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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 26 ottobre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la presenza di società partecipate costituite per la soddisfazione di interessi pubblici è un fenomeno caratteristico dell'economia italiana, che si è accentuato in maniera considerevole nell'ultimo decennio soprattutto a livello locale;
    secondo il rapporto sulle partecipazioni detenute dalle amministrazioni pubbliche elaborato dal Ministero dell'economia e finanze – diffuso nel luglio 2014 e relativo all'anno 2012 – il numero di queste società ammontava a 8.146 di cui la gran parte concerne le partecipate dalle amministrazioni locali, pari a poco più di 7.700 unità, cui seguono circa 420 società cui partecipano le amministrazioni centrali mentre le restanti unità fanno riferimento agli enti di previdenza e ad altre particolari tipologie di amministrazioni;
    tra le società partecipate da amministrazioni centrali, particolare rilievo assumono quelle statali a controllo diretto del Ministero dell'economia e finanze che, nel 2014, ammontano a 33: di esse, 3 sono società per azioni quotate, costituite dall'Enel spa (31,24 per cento), dall'Eni spa (4,34 per cento con Cassa depositi e prestiti spa che ne detiene una partecipazione del 25,76 per cento) e da Finmeccanica spa (30,20 per cento);
    tra le società di livello territoriale (95 per cento del totale), di cui la gran parte è a partecipazione comunale e opera nel settore terziario, solo il 47 per cento ha chiuso il bilancio di esercizio 2011 in utile, il 20 per cento in pareggio, il 33 per cento in perdita; tuttavia le perdite ammontano a 2,2 miliardi di euro circa, a fronte di utili complessivi di 1,4 miliardi di euro: considerato l'impatto negativo di tale fenomeno sul conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, è stata realizzata, negli ultimi anni, una serie di interventi sul settore;
    la legge di stabilità per il 2015 ha previsto un nuovo processo di razionalizzazione delle partecipate locali finalizzato a ridurne il numero, sulla base di alcuni criteri: soppressione delle società e delle partecipazioni sociali non indispensabili per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali (anche mediante liquidazione e cessione); soppressione delle società che risultino composte da soli amministratori o da un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti; eliminazione delle partecipazioni in società che svolgono attività analoghe a quelle svolte da altre partecipate o enti pubblici (anche mediante fusione o internalizzazione delle funzioni); aggregazione delle società di servizi pubblici locali di rilevanza economica; riorganizzazione interna delle società per contenere i costi di funzionamento (anche mediante riduzione delle remunerazione degli organi amministrativi e di controllo);
    anche nel Documento di economia e finanza 2015 si conferma l'intenzione del Governo di procedere al riordino delle partecipazioni pubbliche e al riassetto complessivo della materia attraverso la predisposizione di due distinti testi unici, e di proseguire nel piano di razionalizzazione delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni, attraverso la riduzione del loro numero e dei relativi costi;
    al fine di tutelare il perseguimento degli interessi pubblici, la corretta gestione delle risorse e la salvaguardia dell'immagine del socio pubblico, è necessario assicurare la massima trasparenza e qualità delle procedure di designazione dei componenti degli organi sociali, garantendo il rigoroso rispetto dei requisiti di onorabilità e di professionalità degli amministratori,

impegna il Governo:

   a promuovere meccanismi nella scelta dei consigli di amministrazione delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni, tali da garantire l'assenza di conflitti di interessi e la massima trasparenza delle procedure di selezione, confermando e implementando i criteri sinora adottati nella formazione dei consigli di amministrazione delle società partecipate dallo Stato e da altri soggetti pubblici, sulla scorta delle previsioni adottate con le direttive emanate a partire dal 2013 dal Ministero dell'economia e delle finanze, e a tal fine:
    a) ad aggiornare periodicamente l'elenco delle posizioni in scadenza da pubblicare nel sito internet dell'ente pubblico di riferimento, anche nel caso di decadenza dell'organo di amministrazione ovvero di uno dei suoi componenti e nel caso di dimissioni di uno o più consiglieri;
    b) a procedere allo svolgimento di istruttorie di carattere qualitativo e attitudinale dei potenziali candidati;
    c) a pubblicare nel sito internet dell'ente pubblico di riferimento una relazione di sintesi che illustri i criteri adottati, anche relativi alle specifiche caratteristiche della singola società, i curricula dei candidati, previa autorizzazione degli interessati, e i profili dei candidati proposti, anche prevedendo la valutazione delle candidature pervenute;
    d) a subordinare l'eventuale riconferma degli uscenti alla valutazione dei risultati della società in termini di efficacia ed efficienza nel perseguimento dell'interesse pubblico;
   ad adottare, nel quadro delle esigenze di trasparenza, misure di contenimento delle retribuzioni dei dirigenti delle società, in analogia a quanto già previsto per la pubblica amministrazione.
(1-01032) «Misiani, Marchi, Cinzia Maria Fontana, Boccadutri, Paola Bragantini, Capodicasa, Cenni, Dell'Aringa, Fanucci, Giampaolo Galli, Ginato, Giulietti, Guerra, Laforgia, Losacco, Marchetti, Melilli, Parrini, Pilozzi, Preziosi, Rubinato».


   La Camera,
   premesso che:
    è ormai noto e dato per acquisito il fatto che l'immigrazione sia un fenomeno altamente complesso in termini di sfide che pone nei confronti di diversi attori, quali i migranti in primis, i Paesi di origine, transito ed arrivo, nonché i vari ambiti che coinvolge (politico, economico, sociale e culturale) ed era, pertanto, ovvio che il dibattito su questo tema, anche se in ritardo rispetto all'evoluzione storica del fenomeno, si spostasse su un più alto livello internazionale ed europeo;
    allo stato attuale le principali attenzioni sono rivolte alla gestione della cosiddetta «crisi dei rifugiati» che ha visto, negli intenti dell'Agenda europea sulla migrazione, così come nell'ultima riunione del Consiglio europeo del 15 ottobre 2015, la quarta negli ultimi sei mesi, avanzare proposte sicuramente migliorative, seppur timide e non risolutive;
    nel recepimento, tardivo, da parte del Governo della direttiva europea 2013/33/UE, recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, e della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, con decreto legislativo n. 142 del 18 agosto 2015, è venuta a mancare una reale volontà riformatrice dell'intero sistema d'asilo italiano che resta frammentato e manifesta un ampio spazio di gestione emergenziale da tempo riconosciuta (anche dal Governo stesso, come si legge nella circolare del Ministero dell'interno n. 11209 del 20 agosto 2015 in materia di implementazione delle attività di controllo sui soggetti affidatari dei servizi di accoglienza dei cittadini extracomunitari) come inappropriata rispetto ad un fenomeno strutturale quale quello migratorio;
    è da rilevare come il Governo abbia deciso di non accogliere le raccomandazioni espresse nei pareri del Parlamento, della Conferenza unificata nonché delle organizzazioni non governative e degli enti di tutela che si occupano dell'assistenza di richiedenti asilo e rifugiati, rispetto ad aspetti particolarmente problematici quali la necessità del superamento definitivo dell'accoglienza nei grandi centri collettivi, la tutela dei minori stranieri non accompagnati, il trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione e l'istituzione dei centri cosiddetti «hotspot», nonché le criticità nelle valutazioni delle domande di protezione internazionale;
    com’è noto, le commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale sono competenti per l'esame delle domande di protezione internazionale così come previsto dall'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, nelle modalità previste dagli articoli 4,5,6 e 7 del decreto del Presidente della Repubblica 12 gennaio 2015, n. 21;
    ai sensi dell'articolo 4, comma 3, del decreto legislativo n. 25 del 2008, così come modificato dall'articolo 25, lettera c), del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, la commissione territoriale è composta da quattro membri di cui un funzionario della carriera prefettizia, un funzionario della polizia di Stato, un rappresentante dell'ente locale ed un rappresentante dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati. I componenti della commissione sono designati «in base alle esperienze o formazione acquisite nel settore dell'immigrazione e dell'asilo o in quello della tutela dei diritti umani»;
    autorevoli organizzazioni non governative come l'Alto commissariato Onu per i rifugiati e vari enti di tutela hanno manifestato preoccupazione nella rilevazione dell'aumento nei primi mesi del 2015 del numero di dinieghi avverso domande di protezione internazionale. In molti casi analizzati, la decisione negativa è giunta per via di criteri di valutazione inadeguati, assenza di specifica formazione dei componenti o inopportuna gestione dei colloqui individuali (singolare è il caso, riportato nei mesi scorsi anche da alcuni mezzi di stampa, di alcuni migranti omosessuali provenienti da Paesi dove l'omosessualità è considerato reato e punito con pene detentive, a cui è stata chiesta la «prova» dell'orientamento sessuale);
    non è superfluo evidenziare che la qualità del lavoro delle commissioni condiziona fortemente, oltre che la vita dei richiedenti/titolari di protezione internazionale, il genere di ricaduta sociale che la loro presenza determina sui territori nei quali gli stessi permangono; infatti, quando non opportuno, un diniego, oltre a ledere un diritto di fatto o a ritardarne inutilmente il godimento, rischia di produrre rallentamenti nelle procedure (numerosi ricorsi giurisdizionali), oltre che un aggravio di costi per la necessità di prolungare i tempi di accoglienza del richiedente,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per prevedere che i ricorsi giurisdizionali avverso il diniego delle commissioni territoriali siano trattati dai tribunali competenti con priorità;
   ad assumere con urgenza iniziative volte a verificare e garantire la specifica preparazione professionale dei componenti delle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, nonché l'adozione di un codice di condotta per i componenti, gli interpreti ed il personale di supporto;
   ad assumere iniziative di competenza per verificare l'attuazione, nell'ambito dei suoi poteri di indirizzo e coordinamento, delle disposizioni secondo cui la commissione nazionale per il diritto di asilo può individuare periodicamente un elenco di Paesi in cui sussistono condizioni tali per cui, per i richiedenti provenienti da tali Paesi, le commissioni territoriali possono omettere l'audizione al fine di poter riconoscere la protezione sussidiaria, accelerando in questo modo notevolmente i tempi di valutazione delle istanze;
   ad avviare, per quanto di competenza, attività di verifica del rispetto dei termini di legge di sei mesi fissato dal decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, per l'esame del ricorso giurisdizionale in primo grado e nei successivi gradi di giudizio avverso la decisione negativa delle commissioni territoriali.
(1-01033) «Brescia, Colonnese, Lorefice, Colletti, Manlio Di Stefano, D'Incà».


   La Camera,
   premesso che:
    il sistema delle società partecipate direttamente o indirettamente da soggetti pubblici (più di settemila nell'intero territorio del Paese secondo la Corte dei conti) costituisce un insieme disomogeneo, certamente riformabile e razionalizzabile, a cui guardare senza grossolane generalizzazioni o ricette semplicistiche;
    l'attività delle società pubbliche o partecipate è frutto di un'evoluzione storica, peraltro assimilabile a quella della maggior parte degli altri Paesi europei, derivante dalla scelta di gestire alcuni servizi e sostenere alcuni settori produttivi considerati importanti e strategici non solo a fini economici ma anche per garantire servizi essenziali a tutti i cittadini;
    alcune società a partecipazione pubblica rappresentano realtà industriali di particolare importanza per l'economia nazionale operanti in settori in prevalenza di interesse generale, che richiedono livelli di investimento elevati, non sempre remunerabili, che il settore privato per sua stessa natura non è in grado di assicurare pienamente;
    il quadro normativo riguardante le società a partecipazione pubblica è complesso a causa dei diversi profili coinvolti: alla normativa societaria si sovrappongono normative di settore, principalmente di derivazione europea, riguardanti la concorrenza e la liberalizzazione di taluni servizi, che interagiscono spesso non in maniera coerente con le particolarità di alcuni bacini di utenza;
    oltre a questo, gli effetti indiretti della rigidità delle norme sul patto di stabilità e scelte di spending review su base lineare, condizionando gli enti pubblici che partecipano dei capitali delle società, condizionano anche la capacità di queste ultime di rispondere alle richieste di servizi ai quali sono deputate;
    i poteri di nomina da parte dell'azionista pubblico degli amministratori delle società partecipate sono disciplinati dal codice civile, nonché da una serie di ulteriori disposizioni. La disciplina generale (articolo 2449 del codice civile) prevede che, se lo Stato o gli enti pubblici hanno partecipazioni in una società per azioni che non fa ricorso al mercato del capitale di rischio, come per ogni azionista lo statuto può attribuire loro la facoltà di nominare amministratori, sindaci o componenti del consiglio di sorveglianza, in numero proporzionale alla partecipazione al capitale sociale;
    per le società che fanno ricorso al mercato azionario è prevista la possibilità di riservare allo Stato o agli enti partecipanti azioni fornite di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, ma non il voto nell'assemblea generale degli azionisti;
    a cominciare dalla XVI legislatura (2008-2013), la disciplina delle società pubbliche è stata oggetto di una serie di interventi che ne hanno accentuato i profili di specialità. Si è progressivamente cercato di sottoporre questi enti a misure di contenimento della spesa, a regole di trasparenza, a vincoli sull'organizzazione, nella misura in cui esse costituiscono l'esercizio di funzioni pubblicistiche sotto forma privatistica. Dall'applicazione della normazione speciale inerente alle società pubbliche sono state escluse, in via generale, le società quotate in mercati regolamentati, per le quali opera interamente un regime di mercato;
    alcuni importanti accorgimenti sono stati adottati dal legislatore per orientare la gestione delle società pubbliche a criteri di efficienza, penalizzando gli amministratori che non agiscono con competenza e capacità. Ne è un esempio la previsione in base alla quale non può essere nominato amministratore di ente, istituzione, azienda pubblica, società a totale o parziale capitale pubblico chi, avendo ricoperto nei cinque anni precedenti incarichi analoghi, ha chiuso in perdita tre esercizi consecutivi;
    i principali dati relativi alle società a partecipazione pubblica sono disponibili e fruibili in diverse forme, compreso il canale internet. L'elenco delle società per azioni partecipate da amministrazioni statali è contenuto nel Rendiconto generale dello Stato, conto del patrimonio (appendice 4);
    la legge 12 luglio 2011, n. 120, sulla parità di accesso agli organi delle società quotate, volta a superare il problema della scarsa presenza di donne negli organi di vertice delle società commerciali e, in particolare, nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa, dispone che, per le società a controllo pubblico, i principi applicabili rimangono quelli di legge, mentre la disciplina di dettaglio è affidata ad un apposito regolamento, con la finalità di garantire una disciplina uniforme per tutte le società interessate. Tale regolamentazione è contenuta nel regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 novembre 2012, n. 251;
    ai sensi dell'articolo 18, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, le società a partecipazione pubblica totale o di controllo adottano, per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi, criteri e modalità rispettosi dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità,

impegna il Governo:

   a disciplinare e rendere pubblici, laddove non si sia già provveduto in tal senso, i requisiti previsti per la candidatura alla carica di componente dei consigli di amministrazione delle società a partecipazione pubblica totale o di controllo;
   ad adottare ogni opportuna iniziativa, anche di carattere normativo, volta a prevedere, ove non già disposto, la sottoposizione delle proposte governative di nomina dei membri dei consigli di amministrazione delle società a partecipazione pubblica totale o di controllo al parere delle competenti Commissioni parlamentari;
   ad adottare ogni opportuna iniziativa, anche di carattere normativo, volta a rendere consultabili i curricula dei singoli candidati, così da consentire a tutti i soggetti interessati di essere a conoscenza dei requisiti posseduti dai candidati;
   ad adottare iniziative per prevedere che il trattamento economico onnicomprensivo percepito da soggetti nominati da enti pubblici in società da essi partecipate sia parametrato agli obiettivi raggiunti nella gestione e non possa in ogni caso superare il trattamento annuo lordo spettante ai presidenti di sezione della Corte di cassazione.
(1-01034) «Guidesi, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    i quotidiani, drammatici, fatti di cronaca degli ultimi mesi, e contestualmente i dati riportati da centri studi e di analisi nel settore dei flussi migratori, hanno concordemente messo in luce come quella che fino ad ora è stata considerata come un'eccezionale ondata migratoria è in realtà destinata non solo a consolidarsi nei numeri e nei flussi, ma anche a trasformarsi da evento a carattere emergenziale in un avvenimento che sarà costante per molti anni a venire;
    del resto, la stessa Europa, anche sotto la spinta determinante del Governo, sembra aver accettato la dimensione duratura, e chiaramente sovra-nazionale, dei flussi migratori in atto, e la conseguente necessità di trovare una soluzione unitaria che, nel pieno rispetto delle convenzioni internazionali e della normativa europea, consenta di dare una risposta adeguata all'arrivo sul suolo dei Paesi europei di questo grande numero di richiedenti protezione internazionale;
    l'Italia certamente ha fatto, e sta facendo, la sua parte sia sul piano emergenziale, fornendo un'assistenza il più possibile dignitosa nel momento di primo arrivo nel nostro Paese, sia attraverso l'adozione di provvedimenti normativi che hanno consentito di migliorare l'efficienza della macchina amministrativa;
    è opportuno ricordare che il decreto-legge n. 119 del 22 agosto 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 146 del 2014, ha introdotto procedure più snelle per il riconoscimento della protezione internazionale, prevedendo, in particolare, che l'audizione del richiedente asilo avvenga entro 30 giorni dalla presentazione della domanda e la commissione si pronunci entro 3 giorni dalla conclusione del colloquio; al fine di velocizzare le procedure il decreto-legge sopra richiamato ha poi previsto che il colloquio possa avvenire davanti ad un solo membro della commissione, pur restando poi la decisione finale a carattere collegiale;
    è stato, inoltre, previsto un deciso ampliamento del numero delle commissioni territoriali che sono aumentate fino a 20, e con possibilità di un ulteriore aumento fino a 30, in presenza di un afflusso di richieste molto elevato per l'esame delle domande di riconoscimento della protezione internazionale;
    tali misure hanno consentito una netta riduzione dei tempi necessari a vagliare le domande di asilo, ponendo così l'Italia finalmente in linea con il tempo medio necessario all'esame di tali domande negli altri Paesi europei, anche alla luce del fatto che le direttive dell'Unione europea impongono che si proceda al colloquio con il richiedente, prescindendo dalla sede amministrativa o giudiziaria;
    altrettanto importante è stato l'articolo 18-ter del decreto-legge n. 83 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, che ha previsto un piano straordinario di applicazioni extra-distrettuali diretto a fronteggiare l'incremento del numero di procedimenti giurisdizionali connessi con le richieste di accesso al regime di protezione internazionale e umanitaria da parte dei migranti presenti sul territorio nazionale e di altri procedimenti giudiziari connessi ai fenomeni dell'immigrazione;
    con questa norma è stata dunque data la possibilità al Consiglio superiore della magistratura di distaccare fino a 20 magistrati – per un periodo di 18 mesi, rinnovabile – presso gli uffici giudiziari più esposti all'emergenza migratoria;
    il procedimento giurisdizionale, che può essere attivato in esito alle decisioni della commissione, si svolge secondo le regole del rito sommario di cognizione e si conclude con ordinanza;
    in forza della normativa vigente, e per una più efficace tutela del soggetto richiedente la protezione internazionale, il ricorso giurisdizionale ha effetto sospensivo del provvedimento della commissione, fatta eccezione per alcuni casi tipizzati; secondo quanto poi statuito dalla giurisprudenza di legittimità, il regime ordinario di onere della prova è significativamente attenuato per l'esigenza di una maggiore protezione del diritto che viene in rilievo;
    tuttavia, non c’è dubbio che gli ingenti flussi in arrivo impongono non solo all'Europa ma anche all'Italia un'ulteriore sforzo in termini economici e di personale qualificato atti a garantire una gestione adeguata del fenomeno in atto, per ridurre il più possibile il tempo di esame delle domande di asilo, al fine di ottenere quanto prima certezza giuridica sullo status dei richiedenti protezione internazionale, riconoscendo loro questo diritto laddove ne sussistano le condizioni, ed effettuando i rimpatri volontari ed assistiti, o i respingimenti, laddove tali condizioni non sussistano;
    ad esempio, destano preoccupazione i tempi di esame ancora troppo lunghi da parte della giurisdizione ordinaria, che, già ingolfata dagli ordinari provvedimenti, si è ritrovata ulteriormente gravata dal forte incremento negli ultimi mesi del numero dei ricorsi avverso il diniego di riconoscimento dello status di rifugiato da parte della commissione territoriale competente;
    in occasione dell'approvazione della legge n. 154 del 2014, recante «Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea – Legge di delegazione europea 2013 – secondo semestre», il Parlamento ha approvato una delega al Governo per l'adozione delle disposizioni di attuazione della normativa dell'Unione europea in materia di diritto di asilo, protezione sussidiaria e di protezione temporanea,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di introdurre ulteriori meccanismi atti a velocizzare tutte le procedure relative all'esame delle domande inerenti al riconoscimento dello status e all'accoglienza dei rifugiati per la parte relativa alle commissioni territoriali, anche valutando l'opportunità di un ulteriore potenziamento delle commissioni territoriali competenti ovvero delle sedi giudiziarie maggiormente esposte;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per istituire presso alcuni tribunali sezioni specializzate per i procedimenti di protezione internazionale, sulla falsariga di quanto recentemente è stato fatto con la creazione del cosiddetto tribunale dell'impresa;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per una formazione specifica, sia del personale delle commissioni territoriali, sia dei magistrati ordinari, con un fattivo coinvolgimento della Scuola superiore della magistratura in merito alle problematiche peculiari e ai presupposti inerenti a questo specifico settore, anche prevedendo un costante aggiornamento sulla normativa europea;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per introdurre ulteriori fattori di semplificazione dei procedimenti giurisdizionali, magari con l'eliminazione del contraddittorio di udienza, sul modello del procedimento di opposizione ad ordinanza-ingiunzione, e l'attribuzione al giudice del potere-dovere di valutare se disporre l'udienza per l'audizione del richiedente, ove ricorrano esigenze specifiche e peculiari, o per l'acquisizione di indispensabili elementi di prova, e con la riduzione a tre, rispetto agli attuali sei mesi, del termine di durata del procedimento, oltre che con una decisa compressione dell'ambito del giudizio di appello;
   a valutare l'opportunità di costituire un gruppo di lavoro in occasione della predisposizione dello schema di decreto legislativo delegato per l'adozione di un testo unico che garantisca il coinvolgimento di tutti gli operatori coinvolti e dei diversi livelli istituzionali interessati.
(1-01035) «Fiano, Verini, Campana, Roberta Agostini, Bersani, Cuperlo, D'Attorre, Marco Di Maio, Fabbri, Famiglietti, Ferrari, Gasparini, Giachetti, Giorgis, Gullo, Lattuca, Lauricella, Marco Meloni, Migliore, Naccarato, Piccione, Pollastrini, Richetti, Francesco Sanna, Amoddio, Bazoli, Berretta, Ermini, Ferranti, Giuliani, Greco, Giuseppe Guerini, Iori, Leva, Magorno, Marzano, Mattiello, Morani, Giuditta Pini, Rossomando, Rostan, Tartaglione, Vazio, Zan».


   La Camera,
   premesso che:
    dalla relazione annuale al Parlamento sulla gestione finanziaria delle partecipate pubbliche, svolta dalla sezione delle autonomie della Corte dei conti e resa nota a fine luglio 2015, si apprende che le pubbliche amministrazioni posseggono partecipazioni sia pro quota sia totalitarie in 7.684 organismi;
    le società operanti nel settore dei servizi pubblici locali sono numericamente limitate (il 35,72 per cento del totale), pur rappresentando una parte importante del valore della produzione (il 71,35 per cento dell'importo complessivo). Il maggior numero delle partecipazioni (64,28 per cento) rientra nelle diversificate attività definite «strumentali»;
    gli organismi a totale partecipazione pubblica sono quasi 2 mila su 7.684, di cui 1.898 con uno o più enti partecipanti (il 30 per cento circa), che salgono al 70 per cento del totale se si aggiungono anche quelle con una prevalenza dei soggetti pubblici rispetto ai privati (in tutto 5.422, di cui 3.800 hanno forma societaria). Gli oneri complessivi delle società partecipate a carico della pubblica amministrazione assommano a circa 24 miliardi di euro annui dei quali circa 1,2 miliardi di euro sono destinati al solo ripianamento delle perdite; i dipendenti sono 264.520;
    nel corso dell'ultimo anno il Governo in carica si è mosso con speditezza. Con la legge di stabilità per il 2015 è stata:
     a) stabilita la soppressione delle società che risultino composte da soli amministratori o da un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti;
     b) prevista la realizzazione da parte di regioni, enti locali, camere di commercio, università e autorità portuali di un piano di razionalizzazione delle società e partecipazioni societarie;
     c) modificata la disciplina sull'affidamento diretto secondo criteri maggiormente aderenti alle disposizioni comunitarie;
    con l'articolo 18 della legge delega per la riforma della pubblica amministrazione (legge 7 agosto 2015, n. 124), si sono:
     a) ridefinite le regole per la costituzione di società o per l'assunzione o il mantenimento di partecipazioni societarie, prevedendo che le partecipazioni debbano mantenersi entro il perimetro dei compiti istituzionali delle amministrazioni interessate e solo per ambiti strategici o per la tutela di interessi pubblici rilevanti;
     b) razionalizzate le regole per la scelta degli amministratori e l'assunzione dei dipendenti;
     c) regolati flussi finanziari tra ente partecipante e società partecipata;
     d) stabilite le regole per le responsabilità degli amministratori;
     e) fissate le regole per il commissariamento e la chiusura delle società in perdita;
     f) fissati i criteri per il consolidamento delle partecipazioni nei bilanci degli enti proprietari e la trasparenza dei bilanci delle partecipate;
     g) definite le modalità per l'introduzione di un sistema sanzionatorio mediante riduzione dei trasferimenti statali nei confronti degli enti inadempienti;
     h) rafforzate le misure di incentivazione dei processi di aggregazione;
    questo complesso di misure è stato recepito nello schema di decreto delegato in corso di esame presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (che peraltro prevede una ricognizione definitiva di tutte le partecipazioni in essere da effettuare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del medesimo; in mancanza della quale le quote di partecipazione si considereranno estinte a ogni effetto);
    nel presentare la legge di stabilità per il 2015 il Presidente del Consiglio dei ministri ha confermato l'obiettivo, già fissato nella sua relazione del 2013 dal commissario alla spending review, di ridurre le partecipate da quasi 8.000 a 1.000;
    peraltro, la legge di stabilità per il 2015 fissa un tetto per gli stipendi dei manager delle partecipate e il disegno della legge di stabilità per il 2016 trasferisce l'Osservatorio per i servizi pubblici locali in capo a Palazzo Chigi, con esclusione delle società quotate,

impegna il Governo

a rafforzare i criteri di trasparenza, pubblicità e partecipazione dei cittadini nei procedimenti attraverso i quali vengono selezionati gli amministratori delle società partecipate, con particolare riferimento alle società che svolgono le loro funzioni nell'ambito dei servizi pubblici essenziali.
(1-01036) «Tancredi, Vignali, Dorina Bianchi».


   La Camera,
   premesso che:
    una delle recenti raccomandazioni del Fondo monetario internazionale all'Italia è stato l'invito a razionalizzare le società partecipate dagli enti locali e dei servizi pubblici, in coerenza con i numerosi interventi legislativi, fra i quali le disposizioni indicate dall'articolo 1, commi da 609 a 616, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 – legge di stabilità per il 2015, che seguono le indicazioni fornite dall'ex commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica Carlo Cottarelli, attraverso il documento del 7 agosto 2014;
    al riguardo, occorre evidenziare come il tema della riforma delle partecipazioni degli enti locali già contenuta nella legge 24 dicembre 2007, n. 244 – legge finanziaria per il 2008, sia diventato un programma organico del sopra indicato ex commissario per la cosiddetta spending review, peraltro sostenuto dal Governo Renzi, il quale, in più occasioni, ha ribadito la necessità di razionalizzare il numero delle società partecipate, in considerazione che gli interventi sono stati finora occasionali e senza alcuna sostanziale riduzione;
    il firmatario del presente atto d'indirizzo rileva che sin dal 2008, nonostante il divieto di detenere o costituire partecipazioni in società non considerate necessarie per fini istituzionali, all'interno della pubblica amministrazione, in realtà sono state costituite o acquisite di recente ulteriori nuove società per un numero complessivo pari a 1.264, raggiungendo complessivamente un numero censito finora pari ad almeno 10 mila;
    il quadro d'insieme sul fenomeno delle partecipazioni pubbliche in Italia, direttamente o indirettamente nelle società partecipate, è, da un lato, sconfortante, se si valutano i continui rinvii decisionali sull'effettiva razionalizzazione di esse, in particolare per quelle i cui bilanci (la maggior parte) sono in costante perdita: 1,35 miliardi di euro (a cui si aggiungono costi nascosti da contratti di servizio che risultano al firmatario del presente atto d'indirizzo gonfiati e quelli a carico degli utenti per tariffe eccessive); dall'altro, preoccupante, se si valuta come nel mosaico della finanza locale, sempre più complicato, le convergenze degli enti locali sui modelli da adottare per i cambi di regole, puntando sulle dismissioni, le aggregazioni e privatizzazioni, appaiono di difficile attuazione;
    i numerosi interventi della Corte dei conti, le misure normative adottate di recente (riforma della pubblica amministrazione) in tema di riordino delle società partecipate, che prevedono un piano di incentivi per le dismissioni, ad avviso del firmatario del presente atto d'indirizzo, non hanno determinato alcun significativo risultato, anche per la scarsa collaborazione di molte amministrazioni locali, che non hanno adempiuto al monitoraggio del piano di razionalizzazione (previsto entro il 31 marzo 2015), di cui all'articolo 23, del decreto-legge n. 66 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, con il quale si obbligava ad una ricognizione del quadro generale delle società in perdita e ad una riduzione del perimetro delle partecipate;
    ai fini della determinazione del numero dei dipendenti, la disciplina concernente la composizione dei consigli di amministrazione delle società controllate (ovvero totalmente partecipate), da parte delle amministrazioni pubbliche, prevede (attraverso l'articolo 16 del decreto-legge n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114), che, a far data dal 1o gennaio 2015, il costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori di tali società, ivi compresa la remunerazione di quelli investiti di particolari cariche, non può superare l'80 per cento del costo complessivamente sostenuto nel 2013;
    al riguardo, il firmatario del presente atto d'indirizzo, evidenzia come il trattamento economico dei membri degli organi societari e non societari (fondazioni e consorzi) sia anch'esso argomento di attenzione dell'opinione pubblica, sia con riferimento all'entità dei compensi che prosegue in maniera costante, nonostante le iniziative legislative intraprese spesso «aggirate», che al numero dei componenti in ruolo apicale, i cui compensi ingiustificati stridono con quella che appare al firmatario del presente atto d'indirizzo una pessima qualità dei servizi erogati;
    a giudizio del firmatario del presente atto d'indirizzo, l'esigenza d'interventi rapidi ed urgenti risulta pertanto indifferibile, al fine di un'effettiva rivisitazione complessiva dell'intero sistema delle società a partecipazione pubblica, la cui mission, in particolare dal punto di vista gestionale, dell'efficienza dei servizi e dell'espansione delle spese e dei costi per il numero del personale impiegato, si è rivelata nel nostro Paese fallimentare;
    al riguardo, nell'ambito delle decisioni di politica economica, al fine di innescare un processo di valorizzazione e di sviluppo della redditività delle società partecipate, appare indispensabile porre al centro dell'azione del Governo e del Parlamento effettive politiche di privatizzazioni, considerando l'incidenza sulla finanza pubblica, che il sistema delle ex municipalizzate ha gravato sul patrimonio pubblico,

impegna il Governo:

   a prevedere meccanismi nella determinazione dei rappresentanti dei consigli di amministrazione delle società partecipate dalla pubblica amministrazione, volti ad evitare conflitti di interessi tra i suoi membri che possono determinare situazioni di incompatibilità;
   ad assumere iniziative per introdurre maggiore trasparenza nei criteri di nomina dei candidati all'interno dei consigli di amministrazione delle società partecipate delle amministrazioni pubbliche, anche attraverso un sistema di audizioni pubbliche, in grado di consentire una migliore conoscenza dei medesimi, nonché la pubblicazione dei curricula vitae e del certificato del casellario giudiziale;
   ad assumere iniziative per la pubblicazione, nel sito internet dell'ente pubblico di riferimento, un documento di sintesi in grado di illustrare i criteri di nomina determinati, anche in relazione alla tipologia dei servizi resi dalla società;
   ad adottare iniziative volte ad una revisione della determinazione delle retribuzioni dei dirigenti delle società partecipate e dei membri dei consigli di amministrazione, attraverso un contenimento dei compensi, nel solco delle linee di indirizzo contenute all'interno del documento predisposto dall'ex commissario alla cosiddetta spending review Carlo Cottarelli.
(1-01037) «Palese».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo il Fragile State index, che registra la stabilità di 178 Paesi rappresentati all'Assemblea generale dell'Onu, gli indicatori considerati per classificare un Paese come fragile sono dodici:
     a) la pressione demografica (squilibrio tra risorse vitali disponibili e densità di popolazione, malattie, degrado ambientale, inquinamento, mortalità);
     b) i rifugiati e sfollati (spostamenti di popolazione, pulizie etniche, sradicamenti forzati da conflitti armati, campi per rifugiati e sfollati);
     c) lamentele di gruppo (per torti o soprusi subiti, tensioni etniche, violenze o sopraffazioni religiose);
     d) esodo umano (fuga di professionisti, intellettuali e dissidenti politici);
     e) sviluppo economico disuguale (élite ricche accanto a masse povere e poverissime, disparità tra città e campagna, accesso ai servizi pubblici e loro diffusione);
     f) declino economico (deficit, disoccupazione, reddito pro capite, inflazione ed altro;
     g) Stato di diritto (legittimità dello Stato, livello di corruzione, efficacia del Governo, partecipazione politica, processi elettorali, livello di democrazia, livello di criminalità, narcotraffico, traffico di armi, proteste e dimostrazioni, conflitti di potere);
     h) servizi pubblici (educazione e alfabetismo, accesso all'acqua e ai servizi sanitari, elettrificazione, telefonia, internet, rete viaria e ferroviaria);
     i) diritti umani (libertà di stampa, libertà civili e politiche, traffico di persone e organi, prigionieri politici, persecuzioni religiose, torture, esecuzioni capitali);
     l) apparato di sicurezza (conflitti interni e disordini violenti, proliferazione di armi, colpi di Stato, attentati);
     m) élite faziose (scontri armati tra gruppi o etnie);
     n) interventi stranieri (interventi militari stranieri, forze di pace straniere, sanzioni internazionali);
    nella categoria «Stati in allarme», che comprende gli Stati più vulnerabili e fragili e redatta con una numerazione progressiva, dal peggiore in poi, che va da 1 a 38, sono presenti ben 26 Stati africani. Essi sono: Sud Sudan (1o), Somalia (2o), Repubblica centrafricana (3o), Sudan (4o), Repubblica democratica del Congo (5o), Tchad (6o), Guinea (10o), Nigeria (14o), Costa d'Avorio (15o), Zimbabwe (16o), Guinea-Bissau (17o), Burundi (18o), Niger (19o), Etiopia (20o), Kenya (21o), Liberia (22o), Uganda (23o), Eritrea (24o), Libia (25o), Mauritania (26o), Cameroun (28o), Mali (30o), Sierra Leone (31o), Congo Brazzaville (33o), Rwanda (37o), Egitto (38o). Nella categoria «Stati sotto vigilanza» sono inseriti gli Stati con una posizione medio-alta di vulnerabilità, compresa tra il 39o e il 99o posizionamento; in questa graduatoria sono presenti altri 27 Stati africani: Burkina-Faso (39o), Gibuti, Angola, Mozambico, Malawi, Togo, Swaziland, Gambia, Zambia, Guinea equatoriale, Madagascar, Comore, Senegal, Tanzania, Lesotho, Algeria, Benin, Tunisia, Marocco, Sao Tomé e Principe, Capo Verde, Ghana, Gabon, Namibia, Sudafrica, Botswana, Seicelle. Nella categoria «Stati in stabilità» risulta un solo Paese africano, l'isola di Maurizio, mentre non risulta nessun Paese africano nella categoria «Stati in sostenibilità», categoria alla quale appartiene l'Italia. Pertanto, tutti i Paesi africani, esclusa solo la piccola isola citata, si trovano nella parte fortemente o sostanzialmente negativa della graduatoria. Un intero continente, da decenni, povero e impoverito. Non può, dunque, stupire il fenomeno migratorio di massa cui si sta assistendo, in particolare dalla fine degli anni ’80 ad oggi;
    lo sfruttamento sistematico e continuativo delle risorse africane nei decenni del colonialismo, del post-colonialismo e del neocolonialismo, che continua tuttora, è concausa determinante dello status quo africano. Solo a titolo esemplificativo si ricorda l'ultimo rapporto dell'organizzazione non governativa britannica Global witness (2015: «Legname insanguinato»), il quale, fonti alla mano, riporta alcune gravissime interferenze e complicità straniere nel conflitto armato che ha causato morte e distruzione nella Repubblica centrafricana. Il documento spiega, grazie a testimonianze e documenti dettagliati, come alcune aziende belghe, francesi, tedesche, cinesi e libanesi, impegnate nel business del legname, abbiano finanziato le coalizioni belligeranti per siglare vantaggiosi contratti per la distruzione della foresta e l'acquisto del relativo legname. Il rapporto critica anche l'Unione europea (che formalmente importa 2/3 del legname centrafricano) per non aver sufficientemente vigilato, come richiesto peraltro dalle normative comunitarie contro il commercio di legname illegale. Fatti che si vanno ad aggiungere alle note situazioni di conflitti armati, guerre religiose, abusi di potere, corruzione, soprusi;
    non meno importante e cruciale la questione del debito estero e dei piani di aggiustamento strutturale imposti dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale ai Paesi indebitati. Nello scorso decennio, grazie al progetto Highly indebted poor Countries (Hipc), ad opera del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, una trentina di Paesi a basso reddito dell'Africa sub-sahariana poterono ottenere una riduzione del debito (circa cento miliardi di dollari). A questo programma se ne aggiunse un altro, la cosiddetta Multilateral debt relief initiative (Mdri). Queste iniziative suscitarono grande euforia perché consentirono a molti Governi africani di riprendere fiato, accedendo a prestiti insperati. Nel 2007 il Ghana fu il primo Paese beneficiario ad affacciarsi sui mercati internazionali, emettendo obbligazioni pari a 750 milioni di dollari. Seguirono altri quattro destinatari del condono (Senegal, Nigeria, Zambia e Rwanda) ed in seguito altri ancora. Tuttavia, i fondi sono stati utilizzati, in parte, per sostenere attività imprenditoriali straniere in Africa e, in parte, per sostenere le oligarchie autoctone, secondo le tradizionali dinamiche della corruzione più sfrenata e corrosiva. Senza alcun controllo dunque, tali fondi non sono stati associati ad organici piani di sviluppo nazionali, ma più spesso rivolti all'azione predatoria di potentati internazionali, soprattutto sul versante commodity (materie prime e fonti energetiche). L'impossibilità di ripagare gli interessi sul debito sovrano (il cosiddetto «servizio sul debito») ha portato alcuni Paesi africani a svendere i propri asset strategici (acqua, elettricità, telefonia, petrolio, rame, diamanti ed altro) e ad applicare le richieste della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale relative alle concessioni per lo sfruttamento delle materie prime unitamente alle privatizzazioni (soprattutto il land grabbing, vale a dire l'accaparramento dei terreni da parte di aziende straniere);
    il quadro continentale è, dunque, fortemente negativo sia nella fase attuale, che in prospettiva futura, anche perché di questo passo gli africani non saranno più padroni dell'acqua che bevono, del terreno che coltivano o delle miniere che scavano: un impoverimento anche in termini occupazionali che innescherà sempre più massicci fenomeni migratori;
    da decenni il nostro Paese è in prima linea in Africa per il sostegno alle popolazioni locali, attraverso una fitta rete di volontari (per esempio, quelli degli organismi aderenti alla Focsiv-volontari nel mondo) e missionari (Istituti religiosi aventi missione, Fondazione Missio), che accompagnano le comunità locali nel realizzare attività con finalità sociali e nell'assumere più responsabilità e capacità per la gestione del servizio idrico, nel campo sanitario, agricolo, strutturale, educativo, imprenditoriale, come anche nel campo non meno urgente della pace e della pacifica convivenza: basti qui citare il risultato ottenuto dalla Comunità di Sant'Egidio per la pace in Mozambico;
    tali realtà si distinguono per un servizio formulato dal basso, ovvero originato nelle comunità locali interessate, le quali condividono con i volontari obiettivi e stile di implementazione delle azioni e per la realizzazione di progetti sostenibili, basati sull'utilizzo di risorse umane e materiali presenti nell'area di intervento e realizzati con l'adozione di tecnologie e metodiche facilmente replicabili dalle popolazioni coinvolte;
    il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon ha lanciato i nuovi obiettivi dell'Agenda globale di sviluppo post 2015, in cui lo sviluppo economico locale risulta essere uno degli strumenti più efficaci per affrontare le nuove sfide globali e considerato che, come evidenziato dal recente Terzo forum mondiale sullo sviluppo economico locale di Torino, la cooperazione territoriale diviene il mezzo più innovativo ed efficace per assicurare una crescita sostenibile ed equilibrata dal punto di vista sociale, ambientale ed economico, come risposta incentrata sulle persone e basata sul territorio per affrontare le crescenti disuguaglianze, l'elevata disoccupazione e la crescente pressione sulle risorse naturali,

impegna il Governo:

   a considerare, nella propria strategia rivolta ai Paesi africani, anche l'ascolto e la condivisione delle informazioni, dei progetti, delle presenze sui territori e delle attività in generale svolte in Africa dai volontari e missionari italiani, attraverso la consultazione degli organismi ed enti che in maggior parte li rappresentano;
   ad assumere iniziative per incrementare, significativamente e rispetto agli anni precedenti, i fondi per la cooperazione internazionale allo sviluppo al fine di favorire, attraverso l'opera dei volontari delle organizzazioni non governative, una riduzione dell'immigrazione economica, operando nei Paesi di provenienza, creando condizioni di sicurezza alimentare e sanitaria, affermando uno sviluppo sostenibile soprattutto in quei Paesi dove crisi ambientali, sanitarie ed economiche contribuiscono all'acuirsi dei fenomeni di estremismo religioso e di tensioni politiche diffuse;
   a sollecitare le imprese italiane che operano nel continente africano ad una presenza che manifesti attenzione primaria alle persone, ai loro bisogni, al loro sviluppo locale;
   ad assumere iniziative per destinare una quota significativa delle nuove risorse a progetti di cooperazione decentrata e multilaterale, in cui le realtà locali definiscano azioni concrete in partenariato con associazioni, organizzazioni non governative, atenei, cooperative e imprese, in materia di politiche pubbliche locali che riguardano acqua, rifiuti, energia, trasporti, nonché politiche sociali e culturali dei Paesi africani;
   ad operare presso l'Unione europea, le organizzazioni sovranazionali e presso enti intergovernativi affinché si continui e si intensifichi l'impegno per collocare lo sviluppo economico locale come mezzo effettivo per implementare gli obiettivi globali per lo sviluppo sostenibile individuati dall'Agenda 2030.
(1-01038) «Sberna, Baradello, Dellai, Capelli, Caruso, Fauttilli, Gigli, Marazziti, Fitzgerald Nissoli, Piepoli, Santerini, Tabacci».

Risoluzioni in Commissione:


   La IX Commissione,
   premesso che:
    lo spettacolo viaggiante è regolato dalla legge n. 337 del 1968, la quale riconosce, all'articolo 1, la funzione sociale di tale attività ed impegna lo Stato a promuovere e consolidare lo sviluppo del suddetto settore. Il riconoscimento della funzione sociale di questa sana e popolare forma di divertimento sancisce la valenza di un'attività di aggregazione sociale che raggiunge anche località prive di luoghi di spettacolo e divertimento;
    l'attuale formulazione del codice della strada causa serie difficoltà agli operatori degli spettacoli viaggianti, soprattutto quando si trovano ad effettuare i loro continui e consueti spostamenti da una città ad un'altra. Alcune modifiche al codice hanno, infatti, ristretto i limiti dimensionali dei mezzi, portandoli dai precedenti 2,70 metri di larghezza agli attuali 2,50 metri. Lo stesso vale per la lunghezza in quanto si è passati dai precedenti 23 metri agli attuali 18. Ne consegue che molti dei mezzi di cui si servono gli operatori del settore oggi sono classificati, ai sensi del codice della strada, come trasporti eccezionali;
    dal 1986 tali mezzi sono stati dotati di un documento sostitutivo (DGM243), specificatamente previsto dal Regolamento di esecuzione del nuovo Codice della strada, che, a seguito di visita e prova, concedeva loro la circolazione sulla «intera rete nazionale»;
    dal novembre 2014, però, una parte del parco automezzi dello spettacolo viaggiante non può più accedere alle autostrade e strade principali a seguito di una risposta fornita dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ad un quesito posto dall'Associazione italiana società autostrade e trafori sull'ammissibilità alla circolazione di mezzi in dotazione allo spettacolo viaggiante, muniti di detto documento sostitutivo della carta di circolazione;
    nello specifico, il Ministero dei trasporti facendo riferimento al punto 7, lettera a), dell'articolo 175 del Codice della strada, il quale stabilisce che sulle carreggiate, sulle rampe, sugli svincoli, sulle aree di servizio o di parcheggio e in ogni altra pertinenza autostradale è vietato trainare veicoli che non siano rimorchi, ha di fatto escluso la possibilità per i mezzi utilizzati nei spettacoli viaggianti di poter circolare sulle autostrade e strade principali;
    nel momento in cui ai veicoli, dopo visita, prova e punzonatura sul telaio o sugli organi di traino, è stato rilasciato il documento sostitutivo della carta di circolazione, con il modello DGM243, tali veicoli non posso essere quelli di cui all'articolo 175, comma 7, lettera a) del codice della strada, in quanto equiparati, di fatto, ai rimorchi. Non a caso tali mezzi hanno sempre circolato sulla rete stradale ed autostradale negli ultimi trent'anni ottenendo i permessi, qualora eccezionali per massa o sagoma;
    come stabilito dall'articolo 80 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e alla luce della classificazione di trasporti eccezionali, gli operatori degli spettacoli dei viaggianti sono tenuti con cadenza annuale a sottoporre i loro mezzi a revisione, pur considerando che la loro percorrenza annua è molto bassa (al massimo 1500 chilometri annui) e che lo è altrettanto la loro velocità di trasferimento;
    il codice della strada francese stabilisce una precisa normativa per la circolazione di tutti quei veicoli (ensembles forains) utilizzati per il trasporto di attrezzature o animali destinati a spettacoli fieristici. Nello specifico, all'articolo R436-1 di tale codice è previsto che tali veicoli non possono eccedere i 30 metri di lunghezza, rimandando ad un regolamento adottato di concerto dal Ministro dei trasporti e dal Ministro degli interni una specifica normativa riguardante il trasporto eccezionale di merci;
    il regolamento sopra citato (Arreté du 4 mai 2006 relatif à la circulation des ensembles forains) all'articolo 3 stabilisce che la lunghezza massima dei veicoli utilizzati per il trasporto di attrezzature o animali destinati a spettacoli fieristici è di 30 metri, mentre il limite della larghezza di tali veicoli è rimandato, a sua volta, al limite regolamentare fissato dal codice della strada. Quest'ultimo, all'articolo R312-11, stabilisce che per autocarri articolati la lunghezza massima da rispettare è di 18,75 metri, mentre per i mezzi che comportano più di una sezione articolata la lunghezza massima è di 24,5 metri;
   la normativa francese sopra citata, dunque, oltre a prevedere uno specifico articolo nel codice della strada riguardante i veicoli utilizzati per il trasporto di attrezzature destinate a spettacoli fieristici, stabilisce dei parametri di lunghezza e altezza superiori rispetto a quelli fissati dal nostro codice della strada, permettendo dunque agli operatori dello spettacolo viaggiante di poter svolgere la loro attività senza alcun tipo di ostacolo normativo,

impegna il Governo:

   ad intraprendere le opportune iniziative di competenza volte ad interpretare la normativa in vigore, in materia alla stregua di quanto fatto dal 1986 sino al 2014, consentendo dunque ai mezzi inerenti l'attività degli esercenti spettacoli viaggianti, dotati di autorizzazione, il transito in sicurezza sulle autostrade e strade principali;
   ad assumere le opportune iniziative normative per fare in modo che le disposizioni contenute nell'articolo 10 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (codice della strada), e successive modificazioni, non si applichino ai veicoli utilizzati esclusivamente nell'attività di spettacolo viaggiante eccedenti le dimensioni stabilite dagli articoli 61 e 62 del presente decreto;
   ad assumere iniziative normative volte a riformare la disciplina prevista in materia di revisioni al fine di prevedere, alla luce degli esegui chilometri percorsi annualmente dai veicoli utilizzati esclusivamente nell'attività di spettacolo viaggiante, una revisione biennale anziché annuale dei mezzi.
(7-00831) «Bergamini».


   La X Commissione,
   premesso che:
    la direttiva 2006/123/CE, meglio conosciuta come «direttiva Bolkestein» recepita nel nostro Paese con il decreto legislativo 26 marzo 2010 n. 59 reca disposizioni dirette a regolare la libera circolazione dei servizi tra gli stati membri e fra l'altro provvede a dettare disposizioni in materia di commercio su aree pubbliche e quindi di commercio ambulante;
    gli operatori del commercio ambulante sono nel nostro Paese circa 160.000 e rappresentano quindi una realtà economica e sociale di notevole importanza, sia nei grandi, sia nei piccoli centri e forniscono, avendo costi di esercizio in genere contenuti, un utile contributo ad aumentare la concorrenza nel commercio e quindi al contenimento della dinamica dei prezzi al consumo;
    il citato decreto legislativo, all'articolo 16, considera le aree pubbliche una «risorsa naturale» limitata e quindi introduce un limite alle concessioni di posteggio e stabilisce, in particolare, al comma 4, il divieto di rinnovo automatico delle concessioni scadute, nonché il divieto esplicito di accordare vantaggi al concessionario uscente, mettendo così in serie difficoltà gli operatori del settore che, nella maggior parte dei casi, hanno effettuato notevoli investimenti per intraprendere e migliorare la propria attività e che, in caso di mancato rinnovo della concessione, subirebbero danni rilevanti;
    anche l'applicazione del primo comma dell'articolo 70 del predetto decreto legislativo pone dei problemi a quanto rivela al firmatario del presente atto di indirizzo, agli operatori del settore del commercio ambulante, nel momento in cui estende la possibilità di esercitare tale attività anche a società di capitali, trascurando il fatto oggettivo che tale tipo di commercio è tradizionalmente svolte da microimprese, spesso a conduzione familiare per cui il disposto del citato comma produrrebbe una evidente distorsione della concorrenza per la maggior forza finanziaria delle società di capitali;
    il comma 5 dell'articolo 70 del citato decreto legislativo stabilisce che, in sede di conferenza unificata, debbano essere individuati i criteri per il rilascio dei rinnovi della concessione dei posteggi per il commercio in aree pubbliche, nonché le disposizioni transitorie da applicare alle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 59 del 2010; ma, in sede di conferenza unificata del 5 luglio 2012 e con i successivi interventi normativi di competenza regionale, non sono stati risolti i problemi di fondo del settore che continua a vivere in un clima difficile e di incertezza in quanto solo in sede di prima applicazione viene data priorità al criterio della «professionalità acquisita» ai fini del rinnovo delle concessioni,

impegna il Governo:

   ad adoprarsi in sede europea per escludere dall'ambito di applicazione della «direttiva Bolkestein» il commercio ambulante e le microimprese, spesso a conduzione familiare, che operano nel settore;
   a promuovere un'iniziativa normativa diretta a prevedere espressamente che i posteggi utilizzati per il commercio ambulante su aree pubbliche non siano ricompresi nella categoria delle risorse naturali, di cui all'articolo 16, 1o comma, del decreto legislativo n. 59 del 2010;
   ad assumere iniziative normative volte a modificare l'articolo 70 del decreto legislativo n. 59 del 2010, al fine di escludere le società di capitali dall'esercizio del commercio ambulante su aree pubbliche;
   ad adoperarsi, mediante iniziative di competenza, anche favorendo le opportune intese con le associazioni di categoria dei venditori ambulanti, al fine di affrontare e risolvere i problemi del settore provocati dall'applicazione della «direttiva Bolkestein» che presenta elementi di criticità tutelando così una realtà economica e sociale di grande importanza per il nostro Paese;
   a dare attuazione agli impegni contenuti nell'ordine del giorno in materia di commercio ambulante n. 9/02426-A/031 del 9 luglio 2014.
(7-00830) «Polidori».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta scritta:


   QUARTAPELLE PROCOPIO, ZAMPA, IORI e ZANIN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nel 2005 è stato istituito un «Fondo di sostegno delle adozioni internazionali», finalizzato al rimborso di parte delle spese sostenute per l'adozione di un bambino straniero nel corso dell'anno precedente;
   in conformità con gli impegni al Governo contenuti nella mozione 1-00326 Quartapelle Procopio e altri, con la legge di stabilità 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190) è stato disposto un rifinanziamento di cinque milioni al fondo per le politiche della famiglia nella parte concernente il funzionamento della Commissione Adozioni Internazionali, mentre con la legge di stabilità 2016, attualmente all'esame del Parlamento, al fine di sostenere le politiche in materia di adozioni internazionali e di assicurare il funzionamento della Commissione per le adozioni internazionali è di nuovo istituito un fondo denominato «Fondo per le adozioni internazionali» con una dotazione di 15 milioni di euro annui a decorrere dal 2015;
   in data 5 gennaio 2012 è stato registrato dalla Corte dei Conti il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri contenente le modalità di presentazione delle domande di rimborso delle spese sostenute per adozione internazionale, con riferimento alle adozioni internazionali di minori stranieri, il cui ingresso e la residenza permanente in Italia siano stati autorizzati nei periodi compresi tra il 1o gennaio ed il 31 dicembre 2010 e tra il 1o gennaio ed il 31 dicembre 2011; è stato successivamente emesso il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri volto alla proroga fino al 30 aprile 2012 del termine, originariamente fissato al 31 dicembre 2011, per la presentazione delle domande relative alle adozioni concluse nel 2010;
   le famiglie che hanno sostenuto le spese per un'adozione internazionale dal 2011 in poi non hanno ancora ricevuto quanto dovuto; le domande di rimborso trasmesse per tempo alla Commissione per mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento sono rimaste non solo inevase, ma non hanno ricevuto nessun riscontro neanche dopo ripetute sollecitazioni da parte delle famiglie;
   è auspicabile che il Governo assicuri una palese e concreta attenzione alle politiche in materia di adozioni internazionali agli enti e alle famiglie dei genitori adottivi, come indicato anche dalla decisione di mantenere sotto la Presidenza del Consiglio la delega in materia di adozioni nazionali e internazionali e la Commissione per le adozioni internazionali –:
   se non intenda assicurare, in considerazione anche degli importanti sforzi di bilancio operati per dotare la Commissione adozioni internazionali delle risorse economiche necessarie, una sollecita erogazione da parte della Commissione dei rimborsi relativi alle procedure di adozione ancora in sospeso. (4-10871)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta orale:


   RABINO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   le notizie che arrivano da Israele sono sempre più preoccupanti, soprattutto dopo il discorso del 30 settembre 2015 del Presidente dell'Autorità nazionale palestinese Abu Mazen all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, durante il quale ha chiesto all'Onu la protezione internazionale da Israele, dichiarando la necessità che Tel Aviv ponga fine «all'occupazione più lunga della storia» e che smetta di «colpire i luoghi sacri dell'Islam e della cristianità a Gerusalemme»;
   Abu Mazen ha reso evidente il deterioramento progressivo dei rapporti tra il governo israeliano e l'Autorità nazionale palestinese degli ultimi tempi, rilevando come i palestinesi non si sentano più legati agli accordi di Oslo. Secondo il leader, Israele ha violato gli accordi, e per questo non c’è ragione per cui l'Autorità palestinese debba rimanervi fedele, più puntualmente ha dichiarato che: «Non possiamo continuare a essere legati da questi accordi con Israele, e Israele deve assumere la sua piena responsabilità come potenza occupante»;
   gli accordi di Oslo firmati nel 1993, oltre a porre le basi della soluzione dei due stati, postulano il mutuo riconoscimento tra Israele e l'Autorità palestinese. Prevedono inoltre una serie di intese nel campo della sicurezza, dell'economia e del coordinamento civile. Dal punto di vista simbolico l'eventuale rigetto degli accordi di Oslo avrebbe un valore enorme, ma soprattutto dalle gravi conseguenze;
   nel suo discorso all'Onu, Abu Mazen ha inoltre attaccato duramente la gestione dei luoghi sacri di Gerusalemme da parte del governo israeliano, e chiesto il riconoscimento della Palestina come membro dell'Onu. Il tentativo da parte del presidente dell'Autorità palestinese di forzare il riconoscimento di uno Stato palestinese da parte delle principali organizzazioni internazionali, senza passare per un accordo organico con Gerusalemme, ha contribuito, a parere di molti organi di stampa che ne hanno diffuso le dichiarazioni e dell'interrogante, al blocco quasi completo del processo di pace;
   il giorno successivo due civili, marito e moglie, poco più che trentenni, sono stati uccisi a sangue freddo di fronte ai loro due bambini di nove e quattro anni in un attacco terroristico a colpi d'arma da fuoco contro la loro auto, sulla strada tra Itamar e Elon Moreh, vicino al villaggio palestinese di Beit Furik, in Cisgiordania;
   il 3 ottobre 2015, nella città di Gerusalemme, due civili ebrei sono stati uccisi da un terrorista palestinese e una donna di 22 anni, che aveva con sé la figlia di due anni, gravemente ferita. Le due vittime sono Aharon Bennett 22 anni, padre della bambina, e il rabbino Nechamia Lavi, 41 anni. L'assassino è avvenuto mentre la famiglia si recava a pregare al Muro del Pianto;
   nel tentativo di calmare la situazione, nel pieno dell'ondata di violenza che ha investito Israele e Palestina, si è recato, a sorpresa in Israele il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon che ha lanciato un primo appello dicendo che: «Serve un orizzonte politico per rompere questo ciclo di violenza e di paura» e sottolineando l'importanza e la «necessità della pace». Ai leader dell'Anp ha chiesto di sfruttare l'energia del popolo in modo pacifico per rendere i loro sogni una realtà. Ai leader e al popolo israeliano, invece, Ban Ki-moon ha detto di capire la loro preoccupazione per la sicurezza, ma che «le risposte dure da parte delle autorità e la demolizione delle case» non portano a questo obiettivo. Quindi, ha ribadito il sostegno delle Nazioni unite agli sforzi per tornare al tavolo dei negoziati, e ha chiesto di «non permettere agli estremisti da entrambe le parti di usare la religione per alimentare ulteriormente il conflitto» –:
   quali urgenti iniziative intenda attuare, per impedire il ripetersi di situazioni simili a quelle descritte in premessa, e quali misure diplomatiche di propria competenza intenda mettere in pratica, nei confronti dell'Autorità nazionale palestinese, nel caso in cui non fossero rispettati gli accordi di Oslo. (3-01791)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   GAGNARLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è di questi giorni la notizia di una nuova ordinanza della provincia di Trento per la cattura finalizzata alla captivazione permanente o in alternativa l'abbattimento di un orso colpevole di aver aggredito un uomo mentre faceva jogging;
   dalla ricostruzione dei fatti è emerso che l'orso ha attaccato l'uomo senza alcuna provocazione, ma attirato da urla e gesti bruschi e spaventati dell'uomo, nonché dalla presenza del suo cane: sia la presenza dell'animale, sia i gesti dell'uomo possono essere infatti percepiti come «provocazioni» dall'orso, come si evince sia sul sito della stessa provincia di Trento, sia nelle guide sul comportamento da tenere in presenza di un orso;
   essendo stato provocato in questo modo, pur di certo involontariamente da parte dell'uomo, l'orso non può essere considerato pericoloso e dunque non rientra nei casi contemplati dal PACOBACE (piano di azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno nelle Alpi Centro-Orientali), il piano d'azione che contiene gli strumenti da attivare nei casi di riscontrata pericolosità di un orso;
   l'orso è inserito tra le specie presenti nell'allegato II (specie strettamente protette) della convenzione di Berna (recepita in Italia con la legge n. 503 del 5 agosto 1981) per le quali è proibita la cattura ed uccisione, nonché è inserito nell'allegato D (specie di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa) del decreto del Presidente della Repubblica dell'8 settembre 1997 n. 357 di recepimento della direttiva 92/43/CE (cosiddetta direttiva Habitat). In base all'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica citato è espressamente previsto che «1. Per le specie animali di cui all'allegato D, lettera a), al presente regolamento, è fatto divieto di: a) catturare o uccidere esemplari di tali specie nell'ambiente naturale»; inoltre, l'articolo 1 della legge n. 157 del 1992 di recepimento della direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979 dispone che «la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale ed internazionale», mentre l'articolo 2 della stessa legge statuisce che l'orso è specie particolarmente protetta «anche sotto il profilo sanzionatorio»;
   il piano di azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno nelle Alpi Centro-Orientali dispone comunque che «ai sensi decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, l'eventuale abbattimento di un orso richiede una specifica autorizzazione da parte del Ministero, concessa sulla base di un parere dell'ISPRA», eppure non risulta, agli interroganti, esistere né autorizzazione ministeriale, né parere dell'ISPRA avendo ancora una volta la provincia di Trento agito in piena autonomia;
   le associazioni ambientaliste si stanno mobilitando per salvare l'orso dal possibile abbattimento e la LAV, da parte sua, ha già provveduto ad inviare una lettera urgente al Commissario europeo per l'ambiente Karmenu Vella, perché prenda i provvedimenti necessari alla luce di quelle che appaiono violazioni della legislazione comunitaria;
   l'etologo Roberto Marchesini, che lo scorso anno era stato incaricato di redigere una relazione per il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare su Daniza, sul nuovo caso trentino ha dichiarato che: «i rappresentanti dell'amministrazione trentina imputano all'orso o in genere agli orsi il problema come se fossero all'oscuro di cos’è un orso. Non viene in mente nemmeno di sfuggita d'aver sbagliato tutte le coordinate del progetto e di non essere stati capaci di gestire poi una corretta politica di convivenza»;
   è importare ricordare infatti che la reintroduzione dell'orso in Trentino, allo scopo di salvare il piccolo nucleo di orsi oramai destinati all'estinzione, ha avuto inizio nel 1999, grazie al progetto Life Ursus ed ai correlati finanziamenti dell'Unione europea. Il buon successo dell'iniziativa è testimoniato dalla ripresa della popolazione di orso e, indirettamente, dal fatto che l'Unione europea ha deciso di contribuire economicamente al progetto, finanziando il parco dell'Adamello-Brenta per ben tre volte mediante l'accesso agli strumenti finanziari Life;
   dal 1o settembre 2010 la gestione e la tutela dell'orso in provincia di Trento, sono entrate a far parte del progetto Life Arctos, che vede tra gli obiettivi principali proprio la gestione del fenomeno degli orsi confidenti/problematici presenti in provincia di Trento e lungo il confine tra la regione Friuli Venezia-Giulia e la Slovenia, oltre che in tutto l'areale dell'orso marsicano. Tale progetto è stato finanziato dall'Unione europea e dagli altri partner, per un importo superiore a 3,9 milioni di euro;
   il «piano d'azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno delle Alpi centro-orientali» rappresenta lo strumento fondamentale dal quale dipende la conservazione dell'orso bruno e quindi la possibilità di evitare la sua estinzione. È stato sottoscritto, nel 2010, dalle province autonome di Trento e Bolzano, dalle regioni Friuli Venezia-Giulia, Veneto e Lombardia, dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (dipartimento per l'assetto dei valori ambientali del territorio – direzione generale per la protezione della natura) e dall'ISPRA;
   già nel settembre 2014 un'orsa (Daniza) veniva uccisa indebitamente da un medico veterinario della provincia di Trento che otteneva poi oblazione per il reato di cui all'articolo 727 bis del codice penale per uccisione di specie protetta;
   nei giorni successivi l'emanazione dell'ordinanza provinciale con la quale veniva disposta la cattura dell'orsa Daniza, è stata depositata l'interrogazione n. 5-03303 sulla «captivazione permanente» degli orsi considerati problematici. L'interrogazione, depositata il 23 luglio 2014, traeva spunto dalle modifiche introdotte dalla provincia di Trento al PACOBACE (piano d'azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno nelle Alpi centro-orientali). Tali modifiche hanno inteso codificare la categoria di «orso dannoso», verso la quale è possibile attivare azioni di «captivazione permanente» e finanche di abbattimento. All'atto ha risposto il Sottosegretario pro tempore Barbara Degani, argomentando, fra le altre cose che «Sin da subito, tuttavia, è stata ampiamente condivisa con gli altri soggetti istituzionali coinvolti nel processo di tutela dell'orso bruno, la necessità di una attenta e rinnovata valutazione a tutto campo delle possibili iniziative volte a integrare e migliorare, laddove possibile, le misure già previste nel PACOBACE, anche tenuto conto della recente esperienza dell'orsa Daniza e dei suoi cuccioli, e ciò al fine prioritario di assicurare la maggiore tutela possibile alla popolazione di orso bruno attualmente insistente nel settore centro-orientale dell'arco alpino, tema sul quale il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al pari degli enti territoriali interessati, rivolge particolare attenzione istituzionale» –:
   se non intenda, viste le norme citate ed il ruolo preminente del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nella gestione degli orsi su tutto il territorio nazionale ivi compreso evidentemente la provincia autonoma di Trento, provvedere al diretto ed urgente coinvolgimento del suo Ministero, ai sensi e per gli effetti della normativa citata e del piano di azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno nelle Alpi Centro-Orientali, allo scopo di evitare, per quanto di competenza, la violazione delle disposizioni, dei protocolli e delle norme richiamate, nonché l'uccisione ingiusta di un orso che non ha assunto comportamenti problematici, disponendo le misure non cruente previste dal piano di azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno nelle Alpi Centro-Orientali in proposito, ad iniziare dalla cattura con rilascio e radiomarcaggio;
   se e quando intenda dare seguito a quanto indicato dal Sottosegretario pro tempore Degani in risposta all'interrogazione n. 5-03303 sul tema degli orsi, in particolare nella parte in cui afferma la necessità di valutare a tutto campo «le possibili iniziative volte a integrare e migliorare, laddove possibile, le misure già previste nel PACOBACE». (3-01789)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 agosto 2015 è stato pubblicato il decreto-legge n. 78 del 2015, recante disposizioni in materia di enti locali, convertito dalla legge n. 125 del 2015, che, all'articolo 4-bis, prevede «Disposizioni per la funzionalità operativa delle Agenzie fiscali», stabilendo che i dirigenti delle agenzie fiscali, previa procedura selettiva e per una durata non eccedente l'espletamento dei concorsi a dirigente, possono attribuire le funzioni relative agli uffici, di cui hanno assunto la direzione interinale e i connessi poteri di adozione di atti, a funzionari di terza area con almeno 5 anni di esperienza nell'area stessa;
   dunque, nelle more dell'espletamento dei concorsi pubblici, sono state istituite delle «posizioni organizzative speciali» per far fronte all'emergenza causata dalla decadenza di dirigenti incaricati;
   a riguardo, con l'interrogazione in commissione n. 5-06572, l'interrogante ha già rilevato l'illegittimità della predetta norma prevista dal decreto in materia di Enti locali, in quanto, tra gli altri motivi, in palese contrasto con la sentenza della Corte Costituzionale n. 37 del 2015 che ha indicato la necessità di applicare l'istituto della reggenza, regolato dall'articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica 8 maggio 1987, n. 266, per l'attribuzione di tali funzioni dirigenziali relative a posizioni vacanti perché dichiarate illegittime con la medesima sentenza;
   a ulteriore sostegno di quanto affermato dall'interrogante sull'illegittimità delle «posizioni organizzative speciali» previste dall'articolo 4-bis del decreto-legge n. 125 del 2015, recentemente, è stata emessa la sentenza del Consiglio di Stato n. 4139 del 2015, che ha espresso e confermato dei fondamentali principi relativi all'attribuzione di incarichi, anche interni, negli enti pubblici;
   il Consiglio di Stato, con tale pronuncia, ribadisce che il concorso pubblico deve essere la via ordinaria non solo per le assunzioni pubbliche, ma anche per le «promozioni» e dunque l'investitura di nuovi incarichi per coloro che fanno già parte dell'organico. Su questi presupposti il Consiglio di Stato ha annullato gli atti di una Giunta regionale, con i quali erano stati conferiti incarichi interni non attraverso un ordinario concorso pubblico, ma con una selezione verticale interamente riservata agli interni. Il Consiglio di Stato ha confermato il principio, più volte affermato dalla giurisprudenza costituzionale (ad esempio, sentenza n. 227 del 2013), secondo il quale il concorso pubblico costituisce la regola ordinaria di accesso nei ruoli delle pubbliche amministrazioni, in conformità ai principi costituzionali di uguaglianza (articolo 3), di imparzialità e di buon andamento (articolo 97). Sicché, le selezioni riservate agli interni devono essere un'eccezione al generale principio di entrata in servizio per il tramite del pubblico concorso. Sul punto, anche la facoltà del legislatore di stabilire delle eccezioni a questo principio, deve essere delimitata rigorosamente, pertanto, eventuali deroghe sono legittime solo se sussistano straordinarie esigenze di interesse pubblico e siano adeguatamente esposte, e motivate;
   ebbene, le predette «posizioni organizzative speciali» previste dall'articolo 4-bis, del decreto-legge sopracitato rappresentano indubbiamente una deroga al principio per il quale il concorso pubblico è la procedura selettiva ordinaria, considerando che tale principio vale non solo per le ipotesi di assunzione di soggetti in precedenza estranei alle pubbliche amministrazioni, ma anche in casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in organico e di trasformazione di rapporti non di ruolo, e non instaurati ab origine mediante concorso, in rapporti di ruolo;
   quindi, la norma in questione, oltre ad essere in totale antitesi con quanto previsto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 2015 che ha stabilito l'applicazione dell'istituto della reggenza, è ulteriormente illegittima poiché non supportata da specifiche e straordinarie esigenze che possano giustificare una deroga al pubblico concorso;
   si mette, infatti, in evidenza che le agenzie fiscali hanno negligentemente fatto trascorrere ben sei mesi senza applicare l'istituto della reggenza come previsto dai giudici costituzionali e, quindi, non hanno provveduto tempestivamente e secondo legge a riparare alla grave situazione determinatasi, con la dichiarata illegittimità di centinaia di posizioni dirigenziali. È certo quindi che le straordinarie ragioni a giustificazione della deroga, non possono essere determinate dalle lungaggini e gli ingiustificati ritardi con cui un ente pubblico attua un provvedimento dovuto, quale in questo caso la sentenza dei giudici costituzionali che tra l'altro è stata poi disattesa;
   pertanto, l'interrogante sottolinea ancora una volta l'evidente, illegittimità in cui si trovano le agenzie fiscali nell'espletare procedure selettive ed attribuire incarichi ex novo;
   è urgente adottare i dovuti provvedimenti per riparare a secondo l'interrogante questa gravissima situazione, soprattutto considerando che proprio attualmente si stanno svolgendo procedure quantomeno fortemente dubbie sul piano della legittimità per il conferimento delle funzioni dirigenziali delle posizioni vacanti, in applicazione della deroga prevista all'articolo 4-bis del decreto-legge n. 125 del 2015 –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati per quanto di loro competenza, sui fatti esposti in premessa;
   se e con quali provvedimenti i Ministri interrogati intendano intervenire, alla luce della sentenza della Corte costituzione n. 37 del 2015, per eliminare urgentemente quelli che appaiono all'interrogante gravi profili di illegittimità, esposti in premessa, che concernono le procedure selettive svolte presso le agenzie fiscali, attraverso le quali vengono attribuite le funzioni dirigenziali delle posizioni vacanti, nelle more dell'espletamento di concorsi pubblici. (5-06775)

Interrogazione a risposta scritta:


   GAGNARLI e PESCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 22 ottobre 2010 gli ispettori della ragioneria dello Stato, durante una verifica amministrativo contabile di routine e presso il comune di Castiglion Fiorentino (Arezzo), rilevavano ben 16 grave criticità all'interno dei conti comunali nel periodo 2005-2010, che avevano portato l'ente a sostenere spese di gran lunga maggiori rispetto a quelle sostenibili in base alle reali risorse finanziarie a disposizione, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica;
   tra le criticità più rilevanti gli ispettori evidenziavano una impropria allocazione, nei servizi per conto terzi, di entrate e spese di natura diversa dalle partite di giro, variazioni del bilancio di previsione effettuate con semplici determinazioni dirigenziali, un continuo esborso di somme prive di copertura finanziaria a livello di competenza che aveva prosciugato le liquidità delle Ente. Alterazioni queste che avevano provocato, altresì, il mancato rispetto dei vincoli del patto di stabilità interno, peraltro non attestato al competente Ministero, fatta eccezione per l'anno 2010;
   la pressante necessità di liquidità costringeva l'amministrazione ad un costante utilizzo dell'anticipazione di tesoreria e, in aggiunta, a una serie di altre operazioni non contemplate dall'ordinamento finanziario e contabile degli enti, in contrasto con il dettato dell'articolo 119, sesto comma, della Costituzione;
   la Corte dei conti sezione regionale per la Toscana accertava a novembre 2011 la grave e continuata situazione di inadempimento del comune di Castiglion Fiorentino associata all'assenza dell'adozione di misure di autocorrezione richieste e trasmetteva i carteggi al prefetto di Arezzo e alla procura della Corte dei conti;
   tra i finanziamenti oggetto di irregolarità, gli amministratori di Castiglion Fiorentino all'epoca dei fatti, richiedevano e ottenevano 5 mutui da Cassa, Depositi e Prestiti spa (CDP spa), le cui erogazioni venivano effettuate sulla base di richieste contenenti informazioni non rispondenti agli atti d'ufficio, per un totale di 402.694,00 euro;
   in particolare, gli amministratori del periodo in questione attestavano falsamente che i lavori da finanziarsi erano in corso di realizzazione (mentre in realtà non erano mai iniziati), indicando altresì, in talune di tali richieste, estremi di fatture delle ditte incaricate dei lavori medesimi, in realtà mai emesse, procurandosi le somme necessarie per coprire i debiti fuori bilancio, creatisi nel corso dei mandati svolti;
   il comune di Castiglion Fiorentino, in data 7 novembre 2011, con delibera del commissario straordinario dichiarava lo stato di dissesto, a causa di un buco finanziario di circa 10 milioni di euro;
   con decreto del Presidente della Repubblica 13 dicembre 2011 veniva nominata la commissione straordinaria di liquidazione per l'amministrazione della gestione e dell'indebitamento pregresso nonché per l'adozione di tutti i provvedimenti per l'estinzione dei debiti dell'ente;
   nei mesi a seguire il consiglio comunale approvava prima il bilancio stabilmente riequilibrato dell'esercizio 2011, a seguire approvato anche con relativo provvedimento ministeriale, poi il rendiconto della gestione per l'anno 2010, con un disavanzo di 7.203.563,49 di euro; e trasferiva residui attivi e passivi all'organo straordinario di liquidazione (OSL);
   l'OSL proponeva quindi al comune l'adozione della procedura semplificata del dissesto, ex articolo n. 258 del TUEL, accettata dal comune con apposita delibera, ed offriva ai creditori ammessi alla massa passiva una somma pari al 50 per cento del credito, a transazione dell'intera somma dovuta;
   nel gennaio 2015 la procura della Corte dei conti chiedeva il massimo della pena – 20 volte il compenso percepito come amministratori – per i 10 membri delle giunte che negli anni 2000 avevano devastato le casse comunali;
   nel marzo 2015 la procura della repubblica presso il tribunale di Arezzo esercitava azione penale nei confronti dei signori Brandi Paolo in qualità di sindaco di Castiglion Fiorentino dal 2001 al 2010, Rossi Fausto in qualità di dirigente dei lavori pubblici, Bennati Giuseppe in qualità di dirigente del settore finanziario, Cesarini Enrico in qualità di assessore al bilancio, per i quali il 28 ottobre 2015, il giudice della udienza preliminare delibererà sull'eventuale rinvio a giudizio degli imputati;
   l'attuale amministrazione comunale, da parte sua, ha formalmente richiesto a CDP spa una ristrutturazione dei mutui in essere, prevedendo la restituzione di quelli indebitamente percepiti le cui opere non sono state mai realizzate, mantenendo tuttavia inalterato il finanziamento per le opere correttamente previste, che saranno oggetto di nuova richiesta di somministrazione, in conformità alle nome vigenti, al verificarsi degli stati di avanzamento delle opere finanziate –:
   quali iniziative intendano assumere o abbiano assunto i Ministri interrogati, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di adempiere alle funzioni di controllo e garanzia del funzionamento dell'ente locale dissestato;
   se il piano di estinzione dei debiti dell'ente dissestato trasmesso dall'organo straordinario di liquidazione possa essere approvato tal quale o, al contrario, determini una situazione troppo restrittiva, non sufficiente agli attuali amministratori a far fronte alle opere pubbliche strettamente necessarie alla cittadinanza. (4-10873)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con il sopraggiungere della stagione estiva la situazione dei pendolari italiani risulta ulteriormente compromessa a causa del malfunzionamento degli impianti di climatizzazione interni alle vetture;
   in queste settimane sono molte le denunce che arrivano da tutta Italia, in particolare gli interroganti segnalano quelle dell'Umbria e della Toscana che, attraverso l'intervento dei comitati dei pendolari, hanno scritto e ottenuto risposte ufficiali da Trenitalia circa il malfunzionamento dell'aria condizionata;
   la situazione in queste prime settimane di giugno è invivibile, tanto che molti pendolari chiamano il loro viaggi quotidiani «viaggi della speranza»: carrozze super riscaldate mentre fuori ci sono 30 gradi, carrozze in cui l'impianto funziona ma è difettoso e si assiste pertanto a perdite d'acqua che costringono i viaggiatori a viaggiare con l'ombrello aperto o ad abbandonare il proprio posto; vetture in cui alcune carrozze sono fornite di aria condizionata e altre no, carrozze in cui l'impianto funziona ma la temperatura è rigidissima (causando spesso problemi di salute ai pendolari), tutto questo senza andare a ricordare le porte inservibili — che spesso bloccano letteralmente i pendolari all'interno di una carrozza, i vagoni inadeguati, i bagni inutilizzabili;
   in particolare nelle risposte fornite al Coordinamento comitati pendolari Umbri, Trenitalia ha ribadito che di norma essa provvede ad una manutenzione preventiva sugli impianti di climatizzazione delle vetture; ma le operazioni quest'anno sono iniziate con un leggero ritardo sui tempi previsti per uno slittamento nell'assegnazione dell'appalto;
   è stato predisposto da Trenitalia, infatti, un «crash program» con una task force operativa 7 giorni su 7 che ha interessato tutte le vetture del parco circolante in Umbria (si tratta di circa 150 vetture), che avrebbe dovuto portare a dei risultati per la fine del mese di maggio;
   la manutenzione e gestione degli impianti di climatizzazione dei treni regionali in circolazione nell'Umbria sono state affidate, come si evince ancora dalla risposta all'istanza del Coordinamento pendolari umbri, da Trenitalia con un'apposita gara alla Mitsubishi Electric Klimat Transportation, ma è evidente che ad oggi i risultati non sono all'altezza delle aspettative richieste e che anche la task force messa in atto non ha dato i risultati auspicati;
   relativamente al caso umbro si segnala inoltre, in particolare, che è stata più volte segnalata l'anomalia che la manutenzione ordinaria dei treni venga effettuata fuori regione (Ancona), che di fatto, a quando segnalano dal Coordinamento Pendolari, sembrerebbe non consono con gli standard qualitativi che vengono dichiarati, tanto che più volte lo stesso coordinamento ha fatto presente la necessità dell'istituzione di una squadra di manutenzione, presso la stazione di Foligno, dove insistono già le Grandi Officine di Manutenzione di FSI, proprio per effettuare la manutenzione a quei materiali che lì sostano, per poi effettuare dei treni sovraregionali sia su Roma, Firenze, Ancona, che relazioni interne alla Regione, senza attendere che per la turnazione dei servizi, tornino, dopo vari giorni, presso le officine di Ancona per le riparazioni;
   la situazione dell'Umbria è la stessa alla quale quotidianamente assistono i pendolari di tutta Italia, costretti a viaggiare in condizioni disastrose o a subire i ritardi e le soppressioni che spesso tali problemi nella manutenzione dei treni comportano –:
   se sia a conoscenza della situazione sopra descritta e se, nell'ambito delle proprie competenze, non ritenga di assumere iniziative affinché vengano salvaguardati gli standard qualitativi e la corretta manutenzione straordinaria, ordinaria nonché le revisioni periodiche sia del materiale rotabile che dei servizi, quali anche quelli di climatizzazione, all'interno delle vetture utilizzate quotidianamente dai cittadini italiani. (3-01790)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 15 ottobre 2015 un allarme bomba ha costretto la locale organizzazione di Fratelli d'Italia — Alleanza nazionale ad annullare un incontro con la cittadinanza, già organizzato a Bologna;
   una telefonata da una persona non identificata giunta poco prima delle ore 19 direttamente al responsabile provinciale del partito, ha comunicato la presenza di una bomba nel luogo previsto per la riunione, aggiungendo «A Bologna non c’è spazio per omofobi e fascisti, siete delle m...»;
   il responsabile provinciale del partito si è immediatamente recato in questura a sporgere denuncia in merito ai fatti accaduti –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere rispetto all'episodio citato in premessa e, in generale, al fine di contrastare il dilagare di simili fenomeni di intolleranza e violenza politica.
(4-10869)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 7 agosto 2015, n. 124, a completamento di una profonda modifica della rete organizzativa dello Stato, è stata stabilita una revisione delle competenze e una riduzione delle funzioni degli enti periferici «in base a criteri inerenti all'estensione territoriale, alla popolazione residente, all'eventuale presenza della città metropolitana, alle caratteristiche del territorio, alla criminalità, agli insediamenti produttivi, alle dinamiche socio-economiche, al fenomeno delle immigrazioni sui territori fronte rivieraschi e alle aree confinarie con flussi migratori», e la trasformazione delle prefetture-uffici territoriali del Governo in uffici territoriali dello Stato, con la confluenza nell'ufficio territoriale dello Stato di tutti gli uffici periferici delle amministrazioni civili dello Stato;
   a seguito delle leggi approvate il Ministero dell'interno ha proposto, con una bozza di decreto del Presidente della Repubblica, l'immediato avvio della chiusura di 23 prefetture in tutta Italia, compresa quella di Oristano, con relativo accorpamento alla prefettura di Nuoro;
   questa decisione rischia di portare alla declassificazione anche della questura di Oristano e con essa al ridimensionamento della presenza dello Stato in tutto il territorio della sua provincia, che in questo momento vista anche l'emergenza dei flussi migratori provenienti dall'Africa e dal Medio oriente, che stanno interessando la Sardegna e la provincia di Oristano, necessita invece di un potenziamento, garantendo ai cittadini i necessari servizi e livelli di sicurezza garantiti attualmente dai presidi di polizia che invece verrebbero meno;
   l'accorpamento a Nuoro della prefettura significherebbe mettere i cittadini in condizioni di non poter accedere a quei livelli minimi di garanzia dei servizi a causa del lungo tragitto di circa cento chilometri dal capoluogo oristanese, privo di qualsiasi collegamento pubblico, aggravando i costi per i cittadini costretti a spostarsi nel capoluogo nuorese e, in alcuni casi, comportando l'impossibilità di arrivare nei tempi dovuti negli uffici della stessa prefettura;
   oltre alla mancanza di sistema pubblico di trasporto, la Sardegna e i suoi cittadini vivono un atavico problema con la condizione delle strade, in alcuni casi al limite della praticabilità, e che richiedono tempi di percorrenza ben più lunghi rispetto alla durata che normalmente una distanza analoga richiederebbe;
   le dinamiche di impoverimento del tessuto economico e sociale, con la chiusura di scuole, caserme dei carabinieri, uffici postali, banche e uffici dello Stato aggraverebbero enormemente le difficoltà di questa parte della Sardegna che, invece, necessita di una attenzione straordinaria del Governo nazionale con interventi urgenti di sostegno all'economia e all'occupazione, in Sardegna, a causa del disimpegno da parte dello Stato in tanti servizi e uffici, si è ridato fiato a movimenti contro l'unità della Patria che facendosi forti dei tagli orizzontali e indiscriminati, trovano terreno fertile per radicarsi tra la popolazione;
   il Consiglio regionale della Sardegna, il 6 ottobre 2015, ha votato all'unanimità un ordine del giorno in cui è ribadita la contrarietà alla chiusura della prefettura di Oristano, e viene dato mandato al Presidente della giunta regionale della Sardegna di attivare immediatamente un tavolo di confronto con il Governo al fine di ridiscutere l'assetto organizzativo dell'amministrazione periferica pubblica, mantenendo e potenziando il miglioramento dei servizi ai cittadini, tenuto conto delle condizioni d'insularità di questa regione e affermando i principi costituzionali dell'autonomia della Sardegna sanciti dallo statuto –:
   se e quando intenda attivare un tavolo di confronto con la regione Sardegna per ridiscutere l'assetto organizzativo dell'amministrazione periferica pubblica sarda;
   quali siano le motivazioni che hanno portato alla decisione di chiudere la prefettura di Oristano e se si sia tenuto conto delle condizioni d'insularità della Sardegna, dei succitati problemi legati alla mancanza di servizio di trasporto pubblico e della precaria condizione stradale.
(4-10870)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PANNARALE, GIANCARLO GIORDANO, COSTANTINO, NICCHI e FRATOIANNI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la cosiddetta «teoria del gender» è, a giudizio degli interroganti, il prodotto di una manipolazione ideologica proveniente da parte del mondo ultraconservatore, che deforma il tentativo di costruzione di una società inclusiva, tollerante, aperta, attraverso un'alterazione dei suoi principali connotati;
   negli ultimi mesi la questione ha presentato tratti estremamente allarmanti. La contestazione alla «Teoria del gender» si è agganciata, infatti, all'approvazione della legge cosiddetta Buona scuola (legge 13 luglio 2015, n. 107), ove al comma 16 dell'articolo 1 si legge: «Il piano triennale dell'offerta formativa assicura l'attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l'educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle, tematiche indicate dall'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93»;
   a sua volta, il succitato articolo 5, comma 2 del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 prevede un «Piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere», che include anche il contributo delle istituzioni formative, sulla base di attività come la promozione di «un'adeguata formazione del personale della scuola alla relazione e contro la violenza e la discriminazione di genere e promuovere, nell'ambito delle indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione, delle indicazioni nazionali per i licei e delle linee guida per gli istituti tecnici e professionali, nella programmazione didattica curriculare ed extracurriculare delle scuole di ogni ordine e grado, la sensibilizzazione, l'informazione e la formazione degli studenti al fine di prevenire la violenza nei confronti delle donne e la discriminazione di genere, anche attraverso un'adeguata valorizzazione della tematica nei libri di testo»;
   la polemica innescata su questi temi è, dunque, a giudizio degli interroganti totalmente strumentale, e sostiene l'ingresso di una inesistente «teoria del gender» nelle scuole che comprometterebbe lo sviluppo sereno delle personalità di bambini e adolescenti, attraverso un'opera di «presunto indottrinamento» che ne altererebbe l'identità sessuale. L'accettazione serena delle differenze corrisponderebbe dunque, secondo tale polemica, alla loro cancellazione;
   è evidente quanto poco sia credibile tale interpretazione, e quanto alimenti una percezione della realtà distorta, che crea fratture, dogmi e ulteriori fenomeni di intolleranza, in un Paese in cui ancora non è stata attuata la Convenzione di Istanbul, votata dal Parlamento all'unanimità;
   il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Stefania Giannini ha emanato, in seguito alle prime polemiche, la circolare n. 4321, che richiede il consenso preventivo ai genitori per la partecipazione ad attività extracurriculari, come gli eventuali corsi di educazione di genere;
   in data 26 ottobre 2015, nell'Auditorium della scuola media inferiore «V. Sofo», a Monopoli, si terrà un incontro dal titolo «Gender (D)Istruzione. Le nuove forme di indottrinamento nelle scuole italiane», a cui parteciperà l'Avvocato Gianfranco Amato, presidente dell'associazione Giuristi per la vita;
   è sufficiente riportare alcune tra le dichiarazioni dell'Avvocato per comprendere quanto tale incontro sia foriero di messaggi di intolleranza e discriminazione, questi si altamente fuorvianti per la crescita e la sensibilità di giovani adolescenti. In una intervista al quotidiano il Giornale del 16 febbraio 2014, l'Avvocato dichiarava: «Se essere omofobo significa considerare l'omosessualità un peccato, ritenere che il sesso debba essere aperto alla trasmissione della vita, credere nei precetti della Chiesa, allora mi autodenuncio: dichiaro pubblicamente e con orgoglio ai funzionari dell'Unar di essere un omofobo»;
   ulteriore aspetto inquietante della vicenda è la presenza, o meglio, il protagonismo del dirigente dell'istituto Liliana Camarda, in qualità di moderatrice dell'incontro;
   l'autonomia scolastica, che consente di aprire la scuola in orario extrascolastico ad alcune attività come l'incontro in questione, non può alimentare fenomeni di intolleranza e discriminazione. La scuola deve essere, invece, il luogo ove si promuovono l'inclusività e il rispetto dell'altro, nella formazione di coloro che saranno i futuri cittadini della società;
   ciò è indispensabile nel contesto italiano, con una normativa secondo gli interroganti retrograda e fenomeni di violenza di genere quotidiani, anche a causa della mancanza di una riflessione e di una consapevolezza collettiva su tali questioni;
   il Ministro Giannini si è detta pronta al passaggio a strumenti legali nei confronti di chi sostiene l'esistenza di una promozione della «teoria del gender» nelle scuole, come riporta un articolo de L'Espresso del 16 settembre 2015 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'incontro programmato nella scuola di Monopoli e del fatto che, a moderarlo, sarà il Dirigente del 1o Istituto Comprensivo;
   quali interventi intenda mettere in atto affinché l'autonomia scolastica non diventi il pretesto per atti tesi a fomentare fenomeni di intolleranza e manipolazioni della realtà su base ideologico-religiosa, come quella in atto nel caso della fantomatica «Teoria del gender». (5-06774)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'applicazione del nuovo sussidio di disoccupazione universale che sostituisce dal 1o maggio 2015 l'assegno unico di disoccupazione introdotto dalla riforma Fornero, i lavoratori stagionali avranno meno di tre mesi di copertura con l'indennità di disoccupazione;
   questo in base al meccanismo per il quale a titolo di indennità di disoccupazione viene erogata la metà dei mesi lavorati negli ultimi quattro anni e, per sei mesi lavorati, si percepisce la disoccupazione solo per tre mesi e non per il resto dell'anno;
   con la vecchia indennità denominata Assicurazione sociale per l'impiego (ASPI) i lavoratori stagionali che avevano lavorato per un semestre avevano diritto a percepire l'indennità di disoccupazione per la parte rimanente dell'anno;
   le peculiarità del lavoro stagionale, che non riguarda solo il settore turistico e le attività ad esse connesse, ma anche molti altri settori devono essere riconosciute e i suoi addetti tutelati –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di intervenire con urgenza, anche mediante l'adozione di opportune iniziative normative, al fine di prevedere la tutela dei lavoratori di cui in premessa, se del caso valutando l'ideazione di una specifica categoria di ammortizzatore sociale.
(4-10868)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI e L'ABBATE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è tra i principali produttori ed esportatori mondiali di castagne; in particolare, è il primo esportatore mondiale per valori degli scambi e il secondo per quantità scambiate, dopo la Cina e le castagne prodotte in Italia (Castanea sativa Miller) hanno proprietà organolettiche diverse e spesso superiori rispetto alla specie di castagno di produzione asiatica, tuttavia nel corso di questi ultimi anni la produzione italiana, in termini di quota su quella mondiale, è passata dall'11 al 4 per cento, a seguito di una riduzione della produzione nazionale di circa il 30 per cento (confronto delle annate 1999-2007 e 2012) con punte del 90 per cento;
   tali perdite fanno registrare un considerevole aumento delle importazioni di (castagne: nel 2012 le quantità importate sono quasi triplicate rispetto al 2010 e quasi raddoppiate rispetto al 2011 (dai 7.760.81 chilogrammi del 2011 a 14.453.208 chilogrammi del 2012), importate principalmente dalla Spagna (oltre 4 milioni di chilogrammi), dal Portogallo (oltre 3 milioni di chilogrammi), dalla Turchia (1,5 milioni di chilogrammi) e dalla Cina;
   nel giro di circa trenta anni, le aziende si sono ridotte del 75 per cento e la superficie investita in castagneto da frutto, del 62 per cento e in particolare, tra il 2000 e il 2003, vi è stata una ristrutturazione dei castagneti coltivati che ha portato alla riduzione del 50 per cento del numero delle aziende e del 30 per cento delle superfici: malgrado ciò, nel 2007 i castanicoltori erano ancora circa 34.000;
   le cause della crisi che investe il settore castanicolo sono da ricercare, oltre che nel fenomeno di interdipendenza economica che va sotto il nome di «globalizzazione», nella massiccia infestazione delle superfici investite da parte del cinipide (Dryocosmus kuriphilus yatsumatsu), un imenottero particolarmente dannoso per il castagno, originario della Cina ma ormai ampiamente diffuso in Giappone, Corea e Stati Uniti che è stato segnalato per la prima volta in Italia nel 2002 in provincia di Cuneo, introdotto accidentalmente a seguito dell'importazione di materiale vegetativo (marze) non adeguatamente certificato dal punto di vista fitosanitario;
   il cinipide, che attacca sia il castagno europeo (Castanea sativa Miller), selvatico o innestato, sia gli ibridi euro-giapponesi, determina danni irreversibili, con perdite rilevanti per quanto riguarda la produzione dei frutti e agli accrescimenti legnosi, a seguito del forte depauperamento delle strutture vegetative della pianta, oltre ad ingenerare uno stato di stress che predispone il castagno all'attacco di altre malattie endemiche e non (mal dell'inchiostro, il cancro corticale, cydia intermedia e precoce);
   nel corso dell’iter di conversione del decreto legge 5 maggio 2015, n. 51, recante «Disposizioni urgenti in materia di rilancio dei settori agricoli in crisi, di sostegno alle imprese agricole colpite da eventi di carattere eccezionale e di razionalizzazione delle strutture ministeriali» convertito con modificazioni dalla legge 2 luglio 2015 n. 91, l'articolo 5 del decreto-legge, «accesso al fondo di solidarietà nazionale per le imprese agricole che hanno subito danni a causa di eventi alluvionali e di infezioni di organismi nocivi ai vegetali» è stato modificato come segue;
   al secondo periodo, le parole «nel corso degli anni 2014 e 2015» sono sostituite dalle seguenti: «con priorità per quelli legati alla diffusione del batterio xylella  fastidiosa, del dryocosmus kuriphilus (cinipide del castagno) e della flavescenza dorata, nel corso degli anni 2013, 2014 e 2015, dando la precedenza, nel caso del cinipide del castagno, alle imprese agricole che attuano metodi di lotta biologica»;
   il 26 giugno 2015 è stato approvato il decreto della Giunta regionale del Lazio n. 309 «Proposta di declaratoria di eccezionalità dei danni causati dal Cinipide galligeno del castagno (Dryocosmus kuriphilus), FR, RI, RM, VT» che prende atto dei danni causati dall'organismo nocivo Cinipide galligeno del castagno dal 1o gennaio al 31 dicembre 2014 e che li valuta in termini di produzione lorda vendibile ordinaria come riportato nell'Allegato «A»;
   il 24 settembre 2015 è stato pubblicato il decreto ministeriale 3 settembre 2015 del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali «Dichiarazione carattere eccezionalità danni provocati cinipide del castagno (dryocosmus kuriphilus) verificatisi nella Regione Lazio» che esamina la declaratoria di eccezionalità dell'infestazione della fitopatia «cinipide» per l'applicazione nei territori danneggiati delle provvidenze del Fondo di solidarietà nazionale dal 1o gennaio 2014 al 31 dicembre 2014 nelle province di Frosinone, Rieti, Roma e Viterbo;
   gli interventi previsti dal Fondo di solidarietà nazionale a sostegno delle imprese agricole danneggiate da calamità naturali e da eventi climatici avversi, di cui l'articolo 5, comma 2, lettere a) e d) del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, prevedono contributi in conto capitale fino all'80 per cento del danno accertato sulla base della produzione lorda vendibile;
   le imprese agricole danneggiate dalle infestazioni di cinipide del castagno ricadenti nel territorio delimitato dal DGR, hanno potuto presentare domanda di contributo all'Area Decentrata Agricoltura competente per territorio, entro il termine perentorio di 45 giorni dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale;
   l'allegato 5 del decreto della giunta regionale n. 309; prevede che per il calcolo del danno alle produzione agricole, si è tenuto conto delle produzioni medie riscontrate nel triennio 2007/2008/2009 e dei prezzi medi, riferiti allo stesso periodo, pubblicati sul sito della CCIAA della Provincia di Viterbo;
   possono beneficiare degli interventi compensativi le imprese agricole in possesso dei requisiti previsti dall'articolo 2135 del codice civile, ivi comprese le cooperative che svolgono l'attività di Produzione agricola, e dell'iscrizione all'albo delle imprese agricole presso la Camera di commercio che abbiano subito danni superiori al 30 percento della produzione lorda vendibile ordinaria, sulla base del confronto tra la produzione lorda ordinaria nell'anno oggetto di indennizzo e la relativa produzione annuale lorda in un anno normale, quest'ultima calcolata prendendo come riferimento i prezzi medi e le rese medie del triennio 2007/2008/2009 –:
   quali siano le ragioni per le quali nel decreto del Ministero della politiche agricole alimentari e forestali del 3 settembre 2015, non venga annoverata la provincia di Latina che nei comuni di Rocca Massima, Norma e Bassiano, presenta aree castanicole meritorie dell'indennizzo;
   con quali modalità monitorerà l'attuazione dell'articolo 5 del decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, modificato dalla legge 2 luglio 2015 n. 91, che dà la precedenza nella riscossione degli indennizzi, alle imprese castanicole che attuano metodi di lotta biologica;
   se intenda chiarire la divergenza sugli anni «normali» o di «produzione ordinaria» da prendere in considerazione, visto che l'articolo 5, comma 2, lettere a) e d) del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, a cui rimanda il decreto del Ministero della politiche agricole alimentari e forestali del 3 settembre 2015, prevede contributi in conto capitale fino all'80 per cento del danno accertato sulla base della produzione lorda vendibile ordinaria del triennio precedente (quindi 2011/2012/2013), e il decreto della giunta regionale 309 all'allegato 5 prevede, per il calcolo del danno alle produzione agricole, le produzioni medie riscontrate nel triennio -2 07/2008/2009 e dei prezzi medi riferiti allo stesso periodo, pubblicati sul sito della Camera di commercio industria e artigianato della provincia di Viterbo;
   se il triennio 2007/2008/2009 possa essere definito «periodo normale» o di «produzione ordinaria» visto che in molte aree castanicole si sono segnalate gravi infestazioni con conseguenti perdite di produzione già a patire dal triennio 2004;
   per quale ragione sia previsto l'indennizzo per la mancata produzione dell'annata 2014 quando si sono avute «produzioni pari a zero» anche nel corso degli anni 2010/2011/2012/2013/2015;
   se ritenga adeguate le valutazioni dei prezzi provenienti dalle statistiche della Camera di commercio industria e artigianato e se a tal proposito si siano attuate tutte le consultazioni necessarie coi produttori castanicoli e con le loro rappresentanze, per l'individuazione dei prezzi;
   se l'iscrizione dell'impresa presso le Camera di commercio industria e artigianato, condizione «sine qua non» per ottenere gli indennizzi, non sia preclusiva delle altre realtà in possesso di partita IVA ma non iscritte alle camere di commercio. (4-10872)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   CAPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nell'ottobre 2012, con delibera 400/12, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) ha definito unità essenziali al sistema elettrico nazionale la centrale termoelettrica di Ottana Energia, la centrale di E.on Fiume Santo e quella di Enel Sulcis;
   il progetto del Galsi su cui si basava la conversione della centrale termoelettrica di Ottana è stato di fatto congelato, e la giunta regionale della Sardegna non ha potuto che adeguarsi, uscendo dalla compagnia sociale di Galsi;
   rispondendo all'interrogazione a risposta scritta n. 4-05841, a firma Capelli, presentata il 7 agosto 2014, il Vice Ministro De Vincenti l'8 aprile 2015 al riguardo affermava: «Un ulteriore rinvio della decisione di investimento da parte dell'azionista di maggioranza algerino della società Galsi, è il segnale che il ritardo della realizzazione del progetto Galsi e quindi della metanizzazione dell'isola, è da imputarsi alla crisi del mercato energetico che non favorisce e non sostiene tale investimento. Tuttavia il Ministero nell'ottica del citato progetto di metanizzazione si è attivata, su richiesta della regione, promuovendo e supportando degli incontri con la regione medesima, la società Galsi e la società Snam Rete Gas, al fine di individuare soluzioni alternative progettuali relative alla metanizzazione dell'isola»; 
   apprezzabile l'impegno del Governo ma certamente non sufficiente per sanare una situazione che nel corso del tempo è divenuta sempre più complessa;
   nel suo «Rapporto annuale in materia di monitoraggio dei mercati elettrici a pronti, a termine e dei servizi di dispacciamento. Consuntivo 2013», si osservava, infatti, che i prezzi medi su MSD (Mercato dei Servizi di Dispacciamento) nel corso del 2013 avevano fatto registrare un differenziale tra prezzi a salire e prezzi a scendere pari ad un incremento del 13 per cento per quel che riguardava il continente, mentre si riduceva sulle isole;
   in particolare il succitato rapporto osservava che «In Sardegna la riduzione è stata del 90 per cento a seguito dell'inserimento di Ottana Energia nella lista degli impianti essenziali per la fornitura di Riserva Secondaria»;
   si trattava di un risultato importante, raggiunto proprio grazie all'inserimento di Ottana Energia nelle liste degli impianti essenziali;
   nel febbraio 2014 regione Sardegna varava il «Piano Energetico ed Ambientale della Regione Sardegna» nel quale, per la centrale di Ottana, era prevista una riconversione a metano «con la finalità del servizio ancillare alla rete»;
   nello stesso documento si legge, inoltre, che «In particolare la Regione si pone l'obiettivo nell'ambito delle azioni interne ai distretti energetici di promuovere contestualmente con il territorio, le azioni consentite per una riconversione a metano entro il 2020 della suddetta centrale cogenerativa per il superamento dell'attuale configurazione ad olio combustibile. La Regione si impegna pertanto a porre in essere in sinergia con gli enti locali interessati e lo Stato quanto necessario per raggiungere tale obiettivo»;
   la mancanza di una fornitura di gas naturale ha condizionato negativamente tutto il sistema energetico regionale, vincolando l'avvio della realizzazione della rete di trasmissione interna ed esterna, rendendo potenzialmente inefficace, in quanto non remunerativo, l'utilizzo delle reti urbane o comprensoriali di distribuzione del gas, in quanto non collegate tra loro in un'unica rete; 
   dopo il ricordato congelamento del progetto Galsi, la Regione Sardegna, con ordine del giorno n. 5 del 27 maggio 2014, approvava l'impegno a richiedere al Governo «l'attivazione delle disponibilità finanziarie occorrenti per il mantenimento dei regimi di essenzialità energetica attualmente vigenti in Sardegna, nonché per la perequazione, nelle more del compimento del processo di metanizzazione, dei maggiori costi energetici gravanti sulle famiglie e su le imprese della Sardegna»;
   invece, il decreto-legge 90 del 2014 recante «Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari», convertito con modificazioni dalla legge 114 del 2014, garantiva il sistema di essenzialità delle centrali elettriche siciliane sopra i 50 mega watt, disponendo contestualmente la cancellazione della macro-zona Sardegna-Sicilia;
   due decisioni che, unite, al blocco del progetto Galsi, hanno suscitato gravi preoccupazioni in Sardegna per una assolutamente prevedibile crisi di tutto il sistema della produzione energetica sarda;
   al riguardo fu presentato un ordine del giorno, a prima firma Capelli, (n. 9-02568-Ar/002), accolto dal Governo, nel quale si chiedeva di valutare gli effetti applicativi delle decisioni prese, in modo da prendere iniziative per sanare «questo vero e proprio vulnus inferto a tutto il sistema energetico sardo» con la cancellazione del sistema di essenzialità;
   sempre a prima firma Capelli, come detto, era stata presentata un'interrogazione a risposta scritta (n. 4-05841), che ha avuto risposta l'8 aprile 2015 da parte dell'allora sottosegretario allo Sviluppo economico De Vincenti;
   nella risposta, non del tutto soddisfacente, si legge tra l'altro «Nel merito, si fa presente che, secondo i dati del Gestore dei mercati energetici, il valore medio del prezzo dell'energia sul mercato del giorno prima (Mgp) nel 2013 in Sardegna si è attestato al valore di 61,52 euro/MWh, addirittura inferiore al valore del prezzo unico nazionale (Pun), il cui valore è stato 62,99 euro MWh. Occorre precisare che il prezzo dell'energia elettrica in Sardegna si è allineato al Pun solo negli ultimi due anni, infatti fino al 2011 si attestava su valori di circa 1015 euro superiori ai valori del Pun; a tal riguardo è di rilievo il ruolo del cavo Sapei, entrato in servizio nel 2012 e che ha contribuito ad allineare il prezzo della Sardegna a quello delle altre zone continentali. Discorso completamente diverso per la Sicilia, dove il mancato completamento del cavo Sorgente-Rizziconi ha lasciato immutate le condizioni che hanno determinato un prezzo medio annuo ben più elevato, che nel 2013 è stato di 92,00 euro/MWh, quindi superiore di quasi 30 euro al prezzo sardo. Si segnala, inoltre, che anche nel 2014 la Sardegna ha avuto prezzi allineati al resto delle zone continentali mentre la Sicilia si è attestata su prezzi superiori di circa 30 euro, tra cui spicca il dato di agosto 2014, quando nell'Isola è stato rilevato un prezzo di ben 102,15 euro MWh a fronte di un Pun a 47,17 euro/MWh. I dati appena mostrati sono utili a far evidenziare le motivazioni che hanno portato il Governo ad intervenire per cercare di contenere i prezzi dell'energia in Sicilia, ed a tal proposito si rileva il dato del mese di gennaio 2015 quando, proprio grazie alla norma citata, il gap di prezzo tra la Sicilia ed il resto delle zone si è ridotto a poco più di 10 euro/MWh. Il regime di essenzialità per gli impianti siciliani è quindi un modo che ha l'effetto di ridurre il prezzo zonale dell'energia nell'Isola, e quindi il prezzo pagato ai produttori, ma di conseguenza produce una diminuzione del prezzo sul fronte della domanda (Pun) a livello nazionale (...).prezzi continentali, ricaverà un evidente beneficio da tale norma (diminuzione del Pun). Sul fronte dell'offerta, invece, il provvedimento appare neutro nei confronti dei produttori in Sardegna, il cui prezzo zonale è ormai allineato a quello delle altre zone grazie al Sapei, appare quindi neutra per i produttori sardi anche la decisione di eliminare le macro zone Insulari»;
   apprezzabile la risposta, documentata, ma che non sembra cogliere i rischi che la scelta del Governo ha, invece, causato a tutto il settore della produzione di energia in Sardegna;
   con delibera dell'AEEG n. 500 del 16 ottobre 2014, la centrale di Ottana energia, così come le altre sarde dichiarate essenziali, hanno visto una proroga di tale modalità di esercizio sino all'aprile 2015, e successivamente sino al dicembre 2015;
   fonti a stampa (in particolare «Il Sole 24 ore» del 23 ottobre 2014) informano che gli impianti E.On Fiume Santo ed Enel Sulcis figurano tra gli impianti in possibile chiusura;
   tale possibilità potrebbe causare la perdita di interesse da parte delle grandi multinazionali per la riattivazione di grosse industrie energivore sarde, quali Alcoa;
   la chiusura di tutto il sistema della produzione energetica in Sardegna porterebbe la regione ad essere del tutto priva di impianti produttivi di potenza programmabile;
   lo stato di declino dei grandi poli industriali del Sulcis, di Porto Torres e di Ottana sono da addebitare in gran parte al deficit strutturale dell'approvvigionamento energetico, così come la diminuita competitività dell'industria ancora presente;
   inoltre, tale assetto produttivo non garantirebbe la sicurezza del sistema elettrico sardo, e comporterebbe la perdita occupativa diretta di circa 800 addetti, più indotto;
   il 2 ottobre 2015 la giunta regionale della Sardegna ha approvato la delibera 48/2013 in cui vengono approvatele linee guida del Piano energetico ambientale regionale, nel quale tra l'altro si legge che «Per la metanizzazione della Sardegna l'Assessore ricorda che, a seguito dell'accantonamento del progetto GALSI, il tema ha assunto una rilevanza tale che implica un focus specifico nel PEARS con la possibilità, da valutare in sede di predisposizione dell'aggiornamento della proposta tecnica, di affrontare gli aspetti di dettaglio da un punto di vista tecnico e amministrativo attraverso la predisposizione di un piano attuativo dedicato. Tale impostazione metodologica è supportata anche dagli esiti del confronto in corso con il Governo sulle modalità di approvvigionamento di gas naturale per l'isola, nel quadro della strategia nazionale GNL.»;
   risulta che l'estensione del regime di essenzialità alle centrali siciliane di potenza superiore ai 50 mega watt dovrebbe essere esteso a tutto il primo semestre 2016 –:
   quali ulteriori iniziative di competenza intenda il Governo attuare per evitare la fermata delle centrali elettriche sarde dopo il mese di dicembre 2015, chiarendo, in particolare, se intenda prevedere la proroga del regime di essenzialità, come previsto per la Sicilia, e quali azioni il Governo stia già intraprendendo per contribuire alla soluzione della metanizzazione della Sardegna, unica regione europea priva di tale infrastruttura fondamentale per la competitività del sistema industriale della Sardegna. (4-10874)

Apposizione di una firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Quintarelli e altri n. 1-01031, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Maietta e contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Quintarelli, Coppola, De Lorenzis, Gitti, Maietta, Migliore, Paglia, Palmieri, Tancredi, Brunetta, Dellai, Lupi, Monchiero, Pisicchio, Rosato, Scotto».

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Ricciatti e altri n. 7-00703, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Galgano.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Businarolo n. 1-00783, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 404 dell'8 aprile 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    il quadro generale relativo all'universo delle società partecipate presenta risvolti piuttosto allarmanti: la «giungla» di partecipate, secondo la definizione data nel 2013 dall'allora commissario straordinario alla spending review Carlo Cottarelli, conta ad oggi circa 7.500 partecipate pubbliche. Una miriade di società, come evidenziato dal procuratore generale presso la Corte dei conti, Salvatore Nottola, nel suo giudizio sul rendiconto generale dello Stato per il 2014, che sono costate alle casse statali circa 26 miliardi di euro. Secondo l'ultima rilevazione della Corte dei conti, le partecipate sono così suddivise: 50 dallo Stato e 5.258 dagli enti territoriali, cui si sommano altri 2.214 organismi di varia natura (come consorzi e fondazioni), anche se si tratta di un numero variabile perché le società sono soggette a frequenti modifiche dell'assetto;
    negli ultimi anni si è assistito a diversi interventi legislativi diretti a sottoporre le suddette società a misure di contenimento della spesa e a regole di trasparenza, ma, allo stato attuale, è necessario un disegno di ristrutturazione organico e complessivo, che preveda regole chiare e improntate alla trasparenza, criteri razionali di partecipazione ed un sistema di controlli più efficace;
    il dissesto delle partecipate trascina con sé quello degli enti locali, mettendo a rischio i conti pubblici ed alimentando l'indebitamento dello Stato. Non bisogna, inoltre, dimenticare che, molto spesso, le regole restrittive imposte dal patto di stabilità interno inducono gli enti locali ad intaccare i servizi pubblici utili alla collettività, al fine di far quadrare i propri bilanci;
    tutto ciò rende assolutamente necessario un progetto generale di riorganizzazione serio ed improcrastinabile ed un intervento efficace che preveda forme di coinvolgimento diretto della cittadinanza nella scelta dei candidati per la nomina dei consigli di amministrazione delle società partecipate dagli enti stessi;
    un esempio di tale coinvolgimento è rappresentato dal comune di Napoli dove, il 9 marzo 2015, il consiglio comunale ha approvato la delibera per un nuovo statuto della azienda speciale Abc (Acqua bene comune) Napoli, con il quale è stata istituzionalizzata la partecipazione democratica nel consiglio di amministrazione della stessa, mentre si escludono le partecipazioni a società per azioni, e si apre, inoltre, ai consorzi di comuni per l'acqua pubblica;
    tale coinvolgimento, che ha riscontrato il gradimento dei cittadini, è finalizzato a garantire la trasparenza e la chiarezza nella scelta dei candidati, soprattutto al fine di evitare i cosiddetti «poltronifici», con il conferimento di incarichi a soggetti non meritevoli;
    resta ferma la necessità di un intervento legislativo mirato a ridurre i costi elevati e gli sprechi collegati alla moltitudine eccessiva di società partecipate,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative per introdurre l'obbligo, nella selezione per le nomine dei candidati dei consigli di amministrazione delle società partecipate dallo Stato e da altri soggetti pubblici:
    a) di audire i candidati e rendere pubbliche tali audizioni, dandone comunicazione anche sul portale degli enti interessati, permettendo ai cittadini di intervenire rivolgendo domande ai candidati sui curricula vitae, sulle attitudini e sulle competenze;
    b) di prevedere che l'audizione sia preceduta da un periodo di almeno dieci giorni in cui i cittadini possano inviare osservazioni via web di cui si terrà conto nel corso della discussione e deliberazione sulle nomine;
    c) di pubblicare, per i singoli candidati, sul portale degli enti interessati, il curriculum vitae e il certificato penale.
(1-00783)
(Nuova formulazione) «Businarolo, Agostinelli, Ferraresi, Sarti, Bonafede, D'Ambrosio, Colletti, Pesco, D'Incà, Dieni, Nuti, Toninelli, Cozzolino, Cecconi».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Palese n. 1-01024, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 505 del 19 aprile 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    l'Unione europea ha sviluppato, negli ultimi anni, in materia di fitofarmaci una normativa molto articolata, completa ed in continuo aggiornamento (recepita a livello nazionale e che sta completando l'implementazione a livello regionale), in relazione alla quale si riportano le osservazioni seguenti;
    il suddetto quadro normativo europeo – e di conseguenza nazionale – è formato da due grandi blocchi normativi che verranno trattati separatamente: uno riguarda l'immissione in commercio dei fitofarmaci e l'altro l'utilizzo sostenibile dei fitofarmaci;
    per quanto riguarda l'immissione in commercio dei fitofarmaci, gli agricoltori non sono direttamente coinvolti nelle procedure definite dal processo normativo, ma ne subiscono comunque le conseguenze;
    l'approccio della politica europea nei confronti dei fitofarmaci è decisamente improntato al miglioramento degli standard di sicurezza e di impatto sull'ambiente;
    questo approccio, condivisibile, qualora venga tradotto automaticamente in un attacco verso la difesa delle colture, rischia però di avere degli effetti negativi sulla disponibilità di sostanze attive e prodotti fitosanitari per un'efficace difesa delle colture stesse;
    il reiterarsi nel tempo di alcune richieste di uso eccezionale dipende da diversi fattori: a) in primo luogo, le variazioni climatiche in corso espongono le colture a fitopatie improvvise ed incontrollabili; b) in secondo luogo, c’è da considerare che il processo di revisione delle sostanze attive (direttiva n. 91/414/CEE), portato avanti negli ultimi anni, ha determinato una sostanziale riduzione delle sostanze attive disponibili per la difesa fitosanitaria. La carenza di principi attivi nella difesa fitosanitaria di una coltura ha come possibile effetto collaterale anche l'insorgere di resistenze ai principi attivi disponibili e, quindi, un aumento nell'uso di fitofarmaci;
    la revisione dei prodotti fitosanitari ha già portato al ritiro dal mercato di quasi il 70 per cento delle sostanze attive. Il processo di revisione europea non solo ha comportato l'uscita dal mercato di numerosi prodotti con ampia gamma di colture in etichetta (nel caso delle colture minori non sono stati sostituiti, con conseguente impoverimento dei mezzi di difesa), ma ha anche determinato le circostanze per cui gli stessi prodotti a base di sostanze incluse possono aver subito limitazioni nel numero di colture autorizzate o nelle modalità di impiego;
    in tale quadro si inserisce anche la revisione della direttiva sulla commercializzazione dei prodotti fitosanitari (regolamento (CE) n. 1107/2009) che potrebbe causare un'ulteriore perdita di sostanze attive dal 9 al 25 per cento: con i criteri cut-off in fase prevalutativa, sulla base della classificazione di pericolo delle sostanze; con la valutazione comparativa legata al principio di sostituzione che rischia di divenire un ulteriore sistema di limitazione nell'uso dei principi attivi;
    il risultato è che, per alcune avversità ed alcune colture, specialmente quelle minori, attualmente è già complesso impostare una corretta difesa fitosanitaria e gestire il possibile sviluppo di resistenza agli agrofarmaci da parte dei patogeni; situazione che, sicuramente, diventerà sempre più problematica negli anni futuri;
    alcuni gruppi di parassiti risultano essere da diverso tempo di difficile controllo a causa della mancata inclusione di sostanze attive utili nel regolamento comunitario che ha determinato l'assenza sul mercato di prodotti fitosanitari efficaci nella lotta di determinate fitopatologie;
    tale situazione viene tamponata in via temporanea con autorizzazioni straordinarie che rappresentano, per questi casi, l'unica strada normativa percorribile;
    senza gli opportuni mezzi tecnici le aziende perdono competitività, a fronte di un mercato italiano sempre più aperto alle importazioni di prodotti agricoli provenienti da altri Paesi (europei e non), dove spesso è possibile utilizzare prodotti fitosanitari vietati in Italia;
    la gestione differente di tali autorizzazioni da parte dei vari Paesi europei e non sta creando le condizioni per una concorrenza commerciale sleale nei confronti dell'Italia;
    accade, infatti, che nel nostro Paese venga vietato l'utilizzo di alcuni principi attivi/agrofarmaci su determinate colture, quando in altri Paesi concorrenti, come Spagna o Francia, gli stessi principi attivi/agrofarmaci continuano ad essere utilizzati. Questo, di fatto, provoca un vantaggio competitivo per i produttori di quei Paesi che possono contare su costi di produzione minori, su rendite più alte e difettosità minori rispetto ai produttori italiani;
    è dunque indispensabile prevedere specifici meccanismi di consultazione delle organizzazioni agricole e rafforzare il lavoro congiunto con i Ministeri competenti, in modo da ottimizzare il lavoro di tutte le parti coinvolte ed evitare che le azioni previste possano rivelarsi eccessivamente onerose per il sistema;
    l'utilizzo sostenibile dei prodotti fitosanitari è l'oggetto della direttiva n. 2009/128/CE, recepita in Italia dal decreto legislativo n. 150 del 2012. La direttiva prevede che ciascuno Stato membro elabori un piano d'azione nazionale per definire obiettivi quantitativi, misure, tempi, in definitiva una strategia operativa, per raggiungere, nel tempo, una serie di obiettivi articolati, come quelli che la direttiva stessa impone. Il decreto legislativo ha incaricato un consiglio tecnico-scientifico dell'elaborazione e della gestione nazionale del piano;
    il piano d'azione nazionale è entrato in vigore il 13 febbraio 2014, dopo un lungo periodo nel quale c’è stata anche una consultazione con gli stakeholders. Il testo derivato da questo processo è piuttosto complesso e articolato nella forma e, in molti casi, rimanda a successivi interventi, soprattutto a livello regionale, ma anche a livello nazionale, sotto forma di decreti, linee guida e altro, che dovranno essere prodotti nei mesi e negli anni a venire, dal consiglio stesso, che continua pertanto a lavorare, o dai Ministeri delle politiche agricole, alimentari e forestali e/o dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
    peraltro, c’è da considerare il fatto che in Italia anche a livello normativo non si parte da zero. Molte delle misure previste dalla direttiva (e dal piano d'azione nazionale) sono attuate in Italia già da diverso tempo: si pensi, ad esempio, al sistema della formazione (in vigore dal 1968 e perfezionato nel tempo), o allo strumento della lotta integrata;
    il piano d'azione nazionale rimanda la definizione di molti aspetti tecnici ad una serie di linee guida, sulla base delle quali le regioni dovranno implementare le varie misure a livello locale, con il rischio di una disomogenea applicazione sul territorio;
    a titolo esemplificativo, il 26 marzo 2015 sono state pubblicate le linee guida di indirizzo per la tutela dell'ambiente acquatico e dell'acqua potabile e per la riduzione dell'uso di prodotti fitosanitari e dei relativi rischi nei siti «Natura 2000» e nelle aree naturali protette;
    tali linee guida impongono a regioni e province autonome il compito di individuare le misure per poter impiegare in modo sostenibile i prodotti fitosanitari, secondo criteri di proporzionalità, fino ad arrivare alla limitazione d'uso di specifici prodotti. È demandata alle regioni la possibilità di rendere le misure individuate volontarie o obbligatorie;
    tra le prime regioni ad essersi mosse vi è la Lombardia che ha, di fatto, emanato un vero e proprio piano d'azione regionale in cui, oltre a recepire tutto l'impianto normativo del piano d'azione nazionale, prevede di intervenire in modo pesante sulle coltivazioni di mais, riso e vite, limitando l'uso di principi attivi fondamentali per queste colture. Tutto questo ha un costo che non viene indennizzato;
    le politiche per l'agricoltura sostenibile, invece, dovrebbero essere realizzate prevedendo adeguati sistemi incentivanti, attraverso contributi per chi adotta impegni che vanno al di là degli standard minimi. Questo l'Unione europea l'ha previsto quando ha concepito le misure agroambientali nell'ambito dello sviluppo rurale;
    l'implementazione della difesa integrata, sia quella obbligatoria che quella volontaria, è un'operazione complessa che rischia, se non gestita razionalmente, di penalizzare soprattutto le colture specializzate del Mediterraneo, nonché le colture minori;
    in particolare il livello volontario, a cui occorrerà attenersi per accedere alle misure agroambientali dei programmi di sviluppo rurale, potrebbe essere normato in modo così vincolante da esporre l'agricoltura italiana ad un'ulteriore mancanza di prodotti fitosanitari e, quindi, ad un ulteriore deficit di competitività non solo nei confronti dei Paesi extraeuropei, ma anche nei confronti degli altri Paesi dell'Unione europea in un momento particolarmente delicato dell'agricoltura italiana;
    ciò in relazione al fatto che, se le regioni dovessero decidere di non inserire nei disciplinari alcune sostanze attive, tra cui quelle a cui si applica il principio di sostituzione, per alcune avversità ed alcune colture, potrebbe risultare complesso impostare una corretta difesa fitosanitaria e gestire il possibile sviluppo di resistenza agli agrofarmaci da parte dei patogeni;
    c’è da rilevare che, durante l'elaborazione del piano d'azione nazionale, e successivamente, nella fase della sua implementazione, è stata riscontrata l'assenza di momenti di confronto con i rappresentanti degli imprenditori agricoli, cioè dei soggetti che dovranno mettere in atto gran parte delle misure contenute nel piano d'azione nazionale stesso;
    in particolare, all'interno del consiglio tecnico-scientifico, di cui all'articolo 5 del decreto legislativo n. 150 del 2012, non è prevista né la partecipazione dei rappresentanti delle imprese agricole, né è previsto un suo impegno formale ad una loro consultazione periodica;
    rispetto ai ritardi negli adempimenti, i Ministeri competenti sono stati più volte sollecitati dalle organizzazioni agricole (ad esempio, è stata sollecitata l'adozione del tuttora mancante decreto sui prodotti destinati ad utilizzatori non professionali, che avrebbe dovuto essere pubblicato entro il 26 novembre 2013), che hanno anche segnalato le possibili criticità sulle quali intervenire, programmando per tempo le attività (ad esempio, il controllo funzionale di tutte le attrezzature impiegate per uso professionale da effettuarsi obbligatoriamente entro il 26 novembre 2016);
    la normativa sull'utilizzo sostenibile dei fitofarmaci, per sua stessa natura, può essere attuata efficacemente solo attraverso un percorso fatto di impegni e verifiche, nel quale tutti i soggetti coinvolti dalla normativa (e segnatamente istituzioni, imprese e servizi tecnici) possano pienamente confrontarsi, nel rispetto dei propri ruoli, ma con l'obiettivo comune di far progredire le azioni del piano d'azione nazionale,

impegna il Governo:

   a farsi promotore di un'iniziativa nell'ambito del Consiglio europeo dei Ministri dell'agricoltura, al fine dell'approvazione di una normativa unica comunitaria per evitare le attuali distorsioni della concorrenza interna in materia, a causa del mancato divieto di utilizzo di alcuni fitofarmaci da parte di qualche Stato membro, come descritto in premessa;
   ad assumere iniziative al fine di rivedere il sistema delle autorizzazioni dei prodotti fitosanitari in deroga rilasciate per ragioni di emergenza fitoiatrica disposte ai sensi dell'articolo 53 del regolamento (CE) n. 1107/2009, valutando l'opportunità di interrompere le autorizzazioni eccezionali protratte oltre i 3 anni indicati dall'articolo 30 della medesima disciplina comunitaria;
   ad assumere iniziative normative per incrementare i fondi pubblici da destinare alla ricerca scientifica in agricoltura, per sviluppare prodotti fitosanitari alternativi che possano consentire, in tal modo, di interrompere le autorizzazioni eccezionali;
   a prevedere conseguentemente una linea guida più rigorosa, attraverso una riduzione del ricorso alle deroghe al fine di non stravolgere la reale finalità di emergenza fitoiatrica, che, a causa del continuo ricorso allo strumento della deroga, rischia effettivamente di perdere completamente il suo significato e il suo scopo reale;
   a coinvolgere le organizzazioni di categoria e datoriali, gli enti di ricerca pubblici e privati e le istituzioni regionali al fine di condividere le problematiche e le varie soluzioni, consapevoli che i migliori risultati, in questi campi, si sono ottenuti con la collaborazione e la condivisione;
   ad adottare, entro dodici mesi, gli atti e le misure di competenza previste dal decreto legislativo n.150 del 2012 e dal piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari non ancora emanati, per i quali risultano già scaduti i termini, e a prevedere l'istituzione di un sistema di incentivi di carattere economico al fine di rendere conveniente l'uso di fitofarmaci sostenibili dall'agroambiente, nonché ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché le regioni e le province autonome, che non abbiano ancora provveduto, trasmettano le informazioni indicate all'interno del decreto legislativo n. 150 del 2012, per le quali i termini risultano già trascorsi;
   ad intervenire al fine di incrementare il sistema dei controlli in maniera più stringente sull'uso corretto dei pesticidi in agricoltura, con particolare riferimento al fenomeno del multiresiduo e delle sue possibili ripercussioni sulla salute dei consumatori e dell'ambiente, la cui normativa continua a considerare sempre un solo principio attivo, nonostante se ne riscontrino più di dieci, con potenziali effetti sinergici negativi;
   a rendere noto alle Commissioni parlamentari competenti lo stato dei lavori sulla predisposizione degli atti, delle misure e delle linee guida previsti dal decreto legislativo n. 150 del 2012 e dal piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari.
(1-01024)
(Nuova formulazione) «Palese, Occhiuto, Catanoso».

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Gallinella e Ciprini n. 4-09585 del 24 giugno 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-01790;
   interrogazione a risposta in Commissione Gagnarli n. 5-05897 del 25 giugno 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-01789.