Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 23 ottobre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    l'Arcipelago di La Maddalena, situato a nord-est della Sardegna, in prossimità delle Bocche di Bonifacio, è costituito da una galassia di isole, isolotti, scogli e rocce, modellati dal forte maestrale e dalla corrente delle Bocche;
    le insenature e le cale delle sue isole danno luogo a una miriade di approdi naturali e si mescolano con i colori del mare e delle acque cristalline che hanno reso celebre in tutto il mondo l'Arcipelago, oggi noto non più solo per la spiaggia rosa di Budelli, sottoposta a forti vincoli di conservazione che proibiscono l'accesso all'arenile e allo specchio acqueo antistante e che costituisce indiscutibilmente uno dei fiori all'occhiello dell'Arcipelago e del Parco;
    l'adozione dei provvedimenti istitutivi è stata preceduta – secondo quanto previsto per le regioni a statuto speciale dalla legge quadro sulle aree protette – sulla base di un'intesa tra Stato e regione Sardegna da interventi significativi di tutela e di valorizzazione che coinvolgono la popolazione interessata e che, allo stesso tempo, consentono la fruibilità delle risorse ambientali, storico-culturali e mantengono in vita le consuetudini, gli usi civici e il modello di vita della popolazione residente nell'Arcipelago; l'area protetta è il primo parco nazionale della Sardegna, l'unico in Italia costituito da tutto il territorio di un solo comune;
    il parco nazionale comprende tutta l'area marina dell'Arcipelago di La Maddalena e include anche quella terrestre;
    il parco è istituito con la legge n. 10 del 4 gennaio 1994 e, conformemente alla normativa di riferimento sulle aree protette, il suo ente gestore è disciplinato dal decreto del Presidente della Repubblica (decreto del Presidente della Repubblica) del 17 maggio 1996, che ha anche introdotto le prime norme di salvaguardia;
    il decreto delimita altresì i confini del Parco, che comprendono «tutte le isole e gli isolotti appartenenti al territorio del comune di La Maddalena, nonché le aree marine circostanti»: un'estensione costiera di oltre 180 chilometri, pari a circa un decimo dell'intera Sardegna;
    il parco nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena, insieme al parco nazionale dell'Arcipelago toscano, è attualmente uno dei due parchi nazionali italiani che mantengono, tra le proprie norme istitutive, un'estensione sia terrestre, nel caso dell'area protetta sarda pari a 5.100 ettari, sia marina, per circa 15.000 ettari;
    l'Isola di Budelli, situata poco più a nord di quella di Spargi, è famosa per la mitica spiaggia rosa. L'arenile color corallo, l'intensità cromatica dei colori del mare e le forme dei graniti che cingono la cala costituiscono uno spettacolo unico al mondo. Un monumento naturale unico nel suo genere;
    la spiaggia rosa di Budelli – immortalata dal regista Michelangelo Antonioni con una lunghissima sequenza nel film «Deserto rosso» – è situata a sud-est dell'isola di Budelli nell'Arcipelago di La Maddalena ed è così definita per via del suo caratteristico colore rosa corallino. In realtà ciò dipende dalla presenza nella battigia di gusci calcarei di Miniacina miniacea, un protozoo foraminifero, il cui habitat viene individuato presso i rizomi di Posidonia oceanica, la fanerogama marina più importante del mar Mediterraneo;
    la famosa spiaggia rosa è una delle aree più tutelate dell'intero Arcipelago di La Maddalena, giacché da sempre sono vietati l'accesso all'arenile, il transito o la sosta dei mezzi nautici nello specchio acqueo antistante e la balneazione. Grazie alle leggi istitutive e alle apposite ordinanze emanate negli anni, la spiaggia rosa è attualmente protetta integralmente;
    sull'isola di Budelli, da tempo, si registra una situazione grave e lesiva del diritto della Sardegna di disporre totalmente di quel bene proprio per la sua rilevanza naturalistico – ambientale e per il pericolo che tale patrimonio possa essere affidato a logiche privatistiche in contrasto alla necessaria tutela del bene;
    le modifiche di allentamento dei vincoli per l'Isola di Budelli, proposte a maggioranza dal consiglio direttivo del Parco, con il voto contrario del presidente, rappresentano un gravissimo attentato alla tutela di quel bene, soprattutto perché tale allentamento avviene proprio nel momento in cui al parco non viene riconosciuto il diritto naturale ancor prima che giuridico di tutela del bene;
    in particolar modo la sequenza dei fatti rende chiara l'evoluzione della vicenda:
     il 7 ottobre 2013 è avvenuta l'aggiudicazione dell'Isola al Banchiere M Harte nel procedimento dell'asta fallimentare;
     il 29 novembre 2013 si è avuta l'adozione di una disposizione urgente da parte dell'ente parco per evidenziare la volontà di procedere all'esercizio del diritto di prelazione, previsto dalla legge n. 394 del 1991, per le motivazioni di interesse pubblico connesse ai valori ambientali dell'isola e dell'importanza di questi per l'intero arcipelago di La Maddalena;
     il 27 dicembre 2013 con la legge di stabilità n. 147 del 27 dicembre 2013, al comma 115, è stato disposto lo stanziamento per l'acquisto dell'isola di Budelli in favore del Parco Nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena;
     il 31 dicembre 2013 è stato adottato il programma di gestione e valorizzazione dell'isola di Budelli;
     il 2 gennaio 2014 è avvenuto il deposito dell'atto per l'esercizio del diritto di prelazione da parte dell'Ente Parco;
     il 5 marzo 2014 è stata adottata la proposta di piano del parco nella quale, in coerenza col programma di gestione e valorizzazione dell'Isola di Budelli è stata individuata l'isola quale riserva integrale «Entry no Take»: ossia riserva integrale dove lasciare agire indisturbati i processi ecologici e salvaguardare i molteplici habitat prioritari e le specie di cui alle direttive comunitarie, ma aprendola ad una fruizione contingentata e controllata con accompagnamento di personale specializzato;
     il 10 aprile 2014 il Tribunale per le esecuzioni fallimentari respinge il ricorso del privato sulla dichiarazione di illegittimità dell'atto e sulla richiesta di sospensiva;
     il 27 ottobre 2014 il TAR con sentenza n. 867/2014 respinge il ricorso di Michael Richard Harte e conferma la legittimità della procedura adottata dall'Ente;
     il 22 giugno 2014 (registrato 2 gennaio 2015), con decreto di trasferimento si registra il bene alle disponibilità dell'Ente Parco Nazionale;
     il 13 aprile 2015 il Consiglio di Stato, con sentenza n. 1854/2015 ribalta la sentenza del tribunale amministrativo regionale della Sardegna;
     il 6 ottobre 2015 il consiglio direttivo, nella ridefinizione dei contenuti del piano del parco, decide, a quanto consta all'interrogante con voto contrario del presidente e della rappresentante delle associazioni ambientaliste in seno al consiglio, di abbassare la tutela da riserva integrale a riserva generale contenuta nella stesura del piano adottata nel marzo 2014;
     l'8 ottobre 2015 il tribunale per le esecuzioni fallimentari di Tempio Pausania, rimanda l'udienza relativa alla procedura da adottare alla luce della Sentenza del Consiglio di Stato a febbraio 2017;
     il 20 ottobre 2015 con decisione del tribunale fallimentare di Tempio Pausania viene deciso di revocare l'assegnazione dell'Isola all'ente Parco per assegnarla al privato che dovrà versare le somme dell'acquisto entro 60 giorni per definire la liquidazione del bene a suo favore;
    è indispensabile autorizzare una procedura di esproprio del bene tenendo conto delle attuali misure di salvaguardia e non di quelle proposte dal consiglio direttivo non ancora ratificate;
    in tal senso si richiama la legge 6 dicembre 1991, n. 394, legge quadro sulle aree protette, la quale dispone, in attuazione degli articoli 9 e 32 della Costituzione e nel rispetto degli accordi internazionali, principi fondamentali per l'istituzione e la gestione delle aree naturali protette, al fine di garantire e di promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del Paese;
    nella stessa norma si prevede la tutela del patrimonio naturale, delle formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche, o dei gruppi di esse, che hanno rilevante valore naturalistico e ambientale;
    i territori nei quali siano presenti i valori richiamati, specie se vulnerabili, sono sottoposti, secondo la norma vigente, ad uno speciale regime di tutela e di gestione, allo scopo di perseguire, in particolare, le seguenti finalità:
     a) conservazione di specie animali o vegetali, di associazioni vegetali o forestali, di singolarità geologiche, di formazioni paleontologiche, di comunità biologiche, di biotopi, di valori scenici e panoramici, di processi naturali, di equilibri idraulici e idrogeologici, di equilibri ecologici;
     b) applicazione di metodi di gestione o di restauro ambientale, idonei a realizzare una integrazione tra uomo e ambiente naturale, anche mediante la salvaguardia dei valori antropologici, archeologici, storici e architettonici e delle attività agro-silvo-pastorali e tradizionali;
     c) promozione di attività di educazione, di formazione e di ricerca scientifica, anche interdisciplinare, nonché di attività ricreative compatibili;
     d) difesa e ricostruzione degli equilibri idraulici e idrogeologici;
    i territori sottoposti al regime di tutela e di gestione costituiscono le aree naturali protette. In dette aree possono essere promosse la valorizzazione e la sperimentazione di attività produttive compatibili;
    nella tutela e nella gestione delle aree naturali protette, lo Stato, le regioni e gli enti locali attuano forme di cooperazione e di intesa, ai sensi dell'articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, e dell'articolo 27 della legge 8 giugno 1990, n. 142;
    all'articolo 15 della legge quadro è disposta la norma relativa ad acquisti, espropriazioni ed indennizzi;
    la norma nello specifico prevede al comma 1 che: l'ente parco, nel quadro del programma di cui al comma 7, può prendere in locazione immobili compresi nel parco o acquisirli, anche mediante espropriazione o esercizio del diritto di prelazione di cui al comma 5, secondo le norme generali vigenti;
    l'ente parco, secondo la norma, ha diritto di prelazione sul trasferimento a titolo oneroso della proprietà e di diritti reali sui terreni situati all'interno delle riserve e delle aree di cui all'articolo 12 comma 2, lettere a) e b), salva la precedenza a favore di soggetti privati di cui al primo comma dell'articolo 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590 e successive modificazioni e integrazioni,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative urgenti affinché si possa procedere in via diretta, o attraverso l'ente Parco, all'immediato esproprio del bene e al trasferimento dello stesso al patrimonio dell'Ente Parco;
   ad assumere iniziative per confermare lo stanziamento delle risorse di cui al comma 115 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2014 che prevedeva che al fine di consentire l'esercizio del diritto di prelazione per l'acquisto dell'isola di Budelli, in deroga al comma 1-quater dell'articolo 12 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, è autorizzata la spesa di 3 milioni di euro nel 2014;
   a rendere disponibili le risorse richiamate attraverso il prossimo disegno di legge di stabilità per l'eventuale indennizzo in caso di esproprio;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza che impedisca l'allentamento a favore di privati delle misure di salvaguardia all'interno dell'isola di Budelli;
   ad intraprendere tutte le iniziative necessarie per evitare il ripetersi di simili situazioni e attivare tutte le procedure perché l'intero patrimonio del parco de La Maddalena sia nella piena disponibilità e proprietà pubblica.
(7-00829) «Pili».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'eccezionale evento calamitoso che negli ultimi giorni ha colpito il comprensorio beneventano ha inferto un durissimo colpo anche a tutto il tessuto economico territoriale;
   ingentissimi danni ha subito il pastificio «Rummo», danni che rischiano di mettere in ginocchio uno dei brand maggiormente conosciuti di questo territorio nonché simbolo dell'agroalimentare italiano;
   presso lo stabilimento lavorano circa 1500 addetti a cui bisogna aggiungere un considerevole numero di addetti per quanto concerne l'indotto;
   suddetti dipendenti rischiano di trovarsi senza casa e senza lavoro;
   anche sui social network è partita una catena di solidarietà molto importante per salvare quest'azienda –:
   se e quali iniziative il Governo intenda promuovere nell'ambito degli interventi posti in essere per affrontare complessivamente l'emergenza legata al maltempo, che ha colpito il territorio beneventano, al fine di consentire agli impianti «Rummo» di salvaguardare uno dei simboli dell'agroalimentare made in Italy, una eccellenza del Mezzogiorno, e i suoi posti di lavoro. (5-06771)


   VALLASCAS e CANCELLERI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con l'insediamento del consiglio di amministrazione, avvenuto l'8 ottobre 2015, è terminata la fase commissariale, del nuovo Enit, l'Agenzia nazionale del turismo;
   sino a quella data, il commissario, Cristiano Radaelli, avrebbe lavorato, secondo quanto appreso dagli organi di stampa, al riordino dei conti, alla predisposizione del nuovo statuto dell'organismo nonché alla rimodulazione del nuovo assetto organizzativo in vista degli accresciuti e più articolati compiti attribuiti all'organismo dal decreto-legge n. 35 del 14 marzo 2005 che ha trasformato, dopo circa un secolo di attività, l'Ente nazionale italiano per il turismo in agenzia;
   in prossimità dell'insediamento del consiglio di amministrazione e per riassumere sinteticamente il suo lavoro, Radaelli avrebbe affermato che «È tutto pronto, la fase commissariale finisce, i conti sono stati messi a posto, la struttura riorganizzata e l'ente può ripartire con il nuovo Cda»;
   nel mese di maggio, al momento della nomina di Evelina Christillin (presidente), Antonio Preiti e Fabio Lazzerini, nel nuovo consiglio di amministrazione dell'Enit, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini, avrebbe dichiarato «L'Italia ha ora uno strumento snello, efficiente ed efficace in grado di affrontare le grandi sfide e cogliere le enormi opportunità rappresentate dalla crescita esponenziale del turismo internazionale»;
   nonostante le dichiarazioni del Ministro e dell'ex commissario, sembrerebbe che non tutto sia pronto e che l'organismo sia ancora lontano dall'essere uno strumento snello ed efficace;
   in particolare, sembrerebbe che si siano registrate numerose difficoltà nella ridefinizione dei rapporti di lavoro a causa del nuovo status e del nuovo inquadramento lavorativo che comporterebbe il passaggio dei dipendenti dal vecchio organismo statale al nuovo ente pubblico economico (in alcuni casi ci potrebbero essere riduzioni stipendiali anche del 45 per cento);
   secondo fonti giornalistiche, sarebbero stati avviati diversi ricorsi sia da parte dei dipendenti Enit, che per le richiamate motivazioni sarebbero contrari al passaggio al nuovo organismo, sia da parte dei lavoratori precari di PromuoviItalia, che chiedono di essere inseriti nel settore pubblico;
   è il caso di rilevare che l'ex commissario alla spending review, Carlo Cottarelli aveva inserito l'Enit al secondo posto, dopo il Cnel, tra gli enti pubblici da chiudere;
   l'Enit ha come finalità quella di promuovere l'offerta turistica del nostro Paese nel mondo, ma a questo obiettivo sembra siano destinate solo alcune centinaia di migliaia di euro, a fronte di una media di circa 70 milioni di euro che sarebbero spesi per la promozione turistica da Gran Bretagna, Francia e Spagna;
   buona parte, dei 17,6 milioni di euro che lo Stato destina all'Agenzia, sarebbero impegnati in spese di gestione e nell'erogazione degli stipendi;
   nel 2014, i 78 dipendenti dell'Enit sono costati 6,7 milioni di euro, una media di 85.363 euro a testa e, secondo quanto hanno riferito alcuni organi di stampa, 20 mila euro in più di quanto abbiano guadagnato in media i dipendenti della Casa Bianca;
   nel corso di questi anni, l'Enit avrebbe sostenuto spese eccessive, che sono state oggetto dei tagli apportati dal commissario: da riferire i costi sostenuti per le sedi estere, per le indennità dei manager e del personale distaccato all'estero;
   nonostante i tagli apportati dalla gestione commissariale e vista la situazione di incertezza che sta determinando il procedimento in corso per il nuovo inquadramento dei dipendenti, l'Enit non risulterebbe essere un organismo in grado di affrontare con efficienza, efficacia e competitività le sfide che lo sviluppo del mercato turistico internazionale imporrebbe –:
   se corrisponda al vero quanto esposto in premessa;
   quali siano le risultanze del lavoro svolto nel corso della fase commissariale dell'organismo, con particolare riguardo agli esiti del processo di riordino dei conti e alla rimodulazione del nuovo assetto organizzativo;
   quale sia lo stato di attuazione della riorganizzazione dell'Enit – Agenzia nazionale del turismo, nonché le risorse economiche e la dotazione di personale su cui l'organismo può disporre;
   se non considerino prematuri la nomina e l'insediamento del nuovo consiglio di amministrazione dell'Enit, in relazione ai ritardi che sta subendo il processo di riordino dell'organismo. (5-06773)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRUGNEROTTO e D'INCÀ. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 4 ottobre 2015 nel corso della trasmissione televisiva «In mezz'ora» il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi dichiarò alla giornalista Lucia Annunziata che sarebbe intenzione del Governo dare disposizione affinché, a partire dal 2016, il canone RAI venga addebitato sulla bolletta dell'elettricità per un importo pari a 100 euro e mettendo l'accento sul fatto che si intenderebbe quindi procedere anche a una sua diminuzione dagli attuali 113,5 euro;
   secondo quanto riportato dal sito di Altroconsumo «l'obbligo di pagamento del canone di abbonamento RAI-TV è previsto dall'articolo 1 del regio decreto-legge n. 246/38: in base a tale norma l'obbligo di pagare il canone sorge a seguito «della detenzione di uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive indipendentemente dalla qualità o dalla quantità del relativo utilizzo;
   in altri termini, questo significa che chiunque abbia uno o più apparecchi televisivi deve, per legge, pagare il canone di abbonamento TV; trattandosi di un'imposta sulla detenzione dell'apparecchio, il canone deve essere pagato indipendentemente dall'uso del televisore o dalla scelta delle emittenti televisive; pertanto, la destinazione dell'apparecchio televisivo a un uso diverso (visione di nastri preregistrati, utilizzazione come terminale per home-computer o come monitor per video-game) non ne esclude l'adattabilità alla ricezione delle trasmissioni televisive e conferma l'obbligo a pagare il canone di abbonamento;
   a parere dell'interrogante, il proposito del Presidente del Consiglio Renzi si fonda sul presupposto erroneo che l'essere titolari di un'utenza elettrica comporti automaticamente il possesso di un apparecchio televisivo, considerazione che, oltre a essere fondata sul semplice buon senso, è rafforzata ulteriormente dal fatto che, come dice la legge in vigore, il pagamento del canone scaturisce dalla detenzione di uno o più apparecchi e non dalla titolarità di un'utenza elettrica;
   attualmente chi possiede due o più case è obbligato al pagamento di un unico canone, come previsto dalla legge 6 agosto 1990, n. 223 articolo 27, al comma 2, «il pagamento del canone di abbonamento alla televisione consente la detenzione di uno o più apparecchi televisivi a uso privato da parte dello stesso soggetto nei luoghi adibiti a propria residenza o dimora»; quindi legando il canone alla titolarità di una bolletta elettrica, chi possiede una seconda casa si ritroverebbe a pagare più canoni;
   in un recente articolo apparso ne la Stampa, il presidente di Assoelettrica Chicco Testa dichiara «Mettere il canone Rai in bolletta resta un gran pasticcio, restiamo contrari. In questo modo il consumatore non saprebbe infatti più cosa sta pagando e noi non riusciremo più a fare il nostro mestiere; è un errore considerare che chi è titolare di un contratto elettrico possieda anche una tv e viceversa»; ci sarebbe inoltre il problema degli uffici e degli esercizi commerciali: alcuni hanno la tv, altri no. In più, spiega il presidente di Assoelettrica, «non accettiamo che la bolletta, che già ha un 50 per cento di voci non connessi alla fornitura di energia, possa contenere altre cose. Così la bolletta diventa un vagone pieno di cianfrusaglie, che trasporta di tutto e il consumatore non sa più cosa paga». Ci sarebbero inoltre dei problemi legati alla privacy e legati ai possibili futuri contribuenti morosi. Infatti nel caso in cui un utente non pagasse il canone cosa succederebbe ? «È immaginabile arrivare al distacco delle forniture per il mancato pagamento di importi che nulla hanno a che vedere con la fornitura elettrica, col rischio di incorrere nel reato di interruzione di pubblico servizio». Per Assoelettrica «come misura anti-evasione anche questa denota molte criticità legali e applicative e nulla cambierebbe rispetto al passato, se non l'introduzione di ulteriori costi e rischi aggiuntivi per i venditori di elettricità, che inevitabilmente non potranno non riflettersi nelle bollette» –:
   se siano a conoscenza delle innumerevoli criticità (sollevate anche da Altroconsumo e da Assoelettrica) che tale intervento provocherebbe, e se non intendano riconsiderarne l'adozione, così come annunciato, nell'ambito del disegno di legge di stabilità per l'anno 2016. (4-10860)


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   secondo diverse recenti fonti di stampa si apprende che: «Non c’è solo Ignazio Marino a finire nei guai per le spese sostenute da sindaco. Stavolta in ballo potrebbe esserci addirittura il premier perché la Procura presso la Corte dei conti di Firenze avrebbe aperto un fascicolo sulle spese di rappresentanza sostenute dall'allora primo cittadino Matteo Renzi»;
   un ristoratore fiorentino, Lino Amantini, titolare dell'omonima trattoria a Firenze, avrebbe rivelato al Fatto quotidiano di pranzi e cene dell'attuale premier quando era sindaco, l'ultima delle quali con la moglie Agnese incinta dell'ultimo figlio, dicendo che «Renzi non era mai solo e portava la qualunque. Sa quante tavolate, feste, pranzi e cene di lavoro qui dentro ? Un'infinità. E poi si mandava la fattura direttamente al municipio. Da quando Matteo è andato a Roma m’è calato parecchio l'incasso»;
   Matteo Renzi due giorni fa ha risposto al «Fatto quotidiano» che aveva intervistato il ristoratore con un sms, smentendo ogni accusa e puntualizzando che avrebbe fatto fare «una nota ufficiale, lo dico a Filippo Sensi», ma secondo il Fatto quotidiano quella nota non è mai arrivata;
   la Corte dei conti della Toscana avrebbe chiesto «approfondimenti» a Palazzo Vecchio sulle spese di rappresentanza rendicontate sostenute dal 2012 in poi, chiedendo, ad esempio, se di quel pranzo sostenuto in occasione di un «incontro istituzionale con gli amministratori locali», esistono anche informazioni ulteriori circa il motivo dell'incontro e le figure istituzionali che hanno partecipato all'incontro;
   secondo gli elenchi delle spese di rappresentanza relative agli anni 2011, 2012 e 2013, quando l'attuale premier era sindaco, disponibili sulla rete civica di Firenze, ci sarebbe un totale di quasi 135 mila euro, riferibili in gran parte all'ufficio del sindaco; 
   tra le spese, come riporta la stampa, «il 25 luglio del 2011 gli elenchi riportano una colazione istituzionale per un totale di 140 euro. Colazione con chi ?, così come di un incontro di rappresentanza istituzionale»; si legge inoltre nella giustificativa che la «colazione istituzionale» del 1o agosto 2011, per, un importo di 232 euro, sarebbe stata solo un incontro di rappresentanza istituzionale, si apprende inoltre che il servizio di mantenimento della lampada votiva sulla tomba di Dante Alighieri a Ravenna, cui Firenze partecipa tradizionalmente con la fornitura dell'olio, è costata 400 euro. Mentre le targhe per il concorso «Natale in vetrina» 2011 sono costate 193,6 euro. La fornitura di fiori per «ospiti, delegazioni e cerimonie di luglio» sempre nel 2011, ha pesato per 132 euro. Un po’ di più l'acquisto di alcuni libri (non si sa bene quanti) su Palazzo Vecchio come «doni di rappresentanza», visto che la spesa sostenuta nel 2011 è stata di 1.000 euro tonde»;
   poi ci sarebbero le spese sostenute per le trasferte: «Servizio transfert con car sharing» per motivi di «incontri istituzionali a Roma», che, come si legge negli elenchi del 2011, sarebbe costato 1.276 euro a febbraio, 1.551 a marzo, 1.243 ad aprile, 396 a maggio, 247 a giugno», tutte spese che, sottolineano le fonti stampa, potevano essere fatti forse anche in treno spendendo molto meno;
   tra gli elenchi del 2012, dopo l'introduzione dello «schemo tipo» con il decreto Cancellieri, le giustificative si fanno più dettagliate, ma alcune voci restano comunque nel vago come 242 euro spesi per dei fiori per cerimonie funebri relative a personalità di interesse cittadino;
   nel rendiconto 2013 le spese sono ancora più dettagliate perché per la prima volta, negli elenchi ufficiali del comune compaiono i nomi dei singoli ristoranti e qui compaiono, tra gli altri, i famosi pranzi «da Lino», il ristorante di via Sant'Elisabetta, a due passi dal Duomo, di cui sopra –:
   se il Presidente del Consiglio sia al corrente dei fatti esposti in premessa e del discredito che gettano sul Governo e su tutte le figure istituzionali e la politica nel suo insieme agli occhi dell'opinione pubblica, già molto delusa dalla classe politica e dai suoi recenti scandali legati a «spese pazzi» e scontrini;
   se il Presidente del Consiglio non ritenga dunque necessario nonché urgente chiarire se questi fatti siano o meno veritieri, in modo puntuale e ufficiale, fornendo la documentazione opportuna, in nome della vera politica come servizio per il bene comune, e non come il perseguimento di interessi personalistici di pochi, raggiunti proprio approfittando di ruoli e cariche istituzionali. (4-10867)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   ROSTELLATO, RIZZETTO, PRODANI, MUCCI, SEGONI, BALDASSARRE, BECHIS, ARTINI, TURCO e BARBANTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella XVI legislatura è stata presentata dai deputati radicali, primo firmatario Maurizio Turco, l'interrogazione a risposta scritta 4-18712 — rimasta senza risposta – con la quale si chiedeva quali fossero le ragioni del ritardo con il quale il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare aveva richiesto i verbali delle udienze preliminari al fine di costituirsi parte civile nel processo contro alcuni amministratori della raffineria Tamoil di Cremona, visto che durante l'udienza tenutasi il 19 novembre 2012 il giudice Guido Salvini aveva reso noto di aver ricevuto tale richiesta solo il 31 ottobre 2012 quando appena il 27 ottobre aveva ammesso gli imputati al rito abbreviato;
   in data 18 luglio 2014 è stata emessa una sentenza con la quale sono stati condannati i dirigenti della raffineria Tamoil di Cremona:
    GILBERTI ENRICO per il reato di cui agli articoli 81-434 del codice penale alla pena di anni sei di reclusione e per quello di cui all'articolo 257 del decreto legislativo n. 152 del 2006 alla pena di sei mesi di arresto e 9.000 euro di ammenda e BILLI GIULIANO GUERRINO per il reato di cui agli articoli 81-434 del codice penale alla pena di anni tre di reclusione oltre al pagamento in solido delle spese processuali relative al reato cui la condanna si riferisce e l'interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e li dichiara altresì in stato di interdizione legale durante l'espiazione alla pena;
   ABULAIHA MOHAMED SALEH e COLOMBO PIERLUIGI alla pena di un anno e otto mesi di reclusione ciascuno per il reato di cui all'articolo 449 del codice penale e alla pena di quattro mesi di arresto e di 6.000 euro di ammenda per il reato di cui all'articolo 257 del decreto legislativo n. 152 del 2006 oltre al pagamento in solido delle spese processuali relative al reato cui la condanna si riferisce concedendogli il beneficio della sospensione condizionale della pena subordinando tale beneficio alla prosecuzione dei necessari interventi di bonifica e ripristino ambientale;
   GILBERTI, BILLI, ABULAIHA e COLOMBO al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali cagionati alle costituite parti civili che saranno liquidati in separato giudizio civile assegnando alle parti civili una provvisionale immediatamente esecutiva;
   al comune di Cremona – che al pari del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non si è costituito parte civile – è stata riconosciuta una provvisionale di 1 milione di euro in ragione del fatto che il dottor Gino Ruggeri, segretario dell'associazione radicale Piero Welby di Cremona, iscritto nelle liste elettorali del comune di Cremona si è avvalso, in ragione del mancato intervento del comune, della facoltà di cui all'articolo 9 del Testo unico degli enti locali;
   nella sentenza si legge: «il comune di Cremona, rimasto estraneo al processo, affermi brevemente nella delibera in data 25 maggio 2012 che ha portato alla scelta di non costituirsi che dalla condotta della TAMOIL non sarebbero derivati al comune di Cremona danni di natura patrimoniale diversi dal danno ambientale di esclusiva pertinenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare»;
   «appare infine opportuno ricordare (...) che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonostante la natura dei reati contestati agli imputati, e pur ritualmente e più volte informato (ad esempio la comunicazione di questo ufficio al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 17 maggio 2012, 9 luglio 2012 e 9 ottobre 2012 non seguite da alcun intervento), non ha presenziato alle udienze né si è costituito parte civile» –:
   visto che la prima comunicazione del Giudice per le indagini preliminari di Cremona è del 17 maggio 2012, a cui sono seguiti i solleciti del 9 luglio e 9 ottobre 2012, se risulti agli atti per quali motivi il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia richiesto i verbali delle udienze preliminari al fine di costituirsi parte civile nel processo contro alcuni amministratori della raffineria Tamoil solo il 31 ottobre 2012, giusto 4 giorni dopo che il giudice aveva ammesso gli imputati al rito abbreviato;
   se risulti agli atti quando il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha ricevuto l'informazione inviata il 17 maggio dal tribunale di Cremona e quale procedura è stata seguita per questa e le successive informazioni del 9 luglio e del 9 ottobre per arrivare al 31 ottobre, data in cui il Ministero ha richiesto – in tempo non più utile – i verbali delle udienze preliminari al fine di costituirsi parte civile;
   se e quanto sia stato speso e/o sia previsto di spendere nella bonifica della raffineria Tamoil di Cremona. (3-01788)

Interrogazione a risposta scritta:


   ALBERTI, SORIAL, COMINARDI e BASILIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 ottobre 2015, nell'Auditorium dell'Associazione Industriale Bresciana, si è tenuto il seminario «Caffaro e Brescia. I nuovi dati», organizzato da regione Lombardia e ARPA Lombardia per illustrare i risultati delle indagini svolte negli ultimi due anni dal dipartimento bresciano di ARPA Lombardia sulle componenti ambientali maggiormente interessate dalla contaminazione prodotta dallo stabilimento Caffaro (fonte: http://ita.arpalombardia.it);
   sul sito internet di ARPA Lombardia, il seminario è stato così presentato: «Il “Progetto Caffaro”, finanziato da regione Lombardia e attuato da ARPA, ha consentito di comprendere meglio la reale dimensione dell'inquinamento in termini di estensione territoriale e di gravità di compromissione dell'ambiente, nell'ambito dei contesti urbani e agricoli interessati, affrontando in maniera multidisciplinare e integrata la problematica. Le attuali conoscenze forniscono indicazioni fondamentali da cui partire per la gestione e programmazione degli interventi di risanamento e di utilizzo del territorio» (fonte: http://ita.arpalombardia.it);
   il sito d'interesse nazionale (di seguito SIN) «Brescia-Caffaro» identifica un'area di quasi 7 chilometri quadrati che si estende dal centro della città di Brescia sino ai suoi confini meridionali, e che per oltre mezzo secolo è stata soggetta ad un massivo inquinamento da parte dell'azienda chimica Caffaro, specializzata – dagli anni ’30 fino al 1985 – nella lavorazione del cloro e nella produzione di suoi derivati, in particolare policlorobifenili (PCB);
   al fine di comprendere l'entità della produzione del componente tossico nello stabilimento bresciano – del cui brevetto era titolare l'azienda statunitense Monsanto, che ne ha cessato la produzione nel 1977, poi bandito dal Congresso degli Stati Uniti d'America su tutto il territorio nazionale nel 1979 – si consideri che fra il 1983 e il 1984 la Caffaro è arrivata a produrre 150.000 tonnellate di PCB, mentre in oltre 50 anni di attività in tutti gli Stati Uniti ne erano state prodotte 670.000 tonnellate (Fonte: «Un secolo di cloro e ... PCB. Storia delle industrie Caffaro di Brescia», di Marino Ruzzenenti, Jaca Book, Milano, 2001);
   il «Caso Caffaro» scoppia il 13 agosto 2001, con la pubblicazione sul quotidiano La Repubblica dell'articolo «A Brescia c’è una Seveso bis», a firma di Giovanni Maria Bellu e Carlo Bonini, che anticipa i risultati di una ricerca condotta dallo storico dell'ambiente Marino Ruzzenenti sulla storia dell'industria chimica bresciana Caffaro;
   il SIN «Brescia-Caffaro» è oggi uno dei 57 siti d'interesse nazionale presenti in Italia, 7 dei quali situati in Lombardia; istituito con la legge 31 luglio 2002, n. 179, è di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   soltanto sotto il perimetro dell'azienda – circa 110 mila metri quadrati – si contano oltre 3 milioni di metri cubi di terreno contaminati da PCB e diossine, con insinuazioni a profondità di 40-50 metri, con punte di 70; i veleni diffusi dai fusti o dalle cisterne della Caffaro, «sono scesi per decine di metri sotto terra. Non ci sono ad oggi reagenti da iniettare nel sottosuolo per neutralizzare i veleni. Si dovrebbe asportare una montagna di terra grande come il colle Cidneo, oltre 30 milioni di metri cubi» (fonte: «Il Pcb della Caffaro inquina ancora le rogge. L'impianto di filtraggio dell'acqua di falda non trattiene tutti i veleni: una parte continua a finire nell'ambiente», di Pietro Godoni. Corriere della Sera, 13 aprile 2013, http://brescia.corriere.it);
   gli inquinanti diffusi nel sito hanno grande varietà e persistenza – dai PCB, PCDD e PCDFA ai metalli pesanti, al mercurio – ed è accertata l'esposizione di quasi 25.000 persone, con rischi per la salute ben noti: cancerogenicità, problemi di fertilità sia maschile che femminile, tumori al fegato, al seno, linfomi non Hodgkin; rimane tuttavia incalcolabile il numero di persone effettivamente colpite dal disastro, poiché gli sversamenti hanno diffuso gli inquinanti in tutta la rete delle rogge presenti sul territorio circostante abitualmente utilizzate per irrigare i campi, penetrando nella catena alimentare dell'uomo;
   il comune di Brescia emette ordinanze periodiche di non praticabilità dei parchi, giardini e campi contaminati;
   uno studio prodotto dall'asl nel 2008 certifica che i cittadini residenti nel sito Caffaro presentano concentrazioni di diossine in corpo quasi 10 volte superiori a quelli che vivono nei pressi dell'Ilva di Taranto;
   all'interno dell'azienda Caffaro sono operative – 24 ore al giorno, 365 giorni l'anno – 7 pompe idrovore calibrate per emungere 1.500 metri cubi di acqua all'ora (13,5 milioni di metri cubi l'anno) dalla falda acquifera; l'obiettivo è mantenere basso il livello della falda, affinché la contaminazione non si diffonda;
   secondo quanto riportato dagli organi di stampa locale in seguito al seminario citato in premessa, dall'indagine avviata do ARPA Brescia nel 2013 risulta che «dei sette pozzi utilizzati per emungere bene l'acqua di falda solo due vengono filtrati [...]. La barriera idraulica funziona bene per i PCB, visto che i nuovi filtri del pozzo “7” trattengono il 98 per cento dell'inquinante. Non così per il mercurio: nel pozzo “2” i filtri hanno dieci anni e non trattengono nulla del metallo cancerogeno. Ci sono poi gli altri quintali di solventi e cromo. Il gruppo Todisco, che nel 2011 lì dentro lavora al posto della Caffaro, non riesce a gestire i costi di altri filtraggi» (fonte: «Brescia, la Caffaro continua a diffondere veleni: nuovo allarme per cromo e mercurio. Filtrati solo due dei sede pozzi che pescano l'acqua di falda», di Pietro Gorlani, Corriere della Sera Brescia, 21 ottobre 2015;
   la dottoressa Tiziana Frassi del dipartimento di Brescia di ARPA Lombardia ha spiegato che «negli ultimi dieci anni la falda è salita di otto metri, e per farvi fronte è stata raddoppiata la portata del pozzo 7 (ricalibrata quella degli altri). Va da sé che si è notato subito un aumento del Pcb allo scarico nella roggia Fiumicella, e si è corsi ai ripari raddoppiando anche il sistema di filtraggio»; tuttavia, mentre i due filtri intercettano il PCB con un'efficienza media prossima al 100 per cento, il filtro per il mercurio in uso al pozzo 2 «è ormai esaurito, e non è più in grado di ripulire l'acqua. Il metallo pesante, dunque, va nella roggia, da quella al reticolo irriguo, e poi nel terreno» (fonte: «Il filtro non funziona e il mercurio va in roggia», di Mimmo Varone, Bresciaoggi, 21 ottobre 2015);
   per consentire un'immediata percezione della grave entità dei veleni che ancora oggi vengono diffusi dalla Caffaro, «l'Arpa ha deciso di tradurli in chilogrammi. Non in microgrammi (i milionesimi di grammo) l'unità di misura che regola i limiti di legge per gli inquinanti più pericolosi. Si scopre così che nell'acqua di falda emunta da sotto la Caffaro, annualmente si trovano 280 chili di cromo esavalente. Due quintali di solventi clorurati. Cinque chili di mercurio. E “solo” 2 etti di pcb. Inquinanti che non vengono filtrati. Che finiscono quindi nella roggia Fiumicella [...]. L'inquinamento prosegue inesorabile verso la Bassa attraverso le rogge. E non solo ha avvelenato 1.263 ettari a sud della Caffaro ma altri 330 ettari tra Fiero, Castel Mella e Capriano. Rogge che andrebbero bonificate, anche se prima si dovrà fermare le fonti d'inquinamento, se non si vuole che finiscano ancora, in futuro, sui terreni agricoli. Quelli indagati dal geologo Enrico Alberico e da Maria Luigia Tedesco, scoprendo che quasi la metà presenta valori oltre i limiti». (fonte: «Brescia, la Caffaro continua a diffondere veleni: nuovo allarme per cromo e mercurio. Filtrati solo due dei sette pozzi che pescano l'acqua di falda», di Pietro Gorlani, Corriere della Sera Brescia, 21 ottobre 2015);
   in seguito alla diffusione dello studio sopra richiamato, il commissario straordinario del Sin Roberto Moreni – descritto dalla stampa come «fiducioso» – ha dichiarato: «Non siamo in uno scenario Pcb-apocalittico, non siamo certo in una terra dei fuochi e il quadro non è così allarmante» (Fonte: «Caffaro, non c’è solo il PCB. Moreni: “Ma non è l'apocalisse”», Giornale di Brescia, 21 ottobre 2015);
   contestualmente alla nomina del commissario straordinario per il SIN Caffaro, avvenuta il 3 settembre 2015, in una nota pubblicata sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si riportava la seguente dichiarazione del Ministro, Gian Luca Galletti: «Entriamo così a tutti gli effetti – afferma il Ministro Galletti – in una nuova fase operativa per il Sin Caffaro. Dobbiamo accelerare nella bonifica di un'area molto delicata sotto il profilo ambientale, che ha bisogno di risorse pubbliche e del rispetto degli obblighi di bonifica da parte dei privati: su questo, la mia ordinanza chiarisce ogni responsabilità. Moreni, cui rinnovo i miei auguri di buon lavoro, può contare sulla massima collaborazione del Ministero dell'ambiente» (fonte: «Ambiente: Galletti, Moreni commissario SIN Brescia Caffaro parte nuova fase operativa», sito internet Ministero dell'ambiente);
   poco più di un anno fa, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Gian Luca Galletti, ha dichiarato: «Nella proposta di rifinanziamento del programma nazionale di bonifica, a valere sui fondi di sviluppo e coesione, abbiamo stimato un'esigenza complessiva per tutti i Sin di circa due miliardi di euro. Per il sito di Brescia Caffaro la previsione è di circa 50 milioni. Ovviamente l'effettivo stanziamento dipenderà dalle risorse che verranno assegnate sulla programmazione proposta. Mi impegnerò per ottenere fondi sufficienti per operare su Brescia tutti gli interventi necessari. Il recente stanziamento di 2 milioni di euro, con il decreto del settembre 2014, va in questa direzione, per un totale di 9,8 milioni stanziati od oggi» (Fonte: «Galletti: “Sito Caffaro, servono 50 milioni”», Bresciaoggi, 24 settembre 2014;
   recentemente, il sindaco di Brescia Emilio Del Bono, ha auspicato che «venga mantenuta la promessa dei Ministro Galletti di stanziare per Brescia 42 milioni» (Fonte: La Caffaro inquina ancora: Pcb nei fossi, solo due pozzi trattati, di Pietro Gorlani, Corriere della Sera Brescia, 27 agosto 2015);
   in occasione della presentazione dello studio dell'ARPA citato in precedenza, l'assessore all'ambiente della regione Lombardia, Claudia Terzi, ha dichiarato: «Per la bonifica del sito il Ministro dell'ambiente aveva promesso il finanziamento di 42 milioni entro settembre – spiega l'assessore regionale Claudia Terzi, presente al convegno –. Non si sono visti. Ma Brescia non può aspettare oltre» (fonte: «Brescia, la Caffaro continua a diffondere veleni: nuovo allarme per cromo o mercurio. Filtrati solo due dei sette pozzi che pescano l'acqua di falda», di Pietro Gorlani, Corriere della Sera Brescia, 21 ottobre 2015);
   in uno fase in cui la messa in sicurezza dei SIN dovrebbe essere già consolidata ed effettuata in maniera puntuale, rigorosa ed efficace, e si dovrebbe già da tempo provvedere alla bonifica del SIN, e parere degli interroganti è inaccettabile che la bonifica non solo non proceda, ma che addirittura il sito Caffaro accumuli e diffonda ancora inquinamento –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti citati in premessa;
   quali interventi intenda promuovere al fine di ripristinare la funzionalità dei filtri dedicati all'intercettazione del mercurio nel pozzo 2 citato in premessa, e quali iniziative intenda adottare affinché anche i restanti pozzi che emungono acqua dalla falda acquifera riescano ad intercettare gli inquinanti presenti nell'acqua emersa; più in generale quali interventi e misure intenda promuovere al fine di garantire una messa in sicurezza del sito di interesse nazionale puntuale, rigorosa ed efficace;
   in riferimento alla promessa di stanziamento di 42 milioni di euro per la bonifica del sito di interesse nazionale, quando ritenga che questi potranno essere nelle disponibilità del commissario straordinario Moreni, al fine di utilizzarli per promuovere immediate iniziative di bonifica dell'area. (4-10865)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   dopo l'assassinio dell'Arciduca Francesco Ferdinando e della moglie Sofia avvenuto a Sarajevo, il 28 luglio 1914 l'Austria-Ungheria dichiarò guerra alla Serbia; l'Imperatore Francesco Giuseppe, con il successivo proclama «Ai miei Popoli» del 31 luglio 1914, mobilitò le forze armate austro ungheresi, alla cui chiamata risposero i nativi del Litorale, del Tirolo e della Valcanale (parte degli attuali Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige/Sud Tirol);
   il 97o Reggimento di Trieste partì per il fronte orientale l'11 agosto 1914 con destinazione Leopoli dove, durante gli scontri con le formazioni russe, subì perdite pesantissime, pari ad oltre il 50 per cento degli effettivi impiegati; il reggimento fu ricostituito più volte con riserve e nuovi arruolati;
   numerosi altri reparti imperiali, come i famosi Kaiserjäger del Tirolo, la Marina imperiale e le formazioni dell'Esercito nazionale austriaco fecero il loro dovere con abnegazione e non con odio verso l'Austria come tramandato dalla vulgata nazionalista. Ad esempio, il 97o Reggimento KuK di Trieste che, secondo la propaganda sarebbe stato un reparto di disertori e lavativi, collezionò, in realtà, più di 3000 decorazioni al valore;
   a seguito della dichiarazione di guerra del Regno d'Italia ai due Stati di Austria ed Ungheria, gli avi del circa 1 milione e mezzo di attuali cittadini italiani delle province sopracitate, combatterono in difesa dei loro confini dalla nuova invasione;
   i volontari tirolesi germanofoni e neoromanzi del Tirolo, in numeri stimati da varie fonti dai 5 mila ai 7 mila 500, furono arruolati negli Standschützen dell'Esercito nazionale austriaco, con età non ricomprese in quella di leva, dai 14 agli 80 anni. Combatterono ad Ala la prima battaglia delle Dolomiti e tennero la linea difensiva, da soli, fino all'arrivo di altri reparti dal fronte russo, continuando a battersi in seguito, fino alla fine della guerra;
   mentre i volontari delle altre zone costituirono un battaglione di Marina da Trieste, un battaglione di terra dalla Contea di Gorizia, un battaglione di terra dall'Istria ed almeno una compagnia dalla Valcanale;
   per la Marina imperiale, il 20 per cento circa degli arruolati erano neoromanzi ed avevano studiato l'italiano a scuola come prima lingua. Più volte lodati dai comandi e dagli ufficiali, anch'essi in parte neoromanzi, furono decorati con diverse medaglie d'oro e con la medaglia al valore dell'ordine di Maria Teresa, massima onoreficenza dell'Austria Ungheria;
   i reparti dell'Esercito imperiale, come il X Marschbattalion del 97o reggimento di Trieste, ebbe più di 800 perdite sul Monte San Michele nelle prime battaglie dell'Isonzo. Lo stesso dicasi per diversi altre formazioni, come ad esempio il 47o reggimento che combatté lungamente sul Fronte dell'Isonzo, oppure i Kaiserschützen ed i Kaiserjäger che effettuarono azioni determinanti nel contrattacco di Kobarid-Krafreit-Caporetto ed in vari scontri sulle Dolomiti. Tutti questi ed altri reparti, vedevano la presenza dei nonni e bisnonni di una parte consistente di attuali cittadini italiani;
   il numero totale dei combattenti del Tirolo, Litorale e Valcanale viene stimato in oltre 100.000 unità, oltre a migliaia di volontari. La presenza di volontari delle stesse terre sul fronte opposto era meno significativa: recenti ricerche hanno dimostrato che i «volontari giuliani» di Trieste del 1915 furono qualche centinaio, mentre i volontari della «legione trentina» non sembrano, per analogia e vari indizi, stimabili in numeri maggiori;
   Lorenzo Baratter, storico e direttore del centro documentazione Luserna, nella ricostruzione storica pubblicata sul sito web I Recuperanti.it, narra le sorti dei quasi 60.000 trentini che combatterono per l'esercito nazionale austriaco ed imperiale austro-ungherese durante la Grande Guerra. Nel dopoguerra, a seguito del bando emesso il 16 novembre 1918 dalle nuove autorità italiane, dovettero affrontare lunghe prigionie e furono «esclusi de jure dal Governo italiano, in quanto ex-nemici, dai benefici assistenziali organizzati per gli ex combattenti, per i mutilati e per le altre categorie di vittime della guerra»;
   molti degli imprigionati e deportati a guerra terminata, con particolare riferimento ai volontari ed ai cosiddetti «austriacanti», tornarono alle proprie case solo nel 1920, mentre altri non vi fecero più ritorno, in quanto deceduti per cause sanitarie durante la prigionia;
   nel 1921 il decreto del prefetto Guadagnini ordinò di cancellare le parole «Tirolo» e «tirolesi» da qualsiasi supporto scritto, comprese le lapidi ed i monumenti ai caduti dei territori conquistati, e di trasferire le tombe dei caduti in luoghi anonimi. Iniziative analoghe avvennero nel Litorale e nella Valcanale;
   la storia dei soldati nativi del Tirolo, del Litorale e della Valcanale che hanno combattuto e sono caduti indossando le divise austriache ed austro-ungariche, è stata tenuta in sordina e nascosta dalla propaganda politica, già dall'Italia parlamentare del 1918 ma ancora di più dalla successiva Italia fascista, che del mito della «Vittoria mutilata» e di Vittorio Veneto fecero dei cavalli di battaglia ideologici, omettendo volutamente il racconto di questi avvenimenti;
   successivamente, la storiografia ufficiale italiana ha proseguito la narrazione classica, restando legata ad una visione «patriottica» e «liberatrice», spesso trascesa in un vero e proprio nazionalismo assimilatore, atta ad esaltare l'epopea dell'esercito italiano durante la Prima Guerra Mondiale e continuando a trasmetterne i miti. Solo negli ultimi anni si è assistito ad un approfondimento delle «storie nascoste» grazie ad una maggior attenzione ed una diversa sensibilità di ricerche storiche e pubblicazioni, quasi tutte ad opera di eredi di quegli uomini condannati alla «damnatio memoriae»;
   il recupero storico delle radici di tanti cittadini italiani è tuttavia ostacolato dalla scarsa disponibilità di fonti archivistiche, distrutte e/o disperse dopo la fine della guerra. Negli anni ’20-30 del secolo scorso fu istituito lo «Schedario degli italiani delle nuove province già militari nell'esercito austro-ungarico, morti in seguito alla guerra». Si tratta di un documento, dapprima custodito presso l'ambasciata italiana a Vienna, utilizzato durante il fascismo per la gestione delle pratiche di pensione che l'Italia riconosceva alle vedove dei circa 30.000 soldati caduti, poi segretato dalla politica di propaganda di allora;
   tale documento, ancora oggi, non risulta essere stato reso pubblico; l'accesso allo schedario potrebbe essere utile per compilare l'elenco dei soldati dei territori conquistati dall'Italia, morti per la loro Patria precedente e, soprattutto, apporterebbe un forte contributo al lavoro di ricostruzione dei fatti e delle vicende legati alle sorti dei militari e delle popolazioni delle terre conquistate;
   in sede di approvazione alla Camera dei deputati della proposta di legge A.C. 2741, contenente «Disposizioni concernenti i militari ai quali è stata irrogata la pena capitale durante la prima Guerra Mondiale», l'interrogante ha presentato, il 21 maggio 2015, l'ordine del giorno n. 9/2741-A/1 con cui ha impegnato il Governo ad adottare le opportune iniziative per ricordare in modo degno il sacrificio di quei soldati nativi dei nuovi territori italiani caduti combattendo e indossando la divisa delle forze armate austro-ungariche;
   secondo l'interrogante, appare quantomai opportuna la proposta di costituzione di una Commissione mista di storici italiani e dei Paesi eredi dell'Austria Ungheria che videro gli avi degli attuali loro cittadini coinvolti sul fronte italiano della Prima Guerra Mondiale;
   l'obiettivo sarebbe di proporre una storia condivisa da tutte le popolazioni oggi unite dai legami comunitari, anche alla luce della risoluzione del Parlamento europeo del 2 aprile 2009 che, contro alcune interpretazioni storiche distorte in senso nazionalista da parte dei Paesi membri, raccomandava di lasciare la ricerca storica ai professionisti, capaci di «utilizzare strumenti scientifici per studiare il passato sforzandosi di essere quanto più possibile imparziali» –:
   se si intenda reperire e pubblicare lo «Schedario degli italiani delle nuove province, già militari nelle forze armate austriache ed austro ungariche, morti in seguito alla guerra» in maniera da agevolare le ricerche e la compilazione dell'elenco di costoro;
   quali iniziative intendano adottare, anche di concerto con le regioni Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, per incentivare lo studio e le ricerche dei documenti relativi ai fatti accaduti nei territori divenuti italiani e promuovere la conoscenza anche di questa parte della storia;
   se intendano adoperarsi per promuovere la costituzione di una Commissione mista di storici che abbia l'obiettivo di approfondire il periodo in questione e giungere alla proposizione di una storia quanto più possibile obbiettiva e condivisa. (4-10859)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CENSORE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185 in materia di incentivi all'autoimprenditorialità e all'autoimpiego ha consentito, come si rileva dai dati pubblicati da Invitalia, di promuovere in maniera efficace la creazione e lo sviluppo d'impresa nel nostro Paese con un conseguente impatto positivo in termini di occupazione;
   l'autoimpiego, in particolare, disciplinato dal titolo II del decreto legislativo di cui sopra, è costituito da tre misure: lavoro autonomo, microimpresa e franchising. Gli investimenti, fissati in un massimo di 25.823 euro per il lavoro autonomo e 129.114 euro per la microimpresa, sono finanziabili fino al 100 per cento (in parte con contributo a fondo perduto e in parte con mutuo a tasso agevolato); tutte le misure prevedono, inoltre, contributi a fondo perduto per la copertura delle spese di gestione in fase di start-up;
   l'attuazione delle misure previste dall'autoimpiego ha permesso la creazione di 194.446 posti di lavoro a fronte di 5,3 miliardi di euro di agevolazioni concesse per la nascita di 111.650 nuove imprese. Tali dati, aggiornati al 31 luglio 2015, sono rilevabili dal sito ufficiale dell'Agenzia nazionale per l'attrazione di investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa (Invitalia);
   ogni nuovo posto di lavoro creato attraverso l'autoimpiego risulta quindi avere un costo medio, in termini di incentivo pubblico erogato, pari a 27.256,92 euro. Il dato qualifica immediatamente l'efficienza dello strumento in termini di costi/benefici, soprattutto se confrontato con altri e ben più onerosi interventi pubblici in materia di sviluppo imprenditoriale e di politiche attive del lavoro. È da considerare, inoltre, che la metà degli incentivi diretti sono erogati in forma di mutuo a tasso agevolato, la cui restituzione va quindi ad abbattere ancora il costo medio per iniziativa creata e consente l'alimentazione del fondo;
   l'autoimpiego (le cui agevolazioni, a differenza di altri strumenti, non prevedono l'assistenza di garanzie reali o finanziarie), è gestito con procedure chiare, trasparenti e collaudate, grazie al loro costante aggiornamento nel corso degli oltre 15 anni di applicazione, conosciute e percepite di semplice accesso dai potenziali beneficiari;
   l'autoimpiego rappresenta per il Mezzogiorno una concreta ed efficace alternativa nella ricerca di occupazione da parte di giovani e meno giovani che intendono investire le proprie competenze in una iniziativa imprenditoriale, in forma autonoma o societaria;
   tali misure — che basano l'incentivazione sulla solidità dell'idea imprenditoriale — sono di particolare efficacia nella promozione della cultura d'impresa e della progettualità in territori dalle caratteristiche sociali storicamente meno inclini di altri all'intrapresa economica;
   sulla Gazzetta Ufficiale n. 183 dell'8 agosto 2015 è stato pubblicato l'avviso di sospensione delle misure per esaurimento fondi e pertanto dal 9 agosto 2015 è stata preclusa la possibilità di presentare nuove domande di ammissione alle agevolazioni;
   da alcune settimane centinaia di soggetti proponenti che hanno presentato la propria idea progettuale anche prima della scadenza dell'8 agosto 2015, hanno ricevuto comunicazione dall'Agenzia Invitalia, in merito alla sospensione dell'istruttoria della domande per esaurimento dei fondi;
   le misure per l'autoimprenditorialità e l'autoimpiego costituiscono il principale strumento di sostegno alla realizzazione e all'avvio di piccole attività imprenditoriali da parte di disoccupati o persone in cerca di prima occupazione e rappresentano un'efficace, concreta e collaudata misura di lotta alla disoccupazione, soprattutto giovanile, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno;
   le domande presentate prima dell'8 agosto 2015 hanno diritto all'istruttoria e, qualora selezionate con esito positivo, al finanziamento secondo i benefici previsti a legislazione vigente;
   risulta che l'Agenzia Invitalia disponga di risorse in grado di finanziare progetti ammissibili presentati entro la data del 26 marzo 2015; le domande presentate dal 27 marzo 2015 all'8 agosto 2015 (data di sospensione delle agevolazioni per insussistenza di fondi) potrebbero addirittura non essere esaminate anche per carenza delle risorse necessarie all'espletamento e all'istruttoria della pratica;
   i proponenti, che hanno presentato la propria idea progettuale anche prima della scadenza dell'8 agosto 2015, e che solo di recente hanno ricevuto comunicazione dall'Agenzia Invitalia in merito alla sospensione anche dell'istruttoria della domande per esaurimento dei fondi hanno impegnato i propri risparmi per la presentazione e la messa a punto dell'idea progettuale, confidando nella possibilità di ottenere i finanziamenti previsti dalle misure –:
   quali urgenti iniziative si intendano assumere per il finanziamento degli incentivi all'autoimprenditorialità e all'autoimpiego in modo da garantire:
    a) fondi immediatamente disponibili per l'erogazione dei benefici alle domande, presentate prima dell'8 agosto 2015, ivi comprese quelle in corso di istruttoria, qualora selezionate con esito positivo;
    b) congrue risorse per il sostegno delle medesime misure per il periodo 2016-2018, con incremento rispetto al triennio precedente, in considerazione di ragionevoli prospettive di sviluppo. (5-06768)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   GIULIETTI e BRANDOLIN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   molte sono state le segnalazioni in questi giorni specialmente da parte dei pendolari umbri costretti a viaggiare dentro carrozze surriscaldate e spesso sporche;
   la regione Umbria ha posto la questione all'attenzione della direzione regionale di Trenitalia chiedendo tra l'altro una soluzione a una situazione oramai insostenibile per tantissimi cittadini che utilizzano il treno per motivi di lavoro, di studio e altro anche in virtù di quanto stabilito dal contratto di servizio tra regione Umbria e Trenitalia che prevede l'effettuazione di servizi con uno standard ben definito e specifiche penalità a fronte di eventuali disservizi che però devono essere occasionali e non sistematici come quelli attualmente rilevati, imputabili sostanzialmente a una inadeguata ordinaria manutenzione dei rotabili o per altre cause al momento non conosciute;
   la regione si sta impegnando anche in relazione ai treni Intercity che non sono compresi nel contratto di servizio stipulato con Trenitalia –:
   quali iniziative il Governo intenda mettere in atto, per quanto di competenza, nei confronti di Trenitalia per risolvere una situazione insostenibile per migliaia di cittadini umbri e non solo costretti a viaggiare su carrozze senza aria condizionata (e in questi giorni con temperature intorno ai 40o), oppure in molti casi malfunzionante e spesso senza un'adeguata e minima pulizia, tenendo conto, inoltre, che la situazione in cui versano tanti pendolari va ormai avanti da diverse settimane. (3-01787)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MOGNATO e PAGANI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Rete ferroviaria italiana spa (RFI), quale ente aggiudicatore operante nei settori speciali (articolo 206 e seguenti del decreto legislativo n. 163 del 2006) ed in particolare nel settore dei trasporti (articolo 210), è da tempo dotato di un proprio sistema di qualificazione (articolo 232), mediante il quale definisce elenchi di imprese alle quali affidare dati contratti;
   in detto elenco (contenuto all'articolo 3 del disciplinare dei sistemi di qualificazione di Rete ferroviaria italiana spa) erano ricompresi tutti gli operatori economici indicati all'articolo 34 del decreto legislativo n. 163 del 2006 e segnatamente: a) le imprese individuali anche artigiane; b) le imprese costituite nelle forme di società commerciali (di persone e di capitali); c) le società cooperative; d) i consorzi stabili, già costituiti anche in forma di società consortili ai sensi dell'articolo 2615-ter del codice civile, tra imprenditori individuali, anche artigiani, società commerciali, società cooperative di produzione e lavoro, secondo le disposizioni di cui all'articolo 36 del Codice appalti e successive modificazioni e integrazioni: e) i consorzi tra società cooperative di produzione e lavoro costituiti a norma della legge 25 giugno 1909, n. 422 e del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577 e successive modificazioni e integrazioni; f) reti di imprese dotate di organo comune e di soggettività giuridica; g) i consorzi tra imprese artigiane di cui alla legge 8 agosto 1985, n. 443, già costituiti al momento della presentazione della domanda; h) altri soggetti eventualmente indicati nelle normative dei singoli sistemi;
   è per avvenuto che, in data 21 settembre 2015, RFI ha pubblicato una revisione del predetto disciplinare relativo al proprio sistema di qualificazione, il quale, all'articolo 3, stabilisce innovativamente che i consorzi fra cooperative di produzione e lavoro (nonostante siano espressamente previsti all'articolo 34, comma 1, lettera b) del codice dei contratti pubblici tra i soggetti cui possono essere affidati i contratti pubblici) non sono più compresi tra i «soggetti ammessi a partecipare alle procedure di qualificazione»;
   in sostanza, così facendo RFI, ha inteso non comprendere nel novero dei soggetti ammessi al sistema di qualificazione l'intera categoria dei consorzi tra società cooperative di produzione e lavoro, categoria che fin dall'inizio del secolo (legge n. 422 del 25 giugno 1909) è stata specificamente individuata quale soggetto appositamente deputato all'esecuzione di opere pubbliche ed alla sottesa partecipazione alla procedure ad evidenza pubblica che precedono l'esecuzione –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti sopra esposti;
   quali iniziative, nell'ambito delle sue competenze, intenda adottare, per evitare questa forma di restrizione/riduzione della concorrenza nel settore degli appalti pubblici, a danno di chi in base alle norme di fonte primaria aspira ed ambisce a rientrare nell'ambito dei soggetti cui affidare dati contratti. (5-06769)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DELL'ORCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il nuovo piano di infrastrutture strategiche che la regione Emilia Romagna ha presentato e che sarà oggetto di un nuovo accordo generale quadro con il Governo, tra le novità di maggiore rilievo contiene la cancellazione del secondo lotto della Tibre, nel tratto Trecasali-Nogarole Rocca, che dunque non viene più considerata un'opera strategica;
   a seguito di questa decisione nella serata del 13 ottobre 2015 secondo fonti stampa si sarebbero riuniti nella sala consiliare di Colorno, alcuni sindaci della bassa parmense e della bassa cremonese con esponenti di associazioni e comitati locali e un folto pubblico, per discutere della proposta della regione Emilia-Romagna;
   nell'accogliere favorevolmente la proposta è stato redatto un documento ricco ed articolato; il suddetto documento conterrebbe anche la richiesta di ripensamento sul primo lotto del Tibre di 9,5 chilometri, e la segnalazione della necessità di intervenire sulle criticità della viabilità ordinaria e la piena condivisione rispetto alla scelta di investire sulla linea ferroviaria «Pontremolese» che, anche ad avviso dell'interrogante, costituisce la naturale e migliore via di collegamento tra il versante tirrenico e la Pianura Padana;
   privilegiare un collegamento ferroviario rispetto ad un progetto per una nuova tratta autostradale sarebbe non solo in linea con il perseguimento dell'obiettivo europeo del consumo di suolo zero al 2050, ma soprattutto sarebbe funzionale al superamento della procedura di infrazione comunitaria 2015/0303 del 20 luglio 2015 per il mancato recepimento della direttiva europea sullo spazio ferroviario europeo unico (rifusione) – RECAST ferroviaria, in cui si ritiene essenziale lo sviluppo e dei trasporti ferroviari per il completamento del mercato interno;
   nonostante dunque il parere espresso da molti amministratori e cittadini risulta all'interrogante che la concessionaria Autocisa (e l'impresa appaltatrice Pizzarotti) si stanno adoperando per raggiungere accordi con i comuni e procedere con la cantierizzazione dell'opera senza neppure una preliminare informazione della popolazione ai sensi della convenzione di Aahrus;
   attualmente non risulterebbero ancora risolte alcune problematiche sull'iter autorizzativo dell'opera già espresse nell'interrogazione n. 4-03452 del 5 febbraio 2014 e ancora in attesa di risposta; inoltre l'eventuale ed auspicabile stralcio del secondo lotto Tibre porrebbe nuovi interrogativi sull'accordo raggiunto con la Commissione europea per la chiusura della procedura d'infrazione (n. 2006/4419) in merito all'estensione senza gara della concessione di Autocisa spa;
   considerato infatti che la suddetta chiusura della procedura di infrazione prevedeva tra le altre cose l'impegno di Autocisa alla costruzione del raccordo autostradale Fontevivo-Nogarole Rocca su un tracciato di 84 chilometri senza alcun apporto di capitale pubblico, lo stralcio del secondo lotto farebbe venire meno le condizioni per la proroga senza gara della concessione ad Autocisa al 2031. In tal caso, per non incorrere in una nuova procedura d'infrazione sarebbe opportuno innanzitutto sospendere qualsiasi attività anche riguardante il 1o lotto ed eventualmente procedere ad una trattativa con la Commissione europea per ottenere la sostituzione del progetto autostradale con quello del Ti-Bre ferroviario –:
   se, alla luce della posizione della regione Emilia Romagna richiamata in premessa, il Governo non intenda considerare il secondo stralcio della TIBRE, da Trecasali a Nogarole Rocca, un'opera non più strategica e, quindi, escluderne la realizzazione;
   se l'eventuale stralcio dal programma infrastrutture strategiche del secondo lotto della Tibre possa comportare il venire meno delle condizioni che hanno portato alla chiusura della procedura d'infrazione europea n. 2006/4419 e, in particolare, se possano venire meno le condizioni per la concessione della proroga senza gara ad Autocisa;
   se, in funzione dell'eventuale stralcio dal programma infrastrutture strategiche del secondo lotto della Tibre, non si intendano assumere iniziative per sospendere complessivamente la realizzazione dell'intera opera, compreso il primo lotto, per valutare più utili, economiche e meno impattanti alternative di collegamento che privilegino il raddoppio e il potenziamento delle tratte ferroviarie già esistenti su quel tracciato. (4-10862)


   PISICCHIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il regolamento (UE) n. 1315/2013 prospetta una revisione della rete TEN-T per realizzare entro il 2050 uno spazio unico europeo dei trasporti basato su un sistema di trasporti competitivo ed efficiente. A tal fine, il regolamento prevede la creazione di una rete TEN-T articolata in due livelli: una rete centrale, da realizzare entro il 2030, basata su un «approccio per corridoi», ed una rete globale che comprenderà infrastrutture a livello nazionale e regionale;
   la rete centrale, come previsto dall'articolo 6 del citato regolamento, consiste di quelle parti della rete globale che rivestono la più alta importanza strategica ai fini del conseguimento degli obiettivi per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti. Prevede dieci corridoi di cui quattro di diretto interesse per l'Italia: il corridoio 1 Baltico - Adriatico, il corridoio 3 Mediterraneo, il corridoio 5 Helsinki - La Valletta e il corridoio 6 Genova - Rotterdam;
   in particolare, i corridoi Baltico - Adriatico e quello Helsinki – la Valletta risultano particolarmente importanti relativamente alle prospettive di sviluppo dell'Italia meridionale e in particolar modo del sistema pugliese e brindisino. Infatti il corridoio 5 entra in territorio italiano con il collegamento ferroviario Verona - Bologna - Roma - Napoli e raggiunge Bari e Taranto in diramazione, sia stradale che ferroviaria, da Napoli, confermando il progetto di realizzazione della AC/AV da Napoli a Bari;
   nell'Allegato 2, punto 2 del regolamento 1315/2103 sono elencati i 14 porti italiani della rete core: Genoa, La Spezia, Livorno, Napoli, Gioia Tauro, Taranto, Bari, Ancona, Ravenna, Venezia, Trieste, Palermo, Cagliari, Augusta;
   il porto di Brindisi, purtroppo, risulta inserito solo nella rete globale europea e non in quella centrale;
   la mancata appartenenza alla rete centrale (core network) determinerà una gravissima ripercussione per gli asset di un territorio, in quanto su di essa saranno prioritariamente indirizzati i fondi destinati ai trasporti previsti dal «meccanismo per collegare l'Europa (Connecting Europe Facility) il nuovo strumento finanziario delle reti trans europee;
   non si può negare però come le scelte fino ad ora effettuate comportino un evidente rischio di marginalizzazione di tutta l'area mediterranea dell'Europa ed in particolare una scarsa attenzione alle relazioni di scambio con l'area dei Balcani e del Nord Africa sminuendo, di fatto, quanto precedentemente programmato in tale direzione ad esempio con il «corridoio VIII»; corridoio paneuropeo strategico tra il Mare Adriatico e il mar Nero, che vedeva invece il nostro territorio assolutamente protagonista;
   è anche vero però che, della stragrande maggioranza dei vecchi corridoi paneuropei, rientrati integralmente nel territorio dell'UE, il solo corridoio VIII abbia mantenuto una sua certa strategicità per essere stato inserito almeno in parte – per la precisione nel suo tratto bulgaro nel core network. Ed infatti, allo stato attuale, il corridoio di trasporto del sud est, più performante rispetto all'intero assetto programmatico-progettuale, è rappresentato dall'asse autostradale Igoumenitsa/PatrasAthens-Sofia-Budapest, la cosiddetta «via Egnatia moderna», che dal porto di Igoumenitsa, attraversando tutta la Grecia, raggiunge la Turchia. È evidente quale sia la strategicità della rotta Brindisi-Igoumenitsa, rilanciata recentemente (aprile 2012) dalla compagnia di navigazione Grimaldi, in relazione alle opportunità di scambio tra l'area del Mediterraneo nord-orientale con la Puglia e, attraverso i Corridoi Helsinki-La Valletta e Adriatico, con l'Europa, soprattutto alla luce del ruolo che il porto di Igoumenitsa, casello terminale dell'autostrada Egnatia, ha già guadagnato e che sarà ulteriormente rafforzato in quanto appartenente alla rete centrale delle rivisitate TEN-T;
   la recente estensione del corridoio Helsinki-La Valletta verso Bari, grazie al sopra richiamato collegamento ferroviario AC/AV Napoli-Bari, non potrà che incoraggiare una sorta di continuità tra il detto corridoio ed il «vecchio» corridoio VIII come pure propugnato dal documento programmatico Puglia Corsara della regione Puglia e come confermato, più praticamente, dalle importanti performance, registrate nel Porto di Brindisi dalla movimentazione delle merci su trailer in navi ro-ro;
   l'anno 2014 ha registrato, infatti, un dato di poco inferiore alle 3 milioni di tonnellate (con un balzo di oltre il 23 per cento sul dato annuale precedente) portando a classificare Brindisi come il primo porto nel medio e sud adriatico per tale tipologia di traffico;
   inutile rimarcare l'alta valenza strategica che l'Unione europea ha destinato alle cosiddette «Autostrade del Mare» censite, per l'appunto, quali priorità assolute per lo sviluppo dell'infrastruttura marittima all'interno del «Regolamento sugli orientamenti dell'Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti» non solo per i collegamenti con i porti della rete globale e con porti di Paesi terzi ma anche per la capacità che esse possano comprendere terminali e piattaforme logistiche al di fuori dell'area portuale ma in logica connessione con le operazioni portuali; tutte caratteristiche possedute dallo scalo di Brindisi;
   si manifesta una profonda contrarietà riguardo all'esclusione di Brindisi dagli scali core che, nel corso del tempo, da più fonti è stata manifestata sia alle autorità regionali che centrali, in quanto si è fermamente convinti dell'appartenenza dello stesso alla rete centrale, sia per il possesso dei requisiti previsti, sia soprattutto per le sue potenzialità logistiche dovute alle enormi disponibilità di aree retroportuali, propugnando finanche una vision di piattaforma logistica pugliese di singolo «nodo» per la particolare e sinergica confluenza dei tre porti: Bari, Brindisi e Taranto;
   ai sensi dell'articolo 38 del regolamento 1315/2013 l'attuazione della rete centrale è valutata dalla Commissione entro il 31 dicembre 2023 e entro quella data si prevede una prima revisione dei «porti core»;
   la macroregione è una strategia integrata che coinvolge regioni e nazioni diverse con l'obiettivo comune di uno sviluppo equilibrato e sostenibile di una specifica area geografica che da alcuni anni l'Unione europea sta sperimentando. Nel dicembre 2012, il Consiglio europeo ha dato mandato alla Commissione europea, per avviare una consultazione degli stakeholders territoriali in merito ad una strategia europea per la regione Adriatico-Ionica, la cosiddetta EUSAIR, e predispone un piano di azione per il coordinamento e l'integrazione dell'azione pubblica multilivello negli otto Paesi interessati: Italia, Slovenia, Croazia, Grecia, Bosnia Herzegovina, Serbia, Montenegro ed Albania;
   il 18 giugno 2014 la Commissione europea ha presentato la comunicazione e il piano d'azione della strategia EUSAIR. La strategia con il relativo piano d'azione, dopo i pareri da parte delle istituzioni e degli attori coinvolti, è stata approvata dai 28 Paesi della, Ue nel corso del Consiglio europeo del 23-24 ottobre 2014. La Conferenza inaugurale, organizzata dalla Presidenza italiana del Consiglio in cooperazione con la Commissione europea, si è tenuta a Bruxelles il 18 novembre;
   la prossima settimana il Parlamento europeo esaminerà una proposta di risoluzione per rilanciare una strategia dell'Unione europea per la regione adriatica e ionica nella quale si pone l'accento sull'importanza dei corridoi Ten-T e in particolare sul completamento del corridoio Baltico-adriatico;
   questo corridoio potrebbe essere la prima vera «infrastruttura» della nascente macro regione adriatica ionica, appena riconosciuta dalla Commissione europea –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover intervenire affinché l'inserimento di Brindisi, nella prevista attuazione della rete centrale che dovrà essere realizzata entro il 31 dicembre 2023, possa essere sottoposto alla valutazione della Commissione europea. (4-10863)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dalle immagini diffuse da siti internet di informazione, si è visto che la Digos di Pisa ha fatto irruzione nei locali denominati exGea, per sgomberare una occupazione simbolica degli studenti universitari, impugnando le pistole, nonostante gli stessi studenti avessero annunciato che avrebbero interrotto l'occupazione;
   all'interno dell'edificio, in stato di occupazione da due giorni circa, nelle ore precedenti non è accaduto nulla che potesse far pensare a una situazione di immediato pericolo, sia per gli occupanti, che per un eventuale intervento delle forze dell'ordine;
   anche le immagini video diffuse in rete dimostrano ad avviso dell'interrogante, che al momento dell'irruzione nello stabile, erano in corso le normali attività organizzate dagli studenti e nulla lascia pensare a una situazione di scontro, di violenza e, quindi, di pericolo per gli agenti intervenuti. In sostanza, pare non essere accaduto nulla che possa in qualche modo giustificare l'ingresso con un'arma per sgomberare una occupazione studentesca. Il rischio, appare del tutto evidente, è quello che dall'arma potesse partire un colpo anche accidentalmente, mettendo a rischio l'incolumità e la vita degli studenti e degli agenti impegnati;
   non è la prima volta che nella gestione dell'ordine pubblico, negli ultimi mesi, si assiste a un uso che all'interrogante appare spropositato della forza e dell'intimidazione, nei confronti di chi dissente o protesta. Il caso più eclatante ha riguardato operai e sindacalisti della AST di Terni, manganellati in piazza senza chiare ragioni –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti e se ritenga che il comportamento tenuto dalle forze dell'ordine sia stato adeguato alla circostanza;
   quali iniziative intenda adottare per fare in modo che non accadano più fatti potenzialmente pericolosi e lesivi nella gestione dell'ordine pubblico. (4-10858)


   CARINELLI e PESCO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Centro assistenza minori (CAM) di Milano, con sede in via Pusiano 22, è una struttura pubblica che accoglie bambini tra gli zero e i sei anni per i quali il tribunale dei minori e i servizi sociali hanno disposto l'allontanamento temporaneo dal nucleo famigliare di origine e il collocamento in comunità;
   la struttura ospita bambini con handicap, vittime di abusi, abbandonati o con situazioni drammatiche familiari;
   la permanenza nelle comunità varia da sei mesi a tempi più lunghi, a seconda della problematica famigliare e dei tempi necessari per una decisione da parte del tribunale;
   l'intervento educativo sviluppato in oltre 50 anni di esperienza e competenza prevede un progetto individualizzato, volto a raggiungere obiettivi di crescita e di benessere psico-fisico specifici per ciascun bambino in spazi attrezzati, coinvolgendoli in attività e giochi come i laboratori creativi, l'orto sinergico e la psicomotricità;
   il lavoro delle educatrici è supportato da una équipe multi-professionale, composta da assistente sociale, medico pediatra, psicologa, pedagogista;
   nonostante la provincia di Milano non avesse più le deleghe per i servizi alla persona fin dal 1997, il CAM è stato gestito analogamente in modo continuo proprio perché svolgeva un servizio d'eccellenza a favore dei minori più disagiati che, in altre strutture private, probabilmente, non avrebbero ricevuto cura e protezione uguale a quanto ricevuto dal CAM di Milano;
   in base alla legge n. 56 del 2014 la città metropolitana di Milano ha comunicato che la gestione del CAM non rientra nelle sue funzioni e che la chiusura della struttura è prevista per il 31 dicembre 2015;
   per effetto della legge n. 56 del 2014 e del vuoto legislativo creatosi, c’è il rischio che, con la chiusura del CAM, i bambini ospitati attualmente nel centro e che già provengono da una difficile realtà familiare subiscano nuovi traumi;
   se i Ministri interrogati, siano a conoscenza di quanto riportato in premessa e se intendano assumere iniziative di carattere normativo finalizzate a risolvere le criticità determinate dalla riforma delle province e delle città metropolitane, con particolare riguardo ai servizi afferenti alle politiche sociali, in modo da trovare una positiva soluzione per il caso del CAM di Milano e casi analoghi. (4-10866)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso che il rettore dell'università di Udine, professor Alberto F. De Toni, avrebbe violato il «disciplinare per la concessione di spazi dell'Ateneo» permettendo al Partito Democratico, in collaborazione con il PD del Friuli Venezia Giulia e del gruppo della Camera dei deputati, di svolgere un evento dal titolo «Più valore al capitale umano Università, ricerca e alta formazione valori di sviluppo», presso gli spazi dell'ateneo nei giorni del 23 e 24 ottobre 2015;
   la violazione del regolamento universitario è a giudizio dell'interrogante, palese considerando che lo stesso, nel prevedere che «l'Università degli studi di Udine può concedere in uso spazi e locali di propria pertinenza sia ai componenti della comunità universitaria che ad utenti esterni», stabilisce quale sia la tipologia di utenti esterni a cui possono essere concessi degli spazi, ossia «le associazioni culturali, scientifiche e professionali qualificate, gli enti territoriali, gli altri enti, i consorzi, gli istituti e qualsiasi altro referente esterno all'Ateneo»; vanno quindi esclusi i soggetti politici anche poiché si specifica nel medesimo disciplinare che: «Gli spazi non vengono concessi per iniziative di carattere politico o simili»;
   di certo, l'evento in questione, in materia di università e ricerca, è di per sé di carattere politico poiché promosso e organizzato da un partito politico che si pronuncerà in base alla propria ideologia e al proprio programma su questi temi;
   tra l'altro, oltre alla concessione di dubbia legittimità dell'uso dei locali dell'università di Udine, il rettore ha provveduto a dare ampio risalto all'avvenimento, pubblicizzandolo con la trasmissione di comunicazioni, attraverso la propria segreteria, fornendo informazioni sull'evento organizzato dal Partito Democratico, a cui sarà presente anche il Ministro dell'Istruzione, dell'università e della ricerca, addirittura, le predette comunicazioni rimandavano direttamente al sito del partito democratico per ulteriori notizie (http://www.partitodemocratico.it);
   ebbene, non è ammissibile che un'università, per di più statale come quella di Udine, svolga attività, anche in violazione del proprio regolamento, con il fine di sfruttare risorse pubbliche e la propria posizione di rilievo per fare propaganda a beneficio di un partito politico. Al riguardo, infatti, è indubbio che concedere l'utilizzo dei propri locali per un evento del Partito democratico e dare risonanza allo stesso, con le modalità predette, equivale alla volontà di far conoscere, diffondere e sostenere le posizioni del partito politico in questione;
   gli enti universitari hanno il compito di promuovere la ricerca, l'istruzione di livello superiore nonché l'evoluzione scientifica e non di certo quello di fornire spazio e pubblicizzare le attività di un singolo partito politico. Tanto più, si ribadisce, la condotta del rettore dell'università di Udine, è ancor più disdicevole, considerando che appare, a giudizio dell'interrogante, in evidente violazione dello stesso regolamento universitario; si ricorda che al rettore, sono attribuite la rappresentanza dell'università, le funzioni di indirizzo e coordinamento delle attività scientifiche e didattiche, nonché la responsabilità del perseguimento delle finalità dell'ateneo secondo parametri di qualità, dunque, è di certo esclusa possibilità di utilizzare risorse pubbliche e fare propaganda a vantaggio di un partito politico;
   per i motivi predetti, l'interrogante ritiene inoltre inopportuna la condotta del Ministro interrogato che ha acconsentito a essere presente all'evento, senza manifestare alcun dissenso rispetto allo spazio e alla pubblicità resi dall'università di Udine per un partito politico –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro rispetto ai fatti riportati in premessa;
   se e quali iniziative intenda promuovere per evitare che si verifichino episodi come quello in premessa al fine di escludere che un'università sfrutti risorse pubbliche e la propria posizione di rilievo per sostenere le attività di un partito politico. (5-06770)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SIMONETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 1o ottobre 2015 la Commissione lavoro della Camera dei deputati ha approvato all'unanimità la risoluzione n. 7-00765, di cui l'interrogante è primo firmatario, in materia di attivazione dei cosiddetti «vasi comunicanti» per il riconoscimento della fase di salvaguardia pensionistica a lavoratori in congedo o fruitori di permessi per assistere familiari con disabilita;
   nella seduta di esame conclusivo la sottosegretaria per il lavoro e le politiche sociali Biondelli, nell'esprimere il parere favorevole del Governo, ricordava che lo stesso Esecutivo aveva già attivato la procedura in questione avviando la conferenza di servizi;
   nonostante la risoluzione abbia registrato un consenso unanime da parte della XI Commissione e il parere favorevole del Governo, all'interrogante non risulta sia corrisposto alcuna attuazione da parte dell'Esecutivo, lasciando ancora nel limbo migliaia di soggetti aventi diritto, tra i quali anche insegnanti che avrebbero potuto accedere al pensionamento già il 1o settembre del 2015, evitando, come già accaduto in passato, una loro uscita ad anno scolastico già avviata –:
   se e per quali ragioni il Governo non abbia, ancora dato seguito all'impegno assunto con la risoluzione menzionata in premessa ed entro quali tempi intenda completare la procedura dei «cosiddetti vasi comunicanti». (5-06772)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo il recente rapporto della fondazione Eurofound in tema di «Social inclusion of young people», in Italia le proposte di lavoro offerte ai giovani dai 15 ai 29 anni che non studiano e non lavorano, ovvero i cosiddetti «Neet» Not in Education, Employment or Training, sono molto inferiori alle domande di formazione e inserimento lavorativo, in contrasto con le molte promesse fatte in proposito dal Governo;
   dal recente bollettino, scaricabile dal sito www.garanziagiovani.gov.it e datato al 25 settembre 2015, risulta che la quantità di opportunità di lavoro presentate risulta sempre inferiore alle aspettative: sarebbero solo 88.643 le possibilità di lavoro complessivamente pubblicate, su 462.762 giovani presi in carico;
   secondo un recente articolo de Il Fatto quotidiano, lo stanziamento previsto dall'Unione europea per il progetto Garanzia giovani, ovvero 1,5 miliardi per l'Italia, sarebbe stato un affare per aziende private, agenzie del lavoro o enti di formazione, poiché la maggior parte delle risorse stanziate finirebbe alle agenzie interinali (fino a 3 mila euro a contratto) e alle aziende private (fino a 6 mila), mentre i ragazzi contattati sono solo 80 mila e i compensi vengono distribuiti anche per quelli che si registrano soltanto e quelli presi in carico, prima ancora che gli venga proposta un'opportunità di impiego;
   i dati della fondazione Eurofound indicano che, nel settembre 2014, per 212.279 ragazzi e ragazze che hanno presentato domanda per accedere al programma avviato il 1o maggio 2014, sarebbero state presentate solo 20.879 opportunità di lavoro da parte delle aziende;
   il rapporto Eurofound esprime anche preoccupazione per la discrepanza tra il numero di ragazzi che si sarebbero registrati al programma Garanzia giovani e quello di coloro i quali ne avrebbero diritto, questo secondo le stime ottenute elaborando i dati Eurostat: ben 2.431.415 ragazzi dai 15 ai 29 anni che non studiano e non lavorano visto che poi, rispetto agli altri Paesi, l'Italia ha scelto di ampliare la fascia di età dei beneficiari;
   i «Neet» italiani con un'età tra i 15 e i 24 anni sarebbero ben 1.320.970, rappresentando il valore più alto in assoluto tra i 10 Paesi considerati dalla valutazione, ovvero Belgio, Bulgaria, Estonia, Grecia, Spagna, Francia, Irlanda, Polonia, Regno Unito;
   mentre in Europa i «Neet» sono aumentati dal 10,9 per cento del 2007, al 12,4 per cento del 2014, in Italia, nello stesso periodo di tempo, sono passati dal 16,2 per cento al 26 per cento;
   sembra che il nostro Paese abbia anche il primato per la percentuale di «Neet» sul resto della popolazione tra i 15 e i 24 anni: 22,1 per cento, seguiti da Belgio (20,2 per cento) e Grecia (19,1 per cento);
   secondo l'indice di inclusione sociale «Arope» siamo noni tra i Paesi dell'Unione europea, per quanto riguarda l'indicatore che misura povertà monetaria, deprivazione materiale e esclusione dal mercato del lavoro, ma saliamo all'ottavo posto quando misuriamo la povertà e disoccupazione giovanile;
   la presenza di un numero così alto di giovani che non studiano e non lavorano rappresenta un problema molto grave soprattutto in prospettiva, per il futuro dell'intero Paese, ancor più se si pensa anche al numero di giovani laureati e formati che invece è costretta a lasciare l'Italia per trovare lavoro;
   l'Italia è il secondo, subito dopo la Grecia, tra i 28 pesi dell'Unione europea nella classifica dei ragazzi tra 15 e 24 anni senza lavoro per oltre un anno, con quasi il 60 per cento di disoccupazione giovanile;
   in Paesi come Finlandia, Danimarca e Svezia i ragazzi senza lavoro della stessa fascia di età sono meno del 10 per cento poiché, come sottolinea lo studio di Eurofond vi sarebbero «programmi di Garanzia Giovani già implementati e ben funzionanti»;
   l'Istat ha rilevato che a luglio 2015, rispetto a giugno 2014, i giovani occupati sarebbero 80 mila in meno, e solo nel mese di giugno 2015 sarebbero diminuiti di 22 mila unità; la disoccupazione giovanile ha raggiunto il livello più alto dall'inizio delle serie storiche, nel primo trimestre 1977; «il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, cioè la quota di giovani disoccupati sul totale di quelli attivi (occupati e disoccupati) è pari al 44,2 per cento»;
   secondo una ricerca di We World, organizzazione non governativa italiana di cooperazione allo sviluppo, presentata in questi giorni alla spazio Europa della Commissione e del Parlamento Ue, il problema dei Neet è in crescita continua poiché il loro numero aumenta almeno di un punto percentuale all'anno e il costo sull'economia e sulla crescita del Paese di questo fenomeno arriverebbe fino al 6,8 per cento del Pil, calcolato come effetto sul reddito fruibile nell'arco della vita –:
   se il Ministro sia a conoscenza della grave situazione dei giovani italiani di cui in premessa e in che modo intenda intervenire al fine di contrastare la mancanza di opportunità lavorative per il mondo dei giovani che rischia di diventare una terribile ipoteca per la società del prossimo futuro;
   quali strategie intenda mettere in campo rispetto al grave problema dei «Neet» esposto in premessa;
   se non consideri urgente promuovere delle verifiche e chiarire a quanto riportato su Il Fatto quotidiano, dal quale risulterebbe che il progetto Garanzia Giovani sarebbe stato un affare per gli enti di formazione, che avrebbero lucrato «sulla pelle» dei disoccupati, invece di dare risultati significativi in termini di collocamento lavorativo dei giovani, e in tal caso, quali iniziative intenda intraprendere.
(4-10857)


   SILVIA GIORDANO, DI VITA, LOREFICE, COLONNESE, MANTERO, BARONI e GRILLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, direzione territoriale di Avellino-Benevento, ha comunicato che dal 2 novembre saranno temporaneamente sospese le attività istituzionali presso l'Agenzia di Sant'Agata dei Goti, sino a data da destinarsi;
   la sede INAIL definita COT (entro operativo territoriale) che opera sul territorio del comune di Sant'Agata dei Goti (BN) ha competenza su un bacino di utenza di quindici, Comuni, quali: Airola, Amorosi, Arpaia, Bonea, Bucciano, Dugenta, Durazzano, Forchia, Frasso Telesino, Limatola, Melizzano, Moiano, Paolisi, Puglianello, Sant'Agata de’ Goti;
   i suddetti comuni rappresentano, nel loro complesso, un'utenza complessiva di circa 50 mila abitanti che oggi hanno la possibilità di usufruire dei servizi del COT INAIL all'interno di un territorio che non supera i 19 chilometri;
   già nel dicembre 2013 si paventava una chiusura del suddetto centro territoriale che è stata oggetto dell'interrogazione parlamentare n. 5-01141 presentata dalla presentatrice del presente atto al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Dalla risposta del Ministro, pubblicata mercoledì 18 giugno 2014 nell'allegato al bollettino in Commissione XI (Lavoro), risulta che «con circolare n. 20 del 21 marzo 2014 sono state istituite le Direzioni Territoriali, tra le quali figura quella di Avellino-Benevento, all'interno della cui articolazione è comunque previsto un punto di accesso per l'utenza presso il Comune di Sant'Agata dei Goti». «Si impegna l'INAIL a proseguire nella razionalizzazione delle proprie strutture, mantenendo invariati i livelli di servizio e la qualità delle prestazioni rese all'utenza»;
   l'accorpamento del COT INAIL di Sant'Agata dei Goti da parte delle sedi territoriali di Benevento recherà un innegabile disagio 50.000 utenti dei 18 comuni che facevano riferimento al COT Inail di Sant'Agata de’ Goti i quali dovranno percorrere più di 60 chilometri di un percorso stradale altamente congestionato e di elevata pericolosità per raggiungere il capoluogo di provincia –:
   se sia a conoscenza delle ragioni che hanno generato la chiusura temporanea del centro operativo territoriale che opera sul territorio del comune di Sant'Agata, e quando avverrà la ripresa delle attività;
   se la sospensione a tempo indeterminato delle attività istituzionali presso l'Agenzia di Sant'Agata dei Goti sarà seguita da un provvedimento di formale di chiusura del sito;
   se la chiusura dell'Agenzia di Sant'Agata dei Goti mantenga invariati i livelli di servizio e la qualità delle prestazioni rese all'utenza come garantito dal Governo nella risposta all'interrogazione parlamentare n. 5-01141;
   se intenda avviare una interlocuzione istituzionale diretta con l'istituto al fine di garantire al meglio la prossimità del servizio all'utenza, con attenzione specifica per le attività sanitarie e socio-educative, anche tenuto conto del contesto produttivo locale e dei collegamenti esistenti con le altre strutture del territorio regionale. (4-10861)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   RICHETTI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 6 della legge 11 agosto 2014, n. 114 (Divieto di incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza), che ha modificato l'articolo 5, comma 9, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, estende dalla data della sua entrata in vigore, il divieto per tutte le pubbliche amministrazioni di attribuzione di incarichi a tutti i lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza;
   nello specifico, il testo modificato dell'articolo 5, comma 9, del decreto-legge n. 95 del 2012 recita: «È fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, nonché alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (...) di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti, già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza;
   alle suddette amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni di cui al primo periodo e degli enti e società da esse controllati, ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui all'articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125 (Ordini e collegi professionali);
   incarichi e collaborazioni sono consentiti, esclusivamente a titolo gratuito e per una durata non superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione. Devono essere rendicontati eventuali rimborsi di spese, corrisposti nei limiti fissati dall'organo competente dell'amministrazione interessata;
   l'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (legge di contabilità e di finanza pubblica), specifica che per amministrazioni pubbliche tenute al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica «si intendono gli enti e gli altri soggetti che costituiscono il settore istituzionale delle amministrazioni pubbliche individuati dall'Istituto nazionale di statistica sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti comunitari»;
   sulla base di tale norma e del regolamento (UE) n. 2223/96, sono stati adottati l'elenco oggetto del comunicano dell'istituto nazionale di statistica (ISTAT) del 24 luglio 2010, pubblicato in pari data nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 171, nonché, a decorrere dall'anno 2012, l'elenco oggetto del comunicato dei medesimo Istituto del 30 settembre 2011, pubblicato in pari data nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 228, individuanti gli enti e i soggetti inquadrabili tra le amministrazioni pubbliche da inserire nei conto economico consolidato della pubblica amministrazione;
   tra le amministrazioni pubbliche inserite in detti elenchi il legislatore ha ricompreso, senza ulteriori specificazioni, gli «Enti nazionali di previdenza e assistenza sociale» elencando singolarmente ed in modo esaustivo tutte le Casse di Previdenza dei professionisti afferenti sia al decreto legislativo n. 509 del 1994 sia al decreto legislativo n. 103 del 1996;
   la sentenza del Consiglio di Stato n. 6014 del 28 novembre 2012 (sez. IV) ha definitivamente statuito il «carattere pubblicistico dell'attività istituzionale di previdenza ed assistenza» svolta dalle Casse di previdenziali dei liberi professionisti che «conservano una funzione strettamente correlata all'interesse pubblico», rigettando ogni differente deduzione proposta dagli enti stessi tesa alla loro esclusione dai suddetti elenchi ISTAT;
   la circolare n. 6 del 4 dicembre 2014 del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione interpretativa ed applicativa dell'articolo 5, comma 9, del decreto-legge n. 95 del 2012, come modificato dall'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, conferma ulteriormente ed inequivocabilmente che:
    a) ambito di applicazione dei divieti di impiego di soggetti in quiescenza sono «tutte le amministrazioni rientranti nell'elenco annualmente redatto dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge n. 196/2009»;
    b) «il divieto si estende a qualsiasi lavoratore dipendente collocato in quiescenza indipendentemente dalla natura del precedente datore di lavoro e del soggetto che corrisponde il trattamento di quiescenza»;
    c) rientrano espressamente tra gli «incarichi vietati» tutte le «cariche di governo nelle amministrazioni e negli enti»;
    d) «incarichi e collaborazioni sono consentiti a titolo gratuito con rimborso delle spese documentate, per una durata non superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile»;
   organi di governo delle Casse previdenziali dei professionisti di cui al decreto legislativo n. 103 del 1996 sono, tra gli altri, il Consiglio di indirizzo generale (CIG) e il consiglio di amministrazione (CdA);
   sono stati di recente rinnovati o saranno di prossimo rinnovo gli organi di governo di diverse casse di previdenza professionali ex decreto legislativo n. 103 del 1996 –:
   se la nomina alla carica di consigliere di indirizzo generale o di consigliere di amministrazione delle Casse di previdenza ex decreto legislativo n. 103 del 1996 sia compatibile con la condizione di lavoratore – privato o pubblico – in quiescenza (pensionato), anche se ancora esercitante attività libero professionale, qualunque sia stata la natura della precedente attività lavorativa e qualunque sia il soggetto erogante il trattamento pensionistico di quiescenza;
   se a questi lavoratori in quiescenza, ove eletti alla carica di consigliere di indirizzo generale o di consigliere di amministrazione delle Casse di previdenza ex decreto legislativo n. 103 del 1996, sia consentito esclusivamente lo svolgimento di incarico a titolo gratuito, per una durata non superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile. (4-10864)

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Rostellato e altri n. 5-05409 del 22 aprile 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-01788;
   interrogazione a risposta in Commissione Giulietti e Brandolin n. 5-06170 del 29 luglio 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-01787.