Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 22 ottobre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    Internet si configura oggi come uno strumento imprescindibile per promuovere la partecipazione individuale e collettiva ai processi democratici e l'eguaglianza sostanziale;
    la rete rappresenta uno spazio sempre più fondamentale per le persone e i gruppi rappresentando motore e luogo di scambio, produzione di conoscenza, volano per uno sviluppo economico che rende possibili innovazione, corretta competizione e crescita in un contesto democratico;
    Internet è un mezzo che collega direttamente dimensione locale e globale, culture e persone, istituzioni e forze produttive;
    la tecnologia stessa e la sua diffusione condizionano a loro volta l'effettività dei diritti;
    considerare Internet uno dei vari media è dunque riduttivo e improprio, essendo divenuta la rete una dimensione essenziale per il presente e il futuro delle nostre società;
    le istituzioni hanno il dovere di promuovere e accompagnare l'armonico sviluppo di Internet e del suo utilizzo e che in questo contesto appare fondamentale che il Parlamento affronti ed esamini i molteplici e complessi profili collegati a tale sviluppo;
    le questioni connesse all'accesso e all'utilizzazione di Internet travalicano, per la stessa natura della rete, le dimensioni nazionali e richiedono un coordinamento per un impegno a livello sovranazionale e una prospettiva che vada oltre i confini nazionali;
    sono sempre più numerose le iniziative in questo senso: si ricordano l’Internet Governance Forum (IGF), nato nel 2006 per volontà delle Nazioni Unite, il forum multilaterale nel quale vengono dibattuti i problemi riguardanti la governance della rete; la Dynamic Coalition on Internet Rights and Principles (il gruppo di lavoro promosso già dall'IGF di Atene del 2006); la legge «Marco Civil» in Brasile del marzo 2014; l'annuncio del Governo americano, sempre nel marzo 2014, di volere trasferire alcune competenze fondamentali relative a Internet a una nuova entità internazionale;
    occorre superare la posizione di chi nega l'opportunità di un qualsivoglia quadro di princìpi regolatori, forti della convinzione che l'assenza di regole non significhi garanzia di una rete libera ma spesso prevalenza degli interessi – se non degli abusi – dei soggetti più forti e strutturati;
    occorre superare anche la posizione di chi propone un rigido sistema regolatorio che rischierebbe di depotenziare, se non addirittura neutralizzare, quello straordinario e particolare strumento che è la Rete;
    appare corretta invece l'intuizione della necessità di individuare un insieme di princìpi generali che tutelino lo sviluppo aperto e neutrale della rete e da cui scaturisca un quadro di diritti e doveri in Internet;
    sono molteplici i tentativi di definire una Carta dei diritti in Internet: basti ricordare il progetto in corso di Tim Berners Lee – l'inventore del web – per una Magna Charta di Internet e lo studio del Berkman Center dell'Università di Harvard; l'appello, già nel 2005, per un «Internet Bill of Rights» emerso dal World Summit on Information Society di Tunisi e poi ripreso nel corso dell’Internet Governance Forum del 2007 di Rio de Janeiro con l'obiettivo di individuare un insieme di princìpi che tutelassero lo sviluppo aperto e neutrale della rete e da cui scaturissero diritti e doveri dei suoi utenti;
    sul tema dei diritti degli utenti della rete e più in generale sul diritto alla tutela dei dati personali si è pronunciata la Corte di giustizia dell'Unione europea, con la sentenza Digital Rights Ireland dell'8 aprile 2014 che ha dichiarato illegittima la direttiva europea sulla conservazione dei dati personali; con la sentenza Google-Spain del 13 maggio 2014, in materia di conservazione dei dati personali, nella quale si legge che i diritti riconosciuti dagli articoli 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che sono norme vincolanti, «prevalgono sull'interesse economico degli operatori dei motori di ricerca»; con la sentenza Schrems v. Data protection del 6 ottobre, che ha dichiarato illegittima la decisione 2000/520/CE della Commissione europea sul trasferimento dei dati personali negli Stati Uniti; il Consiglio d'Europa ha adottato una raccomandazione, anch'essa dell'aprile 2014, relativa a una Guida dei diritti umani per gli utenti di Internet; è in corso di elaborazione, in sede europea, una proposta di regolamento concernente il trattamento dei dati personali che investe anche la dimensione di Internet;
    l'Europa durante il consiglio informale dei Ministri TLC tenutosi a Milano il 3 ottobre 2014 nell'ambito del Semestre di Presidenza italiano ha ribadito con una sola voce l'importanza del rispetto del diritto di accesso alla rete per ogni cittadino e la necessità di rendere l'Unione europea protagonista del processo di costituzione della nuova governance di Internet;
    il Governo ha più volte ribadito la volontà dell'Italia di essere partecipe nel supportare l'iniziativa europea sulla nuova governance di Internet;
    alla luce di tali considerazioni è stata istituita presso la Camera dei deputati una Commissione sui diritti e i doveri in Internet composta da deputati di tutti i gruppi parlamentari e da esperti, studiosi, operatori del settore e rappresentanti di associazioni con l'intento di giungere alla redazione di una «Dichiarazione dei diritti in Internet»;
    per la prima volta in Italia è stato istituito un organismo nella sede parlamentare, chiamato a occuparsi di questi temi, che attengono agli spazi di libertà, di crescita, di scambio e di conoscenza;
    la Commissione ha avviato i propri lavori il 28 luglio 2014 ed ha svolto dodici sedute, di cui sei dedicate allo svolgimento di audizioni di operatori del settore, esperti, rappresentanti delle varie istituzioni competenti in materia e delle associazioni di categoria, per un totale di 46 soggetti auditi;
    su di una prima bozza di Dichiarazione – parallelamente allo svolgimento delle audizioni – si è svolta una consultazione pubblica che ha avuto durata complessiva di cinque mesi, nel corso dei quali gli accessi alla piattaforma sono stati 14.099, mentre le opinioni espresse sono state 587;
    tale bozza è stata inoltre sottoposta all'attenzione dei partecipanti alla riunione dei Parlamenti dei Paesi membri dell'Unione europea e del Parlamento europeo sul tema dei diritti fondamentali, svoltasi alla Camera il 13 e il 14 ottobre 2014 nel corso del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea;
    la Commissione ha quindi approvato, il 28 luglio 2015, una «Dichiarazione dei diritti in Internet» che dopo aver chiarito nel suo preambolo che:

  «Internet ha contribuito in maniera decisiva a ridefinire lo spazio pubblico e privato, a strutturare i rapporti tra le persone e tra queste e le Istituzioni. Ha cancellato confini e ha costruito modalità nuove di produzione e utilizzazione della conoscenza. Ha ampliato le possibilità di intervento diretto delle persone nella sfera pubblica. Ha modificato l'organizzazione del lavoro. Ha consentito lo sviluppo di una società più aperta e libera. Internet deve essere considerata come una risorsa globale e che risponde al criterio della universalità.
  L'Unione europea è oggi la regione del mondo dove è più elevata la tutela costituzionale dei dati personali, esplicitamente riconosciuta dall'articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali, che costituisce il riferimento necessario per una specificazione dei princìpi riguardanti il funzionamento di Internet, anche in una prospettiva globale.
  Questa Dichiarazione dei diritti in Internet è fondata sul pieno riconoscimento di libertà, eguaglianza, dignità e diversità di ogni persona. La garanzia di questi diritti è condizione necessaria perché sia assicurato il funzionamento democratico delle Istituzioni, e perché si eviti il prevalere di poteri pubblici e privati che possano portare ad una società della sorveglianza, del controllo e della selezione sociale. Internet si configura come uno spazio sempre più importante per l'autorganizzazione delle persone e dei gruppi e come uno strumento essenziale per promuovere la partecipazione individuale e collettiva ai processi democratici e l'eguaglianza sostanziale.
  I princìpi riguardanti Internet tengono conto anche del suo configurarsi come uno spazio economico che rende possibili innovazione, corretta competizione e crescita in un contesto democratico.
  Una Dichiarazione dei diritti di Internet è strumento indispensabile per dare fondamento costituzionale a princìpi e diritti nella dimensione sovranazionale»;

   prevede:

1. – (Riconoscimento e garanzia dei diritti).

  1. Sono garantiti in Internet i diritti fondamentali di ogni persona riconosciuti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite, dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, dalle costituzioni nazionali e dalle dichiarazioni internazionali in materia.
  2. Tali diritti devono essere interpretati in modo da assicurarne l'effettività nella dimensione della Rete.
  3. Il riconoscimento dei diritti in Internet deve essere fondato sul pieno rispetto della dignità, della libertà, dell'eguaglianza e della diversità di ogni persona, che costituiscono i princìpi in base ai quali si effettua il bilanciamento con altri diritti.

2. – (Diritto di accesso).

  1. L'accesso ad Internet è diritto fondamentale della persona e condizione per il suo pieno sviluppo individuale e sociale.
  2. Ogni persona ha eguale diritto di accedere a Internet in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e aggiornate che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale.
  3. Il diritto fondamentale di accesso a Internet deve essere assicurato nei suoi presupposti sostanziali e non solo come possibilità di collegamento alla Rete.
  4. L'accesso comprende la libertà di scelta per quanto riguarda dispositivi, sistemi operativi e applicazioni anche distribuite.
  5. Le Istituzioni pubbliche garantiscono i necessari interventi per il superamento di ogni forma di divario digitale tra cui quelli determinati dal genere, dalle condizioni economiche oltre che da situazioni di vulnerabilità personale e disabilità.

3. – (Diritto alla conoscenza e all'educazione in rete).

  1. Le istituzioni pubbliche assicurano la creazione, l'uso e la diffusione della conoscenza in rete intesa come bene accessibile e fruibile da parte di ogni soggetto.
  2. Debbono essere presi in considerazione i diritti derivanti dal riconoscimento degli interessi morali e materiali legati alla produzione di conoscenze.
  3. Ogni persona ha diritto ad essere posta in condizione di acquisire e di aggiornare le capacità necessarie ad utilizzare Internet in modo consapevole per l'esercizio dei propri diritti e delle proprie libertà fondamentali.
  4. Le Istituzioni pubbliche promuovono, in particolare attraverso il sistema dell'istruzione e della formazione, l'educazione all'uso consapevole di Internet e intervengono per rimuovere ogni forma di ritardo culturale che precluda o limiti l'utilizzo di Internet da parte delle persone.
  5. L'uso consapevole di Internet è fondamentale garanzia per lo sviluppo di uguali possibilità di crescita individuale e collettiva, il riequilibrio democratico delle differenze di potere sulla Rete tra attori economici, Istituzioni e cittadini, la prevenzione delle discriminazioni e dei comportamenti a rischio e di quelli lesivi delle libertà altrui.

4. – (Neutralità della rete).

  1. Ogni persona ha il diritto che i dati trasmessi e ricevuti in Internet non subiscano discriminazioni, restrizioni o interferenze in relazione al mittente, ricevente, tipo o contenuto dei dati, dispositivo utilizzato, applicazioni o, in generale, legittime scelte delle persone.
  2. Il diritto ad un accesso neutrale ad Internet nella sua interezza è condizione necessaria per l'effettività dei diritti fondamentali della persona.

5. – (Tutela dei dati personali).

  1. Ogni persona ha diritto alla protezione dei dati che la riguardano, per garantire il rispetto della sua dignità, identità e riservatezza.
  2. Tali dati sono quelli che consentono di risalire all'identità di una persona e comprendono anche i dati dei dispositivi e quanto da essi generato e le loro ulteriori acquisizioni e elaborazioni, come quelle legate alla produzione di profili.
  3. Ogni persona ha diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano, di ottenerne la rettifica e la cancellazione per motivi legittimi.
  4. I dati devono esser trattati rispettando i principi di necessità, finalità, pertinenza, proporzionalità e, in ogni caso, prevale il diritto di ogni persona all'autodeterminazione informativa.
  5. I dati possono essere raccolti e trattati con il consenso effettivamente informato della persona interessata o in base a altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Il consenso è in via di principio revocabile. Per il trattamento di dati sensibili la legge può prevedere che il consenso della persona interessata debba essere accompagnato da specifiche autorizzazioni.
  6. Il consenso non può costituire una base legale per il trattamento quando vi sia un significativo squilibrio di potere tra la persona interessata e il soggetto che effettua il trattamento.
  7. Sono vietati l'accesso e il trattamento dei dati con finalità anche indirettamente discriminatorie.

6. – (Diritto all'autodeterminazione informativa).

  1. Ogni persona ha diritto di accedere ai propri dati, quale che sia il soggetto che li detiene e il luogo dove sono conservati, per chiederne l'integrazione, la rettifica, la cancellazione secondo le modalità previste dalla legge. Ogni persona ha diritto di conoscere le modalità tecniche di trattamento dei dati che la riguardano.
  2. La raccolta e la conservazione dei dati devono essere limitate al tempo necessario, rispettando in ogni caso i principi di finalità e di proporzionalità e il diritto all'autodeterminazione della persona interessata.

7. – (Diritto all'inviolabilità dei sistemi, dei dispositivi e domicili informatici).

  1. I sistemi e i dispositivi informatici di ogni persona e la libertà e la segretezza delle sue informazioni e comunicazioni elettroniche sono inviolabili. Deroghe sono possibili nei soli casi e modi stabiliti dalla legge e con l'autorizzazione motivata dell'autorità giudiziaria.

8. – (Trattamenti automatizzati).

  1. Nessun atto, provvedimento giudiziario o amministrativo, decisione comunque destinata ad incidere in maniera significativa nella sfera delle persone possono essere fondati unicamente su un trattamento automatizzato di dati personali volto a definire il profilo o la personalità dell'interessato.

9. – (Diritto all'identità).

  1. Ogni persona ha diritto alla rappresentazione integrale e aggiornata delle proprie identità in Rete.
  2. La definizione dell'identità riguarda la libera costruzione della personalità e non può essere sottratta all'intervento e alla conoscenza dell'interessato.
  3. L'uso di algoritmi e di tecniche probabilistiche deve essere portato a conoscenza delle persone interessate, che in ogni caso possono opporsi alla costruzione e alla diffusione di profili che le riguardano.
  4. Ogni persona ha diritto di fornire solo i dati strettamente necessari per l'adempimento di obblighi previsti dalla legge, per la fornitura di beni e servizi, per l'accesso alle piattaforme che operano in Internet.
  5. L'attribuzione e la gestione dell'Identità digitale da parte delle Istituzioni Pubbliche devono essere accompagnate da adeguate garanzie, in particolare in termini di sicurezza.

10. – (Protezione dell'anonimato).

  1. Ogni persona può accedere alla rete e comunicare elettronicamente usando strumenti anche di natura tecnica che proteggano l'anonimato ed evitino la raccolta di dati personali, in particolare per esercitare le libertà civili e politiche senza subire discriminazioni o censure.
  2. Limitazioni possono essere previste solo quando siano giustificate dall'esigenza di tutelare rilevanti interessi pubblici e risultino necessarie, proporzionate, fondate sulla legge e nel rispetto dei caratteri propri di una società democratica.
  3. Nei casi di violazione della dignità e dei diritti fondamentali, nonché negli altri casi previsti dalla legge, l'autorità giudiziaria, con provvedimento motivato, può disporre l'identificazione dell'autore della comunicazione.

11. – (Diritto all'oblio).

  1. Ogni persona ha diritto di ottenere la cancellazione dagli indici dei motori di ricerca dei riferimenti ad informazioni che, per il loro contenuto o per il tempo trascorso dal momento della loro raccolta, non abbiano più rilevanza pubblica.
  2. Il diritto all'oblio non può limitare la libertà di ricerca e il diritto dell'opinione pubblica a essere informata, che costituiscono condizioni necessarie per il funzionamento di una società democratica. Tale diritto può essere esercitato dalle persone note o alle quali sono affidate funzioni pubbliche solo se i dati che le riguardano non hanno alcun rilievo in relazione all'attività svolta o alle funzioni pubbliche esercitate.
  3. Se la richiesta di cancellazione dagli indici dei motori di ricerca dei dati è stata accolta, chiunque può impugnare la decisione davanti all'autorità giudiziaria per garantire l'interesse pubblico all'informazione.

12. – (Diritti e garanzie delle persone sulle piattaforme).

  1. I responsabili delle piattaforme digitali sono tenuti a comportarsi con lealtà e correttezza nei confronti di utenti, fornitori e concorrenti.
  2. Ogni persona ha il diritto di ricevere informazioni chiare e semplificate sul funzionamento della piattaforma, a non veder modificate in modo arbitrario le condizioni contrattuali, a non subire comportamenti che possono determinare difficoltà o discriminazioni nell'accesso. Ogni persona deve in ogni caso essere informata del mutamento delle condizioni contrattuali. In questo caso ha diritto di interrompere il rapporto, di avere copia dei dati che la riguardano in forma interoperabile, di ottenere la cancellazione dalla piattaforma dei dati che la riguardano.
  3. Le piattaforme che operano in Internet, qualora si presentino come servizi essenziali per la vita e l'attività delle persone, assicurano, anche nel rispetto del principio di concorrenza, condizioni per una adeguata interoperabilità, in presenza di parità di condizioni contrattuali, delle loro principali tecnologie, funzioni e dati verso altre piattaforme.

13. – (Sicurezza in rete).

  1. La sicurezza in Rete deve essere garantita come interesse pubblico, attraverso l'integrità delle infrastrutture e la loro tutela da attacchi, e come interesse delle singole persone.
  2. Non sono ammesse limitazioni della libertà di manifestazione del pensiero. Deve essere garantita la tutela della dignità delle persone da abusi connessi a comportamenti quali l'incitamento all'odio, alla discriminazione e alla violenza.

14. – (Governo della rete).

  1. Ogni persona ha diritto di vedere riconosciuti i propri diritti in Rete sia a livello nazionale che internazionale.
  2. Internet richiede regole conformi alla sua dimensione universale e sovranazionale, volte alla piena attuazione dei principi e diritti prima indicati, per garantire il suo carattere aperto e democratico, impedire ogni forma di discriminazione e evitare che la sua disciplina dipenda dal potere esercitato da soggetti dotati di maggiore forza economica.
  3. Le regole riguardanti la Rete devono tenere conto dei diversi livelli territoriali (sovranazionale, nazionale, regionale), delle opportunità offerte da forme di autoregolamentazione conformi ai principi indicati, della necessità di salvaguardare la capacità di innovazione anche attraverso la concorrenza, della molteplicità di soggetti che operano in Rete, promuovendone il coinvolgimento in forme che garantiscano la partecipazione diffusa di tutti gli interessati. Le istituzioni pubbliche adottano strumenti adeguati per garantire questa forma di partecipazione.
  4. In ogni caso, l'innovazione normativa in materia di Internet è sottoposta a valutazione di impatto sull'ecosistema digitale.
  5. La gestione della Rete deve assicurare il rispetto del principio di trasparenza, la responsabilità delle decisioni, l'accessibilità alle informazioni pubbliche, la rappresentanza dei soggetti interessati.
  6. L'accesso e il riutilizzo dei dati generati e detenuti dal settore pubblico debbono essere garantiti.
  7. La costituzione di autorità nazionali e sovranazionali è indispensabile per garantire effettivamente il rispetto dei criteri indicati, anche attraverso una valutazione di conformità delle nuove norme ai princìpi di questa Dichiarazione,

impegna il Governo:

   ad attivare ogni utile iniziativa per la promozione e l'adozione a livello nazionale, europeo e internazionale dei princìpi contenuti nella Dichiarazione adottata il 28 luglio 2015 dalla Commissione per i diritti e i doveri in Internet istituita presso la Camera dei deputati;
   a promuovere un percorso che porti alla costituzione della comunità italiana per la governance della rete definendo compiti e obiettivi in una logica multistakeholder.
(1-01031) «Quintarelli, Coppola, De Lorenzis, Gitti, Migliore, Paglia, Palmieri, Tancredi, Brunetta, Dellai, Lupi, Monchiero, Pisicchio, Rosato, Scotto».

Risoluzioni in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:
    dal 1985, con un impegno di 400 milioni di euro, la cooperazione italiana rientra tra i principali donatori della Palestina. Dal 2012, il suo intervento, in linea con la comunità dei donatori, è volto a sostenere gli impegni assunti dall'ANP (Autorità nazionale palestinese) per costituire istituzioni stabili ed effettivi meccanismi statuali confermati nel piano programmatico 2011-2013 (cosiddetto Piano Fayyad) unitamente al tradizionale impegno assunto per sostenere il processo di pace e rispondere alle peculiari necessità della popolazione;
    con l'ultimo Joint Ministerial Committee del 29 giugno 2015, l'Italia ha ulteriormente consolidato il proprio impegno finanziario per un totale di 140 milioni di euro di cui 54 a dono e 45 a credito di aiuto per il triennio 2013-2015;
    la strategia italiana per la cooperazione in Palestina per il citato triennio prevede un impegno finanziario di 60 milioni di euro, 30 a dono e 30 a credito d'aiuto;
    gli interventi della cooperazione allo sviluppo italiana si focalizzano principalmente su tre settori: genere e protezione sociale, salute e sviluppo economico;
    a tali attività di cooperazione si affianca il «programma di emergenza» che vede l'impegno italiano focalizzarsi su tre ulteriori settori prioritari come salute, acqua e tutela dei gruppi vulnerabili in aree geografiche strategiche per gli equilibri politici come la striscia di Gaza, Gerusalemme Est e l'area C;
    nel «programma emergenza 2015», approvato con la delibera n. 212 del 19 dicembre 2014, figurano progetti presentati da diverse, organizzazioni non governative italiane. I progetti, il cui costo complessivo ammonta a 2,5 milioni di euro, si concentrano prevalentemente sulla ricostruzione di strutture rase al suolo dall'esercito israeliano;
    tra gli altri, il progetto «Re-building Gaza – Riabilitazione in architettura bioclimatica e riattivazione dei servizi di supporto psicosociale del centro La Terra dei Bambini» prevede, per un importo di 247.324,25 euro, la ricostruzione nel nord della Striscia di Gaza della citata struttura finanziata dalla cooperazione italiana, rasa al suolo dall'esercito israeliano dopo il bombardamento del 17 luglio 2014;
    si tratta di un edificio progettato da italiani, finanziato dalla Farnesina per 170 mila euro e realizzato nell'ambito del progetto gestito dal 2011 dalla organizzazione non governativa milanese «Vento di Terra», un centro che rappresentava un modello di eccellenza in termini di architettura bioclimatica e di metodologia educativa che ospitava un asilo con 130 bambini e 70 mamme e un ambulatorio pediatrico; anche la mensa comunitaria, inaugurata solo 2 mesi prima, che forniva pasti ai bambini e alle famiglie povere del villaggio è stata demolita; «L'esercito israeliano, messo al corrente di tutte le fasi del progetto, ha deciso senza alcuna giustificazione, di demolire quando il villaggio era già stato evacuato» queste le parole dell'architetto della struttura Mario Cucinella e del presidente della organizzazione non governativa Massimo Annibale Rossi all'indomani del bombardamento israeliano;
    insieme al progetto per la sua ricostruzione, il «Programma emergenza 2015» presenta numerosi altri progetti che prevedono riabilitazioni di pozzi agricoli, installazioni di pannelli fotovoltaici, creazione di ludoteche, cliniche mobili, promozione all'igiene, ripristino di aree verdi, costruzioni di cisterne, creazione di linee telefoniche gratuite antiviolenza e altro,

impegna il Governo:

   a monitorare la realizzazione di tutti i lavori di ricostruzione nella Striscia di Gaza, area C e Gerusalemme est, finanziati dalla cooperazione allo sviluppo italiana, anche al fine di garantire che i fondi a ciò destinati non vadano dispersi o siano male utilizzati;
   ad adottare ogni iniziativa, soprattutto di carattere diplomatico, nei confronti del Governo d'Israele affinché l'esercito israeliano non si renda più protagonista di devastazioni come quelle, illustrate in premessa, con ciò facendo sì che siano rispettati gli interventi di cooperazione allo sviluppo dell'Italia.
(7-00827) «Manlio Di Stefano, Spadoni, Sibilia, Di Battista, Grande, Del Grosso, Scagliusi».


   La XII Commissione,
   premesso che:
    la cannabis è una pianta dalla quale, oltre a sostanze psicoattive come la marijuana e l'hashish, è possibile derivare anche dei prodotti per uso terapeutico legato alle sue proprietà analgesiche, sedative e miorilassanti;
   con la cannabis si possono curare dolori da tumore, la sla, la sclerosi multipla, alcune neuropatie e la stimolazione dell'appetito nei pazienti affetti da Aids. Può inoltre essere utile alla cura delle forme di dolore cronico refrattario di origine reumatologica – per esempio la fibromialgia – al morbo di Crohn, all'asma bronchiale, al glaucoma, ad alcune forme di epilessia resistenti ai farmaci, alla cura dell'ansia e dell'anoressia;
    al momento le regioni che hanno adottato una legge sull'uso terapeutico della cannabis sono undici: Puglia, Emilia Romagna, Veneto, Toscana, Friuli, Sicilia, Abruzzo, Liguria, Marche, Umbria e Basilicata. Le leggi regionali sono diverse tra loro ma convergenti tutte su un unico punto: il medicinale deve essere erogato gratuitamente ai pazienti e il costo deve essere a carico del servizio sanitario nazionale;
    le leggi delle regioni Puglia, Toscana, Marche, Veneto, Friuli, Sicilia e Abruzzo prevedono che il costo dei farmaci cannabinoidi importati dall'estero sia rimborsabile dal servizio sanitario regionale, se l'inizio del trattamento avviene in ambito ospedaliero e in regime di day hospital. Anche dopo la dimissione del paziente, i farmaci sono a carico del servizio sanitario nazionale e forniti dalla farmacia ospedaliera. Se, al contrario, il trattamento è stato avviato in ambito domiciliare dietro richiesta del medico di famiglia, il paziente deve rivolgersi a una farmacia del servizio pubblico per l'importazione e dovrà pagare il prezzo di costo richiesto dal produttore e le spese accessorie riportate nella fattura;
    la legge non prevede ancora nuove facilitazioni per accedere alle cure, quindi, nell'attesa dell'attuazione dei primi progetti di auto produzione del farmaco nel nostro Paese e di un eventuale cambiamento dei metodi di erogazione dello stesso, l’iter per accedervi è sempre lo stesso e richiede l'importazione per un fabbisogno massimo di tre mesi. La prescrizione va ottenuta tramite il proprio medico di famiglia o da uno specialista ospedaliero;
    i testi che normano l'uso terapeutico della cannabis approvati in Veneto, Liguria, Sicilia e Abruzzo prevedono la possibilità di convenzioni con centri e istituti autorizzati alla produzione di farmaci cannabinoidi. La regione Abruzzo prevede anche un fondo di 50mila euro all'anno per assicurare la fornitura di farmaci a base di cannabis ai pazienti;
    il Governo nel 2014 ha dato il via libera all'uso della cannabis a scopo terapeutico ed è ora all'esame della Conferenza Stato-regioni il decreto del Ministero della salute che attribuisce al dicastero stesso le funzioni di «Organismo statale per la cannabis». Il passaggio normativo è obbligatorio secondo quanto previsto dalla Convenzione unica sugli stupefacenti del 1961 e di fatto sancisce l'ufficializzazione della «cannabis di Stato»;
    l'Italia quindi sta per entrare a tutti gli effetti nella lista dei Paesi produttori di cannabis per uso medico e trattasi di un importante segnale perché viene riconosciuta la legalità della cannabis per uso terapeutico;
    le leggi regionali regolamentano l'utilizzo e l'erogazione a carico del sistema sanitario nazionale del farmaco cannabis all'interno del territorio, ma non tutte le regioni hanno questo tipo di regolamentazione, quindi grazie alla produzione nel nostro Paese del medicinale, questo entrerà a tutti gli effetti in tutte le regioni a far parte dei LEA (livelli essenziali di assistenza), cioè quelle prestazioni che dovrebbero essere erogate gratuitamente, o con un ticket in base alla fascia di reddito di chi richiede il trattamento, dal servizio sanitario nazionale;
    ad esempio, ai fini dell'utilizzo di questi farmaci derivati dalla cannabis, la regione Marche ha adottato una legge in materia, n. 1 del 2013 «Disposizioni organizzative relative all'utilizzo di talune tipologie di farmaci nell'ambito del servizio sanitario regionale», ma si richiede un regolamento attuativo, che a distanza di quasi tre anni non è stato ancora adottato;
    l'unico farmaco derivato dalla cannabis che ora è somministrato nelle Marche è il «sativex», uno spray orale, che viene impiegato per i sintomi di spasticità nei malati di sclerosi multipla, nonostante ci siano molti prodotti della cannabis terapeutica che possono curare tante altre patologie e comunque somministrato in assenza di valide alternative terapeutiche;
    il Governo deve porre la giusta attenzione verso tanti soggetti e le loro famiglie che vivono sulla loro pelle il disagio del mancato reperimento, di sostanze cannabinoidi a uso terapeutico,

impegna il Governo:

   a dare certezza normativa sull'uso della cannabis e dei suoi derivati che non può essere soggetto a tipologie di prescrizione differenziate nell'ambito delle diverse regioni, o avere indicazioni terapeutiche diversificate sul territorio nazionale;
   considerata la vastità di utilizzo terapeutico della cannabis e tenuto conto delle numerose domande da parte di malati che hanno gravi patologie croniche di far uso di questi medicinali, ad assumere iniziative per:
    promuovere, informare e formare sull'uso della cannabis per uso terapeutico dando la possibilità a molti malati di beneficiare di tali cure farmacologiche;
    disciplinare in maniera chiara e uniforme, su tutto il territorio nazionale, l'erogazione dei prodotti derivanti dalla cannabis a scopo terapeutico.
(7-00828) «Brignone».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   MALISANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la regione Friuli Venezia-Giulia presenta una particolare situazione linguistica data dalla presenza di diverse minoranze, tutelate da specifiche norme statali e regionali in attuazione del dettato costituzionale e da norme e atti di indirizzo dell'Unione europea;
   nei confronti della minoranza più numerosa, quella di lingua friulana, si applicano le disposizioni previste dalla legge 15 dicembre 1999, n. 482, il cui articolo 4 prevede, appunto, l'insegnamento della lingua della minoranza a partire dalla scuola dell'infanzia nonché nella scuola primaria e nella secondaria di primo grado con l'impiego di docenti qualificati;
   la suddetta previsione è stata recepita anche dalla legge regionale 18 dicembre 2007, n. 29, con gli articoli 12-19, che collocano l'insegnamento della lingua friulana all'interno di un percorso educativo plurilingue e prevede l'intervento dell'Università nella formazione dei docenti;
   in base alla citata normativa nella quasi totalità delle scuole dell'infanzia e primarie delle province di Gorizia, Pordenone e Udine sono in essere percorsi educativi di/in lingua friulana che rispondono a una richiesta, molto sentita, dei genitori degli alunni e della intera comunità friulanofona;
   l'università è investita del compito di formare gli insegnanti di lingua minoritaria dalla citata legge n. 482 del 1999, e per la lingua friulana dalla nominata legge regionale n. 29 del 2007;
   tuttavia, si riscontrano una serie di problematiche in relazione alla funzione formativa che l'università dovrebbe svolgere in questo settore, poiché il decreto ministeriale 10 settembre 2010, n. 249, che ha ridefinito i requisiti del corso di laurea magistrale a ciclo unico di scienze della formazione primaria (classe LM-85-bis), non prevede, nel quadro delle attività formative della classe, i settori scientifico-disciplinari specifici come quelli citati;
   ci si trova in presenza di una oggettiva difformità tra quanto previsto dal decreto n. 249 del 2010 e la legge n. 49 del 1999, in particolare sotto il profilo della necessità di disporre di «docenti qualificati»;
   tale situazione oggettivamente rappresenta un limite che si ripercuote sulla qualità dell'offerta formativa e didattica  –:
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative per rendere consequenziali e coerenti le normative citate, anche attraverso una modifica del decreto ministeriale n. 249 del 2010;
   se, in subordine, ritenga possibile consentire, nell'ambito della classe ministeriale di riferimento, l'istituzione di percorsi formativi che forniscano le conoscenze e le competenze necessarie per l'insegnamento della lingua e della cultura friulana nelle scuole dell'infanzia e primarie della regione Friuli Venezia Giulia, inserendo nella tabella ministeriale di attivazione di scienze della formazione primaria (LM85-decreto ministeriale n. 249 del 2010) i settori scientifico-disciplinari atti a tale insegnamento. (4-10848)


   PARENTELA, NESCI e DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, che recepisce la direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, la direttiva 91/686/CEE sui rifiuti pericolosi e la direttiva 194/62/CEE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio, prevede l'attuazione di norme specifiche anche in materia di bonifiche e stabilisce, in particolare, che i piani di bonifica debbano essere considerati come parte integrante dei piani di gestione dei rifiuti;
   l'articolo 22 del decreto legislativo n. 22 del 1997, al comma 5, precisa che i piani per la bonifica delle aree inquinate costituiscono parte integrante del Piano regionale e devono prevedere:
    l'ordine di priorità degli interventi;
    l'individuazione dei siti da bonificare e delle caratteristiche generali degli inquinamenti presenti;
    le modalità degli interventi di bonifica e risanamento ambientale, che privilegino prioritariamente l'impiego di materiali provenienti da attività di recupero di rifiuti urbani;
    la stima degli oneri finanziari;
    le modalità di smaltimento dei materiali da asportare;
   l'articolo 18, comma, 1), del decreto legislativo n. 22 del 1997 definisce le competenze dello Stato in ordine di bonifiche e prevede:
    «le funzioni di indirizzo e coordinamento necessarie all'attuazione del decreto»;
    «la determinazione dei criteri generali per la elaborazione dei piani regionali ed il coordinamento dei piani stessi»;
    «la determinazione, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, dei criteri generali e degli standard di bonifica dei siti inquinati, nonché la determinazione dei criteri per individuare gli interventi di bonifica che, in relazione al rilievo dell'impatto sull'ambiente connesso all'estensione dell'area interessata, alla quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, rivestono interesse nazionale»;
   l'indagine conoscitiva dei siti potenzialmente contaminati del territorio calabrese è stata effettuata nel giugno del 1999, per come esplicitato al paragrafo 10.7 del «Piano delle Bonifiche» recepito integralmente nel Piano regionale di gestione dei rifiuti, approvato con ordinanza del Commissario delegato per l'emergenza ambientale nel territorio della regione Calabria n. 1771 del 26 febbraio 2002, e successivamente aggiornato con ordinanza n. 6294 del 30 ottobre 2007;
   tra i 696 siti, al momento della redazione del Piano regionale, risultano: 58 discariche attive, 17 interessate da ampliamenti, adeguamenti o costruzione, 636 siti con necessità di messa in sicurezza e/o bonifica, di cui 300 rappresentati dalle discariche dismesse. Nella provincia di Catanzaro sono state censite 118 discariche (5 attive, e 113 dismesse), nella provincia di Cosenza 268 (26 attive, 242 dismesse), nella provincia di Crotone 36 (11 attive 25 dismesse), nella provincia di Reggio Calabria 190 (11 attive, 179 dismesse) e, nella provincia di Vibo Valentia, le discariche censite ammontano a 84 (4 rattive, 80 dismesse);
   una classificazione dei 696 siti censiti per tipologia di rifiuti smaltiti porta ad evidenziare che:
    240 sono rappresentati da discariche utilizzate solo per rsu (tra i quali non sì esclude la presenza di rifiuti urbani pericolosi);
    4 da discariche di rifiuti speciali pericolosi;
    5 sono costituite da rifiuti ingombranti;
    4 da inerti e materiali da demolizione.
  Il resto è rappresentato da siti utilizzati per smaltire rifiuti di vario genere;
   dall'indagine, traspare la fotografia di un territorio fortemente deturpato dall'elevato numero di discariche attivate nella regione. Una miriade di piccole e grandi discariche che formano una commistione di inquinamento del suolo e delle acque oltre che, naturalmente, concorrere negativamente al degrado del paesaggio;
   il Corpo forestale dello Stato nel 2002 ha pubblicato il «Primo Rapporto sul 3o censimento delle discariche abusive» che individua su tutto il territorio nazionale un considerevole numero di siti oggetto di abbandono incontrollato di rifiuti. Sulla base del predetto censimento, la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione 2003/2077 a carico dello Stato italiano;
   la Corte di giustizia europea, facendo proprie le argomentazioni presentate dalla Commissione europea, ha condannato l'Italia per violazione strutturale e generalizzata della normativa sui rifiuti con la sentenza del 27 aprile 2007, Causa C-135/05. La Commissione europea, conseguentemente, ha sollecitato l'adempimento della sentenza mediante l'identificazione di tutti i siti di smaltimento illegale e l'adozione di piani di azione per il loro ripristino;
   alla data del 9 gennaio 2012, su 40 dei 447 siti censiti dal Corpo forestale dello Stato e relativi alla regione Calabria, non era stata avviata alcuna azione per il superamento della criticità ambientale. Dei 40 siti, 9 necessitano di interventi di bonifica mentre sui restanti 31 è necessario avviare un Piano di caratterizzazione e, se necessario, l'intervento di bonifica;
   la regione Calabria, a seguito della verifica effettuata dall'Unità di verifica degli investimenti pubblici, è stata finanziata con le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione (Delibera CIPE 60 del 30 aprile 2012), avente ad oggetto «assegnazione di risorse e interventi di rilevanza strategica regionale nel Mezzogiorno, nei settori ambientali della depurazione delle acque e della bonifica di discariche», per un costo complessivo di euro 42.918.620,34 afferente alle bonifiche;
   nella succitata delibera si legge che «gli interventi che saranno completati entro il 2015 e che non ricadono nelle fattispecie previste dagli articoli 86 e 87 del regolamento (CE) n. 1083/2006, potranno essere rendicontati a valere sulla dotazione finanziaria 2007-2013 dei Fondi strutturali, se ammissibili, anche in applicazione della delibera di questo Comitato n. 166/2007, quinto capoverso della parte dispositiva, cui si fa rinvio» e che «il Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica provvede ad attivare il trasferimento delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione, secondo quanto disposto dal punto 7 della richiamata delibera n. 166/2007»;
   il dipartimento  ambiente e territorio della regione Calabria ha approvato con la delibera della Giunta regionale n. 253 del 22 maggio 2012 un «Piano Stralcio del Piano operativo generale» degli interventi per la bonifica sui 18 siti definiti ad alto rischio, redatto con gli indirizzi di cui al documento «Descrizione dei Sistemi di Gestione e Controllo» (articolo 71 del Regolamento (CE) 1083/2006), nel quale era prevista la necessaria copertura finanziaria, ammontante a 45.128.750,00 euro, sulla linea di intervento 3.4.1.1 del Programma operativo regionale per la Calabria FESR 2007/2013. A gennaio 2013 è stato sottoscritto l'Accordo di programma quadro;
   l'assessore regionale all'ambiente, secondo quanto riportato in un articolo apparso il 21 marzo 2012 su «il Quotidiano della Calabria» ha affermato: «ai comuni si è inoltre voluto garantire il supporto tecnico specialistico per le procedure di gara che dovranno essere espletate, per utilizzare i 45 milioni di euro disponibili ed evitare che si ripeta quanto accaduto nel 2006, con la perdita di 50 milioni di euro per le attività di bonifica». Sempre nell'articolo, di seguito, si legge: «i sindaci presenti all'incontro di ieri hanno apprezzato l'avvio di quella che è stata definita “una nuova stagione di confronto, concertazione e cooperazione interistituzionale”, chiedendo all'Assessorato ed al dipartimento Ambiente “la costituzione di una cabina di regia regionale che segua tutte le fasi di gara e realizzazione degli interventi di bonifica”»;
   nel 2013, la Commissione europea ha ritenuto che l'Italia non avesse ancora adottato tutte le misure necessarie per dare esecuzione alla sentenza del 2007, venendo meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell'Unione. La Corte di giustizia dell'Unione europea, di conseguenza, il 2 dicembre 2014, ha condannato l'Italia a pagare una somma forfettaria di 40 milioni di euro e una penalità semestrale determinata in 42 milioni e 800 mila euro fino alla completa esecuzione della sentenza che riguarda 200 discariche. Datale importo saranno detratti 400.000 euro per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma e 200.000 euro per ogni altra discarica messa a norma. Per ogni semestre successivo, la penalità sarà calcolata a partire dall'importo stabilito per il semestre precedente detraendo i predetti importi in ragione delle discariche messe a norma nel corso del semestre;
   con la legge di stabilità 2014, legge 27 dicembre 2013, n. 147, è stato istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente, un Fondo «per il finanziamento di un piano straordinario di bonifica delle discariche abusive individuate dalle competenti Autorità statali in relazione alla procedura di infrazione comunitaria n. 2003/2007», con una dotazione finanziaria di circa 60 milioni di euro suddivisi negli esercizi finanziari 2014 e 2015 che, tuttavia, esclude dal riparto di tali risorse la regione Calabria, avendo già usufruito in precedenza di risorse economiche per le medesime finalità;
   il dipartimento n. 11 «ambiente e territorio» della regione Calabria, con decreto del 13 maggio 2015, prot. n. 275 ha concesso un differimento dei termini di attuazione di 9 interventi «non cantierabili» agli enti beneficiari del finanziamento fino alla data del 31 maggio 2016. I sopracitati interventi sono finalizzati al superamento delle procedure di contenzioso e pre-contenzioso comunitario;
   la Commissione europea, in data 18 agosto 2015, rispondendo ad un'interrogazione presentata dagli europarlamentari del Movimento 5 Stelle, Ignazio Corrao, Eleonora Evi, Piernicola Pedicini e Marco Affronte ha fornito ai deputati citati l'elenco delle discariche abusive oggetto della sentenza pronunciata dalla Corte di giustizia dell'Unione europea in data 2 dicembre 2014 (causa C-196/13) – Situazione allo scadere del primo semestre successivo alla sentenza (2 dicembre 2014-2 giugno 2015);
   dall'elenco si evince che esistono ancora 185 discariche non conformi alle direttive europee ossia inottemperanti a quanto stabilito dalla più volte richiamata sentenza della CGUE, motivo per cui è stata inflitta all'Italia la multa semestrale di 39.800.000 euro;
   l'interrogante con lettera datata 6 ottobre 2015 ed inviata alla casella di posta certificata del Presidente della regione Calabria e del dipartimento «ambiente e territorio» ha richiesto la rendicontazione delle spese sostenute per gli interventi di bonifica per i quali sono stati utilizzati i fondi strutturali, come previsto dalla delibera CIPE e un report sui progressi compiuti nelle operazioni di bonifica dei siti calabresi non conformi a quanto stabilito dalla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, in merito alla causa C-135/05 del 2007. Nel secondo caso l'interrogante ha ricevuto risposta mentre, in merito alla prima questione sollevata, il dipartimento «ambiente e territorio» in data 12 ottobre 2015 ha risposto che: «è opportuno puntualizzare che le attività afferenti la bonifica di un sito contaminato, per come disposto dalla normativa nazionale, rientrano in un procedimento articolato, che passa anche per lo svolgimento della Conferenza dei Servizi, il cui iter istruttorio, con riferimento agli interventi implementati nella su indicata Delibera CIPE 60/2012, difficilmente avrebbe potuto concludersi entro la data di chiusura del Programma operativo regionale FESR 2007-2013, tanto più che i medesimi interventi contemplano anche le attività di riqualificazione ambientale»;
   alla luce della normativa ambientale e delle relative interpretazioni giurisprudenziali, gli obblighi di messa in sicurezza e bonifica dei siti contaminati, ivi incluse le discariche abusive da dismettere, gravano in capo al comune territorialmente competente, ed in caso di inerzia di quest'ultimo, in capo alla regione, che è dunque il responsabile di ultima istanza per la realizzazione dell'opera di bonifica o messa in sicurezza;
   entro il 15 di ogni mese le regioni trasmettono un «report mensile», sui progressi compiuti nelle operazioni di bonifica. Il Governo, ove si renderà necessario, eserciterà nei confronti degli enti inadempienti i poteri sostitutivi previsti dalla normativa vigente, al fine di addivenire, nel più breve tempo possibile, al completo adempimento degli obblighi –:
   quali siano i progressi compiuti nelle operazioni di bonifica dei siti calabresi non conformi a quanto stabilito dalla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea in merito alla causa C-135/05 del 2007, aggiornati al giorno 15 del mese di ottobre 2015 e, se i progressi compiuti nelle operazioni di bonifica avvengano in modo tale da garantire l'auspicato superamento delle procedure di contenzioso e pre-contenzioso comunitario;
   se, nel caso fossero riscontrati inadempimenti da parte degli enti preposti, il Governo non intenda prendere in considerazione la possibilità di esercitare i poteri sostitutivi e al contempo di assumere le iniziative di competenza, ove ne sussistano i presupposti, per esercitare il diritto di rivalsa nei confronti degli enti inadempienti. (4-10851)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   BERLINGHIERI, BORGHI, NICOLETTI, BRAGA, DE MENECH, ALBINI, AMATO, ARLOTTI, BENI, BERGONZI, STELLA BIANCHI, BONOMO, CARNEVALI, CASSANO, CHAOUKI, COMINELLI, DALLAI, GIANNI FARINA, FEDI, GADDA, GIULIETTI, GNECCHI, GRIBAUDO, IACONO, MAGORNO, MANFREDI, OLIVERIO, PORTA, RACITI, ANDREA ROMANO, SBROLLINI, TARICCO e ZAMPA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   la ventunesima conferenza delle parti (COP21) della convenzione-quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations Framework Convention on Climate ChangeUNFCCC), che si terrà a Parigi dal 30 novembre all'11 dicembre 2015, desta grandi aspettative per il raggiungimento di obiettivi ambiziosi e di lungo periodo in materia di cambiamenti climatici, per la difesa dell'ambiente a livello globale, anche in vista del superamento degli accordi internazionali sul modello del protocollo di Kyoto;
   ridurre in modo significativo le emissioni di anidride carbonica e abbassare il livello di surriscaldamento del pianeta rappresentano una delle maggiori sfide del XXI secolo;
   ci si attende che COP21 si concluda, dunque, con un accordo globale vincolante per tutti gli Stati (Usa e Stati emergenti compresi), volto a contenere la temperatura del pianeta entro i 2 gradi centigradi; e che impegni altresì gli Stati a ridurre le emissioni di CO2 anche mediante misure atte all'aumentare l'efficienza energetica nell'industria, nei trasporti, negli edifici e a incrementare gli investimenti in energie rinnovabili;
   un primo contributo in tale direzione è rappresentato dalle decisioni dell'Unione europea, che si è vincolata a obiettivi di riduzione delle emissioni di gas-serra entro il 2030 del 40 per cento in meno rispetto ai livelli del 1990, e a un 27 per cento di rinnovabili e di risparmio/efficientamento energetico in più entro il 2030: impegni approvati dal Consiglio europeo del 24 ottobre 2014, durante il semestre europeo a presidenza italiana;
   in considerazione del percorso negoziale volto al raggiungimento di nuovi obiettivi di riduzione di gas serra, nell'ambito del rinnovato accordo internazionale COP21 che dovrà entrare in vigore entro il 2020, è necessario attivarsi affinché sia prestata un'adeguata attenzione anche all'impatto dei cambiamenti climatici sulle regioni di montagna e sulle popolazioni che vi abitano;
   le montagne, oltre a svolgere un ruolo significativo per lo sviluppo sostenibile a livello globale, in quanto fondamentali riserve di acqua, bacini di diversità biologica e culturale e fonti di prodotti essenziali, nonché beni primari per il sostentamento di tutti gli esseri viventi, rappresentano, al contempo, luoghi di grande rilevanza spirituale, ricreativa, turistica e storica;
   gli ecosistemi montuosi sono molto più fragili e facilmente deteriorabili di altri ecosistemi, anche per la particolarità del clima montuoso che, a parità, di aumento medio delle temperature globali, maggiormente risente di tale incremento alle alte quote, dove il fenomeno si manifesta più intensamente che al livello del mare o delle pianure, con conseguenze ecologiche ed idrogeologiche importanti e che in, alcuni casi, potrebbero rivelarsi catastrofiche;
   come indicato nell'Agenda 21 e nel Rapporto di Rio + 20, «Il futuro che vogliamo», sono stati riconosciuti i benefici derivanti dalle zone di montagna come essenziali per lo sviluppo sostenibile a livello mondiale;
   le comunità di montagna sono depositarie di consolidate tecniche di produzione tradizionali e di conoscenze che, se adeguatamente tutelate e supportate, potrebbero essere di grande aiuto nell'adattamento ai cambiamenti climatici e nel garantire una maggiore resilienza di società ed ecosistemi;
   il surriscaldamento del pianeta e i cambiamenti climatici stanno minacciando la capacità degli ecosistemi montani di continuare a garantire acqua sufficiente sia per le comunità di montagna, che per quelle a fondo valle, mettendo a rischio di estinzione le molte specie endemiche animali e vegetali, rendendo sempre più vulnerabili gli habitat di montagna, oltreché intere catene economiche e produttive, dall'idroelettrico al turismo, sino all'agricoltura di montagna;
   come evidenziato nel recente Report del WWF «Ghiaccio bollente», lo scioglimento dei ghiacci impatta sulla vita dell'intero pianeta, con particolare riferimento all'Artide, Antartide e ai ghiacciai alpini come Himalaya, Alpi, Patagonia, Alaska: il 40 per cento del pianeta è coperto da ghiacci e manti nevosi, un sistema di raffreddamento che, infrangendosi, a causa del riscaldamento globale, porterà a conseguenze molto pesanti per le risorse idriche di vaste aree del mondo;
   considerato anche che nel preambolo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 1992 viene già riconosciuta la fragilità degli ecosistemi montuosi, particolarmente vulnerabili agli effetti negativi dei cambiamenti climatici, è ora nell'interesse dell'umanità intraprendere tutti gli sforzi necessari per proteggere tutte le zone di montagna del pianeta;
   il Mountain Partnership Secretariat, organizzazione all'interno del dipartimento foreste della FAO, ha già richiesto – con il supporto di una petizione pubblica al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale di inserire la montagna e il suo ruolo protettivo del clima e degli ecosistemi tra i temi della conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici, in quanto le popolazioni montane sono fra le più povere ed affamate del mondo ed i cambiamenti climatici, da cui le montagne sono particolarmente colpite, determinano un aumento della loro indigenza, costringendole spesso a spostarsi verso le pianure, abbandonando le loro montagne;
   si rende necessaria, dunque, una maggiore attenzione alla particolarità di tali ecosistemi, in considerazione del fatto che il cambiamento climatico, in molte zone di montagna sta avanzando più velocemente che in altre aree del mondo, creando forte preoccupazione per il crescere dei seguenti fenomeni:
   diminuiscono i mezzi di sussistenza delle popolazioni di montagna e la sicurezza delle comunità locali e dei visitatori, a causa di variazioni nelle precipitazioni, dell'aumento del numero di eventi climatici estremi, dello scioglimento del permafrost, della distruzione delle foreste necessarie per la protezione dalle valanghe e per stabilizzare i versanti;
   il rapido scioglimento dei ghiacciai, con la significativa riduzione della copertura nevosa, in molte parti del mondo, minaccia fonti d'acqua vitali, soprattutto durante la stagione secca, con effetti devastanti per le comunità locali e le popolazioni a valle, con conseguenze negative sulla sicurezza alimentare e sullo sviluppo economico a livello regionale;
   la perdita di biodiversità è ascrivibile al fatto che piante e animali adattati agli ambienti montani sono molto sensibili e vulnerabili al mutare delle condizioni climatiche;
   durante il recente summit dei Ministri degli affari esteri del G7 a Lubecca (aprile 2015) dal titolo «Un nuovo clima per la pace: agire sui rischi di fragilità collegati al clima», cui ha fatto seguito il vertice dei Capi di Stato e di Governo del G7 (Germania giugno 2015) è stato presentato il rapporto studio-ricerca commissionato dai medesimi ministri G7 ad un consorzio internazionale il quale individua sette principali profili di rischio dell'impatto dei cambiamenti climatici sulle fragilità e il carattere interconnesso e sistemico di tali rischi; occorrerebbe, tuttavia, integrare tale rapporto anche alla luce della specifica vulnerabilità delle montagne che rischia di impanare in modo devastante sull'intero pianeta –:
   se non ritengano di doversi attivare affinché, nell'ambito dell'accordo relativo alla nuova Convenzione-quadro delle Nazioni Unite (UNFCCC) che sarà sottoscritta dalla XXI Conferenza delle Parti (COP21) prossimamente a Parigi, si giunga alla definizione di impegni vincolanti per tutti gli Stati (Usa e Paesi emergenti compresi), prevedendo altresì che le montagne siano adeguatamente incluse nei temi dei negoziati sul cambiamento climatico, nelle politiche di adattamento e mitigazione, menzionando in modo esplicito il valore delle montagne tra gli ecosistemi fragili e riconoscendo la loro elevata suscettibilità, al cambiamento climatico e il loro rilevante impatto su mantenimento di servizi ecosistemici vitali per tutta l'umanità;
   se non ritengano opportuno incoraggiare tutti i Paesi partecipanti e le istituzioni internazionali, regionali e nazionali e le altre parti interessate, affinché adottino misure urgenti atte a migliorare le condizioni di vita delle popolazioni di montagna e a proteggere gli ecosistemi montani, promuovendo misure di adattamento, investimenti e politiche mirate, nonché a favorire studi internazionali ulteriori e specifici che tengano conto degli impatti dei cambiamenti climatici nelle zone di montagna;
   se non ritengano di promuovere un'azione comune in tutte le sedi sovranazionali – tra cui la Conferenza sull'Agenda post-2015 e il Vertice umanitario mondiale del 2016 – al fine di ridurre i rischi del cambiamento climatico sui fragili ecosistemi di montagna, per, rafforzare la cooperazione e sostenere il finanziamento dello sviluppo, in particolar modo dei Paesi in via di sviluppo con fragili ecosistemi montuosi, anche integrando i sistemi di conoscenza tradizionali delle popolazioni indigene montane nelle strategie nazionali e internazionali di adattamento al cambiamento climatico, allo scopo di migliorare la conoscenza, lo scambio, la collaborazione transfrontaliera e la promozione delle migliori pratiche in materia di cambiamento climatico nelle zone di montagna. (4-10850)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PIRAS e DURANTI. — Al Ministro della difesa. – per sapere – premesso che:
   il poligono di «Monte Romano» (VT), istituito nel 1953, copre una area di 46 chilometri quadrati (risultando in tal modo fra i più estesi del territorio nazionale) ed è un «poligono permanente» in cui si svolgono: lezioni di tiro con armi individuali e di riparto; tiri con armamento principale per i mezzi corazzati e blindati; scuola di tiro per mortai e artiglieria terrestre; maneggio e impiego di esplosivi;
   nel poligono è inoltre possibile esercitare livelli di unità a livello complesso minore, a fuoco, gruppo tattico ed a livello battaglione (attività in bianco);
   il sito di «Monte Romano», ai sensi della direttiva 92/43/CEE, rientra tra i «siti di interesse comunitario» ed è «zona speciale di conservazione» per gli habitat naturali;
   durante la XV legislatura la Commissione difesa, nell'ambito della indagine conoscitiva sulle servitù militari, ha audito l'allora sindaco di «Monte Romano», che ha evidenziato le seguenti criticità circa l'area di tiro: aumento repentino degli oneri di concessione; mancata perimetrazione con conseguenti disservizi e costi per cittadini ed allevatori; necessità di piano di assestamento forestale; necessità di bonifiche; presenza di fonti di acqua potabile alle quali il comune non può approvvigionarsi data l'impossibilità di costruzione di una linea di acquedotto stante la presenza del poligono stesso;
   gli interroganti, in qualità di componenti della Commissione difesa, hanno visitato il suddetto poligono in data 17 luglio 2015, per poi confrontarsi con la cittadinanza circa le problematiche sopra esposte;
   nel corso di tale incontro sono emerse ulteriori problematiche: durante le esercitazioni (intense e distribuite uniformemente durante tutto l'anno) si verificano spostamenti di centinaia di militari, oltre che di ingenti quantità di mezzi militari, causando disservizi non irrilevanti al normale scorrimento del traffico; da qualche anno il perimetro del poligono è completamente interdetto al passaggio dei civili anche nei periodi di non esercitazione; non vi è certezza dello stato dell'arte delle bonifiche –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda porre in essere, al fine della tutela della salute degli abitanti della zona, considerato anche la valenza particolare dell'area «SIC»–«ZSC». (5-06761)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COZZOLINO. — Al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il settimanale Cronaca Vera in data 12 maggio 2015 ha pubblicato l'articolo intitolato «Mi hanno maltrattato in ogni modo» e così ha sintetizzato la vicenda: «Nel corso di un'inchiesta da lui curata, un suo superiore fu indagato per omissioni di atti d'ufficio. È stato forse questo episodio a scatenare nei confronti del maresciallo Antonio Cautillo (vedi Cronaca Vera n. 1961) quella che lo stesso militare definisce una “rappresaglia senza fine”, iniziata nel 1990 e ancora in corso, che ha sottoposto Cautillo a decine di procedimenti disciplinari e penali. Il calvario è iniziato con una graduale emarginazione che si è trasformata ben presto in rapporti sempre più esasperati con superiori e colleghi, fino ad arrivare a boicottaggi, minacce ed altre azioni che Cautillo ha sempre considerato illegali. “Ho sempre denunciato le minacce che, di volta in volta, ho ricevuto”, racconta. “Perseguire i reati è sempre stato il mio compito e l'ho svolto senza compromessi. Proprio per non essere rimasto in silenzio di fronte a gravissime situazioni di cui sono stato testimone, ho subito di tutto: procedimenti disciplinari, punizioni, trasferimenti coatti, continue umiliazioni. A tutto questo si sono aggiunte le denunce nei miei confronti per ipotetiche mancanze in servizio: disobbedienza aggravata e continuata, falsità ideologica, diffamazione, abuso d'ufficio, insubordinazione con ingiuria. Nonostante tutto questo, resisto e resto in servizio. Mi sono opposto a qualsiasi tipo di provvedimento emesso dai miei superiori. Recentemente, per aver documentato un'ingiusta punizione subita, al mio curriculum si sono aggiunti altri due giorni di consegna: per me vale più di un encomio”. VICENDA ALLUCINANTE. In due esposti inviati al ministero della Difesa, il maresciallo definisce “gerarchi” tre superiori. Basta questo per beccarsi una nuova denuncia per diffamazione, l'ultima di una serie di disavventure nel suo disperato tentativo di difendersi da quello che lui percepisce come un vero e proprio accerchiamento. Un noto generale, oggi in pensione, l'aveva preso proprio di petto. “Dopo essere stato assolto da una delle tante accuse di diffamazione fui punito con 10 giorni di consegna di rigore, poi venni sanzionato ‘per aver svolto con apprezzabile continuità attività sindacale’. E infine punito con tre mesi di sospensione dal servizio, dopo un'altra sentenza di assoluzione. Tutti dati in possesso del ministro della Giustizia, che fa finta di niente. Ho subito trattamenti crudeli, inumani, degradanti per mole, ripetitività e durata delle accuse rivolte nei miei confronti. Sono stato costretto a difendermi in 16 processi penali. Tutti questi provvedimenti possono sembrare ineccepibili perché emanati da persone in divisa, ma proprio chi dovrebbe difenderti spesso ti pugnala alle spalle”. Quel generale era amico dell'ex suocero di Cautillo e, infatti, anche nella vita privata il maresciallo è stato al centro di un'altra vicenda allucinante. Dopo un matrimonio in pompa magna, la moglie lo lascia, andandosene con la figlia e ottenendo sia l'annullamento della Sacra Rota per “costrizione morale”, sia l'assegno di mantenimento. Un'altra vicenda che si trascina a lungo nelle aule di giustizia. NESSUNA RISPOSTA. Come se non bastasse, oltre a tutto questo, il maresciallo Cautillo ha dovuto far fronte alle conseguenti cause di pignoramento di beni immobili di cui non era neanche più proprietario e al blocco dello stipendio, sostenendo numerose udienze senza avvocati difensori. “Gli stessi individui da me segnalati mi hanno privato di importanti incentivi concessi a tutti, come il premio di produzione e l'indennità di funzione. Se sei accusato e poi ti assolvono non ti chiedono scusa: ti puniscono, ti bloccano la carriera e, in branco, tentano di licenziarti. Finisci tu stesso sotto accusa”. Sul caso Cautillo sono state presentate 15 interrogazioni in Parlamento, 41 esposti al ministero della Giustizia e 30 al ministero della Difesa. Senza alcuna risposta esaustiva. Della questione sono state investite anche le istituzioni europee. “Sono un sopravvissuto, nessuno può resistere a tutto questo. Non c’è tirannia peggiore di quella esercitata nel nome della giustizia e sotto lo scudo della legge da poteri intoccabili. Con la consapevolezza che questa battaglia giudiziaria e disciplinare capovolta possa andare avanti a vita. Anche questo governo, come i precedenti, non difende chi denuncia la corruzione, protegge le caste militari e giudiziarie, si trincera dietro silenzi e omertà. Ho scritto a tutti, anche alla presidenza del Consiglio, segnalando dove andavano i miei superiori utilizzando l'auto di servizio, con chi s'incontravano e quali tipi di scambi avvenivano. Nessuno è mai intervenuto”»;
   il maresciallo sulla vicenda ha sinora presentato 44 esposti al Ministro della giustizia, da cui risulterebbero inquietanti profili meritevoli di approfondimento;
   nell'esposto n. 44 inviato al Ministro della giustizia il 25 settembre 2015, atto emblematico e divenuto di dominio pubblico, il carabiniere ha denunciato di essere vittima di ripetuti episodi di malagiustizia;
   sulla vicenda che riguarda il militare, sono stati presentati 3 precedenti atti di sindacato ispettivo (4-02661, 4-01366 e 4-00975) al Senato che ad oggi non hanno ricevuto risposta, così come i numerosi atti di sindacato ispettivo presentati nel corso della XVI legislatura –:
   se il Governo non ritenga opportuno, affinché si faccia piena luce sulla vicenda, attivare le iniziative ispettive di competenza. (4-10842)


   TAGLIALATELA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il reclutamento del personale di truppa in ferma prefissata delle Forze armate avviene sulla basa di pubblici concorsi;
   l'esercito italiano seleziona il personale di truppa, che, ai sensi dell'articolo 627 codice dell'ordinamento militare «...comprende i militari di leva, i volontari in ferma prefissata, gli allievi carabinieri, gli allievi finanzieri, gli allievi delle scuole militari, navale e aeronautica, gli allievi marescialli in ferma, gli allievi ufficiali in ferma prefissata e gli allievi ufficiali delle accademie militari», sulla base di concorsi pubblici scanditi per fasi progressive e successive di avanzamento di carriera;
   a decorrere dal 1o gennaio 2005 sono state istituite due categorie di volontari dell'Esercito, vale a dire i volontari in ferma prefissata di un anno (VFP1) e i volontari in ferma prefissata quadriennale (VFP4);
   per accedere a dette categorie è necessario superare un pubblico concorso ed essere collocati in posizione idonea per il reclutamento in base a quanto stabilito dal bando di concorso circa il numerico dell'immissione;
   la disciplina speciale dei volontari di truppa, ora contenuta nel decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, reca, tra le altre, norme concernenti lo status giuridico dei militari in ferma prefissata quadriennale, ivi compreso l'avanzamento di carriera;
   l'aver svolto servizio in qualità di VFP1 è condizione necessaria per accedere ai concorsi sterni banditi per il reclutamento di volontari in ferma quadriennale, e l'accesso al servizio permanente consegue automaticamente all'esito della ferma quadriennale, ovvero alla rafferma biennale, e previa utile ed idonea collocazione nelle graduatorie di merito stilate dalla direzione generale per il personale militare di concerto con i comandi di appartenenza dei militi, e successivamente approvate da decreto interdirigenziale del Ministero della difesa;
   ai sensi e per gli effetti dell'articolo 13, comma 2, della legge n. 226 del 2004, infatti, esaurita la ferma quadriennale ovvero la rafferma, i volontari giudicati idonei utilmente collocati nella graduatoria annuale di merito sono immessi nei ruoli dei volontari in servizio permanente con le modalità stabilite con decreto del Ministro della difesa;
   la procedura per l'immissione prevede che la direzione generale per il personale militare di concerto con il comando generale del Corpo, previa emanazione di, una circolare con cui si disciplina l'immissione nei ruoli dei volontari in servizio permanente delle forze armate ex lege n. 226 del 2004 e DRR 113 del 2005 emani un decreto interdirigenziale con cui approva le graduatorie di merito relative all'immissione nel ruolo dei volontari in servizio permanente secondo decorrenze giuridiche progressive crescenti in funzione dei bandi concorsuali, e al contempo i comandi di appartenenza sono tenuti alla comunicazione di eventuali motivi ostativi all'immissione;
   tale procedura, tuttavia, ha visto, negli ultimi anni, un notevole rallentamento delle tempistiche burocratiche e procedurali, tanto da indurre a considerare seriamente la necessità di evitare che il personale che abbia maturato i requisiti per essere immesso nei ruoli dei volontari in servi, permanente veda pregiudicati, dalla lungaggine dei tempi appunto, diritti presidiati costituzionalmente e, quindi, pure diritti quesiti maturati nell'arco del servizio prestato, e di evitare di porre detti volontari in posizione di diseguaglianza giuridica rispetto ai militari in servizio permanente, atteso che con l'esaurimento della ferma prefissata quadriennale si passa dallo status di volontario a quella di graduato;
   negli ultimi anni si sta assistendo alla deprecabile prassi che vede, ormai, la rafferma quale procedura obbligata dalla lungaggine dei tempi previsti per la chiusura del procedimento amministrativo previsto per l'immissione in VSP;
   a ciò si aggiunge il fatto che anche al termine della rafferma, i volontari che giuridicamente diventano graduati dell'esercito, nelle more dell'approvazione del decreto di ratifica delle graduatorie per il passaggio il servizio permanente, ancora non sono messi in condizione di godere di tutti i diritti di tale status;
   essi non possono accedere al fondo per la produttività (F.E.S.I.) posto che i contributi versati non sono completi, il ritardo nelle procedure di immissione non consente di rideterminare le destinazioni, e perciò i militi, nel periodo compreso tra la fine del VFP4 e l'immissione in servizio permanente, non hanno la tranquillità morale ed economica per poter mettere su famiglia o fare un investimento per la casa;
   il più recente decreto dirigenziale di approvazione delle graduatorie di merito è il n. 106 del 29 maggio 2015 relativo alla graduatoria di merito relativa alla immissione nel ruolo dei volontari in servizio permanente dell'Esercito per il 2014, dei VFP4 in rafferma biennale reclutati ai sensi della legge n. 226 del 2004, con decorrenza giuridica 28 maggio 2009;
   è di palmare evidenza come le procedure di immissione in servizio permanente siano in contrasto con l'articolo 97 della Costituzione, in primo luogo perché le tempistiche non rispondono affatto ai criteri di efficienza e buon andamento della pubblica amministrazione principi ai quali la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto il valore di parametro di legittimità delle scelte discrezionali effettuate dal legislatore nella organizzazione degli apparati e dell'attività amministrativa –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di garantire una maggiore speditezza delle procedure di cui in premessa, e di tutelare i soggetti coinvolti, nel rispetto delle previsioni costituzionali relative al buon andamento della pubblica amministrazione. (4-10845)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TINO IANNUZZI e VALIANTE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 22 dicembre 1986, n. 917, recante il testo unico delle imposte sui redditi, all'articolo 15, comma 1, lettera i-sexies), prevede la detrazione dall'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) delle spese sostenute per i canoni di locazione derivanti dai contratti di locazione stipulati o rinnovati, ai sensi della legge 9 dicembre 1998, n. 431, e successive modificazioni ed integrazioni;
   la detrazione è stata poi estesa dall'articolo 1, comma 208, della legge n. 244 del 2007 anche alle spese per i canoni relativi ai contratti di ospitalità, nonché agli atti di assegnazione in godimento o locazione, stipulati con enti per il diritto allo studio, università, collegi universitari legalmente riconosciuti, enti senza fine di lucro e cooperative;
   tale detrazione, al fine di adeguare la legislazione italiana alla procedura di infrazione comunitaria n. 2009/4117, è stata inoltre ampliata dall'articolo 16, comma 1, della legge n. 217 del 2011 – alle medesime condizioni ed entro lo stesso limite – ai canoni derivanti da contratti di locazione e di ospitalità ovvero da atti di assegnazione in godimento stipulati, ai sensi della normativa vigente nello Stato in cui l'immobile è situato, dagli studenti iscritti a un corso di laurea presso un'università ubicata nel territorio di uno Stato membro dell'Unione europea o in uno degli Stati aderenti all'accordo sullo spazio economico europeo che sono inclusi nella lista di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze emanato ai sensi dell'articolo 168-bis;
   la detrazione in discorso è prevista in favore degli studenti (e delle loro famiglie) iscritti ad un corso di laurea presso una università ubicata in un comune diverso da quello di propria residenza, distante da quest'ultimo almeno 100 chilometri e comunque situata in una provincia diversa, per le spese legate alla locazione di unità immobiliari situate nello stesso comune in cui ha sede l'università o in comuni limitrofi, per un importo non superiore a 2.633 euro;
   tali spese, in origine, erano detraibili dall'imposta lorda sul reddito delle persone fisiche per un importo complessivo pari al 19 per cento; successivamente la detrazione è stata ridotta al 18 per cento per il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013 e al 17 per cento a decorrere dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2014;
   la normativa vigente, quindi, limita la detrazione unicamente agli studenti universitari iscritti presso un ateneo sito in un comune diverso da quello di residenza ed a una distanza di almeno 100 chilometri e, comunque, ubicato in una provincia diversa;
   tale ambito di applicazione della detrazione, così limitato e circoscritto, finisce per determinare conseguenze ingiustificate e fortemente penalizzanti in alcune fattispecie;
   in particolare, vengono ad essere esclusi tutti quegli studenti il cui comune di residenza dista molti chilometri, sia pure inferiori a 100, dal comune sede dell'università cui sono iscritti, nell'ambito della medesima provincia ma con collegamenti molto problematici e difficili, in considerazione della situazione geografica obiettiva della propria zona di residenza e delle difficoltà considerevoli e penalizzanti nel sistema dei trasporti e nei collegamenti;
   va considerato, ai fini della detrazione, e a differenza di quanto accade attualmente, anche il tempo in concreto occorrente per poter raggiungere la sede universitaria cui si è iscritti dal proprio comune di residenza;
   infatti, in alcuni territori particolarmente disagiati, sia per lo stato fisico e naturale dei luoghi sia per l'arretratezza e la inadeguatezza delle infrastrutture esistenti, occorre molto più tempo per raggiungere l'università prescelta rispetto a comuni che pure distano più di 100 chilometri o sono siti in altra provincia –:
   quali iniziative i Ministri interrogati, nell'esercizio delle rispettive competenze, intendano assumere per porre rimedio alla descritta ed ingiusta situazione, allargando l'ambito di applicazione della indicata detrazione ai fini IRPEF anche agli studenti universitari il cui comune di residenza è sito nell'ambito della stessa provincia ad una distanza considerevole ma inferiore ai 100 chilometri rispetto al comune sede della università prescelta, quando le condizioni geografiche e naturali dei luoghi e l'estrema lentezza dei collegamenti esistenti e la obiettiva inadeguatezza delle infrastrutture impongono tempi considerevoli e prolungati e disagi pesanti per poter raggiungere dal proprio comune la sede universitaria cui lo studente è iscritto, con la conseguenza che, in queste ipotesi, il tempo necessario per poter raggiungere la sede universitaria dal comune di residenza è ben superiore a quello occorrente agli studenti, pur residenti in comuni distanti più di 100 chilometri o siti in altra provincia. (5-06752)


   CARELLA, FERRO, MINNUCCI, PIAZZONI, PILOZZI e TIDEI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'economia e delle finanze ha espresso la volontà di chiudere, in un'ottica di spending review, gli uffici dell'Agenzia delle entrate di Frascati (Roma), di via Enrico Fermi e di Albano Laziale (Roma), in via Sannibale;
   all'Agenzia delle entrate sono attribuite le funzioni concernenti le entrate tributarie erariali che non sono assegnate alle competenze di altre agenzie, amministrazioni dello stato ad ordinamento autonomo, enti o organi, con il compito di perseguire il massimo livello di adempimento degli obblighi fiscali sia attraverso l'assistenza ai contribuenti, sia attraverso i controlli diretti a contrastare gli inadempimenti e l'evasione fiscale;
   l'agenzia delle entrate è competente per:
    a) i servizi relativi all'amministrazione, alla riscossione, al contenzioso tributario in relazione ai tributi diretti e dell'imposta sul valore aggiunto, nonché di tutte le imposte, diritti o entrate erariali o locali, entrate anche di natura extra tributaria, già di competenza del dipartimento delle entrate del Ministero dell'economia e delle finanze o affidati alla sua gestione in base alla legge o ad apposite convenzioni stipulate con gli enti impositori o con gli enti creditori;
    b) l'informazione e l'assistenza ai contribuenti, anche tramite servizi telematici, al fine di semplificare il rapporto con gli stessi e di agevolare gli adempimenti fiscali;
    c) l'accertamento, il controllo dell'evasione fiscale mirato al contrasto anche con il supporto della guardia finanza;
   la chiusura di due presìdi dei Castelli Romani stride fortemente con il concetto di avvicinamento delle esigenze dei cittadini e il territorio non può più sopportare ulteriori tagli ai servizi;
   la chiusura delle strutture di Frascati e di Albano avrebbe come risvolto l'ulteriore appesantimento degli uffici più prossimi di Roma 5, in via di Torre Spaccata;
   la soppressione dell'Agenzia delle entrate costituisce per il territorio dei Castelli Romani l'ennesima riduzione di servizi essenziali utili alla collettività che, conseguentemente vede ridurre le opportunità di sviluppo e crescita in momento già fortemente critico –:
   se sia a conoscenza di questa situazione e quali iniziative possa intraprendere affinché venga scongiurata la chiusura dei due uffici in relazione a quanto in premessa esposto. (5-06759)


   GITTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Lombardia, con oltre 3 milioni di metri cubi di amianto ancora da smaltire, è la regione con la più massiccia presenza di fibra letale, causa di un significativo aumento di morti e di malattie correlate;
   in Lombardia vige l'obbligo di bonifica dei materiali contenenti amianto entro dieci anni dalla pubblicazione del Piano regionale amianto Lombardia (PRAL) sul Bollettino ufficiale della regione Lombardia (BURL), avvenuta il 17 gennaio 2006, e pertanto la bonifica dovrà essere eseguita entro il 16 gennaio 2016;
   l'avvicinarsi della scadenza e i costi non indifferenti di smaltimento stanno producendo effetti negativi sui territori, quali l'abbandono di lastre nelle aree più nascoste e, talora, anche in zone paesaggisticamente rilevanti;
   nel comune di Muscoline, sito nell'entroterra gardesano, e in molti comuni adiacenti della Valsabbia e Valtenesi, per le caratteristiche geomorfologiche dei territori, le lastre di amianto coprono ancora molti capannoni agricoli e industriali, oltre che piccoli ricoveri per attrezzi in zone sia boschive che adiacenti a edifici residenziali;
   l'amministrazione comunale di Muscoline si è attivata, in coordinamento con l'ASL locale, per illustrare ai cittadini le procedure di smaltimento di piccole quantità di asbesto e ha avviato, con successo, un'indagine di mercato per individuare e suggerire ai cittadini le ditte specializzate nello smaltimento di amianto che offrono prezzi più vantaggiosi;
   molti cittadini, proprio per la campagna di sensibilizzazione del comune di Muscoline, hanno accettato di smaltire le coperture in amianto dei loro immobili per una superficie di oltre duemila metri quadrati, e la stessa iniziativa potrebbe essere condotta in altre realtà, quali la città di Brescia, che presenta circa quattrocentomila metri quadrati di asbesto da smaltire;
   a fronte dell'impegno dell'ente locale e dei cittadini per bonificare il territorio non sempre risulta applicabile l'iva agevolata prevista per lo smaltimento di materiale cancerogeno;
   l'iva al 10 per cento per la rimozione dell'amianto viene applicata nel caso di lavori di manutenzione ordinaria o straordinaria in edifici a prevalente destinazione residenziale;
   il comma 1, dell'articolo 184 del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 classifica i rifiuti in urbani e speciali e, in seconda istanza, in rifiuti pericolosi e non pericolosi;
   un parere del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare segnala che i rifiuti identificati con i codici relativi ai capitoli 19 e 20 del Catalogo europeo rifiuti (CER) sono da ascrivere rispettivamente nei «rifiuti speciali», di cui alla lettera g), comma 3, dell'articolo 184 del decreto legislativo n. 152 del 2006, e nei «rifiuti urbani», di cui al comma 2 del citato articolo 184 del decreto legislativo n. 152 del 2006, venendo così ad essere assoggettati all'aliquota iva del 10 per cento;
   i rifiuti non rientranti nei capitoli 19 e 20 del Catalogo europeo rifiuti devono essere classificati con una indagine di natura tecnica, da operare di volta in volta in base a criteri forniti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   conseguentemente, non rientrando nei codici dei capitoli 19 e 20 del Catalogo europeo rifiuti e non esistendo pronunciamenti specifici al riguardo, allo smaltimento dell'amianto è applicata l'aliquota iva ordinaria al 22 per cento;
   lo Stato dovrebbe agevolare le operazioni di bonifica del territorio italiano da materiale cancerogeno, in considerazione soprattutto dell'alto numero di decessi annui per malattie correlate –:
   se intenda assumere iniziative per chiarire in modo definitivo e inoppugnabile che agli interventi di rimozione e smaltimento di amianto in tutti gli immobili a qualsiasi destinazione, nonché di rimozione di amianto depositato a terra, venga applicata l'aliquota iva agevolata al 10 per cento. (5-06760)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   AIRAUDO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Angela Giordano, educatrice a contratto nel carcere delle Vallette, a Torino, avrebbe perso il lavoro per una maglietta con la scritta «No Tav» indossata prima dell'estate mentre faceva terapia con i suoi pazienti e per un abbraccio a un'amica incontrata all'uscita dal lavoro – e quindi dal carcere – durante un presidio di solidarietà agli arrestati per gli incidenti al cantiere di Chiomonte;
   in particolare, nei confronti dell'educatrice, in data 17 settembre 2015, sarebbe stata disposta una «sospensione temporanea del permesso di accesso» nel carcere per «motivi di sicurezza»; un provvedimento, dunque, inizialmente temporaneo e poi, in data 30 settembre 2015, divenuto definitivo, per decisione del direttore dell'istituto di pena, Domenico Minervini, che avrebbe addotto le seguenti motivazioni: «Essersi intrattenuta scambiando baci e abbracci con simpatizzanti dell'area anarco-insurrezionalista» e «aver pubblicato sul suo profilo Facebook numerose fotografie di anarchici recentemente arrestati»;
   la Giordano ha confermato di essere simpatizzante del movimento No Tav, ma ha anche assicurato di non aver mai avuto rapporti con gli anarchici; inoltre, l'incontro cui si fa riferimento nel provvedimento, sarebbe avvenuto a metà settembre, quando era stato organizzato un presidio in solidarietà degli otto arrestati dove, uscendo dal lavoro, era stata semplicemente chiamata da una sua amica che partecipava alla manifestazione;
   l'associazione Morgana – che gestisce, in convenzione con il Sert di corso Lombardia, i percorsi riabilitativi per i detenuti tossicodipendenti – aveva accordato alla donna una collaborazione a partita Iva da 40 ore settimanali, ma non ha potuto far altro che accettare la decisione della direzione del carcere e dunque da settembre 2015 non ha più provveduto a pagarla, con tutte le intuibili conseguenze dovute al fatto che tale collaborazione era l'unica fonte di sostentamento di Angela Giordano;
   il provvedimento adottato nei confronti di Angela Giordano non può che porsi – a parere dell'interrogante – come illegittimo, nonché discriminatorio, ponendosi in contrasto con quanto sancito dalla Costituzione e dallo statuto dei lavoratori –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati circa i fatti riferiti in premessa e, in particolare, se non ravvisino nella vicenda riportata gli estremi di una sospensione del lavoro discriminatoria;
   se non intendano assumere iniziative per la revoca del provvedimento adottato nei confronti di Angela Giordano.
(4-10843)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   nell'ambito delle materie di cui all'articolo 117 della Costituzione, è stato disposto, ai sensi dell'articolo 4, comma 4, della legge n. 59 del 15 marzo 1997, il conferimento alle regioni di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, anche ferroviario, attuato con il decreto legislativo n. 422 del 19 novembre 1997;
   successivamente, con la previsione di cui all'articolo 16-bis del decreto-legge n. 95 del 6 luglio 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 7 agosto 2012, così sostituito dall'articolo 1, comma 301, della legge n. 228 del 24 dicembre 2012, è stato istituito il Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle Regioni a statuto ordinario;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 marzo 2013, previsto al richiamato articolo 16-bis, comma 3, sono stati precisati i criteri e le modalità con cui ripartire e trasferire alle Regioni le risorse del detto fondo, tenendo conto «del rapporto tra ricavi da traffico e costi dei servizi previsto dalla normativa nazionale vigente in materia di servizi di trasporto pubblico locale e di servizi ferroviari regionali, salvaguardando le esigenze della mobilità nei territori anche con differenziazione dei servizi, [...] finalizzati a incentivare le regioni e gli enti locali a razionalizzare e rendere efficiente la programmazione e la gestione dei servizi medesimi»;
   a tal fine, sono stati previsti i seguenti obiettivi di efficientamento e razionalizzazione della programmazione e gestione del servizio: in particolare:
    a) un'offerta di servizio più idonea, più efficiente ed economica per il soddisfacimento della domanda di trasporto pubblico;
    b) il progressivo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi;
    c) la progressiva riduzione dei servizi offerti in eccesso in relazione alla domanda e il corrispondente incremento qualitativo e quantitativo dei servizi a domanda elevata;
    d) la definizione di livelli occupazionali appropriati;
    e) la previsione di idonei strumenti di monitoraggio e di verifica;
   detti obiettivi sono stati precisati dal già citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 marzo 2013 all'articolo 1 recante la disciplina della valutazione degli obiettivi di efficientamento e razionalizzazione della programmazione e gestione del complesso dei servizi di Trasporto pubblico locale anche ferroviario;
   le regioni, per accedere alle assegnazioni dei contributi statali, devono procedere all'adozione di un piano di riprogrammazione dei servizi di trasporto pubblico locale e di trasporto ferroviario regionale, a tal fine rimodulando i servizi a domanda debole e sostituendo le modalità di trasporto da ritenere diseconomiche, in relazione al mancato raggiungimento del rapporto tra ricavi da traffico e costi del servizio al netto dei costi dell'infrastruttura, con quelle più idonee a garantire il servizio nel rispetto dello stesso rapporto tra ricavi e costi. Di conseguenza, i contratti di servizio già stipulati da aziende di trasporto, anche ferroviario, con le singole regioni a statuto ordinario, potrebbero essere oggetto di revisione;
   alla ripartizione delle risorse del fondo, si procede con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata, entro il 30 giugno di ciascun anno;
   è altresì prevista, ai sensi dell'articolo 16-bis, comma 6, nelle more dell'emanazione del decreto annuale di ripartizione, l'anticipazione del 60 per cento dello stanziamento, successivamente seguito da integrazione, saldo o compensazione a seguito delle verifiche effettuate attraverso gli strumenti di monitoraggio. Tale erogazione è disposta con cadenza mensile. Dette statuizioni sono confermate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 marzo 2013 all'articolo 2 recante la disciplina della ripartizione del fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale anche ferroviario. Il comma 5 dell'articolo 2 precisa che il residuo del 40 per cento delle risorse stanziate (al netto di eventuali riduzioni per mancato raggiungimento degli obiettivi) deve essere erogato su base mensile «a decorrere dal mese di agosto di ciascun anno»;
   ne deriva una disciplina tesa a garantire un progressivo e strutturale efficientamento del settore del trasporto pubblico, quale servizio pubblico universale, per tutelarne il soddisfacimento improntato alla regolarità, continuità, qualità e contenimento tariffario;
   le disposizioni sulla ripartizione risultano altresì volte a garantire un triennio di certezza per le regioni in relazione alle quote del fondo stesso nella prevista articolazione fra anticipazione e saldo, anche con l'indicazione di cadenze temporali;
   con specifico riferimento all'anno 2015, è stato previsto uno stanziamento pari a euro 4.925.252.600,00;
   con decreto del 17 marzo 2015 il Ministero interpellato ha provveduto all'erogazione dell'anticipazione del 60 per cento dello stanziamento del fondo, in applicazione delle percentuali di riparto stabilite dalla Conferenza unificata in occasione della seduta del 5 agosto 2014. La relativa erogazione a favore delle regioni a statuto ordinario è stata disposta con cadenza mensile dal 20 marzo 2015 al 20 agosto 2015 fino alla concorrenza dell'importo di euro 2.954.412.772,11;
   non risulta, tuttavia, alcun provvedimento in ordine all'erogazione del residuo 40 per cento, dovuto a mente delle previsioni e delle disposizioni prima pedissequamente richiamate;
   ne deriva, in termini generali, il rischio concreto di un gravissimo nocumento al diritto alla mobilità garantito dagli stanziamenti derivanti dal fondo nazionale. In particolare, le omissioni ed i ritardi denunciati, in relazione alla tuttora mancante erogazione del residuo dovuto, pongono le regioni e gli enti locali in considerevole difficoltà per l'adempimento alle obbligazioni contrattuali assunte con i gestori del servizio con evidenti ripercussioni sulla continuità stessa del servizio, la sua qualità, palesando il rischio di possibili aumenti tariffari in danno dell'utenza. Danni che potrebbero altresì riflettersi sulla tenuta dei livelli occupazionali del comparto di riferimento. A ciò si aggiungerebbe, in ragione dei procedimenti di verifica e di monitoraggio, il timore dell'attivazione di penalizzazioni e riduzioni nella ripartizione con conseguente destabilizzazione dell'equilibrio di bilancio delle regioni e degli enti locali interessati. Si consideri, invero, che, ai sensi dell'articolo 16-bis, comma 9, le regioni sono inibite da un completo accesso al fondo «se non si assicura l'equilibrio economico della gestione e l'appropriatezza della gestione stessa» –:
   quali iniziative il Ministro interpellato intenda assumere al fine di provvedere tempestivamente alla ripartizione ed erogazione del residuo del 40 per cento spettante a titolo di saldo;
   a quali misure il Ministro interpellato intenda ricorrere per impedire che il meccanismo di verifica e monitoraggio possa comportare penalizzazioni e riduzioni per il mancato raggiungimento degli obiettivi in danno dell'equilibrio economico delle regioni e degli enti locali interessati, se del caso, disponendo un rinvio dell'applicazione delle riduzioni stesse.
(2-01135) «De Lorenzis».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PAOLA BRAGANTINI e D'OTTAVIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   agli inizi del 2006 la società Gozzo Impianti spa di Pianezza (Torino) si è aggiudicata in associazione temporanea d'impresa con la Cimolai spa di Pordenone la commessa per la realizzazione del nuovo molo C dell'aeroporto internazionale di Fiumicino;
   la società Gozzo Impianti spa di Pianezza è attiva nel settore degli impianti tecnologici dal 1974, occupa circa 230 dipendenti;
   nell'agosto 2014, con l'approvazione dell'ultima perizia suppletiva e di variante, si dava corso alla realizzazione dell'opera, con obiettivo di completamento nel 2016;
   nel corso del mese di aprile 2015 sopravvenute difficoltà finanziarie portano la società Gozzo a presentare istanza di concordato in continuità presso il tribunale di Torino. Nel frattempo i lavori di Fiumicino proseguono;
   il tribunale di Torino, su richiesta di Aeroporti di Roma, con decreto del 16 luglio 2015, ha autorizzato la Gozzo a proseguire nei contratti pendenti e a perfezionare i nuovi contratti di subappalto e subfornitura;
   nel testo del decreto viene riportato che: «la commessa costituisce un pilastro del concordato preventivo, in ragione dei flussi di cassa attesi dalla positiva esecuzione della commessa»;
   il 18 settembre 2015 i lavoratori della Gozzo in forza presso il cantiere di Fiumicino, circa 80, recatisi al varco aeroportuale, non hanno potuto accedere in quanto erano stati disabilitati i badge su richiesta della Cimolai, che comunicava di subentrare alla Gozzo nell'attività di cantiere;
   la Gozzo spa ha annunciato nel corso del consiglio comunale di Pianezza il rischio di chiusura dell'azienda, con la perdita di circa 230 posti di lavoro –:
   se si sia a conoscenza della vicenda, che sta mettendo a rischio la conclusione dei lavori presso il molo C dell'aeroporto internazionale di Fiumicino, e quali iniziative per quanto di competenza si intendano assumere al riguardo. (5-06754)


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 15 ottobre 2015, Rete ferroviaria italiana (RFI) ha diramato un comunicato stampa in cui informa gli utenti del servizio ferroviario che: «permane la sospensione del traffico ferroviario sulla linea Caserta-Benevento, per i danni provocati dall'ondata di maltempo che ha investito la Campania. Nella giornata di domani, venerdì 16 ottobre, la mobilità sarà garantita con autobus sostitutivi che, compatibilmente con le condizioni di viabilità stradale, potranno registrare nei collegamenti da e per la Puglia un aumento dei tempi di viaggio stimato fino a due ore. Informazioni dettagliate sui provvedimenti adottati per fronteggiare l'emergenza sono disponibili nelle stazioni e negli uffici assistenza clienti. Le squadre tecniche di rete ferroviaria italiana stanno lavorando senza sosta per consentire la riapertura della linea che ha subito ingenti danni»;
   sempre nella stessa giornata, RFI dirama un altro comunicato stampa in cui si informa che: «Circolazione perturbata su alcune linee ferroviarie del Sud Italia per il maltempo che sta interessando le regioni Campania, Puglia e Basilicata. Sulla Foggia-Caserta, dalle prime ore di questa mattina la circolazione è interrotta per i danni provocati dalle abbondanti piogge. Sulla Foggia-Potenza il maltempo ha invece allagato i binari nei pressi di Cervaro (FG). Le squadre tecniche di Rete Ferroviaria Italiana intervenute sul posto stanno monitorando la situazione per poter ripristinare le normali condizioni di circolazione. I Frecciargento da e per Roma sono sostituiti da bus tra Foggia e Caserta. Trenitalia garantisce assistenza ai viaggiatori durante il trasbordo. Attivo un servizio con bus sostituivi anche sulla Foggia-Potenza tra Ascoli Satriano e Foggia e tra Benevento e Avellino»;
   non è la prima volta che eventi meteorologici mettono in crisi la circolazione ferroviaria nelle zone in questione, come già fatto presente al Ministro tramite l'interrogazione a risposta scritta n. 4-03058 presentata sempre dall'interrogante e pubblicata il 27 dicembre 2013, rimasta tuttora senza risposta, nella quale si portava a conoscenza del deragliamento di un treno nei pressi di Cervaro (FG) a seguito dell'esondazione del fiume Carapelle; nonostante siano passati quasi 2 anni dagli eventi sopraccitati, con l'arrivo della stagione autunnale, si ripresentano disagi sulla circolazione ferroviaria causati dal maltempo –:
   quali siano i danni causati dal maltempo sulle tratte ferroviarie citate nei due comunicati stampa diramati da RFI ed espressi in premessa e a quanto ammonti il costo dei danni in termini economici;
   quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di limitare ed evitare in via definitiva nel prossimo futuro disagi simili;
   se, a fronte di eventi meteorologici che non sono da ritenere eccezionali, in quanto sempre più frequenti, siano previsti lavori nelle aree in questione per evitare in futuro, sospensioni e disagi e se il Ministro possa escludere il rischio del ripetersi di situazioni analoghe in caso di medesime o più abbondanti precipitazioni. (5-06763)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 22 aprile 2015 sono terminati gli interventi di riqualificazione della stazione di Erba, dopo oltre un anno di lavori e un investimento pari a 2,5 milioni di euro, coperti per il 60 per cento da parte di regione Lombardia e Ferrovienord, per il resto da fondi europei;
   complessivamente sono stati investiti 75 milioni di euro per riqualificare le stazioni e le infrastrutture della Milano-Asso nell'anno di Expo, intervenendo sulla sicurezza delle banchine, sulle pensiline, sulla videosorveglianza e anche dotando la stazione di due ascensori;
   la presenza di ascensori è assolutamente fondamentale per rendere fruibile il trasporto ferroviario ai viaggiatori con bagagli pesanti, alle famiglie con passeggini, alle persone anziane e soprattutto alle persone che hanno difficoltà a camminare e ovviamente ancor più a fare le scale;
   i due ascensori presenti in stazione sono inagibili perché ancora in attesa di collaudo, da sei mesi ormai, da parte dell'Ustif, l'organo preposto che fa capo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nonostante Ferrovienord, ad una prima formale richiesta di chiarimenti a giugno 2015, avesse reso noto che il collaudo sarebbe arrivato nel giro di qualche giorno;
   già in passato si sono creati altri problemi per le lunghe tempistiche dei collaudi degli ascensori e dei montacarichi, anche all'interno delle scuole e altri luoghi pubblici e di nuovo si assiste ad un intollerabile ritardo, questa volta alla stazione di Erba;
   è inaccettabile che vengano fatti degli investimenti e vengano riqualificate strutture che non possono essere utilizzate appieno solo per problemi burocratici, a scapito ovviamente dei cittadini che assistono inermi a questi inspiegabili ritardi –:
   se il Ministro non reputi opportuno intervenire tempestivamente per accertare le cause dell'intollerabile ritardo nei tempi di collaudo degli ascensori della stazione di Erba e come intenda porre immediatamente rimedio a questa mancanza.
(4-10841)


   D'UVA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la determinazione n. 71/2014, così come rilasciata dalla Corte dei conti, concernente la «Determinazione e relazione della Sezione del controllo sugli enti sui risultati del controllo eseguito sulla gestione finanziaria delle Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A.», stabilisce che l'assetto organizzativo societario del Gruppo «Ferrovie dello Stato Italiane» è quello di un gruppo industriale, con, Holding Capogruppo la «Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A.»;
   le azioni della Società Ferrovie dello Stato italiane S.p.A., così come definito dalla determinazione n. 71/2014, appartengono, a oggi, interamente allo Stato per il tramite del socio unico Ministero dell'economia e delle finanze;
   oggetto sociale di Ferrovie dello Stato italiane è la realizzazione e la gestione di reti di infrastruttura per il trasporto ferroviario per garantire, lo svolgimento dell'attività di trasporto, prevalentemente su rotaia, di merci e di persone, ivi compresa la promozione, l'attuazione e la gestione di iniziative e servizi nel campo dei trasporti;
   in data 31 ottobre 2000 il Ministero dei trasporti e della navigazione, con proprio atto, decretava il rilascio in favore della Società di trasporti e servizi per azioni «Ferrovie dello Stato», successivamente trasferita alla società Rete ferroviaria italiana S.p.A., della concessione gestoria dell'infrastruttura ferroviaria nazionale, in via esclusiva e per un limite temporale pari ad anni 60;
   come disposto dall'articolo 4 del decreto ministeriale n. 138/T ottobre 2000, concessionario (Rete Ferroviaria Italiana S.p.A.) e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti stipulano contratti di programma, di durata non inferiore ai 5 anni, aggiornabili anche annualmente, per meglio definire obiettivi e finanziamenti statali relativi a infrastrutture e servizi offerti dal concessionario;
   l'ultimo contratto di programma, per la cosiddetta «parte servizi», così come stipulato tra Ministero e Rete ferroviaria italiana S.p.A., e valido a partire dall'anno 2012, aveva, a norma dell'articolo 4, una durata triennale di efficacia, con entrata in vigore in data 1o gennaio 2012 e scadenza dello stesso in data 31 dicembre 2014;
   in considerazione di tale scadenza, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti avrebbe dovuto procedere alla stipula di un nuovo contratto con la società concessionaria, al fine di determinare, confermare, ovvero aggiornare, i programmi per alcuni servizi di trasporto nel territorio statale, nonché definire i relativi finanziamenti, tra i quali figura il sistema di collegamento ferroviario marittimo tra la Sicilia e continente per il prossimo triennio;
   lo schema di decreto ministeriale, recante l'approvazione del nuovo contratto di programma per gli anni 2012/2016 – Parte investimenti, viene sottoscritto in data 8 agosto 2014 tra la società «Rete ferroviaria italiana S.p.A.» e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   a oggi, tuttavia, la società concessionaria dell'erogazione del servizio di trasporto ferroviario in tutto il territorio italiano opera in regime di proroga di un anno, rispetto al contratto di servizio scaduto il 31 dicembre 2014, così come confermato dalla stessa compagnia con propria nota stampa, e consultabile sul sito internet dell'azienda;
   in data 2 gennaio 2015, il quotidiano consultabile on-line «La Gazzetta del Sud», pubblicava un articolo concernente la possibile cancellazione, ad opera della società Ferrovie dello Stato, del servizio universale garantito dai treni a lunga percorrenza;
   per tali motivi, l'interrogante ha già depositato, in data 5 febbraio 2015, un apposito atto ispettivo, l'interrogazione parlamentare n. 407753, per la quale è ancora attesa la relativa risposta ministeriale;
   nelle more di tale ottemperanza, lo stesso interrogante apprendeva da fonti giornalistiche, in data 23 settembre 2015, circa la possibile soppressione di n. 84 treni intercity nazionali, così come riportato dal quotidiano consultabile on-line «Il Secolo XIX»;
   così come riportato dal quotidiano, «il contratto di servizio per il trasporto universale è, infatti, scaduto e il piano di esercizio determinato dagli accordi tra il ministero e Trenitalia è al momento svolto in regime di proroga e secondo Assoutenti non è più dilazionabile», «a poche settimane dalla chiusura dell'orario invernale 2015-2016 da parte di Rfi»;
   con propria nota stampa, in data 25 settembre 2015, la stessa società Ferrovie dello Stato confermava l'attuale stato di incertezza, affermando come il taglio dei treni «non è una decisione che rientra tra le competenze di Trenitalia», dal momento che «Spetta quindi ai committenti pubblici, i due Ministeri, ogni decisione in merito e spetta a loro sottoscrivere con il fornitore Trenitalia l'apposito Contratto di Servizio. Attualmente, Trenitalia opera in regime di proroga di un anno, rispetto al Contratto di Servizio scaduto il 31 dicembre 2014»;
   in data 28 settembre 2015, il quotidiano consultabile online «Il Giorno», riportava la notizia circa il possibile ed imminente taglio di 84 treni Intercity, definendo tale evenienza come «Una mazzata ai collegamenti con Milano, Torino, la Liguria, il Veneto, Firenze, Roma, Napoli, le Puglie, Reggio Calabria»;
   «Il 31 dicembre 2014», continua l'articolo, «è scaduto il contratto di servizio per il trasporto universale sovvenzionato dallo Stato. Nel corso di quest'anno le corse degli Intercity sono state in regime di proroga. Ma a oggi il Governo non ha versato neppure un acconto dei 200 milioni di euro che deve a Trenitalia per il servizio assicurato nel 2015»;
   «Il costo di un anno di esercizio di 84 Intercity giorno e 22 Intercity notte», conclude l'articolo «è di circa 220 milioni. Una cifra non astrale se si considera che il costo annuale del contratto di servizio fra Regione Lombardia e Trenord ammonta a 412,5 milioni (come dire che una sola regione sostiene un costo quasi doppio di quanto dovrebbe stanziare il Governo per il servizio universale)», evidenziando una preoccupante sperequazione se si considera l'attuale condizione in materia di diritto alla continuità territoriale in regioni come  la Sicilia, più volte  sollecitata all'attenzione dall'interrogante;
   si consideri, al riguardo, il progressivo taglio delle tratte regionali siciliane già in essere, per un totale di 56 treni soppressi, pari al 2,17 per cento rispetto al totale nella sola costa ionica, mentre risultano essere 23 i convogli soppressi lungo il versante tirrenico, pari al 2,03 per cento del totale, secondo una indagine condotta dal «Comitato pendolari siciliani», secondo cui oltre il 60 per cento dei convogli raggiungerebbe in ritardo le stazioni di arrivo e con lunghissimi tempi di percorrenza;
   la continuità territoriale, secondo uno studio commissionato dalla commissione trasporti della Camera dei deputati, va intesa come «capacità di garantire un servizio di trasporto che non penalizzi cittadini residenti in territori meno favoriti, si inserisce nel quadro più generale di garanzia dell'uguaglianza sostanziale dei cittadini e di coesione di natura economica e sociale, promosso anche in sede europea»;
   il trasporto, infatti come si legge in tale documento «se da un lato, si configura come attività di tipo economico, dall'altro, come elemento essenziale del «diritto alla mobilità» previsto all'articolo 16 della Costituzione, costituisce un servizio di interesse economico generale e, quindi, tale da dover essere garantito a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro dislocazione geografica»;
   per tali motivi risulta di fondamentale importanza garantire una rete di trasporti che assicuri a tutti i cittadini italiani la possibilità di muoversi liberamente in tutto il territorio dello Stato, così come sancito dalla normativa interna ed europea, erogando un collegamento ferroviario statale adeguato e, soprattutto, uniforme per tutte le regioni italiane, con particolare riferimento alle regioni cosiddette svantaggiate sia dal punto di vista economico che, soprattutto, territoriale –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se intenda assicurare e garantire il servizio di collegamento ferroviario a media e lunga percorrenza per tutto il territorio dello Stato, scongiurando la possibile soppressione di n. 84 Intercity attraverso il finanziamento necessario per garantire ed assicurare un sistema di trasporti adeguato ed efficiente, con particolare riferimento alle regioni che oggi non usufruiscono di una rete adeguata a garantire il diritto alla necessaria continuità territoriale;
   quali iniziative intenda intraprendere per assicurare il collegamento ferroviario interregionale nelle more della stipulazione del nuovo contratto di servizio con l'azienda Ferrovie dello Stato s.p.a.
(4-10855)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIPPA, DADONE e DELLA VALLE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende dal comunicato del Sindacato italiano lavoratori di polizia – (SILP-CGIL) – segreteria provinciale Verbano Cusio Ossola del 13 ottobre 2015, la direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere, direzione del Ministero dell'interno, avrebbe espresso l'intenzione di trasformare il commissariato di Domodossola in un ufficio volto a smistare gli immigrati irregolari respinti dalla Svizzera;
   il settore polizia di frontiera di Domodossola ha da sempre svolto la duplice funzione frontiera/commissariato fino all'adesione da parte della Svizzera al trattato di Schengen, ovvero quando la libera circolazione delle persone ha di fatto diminuito i controlli di frontiera, motivo per cui negli anni successivi vi sarebbe stata una drastica diminuzione del personale in servizio;
   il commissariato, data la distanza dei comuni ossolani dalla questura di Verbania (43 chilometri circa da Domodossola), serve attualmente tutta la Val d'Ossola sia come polizia amministrativa (passaporti, licenze, porto d'armi, permessi di soggiorno) sia come polizia di sicurezza pubblica (ricezione denunce, volanti, pronto intervento, attività investigative e altro);
   si ricorda che l'Ossola è un territorio potenzialmente ad alta infiltrazione mafiosa di tipo ‘ndranghetistico, come dimostrato dal fatto che il comune di Domodossola (unitamente a quello di Bardonecchia) è stato uno dei primi comuni del Nord ad essere commissariato per Mafia;
   il capoluogo dell'Ossola è stato teatro negli anni ’90 di tre operazioni antimafia, coordinate dalla direzione investigativa antimafia di Torino, che smantellarono alcune cosche locali della ‘ndrangheta, collegate con famiglie malavitose della Calabria;
   la presenza della ’ndrangheta in Val d'Ossola è conclamata dal 1992 e successivamente è stata confermata da altre operazioni di polizia che hanno stabilito la presenza mafiosa calabrese anche nel confinante Canton Vallese (Svizzera) in affari con le ‘ndrine ossolane –:
   se, nell'interesse del territorio, il Ministro interrogato non intenda riconsiderare i propositi riguardanti il commissariato di Domodossola di cui in premessa, considerando che in questo modo i cittadini ossolani andrebbero a perdere una risorsa unica e imprescindibile;
   se non si ritenga che con una simile trasformazione del servizio si arrivi di fatto a demansionare e impoverire professionalità costruite in anni di lavoro dei componenti delle forze dell'ordine protagonisti della vicenda;
   se il Ministro interrogato non ritenga più opportuno incentivare e aggiornare il personale in servizio al settore di Domodossola implementando con uomini, mezzi e risorse (autovetture per il controllo del territorio, personale formato per le attività di volante, organico adeguato alle esigenze reali, tanto «di frontiera» quanto «di prevenzione», alla lotta alla criminalità, all'ordine e alla sicurezza pubblica);
   contestualmente al rafforzamento delle risorse di cui sopra, se non si ritenga quantomeno opportuno il riconoscimento del presidio di Domodossola come ufficio con doppia, funzione di frontiera e commissariato di pubblica sicurezza. (5-06758)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO, FRATOIANNI e PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Bologna è stata sgomberata l'occupazione a scopo abitativo dell'ex Telecom di via Fioravanti;
   nell'immobile avevano trovato riparo almeno 80 minori e le loro famiglie a partire da dicembre 2014, in assenza della possibilità di reperire un alloggio sulla base delle loro disponibilità economiche;
   Bologna è infatti una città a riconosciuta tensione abitativa, aggravata dalla crisi economica, che ha colpito soprattutto lavoratori, donne e migranti;
   la disponibilità di una casa rappresenta la condizione minima per poter godere di un diritto umano fondamentale come il diritto alla frequenza scolastica, come riconosciuto anche dalla giurisprudenza;
   il comune di Bologna aveva più volte e pubblicamente ribadito di non essere nelle condizioni di offrire una soluzione abitativa ai residenti nelle diverse occupazioni presenti in città;
   era quindi nota in città la presenza di minori iscritti a scuola e delle loro famiglie nell'immobile sgomberato, così come l'assenza di diverse possibilità di alloggio;
   nonostante tutto, la questura ha proceduto ad un altro sgombero dopo quello della scorsa settimana in via Solferino, nonostante i problemi già verificatisi in quell'occasione –:
   se non intenda verificare se sussistano eventuali responsabilità del prefetto e del questore e, in tal caso, procedere alla loro rimozione;
   se non ritenga di assumere iniziative, anche normative, che rendano obbligatorio il coinvolgimento delle istituzioni e associazioni locali, in vista di sgomberi programmati da tempo;
   per quali ragioni, vista l'evidenza di interventi attuati ripetutamente senza il coinvolgimento delle istituzioni locali per procedure di sgombero, si sia proceduto senza un preventivo piano di ricollocazione abitativa mettendo a rischio i diritti costituzionalmente garantiti. (4-10846)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   la legge n. 107 del 2015, ai commi 33, 34 e 39, dell'articolo 1), recita:
    «33. al fine di incrementare le opportunità di lavoro e le capacità di orientamento degli studenti, i percorsi di alternanza scuola-lavoro di cui al decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 77, sono attuati, negli istituti tecnici e professionali, per una durata complessiva, nel secondo biennio e nell'ultimo anno del percorso di studi, di almeno 400 ore e, nei licei, per una durata complessiva di almeno 200 ore nel triennio. Le disposizioni del primo periodo si applicano a partire dalle classi terze attivate nell'anno scolastico successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge. I percorsi di alternanza sono inseriti nei piani triennali dell'offerta formativa»;
    «34. all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 77, dopo le parole: “ivi inclusi quelli del terzo settore” sono inserite le seguenti: “o con gli ordini professionali, ovvero con i musei e gli altri istituti pubblici e privati operanti nei settori del patrimonio e delle attività culturali, artistiche e musicali, nonché con enti che svolgono attività afferenti al patrimonio ambientale o con enti di promozione sportiva riconosciuta dal CONI, (...)”»;
    «39. per le finalità di cui ai commi 33, 37 e 38, nonché per l'assistenza tecnica e per il monitoraggio dell'attuazione delle attività, ivi previste, è autorizzata la spesa di euro 100 milioni annui a decorrere dall'anno 2016. Le risorse sono ripartite tra le istituzioni scolastiche ai sensi del comma 11»;
   le linee guida per l'organizzazione dei percorsi di alternanza scuola-lavoro sono state emanate il 7 ottobre 2015 –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle molteplici difficoltà che le scuole superiori incontrano nel rivolgersi agli enti pubblici e privati per avviare questa parte della riforma che gli interpellanti giudicano molto importante per la formazione completa degli studenti, difficoltà, il più delle volte, motivate da una scarsa conoscenza della normativa e da una certa diffidenza nell'aprire certe istituzioni al mondo della scuola;
   quali iniziative il Ministro intenda adottare per rimuovere tali ostacoli e per dare certezze al percorso formativo dei ragazzi.
(2-01136) «Zoggia, Luciano Agostini, Malpezzi, Terrosi, Albini, Carocci, Iori, Albanella, Carloni, Censore, Amato, De Menech, Valiante, Ferro, Fusilli, Famiglietti, Lattuca, Tartaglione, Ermini, Fanucci, Giorgis, Folino, De Maria, La Marca, Lodolini, Fedi, Zardini, Malisani, Iacono, Gnecchi, Ferrari, Lauricella, Bruno Bossio, Fiorio, Boccia, Bossa, Casellato, Colaninno, Leva, Martella, Marco Meloni, Murer, Sani, Zappulla, D'Attorre, Bersani, Roberta Agostini».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILOZZI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la riforma del complesso e articolato mondo della scuola italiana, intrapresa dal Governo, necessita di strutture amministrative periferiche efficienti, pienamente operative e in grado di affrontare e attuare le molte novità introdotte dal legislatore, fra tutte l'assunzione delle decine di migliaia di precari che ancora oggi caratterizzano il corpo docente;
   nell'attuazione della riforma della scuola, le diramazioni provinciali degli uffici scolastici regionali, gli ex provveditorati agli studi, sono chiamati a svolgere un ruolo chiave e pertanto la piena efficienza di tali strutture, sarà condizione necessaria per poter pienamente attuare le norme della riforma introdotta;
   l'ambito territoriale della provincia di Frosinone, diramazione dell'ufficio scolastico regionale del Lazio, dal 1o febbraio del 2015 è privo del dirigente titolare in seguito al pensionamento del precedente incaricato;
   nelle more dell'attivazione delle procedure di cui all'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001, l'ufficio scolastico regionale del Lazio ha provveduto a nominare un dirigente pro tempore che però, attese le molte attività cui è chiamato, può presenziare fisicamente gli uffici del provveditorato di Frosinone solo alcuni giorni della settimana;
   ciò comporta inevitabilmente, nonostante l'impegno e l'abnegazione dei dipendenti, un rallentamento delle procedure amministrative svolte dall'ente e questo rischia di rendere impossibile la piena attuazione della riforma scolastica;
   pertanto, è necessario rendere pienamente operativa e funzionale la struttura dirigenziale del provveditorato agli studi di Frosinone, soprattutto in questa fase di attuazione della riforma;
   nella seduta n. 457 dell'8 luglio 2015, il Governo ha accolto l'ordine del giorno 9/02994-B/069 impegnandosi «ad attivare, nel più breve tempo possibile, ogni procedura atta a provvedere alla copertura del posto vacante di Dirigente titolare dell'Ufficio VII – Ambito Territoriale Provincia di Frosinone – Ufficio scolastico regionale del Lazio, entro un termine che consenta la piena attuazione delle previsioni della Riforma della Scuola»;
   a tutt'oggi, l'ambito territoriale della provincia di Frosinone risulta ancora privo del dirigente titolare –:
   se sia a conoscenza dei fatti narrati e se non ritenga opportuno provvedere ad attivare senza ulteriori indugi le procedure amministrative necessarie alla nomina del dirigente presso l'ambito territoriale della provincia di Frosinone – ufficio scolastico regionale del Lazio – anche in attuazione dell'ordine del giorno approvato nella seduta dell'8 luglio 2015. (5-06755)


   PANNARALE e SCOTTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   pochi giorni or sono il tribunale di Napoli ha notificato al presidente dell'Istituto italiano per gli studi filosofici i termini per la messa all'asta di alcuni dei suoi testi più preziosi, già trasferiti nei locali degli uffici per le vendite giudiziarie, al fine di coprire debiti di modesta entità vantati da uno dei creditori. Sarebbe la prima volta nella sua storia che l'Istituto perde una parte del suo patrimonio librario;
   in quarant'anni di attività l'Istituto, diploma d'onore del Parlamento europeo, rappresenta un luogo di studi superiori insostituibile per la cultura italiana ed europea, riconosciuto quale luogo di eccellenza dalle più importanti università ed enti di ricerca internazionale, «catalizzatore di relazioni intellettuali al servizio dell'Europa», frequentato da studiosi di fama mondiale che hanno rappresentato l'umanesimo europeo novecentesco e contemporaneo: migliaia tra filosofi, sociologi, medici e matematici ospitati, migliaia di borse di studio erogate a giovani ricercatori, seminari, corsi e convegni in tutto il mondo e, infine, scuole estive nei paesi del Mezzogiorno;
   in un giudizio espresso dall'UNESCO l'Istituto «Ha conquistato una dimensione che non trova termini di paragone nel mondo [...] e contribuisce a fare di Napoli una vera capitale culturale»;
   la biblioteca dell'Istituto, immaginata, ideata e realizzata in mezzo secolo di scrupolose ricerche presso fondi librari e antiquari in tutta Europa, nonché con grandi sacrifici personali del presidente professor Gerardo Marotta, costituisce il nucleo fondamentale dell'Istituto fondato nel 1975 a Roma nella sede dell'Accademia dei Lincei;
   la soprintendenza ai beni librari della regione Campania, attestando «il grande valore bibliografico e culturale della biblioteca, frutto delle attività di studio, ricerca e formazione promosso dall'Istituto di appartenenza», decreta in una delibera del 2008 «la necessità di salvaguardarne l'inscindibile legame con l'Istituto di emanazione» e «l'opportunità e l'utilità sociale di predisporne le migliori condizioni di fruizione pubblica»;
   la situazione debitoria dell'Istituto sarebbe risolta con l'arrivo tempestivo del finanziamento complessivo previsto dalla legge di stabilità per il triennio 2014-2016;
   la sentenza del Consiglio di Stato – Sez. VI del 12 giugno 2015, n. 02885/2015/Reg.Prov.Coll.; n. 05701/2012 Reg.Ric. sul ricorso n. 5701/2011 per posto dall'Istituto, ordina al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca la concreta erogazione del contributo straordinario per il progetto dal titolo «Umanesimo e scienze nella formazione dell'identità europea», con cui l'Istituto aveva partecipato alla procedura prevista dal bando del 9 ottobre 2002 «per l'attribuzione di un contributo straordinario in favore di istituti o enti di ricerca, con sede operativa nel Mezzogiorno, che svolgessero istituzionalmente attività di ricerca o formazione postuniversitaria di particolare rilievo e interesse per lo sviluppo del territorio.»;
   non risulta che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca abbia ottemperato all'obbligo, derivante dalla citata sentenza, di sottoporre all'Istituto una proposta che quantifichi la misura del contributo, «la cui quantificazione» – sempre citando la sentenza – «è opportuno lasciare alle trattative che all'uopo saranno doverosamente intrattenute tra l'Amministrazione e l'Istituto, secondo i parametri seguiti per la remunerazione degli altri progetti ammessi. A tal fine, l'amministrazione provvederà a sottoporre all'Istituto una proposta e le parti terranno informata la Sezione in ordine all'esito della trattativa»;
   il dottor Cesare Scarano, contabile dell'Istituto, in dichiarazioni a mezzo stampa, quantifica la misura del contributo in «dodici milioni e mezzo di euro, più la rivalutazione, che metterebbero a posto i conti dell'istituto, insieme al milione previsto nella legge di stabilità per il triennio 2014-2016 (contro i 3,5 milioni dell'8 per mille tagliato da Tremonti), di cui finora è arrivata solo la prima tranche del 2014.»;
   mettere a rischio la sussistenza dell'Istituto e la sua possibilità di svolgere l'attività significa sottrarre all'intera comunità internazionale un polo di ricerca e di riflessione di eccezionale rilievo, e privare l'Italia di un centro di attrazione scientifica come pochi eguali nel mondo –:
   quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati, conformando l'amministrazione al giudicato di cui è causa, al fine di erogare il dovuto contributo straordinario, affinché sia consentito all'Istituto di ripianare gli oneri finanziari derivanti dalla mancata erogazione dello stesso, in tal modo impedendo che una parte del patrimonio dell'istituto italiano finisca disperso e presumibilmente consegnato all'oblio;
   quali iniziative urgenti anche di natura normativa – intendano adottare affinché l'erogazione dei contributi ordinari a favore dell'Istituto sia tempestiva ed ordinata, in tal modo consentendo il pieno svolgimento delle attività di ricerca e della sua funzione civile. (5-06766)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ROMANINI, PATRIZIA MAESTRI, PRINA, AMATO, ALBANELLA e PAOLO ROSSI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la scuola per l'Europa di Parma è una scuola italiana a ordinamento speciale, associata al sistema delle scuole europee di cui adotta gli ordinamenti, i programmi, il modello didattico e il modello amministrativo. Funziona dal 2004, e con la legge 3 agosto 2009, n. 115, è stata ad essa riconosciuta la personalità giuridica di diritto pubblico e autonomia amministrativa, finanziaria e patrimoniale a partire dal 1o settembre 2010. Il decreto ministeriale 18 giugno 2010, n. 138, regolamento amministrativo della scuola per l'Europa di Parma, disciplina le procedure amministrative e il funzionamento degli organi;
   la Scuola, che ha attualmente 578 iscritti suddivisi in tre sezioni linguistiche (anglofona, francofona e italiana e in tre cicli (materno, primario e secondario) è posta sotto la vigilanza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Garantisce un'adeguata istruzione europea ai figli dei funzionari dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e ai cittadini italiani;
   nel mese di giugno 2015 la direttrice è andata in pensione. Il concorso per sostituirla, bandito solo il 3 di settembre 2015, è stato vinto da un dirigente che però, come denuncia in una lettera al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca un gruppo di genitori, non ha mai preso servizio presumibilmente per questioni inerenti al contratto. Dunque a tutt'oggi la scuola è priva di guida e in assenza di un dirigente facente funzione, delegato alla firma dal dirigente stesso o nominato dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   tale situazione è causa di notevoli disagi con sicure ricadute sul regolare svolgimento dell'attività didattica e pone problematiche urgenti quali:
    a) la sicurezza degli utenti in quanto non si è potuto procedere alla nomina di collaboratori scolastici e i soli due in servizio, in due sedi diverse, non possono garantire la loro presenza per l'intero orario di apertura della scuola;
    b) non si è potuto procedere alla nomina di alcuni docenti e nello specifico di docenti di italiano e spagnolo per la secondaria in L3/L4 che nell'anno scolastico 2015-16 affronteranno il «Bac»;
    c) il pagamento degli stipendi di settembre di 24 prestatori d'opera (docenti e personale Ata) che ancora non hanno un contratto perfezionato;
    d) il mancato pagamento dei fornitori che ha provocato, fra l'altro, la sospensione dei giornali internazionali utilissimo strumento per una scuola europea di Tipo 2;
    e) la mancata partecipazione degli insegnanti ai corsi formativi in calendario organizzati dalla Segreteria delle scuole europee;
    f) la soppressione di uscite didattiche –:
   se non ritenga utile un intervento urgente che abbia come obiettivo quello di garantire una direzione alla scuola per l'Europa di Parma, anche considerando la possibilità di delega ai vicedirettori al fine di gestire l'ordinario. (4-10844)


   BERRETTA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a partire dall'anno scolastico 2010/2011, è entrata in vigore la riforma complessiva del secondo ciclo di istruzione e formazione, che prevede, oltre ai percorsi di istruzione di durata quinquennale, percorsi di istruzione e formazione professionale, di competenza regionale;
   la riforma suddetta consente, quindi, di assolvere l'obbligo di istruzione ed esercitare il diritto-dovere all'istruzione e alla formazione sia nei percorsi di istruzione quinquennale, sia nei percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali (IeFP);
   percorsi di istruzione e formazione professionale di durata triennale e quadriennale, finalizzati al conseguimento – rispettivamente – di qualifiche e diplomi professionali, di competenza regionale, sono riconosciuti e spendibili a livello nazionale e comunitario, in quanto compresi in un apposito repertorio nazionale, condiviso tra Stato e regioni con accordi del 27 luglio 2011 e del 19 gennaio 2012. I percorsi IeFP sono realizzati dalle strutture formative accreditate dalle regioni, secondo criteri condivisi a livello nazionale, oppure dagli istituti professionali, in regime di sussidiarietà, se previsto dalla programmazione regionale, ai sensi dell'Intesa in Conferenza unificata del 16 dicembre 2010. A partire dai 15 anni di età, si può conseguire una qualifica professionale anche attraverso l'apprendistato di 1o livello (decreto legislativo n. 167 del 2011 articolo 3), così come regolato dall'accordo in Conferenza Stato regioni del 15 marzo 2012. Al termine dei primi due anni, inoltre, viene rilasciato, se richiesto dello studente, il certificato delle competenze di base acquisite nell'assolvimento dell'obbligo di istruzione;
   le modalità organizzative e le metodologie di realizzazione dei percorsi prevedono attività di stage, di laboratorio e di tirocinio e si caratterizzano per flessibilità e personalizzazione;
   in Sicilia si è raggiunto, non senza fatiche, il risultato della normalizzazione dell'avvio dei corsi del primo anno, destinati ai ragazzi che hanno scelto l'istruzione e formazione professionale per il prosieguo dell'istruzione obbligatoria, facendo iniziare gli stessi il 14 settembre 2015, stesso giorno di avvio del nuovo anno scolastico nelle scuole di ogni ordine e grado;
   ad oggi, però, la Sicilia vive un'emergenza che riguarda migliaia di giovani siciliani in formazione professionale, che restano in attesa dell'avvio dei corsi per l'anno scolastico 2015-2016. Si tratta di diecimila minori tra i 15 e i 17 anni che, dopo avere frequentato il primo anno dei corsi IeFP, attendono l'inizio delle lezioni del secondo, terzo e quarto anno per proseguire l'istruzione obbligatoria;
   il ritardo nell'avvio delle lezioni per gli studenti del secondo, terzo e quarto anno dei corsi IeFP rischia di creare enormi danni e comportare ripercussioni negative in ambito pedagogico e sociale, che potrebbero pregiudicare seriamente il futuro dei diecimila minori interessati ad esercitare il loro diritto-dovere all'istruzione;
   un altro aspetto correlato, da non sottovalutare, è quello dell'occupazione delle duemila unità di personale addette alla formazione professionale in Sicilia, che attendono l'avvio delle lezioni del secondo, terzo e quarto anno IeFP per riprendere la loro attività lavorativa;
   in Sicilia i corsi IeFP per il prosieguo dell'istruzione obbligatoria, previsti dall'avviso n. 2/2015 «per la realizzazione dei percorsi formativi di istruzione e formazione professionale – seconda, terza e quarta annualità a.s.f. 2015-2016, approvato con D.D.G. 5692 del 12 agosto 2015», pubblicato ad agosto 2015 sono stati finanziati con 45 milioni di euro a valere sul PO FSE 2014-2020;
   la struttura attuatrice dell'avviso n. 2/2015 è il dipartimento regionale dell'istruzione e della formazione professionale della regione siciliana;
   il finanziamento di 45 milioni di euro a valere sul PO FSE 2014-2020 ha la precipua finalità di contrastare la dispersione scolastica;
   la motivazione del finanziamento suddetto rende ancor più inaccettabili i ritardi con cui vengono avviate la seconda, terza e quarta annualità dei percorsi IeFP, poiché si paventa il serio rischio di determinare un circolo vizioso, che potrebbe condurre questi diecimila minori ad allontanarsi in maniera irreversibile dal mondo dell'istruzione e della formazione professionale –:
   di quali elementi disponga in relazione ai motivi ostativi che ad oggi impediscono il regolare svolgimento delle lezioni delle suddette annualità dei corsi IeFP e, quindi, quali iniziative per quanto di competenza, intenda assumere per risolvere urgentemente la problematica delle scuole d'istruzione e formazione professionale siciliane, che riguarda il futuro di diecimila minori e di duemila unità di personale. (4-10847)


   FRATOIANNI e PANNARALE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto appreso da organi di stampa, lunedì 26 ottobre 2015 si terrà un incontro pubblico a tema «ideologia gender» nell'Auditorium della Scuola «V. Sofo» di Monopoli, alla presenza dell'avvocato Gianfranco Amato, esponente dell'associazione «Giuristi per la vita». L'incontro sarà occasione anche per la presentazione del libro «Gender (D)Istruzione – Le nuove forme d'indottrinamento nelle scuole italiane», scritto dallo stesso avvocato e all'evento prenderà parte anche la dirigente scolastica del primo istituto comprensivo, dottoressa Liliana Camarda;
   l'avvocato Amato in una recente intervista ha dichiarato di essere «omofobo» e di «essere pronto per andare in galera per questo». Pare quanto meno inopportuno che un incontro di questo tipo si svolga all'interno di una scuola pubblica, per altro alla presenza della preside e senza contraddittorio alcuno, contravvenendo alla circolare n. 1972 del 15 settembre 2015 diffusa dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che dice: «Nell'ambito delle competenze che gli alunni devono acquisire, fondamentale aspetto riveste l'educazione alla lotta ad ogni tipo di discriminazione, e la promozione ad ogni livello del rispetto della persona e delle differenze senza alcuna discriminazione. Si ribadisce, quindi, che tra i diritti e i doveri e tra le conoscenze da trasmettere non rientrano in nessun modo né «ideologie gender» né l'insegnamento di pratiche estranee al mondo educativo» –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non ritenga urgente intervenire per evitare la realizzazione di incontri di questo tipo, basati su teorie, a giudizio degli interroganti, palesemente false e inesistenti, nelle scuole pubbliche. (4-10849)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   PATRIZIA MAESTRI, ROMANINI, D'INCECCO, MINNUCCI, LODOLINI, CRIVELLARI, ARLOTTI, DI SALVO, LAFORGIA, FABBRI, MORANI, LENZI, CARRESCIA, GRASSI, CIMBRO, ROCCHI, FOSSATI, GIACOBBE, GNECCHI e CAMPANA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Fondazione Don Carlo Gnocchi ONLUS nasce nel 1998 raccogliendo l'eredità morale e materiale della «Federazione pro infanzia mutilata» fondata nel 1948 da don Carlo Gnocchi per meglio coordinare gli interventi assistenziali nei confronti delle piccole vittime della guerra, poi confluita nel 1951 nella «Fondazione Pro Juventute», rinominata nel 1987 «Fondazione Pro Juventute Don Carlo Gnocchi»;
   fin dal 1963 la Fondazione ha esteso la sua presenza sul territorio nazionale con 12 centri di importanza regionale e decine di poliambulatori, estendendo le proprie attività riabilitative a ogni forma di handicap e disabilità. Dal duemila si occupa anche dei malati oncologici in fase terminale e delle persone con gravi lesioni cerebrali acquisite o in stato vegetativo prolungato;
   oggi la Fondazione Don Gnocchi impiega oltre 5700 operatori. Svolge le proprie attività in regime di accreditamento con il Servizio sanitario nazionale in 29 centri e una trentina di ambulatori territoriali organizzati in 8 poli, diffusi in 9 regioni italiane, con oltre 3600 posti letto accreditati ed operativi di degenza piena e day hospital;
   nel 2013, a fronte di una condizione di difficoltà economico-finanziaria, la Fondazione ha comunicato alle organizzazioni sindacali l'intenzione di disdettare il contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL). Intenzione poi ritirata a seguito della sottoscrizione di un accordo temporaneo di solidarietà attraverso il quale i lavoratori, in deroga ad alcune leve contrattuali, hanno ceduto diverse ore di lavoro retribuito e giornate di ferie a favore della Fondazione e sono stati concordati incentivi all'esodo per i lavoratori prossimi al pensionamento;
   il 6 ottobre 2015 la Fondazione ha inviato una comunicazione alle organizzazioni sindacali, esprimendo la rinnovata intenzione di disdettare l'applicazione del CCNL, sostenendo che si trova ad operare «in un contesto nel quale le attuali previsioni contrattuali comportano per la Fondazione l'onere di sopportare costi incompatibili con le odierne condizioni di mercato e, oltre tutto, di gran lunga più elevati rispetto a quelli sostenuti da altri Enti operanti nel medesimo mercato e nel medesimo settore»;
   le organizzazioni sindacali hanno comunicato che provvederanno a disdettare gli accordi sottoscritti nel 2013 in ambito nazionale se la Fondazione rimarrà sulla propria posizione –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della disdetta unilaterale del contratto collettivo nazionale di lavoro da parte della Fondazione don Carlo Gnocchi e se non ritengano di intervenire, per quanto di competenza, al fine di tutelare tanto i diritti dei lavoratori quanto la continuità socio-assistenziale delle strutture sanitarie afferenti la Fondazione che, a quanto risulta, versa in uno stato di difficoltà economico-finanziaria. (3-01786)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SIMONETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 150 del 2015, attuativo della riforma del lavoro e degli ammortizzatori sociali cosiddetta «Jobs act», i percettori di trattamenti di sostegno al reddito under 60enni ed i mobilitati non potranno più essere utilizzati in lavori socialmente utili;
   il citato decreto n. 150 del 2015, infatti, in vigore dal 24 settembre 2015, ha abrogato il decreto legislativo 1o dicembre 1997, n. 468, regolante per l'appunto l'utilizzo diretto di lavoratori in mobilità in attività di pubblica utilità;
   la nuova disciplina normativa nel prevedere, all'articolo 26, che le regioni e le province autonome, allo scopo di attivare i nuovi lavori di pubblica utilità stipulino, con le amministrazioni interessate alla realizzazione delle attività socialmente utili, specifiche convenzioni, sulla base di una convenzione quadro predisposta dall'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL), dispone che possono essere impiegati nelle suddette attività i lavoratori in cassa integrazione o disoccupati, di età superiore a 60 anni, non percettori di sostegno al reddito e prossimi alla pensione di vecchiaia o anticipata;
   tale nuova disposizione rischia ora far naufragare una serie di progetti degli enti locali, come quello di Biella di utilizzare in attività di pubblica utilità 1.100 biellesi under 60enni che si trovano in mobilità;
   risulta alquanto illogico lasciare fuori da qualunque forma di lavoro di pubblica utilità soggetti percettori di trattamenti a carico della collettività ed in età attiva per rendersi utili alla società –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative per chiarire, nell'ambito delle proprie competenze, i termini di applicazione della nuova disciplina di cui all'articolo 26 del decreto legislativo n. 150 del 2015 citato in premessa ai titolari di trattamento di mobilità, atteso che tale istituto permane in via transitoria nell'ambito di cui all'articolo 2, commi 46 e 46-bis, della legge n. 92 del 2012 e considerato che i percettori di mobilità erano inclusi, ai sensi degli articoli 7 e 8 dell'abrogato decreto legislativo n. 468 del 1997, nella normativa sui lavori socialmente utili;
   se sia stata predisposta da parte dell'ANPAL la convenzione quadro di cui in premessa e se, di conseguenza Governo, Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro e regioni abbiano dato corso agli adempimenti necessari per l'attivazione dei lavori di pubblica utilità e l'individuazione dei lavoratori interessati, ovvero, in caso di risposta negativa, quali siano i tempi previsti. (5-06753)


   ROSTELLATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel settore dei trasporti su strada il Parlamento europeo ha, attraverso numerose risoluzioni e relazioni, promosso e sostenuto l'apertura progressiva del mercato per il trasporto merci e passeggeri su strada e ribadito che la liberalizzazione deve essere accompagnata dall'armonizzazione anche per quanto riguarda gli aspetti sociali e la sicurezza dei trasporti;
   pur ribadendo che è del tutto lecito rivolgersi ad un'agenzia somministrazione comunitaria per l'impiego di un lavoratore straniero è tuttavia d'obbligo segnalare che devono comunque sussistere determinate condizioni;
   recentemente è stato segnalato da più parti che alcune imprese italiane hanno fatto ricorso alla stipula di contratti di lavoro con agenzie di somministrazione europee (in particolare di Romania e Bulgaria) a condizioni di particolare favore in quanto il costo del lavoro in questi Paesi è di gran lunga inferiore a quello italiano;
   al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con la circolare n. 14 del 9 aprile 2015 ha chiarito che le tutele economico-normativa si applicano anche nell'ambito di un rapporto di somministrazione transnazionale di lavoro, sconfessando in toto le iniziative di agenzie di somministrazione di altri Stati membri dell'Unione europea che propongono il ricorso a manodopera straniera sottocosto;
   si ribadisce che la normativa italiana prevede il rispetto da parte delle agenzie con sede in altro Stato membro della disciplina dettata per le agenzie italiane contenuta nel decreto legislativo n. 276 del 2003 e il diritto del lavoratore interinale «a condizioni di base di lavoro e d'occupazione complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore, a parità di mansioni svolte», insieme con l'applicazione della disciplina in materia di responsabilità solidale per l'adempimento degli obblighi retributivi e previdenziali. Il Ministero ha sottolineato che occorre pertanto diffidare di annunci pubblicitari che riportano informazioni in contrasto con la disciplina comunitaria e nazionale in materia di distacco transnazionale;
   è da segnalare che anche la Corte di giustizia dell'Unione europea è intervenuta in materia di distacchi intraeuropei (caso assimilabile alla somministrazione), affermando il diritto dei lavoratori distaccati al salario minimo, per evitare la concorrenza sleale;
   la Corte ha fatto il punto sugli elementi della retribuzione da includere nel salario minimo spettante ai lavoratori distaccati negli Stati dell'Unione europea stabilendo che sulle materie di cui all'articolo 3 della direttiva 96/71 (tra cui i salari minimi), deve essere applicata la legislazione dello Stato ospitante, salvo i casi in cui la normativa nazionale dello Stato di provenienza risulti più favorevole per i dipendenti;
   nonostante le circolari del Ministero e gli interventi della Corte di giustizia dell'Unione europea, tale fenomeno non sembra debellato, anzi;
   il fenomeno ha preso una piega ben più grave: a causa del perdurare della crisi molte aziende sono state costrette alla chiusura o al fallimento. Conseguentemente, i dipendenti di queste aziende sono stati posti in «mobilità» e nei loro confronti è stato adottato all'ammortizzatore sociale previsto in questi casi;
   ebbene, risulta da più fonti e viene riportato con sempre maggiore insistenza da imprese ed autisti, che non pochi autisti che percepiscono la mobilità vengano poi assunti da agenzie interinali straniere ed utilizzati per condurre mezzi di ditte italiane «pure» o «esterovestite» che operano comunque in Italia. Tale sistema permette all'autista di percepire sia la mobilità che uno stipendio ed all'azienda che lo utilizza di avere a disposizione personale a basso costo che ne aumenta di gran lunga la competitività;
   a quanto consta all'interrogante pure le ispezioni da parte delle direzioni territoriali al fine della verifica del rispetto delle normative attinenti la sicurezza stradale in tema di tempi di guida e di riposo degli autisti regolamento (CE) 561/2006) producono talune volte risultati diversi tra l'una e l'altra azienda a seconda del rapporto in essere con il personale viaggiate;
   è chiaro che modi di agire di tale natura, a parere dell'interrogante, comportano un notevole danno per le casse pubbliche e una grave distorsione del mercato –:
   se il Governo sia a conoscenza delle dinamiche esposte in premessa;
   come si intenda agire affinché non vi siano più situazioni di tale portata che arrecano un enorme danno alle casse pubbliche e comportano una grave distorsione del mercato;
   se il Governo abbia dato mandato alle direzioni territoriali di effettuare una specifica campagna di verifica rispetto al fenomeno in esame;
   se siano state fornite alle direzioni stesse indicazioni al fine di armonizzare ed equiparare il sistema sanzionatorio e di responsabilità solidale autista-azienda in caso di infrazioni rilevate, commesse da dipendente-diretto o da autista in somministrazione. (5-06756)


   CAPONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni ampio risalto è stato dato sulla stampa allo stato di agitazione proclamato in tutta Italia dai lavoratori Fruendo, ex Monte Paschi Siena, allarmati dalle dichiarazioni ufficiali nel settembre 2015 al tavolo delle relazioni sindacali rilasciate dalla delegazione aziendale Fruendo, riportate nei comunicati sindacali e successivamente degli organi di informazione, secondo cui dall'utile di 202mila maturato nel 2014 si passerebbe alla stima previsionale di un passivo di 400mila euro per il 2015;
   al termine dell'incontro tra l'azienda e le organizzazioni sindacali, le stesse hanno diffuso un comunicato in cui ne stigmatizzano i contenuti, definendolo manchevole per l'assenza dell'amministratore delegato, poco trasparente, relativamente alla relazione economica in essere con Mps, sconcertante relativamente alle risposte date dall'azienda ai sindacati in relazione ai quesiti posti;
   vale dunque al riguardo ricordare che la vicenda afferisce alla decisione della Banca Monte dei Paschi di Siena di prevedere, come descritto nel piano industriale varato dal Consiglio di amministrazione e depositato presso l'autorità bancaria europea il 19 dicembre 2012, una riduzione degli organici di circa 4.900 dipendenti entro il 2015, di cui 1065 esternalizzati il 31 dicembre 2013 tramite cessione di ramo d'azienda alla società Fruendo srl.;
   tale società è stata costituita in joint venture il 1o gennaio 2014 per offrire, si legge sulla brochure della stessa, «servizi competitivi di back office al cliente» posizionandosi «quale partner di riferimento back office per banche, compagnie assicurative, aziende ed enti della Pubblica amministrazione». A costituirla la divisione italiana della multinazionale di consulenza direzionale, servizi tecnologici ed outsourcing Accenture, per il 40 per cento, e l'operatore del business process outsourcing Bassilichi spa, per il 60 per cento entrambi, entrambi già fornitori di servizi alla Monte dei Paschi di Siena, in particolar modo la Bassilichi s.p.a, il cui fatturato verso Mps è circa il 60 per cento del totale e nel cui azionariato è presente la stessa Banca Mps con una quota rilevante;
   con sede legale a Firenze, Fruendo conta ad oggi sette sedi operative: Firenze, Abbiategrasso, Lecce, Mantova, Padova, Roma, Siena; 1064 dipendenti e, al momento, un unico committente, Monte Paschi Siena, con una commessa per 18 anni. Si fa presente come proprio Lecce costituisca una delle realtà più rilevanti, con 179 dipendenti;
   ancora relativamente al quadro occupazionale, le organizzazioni sindacali, nel mentre valutano positivamente l'intenzione manifestata dal gruppo Bassilichi di «tutelare l'occupazione», tuttavia osservano: «da due anni le scriventi cercano un accordo integrativo con impegni esigibili sulla integrità aziendale (nessuna cessione a terzi) e sul mantenimento dei 7 poli di Fruendo (Abbiategrasso, Mantova, Padova, Firenze, Siena, Roma, Lecce), nonché sulla gestione di eventuali riorganizzazioni o problemi di bilancio tramite l'ammortizzatore di settore, il Fondo di accompagnamento all'esodo (una forma soft di prepensionamento previsto dal CCNL del credito) senza che Fruendo abbia accolto tali proposte. Però Fruendo propone incentivi minori per chi offra dimissioni volontarie, dimostrando come il problema degli organici in realtà esista e dichiara ufficialmente di non avere attività adeguate per i molti quadri direttivi in organico»;
   secondo quanto riportato dalle segreterie di coordinamento, inoltre, «l'azienda spenderebbe 1 milione 700mila euro per personale distaccato (sostanzialmente figure dei soci) e 400 mila euro per consulenze (idem), impattando seriamente sul bilancio e finendo con il sottrarre ai lavoratori gli spazi per fruire di istituti contrattuali dovuti, VaP, premio aziendale, premio incentivante»;
   ancora, e relativamente alle voci in bilancio, sembrerebbe emergere anche una significativa discrepanza tra la cifra inscritta a bilancio da Mps per i servizi erogati da Fruendo che risulterebbe pari a 61 milioni di euro, e la cifra iscritta a bilancio da Fruendo che indicherebbe ricavi da servizi erogati pari a 88 milioni di euro;
   perché tale quadro sia completo va ricordato che dei 1065 dipendenti esternalizzati, circa 750 hanno nel frattempo fatto ricorso al giudice del lavoro contestando la procedura di esternalizzazione e nell'aprile 2015 il tribunale senese ha obbligato il reintegro di circa 250 lavoratori che si erano opposti al passaggio in Fruendo «perché la struttura ceduta dalla banca «era una entità creata ad hoc in vista ed in occasione del trasferimento» e perciò «occorreva il consenso dei lavoratori». Nelle 87 pagine della sentenza, il giudice scrive ancora che i servizi trasferiti non erano «una entità economica dotata di propria individualità e sufficiente strutturazione ed autonomia funzionale». Inoltre Fruendo ha come quasi unico cliente, si legge ancora nella sentenza, l'istituto di Rocca Salimbeni, il che la rende una struttura troppo «dipendente» dalla banca»;
   sarebbero questi i motivi per cui alcuni lavoratori coinvolti, in gran parte donne, hanno sin da subito, ed anche recentemente, interessato la Banca d'Italia sollecitando una vigilanza su questi fatti senza aver ricevuto, ad oggi, alcun riscontro;
   successivamente, nel settembre 2015, anche a seguito delle polemiche scaturite dalla chiusura della sede di Pisa, Bassilichi ha diffuso un comunicato aziendale in cui viene precisata la politica del Gruppo e, relativamente a Fruendo, si dichiara: «Il Polo del Back Office attualmente impiega complessivamente 1.029 risorse (29 settembre 2015) diffuse sul territorio italiano, e dopo 1 anno e 10 mesi dalla nascita ufficiale di «Fruendo» il 14 per cento di queste risorse sono già impegnate su commesse diverse da quella del MPS: aziende del mondo delle utilities, della GDO e altri gruppi bancari italiani. Inoltre, nell'ottica di investire sul potenziamento e sulla crescita del Polo del Back Office, alle risorse Fruendo sono state erogate complessivamente nel 2014 11.155 ore di formazione e nel corrente anno 9.477 ore di formazione, sempre a livello nazionale»;
   ancor più recentemente (18 ottobre 2015) in un'intervista, Marco Bassilichi, presidente di Fruendo, specificamente riguardo al Polo di Lecce, ha dichiarato: «Lecce è un polo di eccellenza. Stiamo lavorando per incrementare l'attività: l'obiettivo è aumentare i volumi di lavoro anche su target diversi da quello bancario, arrivando al 30 per cento delle commesse. Ciò comporterebbe importanti ricadute anche sul piano occupazionale»; e ancora: «Abbiamo chiuso il 2014 con un attivo da 200mila euro e se anche dovessimo chiudere il 2015 con 400mila euro di rosso, non sono preoccupato. Intanto perché i bilanci vanno letti in un'ottica di gruppo ed il Gruppo Bassilichi fattura decine di milioni di euro. Per me le cifre in questione significano un sostanziale pareggio di bilancio. Il Gruppo ricapitalizzerebbe queste somme, che si riferiscono allo scenario peggiore, senza colpo ferire. E poi sapevamo che nei primi due anni di vita di Fruendo avremmo affrontato qualche sofferenza»;
   pur apprezzando il carattere delle dichiarazioni del presidente Bassilichi, le organizzazioni sindacali ricordano come «La commessa di Mps dura 18 anni ma con canoni di servizio decrescenti. Se già al secondo anno di esistenza il canone non è sufficiente a coprire stipendi ed enormi costi fissi che Fruendo sostiene a favore dei due soci (Accenture e Gruppo Bassilichi, ndr) e del Monte Paschi, cosa devono aspettarsi i lavoratori già nel 2016 ? Quella perdita per i dipendenti di Fruendo rappresenta un campanello d'allarme. Temiamo di finire come Krene (azienda del Gruppo Bassilichi, ndr), dove alcuni dipendenti sono in cassa integrazione e ai profili di alto livello è stato chiesto di diminuire livelli contrattuali e retributivi». Ed in effetti anche molti dei lavoratori in forza presso il polo di Lecce hanno fatto ricorso al giudice de lavoro con la richiesta di rientrare in Mps;
   va infine rilevato, a parere dell'interrogante, come pur avendo Mps rimborsato nel giugno 2015 i 1,017 miliardi di euro di «Monti Bond» avendo dunque completato la restituzione degli aiuti di Stato, il pagamento avvenuto il primo luglio della cedola dei bond in azioni ha consentito al Ministero dell'economia e delle finanze di passare da semplice creditore ad azionista (4 per cento); il Ministero si è reso disponibile, secondo una nota diffusa dallo stesso Istituto, «ad impegnarsi, fino al 180esimo giorno successivo al 1o luglio 2015, a non effettuare operazioni di vendita delle azioni ricevute da Mps». Va rilevato che le esternalizzazioni sono avvenute nel mentre il Tesoro aveva già sottoscritto i cosiddetti «Monti bond» per complessivi 3,9 miliardi di euro –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano attivare, nell'ambito delle proprie competenze, alla luce di quanto esposto in premessa, al fine di evitare che le esternalizzazioni previste dal piano industriale possano essere il preludio ad un percorso di licenziamenti attuati da un altro soggetto; quali iniziative i Ministri interrogati intendano attivare, nell'ambito delle proprie competenze, relativamente alla chiusura in negativo del bilancio 2015 della società Fruendo, anche in relazione alla eventualità che la stessa possa essere oggetto di successive ristrutturazioni societarie, e alla luce delle dichiarazioni rese dal presidente della società, secondo le quali, con particolare riferimento al polo di Lecce, la strategia di implementazione del portafoglio clienti parrebbe essere in una fase ancora embrionale e dunque insufficiente a costituire garanzia stabile di futuro occupazionale. (5-06767)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con circolare dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura dell'11 ottobre 2013, l'ente pagatore ha stabilito che, ai fini dell'ammissibilità delle superfici dichiarate a pascolo magro ai benefici previsti nell'ambito della Politica agricola comune, fosse obbligatorio procedere al pascolamento diretto, annullando la possibilità di effettuare il pascolamento da parte di terzi, come da sempre consentito;
   a seguito del ricorso al Tar da parte di alcuni operatori, con l'ordinanza n. 1010 del 6 marzo 2014, la terza sezione del Consiglio di Stato ha accolto l'istanza cautelare, sospendendo l'efficacia della circolare Agea dell'11 ottobre 2013;
   l'Agea, dandone avviso con circolare dell'11 marzo 2014, ha comunicato che, per la sola campagna 2014, veniva dunque sospesa l'efficacia della circolare dell'11 ottobre 2013, riconoscendo pertanto la possibilità di utilizzare il pascolamento presso terzi;
   di conseguenza, molti operatori del settore hanno fatto domanda, per il 2014, tramite l'opzione del pascolamento tramite terzi, come permesso dallo stesso modulo di richiesta della domanda unica;
   la sentenza del Tar del 19 gennaio 2015, però, entrando nel merito, ha rigettato il ricorso presentato nel 2014, restituendo validità alla circolare sospesa. Agea ha quindi disposto il blocco dei pagamenti per le domande non ancora liquidate;
   la recentissima sentenza del Consiglio di Stato dell'8 settembre del 2015 ha confermato la prima sentenza del Tar Lazio, confermando la validità della circolare emessa da Agea;
   il nuovo dispositivo crea fortissime preoccupazioni tra gli operatori del comparto. Nella difficile congiuntura del settore, per anni gli agricoltori – in tutta l'Italia, dal Veneto alla Calabria – hanno adoperato come consuetudine il pascolo presso terzi, su terreni di mogli, di figli, di vicini o su terreni presi in affitto, essendo tale consuetudine sempre stata riconosciuta da Agea come valida al fine del rispetto dei requisiti di condizionalità e ammissibilità delle superfici dei terreni classificati come pascolo magro;
   anche la nuova Politica agricola comune difatti introduce la possibilità di utilizzo del pascolo presso terzi in quelle regioni dove tale pratica è consuetudine e tante regioni hanno confermato ciò con appositi decreti;
   gli agricoltori sono convinti che bisogna lottare contro i pascoli fantasma, ma altrettanto ritengono che, per colpa di pochi, tale sentenza andrà ad incidere sulla vita stessa di decine di migliaia di famiglie in tutta Italia. Al momento, infatti, il problema maggiore – dopo che la stessa Agea aveva dato il via libera a tale forma di utilizzo – è che a seguito della sentenza del Consiglio di Stato, i titoli Pac utilizzati per le superfici dichiarate a pascolo magro per l'anno 2014 non potranno essere tenuti in considerazione per l'assegnazione dei titoli Pac 2015-2020;
   la pratica del pascolo presso terzi quindi è stata riconosciuta valida dal 2006 al 2013 e dal 2015 al 2020 dalla gran parte delle regioni interessate da tale consuetudine. L'unico anno in cui non è stata riconosciuta, o meglio autorizzata e poi revocata, è stato il 2014, l'anno di riferimento per la formazione dei nuovi titoli Pac 2015-2020;
   in data 6 ottobre 2015 è stato reso pubblico, sul sito del Sistema informativo agricolo nazionale (www.sian.it) l'elenco dei nuovi titoli Pac assegnati per il 2015-2020, che ha sancito una vera catastrofe per gli agricoltori; non è stato infatti riconosciuto, nel valore dei nuovi titoli Pac, quello relativo ai titoli Pac attivati per le superfici dichiarate a pascolo magro e ciò comporterà la fine di molte aziende agricole e la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga di intervenire con urgenza per sanare la situazione relativa all'ammissibilità delle domande di pascolamento da parte di terzi delle superfici dichiarate a pascolo magro per l'anno 2014, almeno per quei casi conclamati di rapporto effettivo tra il titolare del codice pascolo e il proprietario dei pascoli magri, ovvero in quei casi dove è certa la presenza di pascoli reali e non «pascoli fantasma»;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per fornire agli allevatori – di tutta Italia – un quadro normativo certo, anche alla luce delle previsioni introdotte dall'entrata in vigore della nuova Politica agricola comune. (4-10856)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DI VITA, SILVIA GIORDANO, COLONNESE, LOREFICE, GRILLO, BARONI e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legge 25 febbraio 1992, n. 210, recante «Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni, trasfusioni e somministrazione di emoderivati», il Parlamento riconoscendo la sussistenza di una responsabilità pubblica, ha previsto un sostegno economico a quei cittadini resi fisicamente o psichicamente menomati;
   l'interrogate ha presentato in Parlamento la proposta di legge n. 2268, avente ad oggetto la modifica della procedura di indennizzo ex legge n. 210 del 1992 per le lesioni all'infermità psico-fisica derivante da vaccinazione obbligatoria;
   a parere degli interroganti appare necessario porsi l'obiettivo di intervenire sulla materia, apportando quelle modificazioni indispensabili affinché lo strumento legislativo previsto dalla citata legge si mantenga all'altezza sia delle mutate esigenze assistenziali, che di quelle giuridiche più volte ridisegnate dalla giurisprudenza;
   nella prospettiva di un futuro intervento legislativo, dunque, si ritiene anzitutto indispensabile conoscere alcuni dati statistici relativi alle pratiche di indennizzo ad oggi gestite dalla competente direzione presso il Ministero della salute; è indispensabile conoscere, nel dettaglio, le modalità messe in atto per la loro catalogazione ed archiviazione, nonché i riferimenti ai capitoli del bilancio ministeriale disposti a copertura della spesa necessaria per farvi fronte –:
   quale sia il numero totale delle posizioni/pratiche di indennizzo ex legge n. 210 del 1992 per danni da vaccinazioni obbligatorie attualmente gestite dalla competente direzione ministeriale attraverso la banca dati NSIS;
   se la competente direzione ministeriale provveda alla catalogazione delle posizioni di indennizzo ex legge n. 210 del 1992 per danni da vaccinazioni obbligatorie, anche in base alle patologie diagnosticate, in sede di verifica della commissione medica-ospedaliera competente o in sede di ricorso ministeriale, al soggetto beneficiario dell'indennizzo e, in caso affermativo, se possa indicare quali esse siano e i relativi dati statistici;
   quante domande di indennizzo ex legge n. 210 del 1992 per danni da vaccinazioni obbligatorie lo Stato abbia accolto dall'entrata in vigore della legge ad oggi e per quale ammontare complessivo, quante domande siano state invece rigettate per mancato riscontro del nesso causale, e quante siano ancora al vaglio della competente direzione ministeriale;
   se possa indicare quali siano e a quale cifra ammontino le attuali posizioni di bilancio destinate agli indennizzi, nonché ai risarcimenti dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie ex lege n. 210 del 1992. (5-06757)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI e NICCHI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 135 del 2012 (cosiddetta «spending review») ha stabilito, al fine di contenere i costi del servizio sanitario nazionale, un nuovo standard di posti letto per mille abitanti, portando il tasso dal 4 per mille al 3,7 per mille;
   in applicazione di tale disposizione normativa, la regione Marche ha adottato la DGRM 1969/2012 per provvedere alla riduzione dei posti letto per numero di abitanti;
   con la delibera n. 735/2013 la giunta regionale delle Marche ha approvato un progetto di riordino delle strutture sanitarie denominato «Riduzione della frammentazione della Rete Ospedaliera, Riconversione delle piccole strutture ospedaliere e Riorganizzazione della Rete Territoriale della Emergenza-Urgenza della Regione Marche in attuazione della DGR 1696/2012», che prevede la riconversione di diversi piccoli ospedali in «Case della salute»;
   molte delle realtà dove vi saranno le conversioni da nosocomi in case della salute sollevano da tempo numerose – e condivisibili – perplessità circa tale piano di riordino, che porta ad una inconfutabile diminuzione dei servizi medico sanitari per i presìdi territoriali, comprimendo in molti casi l'effettivo diritto alla salute dei cittadini interessati;
   tra le numerose riconversioni in case della salute previste, si segnala quella dell'ospedale «Lanciarini» di Sassocorvaro (Pesaro e Urbino) che, oltre a perplessità non dissimili dagli altri piccoli ospedali interessati dal piano, presenta ulteriori e peculiari criticità;
   l'ospedale di Sassocorvaro serve un bacino di utenza di circa 40 mila cittadini. Alcuni dei comuni che fanno riferimento alla struttura ospedaliera sono situati in zone impervie, aree premontane e montane, che renderebbero difficile il raggiungimento dell'ospedale di Urbino – previsto come nuovo centro di riferimento per l'area –, sia per le condizioni delle strade che per le condizioni climatiche particolarmente avverse in alcuni periodi dell'anno;
   gli amministratori dei 22 comuni serviti dall'ospedale di Sassocorvaro hanno di recente richiamato anche un possibile contrasto del piano di riorganizzazione previsto dalla DGRM 735/2013 rispetto ad alcune previsioni del «regolamento Balduzzi» del 2012 recante «Definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera, in attuazione dell'articolo 1, comma 169, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 e dell'articolo 15, comma 13, lettera c), del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 convertito, con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135», che prevede al paragrafo 9.2.2 condizioni particolari per i «Presidi ospedalieri in zone particolarmente disagiate» (distanti più di 90 minuti dai centri hub o spoke di riferimento, o 60 minuti dai presidi di pronto soccorso);
   in particolare il regolamento prevede, al punto citato, che per i «presìdi situati in aree considerate geograficamente e meteorologicamente ostili o disagiate, tipicamente in ambiente montano o premontano con collegamenti di rete viaria complessi e conseguente dilatazione dei tempi, oppure in ambiente insulare» occorre «garantire una attività di pronto soccorso con la conseguente disponibilità dei necessari servizi di supporto attività di medicina interna, di chirurgia generale ridotta»;
   anche alla luce di tali possibili contrasti si ritiene di fondamentale importanza garantire un effettivo diritto alla salute per i 40 mila cittadini dell'area servita dall'ospedale di Sassocorvaro –:
   quali iniziative intenda assumere per quanto di competenza, al fine di verificare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza per i cittadini dell'area indicata in premessa, caratterizzata da condizioni geograficamente disagiate, e per tutti quelli che versano in situazioni analoghe.
(4-10852)


   GELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'agenzia italiana del farmaco (AIFA) e l'Istituto superiore di sanità (ISS) hanno comunicato che l'esito delle analisi effettuate sui vaccini antinfluenzali, appartenenti ai lotti (143301 e 142701) recentemente oggetto di divieto di utilizzo da parte dell'AIFA medesima, è stato completamente negativo;
   i risultati dei test hanno confermato la sicurezza del vaccino antinfluenzale con la conseguente rimozione del divieto di utilizzo dei lotti precedentemente sottoposti a ritiro dal mercato in via cautelativa;
   a seguito di alcune morti sospette si è proceduto al ritiro di due lotti di Fluad con la conseguenza di aver indotto preoccupazione tra chi era solito sottoporsi a questa vaccinazione, e, più in generale, la vicenda ha determinato di fatto un disorientamento della popolazione;
   va ricordato che l'influenza ogni anno causa, nel nostro Paese, circa 8.000 decessi, in particolare nella fascia di popolazione al di sopra dei 65 anni e quest'anno si stima che siano circa 2 milioni le persone che non si sono sottoposte a vaccino rispetto all'anno precedente;
   è del tutto evidente che ci sono delle responsabilità per questa cattiva gestione della comunicazione del rischio che ha spaventato i cittadini mettendo a rischio l'intera campagna vaccinale –:
   in considerazione di quanto esposto in premessa, quali iniziative intenda assumere il Ministro per individuare le ragioni e le responsabilità di questo cattivo funzionamento del meccanismo di farmacovigilanza che, oggi, alla luce degli esiti negativi dei test sui lotti Fluad, espone la popolazione a maggiori rischi, e, conseguentemente, per rafforzare il sistema di allerta al fine di evitare che in futuro possano ripetersi casi simili. (4-10853)


   AMATO e MIOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la campagna vaccinale antinfluenzale ha come obiettivo la riduzione della incidenza di contrarre il virus in particolare in soggetti defedati e immunologicamente a rischio, nonché della riduzione delle complicanze severe e letali;
   l'Agenzia del farmaco ha vietato la vendita di due lotti del vaccino antinfluenzale Fluad dopo il decesso sospetto di quattro persone alle quali era appena stato somministrato;
   i due lotti sottoposti a divieto sono il «142701» e il «143301» del vaccino antinfluenzale Fluad prodotto dalla Novartis Vaccines and Diagnostics, che non è stato distribuito all'estero, ma solo in Italia, e che è in commercio da oltre dieci anni;
   per quanto appreso dalla farmacovigilanza l'AIFA ha comunicato che al 30 novembre il numero di morti sale a 13. Le segnalazioni riguardano 7 Regioni: Sicilia (2); Molise (1); Puglia (2); Toscana (2); Emilia Romagna(2); Lombardia (2); Lazio (1) e Umbria (1);
   attraverso la stampa si apprende di ulteriori 3 morti sospette in Abruzzo e ancora 1 in Umbria;
   nonostante dai primi esami sui lotti di vaccini antinfluenzali bloccati dall'Aifa risulti che non ci sono evidenze che ci sia una contaminazione del prodotto, lo stesso direttore dell'Aifa Luca Pani dichiara che «I risultati finali delle analisi sui lotti saranno pronti entro una settimana, dieci giorni»;
   malgrado le rassicurazioni di gran parte del mondo scientifico, dei Governatori delle regioni in cui sono stati segnalati gli eventi avversi e dello stesso Ministro della salute, si rileva una crescente diffidenza dell'utenza ed una riduzione degli accessi alle pratiche vaccinali;
   la situazione di incertezza che si somma ad una cultura progressivamente resistente alla convinzione dell'efficacia dei vaccini in senso lato ed alla diffusione della fobia per il rischio di effetti collaterali;
   l'ansia crescente dei pazienti e l'intervento delle procure alimenta i timori dei medici e di chi somministra il vaccino, esaltando anche in questo campo reazioni dettate da un approccio difensivo;
   la efficacia preventiva della campagna vaccinale antinfluenzale è direttamente proporzionale al numero di individui vaccinati –:
   quale sia il percorso del risk management dal rilievo della complicanza al ritiro dei lotti 142701 e 143301;
   quale sia l'utilizzo di corretti moduli di consenso informato e degli standard delle procedure, chiarendo i diversi livelli di responsabilità attraverso un canale di comunicazione ufficiale;
   se non ritenga di sospendere temporaneamente la campagna vaccinale per il breve intervallo di tempo ancora necessario per accertare il nesso di causalità tra i decessi e la somministrazione del vaccino antinfluenzale al fine di scongiurare, attraverso una comunicazione chiara e senza incertezze, la riduzione della efficacia preventiva della campagna preventiva. (4-10854)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del 20 maggio 2015, il Ministero dello sviluppo economico ha disposto l'autorizzazione alla costruzione ed esercizio con accertamento di conformità urbanistica, con apposizione del vincolo preordinato all'esproprio e dichiarazione di pubblica utilità ex decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 327, per il metanodotto d'interconnessione Albania-Italia «trans Adriatic Pipeline DN 900 (36)»;
   in forza del citato decreto, ai sensi dell'articolo 2, sono autorizzati la costruzione e l'esercizio del «Metanodotto Trans Adriatic Pipeline DN 900 (36») come da progetto definitivo approvato, fatti salvi gli adempimenti previsti dalle norme di sicurezza vigenti e, a mente del successivo articolo 7, quanto disposto dal decreto stesso «costituisce (...) autorizzazione unica che sostituisce, anche ai fini urbanistici ed edilizi nonché paesaggistici, ogni altra autorizzazione, concessione approvazione, parere, atto di assenso e nulla osta comunque denominati, previsti dalle norme vigenti, costituendo titolo a costruire ed esercitare tutte le opere e tutte le attività previste nel progetto approvato incluse le operazioni preparatorie necessarie alla redazione dei progetti e le relative opere connesse. La presente autorizzazione costituisce, ove necessario variante agli strumenti urbanistici e dei piani di gestione e tutela del territorio comunque denominati.»;
   il tracciato del metanodotto, in alcune sue parti, concerne particelle site nel territorio di Melendugno (segnatamente foglio 10, partt. 90, 313, 5, e 9; foglio 9, partt. 148, 152, 153; foglio 8, partt. 2): in particolare, talune sarebbero interessate da prospezioni geognostiche (foglio 10, partt. 90, 313, e 9), altre proprio dalla realizzazione del metanodotto (foglio 10, partt. 90, 313, 5, e 9; foglio 9, partt. 148, 152, 153; foglio 8, partt. 2);
   dette aree, tuttavia, sono state colpite da incendi boschivi e per l'effetto inserite nel catasto incendi. Nello specifico: foglio 10 part. 313 data ultimo incendio 5 luglio 2007, foglio 10 part. 90 data ultimo incendio 5 luglio 2007, foglio 10 part. 5 data ultimo incendio 6 luglio 2005, foglio 10 part. 9 data ultimo incendio 6/7/2005; foglio 9 part. 148 data ultimo incendio 10 ottobre 2011, 9 part. 152 data ultimo incendio 10 ottobre 2011, foglio 9 part. 153 data ultimo incendio 10 ottobre 2011; foglio 8 part. 2 data ultimo incendio 7 settembre 2011;
   la normativa nazionale, come noto, all'articolo 10 della legge del 21 novembre 2000 n. 353, legge-quadro in materia di incendi boschivi, reca la disciplina dei divieti concernenti le aree colpite da incendi e dispone che «le zone boscate ed i pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all'incendio per almeno quindici anni. È comunque consentita la costruzione di opere pubbliche necessarie alla salvaguardia della pubblica incolumità e dell'ambiente. In tutti gli atti di compravendita di aree e immobili situati nelle predette zone, stipulati entro quindici anni dagli eventi previsti dal presente comma, deve essere espressamente richiamato il vincolo di cui al primo periodo, pena la nullità dell'atto. Nei comuni sprovvisti di piano regolatore è vietata per dieci anni ogni edificazione su area boscata percorsa dal fuoco»;
   è inoltre vietata, ai sensi della citata normativa, «per dieci anni, sui predetti soprassuoli, la realizzazione di edifici nonché di strutture e infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive, fatti salvi i casi in cui detta realizzazione sia stata prevista in data precedente l'incendio dagli strumenti urbanistici vigenti a tale data. Sono vietate per cinque anni, sui predetti soprassuoli, le attività di rimboschimento e di ingegneria ambientale sostenute con risorse finanziarie pubbliche, salvo specifica autorizzazione concessa dal Ministro dell'ambiente, per le aree naturali protette statali, o dalla regione competente, negli altri casi, per documentate situazioni di dissesto idrogeologico e nelle situazioni in cui sia urgente un intervento per la tutela di particolari valori ambientali e paesaggistici. Sono altresì vietati per dieci anni, limitatamente ai soprassuoli delle zone boscate percorsi dal fuoco, il pascolo e la caccia»;
   nel caso di trasgressioni al divieto di realizzazione di edifici nonché di strutture e infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive su soprassuoli percorsi dal fuoco si applicano le sanzioni penali di cui attualmente all'articolo 44 del testo unico dell'edilizia;
   l'autorizzazione unica emanata dal Ministero dello sviluppo economico, richiamata in premessa, pare, ad avviso dell'interrogante, consentire, invece, la realizzazione di infrastrutture finalizzate ad attività produttive: il metanodotto è invero un'infrastruttura di tipo economico di supporto ad attività produttive. Tuttavia, non sarebbero ancora trascorsi i termini di legge per addivenire legittimamente a tale realizzazione, rischiando di incorrere in trasgressioni di rilevanza penale;
   si apprende da notizie di stampa che, anche con riferimento ai possibili tracciati del metanodotto Snam, che dovrebbe collegare il Tap di Melendugno allo snodo di Mesagne, vi sarebbero delle problematiche in quanto è previsto l'attraversamento di territori su cui sono stati rinvenuti i maggiori focolai di Xylella fastidiosa e su cui sono previsti gli abbattimenti più massicci (Veglie, Oria e Torchiarolo), sì da ingenerare, nell'interrogante, il timore che fra detti eventi possa riscontrarsi un nesso in danno dell'integrità ambientale e paesaggistica dei rispettivi territori –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e quali urgenti iniziative intenda porre in essere al fine verificare i presupposti di legittimità dell'attività provvedimentale posta in essere e specificamente in merito all'autorizzazione emanata con decreto del 20 maggio 2015 concernente il metanodotto d'interconnessione Albania-Italia «trans Adriatic Pipeline DN 900 (36»), conformandola al disposto normativo di cui all'articolo 10 della legge del 21 novembre 2000, n. 353, legge-quadro in materia di incendi boschivi, e, se del caso, disponendo una revisione dell'autorizzazione stessa in sede di autotutela, anche al fine di non incorrere in eventuali trasgressioni di rilevanza penale;
   se il Governo, anche in considerazione delle criticità rappresentate, intenda procedere ad una revisione dei tracciati indicati al fine di preservare il territorio nella sua integrità ambientale e paesaggistica, all'uopo disponendo ogni misura di maggior tutela dei luoghi. (5-06762)


   VALLASCAS, DA VILLA, CRIPPA, DELLA VALLE, D'AMBROSIO, DADONE e DIENI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3 della legge 11 maggio 1999, n. 140, autorizza il Ministero dello sviluppo economico, sentite le commissioni parlamentari competenti, a utilizzare risorse economiche per lo svolgimento di analisi, studi e ricerche nei settori inerenti la politica industriale;
   per l'anno 2015, le risorse autorizzate dalla citata disposizione ammontano a 58.677,00 euro, assegnate al centro di costo «direzione generale per la politica industriale e la competitività e le piccole e medie imprese» missione 11 «competitività e sviluppo delle imprese» – programma 11.5 «promozione e attuazione di politiche di sviluppo, competitività e innovazione, di responsabilità sociale e movimento cooperativo» (cap. 2234);
   nel quadriennio 2011-2014, la spesa per attività di elaborazione, analisi e studio nei settori delle attività produttive, a valere sul capitolo 2234, è stata di 166.831 euro per il 2011, 240.735 per il 2012, 72.678 per il 2013 e 45.928 per il 2014;
   secondo la relazione del Ministero, trasmessa alle Camera, e sulla quale è stato acquisito il parere delle competenti commissioni parlamentari, le risorse del capitolo 2234, saranno orientate, in attuazione di alcune linee programmatiche del Ministero enunciate dal Ministro nell'atto di indirizzo del 22 aprile 2014, ad analisi delle ricadute industriali e degli scenari di sviluppo della green economy, con riferimento alle opportunità di innovazione, ricerca e sviluppo dell'utilizzo efficiente delle risorse, nonché ad attività di supporto e di assistenza tecnica al settore chimico con riferimento al regolamento europeo «Reach» sulla sicurezza delle sostanze chimiche;
   l'articolo 3 della ricordata legge 11 maggio 1999, n. 140, autorizza, a partire dal 1999, una spesa annuale di 6 miliardi di lire da destinarsi ad attività di studio e ricerca nei settori delle attività produttive di competenza del Ministero dello sviluppo economico;
   in relazione alla straordinaria rilevanza che le attività di analisi e studio nei settori delle attività produttive potrebbero avere in termini di innovazione, competitività e crescita economica, sarebbe opportuno formulare una valutazione, attraverso relazioni e rendiconti finali, sull'efficacia delle risorse allocate in queste attività, nonché conoscere la qualità economica delle stesse e, in particolare, se gli stanziamenti siano adeguati alle sfide che il sistema produttivo è chiamato ad affrontare –:
   quali siano stati, nel dettaglio, l'impiego delle risorse assegnate al capitolo 2234, per gli anni dal 2011 al 2015, nonché gli eventuali soggetti, fornitori di servizi o esperti, interessati dalla disposizione;
   quali siano le risultanze finali delle attività di analisi, studio e ricerca, condotte a valere sul capitolo 2234, per gli anni dal 2011 al 2015;
   quale sia l'ammontare complessivo della spesa del Ministero dello sviluppo economico per attività di studio e ricerca nei settori di competenza, in base all'articolo 3 della legge 11 maggio 1999, n. 140.
(5-06764)


   CRIPPA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come ancora riscontrabile dall'apposita sezione dedicata all'interno del sito del Ministero dello sviluppo economico, in data 18 giugno 2015 sarebbe scaduto il permesso di ricerca idrocarburi liquidi e gassosi denominato «Carisio», ubicato in parte del territorio delle province di Novara, Vercelli e Biella;
   gli operatori titolari di tale permesso di ricerca sono il «rappresentante unico» ENIS spa (con il 47,5 per cento delle quote) e i «Contitolari» Petroceltic Italia s.r.l. (con il 47,5 per cento delle quote) e Compagnia Generale Idrocarburi spa (con il 5 per cento delle quote);
   come riscontrabile dal sito web della società stessa, Petroceltic Italia spa risulta controllata da Petroceltic International Plc, la quale, come riportato da un articolo pubblicato in data 10 ottobre 2015 sul sito www.dorsogna.blogspot.it a firma Maria D'Orsogna dal titolo «La Petroceltic squattrinata e accusata di frode e corruzione», risulterebbe essere a sua volta controllata per il 29 per cento delle quote da Worldwide Capital Management, società di gestione di investimenti privati con sede presso le isole Cayman, noto paradiso fiscale internazionale;
   come riscontrabile da un articolo pubblicato dalla nota agenzia «Standard.co.uk» in data 16 luglio 2015 dal titolo «Rebel shareholder Worldview takes on Petroceltic over bond issue», già a febbraio la Worldwide capital management aveva espresso preoccupazioni per gli affari economici della Petroceltic International Plc tanto che, come riportato dall'articolo già citato di Maria D'Orsogna, il valore delle azioni della stessa Petroceltic International Plc sarebbe crollato in un solo anno del 34 per cento, arrivando ad un debito della società di circa 500 milioni di dollari;
   come ancora riportato dall'articolo sopracitato della D'Orsogna, secondo la Worldwide Capital Management «il valore dell'azienda Petroceltic International Plc è stato fortemente compromesso dai pagamenti illeciti e dai fondi sottratti in maniera fraudolenta dalla Petroceltic. La Worldview accusa la Petroceltic di management inappropriato e fallimentare.»;
   in data 23 luglio 2015 l'interrogante ha provveduto a depositare un'interrogazione a risposta in Commissione al Ministro dello sviluppo economico e al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare assegnata alla Commissione attività produttive della Camera dei deputati a tutt'oggi senza risposta, in cui, fra gli altri fatti, si provvedeva a riportare come uno degli azionisti dell'altro dei contitolari del progetto Carisio, Compagnia Generale Idrocarburi spa, risultasse aver dichiarato fallimento in data 26 maggio 2015 –:
   se, considerata la chiara crisi economica che sta affrontando la società di controllo di Petroceltic Italia srl, quest'ultima possa ancora soddisfare i criteri di garanzia economica forniti ai tempi della presentazione di istanza per il progetto «Carisio»;
   considerata la crisi finanziaria di Petroceltic International Plc sommata al fallimento di uno degli azionisti di Compagnia Generale Idrocarburi spa, se i Ministri interrogati ritengano o meno di riconsiderare, al vaglio dei criteri di sostenibilità economica/finanziaria, l'ammissibilità dell'istanza di permesso di ricerca in questione in base al fatto che, ad avviso dell'interrogante, due dei tre soggetti coinvolti in Carisio non sembrano fornire realistiche garanzie economiche. (5-06765)

Apposizione di una firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Oliverio e altri n. 1-01023, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Pastorelli e contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Oliverio, Monchiero, Pastorelli, Lenzi, Terrosi, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Capozzolo, Carra, Cova, Dal Moro, Falcone, Fiorio, Lavagno, Marrocu, Mongiello, Palma, Prina, Romanini, Taricco, Tentori, Venittelli, Zanin, Amato, Argentin, Beni, Paola Boldrini, Paola Bragantini, Burtone, Capone, Carnevali, Casati, D'Incecco, Fossati, Gelli, Grassi, Mariano, Miotto, Murer, Patriarca, Piazzoni, Piccione, Giuditta Pini, Sbrollini, Antimo Cesaro, Molea».

Apposizione di una firma ad una interrogazione e indicazione dell'ordine dei firmatari.

  L'interrogazione a risposta scritta Costantino ed altri n. 4-10815, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Melilla, e contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Costantino, Melilla, Duranti, Ricciatti».

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Spadoni n. 1-01018, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 504 del 16 ottobre 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    ormai da mesi l'Italia sta fronteggiando una situazione drammatica: sulle coste italiane continuano ad arrivare barconi pieni di migranti provenienti dall'Africa e dal Medio Oriente, che fuggono da scenari di guerra o di rivolte popolari e soprattutto da reiterata violazione dei diritti umani, fame e povertà, fenomeno che non può più essere considerato come transitorio o eccezionale e che non riguarda soltanto le iniziative umanitarie e il controllo delle frontiere, ma passa anche attraverso la cooperazione economica con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo;
    d'altronde l'immigrazione non può essere arrestata, perché è parte della storia dell'umanità, ma va gestita nell'interesse dei Paesi di origine e di quelli di destinazione dei flussi migratori, anche e soprattutto per impedire il rischio di una deriva razzista;
    gli sbarchi quotidiani di migranti stanno determinando una vera e propria emergenza umanitaria che non può e non deve essere una questione solo italiana, ma europea, delle istituzioni dell'Unione europea e di tutti gli Stati membri in una visione solidaristica e di condivisione delle responsabilità;
    per controllare i flussi migratori che dalle aree di crisi si riversano sull'Europa non si può solo alzare un muro, né bastano solo le azioni di cooperazione: serve una strategia di lungo termine che mescoli la cooperazione con i Paesi in difficoltà alla ricostruzione di Paesi vicini al collasso totale, parole pronunciate dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione, Paolo Gentiloni, al termine della conferenza interministeriale sul nesso tra cooperazione economica e controllo dei flussi immigratori che si è tenuta a Roma nel 2014, il cosiddetto Processo di Khartoum sull'immigrazione dall'Africa orientale (EU-Horn of Africa migration route initiative), in attuazione del precedente Processo di Rabat, ovvero il foro di dialogo regionale tra l'Unione europea e i Paesi dell'Africa occidentale, centrale e mediterranea, nato nel 2006 su impulso di Spagna, Francia e Marocco al fine di affrontare le sfide poste dalle migrazioni lungo la rotta migratoria Africa sub-sahariana-Unione europea, secondo un approccio di responsabilità condivisa tra Paesi d'origine, transito e destinazione dei flussi migratori;
    il Processo di Khartoum è un accordo firmato il 28 novembre 2014 a Roma tra i Paesi dell'Unione europea e i Paesi di origine e di passaggio dei migranti che, dal Corno d'Africa e dall'Africa dell'Est si riversano sulle coste della Libia per raggiungere l'Europa, approdando nel nostro Paese, scappando da Somalia, Eritrea, Darfur/Sudan, Etiopia e dunque da situazioni di conflitto decennali, da violazioni di diritti umani documentati in innumerevoli rapporti di organizzazioni della società civile; nel corso della citata conferenza è stata sancita la volontà tra i Paesi partecipanti di collaborare per combattere il traffico di esseri umani, intervenire sui fattori scatenanti dell'emigrazione, cercare di garantire dei percorsi più strutturati per chi emigra, tutelando le fasce più vulnerabili e i richiedenti asilo e, per arrivare a questi obiettivi, occorrono accordi che portino a scambi d'informazioni, a sviluppo di capacity building, assistenza tecnica e buone pratiche per sostenere lo sviluppo sostenibile nei Paesi d'origine e di transito, creare strategie comuni di lotta alle reti criminali che gestiscono il traffico di migranti, regolare i flussi migratori e, là dov’è possibile, prevenirli;
    occorre, dunque, innanzitutto favorire un processo di revisione e miglioramento della qualità e efficacia degli interventi volti allo sviluppo (sostenibile) da parte delle grandi organizzazioni internazionali, a partire da Onu e Banca mondiale, con particolare riferimento a quei Paesi ove ha origine il flusso migratorio;
    è evidente che la stabilizzazione delle aree di conflitto, da cui ha origine la forte pressione migratoria, non può prescindere da strategie di cooperazione finalizzate alla riduzione della povertà e al conseguimento della sicurezza alimentare, attraverso lo sviluppo agricolo locale da sostenere mediante investimenti in infrastrutture e innovazione volti a generare, nel rispetto dell'uso sostenibile delle risorse naturali, un livello di modernizzazione in grado di contrastare gli effetti negativi del cambiamento climatico e a superare l'agricoltura di sussistenza con la diffusione di pratiche agricole capaci di assorbire forza lavoro qualificata e di creare filiere produttivo-commerciali;
    secondo la Banca mondiale, tra i Paesi emergenti, si è in presenza di una riduzione significativa di quelli molto poveri (scesi da oltre 60 a 34), tuttavia aumentano però quelli considerati «fragili» (36 secondo l'Ocse), ovvero condizionati e messi in difficoltà sul versante dello sviluppo economico a causa di conflitti (dovuti soprattutto a insipienza e irresponsabilità internazionali), debolezze istituzionali, inadeguatezza delle reti sociali e imprenditoriali;
    infine, il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, a margine del suo intervento alla sessione dell'Onu tenutasi a settembre 2015, ha assicurato che l'Italia metterà a disposizione più risorse per i programmi a sostegno della lotta alla fame, alla povertà, alle malattie e al sottosviluppo: «Da qui al 2017 saremo al quarto posto nel G7 per gli investimenti nella cooperazione internazionale»; inoltre, ha anche confermato che: «L'Italia destinerà nuove risorse, fino a 50 milioni di euro nei prossimi due anni, per sostenere l'uguaglianza di genere perché le donne e le ragazze possano godere pienamente dei diritti umani, diritti che sono al cuore dei nostri programmi di cooperazione e sviluppo»;
    l’empowerment delle donne e la parità di genere sono fondamentali per accelerare lo sviluppo sostenibile nei Paesi africani e proprio per questo è necessario porre fine a tutte le forme di discriminazione contro le donne e le ragazze, non solo come un diritto umano fondamentale ma anche come effetto moltiplicatore su tutte le altre aree di sviluppo; inoltre, garantire l'accesso universale alla salute sessuale e riproduttiva, soprattutto contrastando le pratiche di infibulazione ancora in atto in molti Paesi africani, è un obiettivo vitale per realizzare questo fine;
    il nostro Paese si è impegnato, in maniera attiva nel corso del lungo iter diplomatico che ha portato all'adozione del Trattato internazionale sul commercio delle armi, affinché esso fosse in linea con quanto da sempre sostenuto nell'ambito della tutela, rispetto e promozione dei diritti umani, del disarmo, della cooperazione allo sviluppo e nel rispetto delle norme di diritto internazionale umanitario e con il richiamo all'obbligo di risolvere le controversie internazionali con mezzi pacifici;
    la legge n. 185 del 1990 rappresenta una delle più avanzate normative sul controllo dei materiali di armamento e, con il recepimento anche di successive direttive sul controllo dei trasferimenti dei materiali di armamento, il sistema normativo italiano è risultato pienamente in grado di poter attuare il citato Trattato; peraltro, in questa legge, con la lettera d) del comma 6 dell'articolo 1, viene vietata l'esportazione e il transito di materiali di armamento verso i Paesi i cui Governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell'Unione europea,

impegna il Governo:

   a predisporre una seria strategia di politica estera dell'Unione europea più flessibile e adeguata nel rispondere alle minacce e alle sfide emergenti in settori quali la sanità, l'energia, i cambiamenti climatici, l'accesso all'acqua o il processo di desertificazione, fattori che spingono le popolazioni africane coinvolte verso altri Paesi e che si legano inevitabilmente all'aumento dei flussi migratori, attraverso l'adozione di misure e proposte per la riduzione dell'impatto ambientale e del consumo delle risorse, per una cooperazione allo sviluppo che non sia sinonimo di sostentamento, per la risoluzione di conflitti non basata sul solito interventismo militare;
   a potenziare le strutture consolari di assistenza sociale nei Paesi africani, in modo che esse possano farsi carico di un primo orientamento in loco dei nuovi migranti con la costituzione di appositi sportelli all'interno degli uffici consolari;
   a far sì che l'approccio al dramma dei profughi e dei flussi migratori dall'Africa sia affrontato dall'Unione europea nel solco dei processi di Rabat e di Khartoum, ovvero con una nuova politica dell'Unione europea nei confronti del continente africano in grado di affrontare le cause remote (povertà, crisi e conflitti), anche tramite il miglioramento delle situazioni della sicurezza, umanitarie e dei diritti umani e delle condizioni socio-economiche nei Paesi di origine, e di rafforzare la cooperazione con i Paesi di transito per il controllo dei flussi, per un contrasto efficace dei trafficanti e per rafforzarne le capacità in modo da consentire alle autorità locali di affrontare la questione in maniera più proficua;
   ad assumere iniziative per implementare con fatti concreti il cosiddetto Processo di Khartoum, adoperandosi affinché l'intera Unione europea non si caratterizzi esclusivamente con missioni militari come Eunavfor Med, Frontex o Active Endeavour, ma si decida a intervenire sui problemi strutturali dell'immigrazione dall'Africa attraverso un consistente piano di cooperazione allo sviluppo che rafforzi le economie locali;
   a rendere effettivi gli impegni assunti, nel quadro dei citati processi, attraverso un approccio di maggiore generosità in termini di stanziamenti nella cooperazione allo sviluppo con questi Paesi, implementando contestualmente più serrati controlli sulla destinazione di tali fondi e sui fenomeni di corruzione inevitabilmente correlati;
   ad assumere iniziative per continuare a rafforzare la partnership tra Unione europea e l'Unione africana e con le organizzazioni regionali africane, con i Paesi di origine e di transito dei flussi migratori, con l'Organizzazione internazionale per le migrazioni e l'Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite;
   a intraprendere, anche in collaborazione con i Governi dei Paesi riceventi, ogni utile iniziativa volta a incrementare i fondi per la cooperazione pubblica allo sviluppo nel settore agricolo locale, al fine di sostenere investimenti volti alla diffusione di modelli di produzione in grado di generare occupazione, di consentire agli operatori di accedere a mercati più ampi di quelli strettamente locali, di attivare meccanismi che permettano loro di recuperare la maggior parte possibile del valore di ciò che producono e di capitalizzare le risorse naturali, specie nelle aree a forte rischio ecologico, dove i servizi agricoli, come l'irrigazione, sono insoddisfacenti e il cambiamento climatico influisce in maniera significativa sulla disponibilità di cibo è sulla stabilità della sua offerta, il suo accesso e il suo utilizzo, alimentando, di fatto, espulsioni e progetti migratori;
   considerata l'evidente correlazione tra conflitti, traffico d'armi e flussi migratori, in specie provenienti dall'Africa, ad adottare ogni utile iniziativa affinché sia interrotta immediatamente l'esportazione di armi a tutti i Paesi che non rispettano i fondamentali diritti umani nel rispetto della legge n. 185 del 1990 e, parallelamente, a farsi promotore, nelle sedi bilaterali e in quelle multilaterali, di tutte le iniziative diplomatiche necessarie a limitare comunque il commercio con tutti questi Paesi;
   ad assumere iniziative per aumentare le risorse destinate alla cooperazione pubblica allo sviluppo nei Paesi africani, in particolare quelli della fascia sub-sahariana, destinandovi in particolare una quota significativa dei fondi promessi dal Presidente del Consiglio dei ministri Renzi, citati in premessa, per promuovere la salute e i diritti sessuali e riproduttivi, il contrasto alle pratiche dell'infibulazione, la parità di genere, i diritti umani delle donne e delle ragazze e il loro empowerment, sia nella cooperazione allo sviluppo sia in contesti umanitari.
(1-01018)
(Nuova formulazione) «Spadoni, Grande, Manlio Di Stefano, Sibilia, Di Battista, Scagliusi, Del Grosso».

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in commissione Sibilia n. 7-00820, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 506 del 20 ottobre 2015.

   La III Commissione,
   premesso che:
    una delle novità che ha maggiormente caratterizzato lo scenario internazionale negli ultimi anni è rappresentata della graduale affermazione di un aggregato geo-economico, identificato dall'acronimo BRICS, formato dal Brasile, dalla Russia, dall'India, dalla Cina e dal Sudafrica. La progressiva affermazione, acuitasi con la gravissima congiuntura economica internazionale, di nuove sedi e meccanismi di concertazione internazionale (ad esempio, con l'emergere del G20) ha delineato inediti spazi d'intervento per queste nuove potenze geoeconomiche, chiamate da un lato a competere sulla scena mondiale con i ruoli tradizionalmente svolti dagli Stati Uniti e dalla altre potenze economiche occidentali e a rivendicare, dall'altro, una leadership condivisa della comunità internazionale;
    il raggruppamento era originariamente conosciuta come BRIC: il 16 giugno del 2009, infatti, si riunivano a Ekaterinburg (Russia) i presidenti di Brasile, Russia, India e Cina, mentre l'anno successivo (aprile 2010) Jacob Zuma, rappresentava il Sud Africa nella riunione di Brasilia anticipando di fatto ciò che nel settembre successivo sarebbe poi stato ufficialmente sancito, ovvero l'inclusione della «S» nell'acronimo; dal 2010, le nazioni BRICS si riuniscono ogni anno in occasione dei vertici formali; la Russia detiene attualmente la presidenza del gruppo BRICS e ha ospitato il settimo vertice del gruppo nel mese di luglio del 2015;
    i membri del BRICS sono tutti Paesi di via di sviluppo o di nuova industrializzazione, con caratteristiche simili: una popolazione numerosa, un vasto territorio, abbondanti risorse naturali strategiche e, nell'ultimo decennio, sono connotati da una forte crescita del prodotto interno lordo e della quota nel commercio mondiale; essi, infatti, comprendono oggi oltre il 42 per cento della popolazione mondiale, il 25 per cento della totale estensione della Terra, il 20 per cento del prodotto interno lordo mondiale, e circa il 16 per cento del commercio internazionale;
    nei Paesi BRICS si discute da tempo della necessità di ridurre il ruolo del dollaro come moneta di riserva e di fatturazione negli scambi internazionali, in un auspicato processo generalizzato di de-dollarizzazione, anche tenendo presente il progressivo indebolimento dell'egemonia americana;
    l'assemblea generale del Fondo monetario internazionale (FMI), tenutasi a Seoul nel novembre 2010, aveva suggerito alcune riforme del sistema di governo mondiale delle relazioni monetarie, ma il rifiuto del Congresso americano di ratificare la riforma dei diritti di voto e le modalità di nomina dei direttori del Fondo e della Banca mondiale ha bloccato il processo;
    a seguito di questo diniego e per la necessità di avere a disposizione una struttura protettiva capace di promuovere operazioni finanziarie in favore dei Paesi emergenti e in via di sviluppo, contrapposta alle politiche economiche e finanziarie dei Paesi europei e degli Stati Uniti, i membri del BRICS hanno deciso, il 16 luglio 2014 a Fortaleza, di creare, allo scopo di finanziare progetti infrastrutturali, la New Development Bank, con un capitale di 50 miliardi di dollari da portare a 100 in un futuro prossimo e versati in parte uguali dai cinque Paesi fondatori; inoltre, visto che la Cina è il Paese economicamente più forte, che ha anche saputo cambiare gli equilibri economici mondiali, la nuova banda avrà la propria sede a Shanghai e la stessa funzione della Banca mondiale; i BRICS hanno anche creato, successivamente, un fondo di 100 miliardi di dollari (il CRA, Contingency Reserve Arrangement) costituito da monete di riserva, il cui uso è previsto in caso di crisi valutarie e problemi di bilancia dei pagamenti e che quindi dovrebbe avere la funzione propria del Fondo monetario internazionale; la Cina vi contribuirà con 41 miliardi di dollari, Brasile, India e Russia con 18 miliardi, la Repubblica Sudafricana con 5 miliardi. Il pool è stato creato affinché le banche centrali dei Paesi BRICS possano disporre reciprocamente di risorse per affrontare eventuali problemi con la liquidità in dollari e compensare deficit di bilancio;
    durante il VII Vertice dei BRICS tenuto a Ufa, in Russia, è stato formalizzato l'avvio della Nuova banca dello sviluppo. La Banca sostenuta dai BRICS approverà i primi progetti di investimento nel primo trimestre del 2016 e lavorerà a stretto contatto con l'AIIB, acronimo di Asian Infrastructure Investment Bank, (Banca di investimento per le infrastrutture asiatiche). Le nazioni BRICS cercheranno anche di iniziare a condurre sempre più gli scambi nelle valute nazionali, accelerando così il processo di de-dollarizzazione globale;
    l'AIIB è stata fondata nell'ottobre del 2014 su iniziativa della Cina per finanziare le ambiziose infrastrutture della cintura economica della nuova Via della Seta dall'Eurasia all'Unione europea e rappresenta un ulteriore allontanamento dalle istituzioni multilaterali dominate dagli Stati Uniti; essa ha iniziato a operare nella città cinese di Shanghai il 21 luglio 2015. Il ministro delle finanze cinese, Lou Jiwei, ha affermato che questa nuova istituzione finanziaria ed economica «diventerà un'aggiunta al sistema finanziario internazionale esistente» e «si assumerà la responsabilità» di finanziare progetti infrastrutturali nei Paesi in via di sviluppo;
    la nascita di questa nuova banca, il cui capitale iniziale ammonta a 100 miliardi di dollari statunitensi (ma recentemente ricapitalizzata), è finalizzata alla creazione e al potenziamento delle infrastrutture e di altri settori come la protezione ambientale, lo sviluppo urbanistico, la logistica, i trasporti, le telecomunicazioni, lo sviluppo agricolo, i servizi sanitari e la fornitura idrica e dimostra la volontà della Cina di pesare nello scenario mondiale anche tramite nuove istituzioni finanziarie attraverso le quali diramare la propria influenza a livello globale;
    Paesi storicamente alleati degli Stati Uniti, come il Regno Unito, hanno contribuito a fondare l'AIIB e anche l'Italia oggi ne fa parte;
    il terzo tassello in questo grande disegno di emancipazione dal dollaro da parte dei BRICS è rappresentato dalla nuova Via della Seta, teorizzata nel 2013 dal presidente cinese Xi Jinping per migliorare i rapporti economici e politici con l'Asia Centrale, il Medio Oriente e l'Europa sulla scorta delle vecchie rotte commerciali che anticamente collegavano l'Impero al Vecchio Continente;
    per «Via della seta economica» si intende la via terrestre che attraversa l'Asia centrale e arriva in Europa passando per Iran e Turchia. La «Via marittima della seta economica del XXI secolo» è invece la via marittima che, partendo dalla provincia cinese del Guandong, prosegue per lo stretto di Malacca, l'Oceano Indiano, il Corno d'Africa, il Mediterraneo e termina proprio a Venezia. Con il completamento di questo percorso previsto nel 2025 la Cina avrà raggiunto la sua massima capacità di attrazione rispetto agli Stati Uniti, suoi diretti competitor nel commercio internazionale per mare e per terra;
    si tratta di uno dei più grandi e ambiziosi progetti infrastrutturali che sia stato concepito per il prossimo decennio grazie allo stanziamento di 40 miliardi di dollari da parte di un fondo per lo sviluppo destinati alla costruzione di strade, linee ferroviarie ad alta velocità e rotte marittime per rafforzare gli scambi e la collaborazione economica con i Paesi lungo la via del progetto di sviluppo «Una Cintura e una Via», il nuovo orientamento della politica estera di Pechino su cui oggi sembrano concentrarsi quasi tutte le discussioni tra i vari esperti d'Asia;
    la strategia di «Una Cintura e una Via» riguarda tutti i Paesi sull'antica Via della Seta: una gigantesca cintura economica, terrestre e marittima, attraverso Asia, Africa ed Europa che si estende per oltre 7000 chilometri e comprende una popolazione di oltre 3 miliardi di persone;
    dopo la creazione delle due nuove istituzioni monetarie, il presidente Putin ha dichiarato che il sistema di fissazione del prezzo del petrolio in dollari doveva diventare storia passata e che la Russia avrebbe avviato una seria discussione circa l'uso di monete nazionali negli scambi petroliferi con diversi Paesi; infatti, la de-dollarizzazione è divenuta tema di discussione e accordo nei rapporti bilaterali fra Russia e altri Paesi, processo, peraltro, già ben avviato nelle relazioni economiche russo-cinesi;
    naturalmente, come è stato sottolineato da esperti analisti di Limes, l'intero progetto BRICS di de-dollarizzazione, al quale la Russia sta dando un notevole impulso con l'irrisolta crisi in Ucraina, «può riuscire solo a due condizioni, che riguardano principalmente la Cina. La prima condizione è la piena convertibilità dello yuan, che probabilmente avverrà nei prossimi anni; la seconda, di più lungo periodo, è la formazione di un grande mercato finanziario con titoli in moneta cinese che possa rivaleggiare con quello dei titoli in dollari.»;
    il successo internazionale che stanno riscuotendo i Paesi BRICS si deve al fatto che, facendo del rispetto della sovranità degli Stati membri la base per la costruzione delle relazioni internazionali, offrono una reale alternativa al mondo unipolare e instabile imposto finora dall'occidente;
    intervenendo alla Conferenza «Il nuovo Mondo con i BRICS» del 10 luglio 2015, tenutasi presso la Camera dei deputati, il vice presidente della Commissione esteri del Senato russo Andrey Klimov dichiarava: «I BRICS non stanno pensando a rapporti speciali con l'Unione europea. Tuttavia, se vogliamo parlare della Banca per lo sviluppo, creata dai Paesi del gruppo, teoricamente ci potrebbe essere una cooperazione, per esempio, con la Banca europea (BERS). Ogni Paese dell'ONU, compreso ogni Paese dell'Unione europea, in determinate circostanze e con determinate condizioni, può diventare socio della nuova Banca dei BRICS. Inoltre, insieme ai singoli paesi UE, e forse anche insieme a tutta l'Unione europea, siamo disposti a partecipare ai programmi di sviluppo in vari continenti, in Asia come in Africa e America latina. Per questo però da parte di Bruxelles ci vuole la buona volontà, ma le notizie positive, al momento, sono poche»,

impegna il Governo:

   ad accogliere l'invito del senatore russo Andrey Klimov affinché vengano valutate tutte le possibilità di cooperazione con la nuova banca dei BRICS e, nel caso, di adesione dell'Italia come socio;
   a creare un canale diplomatico straordinario con il Governo cinese per facilitare l'arrivo in Italia di tutti i progetti infrastrutturali previsti dalla cosiddetta «Nuova via della seta», ognuno dei quali dovrà essere totalmente rispondente ai principi sanciti dall'articolo 41 della Costituzione;
   a sostenere in tutte le opportune sedi finanziarie internazionali il progetto multipolare immaginato dai Paesi BRICS che privilegia i principi del rispetto della sovranità, dell'autodeterminazione dei popoli e di un modello di globalizzazione più giusto e bilanciato, rispetto al caos creato dall'unipolarità americana del dollaro.
(7-00820)
«Sibilia, Manlio Di Stefano, Di Battista, Spadoni, Scagliusi, Grande, Del Grosso».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza urgente Berlinghieri n. 2-01111 del 13 ottobre 2015.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Amato e Miotto n. 5-04191 del 2 dicembre 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-10854;
   interrogazione a risposta in Commissione Gelli n. 5-04398 dell'8 gennaio 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-10853.