscale e di emersione dell'economia sommersa, innalzando a 3.000 euro il limite di utilizzo del denaro contante nei pagamenti, se tale scelta sia stata condivisa con l'amministrazione finanziaria, come la stessa si possa conciliare con un'efficace azione di contrasto all'elusione ed all'evasione fiscali e quali siano per il Governo in termini di stima gli effetti, ascrivibili alla misura, sulla domanda di consumi e sul ciclo economico. (3-01800)


   PESCO, VILLAROSA, RUOCCO, ALBERTI, PISANO, FICO, CASTELLI, SORIAL, CASO, BRUGNEROTTO, D'INCÀ e CARIELLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 21 ottobre 2015 la Repubblica on line titolava: «Bankitalia, Visco indagato per la vicenda Popolare di Spoleto – Un'offerta da cento milioni di euro buttata inspiegabilmente nel cestino, l'accordo-quadro per l'ingresso di Banco Desio coperto da omissis, una cessione di crediti per 95 milioni di euro che misteriosamente finisce in perdita. C’è qualcosa di più del semplice “atto dovuto”, dietro l'iscrizione sul registro degli indagati del governatore di Bankitalia Ignazio Visco e di altre sette persone per l’affaire della Banca popolare di Spoleto. Lo suggeriscono sia la gravità dei quattro reati ipotizzati in concorso (corruzione, infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità, truffa e abuso d'ufficio), sia l'impenetrabile “no comment” dietro cui si è trincerata la procura di Spoleto, dopo che il Fatto ieri ha rivelato l'esistenza di un fascicolo, il n. 2267/2015, a carico di Visco e di chi ha gestito la Bps negli ultimi due anni. Anche da Via Nazionale assicurano massima collaborazione con i magistrati ma chiariscono di “Non poter entrare nel merito” della vicenda»;
   si riscontrano altri diversi casi in cui il ruolo della vigilanza è stato svolto in modo quantomeno dubbio, come, ad esempio, nei casi seguenti:
    a) Cassa di risparmio di Genova, la cui gestione ha portato all'arresto del vice presidente dell'Abi Berneschi ed altri, processati anche per i reati di associazione a delinquere, riciclaggio, intestazione fittizia di beni, esportazione illecita di denaro all'estero;
    b) Banca popolare di Vicenza, per la quale, a giudizio degli interroganti, la Banca d'Italia non ha posto in essere l'esercizio di tutte le sue prerogative: non solo non ha espletato il suo ruolo di vigilanza, ma, godendo della più totale indipendenza, non ha consentito di far emergere le responsabilità di Banca popolare di Vicenza, impegnando in modo abnorme lo strumento del commissariamento (nel caso di Bene Banca Vagienna, che venne usata per elargire finanziamenti alla banca vicentina in crisi di liquidità) o non usandolo proprio (per la stessa Banca popolare di Vicenza), come denunciato da associazioni e risparmiatori, oltre che oggetto di svariati atti di sindacato ispettivo
   Banca popolare Etruria e Lazio commissariata in extremis dopo i crediti dubbi alla clientela per 1,69 miliardi di euro, pari al 22,9 per cento e 770 milioni di euro di sofferenze;
   Unicredit e il caso delle infiltrazioni mafiose con l'inchiesta dei Ros che sembra provare i rapporti con Matteo Messina Denaro, come titola perfino la Stampa: «Unicredit, la riunione che inguaia Palenzona»
   Banca Marche, che concedeva prestiti, mutui e fidi in cambio di un «pizzo» del 5 per cento;
   i grandi scandali legati a Banca Monte Dei Paschi e Cassa di risparmio di Ferrara, alla cui drammaticità finanziaria si sono unite le funeste sorti di ex dirigenti scomparsi in modo assai sospetto. Nello specifico, Paolo Bonora, ex direttore generale di CariFerrara, e David Rossi, ex responsabile della comunicazione Monte Dei Paschi di Siena, alle quali non si può non aggiungere anche la scomparsa di Donato Valz Gen di Banca Sella –:
   alla luce del recepimento della direttiva BRRD n. 2014/59/UE sul bail in che conferisce maggiori ed ulteriori poteri alla Banca d'Italia e in considerazione dell'immagine negativa che i suddetti eventi attribuiscono allo Stato italiano sia sul piano nazionale che internazionale, quali siano i motivi per i quali non abbia ancora richiesto formalmente le dimissioni del governatore Visco ovvero per quali motivi non abbia assunto le iniziative di competenza per la revoca dell'incarico e quali siano le iniziative che intende assumere al fine di porre fine al conflitto di interessi desumibile dalla circostanza che l'organo di vigilanza Banca d'Italia sia partecipato dal 95 per cento delle istituzioni creditizie e finanziarie sottoposte alla medesima vigilanza. (3-01801)


   LUPI, VIGNALI e TANCREDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità per il 2014 (legge n. 147 del 2013, articolo 1, commi 715 e 716), ha previsto che l'Imu relativa agli immobili strumentali fosse in parte deducibile dal reddito d'impresa o professionale (Ires/Irpef), per il 30 per cento con riferimento al periodo d'imposta 2013, mentre a partire dal periodo d'imposta 2014 e a regime la quota deducibile dell'Imu fosse pari al 20 per cento. L'imposta resta, invece, indeducibile ai fini Irap;
   il Governo si è più volte espresso favorevolmente, anche accogliendo documenti di indirizzo politico del Parlamento, sulle istanze pervenute dal mondo imprenditoriale, relative alla completa deducibilità dell'Imu e della Tasi dal reddito d'impresa: un impegno il cui costo è valutato in circa 1,5 miliardi di euro di minori entrate;
   l'articolo 7 della legge delega per la riforma fiscale, in materia di semplificazione fiscale, per espressa dichiarazione del Ministro interrogato in Parlamento, avrebbe potuto costituire «l'occasione di una revisione sistematica dei regimi fiscali volta ad eliminare complessità di adempimenti superflui e costosi per le imprese»;
   in occasione della presentazione della legge di stabilità per il 2016 le organizzazioni imprenditoriali, hanno osservato che «i principi enunciati nella legge delega di riforma fiscale, che le micro, piccole e medie imprese italiane si attendevano da tempo, non sono stati attuati e, pertanto, la riforma fiscale è a tutt'oggi, incompleta», avanzando, tra le altre, la richiesta che, in qualunque modo si configurerà in futuro la tassazione locale (la futura local tax che accorperà Imu e Tasi), sia garantita una tassazione ridotta sugli immobili strumentali all'attività d'impresa, prevedendo una sua più ampia o totale deducibilità dal reddito d'impresa –:
   quali ulteriori iniziative intenda adottare il Governo per ridurre il carico fiscale delle imprese, prevedendo di incrementare quanto meno la quota di deducibilità dal reddito d'impresa della tassazione locale sugli immobili strumentali, con particolare riferimento alle attività sulle quali tale imposizione costituisce un maggiore onere, e cioè le imprese dei settori manifatturiero ed alberghiero. (3-01802)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ALFREIDER, GEBHARD, PLANGGER e SCHULLIAN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 16-ter del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante «disposizioni urgenti in materia di enti territoriali» convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, il Ministero dell'interno ha avviato la procedura per l'assunzione di 1.050 unità di personale nei ruoli della polizia di Stato riservando un solo posto per il candidato in possesso dell'attestato di bilinguismo per la provincia autonoma di Bolzano;
   una unità di personale è assolutamente insufficiente a garantire un'adeguata presenza di poliziotti bilingui, come previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1976, n. 752, recante le norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di proporzione negli uffici statali siti nella provincia di Bolzano e di conoscenza delle due lingue nel pubblico impiego;
   con specifico riferimento alle forze di polizia, peraltro, vige anche una particolare disciplina per la provincia autonoma di Bolzano, ai sensi dell'articolo 33 del decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 1988, n. 574, come da ultimo modificato dal decreto legislativo 21 gennaio 2011, n. 11, recante le norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari, che garantisce un'aliquota di posti per i candidati che abbiano adeguata conoscenza della lingua italiana e di quella tedesca nel reclutamento del personale in base al fabbisogno di personale occorrente per l'espletamento dei compiti di istituto;
   la legge 23 agosto 2004, n. 226, che ha abolito il servizio di leva obbligatorio, all'articolo 16, poi sostituito senza novella dall'articolo 2199 del codice dell'ordinamento militare di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, ha disciplinato i concorsi e, da allora, tali modalità hanno comportato una grave carenza di aspiranti candidati bilingue per i concorsi per le forze di polizia in provincia di Bolzano, che avrebbero invece, di diritto, una riserva di posti;
   è utile ricordare, in questa sede, che ci sono già 5 candidati idonei in graduatoria che sono in possesso dell'attestato di bilinguismo;
   la giunta provinciale di Bolzano il 6 ottobre 2015 ha deliberato di impugnare il suddetto concorso di arruolamento nella polizia di Stato per la violazione dell'obbligo statutario del bilinguismo nei rapporti tra i cittadini e la pubblica amministrazione, con particolare riferimento –:
   se ritenga opportuno assumere iniziative per aumentare il numero dei posti riservati ai candidati in possesso dell'attestato di bilinguismo per la provincia autonoma di Bolzano, in modo da garantire il rispetto delle norme di attuazione in materia di uso della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari e da consentire il corretto funzionamento degli uffici pubblici con le giuste risorse di personale.
(5-06778)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CECCONI, NUTI, COZZOLINO, DADONE, D'AMBROSIO, DIENI e TONINELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   a fronte del contestuale censimento e monitoraggio delle autovetture di servizio utilizzate dalle pubbliche amministrazioni, nella accezione di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, per ragioni di opportuna trasparenza, nonché ai fini di un aggiornamento dei dati occorre acquisire alcuni elementi informativi –:
   quante autovetture e quante unità di personale risultino impegnate, e quali siano i costi sostenuti, nell'espletamento dei servizi di protezione personale assicurati nel territorio nazionale, anche a personalità militari, con riguardo, in particolare, agli anni 2014 e 2015. (4-10878)


   ZOLEZZI, DAGA, MANNINO, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, MICILLO e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della giustizia, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 13, comma 2, del decreto legislativo 163 del 2006 stabilisce che: «2. Fatta salva la disciplina prevista dal presente codice per gli appalti segretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, il diritto di accesso è differito:
    a) nelle procedure aperte, in relazione all'elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle medesime;
    b) nelle procedure ristrette e negoziate, e in ogni ipotesi di gara informale, in relazione all'elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno segnalato il loro interesse, e in relazione all'elenco dei soggetti che sono stati invitati a presentare offerte e all'elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte medesime; ai soggetti la cui richiesta di invito sia stata respinta, è consentito l'accesso all'elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno segnalato il loro interesse, dopo la comunicazione ufficiale, da parte delle stazioni appaltanti, dei nominativi dei candidati da invitare;
    c) in relazione alle offerte, fino all'approvazione dell'aggiudicazione.
    ((c-bis) in relazione al procedimento di verifica della anomalia dell'offerta, fino all'aggiudicazione definitiva.))»;
   il medesimo articolo, ai comma 3 e 4 stabilisce che «gli atti di cui al comma 2, fino ai termini ivi previsti, non possono essere comunicati a terzi o resi in qualsiasi altro modo noti.» e che «l'inosservanza del comma 2 e del comma 3 comporta per i pubblici ufficiali o per gli incaricati di pubblici servizi l'applicazione dell'articolo 326 del codice penale»;
   sul quotidiano «la Repubblica» del 12 ottobre 2014, il sindaco di Pisa Marco Filippeschi ha divulgato i nomi (A2A e IREN) di alcuni dei partecipanti alla gara per la scelta del socio privato nella gestione dei rifiuti delle quattro province di Lucca, Massa, Pisa e Livorno;
   da fonti di stampa si apprende che poco più di un anno fa uno dei soggetti interessati a partecipare alla gara per l'affidamento del servizio di gestione dei rifiuti nell'ATO Toscana Costa sarebbe stato UNIECO (Il Tirreno del 4 giugno 2014, edizione di Livorno);
   la ratio del differimento del diritto di accesso è da individuarsi nella necessità di mantenere la competizione indenne da meccanismi di collusione, di impedire intese tra operatori economici volte a concordare i rispettivi comportamenti per influenzare l'esito della selezione, di evitare flussi informativi (anche involontari) tra potenziali concorrenti, e di eliminare il rischio di condizionamenti commerciali, economici e tecnici nella formulazione e presentazione delle offerte –:
   se il Governo fosse a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se il Governo, alla luce di un eventuale monitoraggio operato sui procedimenti in corso o già conclusi a carico di amministratori locali a cui sia stata contestata divulgazione di informazioni riservate o abuso d'ufficio nell'espletamento di atti afferenti alla procedura selettiva mediante «dialogo competitivo», intenda assumere nuove iniziative normative per garantire massima trasparenza e prevenire, possibili fenomeni di corruzione, anche valutando, per i casi di violazione dell'articolo 13, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 163, l'introduzione ex lege del monitoraggio di ANAC sull'intera procedura di aggiudicazione fino alla stipula del relativo contratto. (4-10886)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta immediata:


   GIGLI e SBERNA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la giunta regionale del Friuli Venezia Giulia il 22 novembre 2013 ha approvato con delibera n. 2182 il «Progetto regionale di prevenzione e contrasto al fenomeno del bullismo omofobico», finanziato attraverso una convenzione tra la Regione, le associazioni lgbt, il dipartimento «scienze della vita» dell'Università di Trieste e l'ufficio scolastico regionale, poi modificata il 18 luglio 2014, con una nuova delibera di giunta;
   tale progetto, denominato «A scuola per conoscerci», prevedeva: lo svolgimento di un'indagine sulla «percezione del fenomeno del bullismo omofobico» negli istituti scolastici della regione, a cura del dipartimento «scienze della vita» dell'Università di Trieste, interventi nelle classi di terza media, con un moduli di quattro ore, gestiti, senza l'intervento dei docenti della classe, da psicologi dell'Università di Trieste e da volontari delle associazioni lgbt, ed anche un'attività di aggiornamento rivolta al personale scolastico;
   nelle scuole in cui il progetto è stato attuato non si è mai voluto fornire ai genitori il materiale didattico utilizzato durante le lezioni, mentre la scheda progettuale è risultata generica e assolutamente non rispondente alle caratteristiche di informazione e di trasparenza che un progetto riguardante tematiche educative deve avere;
   in ogni caso il progetto si rifà alla «teoria del genere», secondo quanto dichiarato dalla professoressa Anna Pelamatti del dipartimento «scienze della vita» dell'Università di Trieste, nonché responsabile della raccolta dati, al settimanale Tempi, il 3 febbraio 2014: «Insegniamo la “teoria del genere”, tra i cui contenuti fondamentali c’è che, indipendentemente dal sesso biologico, si può e si deve essere liberi di scegliere il proprio orientamento sessuale. Certamente poi moduliamo le lezioni, visto che riguardano un pubblico di studenti compreso tra la terza media e l'ultimo anno di liceo. Nelle classi si affronta anche il tema della flessibilità, per dire che non siamo mai uguali a noi stessi e possiamo cambiare, fino alla questione delle famiglie omosessuali e dell'adozione. Sempre in chiave di “normalità”, perché il nostro obiettivo, ripeto, è combattere l'omofobia»;
   in occasione dell'approvazione definitiva da parte della Camera dei deputati della legge 13 luglio 2015, n. 107, recante «Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti», il Governo ha accolto, in data 8 luglio 2015, l'ordine del giorno n. 9/02994-B/005 in cui si impegna il Governo, «in sede applicazione del comma 16 del provvedimento in esame, ad escludere ogni interpretazione che apra alle cosiddette teorie del gender; a prevedere che le disposizioni applicative del comma 16 del provvedimento in esame e delle parti del suddetto piano destinato alla scuola siano adottate con il concorso di tutti gli attori del mondo scolastico e sociale»;
   sempre in occasione dell'approvazione definitiva della sopra citata legge n. 107 del 2015, il Governo ha, altresì, accolto in data 8 luglio 2015 l'ordine del giorno n. 9/2994-B/88 in cui si impegna il Governo: «a promuovere il contrasto alla violenza e ad ogni forma di discriminazione evitando strumentalizzazioni dell'approccio di genere nella pratica educativa e didattica»;
   con la circolare del 15 settembre 2015, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha dato direttive ai responsabili delle istituzioni scolastiche, affermando, tra l'altro, che tra le conoscenze che la scuola deve trasmettere «non rientrano in alcun modo né “ideologie gender”, né l'insegnamento di pratiche estranee al mondo della scuola»;
   il citato progetto «A scuola per conoscerci» è stato ripresentato per l'anno 2015-2016 dalle associazioni lgbt e da una rete di scuole, che hanno come capofila l'Isis Brignoli Einaudi Marconi di Gradisca d'Isonzo (Gorizia), attraverso la partecipazione ai bandi speciali della regione Friuli Venezia Giulia per l'ampliamento dell'offerta formativa;
   l'accordo di rete tra gli istituti scolastici, stipulato il 3 giugno 2015 ai fini della partecipazione al citato progetto «A scuola per conoscerci» per l'anno scolastico 2015-2016, pone in capo all'istituto capofila del progetto, nonché alle istituzioni scolastiche aderenti all'accordo «l'impegno di promuovere l'informazione relativa al progetto»;
   prima dell'iscrizione per l'anno scolastico 2015-2016 dei propri figli negli istituti scolastici coinvolti, i genitori non sono stati informati sul contenuto del progetto che ha partecipato al bando regionale e che, se finanziato, sarà realizzato nel corso dell'anno;
   secondo quanto chiarito dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nella nota del 6 luglio 2015, trasmessa a tutte le scuole, in merito ai corretti adempimenti relativi al piano dell'offerta formativa, «le famiglie hanno il diritto, ma anche il dovere, di conoscere prima dell'iscrizione dei propri figli a scuola i contenuti del piano dell'offerta formativa e, per la scuola secondaria, di sottoscrivere formalmente il patto educativo di corresponsabilità per condividere in maniera dettagliata diritti e doveri nel rapporto tra istituzione scolastica autonoma, studenti e famiglie» –:
   quali tempestive iniziative di competenza intenda adottare, a fronte della situazione rappresentata in premessa, affinché sia rispettato quanto stabilito dallo Stato nell'esercizio delle sue attribuzioni nel campo dell'educazione e dell'insegnamento, con particolare riferimento alle citate direttive emanate con la circolare del 15 settembre 2015, garantendo, altresì, nel quadro del compito fondamentale affidato ai genitori di partecipare e contribuire, insieme alla scuola, al percorso educativo e formativo dei propri figli, l'effettivo esercizio del diritto/dovere che l'articolo 30 della Costituzione riconosce loro ovvero quello di mantenere, istruire ed educare i figli. (3-01794)


   ZOGGIA, MALPEZZI, COSCIA, CAROCCI, ROCCHI, GHIZZONI, D'OTTAVIO, SGAMBATO, MANZI, MALISANI, BOSSA, PES, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 107 del 2015, ai commi 33, 34 e 39, dell'articolo 1, recita:
    a) «33. al fine di incrementare le opportunità di lavoro e le capacità di orientamento degli studenti, i percorsi di alternanza scuola-lavoro di cui al decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 77, sono attuati, negli istituti tecnici e professionali, per una durata complessiva, nel secondo biennio e nell'ultimo anno del percorso di studi, di almeno 400 ore e, nei licei, per una durata complessiva di almeno 200 ore nel triennio. Le disposizioni del primo periodo si applicano a partire dalle classi terze attivate nell'anno scolastico successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge. I percorsi di alternanza sono inseriti nei piani triennali dell'offerta formativa»;
    b) «34. All'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 77, dopo le parole: “ivi inclusi quelli del terzo settore” sono inserite le seguenti: “o con gli ordini professionali, ovvero con i musei e gli altri istituti pubblici e privati operanti nei settori del patrimonio e delle attività culturali, artistiche e musicali, nonché con enti che svolgono attività afferenti al patrimonio ambientale o con enti di promozione sportiva riconosciuta dal Coni (...)”»;
    c) «39. per le finalità di cui ai commi 33, 37 e 38, nonché per l'assistenza tecnica e per il monitoraggio dell'attuazione delle attività, ivi previste, è autorizzata la spesa di euro 100 milioni annui a decorrere dall'anno 2016. Le risorse sono ripartite tra le istituzioni scolastiche ai sensi del comma 11»;
   le linee guida per l'organizzazione dei percorsi di alternanza scuola-lavoro sono state emanate il 7 ottobre 2015;
   attualmente si ravvisano molteplici difficoltà che le scuole superiori stanno incontrando nel rivolgersi agli enti pubblici e privati per avviare questa parte della riforma molto importante per la formazione completa degli studenti, difficoltà, il più delle volte, motivate da una scarsa conoscenza della normativa e da una certa diffidenza nell'aprire certe istituzioni al mondo della scuola –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per rimuovere tali ostacoli e per dare certezze al percorso formativo dei ragazzi. (3-01795)


   BRUNETTA, SANDRA SAVINO e CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 23 e 24 ottobre 2015 si è svolto, presso l'Università di Udine, il convegno «Più valore al capitale umano», organizzato dal Partito democratico nazionale, in collaborazione con il Partito democratico del Friuli Venezia Giulia e con il gruppo del Partito democratico della Camera dei deputati;
   al convegno, oltre al Ministro interrogato, hanno preso parte anche la presidente del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, il Sottosegretario all'istruzione, all'università e alla ricerca, Davide Faraone, diversi deputati del Partito democratico e numerosi rettori italiani e docenti delle università del Friuli Venezia Giulia e del Triveneto;
   la concessione degli spazi per iniziative di carattere politico è in netta contraddizione con quanto previsto dal codice etico e di comportamento dell'università, che esclude esplicitamente questa possibilità;
   secondo quanto risulta agli interroganti, tra venerdì 23 e sabato 24 ottobre 2015, nei corridoi dell'università udinese sono state distribuite copie de L'Unità in omaggio, badge e cartelline con il simbolo del Partito democratico, mentre l'atrio è stato tappezzato di manifesti; addirittura sarebbe stato presente anche uno stand dei deputati del Partito democratico;
   oltre ad aver concesso l'utilizzo degli spazi, il rettore dell'Università di Udine, professor Alberto Felice De Toni, avrebbe direttamente provveduto a pubblicizzare l'evento inviando, attraverso il proprio indirizzo di posta elettronica, una mail al personale tecnico e amministrativo, ai docenti e agli studenti dell'ateneo; il rettore avrebbe, altresì, permesso la stampa degli inviti su carta intestata dell'università;
   lo stesso professor De Toni avrebbe poi preso la parola a fine convegno, ribadendo di essere «molto orgoglioso di averlo ospitato», e ringraziando la presidente Serracchiani «per averlo proposto»;
   la condotta assunta del rettore costituisce, a parere degli interroganti, un'aperta violazione della prerogativa di imparzialità dell'università; un simile atteggiamento fa venire meno il suo ruolo di garante dell'estraneità del luogo a qualsiasi condizionamento e manifestazione partitica, oltre a causare discredito nei confronti dell'Università di Udine e della stessa figura del rettore, che è il rappresentante legale dell'istituzione, cui competono funzioni di indirizzo, di iniziativa e di coordinamento delle attività scientifiche e didattiche, nonché altre responsabilità strettamente connesse al perseguimento delle finalità dell'ateneo, secondo criteri di qualità e nel rispetto dei principi di efficacia, efficienza, trasparenza e promozione del merito;
   le università, in quanto luoghi dell'alta formazione, centri di produzione culturale e spazi destinati allo studio e alla ricerca non dovrebbero essere strumentalizzate politicamente da iniziative di partito –:
   se il Ministro interrogato intenda chiarire quanto riportato in premessa, con particolare riferimento all'opportunità dell'utilizzo degli spazi accademici rispetto ad iniziative di chiaro contenuto politico, come quella che ha avuto luogo il 23 e il 24 ottobre 2015 presso l'Università di Udine, e al ruolo nella vicenda del rettore del medesimo ateneo, e se e quali provvedimenti intenda assumere al riguardo.
(3-01796)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FERRARESI e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Lagosanto (Fe) un gruppo di genitori, preoccupati per le condizioni in cui si trovano gli edifici scolastici del Paese, ha raccolto circa 260 firme in calce ad una petizione: «Petizione scuole sicure», che ha indirizzato al presidente della regione Emilia Romagna, al presidente della provincia di Ferrara e per conoscenza al provveditorato agli studi di Ferrara, alla direzione didattica di Codigoro, comune di Lagosanto;
   la scuola definita «Del Sorriso – Paola Ricci», inaugurata a gennaio 2014, al primo evento atmosferico degno di nota è stata scoperchiata, ad un successivo temporale ha subito addirittura il distaccamento di una facciata laterale; la scuola elementare di via Roma, un edificio ormai storico, ha cornicioni che si sfaldano, crepe, infiltrazioni d'acqua, tanto che durante le lezioni si utilizzano secchi per raccoglierla; la scuola elementare di via Venturini ha anch'essa crepe in tutto il perimetro della struttura; la scuola media in via Anna Frank ha bagni che hanno necessità di essere rinnovati in quanto arrugginiti ed antigienici;
   con il fine di appurare principalmente la sicurezza di occupanti, bambini, insegnanti e personale, e tutelarne la serena e tranquilla permanenza negli edifici, i genitori chiedono di verificare se le attuali strutture rispettano gli standard ed i parametri previsti; i genitori chiedono «un controllo completo ed esaustivo di tutti gli edifici scolastici e un risanamento reale delle criticità»;
   il Governo si è impegnato, già nel 2014, in un piano straordinario per il mantenimento e il ripristino delle funzionalità e del decoro degli edifici scolastici pubblici. Il «piano scuola», rientrante nel più ampio programma dedicato al miglioramento delle condizioni e all'efficientamento dell'edilizia scolastica pubblica –:
   se e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, il Ministro interrogato al fine di valutare e monitorare la situazione degli edifici scolastici del comune di Lagosanto, garantendo gli indispensabili interventi, anche attraverso l'accesso ai finanziamenti dedicati all'edilizia scolastica. (5-06777)


   ASCANI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 18, commi da 8 a 8-sexies, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, ha regolato gli stanziamenti per garantire la messa in sicurezza degli edifici scolastici, finanziare misure urgenti in materia di riqualificazione e realizzare nuove strutture scolastiche. Per queste finalità il finanziamento complessivo disposto è stato di 460 milioni e 500 mila euro, articolati in tre diversi stanziamenti, da erogare nel corso del triennio 2014-2016;
   per accedere al finanziamento gli enti locali interessati hanno presentato alle regioni, entro il 15 settembre 2013, i progetti esecutivi di edilizia scolastica immediatamente cantierabili e, di conseguenza, entro il 15 ottobre 2013, le regioni hanno presentato al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca le corrispondenti graduatorie, rese esecutive dal Ministero con il decreto ministeriale 5 novembre 2013, n. 906. Successivamente, il decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2015, n. 11, ha ulteriormente differito dal 30 aprile 2014 al 31 dicembre 2014 il termine per l'affidamento dei lavori di riqualificazione e messa in sicurezza degli istituti scolastici, nonché (dal 30 giugno 2014) al 28 febbraio 2015 quello per l'affidamento dei medesimi lavori nelle regioni nelle quali sono intervenuti provvedimenti di sospensione delle procedure a seguito di contenzioso. Ad oggi, secondo i dati riportati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nel proprio sito ufficiale, sono già disponibili, ed approvati dal Comitato interministeriale per la programmazione economica 400 milioni di euro per la riqualificazione e messa in sicurezza degli edifici scolastici di proprietà degli enti locali;
   l'entità del finanziamento, l'ambizione del programma complessivo e la mancanza di una legislazione unitaria in materia, ha determinato il Parlamento, in sede di conversione del decreto legge 12 settembre 2013, n. 104, ad imporre ai Ministeri competenti l'obbligo di relazionare annualmente alle Camere sullo stato di avanzamento degli interventi. Al fine di garantire un controllo sullo stato di avanzamento delle erogazioni promesse, analogamente, la Commissione cultura scienza e istruzione alla Camera, il 4 luglio 2013, ha avviato un'indagine conoscitiva con l'obiettivo di far ripartire l'anagrafe dell'edilizia scolastica, la quale, come noto, ha l'obiettivo di verificare la realizzazione degli interventi avviati, individuare procedure semplificate per l'attuazione dei piani e procedure speciali per affrontare le situazioni di emergenza;
   tuttavia, nonostante gli sforzi adoperati per consentire un adeguato monitoraggio delle attività ministeriali, a fronte degli ultimi dati presentati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il 7 agosto 2015 l'ufficio II preposto all'anagrafe dell'edilizia scolastica, programmazione degli interventi ed innovazione, risulta ancora vacante, e si succedono numerose le segnalazioni dei tanti comuni che, pur avendo provveduto secondo quanto previsto dalla lettera della norma, non hanno ancora ricevuto quanto assicurato dal Ministero;
   di base gli uffici tecnici dei comuni (per citarne alcuni: Fabro (Tr), Pietralunga (Pg), Valle di Nera (Pg), Castiglione in Teverina (Vt) ed altri) lamentano tutti la difficoltà di comunicazione con gli uffici competenti della direzione generale per gli interventi in materia di edilizia scolastica, per la gestione dei fondi strutturali per l'istruzione e per l'innovazione digitale. A queste difficoltà, sostanzialmente dovute alle mancate risposte alle PEC, alle e-mail e alle telefonate, si sono aggiunti i ritardi nell'inoltro e nella ricezione della documentazione da caricare sulla piattaforma adibita dal sistema di monitoraggio per l'esecuzione degli adempimenti previsti. Ai ritardi così cumulati non hanno giovato le ulteriori richieste di integrazioni avanzate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, intempestivamente e a mezzo del solo sistema di monitoraggio informatico (e non anche come espressamente previsto dalle determine ministeriali, tramite PEC), che hanno ingiustificatamente aggravato la fase di rendicontazione delle spese sostenute dagli enti locali, i quali, a tutt'oggi, si trovano nell'impossibilità di saldare i corrispettivi richiesti dalle imprese che, nella maggior parte dei casi, hanno già ultimato i lavori –:
   il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e come intenda intervenire, per quanto di competenza, per porvi rimedio. (5-06780)


   D'UVA, FRUSONE, VIGNAROLI, DAGA, DI BENEDETTO, GRANDE, VACCA, LOMBARDI, DI BATTISTA e BRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la «Maker Faire» è un evento mondiale dedicato all'esposizione di invenzioni e progetti prodotti in tutto il mondo dai cosiddetti Maker, inventori e artigiani sia digitali che tradizionali, i quali sviluppano e realizzano conoscenze e scoperte di nuovi modelli di produzione manifatturiera, anche attraverso l'utilizzo di nuove generazioni di stampanti 3D e del digital design;
   tali eventi, ospitati ogni anno in varie località del mondo, intendono favorire lo scambio di informazioni e progetti tra Maker di ogni Paese, condividendo con i loro visitatori le invenzioni e innovazioni presenti;
   la «Maker Faire Rome», così come riportato dal sito internet ufficiale dedicato all'evento, è «l'edizione europea del Maker Faire, con oltre 600 invenzioni in mostra nel 2014 e 90 mila visitatori», ed è «organizzata da Asset Camera, Azienda Speciale della Camera di Commercio di Roma», la cui la mission è mettere la città di Roma al centro del dibattito sull'innovazione, attraverso la diffusione della cultura digitale e lo sviluppo dell'imprenditorialità individuale e collettiva, propria del movimento dei Makers;
   la terza edizione della «Maker Faire Rome» si è svolta dal 16 al 18 ottobre 2015 presso i locali dell'Università di Roma «La Sapienza», la quale ha ospitato, negli spazi altrimenti dedicati alla formazione universitaria, oltre 600 espositori maker insieme a PMI innovative, scuole e Fab Labs, limitando, di conseguenza, il regolare svolgimento delle attività didattiche e dei vari servizi per gli studenti e i docenti dell'ateneo;
   benché dal programma dell'evento si evidenzi come il Maker Faire Rome non sia «solo una fiera per addetti ai lavori», dal momento che al suo interno è possibile trovare «invenzioni in campo scientifico e tecnologico (dalle stampanti 3D ai wearables, passando per droni, robot e il digital manifacturing) ma anche nuove forme di arte, spettacolo, artigianato, sperimentazioni sul cibo e attrazioni mai viste prima», alcune agenzie di stampa riportavano rilevanti incongruenze tra le finalità perseguite dalla manifestazione e l'effettiva organizzazione della stessa;
   in data 17 ottobre 2015, un articolo pubblicato dal quotidiano consultabile online Il Fatto Quotidiano, e relativo alla manifestazione tenutasi presso l'Ateneo romano, titolava «Maker Faire: la Sapienza ospita la camera di commercio, ma caccia studenti e lavoratori»;
   secondo quanto riportato dal quotidiano, infatti, «quella di quest'anno sembrerebbe un'edizione diversa proprio perché svolta in quella che dovrebbe essere la “casa” degli studenti, luogo di studio, di formazione, come di confronto, eppure, in qualche modo l'accesso a pagamento per matricole e non sembrerebbe non, favorire la partecipazione degli stessi»;
   così come evidenziato dall'articolo, «Per Maker Faire dell'Università La Sapienza nessuno avrebbe pensato, infatti, di coinvolgere gli studenti, piuttosto la loro esclusione oggi parrebbe una scelta presa con la dovuta indifferenza, imposta dall'alto», suscitando per tali motivi le proteste degli studenti, i quali hanno con fermezza criticato l'organizzazione dell'evento, che avrebbe causato «la sospensione dell'attività didattica, alla chiusura delle biblioteche, delle facoltà e dei laboratori della Sapienza», così costringendoli «alle ferie forzate»;
   infine, dallo stesso articolo si apprende come la manifestazione organizzata in data 16 ottobre 2015 dagli stessi studenti «per ottenere uno spazio gestito e la possibilità di entrare gratuitamente», si sarebbe conclusa con duri scontri con le forze dell'ordine, con un bilancio finale di 5 fermi e 10 persone ferite, anche attraverso l'utilizzo di idranti;
   dalle notizie apprese dagli organi di stampa risultano evidenti le incongruenze e le criticità relative all'evento, così come pianificato, dal momento che la manifestazione ideata per promuovere invenzioni in campo scientifico e tecnologico, ed organizzata all'interno dei locali universitari dell'Ateneo «La Sapienza» di Roma, non prevedeva alcuna compensazione per la compressione dei servizi spettanti agli studenti dell'Università, anche in considerazione dell'avvenuto pagamento dei contributi universitari per la regolare erogazione degli stessi;
   un evento organizzato all'interno di una struttura universitaria pubblica dovrebbe prevedere l'esenzione totale per gli studenti, ovvero non dovrebbe in alcun modo impedire il regolare funzionamento dell'Ateneo per tutti coloro che non intendano pagare per accedere alla manifestazione, qualora, come nel caso di specie, l'ingresso fosse soggetto a restrizioni o al pagamento di un titolo d'accesso;
   ad avviso degli interroganti mal si comprende, quindi, come mai si sia inteso utilizzare uno spazio pubblico, qual è l'Università «La Sapienza» di Roma, per l'organizzazione della «Maker Faire Rome 2015», un evento non esclusivamente indirizzato a studenti e ricercatori universitari, dal momento che, come tutti gli altri visitatori, questi hanno potuto prenderne parte esclusivamente attraverso il pagamento di un corrispettivo, benché in misura ridotta;
   se appare inopportuna la decisione di ospitare all'interno dei pubblici locali dell'università «La Sapienza» di Roma l'evento «Maker Faire Rome 2015», il quale avrebbe notevolmente condizionato e limitato il regolare svolgimento delle attività dell'ateneo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se intenda assumere iniziative, anche normative, affinché per i prossimi anni, pur nei limiti previsti dall'autonomia universitaria, l'organizzazione di eventi analoghi non avvenga all'interno di strutture universitarie o scolastiche pubbliche durante il regolare svolgimento delle attività e dei servizi didattici. (5-06787)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCAGLIUSI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 128 del 2011 del 27 luglio 2011 (cosiddetta legge Levi), mira a contribuire allo sviluppo del settore librario, al sostegno della creatività letteraria, alla promozione del libro e della lettura, alla diffusione della cultura, alla tutela del pluralismo dell'informazione; 
   la legge n. 128 del 27 luglio 2011, all'articolo 2, comma 2, stabilisce che è consentita la vendita dei libri ai consumatori finali, da chiunque e con qualsiasi modalità effettuata, compresa la vendita per corrispondenza anche nel caso in cui abbia luogo mediante attività di commercio elettronico, con uno sconto fino ad una percentuale massima del 15 per cento sul prezzo fissato;
   all'articolo 2, comma 3, della legge sopracitata, si prevede che ad esclusione del mese di dicembre, agli editori è consentita la possibilità di realizzare campagne promozionali distinte tra loro, non reiterabili nel corso dell'anno solare e di durata non superiore a un mese, con sconti sul prezzo fissato ai sensi del comma 1 che eccedano il limite indicato al comma 2, purché non superiori a un quarto del prezzo fissato ai sensi del predetto comma 1;
   in una intervista, Ricardo Franco Levi, primo firmatario della legge, ha dichiarato che «la legge che regola gli sconti sui libri si pone come un vincolo alla drammatica riduzione delle voci. E fa sì che editori e librai, anche le realtà più piccole, possano competere sul mercato. Pone le premesse per garantire una concorrenza equa»;
   la politica dei prezzi praticata dalla grande distribuzione determina una concorrenza sleale a danno degli esercizi specializzati che da sempre rappresentano, soprattutto in tema di testi scolastici;
   per esempio su amazon.it è possibile talvolta acquistare libri con sconti pari al 55 per cento del prezzo fissato ai sensi del comma 1 della legge n. 128 del 27 luglio 2011;
   secondo il SIL (Sindacato italiano librai e cartolibrai) quella dei librai è una categoria che si trova a vivere un momento delicato: «in pochi sanno — dice il vicepresidente Terzi — che ogni giorno chiudono in media 5 piccole librerie (dati 2014). Ci ritroviamo schiacciati tra gli editori, con i quali è impossibile contrattare e la grande distribuzione, che riesce ad applicare sconti aggirando i limiti della legge Levi (entrata in vigore il primo settembre 2011 fissa un tetto massimo di sconto sui libri al 15 per cento). Non è possibile accettare, a livello di sistema-Paese, che si consenta alla GDO con queste operazioni di azzerare la concorrenza»;
   nella sezione dedicata alla disciplina del prezzo dei libri, più precisamente nella regolamentazione delle sanzioni, l'unico ente indicato all'articolo 2, comma 9, della legge n. 128 del 2011 è il comune che, secondo tale legge, vigila sul rispetto delle disposizioni del presente articolo e provvede all'accertamento delle infrazioni e all'irrogazione delle sanzioni previste al comma 8 –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per far in modo che la legge n. 128 del 27 luglio 2011 venga rispettata da parte di tutti, editori, librai e soprattutto dalla grande distribuzione;
   dal momento che il mercato dei libri è molto sviluppato anche e soprattutto online, se il Governo non ritenga inadeguato il solo controllo della legge da parte di vigili urbani o agenti di polizia municipale e quali iniziative di competenza, intenda assumere al riguardo. (4-10877)


   D'UVA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Università degli studi di Udine è un ateneo statale con sede principale a Udine, fondato nel 1978, all'interno del quale sono presenti dieci facoltà attive;
   in data 23 maggio 2013 viene eletto rettore dell'Università degli studi di Udine il professor Alberto Felice De Toni, già preside della facoltà di Ingegneria dello stesso Ateneo;
   in data 21 ottobre 2015, dalle pagine internet del proprio sito ufficiale, il Partito Democratico annunciava «la due giorni del Partito Democratico», da tenersi nei giorni 23 e 25 ottobre, dedicata ai temi dell'università e della ricerca dal titolo «Più valore al capitale umano. Università, ricerca e alta formazione motori di sviluppo», presso i locali di Palazzo Garzolini di Toppo Wassermann, presso la città di Udine;
   la presenza, tra gli altri, del Ministro dell'Istruzione, dell'università e della ricerca, Stefania Giannini, della presidente della regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani, del vicesegretario del Pd, Davide Faraone, del sottosegretario all'Istruzione, Manuela Ghizzoni, e del responsabile Università del Pd, Rosa Maria Di Giorgi, responsabile ricerca del Pd, fanno dell'evento una manifestazione dal carattere prettamente politico;
   tuttavia, il palazzo settecentesco che dall'inizio del secolo scorso è meglio noto come Palazzo Toppo Wassermann, è oggi la sede della Scuola Superiore dell'Università degli studi di Udine, struttura pubblica didattica destinata alla formazione degli studenti iscritti presso l'Ateneo ad accesso riservato a vincitori di concorso, così come disposto dall'articolo 25 dello Statuto universitario;
   per tali motivi diversi quotidiani locali e nazionali evidenziavano in queste ore l'inopportunità di individuare in una struttura universitaria la sede di un convegno di partito, dal momento che ad ogni studente dovrebbe essere assicurata una formazione adeguata che non sia soggetta ad influenze politiche certamente non attinenti al proprio ciclo di studi;
   in data 21 ottobre 2015, il quotidiano consultabile online «Il Giornale», riportava la notizia della due giorni organizzata presso le strutture universitarie della facoltà di Udine, evidenziando come facesse «discutere, a Udine, la decisione del rettore di Alberto de Toni di invitare studenti e docenti alla festa del Pd dedicata all'università e organizzata per il 23 e 24 ottobre proprio nei locali dell'ateneo»;
   non soltanto, ad avviso del quotidiano, il rettore ha dato piena disponibilità al partito per l'utilizzo dei locali universitari della Scuola Superiore di Udine ma, secondo la denuncia di uno studente pubblicata sullo stesso articolo, lo stesso rettore avrebbe inviato agli studenti una mail dall'università «in cui si segnalava l'evento con tanto di link al sito del Partito democratico» evidenziando come, a suo stesso avviso, «La presenza del Ministro Giannini e di alti rappresentanti delle Istituzioni non cancella il dato fondamentale: si tratta di un appuntamento di partito. Così l'università cessa di essere imparziale come invece dovrebbe»;
   dalla lettura delle pagine del quotidiano locale, consultabile online, «Il Diario di Udine», l'evento sembrerebbe organizzato attraverso l'utilizzo del logo dello stesso Partito Democratico, evidenziando, ancora una volta, la natura politica della manifestazione;
   dalla lettura dello stesso articolo, si apprende come gli inviti fatti recapitare dal rettore De Toni sembrerebbero indirizzati agli studenti e a tutto il personale docente, dal momento che in un'intervista pubblicata dallo stesso giornale era evidenziato come il rettore De Toni avrebbe pure invitato studenti e professori a partecipare numerosi a quello che sembra agli interroganti essere un evento di mera propaganda. Uno dei temi di discussione sarà la «restituzione dell'autonomia degli Atenei»: autonomia da cosa o da chi ? Sicuramente non dalla politica;
   tali iniziative, se confermate, contrasterebbero inoltre, ad avviso degli interroganti, con lo stesso Statuto dell'Università degli Studi di Udine;
   l'articolo 1 dello Statuto dell'Università degli Studi di Udine evidenzia come la stessa sia «sede primaria di libera ricerca e libera formazione, promuovendo e sviluppando e il progresso della cultura e delle scienze attraverso la ricerca e la formazione»;
   ancora più rilevante appare quanto disposto dall'articolo 2, secondo il quale «pur assicurando l'autonomia scientifica, didattica, organizzativa, finanziaria e contabile dell'Ateneo», questa «debba perseguire le proprie finalità istituzionali, ispirandosi a principi di autonomia, responsabilità, laicità e pluralismo e garantendo libertà di ricerca, di insegnamento e di studio, nel rispetto dei principi dell'ordinamento giuridico, delle norme legislative che fanno espresso riferimento alle Università statali e delle disposizioni contenute nel Codice Etico dell'Università di Udine»;
   ad avviso degli interroganti la laicità riportata dallo Statuto non può riferirsi esclusivamente ad indirizzi di tipo religioso, ma deve intendersi come autonomia decisionale, anche politica, dei singoli soggetti che fanno parte di una data comunità, in questo caso universitaria;
   ricordando come sia compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese, condividendo la possibilità di organizzare all'interno di strutture universitarie eventi e manifestazioni di tipo politico, così come ogni evento che possa limitare il regolare svolgimento dell'attività didattica, occorrerebbe poi garantire un pluralismo partitico che condurrebbe gli Atenei ad essere centro di propaganda e diffusioni di opinioni che nulla hanno a che fare con la realtà prettamente didattica e conoscitiva laica e priva di ingerenza che le nostre Università dovrebbero assicurare –:
   se sia a conoscenza di atti o azioni intraprese dal Rettore dell'Università degli studi di Udine, che appaiono agli interroganti, finalizzate alla diffusione e alla propaganda di eventi di natura politica all'interno delle strutture dell'Ateneo di propria competenza e, in caso di positivo riscontro, quali iniziative intenda assumere;
   se non ritenga di chiarire, anche in considerazione della Sua presenza, i presupposti su cui è fondata la decisione di organizzare all'interno di strutture universitarie pubbliche, eventi e manifestazioni di tipo politico, dal momento che le disposizioni costituzionali assicurano che a tutti i cittadini sia garantita la libertà di formare autonomamente i propri convincimenti e le proprie opinioni, e le università hanno sì il diritto di darsi ordinamenti autonomi, ma pur sempre nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato e, quindi, dalla stessa Costituzione. (4-10887)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   nei primi 8 mesi del 2015 le morti sul lavoro hanno avuto un preoccupante aumento, secondo quanto dichiarato dall'Anmil, l'Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro, in occasione della 65esima giornata nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro che si è svolta l'11 ottobre 2015: nel 2015 il numero di morti sul posto del lavoro è aumentato del 15 per cento rispetto allo stesso periodo del 2014, con 752 vittime al 31 agosto 2015, a fronte delle 652 rilevate al 31 agosto dello scorso anno, per un totale di ben 100 morti in più;
   questo aumento rappresenta una preoccupante inversione di tendenza nell'andamento del fenomeno come non si verificava dal 2006, e la conferma che gli incidenti sul lavoro restano un'emergenza nazionale, come sottolineato anche dalla Cgil;
   la Lombardia risulta essere la regione più colpita dal fenomeno delle morti bianche, e il Nord Est è la macroarea dove il rischio di mortalità rispetto alla popolazione lavorativa è più alto con un indice del 32,7 per cento contro una media nazionale del 21,1 per cento; seguono il Sud (31,1), le Isole (23), il Nord Ovest (16,2) e il Centro (15,4); in media, nel Nord Est si rilevano 90 morti al mese, dato in crescita rispetto allo stesso periodo dello scorso anno;
   secondo l'Anmil «il Testo Unico infortuni, che regola i risarcimenti e le rendite Inail, risalente al 1965, nonostante le modifiche intervenute nel tempo, risulta essere anacronistico, inadeguato e iniquo»;
   secondo quanto riportato dall'Osservatorio indipendente di Bologna sulle morti sul lavoro «i morti per infortuni sui luoghi di lavoro da noi registrati non sono mai stati così tanti da quando il 1o gennaio 2008 è stato aperto l'Osservatorio»;
   secondo Mauro Rossato, presidente dell'Osservatorio sicurezza sul lavoro Vega Engineering di Mestre, i numeri delle morti bianche «narrano una morte quotidiana con una media di oltre 90 vittime al mese. Incomprensibile come ancora non vengano consegnate risposte concrete a questa che è una piaga sociale “conclamata”, dove le morti, molto spesso, non sono dovute ad una tragica fatalità, ma sono piuttosto la conseguenza più tremenda e visibile della scarsa diffusione della cultura della sicurezza»;
   in una lettera-appello dell'agosto 2015 indirizzata ai più alti livelli istituzionali, Marco Bazzoni, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, da anni in prima linea per promuovere la sicurezza, sul lavoro, sottolinea che «con il jobs act, le semplificazioni per la sicurezza, il demansionamento e la videosorveglianza e i controlli a distanza andrà anche peggio, perché i lavoratori adesso sono ancora più ricattabili»,
   risale addirittura al 3 dicembre del 2013, ma risulta ancora senza risposta, l'interrogazione a risposta scritta n. 4-02784 con la quale il primo firmatario del presente atto aveva già sollevato il problema delle cosiddette «morti bianche», sottolineando come esse «rappresentino nel nostro Paese una vera e propria strage che è ancora gravemente sottovalutata: dal 2008 al 2013 in Italia più di settemila lavoratori hanno perso la vita mentre svolgevano semplicemente il loro lavoro, lasciando settemila famiglie italiane senza quella che spesso è l'unica risorsa economica per il nucleo familiare»;
   un Paese che si definisce civile non può permettersi di avere ogni anno oltre 1300 morti sul lavoro, definiti di recente dal professor Umberto Veronesi «gli eroi di oggi», e chiamare ipocritamente tali decessi «morti bianche» o «tragiche fatalità» quando è ben noto che la morte di un lavoratore non è quasi mai dovuta al caso, ma semmai al fatto che nelle aziende troppo spesso non si rispettino a sufficienza le norme per la sicurezza sul lavoro;
   in tutti questi anni poco o nulla sembra essere stato fatto per aumentare i controlli per la sicurezza sul lavoro –:
   se i Ministri interpellanti siano al corrente della preoccupante inversione di tendenza nell'andamento del fenomeno delle morti bianche in significativo aumento nei primi 8 mesi di quest'anno, come illustrato in premessa;
   quali azioni il Governo intenda intraprendere per frenare questo grave trend negativo e promuovere una maggiore sicurezza sul posto di lavoro facendo in modo che le norme per la sicurezza sul posto di lavoro vengano rispettate dai datori di lavoro a tutela della vita dei lavoratori;
   se non ritenga necessario adottare delle opportune iniziative normative al fine di aggiornare il «testo unico infortuni», che regola i risarcimenti e le rendite Inail, risalente al 1965, al fine di renderlo più attuale, adeguato alle reali esigenze dei lavoratori e giusto;
   se sia stato attuato, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, un monitoraggio dell'attuazione delle disposizioni in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro a partire dai comparti lavorativi più a rischio, coordinando tutte le risorse umane disponibili (ispettorati del lavoro delle ASL, dell'INPS, dell'INAIL e altri) e, in tal caso, quali siano i risultati e le criticità rilevate;
   in che modo intendano attivarsi per promuovere un intervento organico, coerente e non occasionale a livello di legislazione nazionale in materia di sicurezza sul lavoro, in nome delle migliaia di vittime del lavoro, ma soprattutto a tutela della salute dei lavoratori.
(2-01138) «Sorial, Cominardi, D'Incà».

Interrogazione a risposta scritta:


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa pubblicate dal quotidiano «Il Messaggero Veneto» si è appreso che nel comune di Campoformido, in provincia di Udine, la signora Brunella Micelli è stata sottoposta ad una visita medico fiscale, pur essendo affetta da tumore;
   la signora Micelli da più di trent'anni lavora alle dipendenze dell'ente comunale e si trova attualmente in regime di malattia per le terapie post intervento chirurgico necessarie a curare una patologia neoplastica delle più aggressive, con un ciclo di chemioterapia e radioterapia altamente debilitante ed invasivo già definito; la signora Micelli sta affrontando terapie salvavita molto pesanti e sta inoltre subendo le vessazioni rappresentate da diverse visite fiscali domiciliari che sfidano il buon senso e risultano gravose anche dal punto di vista psicologico; l'ultima visita fiscale, in ordine di tempo risalirebbe a dieci giorni dopo l'intervento effettuato dalla signora Micelli;
   l'INPS della regione Trentino Alto Adige, proprio a fronte di un analogo caso che riguardava la signora Chiara Dossi ha già disposto la cessazione delle visite per i malati gravi, attraverso l'istituzione del cosiddetto «protocollo Chiara»;
   l'interrogante ritiene necessaria e non più rinviabile un'ottimizzazione dei flussi di informazione fra gli uffici pubblici, affinché si possano correttamente valutare come non prioritarie le visite fiscali a pazienti malati di tumore, concentrando invece la doverosa opera di controllo contro gli assenteisti;
   i controlli fiscali rappresentano, peraltro, un costo importante per i bilanci sanitari, ma diventano inefficienti quando a mancare è un'opportuna previsione di protocolli differenziati tra malati lievi o non gravi e malati gravi, con specifica attenzione, per i malati oncologici, in trattamento chemioterapico –:
   quali iniziative di competenza intendano assumere i Ministri interrogati affinché sia pienamente tutelata la dignità di tutti i malati, con particolare riguardo per i malati gravi, affinché episodi come quello richiamato in premessa non abbiano a ripetersi. (4-10876)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GAGNARLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 15 ottobre 2015 è stato presentato al Parlamento europeo il dossier (Pelliccia del Nord, commercializzata come business responsabile dalle coalizioni internazionali Fur Free Alliance ed Eurogroup For Animals, che dimostra come la rivendicazione del rispetto di elevati standard da parte dell'industria della pellicceria europea sia in netto contrasto con la realtà degli allevamenti;
   le condizioni degli animali nel Nord Europa non sono significativamente diverse dalle condizioni degli animali allevati in altre parti del mondo, poiché, come si evidenza dal dossier gli allevamenti di animali da pelliccia e i problemi connessi al benessere animale sono gli stessi ovunque, in Finlandia così come in Danimarca e in Cina, in quanto «attivi predatori, quali sono i visoni e le volpi sono tenuti in allevamenti intensivi fatti di lunghe file di gabbie di rete metallica in cui le loro esigenze comportamentali non possono essere soddisfatte»;
   sono circa 200 mila i visoni che ogni anno vengono uccisi, all'interno di apposite camere a gas, in Italia nei circa 20 allevamenti di visoni da pelliccia ancora presenti sul territorio nazionale, scuoiati e uccisi dopo aver vissuto la loro esistenza in gabbie larghe 36 cm, profonde 70, alte 45 cm;
   questi allevamenti, che si trovano per lo più in Veneto, Emilia Romagna e Lombardia, sono giudicati dalla normativa nazionale vigente (decreto legislativo n. 146 del 2001 consente e regolamenta l'attività di allevamento di animali da pelliccia) rispettosi del benessere animale, sia per quanto riguarda la detenzione che per le modalità di uccisione, ma, a parere dell'interrogante, è la stessa attività di allevare un animale al fine di scuoiarlo per produrre una pelliccia a non essere rispettosa del benessere dell'animale;
   secondo i dati diffusi dall'Eurispes, oltre 1'85 degli italiani è contrario alla pratica dell'allevamento da pelliccia, ma, nonostante questo e nonostante le numerose manifestazioni e denunce delle associazioni impegnate nella tutela degli animali, il nostro Paese stenta ancora a fare dei passi nella direzione del divieto assoluto, come è già accaduto in diversi Paesi europei: Inghilterra (2000, divieto per tutti gli animali); Irlanda del Nord (2003, divieto per tutti gli animali); Scozia (2003, divieto per tutti gli animali); Austria (2004, divieto per tutti gli animali); Croazia (2007, divieto per tutti gli animali effettivo dal 2017); Bosnia (2009, divieto per tutti gli animali effettivo dal 2018); Danimarca (2009, volpi effettivo dal 2024); Slovenia (2013, divieto per tutti gli animali effettivo dal 2015);
   nel dicembre 2012 l'Olanda, che oggi costituisce il terzo Paese al mondo produttore di pelli di visone con oltre 5 milioni di animali allevati all'anno, ha approvato il divieto di allevamento di animali «da pelliccia» che sarà vigente dal 2024 per dare il tempo ai 189 allevamenti di visoni di riconvertirsi –:
   se, in base a quanto esposto in premessa, al fine di adeguarsi alle corrette pratiche di tutela del benessere animale, il Governo non intenda al più presto assumere iniziative normative che tengano conto delle proposte, sia legislative che di indirizzo, in materia di «divieto di allevamento, di cattura e uccisione di animali per la loro pelliccia», al fine di mettere fine, anche nel nostro Paese, ad una pratica anacronistica quanto crudele contro gli animali. (5-06786)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RUSSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Ministero della salute del 30 maggio 2014 prevede l'applicazione di un bollino farmaceutico su ogni scatola di farmaco, al fine di rafforzare il contrasto alle possibili frodi ai danni della salute pubblica. Il bollino prevede una stampa ed una numerazione progressiva indelebile poiché si tratta di carte valori;
   i numeri progressivi dei contrassegni farmaceutici devono essere inseriti all'interno della banca dati, istituita dal Ministero della salute (come previsto dal decreto ministeriale del 15 luglio 2004) al fine di garantire la tracciabilità dei medicinali, scongiurando, in tal modo, il pericolo di contraffazione o duplicazione fraudolenta di farmaci e quindi dei conseguenti rimborsi, a carico del servizio sanitario nazionale;
   attualmente, sul mercato, la quasi totalità delle confezioni di farmaci, è etichettata con un bollino farmaceutico, il cui numero progressivo OCRB stampato sul supporto siliconato non risulta indelebile, come invece stabilito dal citato decreto ministeriale; l'eventuale assenza, intenzionale o meno del contrassegno compromette la tracciabilità della confezione, dal momento che, dopo la vendita, il bollino è l'unico elemento che consente di individuare, in maniera univoca, la confezione;
   l'Istituto poligrafico e zecca dello Stato ha assegnato recentemente, attraverso gara pubblica, l'appalto per undici di Impianti di stampa di bollini farmaceutici, che però sembra che non garantiscano l'indelebilità del numero targa; nonostante questo grave deficit, alcuni di tali impianti sarebbero stati collaudati con esito positivo;
   l'IPZS starebbe elaborando soluzioni tecniche che non sarebbero di rapida applicazione per porre rimedio al grave problema, con la necessità di investimenti aggiuntivi –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il ministro interrogato per impedire, fin da ora, che i nuovi macchinari installati nelle sedi dell'IPZS di Roma e Foggia, producano contrassegni con il numero di targa non indelebile e che, conseguentemente, vengano immesse sul mercato confezioni di medicinali non idonee a garantire la tracciabilità completa, con possibili danni alla salute pubblica.
(5-06776)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la «Tecnoservice S.r.l.» di Misterbianco (CT) è la società vincitrice dell'appalto per i servizi ausiliari trasporto infermi presso l'azienda ospedaliera «San Giuseppe Moscati» di Avellino;
   nel mese di giugno 2014 la suddetta società ha ricevuto da «Equitalia S.p.A.» una notifica di pignoramento presso terzi che ha sostanzialmente inibito l'azienda pubblica appaltante a liquidare le relative fatture emesse;
   dal mese di luglio 2014 i lavoratori si sarebbero visti, senza comunicazione alcuna e senza la sottoscrizione di alcun nuovo contratto di lavoro, corrispondere le relative retribuzioni da un'altra società, la «Business Service S.r.l.», sempre da Misterbianco (CT), fino a gennaio 2015;
   il 28 luglio 2015 si è svolto presso la Prefettura di Avellino un incontro tra le parti e le rappresentanze sindacali durante il quale sono stati resi noti i suddetti problemi;
   i 53 lavoratori non percepiscono lo stipendio dal mese di febbraio 2015;
   i dipendenti della «Tecnoservice S.r.l.», dopo lunghi mesi di mancata corresponsione dei salari maturati, hanno deciso di iniziare, dieci giorni or sono, un'astensione lavorativa;
   all'oggi non risultano cessioni di appalti ad altra azienda del cosiddetto servizio di movimentazione «Stir»;
   fino al mese di luglio 2015 i lavoratori, pur in assenza di retribuzione, si sono visti versare la contribuzione dalla società «Business Service S.r.l.» che, si ricorda, non è aggiudicataria dell'appalto –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere con la dovuta urgenza, in particolare per garantire le retribuzioni spettanti ai lavoratori.
(4-10879)


   NARDI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Aisf-Onlus – Associazione italiana sindrome fibromialgica – costituita con atto notarile il 30 novembre 2005 e iscritta al registro delle ONLUS il 12 dicembre dello stesso anno – ha nell'oggetto e scopo del suo statuto «la sensibilizzazione delle autorità sanitarie e politiche sulla tutela dei diritti dei malati affetti da sindrome fibromialgica»;
   la fibromialgia o sindrome fibromialgica è una malattia complessa e debilitante caratterizzata da dolore muscolare cronico diffuso e astenia, associato a rigidità e ad una vasta gamma di disturbi funzionali tra cui cefalea, colon irritabile, disturbi del sonno e cognitivi, che possono compromettere la qualità di vita di chi ne è affetto;
   tale sindrome, tutt'altro che rara, colpisce approssimativamente 1,5-2 milioni di italiani e insorge prevalentemente nelle persone di sesso femminile in età adulta con un rapporto uomo-donna di 1:8 e con esordio tra 45 e 55 anni per le donne e 25 e 35 anni per gli uomini, ma interessa anche giovani adolescenti e più raramente bambini;
   circa il 10-15 per cento delle visite specialistiche in ambulatorio reumatologico sono erogate per pazienti con questa sindrome che rappresenta anche il 5 per cento delle visite presso il medico di assistenza primaria;
   la diagnosi fibromialgia è clinica ed esami ematochimici e strumentali (rx, tac, risonanza magnetica, studi elettrofisiologici) non mostrano alterazioni o comunque queste non risultano significative e conclusive per la diagnosi;
   essendo i sintomi della fibromialgia riscontrabili in altre malattie (reumatologiche, internistiche, neurologiche e altri) è spesso necessario, nella fase di studio e di diagnosi, eseguire accertamenti clinici, di laboratorio e strumentali per escludere altre patologie;
   una volta formulata la diagnosi il monitoraggio è eminentemente clinico e non è necessario ripetere accertamenti strumentali se non in caso di comparsa di sintomi o segni che facciano sospettare l'insorgenza o l'esistenza di patologie diverse;
   la terapia farmacologica (farmaci generalmente somministrati per via generale) volta al controllo del dolore, ai disturbi del tono dell'umore, a migliorare la qualità del sonno, spesso, da sola, non risulta soddisfacente e può essere gravata da intolleranze, effetti collaterali, difficoltà di gestione nel tempo;
   il sistema sanitario sostiene, a causa di ciò, costi che potrebbero essere risparmiati attraverso una semplice e valida informazione sull'esistenza della malattia diffondendo un adeguato sapere sulle possibilità di trattamento;
   la fibromialgia è una malattia per la quale già dal lontano 1990 l’American college of rheumatology ha definito i criteri di classificazione, recentemente rivisti con l'elaborazione dei nuovi criteri diagnostici 2013;
   esistono degli strumenti di valutazione validati a livello internazionale quali il «fibromyalgia impact questionnaire – FIQ revised» per il rilevamento e la misurazione della disabilita e dello stato di salute dei malati;
   l'Organizzazione mondiale della sanità – WHO ha classificato nell'ICD10 cap. XIII – M79.7 delle malattie reumatiche – other soft tissues disorders – la sindrome fibromialgica;
   tale nuova classificazione ICD-10 entrerà in vigore negli Stati Uniti a partire dal 1o ottobre 2015;
   nella dichiarazione del Parlamento europeo del 13 gennaio 2009, il Parlamento stesso invita gli Stati membri dell'Unione:
    a) a mettere a punto una strategia comunitaria per la fibromialgia in modo da riconoscere questa sindrome come una malattia;
    b) a contribuire ad aumentare la consapevolezza della malattia e favorire l'accesso degli operatori sanitari e dei pazienti alle informazioni, sostenendo campagne di sensibilizzazione a livello nazionale;
    c) a incoraggiare e migliorare l'accesso alla diagnosi e ai trattamenti;
    d) a promuovere lo sviluppo di programmi per la raccolta di dati sulla fibromialgia;
   negli USA e in Canada la sindrome fibromialgica è riconosciuta come malattia con possibile diagnosi di cronicità e tre farmaci sono approvati dall'FDA (Federal Drug Agency) per la prescrizione medica. In Italia la sindrome fibromialgica è tuttora considerata malattia «Orfana»;
   le province autonome di Bolzano e Trento hanno deliberato rispettivamente il 20 ottobre 2003 delibera n. 3656 e il 12 febbraio 2010 delibera n. 239;
   la regione Lombardia in data 10 giugno 2014 con delibera del consiglio n. X/385 ha approvato una mozione concernente il riconoscimento della fibromialgia o sindrome fibromialgica;
   la regione Toscana in data 29 luglio 2014 e 24 settembre 2014 ha approvato le mozioni, n. 844 e n. 911 aventi per oggetto «percorso di riconoscimento, individuazione e cura, per la sindrome fibromialgica» – con relative note di attuazione della giunta regionale del 9 ottobre 2014 e successiva risposta dell'Assessore al diritto alla salute;
   la regione autonoma Valle d'Aosta, a seguito dell'approvazione da parte del consiglio regionale in data 15 gennaio 2015 della mozione 964/XIV, con delibera della giunta regionale n. 445 del 27 marzo 2015 ha approvato provvedimenti per il riconoscimento della fibromialgia come patologia sottoposta a particolare attenzione e approvazione delle relative direttive all'Azienda U.S.L. della Valle d'Aosta;
   l'azienda U.s.l. di Empoli ha emanato in data 5 ottobre 2014 una procedura operativa per la fibromialgia;
   la regione Veneto, nel piano socio- sanitario regionale 2012-2016, si è posta come obiettivo di considerare la fibromialgia come una malattia ad elevato impatto sociale e sanitario per la quale è necessario un percorso di informazione, educazione e divulgazione nei confronti dei cittadini veneti e degli enti preposti (legge regionale n. 23 del 29 giugno 2012, pagina 98);
   ulteriori mozioni sono in via di calendarizzazione presso i consigli regionali e diversi disegni di legge sono depositati al Senato della Repubblica (A.S. 1323 del 21 febbraio 2014), alla assemblea regionale siciliana (15 giugno 2014), al consiglio regionale del Lazio (n. 239 del 3 marzo 2015), alla assemblea legislativa della regione Marche (n. 479 del 4 marzo 2015) –:
   se il Ministro interrogato, per uniformare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza in tutte le regioni nell'interesse di tutti i pazienti affetti da suddetta patologia, intenda assumere iniziative per includere la sindrome fibromialgica nell'elenco delle malattie croniche di cui al «piano nazionale delle cronicità» previsto all'articolo 5, comma 21, dell'intesa tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano del 10 luglio 2014 concernente il patto per la salute per gli anni 2014-2016;
   se ritenga che sussistano i presupposti affinché una delegazione di membri dell'AISF possa partecipare alle sedute della Conferenza Stato-regioni che tratterà di questo argomento. (4-10880)


   BRIGNONE e CIVATI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Associazione Italiana Celiachia Onlus da anni è impegnata a favore dei diritti dei celiaci. AIC diffonde i principi generali di educazione alimentare che prevedono una dieta varia ed equilibrata, consigliando il corretto consumo per porzioni e frequenza di tutti gli alimenti, che, di per sé, non vanno demonizzati;
   la celiachia colpisce un italiano su 100 e, di conseguenza, si stima che a fronte di circa 180mila pazienti diagnosticati a oggi ce ne siano 400mila sommersi;
   la celiachia è una malattia genetica caratterizzata da un'intolleranza permanente al glutine, proteina presente in molti alimenti e, se non curata causa seri e gravi disturbi quali malnutrizione, anemie, osteoporosi, aborti ricorrenti, fino a tumori intestinali;
   dunque, chi soffre di celiachia è costretto a escludere dalla dieta una varietà vastissima di alimenti come pane, pasta, biscotti e sottovalutare la malattia e la necessità della dieta può esporre il paziente a complicanze anche irreversibili;
   questa patologia è dichiarata malattia sociale in base alla legge del 4 luglio 2005, n. 123, anche perché incidere sulla vita quotidiana dei pazienti poiché li costringe a pensare ogni pasto, che non si è come gli altri.
   il 18 ottobre 2015 la trasmissione Report andata in onda su Rai 3 ha mandato in onda un servizio sulla celiachia con l'obiettivo di far esaltare i costi proibitivi degli alimenti senza glutine e la fornitura gratuita attraverso i «buoni» mensili ai pazienti diagnosticati. Il servizio tuttavia è stato a giudizio degli interroganti approssimativo e nebuloso, addirittura è stata banalizzata la malattia;
   banalizzare la terapia è pericoloso perché per la celiachia non esistono farmaci e solo il cibo può essere, la cura. Una dieta se non seguita con rigore, secondo gli esperti, comporta rischi per la salute dei pazienti e il celiaco che non la segue correttamente al Servizio sanitario nazionale costerebbe molto più che curarlo;
   l'accesso ai prodotti senza glutine sostitutivi di pane, pasta e dolci tramite i buoni del Servizio sanitario nazionale (SSN), entro il tetto massimo di spesa previsto dalla legge di 99 euro mensili per le donne e 140 per gli uomini, è un diritto essenziale dei pazienti perché li protegge dal rischio di mancata aderenza alla dieta senza glutine, che deve essere seguita per tutta la vita per evitare complicanze anche gravi e le spese per il loro trattamento;
   è importante sottolineare che anche il celiaco ha il diritto di poter consumare prodotti che rientrano normalmente nella dieta delle persone non affette da celiachia, come biscotti e merendine. Secondo un recente studio, i prodotti senza glutine hanno profili nutrizionali analoghi ai prodotti con glutine presenti al supermercato e, in alcuni casi, addirittura migliori, con più fibre e meno olio di palma;
   tali prodotti sono fondamentali perché permettono ai pazienti, in particolare bambini e adolescenti di non allontanarsi dalla dieta consentendo di condurre una vita sociale che non li faccia sentire diversi in un momento così importante e quotidiano come quello della nutrizione;
   tuttavia, è corretto rilevare che il Servizio sanitario nazionale non rimborsa in modo indiscriminato prodotti superflui o addirittura dannosi come sembrerebbe emergere dal servizio di Report;
   lo Stato, come previsto dalla legge, copre solo il 35 per cento del fabbisogno calorico complessivo del celiaco, calcolato su prezzi degli alimenti che risalgono al 2001 ed eroga prodotti controllati dal Ministero che non comportano alcun danno alla salute, ma sono strumento di cura equo e sicuro, accessibile anche a chi non potrebbe permetterselo per i costi più elevati dei prodotti senza glutine. La garanzia di un diritto fondamentale al costo di poco più dello 0,1 per cento della spesa sanitaria complessiva;
   non bisogna perdere di vista il problema principale legato alla celiachia: nel nostro Paese solo il 25 per cento dei celiaci è diagnosticato, gli altri non sanno di esserlo e mettono a rischio ogni giorno la loro salute. Servono in media ancora 6 anni per giungere alla diagnosi sprecando denaro pubblico con esami inutili e costosi;
   il recente aggiornamento delle linee guida per la diagnosi da parte del Ministero della salute va proprio verso l'obbiettivo di miglioramento della diagnosi e qualsiasi abuso del diritto alla dieta senza glutine va scoraggiato e andrebbe sanzionato;
   il presidente di Aic, Giuseppe Di Fabio ha recentemente dichiarato «L'AIC da anni è impegnata a stimolare la diversificazione dei canali distributivi anche a supermercati e negozi oltre al circuito tradizionale delle farmacie, in quanto unico strumento a oggi in grado di ridurre in misura significativa i prezzi dei prodotti». Ma l'obiettivo centrale è evitare sprechi, indirizzando e sensibilizzando i pazienti alla scelta dei prodotti anche in base ai prezzi, consapevoli che solo il risparmio della spesa complessiva che ammonta ogni anno a euro 215 milioni di euro, può garantire anche in futuro la sostenibilità dell'assistenza a chi soffre di celiachia, in linea con l'obiettivo di crescita delle diagnosi in Italia;
   è bene ricordare che gli alimenti naturalmente privi di glutine come, ad esempio, il riso o le patate non sono rimborsati perché hanno lo stesso prezzo e la stessa accessibilità per tutti;
   Caterina Pilo, direttore generale di Aic, ha dichiarato che il Ministero della salute, in accordo con le parti sociali, pazienti e produttori, ha già previsto da tempo la revisione del registro, che segue le recenti modifiche alla normativa europea, escludendo i prodotti non essenziali come ad esempio gli alimenti panati. L'impegno dello Stato riguarda solo i prodotti contenuti nel registro nazionale alimenti (RNA) dei quali il Ministero della salute verifica la sicurezza rispetto all'assenza di glutine –:
   se il Ministro ritenga di intervenire a difesa del decreto 8 giugno 2001 concernente «l'assistenza sanitaria integrativa relativa ai prodotti destinati a un'alimentazione particolare»;
   se ritenga opportuno difendere il diritto alla dieta senza glutine, terapia e «salvavita» per la popolazione affetta da celiachia;
   se intenda rassicurare circa una prossima revisione del registro nazionale dei prodotti senza glutine in modo da confermare quanto disposto dall'articolo 4 della legge 4 luglio 2005, n. 123, cioè il diritto all'erogazione gratuita di prodotti dieto-terapeutici senza glutine;
   se ritenga di escludere l'erogazione gratuita del così detto «buono mensile» pari a euro 99 per le donne e 140 euro per gli uomini dai livelli essenziali di assistenza;
   se non ritenga doveroso un confronto con le aziende produttrici di alimenti dietetici specifici per la celiachia al fine di moderare i prezzi di vendita al pubblico e i prodotti pari marca e contenuto che nel nostro Paese risultano essere maggiorati del 50 per cento circa rispetto ad altri Paesi europei; 
   se, per consentire l'erogazione di prodotti aglutinati mediante il buono mensile anche attraverso i canali della grande distribuzione organizzata con costi minori rispetto alle farmacie per pari marca e prodotto, non ritenga importante rovare soluzioni che possano permettere al celiaco la libera scelta di acquisizione dei prodotti necessari alla propria dieta terapeutica. (4-10883)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata:


   ALFREIDER, GEBHARD, PLANGGER, SCHULLIAN, OTTOBRE e MARGUERETTAZ. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, cosiddetto «destinazione Italia», convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, all'articolo 6, comma 10, ha istituito un credito d'imposta fino al 2016 per le piccole e medie imprese o consorzi e reti di piccole e medie imprese, per l'attivazione di servizi di connettività digitale nell'ambito di un apposito programma operativo nazionale relativo alla programmazione dei fondi strutturali comunitari 2014-2020 e collegato alla pianificazione degli interventi nazionali finanziati dal fondo sviluppo e coesione 2014-2020 e dal fondo di rotazione;
   si tratta di un credito d'imposta che prevede il recupero del 65 per cento delle spese documentate e sostenute fino al 2016 da piccole e medie imprese, ovvero da consorzi e da reti di piccole e medie imprese, per gli interventi di rete fissa e mobile che consentano l'attivazione dei servizi di connettività digitale con capacità uguale o superiore a 30 megabit per secondo, fino ad una spesa massima di 20.000 euro, nella misura massima complessiva stanziata dal Governo di 50 milioni di euro, finanziato con il programma operativo nazionale 2014-2020;
   per rendere operativo tale credito d'imposta è necessario, però, un decreto attuativo del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro per la coesione territoriale e con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, volto a stabilire le modalità per usufruire del credito d'imposta e per consentire il monitoraggio dell'agevolazione ed il rispetto del limite massimo di risorse stanziate, che ancora non è stato emanato, poiché bisognava attendere l'approvazione del programma operativo nazionale 2014-2020 dei fondi strutturali comunitari e del fondo di sviluppo e coesione, al fine di consentire alla Ragioneria generale dello Stato di verificare l'effettiva disponibilità delle risorse stesse;
   ad agosto 2015 la Commissione europea ha finalmente dato il via libera al programma presentato dall'Italia ed è ragionevole immaginare che tali risorse siano ora disponibili per dare definitivamente attuazione agli incentivi fiscali previsti per le imprese dal decreto-legge «destinazione Italia»;
   nella fase di perdurante crisi economica è indispensabile sostenere le piccole e medie imprese attraverso misure che ne favoriscano lo sviluppo, in modo da garantire la competitività nel mercato nazionale ed internazionale e le agevolazioni previste nel decreto-legge «destinazione Italia» vanno certamente in questa direzione; sarebbe, pertanto, auspicabile anche la proroga delle stesse visto il ritardo con cui tali incentivi saranno realmente operativi per le imprese –:
   se sia possibile dare ora rapidamente attuazione all'articolo 6, comma 10, del decreto-legge n. 145 del 2013 e se sia possibile prorogare tali incentivi che scadranno nel 2016, ma che ancora non sono partiti, nel prossimo provvedimento utile, al fine di favorire la competitività delle piccole e medie imprese. (3-01797)


   SALTAMARTINI, SIMONETTI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI e RONDINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
    la vicenda che ha portato al fallimento l’Alitalia maintenance systems ha dell'incredibile e denota la totale mancanza nel nostro Paese di una politica industriale concreta e lungimirante;
   l’Alitalia maintenance systems, con i suoi 240 lavoratori altamente specializzati, è l'unica azienda in Italia che revisiona e ripara i motori aeronautici, ad oggi manutentore esclusivo dei motori Alitalia per la flotta A320, con un contratto in vigore fino al 2022;
   la società è partecipata al 15 per cento da Alitalia Cai spa, al 19 per cento da European advanced technology s.a., società israeliana che svolge compiti identici, ed al 66 per cento da Iniziativa prima spa;
   in base agli accordi contrattuali, qualora Alitalia maintenance systems non dovesse essere più in grado di operare, dovrà essere il socio israeliano a farsi carico dell'attività, con la conseguenza che i motori di Alitalia sarebbero revisionati a Tel Aviv e, quindi, un evidente aggravio di costi;
   il 30 settembre 2015 l'azienda è stata dichiarata fallita, con relativa nomina del curatore fallimentare, che ha chiesto l'esercizio provvisorio e la continuità lavorativa, tra il disinteresse di Alitalia e le vane promesse della Panmed, società giordana che aveva manifestato interesse ad entrare nel capitale sociale;
   stando alle dichiarazioni degli stessi dipendenti, Alitalia ha da tempo 14 motori fuori uso, che preferisce tenere in hangar invece che farli revisionare da Alitalia maintenance systems, come da contratto;
   i tempi per trovare una soluzione seria e sostenibile si fanno sempre più stretti, atteso che il fermo produttivo prolungato per molto tempo si ripercuote negativamente sui macchinari e sul know-how e, di conseguenza, sulla nostra competitività;
   inoltre, c’è il forte rischio che si inneschi una spirale negativa che porti Enac a revocare le certificazioni e, quindi, Alitalia a non impegnarsi nella fornitura dei motori;
   la chiusura definitiva di Alitalia maintenance systems, peraltro, comporterebbe non solo la perdita di un'eccellenza industriale nel Paese ed il licenziamento di 240 lavoratori, ma avrebbe ripercussioni anche su molte aziende italiane ad essa collegate e dalla quale prendono commesse, come la Ecor research di Schio, la MetaPlasma di Brescia, la Sift e l’Eurcomas di Roma, la Fantini di Frosinone ed altre –:
   di quali elementi disponga in merito alle reali motivazioni che hanno indotto Alitalia a portare di fatto al fallimento una sua partecipata, oltre che unica azienda italiana di revisione dei motori aerei, e quali urgenti iniziative intenda adottare nell'immediato per salvaguardare un'importante realtà industriale e, di conseguenza, evitare la perdita di 240 posti di lavoro, nonché le ricadute negative sull'indotto. (3-01798)


   GALGANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
    l'azienda leader del comparto produttivo degli elettrodomestici Antonio Merloni spa il 14 ottobre 2008 è stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria ai sensi del decreto-legge n. 347 del 2003 (cosiddetta «legge Marzano») e i commissari straordinari, una volta verificata e formalizzata l'impossibilità di procedere con una gestione in continuità dell'attività produttiva, hanno formalizzato al Ministero dello sviluppo economico, già nell'aprile 2009, la proposta di un programma di cessione dei complessi aziendali;
   il 21 novembre 2011, presso il Ministero dello sviluppo economico, veniva siglato l'accordo sindacale propedeutico alla cessione del ramo di azienda attivo della Antonio Merloni spa al gruppo Porcarelli, titolare del marchio Qs group spa, attraverso J.P. industries spa; l'accordo prevedeva l'acquisizione da parte di J.P. industries spa, entro dicembre 2011 e con efficacia dal 1o gennaio 2012, degli stabilimenti produttivi situati a Fabriano (Santa Maria e Maragone) e a Nocera Umbra (Gaifana), di 700 rapporti di lavoro del personale dipendente, nonché dei marchi Ardo e Seppelfricke;
   il costo della cessione, approvato dal comitato di vigilanza previsto dalla «legge Marzano», è stato pari a circa 10 milioni di euro, più 3 milioni di euro di crediti a cui il gruppo Porcarelli ha rinunciato e che vantava nei confronti della precedente gestione della Ardo;
   il 20 febbraio 2012 un gruppo di banche creditrici della precedente gestione A. Merloni (Mps gestione crediti banca spa, Unicredit management bank, Banca delle Marche, Banca popolare di Ancona, Cassa di risparmio di Fabriano e Cupramontana, Banca Cr di Firenze, Banca dell'Adriatico) ha presentato ricorso per chiedere l'annullamento della suddetta cessione;
   in primo e in secondo grado i giudici hanno dato ragione alle banche e ora il contenzioso arriverà alla Corte di cassazione, che dovrebbe pronunciarsi in merito nell'autunno 2015. Una sentenza che, se dovesse riconfermare le precedenti, rischia di avere delle conseguenze drammatiche sulla tenuta del tessuto economico e sociale di una parte consistente del territorio umbro;
   nel marzo del 2015 presso il Ministero dello sviluppo economico è stato siglato con le regioni Marche ed Umbria l'accordo che ha previsto la proroga di due anni dell'accordo di programma di reindustrializzazione dell'area interessata dell'ex Antonio Merloni spa, che dovrebbe consentire anche una rimodulazione di questo strumento (35 milioni di euro per il rilancio dell'intera fascia appenninica);
   tuttavia, sull'accordo di programma e sull'acquisto degli stabilimenti ex Merloni da parte della J.P. industries spa del gruppo Qs group di Giovanni Porcarelli pesa l'incertezza derivante dal contenzioso giudiziario intrapreso dalle banche creditrici;
   dal 12 ottobre 2015, inoltre, oltre 200 lavoratori dell'azienda sono senza ammortizzatori sociali perché la cassa integrazione è scaduta. I sindacati hanno evidenziato come «passeranno da poco più di 600 euro al mese a non percepire nulla. La realtà è drammatica anche perché si tratta prevalentemente di persone tra i 40 e 50 anni, difficilmente ricollocabili nel mercato del lavoro e lontanissimi dalla pensione» –:
   quali azioni intenda il Governo mettere in campo per evitare che i lavoratori interessati restino senza alcun reddito e quali misure intenda attuare per salvaguardare l'economia di un vastissimo territorio, com’è la fascia appenninica di Umbria e Marche. (3-01799)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
IX Commissione:


   FRANCO BORDO, SCOTTO, RICCIATTI e FERRARA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto emerge dalla stampa nazionale, il 36,3 per cento delle unità immobiliari italiane nel 2018 potrebbe non essere dotato di banda ultralarga alla luce di uno dei risultati principali della consultazione pubblica tra gli operatori sulla «Strategia italiana per la banda ultralarga» resi pubblici da Infratel, la società del Ministero dello sviluppo economico che ha il compito di attuare i piani dell'internet veloce da 30 a 100 megabit al secondo;
   tale numero contrasta visibilmente con gli obiettivi del Piano nazionale che prevede il 100 per cento dei collegamenti a 30 megabit e l'85 per cento a 100 mega entro il 2020. Tali dati, specifica il rapporto, non comprendono però gli «effetti sulla copertura derivanti dagli investimenti pubblici futuri previsti dal piano banda ultra larga e dalla delibera Cipe» per cui nel mese di agosto 2015 risultano essere stati sbloccati 2,2 miliardi di euro;
   il rispetto degli obiettivi stabiliti dall'Unione europea, l'aumento degli utenti e l'esplosione del consumo di video in rete, come Netflix che da sola occupa in certe ore del giorno una fetta importante della banda larga degli Stati Uniti, rende necessaria una crescita delle reti;
   per tali ragioni Infratel ha sondato le intenzioni di trenta operatori per individuare le aree in condizioni di «fallimento di mercato» dove i privati non hanno convenienza a intervenire e hanno quindi bisogno dell'intervento pubblico. L'analisi ha come punto di partenza «il gap ancora oggi presente in ogni Regione, rispetto agli obiettivi UE 2020 di copertura totale della popolazione a 30Mbit/s e di attivazione da parte del 50 per cento dei cittadini di servizi a 100Mbit/s». Il territorio nazionale è stato diviso in circa 95.000 aree con oltre 83.000 considerate a fallimento di mercato, mentre quelle che prevedono l'intervento dei privati sono poco più di 1.100;
   secondo Infratel entro il 2018 i privati copriranno il 21,4 per cento del territorio con le tecnologie che portano la fibra ottica nell'edificio, o in un appartamento o al massimo a 50 metri dallo stabile. Nel 41 per cento dei casi, invece, la fibra arriverà presso un nodo che utilizza il rame o su portante radio. Lo stesso dato relativo ai piani pubblici, attuati o in corso, vale lo 0,65 per cento a livello nazionale (in pratica i lavori sono partiti solo in Campania) per le prime tre tecnologie e il 19,9 per cento per la fibra che utilizza il nodo in rame. In questo modo si arriva a una percentuale non servita che, nel 2018, se tutti gli impegni da parte di pubblico e privato saranno rispettati, sarà del 36,3 per cento a livello nazionale con differenze sostanziali fra una regione e l'altra;
   Puglia e Calabria, per quanto risulta, si avvierebbero a diventare le regioni più digitalizzate d'Italia con l'1 e il 3 per cento di unità immobiliari non raggiunte dalla banda ultralarga. A seguire Sicilia (20 per cento), Basilicata e Campania (24 per cento), Sardegna (34 per cento), Liguria (39 per cento), Toscana (42 per cento), Marche (44 per cento), Emilia-Romagna (46 per cento), Lombardia (47 per cento) e un gruppo formato da Abruzzo, Piemonte, Umbria e Veneto, tutte con oltre il 50 per cento. Chiudono la fila il Friuli Venezia Giulia (62 per cento), Trentino Alto Adige (69 per cento), Molise (73 per cento) e Valle d'Aosta, che a causa dell'abbondante presenza di montagne arriva all'85 per cento;
   si evidenzia, inoltre, che in data 17 luglio 2015 il Governo ha accolto l'ordine del giorno 9/2629-AR/68 a prima firma dell'interrogante ove si rilevava come le Agende digitali regionali esistono ma ancora non si comprende come potranno integrarsi nel grande progetto nazionale. Attuare un'Agenda digitale nazionale, quando ci sono già 21 Agende locali, potrebbe determinare il rischio di una frammentazione che può inficiare l'attuazione stessa dei progetti a causa di annose questioni quali la mancanza di standard e di interoperabilità e la duplicazione delle iniziative, per non parlare del pericolo di ritrovarsi un'Italia digitale eternamente a macchia di leopardo –:
   se, alla luce dei recenti investimenti sbloccati dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) pari a 2,2 miliardi di euro, il Governo sia in grado di assicurare che vengano rispettati gli obiettivi del Piano nazionale presentato nel marzo 2015 che prevede il 100 per cento dei collegamenti a 30 megabit e l'85 per cento a 100 megabit entro il 2020 e quali iniziative siano state fino ad oggi adottate e quali si intendano adottare per l'attivazione della strategia complessiva relativa all'Agenda digitale italiana valorizzando, da un lato, il ruolo che le regioni possono avere in termini di competenze e di conoscenza delle specifiche realtà territoriali ma anche, dall'altro, evitando inutili «doppioni» e ridondanze che rischierebbero di rallentare i progetti e di non assicurare un efficace impiego delle risorse disponibili, in modo da dare seguito all'ordine del giorno citato in premessa. (5-06782)


   BRUNO e LABRIOLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nonostante il trend storico di contrazione della corrispondenza tradizionale (quella affrancata con francobolli), il numero delle emissioni filateliche, in Italia come in molti altri Paesi occidentali, rimane elevato;
   il programma di emissioni annuale delle carte-valori postali per il 2015, definito dal Ministero dello sviluppo economico, di concerto con la Consulta filatelica, comprende più di 70 nuovi francobolli, ma il numero definitivo sembra destinato a crescere. Si segnala a questo proposito come la cifra relativa alle emissioni per il 2015 sembrerebbe ben al di sopra delle 40 all'anno e che il Ministero dello sviluppo economico prevede di autorizzare, che fanno parte del programma filatelico;
   quanto sopra conferma, altresì, come, nel quadro più ampio della politica filatelica nazionale, particolare attenzione sia riservata alla valorizzazione del ruolo del francobollo non solo nell'accezione più comune connessa alla funzione di pagamento anticipato di servizi di corrispondenza, ma soprattutto come strumento, di identità civile e promozione culturale ed anche come veicolo dello stile italiano e del made in Italy nel mondo;
   nell'epoca di internet e della comunicazione elettronica, inoltre, il francobollo mantiene intatta la propria validità di testimone della cultura e delle tradizioni di un Paese e per questo è necessario promuoverne l'utilizzo e la conoscenza, in particolare presso le giovani generazioni;
   in questa ottica è del tutto evidente come l'emissione di un francobollo assume una caratura particolare laddove essa va ad intrecciarsi con forti motivazioni sia di carattere storico e culturale, ma anche di sviluppo economico e produttivo attinenti l'oggetto del francobollo stesso;
   è questo il caso della richiesta di emissione di un francobollo celebrativo dei Riti pasquali della Settimana Santa: «Le Perdune — I Misteri di Taranto», promossa dal Circolo filatelico e numismatico «La Persefone Gaia» di Taranto e dall'Arciconfraternita del Carmine di Taranto;
   nel vasto panorama delle ritualità religiose legate alle celebrazioni pasquali nel Sud Italia, i Riti della Settimana Santa tarantina si distinguono per molteplici ragioni di carattere culturale. Ricchissima, infatti, è la bibliografia legata ai Riti tarantini e le ritualità tarantine sono state oggetto di numerose tesi di laurea di primo e secondo livello, in diverse università italiane ed europee, nei corsi di lettere, filosofia, antropologia, economia aziendale, sociologia, scienze religiose, e altro. Il mecenatismo delle stesse confraternite coinvolte e di altre realtà della società civile, ha promosso negli anni, in occasione della preparazione dei Riti, numerosissimi concerti di complessi sinfonici, bandistici e formazioni coreutiche, locali, regionali, nazionali e internazionali, militari e civili, nonché numerosissime mostre di arte figurativa, mostre e concorsi fotografici e cinematografici, concorsi letterari e di arte figurativa nelle scuole di, tutti i livelli. I Riti di Taranto sono comparsi numerose volte in documentari realizzati dal servizio pubblico o da produttori di televisioni commerciali, ininterrottamente, ormai a partire dal documentario realizzato dall'Istituto Luce nel 1949. Si ricordi, fra gli altri, il reportage realizzato nel 1990 dall'emittente inglese BBC. Le Confraternite tarantine con i riti pasquali sono state sempre presenti alle varie Borse del turismo di Milano, Bologna, Foggia. I Riti di Taranto sono comparsi in molte produzioni televisive (sceneggiati e fiction) per la RAI e per le reti Mediaset, e in numerose produzioni cinematografiche, in ultimo il lungometraggio «Il miracolo» del regista Edoardo Winspeare (2004, CliCiak: Primo Premio Sezione Colore; 2003, Premio «Città di Roma» Migliore Film alla Biennale di Venezia; 2003, Premio FEDIC alla Biennale di Venezia);
   nel corso del tempo, tuttavia, è apparsa ancor più evidente l'occasione di sviluppo economico e sociale che i riti pasquali della Settimana Santa possono rappresentare, non solo per la città di Taranto, ma per tutto il suo territorio. Un territorio, non si dimentichi, che vede la propria originaria vocazione allo sviluppo turistico — in ragione delle bellezze paesaggistiche e delle ricchezze e unicità enogastronomiche — pesantemente mortificata da una massiccia presenza industriale che, per converso, non ha saputo creare, almeno a parziale contrappeso, un'accettabile stabilità economica garantita da buoni livelli occupazionali;
   in un contesto nel quale si sta facendo ogni sforzo per cancellare un immagine di Taranto e del suo territorio legata sempre ad eventi negativi (inquinamento ambientale, crisi dell'Ilva, crisi occupazionale) e, ribaltando la tendenza alla rassegnazione ed alla critica, si punta a restituire al capoluogo jonico — culla della «Magna Grecia» — il posto che merita, i riti pasquali della Settimana Santa rappresentano una reale occasione di rinascita;
   l'emissione del francobollo celebrativo dei Riti pasquali tarantini sarebbe un volano importante per l'attivazione di un circuito virtuoso di sicuro impatto dal punto di vista economico, produttivo e sociale sull'intero territorio;
   tale richiesta può essere inserita a pieno titolo, secondo l'interrogante, in quel «progetto Taranto» al quale ha fatto riferimento il Presidente del Consiglio Renzi in occasione dell'approvazione definitiva del decreto-legge n. 1 del 2015 convertito, con modificazioni, dalla legge 4 marzo 2015, n. 20, relativo al risanamento e alla riqualificazione del capoluogo jonico e dell'area circostante, in un quadro di sviluppo più ampio comprendente la cultura, il porto, l'ambientalizzazione dell'area e non più (solo) Ilva;
   una prima richiesta relativa all'emissione del francobollo celebrativo dei riti pasquali tarantini è già stata inoltrata dai soggetti promotori nel 2014, non ricevendo tuttavia, a quanto consta agli interroganti, alcun riscontro dal Ministero dello sviluppo economico;
   la richiesta è stata rinnovata di recente, in modo da pervenire entro il 31 ottobre 2015, al fine di poter costituire — secondo quanto disposto dal Ministero dello sviluppo economico — la base per una limitata integrazione al programma filatelico per il prossimo anno, già definito con le proposte raccolte ed esaminate dal Ministero tra quelle che già pervenute entro il 31 maggio 2015 –:
   quali iniziative intenda intraprendere al fine di contribuire alla promozione del messaggio culturale e di sviluppo economico e produttivo del quale il francobollo è un potente veicolo, con particolare riferimento alla vicenda dell'emissione del francobollo celebrativo dei riti pasquali tarantini sopra descritta. (5-06783)


   BIASOTTI e LATRONICO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni Poste italiane ha dato vita ad un processo di razionalizzazione degli uffici tramite la riduzione degli orari di apertura, l'accorpamento o la loro definitiva chiusura, provocando disfunzioni nell'offerta del servizio e arrecando danni ai cittadini;
   il piano industriale di Poste italiane prevede la chiusura di 450 uffici postali e la riduzione del servizio a giorni alterni per 609 uffici postali, con pesanti ripercussioni sulle comunità interessate che non disporranno più di quei servizi essenziali da sempre offerti dagli uffici postali;
   non c’è stata chiusura di ufficio postale ordinata dai vertici della società pubblica, che non sia finita davanti ai tribunali amministrativi ed al Consiglio di Stato per la lamentata eliminazione di un servizio pubblico essenziale che arrecherebbe pregiudizio irreparabile alle comunità locali;
   i tribunali hanno sottolineato, da un lato, come Poste sia tenuta, in virtù di diverse disposizioni normative, ad assicurare che i cittadini possano accedere al servizio postale entro una distanza massima dalla loro residenza, cosicché se in seguito alla (0 chiusura l'ufficio più vicino disti più di 2-3 chilometri, il diritto ad usufruire del servizio postale sarebbe sostanzialmente negato e, dall'altro, che il concessionario del servizio universale non possa procedere all'eliminazione degli uffici territoriali, facendo esclusivamente riferimento al mancato raggiungimento dell'equilibrio finanziario perché verrebbe meno la «coesione sociale», che invece deve essere assicurata su tutto il territorio nazionale;
   la VI sezione del Consiglio di Stato l'11 marzo 2015, con la sentenza n. 1262/15, ha accolto l'appello di un piccolo comune della Campania e ribadito la pubblica utilità degli uffici postali e la loro «influenza sociale», in modo particolare per quei piccoli centri situati in zone rurali e montane;
   la quotazione parziale di Poste Italiane si è conclusa il 22 ottobre 2015, con una domanda che ha superato quattro volte l'offerta. Il Tesoro, azionista unico della società di spedizioni e servizi bancari e assicurativi, ha messo sul mercato il 38,2 per cento delle quote dopo un'operazione portata a conclusione dall'amministratore delegato Francesco Caio, nominato nel 2014 dal governo Renzi –:
   come il Ministro interrogato ritenga possibile, per quanto di competenza, adoperarsi per garantire che Poste continui a svolgere un servizio universale in maniera capillare sul territorio nazionale, evitando una ristrutturazione che prevede la chiusura degli uffici più piccoli e non redditizi e valorizzando nel contempo la funzione di servizio pubblico che l'azienda svolge, attirando proprio tutti quei capitali che altrimenti rimarrebbero dispersi e inutilizzati. (5-06784)


   LIUZZI, DELL'ORCO, NICOLA BIANCHI, CARINELLI, DE LORENZIS, PAOLO NICOLÒ ROMANO e SPESSOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri n. 52 del 3 marzo 2015 ha approvato la cosiddetta «Strategia italiana per la banda ultralarga» con l'obiettivo dichiarato «[...] di rimediare a questo gap infrastrutturale e di mercato, creando le condizioni più favorevoli allo sviluppo integrato delle infrastrutture di telecomunicazione fisse e mobili, con azioni quali: 1) agevolazioni tese ad abbassare le barriere di costo di implementazione, semplificando e riducendo gli oneri amministrativi; 2) – coordinamento nella gestione del sottosuolo attraverso l'istituzione di un Catasto del sotto e sopra suolo che garantisca il monitoraggio degli interventi e il miglior utilizzo delle infrastrutture esistenti; 3) adeguamento agli altri Paesi europei dei limiti in materia di elettromagnetismo; 4) incentivi fiscali e credito a tassi agevolati nelle aree più redditizie per promuovere il “salto di qualità”; 5) incentivi pubblici per investire nelle aree marginali; 6) realizzazione diretta di infrastrutture pubbliche nelle aree a fallimento di mercato»;
   tale strategia propone lo stanziamento di fondi pubblici per circa 7 miliardi di euro cui si aggiungerebbero, secondo quanto affermato dal Governo, i fondi collegati del cosiddetto «Piano Juncker». Al momento risultano disponibili 4,3 miliardi di euro, di cui 2,1 provenienti da fondi strutturali europei già stanziati e 2,2 di fondi nazionali messi a disposizione con delibera Cipe del 6 agosto 2015. Mancano dunque all'appello 2,7 miliardi di euro, per arrivare ai 7 miliardi di fondi pubblici considerati necessari. Tali ulteriori somme dovrebbero derivare dal Fondo Sviluppo e Coesione ma da quanto si apprende da recenti resoconti giornalistici non vi è alcuna certezza circa la disponibilità dei fondi annunciati dal Governo;
   secondo quanto previsto nella delibera Cipe sopra richiamata la parte più consistente dei finanziamenti arriveranno a partire dal 2017 e si pensa di destinare risorse fino al 2022, oltre quindi il termine del 2020 originariamente previsto per lo sviluppo della strategia sia a livello europeo che nazionale;
   la richiamata delibera prevede, infatti, di ripartire le prime risorse messe a disposizione secondo le scadenze che seguono: 40 milioni di euro nel 2016, 350 milioni di euro nel 2017 e 2018, 400 milioni di euro nel 2019, 450 milioni di euro nel 2020 e 2021 e 160 milioni di euro nel 2022;
   allo stato attuale, bandi per lo sviluppo della banda larga e ultralarga destinati alle regioni meridionali e finanziati con i fondi derivanti dalla programmazione comunitaria 2007-2013 sono stati tutti aggiudicati a Telecom Italia S.p.A. Tale circostanza appare del tutto singolare e come tale idonea a rafforzare la posizione anche finanziaria di Telecom Italia e mette in luce le lacune, sotto un profilo concorrenziale, registrate nella formulazione dei suddetti bandi di gara;
   il 14 settembre 2015 il sottosegretario Antonello Giacomelli ha annunciato che entro la fine dell'anno in corso verranno pubblicati i primi bandi afferenti alle risorse finanziate con la suddetta delibera Cipe;
   in proposito il vice segretario della Presidenza del Consiglio Raffaele Tiscar, che ha coordinato i lavori della strategia ha annunciato che talune misure attuative della strategia saranno presenti nel disegno di legge di stabilità ma dai testi della stessa presentati nelle ultime settimane non emerge alcuna misura in tal senso;
   nel quadro descritto, il 19 ottobre 2015 sono stati pubblicati i risultati della consultazione pubblica indetta da Infratel per verificare i piani di investimento degli operatori in banda ultralarga in particolare nelle zone cosiddette a fallimento di mercato;
   le risultanze della consultazione confermano come, senza un deciso intervento pubblico l'Italia non avvicinerà nemmeno lontanamente gli obiettivi di copertura per la banda ultralarga previsti a livello europeo;
   dai dati raccolti emerge, infatti, che i piani degli operatori prevedono al 2018 la copertura con la banda ultralarga solo per il 29 per cento delle unità immobiliari;
   sul versante degli investimenti pubblici nelle infrastrutture da resoconti giornalistici si apprende che il Fondo strategico italiano (Cdp) e il fondo infrastrutturale F2i hanno intenzione di cambiare completamente strategia sulla rete in fibra di Metroweb essendo disponibili, una volta effettuati gli investimenti necessari, a trasferire la proprietà della suddetta rete nelle mani di Telecom Italia;
   stato attuale, dunque, anche in conseguenza dell'assenza di una strategia pubblica coordinata nonché di una società della rete pubblica che si occupi di realizzare l'infrastruttura, l'Italia si attesta al 25o posto su 28 Paesi europei per livello di penetrazione del digitale, secondo gli ultimi dati diffusi dalla Commissione europea nel cosiddetto Digital Scoreboard. La classifica europea considera diversi fattori rilevanti tra i quali i dati di estensione della banda larga e ultralarga rispetto alla quale il nostro Paese è agli ultimi posti in Europa;
   secondo taluni accreditati analisti, tra i quali la società britannica Analysis Mason in uno studio intitolato «International benchmarking report», commissionato da BT, l'Italia non riuscirà a raggiungere gli obiettivi prefissati nella strategia del Governo secondo i termini prestabiliti che, come ricordato sopra, hanno già registrato uno slittamento dal 2020 al 2022 –:
   alla luce di quanto sopra quali iniziative urgenti intenda adottare il Ministro interrogato per ridare centralità all'intervento pubblico in materia e per evitare che nella predisposizione dei prossimi bandi per la realizzazione della richiamata strategia si verifichino le distorsioni concorrenziali registrate nel passato nell'allocazione delle risorse disponibili. (5-06785)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PES. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 18 e 19 novembre 2013 la Sardegna è stata devastata da un'alluvione causata dal ciclone «Cleopatra» che ha causato la perdita di 16 vite umane, danni genti alle abitazioni e alle strutture pubbliche, alle aziende agricole, all'allevamento. Si tratta di un evento che ha colpito ben 82 comuni dell'isola;
   i danni sono stati quantificati dal commissario delegato per l'emergenza in Sardegna in circa 650 milioni di euro;
   le risorse destinate alla ripresa delle attività economiche danneggiate finora sono state molto esigue, tanto che la stessa giunta regionale della Sardegna ha stanziato un milione di euro per le aziende dei privati;
   con decreto-legge n. 78 del 19 giugno 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2015, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 6 agosto, il Governo istituiva una «zona franca», con agevolazioni alle imprese, nel territorio dei comuni sardi colpiti dal ciclone Cleopatra;
   il medesimo decreto legge autorizza la spesa di 5 milioni di euro per il 2016 per l'attuazione delle «zone franche» nei territori interessati dagli eventi calamitosi;
   la definizione della perimetrazione della zona franca all'interno del cui territorio vengono concesse le agevolazioni fiscali deve essere stabilita attraverso un decreto del Ministero dello sviluppo economico di concerto col Ministero dell'economia e delle finanze, una volta acquisito il parere della Regione Sardegna e del CIPE;
   il suddetto decreto del Ministero dello Sviluppo economico di concerto col Ministero dell'economia e delle finanze attraverso cui devono essere definiti i confini delle «zone franche» deve essere emanato entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione, ovvero entro il 5 novembre 2015;
   il presidente della regione Sardegna, Francesco Pigliaru, ha dichiarato la propria disponibilità a procedere a un immediato confronto affinché il regime fiscale di vantaggio possa essere attuato quanto prima;
   la previsione delle zone di fiscalità di vantaggio come prevista dal decreto 78 del 19 luglio 2015 convertito dalla legge n. 125 del 6 agosto 2015 consentirebbe ai comuni e alle imprese di usufruire di un importante strumento utile a contribuire alla ripresa economico produttiva dei territori così fortemente danneggiati dall'alluvione del 2013 –:
   quali iniziative intendano intraprendere i Ministri interrogati al fine di dare attuazione a quanto previsto dal decreto-legge n. 78 del 19 giugno 2015, in particolare in merito alla perimetrazione delle «zone franche» ricadenti nei territori dei comuni colpiti dall'alluvione del 2013.
(5-06781)

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   EXPO 2015, è una grande vetrina internazionale per promuovere Milano, la Lombardia e il sistema economico del Paese;
   il cuore dell'economia italiana è sicuramente costituito dal settore manifatturiero, che è la principale fonte di gettito, sia per il fisco che per il sistema previdenziale, facendo del nostro Paese la seconda potenza manifatturiera del continente;
   il manifatturiero è parte della storia del nostro Paese; è necessario, quindi, non disperdere questa eccellenza, che rappresenta l'Italia in tutto il mondo e passa nelle mani di oltre 450.000 mila artigiani e di piccoli imprenditori che, producendo in Italia, danno lavoro a 1.800.000 addetti, realizzando un valore aggiunto di 58 miliardi;
   il nostro sistema produttivo si identifica con il «Made in Italy»;
   negli ultimi quindici anni il «Made in Italy» è costantemente sotto attacco: per via di una politica del credito restrittiva imposta dall'Europa a trazione tedesca, per via della globalizzazione selvaggia che permette ogni genere di scorrettezza ai Paesi cosiddetti «Low Cost», di un dumping sociale, ambientale ed economico;
   in questi anni si è finalmente creata la consapevolezza della necessità di sviluppare, difendere, diffondere e consolidare il marchio «Made in Italy»;
   l'EXPO2015 era ed è l'occasione primaria per accrescere la visibilità e il prestigio del «Made in Italy» nel mondo;
   incredibilmente, al Padiglione Italia di EXPO2015, nel negozio «Orgoglio Italia», oltre ad alcune note marche di «Made in Italy» erano in vendita numerosi, anzi principalmente, souvenirs e gadgets «MADE IN CHINA» (o made in prc) made in the People's Republic of China, con particolare riferimento agli oggetti in ceramica;
   il settore della ceramica conta ancora 2500 aziende, nonostante che, proprio a causa della concorrenza sleale del cosiddetto «Far East», che determina fenomeni di contraffazione, look a like, dumping, si sia letteralmente dimezzato negli ultimi due anni, con conseguente aumento di disoccupati, disperazione di tante famiglie, perdita di gettito fiscale da parte dello Stato;
   la manifestazione EXPO2015 dovrebbe, in primo luogo, rappresentare un canale privilegiato di riferimento per i prodotti «Made in Italy», dando la possibilità alle imprese manifatturiere italiane di emergere per la qualità, la storia e la cultura che rappresentano –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali siano le ragioni per cui possano accadere simili fatti;
   se e quali iniziative di competenza intenda adottare per contrastare il verificarsi di comportamenti come quelli descritti in premessa che rischiano di offuscare la qualità dei prodotti manifatturieri italiani, impedendo che gli stessi possano ripetersi in circostanze simili, anche in scala più ridotta;
   quali iniziative di competenza intenda adottare, visto quello che appare all'interrogante un danno di immagine, procurato alla manifestazione ed al sistema economico del Paese che ha comportato, inoltre secondo l'interrogante, un uso distorto di fondi pubblici, che in realtà dovrebbero essere finalizzati a promuovere il «Made in Italy»;
   se non ritenga necessaria l'assunzione di iniziative normative volta a privilegiare l'utilizzo, in occasione di avvenimenti pubblici sia propagandistici, che promozionali e comunque di elevato significato economico e culturale, finanziati in qualunque modo diretto od indiretto dallo Stato o da enti o aziende da esso partecipate, di materiale «Made in Italy» quando questo sia reperibile, al fine di sostenere le imprese manifatturiere che operano nel settore e il relativo indotto. (4-10885)

Apposizione di una firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Ravetto e altri n. 1-00989, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Totaro e contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Ravetto, Totaro, Brunetta, Palese».

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Alli e altri n. 1-00956, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Causin, Miotto.

  La mozione Alli e altri n. 1-00956, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Causin.

  La mozione Zaccagnini e altri n. 1-01019, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Kronbichler.

  La mozione Dorina Bianchi e Bosco n. 1-01022, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Binetti.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Brignone n. 5-06710, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Andrea Maestri.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Tino Iannuzzi n. 5-06713, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Valiante.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Palazzotto n. 1-01030, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 507 del 21 ottobre 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    l'Africa è il secondo continente più popoloso della Terra, dopo l'Asia con circa 1,1 miliardi di persone (dati del 2013). La popolazione africana sta crescendo più velocemente di quella asiatica e si pensa che entro il 2050, salvo catastrofi prevedibili o imprevedibili, l'Africa avrà circa 2,4 miliardi di abitanti;
    il continente africano è composto da 54 Stati e non tutti i suoi Paesi sono tutti poveri. Soprattutto è la questione della distribuzione della ricchezza che crea problemi ma anche i prodotti interni lordi nazionali e, quindi, la ricchezza complessiva, sono aumentati notevolmente, ma il numero degli africani che vivono in condizioni di estrema povertà è aumentato, a causa, appunto, del rapido aumento demografico;
   analizzando le stime di crescita della popolazione mondiale emerge che nello stesso periodo l'Europa passerà dai 740 milioni a 726 milioni di abitanti;
    secondo i dati dell'Istituto nazionale di statistica nel nostro Paese la popolazione residente è arrivata sostanzialmente alla crescita zero e questo avviene nonostante il saldo migratorio sia positivo dal 1991;
    l'effetto di questo deficit demografico avrà effetti pesanti sulla crescita economica italiana nei prossimi anni, tenuto in considerazione il progressivo invecchiamento della popolazione e il problema della concentrazione della ricchezza tra la stessa che può essere riassunta con una banale formula: i ricchi sono sempre di meno e più ricchi, i poveri sono sempre di più e più poveri;
   con gli attuali tassi di crescita, al netto dell'attuale saldo migratorio, secondo stime dell'Istat, la popolazione italiana avrebbe 12 milioni in meno di residenti nel 2050;
   l'evoluzione demografica ed i fabbisogni ad essa correlati (energetico, alimentare, materie prime, istruzione ed altro) stanno profondamente mutando lo scenario globale per come lo si conosceva. Da cinquanta anni a questa parte, i flussi migratori vivono una crescita senza precedenti: il numero di migranti nel mondo è passato da 75 milioni nel 1965, a più di 200 milioni a oggi;
    ciò significa che quello che i governi e l'Unione europea considerano come una «emergenza temporanea» (cosiddetta «crisi dei migranti») è in realtà la più imponente domanda di mobilità che il mondo si sia trovato ad affrontare, per l'appunto, dovuta alle profonde mutazioni di cui sopra;
    secondo gli ultimi dati prodotti dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, da gennaio a settembre 2015 sono arrivati via mare 132 mila persone e l'89 per cento di questa, sempre secondo la stessa fonte, sono partite dalle coste libiche (l'8 per cento dall'Egitto, il 2 per cento dalla Turchia e l'1 per cento dalla Grecia);
    di queste 132 mila persone: 35.984 provengono dall'Eritrea; 17.886 dalla Nigeria; 10.050 dalla Somalia; 8.370 dal Sudan; 7.072 dalla Siria; 6.315 dal Gambia; 5.037 dal Bangladesh; 4.749 dal Mali; 4.680 dal Senegal e 32.514 da altri 56 Paesi;
    nei primi 9 mesi del 2015 quasi 3 mila persone hanno perso la vita o sono disperse nel Mar Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l'Europa. Tra coloro che sono riusciti a raggiungere le coste italiane, 38.700 persone hanno presentato domanda di asilo. Applicando gli standard attuali europei, si può stimare che circa il 59 per cento delle 132 mila persone arrivate beneficierebbe del riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria o della protezione umanitaria;
    questi dati sono similari ai dati di arrivo nel 2014 anche per via del massiccio arrivo di persone attraverso la rotta balcanica; tuttavia guardando ai dati sulle richieste di asilo non tutte le persone che arrivano via mare in Italia presentano richiesta di protezione e precisamente eritrei, somali, sudanesi e siriani preferiscono richiedere asilo in altri Paesi europei. I principali Paesi di origine dei richiedenti asilo in Italia nel 2015 sono: Nigeria (18 per cento), Gambia (12 per cento), Senegal (9 per cento), Pakistan (9 per cento), Mali (8 per cento) e Ucraina (7 per cento);
    la cosiddetta «crisi dei migranti» è stata fino ad ora affrontata esclusivamente in termini di chiusura adottando misure che hanno alimentato la «clandestinità» delle persone, o in termini securitari rinforzando le frontiere, aumentando i controlli e erigendo muri o focalizzando l'attenzione sul «traffico di migranti», organizzando una missione militare nel Mar Mediterraneo (Eunavfor Med), quindi dialogando e stringendo accordi con le dittature di Africa e Medio Oriente nella speranza di porre un argine al flusso migratorio;
    con il Processo di Khartoum, accordo siglato il 28 novembre 2014 a Roma, si è tenuta una conferenza ministeriale tra i rappresentanti degli Stati membri dell'Unione europea, dei Paesi del Corno d'Africa (Eritrea, Somalia, Etiopia e Gibuti) e di alcuni Paesi di transito (Sud Sudan, Sudan, Tunisia, Kenya ed Egitto) con l'obiettivo di promuovere: «lo sviluppo sostenibile nei Paesi d'origine e di transito, creare strategie comuni di lotta alle reti criminali, regolare i flussi migratori e là dove è possibile prevenirli»;
    nel Processo di Khartoum è previsto che l'Eritrea riceva 300 milioni di euro dalla Commissione europea, più «spiccioli» direttamente dal nostro Governo, per progetti di sviluppo per ora non meglio identificati. Già nel 2007 la Commissione aveva stanziato 122 milioni di euro di aiuti, con l'obiettivo di stabilizzare la regione, che un'Eritrea isolata (auto-isolatesi per la verità) contribuiva gradualmente a destabilizzare (allora si parlava di supporto agli Al Shabaab somali e di mestamenti nel processo di pace nel Darfur);
    la Commissione europea dovrebbe rendere pubblico il modo in cui quegli stanziamenti sono stati utilizzati. Certo non hanno contribuito a stabilizzare la regione, che è invece, diventata ancora più instabile, e nemmeno a mettere in atto processi di sviluppo, democratizzazione e di inclusione sociale, i soli che potrebbero fermare i flussi migratori;
    è opinione comune nell’establishment europeo che l'immigrazione non possa più essere trattata pensando solo alle frontiere europee ma che ci sia bisogno di una collaborazione con i Paesi di transito e di origine attraverso accordi che portino a scambi d'informazioni, a sviluppo di capacity building, assistenza tecnica e buone pratiche;
    non è chiaro infatti cosa s'intenda per sviluppare le capacity building di questi Paesi. Le competenze che si intende trasferire possono riguardare sia politiche di repressione che di sviluppo. Si può ipotizzare che portino alla creazione di blocchi di filo spinato in determinati punti chiave del territorio, alla creazione di nuovi muri e centri di detenzione, come all'addestramento della polizia di frontiera al contrasto della migrazione. Altro discorso sarebbe invece se venissero incrementate e rafforzate le politiche sociali;
    dando fondi ai regimi si rischia di ripetere l'errore fatto con la Libia di Muammar Gheddafi dove grazie agli accordi del Governo Berlusconi con Gheddafi, il risultato fu quello di favorire la tratta, permettendone una migliore organizzazione grazie alle risorse estorte ai migranti stessi per uscire vivi dai diversi centri di detenzione, spacciati per campi di accoglienza dove venivano «scaricati» dal regime dello stesso Gheddafi;
    si parla qui di migranti che scappano da Somalia, Eritrea, Darfur/Sudan, Etiopia e dunque da situazioni di conflitto decennali, da violazioni di diritti umani documentati in innumerevoli rapporti di organizzazioni della società civile – Amnesty International e Human Rights Watch, per citare le due più conosciute – e delle organizzazioni internazionali, quali il Consiglio per i diritti umani dell'Onu, che ha sede a Ginevra;
    è forte la preoccupazione, come del resto avvenuto in passato, che i fondi della cooperazione derivanti dai trattati, anziché destinati alla creazione di posti di lavoro e per favorire prospettive di sviluppo e crescita, finiscano per favorire l'esternalizzazione delle frontiere nel deserto, sempre più a sud con la costruzione di campi di raccolta dei migranti, di fatto centri di detenzione dove sono violati i più elementari diritti dell'uomo: purtroppo questo è quanto si vuole fare, ad esempio, in Niger con l'apertura di un centro di raccolta e detenzione;
    altrettanto preoccupanti appaiono le relazioni economiche tra i regimi del Corno d'Africa (Eritrea su tutte) e l'Europa, Italia compresa;
    tra le altre misure intraprese e che riguardano principalmente i Paesi africani con cui si è avviato il dialogo, preoccupa il progetto europeo per un piano di rimpatri di persone che non riuscirebbero ad ottenere lo status di rifugiato, ossia i cosiddetti «rifugiati economici» e la proposta collaterale di istituire una lista vincolante di «Paesi terzi sicuri», cioè sicuri in origine e transito, in cui dunque i richiedenti asilo possono essere rinviati ignorando i gravi ostacoli all'accesso alla procedura d'asilo che troveranno in quel Paese;
    non è possibile accettare distinzione tra migranti economici e rifugiati. Ogni migrante andrebbe valutato per la sua storia, come prevede la Convenzione di Ginevra e la Costituzione;
    preoccupano a questo riguardo anche le affermazioni del Ministro dell'interno Alfano a margine della riunione dei Ministri degli interni in Lussemburgo dell'8 ottobre 2015: «Bisogna essere molto chiari su un punto con i Paesi africani: se non ci aiutate non vi diamo i soldi della cooperazione internazionale». Di quali Paesi si sta parlando: forse dell'Eritrea, del Sudan, della Somalia, del Niger. Gli stessi saranno considerati Paesi «sicuri», quindi ecco l'epilogo del Processo di Khartoum;
    quanto agli accordi commerciali o di cooperazione con Paesi terzi dal nord Africa ai confini con l'Asia e alla creazione di liste di profughi di «serie A» e «serie B», l'Europa dovrebbe stipulare accordi umanitari per la creazione di percorsi garantiti verso il continente stesso, e non barattare risorse economiche comunitarie in cambio di un servizio poliziesco di controllo delle frontiere e quindi mettere al centro l'uomo, la sua dignità e il suo rispetto,

impegna il Governo:

   ad intervenire nelle aree di crisi per trovare soluzioni di pace, senza alimentare ulteriori guerre, o sostenere nuovi e vecchi dittatori, promuovendo concretamente i processi di composizione dei conflitti e le transizioni democratiche, la difesa civile e non armata, le azioni non violente, i corpi civili di pace, il dialogo tra le diverse comunità;
   a sospendere immediatamente gli accordi – come i processi di Rabat e di Khartoum – con Governi che non rispettano i diritti umani e le libertà, bloccando subito le forniture di armamenti;
   a programmare interventi di cooperazione allo sviluppo locale sostenibile nelle zone più povere, dove lo spopolamento e la migrazione sono endemici, e ad assumere iniziative per non consentire alle multinazionali di usare per interessi privati i programmi europei di aiuto allo sviluppo;
   a sostenere un grande piano di investimenti pubblici diretti dell'Unione europea per l'economia di pace, per il lavoro dignitoso e per la riconversione ecologica del continente africano;
   a prevedere nel prossimo disegno di legge di stabilità almeno un raddoppio degli stanziamenti dei fondi destinati alla cooperazione allo sviluppo nel segno di quanto stabilito dalle Nazioni Unite negli obiettivi di contrasto alla povertà, tenuto conto che l'Italia si colloca oggi all'ultimo posto tra i grandi Paesi dell'Unione europea nella quota di prodotto interno lordo destinata all'aiuto pubblico allo sviluppo;
   a scegliere come area di intervento prioritaria a cui destinare la quota più rilevante dei fondi di aiuto pubblico allo sviluppo i Paesi dell'Africa da cui proviene la quota più rilevante di richiedenti asilo e immigrati, con particolare riferimento all'Africa orientale, ai Paesi del Maghreb e del Sahel, vincolando gli aiuti al rispetto dei diritti umani o comunque non elargendo alcun finanziamento diretto ai Governi responsabili di violazioni dei diritti umani o che non rispettano gli standard democratici riconosciuti a livello internazionale;
   a sostenere, in ogni sede europea e nei consessi internazionali, la rinegoziazione dei debiti pubblici e l'annullamento dei debiti pubblici non esigibili o prodotti da accordi e gestioni clientelari o di corruzione.
(1-01030)
«Palazzotto, Scotto, Marcon, Melilla, Kronbichler, Fratoianni, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Paglia, Piras, Placido, Pellegrino, Zaratti, Pannarale, Nicchi, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaccagnini».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Cominelli n. 4-06067 del 18 settembre 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Labriola n. 5-05898 del 25 giugno 2015;
   interrogazione a risposta orale Galgano n. 3-01710 del 21 settembre 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Alfreider n. 5-06547 del 1o ottobre 2015;
   interpellanza urgente Zoggia n. 2-01136 del 22 ottobre 2015.

Ritiro di una firma da una risoluzione.

  Risoluzione in Commissione Garofalo ed altri n. 7-00778, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 settembre 2015: è stata ritirata la firma del deputato Dell'Orco.