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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 21 ottobre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il continente africano è una delle sorgenti più importanti dei flussi migratori che, anche attraverso, l'Italia raggiungono l'Europa;
    alimenta la pressione migratoria africana sull'Europa soprattutto il forte divario demografico tra le due aree, posto che il continente europeo è una regione a demografia matura, con una popolazione di poco superiore al mezzo miliardo di abitanti, ma di età media superiore ai 40 anni, mentre l'Africa ospita più di un miliardo di persone, di età media pari all'incirca a 20 anni, in ulteriore aumento;
    in Africa cresce soprattutto la popolazione dei Paesi sub-sahariani, tra le quali spicca per dimensioni quella della Nigeria, già pari ad oltre 180 milioni, che potrebbero divenire 400 nel breve volgere di qualche decennio;
    tendono inoltre verso i cento milioni di abitanti l'Etiopia e l'Egitto;
    l'Africa è interessata da anni da un processo di sviluppo che ne ha sottratto alcune parti alla povertà. Hanno contribuito al successo di alcuni Paesi lo sfruttamento delle risorse energetiche – è il caso ad esempio dell'Angola – gli interventi di liberalizzazione economica fatti nella cornice del Nepad – la New Partnership for Africa's Development, corpo tecnico dell'Unione Africana – e gli investimenti fatti da Stati terzi nelle infrastrutture, che hanno permesso di portare verso il mare ed i mercati mondiali le materie prime di cui il continente è ricco;
    la crescita economica dell'Africa, tuttavia, interagisce in modo ambiguo con i flussi migratori, dal momento che permette ora di finanziare l'espatrio di un'ingente quantità di persone che in precedenza non disponevano dei mezzi per raggiungere le sponde del Mediterraneo, né tanto meno quelli necessari ad attraversarlo;
    lasciano, ad esempio, in gran numero il loro Paese etiopi, nigeriani e senegalesi, provenienti da Paesi che hanno fatto registrare nel 2014 tassi di sviluppo reale molto elevati, rispettivamente pari al 10, al 6,3 ed al 4,6 per cento;
    una complicazione ulteriore è rappresentata dal fatto che non sempre sono al potere in Africa regimi che promuovono un'equa distribuzione delle risorse e dei redditi tra gli abitanti, circostanza che traduce lo sviluppo in atto in maggiori diseguaglianze ed insoddisfazione, ciò che costituisce incentivo ad emigrare;
    l'Europa non è obiettivamente in grado di accogliere tutte le persone che vi si vogliono installare senza subire una drastica trasformazione sociale e culturale della propria popolazione, cui è naturale che fasce crescenti di abitanti si oppongano;
    tra dimensione e velocità dei flussi migratori, da un lato, ed innesco di reazioni xenofobe di rigetto, dall'altro, esiste, infatti, una relazione diretta, cosa che fa della limitazione dell'immigrazione la più efficace politica di prevenzione dell'intolleranza;
    la necessità di contenere l'immigrazione dall'Africa è stata riconosciuta nel documento conclusivo del recente Consiglio europeo del 15 ottobre 2015;
    l'Africa è interessata, altresì, da conflitti che si spiegano solo in parte con la povertà e la diseguaglianza, contribuendovi decisivamente fattori di natura più strettamente politica, come la ristrutturazione degli assetti di potere a vantaggio di gruppi, etnie e clan spesso in precedenza mantenuti al margine dei Paesi di appartenenza;
    il più sanguinoso conflitto combattuto in Africa negli ultimi decenni è in effetti quello che negli anni Novanta del secolo scorso ha portato al potere i tutsi nello spazio compreso tra Uganda e Burundi, sullo sfondo di una più ampia competizione tra potenze esterne;
    l'Africa è, infatti, ancora anche un terreno di competizione tra le grandi potenze, con una forte presenza cinese, giapponese, indiana, iraniana, israeliana e turca, oltre quelle storiche di europei ed americani;
    hanno contribuito all'innesco di guerre sanguinose anche le tensioni alimentate in alcuni Paesi dal tentativo di imporre l'Islam a popolazioni di confessione diversa, com’è accaduto in Sudan, determinando un conflitto sfociato nell'indipendenza del Sud Sudan, e sta succedendo nella Nigeria settentrionale, con Boko Haram;
    il sostegno allo sviluppo, pur indispensabile nei confronti di un continente comparativamente ancora povero, potrebbe quindi non bastare ad attenuare la spinta migratoria, dal momento che questa risente anche degli effetti delle ineguaglianze interne, di una demografia vivace e dei conflitti che lo lacerano,

impegna il Governo:

   a definire una propria strategia nazionale nei confronti dell'Africa, con l'obiettivo di cogliere le opportunità dischiuse dal suo sviluppo, contribuire al consolidamento di quest'ultimo, stabilizzare il continente e contenerne le spinte migratorie dirette verso l'Europa;
   in questo quadro, a continuare a sostenere lo sviluppo dell'Africa, sia sul piano bilaterale che attraverso gli ambiti multilaterali di cui il nostro Paese è parte;
   a concentrare gli aiuti pubblici allo sviluppo da parte del nostro Paese nelle aree da cui proviene la parte più rilevante dei migranti clandestini africani che raggiunge la nostra penisola;
   a proseguire sulla strada del dialogo con i Paesi africani e le loro organizzazioni multilaterali, come raccomandato anche nelle conclusioni del recente Consiglio europeo del 15 ottobre 2015;
   a vincolare la concessione di eventuali aiuti pubblici allo sviluppo all'accettazione di alcuni impegni da parte dei Paesi beneficiari, in particolare sotto forma di disponibilità alla riammissione dei migranti clandestini destinatari di provvedimenti di espulsione e, più in generale, alla cooperazione con l'Europa nella gestione dei flussi migratori;
   a condizionare la concessione di aiuti pubblici allo sviluppo anche alla pratica di efficaci politiche redistributive interne;
   ad escludere dalla concessione di aiuti pubblici allo sviluppo i Paesi i cui Governi siano impegnati nella conduzione di politiche tese ad imporre l'islamizzazione forzata di gruppi o regioni di confessione differente;
   a promuovere in Africa in generale ed in particolare nell'Africa sub-sahariana la tutela dei diritti delle donne, in vista della loro emancipazione, anche in quanto fattore che può contribuire decisivamente al rallentamento della demografia africana;
   ad adoperarsi affinché le linee guida della strategia nazionale per l'Africa vengano condivise in ambito europeo.
(1-01028) «Guidesi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    dal 13 al 17 luglio si è svolto a Bruxelles il decimo round dei negoziati sul Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP), l'accordo di libero scambio tra Stati Uniti e Unione europea che alcuni paragonano a un cavallo di Troia guidato dalle grandi aziende;
   come dopo ogni round di trattative, la Commissione europea, che ha ricevuto dagli Stati membri il mandato di negoziare il TTIP, non pubblica i singoli documenti ma solo un resoconto sintetico delle discussioni;
    la mediatrice dell'Unione europea, Emily O'Reilly, ha ricordato alla Commissione europea che «il diritto dei cittadini europei ad avere accesso ai documenti in possesso delle istituzioni europee è un diritto fondamentale. Serve ad assicurare che i cittadini possano partecipare ai processi decisionali dell'Unione europea e che possano chiamare l'Unione europea e le sue istituzioni a rendere conto del loro operato»;
    in rete si trovano solo alcune delle posizioni ufficiali dell'Unione europea, non quelle degli Stati Uniti né tanto meno i cosiddetti testi consolidati, ovvero le parti del trattato su cui le due squadre di negoziatori raggiungono via via un accordo;
    oggi solo un numero ristretto di persone (alcuni dipendenti pubblici e membri dei Governi degli Stati membri, alcuni funzionari della Commissione e, dal novembre del 2014, tutti gli eurodeputati) ha accesso ai testi consolidati, ma solo in alcune sale di lettura approvate dal Governo statunitense;
    in queste sale è permesso prendere appunti con carta e penna (tranne agli eurodeputati) ma non condividere il contenuto dei documenti. Per questo il presidente del Bundestag (il parlamento federale tedesco) Norbert Lammert il 18 luglio ha scritto all'ambasciatore statunitense a Berlino chiedendo l'accesso ai documenti per tutti i parlamentari tedeschi;
    la mediatrice europea O'Reilly aveva invitato la Commissione a pubblicare tutti i documenti relativi alle riunioni dei suoi funzionari sul TTIP, compresi gli ordini del giorno e i verbali;
    non è ancora chiaro se il TTIP dovrà essere approvato dai parlamenti nazionali. Questo passaggio è necessario quando gli accordi commerciali negoziati dalla Commissione sono misti, ovvero comprendono disposizioni di competenza europea e nazionale;
    secondo un recente studio firmato da Anna Eschbach, ricercatrice all'università di Colonia, l'approvazione dei parlamenti nazionali, tanto sul TTIP quanto sul CETA (trattato di libero scambio tra Canada e Unione europea), «sarà probabilmente necessaria in tutti gli stati membri tranne Malta». Inoltre, tredici Paesi su ventotto potrebbero sottoporre i due trattati a un referendum (in Italia non sarebbe possibile),

impegna il Governo

a chiedere alla Commissione europea l'accesso ai documenti per tutti i parlamentari italiani.
(1-01029) «Kronbichler, Scotto».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Africa è il secondo continente più popoloso della Terra, dopo l'Asia con circa 1,1 miliardi di persone (dati del 2013). La popolazione africana sta crescendo più velocemente di quella asiatica e si pensa che entro il 2050, salvo catastrofi prevedibili o imprevedibili, l'Africa avrà circa 2,4 miliardi di abitanti;
    il continente africano è composta da 54 Stati e non tutti i suoi Paesi sono tutti poveri. Soprattutto è la questione della distribuzione della ricchezza che crea problemi ma anche i prodotti interni lordi nazionali e, quindi, la ricchezza complessiva, sono aumentati notevolmente, ma il numero degli africani che vivono in condizioni di estrema povertà è aumentato, a causa, appunto, del rapido aumento demografico;
    analizzando le stime di crescita della popolazione mondiale emerge che nello stesso periodo l'Europa passerà dai 740 milioni a 726 milioni di abitanti;
    secondo i dati dell'Istituto nazionale di statistica nel nostro Paese la popolazione residente è arrivata sostanzialmente alla crescita zero e questo avviene nonostante il saldo migratorio sia positivo dal 1991;
    l'effetto di questo deficit demografico avrà affetti pesanti sulla crescita economica italiana nei prossimi anni, tenuto in considerazione il progressivo invecchiamento della popolazione e il problema della concentrazione della ricchezza tra la stessa che può essere riassunta con una banale formula: i ricchi sono sempre di meno e più ricchi, i poveri sono sempre di più e più poveri;
    con gli attuali tassi di crescita, al netto dell'attuale saldo migratorio, secondo stime dell'Istat, la popolazione italiana avrebbe 12 milioni in meno di residenti nel 2050;
    l'evoluzione demografica ed i fabbisogni ad essa correlati (energetico, alimentare, materie prime, istruzione ed altro) stanno profondamente mutando lo scenario globale per come lo si conosceva. Da cinquanta anni a questa parte, i flussi migratori vivono una crescita senza precedenti: il numero di migranti nel mondo è passato da 75 milioni nel 1965, a più di 200 milioni a oggi;
    ciò significa che quello che i governi e l'Unione europea considerano come una «emergenza temporanea» (cosiddetta «crisi dei migranti») è in realtà la più imponente domanda di mobilità che il mondo si sia trovato ad affrontare, per l'appunto, dovuta alla profonde mutazioni di cui sopra;
    secondo gli ultimi dati prodotti dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, da gennaio a settembre 2015 sono arrivati via mare 132 mila persone e l'89 per cento di queste, sempre secondo la stessa fonte, sono partite dalla coste libiche (l'8 per cento dall'Egitto, il 2 per cento dalla Turchia e l'1 per cento dalla Grecia);
    di queste 132 mila persone: 35.984 provengono dall'Eritrea; 17.886 dalla Nigeria; 10.050 dalla Somalia; 8.370 dal Sudan; 7.072 dalla Siria; 6.315 dal Gambia; 5.037 dal Bangladesh; 4.749 dal Mali; 4.680 dal Senegal e 32.514 da altri 56 Paesi;
    nei primi mesi 9 mesi del 2015 quasi 3 mila persone hanno perso la vita o sono disperse nel Mar Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l'Europa. Tra coloro che sono riusciti a raggiungere le coste italiane, 38.700 persone hanno presentato domanda di asilo. Applicando gli standard attuali europei, si può stimare che circa il 59 per cento delle 132 mila persone arrivate beneficerebbe del riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria o delle protezione umanitaria;
    questi dati sono similari ai dati di arrivo nel 2014 anche per via del massiccio arrivo di persone attraverso la rotta balcanica, tuttavia guardando ai dati sulle richieste di asilo non tutte le persone che arrivano via mare in Italia presentano richiesta di protezione e precisamente eritrei, somali, sudanesi e siriani preferiscono richiedere asilo in altri Paesi europei. I principali Paesi di origine dei richiedenti asilo in Italia nel 2015 sono: Nigeria (18 per cento), Gambia (12 per cento), Senegal (9 per cento), Pakistan (9 per cento), Mali (8 per cento) e Ucraina (7 per cento);
    la cosiddetta «crisi dei migranti» è stata fino ad ora affrontata esclusivamente in termini di chiusura adottando misure che hanno alimentato la «clandestinità» delle persone, o in termini securitari, rinforzando le frontiere, aumentando i controlli e erigendo muri o focalizzando l'attenzione sul «traffico dei migranti», organizzando una missione militare nel Mar Mediterraneo (Eunavfor Med), quindi dialogando e stringendo accordi con le dittature di Africa e Medio Oriente nella speranza di porre un argine al flusso migratorio;
    con il Processo di Khartoum, accordo siglato il 28 novembre 2014 a Roma, si è tenuta una conferenza ministeriale tra i rappresentanti degli Stati membri dell'Unione europea, dei Paesi del Corno d'Africa (Eritrea, Somalia, Etiopia e Gibuti) e di alcuni Paesi di transito (Sud Sudan, Sudan, Tunisia, Kenya ed Egitto) con l'obiettivo di promuovere: «lo sviluppo sostenibile nei Paesi d'origine e di transito, creare strategie comuni di lotta alle reti criminali, regolare i flussi migratori e là dove è possibile prevenirli»;
    è opinione comune nell’establishment europeo che l'immigrazione non possa più essere trattata pensando solo alle frontiere europee ma che ci sia bisogno di una collaborazione con i Paesi di transito e di origine attraverso accordi che portino a scambi d'informazioni, a sviluppo di capacity building, assistenza tecnica e buone pratiche;
    non è chiaro infatti cosa s'intenda per sviluppare le capacity building di questi Paesi. Le competenze che si intende trasferire possono riguardare sia politiche di repressione che di sviluppo. Si può ipotizzare che portino alla creazioni di blocchi di filo spinato in determinati punti chiave del territorio, alla creazione di nuovi muri e centri di detenzione, come all'addestramento della polizia di frontiera al contrasto delle migrazione. Altro discorso sarebbe invece se venissero incrementate e rafforzate le politiche sociali;
    dando fondi ai regimi si rischia di ripetere l'errore fatto con la Libia di Muammar Gheddafi dove grazie agli accordi del Governo Berlusconi con Gheddafi, il risultato fu quello di favorire la tratta, permettendone una migliore organizzazione grazie alle risorse estorte ai migranti stessi per uscire vivi dai diversi centri di detenzione, spacciati per campi di accoglienza dove venivano «scaricati» dal regime dello stesso Gheddafi;
    si parla qui di migranti che scappano da Somalia, Eritrea, Darfur/Sudan, Etiopia e dunque da situazioni di conflitto decennali, da violazioni di diritti umani documentati in innumerevoli rapporti di organizzazioni della società civile – Amnesty International e Human Rights Watch, per citare le due più conosciute – e delle organizzazioni internazionali, quali il Consiglio per i diritti umani dell'Onu, che ha sede a Ginevra;
    è forte la preoccupazione, come del resto avvenuto in passato, che i fondi della cooperazione derivanti dai trattati, anziché destinati alla creazione di posti di lavoro e per favorire prospettive di sviluppo e crescita, finiscano per favorire l'esternalizzazione del frontiere nel deserto, sempre più a sud con la costruzione di campi di raccolta dei migranti, di fatto centri di detenzione dove sono violati i più elementari diritti dell'uomo: purtroppo questo è quanto si vuole fare, ad esempio, in Niger con l'apertura di un centro di raccolta e detenzione;
    altrettanto preoccupanti appaiono le relazioni economiche tra i regimi del Corno d'Africa, (Eritrea su tutte) e l'Europa, Italia compresa: ad esempio in territorio eritreo sono in corso sondaggi per la ricerca di gas e petrolio ed inquietante diventa ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo il passaggio di Lapo Pistelli, uno dei principali fautori del Processo di Khartoum quando era Viceministro, ai massimi livelli della governance di Eni con incarichi proprio su quei Paesi;
    tra le altre misure intraprese e che riguardano principalmente i Paesi africani con cui si è avviato il dialogo, preoccupa il progetto europeo per un piano di rimpatri di persone che non riuscirebbero ad ottenere lo status di rifugiato, ossia i cosiddetti «rifugiati economici» e la proposta collaterale di istituire una lista vincolante di «Paesi terzi sicuri», cioè sicuri in origine e transito, in cui dunque i richiedenti asilo possono essere rinviati ignorando i gravi ostacoli all'accesso alla procedura d'asilo che troveranno in quel Paese;
    non è possibile accettare distinzione tra migranti economici e rifugiati. Ogni migrante andrebbe valutato per la sua storia, come prevede la Convenzione di Ginevra e la Costituzione;
    preoccupano a questo riguardo anche le affermazioni del Ministro dell'interno Alfano a margine della riunione dei Ministri degli interni in Lussemburgo dell'8 ottobre 2015: «bisogna essere molto chiari su un punto con i Paesi africani: se non ci aiutate non vi diamo i soldi della cooperazione internazionale». Di quali Paesi si sta parlando, forse dell'Eritrea, del Sudan, della Somalia, del Niger. Gli stessi saranno considerati Paesi «sicuri», quindi ecco l'epilogo del Processo di Khartoum;
    quanto agli accordi commerciali o di cooperazione con Paesi terzi dal nord Africa ai confini con l'Asia e alla creazione di liste di profughi di «serie A» e «serie B», l'Europa dovrebbe stipulare accordi umanitari per la creazione di percorsi garantiti verso il continente stesso, e non barattare risorse economiche comunitarie in cambio di un servizio poliziesco di controllo delle frontiere e quindi mettere al centro l'uomo, la sua dignità e il suo rispetto,

impegna il Governo:

   ad intervenire nelle aree di crisi per trovare soluzioni di pace, senza alimentare ulteriori guerre, o sostenere nuovi e vecchi dittatori, promuovendo concretamente i processi di composizione dei conflitti e le transizioni democratiche, la difesa civile e non armata, le azioni non violente, i corpi civili di pace, il dialogo tra le diverse comunità;
   a sospendere immediatamente gli accordi – come i processi di Rabat e di Khartoum – con Governi che non rispettano i diritti umani e le libertà, bloccando subito le forniture di armamenti;
   a programmare interventi di cooperazione allo sviluppo locale sostenibile nelle zone più povere, dove lo spopolamento e la migrazione sono endemici, e ad assumere iniziative per non consentire alle multinazionali di usare per interessi privati i programmi europei di aiuto allo sviluppo;
   a sostenere un grande piano di investimenti pubblici diretti dell'Unione europea per l'economia di pace, per il lavoro dignitoso e per la riconversione ecologica del continente africano;
   a prevedere nel prossimo disegno di legge di stabilità almeno un raddoppio degli stanziamenti dei fondi destinati alla cooperazione allo sviluppo nel segno di quanto stabilito dalle Nazioni Unite negli obiettivi di contrasto alla povertà, tenuto conto che l'Italia si colloca oggi all'ultimo posto tra i grandi Paesi dell'Unione europea nella quota di prodotto interno lordo destinata all'aiuto pubblico allo sviluppo;
   a scegliere come area di intervento prioritaria a cui destinare la quota più rilevante dei fondi di aiuto pubblico allo sviluppo i Paesi dell'Africa da cui proviene la quota più rilevante di richiedenti asilo e immigrati, con particolare riferimento all'Africa orientale, ai Paesi del Maghreb e del Sahel, vincolando gli aiuti al rispetto dei diritti umani e comunque non elargendo alcun finanziamento diretto ai Governi responsabili di violazioni dei diritti umani o che non rispettano gli standard democratici riconosciuti a livello internazionale;
   a sostenere, in ogni sede europea e nei consessi internazionali, la rinegoziazione dei debiti pubblici e l'annullamento dei debiti pubblici non esigibili o prodotti da accordi e gestioni clientelari o di corruzione.
(1-01030) «Palazzotto, Scotto, Marcon, Melilla, Kronbichler, Fratoianni, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Paglia, Piras, Placido, Pellegrino, Zaratti, Pannarale, Nicchi, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaccagnini».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni XI e XIII,
   premesso che:
    con il termine «caporalato» si tende ad indicare una complessa gamma di fenomeni criminali all'interno dei quali si individua il lavoro nero, l'evasione contributiva e fiscale, il trasporto abusivo, il lavoro minorile, il mercato delle «braccia straniere» e dello sfruttamento sessuale, fenomeni ascrivibili alla più ampia categoria dello sfruttamento del lavoro, purtroppo, sempre più spesso attigui a forme di vero e proprio neoschiavismo;
    numerose indagini hanno confermato la presenza del fenomeno in tutta Italia, da Nord a Sud e nelle aree di alta produzione agricola con uso intensivo di manodopera sia italiana che straniera, molto spesso «stipata» in veri e propri ghetti, organizzati in squadre e capisquadra. Si tratta di donne e uomini altamente ricattabili a causa dello status giuridico e dell'assenza dell'applicazione dei diritti riconosciuti, con situazioni abitative al di sotto degli standard minimi della dignità umana, e luoghi e condizioni di lavoro estremi, con violenze endemiche quali mancati pagamenti e sempre più spesso aggressioni fisiche, anche a sfondo sessuale);
    nel corso di questa legislatura l'Esecutivo è stato più volte sollecitato ad agire sulla questione del caporalato e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura, con numerose interrogazioni ed atti presentati dal Movimento 5 Stelle, tra questi, il 7 agosto 2013, durante l'esame della «conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, recante primi interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti», è stato accolto l'ordine del giorno (9/1458/54) a prima firma Lupo che impegna il Governo a valutare l'opportunità di prevedere incentivi ad hoc per la manodopera agricola così da abbassare il costo del lavoro e disincentivare il ricorso al lavoro nero da parte degli imprenditori agricoli, mentre il 25 novembre 2014, durante l'esame della «Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell'attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro», è stato accolto l'Ordine del Giorno (9/2660-A/77) a prima firma Gagnarli, che impegna il Governo ad adoperarsi al fine di prevedere agevolazioni per la manodopera agricola;
    sebbene le precedenti premesse, la stagione estiva appena trascorsa (2015) ha fatto registrare una serie di eventi tragici e luttuosi collegati allo sfruttamento del lavoro nei campi durante le attività di raccolta ortofrutticola e al mancato rispetto delle regole di sicurezza nei luoghi di lavoro molto spesso a seguito della carenza di controlli da parte degli organi di vigilanza, in modo particolare dell'Ispettorato del lavoro e delle Asl, dovuti probabilmente alla mancanza di risorse economiche, strumentali ed umane che se implementati consentirebbero di prevenire il proliferare di tali fenomeni;
    di fronte alle necessità tecniche legate alla tipicità della produzione agricola, a parere dei firmatari del presente atto le istituzioni hanno fatto un passo indietro lasciando campo aperto alle organizzazioni criminali che in vario modo hanno preso il controllo della situazione. Il caporalato nella sua accezione più ampia risponde alle esigenze specifiche dei territori e per questo si è diffuso ed è ben radicato nella aree dov’è presente, tanto che non sono da escludere casi nei quali gli accordi raggiunti siano il risultato di una vera e propria contrattazione consensuale tra le parti (contratto di strada, vietato per legge);
    lo stretto legame tra il fenomeno del caporalato e la criminalità organizzata si evince anche dal documento finale della «Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare» della XV legislatura (2007-2008);
    accanto a contesti di evidenti manifestazioni di illegalità, criminalità mafiosa e sfruttamento schiavistico, vivono anche situazioni che pur rientrando nella fattispecie del caporalato si muovono all'interno di un quadro di parziale o apparente legalità, rendendo la situazione complessa e stratificata, nonché varia a seconda dei territori, delle colture specifiche e delle regioni nei quali si è sviluppata nel tempo;
    nel gennaio del 2010 a Rosarno (Reggio Calabria), i violenti scontri tra residenti e lavoratori migranti, quest'ultimi oggetto di gravi forme di sfruttamento durante la raccolta degli agrumi, hanno portato per la prima volta all'attenzione dell'opinione pubblica italiana, la questione delle condizioni di vita e di lavoro dei cittadini stranieri nelle nostre campagne;
    il fenomeno del caporalato non è nuovo alle istituzioni democratiche del nostro Paese e, come emerge da varie indagini, è parte integrante del sistema economico agroalimentare nazionale da diversi decenni. Tra questi approfondimenti si ricorda la Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno del cosiddetto «Caporalato» che svolse i suoi lavori nel corso della XII Legislatura (1995-1996), e «l'indagine conoscitiva su taluni fenomeni distorsivi del mercato del lavoro (lavoro nero, caporalato e sfruttamento della manodopera straniera)» della XI commissione, durante la XVI legislatura (2009-2010);
   come evidenziato anche nell'ambito dell'indagine conoscitiva su taluni fenomeni distorsivi del mercato del lavoro (lavoro nero, caporalato e sfruttamento della manodopera straniera) della XI commissione, la situazione nel suo complesso si inserisce nel più ampio scenario della globalizzazione dei mercati che ha sancito la diffusione del pensiero e delle pratiche neoliberiste che pongono in primo piano il profitto a discapito dei diritti delle persone e dei lavoratori, condizioni generali che hanno generato una «guerra» sui prezzi di alimenti e materie prime senza esclusione di colpi che di fatto ha portato miseria e forme di neoschiavismo in ampie parti del globo;
    nel corso della predetta indagine, i rappresentanti dell'Eurispes, del Censis, del CNEL e di MSF (Medici Senza Frontiere) hanno evidenziato, ognuno nei propri settori di competenza la gravità della situazione e la necessità di apportare urgenti modifiche sia in ambito normativo che sul piano dei controlli;
    secondo il rapporto «Agromafie» e caporalato» (2014) pubblicato dalla Flai CGIL (mentre si scrive è in corso di stesura del III Rapporto) si tratta di non meno di 400 mila lavoratori sfruttati dai caporali (di cui più dell'80 per cento stranieri), di cui 100 mila in condizioni di grave assoggettamento, definite nel rapporto «paraschiavistiche», concentrati in circa 80 epicentri (distretti agricoli a rischio) dello sfruttamento in Italia, dei quali più della metà registrano condizioni generali indecenti. Più del 60 per cento dei lavoratori sotto caporale non ha accesso a servizi igienici né all'acqua corrente, mentre il 70 per cento presenta malattie (non segnalate prima dell'inizio della vita nei campi), mentre è di 25/30 euro la paga media per una giornata «lavorativa» anche di 12 ore, esattamente il 50 per cento in meno rispetto alla paga prevista dai contratti nazionali che è di circa 8 euro/ora per un massimo di 6,5 ore di lavoro al giorno, mentre in altre aree del nostro, come in prossimità del CARA di Mineo (Catania), la paga è di molto inferiore, circa 10 euro al giorno. Dal suddetto salario il «caporale» sottrae 5 euro/lavoratore per il trasporto sul posto di lavoro, 1,5 euro per una bottiglia d'acqua, 3,5 euro per un panino, ingenerando perciò un trattamento economico col quale nessun essere umano è in grado di condurre una vita dignitosa e sicura;
    sempre secondo il rapporto di cui prima, il «caporalato» ha un costo per le casse dello Stato in termini di evasione contributiva non inferiore a 600 milioni di euro l'anno, in un contesto dove l'economia sommersa nel settore sottrae un flusso di denaro all'economia legale superiore a 9 miliardi di euro l'anno, mentre nella relazione della direzione nazionale Antimafia del gennaio 2014, la criminalità organizzata nel settore agroalimentare oggi controlla direttamente o condiziona l'intera filiera, con un fatturato di 12,5 miliardi di euro l'anno;
    il caporalato ovvero l'intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, è stato inserito tra i reati perseguibili penalmente solo nel 2011 (decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, in vigore dal 13 agosto 2011, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148) essendo considerato un «reato spia» di infiltrazioni criminali nel settore agricolo: si stima che il giro d'affari connesso alle agromafie (Primo Rapporto su caporalato e agromafie realizzato da Flai Cgil) sia compreso tra i 12 e i 17 miliardi di euro, il 5-10 per cento di tutta l'economia mafiosa, per la maggior parte «giocato» tra la contraffazione dei prodotti alimentari e il caporalato. Dall'approvazione della suddetta norma fino alla fine del 2013, per il reato in questione sono state arrestate o denunciate 355 persone, 63 nel 2012 e 281 nel 2013;
    ai sensi dell'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014 n. 116, è istituita dal 1o settembre 2015 la «Rete del lavoro agricolo di qualità» l'organismo autonomo nato per rafforzare le iniziative di contrasto dei fenomeni di irregolarità e delle criticità che caratterizzano le condizioni di lavoro nel settore agricolo. Possono fare richiesta le imprese agricole in possesso dei seguenti requisiti: a) non avere riportato condanne penali e non avere procedimenti penali in corso per violazioni della normativa in materia di lavoro e legislazione sociale e in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto; b) non essere stati destinatari, negli ultimi tre anni, di sanzioni amministrative definitive per le violazioni di cui alla lettera a); c) essere in regola con il versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi. Le aziende potranno così registrarsi ed essere valutate dalla cabina di regia della rete presieduta dall'INPS di cui ne fanno parte le organizzazioni sindacali, le organizzazioni professionali agricole, insieme ai rappresentanti dei Ministeri delle politiche agricole, alimentari e forestali, del lavoro e delle politiche sociali e dell'economia e delle finanze e della Conferenza delle regioni, che presenterà un piano organico complessivo per il contrasto stabile al lavoro nero e per intensificare ancora gli sforzi;
    le aziende agricole possono aderire alla «Rete del lavoro agricolo di qualità» in modo volontario e senza un'intensificazione dei controlli da parte degli organi preposti in materia di vigilanza del lavoro, addirittura facendo presagire un vero e proprio «allentamento» del controllo, e per questo appare del tutto evidente come la misura assuma solamente un mero carattere «promozionale», che fornisce un blando contributo al contrasto dello sfruttamento agricolo e all'intermediazione illecita che necessità bensì di azioni cogenti;
    non può esserci una produzione di qualità senza la qualità del lavoro, ovvero senza il rispetto dei diritti, dei contratti, delle leggi e della dignità delle persone coinvolte nella filiera della produzione-raccolta, trasformazione e commercializzazione del prodotto e, per questo, è necessario che la popolazione sia informata al massimo sulle condizioni di filiera dell'agroalimentare, al fine di operare una scelta di consumo più critica e consapevole, e possibilmente premiando le buone produzioni valorizzandole rispetto a quelle che contengono fenomeni di caporalato e affini. Sarebbe necessario quindi predisporre una strategia complessiva che faccia leva sulla vigilanza, su interventi di semplificazione della normativa, di incentivazione e, soprattutto, su politiche di sviluppo locale, attraverso l'azione congiunta di tutti gli attori impegnati su questo fronte, siano essi soggetti istituzionali, forze sociali, scuola, università, enti di formazione e di ricerca,

impegna il Governo:

   ad incrementare i controlli su tutto il territorio nazionale ed in particolare nelle aree dove il caporalato è più diffuso, al fine di contrastare e reprimere l'intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro, anche attraverso lo stanziamento di maggiori risorse economiche in favore degli organi di vigilanza tra cui gli ispettorati del lavoro;
   ad attivare un coordinamento nazionale dei controlli per quanto attiene la sicurezza e l'igiene nei luoghi di lavoro, l'applicazione della legislazione sociale e tributaria, la regolarità contrattuale e contributiva e la prevenzione dei fenomeni di sfruttamento, al fine di rendere più efficaci i servizi ispettivi espletati dall'ispettorato del lavoro, dall'INPS e dalle forze dell'ordine, prevedendo anche la creazione di una banca dati unica nazionale dei controlli o mettendo a sistema le diverse banche dati esistenti, quali quelle del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, quelle dei centri per l'impiego, dell'INPS (CISOA), dell'INAIL, della guardia di finanza, dell'Agenzia delle entrate e di AGEA;
   ad intraprendere ogni utile iniziativa, anche normativa, al fine di disciplinare la responsabilità solidale delle aziende committenti nel caso di constatazione di sfruttamento del lavoro anche attraverso la predisposizione di un indice di congruità definito a livello nazionale, che indichi il rapporto tra la produzione in campo e la manodopera impiegata nella lavorazione;
   ad attivare un «numero rosso» nazionale in capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al quale potranno rivolgersi tutti i cittadini italiani e stranieri, che subiscano sfruttamenti, maltrattamenti, condizioni di vita disumane o altre vessazioni durante il lavoro, assicurando parallelamente, una tutela specifica a chi denuncia tali situazioni, facendo si che l'attivazione del servizio sia pubblicizzata a «mezzo stampa», nonché presso i centri di identificazione, tenendo conto di tutte le differenze linguistiche e che le denunce siano trasmesse agli organi ispettivi competenti del luogo da cui provengono, per gli immediati accertamenti;
   a relazionare periodicamente alle Camere, sul numero e sulla tipologie di denunce pervenute;
   a realizzare una comunicazione sociale per informare e sensibilizzare l'opinione pubblica sul valore del lavoro, sul vergognoso fenomeno del caporalato, che viola i diritti inalienabili dell'uomo stabiliti dalla Costituzione e riconosciuti a livello internazionale, e sugli strumenti di denuncia che possono essere fin dal subito adottati, facendo sì che tale comunicazione, al fine di essere fruibile dalla stragrande maggioranza della popolazione possa necessariamente superare ogni tipo di ostacolo linguistico e culturale, oltre che coinvolgere le organizzazioni imprenditoriali, i sindacati, gli enti locali, in modo da stimolare la crescita di una cultura collettiva che sanzioni tali comportamenti;
   in accordo con le regioni, ad assumere iniziative per potenziare la Borsa continua nazionale del lavoro, in modo da renderla più congruente alle esigenze del settore primario caratterizzato da una notevole «stagionalità» delle lavorazioni e a tal fine prevedere una sezione apposita per la domanda e l'offerta di «lavoro agricolo», nella quale inserire i nominativi dei lavoratori stagionali con tutte le informazioni necessarie per l'identificazione professionale e che sia immediatamente e facilmente fruibile da parte dei datori di lavoro e dei centri per l'impiego pubblici e, contestualmente, a promuovere lo sviluppo di apposite applicazioni installabili sui dispositivi portatili, di facile utilizzo che consentano, di informare rapidamente i lavoratori stagionali delle offerte di lavoro sopraggiunte (insieme alle caratteristiche del lavoro, durata, mansione richiesta, paga, e altro), e previa accettazione del lavoratore, di fornire un'immediata disponibilità di manodopera ai datori di lavoro;
   a promuovere l'utilizzo delle liste di lavoratori inseriti nella BCNL, o presso i centri dell'impiego pubblici, da parte dei datori di lavoro, attraverso sgravi fiscali, assicurativi (riduzione dell'aliquota contro gli infortuni sul lavoro), previdenziali o burocratici, in quest'ultimo caso, facendo sì che, attraverso apposite convenzioni con le ASL locali, i medici del lavoro, gli organismi paritetici, tutti gli iscritti alle liste di collocamento, abbiano eseguito la visita medica preventiva, come stabilito dal «Testo unico salute e sicurezza nei luoghi di lavoro», senza ulteriori oneri per i datori di lavoro, nonché ad adottare iniziative per favorire semplificazioni nella stipula dei contratti di lavoro;
   in accordo con le regioni, a promuovere in via sperimentale, l'istituzione della figura del «garante del lavoro agricolo», inquadrato nell'ambito dei centri per l'impiego provinciale o degli assessorati regionali del lavoro che fornisca il servizio d'intermediazione tra lavoratori e datori del lavoro nell'ambito del settore primario;
   ad assumere iniziative per prevedere, nell'ambito della «Rete del lavoro agricolo di qualità», un periodo transitorio di due anni durante il quale gli organi di vigilanza intensifichino i controlli ispettivi presso le aziende aderenti, in materia di sicurezza, igiene sul lavoro e assunzione della manodopera, superato il quale, senza l'aver riscontrato irregolarità, si avrà pieno accesso alla «rete», prevedendo per queste realtà virtuose, agevolazioni o corsie preferenziali;
   ad assumere iniziative normative affinché il permesso di soggiorno del lavoratore sia prolungato fino alla scadenza dell'indennità di disoccupazione, facendo decorrere il termine della proroga, ai fini della ricerca di una nuova occupazione, dalla scadenza naturale del permesso di lavoro e non dalla data di licenziamento;
   ad emanare, entro e non oltre il mese di gennaio 2016 il decreto attuativo, previsto ai sensi dell'articolo 49, comma 1, del decreto legislativo del 15 giugno 2015, n. 81;
   ad assumere ulteriori iniziative per garantire meccanismi che consentano l'utilizzo legittimo del voucher, rispetto alla quantificazione oraria della prestazione lavorativa, al fine di impedire l'eventuale sfruttamento della manodopera agricola, assunta per lo svolgimento di attività occasionali di tipo accessorio anche attraverso l'applicazione permanente della procedura sperimentale FastPOA, rendendola obbligatoria per tutti i soggetti interessati.
(7-00826) «Massimiliano Bernini, Chimienti, Lupo, L'Abbate, Gagnarli, Gallinella, Benedetti, Parentela, Cominardi, Lorefice».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    la crisi economica generale ha portato al progressivo impoverimento di ampie fasce sociali, in Italia come in altri Paesi;
    la peculiarità dell'attuale congiuntura negativa sta particolarmente nel suo perdurare, arrivando a colpire non solo le fasce sociali finanziariamente più deboli, ma anche il cosiddetto ceto medio: i dati forniti periodicamente dalla Caritas mostrano che le richieste di assistenza continuano a registrare una crescita senza precedenti da parte di soggetti considerati benestanti fino a poco tempo fa;
    tra questi, molti non possono più contare sulla proprietà dell'abitazione, acquistata negli anni in cui le banche erogavano con facilità mutui prima casa, in quanto l'arrivo della crisi economica ha reso insostenibile il pagamento delle rate di ammortamento del mutuo;
    il risultato per loro è stato non solo quello di perdere la proprietà della casa, pignorata e messa all'asta dalla banca creditrice, ma anche di venire sfrattati: si calcola che, su scala nazionale, le esecuzioni immobiliari in essere e con probabile conclusione nei prossimi 5 anni siano circa 248.000 (Fonte: Ministero di giustizia);
    questo vuol dire che, considerando un nucleo familiare medio di quattro persone, circa un milione di persone, in Italia, rischia potenzialmente di trovarsi tra non molto senza una casa;
    il problema non è tanto la perdita della proprietà della casa, ma di ciò che essa rappresenta in termini affettivi e persino identitari: per gli italiani, infatti, la casa rappresenta tradizionalmente un punto di riferimento e lo sfratto dall'abitazione pagata a rate con sacrificio è, incontestabilmente, un fatto traumatico per l'individuo e destabilizzante per l'intera famiglia, finendo per diventare anche un problema sociale di cui occuparsi con la massima urgenza;
    l'alto numero di esecuzioni immobiliari va anche:
     a) ad aggravare la già pesante emergenza abitativa, da tempo sfociata nel fenomeno delle occupazioni abusive, diffuso su tutto il territorio nazionale, che ha portato spesso a manifestazioni di protesta con conseguenti tensioni sociali e problemi di ordine pubblico, i cui costi finiscono per essere pagati dalla collettività sia in termini economici che di sicurezza e vivibilità di interi quartieri urbani;
     b) ad appesantire un sistema bancario già messo a dura prova dall'ampia mole di impieghi classificati a contenzioso per effetto del fallimento di un numero crescente di imprese: le sofferenze bancarie lorde (Not Performing Loans, di seguito anche NPL) lo scorso anno ammontavano a 172 miliardi di euro, quadruplicate rispetto al 2008. Per recuperare il denaro concesso a mutuatari retail ora morosi, gli istituti di credito si rivalgono sugli immobili finanziati, avviando l'esecuzione forzosa per effetto della garanzia ipotecaria, ma, a differenza del passato, il ricavato della vendita non riesce neppure, talora, ad estinguere il debito, a causa della crisi del mercato immobiliare;
    ciò nonostante, le banche non possono che procedere a tutelare nel modo più efficace possibile il recupero dei propri crediti, soprattutto per proteggere la raccolta rappresentata dai cittadini che depositano i propri risparmi, contando sulla possibilità di poterli prelevare in qualsiasi momento;
    alla luce dei risultati di stress test e asset quality review, gli NPL immobiliari risultano avere in Italia un valore tra i 40 e i 50 miliardi di euro, a fronte dei quali le severe regole europee impongono accantonamenti importanti, con l'ulteriore appesantimento dei bilanci bancari e la contrazione del credito alle imprese;
    il controvalore commerciale degli immobili sottoposti ad asta giudiziaria è stimato in circa 60/70 miliardi di euro, se si considerano i collaterali a garanzia delle sofferenze, e in circa 50 miliardi, se si considera il numero delle esecuzioni (stimando un valore medio per ogni unità immobiliare di circa 200.000 euro); a loro volta, gli immobili che rientrano tra quelli pignorati per morosità nel pagamento delle rate di mutuo sono stimati al 5 per cento del mercato complessivo, costituendo una massa di offerta critica comunque rilevante, destinata ad aggravare ulteriormente l'andamento del mercato immobiliare;
    la crescita esponenziale del numero di aste giudiziarie si traduce anche in un sovraccarico di lavoro e di costi per i tribunali, già in forte difficoltà per lo smaltimento ordinario delle cause civili in corso;
    di fronte a un fenomeno di queste dimensioni, la classe politica non può far finta di niente, per i cittadini prima ancora che per le banche: non è accettabile, infatti, che gli unici a guadagnare dal contesto sopra descritto siano gli speculatori che frequentano abitualmente le aste giudiziarie;
    la risposta che la politica è chiamata a dare oggi è più complessa, perché va ripensata completamente rispetto al passato. Oggi che le risorse pubbliche sono finanziariamente ridotte è impensabile per la politica ricorrere agli strumenti di sempre, quelli per cui ogni problema non viene risolto, ma solo contenuto, temporaneamente accantonato, scaricandone i costi sullo Stato;
    superato il modello di Stato liberale, è diventato superato che anche quello del Welfare State, senza che, tuttavia, sia stato elaborato nel frattempo un nuovo modello di Stato, a differenza di quanto sta accadendo in altri Paesi, principalmente Gran Bretagna e Usa: qui, come sopra accennato, l'innovazione a impatto sociale sta diventando l'approccio prevalente per le politiche pubbliche, con lo Stato non più unico attore e neppure quello principale, ma uno degli attori in campo, che concorrono a risolvere le criticità riguardanti le comunità;
    qualche passo in questa direzione lo ha fatto anche l'Italia, quando, all'indomani dello scoppio della crisi globale del 2008, vennero sperimentate soluzioni giuridicamente e finanziariamente nuove, quali il Fondo italiano di investimento e i cosiddetti «Tremonti-bond» ci si permette, al riguardo, di evocare la formula con la quale, insieme ad Andrea Montanino,  si sono ricondotte quelle esperienze innovative: «Stato contraente e promotore», in Gregorio Gitti, Andrea Montanino, «Dallo Stato erogatore allo Stato promotore e contraente: verso una nuova politica economica», in «Osservatorio del diritto civile e commerciale» 1/2012, p. 1);
    ora anche il nostro Paese deve accelerare e applicare il modello di Stato contraente all'ambito sociale, con l'obiettivo di far fronte a un dato sempre più evidente: i soldi pubblici diminuiscono a fronte di bisogni che, invece, aumentano;
    la lungimiranza del Governo inglese è stata quella di pensare a strumenti nuovi per scenari nuovi, con i Social Impact Investments (di seguito SII): si tratta, in sintesi, di progetti sociali che coinvolgono istituzioni pubbliche, investitori privati, intermediari finanziari, soggetti no-profit, senza che siano solo le prime a investire risorse finanziarie;
    con i SII la logica dell'intervento statale cambia completamente: non si tratta di assistenza pubblica, né di filantropia privata, ma e di azioni con uno scopo mirato e misurabile in cui i capitali provengono dallo Stato e da chi vuole fare profitto, ma anche qualcosa di utile per la propria comunità;
    il primo test di SII in United Kingdom ha riguardato, nel 2010, il carcere di Peterborough, con un progetto lanciato dal Ministero della giustizia inglese insieme a Social Finance Ltd e Big Society Capital, con uno stanziamento complessivo, tra pubblico e privato, di 5 milioni di sterline per un programma di recupero per detenuti;
    in Italia il primo test di SII può essere avviato oggi proprio sulla questione delle esecuzioni immobiliari sopra descritta attraverso un fondo cosiddetto «Salvacasa»;
    esso, nei termini già delineati da un organismo senza scopo di lucro quale Fondazione Etica, si configura come un Social Impact Investment, in quanto viene investito denaro non per tamponare un problema, né, tantomeno, per risolverlo a totale carico dello Stato, bensì per farvi fronte preventivamente ed evitare quanto meno i danni collaterali;
    il fondo Salvacasa non può impedire che una casa ipotecata venga pignorata dalla banca creditrice al proprietario moroso, ma costituisce un investimento a più mani per evitare che quel problema ne generi altri;
    senza entrare qui in dettagli tecnici, è la finanza che questa volta decide di farsi strumento utile non solo a se stessa, ma anche alla soluzione di nodi sociali, con un fondo che investe capitali nell'acquisto di asset, cioè gli immobili all'asta, per poi riassegnarli in locazione agli ex proprietari;
    in altre parole, viene consentito al proprietario di una casa pignorata per morosità di diventare inquilino della stessa casa pagando un affitto a canone calmierato, ossia controllato dalla legge, affinché non sia eccessivamente esoso, con in più la prospettiva di rientrare in possesso del bene in un lasso di tempo ragionevole;
    in estrema sintesi, il fondo Salvacasa andrebbe rivolto a investitori istituzionali, in primis la Cassa depositi e prestiti, ma anche, ad esempio, le fondazioni bancarie e le banche di credito cooperativo: il plafond del fondo verrebbe destinato all'acquisto in asta giudiziaria di immobili con le caratteristiche sopra dette;
    un intermediario finanziario, eventualmente costituito ad hoc (ad esempio una società di gestione del risparmio) avrebbe il compito di contattare i vecchi proprietari, di locare loro gli appartamenti a un canone di affitto ragionevole e di fare sottoscrivere alle parti una doppia opzione, put e call, che darà facoltà, a un tempo stabilito, di cedere o ricomprare l'appartamento;
    i punti di forza dell'investimento sono, tra gli altri: la trasparenza del processo di acquisto all'asta; l'alta probabilità di ricedere l'immobile all'ex-proprietario e inquilino, la possibilità di mettere subito a reddito l'investimento; l'alleggerimento per le banche dalla gestione onerosa degli immobili pignorati e/o del recupero di importi irrisori dalla vendita degli stessi, al contempo liberando risorse da destinare alla crescita delle imprese; un minor rischio di alterazione del mercato immobiliare con immobili reimmessi in vendita a prezzi molto bassi; la generazione di un forte impatto sociale positivo evitando di alimentare ulteriormente l'emergenza abitativa e i conseguenti problemi di ordine pubblico e di sicurezza nelle città;
    gli immobili da acquisire nel fondo sarebbero di tipo residenziale e artigianale; i casi umani definiti secondo precisi criteri di eleggibilità, preventivamente verificati; il valore dell'asta minore/uguale al 50 per cento del valore indicato dalla consulenza tecnica d'ufficio; il valore del singolo immobile non superiore a un target definito; l'impegno preliminare dell'esecutato all'affitto dell'immobile;
    il fondo coinvolgerebbe: lo Stato, attraverso gli organismi individuati come i più idonei (si pensi a CDP); gli investitori privati, come le banche e gli organismi di categoria (si pensi all'Ance, all'Abi, all'Anci); le cancellerie dei tribunali e i professionisti da essi delegati, incaricati della correttezza e trasparenza dell'intero procedimento; soggetti no-profit (si pensi, ad esempio, ai patronati, alle organizzazioni sindacali, a onlus sperimentate come  Caritas), chiamati a gestire il rapporto locativo dell'immobile esecutato attraverso reti territoriali radicate in grado di selezionare le richieste degli ex-proprietari e potenziali inquilini, avendo cura, in particolare, dei soggetti e delle famiglie più fragili, oltre che di collaborare con le banche nella dismissione coordinata di immobili residenziali in una determinata area geografica;
    una siffatta rete di soggetti selezionati con attenzione e trasparenza è la principale garanzia che protegge il progetto Salvacasa da rischi di mire speculative e di truffe: in Italia, come in altri Paesi, infatti, accade che diversi fondi speculativi per acquistare portafogli ipotecari utilizzino non più solo lo strumento della cartolarizzazione, ma anche quello di apposite società immobiliari, che acquistano gli immobili alle aste nel caso in cui i ribassi registrati diventino molto significativi;
    l'obiettivo del fondo Salvacasa, invece, è realizzare una sorta di ammortizzatore sociale a rendimento: chi investe nel fondo, infatti, non lo fa per filantropia, ma neppure per speculazione;
    il fondo Salvacasa è appetibile per: un asset class totalmente decorrelata dai mercati finanziari; un sottostante costituito da un mercato NPL stimato in circa 172 miliardi di euro, in crescita, con asset a garanzia stimati in circa 60/70 miliardi di euro; un rendimento netto ragionevolmente ipotizzabile intorno al 7 per cento senza utilizzo di leva;
    la redditività avrà due fonti: il rendimento base, rappresentato dalla messa a reddito (affitto) dell'immobile acquisito ad asta; il rendimento aggiuntivo, rappresentato dalla rivendita dell'immobile alla famiglia affittuaria;
    il calcolo della redditività dovrà tener conto di un ragionevole tasso di default, rappresentato sia da coloro che non riusciranno ad onorare il contratto di affitto, sia da coloro che non riusciranno ad adempiere all'opzione di riacquisto;
    la società di gestione del risparmio o altro veicolo finanziario, potrà anche svolgere funzioni di advisory per investitori istituzionali italiani che riterranno opportuno un loro intervento diretto – in analogia agli interventi di housing sociale – condividendo l'urgenza di accompagnare adeguatamente la necessità di dismissione dei portafogli ipotecari residenziali da parte degli istituti di credito;
    il diritto di abitazione è riconosciuto dall'articolo 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e dalla Costituzione italiana che:
     a) all'articolo 2 lo annovera tra i diritti inviolabili, secondo quanto sottolineato in più occasioni dalla Corte costituzionale, la quale ha definito il diritto all'abitazione un diritto sociale inalienabile che «indubbiamente costituisce per la sua fondamentale importanza per la vita dell'individuo un bene primario che deve essere concretamente e adeguatamente tutelato dalla legge» (sentenza della Corte costituzionale n. 404 del 1998);
     b) all'articolo 47 dispone, in particolare, che la Repubblica favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione,

impegna il Governo:

    a occuparsi con la massima urgenza del problema dei not performing loans immobiliari e dell'allarmante crescita delle esecuzioni immobiliari, con la logica non solo di risolvere il problema delle sofferenze bancarie, ma soprattutto di rispondere concretamente all'emergenza abitativa e di sostenere la famiglia, che vede nella casa un punto di riferimento irrinunciabile;
   a promuovere l'istituzione di un «fondo Salvacasa» per:
    a) aiutare chi ha perso la proprietà della casa per non essere riuscito più a pagare le rate del mutuo, consentendogli di continuare ad abitarvi, dietro pagamento di un canone di affitto sostenibile e con la possibilità di riscatto finale;
    b) evitare che le banche siano ulteriormente appesantite dai not performing loans immobiliari, con conseguente ulteriore acutizzarsi del credit crunch;
    c) non sovraccaricare di ulteriore lavoro e costi i tribunali;
    d) contenere le dimensioni dell'emergenza abitativa aggravatasi in diverse città italiane;
    e) impedire alterazioni del mercato immobiliare a seguito di massicce vendite all'asta di beni immobili soprattutto a carattere residenziale;
    f) prevenire tensioni sociali, problemi di ordine pubblico, interventi sanitari;
   a individuare l'organismo attraverso cui lo Stato partecipa al fondo, verificando l'opportunità del coinvolgimento diretto in primis della Cassa depositi e prestiti;
   ad assumere iniziative per regolare modalità e requisiti per la partecipazione al fondo di investitori privati e/o istituzionali (quali le stesse banche), in modo da garantire trasparenza e integrità, al contempo garantendo da rischi di mire speculative e truffe;
   a fissare i requisiti per la selezione dei soggetti senza scopo di lucro chiamati a collaborare nella gestione delle domande di potenziali locatari degli immobili acquistati all'asta;
   ad assumere iniziative per regolare il coordinamento tra banche, associazioni di categoria, no-profit per la vendita di pacchetti immobiliari all'asta che incidono sulla politica del territorio.
(7-00825) «Gitti».


   La VII Commissione,
   premesso che:
    il diritto nasce da un bisogno e gli animali, come gli esseri umani, hanno le stesse necessità fondamentali e quindi gli stessi diritti primari;
    riconoscere i bisogni degli animali e individuare le responsabilità quotidiane delle persone nei loro confronti educando al rispetto, è il principale strumento sulle forme di tutela degli animali e sull'importanza della tutela dei loro diritti;
    promuovere l'approfondimento dei temi dell'educazione al rispetto di tutti gli esseri viventi nelle scuole di ogni ordine e grado del Paese è il punto chiave per sviluppare la consapevolezza sui diritti, doveri e responsabilità individuali e collettive in tema di corretta convivenza con gli animali;
    si deve comprendere l'importanza di rafforzare nelle giovani generazioni i rapporti di conoscenza e di amicizia tra umani e animali per sviluppare un nuovo modello di educazione all'affettività che contribuisca al loro concreto benessere psicofisico e alla scelta consapevole di un sano stile di vita;
    nella scuola italiana il tema sul rispetto e benessere degli animali è lasciati alla sola sensibilità del dirigente scolastico e dei docenti. L'obiettivo che si vuole raggiungere con questa risoluzione è insegnare ai bambini, fin dalla più tenera età, a relazionarsi correttamente con gli animali, cercando di sensibilizzarli sulle responsabilità che comporta la convivenza con un animale maturando anche una consapevolezza sulle esigenze e sulle responsabilità che comporta la convivenza con l'animale al fine di prevenire il fenomeno dell'abbandono e del randagismo;
    l'articolo 5 della legge n. 189 del 2004 recita: «lo Stato e le Regioni possono promuovere d'intesa, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, l'integrazione dei programmi didattici delle scuole e degli istituti di ogni ordine e grado, ai fini di un'effettiva educazione degli alunni in materia di etologia comportamentale degli animali e del loro rispetto, anche mediante prove pratiche»;
    l'intesa Miur e Uffici Scolastici regionali, è in linea con la legge n. 107 del 2015, che prevede l'introduzione dell'educazione ambientale nelle scuole da parte dei Ministeri dell'Istruzione e dell'Ambiente;
    prevedere percorsi didattici finalizzati alla realizzazione di una «giornata scolastica nazionale» dedicata al rispetto degli animali e la possibilità di formare sul tema gli insegnanti e gli studenti è senza dubbio un atto di progresso culturale e di civiltà;
    sulla base delle suddette premesse e della legge n. 89 del 2004 «Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali e d'impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate», è stato siglato il 29 gennaio 2015 un protocollo d'intesa tra l'ufficio scolastico regionale per le Marche e l'Associazione Lega Antivivisezione finalizzato all'istituzione della prima «giornata regionale dell'educazione al rispetto degli animali»;
    l'iniziativa che si propone di sensibilizzare gli studenti al rispetto dei diritti di ogni essere vivente prevedeva percorsi didattici e formazione degli insegnanti. Il progetto è stato accolto e patrocinato anche dal comune di Senigallia, primo comune ad aderire alla «giornata regionale dell'educazione al rispetto degli animali», alla quale hanno partecipato attivamente alcune scuole del territorio: l'ITCG «Corinaldesi» e l'Istituto «Panzini»;
    la crescita di sensibilità nei confronti degli animali è un processo che indubbiamente negli ultimi anni sta coinvolgendo tutta la società; molti sono i passi che si sono fatti, anche in termini legislativi, ma ancora non sufficienti per migliorare le condizioni di vita degli animali. Allo stesso tempo sono aumentate le segnalazioni di casi di maltrattamento di animali da parte di bambini e adolescenti, che spesso sfogano sugli esseri più indifesi la violenza acquisita dai modelli di dominio che improntano la società;
    le prime vittime sono i piccoli animali che vivono in città e la crudeltà verso gli animali spesso porta successivamente alla violenza verso gli umani. Molte ricerche hanno evidenziato sia il legame tra la violenza verso gli esseri umani e quella verso gli animali che l'esistenza di una correlazione tra la crudeltà manifestata durante l'infanzia o l'adolescenza nei riguardi degli animali e il comportamento criminale violento da adulti;
    per rompere il cerchio della violenza è necessario promuovere nei ragazzi sin dall'età più precoce la cooperazione, l'empatia e il rispetto di tutti gli esseri viventi,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative d'intesa con gli uffici regionali scolastici al fine di programmare nell'ambito del piano dell'offerta formativa una giornata dedicata al rispetto e alla tutela degli animali con proposte educative differenti in base alle diverse fasce d'età nella scuola materna, primaria di primo e secondo grado e superiore;
    ad assumere iniziative per fissare al quattro ottobre, giorno di San Francesco, nel quale la tradizione vuole che il Santo abbia avuto un rapporto particolare con gli animali, la «giornata scolastica nazionale del rispetto degli animali».
(7-00823) «Civati, Brignone».


   La X Commissione,
   premesso che:
    con l'emanazione del decreto legislativo n. 59 del 2010 si è proceduto all'attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno;
    nell'ambito del citato decreto legislativo, si è disciplinato anche il settore delle aree pubbliche individuando – attraverso il combinato disposto dell'articolo 16 e dell'articolo 70, comma 5 – nuovi criteri per la selezione dei candidati al rilascio di concessioni di posteggio su aree pubbliche;
    il richiamato articolo 70, comma 5, stabiliva, in particolare, che, con intesa in sede di Conferenza unificata, ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, sarebbero stati individuati, senza discriminazioni basate sulla forma giuridica dell'impresa, i criteri per il rilascio e il rinnovo della concessione dei posteggi per l'esercizio del commercio su aree pubbliche e le disposizioni transitorie da applicare, con le decorrenze previste, anche alle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del decreto ed a quelle prorogate durante il periodo intercorrente fino all'applicazione delle disposizioni transitorie;
    la suddetta intesa è stata raggiunta in sede di Conferenza unificata del 5 luglio 2012 e ad essa ha fatto seguito, il 24 gennaio 2013, l'approvazione da parte delle regioni e delle province autonome di un conseguente documento di attuazione volto a rendere omogenei criteri e modalità concernenti durata delle concessioni, criteri di selezione, fiere, assegnazione di posteggi nei mercati o nelle fiere di nuova istituzione, partecipazione alle procedure di selezione di prestatori provenienti da Stati membri dell'Unione europea, spunta, numero massimo di posteggi assegnabili ad un medesimo soggetto giuridico nella stessa area mercatale, disposizioni transitorie;
    con nota del 10 marzo 2015 indirizzata al sindaco di Torino e presidente dell'ANCI – Piero Fassino – e, per conoscenza, al Ministero dello sviluppo economico, le associazioni di categoria «ANVA-Confesercenti» e «FIVA-Confcommercio» – pur confermando l'interesse alla modifica del «quadro normativo europeo» – hanno sinteticamente giudicato l'intesa in argomento come «un modello conforme ai principi europei, ben adattato alla effettiva realtà italiana e allo stesso tempo uno strumento equilibrato fra le rispettive competenze regionali e locali, del tutto idoneo a salvaguardare le esigenze delle imprese», richiamando ancora l'attenzione – posto che fin dal 1o gennaio 2017 i comuni si dovranno attivare in vista delle selezioni attuative del nuovo ordinamento – sul problema organizzativo costituito dalla gestione della messa a bando, a partire dal maggio 2017, della concessione di una media di 5.000 posteggi/giorno per regione,

impegna il Governo:

   a promuovere l'attivazione di un tavolo di lavoro – che veda la partecipazione di tutti i livelli istituzionali ed amministrativi interessati, nonché, delle associazioni di categoria delle imprese del commercio su aree pubbliche maggiormente rappresentative – finalizzato all'individuazione di ogni iniziativa utile alla soluzione dei problemi organizzativi connessi alla piena operatività dell'intesa del 5 luglio 2012 sui criteri da applicare nelle procedure di selezione per l'assegnazione di posteggi su aree pubbliche, in attuazione dell'articolo 70, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, di recepimento della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno;
   a valutare l'opportunità di una rinnovata fase di approfondimento e discussione del quadro giuridico europeo in materia di posteggi su aree pubbliche.
(7-00822) «Taranto, Benamati, Senaldi, Arlotti, Martella, Vico, Becattini, Camani, Montroni, Cani, Bini, Bargero, Scuvera, Ginefra, Basso, Tidei, Folino, Impegno, Peluffo, Donati».


   La X Commissione,
   premesso che:
    l'apertura di un ristorante nella propria abitazione ossia l'attività di «home restaurant», che si caratterizza per la preparazione di pranzi e cene presso il proprio domicilio e per un numero limitato di persone trattati come ospiti personali, però paganti, si sta rapidamente diffondendo anche nel nostro Paese grazie alle piattaforme web;
    l’home restaurant, anche se esercitata solo in alcuni giorni dedicati e tenuto conto che i soggetti che usufruiscono delle prestazioni sono in numero limitato, presenta le caratteristiche tipiche di un'attività di somministrazione di alimenti e bevande, sia perché i prodotti vengono serviti in locali privati attrezzati aperti alla clientela, coincidenti con il domicilio del cuoco, sia perché la fornitura di tali prestazioni comporta il pagamento di un corrispettivo;
    con la risoluzione n. 50481 del 10 aprile 2015 il Ministero dello sviluppo economico ha chiarito che questo tipo di attività è classificabile come «un'attività vera e propria di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande» e che pertanto «si applicano le disposizioni di cui all'articolo 64, comma 7, del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 e successive modificazioni e integrazioni»;
    l’home restaurant non può essere quindi considerata un'attività libera e ai fini del suo esercizio è richiesto il possesso, come per tutte le altre attività afferenti al settore alimentare, dei requisiti di onorabilità nonché professionali e la presentazione della segnalazione certificata di inizio attività (S.C.I.A.) o di richiesta di autorizzazione, qualora l'attività venga svolta in una zona tutelata;
    al fine di assicurare un corretto sviluppo del settore, i comuni, limitatamente alle zone del territorio da sottoporre a tutela (ad esempio centro storico), adottano provvedimenti di programmazione delle aperture degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande che risultano subordinate a titolo autorizzatorio rilasciato dalla stessa amministrazione competente;
    esiste il rischio concreto che, a fronte di modalità diverse di fare ristorazione, dove da un lato ci sono imprese e lavoratori soggetti a norme e prescrizioni rigorose a tutela della qualità del servizio, della salute e della sicurezza dei lavoratori e dei clienti e dall'altro attività potenzialmente scevre da vincoli e controlli, anche igienici e fiscali, ci sia una significativo vulnus alla concorrenza nel settore, con evidente penalizzazione delle imprese in regola;
    secondo il recente studio CST per Fiepet Confesercenti, l'universo degli home restaurant, solo nel 2014, ha fatturato 7,2 milioni di euro in Italia, con ben 7 mila cuochi social attivi in Italia nel 2014 ed una tendenza prevista di ulteriore crescita per il 2015;
    stime di addetti al settore indicano che nel 2014 sono stati organizzati ben 37 mila eventi social eating andati a buon fine, con una partecipazione di circa 300 mila persone ed un incasso medio stimato, per singola serata, pari a 194 euro,

impegna il Governo

a confermare, nell'immediato, il citato orientamento interpretativo alle Camere di commercio e agli enti locali, se del caso, con un provvedimento amministrativo, al fine di assicurare uniformità interpretativa su tutto il territorio nazionale, nonché, in prospettiva, a promuovere un'iniziativa normativa per regolare puntualmente una nuova tipologia di attività che rischia altrimenti di configurarsi anomala sul piano della concorrenza, della fiscalità e della tutela della salute pubblica.
(7-00824) «Senaldi, Lattuca».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, FERRARESI, COMINARDI, CIPRINI, DALL'OSSO, CHIMIENTI, LOMBARDI, PESCO, ALBERTI e VILLAROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Mondi Silicart di Anzola Emilia (BO), radicata nel territorio da quasi 50 anni e il cui bilancio dal 2010 ad oggi è sempre stato in forte attivo, è specializzata nella produzione di carta siliconata adesiva. L'azienda che fa capo alla multinazionale Mondi con sede in Sudafrica e stabilimenti in Europa e Stati Uniti d'America, ha rilevato lo stabilimento emiliano 8 anni fa, e ha chiuso gli ultimi bilanci annuali, con importanti profitti;
   in data 18 novembre 2014, la Mondi ha comunicato ai dipendenti di Anzola Emilia, la volontà di chiudere lo stabilimento entro dicembre 2015, aprendo le procedure di licenziamento per tutti i lavoratori della sede, motivando tale scelta come derivante da decisioni sugli andamenti dei prossimi anni nel settore della carta siliconata. Da subito, i lavoratori insieme ai sindacati di categoria ed in particolare all'SLC-Cgil; hanno organizzato scioperi e presidi per la salvaguardia del sito produttivo, del posto di lavoro e del patrimonio che l'azienda rappresenta per l'Italia nel comparto della carta siliconata. A tali proteste, la Mondi ha manifestato di non recedere dall'intenzione di chiusura dello stabilimento previsto per fine 2015;
   più nel dettaglio e come riportato in un articolo del quotidiano Corriere di Bologna in data 31 marzo 2015, a inizio dicembre 2014 si stipulò l'accordo che comprendeva il ritiro degli esuberi, l'apertura di una mobilità volontaria e incentivata che ha portato al licenziamento concordato di una decina di lavoratori, e un ulteriore anno di vita dell'azienda per trovare alternative alla chiusura del sito a fine 2015. Nel contempo, è iniziata la cassa integrazione per cessazione di attività, a conferma delle intenzioni del gruppo Mondi di lasciare il territorio bolognese. A metà febbraio 2015 era stata avanzata un'offerta da un'azienda del milanese sempre del settore, per rilevare la ditta di Anzola, offerta rigettata definitivamente dalla Mondi in data 30 marzo 2015, che ha comunicato di non essere disposta a cedere un macchinario fondamentale per mandare avanti lo stabilimento, ossia la macchina siliconatrice che, come la definiscono i dipendenti, è il vero cuore pulsante dell'intera azienda. Successiva a questa decisione, la presa di posizione della Cgil che ha reagito insieme, ai lavoratori, con il blocco immediato di ogni forma di produzione e ulteriori presidi davanti alla fabbrica;
   gli interroganti evidenziano che ci si trova di fronte all'ennesima situazione in cui una società straniera, dopo aver acquisito un'azienda italiana sita in territorio italiano, decide di abbandonare il nostro Paese concentrandosi sulle aziende di sua proprietà all'estero, dopo aver realizzato fatturati di tutto rispetto ed aver acquisito il know-how italiano –:
   se il Governo non intenda istituire un tavolo nazionale di confronto con la società Mondi e le rappresentanze sindacali, che consenta di modificare l'attuale impostazione organizzativa della direzione aziendale al fine di poter evitare i licenziamenti dei lavoratori della sede di Anzola Emilia;
   quali iniziative normative abbia previsto o abbia in previsione di attuare il Governo per fermare il continuo e persistente modus operandi adottato da numerose società straniere che, una volta acquisite le aziende italiane e il loro know-how, decidono di abbandonare o di esternalizzare l'attività fuori dai confini nazionali. (5-06725)


   DI BENEDETTO, NUTI, MANNINO, LUPO, DI VITA, VILLAROSA, CANCELLERI, BRESCIA, LUIGI GALLO, VACCA, D'UVA, BATTELLI, MARZANA e SIMONE VALENTE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Palazzo delle Finanze di Palermo, edificio di carattere storico nonché di notevole pregio architettonico e culturale, così come dichiarato ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 42 del 2004, è una grandissima struttura ottocentesca costruita sui resti delle antiche carceri della Vicaria;
   l'edificio, di proprietà del Ministero dell'economia e delle finanze ed appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato, è chiuso da quando gli uffici dell'intendenza furono trasferiti in altra sede e versa oggi in uno stato di abbandono pressoché totale;
   l'immobile risulta attualmente inagibile per le gravi condizioni di degrado che hanno determinato effetti anche sulla stabilità del palazzo; intanto, la custodia è stata affidata al dirigente dell'Agenzia del demanio;
   con nota prot. n. 49461 del 23 settembre 2010, il segretario generale della Corte dei conti di Palermo ha rappresentato l'esigenza di trasferire i propri uffici, attualmente dislocati in immobili condotti in locazione, negli edifici dell'ex Palazzo delle Finanze, di proprietà dello Stato;
   la direzione dell'Agenzia del demanio ha manifestato la propria disponibilità a trasferire l'immobile in questione alla regione siciliana, previo impegno finanziario, per i lavori di ripristino, consolidamento e messa in sicurezza dell'ex Palazzo delle Finanze per gli usi governativi;
   con delibera n. 83 del 23 marzo 2011, la giunta regionale ha disposto di procedere all'acquisizione al patrimonio indisponibile della regione siciliana del suddetto edificio quale sito unico della magistratura contabile dando mandato alla ragioneria generale della regione per l'individuazione delle risorse finanziarie necessarie, pari ad euro 20.000.000,00, per la riqualificazione dell'immobile;
   la Cassa depositi e prestiti, società per azioni controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze che detiene l'80,1 per cento del suo patrimonio azionario, ha manifestato la disponibilità ad erogare il finanziamento attraverso l'accensione di un mutuo per l'importo corrispondente;
   l’iter si trova in una situazione di stallo dovuto alla circostanza che la gestione dell'operazione di trasferimento spetta ad una Commissione paritetica Stato-regione che deve essere nominata, o almeno riconfermata nei suoi componenti, ad ogni cambio di compagine governativa;
   tuttavia, a seguito dell'ultimo avvicendamento alla guida dell'Esecutivo, il nuovo Ministro per gli affari regionali e le autonomie, a quanto consta agli interroganti, non ha provveduto ad emanare il decreto di nomina o riconferma dei componenti della Commissione;
   a fronte di tale mancato adempimento, si sottolinea che il Ministro ha già provveduto ad emanare i decreti relativi alle commissioni paritetiche per il Trentino Alto Adige e per il Friuli Venezia Giulia;
   in mancanza di tale decreto, il trasferimento dell'immobile in questione è al momento bloccato;
   la Commissione paritetica Stato-regione precedente ha esitato un elenco dal quale si evince che sono ben 96 gli immobili che lo Stato dovrebbe trasferire alla regione siciliana, tra i quali l'ex Palazzo delle Finanze;
   il 5 giugno 2012 la stessa ha espresso parere favorevole al trasferimento dallo Stato alla regione siciliana dell'immobile denominato ex Palazzo delle Finanze destinato a sede di tutti gli uffici della Corte dei conti;
   con decreto dell'assessorato generale dell'economia del 25 luglio 2012 è stato istituito un tavolo operativo per l'avvio delle procedure finalizzate alla progettazione, finanziamento e affidamento dei lavori di ristrutturazione dello stesso;
   l’iter di trasferimento al patrimonio della regione siciliana risulta ad oggi fermo, atteso che a seguito del suindicato parere favorevole della precedente Commissione paritetica Stato-regione al trasferimento nessun altro atto è stato compiuto, a causa della mancata emanazione del decreto di nomina sopra ricordato –:
   quali siano le ragioni del ritardo nella emanazione del decreto relativo alla Commissione paritetica Stato-regioni per la Sicilia, considerata anche la circostanza che le commissioni per il Trentino Alto Adige e per il Friuli Venezia Giulia sono già state nominate;
   quali siano i tempi previsti per la emanazione del decreto;
   se la preventiva disponibilità manifesta dalla Cassa depositi e prestiti all'erogazione del mutuo di 20.000.000 euro persista e, nel caso affermativo, quali siano i tempi per l'avvio e la conclusione dell’iter di concessione dello stesso.
(5-06743)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COSTANTINO, DURANTI e RICCIATTI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il concorso bandito dalla Presidenza del Consiglio dei ministri (Commissione per l'attuazione del progetto RIPAM) «Progetto di Riqualificazione delle Pubbliche Amministrazioni», bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 72 dell'11 settembre 2012 è stato gestito dal Formez PA;
   l'articolo 2 del bando di concorso, di cui sopra, prevedeva, una volta assunti i vincitori, la possibilità delle varie amministrazioni di rivolgersi al Formez per richiedere l'assegnazione ad altre amministrazioni pubbliche interessate al reclutamento di unità di personale di ruolo per profili professionali corrispondenti appartenenti alla medesima area o categoria;
   dallo stesso bando si evince che: «la Commissione Interministeriale RIPAM, soddisfatte tramite l'assegnazione dei vincitori le esigenze delle amministrazioni aderenti al bando, che hanno facoltà di richiedere lo scorrimento delle graduatorie per l'assunzione di candidati idonei, potrà procedere, nell'arco temporale di vigenza delle graduatorie di ciascun concorso, all'assegnazione di candidati collocati in posizione utile all'interno delle stesse, dopo aver valutato eventuali richieste pervenute, da parte di altre amministrazioni pubbliche interessate al reclutamento di unità di personale di ruolo per profili professionali corrispondenti appartenenti alla medesima area o categoria»;
   le graduatorie del concorso RIPAM Abruzzo saranno valide fino a dicembre 2016 e gli idonei non vincitori del suddetto progetto rischiano di essere esclusi dalle liste in cui verrà attinto il personale;
   tutti gli idonei non vincitori, soprattutto i tecnici, sono molto competenti in quanto oltre alle prove consuete hanno affrontato tematiche molto particolari come quelle della ricostruzione e sismiche;
   le graduatorie degli idonei costituiscono una risorsa alla quale le amministrazioni possono attingere per valorizzare la competenza e il merito, per garantire qualità e trasparenza nel pubblico impiego, per evitare inutili sprechi di tempo, di risorse economiche e soprattutto umane in un momento in cui l'utilizzo oculato delle risorse pubbliche rappresenta un monito che tutte le amministrazioni dovrebbero rispettare. Ciò comporterebbe un risparmio di risorse e tempo essendo le graduatorie immediatamente disponibili ed in linea con i principi di efficienza ed efficacia stabiliti dall'articolo 1, comma 1, della legge n. 241 del 1990;
   subito dopo la pubblicazione delle graduatorie sono state fatte, nella città de L'Aquila, assunzioni a tempo determinato presso il comune, contratti stipulati tramite agenzie interinali, di tipologia della collaborazione coordinata e continuativa presso l'ufficio speciale per la ricostruzione de L'Aquila (USRA), questi ultimi prorogati in data 1o ottobre 2015;
   l'USRA e l'ufficio speciale per la ricostruzione dei comuni del cratere istituito con decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2009, n. 77, continuano a stipulare contratti di varie tipologie: collaborazione coordinata e continuativa, tempo determinato e tramite agenzia interinale; questi ultimi con grave dispendio di risorse economiche, senza tenere in alcun conto le graduatorie degli idonei RIPAM Abruzzo;
   gli idonei non vincitori del concorso RIPAM Abruzzo chiedono da mesi di prorogare le graduatorie affinché le pubbliche amministrazioni possano attingere dalla graduatoria del Formez PA (che è preposta alla gestione del concorso RIPAM Abruzzo fino al 2021 e che ha sempre, a detta dei soggetti sopra citati, seguito modalità di selezioni trasparenti e ormai collaudate) fino all'esaurimento delle stesse –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intendano avviare affinché venga, in un periodo di contrazione e ottimizzazione della spesa pubblica nazionale, non solo garantito il diritto al lavoro previamente acquisito dopo il superamento della fase concorsuale per tutti gli idonei del concorso RIPAM Abruzzo, ma anche il rispetto dei principi di efficienza ed efficacia stabiliti dall'articolo 1, comma 1, della legge n. 241 del 1990. (4-10815)


   ANTIMO CESARO, D'AGOSTINO e PALLADINO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   fortissimi temporali hanno colpito fra la serata di mercoledì e la notte di giovedì 15 ottobre 2015 la Campania, soprattutto le zone dove si è scatenato un vero e proprio nubifragio;
   il temporale è stazionato sul territorio campano per diverse ore insistendo sempre sulle stesse zone, facilitando così la costante crescita degli accumuli di pioggia al suolo. Gli oltre 200 mm di pioggia caduta hanno provocato numerosi danni e disagi per via dell'esondazione di canali e torrenti;
   particolarmente colpita è la città di Benevento, dove il fiume Calore è esondato;
   molti paesi del Sannio risultano completamente allagati;
   tantissimi sono i residenti che hanno lasciato le loro abitazioni;
   decine e decine sono le telefonate giunte al centralino dei vigili del fuoco, preso d'assalto al pari di quello delle forze dell'ordine;
   sono enormi le difficoltà lungo la strada per Campobasso, bloccata da una frana che ha invaso la carreggiata, e in particolare, a causa di uno smottamento il raccordo autostradale tra Benevento Nord e Benevento centro è stato chiuso –:
   se il Governo intenda dichiarare lo stato di emergenza per i territori colpiti e quali iniziative urgenti si intendano assumere a favore delle popolazioni così duramente colpite. (4-10818)


   NUTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 maggio 2011 n. 131, recante il «Regolamento recante attuazione della previsione dell'articolo 74, comma 3, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, in relazione ai titoli II e III del medesimo decreto legislativo», contiene numerose norme in materia di organizzazione interna, trasparenza ed efficienza della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   l'articolo 3, comma 2, di tale decreto stabilisce che «entro il 31 gennaio gli organi di indirizzo politico – amministrativo emanano direttive annuali per l'azione amministrativa e la gestione delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei ministri, in coerenza con i documenti di programmazione finanziaria e di bilancio e tenuto conto delle risultanze del controllo di gestione, individuando gli indirizzi e gli obiettivi strategici e operativi, nonché gli indicatori necessari per la misurazione della relativa attuazione»;
   stando ai dati reperibili nella sezione trasparenza del sito web della Presidenza del Consiglio dei ministri, nessuna delle direttive di cui all'articolo 3, comma 2, decreto legislativo 131 del 2011 è stata emanata entro i termini stabiliti;
   infatti, la direttiva del segretario generale della Presidenza del Consiglio risulta essere emanata in data 9 luglio 2015 e registrata dalla Corte dei conti in data 31 luglio 2015: diversi mesi oltre il termine stabilito dal sopra richiamato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
   inoltre, guardando le schede obiettivo per ogni dipartimento, allegate alla direttiva medesima, si può facilmente notare come, nelle varie programmazioni operative, vengono previste fasi che teoricamente si sarebbero dovute concludere, con i relativi output, ancora prima dell'emanazione della direttiva stessa: appare chiaramente contraddittoria, dunque, la possibilità di realizzare obiettivi programmati su un orizzonte temporale di 12 mesi e, ancor più, la «temporizzazione» della produzione di output, prima che gli effetti giuridici della direttiva possano dispiegarsi (registrazione Corte dei conti);
   in un contesto simile, non si capisce su quali basi potrà avvenire la valutazione delle performance dei dirigenti, i quali, forse, non riusciranno a portare a termine i propri obiettivi in tempo utile o con risultati qualitativi accettabili, avendo a disposizione meno della metà del tempo stimato all'interno della direttiva medesima;
   inoltre, risulterebbe impossibile assicurare, ai sensi del comma 3, dell'articolo 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 131 del 2011, «l'effettuazione, in corso di esercizio, del monitoraggio dell'attuazione degli obiettivi di cui al comma 2, anche ai fini dell'attivazione di eventuali interventi correttivi»;
   similmente le direttive presenti alla voce «autorità politiche», per l'anno 2015, presentano analoghi ritardi di emanazione, come ad esempio le direttive del dipartimento per le riforme istituzionali, del dipartimento per i rapporti con il Parlamento e dell'ufficio per il programma di Governo, afferente al Ministro per le riforme costituzionali ed i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, il dipartimento per le politiche europee, afferente al Sottosegretario di Stato Sandro Gozi, il dipartimento per l'informazione e l'editoria, afferente al Sottosegretario di Stato Luca Lotti;
   per quanto riguarda, invece, l'anno 2014 il ritardo è ancor più grave, in quanto la direttiva del segretario generale della Presidenza del Consiglio risulta essere emanata in data 30 settembre 2014 e registrata alla Corte dei conti in data 4 novembre 2014, quando mancavano sole poche settimane al termine dell'anno, e quindi al raggiungimento degli obiettivi;
   risulta essere dunque poco comprensibile all'interrogante il metodo utilizzato per la distribuzione della retribuzione di risultato per l'anno 2014, in quanto in poco più di due mesi i vari dipartimenti avrebbero dovuto conseguire risultati, sia annuali che nel corso dell'anno, che, secondo la direttiva medesima, avrebbero avuto bisogno di un intero anno; tale incomprensibilità viene ampliata anche dalla mancata pubblicazione per l'anno 2014 dati relativi all'ammontare complessivo dei premi collegati alla performance stanziati e l'ammontare dei premi effettivamente distribuiti, nonché dei dati relativi all'entità del premio mediamente conseguibile dal personale dirigenziale e non dirigenziale, i dati relativi alla distribuzione del trattamento accessorio, in forma aggregata, al fine di dare conto del livello di selettività utilizzato nella distribuzione dei premi e degli incentivi, nonché i dati relativi al grado di differenziazione nell'utilizzo della premialità sia per i dirigenti sia per i dipendenti, così come invece previsto dall'articolo 20 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33;
   inoltre, da un semplice raffronto tra le direttive delle autorità politiche dell'anno 2015 e quelle dell'anno 2014, si evince chiaramente una consistente mancanza di direttive relative a numerose autorità politiche, tra le quali, ad esempio, la direttiva afferente al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione;
   ancora più grave, a parere dell'interrogante, risulta essere la situazione delle strutture di missione: delle diverse strutture di missione istituite risultano assenti, sia per il 2014 che per il 2015, le direttive relative alle strutture di missione fortemente volute dal Presidente del Consiglio dei ministri, specificatamente la struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche e la struttura di missione per il coordinamento e impulso nell'attuazione di interventi di riqualificazione dell'edilizia scolastica, create nell'estate del 2014, che hanno lavorato e continuano a lavorare tutt'oggi senza alcuna direttiva di cui al comma 2 dell'articolo 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 131 del 2011 e, di più, senza il monitoraggio o la valutazione dei risultati raggiunti di cui al comma 3 e 4, dell'articolo 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 131 del 2011 –:
   per quali ragioni vi sia stato un così elevato ritardo nell'emanazione delle direttive di cui all'articolo 3, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 maggio 2011, n. 131;
   se non intenda pubblicare i dati di cui all'articolo 20 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33;
   se non intende procedere all'immediata pubblicazione delle direttive mancanti;
   secondo quali principi siano state erogate le retribuzioni di risultato per l'anno 2014 e quali principi verranno seguito per l'anno in corso;
   secondo quali indicazioni i vari dipartimenti della Presidenza del Consiglio dei ministri abbiano lavorato per gli anni 2014 e 2015 sino all'emanazione delle differenti direttive. (4-10819)


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, PRODANI e TURCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 contenente norme per la «Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59» all'articolo 111 rubricato «Servizio meteorologico nazionale distribuito», testualmente recita: «1. Per lo svolgimento di compiti conoscitivi tecnico-scientifici ed operativi nel campo della meteorologia, è istituito, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera c), della legge 15 marzo 1997, n. 59, il servizio meteorologico nazionale distribuito, cui è riconosciuta autonomia scientifica, tecnica ed amministrativa, costituito dagli organi statali competenti in materia e dalle regioni ovvero da organismi regionali da esse designati. 2. Con i decreti legislativi da emanarsi ai sensi dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59, sono definiti la composizione ed i compiti del consiglio direttivo del servizio meteorologico nazionale distribuito con la presenza paritetica di rappresentanti degli organismi statali competenti e delle regioni ovvero degli organismi regionali, nonché del comitato scientifico costituito da esperti nella materia designati dalla Conferenza unificata su proposta del consiglio direttivo. Con i medesimi decreti è disciplinata l'organizzazione del servizio che sarà comunque articolato per ogni regione da un servizio meteorologico operativo coadiuvato da un ente tecnico centrale»;
   il 23 febbraio 2000, l'allora Sottosegretario di Stato delegato alla protezione civile, scriveva al Ministro della funzione pubblica, Franco Bassanini, rappresentandogli il particolare interesse del dipartimento della protezione civile alle attività del servizio meteorologico nazionale distribuito, istituito dall'articolo 111 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.112, senza che siano poi stati adottati i decreti previsti dalla legge;
   richieste per una sua realizzazione con particolare necessità e urgenza provengono anche su impulso della comunità scientifica;
   gli eventi meteorologici che hanno provocato dissesti idrogeologici nel Paese hanno fatto consolidare il convincimento che l'informazione strumentale, assieme a metodi e strumenti propri della meteorologia, dell'idrologia, dell'idraulica e dell'idrogeologia, a una adeguata conoscenza dei territori e a procedure condivise, consente di prevedere possibili e conseguenti scenari di danno significativo e di garantire una più tempestiva e migliore risposta operativa;
   la realizzazione del servizio meteorologico nazionale distribuito è rivolta anche a finalità ben più generali, quali quelle produttive agricole, dei trasporti e del turismo, caratteristiche peculiari di un'avanzata meteorologia civile;
   il servizio meteorologico nazionale distribuito è la risposta ottimale del Paese in relazione all'evolversi in campo europeo e internazionale della, dialettica globale ove vengono premiati i Paesi capaci di realizzare efficienti ed efficaci servizi avanzati e innovativi, nel campo della meteorologia e della climatologia. Lo stesso dicasi nel campo più generale dell'osservazione della terra e della gestione condivisa di dati e informazioni spesso complesse. Quindi l'istituzione del servizio meteorologico nazionale distribuito è condizione essenziale per assumere un ruolo sempre più autonomo e primario a livello europeo e internazionale;
   il servizio meteorologico nazionale distribuito dovrebbe divenire un sistema nazionale in grado, per capitale umano e tecnologico e per competenze, di presentarsi in ambito europeo e internazionale aumentando la competitività del nostro Paese e consolidandone le prospettive future di mantenimento e sviluppo dell'autorevolezza acquisita; in tal modo è possibile consentire al sistema stesso di conseguire e rafforzare il proprio ruolo e accrescere le proprie risorse seguendo l'evoluzione tecnologica nella sua complessità, aumentando il livello di conoscenza e di competenza, attraverso percorsi collaborativi, condivisi e coordinati, mettendo a sistema i patrimoni meteorologici e climatologici delle regioni e dello Stato, entrambi ormai molto consistenti, e costruendo sinergie attraverso la condivisione di conoscenze, esperienze, strumenti, metodi e procedure; ciò permetterebbe di minimizzare sprechi attraverso la stipula di contratti di manutenzione unici, di evitare duplicazioni attraverso attività di sviluppo condivise, coordinate e collaborative sulla base di scelte che possano garantire a tutta la cittadinanza la conoscenza della meteorologia e della climatologia attraverso una diffusione omogenea e controllata dell'informazione, aumentando la qualità della previsione, del monitoraggio e della sorveglianza meteorologica e climatologica complessiva e locale in particolare nelle regioni italiane a oggi sprovviste di autonome strutture e capacità operative, assicurando al contempo una maggiore uniformità e omogeneità tecnologica, metodologica e operativa sull'intero territorio nazionale e favorendo il cambiamento della visione attuale;
   nonostante quanto sopra, l'Italia è rimasta, assieme alla Grecia, l'unico Paese europeo sprovvisto di un così importante organismo;
   attualmente esiste il servizio meteorologico dell'Aeronautica militare, lo Smam, che ha prevalenti e precisi compiti istituzionali di assistenza al volo militare; tutti i Governi hanno sempre chiesto di supplire istituzionalmente, di farne le funzioni, dotandolo peraltro sempre di risorse complessive risibili rispetto a quelle dei corrispondenti servizi meteorologici delle altre nazioni europee di bilancio paragonabile;
   a causa di ciò molte regioni italiane, come sopra descritto, si sono già dotate di strutture operative tecnico-scientifiche, i servizi meteo regionali, talvolta incardinati nelle Arpa, che hanno il compito di rispondere alla domanda di prodotti e servizi locali e specialistici, domanda alla quale Smam non ha mai potuto far fronte;
   l'istituzione di un servizio meteorologico nazionale distribuito che mettesse a sistema Smam e i servizi regionali è stato già previsto in atti normativi: per la prima volta in un decreto attuativo della «legge Bassanini», precisamente all'articolo 111 del decreto legislativo n. 112 del 1998, ma i successivi provvedimenti attuativi non hanno mai visto la luce e così i termini sono da decenni, senza realizzare il servizio meteorologico nazionale distribuito;
   più di recente è stata reiterata l'istituzione del servizio meteorologico nazionale distribuito all'interno della legge di riordino del sistema di protezione civile previsto al comma 4, dell'articolo 3-bis della legge n. 100 del 2012;
   in conseguenza di questo atto, il dipartimento della protezione civile ha istituito un gruppo di lavoro tecnico che ha prodotto una bozza dell'ulteriore decreto del Presidente della Repubblica necessario a dar vita reale al servizio meteorologico nazionale distribuito, come previsto dalla legge n. 100 del 2012;
   la bozza è sempre rimasta tale, il decreto del Presidente della Repubblica non è mai stato emanato e del servizio meteorologico nazionale distribuito si attende ancora l'istituzione;
   in data 23 settembre 2015 il Governo ha accolto un ordine del giorno del primo firmatario del presente atto, impegnandosi «a valutare la possibilità di adottare tutte le opportune iniziative necessarie alla realizzazione del servizio meteorologico nazionale distribuito» –:
   se quanto riportato in premessa trovi conferma;
   quali impedimenti abbiano ostacolato l'emanazione degli atti necessari alla costituzione del servizio meteorologico nazionale distribuito;
   se e quando si intendano assumere le iniziative necessarie all'emanazione dei suddetti atti. (4-10827)


   NESCI e PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il «Sant'Anna Hospital» di Catanzaro è una struttura ospedaliera privata accreditata con il servizio sanitario nazionale;
   la stessa ad oggi è di fatto la struttura cardiochirurgica calabrese che garantisce maggiore sicurezza per il decorso post-operatorio, ancora mancando presso l'altra, del policlinico universitario «Mater Domini» di Catanzaro, la terapia intensiva dedicata e non essendo ancora stato attivato il reparto di cardiochirurgia dell'azienda ospedaliera di Reggio Calabria, a fronte di un danno erariale stimato in 40 milioni di euro dalla Guardia di finanza, come dall'interrogante più volte denunciato;
   nonostante quanto specificato fin qui, il 2 aprile 2015, con decreto n. 14, il commissario ad acta per l'attuazione del vigente piano di rientro dai disavanzi del servizio sanitario regionale calabrese, Massimo Scura, ha disposto l'esclusione del Sant'Anna dalla rete degli ospedali hub e dunque, dalla rete di emergenza-urgenza;
   a parere degli interroganti la decisione della struttura commissariale è impropria, tenendo conto del fatto che la struttura è un centro di alta specialità del cuore che registra circa 800 angioplastiche all'anno (ben oltre gli standard minimi di qualità richiesti), che è dotato di due sale di emodinamica e di una sala «ibrida» (tra le prime attivate in Italia) e che si avvale di una unità operativa di cardiochirurgia che supera il limite minimo di sicurezza fissato da norme ministeriali in 500 casi all'anno;
   il 17 aprile, il commissario ad acta Massimo Scura, in un'intervista rilasciata a Il Quotidiano del Sud, si difese affermando che «il Sant'Anna può essere considerato un piccolo hub specializzato, ma è un privato e la rete è fatta pubblica [...] Per il Sant'Anna non vedo nessun problema»;
   a parere dell'interrogante appare illogico il ragionamento del commissario ad acta;
   per quanto sin qui precisato, la scelta della struttura commissariale danneggia, prima ancora che la struttura ospedaliera, la sicurezza di cittadini e pazienti, cui potrebbero non essere garantiti i livelli essenziali di assistenza –:
   se non ritengano di assumere iniziative finalizzate alla revoca del decreto sopra indicato, che, a giudizio degli interroganti, contrasta con la tutela del diritto fondamentale alla salute, d cui all'articolo 32 della Costituzione italiana. (4-10829)


   PRATAVIERA, MATTEO BRAGANTINI, CAON e MARCOLIN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in provincia di Venezia, i lavori per la realizzazione della circonvallazione lungo la strada provinciale 14, che hanno interessato anche l'ammodernamento della ferrovia Adria-Mestre, intervento indispensabile per bypassare il passaggio a livello di Boion (frazione di Campolongo Maggiore), risultano essere bloccati, da ben diverso tempo;
   i lavori, avviati ormai 2006 a seguito di un accordo di programma tra regione Veneto, provincia di Venezia, Sistemi Territoriali spa e comune di Campolongo Maggiore sono costati fino ad oggi oltre 8 milioni di euro. L'opera servirà a scaricare il traffico pesante di passaggio al di fuori del centro abitato bypassando così il passaggio a livello di Boion che incrocia la Sp 14 stessa;
   il problema però è che le risorse non sono più disponibili. Il comune infatti si trova un'opera ultimata al 90 per cento, ma completamente inutilizzabile per la sua funzione della circonvallazione, in quanto mancano gli ultimi 500 metri;
   alla mancanza di risorse va aggiunto il fatto che la provincia di Venezia ha manifestato la volontà di non entrare in possesso dell'opera;
   per il completamento dell'infrastruttura occorrono, secondo le stime dei tecnici, circa 700 mila euro;
   le risorse sarebbero state di fatto disponibili se non fosse che nel frattempo è arrivato un provvedimento della magistratura che le ha sottoposte a pignoramento;
   di fatto il Governo è da tempo informato della questione in quanto con una missiva del 2 giugno 2014, il Presidente del Consiglio dei ministri, invitava tutti i sindaci italiani a segnalare gli interventi di interesse per la popolazione del comune i cui cantieri erano, a diverso titolo bloccati;
   in tale occasione il comune di Campolongo Maggiore segnalava la necessità del completamento della variante alla strada provinciale 14 Tangenziale di Bojon per cui, la regione, aveva disposto lo stanziamento di un finanziamento pari a 693.121,36 euro;
   il comune faceva inoltre presente alla Presidenza del Consiglio dei ministri che l'intervento risultava bloccato a causa del pignoramento del conto di tesoreria centrale dello Stato n. 23361 «M. Trasporti E. Veneto Dlgs. 422-97»;
   l'unica certezza è che su questa strada si continua a morire. L'ultimo in ordine di tempo è un incidente mortale, accaduto il 12 agosto 2015, dove a farne le spese è stato un giovane di 18 anni centrato in pieno da un camion che non gli ha dato la precedenza, mentre viaggiava a bordo del suo motorino. È inutile sottolineare che la realizzazione della sopra citata circonvallazione garantirebbe una maggiore sicurezza stradale –:
   se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano pertanto attivare, al più presto, per lo sblocco delle risorse al fine di consentire il completamento della circonvallazione lungo la strada provinciale 14 nei pressi della frazione di Boion di Campolongo Maggiore ed evitare in tal modo altre inutili morti.
(4-10830)


   SCOTTO, FRANCO BORDO, PELLEGRINO, ZARATTI, COSTANTINO, PALAZZOTTO, PAGLIA, AIRAUDO, PLACIDO, PIRAS, RICCIATTI, FERRARA, MARCON, DURANTI, FRATOIANNI, MELILLA, QUARANTA, DANIELE FARINA, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, NICCHI, PANNARALE, SANNICANDRO e ZACCAGNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo apparso recentemente sul Corriere della Sera veniva messa in evidenza la possibilità di inserimento, nell'ambito del disegno di legge di stabilità 2016, di alcune proposte sostenute dal Gruppo Alleanza liberal-popolare e autonomie, tra le quali spiccano in particolare, la richiesta di accelerazione sul progetto del Ponte sullo Stretto e un supercondono edilizio che riguarda 75.000 costruzioni in Campania, altrimenti destinate a essere abbattute;
   il Ministro dell'interno, l'onorevole Angelino Alfano, nel frattempo, continua a rilasciare dichiarazioni alla stampa nazionale sulla riattivazione del Ponte sullo Stretto di Messina, come in occasione del 30o Convegno di Capri organizzato dai giovani di Confindustria dove ha puntualmente precisato come per il rilancio Sud la «Priorità è l'edilizia, a partire dal Ponte di Messina»;
   è difficile dire se tutte queste notizie possano ricondursi a un mero spot elettorale strategicamente concertato da attori storicamente votati alla realizzazione del Ponte sullo Stretto, ma sta di fatto che proprio in questi ultimi giorni si è incominciato a parlare di diretto coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti, società controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze di cui le fondazioni bancarie possiedono il 18,4 per cento, nella verifica sulla reale fattibilità del Ponte sullo Stretto di Messina. Cassa depositi e prestiti che, tra le altre cose, stando alla lettura delle prime bozze del disegno di legge di stabilità 2016, dovrebbe integrare la propria mission anche con la qualifica di istituto nazionale di promozione, come definito dall'articolo 2, n. 3, del regolamento (UE) n. 2015/1017 del 25 giugno 2015 relativo al Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS), secondo quanto previsto nella comunicazione COM (2015) 361 del 22 luglio 2015 della Commissione europea. In buona sostanza, la Cassa depositi e prestiti diventerebbe l'entità giuridica deputata ad espletare attività finanziarie su base professionale, cui viene conferito il mandato per svolgere attività di sviluppo o di promozione in relazione al FEIS finalizzato a sostenere, tra le altre cose, progetti per lo sviluppo delle infrastrutture di trasporto anche mediante la creazione o la dotazione di nuove infrastrutture o di infrastrutture mancanti, anche in linea di principio aggiuntive a quelle previste dalla Rete TNT, da cui il ponte sullo Stretto appare attualmente escluso;
   particolare perplessità suscita pure il discorso relativo alle eventuali penali che lo Stato dovrebbe pagare in relazione alle procedure di contenzioso afferenti alle vicende del ponte sullo Stretto di Messina;
   uno dei principali motivi addotti dal Ministro dell'interno per sostenere la realizzazione dell'opera è che piuttosto che pagare delle penali sarebbe preferibile costruire il ponte;
   pur tuttavia le principali associazioni ambientaliste italiane (FAI-Fondo ambientale italiano, Italia Nostra, Legambiente, MAN-Associazione ambientale per la natura, WWF) che da sempre seguono l'annosa vicenda legata al ponte sullo stretto di Messina ritengono che non debba essere pagata nessuna penale, tanto che già un anno fa, e segnatamente il 3 ottobre 2014, avevano inviato una lettera al Presidente del Consiglio Matteo Renzi e all'allora Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Maurizio Lupi, per chiedere un incontro finalizzato discutere delle presunte penali richieste per la mancata realizzazione del ponte sullo stretto di Messina dove si legge: «...Le scriventi associazioni – da sempre interessate alle vicende del ponte sullo Stretto di Messina (un'opera il cui costo al 2012 era di 8,5 miliardi di euro e nel 2012 si aggirava attorno ai 6,2 miliardi di euro) – hanno avuto, proprio a questo proposito incontri il 29 gennaio scorso con il Commissario liquidatore della Stretto di Messina SpA, consigliere Vincenzo Fortunato e il 20 febbraio scorso con il Capo di gabinetto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Giacomo Aiello e con il responsabile della Struttura di Missione delle infrastrutture strategiche dello stesso Ministro Ercole Incalza da cui è emersa la comune convinzione che, alla luce dei rapporti contrattuali tra SDM SpA e il GC, non ci sia alcuna penale da pagare.
  Infatti, vale la pena specificare che all'articolo 11.19 del Contratto 2006 si fanno decorrere i 540 giorni dalla consegna da parte del GC al Soggetto Aggiudicatore (SDM SpA) del “progetto definitivo completo di tutti documenti e delle integrazioni eventualmente richieste”, con l'obbligo in caso di inadempienza di far scattare quanto previsto dall'articolo 44.3 sempre del Contratto 2006 nel quale si prevede obbligo di pagare al GC solamente le prestazioni correttamente eseguite al momento del recesso, nonché un aggravio del 10 per cento rispetto alla somma totale delle prestazioni. È evidente quindi che il Progetto definitivo (PD) non può essere considerato “completo” se mancano le “integrazioni richieste”, che sono quelle che si hanno nell'ulteriore fase della procedura di VIA sul PD come viene stabilito dall'articolo 185, c. 5 del Dlgs n. 163/2006. Il fatto che non sia mai stato consegnato un PD completo viene confermato dall'allora di SDM SpA e di ANAS SpA Pietro Ciucci nella sua lettera del 9/11/2011 (Prot. U 2011-1128) in risposta alle richieste di chiarimento in merito al PEF contenute in una lettera del 25/10/2011 delle associazioni ambientaliste (ns. Prot. DG443/11 SLcp-wwfi in cui letteralmente si dice nell'ultima pagina, primo capoverso: “in ordine al progetto definitivo dell'Opera, sono state avviate e sono attualmente in corso di svolgimento, ai sensi di legge, la procedura volta al rilascio della VIA da parte del Ministero dell'Ambiente, in relazione alle varianti introdotte al Progetto Preliminare e quella per le determinazioni della Conferenza dei Servizi, entrambe propedeutiche alla finale deliberazione del CIPE sul progetto medesimo”.
  Peraltro, la situazione non cambia, nella sostanza, anche se si prende in considerazione l'articolo 5.2 dell'Atto integrativo 2009 del Contratto 2006. Il richiamato articolo dell'Atto integrativo 2009, che fa salvi gli articoli da 11.16 a 11.20 del Contratto 2006 (e quindi anche l'articolo 11.19), introduce una nuova “fattispecie” e quindi, nella sostanza, un nuovo motivo di recesso, che fa partire i 540 giorni dal momento consegna da parte del GC a SDM SpA del “Progetto definitivo dell'opera intera” e, a fronte di inadempienza da parte del CIPE, stabilisce che sia riconosciuto ad Eurolink il pagamento delle spese sino a quel momento sostenute, più un 5 per cento di indennizzo sulle spese sostenute.
  Ma la definizione di “progetto intero” usata nell'articolo 5.2 dell'Atto integrativo 2009, non supera comunque la definizione del “progetto definitivo completo di tutti i documenti e delle integrazioni eventualmente richieste” dell'articolo 11.19 del Contratto 2006, come viene ammesso tra le righe dallo stesso Ciucci nella lettera dell'ottobre 2011. La sostanza è che il GC Eurolink non ha mai consegnato alla SDM SpA un PD “intero” o “completo” che dir si voglia che abbia accolto le integrazioni richieste di una procedura di VIA alla fine della quale si è deciso di non decidere. E soprattutto – è evidente – che a carico dello Stato non c’è alcuna penale da pagare”.
  E infine: “Di questo vorremmo parlare con lei, disponibili anche a fornirle la documentazione in nostro possesso, conosciuta dai Ministeri competenti, a suffragio delle nostre valutazioni e indicazioni di prospettiva”»;
   a questa lettera di recente il Governo non ha mai dato risposta;
   di recente le associazioni di cui sopra hanno inviato nuovamente detta lettera anche all'attenzione del Ministro Delrio senza ricevere alcuna risposta e, ad avviso degli interroganti, proprio non si comprendono le ragioni di tale atteggiamento, quando sarebbe quanto mai utile almeno capire se il Governo sia in grado di convenire con le valutazioni espresse dal consigliere Vincenzo Fortunato, il capo di gabinetto Giacomo Aiello e l'ex responsabile della struttura di missione delle infrastrutture strategiche Ercole Incalza;
   eppure il Sottosegretario per le infrastrutture e i trasporti Umberto Del Basso De Caro, rispondendo ad un question time che svolto in Commissione VIII (Ambiente) della Camera dei deputati dall'On. Serena Pellegrino (SEL) aveva affermato che da parte del Governo «Non c’è alcuna volontà di tenere segreto alcun elemento del contenzioso fra lo Stato e il consorzio Eurolink, facendo ovviamente salvo il fatto che la quantificazione dell'ammontare delle penali che lo Stato dovrebbe pagare che può essere fatta solo in sede giudiziale»; di fatto è accaduto anche che durante la recente discussione delle mozioni sul sistema dei trasporti della regione Calabria e la riattivazione del progetto del ponte sullo stretto di Messina, il Governo abbia chiesto esplicitamente l'espunzione di tutti gli impegni delle mozioni presentate da Forza Italia e Lega Nord che chiedevano semplicemente di chiarire l'eventuale stanziamento di ulteriori risorse, anche a copertura degli oneri derivanti da procedure di contenzioso con riferimento alla realizzazione del Ponte sullo Stretto. Una particolare stranezza: del resto, se si è consapevoli, di incorrere nel pagamento di eventuali penali, perché non impegnarsi formalmente a informare il Parlamento sullo stanziamento delle necessarie risorse per doverle pagare –:
   quale sia l'orientamento del Governo rispetto all'ipotesi dell'inserimento nell'ambito del disegno di legge di stabilità 2016 di alcune proposte relative alla richiesta di accelerazione sul progetto del ponte sullo stretto, nonché di un supercondono edilizio che riguarda 75.000 costruzioni in Campania, altrimenti destinate a essere abbattute;
   come sia possibile che da una mera valutazione positiva sull'opportunità di riconsiderare il progetto del ponte sullo stretto di Messina, recentemente ribadita dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio, in Parlamento si sia passati, come riportato dalla stampa nazionale, al celere affidamento del compito di valutare il progetto alla Cassa depositi e prestiti;
   quali siano i motivi per i quali la valutazione relativa alla riattivazione del progetto del ponte sullo stretto di Messina non coinvolga direttamente in prima battuta il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, bensì la Cassa depositi e prestiti, considerato che la mozione del gruppo NCD impegnava il Governo e se vi sia un collegamento con le norme relative alla Cassa depositi e prestiti che sembrerebbero volersi introdurre nell'ambito del disegno di legge di stabilità 2016;
   se il Governo convenga con le valutazioni espresse dal consigliere Vincenzo Fortunato, dal Capo di gabinetto Giacomo Aiello e dall'ex responsabile della struttura di missione delle infrastrutture strategiche Ercole Incalza in occasione del loro incontro con le associazioni ambientaliste citate in premessa ove è emersa la comune convinzione che, alla luce dei rapporti contrattuali tra società Stretto di Messina spa e il general contractor, non ci vi sia alcuna penale da pagare;
   quali elementi si intendano fornire al Parlamento al fine di chiarire l'eventuale stanziamento di risorse anche a copertura degli oneri derivanti da procedure di contenzioso, con riferimento alla realizzazione del ponte sullo stretto di Messina. (4-10835)


   BORGHESI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   dall'Associazione ProVita Onlus – Via della Cisterna, 29 Rovereto (TN) e stato pubblicato un dossier dal titolo: «Progetti applicati nelle scuole italiane ispirati alla teoria gender e/o all'omosessualismo». In questo dossier viene riportata una selezione di progetti e iniziative che sarebbero stati realizzati nelle Scuole italiane, o comunque rivolti a studenti o docenti, che si ispirano alla teoria del gender. Il dossier in oggetto riguarderebbe principalmente gli anni 2014-2015, con l'inclusione di iniziative la cui applicazione è precisamente indicata quanto a data, luogo e contenuti. Spesso i progetti esaminati non si riferirebbero solo a singoli casi, in quanto ogni progetto sarebbe stato suscettibile di applicazione in più istituti scolastici e in alcuni casi con il coinvolgimento di gran parte del corpo docente o di molteplici scuole, di intere regioni o province;
   stando a quanto riportato nel dossier tali progetti ed iniziative, a giudizio dell'interrogante con il pretesto di educare all'uguaglianza e di combattere le discriminazioni, il bullismo, la violenza di genere o i cattivi stereotipi, spesso avrebbero promosso: l'equiparazione di ogni orientamento sessuale e di ogni tipo di «famiglia»; la prevalenza dell’«identità di genere» sul sesso biologico; la decostruzione di ogni comportamento o ruolo tipicamente maschile o femminile, insinuando che si tratterebbe sempre di arbitrarie imposizioni culturali; la sessualizzazione precoce dei giovani e dei bambini;
   si riportano, a titolo esemplificativo, alcune informazioni e considerazioni estratte dal dossier:
    è indicato che la «Strategia nazionale per la prevenzione è il contrasto delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere» dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali è un documento che contiene direttive da attuare anche nelle scuole, basate sulla «identità di genere», sulla promozione dei diversi tipi di «famiglie», sul sostegno ai processi di «transizione di genere» e altri;
   è inoltre indicato che: presso la Scuola materna comunale «I sei colori di Ugo» Roma (quartiere Africano) sono state cancellate la festa del papà e della mamma per non discriminare i bambini con famiglie «diverse», sostituite dalla «festa delle famiglie» (iniziativa delle maestre);
   presso il Liceo classico Giulio Cesare in una quinta ginnasio, a minori di 16 anni alcuni insegnanti hanno chiesto di leggere e poi di svolgere un tema sul romanzo «Sei come sei» di Melania Mazzucco. Il romanzo parla di una bambina «figlia» di due omosessuali tramite utero in affitto, contiene descrizioni dettagliate di masturbazione e di rapporti orali tra ragazzi: «Si inginocchiò ... e poi, con un guizzo fulmineo ... ficcò la testa fra le gambe di Mariani e si infilò l'uccello in bocca. Aveva un odore penetrante di urina, e un sapore dolce. ... Mariani lasciò fare. Giose lo inghiottì fino all'ultima goccia e sentì il suo sapore in gola per giorni. Il fatto si ripeté altre due volte, innalzandolo a livelli di beatitudine inaudita» (Iniziativa delle insegnanti, in applicazione della «Strategia nazionale» dell'UNAR);
   200 insegnanti di scuole dell'infanzia e asili nido Roma hanno avviato un progetto dal titolo «La scuola fa la differenza» che prevede: otto corsi formativi «dedicati anche a chi lavora con la delicata fascia di età 0-3 anni». Obiettivi del progetto sono «supplire a carenza formative ... in merito alla costruzione delle identità di genere ... in particolare per nidi e scuole dell'infanzia», promuovere «la pluralità dei modelli familiari e dei ruoli sessuali», «decodificare comportamenti ... che possono veicolare modelli identitari e di relazione stereotipati e stereotipanti, al fine di decostruirli e fornire a bambine e bambini un orizzonte più libero...» (progetto promesso dall'Assessorato alla Scuola, Infanzia, Giovani e Pari Opportunità di Roma Capitale, e dall'associazione «Scosse»);
   presso 10 asili nido e 36 scuole materne è avvenuto che la distribuzione della favola gay «E con Tango siamo in tre» (Ed. Junior): storia di due pinguini, entrambi maschi, che si incontrano nello zoo di New York e si innamorano. Il custode del parco affida loro un uovo di un'altra coppia perché lo covino: nasce così Tango (progetto promosso da Camilla Seibezzi, delegata del sindaco di Venezia Giorgio Orsoni per le politiche contro le discriminazioni);
   è avvenuta la diffusione, all'insaputa del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, della trilogia di manuali dal titolo «Educare alla diversità a scuola» per gli insegnanti delle scuole elementari, medie e superiori. I libretti chiedono agli insegnanti di «non usare analogie che facciano riferimento a una prospettiva eteronormativa (...) Nell'elaborazione di compiti, inventare situazioni che facciano riferimento a una varietà di strutture familiari ed espressioni di genere. Per esempio: «Rosa e i suoi papà hanno comprato tre lattine di tè freddo al bar. Se ogni lattina costa 2 euro, quanto hanno speso ?». Quanto alla definizione di «omofobia»: «I tratti caratteriali, sociali e culturali, come il grado di religiosità, costituiscono fattori importanti da tenere in considerazione nel delineare il ritratto di un individuo omofobo» (...) «vi è un modello omofobo di tipo religioso, che considera l'omosessualità un peccato». Gli insegnanti dovranno tentare di fare immedesimare gli alunni «eterosessuali» con gli «omosessuali» e mettere gli alunni «in contatto con sentimenti e emozioni che possono provare persone gay o lesbiche»»;
   è proposto un elenco di documentari come «Kràmpack», in cui la masturbazione fra due ragazzi è presentata come esplorazione e «gioco» (progetto promosso dall'UNAR e dall'Istituto A.T. Beck);
   per le educatrici dei nidi e le insegnanti delle scuole dell'infanzia di Roma Capitale è previsto un piano di aggiornamento per l'anno scolastico 2013-2014. Esso intende «sostenere» la pluralità dei modelli «familiari e dei ruoli sessuali»; «favorire le insegnanti/educatrici nella lettura dei processi di identificazione degli stereotipi e dei pregiudizi di genere»; «favorire la formazione di personalità libere e per la decostruzione degli stereotipi» (progetto promosso dal dipartimento servizi educativi e scolastici del comune di Roma);
   presso la scuola dell'infanzia «Umberto I» Camposampiero (Padova) sono state cancellate la festa del papà e della mamma per non discriminare i bambini con famiglie «diverse»;
   per iniziativa delle maestre della scuola dell'infanzia parrocchiale «Padre Antonio di Mandriola» (frazione di Albignasego, Padova) sono state cancellate la festa del papà e della mamma per non discriminare i bambini con famiglie «diverse», contro il parere del parroco;
   presso la scuola dell'infanzia paritaria cattolica parrocchiale Ragni dal primo anno della scuola materna Cusago (MI) a favola gay «E con Tango siamo in tre» cui si è già fatto riferimento, è stata spiegata dal personale dirigente della scuola, sottolineando che affrontare queste tematiche è necessario, come da alcune direttive delle Organizzazione mondiale della sanità;
   inoltre è stato affermato di dover trattare tematiche sessuali con bambini molto piccoli (3-6 anni) e che i testi non erano in alcun modo menzionati né nel piano dell'offerta formativa né nel progetto pedagogico ed organizzativo della scuola;
   presso la scuola primaria Villaggio Giardino, nella quinta elementare, ad Arzignano (VI) si sono avute quattro lezioni, tenute dalla psicologa e sessuologa Federica Bastianello che ai bambini ha spiegato «come si può cambiare sesso; da maschio a femmina e da femmina a maschio» e cosa sono i «transgender»;
   presso diverse scuole della provincia di Milano è stato diffuso il progetto «ImPARI a scuola» una guida operativa finalizzata a «diffondere la cultura di genere nei percorsi scolastici primari e secondari ... riflessione sulle differenze e sugli stereotipi di genere»; la famiglia è definita come «sentimento» (progetto promosso dall'ufficio della consigliera di parità di Milano e Monza/Brianza, dall'Agenzia formazione e lavoro laboratorio didattico per bambini 4-8 anni);
   si sono svolti corsi per educatrici ed insegnanti di asili nido, scuole materne, elementari e medie fascia 0-6 anni a Roma nell'ambito del Progetto «Educare alle differenze»; nell'ambito del progetto si sostiene che bisognerebbe introdurre i bambini da 0-6 anni alla «conoscenza e condivisione del transgenderismo, dell'intersessualismo e del transessualismo finora tabù per tutto ciò che concerne il rapporto con questa fascia di età e la riflessione che la riguarda» e «attuare le linee guida dell'OMS che evidenziano la necessità di introdurre l'educazione sessuale, in relazione alle differenze di genere, secondo un approccio globale, da prima dei 4 anni» (progetto promosso dall'associazione «Scosse», con il patrocinio di Roma Capitale);
   presso le scuole primarie e secondarie Lentate, Cesano, Seveso e Meda (MB) è stato promosso il progetto «Dillo con parole sue», per contrastare la violenza di genere e il bullismo omofobico e transfobico, in cui si legge: «L'idea che si debba aderire ad un ruolo di genere precostituito per essere considerati «normali» è un ostacolo alla piena realizzazione di chi per qualsiasi ragione non vi si riconosce. Tra le aspettative sociali dell'essere maschi e femmine l'eterosessualità è forse la più forte. (...) L'orientamento sessuale eterosessuale è preferibile all'omosessualità, un'identità di genere congruente al sesso biologico è preferibile alla transessualità, poiché vengono considerati naturali e ovvi; ciò che si distanzia da questa normalità viene considerato un difetto nel binarismo di genere. Chi decide che un certo comportamento è «normale» siamo noi che, ancorati a certi principi e stereotipi, decidiamo di vivere ignorando altre, realtà» (progetto promosso da ALA Milano onlus, Donne in Quota, Il Cerchio, Cooperativa Sociale della Brianza; Comuni di Lentate, Cesano, Seveso e Meda);
   nell'asilo nido comunale «Il Castello Incantato» di Roma (zona Bufalotta) si è verificata la lettura delle fiabe gay «Perché hai due papà ?», storia di una coppia gay che ricorre all'utero in affitto per avere dei bambini, e di quella «Piccola storia di una famiglia: perché hai due mamme ?» di Francesca Pardi (Ed. Stampatello). Una favola in cui si legge: «Le due mamme volevano una famiglia, ma mancava il semino. Franci si è fatta dare in una clinica olandese il semino donato da un signore gentile e l'ha messo nella pancia di Mery». Si è letto ai bambini anche «Il bell'anatroccolo», storia di un paperotto maschio che scopre di essere una «femminuccia ed è orgoglioso di esserlo» (Iniziativa delle maestre, nell'ambito del Progetto «Educare alle differenze» del Comune di Roma);
   presso l'Istituto comprensivo Randaccio e scuola primaria «Nanni Loy» è stato presentato un elenco di fiabe gay o ispirate al gender come «Il Bell'Anatroccolo» (Lo Stampatello Ed.) e «Nei panni di Zaff» (Fatatrac Ed.), storia di un bambino transgender che vuole essere una principessa e corona il suo desiderio, presentando come normale l'identificazione nel genere opposto al sesso biologico; nel testo si legge che: «Tutti gli dicevano: Ma Zaff ! Tu 6 maschio. Puoi fare il re ... ma la principessa proprio no. Le principesse il pisello non ce l'hanno ! !»; Zaff: «E va bene, ho il pisello ma che fastidio vi dà ? Lo nasconderò ben bene sotto la gonna ...»; «Sono la principessa sul pisello ... si sfilò il vestito di merletti e fili d'oro e lo consegnò a Zaff. «Farai la principessa col pisello, e che nessuna fiati» ... Zaff indossò il vestito. Il segreto per vivere per sempre felici e contenti: Essere ciò che sentiamo di essere senza vergognarsi mai.»; «Ciao Zaff. Come va la tua nuova vita da principessa ? Bene ... Pensi che farai la principessa per molto tempo ? ... Sicuramente finché ne avrò voglia» (a cura dell'Associazione Menabò – comune di Cagliari);
   25 mila studenti di 50 scuole secondarie di primo e secondo grado del Lazio, sono stati oggetto di un progetto analogo. Tra le scuole coinvolte si segnalano la scuola media «Fabrizio De André» il liceo classico Statale «Aristofane» l'I.T.C.G. Statale «C. Matteucci» l'I.I.S.S. «Roberto Rossellini», il liceo Artistico Statale «Via di Ripetta», l'I.I.S «Pacinotti Archimede», il liceo Classico Statale «Terenzio Mamiani», il liceo classico statale «G. Guarenghi» si tratta del progetto «Promozione dei diritti umani e alla lotta all'omofobia – Rainbow» mette in connessione associazioni gay e lesbiche europee, scuole e professionisti dei medi attraverso lo studio degli stereotipi e promuove il diritto di bambini e bambine, ragazze e ragazzi alla loro identità – con particolare riferimento al genere e all'orientamento sessuale – aiutandoli a contrastare l'omofobia con l'uso di strumenti didattici». In esso si legge: «Le prescrizioni sociali sul genere (ruoli di genere) amplificano quindi le differenze tra maschi e femmine, che non sono però mai «universali». L'idea dunque che si debba aderire a tale modello per essere «normali» è un ostacolo alla piena realizzazione di chi per qualsiasi ragione non vi si riconosce. Tra le aspettative sociali relative all'essere maschi e femmine, l'eterosessualità ... è forse la più forte». ... «Gli stereotipi relativi al genere (essere maschio o femmina) condizionano la nostra educazione sin dalla nascita anche in riferimento alle emozioni. Nascere femmina spesso significa essere educata ad un maggiore contatto con i propri sentimenti». ... «È importante riconoscere questa discriminazione sociale ... contrastarla e superarla, dando visibilità ai tanti esempi di matrimonio omosessuale e di famiglie omogenitoriali» (promossa dalla Giunta regionale del Lazio);
   presso 45 classi di scuola dell'infanzia del Friuli Venezia Giulia nel marzo 2015 è stato avviato il Progetto «Gioco del rispetto – Pari e dispari»: kit ludico didattico che prevede che i bambini si travestano con abiti tipici dell'altro genere e nominino i rispettivi genitali. Secondo l'Associazione Goap, partner dell'iniziativa, bisogna agire «precocemente sulle nuove generazioni offrendo loro modelli più egualitari e liberi dagli stereotipi di genere». I travestimenti, «anche con vestiti normali, da maschio e femmina» caratterizzano il gioco «Se fossi» per piccoli dai 3 a 6 anni. Si prevede «lo scambio di ruoli tra tutti i componenti della scuola: i bambini con le bambine (scambiandosi i vestiti laddove è possibile e imitandosi), la maestra con i bambini e viceversa». Nel gioco «Se io fossi te: un po’ diversi un po’ uguali, l'importante è che siamo pari», ai bambini di 5/6 anni si presenta il gioco del dottore: «i bambini/e (che) possono esplorare i corpi dei loro compagni/e (...) ovviamente i bambini/e possono riconoscere che ci sono delle differenze fisiche che li caratterizzano, in particolare nell'area genitale». Per questo bisogna «nominare senza timore i genitali maschili e femminili» (promosso dal comune di Trieste);
   nel dossier si segnala inoltre che favole per bambini ispirate alle tematiche gender si trovano in centinaia di biblioteche (in particolare biblioteche comunali), nei settori per l'infanzia. Al seguente link è possibile trovare una lista parziale di biblioteche in cui si possono trovare i libri indicati nell'elenco sottostante: http://www.notizieprovita.it/wp-content/uploads/2015/03/biblioteche-comunali–libri-gender. pdf;
   il comma 16 della legge 107 del 2015, cosiddetta «La Buona Scuola», fa riferimento tra gli altri al regolamento del Parlamento europeo n. 1381/2013 riguardante misure per evitare le discriminazioni di genere;
   le teorie gender introducono l'idea che il sesso che «siamo» può non coincidere con il «genere» che possiamo divenire. In altri termini: possiamo nascere donne e divenire uomini o, viceversa, possiamo nascere uomini e divenire donne. Insomma, la natura è irrilevante; ciò che conta è come ci «sentiamo» e soprattutto come «vogliamo» essere;
   ad oggi tutti i tentativi di diffusione della cultura gender nell'ambito dell'autonomia scolastica, vengono fatti sulla base dell'articolo 5, comma 2, lettera c) del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, (legge contro la violenza di genere) che tra le sue pieghe contiene la possibilità per gli insegnanti di educare gli alunni alla cultura gender, attraverso libri di testo all'uopo predisposti fin dalla scuola dell'infanzia;
   di recente, a seguito delle pressioni dell'opposizione e anche di parte dell'attuale maggioranza di Governo, il Ministro dell'istruzione si è impegnato affinché in nessuna scuola vengano proposti argomenti di questo tipo, senza specifico consenso scritto dei genitori, unici responsabili dell'educazione dei propri figli;
   apprendiamo che l'UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) del Dipartimento delle pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri si sarebbe fatto promotore di alcuni progetti per la diffusione della cultura gender anche con la produzione di opuscoli, pubblicazioni e materiale educativo poi fatti ritirare in quanto privi dell'assenso del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   a giudizio degli interroganti i compiti dell'UNAR, secondo quanto voluto dalla legge e riportato dal sito istituzionale del medesimo, si dovrebbero limitare unicamente a ciò che attiene alla discriminazione in base alla razza e all'etnia; quindi di fatto l'UNAR avrebbe usato fondi pubblici per occuparsi di argomenti che sarebbero al di fuori del proprio incarico istituzionale senza l'assenso del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   se quanto riportato nel dossier dell'Associazione PRO VITA corrisponda al vero;
   in caso affermativo, se il Governo sia a conoscenza di questi programmi scolastici, e quale siano i suoi orientamenti in merito; inoltre se intenda porre in essere iniziative urgenti per bloccare ed evitare il proliferare di tali progetti;
   se il Presidente del Consiglio intenda, una volta per tutte, prendere una posizione definita sull'argomento, dando conseguentemente indicazioni precise all'UNAR, affinché questo ufficio non travalichi costantemente gli ambiti attinenti la propria attività istituzionale;
   a quanto ammontino i costi per i progetti ed il materiale prodotto dall'UNAR senza il consenso del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, se siano state accertate eventuali responsabilità e quali conseguenti azioni la Presidenza del Consiglio abbia posto in essere;
   se intenda valutare la possibilità di assumere iniziative per la chiusura dell'UNAR o perlomeno stabilire linee precise di azione dalle quali non discostarsi;
   in ultimo, alla luce della risposta al question time in Commissione VII n. 5-6668 svoltosi il 14 ottobre 2015 se risponda al vero il coinvolgimento da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dell'Avvocatura dello Stato, al fine di procedere alla denuncia della suddetta associazione e di altre, per aver diffuso notizie non veritiere in merito ad eventuali iniziative delle scuole italiane volte alla diffusione e promozione della «cultura gender». (4-10840)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TIDEI, MICCOLI, CARLONI, FOSSATI, ZAMPA, CHAOUKI, CENSORE, ZAN e LAFORGIA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   l'11 ottobre 2015 la Corte rivoluzionaria di Teheran ha condannato in primo grado a sei anni di carcere e 223 frustate il regista curdo iraniano Keywan Karimi. L'accusa è di aver offeso le istituzioni sacre dell'Iran;
   la vicenda giudiziaria di Karimi inizia il 14 dicembre 2013 quando venne prelevato da agenti di polizia che irruppero senza mandato nella sua abitazione, arrestandolo e portando via gli hard disk dei suoi computer e altro materiale. Portato nel carcere di Evin, dove viene interrogato e tenuto in isolamento per due settimane;
   le «prove» dell'offesa alle istituzioni sacre iraniane sarebbero, secondo le autorità della Repubblica Islamica, quelle recuperate negli hard disk. In particolare un videoclip musicale lasciato a metà e un documentario intitolato «Scrivere sulla città sull'uso dei graffiti come mezzo di comunicazione politica dalla rivoluzione islamica del 1979 alla rielezione di Mahmoud Ahmadinejad nel 2009», peraltro mai proiettato e di cui è disponibile solo il trailer su YouTube;
   il 26 dicembre 2013, Keywan Karimi venne rilasciato su cauzione. Tra il marzo 2014 e il settembre 2015, il regista si è presentato in tribunale otto volte per fornire le prove in sua difesa. Il 22 settembre è stato condannato con l'accusa di aver insultato l'Islam a due anni di carcere e 90 frustate. L'11 ottobre viene a conoscenza, mediante una lettera ufficiale inviatagli dalle autorità giudiziarie islamiche, che la sua condanna è di 6 anni e 223 frustate;
   il legale di Karimi ha presentato una richiesta di appello, ma la decisione definitiva potrebbe arrivare nel giro di alcune settimane –:
   quale sia la posizione del Governo rispetto alla vicenda sommariamente descritta in premessa;
   se il Governo abbia intenzione, autonomamente o coordinandosi con la rappresentanza dell'Unione europea, di compiere i necessari passi diplomatici presso il Governo iraniano per promuovere il rilascio del signor Karimi, in quanto prigioniero di coscienza, detenuto esclusivamente per il pacifico esercizio dei suoi diritti alla libertà di espressione;
   se intenda il Governo avviare con le autorità iraniane un dialogo utile ad affrontare la situazione dei diritti umani in Iran, in vista della fine delle sanzioni e della ripresa delle attività commerciali anche con il nostro Paese. (5-06745)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SCUVERA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sul progetto di autostrada proposto dalla società Sabroin, il cosiddetto «Broni-Mortara», che dovrebbe collegare la A21 «Torino-Piacenza» all'altezza di Redavalle (in Oltrepò) con la A26 «Genova Voltri-Gravellona Toce» a Stroppiana (in provincia di Vercelli) innestandosi anche con la autostrada A7 «Milano-Genova» nei pressi di Pavia, lo scorso settembre la commissione tecnica del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si è pronunciata dando esito negativo alla valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) –:
   quali iniziative il Governo intenda promuovere affinché l'esito della valutazione di impatto ambientale relativo al tratto autostradale Broni-Mortara venga rispettato e, finalmente, si accantoni un progetto non solo inutile, ma anche dannoso per l'economia locale. (5-06723)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel sito di Mont'e Prama dove sono stati rinvenuti gli straordinari Giganti di Mont'e Prama si continua impunemente ad utilizzare un escavatore ruspa per eseguire in modo a giudizio dell'interrogante maldestro e inaccettabile gli scavi archeologici nel sito;
   da un rilievo fotografico aereo si evidenzia nel dettaglio l'utilizzo dell'escavatore direttamente sopra i manufatti nuragici rinvenuti nell'area;
   si tratta di un intervento meccanico che bene rappresenta la violenza con la quale si opera nell'area, come già abbondantemente denunciato con lo sfregio della testa di un gigante e la spaccatura di numerose strutture nuragiche del sito;
   nell'area come è evidenziato dalle foto emerge che nessun archeologo è nell'area e che quindi la stessa ruspa sta operando senza adeguati controlli, cosa che si aggiunge al già grave utilizzo del mezzo nell'area;
   tale lavoro si sta eseguendo in seguito ad un appalto che, ad avviso dell'interrogante è stato assegnato con modalità spregiudicate, come denunciato in altro atto di sindacato ispettivo, a cui sono stati invitati solo poche imprese, con una procedura al limite; gli scavi nella collina dei Giganti di Mont'e Prama sono stati aggiudicati ad una società della Lega Coop;
   si tratta di una società qualificata da ITALFERR Spa e dalla SAIPEM spa e della SAIPEM spa; una società che fa parte integrante del sistema della LEGACOOP di Reggio Emilia;
   il cuore dell'operazione si svolge nella regione del Ministro interrogato;
   in tutta l'operazione emerge un filo rosso ad avviso dell'interrogante davvero inquietante che, se confermato, darebbe davvero un quadro ancora più devastante dell'operazione sui Giganti di Mont'e Prama;
   a presiedere la Archeosistemi, società cooperativa, vincitrice dell'appalto è la tale Lorenza Bronzoni, di Montecchio Emilia;
   si tratta di un filo rosso che ha, però, una prima rilevante certezza: la società a cui è stato aggiudicato il lavoro è direttamente legata alla Lega Coop, ovvero il sistema delle coop rosse;
   su questo sta emergendo un quadro davvero grave per le modalità con le quali il Ministero ha portato avanti questo scellerato progetto che, secondo l'interrogante, ha di fatto escluso gli archeologi sardi a beneficio di quelli della società delle cooperative di Reggio Emilia;
   su questo ennesimo danno contro la Sardegna sarà promossa una durissima mobilitazione per scongiurare quello che appare come uno «scippo»;
   un'operazione che lascia davvero sconcertati per le modalità con le quali si sta portando avanti;
   il sito del Ministero non dà conto delle procedure e ad oggi non è fatto cenno alle modalità di selezione e quelle successive di aggiudicazione;
   è ora di dare luce ai Giganti di Mont'e Prama e dire basta al «buio» di Stato sulla storia millenaria della Sardegna;
   l'atteggiamento ad avviso dell'interrogante inaccettabile dei rappresentanti dello Stato e della stessa regione sulla più affascinante e straordinaria scoperta archeologica nel Mediterraneo non è più tollerabile;
   il lavoro straordinario ed encomiabile degli archeologi delle università di Sassari e Cagliari è quotidianamente svilito senza mostrare un minimo rispetto per quelle scoperte che stanno cambiando i connotati della storia della Sardegna;
   a Mont'e Prama si scava a colpi di ruspa in una delle storie più antiche del mondo;
   tutto questo deve essere impedito –:
   se non ritenga di dover assumere iniziative per bloccare l'uso, a giudizio dell'interrogante indegno, dell'escavatore/ruspa;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per revocare l'appalto e destinare i fondi per gli scavi alle università di Cagliari e Sassari per il prosieguo della campagna di scavi di Mont'e Prama;
   se non ritenga di dover rispettare il ruolo delle università sarde garantendo l'affidamento alle stesse della direzione dei lavori e dell'attività di scavo nel sito;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per l'acquisto delle aree oggetto di campagna di scavi. (5-06746)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   recentemente è entrata in vigore una legge che sottrae la competenza della «tutela dei beni librari» alle regioni. Infatti è stata modificata la precedente disciplina e con la legge 6 agosto 2015 (di conversione del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78) il Ministro ha avocato a sé detta competenza;
   per tutela si intende anche la procedura di rilascio degli attestati di libera circolazione e delle licenze di esportazione necessari, secondo l'ordinamento vigente, per tutti i libri a stampa con più di 50 anni;
   non si è però ancora a conoscenza di quale ufficio, con quale procedura e con che tempistica, dovrà occuparsi della materia e, allo stato attuale, chi deve esportare un libro non sa a chi rivolgersi e come operare;
   ciò sta determinando la drastica fuoriuscita dal mercato globale di tutto il commercio italiano del libro di antiquariato e di larga parte di quello dell'usato;
   a nulla sono valse le lettere alla direzione generale biblioteche, l'appello al Ministro, il coinvolgimento di alcuni influenti giornalisti della carta stampata;
   allo stato attuale non si vedono segnali che possano far presumere ad un rapido sblocco di questa situazione;
   la possibilità di commercio verso l'estero da parte delle librerie, oltre ad essere un diritto costituzionale, costituisce una parte decisiva del loro complessivo fatturato; se questo stato di cose perdurerà porterà, senza il minimo dubbio, alla chiusura delle librerie o alla loro sopravvivenza in uno stato di illegalità;
   se non interverrà presto una norma di attuazione, nessun libro di età superiore ai 50 anni potrà più varcare i confini nazionali, per nessun motivo, di natura privata o commerciale, sia esso un «Albo di Topolino» del 1964 o la prima edizione a stampa della Divina Commedia e per chi si rendesse responsabile di un simile reato, la pena prevista andrebbe da uno ai quattro anni di reclusione;
   il perdurare di una simile situazione di incertezza per gli operatori del settore e per il mercato del libro antico, non può essere configurata in altro modo, a giudizio dell'interrogante, che come, mancata prestazione di un servizio, con i funzionari che continuano a rispondere che risolveranno «a breve» la situazione, incuranti di cosa significhi per un'attività commerciale avere l'inibizione al commercio con l'estero per oltre due mesi e fino a data da destinarsi;
   tale attività ha bisogno di interagire con una struttura competente, responsabile, caratterizzata da tempi certi adatti all'economia del mercato globale in cui oggi si opera –:
   se in Ministro intenda, in tempi brevi, assumere iniziative normative per dare attuazione alla legge 6 agosto 2015, n. 125, o comunque indicazioni precise su come procedere per la libera circolazione e per le licenze di esportazione dei libri antichi, allo scopo di porre fine a questa situazione di incertezza nella quale versano i librai antiquari e tutti gli operatori del settore e qualsiasi privato cittadino che dovesse spedire o portare con sé, fuori dall'Italia, un libro datato. (4-10812)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la mancata valorizzazione e manutenzione e il conseguente progressivo degrado del patrimonio artistico italiano sono il sintomo di un problema assai più generale del nostro Paese, che attiene all'assenza di salvaguardia dei beni culturali e all'incapacità di promuovere le necessarie competenze manageriali per un'adeguata gestione degli stessi;
   l'arte e la cultura rappresentano oggi asset distintivi e competitivi fondamentali per il made in Italy. La rete dei beni culturali – costituita in Italia da 3.800 musei e 1.800 aree archeologiche – è in grado di creare un «indotto» (turismo, enogastronomia, produzioni artigiane, edilizia di riqualificazione) che produce un valore aggiunto di 167 miliardi di euro e assorbe 3,8 milioni di occupati, senza contare che negli ultimi anni il settore ha registrato una crescita mediamente superiore al totale dell'economia, anche in termini di occupazione;
   anche questo settore è interessato oggi dai profondi mutamenti strutturali del mercato del lavoro, che portano sempre più ad esternalizzare i servizi presenti nei siti museali ed archeologici;
   il Ministro interrogato ha in programma, entro il primo semestre del 2015, di completare l'organizzazione del Ministero da lui guidato, con la pubblicazione dei bandi per i servizi aggiuntivi dei musei;
   il programma è stato sviluppato insieme alla CONSIP, è denominato «La cultura delle gare nelle gare per la cultura» e prevede tre linee di sviluppo per il rilancio dell'offerta culturale e della qualità dei servizi nei musei italiani: gare di appalto per i «servizi gestionali» (manutenzione, guardaroba, igiene e altro); il «servizio di biglietteria nazionale» (la previsione è quella di creare un servizio di biglietteria, prenotazione e prevendita che venga utilizzato da tutti i musei statali e, volendo, disponibile anche per gli enti locali); infine, i servizi culturali (noleggio audio guide, visite guidate, laboratori, didattica e altro);
   il progetto, rendendo più attraente e competitiva l'offerta culturale dei musei italiani, è condivisibile, anche se per una piena valutazione dell'iniziativa, bisognerà verificare le condizioni di trasparenza delle procedure e di effettiva applicazione delle disposizioni in materia di appalti e concorrenza, visto che l'esperienza italiana insegna che bisogna tenere alto il livello di vigilanza in materia;
   i musei e monumenti, spesso perennemente in deficit, sono remunerativi solo per le società private concessionarie di servizi aggiuntivi che operano in base a concessioni in passato spesso discutibili e lesive del principio della libera concorrenza;
   la Corte dei Conti ha ritenuto che le percentuali attribuite alle società private sui biglietti siano spropositate; in generale non si può superare il tetto del 30 per cento, ma in taluni casi su 10 euro di biglietto, 7,75 vanno alle società di servizi e 2,25 al polo museale, più del 70 per cento;
   sulle prenotazioni dei biglietti non ci sono royalty per lo Stato e non ce ne sono neppure sulle audio-guide e sulle visite guidate e questo francamente è incomprensibile, visto che i vantaggi si hanno grazie allo sfruttamento a fini economici di un monumento il cui restauro e la cui manutenzione sono effettuati con denaro pubblico;
   dal 2009 quasi tutti i contratti per i servizi aggiuntivi erano scaduti e sono stati prorogati contro ogni norma nazionale ed europea sulla concorrenza. La situazione, infatti, era stata severamente criticata dall'Antitrust e dalla Unione europea. L'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici aveva sollecitato interventi per sanare svariate irregolarità;
   il 31 luglio 2015 è stato lanciato da Consip il bando per l'affidamento di servizi gestionali e operativi (facility management). Si tratta della prima gara avviata nell'ambito del progetto di collaborazione tra Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo e Consip, che ha l'obiettivo di assicurare meccanismi trasparenti ed efficienti per gli affidamenti dei servizi da svolgere nei nuovi musei autonomi, nei poli museali regionali e negli altri luoghi di cultura gestiti dagli enti locali;
   il termine per ricezione delle offerte è previsto per il 19 novembre 2015 alle ore 12:00;
   il valore complessivo del bando, suddiviso in nove lotti territoriali, è di 640 milioni di euro e i contratti che deriveranno dalla Convenzione aggiudicata avranno durata di quattro o sei anni. La convenzione rimarrà in vigore per 24 mesi (più eventuali 12 di proroga);
   obiettivo del progetto sarebbe quello di porre fine al periodo delle proroghe delle concessioni dei servizi aggiuntivi nei luoghi della cultura, con un nuovo modello gestionale che prevede la cooperazione tra le migliori risorse pubbliche e private, per garantire la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale della Nazione;
   si spera davvero che ci sia un punto di svolta nella gestione degli appalti, per non dover più assistere a quanto per anni è successo a Roma nell'assegnazione di molti dei servizi del comune, alla colossale corruzione che stava alla base di tutti gli appalti –:
   se il Ministro intenda assumere iniziative per assicurare la gestione in piena trasparenza e regolarità delle gare d'appalto per i servizi aggiuntivi museali;
   se il Ministro intenda prendere, fin da ora, l'impegno di non procedere a continue proroghe della scadenza dei contratti per la gestione di questi appalti, «bad practice» attuata fino ad oggi nella gestione dei servizi nei poli museali;
   se il Ministro intenda assumere iniziative per rendere disponibili on line sul sito istituzionale del Ministero le convenzioni con i privati per la gestione dei servizi aggiuntivi museali, visto che si tratta di beni dello Stato e quindi i cittadini hanno il diritto di sapere tutto sulla gestione degli stessi. (4-10820)


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Castello di Miramare ed i 22 ettari del parco di pertinenza, fortemente voluti nel 1856 da Massimiliano d'Asburgo, fratello dell'Imperatore d'Austria, rappresentano la principale attrazione turistica di Trieste e tra le maggiori visitate della regione Friuli Venezia Giulia. Il parco, però, è da diversi anni in uno stato di totale abbandono e degrado;
   in data 4 gennaio 2012, sono stati sottoscritti l'accordo di programma ed un finanziamento congiunto Stato-regione per il restauro e la valorizzazione del parco di Miramare, con l'apporto di un finanziamento di un milione e ottocentomila euro complessivi (1,2 milioni di euro stanziati dallo Stato e 0,6 milioni di euro dalla regione). In esecuzione di tale accordo, erano state eseguite opere di scavo del «parterre», l'asportazione delle piante morte, il rifacimento delle aiuole e il taglio di alberi per complessivi 99.991,82 euro, esclusa l'IVA;
   l'interrogante ha già affrontato l'annosa e spinosa questione delle condizioni del parco con diverse interrogazioni: la n. 4-00897, presentata in data 18 giugno 2013, all'allora Ministro competente Massimo Bray, con la quale si sollecitava un confronto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo: con gli enti locali per stabilire un piano di recupero per il Castello ed il parco di Miramare; la n. 4-08760 del 13 aprile 2015, in cui si chiedevano, oltre ai motivi dei ritardi in merito all'utilizzo dei finanziamenti previsti dall'accordo di programma sottoscritto il 4 gennaio 2012, di accelerare le opere di recupero del sito; la n. 5-06613, dell'8 ottobre 2015, con cui si chiedeva un intervento dell'Esecutivo finalizzato ad impegnare i fondi disponibili per bonificare il parco e a valutare l'offerta, che sarebbe pervenuta dai discendenti degli Asburgo, di finanziare le opere di sistemazione;
   le indecorose condizioni dei giardini sono costantemente oggetto di attenzione da parte dei cittadini attraverso i social network, oltre che degli organi di informazione. Nell'agosto 2015 una mostra intitolata «Il parco di Miramare e le condizioni di degrado», organizzata dalla sede di Trieste di Italia Nostra e dall'Associazione Orticola del Friuli Venezia Giulia e curata dall'ing. Stefania Musco, con un'accurata ricerca storica ha posto un'ulteriore accento sullo stato del parco. L'amministrazione comunale, attraverso gli organi preposti, ha in diverse occasioni cercato un dialogo con la competente Soprintendenza per i beni e le attività culturale;
   infatti, da un articolo del quotidiano il Piccolo del 23 agosto 2015, si apprende che il 7 novembre 2014, i consiglieri comunali di maggioranza ed opposizione abbiano presentato una richiesta di convocazione della quarta commissione consiliare del comune di Trieste per un'audizione dei funzionari responsabili della gestione del sito;
   si apprende che Manuel Zerjul, presidente della terza commissione consiliare, a cui è passata la questione, negli scorsi mesi abbia inoltrato al Soprintendente Caburlotto diverse e-mail di richiesta di un incontro; per risposta, il dirigente ministeriale avrebbe declinato l'invito, adducendo come motivazione il clima poco favorevole venutosi a creare a livello istituzionale;
   inoltre, da un articolo pubblicato su Il Piccolo, si apprende che Caburlotto, nominato direttore del Polo Museale del Friuli Venezia Giulia, invitato ad un sopralluogo organizzato e voluto dalla terza commissione consiliare presso il parco di Miramare l'8 ottobre 2015, non abbia partecipato senza giustificare la sua assenza;
   il sopralluogo, è stato effettuato comunque, così riferisce l'articolo, al «parterre», trovato in pessime condizioni, e alle aree delle serre storiche, interessate da lavori di recupero e trasformazione in centro turistico e ricreativo: quest'ultimi, iniziati il 16 marzo sarebbero dovuti terminare a metà novembre, ma lo stato di avanzamento farebbe pensare ad uno slittamento dei termini;
   il presidente Zerjul, da quanto riportato dal quotidiano, avrebbe dichiarato di essere intenzionato ad inviare un dossier su quanto accaduto sia alla regione Friuli Venezia Giulia che al Ministero competente, nel «tentativo di smuovere l'inaccessibile burocrate che pure il 2 settembre 2015, era diligentemente al fianco del Ministro Franceschini e della Governatrice Debora Serracchiani» in occasione della visita del Ministro a Trieste –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente di quanto esposto in premessa;
   se non ritenga di assumere iniziative affinché siano ripristinati i rapporti istituzionali tra la Soprintendenza e gli organi amministrativi comunali;
   quali iniziative urgenti intenda adottare per garantire la collaborazione degli organi periferici del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo con le istituzioni locali in particolare per quanto riguarda la delicata questione del Castello e del parco di Miramare;
   quali siano i termini temporali previsti per la redazione del piano progettuale per il parco richiesto al direttore Caburlotto in occasione della visita, il 2 settembre 2015, del Ministro Franceschini a Trieste. (4-10833)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IV Commissione:


   FRUSONE, PAOLO NICOLÒ ROMANO, MASSIMILIANO BERNINI, RIZZO, BASILIO, CORDA, TOFALO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 2 marzo 2015, durante la messa in onda di un programma televisivo di informazione giornalistica (TG La7 delle ore 20.00), sono state rese pubbliche delle immagini riportanti i dati di volo di alcuni aeromobili tra i quali veniva evidenziato quello utilizzato dal Presidente del Consiglio dei ministri sulla tratta Firenze-Roma che, nella stessa mattinata aveva effettuato un atterraggio di emergenza in un campo sportivo a Badia al Pino in provincia di Arezzo;
   da fonti di stampa è possibile apprendere che, a seguito della citata trasmissione televisiva, veniva avviata un'inchiesta; inoltre, con riferimento a tale inchiesta, si apprende che il segretario del Partito per la tutela dei diritti dei militari e forze di polizia (Pdm) ha dichiarato che: «Sicuramente da Palazzo Chigi qualcuno aveva chiesto la testa del responsabile di quello che evidentemente è stato ritenuto un vero e proprio reato di “lesa maestà”»;
   da informazioni diffuse sul web, il 20 ottobre 2015, è stato possibile apprendere che la citata inchiesta avrebbe riguardato «tre dei militari presenti in servizio presso la sala operativa del Distaccamento Aeroportuale di Brindisi» e che si «sarebbe conclusa senza che sia stato possibile attribuire ad alcuno dei presunti colpevoli la effettiva responsabilità della divulgazione delle informazioni sul volo del velivolo utilizzato da Matteo Renzi il 2 marzo scorso» e che uno dei tre militari sarebbe già stato «pesantemente sanzionato con la privazione della libertà per due giorni»;
   consta agli interroganti che i procedimenti disciplinari avviati a seguito della conclusione della citata inchiesta sarebbero tre, di cui uno già concluso, appunto, con l'irrogazione della sanzione disciplinare della consegna di rigore, ovvero con la privazione della libertà, mentre i restanti si svolgeranno nei prossimi giorni;
   consta altresì agli interroganti che i tre sottufficiali in questione abbiano sempre mostrato attaccamento alla divisa e siano unanimemente considerati ottimi militari, riportando costantemente valutazioni eccellenti ed il plauso dei diretti superiori;
   sui voli del Presidente del Consiglio e su quelli dei Ministri, compreso il Ministro della difesa (ma basta consultare i sintetici report mensilmente pubblicati sul sito del Governo per rendersi conto che non sono i soli a fare un uso estremamente disinvolto dei voli di Stato, come, ad esempio, fa anche il Ministro dell'interno sulla tratta Roma-Catania-Roma, quasi ogni fine settimana), dati i precedenti e i costi spropositati, aumentati anche grazie all'ultima decisione del Presidente del Consiglio Renzi relativa al nuovo aereo AirBus A340, c’è una legittima sensibilità della pubblica opinione che richiederebbe una maggiore trasparenza e disponibilità delle istituzioni nel dare il massimo delle informazioni come, ad esempio, la pubblicazione integrale degli atti che costituiscono il presupposto alla concessione dell'autorizzazione all'uso del volo di Stato secondo la vigente normativa. Invece si sta procedendo, a giudizio degli interroganti, con una generica e ingiusta caccia ai colpevoli ad ogni costo attribuendo sempre ad avviso degli interroganti arbitrariamente, la divulgazione delle notizie a personale la cui responsabilità è consistita solamente nell'essere presenti in attività di servizio nel medesimo giorno del fatto e nella stessa sede da cui l'autorità militare ritiene siano state divulgate le notizie, che già i mezzi di informazione avevano reso noto con i Tg delle 13.00 –:
   se il Governo ritenga accettabile per un Paese che si definisce democratico l'uso di un metodo che appare agli interroganti contrario ai principi dell'ordinamento italiano e che, a giudizio degli interroganti in assenza dell'individuazione di un responsabile certo, sembra proteso con ogni sforzo a colpire in modo indiscriminato e alquanto generico chi il 2 marzo 2015, per il solo fatto di essere in servizio, si trovava presso la sala operativa Radar/APP del distaccamento aeroportuale di Brindisi, e conseguentemente quali immediate iniziative intenda avviare per riparare il danno arrecato ai tre militari. (5-06747)


   DURANTI, SCOTTO, PIRAS, MARCON e PALAZZOTTO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è impegnata nella missione a guida NATO Resolute Support in Afghanistan con 760 soldati (una sessantina a Kabul, il resto di stanza ad Herat) ed un impegno finanziario di 185.024.243 euro per il 2015;
   la partecipazione alla missione dovrebbe concludersi a fine 2015 come dichiarato più volte dal Ministero della difesa ed annunciato dalla stessa Ministra Roberta Pinotti, che, nel corso di un intervento alle Commissioni esteri e difesa di Camera e Senato del 14 dicembre 2014, dichiarava: «Alla fine di ottobre 2015, quindi, terminerà la nostra presenza nell'area di Herat e rientrerà gran parte del contingente. (...) A fine anno, secondo le attuali pianificazioni, rimarranno in Afghanistan, nell'area della capitale, circa 70 nostri militari. Per effetto di questa pianificazione, nel corso del 2015 la presenza media dei nostri militari si attesterà su 500 unità. Relativamente agli oneri per l'anno 2015, prevediamo un impegno di circa 160 milioni di euro tratti del Fondo per le missioni internazionali inserito nella legge di stabilità»;
   il «decreto proroga missioni», varato dal Governo il 12 ottobre 2015, ma non ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale nonostante le missioni del precedente decreto scadessero il 30 settembre, quindi confermando una deprecabile consuetudine che non permette al Parlamento di esercitare i suoi poteri di indirizzo, controllo e decisione sulle missioni stesse, confermerebbe in toto il contingente fino al 31 dicembre, quindi smentendo le previsioni fatte dalla Ministra;
   in data 19 ottobre 2015 il generale americano Philip Breedlove in una intervista alla Reuters ha spiegato che «diversi dei nostri più importanti contributori ci hanno già comunicato che rimarranno con i livelli attuali» in risposta alla decisione analoga assunta dall'amministrazione del presidente Usa Barack Obama;
   nella stessa data, un alto funzionario della NATO, citato sul sito della Reuters, riferiva che i Paesi a cui si riferiva Breedlove erano Germania, Italia e Turchia i quali hanno preso l'impegno di mantenere le truppe in Afghanistan «ai livelli attuali»;
   sempre in data 19 ottobre un comunicato del Ministero della difesa smentiva le dichiarazioni: «Nessuna comunicazione è stata inoltrata alla stessa Nato circa la proroga della presenza del contingente italiano in Afghanistan. L'Italia sta valutando una richiesta del Governo americano di proseguire la missione. Al momento, quindi, non è stata presa alcuna decisione. Così come è altrettanto chiaro che ci sarà un percorso parlamentare»;
   tuttavia un lancio dell'agenzia di stampa ANSA diramato qualche minuto dopo il comunicato del Ministero testualmente riportava: «Ai piani alti della Difesa confermano – con tutte le cautele connesse al passaggio parlamentare che dovrà sancire il prolungamento della missione – le dichiarazioni fatte oggi a Trapani dal generale a quattro stelle americano Philip Breedlove, comandante della Nato in Europa, secondo cui l'Italia, al pari di Germania e Turchia, è disposta a mantenere il suo impegno militare in Afghanistan gli attuali livelli»;
   in realtà il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, aveva già anticipato in data 16 ottobre, ossia all'indomani delle dichiarazioni del presidente Obama, che: «Se la missione americana in Afghanistan prosegue, penso sia giusto che anche da parte nostra ci sia un impegno. Stiamo ragionando sull'ipotesi di proseguire nel nostro impegno. Stiamo discutendo la richiesta dei nostri amici e partner americani. Avete sentito tutti cosa ha detto il presidente Obama»;
   in linea con il dettato costituzionale, la decisione se partecipare o prorogare missioni internazionali in cui il Paese è impegnato spetta al Parlamento, a cui non è demandato un semplice ruolo di ratifica di decisioni prese in altri ambiti –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato rispetto a quanto esposto in premessa e a quanto aveva precedentemente dichiarato e, in particolare, se non intenda fornire informazioni circa lo stato di avanzamento e gli obiettivi raggiunti dalla missione Resolute Support per permettere al Parlamento di decidere se prorogare o meno la missione in questione. (5-06748)


   VITO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere quali iniziative di competenza intenda assumere per il rientro in Italia di Salvatore Girone, che venerdì 23 ottobre 2015 sarà costretto a trascorrere ingiustamente anche il suo quarto compleanno consecutivo in India. (5-06749)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   PESCO, VILLAROSA, ALBERTI, FICO, RUOCCO e PISANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è in costante crescita il mercato degli affitti brevi ovvero le locazioni per brevi periodi (a volte anche di una sola notte) di case o appartamenti e porzioni di esse, praticate dai proprietari in forma privata e non imprenditoriale; il settore interessa diverse categorie di soggetti: dal semplice possessore di un immobile che vuole renderlo produttivo senza ricorrere alle tradizionali forme di affitto a chi, soprattutto in conseguenza della crisi economica degli ultimi anni, cerca di arrotondare il proprio reddito affittando una stanza della propria casa in occasione di eventi particolari; in tutti questi casi, la locazione breve del proprio immobile rappresenta una sicura e concreta fonte di guadagno; i dati ISTAT, relativi all'ultima rilevazione annuale (riferita all'anno 2012) contano oltre nove milioni di presenze presso «esercizi ricettivi diversi da quelli tradizionali»; numeri significativi, insomma (considerato che gli alloggi in affitto gestiti in forma imprenditoriale nonché i tradizionali bed & breakfast hanno visto presenze per complessivi 18.288.521), e che confermano le potenzialità economiche di tale settore;
   questa nuova forma di ricettività rappresenta, dunque, un nuovo ed efficiente volano turistico e crea un doppio vantaggio sia per l'economia del Paese, che vede ampliato il proprio indotto legato al turismo, sia per i proprietari fondiari che in questo periodo congiunturale hanno la possibilità di incrementare i propri redditi concedendo in affitto le proprie case o porzioni di esse;
   sul piano fiscale, i compensi derivanti dalle locazioni brevi andrebbero indicati in dichiarazione dei redditi e sottoposti a tassazione IRPEF; al riguardo, come di recente precisato dall'Agenzia delle entrate, è ammessa l'applicazione della cedolare secca e dunque l'applicazione dell'imposta sostitutiva nella misura del 20 per cento (15/10 in caso di canone concordato);
   sussistono tuttavia non poche difficoltà nel controllo e verifica della regolare dichiarazione dei detti compensi; l'insussistenza dell'obbligo di registrazione del contratto (previsto solo per i periodi di locazione superiori ai 30 giorni), consente al proprietario locatore di evadere le imposte omettendo di dichiarare al fisco le entrate conseguenti alla locazione dell'immobile;
   se da un lato, dunque, il settore degli affitti a breve merita di essere incentivato e sviluppato, rappresentando esso una valida fonte reddituale soprattutto in un periodo di crisi quale quello attuale, al contempo non può prescindersi dall'individuazione di validi strumenti diretti a garantire adeguati controlli sul piano fiscale, dell'ordine pubblico e della leale concorrenza; in tale direzione, un efficace contributo potrebbe allora derivare non solo da una chiara regolamentazione giuridica delle locazioni brevi (ad oggi sottratte sia alla disciplina delle locazioni ordinarie di cui alla legge n. 431 del 1998 sia alle regole previste per l'esercizio dell'attività in forma imprenditoriale), ma soprattutto dalla individuazione di misure di controllo e di prelievo che vedono il coinvolgimento anche di soggetti terzi (quali potrebbero essere le stesse piattaforme di prenotazione online o le agenzie specializzate che supportano il proprietario nella locazione del proprio immobile): si pensi all'introduzione dell'obbligo per gli intermediari di operare una ritenuta alla fonte a titolo d'imposta sulle somme girate ai proprietari a titolo di canone di locazione; alla previsione di modalità di pagamento attraverso banche e sportelli postali che agiscano da sostituto d'imposta prelevando, sull'importo del solo canone, come ritenuta a titolo di imposta sostitutiva, una cedolare secca del 10 per cento (che sulla sola base dei dati Istat 2012, ipotizzando una spesa media pari ad euro 100 e trascurando cautelativamente l'espansione di questo mercato, potrebbe garantire un gettito fiscale non inferiore ai 100 milioni di euro) –:
   quale sia il gettito conseguente dalle locazioni brevi di immobili ad uso abitativo rilevate in Italia (specificando in particolare la base imponibile e l'imposta in relazione all'IRPEF ordinaria e alla cedolare secca nella misura del 20, 15 e 10 per cento) e quali effetti finanziari in termini di gettito conseguirebbero se si applicasse un'imposta sostitutiva dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e delle relative addizionali nella misura fissa del 10 per cento del canone di locazione stabilito dalle parti, nonché se ritenga in ogni caso proficui in termini di gettito l'applicazione di un'imposta sostitutiva in misura fissa e l'obbligo per gli intermediari di operare una ritenuta alla fonte a titolo d'imposta. (5-06730)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 10 febbraio 2015 la dottoressa Maria Cannata, direttore generale del Ministero dell'economia e delle finanze è responsabile del debito pubblico, audita presso la Commissione finanze nell'ambito di un'indagine conoscitiva sui cosiddetti contratti «derivati», ha dichiarato che i contratti derivati sottoscritti dal Ministero dell'economia e delle finanze presentavano al 31 dicembre 2014 un mark-to-market stimato in 42 miliardi di euro;
   la valutazione di uno strumento derivato è definita in termini tecnici «mark-to-market» e consiste nell'attualizzazione dei flussi futuri stimati in funzione delle attuali condizioni di mercato;
   una corretta valutazione nella gestione dei derivati può essere effettuata soltanto correlando il costo sostenuto per i contratti al costo sostenuto per gli interessi sul debito sottostante, e poiché il costo dei derivati tipicamente sottoscritti dal Ministero dell'economia e delle finanze cresce quando scendono i tassi di interesse, e diminuisce quando gli stessi crescono, il risultato conseguito grazie ai derivati è di contenere il costo della gestione del debito in un perimetro ragionevolmente pianificabile;
   per tali ragioni, per la gestione del debito pubblico questa è una condizione cruciale: nel lungo periodo il vantaggio del contenimento della fluttuazione del costo, grazie alla protezione dall'aumento dei tassi, è superiore all'eventuale beneficio di una riduzione temporanea dei tassi di interesse; il mark-to-market, pertanto, è il valore attuale dei flussi futuri e, pertanto, risente anche delle prospettive dei tassi a breve termine, ossia dal livello dei tassi attesi impliciti nella curva swap corrente, che, a sua volta, dipende anche dall'inclinazione della curva swap stessa;
   secondo un allarme lanciato nei giorni scorsi dall'associazione Unimpresa, in uno studio che descrive i pericoli derivanti dal peso della finanza speculativa in Italia, sia nel settore pubblico sia nel settore privato, le perdite potenziali in derivati sarebbero pari a quasi il 10 per cento del prodotto interno lordo del Paese, registrando un aumento di 2 miliardi e mezzo dei titoli altamente speculativi con un incremento dell'1,66 per cento rispetto al 2014;
   più precisamente, secondo l'analisi dell'associazione, basata su dati della Banca d'Italia a giugno 2015 il totale dei derivati in perdita valevano 160,3 miliardi di euro e corrispondevano al 9,80 per cento del prodotto interno lordo che a fine 2015 si dovrebbe attestare a 1.635,4 miliardi; nel dettaglio, le imprese registrano derivati in perdita per 8 miliardi, le banche per 114,07 miliardi, le assicurazioni e i fondi pensione per 5,7 miliardi, lo Stato centrale per 31,3 miliardi e le amministrazioni territoriali (comuni, province, regioni) per 1,1 miliardi; a giugno 2014 l'ammontare degli derivati in perdita era a quota 157,6 miliardi pari al 9,75 per cento del prodotto interno lordo che nel 2014 si è attestato a 1.616,3 miliardi; nel dettaglio, le imprese registravano derivati in perdita per 7,5 miliardi, le banche per 109,3 miliardi, le assicurazioni e i fondi pensione per 5,4 miliardi, lo Stato centrale per 34,2 miliardi e le amministrazioni territoriali (comuni, province, regioni) per 1,1 miliardi –:
   quali siano, con riferimento al periodo 2015-2016, i contratti derivati in scadenza, e se con riferimento a questi siano state effettuate rinegoziazioni o apposte proroghe di scadenza, quali siano le controparti interessate dagli stessi, quale sia il loro valore attuale di mark-to-market, e quali i relativi risultati positivi o negativi. (5-06731)


   BARBANTI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, è stato indagato, insieme ad altre sette persone, dalla procura di Spoleto per corruzione e truffa in merito alla cessione del Banco Popolare di Spoleto al Banco di Desio e Brianza, autorizzata nel 2014 dai commissari nominati da palazzo Koch;
   nel mese di febbraio 2015 il Consiglio di Stato ha annullato sia il commissariamento del Banco Popolare di Spoleto, sia quello della Cooperativa Spoleto Crediti e Servizi, per cui sono stati promossi ricorsi da parte dei soci della coop (all'epoca controllante dell'istituto di credito) per l'annullamento degli atti dei commissari, compresa la stessa vendita del Banco Popolare di Spoleto;
   la cessione dell'istituto di credito sembra aver generato un grave danno economico per i soci della cooperativa e, secondo quanto denunciato da Carlo Ugolini, presidente di Aspocredit, l'associazione di azionisti della banca, è avvenuta ignorando la ben più vantaggiosa offerta pervenuta dalla Nit Holding Limited di Hong Kong, presentata sul tavolo degli azionisti prima dell'offerta di Banco di Desio;
   fermo restando che i magistrati della procura di Spoleto stanno conducendo un'indagine in merito, il Cicr, in qualità di organismo con compiti di alta vigilanza in materia di credito e di tutela del risparmio, dovrebbe far luce sugli aspetti legati a quella che si configura come una grave mancanza da parte di Banca d'Italia in termini di vigilanza –:
   se non intenda convocare immediatamente il Comitato interministeriale per il credito e risparmio (Cicr), affinché, per quanto di competenza, si attivi per far luce sulla grave vicenda esposta in premessa. (5-06732)


   LAFFRANCO e SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si è appreso dell'iscrizione nel registro degli indagati della procura di Spoleto di Ignazio Visco, Presidente della Banca d'Italia. Dalle notizie emerge che Visco è indagato dal 28 gennaio 2015 per reati gravissimi quali concorso in corruzione, abuso d'ufficio e truffa, e «infedeltà a seguito dazione o promessa di utilità», insieme a sette amministratori e vigilanti della Banca Popolare di Spoleto;
   il contesto è un'inchiesta sul passaggio della Banca Popolare di Spoleto (Bps) al Banco di Desio e della Brianza, a seguito del commissariamento della stessa Bps voluto da Banca d'Italia, poi giudicato «illegittimo» dal Consiglio di Stato;
   il commissariamento della Banca Popolare di Spoleto e della controllante Spoleto Crediti e Servizi era stato confermato dal Ministero dell'economia e delle finanze nonostante l'annullamento da parte del Consiglio di Stato. La Banca d'Italia ha infatti reiterato «ora per allora» le proposte di amministrazione straordinaria al Ministero dell'economia e delle finanze; con i provvedimenti 149 e 150 del 20 aprile 2015, adottati su proposta dell'Istituto centrale, il Ministero dell'economia e delle finanze aveva quindi reiterato i decreti ministeriali di amministrazione straordinaria, con effetto a partire dall'8 febbraio 2013, quando era cominciato il commissariamento, come tra l'altro confermato dal Sottosegretario Zanetti nel corso della discussione di una interrogazione sul medesimo tema presentata dagli interroganti;
   alla luce delle vicende riportate, e della posizione del Governo che ha, in maniera a giudizio degli interroganti come minimo anomala, disposto provvedimenti contrari rispetto alle decisioni assunte dal giudice amministrativo, ci si domanda se sia opportuno rivedere l'attuale disciplina in materia di commissariamenti di istituti bancari, al fine di evitare cortocircuiti di questa natura –:
   se non ritenga, anche alla luce dei fatti riportati in premessa, di valutare l'opportunità di assumere iniziative normative per una revisione del testo unico in materia bancaria e creditizia, in particolare nell'ambito della disciplina dei commissariamenti di istituti bancari. (5-06733)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BALDELLI e SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Equitalia è una società a partecipazione pubblica (51 per cento attribuito all'Agenzia delle entrate ed il 49 per cento all'INPS) che, con decreto-legge n. 203 del 2005, convertito con modificazioni dalla legge n. 248 del 2005, è incaricata della riscossione dei tributi su tutto il territorio nazionale, ad eccezione della Sicilia;
   Acea (azienda comunale energia e ambiente di Roma) è una multiservizi romana attiva nella gestione e nello sviluppo di reti e servizi dell'acqua, dell'energia e dell'ambiente, di cui il comune di Roma detiene il 51 per cento delle quote azionarie;
   Acea Ato 2 è la società operativa del gruppo Acea che gestisce il servizio idrico integrato nell'ambito territoriale ottimale 2 (ATO 2) – Lazio centrale (Roma e altri 111 comuni del Lazio). L'ATO2, con un'estensione territoriale superiore a 5.000 chilometri quadrati, fornisce il servizio idrico integrato a circa 3.600.000 abitanti;
   il 5 dicembre 2014, Equitalia ha vinto la gara d'appalto indetta da Acea per recuperare il proprio credito dagli utenti morosi. Nel mese di gennaio 2015, l'accordo ha iniziato a produrre i suoi effetti, tanto che gli utenti che si trovavano in uno stato di morosità nei confronti di Acea si sono visti interrompere le proprie utenze anche per ritardi di pagamenti di piccole entità;
   successivamente, l'associazione dei consumatori italiani (CODICI) ha presentato ricorso al Tar impugnando il bando di gara indetto dal gestore del servizio idrico integrato (SII) per l'affidamento del servizio di riscossione delle fatture e morosità con iscrizione a ruolo e ingiunzione fiscale. Lo stesso giorno in cui il tribunale amministrativo regionale del Lazio ha inviato la comunicazione dell'udienza pubblica di discussione del ricorso, Equitalia ha rimesso ad Acea la riscossione delle bollette Acea Ato 2;
   la Corte di cassazione, con ordinanza del 5 maggio 2011, ha chiarito che per emettere cartelle esattoriali non è sufficiente la semplice fattura idrica, ma serve un atto idoneo a costituire titolo esecutivo, come il decreto ingiuntivo. Pertanto, la società Equitalia, costituita per riscuotere i tributi pubblici e non i corrispettivi dei privati non può essere competente alla riscossione coattiva dei crediti vantati dalla società Acea Ato2, poiché il canone idrico non è un tributo;
   il Ministro interrogato, con decreto del 16 settembre 2015 (Gazzetta Ufficiale n. 227 del 30 settembre 2015) ha autorizzato la riscossione coattiva mediante ruolo dei crediti vantati dalla Società Acea Ato 2 – Gruppo Acea s.p.a., partecipata da Roma Capitale, nei confronti degli utenti del servizio idrico integrato;
   nel 2014, secondo dati dell'Istat, 1 milione e 470 mila famiglie (5,7 per cento di quelle residenti) versa in condizione di povertà assoluta, per un totale di 4 milioni 102 mila persone (6,8 per cento della popolazione residente);
   la stessa Equitalia, nel 2014, ha comunicato che circa 1 milione e 850 mila italiani hanno difficoltà a pagare le tasse arretrate o a saldare i conti con gli enti che affidano ad Equitalia la riscossione di quanto dovuto, tanto che la rateizzazione si conferma lo strumento più utilizzato dai contribuenti per pagare le cartelle;
   alla luce dei dati riportati, il decreto adottato dal Ministero dell'economia e delle finanze mostra tutta la sua inadeguatezza sia in relazione alla vicenda già verificatasi in precedenza, sia a fronte della grave crisi economica che affligge numerose famiglie italiane –:
   se il Ministro interrogato intenda fornire dati certi relativi all'ammontare dei crediti vantati dalla società Acea Ato 2 – Gruppo Acea s.p.a., e se, alla luce di quanto riportato in premessa, e consapevole delle conseguenze disastrose che l'intervento di Equitalia potrebbe avere sulle famiglie soggette a riscossione, non intenda rivedere l'autorizzazione prevista dal decreto del 16 settembre 2015 circa la riscossione coattiva mediante ruolo dei crediti vantati dalla società Acea Ato 2 – Gruppo Acea s.p.a., considerato che l'obiettivo principale della società in questione dovrebbe essere quello di fornire servizi pubblici essenziali a tutti i cittadini. (5-06741)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da organi locali di stampa si apprende che le sedi territoriali dell'Agenzia delle entrate di Mirabello, frazione di Cantù, ed Erba saranno chiuse entro la fine dell'anno per essere accorpate alla sede provinciale di Como;
   una simile misura, presa in una logica di spending review, non tiene però conto degli svantaggi che potrebbe comportare la chiusura dei due uffici territoriali sia in termini di produttività della stessa amministrazione che in termini di disagi arrecati ai cittadini;
   l'assessore ai tributi del comune di Cantù denuncia infatti che la chiusura dell'ufficio avrà sicuramente delle ripercussioni negative in ragione della quantità di aziende che si trovano nel territorio del comune canturino che «perderebbero ogni punto di riferimento»;
   con simili decisioni non soltanto si rischia di non raggiungere gli sperati obiettivi di spending review, ma anche di ingolfare maggiormente un apparato burocratico che già sconta, per sua natura, un ritardo e una congestione cronici. È noto, infatti, come gli uffici molto grandi sono sempre più difficilmente gestibili e causano ricadute negative sui costi e l'efficienza;
   chiudere una sede territoriale così importante aumenterà inoltre in maniera esponenziale le difficoltà dei cittadini, soprattutto nella loro possibilità di poter interagire senza difficoltà con la pubblica amministrazione finanziaria, riversando un ampio numero di utenti nella sede provinciale dove, per ovvie ragioni numeriche, non potranno essere assistiti con la stessa celerità e solerzia –:
   se un simile provvedimento interessi l'intero territorio nazionale o se sia mirato esclusivamente alle sedi territoriali dell'Agenzia delle entrate di Cantù ed Erba e, in questo secondo caso, quali siano le ragioni;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno, tenuto conto dell'ampio bacino d'utenza delle due sedi territoriali e del conseguente ingolfamento della sede provinciale di Como che ne potrebbe derivare, riconsiderare l'utilità, in termini di efficienza ed economicità, come si è specificato in premessa, delle due sedi che si vogliono invece chiudere. (4-10813)


   IMPEGNO, TINO IANNUZZI, PIAZZONI, ROSTAN, BERGONZI e CARLONI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   si apprende la notizia di un'iniziativa avviata dall'Agenzia del demanio per liberare alcuni locali che ha occupato dai primi anni ’50 l'Associazione polisportiva Partenope di Napoli;
   non risulta chiaro lo scopo per il quale l'Agenzia ha intrapreso tale azione, mentre è chiara la funzione che svolge la Partenope, soprattutto in relazione all'aspetto sociale e culturale in un posto centrale della città dove, oltre alla Partenope, non esistono possibilità per i giovani di praticare attività sportiva dilettantistica;
   il danno che si produrrebbe con la chiusura dell'associazione è un danno soprattutto al territorio e alla città, in quanto la Polisportiva Partenope è una realtà viva e pulsante nel cuore della città, con la quale ogni famiglia ne è entrata in qualche modo in contatto. Una grande realtà non solo sportiva ma anche morale e storica, divenuta una vera istituzione la cui opera meritoria va ben oltre i confini dei pur notevoli risultati agonistici, marcando una presenza ed un impegno costante in attività di alto valore sociale. Per migliaia di giovani la Partenope ha rappresentato e rappresenta tuttora un imprescindibile punto di riferimento, una palestra di vita e di sport;
   l'Associazione Polisportiva, riconosciuta ente morale con decreto del Presidente della Repubblica n. 4546 dell'11 luglio 1952, occupa quei locali da oltre 60 anni e ivi svolge un ruolo divenuto istituzionale e di vitale importanza per Napoli, ubicata com’è al centro città a ridosso di quartieri cosiddetti «difficili» come il «Pallonetto di Santa Lucia» i «Quartieri Spagnoli», la «Duchesca», la «Maddalena» e «Vasto-Arenaccia» con i quali interagisce quotidianamente ospitando molti ragazzi e giovani abitanti in dette zone, che frequentano i vari corsi di avviamento allo sport. Molti di questi giovani hanno alle spalle famiglie e situazioni difficili, ma, avendo la possibilità di essere accolti presso l'Associazione e praticare sport a livello dilettantistico, imparano il rispetto delle regole della vita in comune e, migliorando il loro status, hanno la possibilità di diventare cittadini migliori. Il palmares dell'Associazione è molto ricco ed è un vanto per Napoli con 150.000 giovani praticanti, 40.000 atleti agonisti, 4 olimpionici, 48 campioni d'Italia, 6 campioni d'Europa, 16 campioni d'Italia nelle categorie giovanili, con 65 atleti che hanno rappresentato l'Italia in competizioni internazionali, 2 scudetti, 8 campionati juniores e un trofeo internazionale under 17 nel rugby, 1 Coppa Italia e 1 Coppa delle Coppe nel basket;
   l'associazione svolge un lavoro costante con l'ASL Napoli 1 in favore dei ragazzi diversamente abili, che partecipano alle attività della Partenope, al fine di consentire un possibile processo di socializzazione e d'autonoma consapevolezza delle proprie attitudini e, successivamente, del proprio ruolo e ospita, per l'attività di educazione fisica, gli alunni delle scuole del quartiere che non dispongono di palestre, e gli allievi della scuola militare «Nunziatella» che praticano pallacanestro e pallavolo ed organizza ogni anno il «Torneo Interaziendale», multidisciplinare, per lavoratori delle aziende napoletane –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non intendano possibile escludere i locali occupati dalla Partenope dal piano di riqualificazione di Palazzo Reale, in considerazione del fatto che i locali utilizzati dall'associazione Polisportiva Partenope sono completamente distaccati dal corpo centrale del Palazzo. (4-10824)


   NACCARATO, CAMANI, MIOTTO, NARDUOLO, ROSTELLATO e ZAN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la Banca popolare di garanzia (in seguito BPG), nata nel 1988 dalla trasformazione in cooperativa bancaria di Interconfidi Nordest (il consorzio fidi della Confindustria di Padova) è stata sottoposta alla procedura di amministrazione straordinaria con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 22 aprile 2009 e sottoposta a liquidazione coatta amministrativa il 16 dicembre 2009;
   la banca aveva accumulato in pochi anni circa 20 milioni di debiti ed era stata, in più occasioni, richiamata dalla Banca d'Italia che nel 2009 aveva preso atto delle numerose anomalie nella gestione della banca, tra le quali le diffuse carenze nell'istruttoria, nell'erogazione, nella gestione e nel controllo del credito;
   la gestione fallimentare della BPG è stata sanzionata per via amministrativa dalla Banca d'Italia che ha disposto sanzioni pecuniarie per complessivi 710 mila euro per gli ex amministratori, Giampaolo Molon, ex amministratore delegato, Ernesto Paolillo, Arturo Romanin Jacur, Francesco Bellotti, Francesco Amendola, Regina Bertipaglia, i due ex presidenti di Confindustria Padova, Bonaiti e Peghin, Alberto Bonaldo, Annalisa Isoli, Roberto Pavin, Ezio Simonelli, Tiziana. Scanferla, Francesco Secchieri e Nicola Piovan;
   oltre alle sanzioni amministrative, la procura della Repubblica di Padova ha aperto un'indagine sulla vicenda, iscrivendo nel registro degli indagati 16 persone tra cui industriali, amministratori e sindaci della banca, per il reato di bancarotta fraudolenta;
   al di là delle eventuali responsabilità penali che saranno accertate dagli organi competenti, appare evidente che la gestione della Banca popolare di garanzia è stata caratterizzata da procedure irregolari che hanno prodotto danni significativi al tessuto economico padovano;
   appare di particolare gravità che, come evidenziato dalle sanzioni amministrative decise da Banca d'Italia, le procedure irregolari siano state commesse anche da alcuni importanti imprenditori e professionisti che hanno ricoperto ruoli di primo piano nelle istituzioni economiche padovane e venete;
   la vicenda ha anticipato di qualche anno gli accertamenti di Banca d'Italia e le indagini dell'autorità giudiziaria che stanno esaminando gestioni fallimentari e truffaldine di altre banche popolari e di istituti di credito cooperativo del Veneto;
   le ispezioni della Banca d'Italia e le indagini dell'autorità giudiziaria, che stanno contribuendo in modo decisivo a portare alla luce pratiche illecite sottovalutate e taciute per lungo tempo, consentono di affrontare la situazione di crisi del sistema del credito applicando le norme contenute nel decreto-legge n. 3 del 2015 convertito dalla legge n. 33 del 24 marzo 2015 e di prevenire e contrastare il rischio della diffusione di reati economici e finanziari che possono alterare le regole della concorrenza e danneggiare in profondità l'economia;
   nel febbraio 2015 la guardia di finanza, nel corso di un'indagine coordinata dalla procura di Roma, ha eseguito numerose perquisizioni nelle sedi di Veneto Banca, nelle abitazioni di alcuni soci e presso il domicilio degli amministratori dell'istituto di credito;
   il reato ipotizzato è di ostacolo alle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza;
   dalle prime ricostruzioni sembra che le scelte degli amministratori della banca avrebbero determinato oltre 360 milioni di euro di decurtazione del patrimonio di vigilanza a cui si aggiungono oltre 190 milioni di euro di perdite che incidono sullo stesso patrimonio;
   pare che negli anni Veneto Banca avesse concesso finanziamenti in mancanza del necessario merito creditizio, con conseguente svalutazione del portafoglio crediti dell'istituto;
   il sistema adottato per queste operazioni dagli organismi di gestione della banca prevedeva che fossero erogati i finanziamenti (spesso agli stessi membri del consiglio di amministrazione, come a centinaia di società ad essi collegate) senza le necessarie tutele, in cambio della sottoscrizione di azioni della stessa banca con la conseguente decurtazione del patrimonio;
   è bene ricordare che Veneto Banca era stata oggetto di diversi accertamenti ispettivi da parte di Banca d'Italia tra luglio 2012 e agosto 2013, che avevano portato a sanzioni pecuniarie amministrative per circa 4 milioni di euro e all'azzeramento totale del consiglio di amministrazione;
   il 22 settembre 2015 la guardia di finanza ha eseguito diverse perquisizioni presso la sede amministrativa è legale della Banca Popolare di Vicenza nel capoluogo berico, e negli uffici direzionali di Milano, Roma e Palermo, oltre che presso le abitazioni di sei indagati e di alcuni dirigenti non raggiunti da avvisi di garanzia;
   le ipotesi degli inquirenti riguardano i reati di aggiotaggio e ostacolo delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza;
   dalle prime ricostruzioni sembrerebbe che la banca abbia gonfiato il valore delle azioni, attraverso diverse operazioni sospette: la Popolare avrebbe erogato finanziamenti per 974 milioni di euro a clienti con lo scopo di far acquistare sul mercato secondario le azioni della banca stessa in coincidenza con gli aumenti di capitale del 2013 e 2014;
   tali soci avrebbero ricevuto i finanziamenti senza che esistessero i presupposti o in violazione delle procedure deliberative;
   gli inquirenti inoltre starebbero valutando con attenzione il ruolo di tre fondi d'investimento nelle operazioni di finanziamento e acquisto delle azioni;
   si tratterebbe del fondo «Athena» e dei fondi lussemburghesi, collegati a società maltesi, «Optimum Multistrategy 1» e «Optimum Multistrategy 2»;
   il meccanismo del finanziamento che sosteneva l'acquisto e la sottoscrizione delle azioni della banca sarebbe stato costruito nel tentativo di aggirare i controlli della Banca d'Italia, configurando un ostacolo alle funzioni di controllo delle autorità pubbliche per dissimulare la reale entità dei coefficienti patrimoniali di vigilanza e impedire all'istituto di vigilanza stesso l'adozione delle opportune misure correttive per garantire il rispetto dei parametri e la tutela dei correntisti;
   dalle prime ricostruzioni sembrerebbe addirittura che nei bilanci dal 2012 al 2014 sia stata omessa l'iscrizione al passivo di una riserva indisponibile pari all'importo complessivo delle operazioni di finanziamento;
   la Banca Popolare di Vicenza negli ultimi due anni avrebbe accumulato perdite nette per 1,8 miliardi di euro e il valore delle azioni è precipitato da 62,5 a 48 euro;
   in Veneto, inoltre, esistono ben 32 banche di credito cooperativo che contano oltre 600 sportelli, 140.000 soci e 778.000 clienti;
   in questa galassia di piccoli istituti esiste, oggi, la precisa consapevolezza che sia necessario aggregare più soggetti per riuscire a concorrere sul mercato bancario;
   tale consapevolezza nasce dai risultati degli accertamenti eseguiti da Banca d'Italia negli ultimi anni per squilibri tra finanziamenti, sofferenze e patrimoni;
   il caso più noto riguarda la Banca di credito cooperativo del Veneziano;
   nel 2012 tale istituto è stato coinvolto nelle indagini della procura di Napoli rispetto al dissesto di Enerambiente;
   la procura ha tentato di ricostruire i passaggi attraverso i quali la banca avrebbe versato 15 milioni di euro nelle casse della società del trevigiano Stefano Gavioli, indagato e poi arrestato per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, all'estorsione, al riciclaggio, bancarotta fraudolenta, falso in bilancio e ricorso abusivo al credito;
   con Gavioli sono state indagate 10 persone tra cui 3 funzionari della BCC veneziana sospettati di concorso in ricorso abusivo al credito, in contravvenzione con la legge fallimentare, e truffa;
   in seguito la guardia di finanza di Napoli ha iscritto nel registro degli indagati anche il presidente della BCC veneziana, Amedeo Piva;
   si sono verificati altri casi di gestioni anomale e irregolari di banche di credito cooperativo venete che sono state evidenziate dalle ispezioni di Banca d'Italia: nell'aprile 2013 la Banca d'Italia ha disposto l'azzeramento del consiglio d'amministrazione e il conseguente commissariamento della BCC Euganea di Ospedaletto Euganeo; nell'agosto 2014 il Credito Trevigiano è stato posto in regime di amministrazione straordinaria da parte della Banca d'Italia per gravi irregolarità e violazioni normative che avevano determinato rettifiche dei crediti per un valore doppio del ricavo della banca stessa; la Banca di Credito Cooperativo di Campodarsego è in regime di amministrazione straordinaria e sta affrontando perdite e sofferenze per oltre 100 milioni di euro; sono in corso indagini sulla gestione della Banca Atestina per alcuni finanziamenti, erogati a condizioni di favore ad almeno 13 clienti, che hanno comportato sofferenze patrimoniali;
   la situazione che sta emergendo dagli accertamenti e dalle indagini in corso desta profonda preoccupazione nell'opinione pubblica, nei risparmiatori e nei cittadini;
   in particolare, emerge l'estrema fragilità di un sistema di credito basato su pratiche irregolari: l'aggiramento dei controlli, la produzione di documentazione non veritiera, la concessione di prestiti agevolati a soggetti senza i requisiti finanziari previsti, l'aumento del valore delle azioni senza alcun riscontro di mercato, il finanziamento di soci per acquistare azioni delle banche stesse;
   queste inchieste hanno suscitato fortissime preoccupazioni poiché esiste il rischio concreto che scelte discrezionali da parte dei dirigenti, portate avanti in un contesto di totale opacità, compromettano in modo irreparabile i risparmi di migliaia di famiglie e abbiano falsato, per anni, il regime di concorrenza del sistema bancario;
   la situazione è talmente grave che i risparmiatori rischiano di subire perdite ingenti con danni pesanti per l'economia territoriale;
   in particolare, stanno emergendo aspetti gravissimi nella gestione di molti istituti come le false fatturazioni attraverso società e professionisti compiacenti, le cosiddette «società cartiere»;
   tale tecnica è spesso utilizzata per evadere il fisco e per riciclare denaro proveniente da attività illecite ed è utilizzata anche da soggetti collegati alla criminalità organizzata di stampo mafioso per stabilire rapporti con istituti di credito e imprese sempre con l'obiettivo di riciclare proventi di reati e per rafforzare la propria presenza nel tessuto economico dell'Italia centro-settentrionale;
   per queste ragioni, mentre sono in corso le indagini dell'autorità giudiziaria che accerteranno la presenza di eventuali ipotesi di reato, secondo gli interroganti, è necessario affrontare con decisione la situazione del sistema del credito per evitare che possa essere utilizzato per finalità illecite danneggiando i cittadini, i risparmiatori e le imprese;
   inoltre, per rendere più efficaci e tempestivi la prevenzione e il contrasto di condotte illecite nella gestione degli istituti di credito appare necessario approntare alcuni altri strumenti: aumentare i controlli e le ispezioni dell'autorità giudiziaria, investire sulla formazione e sulla specializzazione delle forze dell'ordine e dell'autorità giudiziaria per costituire e, dove esistenti, potenziare operatori e sezioni dedicate ai reati economici e finanziari, potenziare le sezioni fallimentari dei tribunali coordinandone l'attività con quella delle procure per prevenire e contrastare utilizzi illeciti delle procedure fallimentari –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti descritti;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare per migliorare i rapporti e lo scambio di informazioni e dati tra gli organismi di vigilanza della Banca d'Italia e l'autorità giudiziaria, in particolare le direzioni distrettuali antimafia e le procure della Repubblica, per potenziare gli organici degli uffici giudiziari delle aree economicamente più forti e con il maggior numero di reati finanziari, con un'attenzione speciale alle sezioni fallimentari e ai tribunali dell'impresa;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare per salvaguardare i risparmi dei clienti delle banche popolari e delle banche di credito cooperativo e per garantire il ripristino di un corretto regime di concorrenza nel mercato bancario. (4-10838)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il Consorzio Industriale Provinciale Cagliari — CACIP ha depositato presso il servizio sostenibilità ambientale, valutazione impatti e sistemi informativi ambientali (Savi) dell'assessorato regionale della difesa dell'ambiente della regione l'istanza di valutazione di impatto ambientale (VIA), corredata della relativa documentazione, per il progetto «Discarica per rifiuti non pericolosi in località S'Otioni Mannu (Uta/Macchiareddu) a servizio della Piattaforma ambientale CACIP»;
   il sito da destinare a discarica è un'area di circa 20 ettari ubicata nel settore nord-occidentale dell'agglomerato industriale CASIC, in territorio comunale di Uta;
   la nuova discarica sta incontrando la ferma opposizione delle comunità locali di Capoterra e di Uta;
   tale nuova discarica è oggetto anche di rilievi da parte del personale impiegato nel contiguo carcere di Uta che ospita non meno di 1000 persone tra detenuti e operatori penitenziari;
   l'utilizzo di una vasta area di Macchiareddu, a 4 chilometri dall'abitato di Capoterra e a un chilometro e mezzo dai penitenziario costituisce proprio per questa vicinanza un grave vulnus ambientale e non solo;
   la discarica dovrebbe essere destinata alla raccolta di ceneri inerti provenienti dal termovalorizzatore del Cacip e di secco indifferenziato con tutto quello che ne consegue;
   si tratta di un'area già pesantemente gravata da esalazioni, fumi e odori nauseabondi provenienti da tutta l'area circostante lo stesso carcere;
   l'ubicazione dell'impianto è tale da ritenersi in contrasto sia con i centri abitati circostanti e con la casa circondariale di Uta –:
   se non ritenga il Ministro interrogato di dover intervenire nella procedura di valutazione messa in essere dalla Regione della Sardegna al fine di rappresentare la formale opposizione alla realizzazione della discarica proprio per le conseguenze che essa comporterebbe sia sul piano della salute dei reclusi e degli operatori che della vivibilità della struttura penitenziaria;
   se non ritenga i dover tutelare i lavoratori penitenziari e gli stessi detenuti da questo rischio evidente conseguente alla realizzazione di una discarica a un chilometro e mezzo alla struttura penitenziaria. (5-06742)

Interrogazione a risposta scritta:


   ZAN, NACCARATO, CAMANI, MIOTTO, NARDUOLO e ROSTELLATO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel corso degli ultimi 15 anni, si sono verificati 40 decessi tra gli ex dipendenti delle Officine meccaniche del gruppo Firema, con sede a Cittadella in provincia di Padova;
   questi lavoratori sono stati esposti all'amianto per anni senza le dovute precauzioni contraendo asbestosi e mesotelioma;
   la vicenda ha generato un'importante inchiesta che ha prodotto ben 26 fascicoli dal 2001 ad oggi;
   il reato contestato è l'omicidio colposo che è soggetto ad una prescrizione di 10 anni;
   i familiari delle vittime attendono un risarcimento, ma i tempi del processo rischiano di vanificare anche le ultime speranze delle famiglie;
   infatti per 19 dei 26 fascicoli i termini di prescrizione sono già scaduti e oggi c’è il rischio che anche i casi sollevati entro il dicembre 2005 subiscano analoga sorte;
   le indagini si sono concluse da tempo, ma è mancata la fase di formalizzazione della procedura e dunque non è stata pronunciata alcuna sentenza;
   gli interroganti esprimono forte preoccupazione per il rischio che questi processi si concludano con lo spirare dei termini di prescrizione negando una pronuncia che renda finalmente giustizia ai familiari delle vittime –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti sopra esposti e se intenda assumere iniziative normative volte a evitare che in casi come quelli di cui in premessa il decorso della prescrizione possa impedire di rendere giustizia ai familiari delle vittime. (4-10836)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   PASTORELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la questione relativa all'adeguamento a 4 corsie della strada statale 4 Salaria nel tratto, da Passo Corese (chilometro 35+000) a Rieti (chilometro 71+000), si trascina, senza soluzione, da diversi anni;
   relativamente ai lavori di messa in sicurezza è stato redatto, su incarico della regione Lazio, il progetto preliminare del complessivo intervento di realizzazione di una strada a 4 corsie (tipo B DM 2001) dallo svincolo di Passo Corese al chilometro 35+000 a Rieti al chilometro 71+000, parzialmente in nuova sede e parzialmente in affiancamento alla strada esistente;
   su tale progetto sono state avviate le procedure di approvazione ai sensi della legge obiettivo nel luglio del 2007 e sono stati acquisiti tutti i pareri previsti per legge;
   nell'attesa del reperimento dei finanziamenti necessari alla realizzazione dell'opera, la regione Lazio e gli enti locali hanno richiesto ad Anas di progettare le principali opere di messa in sicurezza della strada statale 4; tra le tratte soggette a maggiore incidentalità c’è quella compresa tra il chilometro 56+000 (loc. Ponte Buita) ed il chilometro 64+000 (loc. Ornaro Basso), per via delle complesse caratteristiche plano altimetriche del tracciato;
   per quanto concerne il II stralcio tra Passo Corese e Rieti l'intervento prevede la realizzazione di una strada a 4 corsie per una lunghezza di circa 36 chilometri. A settembre 2011 è stata aperta al traffico la bretella Salaria sud per un tratto di 2,9 chilometri che si aggiunge a quello già in esercizio di 1 chilometro. La bretella ha comportato un investimento di circa 6 milioni di euro e fa parte di un appalto che comprende anche la variante alla Salaria in corrispondenza dell'abitato di Monterotondo;
   l'opera è prevista nel piano triennale 2003-2005 e nell'elenco delle opere infrastrutturali di nuova realizzazione nell'ambito del programma quinquennale di Anas 2007-2011;
   lo stesso Pietro Ciucci in un comunicato stampa del 20 settembre 2011, con riferimento agli investimenti nella regione Lazio affermava che: «Tra gli interventi programmati, va inoltre menzionato il progetto di realizzazione di una strada a quattro corsie dallo svincolo di Passo Corese (al chilometro 35) fino a Rieti (al chilometro 71), con uno sviluppo complessivo pari a 31 chilometri, che comprende 15 chilometri di gallerie e 4 nuovi svincoli, per un investimento complessivo di quasi 1,5 miliardi di euro. In attesa di poter reperire le risorse necessarie alla realizzazione delle quattro corsie da Rieti e Passo Corese, l'Anas in sinergia con gli enti locali sta predisponendo uno studio per la messa in sicurezza a medio termine della Salaria, intervenendo nei tratti a maggiore incidentalità e, in particolare, tra il chilometro 56 e il chilometro 63,500 e attraverso la realizzazione delle rotatorie di Passo Corese, Borgo S. Maria e Montelibretti, grazie alla disponibilità manifestata dalla regione Lazio di un finanziamento di 60 milioni di euro» –:
   di quali informazioni il Ministro interrogato sia a conoscenza in merito ai fatti esposti in premessa e quali iniziative urgenti abbia intenzione di intraprendere, per le parti di competenza, in merito alla realizzazione degli interventi necessari alla messa in sicurezza di questo tratto importantissimo della strada statale Salaria e del suo manto. (5-06734)


   MATARRESE, DAMBRUOSO, D'AGOSTINO e VARGIU. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la legge 21 dicembre 2001, n. 443, recante delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive ha previsto l'istituzione di un programma di infrastrutture strategiche da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese;
   con decreto legislativo 20 agosto 2002, n.190, è stata recepita tale delega con la previsione della possibile istituzione di una struttura di Missione per l'attuazione della legge obiettivo e del programma delle infrastrutture strategiche;
   con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti n. 356 del 10 febbraio 2003, è stata istituita la struttura di missione per l'attuazione della legge obiettivo e del programma delle infrastrutture strategiche;
   dal 2003, la struttura di missione ha svolto numerosi compiti gestionali relativi all'attuazione del programma delle infrastrutture strategiche;
   tra i compiti attribuiti alla struttura di missione figuravano: l'istruttoria delle richieste di finanziamento delle attività progettuali inerenti le infrastrutture strategiche; la promozione, l'acquisizione e la valutazione dei pareri istruttori sui progetti infrastrutturali, al fine di predisporre le proposte tecnico-amministrative da presentare al CIPE; la convocazione e la gestione delle conferenze di servizi; la predisposizione degli atti inerenti i contenziosi relativi alle infrastrutture strategiche; l'esame delle questioni di carattere giuridico-amministrativo ed economico-finanziario attinenti le varie fasi del procedimento realizzativo delle infrastrutture strategiche; l'individuazione delle criticità relative all'avanzamento realizzativo delle infrastrutture strategiche e relative proposte di soluzioni; l'attività di verifica sulla realizzazione degli interventi;
   secondo il rapporto 2014 sull'attuazione della «legge obiettivo», presentato a marzo 2015 presso la Camera dei deputati, il programma delle infrastrutture strategiche comprende 419 opere per 383,9 miliardi di euro di costo totale;
   nel rapporto, viene indicato che le opere strategiche deliberate al 31 dicembre 2014 dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) sono 187 per 149 miliardi di euro, pari al 38,8 per cento del valore complessivo del programma; le risorse assegnate dal Cipe ammontano a 94,7 miliardi di euro, pari al 64 per cento del costo delle opere deliberate, di cui 58,7 miliardi relativi a risorse pubbliche e 36 miliardi di risorse private; infine, in merito allo stato di avanzamento del programma, il rapporto evidenzia che a 14 anni dal varo del programma, solo 40 opere risultano concluse e 69 sono in fase di realizzazione per un valore complessivo di 78,7 miliardi di euro pari al 20,5 per cento del costo totale del programma;
   dal rapporto emerge quindi che molte opere sono tuttora in corso di realizzazione ed appare quindi opportuno evitare stalli gestionali nell'attuazione degli interventi;
   il documento di economia e finanza (DEF) di aprile 2015, nel sottolineare la necessità di una razionalizzazione del programma delle infrastrutture strategiche, anche al fine di selezionare un ristretto elenco di opere sulle quali convogliare le – limitate – risorse pubbliche e private disponibili, indica un primo elenco di 25 opere prioritarie, per un costo totale di 70,9 miliardi di euro e coperture finanziarie pari a 48 miliardi di euro, da aggiornare successivamente nell'ambito della, nota di aggiornamento del DEF da pubblicare a settembre 2015;
   nel corso dell'audizione sulle linee programmatiche del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, tenutasi l'8 luglio 2015 presso la Commissione lavori pubblici del Senato della Repubblica, il Ministro ha confermato l'impegno a rivedere il programma delle infrastrutture strategiche della «legge obiettivo» al fine di definire un elenco di opere prioritarie, sulla base del confronto con le regioni. Ha, quindi, preannunciato che in autunno, sulla base di questo confronto, il Ministero stilerà quindi un nuovo elenco delle opere valutando la loro effettiva utilità e la coerenza dei piani economico-finanziari, anche attraverso una revisione dei progetti risalenti nel tempo e ormai superati;
   con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti n. 194 del 9 giugno 2015, è stata disposta la soppressione della struttura di missione relativa all'attuazione del programma delle infrastrutture strategiche;
   il decreto ha ripartito le soprarichiamate competenze gestionali, precedentemente esercitate dalla struttura di missione, tra molti uffici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti: 2 dipartimenti, 9 direzioni generali e 15 divisioni –:
   quali siano le iniziative assunte dal Governo per assicurare la prosecuzione delle opere in corso di realizzazione e di quelle che dispongono già di un elevato livello di progettazione e di adeguate risorse finanziarie, garantendo l'appropriato svolgimento di tutte le attività precedentemente attribuite alla struttura di missione per l'attuazione del programma delle infrastrutture strategiche ed, in particolare, tempestivo espletamento delle pratiche ed i relativi pagamenti alle imprese. (5-06735)


   DALLAI e BORGHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con l'accordo europeo sulle grandi strade a traffico internazionale, concluso a Ginevra il 15 novembre 1975 e recepito dall'Italia con la legge 29 novembre 1980, la strada di grande comunicazione Grosseto-Fano è stata inserita tra gli itinerari internazionali con la sigla E78. La rilevanza della strada di grande comunicazione Grosseto-Fano (E78) e la sua validità sono state ripetutamente ribadite dai Governi italiani, che l'hanno inserita tra le priorità della rete infrastrutturale del paese;
   la Siena-Grosseto, parte integrante della strada E78, è inserita nel contratto di programma con Anas fin dal triennio 2003-2005. L'E78 è stata successivamente inserita nel documento «priorità infrastrutturali» redatto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a conclusione della consultazione con le regioni e figura nell'allegato infrastrutture del documento di programmazione economica e finanziaria 2008-2012;
   all'interno del tracciato complessivo della strada E78, riveste particolare importanza per la mobilità e lo sviluppo economico, produttivo e sociale dell'intero centro Italia il completamento del tratto che collega Siena a Grosseto. L'arteria è infatti interessata per tutto l'arco dell'anno da flussi di traffico ingenti e diversificati che coinvolgono il pendolarismo per lavoro e studio e gli spostamenti per turismo e commercio;
   nove degli undici lotti in cui l'opera è stata suddivisa sono aperti al traffico (interamente o parzialmente) o interessati dai lavori di costruzione, mentre i restanti due lotti (lotto 4 e lotto 9) sono stati finanziati nel mese di agosto 2015 con l'approvazione, da parte del Cipe, del contratto di programma 2015 fra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e l'Anas, per un importo complessivo di 237 milioni di euro; ad oggi l'opera risulta quindi completamente finanziata;
   i numerosi cantieri presenti lungo il tragitto ed i tratti fruibili ancora ad una sola corsia per senso di marcia stanno inevitabilmente creando disagi alla mobilità sull'intera tratta;
   tali disagi sono stati notevolmente aggravati da alcuni crolli che hanno interessato nel mese di agosto la galleria di Casal di Pari in prossimità del comune di Civitella Paganico (in provincia di Grosseto). A seguito dei crolli la galleria è stata infatti chiusa per permettere interventi di consolidamento e, da quanto è emerso dalla riunione fra enti locali competenti ed Anas, rimarrà chiusa almeno fino al 24 novembre 2015;
   la chiusura del tunnel obbliga i veicoli a lunghe e tortuose deviazioni su strade alternative che spesso non sono adeguate a sostenere ingenti flussi di traffico, creando notevoli allungamenti dei tempi di percorso, gravi difficoltà al trasporto pubblico (la mobilità su strada rimane ad oggi in questo territorio la modalità di trasporto più utilizzata ed efficace, anche a causa dei problemi di varia natura che interessano le infrastrutture su rotaia) e deviazioni sensibili per i veicoli di soccorso, in zone peraltro spesso colpite negli ultimi anni da gravi eventi alluvionali;
   si tratta quindi di una situazione complessa, con una viabilità fortemente compromessa e tempi di soluzione ancora incerti, che rischiano di rallentare la realizzazione di un'opera indispensabile per la quale il Governo ha stanziato recentemente centinaia di milioni di euro –:
   quali siano i tempi previsti per la riapertura al traffico della galleria di Casal di Pari e per la realizzazione e l'apertura al traffico, nel dettaglio, dei singoli lotti della Siena-Grosseto non ancora ultimati e quindi se la chiusura della galleria di Casal di Pari causerà ritardi rispetto ai tempi programmati per il completamento dell'infrastruttura viaria. (5-06736)


   PELLEGRINO, ZARATTI e COSTANTINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4 del decreto-legge n. 47 del 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 28 marzo 2014, n. 73, prevedeva l'emanazione, entro quattro mesi dalla sua entrata in vigore, di un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, d'intesa con la Conferenza unificata, per l'individuazione dei criteri per la formulazione di un programma di recupero e razionalizzazione degli immobili e degli alloggi di edilizia residenziale pubblica di proprietà dei comuni e degli istituti autonomi per le case popolari;
   il suddetto decreto attuativo, che avrebbe dovuto essere emanato entro il luglio 2014, in realtà è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale solamente il 21 maggio 2015, quasi un anno dopo quanto previsto dalla legge;
   anche a causa del forte ritardo nell'emanazione dei decreti attuativi, sono ben lontani dal partire gli interventi di recupero degli alloggi di edilizia popolare da rendere disponibili a una piccola parte delle 650 mila famiglie in graduatoria da anni per una casa;
   come ricorda un articolo de Il Fatto Quotidiano del 4 ottobre 2015, al programma di recupero di immobili e alloggi di edilizia residenziale pubblica, il «decreto Lupi» ha destinato 467,9 milioni di euro. Di questi 67,9 milioni dovrebbero finanziare piccoli interventi fino a 15 mila euro per rendere disponibili il prima possibile una parte dei 16 mila appartamenti al momento non utilizzati, mentre 400 milioni «spalmati» su 10 anni servirebbero a manutenzioni straordinarie più consistenti. Ma la somma sinora impiegata è pari a zero euro. Il decreto attuativo infatti è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale solo a maggio, più di un anno dopo l'approvazione del piano casa da parte del Consiglio dei ministri. E dava tempo fino al 18 settembre perché le singole regioni inviassero al Ministero la lista degli interventi programmati. Hanno risposto tutte, tranne la Campania che ha chiesto ancora più tempo. Ci auguriamo che al più presto riescano a partire i cantieri;
   finora si sta assistendo a un insuccesso del «decreto Lupi», a meno che non si voglia, come ricorda il suddetto articolo di stampa, considerare un successo i 204 contratti rinnovati in tutta Italia a chi senza colpa non è riuscito a pagare l'affitto, quando nel 2014 gli sfratti per morosità, colpevole e non, sono stati 69 mila. Le norme che avrebbero dovuto risolvere l'emergenza abitativa, a un anno e mezzo dall'approvazione da parte del Governo del decreto voluto dall'ex Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sono ancora inattivate. Restano in gran parte inutilizzati i fondi stanziati per aiutare le persone disagiate, che hanno perso il lavoro o si sono ammalate all'improvviso, e evitare loro lo sfratto;
   il piano casa ha rifinanziato il fondo nazionale per l'accesso alle abitazioni in locazione, portando a 100 milioni di euro la disponibilità sia per il 2014 che per il 2015. Il Governo ha successivamente deciso di riservare il 25 per cento della quota 2015, ovvero 25 milioni, alle famiglie disagiate sottoposte a procedure esecutive di sfratto per finita locazione. Con risultati però assai deludenti, come risulta dai dati dello stesso Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Su una disponibilità complessiva per il biennio 2014-2015 che con i finanziamenti degli enti locali arriva a oltre 324 milioni, al 30 giugno le risorse assegnate dalle regioni ai comuni sono state di appena 93,7 milioni di euro, di cui solo 88 milioni effettivamente trasferite. Va ancora peggio se l'analisi si limita alla riserva del 25 per cento, con trasferimenti ai comuni di appena 3,5 milioni su 25;
   il 2 luglio 2015, il sottosegretario Umberto Del Basso De Caro, rispondendo in Commissione ambiente della Camera a una interrogazione sull'emergenza abitativa faceva una serie di affermazioni di questo tenore: «esiste il problema di un utilizzo non soddisfacente delle risorse impegnate»; vi è la «necessità di dare risposte più incisive e immediate alle categorie sociali deboli sottoposte a procedure esecutive di rilascio»; «si tratta di studiare o rafforzare strumenti a livello locale che favoriscano il passaggio “da casa a casa” utilizzando le risorse già disponibili sia con il Fondo inquilini morosi incolpevoli che con la riserva del 25 per cento sulla disponibilità di 100 milioni del 2015 relativa al Fondo nazionale per l'accesso alle abitazioni in locazione»; «occorre indirizzare le risorse che si renderanno disponibili più verso una logica di “prevenzione” e affiancamento dei soggetti che possono divenire morosi incolpevoli piuttosto che intervenire a posteriori con tutte le difficoltà che possono insorgere nel ristabilire un corretto equilibrio nel rapporto tra inquilino e proprietario»;
   quanto suddetto conferma la necessità di rivedere la normativa vigente che attualmente non è in grado di dare risposte soddisfacenti all'emergenza abitativa;
   va peraltro ricordato che il Fondo di sostegno all'affitto è rifinanziato solo fino al 2015, e la cedolare secca ridotta per i contratti concordati è valida solo fino al 2017, il che vuol dire che senza le certezze del mantenimento della misura anche dopo il 2017, porterà progressivamente la proprietà a non utilizzare questo strumento –:
   quali iniziative concrete e realmente efficaci si intendano avviare con urgenza, già dal prossimo disegno di legge di stabilità, in grado di dare certezze ai cittadini in situazioni di maggiore disagio abitativo, anche alla luce delle forti ed evidenti criticità esposte in premessa circa l'attuazione delle norme di cui al decreto-legge n. 47 del 2014. (5-06737)


   DE ROSA, MANNINO, BUSTO, DAGA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con delibera del CIPE n. 8 del 2008: «collegamento tra la S.S. n. 11 «Padana Superiore» a Magenta e la tangenziale ovest di Milano, con variante di Abbiategrasso e adeguamento in sede della S.S. n. 494 da Abbiategrasso fino al nuovo ponte sul Ticino» (cup f32c05000320001), comma 2.1, viene assegnato, per la realizzazione di tale intervento, in via programmatica, un contributo di euro 6.095.743 per 15 anni, con decorrenza dall'anno 2009;
   tale contributo, individuato come «Mutuo Malpensa», risulta ammontare, ad oggi, ad euro 102 milioni, come indicato nella risposta all'interrogazione n. 5-05832;
   con delibera n. 63 del 2015 viene approvato il contratto di programma con Anas che finanzierebbe l'intervento per ulteriori 118 milioni di euro, coprendo l'intero costo dell'opera per un totale di 220 milioni di euro;
   per la regione Lombardia, solo il 15 per cento dei fondi stanziati dal contratto di programma con Anas è destinato alla manutenzione delle strade ed il restante 85 per cento è destinato a questa unica opera;
   se realizzata, l'opera distruggerà il territorio del parco agricolo sud Milano, tra i più fertili d'Europa e il parco della valle del Ticino, dichiarato dall'Unesco: «riserva della biosfera mab.»;
   l'opera secondo gli interroganti non risolve i problemi di traffico locali, li aggrava;
   i cittadini, gli enti territoriali, le associazioni di categoria, gli agricoltori e le associazioni ambientaliste hanno individuato le risposte ai problemi locali di mobilità in opere alternative che riducono il consumo di suolo, i costi e gli impatti sociali rispettando, comunque, l'obiettivo del progetto, che è il collegamento di Malpensa a Milano –:
   se il Governo, alla luce di quanto premesso, non ritenga possibile assumere iniziative per destinare risorse del «fondo Malpensa» ed altre risorse stanziate per Anas, alla progettazione e realizzazione di eventuali opere alternative, concertate con i territori e differibili negli anni. (5-06738)


   CASTIELLO e SQUERI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la distribuzione dei prodotti carbolubrificanti presso le aree di servizio autostradali è classificata come servizio pubblico il cui esercizio è ricompreso negli atti di concessione con i quali vengono affidate le differenti tratte autostradali italiane;
   gli affidatari del servizio di distribuzione dei prodotti carbolubrificanti corrispondono, nella generalità dei casi, alle compagnie petrolifere attive nel mercato del nostro Paese, che di norma si servono di un gestore per l'espletamento di tale servizio;
   l'Autorità garante della concorrenza e del Mercato si è ripetutamente pronunciata nel tempo a favore della eliminazione della cosiddetta «esclusiva d'area», che di fatto affida in regime di monopolio la vendita e la somministrazione di alimenti e bevande ai marchi della ristorazione e dell'affidamento al gestore dei servizi carbolubrificanti di attività cosiddette «sottopensilina» e di «sosta veloce»;
   tutto ciò ha determinato, infatti, un livello medio di prezzo al pubblico dei carburanti, distribuiti presso le aree di servizio autostradali, superiore a quello praticato sulla viabilità ordinaria della rete distributiva italiana – mediamente maggiorato di 15 centesimi al litro, secondo i dati resi pubblici dal sito del Ministero dello sviluppo economico – e delle reti autostradali degli altri Paesi europei;
   il settore specifico della distribuzione dei carburanti in autostrada – che, come detto, è chiamato ad assolvere un servizio pubblico essenziale per assicurare il diritto alla mobilità dei cittadini, oltre a coinvolgere centinaia di aziende grandi e piccole e ad impiegare circa 8.000 lavoratori è stato colpito da uno stato di crisi eccezionale, caratterizzato dalla contrazione dei volumi di vendita, da un alto livello dei prezzi al pubblico, da uno scarso livello di servizi sia in termini di diversificazione, sia in termini di standard qualitativi, da un inadeguato livello di investimenti e manutenzione delle aree di servizio stesse;
   la situazione creatasi è effetto della formulazione di bandi di gara che hanno privilegiato negli anni le «offerte» orientate ad incassare più royalty rispetto a quelle che miravano a migliorare i livelli di servizio;
   dopo l'emanazione di una serie di atti di indirizzo del Governo che miravano a fornire le necessarie risposte alle stato di crisi del settore, a marzo del 2014 il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha avanzato una formale richiesta di parere all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, in ordine all'eventuale adozione di un nuovo Atto di indirizzo teso all’«elaborazione di un Piano di ristrutturazione delle aree di servizio autostradali che razionalizzi le infrastrutture e rivisiti le modalità di resa dei servizi»;
   facendo ulteriormente seguito ai suddetti atti d'indirizzo, in data 7 agosto 2015 il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ed il Ministro dello sviluppo economico hanno emanato un decreto interministeriale con il quale è stato definito il programma per la ristrutturazione della rete delle aree di servizio autostradali e sono stati fissati ulteriori criteri per lo svolgimento delle gare;
   avverso tale decreto interministeriale sono già stati depositati presso il TAR del Lazio numerosi ricorsi in cui si contesta il fatto di non avere salvaguardato la natura specifica del pubblico servizio, minato dalla pretesa di un livello di royalty che appare del tutto irragionevole, un conseguente livello di prezzi fuori mercato e penalizzante per gli utenti, standard di servizio inefficienti e non opportunamente incentivati e un progressivo indirizzo verso forme interamente automatizzate di vendita, di aver sostanzialmente svuotato il principio di continuità gestionale teso a salvaguardare gli investimenti, la continuità del servizio e la tutela occupazionale di aver surrettiziamente reintrodotto garanzie a protezione dell'esclusiva d'area a favore dei marchi della ristorazione, attraverso un'attività regolatoria asimmetrica, capace di alterare la struttura del mercato e della concorrenza;
   in ogni caso, contrariamente a quanto prescritto, l'Autorità della regolazione dei trasporti non si è ancora mai espressa in materia nonostante i commissari siano stati da tempo regolarmente nominati e svolgano pienamente le funzioni loro assegnate –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo affinché possa essere ridimensionato il contenzioso appena avviato presso i competenti tribunali amministrativi regionali che rischia di ingenerare gravissime conseguenze sia sotto il profilo della tutela del servizio pubblico, della regolarità e della continuità del medesimo e della mobilità dei cittadini, sia sotto il profilo del danno economico e della tutela degli investimenti effettuati dagli operatori coinvolti nel settore e dei livelli occupazionali esistenti e quali iniziative intenda assumere per garantire che nei meccanismi di gara, nei criteri di aggiudicazione dei nuovi affidamenti e, di conseguenza, nei contratti di affidamento dei servizi sia tassativamente previsto l'obbligo al rispetto del quadro normativo vigente relativo alla distribuzione dei carburanti – legge n. 1034 del 1970, decreto legislativo n. 32 del 1998, legge n. 496 del 1999, legge n. 57 del 2001, legge n. 27 del 2012 – in particolare avuto riguardo alla «continuità gestionale» e all'esercizio delle attività collaterali cosiddette «sottopensilina» e di «sosta veloce». (5-06739)


   GRIMOLDI e MOLTENI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con deliberazione n. 24 del 1o agosto 2014 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 24 del 30 gennaio 2015, il CIPE ha espresso parere favorevole in merito al nuovo piano economico finanziario (PEF) dell'autostrada Pedemontana Lombarda, riconoscendo le misure di defiscalizzazione di cui all'articolo 18 della legge n. 183 del 2011;
   l'ente concedente Concessioni Autostradali Lombarde s.p.a. (CAL) ha trasmesso nel mese di maggio 2015 al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti l'atto aggiuntivo n. 2 alla convenzione unica tra CAL e il concessionario Autostrada Pedemontana Lombarda s.p.a. (APL);
   ad oggi però, detto atto aggiuntivo non è ancora stato approvato con il necessario decreto interministeriale Ministero delle infrastrutture e dei trasporti/Ministero dell'economia e delle finanze pur essendo decorsi i 30 giorni di legge;
   per proseguire con la realizzazione dell'autostrada Pedemontana il piano finanziario defiscalizzato prevede:
    a) un primo closing finanziario relativo alle Tratte B2 e C (circa 1.700 milioni di euro);
    b) un secondo closing finanziario relativo alla Tratta D (circa 800 milioni di euro) che dovrà essere definito entro il 2019;
   ad oggi sono in esercizio gratuitamente la tratta A (gennaio 2015), i primi lotti delle tangenziali di Como (maggio 2015) e di Varese (gennaio 2015). Dal 5 novembre 2015 sarà in esercizio la tratta B1 ed è prevista l'entrata in funzione del sistema di pedaggiamento free flow su tutte le tratte in esercizio, incluse le tangenziali di Como e di Varese;
   il pedaggio che verrà pagato non prevede distinzioni riferite a specifiche tipologie di utenti (pendolari, lunga percorrenza o occasionali); ne deriva che il calcolo del pedaggio non tiene in conto delle esigenze degli utenti che ne fanno un uso prevalentemente locale anche perché le due tangenziali non sono state completate secondo il disegno infrastrutturale originario che ne prevedeva la connessione con le autostrade elvetiche da un lato e la strada statale per Lecco e Bergamo dall'altro;
   si rileva pertanto una grande iniquità, aggravata dal confronto con altre tangenziali o raccordi autostradali (grande raccordo anulare di Roma) dove negli ultimi anni sono state investite ingenti risorse statali da parte di ANAS e dove si è comunque mantenuta la libera percorrenza, senza alcun pagamento da parte degli utenti nonostante vi fossero specifiche disposizioni normative per l'introduzione del pedaggiamento (si veda l'audizione alla Commissione VIII della Camera del presidente ANAS del 28 settembre 2010);
   si osserva poi che il sistema di pedaggiamento previsto sull'autostrada Pedemontana del tipo free flow si presta facilmente, dal punto di vista tecnologico, all'implementazione di qualsiasi tipo di agevolazione tariffaria (abbonamento e/o gratuità specifica per alcuni soggetti) –:
   se intenda assumere iniziative volte ad assicurare la copertura finanziaria sia per dare completamento alle tangenziali di Como e Varese sia per garantire la gratuità ovvero un sistema di sconti adeguati per gli utenti pendolari che utilizzano il sistema delle tangenziali di Como e Varese della Pedemontana, al fine di garantire modalità di trattamento non discriminatorie tra i cittadini italiani. (5-06740)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in modo reiterato la società Tirrenia ha posto in essere una condotta discrezionale e a giudizio dell'interrogante in contrasto con le disposizioni contrattuali per una mancata trasparente procedura di pubblico servizio, in quanto a soggetti privati l'accesso all'imbarco e l'imbarco stesso di mezzi gommati, rimorchi e semi rimorchi, carichi anche di merci deperibili;
   tale comportamento è stato rilevato anche dalle forze dell'ordine intervenute nell'area portuale di Porto Torres per verificare il mancato carico dei mezzi e la contestuale nave vuota pienamente in grado di caricare tali mezzi prenotati;
   tale comportamento lascia, secondo l'interrogante, intravedere profili di dubbia legittimità, verso privati e verso il settore pubblico, afferenti al mancato imbarco di mezzi di trasporto merci a mezzo navi della compagnia Tirrenia da e per la Sardegna;
   le società che operano nel settore del trasporto di prodotti alimentari, tra queste le prime tra i vettori per numero di mezzi movimentati nella tratta Porto Torres-Genova, servita dalla Compagnia Tirrenia, in regime di continuità territoriale passeggeri e merci, registrano e denunciano un reiterato comportamento grave e discrezionale della Tirrenia che ha già comportato danni per milioni di euro;
   la Tirrenia ha rifiutato reiteratamente l'imbarco di semirimorchi – peraltro tempestivamente prenotati e, dunque, preparati per la partenza e allestiti per effettuare le consegne di carichi di prodotti di prima necessità, principalmente carni fresche, ortaggi, frutta e altro ma anche paste e altri generi alimentari con breve scadenza;
   dal 28 settembre 2015 a oggi decine di mezzi non sono stati imbarcati e ciò nonostante le navi della Tirrenia disponessero di spazio per il relativo trasporto;
   ciò ha determinato una serie di danni, non ancora interamente quantificati, consistenti non solo nel deterioramento dei prodotti con scadenza immediata, costretti al fermo in banchina (carni fresche, frutta e ortaggi), nel mancato guadagno per l'omessa o ritardata consegna, nella gravosità dei percorsi alternativi, dovuta alla condizione di insularità della Sardegna e nella richiesta di penali da parte delle società destinatarie del trasporto, ma anche nelle prevedibili azioni risarcitorie di queste ultime, le cui doglianze continuano a pervenire alle società di trasporti risultate danneggiate;
   secondo le prime stime formalizzate dai legali delle ditte coinvolte i danni ammontano, allo stato attuale, a non meno di euro 1.000.000;
   la rotta Genova-Porto Torres risulta iscritta tra quelle in regime di continuità territoriale come si evince dal seguente articolo della convenzione per l'esercizio di servizi di collegamento marittimo in regime di pubblico servizio con le isole maggiori e minori: «Articolo 3. (Servizi da eseguire). – 1. La Società si impegna ad esercitare per tutta la durata della presente Convenzione i seguenti servizi di collegamento marittimo: a prevalente trasporto passeggeri: Napoli-Palermo (stagionale invernale); Genova-Porto Torres (stagionale invernale); Genova-Olbia-Arbatax; Napoli-Cagliari; Cagliari-Palermo; Cagliari-Trapani; Civitavecchia-Cagliari-Arbatax; Civitavecchia-Olbia (stagionale invernale); Termoli-Tremiti»;
   alla luce del perdurare di questa palese distorsione del mercato appare indispensabile a giudizio dell'interrogante valutare se la Tirrenia non stia perseguendo una condotta che si avvale della sua posizione dominante ai danni dell'economia della Sardegna;
   la mancata predisposizione e gestione di corrette e trasparenti procedure di prenotazione dei rimorchi e semirimorchi solleva il legittimo sospetto di una possibile grave alterazione del mercato dei trasporti marittimi da e per la Sardegna;
   la grave situazione perpetrata ai danni della Sardegna risulta del tutto intollerabile in considerazione del fatto che un'intera regione risulta essere in una situazione di vero e proprio monopolio dal punto di vista dei trasporti marittimi, con particolare riferimento alle merci, rendendo discrezionale e per nulla trasparente la mobilità tra regioni e minando alla radice il diritto costituzionale alla mobilità, alla coesione e ad un equo trattamento tra regioni e imprese;
   il danno che stanno subendo la Sardegna e i sardi rischia di essere irrimediabile sia per le ripercussioni sul sistema integrato del trasporto, che per le gravi ricadute sul piano occupazionale;
   il profilo che s'intende sollevare relativamente all'ipotizzata lesione della concorrenza si configura in maniera ancora più evidente considerato che tale denunciata discrezionalità, che ha sconfinato ad avviso dell'interrogante in un comportamento arbitrario ha di fatto favorito secondo l'interrogante fenomeni e pratiche speculative;
   la Tirrenia, infatti, non attuando il contratto di servizio e non rendendo trasparente l'obbligo alla continuità territoriale da e per la Sardegna per le merci, non ha svolto l'obbligatoria funzione di servizio pubblico, generando di fatto una vera e propria azione speculativa ai danni della Sardegna;
   le norme in materia di concorrenza vietano la discrezionalità nel favorire determinate imprese a scapito di altre;
   tale comportamento finisce per impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale e regionale dei trasporti, come, ad avviso dell'interrogante sta accadendo sui trasporti da e per la Sardegna;
   in base alla normativa vigente, Tirrenia dovrebbe essere obbligata ad adottare procedure trasparenti relative al carico delle proprie navi, con procedure di prenotazione e conferma senza lasciare all'apparente discrezionalità l'imbarco o meno dei mezzi gommati;
   è vietato favorire determinate aziende a scapito di altre, ovvero adottare condizioni contrattuali e di favore nella prenotazione e nell'eventuale carico sulla nave dei mezzi;
   in base alla convezione con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti deve essere vietato imporre direttamente o indirettamente procedure e condizioni di vendita dei biglietti o altre condizioni contrattuali che favoriscano determinati soggetti;
   è vietato impedire o limitare la mobilità a danno dei trasportatori, come è capitato ripetutamente a Porto Torres quando, nonostante la nave fosse vuota, si è impedito a mezzi regolarmente prenotati di essere imbarcati, senza alcun ragionevole e plausibile motivo;
   il diritto alla mobilità è diritto fondamentale ed inalienabile e la sua limitazione costituisce un'esplicita limitazione di un servizio pubblico fondamentale;
   uno dei temi centrali è chiaramente quello della posizione dominante. In particolare, nel caso in questione, si può configurare secondo interrogante come «una posizione dominante, nel senso previsto dalla consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia»;
   occorre valutare se siano stati compiuti atti non conformi alla normativa vigente e lesivi dei diritti dei consumatori e degli operatori economici del settore dei trasporti e adottare, in via urgente, i provvedimenti ritenuti idonei all'eliminazione delle conseguenze dannose, dall'immediata revoca, in prima istanza alla ridefinizione delle convenzioni della società Tirrenia in via subordinata –:
   se non ritenga il Governo, per quanto di competenza, di dover intervenire con urgenza nel settore del trasporto marittimo delle merci al fine di evitare quelle che all'interrogante appaiono, da parte di Tirrenia condotte non trasparenti, fortemente discrezionali e gravemente lesive del servizio pubblico;
   se il Governo non ritenga di assumere iniziative anche alla luce delle azioni legali promosse da aziende private ridefinire, con somma urgenza, le convenzioni relative agli oneri di servizio pubblico, con la determinazione di procedure puntuali e codificate che diano garanzia di trasparenza e corretta attuazione delle prenotazioni e delle contestuali conferme;
   se non ritenga di dover assumere le iniziative di competenza per varare apposite disposizioni in tal senso al fine di evitare il ripetersi dei gravi danni alla Sardegna derivanti dal comportamento secondo l'interrogante non responsabile della compagnia Tirrenia;
   se non ritenga di dover assumere ogni iniziativa per ridefinire immediatamente le convenzioni al fine di abbattere i costi di trasporto, imponendo e verificando l'obbligo di far utilizzare i 72 milioni di euro per una reale compensazione della continuità territoriale da e per la Sardegna. (5-06727)


   CANCELLERI, GRILLO, CRIPPA, ZOLEZZI, DELL'ORCO e DA VILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   già nel luglio 2000 con sentenza nella causa T-62/98, Volkswagen AG/Commissione delle Comunità europee c'era stata alla Corte di giustizia europea la condanna della Volkswagen al pagamento di un'ammenda record per violazione delle norme comunitarie sulla concorrenza; la Volkswagen, seconda casa di produzione di automobili al mondo, ha truccato i dati di emissione di particelle inquinanti e di gas nell'atmosfera da parte dei propri modelli auto diesel;
   le autorità hanno ordinato a Volkswagen di richiamare 482.000 vetture a causa dell'utilizzo dei cosiddetti impianti di manipolazione; sotto accusa c’è un sofisticato meccanismo che Volkswagen ha installato sui propri motori diesel, con la funzione di alterare i test delle emissioni effettuati col dinamometro, uno strumento che rileva le emissioni inquinanti;
   secondo il Guardian «aver truccato i test sulle emissioni di 11 milioni di veicoli significa che Volkswagen è responsabile di quasi un milione di tonnellate di emissioni di inquinanti atmosferici all'anno»;
   si deve tenere conto che 883 mila sono le tonnellate di NOx emesse in un anno in Italia da tutte le sorgenti (ISPRA 2012), con un costo 8,3 miliardi di euro secondo lo studio ECBA project, per renderci conto del disastro prodotto dalla Volkswagen;
   l’Environmental Protection Agency ha sostenuto che varianti diesel di diversi Volkswagen e modelli di Audi vendute negli Stati Uniti da più di sei anni — tra cui la Volkswagen Passat, Maggiolino e Audi A3 — erano state dotate di sofisticati algoritmi progettati per ingannare il regime di prove di laboratorio;
   la scoperta lascia la casa automobilistica tedesca — che ha ammesso di utilizzare i dispositivi di manipolazione — potenzialmente di fronte miliardi di dollari in multe e costi di garanzia, eventuali accuse penali per dirigenti e azioni legali collettive da conducenti degli Stati Uniti;
   oggi i mercati finanziari vengono scossi dallo scandalo Volkswagen, che dimostra che se non c’è trasparenza, se non ci sono controlli rigorosi e ripetuti, effettuati senza preavviso per chi li deve subire, le regole possono esser puntualmente aggirate;
    il Ministro dell'ambiente Gian Luca Galletti ha detto che se si verificherà che anche in Europa è stato messo in atto lo stesso trucco scoperto negli Usa, le conseguenze non potranno che essere le stesse: cioè la sospensione delle vendite delle vetture modificate da Volkswagen;
   sono almeno 25 le class action, le azioni collettive, già presentate in tutti i 50 stati degli Usa, contro Volkswagen e in Italia il Codacons — che già sta raccogliendo migliaia di adesioni da avviare negli Stati Uniti — sta vagliando la possibilità di ulteriori azioni legali da intraprendere sul territorio nazionale a tutela degli automobilisti –:
   di quali elementi dispongano i Ministri interpellati in relazione ai fatti sopra esposti;
   se ritengano che ci possano essere dei danni per l'industria automobilistica italiana a causa di quella che gli interpellanti giudicano una pratica di pesante violazione della concorrenza da parte della Volkswagen in considerazione del fatto che le auto tedesche venivano vendute violando le norme restrittive delle emissioni inquinanti dei motori, laddove le altre case automobilistiche rispettavano con maggiori costi per unità di prodotto;
   se non sia il caso di una verifica approfondita dello stato delle cose per quanto concerne il parco italiano circolante delle auto diesel Volkswagen, anche in vista di un richiamo cogente di dette auto da parte Volkswagen per il loro adeguamento ovvero una loro dequalificazione con caratteristiche emissive reali ai sensi delle norme europee, per esempio da euro 4 a euro 3;
   se non sia il caso dare luogo a una verifica approfondita, in grado di contrastare eventuali meccanismi truffaldini congegnati alla produzione, delle emissioni anche di altre auto diesel di marche diverse dalla Volkswagen;
   se i Ministri interpellati stiano valutando il quantitativo delle emissioni e la ricaduta di queste sulle patologie correlate. (5-06744)

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la «Saremar» (Sardegna Regionale Marittima) è una società di navigazione che effettua i collegamenti con le isole minori della Sardegna come La Maddalena e l'isola di San Pietro in regime di continuità territoriale, e quelli tra la Sardegna e la Corsica;
   nel novembre 2009 il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e il presidente della regione Sardegna hanno firmato l'accordo per il passaggio della Saremar dal controllo dello Stato, tramite Tirrenia, direttamente alla regione Sardegna che ora detiene il cento per cento dell'azionariato;
   in base alle norme contenute nel decreto-legge n. 135 del 2009, che ha anche recepito l'accordo di programma per il trasferimento gratuito della Saremar alla regione Sardegna, la medesima società avrebbe dovuto essere privatizzata «in conformità alle disposizioni nazionali e comunitarie vigenti in materia, attraverso procedure di gara aperte, non discriminatorie, atte a determinare un prezzo di mercato, le quali, relativamente alle privatizzazioni realizzate dalle regioni Campania, Lazio, Sardegna e Toscana, possono riguardare sia l'affidamento dei servizi marittimi sia l'apertura del capitale ad un socio privato»;
   nel frattempo, il medesimo decreto-legge destinava alla Saremar 13,6 milioni di euro l'anno per finanziare i collegamenti operati dalla società in regime di continuità territoriale, fondi poi sospesi nel 2010 a causa della mancata privatizzazione della compagnia;
   nel frattempo la costituzione della flotta sarda, con le navi «Dimonios» e «Scintu», date in carico alla Saremar e acquisite con finanziamenti agevolati ottenuti tramite la sponsorizzazione della «Sardegna promozione», ha provocato una sanzione da parte della Unione europea che ha ritenuto tali finanziamenti indebiti aiuti di Stato e condannato la Saremar alla restituzione di circa undici milioni di euro;
   a seguito della sanzione europea, non potendo far fronte alla restituzione di circa 11 milioni di euro, la Saremar in questi giorni sta avviando la procedura di fallimento concordato con continuità di servizio, che consentirà quindi di avviare il processo di privatizzazione, mantenendo inalterati i collegamenti per le isole minori sarde;
   stando a quanto riportato dalla stampa, nella procedura di gara per l'affidamento dei servizi marittimi con le isole minori si starebbe inserendo una clausola sociale di salvaguardia dei livelli occupativi che potrà riguardare «sia i dipendenti della Saremar in continuità di rapporto di lavoro, attualmente 117, sia gli attuali 32 in turno particolare (...) ma l'assorbimento non potrà riguardare gli amministrativi, né gli attuali lavoratori che avranno maturato i requisiti per il pensionamento alla data di cessazione del rapporto con la società marittima»;
   in ogni caso né la procedura di concordato né quella di privatizzazione potranno non tenere conto dell'esistenza di una assegnazione pluriennale di fondi pubblici alla società –:
   quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere al fine di garantire il mantenimento dei livelli occupazionali nella Saremar;
   in che modo intenda assicurare la continuità del servizio di collegamento con le isole minori. (4-10831)

INTERNO

Interpellanze:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   negli ultimi giorni nella città e nella provincia di Bari vi è stata una grave recrudescenza di atti criminali che suscitano legittima preoccupazione nei cittadini e chiamano in causa le capacità di prevenzione e contrasto da parte dello Stato;
   particolarmente grave è stato l'assalto, avvenuto il 19 ottobre 2015 nella zona industriale di Bari, ad un furgone portavalori scortato da guardie giurate ad opera di un commando composto da una ventina di persone che hanno fatto ricorso a tattiche da vera e propria guerriglia;
   l'assalto è stato organizzato in ogni dettaglio ed è stato estremamente violento, tanto che subito dopo si è alzato l'allarme degli imprenditori locali e di Confindustria per i rischi quotidiani a cui ogni giorno, nella zona industriale di Bari, sono sottoposti le attività economiche e i lavoratori in esse impiegati tra furti, rapine e autisti sequestrati;
   come emerso sulla stampa locale, vi è il paradosso legato al fatto che proprio nella zona industriale, utilizzando fondi europei, è stato installato un moderno impianto di sorveglianza, collegato a una nuova sala operativa delle forze dell'ordine, che però non è ancora operativo;
   sempre il 19 ottobre 2015, nel quartiere Libertà, cioè nel pieno della città di Bari, da un'auto in transito, a pochi passi da una scuola, sono stati esplosi in aria tre colpi di pistola;
   il giorno prima, nel territorio della provincia metropolitana, a Bitonto, durante la festa dei Santi Medici, era avvenuta una sparatoria che aveva lasciato a terra due feriti e scatenato il panico nella popolazione;
   a parere degli interpellanti questa escalation criminale deve essere affrontata con forza, oltre che dagli organi preposti sul territorio (il sindaco di Bari, che guida anche la città metropolitana, il prefetto e il questore), anche dal vertice politico del Ministero dell'interno che non può assistere, senza attivarsi, al deterioramento delle condizioni di sicurezza in cui vivono i cittadini di Bari e provincia –:
   se non ritenga necessario, come auspicato dagli interpellanti, garantire in tempi immediati la Sua presenza a Bari per lo svolgimento di un comitato provinciale per la sicurezza e l'ordine pubblico, con il quale assumere decisioni operative e, al tempo stesso, inviare un concreto segnale ai cittadini sulla presenza dello Stato e ai criminali sulla presenza delle istituzioni nel territorio;
   in che modo intenda garantire, già nell'immediato, vere ed efficaci politiche per la prevenzione alla criminalità nel barese, a partire da una maggiore dotazione, in termini numerici e organizzativi, della polizia di Stato, dei carabinieri e della guardia di finanza, unitamente a uomini delle forze armate;
   quali ulteriori iniziative intenda assumere per contrastare la recrudescenza del fenomeno criminale.
(2-01133) «Distaso, Altieri, Fucci».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il 15 ottobre 2015 le forze dell'ordine bolognesi hanno proceduto allo sgombero di un'immobile di proprietà dell'Istituto dei Ciechi Francesco Cavazza sito in via Solferino 42;
   l'immobile, per lungo tempo inutilizzato, era stato occupato nel febbraio di quest'anno dal collettivo Làbas;
   si trattava di un'occupazione a scopo abitativo, tramite la quale oltre trenta persone (tra cui diversi bambini, anche piccolissimi) prive di una casa erano riuscite a trovare un riparo;
   né l'amministrazione comunale né i servizi sociali (che sarebbero dovuti intervenire per garantire le migliori condizioni possibili per i minori coinvolti) sono stati preavvertiti dello sgombero;
   si tratta di una modalità d'azione, da parte della procura e della questura, che lascia quantomeno perplessi, considerata la necessità per chi, in quanto amministrazione, si adopera per gestire situazioni di complessità di essere tempestivamente informato di situazioni di tale criticità relative al proprio territorio di competenza;
   sembra ancora più assurda, incomprensibile ed inadeguata la scelta di non avvertire i servizi sociali prima dell'inizio delle operazioni di sgombero, dato che era ben risaputo in città che nell'edificio in questione dimorassero diversi minori, tra cui alcuni di età inferiore ai tre anni;
   lascia ancor più perplessi la scelta, da parte della Digos di Bologna, di acquisire le registrazioni audio/video relativi alle dichiarazioni da parte dell'assessore comunale Amelia Frascaroli, che nel commentare lo sgombero in questione aveva parlato del valore sociale che in determinati casi caratterizza talune occupazioni;
   le parole dell'assessore Frascaroli sono una pura riproposizione di note dottrine sociologiche, forse perseguibili in quei Paesi in cui è prevista ancora l'odiosa categoria del reato di opinione, fortunatamente non più esistente in Italia –:
   se non ritenga che nell'operato delle forze dell'ordine bolognesi relativamente allo sgombero dell'immobile di via Solferino 42 vi siano state quelle che l'interrogante giudica gravi mancanze, in particolare per quanto riguarda il mancato preavviso da dare all'amministrazione comunale ed ai servizi sociali competenti;
   sulla base di quali presupposti sia stata operata, da parte della Digos, l'acquisizione delle registrazioni audio/video delle dichiarazioni dell'Assessore comunale Frascaroli;
   quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo.
(2-01134) «Scotto».

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI, PIRAS, QUARANTA, COSTANTINO, FERRARA, SANNICANDRO, KRONBICHLER, MELILLA, DURANTI e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la testata AnconaToday.it in un articolo del 19 ottobre 2015 riporta la notizia del processo relativo ad un sequestro di sostanze stupefacenti, risalente al dicembre 2012, per il quale risultano attualmente sotto processo 60 persone circa, cittadini italiani e albanesi, residenti tra Abruzzo e sud delle Marche;
   nel caso citato una coppia di cittadini italiani, residenti nelle Marche, veniva fermata in Grecia perché sul camper che conducevano erano stati ritrovati 50 chilogrammi di marijuana;
   nell'aprile successivo, quando il camper fu dissequestrato, su richiesta dei legali della coppia, la guardia di finanza, al rientro del mezzo presso il porto di Ancona, rinvenì in un doppio fondo ulteriori 100 chilogrammi di hashish;
   dalle successive indagini effettuate della procura della Repubblica di Ancona si è giunti ad ipotizzare un traffico internazionale di sostanze stupefacenti, che aveva origine in Albania con le piantagioni a Lazarat e che proseguiva, attraverso Albania e Grecia, sino in Olanda, avendo quale punto di snodo fondamentale il porto di Ancona;
   secondo gli inquirenti l'organizzazione che gestiva il traffico era molto articolata e si avvaleva di meccanici compiacenti per modificare i fondi dei mezzi impiegati per il traffico (generalmente camper turistici per fugare sospetti), di corrieri che facevano la spola dall'Albania e la Grecia fino ad Ancona, spesso assumendo l'aspetto di turisti e di «staffette» che «presidiavano» le strade per avvertire i corrieri dell'eventuale presenza sul tragitto di forze dell'ordine;
   il porto di Ancona è soggetto, per la sua posizione geografica, a ricoprire il ruolo di snodo per diversi traffici illegali: oltre a quello di sostanze stupefacenti, il contrabbando di sigarette e di prodotti contraffatti –:
   quali iniziative il Governo stia adottando in ordine al contrasto di tali traffici che hanno quale snodo di rilievo il porto di Ancona;
   relativamente al traffico delle sostanze stupefacenti, se siano in grado di fornire il dato dei sequestri effettuati presso il porto suddetto, o in sua prossimità, nel corso degli ultimi tre anni. (4-10817)


   CARIELLO, SCAGLIUSI e BRESCIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il commissariato di pubblica sicurezza di Bitonto ha attualmente in organico 38 operatori in servizio di polizia; la pianta organica prevista nelle tabelle del decreto ministeriale 1989 è di 47 unità di personale che espleta servizio di polizia; questi uomini e donne operano su un territorio, urbano ed agricolo, fra i più vasti e popolati della provincia di Bari e con un indice di criminosità fra i più alti della regione intera; la popolazione residente nel comune di Bitonto è di circa 64.000 abitanti e risulta distribuita in tre centri abitati includendo le due frazioni di Palombaio e Mariotto distanti rispettivamente circa 10 e 15 chilometri dal centro città; a fronteggiare continui eventi delittuosi, che spaziano dai furti di auto e furti in abitazione, ai più gravi scontri a mano armata tra diversi clan malavitosi, vi sono, oltre agli uomini e donne del commissariato di pubblica sicurezza, circa 12 militari della locale stazione carabinieri e circa 16 finanzieri della locale tenenza della guardia di finanza (che operano anche su altre città limitrofe);
   è evidente che pur essendo possibile e realizzabile garantire la presenza di una pattuglia addetta al controllo del territorio nell'arco delle 24 ore, è anche vero che un così esiguo dispiegamento di forze non è sufficiente ad assicurare un livello ottimale di presenza su tutto il territorio comunale ed un adeguato e duraturo contrasto degli eventi criminosi oltre che una profonda azione preventiva che soffocano l'economia ed il vivere civile della città di Bitonto;
   è fuori di dubbio che un adeguamento di organico e mezzi, anche ai livelli di quanto previsto dalla non recente decretazione ministeriale del 1989, gioverebbe al miglioramento della tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica ed alla «copertura» ottimale di tutto il territorio di Bitonto e frazioni;
   sia nell'area della città metropolitana di Bari che nel comune di Bitonto molteplici sono stati, e ancora oggi sono, i fatti criminosi, a fronte dei quali, i cittadini di suddette zone geografiche, rimangono vittime quotidianamente. Nel sentire comune si diffonde un senso di profonda insicurezza e di totale assenza di tutela alla sicurezza da parte dello Stato, garante ai sensi dell'articolo 22 della Costituzione italiana;
   da fonti di cronaca del periodo da fine settembre 2015 ad oggi si evidenzia quanto segue:
    in data 15 ottobre si riprende a sparare a Bitonto, sparatoria in via Nenni intorno alle 20. Nel mirino dei sicari, Giuseppe Antuofermo, 27 anni, noto alle forze dell'ordine e ritenuto vicino al clan Conte. Tre di questi avrebbero raggiunto Antuofermo, ferendolo, in maniera non grave, nella parte bassa della schiena. Il 27enne è stato soccorso e trasportato presso il pronto soccorso dell'ospedale San Paolo. Antuofermo già in precedenza avrebbe subito un altro agguato, al quale era riuscito a sfuggire, nel luglio 2013;
    a soli tre giorni dall'ultimo episodio, il giorno 18 ottobre 2015 si è consumato un nuovo agguato a Bitonto, sparatoria in cui sono rimasti feriti due uomini. La sparatoria è avvenuta intorno alle 20 in via Lazzati, nell'affollata zona del Luna Park allestito per la festa religiosa dei Santi Medici. Secondo una prima ricostruzione dell'accaduto le due vittime Arcangelo Vitariello e Vitantonio Tarullo (quest'ultimo con precedenti) sarebbero state avvicinate mentre si trovavano nei pressi di un chioschetto. Ignoti, pare a bordo di uno scooter, hanno esploso diversi colpi di arma da fuoco. L'episodio è legato alla «guerra» tra clan rivali che da qualche mese si sta consumando a Bitonto;
    il giorno dopo, 19 ottobre 2015 ancora una sparatoria, fortunatamente senza feriti, all'angolo tra via Trevisani e via Bovio, al quartiere Libertà di Bari, alcuni colpi di arma da fuoco sarebbero stati sparati da un'auto in corsa contro qualcuno che è riuscito a fuggire o a nascondersi in un portone. Numerosi bossoli sono stati ritrovati sull'asfalto. La zona, nei pressi del vecchio palazzo di giustizia è molto frequentata anche dalle famiglie, vista la presenza di scuole, farebbe parte del feudo del clan Strisciuglio, il cui capo Vito Valentino è in carcere da quest'estate. Gli investigatori stanno valutando tutte le piste, incluso quella che mette in collegamento la sparatoria al Libertà con quella avvenuta meno di 24 ore prima a Bitonto nel bel mezzo della festa dei Santi Medici;
    nella stessa giornata un commando di almeno 10 persone, vestite di nero e a volto coperto, ha assalito due furgoni portavalori dell'Ivri alle 8,30 nella zona industriale di Bari, all'altezza del parco commerciale Barimax, e a poca distanza dalla sede dell'Amiu. Per bloccare i portavalori, che trasportavano denaro per conto della Banca d'Italia, uno dei banditi si sarebbe sdraiato sull'asfalto sparando all'impazzata con un kalashnikov sui veicoli blindati in arrivo. La tangenziale di Bari è rimasta a lungo bloccata, con molti disagi alla circolazione stradale anche al quartiere San Paolo sul quale è stato deviato il traffico –:
   se il Ministro sia stato messo a conoscenza dell'intensificarsi di fenomeni criminosi nel comune di Bitonto e della provincia di Bari;
   quali provvedimenti intenda assumere a partire dal potenziamento degli organici, dall'auspicabile insediamento di un avamposto di forze dell'ordine (nelle piazze principali delle due frazioni) e dal potenziamento del servizio di videosorveglianza in tutte le aree non ancora coperte da tale servizio;
   quali iniziative si intendano assumere al fine di intensificare le azioni di prevenzione e repressione condotte dalle forze di polizia nel centro urbano di Bitonto, di concerto con le amministrazioni locali ed in sinergia con tutte le forze dell'ordine presenti sul territorio, seppur nell'ambito della riorganizzazione e razionalizzazione dei Corpi di polizia e dei Corpi armati, al fine di garantire un maggior presidio delle forze dell'ordine nelle zone del Mezzogiorno maggiormente interessate da fenomeni di criminalità organizzata;
   se si intenda adottare iniziative al fine di potenziare, nella città di Bari e in tutto il territorio pugliese, l'organico delle medesime in modo da poter fronteggiare e contrastare efficacemente i fenomeni criminali garantendo alla cittadinanza e alla popolazione la concreta attuazione del diritto alla sicurezza, riconosciuto dalla Carta Costituzionale italiana, all'articolo 22, ed eliminare, altresì, gli ostacoli e disincentivi, che le condotte criminose di specie comportano alle attività commerciali e imprenditoriali della zona. (4-10825)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 20 ottobre 2015 un cittadino pakistano è stato arrestato a Mantova da poliziotti appartenenti alla Digos di Enna, coordinati dal servizio centrale antiterrorismo della polizia e dalla procura della Repubblica di Caltanissetta;
   l'indagine che ha fatto scattare l'operazione – denominata Looming Web – è scaturita dai disordini scoppiati il 14 ottobre 2014 nel centro di prima accoglienza denominato Città del Sole, situato a Piazza Armerina, in provincia di Enna;
   al predetto cittadino pakistano, il cui nome è Muhammad Bilal, si contesta il reato di associazione a delinquere con finalità di terrorismo;
   Bilal, originario di Guirat e venticinquenne, giunto nel nostro Paese nel gennaio 2014 con un barcone, farebbe parte di un'organizzazione terroristica anticristiana ed anti-sciita, nota come Sipah-e Sahaba Pakistan, ed avrebbe svolto un ruolo di primo piano nella comunità pakistana di Piazza Armerina;
   il cittadino pakistano tratto in arresto avrebbe divulgato, attraverso i suoi due profili Facebook, materiale inneggiante al jihad ed al martirio, istigando al compimento di azioni violente con finalità terroristiche;
   Bilal è risultato titolare di ben sei schede telefoniche, tutte in uso ad altre persone, utilizzandone a sua volta una settima, intestata peraltro ad altro individuo;
   alcune intercettazioni telefoniche ed ambientali hanno portato alla registrazione di colloqui nei quali il Bilal discuteva con i suoi interlocutori di addestramento militare e disponibilità di armi;
   il 17 agosto scorso a Bilal sarebbe stato negato l'asilo politico;
   risultano esservi, oltre a Bilal, altri due indagati, entrambi extracomunitari;
   nell'ambito della medesima operazione di polizia, sono state altresì eseguite perquisizioni non soltanto nelle Province di Enna e di Mantova, ma anche in quelle di Como, Milano e Prato;
   in provincia di Como, sarebbe stato interessato il comune di Lomazzo –:
   come mai Muhammad Bilal si trovasse al momento dell'arresto ancora nel nostro Paese, malgrado nell'agosto 2015 gli fosse stato negato il diritto d'asilo e risultasse quindi un migrante economico clandestino;
   quali siano le caratteristiche dell'associazione terroristica anticristiana ed anti-sciita di cui Bilal farebbe parte;
   se sia a conoscenza di quante persone e quali nazionalità siano state interessate nella provincia di Como dalla perquisizione delle proprie abitazioni e con quali risultati;
   se la circostanza che un pericoloso jihadista come Bilal sia giunto via mare non giustifichi un drastico cambio delle politiche attuate finora nei confronti di coloro che approdano nel nostro Paese con i barconi o le navi delle Marine militari europee, intensificando i controlli a loro carico fin dal momento dello sbarco nei porti italiani. (4-10832)


   MUCCI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, PRODANI, RIZZETTO e TURCO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 20 ottobre 2015, poco prima delle 7, hanno preso avvio a Bologna le operazioni per sgomberare l'ex palazzo Telecom di via Fioravanti, occupato dal 4 dicembre 2014 da un'ottantina di famiglie: 280 persone, di cui un centinaio minorenni;
   alle 14 le operazioni di sgombero sono iniziate effettivamente, materialmente, veementemente, dopo il fallimento della mediazione tentata dal comune per trovare una sistemazione per le famiglie con bambini che avevano striscioni con slogan del seguente, civile, tenore: «Vogliono una casa, non accoglienza»;
   sono stati impiegati ben 8 blindati e le forze dell'ordine, a giudizio degli interroganti, hanno limitato il diritto costituzionale di libertà di circolazione a tutti i cittadini, non solo ai manifestanti, chiudendo la strada al libero transito;
   i mezzi messi in campo appaiono obbiettivamente sproporzionati per eccesso, esagerati, poiché moltissimi agenti e carabinieri sono stati occupati: circa duecento, di fatto quasi uno per occupante;
   numerosi occupanti, tra i più giovani, sono saliti sul tetto: inizialmente solo in 30, poi aumentati sino a 150, alcuni portando con loro i propri bambini;
   si sono limitati a manifestare sonoramente mediante battitura delle inferriate e ringhiere cantando slogan civili e rispettosi della pacifica ed ordinata convivenza sociale, del seguente tenore: «Mai più senza casa», mentre i bimbi rimanevano affacciati alle finestre;
   alle 7,40 i militari, indossando addirittura la tenuta antisommossa, sono entrati nello stabile, seguiti a breve dai vigili del fuoco;
   l'assessore al welfare, Amelia Frascaroli, ha potuto conoscere e seguire tutte le operazioni dai vicini uffici comunali siti in piazza Liber Paradisus;
   alle 8,40 entrano in campo, finalmente, le figure istituzionali, le persone più idonee, appropriate e opportune per governare la situazione che si è venuta a creare. Ci si riferisce al personale dei servizi sociali, presenti sul posto sin dall'alba;
   agli eventi era presente anche il procuratore della Repubblica presso il tribunale dei minori, Ugo Pastore;
   l'impiego degli oltre 200 agenti e carabinieri, un numero, a giudizio degli interroganti, obiettivamente sproporzionato per la missione da svolgere, lo sgombero dell'edificio ex Telecom, ha causato il ferimento di due manifestanti;
   a causa di un approccio non certo idoneo e appropriato a dare soluzione pacifica alla vicenda, imputabile innanzitutto ai detentori in monopolio legale dell'uso della forza, gli agenti di polizia, vi sono stati, come già sopra detto, due feriti tra i manifestanti;
   venuti a conoscenza dei fatti, alle 7,30 circa, all'angolo fra via Fioravanti e via Zampieri sono arrivati pochi esponenti (una trentina circa in totale) di cittadini che frequentano centri sociali e collettivi per portare la propria solidarietà agli occupanti;
   il gruppo che sosteneva lo striscione «I sorrisi dei bambini non si sgomberano» è stato allontanato a forza delle operazioni da un cordone di forze dell'ordine, che alle 8,20 completava quella che agli interroganti appare un'opera di censura della libera manifestazione del pensiero;
   a causa di questa prepotenza legalizzata, ci sono stati attimi di tensione e sono stati inferti colpi di manganello ai danni dei manifestanti stessi, vola qualche manganellata;
   un secondo momento di tensione si è avuto, poi, intorno alle 9 dovuto ad atti in reazione alla violenza della polizia esercitata sui manifestanti, a giudizio degli interroganti atti di difesa legittima da parte dei cittadini incomprensibilmente attaccati, invece che difesi, dalle forze dell'ordine per garantire il diritto costituzionale contenuto all'articolo 21, oggetto della prima pronuncia della Corte costituzionale, la sentenza n. 1 del 1956 che statuiva, espungendo dall'ordinamento giuridico le leggi fasciste per adeguarlo al nuovo, il superiore valore normativo contenuto negli articoli della Costituzione e che si ricorda qui solo incidentalmente perché, come ammoniva Cicerone, «Chi non conosce il proprio passato non avrà alcun futuro davanti a sé», così statuiva: «Dichiara l'illegittimità costituzionale delle norme contenute nei commi 1, 2, 3, 4, 6 e 7 dell'articolo 113 del T.U. delle leggi di p.s. approvato con decreto 18 giugno 1931, n. 773 – per la violazione delle quali la sanzione penale è preveduta dall'articolo 663 Cod. pen. modificato con l'articolo 2 del decreto legislativo 8 novembre 1947, n. 1382 – e di conseguenza dell'articolo 1 del decreto legislativo 8 novembre 1947, n. 1382, salva la ulteriore disciplina per l'esercizio del diritto riconosciuto dall'articolo 21 della Costituzione.»;
   gli atti di legittima difesa in replica alle manganellate dei poliziotti si sono limitati a un lancio di pile, batterie, arance e sputi verso i poliziotti. Si ripete: le forze dell'ordine hanno ferito due manifestanti, che si sono resi responsabili di sputi e di lancio di arance, di colpi di pile e batterie;
   fortunatamente i medici presenti non hanno violato il giuramento di Ippocrate. Fortunatamente qualcuno in quella mattinata violenta ha adempiuto i propri doveri e, quasi subito dopo il ferimento da parte degli agenti che avrebbero dovuto proteggerli e tutelarli nel legittimo svolgimento di attività costituzionalmente garantite e tutelate, sono stati medicati dall'ambulanza presente in zona e poi portati al pronto soccorso;
   nel frattempo all'interno dell'edificio era in corso una trattativa con gli occupanti. I servizi sociali del comune e il comandante della polizia municipale, Carlo Di Palma, tentavano di convincere le donne presenti con bambini che nessun nucleo con minori sarebbe rimasto in strada. Promettevano ospitalità in strutture alternative, ma le famiglie, non sufficientemente garantite da mere parole, che notoriamente volano al vento, non accettavano;
   in conseguenza di ciò, in via Fioravanti si registrava una situazione di stallo;
   all'esterno la situazione rimaneva stabile, mentre all'interno proseguivano le trattative e sul tetto rimanevano gli occupanti;
   poco dopo, all'ora di pranzo, alla presenza dell'assessore Frascaroli le rassicurazioni sono state espresse in modo più netto e soprattutto in modo pubblico e formale durante una conferenza stampa. «Siamo in grado di garantire l'accoglienza per le famiglie con minori e le persone con fragilità», hanno affermato le autorità, in particolare Adele Mimmi, direttore del dipartimento benessere di comunità, e Annalisa Faccini, responsabile del servizio sociale minori del comune;
   a loro dire la soluzione sarebbe potuta arrivare «entro sera», assicuravano, e i nuclei familiari non sarebbero stati divisi, secondo le parole dette che si riportano: «Sono pronte tutte le risorse per garantire l'accoglienza», assicura Mimmi. «Oltre all'ex Galaxy (una parte è possibile che sia ospitata nella struttura), il Comune sta valutando anche altri edifici per l'accoglienza»;
   si riportano alcuni passaggi della lettera scritta da alcuni studenti delle medie dell'Ic7, compagni di classe di alcuni bambini stranieri asserragliati dentro l'ex Telecom, che sono stati avvisati dai loro amichetti quando è arrivata la polizia: «Mohamed resisti». «Non si possono sgomberare delle case con bambini e malati dentro, almeno prima dovrebbero avere una casa dal Comune». «Ci hanno chiesto di venire qui perché li stavano cacciando di casa», raccontano. «Li sgomberano perché vivono lì senza permesso, ma solo perché sono poveri», continua la lettera: i ragazzini «hanno pensato di scriverla per spiegare ai loro compagni e alla scuola cosa stesse succedendo», ha spiegato la loro insegnante di italiano, Fabiana Busisi, anche lei presente sul luogo insieme a una collega. Assieme alla lettera c'era anche un disegno che ritraeva un bambino che si protegge dalle manganellate di un poliziotto. «Mohamed resisti, ci vediamo a scuola», urlavano la maestra e i bambini verso le finestre dell'ex Telecom;
   la decisione del tribunale del riesame che rendeva esecutivo il sequestro dello stabile ora di proprietà di un fondo privato risale al marzo 2015;
   quello descritto è il terzo sgombero avvenuto in pochi giorni, dopo quello del collettivo Lgbt Atlantide dal Cassero di porta Santo Stefano e quello di una ventina di persone da via Solferino 42. Per dimensioni, però, e per la numerosa presenza di minori (durante i mesi di occupazione sono state diverse le nascite registrate fra le famiglie occupanti) quella effettuata all'ex Telecom non ha paragoni né precedenti;
   occorrerebbe verificare l'utilizzo passato dei fondi da parte dell'amministrazione comunale felsinea poiché appare letteralmente incredibile il fatto che si sia giunti a un degrado e un'incuria tali da parte degli amministratori che hanno provocato simili situazioni, considerato che il comune ha scelto di lasciar vivere una «pluralità di nuclei familiari» con 22 minori sotto i 10 anni, 4 neonati, 3 disabili gravi e 6 ultra 75enni in una abitazione occupata, obtorto collo, abusivamente piuttosto che garantire loro il diritto all'abitazione in alloggi popolari attingendo alle abitazioni che fanno parte del sin troppo esteso patrimonio pubblico, ben ricco anche a Bologna, preferendo assumere decisioni, a giudizio degli interroganti, assolutamente insufficienti che, alcuni casi, hanno creato dei ghetti, e sono state potenzialmente causa di successivi, ulteriori, esecrabili episodi –:
   se i fatti narrati in premessa trovino conferma e quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intendano assumere per valutare esattamente il numero di persone che versano nella condizione di emergenza abitativa, al fine di poter definire un piano emergenziale per famiglie e le persone che non hanno una casa, individuando fondi mediante una migliore allocazione delle risorse, anche in prospettiva della presentazione del disegno di legge di stabilità, provvedimento opportuno e adatto a dare soluzione a questi problemi, poiché i diritti costano ed il Governo ha l'obbligo di reperire le risorse, utilizzando al meglio i proventi di tasse imposte e contributi pagati dalla collettività per garantire almeno i diritti vitali e naturali, come il diritto alla abitazione a qualsiasi essere umano;
   a quanto sia ammontato il costo per le casse pubbliche, alimentate dal prelievo di tasse, imposte e contributi operato dallo Stato nei confronti dei cittadini, in termini non solo economici ma anche di impiego inutile e dannoso di uomini delle forze dell'ordine, oltre che in termini di mezzi, come auto, camionette, strumentazione ed equipaggiamenti. (4-10837)


   NESCI, DIENI, NUTI, D'UVA e PARENTELA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con determina dei responsabile del IV settore lavori pubblici n. 90 del 1o febbraio 2013 il servizio di «ritiro, trasporto e selezione» delle frazioni di rifiuto provenienti dalla raccolta differenziata – svolta dal comune di Gioia Tauro con proprio personale mediante la raccolta porta a  porta – era stato affiato alla ditta Eurocome srl, corrente in Gioia Tauro;
   detto servizio riguardava esclusivamente il rifiuto differenziato proveniente dalla raccolta comunale giornaliera tramite il «porta a porta» e il rifiuto differenziato conferito dal servizio di raccolta comunale e dai cittadini presso l'isola ecologica comunale;
   con ordinanza – dell'allora sindaco Renato Bellofiore – sindacale n. 137 del 2013, pubblicata il 30 dicembre del medesimo anno, si disponeva la compiuta attuazione del sistema di raccolta differenziata «porta a porta» per il comune di Gioia Tauro, mediante l'utilizzo di personale dello stesso municipio;
   successivamente, sulla base della citata determina, veniva stipulata tra il comune di Gioia Tauro e la ditta Eurocome srl apposita convenzione della durata di anni 2, con scadenza nel mese di febbraio 2015;
   con deliberazione n. 47/2015 con i poteri della giunta comunale, il commissario straordinario del comune di Gioia Tauro – il dottor Francesco Antonio Cappetta, nominato con decreto del Presidente della Repubblica del 23 febbraio 2015 a seguito delle dimissioni del sindaco Renato Bellofiore per questioni legate proprio alla gestione dei rifiuti – su parere, ai sensi dell'articolo 49 del testo unico n. 267 del 2000, del responsabile del IV settore, ingegner Angela Nicoletta, disponeva la risoluzione contrattuale in danno del nolo di mezzi costipatori dalla ditta La Fenice, con sede in Nicotera (Vv), sul presupposto che il doppio blocco dei mezzi della raccolta differenziata per mancati pagamenti dell'ente avesse causato un'interruzione di un servizio pubblico;
   in data 28 aprile 2015, con provvedimento affisso presso la casa comunale e pubblicato sul sito istituzionale del comune di Gioia Tauro, si avvisava la cittadinanza della sospensione del servizio di raccolta porta a porta dei rifiuti urbani «a causa di problemi tecnici»;
   il 27 maggio 2015, con determina n. 198 il responsabile del IV settore lavori pubblici dell'ente in questione, ingegner Angela Nicoletta, nel dare atto «che la ditta Eurocome srl ha svolto e sta svolgendo a tutt'oggi servizi di trasporto, selezione e smaltimento delle frazioni dei rifiuti solidi urbani provenienti dalla raccolta differenziata», «stante l'esigenza di non interrompere un servizio primario come quello del ritiro dei rifiuti solidi urbani differenziati e non ed al loro trasporto presso le isole ecologiche autorizzate», riteneva lecito prorogare – nelle more di indizione di una nuova procedura di gara – un servizio (a suo dire) analogo, per dodici mesi e con un ribasso del 40 per cento alla ditta medesima;
   la proroga avveniva pur allargando l'oggetto della convenzione originaria al ritiro dei rifiuti solidi urbani non differenziati, e benché in materia di rinnovo o proroga dei contratti pubblici di servizi l'amministrazione dovesse, in conformità con la normativa comunitaria, indire una nuova gara pubblica o procedura negoziata, ex decreto legislativo n. 163 del 2006;
   va precisato che il contratto originario intercorso tra ente ed Eurocome srl non prevedeva l'ipotesi di una proroga del servizio;
   in sostanza, il comune di Gioia Tauro preferì non avviare nessun bando di gara né procedura negoziata senza bando ai sensi dell'articolo 57, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;
   con nota n. 9871 del 12 maggio 2015 (ampiamente oltre la scadenza del termine di durata del primo contratto) il municipio scelse di richiedere alla ditta Eurocome srl di accettare una proroga del servizio, poi avvenuta;
   il giorno 8 ottobre 2015, con determina n. 66 emessa dal responsabile del V e VII settore municipale, il comune di Gioia Tauro annullava la determina sopra richiamata n. 198 del 27 maggio 2015, con la quale si prorogava il servizio all'Eurocome, ritenendo la disposta proroga contra legem;
   avverso detta determina di annullamento la ditta Eurocome srl proponeva ricorso al Tar di Reggio Calabria che, inaudita altera parte, sospendeva l'efficacia della determina di annullamento n. 66/2015 fino alla trattazione del merito della causa;
   a seguito di tale sospensiva si sono ripristinati gli effetti della summenzionata determina n. 198/2015, che affidava il servizio di raccolta anche della indifferenziata alla Eurocome srl, di fatto senza aver previsto alcuna gara, senza alcun invito ad altre ditte, senza alcuna convenzione;
   l'amministratore unico della Eurocome srl è il signor Luigi Bagalà, suocero del sindaco in carica di Gioia Tauro, Giuseppe Pedà, eletto nello scorso giugno;
   a norma dell'articolo 61 del testo unico n. 267 del 2000, per come riformato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 450 del 2000, non può ricoprire la carica di sindaco, tra l'altro, chi ha affini sino al secondo grado che rivestano la qualità di appaltatore di servizi comunali;
   peraltro, in un'informativa del 2008 della polizia di Stato, si legge che «nel corso dell'attività di controllo e verifica sul comune di Gioia Tauro, in data 17 agosto 2006, è stata inoltrata una dettagliata informativa nei confronti di sette soggetti, tra amministratori comunali, Pubblici Ufficiali e titolari di impresa, ritenuti responsabili di vari delitti, relativi alla violazione della legge sugli appalti pubblici. Tra i soggetti privati è opportuno segnalare la figura del Bagalà Luigi (padre di Francesco, coniugato quest'ultimo con la figlia del Dal Torrione) ritenuto inserito nella ’ndrina Piromalli unitamente al Callipo Domenico» –:
   se non ritenga doveroso e urgente assumere iniziative affinché il prefetto di Reggio Calabria considerata la decadenza dalla carica di sindaco prevista dall'articolo 68 del testo unico n. 267 del 2000, promuova l'azione di cui all'articolo 70 del citato testo unico. (4-10839)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   su disposizione del Ministero interrogato, il direttore generale dell'ufficio scolastico della regione Sicilia ha pubblicato un elenco di docenti che, avendo partecipato al concorso per dirigente scolastico bandito nel 2004 e/o a quello, del 2006 (riservato ai cosiddetti presidi incaricati) e grazie alla legge n. 107 del 2015, sono stati ammessi ad una procedura straordinaria per l'accesso al ruolo di dirigente scolastico con la frequenza di un corso-concorso della durata di pochi giorni al termine del quale sosterranno una prova scritta e, se essa sarà positiva, saranno promossi dirigenti scolastici;
   mentre il Ministero interrogato sta pertanto provvedendo ad assumere chi non ha superato lo scritto del concorso 2004 ed ha fatto ricorso contro un giudizio di una commissione, magari, costituita in collegio più o meno «perfetto» durante le valutazioni dei propri elaborati, riuscendo ad ottenere di sanare la propria situazione, vi sono quelli che, come i ricorrenti dell'ultimo concorso, del 2011, si ritrovano esclusi dalla procedura per l'accesso al ruolo di dirigente scolastico;
   a giudizio dell'interrogante, v’è un'evidente disparità di trattamento che penalizza ed umilia un'intera categoria di validi ed esperti professionisti;
   le disposizioni della prefata legge n. 107 del 2015, mentre salvaguardano le aspettative legittime di chi in pochi giorni potrà ripetere l’iter concorsuale (facilitato) del 2004 il cui contenzioso si trascina fino ad oggi con un finale più che positivo, per i «ricorrenti» del concorso 2011 nulla di tutto ciò è previsto;
   eppure tra questi altri «ricorrenti», alcuni, dopo, avere superato le prove preselettive, sostenuto e superato due prove scritte di particolare difficoltà, sono stati fermati da un colloquio orale intriso di irregolarità non solo formali, ma anche sostanziali, tanto da doversene occupare, oltre che la stampa, anche gli organi di polizia giudiziaria ed il tar del Lazio a cui si sono rivolti e dal quale attendono la risposta, si spera, definitiva;
   il concorso per il reclutamento di dirigenti scolastici del 2011 si è svolto su base regionale e, per la sola Sicilia, ha previsto 237 posti;
   il bando del concorso prevedeva: 1) una prova selettiva mediante test contenenti 100 quesiti cui rispondere in 100 minuti e da superare con un punteggio minimo di 80/100; 2) due prove scritte consistenti, la prima nello svolgimento di un elaborato su una o più tra le otto aree tematiche oggetto della preselettiva e la seconda nella soluzione di uno studio di caso relativo alla gestione dell'istituzione scolastica, entrambe da superare con un punteggio non inferiore a 21/30; 3) valutazione dei titoli presentati dai candidati risultati idonei alle prove scritte; 4) successivo svolgimento di una prova orale, consistente in un colloquio interdisciplinare sulle stesse aree tematiche oggetto della prova preselettiva e della prima prova scritta onde accertare la preparazione professionale, da superare con un punteggio non inferiore a 21/30; 5) formazione della graduatoria generale di merito; 6) ammissione dei vincitori ad un tirocinio obbligatorio della durata non inferiore a tre mesi e non superiore a quattro; 7) assunzione in servizio dei candidati dichiarati vincitori nell'ordine della graduatoria generale di merito;
   dopo la pubblicazione degli esiti delle prove scritte, un gruppo di oltre 200 candidati siciliani non ammessi alle prove orali ha presentato ricorso al tar Sicilia denunciando gravi irregolarità amministrative inerenti alla correzione degli elaborati e alla composizione della commissione di valutazione all'interno della quale si trovavano commissari che, pur avendo prodotto dichiarazione di non incompatibilità, risultavano avere preparato candidati nell'ambito di corsi di formazione e di preparazione al concorso in questione;
   i suddetti 200 candidati/ricorrenti avevano brillantemente superato la dura prova preselettiva ed, al momento, attendono che il Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia emetta la sentenza, presumibilmente, nel prossimo mese di novembre 2015;
   dei 260 candidati che hanno superato le due prove scritte e sono stati ammessi alla prova orale, taluni con il massimo dei voti, ben 84 non hanno superato la prova orale e la maggior parte di questi sono in possesso di numerosi titoli attestanti una cospicua pregressa esperienza di gestione scolastica (vicepresidi, figure di staff dirigenziali e frequenza a master di specializzazione nella gestione e dirigenza scolastica). Poiché le suddette prove orali si sono svolte con criteri e modalità contrastanti rispetto ai principi del giusto procedimento, di imparzialità, trasparenza e par condicio, inficiando quindi la regolarità e genuinità della procedura e del suo esito, i succitati candidati hanno prodotto ricorso al tar Lazio da cui si attende sentenza, presumibilmente l'8 ottobre 2015;
   talmente evidenti, a giudizio dell'interrogante, sono state le irregolarità nell'espletamento delle procedure di detto concorso che perfino la magistratura penale ha ritenuto di dovere avviare un'indagine emettendo alcuni avvisi di garanzia a persone a vario titolo responsabili, di dette procedure;
   a dispetto di quanto appena descritto, il 7 agosto 2015, l'ufficio scolastico della regione Sicilia pubblica un elenco di docenti che hanno prodotto ricorsi avversi ai concorsi del 2004 e del 2006 e li ammette ad una procedura per l'accesso al ruolo di dirigente scolastico con la frequenza di un corso-concorso della durata di pochi giorni (dal 10 al 21 agosto) al termine del quale, dopo aver sostenuto e superato una unica prova scritta, viene pubblicata la graduatoria dei vincitori (50, di cui 7 con riserva) destinatari di una proposta di assunzione in qualità di dirigente scolastico;
   è di palmare evidenza la disparità di trattamento nei confronti di tutti i ricorrenti del concorso del 2011 che a livello nazionale hanno, taluni, superato la difficile prova preselettiva, altri anche le due complesse prove scritte, mentre fra gli ammessi all'attuale corso-concorso vi sono docenti che non hanno sostenuto neppure una sola prova;
   se è vero che la prefata legge n. 107 del 2015 voglia mirare all'eliminazione dei contenziosi ed all'equità, allora non si spiega perché non eliminare anche i contenziosi posti in essere dai ricorrenti del concorso del 2011;
   a giudizio dell'interrogante è oltremodo ingiusto che, per i ricorrenti del concorso 2011, si aspettino ancora i tempi lunghi della giustizia amministrativa e  se celere provvedimento deve essere preso ciò deve accadere anche per costoro e per tutti quelli che aspettano da anni equità e giustizia;
   la normativa attualmente in vigore impedirebbe di far rientrare questo personale nella procedura per l'accesso al ruolo di dirigente scolastico, ma, a giudizio dell'interrogante, si potrebbe prevedere una riserva di posti per il personale di cui sopra alla prossima procedura per l'accesso al ruolo di dirigente scolastico –:
   quali iniziative di competenza abbia intenzione di adottare il Ministro interrogato per risolvere la problematica esposta in premessa. (4-10834)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CIPRINI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO e LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Il Sole 24 ore del 17 agosto 2015 ha pubblicato un articolo riguardante l'andamento dei buoni lavoro, detti anche voucher, utilizzati per il pagamento delle prestazioni accessorie, già disciplinate – in passato – dagli articoli 70-73 del decreto legislativo n. 276 del 2003: «Non si ferma l'exploit dei voucher per i mini-lavori occasionali. Complici la crisi e l'allargamento del raggio di azione, i «buoni» – introdotti nel 2008 per le attività stagionali e come veicolo di emersione del «nero» – hanno varcato a giugno la soglia di 200 milioni di vendite, l'equivalente di 2 miliardi di euro. Dalla sperimentazione in agricoltura hanno preso progressivamente quota anche in altri settori, a partire da commercio e turismo»;
   il quotidiano economico riporta una serie di dati molto significativi: «Secondo l'ultimo monitoraggio dell'Inps, nel primo semestre del 2015 sono stati venduti quasi 50 milioni di tagliandi del valore nominale di 10 euro, con un aumento del 74,7 per cento rispetto allo stesso periodo del 2014, con punte del 95,2 per cento e del 85,3 per cento rispettivamente nelle isole e nel Meridione. Sono proprio tre regioni del Mezzogiorno a guidare la classifica degli aumenti: Puglia (+98,3 per cento), Sicilia (+96,6 per cento) e Sardegna (+94,2 per cento). Anche se la maggior parte delle vendite resta concentrata al Nord (65 per cento), nel Sud e nelle isole è circolato quest'anno quasi un quinto del totale dei voucher, un balzo in avanti rispetto a qualche anno fa, quando le regioni di quest'area non raggiungevano nemmeno il 10 per cento»;
   è probabile un ulteriore aumento del ricorso all'utilizzo dei voucher poiché il Governo con il recente intervento normativo – ad opera del decreto legislativo n. 81 del 2015 entrato in vigore il 25 giugno 2015 di attuazione della legge delega, cosiddetto Jobs Act – ha previsto all'articolo 48 l'aumento del tetto massimo dei compensi pagati con i voucher alla stessa persona portandolo dai 5 mila euro previsti in precedenza ai 7 mila euro netti l'anno. Fermo restando tale limite complessivo (7 mila euro netti), nei confronti di committenti imprenditori e/o professionisti, le stesse attività possono essere svolte a favore di ciascun singolo committente per compensi fino a 2 mila euro e se rese da soggetti che stanno percependo prestazioni integrative di salario o di sostegno al reddito (cassa integrazione, indennità di disoccupazione, «Naspi» e altro) esse possono dar vita a compensi fino a 3 mila euro per anno civile, in tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali;
   le analisi quantitative riportate dal quotidiano evidenziano che «Nel 2014 più di un milione di persone sono state pagate con i voucher: una su quattro nel commercio (dove da 2008 è stato venduto il 18 per cento dei buoni), seguito a breve di stanza dal turismo (21 per cento di «lavoratori» e 12 per cento di tagliandi), che registra anche il maggior aumento (+97,4 per cento di addetti)»;
   altro elemento di analisi interessante ha riguardato il cambiamento della platea dei destinatari di tali voucher: «Tra il 2008 e il 2014, però, non è solo mutato il numero dei voucher ma è anche mutato il profilo dei «prestatori» via voucher, per età e per genere. Nel 2008 quattro su cinque erano maschi, età media 61 anni, quasi certamente pensionati. Appena più giovani le donne (56,5 anni). Nel 2014 l'età media si è abbattuta e nel mercato dei voucher sono entrati i giovani e soprattutto le donne. L'anno scorso le lavoratrici, hanno sorpassato gli uomini arrivando a quasi il 52 per cento del totale» (fonte: ItaliaOggi del 18 agosto 2015);
   restringendo l'obiettivo sugli under 35, il centro studi Datagiovani ha evidenziato che questi rappresentano ormai più della metà degli occasionali (54,1 per cento);
   il valore netto del voucher di 10 euro nominali, cioè l'importo netto intascato dal lavoratore, è pari a 7,50 euro; mentre 1,30 euro vanno alla gestione separata Inps, 0,70 euro all'Inail e altri 0,50 euro all'Inps per il servizio di riscossione;
   il boom nell'utilizzo dei voucher – lungi da rappresentare una «conquista» ovvero indice di una vera ripresa dell'occupazione – rappresenta comunque una forma «spinta» di lavoro precario, che non dà alcun diritto e tutele minime; se è pur vero che utilizzato correttamente e secondo le intenzioni originarie del legislatore, permette l'emersione del lavoro irregolare, è altrettanto vero che i vincoli sull'uso dei voucher sono minimi e facilmente aggirabili: 1) è stata allargata la platea dei destinatari: possono essere pensionati, giovani, studenti in vacanza, cassintegrati e disoccupati, lavoratori part time, extracomunitari in possesso di permesso di soggiorno e dipendenti e possono essere addetti a qualunque lavoro: dal settore agricolo al settore del commercio e del turismo, dal volantinaggio fino ai servizi per la persona e domestici, alle manifestazioni sportive, al giardinaggio e alle pulizie; 2) il lavoratore del voucher è slegato dal contratto nazionale del proprio settore di attività, l'importo del compenso è fisso sempre in 7,50 euro indipendentemente dal tipo di attività prestata, non si hanno diritti: non si matura il trattamento di fine rapporto, non si maturano ferie, non si ha diritto alle indennità di malattia e di maternità né agli assegni familiari; 3) per il lavoratore impiegato con voucher non è prevista alcuna formazione ad esempio sulle norme di sicurezza e di igiene; 4) i controlli sulla corretta applicazione del voucher sono di difficile attuazione: l'ispettore del lavoro non può verificare l'orario di inizio e di fine del lavoro, limitandosi ad appurare che sono stati pagati i contributi;
   infine, anche la Cgil ha denunciato: «Il boom dei voucher è anche un boom di mancati introiti per il fisco e per l'Inps. E rappresenta l'ultima frontiera per trasformare il lavoro occasionale, che è quello che dovrebbe essere pagato con i voucher, in un lavoro del tutto simile a quello a tempo pieno, solo pagato molto meno e con zero garanzie» (da www.gazzettadimantova.gelocalit del 29 agosto 2015);
   di recente, il presidente nazionale dell'Inps, Tito Boeri, è stato molto esplicito: «I voucher sono la nuova frontiera del precariato: il loro incremento può significare problemi futuri ed è bene guardare questo fenomeno con grande attenzione. Non sono uno strumento che si aggiunge agli altri, per alcuni i voucher sono l'unica prestazione lavorativa»;
   si rende necessario un intervento del Governo volto a sanzionare e reprimere l'uso improprio dei voucher e a innalzare la tutela del dipendente destinatario dei voucher al pari degli altri lavoratori che svolgono medesime mansioni –:
   quali iniziative correttive – anche di tipo normativo – intenda adottare il Governo per ovviare alle criticità segnalate in premessa, anche fornendo agli organi preposti ai controlli in materia di lavoro adeguati strumenti per accertare, sanzionare e reprimere l'uso improprio dei voucher, potenziando i controlli e così favorendo la lotta al lavoro nero e all'evasione fiscale, al fine di offrire finalmente un vero rapporto di lavoro, con le necessarie tutele, ai lavoratori precari di cui in premessa;
   se il Governo intenda avviare una indagine o un monitoraggio allo scopo di verificare se lavoratori precedentemente titolari di contratti di lavoro siano stati poi destinatari di voucher e la genuinità del ricorso all'utilizzo del voucher da parte del committente e fornire dati sul tipo di prestazione e numero dei lavoratori impiegati con i voucher;
   quanti lavoratori impiegati con voucher siano stati oggetto di controllo da parte dell'ispettorato del lavoro, quante e quali siano le violazioni rilevate e quali siano i dati in possesso degli enti preposti relativamente agli infortuni sul lavoro subiti dai lavoratori impiegati tramite voucher. (5-06726)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PARENTELA, CIPRINI e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel nostro Paese, alcune decine di migliaia di lavoratori attendono da tempo di ricevere, per quanto riguarda gli ammortizzatori in deroga, diverse mensilità arretrate relative all'anno 2014;
   la situazione in Calabria è persino peggiore con 40 mila lavoratori che, addirittura, aspettano di ricevere anche le spettanze del 2013;
   vi è, inoltre, un problema di natura fiscale sulle mensilità spettanti che dai lavoratori verrebbero ricevute nell'anno 2015 con un aggravio di tassazione, per un ritardo che non dipende certo da loro;
   gli ammortizzatori sociali rappresentano l'unica entrata economica e dunque l'unico strumento di sostentamento nei casi delle famiglie monoreddito. La situazione di disagio è aggravata dalla mancata comunicazione da parte delle istituzioni di riferimenti temporali certi per la soluzione della sopra esposta problematica –:
   quale sarà il futuro dei soggetti percettori di mobilità descritti nelle premesse, anche alla luce del nuovo quadro degli ammortizzatori sociali determinatosi con l'approvazione del cosiddetto Jobs act, e se non si ritenga opportuno dare chiare indicazioni sulla questione della fase di transizione tra vecchio e nuovo regime per coloro che presentano più di tre anni di mobilità in deroga;
   quali iniziative i Ministri intendano adottare per pagare le spettanze arretrate senza aggravio di tassazione e con un trattamento che sia omogeneo su tutto il territorio nazionale e chiaro per tempistica e coperture. (4-10814)


   GREGORIO FONTANA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di luglio 2015 è avvenuta la cessione del gruppo Italcementi alla tedesca Heidelberg, che ha acquistato la partecipazione di Italmobiliare in Italcementi pari al 45 per cento;
   il gruppo Italcementi nel nostro Paese ha circa 2.700 dipendenti, 850 dei quali nella sola provincia di Bergamo;
   la scorsa settimana Italcementi ha avanzato una proposta di cassa integrazione guadagni straordinaria per un massimo di 1.080 dipendenti; nella provincia di Bergamo potrebbero essere interessati ben 680 lavoratori su un totale di 850;
   il territorio bergamasco, duramente colpito dalla crisi, ha già subito in passato situazioni analoghe, anche se mai di questa portata, che sono poi terminate con una drastica riduzione del personale e in alcune occasioni con la chiusura degli impianti –:
   quale sia l'orientamento del Governo, per quanto di competenza, in merito all'operazione Italcementi-Heindelberg;
   quali siano le iniziative che il Governo intende mettere in campo per seguire da vicino la crisi aziendale e quali siano gli strumenti e gli ammortizzatori sociali che potranno essere previsti per fronteggiare la crisi di Italcementi, che colpisce varie realtà italiane e, in particolare, la provincia di Bergamo. (4-10816)


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 settembre 2015 la Fondazione Enasarco ha deliberato l'indizione delle elezioni per il rinnovo dei propri organi di vertice;
   le procedure elettive sono previste nel nuovo statuto e nel nuovo regolamento elettorale, deliberati dal consiglio di amministrazione dell'ente rispettivamente in data 6 e 14 maggio 2015 e approvati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   l'articolo 13, comma 4, dello statuto prevede che «L'elettorato passivo compete ai candidati iscritti in apposite liste a carattere nazionale, distinte per la rappresentanza della componente degli agenti rispetto a quella dei preponenti, presentate con una delle seguenti modalità: a) congiuntamente o disgiuntamente dalle associazioni di categoria comparativamente più rappresentative individuate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e che abbiano negoziato e sottoscritto accordi economici collettivi e conseguenti convenzioni con la Fondazione, vigenti al momento della sessione elettorale, per lo svolgimento delle attività istituzionali previste all'articolo 2 del presente Statuto; b) mediante sottoscrizione da parte almeno del tre per cento dei soggetti provvisti di elettorato attivo per la componente di appartenenza»;
   gli iscritti attivi dell'ente sono circa 230.000 per cui le firme richieste dal citato comma 4 sono circa 6.900;
   secondo l'articolo 14 del regolamento elettorale «Le liste elettorali di cui all'articolo 13, comma 4, lettera b), dello Statuto sono corredate dagli elenchi dei sottoscrittori, contenenti l'indicazione di nome, cognome, numero di matricola dell'agente o numero di posizione dell'impresa preponente, codice fiscale o partita iva e sottoscrizione con firma autenticata da uno dei soggetti indicati all'articolo 14 della legge 21 marzo 1990, n. 53»;
   tale articolo recita: «Sono competenti ad eseguire le autenticazioni che non siano attribuite esclusivamente ai notai e che siano previste dalla legge 6 febbraio 1948, n. 29, dalla legge 8 marzo 1951, n. 122, dal testo unico delle leggi recanti norme per la elezione alla Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni, dal testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, e successive modificazioni, dalla legge 17 febbraio 1968, n. 108, dal decreto-legge 3 maggio 1976, n. 161, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 1976, n. 240, dalla legge 24 gennaio 1979, n. 18, e successive modificazioni, e dalla legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modificazioni, nonché per le elezioni previste dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, i notai, i giudici di pace, i cancellieri e i collaboratori delle cancellerie delle corti di appello dei tribunali e delle preture, i segretari delle procure della Repubblica, i presidenti delle province, i sindaci, gli assessori comunali e provinciali, i presidenti dei consigli comunali e provinciali, i presidenti e i vice presidenti dei consigli circoscrizionali, i segretari comunali e provinciali e i funzionari incaricati dal sindaco e dal presidente della provincia. Sono altresì competenti ad eseguire le autenticazioni di cui al presente comma i consiglieri provinciali e i consiglieri comunali che comunichino la propria disponibilità, rispettivamente, al presidente della provincia e al sindaco. 2. L'autenticazione deve essere compiuta con le modalità di cui al secondo e al terzo comma dell'articolo 20 della legge 4 gennaio 1968, n. 15. 3. Le sottoscrizioni e le relative autenticazioni sono nulle se anteriori al centottantesimo giorno precedente il termine fissato per la presentazione delle candidature»;
   dalle citate disposizioni risulta che possono presentare liste «di ufficio» senza raccogliere nemmeno una firma solo le stesse associazioni già presenti nel Consiglio di Amministrazione, che poi sono le stesse che hanno deliberato il nuovo statuto e regolamento elettorale, mentre chiunque altro (associazione o singolo iscritto all'ente) è chiamato a raccogliere circa 6.900 firme autenticate, in quanto non è comparativamente tra i più rappresentativi, o non ha firmato la convenzione per la gestione del Fondo indennità di risoluzione del rapporto (Firr) con Enasarco, oppure è carente di entrambi i requisiti richiesti;
   a parere dell'interrogante ciò introduce un clamoroso discrimine tra i soggetti che possono preparare delle liste per l'elettorato passivo, costituendo un'assoluta anomalia nelle procedure elettorali degli enti di previdenza privatizzati;
   in tal modo, le procedure elettorali avvantaggiano quelle stesse associazioni da sempre presenti nel consiglio di amministrazione della Fondazione, con il rischio di svuotare di ogni significato le imminenti elezioni, che invece dovrebbero rappresentare un momento di svolta storica per Enasarco, dopo il commissariamento del 2007 ed i numerosi scandali denunciati da carta stampata e trasmissioni televisive sulla gestione mobiliare ed immobiliare dell'ente –:
   se non ritenga che le procedure previste per la presentazione delle liste dallo statuto dell'Enasarco siano troppo stringenti, sia in relazione al numero di firme da raccogliere sia come modalità di raccolta, soprattutto in relazione a quanto previsto per le elezioni in tutti gli altri enti di previdenza privatizzati. (4-10826)


   CAMANI, MIOTTO, NACCARATO, NARDUOLO e ROSTELLATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni l'amministratore delegato di Lag Italia ha incontrato le rappresentanze sindacali e i lavoratori dell'azienda LAG di Cornegliana di Due Carrare, in provincia di Padova, confermando l'intenzione della proprietà di chiudere lo stabilimento padovano e di procedere al licenziamento collettivo di 35 dei suoi 39 dipendenti;
   solo a quattro impiegati verrà proposto il trasferimento nell'ufficio marketing di Genova;
   l'azienda fa capo al gruppo Vandemoortele, leader europeo nella produzione di specialità da forno surgelate per la grande distribuzione e la ristorazione;
   il gruppo belga ha comunicato di voler investire ben 10 milioni di euro in macchinari esclusivamente nella sede di Ravenna, senza possibilità di trasferire personale da Due Carrare, specificando che, per l'elevato livello di automazione della nuova linea da installare nello stabilimento romagnolo, non servirà un solo lavoratore in più rispetto agli attuali;
   la conferma della notizia relativa ai licenziamenti ricevuta verbalmente dai dipendenti il 5 ottobre 2015 ha suscitato grande preoccupazione nella comunità locale tanto che l'Amministrazione comunale di Due Carrare ha convocato un consiglio comunale tenutosi il 16 ottobre 2015 nel quale ha chiesto che vengano percorse tutte le strade per comporre la vicenda in modo da salvaguardare lo stabilimento produttivo e tutelare la principale fonte di reddito delle famiglie dei lavoratori interessati e dell'indotto;
   gli interroganti esprimono ulteriori preoccupazioni perché questa chiusura rappresenterebbe un ulteriore grave perdita per il territorio della provincia di Padova con un impatto molto negativo per il tessuto socio-economico padovano –:
   se i Ministri siano al corrente dei fatti sopra esposti;
   quali iniziative, di competenza, anche per il tramite degli uffici territoriali del Governo e in collaborazione con la provincia e la regione, intendano adottare per attivare un tavolo di concertazione con la proprietà per evitare che un altro stabilimento industriale lasci la provincia di Padova;
   in che modo intendano tutelare i lavoratori e preservare lo storico stabilimento di Cornegliana;
   quali interventi di politica industriale intendano adottare per evitare che la produzione industriale di tali i territori venga irrimediabilmente ridimensionata determinando un impoverimento delle comunità locali e dell'intera provincia di Padova. (4-10828)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LUPO, L'ABBATE, PARENTELA, GAGNARLI, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI e BENEDETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 2 gennaio 2015 il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali con decreto protocollo n. 0000012 nomina il Commissario straordinario del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria (CREA), con i compiti di cui all'articolo 1, comma 381, della legge 23 dicembre 2014 n. 190;
   il comma 381 della legge di cui in parola stabilisce altresì in 120 giorni, dalla data di nomina del Commissario straordinario, il termine ultimo per la presentazione del piano triennale per il rilancio e la razionalizzazione delle attività di ricerca e sperimentazione in agricoltura, lo statuto del Consiglio e gli interventi di incremento dell'efficienza organizzativa ed economica;
   al comma 381, penultimo capoverso, si legge: «Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, tenuto conto delle proposte del commissario, approva, con decreto di natura non regolamentare, da emanare previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, la direttiva di indirizzo triennale delle attività di ricerca e sperimentale, lo statuto del Consiglio e il piano degli interventi necessari ad assicurare il contenimento della spesa e la riduzione del numero delle sedi nonché l'equilibrio finanziario del Consiglio»;
   l'Associazione nazionale professionale per la ricerca (ANPRI), in data 13 agosto 2015 diffonde un Comunicato, visionabile online all'indirizzo http://www.anpri.it/crea-riunione-5-agosto-2015/, dove, nell'ultimo capoverso, si fa espresso riferimento alla mancata acquisizione da parte del nuovo Ente (CREA) di un immobile sito in via Po 14 Roma; altresì, lo stesso Commissario straordinario, in data 1o settembre 2015, in concomitanza dell'audizione presso il Senato della Repubblica, diffonde una ulteriore bozza del piano di riordino triennale, in cui, a pagina 19, capoverso Agricoltura e Ambiente, in riferimento ad una delle sedi di Roma, si dichiara come la stessa verrà dismessa e consequenzialmente restituita all'Agenzia del demanio;
   ad oggi, il 14 ottobre 2015, centosessantasei giorni dopo il termine ultimo per la presentazione definitiva del piano triennale e dello statuto del Consiglio, alle commissioni competenti, così come disposto dal penultimo capoverso del comma 381 della legge 23 dicembre 2014 n. 190, non risulta esser giunta alcuna richiesta di parere da parte del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali circa il nuovo piano di riordino dell'ente, questo lascerebbe presupporre agli interroganti che lo stesso non sia ancora stato redatto;
   in riferimento alla bozza di cui sopra, datata 1o settembre 2015, gli interroganti notano una serie di incongruenze numeriche circa il riordino delle sedi del nuovo ente (CREA) che, da circa ottanta dovrebbero essere ridotte a ventotto; a dimostrazione di ciò si fa notare che, a pagina 6, del predetto documento, il commissario straordinario dichiara che il nuovo ente sarà riorganizzato in 28 sedi e 10 laboratori ivi compresa l'amministrazione centrale di Roma, ma a pagina 23, in cui si trova la mappa delle sedi del progetto proposto, basta numerare le icone disposte in cartina per rendersi conto che le sedi non sono 28 ma 29. Inoltre sempre alla pagina 23 del suddetto documento si evince che il comune di Roma dispone di un'unica sede dove far confluire n. 4 centri di ricerca e, come dichiarato dallo stesso commissario straordinario, questa sarebbe la sede dell'Amministrazione centrale; ma lo stesso commissario sembrerebbe smentirsi poiché a pagina 19 al secondo capoverso (agricoltura e ambiente), parlando dell'ubicazione fisica delle sedi di Roma, fa riferimento alla sede di via della Navicella e ad un'ulteriore sede dove sarà ubicata l'Amministrazione centrale, portando di fatto le sedi ad un numero di 30 –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare per ristabilire il programma previsto dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190;
   se il Ministro interrogato non riscontri anch'egli le incongruenze numeriche citate in premessa circa il riordino delle sedi del nuovo ente;
   se sia nella possibilità del commissario straordinario designato acquisire e dismettere immobili appartenenti all'Ente prima che il Ministro approvi con decreto di natura non regolamentare la direttiva di indirizzo triennale delle attività di ricerca e sperimentale, lo statuto del consiglio e il piano degli interventi necessari, ed, in caso affermativo, quale sia l'elenco degli immobili che si intende acquisire o dismettere, prima che le Commissioni parlamentari competenti abbiano espresso parere circa la predetta direttiva di indirizzo triennale. (5-06750)


   COMINARDI, ALBERTI e SORIAL. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sono stati due recenti servizi giornalistici, il primo visibile nella puntata del 17 maggio 2015 della trasmissione Report dell'emittente Rai3, il secondo nella puntata del 21 maggio 2015 di Announo trasmesso da La 7, a portare alla ribalta della cronaca nazionale il tema delle condizioni di allevamento e detenzione di suini in alcuni allevamenti italiani. I servizi evidenziano: situazioni di sovraffollamento del bestiame, cadaveri di suini in mezzo ad altri animali vivi, presenza di ratti, scrofe affette da infezioni all'apparato riproduttore, piccoli schiacciati dalle madri a causa delle ristrette dimensioni delle «gabbie parto» che non consentono loro di muoversi, presenza di patologie tumorali, assenza di controllo e cure veterinarie;
   il decreto legislativo 7 luglio 2011 n. 122, attuazione della direttiva 2008/120/CE, riguardante la tutela della suinicoltura italiana, stabilisce norme minime per la protezione dei suini indicando chiaramente le modalità di detenzione ed allevamento della specie nel rispetto dei criteri previsti per il benessere degli animali. Il vicepresidente della LAV Roberto Bennati, in un articolo pubblicato il 7 ottobre 2015 dal quotidiano Corriere della Sera, sostiene che i controlli giornalieri di competenza dell'Asl eseguiti negli allevamenti italiani censiti, concentrati principalmente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto, non evidenziano in alcun modo il maltrattamento dei suini e l'insalubre situazione accertata dai citati servizi giornalistici. È proprio il Vice Presidente Lav Roberto Bennati, in una nota indirizzata al Governatore Maroni, a chiedere il commissariamento dei servizi veterinari dell'ASL competenti. Uno studio dell'Arpa Emilia Romagna conferma danni ambientali enormi, in particolare l'inquinamento causato dagli allevamenti di suini con conseguente contaminazione delle falde acquifere in alcuni comuni;
   in data 7 ottobre 2015 la procura di Brescia, su disposizione del Sostituto Procuratore Ambrogio Cassiani, con l'ausilio degli uomini della Guardia Forestale, ha effettuato controlli presso la società Italcarni s.r.l. di via Artigianale 42 in Ghedi (Brescia), che hanno portato ad un sequestro preventivo finalizzato alla confisca e a reati ipotizzati quali: maltrattamento di animali, adulterazione di prodotto alimentare destinato alla vendita con conseguente pericolo per la salute del consumatore, gestione illecita dei rifiuti con inquinamento delle rogge tramite lo scarico di scarti di macellazione e sangue, oltre a falso in atto pubblico. Sei le persone indagate, tra queste: i responsabili dell'azienda e alcuni funzionari del distretto ASL della bassa bresciana centrale;
   stando agli atti dell'inchiesta e alle verifiche effettuate sul prodotto venduto, nonché ad alcune riprese effettuate dalle telecamere installate dagli uomini della polizia giudiziaria, gli animali destinati al macello, in alcuni casi pervenivano già morti da tempo indeterminato con mezzi di trasporto non adeguati alle norme, in altri venivano trascinati già dai camion dai dipendenti dell'azienda con catene di ferro. Nel cadere riportavano lacerazioni che infettatesi non venivano curate, alterando la carica batterica della carne, poi regolarmente macellata e messa sul mercato con conseguente pericolo per la salute del consumatore;
   in un articolo pubblicato dal quotidiano Bresciaoggi il 17 ottobre 2015, l'Azienda Sanitaria locale rivendica il ruolo di vigilanza giocato nelle inchieste Green Hill-bis e Italcarni. A detta del Direttore Sanitario Francesco Vassallo «l'Asl è garanzia di trasparenza e legalità», sottolineando il ruolo da loro svolto dai suoi operatori di rigorosa sorveglianza, giocato nelle vicende che hanno alimentato le inchieste sulle ispezioni a Green Hill e sulle presunte irregolarità di Italcarni. Nell'incontro di presentazione delle attività del Dipartimento di prevenzione veterinario, al quale hanno partecipato anche il Direttore generale Carmelo Scarcella e il responsabile del Dipartimento Silvestro Abrami, Vassallo sottolinea che «i due veterinari compromessi nell'inchiesta Green Hill son stati sospesi» e che «per i due coinvolti nella vicenda di Ghedi, non essendo ancora in Presenza della richiesta di rinvio a giudizi, uno è stato assegnato ad altro tipo di impianti, mentre il secondo è stato trasferito da Leno a Lonato in forma cautelativa, a tutela del dipendente –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei dati e degli elementi riportati in premessa;
   come il Governo intenda agire al fine di eliminare la persistente presenza di allevamenti che non rispondono alle normative vigenti in tema di benessere animale e riduzione dell'impatto ambientale e per porre fine a questa condizione che reca danni all'ambiente, ai cittadini e soprattutto agli animali;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere nell'immediato per verificare e vigilare l'adeguato, puntuale, effettivo e corretto svolgimento dei controlli negli allevamenti. (5-06751)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLLETTI, SCAGLIUSI, L'ABBATE, D'AMBROSIO, DE LORENZIS, BRESCIA e CARIELLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo una inchiesta de Il Fatto Quotidiano, tra il 2013 e il 2014 si sono verificate diciannove morti «sospette» negli ospedali Perrino di Brindisi e centro neurolesi di Ceglie Messapica. La morte pare essere riconducibile ad un'infezione nosocomiale da Klebsiella pneumonia. Negli ultimi quattro mesi, da maggio e settembre, i casi di infezione accertati sono stati 37;
   non risulta agli interroganti se siano state adottate misure atte a prevenire il diffondersi dell'infezione, né risulta se la direzione sanitaria abbia intrapreso le necessarie verifiche sull'ambiente delle sale operatorie;
   da fonti di stampa pare che la procura della Repubblica di Brindisi abbia recentemente aperto un fascicolo per approfondire la vicenda, a seguito dell'esposto dei familiari di alcuni pazienti deceduti, e che la direzione generale dell'asl abbia istituito una task force per verificare quali possano essere stati i fattori che hanno provocato le infezioni;
   al momento pare non ci siano iscritti nel registro degli indagati, né ipotesi di reato;
   in base a quanto disposto dalla delibera ASL n. 675 del 25 giugno 2012 la comunicazione delle infezioni avvenute nei siti chirurgici deve avvenire entro 48 ore. Tuttavia, nonostante vi siano state 37 infezioni contratte da maggio a settembre, la prima segnalazione, a quanto consta agli interroganti, sarebbe arrivata solo il 5 ottobre 2015 –:
   se il Ministro abbia già disposto o intenda disporre un'ispezione del comando dei carabinieri per la tutela della salute con relativa relazione presso gli ospedali sopra menzionati;
   se il Ministro intenda rendere pubblica la suddetta relazione ministeriale;
   se il Ministro intenda al riguardo assumere iniziative, nell'ambito del SiVeAS, volte ad accertare che attualmente siano assicurati adeguati livelli di sterilizzazione e sanificazione degli ambienti operatori e post-operatori presso gli ospedali sopra menzionati. (5-06724)

Interrogazione a risposta scritta:


   PARENTELA, NESCI e DIENI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sul territorio di Gimigliano (Catanzaro) coesistono siti di cave attive, inattive di tipo friabile, di tipo compatto di pietra verde e affioramenti ofiolitici in cui è riconosciuta alta la concentrazione di materiale fibroso asbestiforme aerodispersibile di amianto (termolite e crisolito). La tremolite e il crisolito sono classificati come amianto e la loro distribuzione un reale fattore di rischio per le popolazioni residenti nell'area. Tali polveri e fibre di amianto e minerali asbestiformi rappresentano una potenziale patogenicità cancerogena sull'uomo come documentato da relazione scientifica «Polveri e Fibre del centro ISPEL di Lamezia Terme e DIL ISPELS del centro ricerche di Monte Porzio Catone (Roma);
   negli anni della costruzione della diga del Melito è stata effettuata un'imponente movimentazione di terra e massi con notevole rilascio, ricaduta e conseguente dispersione di fibre di amianto nell'ambiente circostante;
    altri siti inquinanti potenzialmente ecogenotossici, tutti dismessi e non bonificati, sono da individuare nella discarica di rifiuti solidi urbani di 10 mila metri cubi in località Marra, classificata come ad alto rischio ambientale dall'Arpacal, nella discarica non censita di 5 mila metri cubi che si proietta nel fiume Corace a sud di Gimigliano e in una vecchia miniera di ferriti e metalli pesanti della Montecatini, attiva dal 1938 al 1948. In quest'ultimo caso, in particolare, è ipotizzabile che un collasso negli anni delle estese gallerie delle miniere nel tempo abbia determinato, per l'alta concentrazione nel territorio di falde idriche nel sottosuolo combinata all'azione di acque freatiche e di percolazione, la contaminazione del territorio mandando in soluzione concentrazioni di metalli pesanti con successiva dispersione, trasferimento e infestazione di vaste aree del territorio;
   in località Sorbo S. Basile è presente una miniera estrattiva attiva di feldspato con 175 mila tonnellate annue di estrazione di materiale con emissione di polveri e nano particelle inorganiche e relativa produzione di materiale di scarto tossico nocivo;
   tra il 2007 ed il 2008 nel comprensorio della presila catanzarese nell'ambito di attività di monitoraggio e controllo effettuate dall'ASP unità operativa igiene degli alimenti e della nutrizione del distretto di Catanzaro sono state rilevate nelle acque sorgenti e corsi d'acqua naturali che non alimentano la rete idrica urbana elevati valori di arsenico al di sopra del range limite di 10 microg/l;
   l'Asp di Catanzaro ha rilevato un incremento del tasso di incidenza di patologie oncologiche e criptogeniche nel comune di Gimigliano;
   il dottor Pasquale Montilla, oncologo medico, nel giugno 2009, afferma: «partendo dall'area di osservazione clinica-epidemiologica delle patologie riscontrate nelle zone di impatto e processando gruppi di dati clinici aggregati di pazienti con patologia oncologica e neurodegenerativa ho rilevato alto il probabile rischio di tossicità e il danno su i recettori umani da parte di contaminanti identificati nei siti sulla base di modelli teorici predittivi di tossicità e contaminazione ambientale (modello di Briggs utilizzato dalla Environmental Protection Agency, EPA, R.A.). Sulle prime aree di impatto territoriale ho riscontrato un elevato tasso di incidenza di patologie oncologiche in diversi nuclei familiari con la simultanea presenza di disturbi psichiatrici non correlati a dinamiche psicooncologiche e degenerativi del sistema nervoso centrale. Nonché la simultanea presenza su stessi pazienti di neoplasie rare multiple e metacrone difficilmente rilevabili in letteratura. Un caso di Iperplasia Nodulare Focale Epatica con concentrazioni ematiche di rame superiori alla soglia di riferimento associato a disturbo depressivo correlato. Nelle stesse aree limitrofe ai siti ho evidenziato terreni di coltivazione ad uso umano e fontane ad uso potabile ed irriguo appartenenti e in uso ai nuclei familiari osservati e ho evidenziato che intere famiglie presentavano patologie criptogeniche e degenerative compatibili a danno neurotossico per possibile intossicazione cronica combinata dall'azione simultanea di più contaminati ambientali. Nuclei familiari con sarcoidosi polmonare, neoplasie centrali snc, neoplasie mammarie, linfomi gastrici, disordini emolinfoproliferativi e disturbi psichiatrici maggiori e minori. Ho rilevato ricadenti sullo stesso territorio limitrofo alle discariche neoplasie polmonari, linfomi cutanei a cellule B, neoplasie epatiche del colon-retto, vescicali e mammarie con simultanea presenza di disordini parkinsoniani e deficit cognitivi degenerativi, casi di sclerosi a placche e un caso di SLA (sclerosi laterale amiotrofica). È documentato in letteratura che la cronica esposizione ai metalli pesanti e alla diossina e ai suoi sottoprodotti determinano negli esseri umani effetti mutageni e cancerogeni. Riconosciuti potenti agenti con effetti neurotossici determinano alterazioni di unità proteiche neuronali e su recettori di trasporto postsinaptico dei segnali neuronali e alterazioni dei sistemi colinergico/dopaminergico con meccanismi di interferenza molecolare e interazione diretta sul DNA» –:
   se non ritenga opportuno promuovere un'azione di sorveglianza socioepidemiologica sulle popolazioni residenti nel comune di Gimigliano (Catanzaro) nel territorio di competenza dell'Asp di Catanzaro;
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, non ritenga urgente, per quanto di competenza, uno studio più approfondito del fenomeno che passi attraverso campionamenti di acqua, polveri e aria da confrontare in seguito con i reperti bioptici e autoptici dei pazienti delle aree coinvolte. (4-10822)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARTELLA e MOGNATO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nelle ultime settimane si sono fatte più insistenti le voci e gli articoli a mezzo stampa sulla possibile uscita di Eni dal settore della chimica, cosa che riguarderebbe in particolare gli impianti Versalis che sembrerebbero interessare ad alcuni fondi internazionali;
   tali articoli hanno determinato molta apprensione tra le organizzazioni sindacali e i lavoratori dei diversi impianti chimici del gruppo Eni su tutto il territorio nazionale;
   le suddette notizie giungono proprio quando sembravano aprirsi importanti prospettive per il settore dopo anni di forte contrazione; è ad esempio il caso dell'intesa sul nuovo committente per mantenere aperto il cracking di Marghera per tutto il 2016;
   le organizzazioni sindacali hanno chiesto chiarimenti circa le strategie industriali del gruppo Eni, anche in considerazione della strategicità del settore per le politiche industriali del nostro Paese e per le ricadute su alcuni siti industriali, tra cui appunto quello di Marghera –:
   se il Governo sia a conoscenza di queste notizie circa un possibile disimpegno di Eni dal settore chimico e quali iniziative intenda adottare affinché il gruppo Eni faccia chiarezza circa le prospettive industriali per il settore chimico ed, in particolare, per il sito di Marghera anche alla luce di queste notizie. (5-06722)


   RICCIATTI, FERRARA, PLACIDO, AIRAUDO, MELILLA, DURANTI, PIRAS, QUARANTA, SANNICANDRO, KRONBICHLER, FRANCO BORDO e ZARATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la società Fabi spa è una azienda sita in Monte San Giusto (Macerata), attiva da 50 anni nel settore calzaturiero, che impiega attualmente 344 unità;
   come molte altre realtà attive nel territorio maceratese, l'azienda ha i sui tratti distintivi nella capacità di coniugare l'esperienza artigiana, l'innovazione di prodotto e di processo all'attenzione per i trend della moda, nel solco dei tipici valori del made in Italy;
   l'azienda è generalmente considerata solida e, ad eccezione del mese di dicembre 2014, quando ha avanzato richiesta di cassa integrazione straordinaria, avviando una procedura di mobilità per i lavoratori prossimi alla pensione, non ci sono stati in precedenza particolari episodi che potessero segnalare delle difficoltà;
   nelle scorse ore è stata diffusa la notizia dell'attivazione della procedura di mobilità per 121 dipendenti, che l'azienda considera in esubero e per i quali non garantisce il reimpiego al termine del periodo di riorganizzazione, già comunicata ai lavoratori (lo segnalano le testate CorriereAdriatico.it e Cronachemaceratesi.it, 20 ottobre 2015);
   nei prossimi giorni prenderà avvio la fase di confronto tra la società e le organizzazioni sindacali per valutare possibili ipotesi alternative rispetto al ridimensionamento di organico –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa;
   se non ritenga opportuno valutare possibili iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di salvaguardare i livelli occupazionali. (5-06728)


   COMINARDI, TRIPIEDI, LOMBARDI, CHIMIENTI, ALBERTI e SORIAL. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 luglio 2015 la REMOG Spa, azienda leader nel settore della produzione di contrappesi per la bilanciatura ruote di autoveicoli, con importanti certificazioni internazionali sugli standard qualitativi, con sede a Rezzato (BS), viene ceduta alla multinazionale tedesca Wegmann, la quale presenta un'offerta allettante, equiparata all'alta qualità dei prodotti;
   nel mese di agosto 2015 la Wegmann, ancor prima di comunicare le proprie intenzioni, fa trasferire in Germania i macchinari più importanti della Remog. Ventisei dipendenti dell'azienda al rientro dalle vacanze estive si sono trovati oltre all'azienda stessa privata di importanti macchinari, anche la lettera di licenziamento, decidendo di dare vita ad un presidio permanente;
   la IV commissione permanente del consiglio regionale lombardo e la Commissione attività produttive e occupazione, riunita il 1o ottobre per l'audizione sulla crisi, ha richiesto ai rappresentanti della multinazionale tedesca che l'azienda adotti nei confronti dei lavoratori tutti gli ammortizzatori sociali disponibili in alternativa ai licenziamenti. Le rappresentanze aziendali hanno invece ribadito la volontà di cessare i rapporti entro la fine dell'anno, manifestando l'indisponibilità a presentare domanda di cassa integrazione straordinaria come peraltro richiesto dalle organizzazioni sindacali. Posizione aziendale confermata la sera stessa dell'audizione, quando intorno alle 22, davanti ai cancelli della fabbrica, si sono presentati diversi camion per completare il prelievo ed il trasferimento dei macchinari, dando luogo a momenti di tensione con i lavoratori, che ne hanno contrastato l'accesso, sottolineando con forza la volontà di impedire il trasferimento delle attrezzature in assenza di un accordo vincolante sugli ammortizzatori ed un adeguato finanziamento dei percorsi di accompagnamento per la ricerca di una nuova occupazione –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei dati e degli elementi riportati in premessa;
   se i Ministri interrogati non intendano istituire un tavolo nazionale di confronto con la società Wegmann e le rappresentanze sindacali, al fine di poter evitare il licenziamento ed assicurare la piena occupazione di 26 dipendenti dell'azienda interessati dal procedimento di mobilità. (5-06729)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MISIANI, CARNEVALI, GIUSEPPE GUERINI e SANGA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Cartiere Paolo Pigna s.p.a. è un'azienda nata nel 1839 in provincia di Milano. Nel 1868, per volontà del fondatore, Ing. Paolo Pigna, l'azienda si trasferì ad Alzano Lombardo, in provincia di Bergamo, dove ha tuttora sede. Con lo scoppio della crisi economica, tra settembre 2008 e febbraio 2009 Pigna ha chiuso i due impianti di fabbricazione della carta;
   il 17 aprile 2009 la giunta comunale di Alzano Lombardo ha approvato un protocollo di intesa tra l'amministrazione comunale di Alzano Lombardo, la Cartiere Paolo Pigna s.p.a., e la Leonardo s.p.a. (proprietaria delle aree) volto all'attivazione di uno strumento di programmazione negoziata finalizzato alla ristrutturazione aziendale dell'insediamento produttivo «Cartiere Paolo Pigna s.p.a.» e contestuale riqualificazione delle aree dell'insediamento produttivo in via di dismissione. Successivamente, la regione Lombardia ha attivato – su richiesta del comune di Alzano Lombardo – un contratto di recupero produttivo, definitivamente approvato con decreto del presidente della regione Lombardia il 9 luglio 2013;
   nel gennaio 2011 le rimanenti attività produttive sono state spostate dalla sede storica di via Pesenti, al restante comparto nord dell'area industriale, ristrutturato, sito in via Piave ad Alzano Lombardo;
   attualmente il gruppo Pigna ha due stabilimenti in Italia: le «Cartiere Paolo Pigna» di Alzano Lombardo e la «Pigna Envelopes» (ex stabilimento ICCI) di Tolmezzo, del quale Pigna detiene il 30 per cento delle azioni;
   dei circa 130 lavoratori inizialmente in esubero dalla dismessa divisione fabbricazione, circa 60 sono stati ricollocati nelle restanti divisioni produttive dello stabilimento;
   dal 2011 al 2014, l'occupazione della Pigna è diminuita di alcune decine di unità, mediante procedure di mobilità volontaria;
   lo stabilimento Pigna s.p.a. di Alzano Lombardo, occupa attualmente 162 addetti nel settore cartotecnico e altri circa 60 addetti occupati in Rilecart (settore rilegazione carta);
   la tipologia di produzione di Pigna, è storicamente di tipo stagionale, in quanto prevalentemente legata alla programmazione scolastica. Il periodo di picco di lavoro si verifica da marzo fino alla chiusura estiva, per poi passare nei mesi invernali ad un significativo calo degli ordinativi e quindi della produzione, limitata prevalentemente a prodotti legati alle esigenze di uffici;
   nel settembre 2013 è stato siglato con le parti sociali un contratto di solidarietà orizzontale, che prevedeva da ottobre 2013 a settembre 2014 (prorogabile) per tutti i dipendenti Pigna, ad esclusione di Rilecart, un orario di lavoro di 4 ore giornaliere, con le restanti 4 retribuite al 75 per cento con ammortizzatori sociali. Il contratto di solidarietà coinvolgeva tutti i dipendenti, ma a fasi alterne e a seconda delle esigenze di produzione;
   nel settembre 2014 Pigna non ha prorogato il contratto di solidarietà e ha aperto una procedura di cassa integrazione speciale per 13 settimane fino a fine 2014. A dicembre 2014 è stata aperta la procedura di mobilità volontaria, che è stata utilizzata da 11 dipendenti. La cassa integrazione è stata successivamente prorogata a gennaio e ad aprile 2015. Nel settembre 2014 la proprietà ha convocato un'assemblea straordinaria che ha deliberato un aumento di capitale di 4,5 milioni di euro che doveva concludersi entro fine 2014 e dopo che, peraltro, una ricapitalizzazione di 3,5 milioni deliberata nel novembre 2013 non è stata sottoscritta entro aprile 2014. Il rafforzamento patrimoniale si è reso necessario dopo che Pigna ha chiuso il 2013 con una perdita di 3,6 milioni, che segue il rosso di 11,5 milioni del precedente esercizio. Anche il bilancio consolidato ha chiuso con un passivo di 4,8 milioni;
   a complicare ulteriormente la situazione vi è una battaglia legale che vede contrapposti, tra loro, da una parte la proprietà – rappresentata dal presidente e amministratore delegato Giorgio Jannone che detiene circa l'83 per cento delle quote societarie – e dall'altra gli eredi della famiglia Pesenti Pigna, i quali in modo frammentato rappresentano circa il 16 per cento del capitale sociale;
   il 23 settembre 2015 Pigna ha depositato domanda di preconcordato in continuità aziendale al tribunale di Bergamo. Secondo quanto riportato dagli organi di informazione, alla base della decisione della società ci sarebbe la chiusura degli affidamenti bancari da parte di uno dei maggiori gruppi italiani. La società sembrerebbe orientata a ricorrere all'articolo 182-bis, cioè a un accordo di ristrutturazione del debito stipulato con i creditori. Sempre secondo gli organi di informazione, vi sarebbero alcuni soggetti interessati al gruppo, tra i quali Arti Group e il fondo che la controlla, Bavaria Industries, quotato in Borsa con un giro di affari da 1 miliardo di euro;
   la decisione dell'azienda ha suscitato sconcerto e forte preoccupazione tra i lavoratori. Per i 162 dipendenti di Pigna è scattata la cassa integrazione ordinaria a rotazione per 13 settimane –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo al fine di tutelare i livelli occupazionali e produttivi delle Cartiere Paolo Pigna s.p.a. (4-10821)


   LAVAGNO e TARICCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Rai – Radiotelevisione Italiana s.p.a. è una delle più grandi aziende di comunicazione d'Europa, il quinto gruppo televisivo del continente;
   è la società concessionaria in esclusiva del servizio pubblico radiotelevisivo in Italia che esercita secondo quanto previsto dalla legge n. 112 del 2002. La legge definisce, in particolare, i compiti del servizio pubblico generale radiotelevisivo e quelli di pubblico servizio in ambito regionale e provinciale. Il servizio pubblico generale radiotelevisivo deve garantire la copertura integrale del territorio nazionale;
   da quanto si apprende la copertura integrale del territorio viene meno in molti comuni montani e collinari del Piemonte, che versano in una situazione di grave disagio per quanto riguarda la fruizione dei servizi Rai. Infatti, la ricezione è difficoltosa e limitata ad alcuni;
   in Valle Grana, in provincia di Cuneo, 150 cittadini, su 300 abitanti, hanno firmato una petizione per chiedere alla Rai di fare il suo dovere di televisione pubblica, in quanto manca la ricezione di 12 dei 15 canali Rai, mentre la ricezione di Rai Uno, Rai Due e Rai Tre è debole e intermittente, anche dopo il potenziamento delle antenne;
   fin dall'inizio del passaggio al digitale terrestre vi sono state diverse difficoltà di ricezione, in particolare dei canali Rai, cosa che sta causando un disservizio ai cittadini, nonostante paghino regolarmente il canone;
   i paesi dove la ricezione del segnale Rai è quasi inesistente sono: Pradleves, San Michele Mondovì, Ceva, Cortemilia;
   in altre parti del Piemonte si è riscontrato lo stesso problema, specificamente in Val Curone, in provincia di Alessandria e in alcune aree del Verbano-Cusio-Ossola;
   a Valle Cervo, nel Biellese, un'intera vallata, dopo il passaggio al digitale terrestre, è senza ricezione Rai;
   molti sindaci dei territori interessati hanno rappresentato in più occasioni attraverso comunicazioni scritte ad una pluralità di destinatari: Rai, regione Piemonte, AGCOM, Governo –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle problematiche sopra esposte e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere per risolvere i problemi di ricezione dei canali Rai e poter garantire il servizio pubblico radiotelevisivo.
(4-10823)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Palese n. 1-01024, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Occhiuto, Catanoso.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza Capodicasa e altri n. 2-01126, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Schirò.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Sgambato e Manfredi n. 5-06697, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Valeria Valente.

  L'interrogazione a risposta scritta Baldelli n. 4-10810, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sandra Savino.

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Paglia n. 4-10637, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 497 del 07 ottobre 2015.

   PAGLIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   trapelano molte indiscrezioni, voci e dichiarazioni riguardo alla possibile cessione della Versalis, società dell'ENI, che danno per certa questa operazione con tutte le possibili conseguenze sull'industria chimica del nostro Paese;
   le organizzazioni sindacali Filctem Cigl, Femca Cisl e Uiltec Uil di Ravenna richiedono al più presto che le voci e le indiscrezioni che si susseguono siano chiarite nelle sedi opportune. A oggi si è creata una inaccettabile situazione di allarme e di incertezza tra i lavoratori. È quindi necessario e urgente un chiarimento da parte di ENI alle tante domande che le organizzazioni sindacali e i lavoratori di Versalis si pongono sul loro futuro;
   un'eventuale uscita di ENI dal settore della chimica nazionale sarebbe dannoso al sistema Italia; in un momento di profonda crisi industriale del Paese è fondamentale che una grande azienda a vocazione industriale come Eni, nata in Italia e resa grande nel mondo dal lavoro e sacrificio di tanti italiani, consolidi e rafforzi la presenza in un settore strategico come la chimica;
   come sottolineato da molti analisti, occorre consolidare piuttosto che ridurre gli investimenti da parte di aziende come ENI sul territorio nazionale anche per offrire sbocchi occupazionali alle giovani generazioni –:
   se risultino rispondenti al vero le voci che danno per imminente il disimpegno di ENI dal settore chimico in Italia;
   se non si intenda convocare urgentemente un tavolo di confronto fra Governo, le segreterie nazionali di Filctem, Femca e Uiltec ed ENI al fine di fare chiarezza sul quadro complessivo della situazione, determinare velocemente le prospettive dell'azienda Versalis e assicurare condizioni di garanzia per il futuro dei lavoratori. (4-10637)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza Di Benedetto n. 2-00518 del 29 aprile 2014;
   interpellanza Cancelleri n. 2-01098 del 1o ottobre 2015;
   interpellanza Antimo Cesaro n. 2-01125 del 15 ottobre 2015;
   interrogazione a risposta scritta Pellegrino n. 4-10759 del 15 ottobre 2015.

Ritiro di una firma da una interpellanza urgente.

  Interpellanza urgente Currò e altri n. 2-01132, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 ottobre 2015: è stata ritirata la firma del deputato Camani.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Baldelli e Sandra Savino n. 4-10810 del 20 ottobre 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06741.