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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 20 ottobre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


  La Camera,
   premesso che:
    l'agricoltura italiana ha raggiunto importanti risultati sulla direzione dell'impiego sostenibile dei prodotti fitosanitari e del ricorso a pratiche agronomiche che mirano al minor utilizzo di sostanze chimiche, i cui risultati si possono misurare nella diminuzione della quantità di prodotti distribuiti per uso agricolo, nella continua spinta all'utilizzo di nuovi principi attivi a ridotto impatto ambientale e nei positivi dati, relativi alla presenza di residui negli alimenti;
    i risultati ufficiali per il controllo sui residui di prodotti fitosanitari negli alimenti, relativi all'anno 2013, hanno confermato a tal fine, l'impegno della filiera agricola italiana, per assicurare i più elevati standard quantitativi e qualitativi delle produzioni agroalimentari, anche grazie alla diligenza della ricerca scientifica, finalizzata a garantire agrofarmaci sempre più mirati e sicuri per i consumatori e l'ambiente;
    l'Esposizione universale di Milano Expo 2015 al riguardo è stata l'occasione per ribadire, nel corso di numerosi incontri ufficiali, come, nonostante l'uso della chimica in agricoltura sia ancora presente, nel complesso si evidenzi il costante aumento delle superfici coltivate con metodo biologico (+23 per cento del 2010 al 2013) e la maggiore diffusione di pratiche agricole e sostenibili (soltanto lo 0,7 per cento dei campioni di prodotti agricoli e derivati analizzati da laboratori pubblici regionali risulta «fuori legge» per la presenza di tracce di determinate sostanze chimiche vietate dalla normativa attuale);
    nell'ambito delle autorizzazioni all'immissione in commercio dei prodotti fitosanitari rilasciate per ragioni di emergenza fitoiatrica disposte ai sensi dell'articolo 53 paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1107/2009, i firmatari del presente atto di indirizzo segnalano tuttavia un eccessivo ricorso allo strumento della deroga consentito dal Ministero della salute, a seguito delle richieste presentate da varie associazioni di categoria agricole, con le quali è stata segnalata la necessità di poter disporre di prodotti fitosanitari contenenti sostanze chimiche, per le operazioni di applicazione riferite alle avversità da fronteggiare;
    il meccanismo di autorizzazione eccezionale per la maggior parte delle sostanze attive utilizzate (alcune delle quali in attesa di autorizzazione delle istituzioni comunitarie) prevede un iter eccessivamente rapido che non contempla, fra l'altro, la verifica dell'impatto (ambientale e sulla salute) non essendo le richieste corredate della documentazione necessaria a tali scopi, come previsto nelle autorizzazioni all'immissione in commercio dai prodotti;
    i decreti dirigenziali che consentono la deroga risultano inoltre in contrasto, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, con le disposizioni previste dal decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, di attuazione della direttiva 2009/128/CE che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei prodotti fitosanitari;
    i termini per l'emanazione di numerosi decreti attuativi risultano inoltre scaduti, come ad esempio per la determinazione delle tariffe ed il versamento per i controlli delle attrezzature di applicazione dei prodotti fitosanitari; così come il piano di azione nazionale che prevedeva un decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (da emanarsi entro sei mesi) per la costituzione di una banca dati nazionale relativa ai controlli effettuati sulle macchine di distribuzione dei fitofarmaci risulta non ancora operativo;
    ulteriori ritardi, inoltre, si rinvengono proprio nell'ambito degli interventi contenuti all'interno del piano di azione nazionale; la mancata adozione dei decreti attuativi rende di fatto impraticabile una serie di misure indicate, tra le quali: le linee guida per la tutela dell'ambiente acquatico e dell'acqua potabile, per la scelta delle misure da inserire nei piani di gestione e delle misure di conservazione dei siti Natura 2000 e delle aree protette, nonché per mettere a disposizione delle regioni le informazioni più rilevanti sulla tossicità e gli aspetti fitosanitari dei prodotti in commercio;
    il suindicato piano di azione nazionale (Pan), finalizzato ad un uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e considerato fondamentale per l'individuazione e la diffusione di approcci a minore impatto per produttori, consumatori e ambiente, risulta carente nell'ambito della definizione di un termine temporale per la verifica degli obiettivi previsti, tra i quali anche la definizione di un manuale di orientamento sulle tecniche per la difesa fitosanitaria a basso impatto ambientale e strategie fitosanitarie sostenibili o misure per disciplinare la vendita di prodotti fitosanitari on line;
    l'eccessivo ricorso alle autorizzazioni eccezionali di prodotti fitosanitari rilasciate per ragioni di emergenza fitoiatrica, unitamente ad una serie di carenze riscontrate nell'ambito delle misure previste dal decreto legislativo n. 150 del 2012, il cui impatto normativo si è rivelato per alcune parti problematico, evidenzia, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, la necessità di misure volte a rivedere il sistema delle deroghe e, al contempo, a potenziare ulteriormente il sistema dei controlli e le relative sanzioni, in particolare su quelle aree nelle quali il prodotto chimico può essere utilizzato, affinché si possa stabilire un migliore coordinamento normativo in materia di autorizzazione e commercializzazione dei prodotti fitosanitari, per favorire un uso limitato a quanto strettamente necessario e per garantire la sicurezza alimentare delle produzioni agricole e la tutela della salute dei consumatori e dell'ambiente,

impegna il Governo:

    ad assumere iniziative per riconsiderare l'impianto normativo relativo al sistema delle autorizzazioni eccezionali di prodotti fitosanitari rilasciate per ragioni di emergenza fitoiatrica ai sensi dell'articolo 53 del regolamento (CE) n. 1107/2009, rendendolo più rigoroso, in considerazione del fatto che il continuo ricorso alle deroghe per l'immissione nel commercio si è rivelato eccessivo, causando una serie di complessità nei sistemi dei controlli e nelle verifiche dell'impatto sulla salute degli individui e dell'ambiente;
    ad assumere iniziative per riesaminare il quadro regolatorio previsto dal decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150 di attuazione della direttiva 2009/128/CE che definisce le misure per un uso sostenibile dei pesticidi, in considerazione dei ritardi nell'applicazione di una serie di decreti attuativi e d'interventi previsti per ridurre i rischi e gli impatti sulla salute umana, sull'ambiente e sulla biodiversità, al fine di armonizzare il sistema normativo con le disposizioni in deroga previste dal regolamento (CE) n. 1107/2009;
    ad incrementare il sistema delle verifiche nell'ambito dei piani di controllo dei residui di fitosanitari negli alimenti, predisposti a livello europeo e nazionale, con riferimento al fenomeno del multi residuo e alle possibili ripercussioni sulla salute dei consumatori;
    ad assumere iniziative per introdurre il principio di precauzione al fine di escludere dai disciplinari di produzione e commercializzazione il glisofato (pericoloso erbicida classificato come cancerogeno per gli animali e a rischio per l'uomo) e da qualsiasi premio nei Piani di sviluppo rurale (Psr) le aziende che ne fanno uso;
    ad informare entro dodici mesi le Commissioni parlamentari competenti sui risultati conseguiti con riferimento all'emanazione dei decreti e alle misure previste dal decreto legislativo n. 150 del 2012 e dal piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, i cui termini risultano già scaduti;
    a prevedere una campagna d'informazione volta a potenziare il modello di agricoltura sostenibile a partire da quella biologica, nonché il sistema dei controlli sul corretto uso dei prodotti fitosanitari, nonostante il livello di sicurezza per i consumatori e l'ambiente rimanga il più elevato d'Europa, come evidenziato in un recente rapporto dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa).
(1-01026) «Faenzi, Abrignani, Borghese, Bueno, D'Alessandro, Galati, Merlo, Mottola, Parisi, Francesco Saverio Romano».


  La Camera,
   premesso che:
    dal rapporto della Banca mondiale (The World Bank: Global economic perspective, gennaio 2013) emerge un'Africa a doppia velocità: da una parte il Nord Africa, i cui Paesi investiti dalla primavera araba, dopo la brusca caduta del 2,4 per cento del 2011, mostrano una crescita del prodotto interno lordo tra il 2 per cento (Egitto e Tunisia) e il 3 per cento (Algeria e Marocco). Dall'altra parte, l'Africa sub-sahariana, che nel 2012 ha fatto registrare un tasso medio di crescita del prodotto interno lordo del 4,6 per cento e dove il tasso stimato di crescita media per i prossimi anni si aggira intorno al 6 per cento, grazie soprattutto all'alto prezzo delle risorse naturali, che continuano a far aumentare il valore delle esportazioni e alimentano il flusso degli investimenti esteri. Anche il tasso medio d'inflazione conferma la doppia velocità: il Nord Africa viaggia intorno al 5 per cento, l'Africa sub-sahariana ha un valore doppio;
    un ulteriore elemento che caratterizza, differenzia e condiziona pesantemente le economie sub-sahariane è la dipendenza dalla domanda cinese. Tale mercato rappresenta da solo circa il 50 per cento delle esportazioni di metalli industriali e minerali (Zambia, Botswana, Namibia e Repubblica democratica del Congo) ed è altresì la destinazione finale delle quote più rilevanti dei prodotti petroliferi (Angola e Sudan). La dipendenza dalla Cina è diventata sostanziale anche sotto il profilo dei flussi degli investimenti: la Repubblica cinese movimenta circa un terzo del flusso netto di capitali nell'area (il Focac – Forum per la cooperazione tra Cina e Africa – ha recentemente annunciato l'attivazione di una linea di credito di oltre 20 miliardi di dollari per lo sviluppo di infrastrutture, agricoltura e manifattura);
    accanto a rischi interni (situazione politica) ed esterni (stabilizzazione dei mercati finanziari, ripresa economica nell'area dell'euro, caduta dei prezzi delle materie prime, aumento dei prezzi dei prodotti alimentari) condivisi, l'Africa sub-sahariana mostra, dunque, una specifica criticità: l'elevata dipendenza dalla domanda e dagli investimenti cinesi, la cui riduzione o, peggio ancora, il suo venir meno, produrrebbe un vero e proprio disastro economico e finanziario nelle economie della regione, con immediate conseguenze sulle stime di crescita economica e sui flussi migratori;
    al di là di queste contrastanti valutazioni economico-finanziarie della Banca mondiale e dei passi in avanti socio-economici registrati da alcuni Stati africani, il profondissimo divario tra gli standard di vita dei Paesi dell'Africa sub-sahariana e quelli dei Paesi occidentali, insieme alle instabilità politiche e ai rischi bellici, costituisce ancora una delle motivazioni centrali dei flussi migratori che investono l'intera Europa;
    è senz'altro apprezzabile, ma necessita di potenziamento, il cambio di passo del Governo italiano che, negli ultimi 18 mesi, ha fortemente rafforzato la sua azione nell'ambito della cooperazione internazionale e delle relazioni bilaterali con i Paesi dell'Africa sub-sahariana;
    i dati del Ministero dell'interno, aggiornati al luglio 2015, quantificano a 82.932 i migranti sbarcati nel 2015 in Italia attraverso il Mediterraneo, di cui: 20.392 dall'Eritrea; 9.619 dalla Nigeria, 6.966 dalla Somalia, 4.668 dal Sudan, 4.206 dal Gambia, 3.245 dal Senegal, 3.112 dal Mali, 1.854 dalla Costa d'Avorio, 4.953 dalla Siria, 2.697 dal Bangladesh e 1.220 da altre provenienze;
    secondo i massimi esperti economici e dell'immigrazione, la povertà, i bassissimi standard sociali, sanitari e ambientali, l'instabilità politica e le guerre civili che contraddistinguono una vastissima area che va dall'Iraq alla Libia, nonché la forte disparità tra questi standard e quelli dei Paesi occidentali rappresentano storicamente i più potenti push factor (fattori attrattivi) delle migrazioni clandestine attraverso il Mediterraneo, indipendentemente dalle politiche contingenti di controllo delle frontiere, di contrasto agli sbarchi clandestini e di gestione dei flussi migratori. Conseguentemente, fintanto che non vi sarà un efficace impegno degli Stati più avanzati a ridurre quel gap, non verranno intaccate le cause profonde ed immanenti di uno dei più imponenti fenomeni migratori della storia;
    tali fattori attrattivi non rappresentano un fenomeno ciclico, ma sono al contrario elementi strutturali di carattere planetario e per questo saranno destinati ad aggravarsi nei prossimi anni;
    i fattori economico-sociali e di salute pubblica (longevità e aspettativa di vita, tasso di mortalità infantile, tasso di ospedalizzazione e di accessibilità alle cure, tasso di vaccinazione e di malattie infettive, tasso di alfabetizzazione ed altri) rappresentano, insieme ai fattori politici, gli indicatori statistici di «benessere» adottati come parametri internazionali di misurazione dello standard di vita di una popolazione;
    in modo particolare, l'allungamento delle aspettative di vita – inteso sia in termini di bassi tassi di mortalità in età infantile o giovanile che come riduzione dei tassi di mortalità evitabile – costituisce l'indicatore imprescindibile che funge da specchio dello stato sociale, ambientale e sanitario in cui vive una collettività;
    la speranza di vita alla nascita in molti Paesi dell'area sub-sahariana risulta fatalmente condizionata dal bassissimo rapporto medici/abitanti (mediamente 1 su 1.000 e talvolta scivola a 1 ogni 30.000-40.000 persone), dallo scarso accesso alle terapie mediche, dalla scarsa disponibilità d'acqua (in alcune aree assolutamente ridotta: 200 millimetri cubici in Libia e Mauritania, 500 in Tunisia e Capo Verde, poco di più in Kenya, Algeria, Burundi, Botswana) e dallo scarso apporto nutritivo;
    secondo i report statistici annuali dell'Organizzazione mondiale della sanità, confermati dal Cia-World factbook 2014, nei Paesi occidentali sviluppati un bambino nato nel 2012 può attualmente aspettarsi di vivere fino all'età di circa 76 anni, cioè 16 anni in più rispetto a un bambino nato in un Paese di maggiore arretratezza (dove l'aspettativa è mediamente di 60 anni). Per le bambine, la differenza è persino maggiore: un divario di 19 anni separa l'aspettativa di vita nei Paesi ad alto reddito (82 anni) da quella nei Paesi a basso reddito (63 anni). Il gap è ancora più macroscopico in nove Paesi dell'Africa sub-sahariana: Angola, Repubblica centrafricana, Ciad, Costa d'Avorio, Repubblica democratica del Congo, Lesotho, Mozambico, Nigeria e Sierra Leone, dove l'aspettativa di vita, sia per le donne che per gli uomini, è tuttora inferiore ai 55 anni; o addirittura si attesta ai 50 nel Ciad, nella Guinea-Bissau e nello Swaziland; per salire ai 51 di Zambia e Somalia e ai 52 di Namibia e Nigeria;
    un altro fattore fortemente impattante sulle aspettative di vita nei Paesi africani è rappresentato dalle malattie infettive (febbre gialla, colera, morbillo, aids, ebola ed altre) e dalle patologie ad esse correlate, che, secondo gli ultimi report dell'Organizzazione mondiale della sanità, costituiscono ancora oggi la causa del 70 per cento degli anni di vita persi dagli abitanti di quel continente;
    mentre i sistemi di controllo occidentali sono in grado di fronteggiare un eventuale caso di contagio (con protocolli di isolamento nei centri attrezzati degli ospedali), analoghe strutture e misure di allerta mancano completamente nei Paesi dell'Africa sub-sahariana;
    permane, tuttavia, il rischio che, in assenza di adeguati programmi di screening sanitario, le popolazioni di migranti possano introdurre o reintrodurre nei Paesi occidentali patologie infettive, anche sostenute da ceppi resistenti, assai subdole nella loro diffusione;
    l'ultima «emergenza di salute pubblica a livello internazionale», dichiarata nel marzo 2014 dall'Organizzazione mondiale della sanità in relazione alla malattia da virus ebola, esplosa in Guinea, Liberia e Sierra Leone ed arrivata anche in Mali, Nigeria e Senegal, è, in tal senso, emblematica della necessità di migliorare e potenziare la prevenzione direttamente in quelle aree geografiche ove originano tali epidemie ed ha messo in luce come l'unico vero strumento idoneo a contrastare le cicliche emergenze sanitarie di provenienza africana permanga in primo luogo un sistematico ed organico intervento sul posto, attraverso: forme di monitoraggio e cooperazione internazionale, di coordinamento con le autorità locali finalizzate al rigoroso rispetto dei protocolli sanitari per limitare il rischio di contagio, mediante l'allestimento e l'attivazione dei centri di isolamento negli ospedali; la messa a disposizione, anche attraverso la formazione professione degli operatori sanitari locali, di risorse umane specialistiche e di know-how (di cui il nostro Paese dispone con punte di eccellenza internazionalmente riconosciute); fornitura di strumentazioni mediche di massima protezione (maschere ffp3, tute di sicurezza classe 3, termometri funzionanti a distanza) e così via;
    nel 2014, il contributo italiano al fondo globale per la lotta all'aids, alla tubercolosi e alla malaria è stato di 1,049 miliardi di dollari (pari al 3,1 per cento del totale) ed ha posto il nostro Paese all'ottavo posto tra i donatori mondiali. Un analogo segnale non è stato, invece, registrato in concomitanza alla recente emergenza ebola. L'Italia, infatti, non risulta tra le nazioni che hanno contribuito maggiormente con risorse finanziarie a contrastare tale epidemia. In cima alla lista ci sono gli Stati Uniti con 750 milioni di dollari; la Banca mondiale con 400 milioni di dollari; il Regno Unito con 201 milioni di dollari; la African development bank con 150 milioni di dollari; la Germania con 130 milioni di dollari; la Francia con 89 milioni di dollari; il Canada con 57 milioni di dollari; il Giappone con 40 milioni di dollari; la Cina con 33 milioni di dollari e l'India con 12 milioni di dollari (Independent, 22 ottobre 2014);
    la cronologia delle epidemie da ebola dal 1976 al 2012 (così come quella delle altre malattie infettive che trovano origine in Africa) ed il fatto che nei prossimi anni continueranno a susseguirsi con ritmo crescente gli sbarchi sulle coste italiane di immigrati e profughi provenienti dalle aree a maggior rischio epidemico dovrebbero indurre il Governo e le autorità sanitarie a tenere sempre alta la soglia di attenzione e prevenzione, non solo sul territorio nazionale ma soprattutto implementando il supporto specialistico ai sistemi di sanità pubblica dei Paesi africani;
    il fenomeno degli sbarchi, dei flussi migratori e in genere la presenza sempre più strutturale e consolidata di immigrati nel nostro Paese genera una serie di paure non collegate solo all'aspetto sanitario sopra descritto, ma connesse alla percezione che l'immigrazione costituirebbe un «peso» per il sistema di welfare e, in particolare, per il sistema pensionistico italiano;
    i dati ufficiali tenderebbero a smentire tale percezione: in Italia risiedono circa 5 milioni di immigrati regolari (il 9 per cento della popolazione) che garantiscono il 12 per cento del prodotto interno lordo italiano. La categoria di spesa su cui i costi per gli stranieri incide di più è quella carceraria (oltre un terzo della spesa totale destinata ai detenuti). In tutte le altre voci (istruzione primaria e secondaria, sanità, pensioni, disoccupazione, esclusione e protezione sociale), la spesa per gli stranieri non è mai superiore al 15 per cento del totale (Istat 2011);
    complessivamente, gli immigrati beneficiano di 15 miliardi di euro in servizi e prestazioni sociali, poco più del 3,4 per cento sul totale della spesa pubblica considerata, questo anche perché, in termini assoluti, gli stranieri hanno un'età media inferiore della popolazione italiana che, al contrario, è portatrice di numerosi e diversificati bisogni di cura sanitaria, oltre che di richieste di prestazioni pensionistiche (ricerca, Istituto superiore di sanità, della Fondazione Ismu-Istituto per lo studio della multietnicità e Simm-Società italiana di medicina delle migrazioni, 2013);
    attualmente, l'immigrazione sta dunque fornendo un prezioso contributo al sistema pensionistico italiano e sta risanando la relazione tra lavoratori attivi e pensionati, oggi fortemente sbilanciata, in termini di numero di soggetti coinvolti, a favore dei secondi. Il contributo degli immigrati sul versante previdenziale è stato più che positivo: secondo i dati forniti dall'Inps nel 2011, i contributi versati dagli stranieri hanno raggiungo infatti i 9 miliardi di euro;
    in definitiva, le conclusioni del V rapporto annuale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, «I migranti nel mercato del lavoro in Italia» di luglio 2015, dimostrano una realtà, sia pur nella sua complessità e dinamicità, molto diversa dalla percezione negativa dei cittadini, con un trend che certifica come il lieve recupero occupazionale registrato nel 2014 sia da attribuirsi in gran parte alla manodopera straniera, anche in relazione alla vocazione da parte della popolazione immigrata a dare risposta ad esigenze del mercato del lavoro non considerate appetibili e conseguentemente non presidiate dai nativi italiani;
    l'Italia, anche nel confronto con gli altri Paesi europei, continua a rappresentare un unicum. L'originalità del caso italiano è dato, in particolare, dalla presenza di un tasso di occupazione dei cittadini stranieri più alto di quello dei nativi, dalla presenza di trend dell'occupazione asimmetrici tra le diverse nazionalità (si contrae il numero di lavoratori italiani e cresce la platea dei lavoratori comunitari ed extracomunitari), dalla contemporanea crescita dell'occupazione, della disoccupazione e dell'inattività della popolazione straniera;
    le complesse dinamiche del mercato del lavoro sono, dunque, in grado di orientare nuove riflessioni sui fenomeni migratori di questi ultimi anni, al punto che, nel caso di alcune specifiche mansioni, per i cittadini stranieri è possibile parlare di indispensabilità, visto anche l'effetto compensativo che essi svolgono in alcuni settori sottoposti a robusti processi di erosione della base occupazionale;
    la complessa situazione sopra descritta, sia in relazione all'inevitabile aumento della spinta migratoria proveniente dall'Africa sub-sahariana per il permanere di conflitti regionali sommati a storiche ed irrisolte situazioni di povertà e bassissimi standard di vita, che in relazione alla ben nota crisi economica in atto da anni nel mondo occidentale, di cui ha pesantemente risentito anche la stessa manodopera straniera residente in Europa e in Italia, rende oggettivamente limitato lo spazio politico di intervento da parte dei Governi occidentali per rendere coerenti i flussi migratori alle reali possibilità di assorbimento e di integrazione nelle società più avanzate,

impegna il Governo:

   a intensificare gli sforzi strategici di collaborazione economico-commerciale con i Paesi sub-sahariani già avviati, soprattutto favorendo la presenza di imprese italiane nei settori della grande distribuzione e delle infrastrutture e promuovendo un miglior approvvigionamento delle materie prime per l'industria italiana in cambio di partenariati per la diffusione di know how per lo sviluppo locale;
   a chiedere con forza il coordinamento europeo di tutte le politiche di gestione dell'emergenza immigrazione, che renda possibile la piena condivisione delle responsabilità e delle linee di intervento tra tutti i Paesi membri dell'Unione europea;
   a potenziare la propria azione di stimolo delle istituzioni internazionali verso nuove politiche di sostegno della crescita economica endogena, di pacificazione politica e sociale, di sviluppo della risposta sanitaria, che possano agire direttamente sui fattori di «spinta» e di «attrazione» all'origine della migrazione internazionale dai Paesi africani sub-sahariani verso i Paesi dell'area Unione europea/Area economica europea (Eea);
   a verificare che le linee economiche di intervento a cui partecipa attivamente il nostro Paese abbiano un effettivo impatto sulla correzione dei fattori strutturali che sono alla base dell'emergenza immigrazione;
   a dedicare particolare attenzione ai programmi di miglioramento delle condizioni dell'organizzazione sanitaria nei Paesi dell'Africa sub-sahariana, nella convinzione che i relativi indicatori rappresentino marker assai attendibili dello sviluppo economico, sociale e civile delle nazioni interessate in modo prevalente dai fenomeni migratori;
   ad avviare un programma nazionale italiano, che valorizzi il know-how, le competenze e la tecnologia italiani per favorire rapporti di collaborazione, anche bilaterale, finalizzati al miglioramento degli standard di salute pubblica in quelle aeree, al fine di contrastare in loco le cicliche emergenze sanitarie;
   a sostenere le organizzazioni non governative e le organizzazioni internazionali che si pongono analoghi obiettivi di sviluppo dell'appropriatezza dei sistemi sanitari dei Paesi dell'Africa sub-sahariana;
   a favorire iniziative dell'Unione europea, con vincoli temporali chiari e obiettivi misurabili, rivolte a garantire l'autosufficienza sanitaria nei Paesi africani anche attraverso le seguenti azioni:
    a) realizzazione di un sistema di formazione, istruzione continua e addestramento a favore degli operatori sanitari dei Paesi in via di sviluppo, e di quelli sub-sahariani in particolare, che utilizzi le competenze specialistiche italiane e i canali di collaborazione offerti dalle istituzioni internazionali, basato sull'esperienza e sulle best practice;
    b) rafforzamento ed implementazione del coordinamento e del partenariato con le istituzioni e le autorità sanitarie locali, anche attraverso il potenziamento delle attività progettuali specifiche del Ministero della salute, del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
    c) consolidamento dei livelli di aiuto e di assistenza tecnico-finanziaria a favore dei Paesi impegnati nella progettazione e/o nella modernizzazione dei propri sistemi sanitari;
    d) progettazione e realizzazione di un sistema di accoglienza sanitaria e di screening sulle popolazioni di migranti che raggiungono il nostro Paese, che garantisca le migliori condizioni di sicurezza reciproca.
(1-01027) «Vargiu, Monchiero, Capua, Catalano, D'Agostino, Dambruoso, Librandi, Matarrese, Quintarelli, Vecchio».

Risoluzioni in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:
    una delle novità che ha maggiormente caratterizzato lo scenario internazionale negli ultimi anni è rappresentata della graduale affermazione di un aggregato geo-economico, identificato dall'acronimo BRICS, formato dal Brasile, dalla Russia, dall'India, dalla Cina e dal Sudafrica. La progressiva affermazione, acuitasi con la gravissima congiuntura economica internazionale, di nuove sedi e meccanismi di concertazione internazionale (ad esempio, con l'emergere del G20) ha delineato inediti spazi d'intervento per queste nuove potenze geoeconomiche, chiamate da un lato a competere sulla scena mondiale con i ruoli tradizionalmente svolti dagli Stati Uniti e dalla altre potenze economiche occidentali e a rivendicare, dall'altro, una leadership condivisa della comunità internazionale;
    il raggruppamento era originariamente conosciuta come BRIC: il 16 giugno del 2009, infatti, si riunivano a Ekaterinburg (Russia) i presidenti di Brasile, Russia, India e Cina, mentre l'anno successivo (aprile 2010) Jacob Zuma, rappresentava il Sud Africa nella riunione di Brasilia anticipando di fatto ciò che nel settembre successivo sarebbe poi stato ufficialmente sancito, ovvero l'inclusione della «S» nell'acronimo; dal 2010, le nazioni BRICS si riuniscono ogni anno in occasione dei vertici formali; la Russia detiene attualmente la presidenza del gruppo BRICS e ha ospitato il settimo vertice del gruppo nel mese di luglio del 2015;
   i membri del BRICS sono tutti Paesi di via di sviluppo o di nuova industrializzazione, con caratteristiche simili: una popolazione numerosa, un vasto territorio, abbondanti risorse naturali strategiche e, nell'ultimo decennio, sono connotati da una forte crescita del prodotto interno lordo e della quota nel commercio mondiale; essi, infatti, comprendono oggi oltre il 42 per cento della popolazione mondiale, il 25 per cento della totale estensione della Terra, il 20 per cento del prodotto interno lordo mondiale, e circa il 16 per cento del commercio internazionale;
    nei Paesi BRICS si discute da tempo della necessità di ridurre il ruolo del dollaro come moneta di riserva e di fatturazione negli scambi internazionali, in un auspicato processo generalizzato di de-dollarizzazione, anche tenendo presente il progressivo indebolimento dell'egemonia americana;
    l'assemblea generale del Fondo monetario internazionale (FMI), tenutasi a Seoul nel novembre 2010, aveva suggerito alcune riforme del sistema di governo mondiale delle relazioni monetarie, ma il rifiuto del Congresso americano di ratificare la riforma dei diritti di voto e le modalità di nomina dei direttori del Fondo e della Banca mondiale ha bloccato il processo;
    a seguito di questo diniego e per la necessità di avere a disposizione una struttura protettiva capace di promuovere operazioni finanziarie in favore dei Paesi emergenti e in via di sviluppo, contrapposta alle politiche economiche e finanziarie dei Paesi europei e degli Stati Uniti, i membri del BRICS hanno deciso, il 16 luglio 2014 a Fortaleza, di creare, allo scopo di finanziare progetti infrastrutturali, la New Development Bank, con un capitale di 50 miliardi di dollari da portare a 100 in un futuro prossimo e versati in parte uguali dai cinque Paesi fondatori; inoltre, visto che la Cina è il Paese economicamente più forte, che ha anche saputo cambiare gli equilibri economici mondiali, la nuova banda avrà la propria sede a Shanghai e la stessa funzione della Banca mondiale; i BRICS hanno anche creato, successivamente, un fondo di 100 miliardi di dollari (il CRA, Contingency Reserve Arrangement) costituito da monete di riserva, il cui uso è previsto in caso di crisi valutarie e problemi di bilancia dei pagamenti e che quindi dovrebbe avere la funzione propria del Fondo monetario internazionale; la Cina vi contribuirà con 41 miliardi di dollari, Brasile, India e Russia con 18 miliardi, la Repubblica Sudafricana con 5 miliardi. Il pool è stato creato affinché le banche centrali dei Paesi BRICS possano disporre reciprocamente di risorse per affrontare eventuali problemi con la liquidità in dollari e compensare deficit di bilancio;
    durante il VII Vertice dei BRICS tenuto a Ufa, in Russia, è stato formalizzato l'avvio della Nuova banca dello sviluppo. La Banca sostenuta dai BRICS approverà i primi progetti di investimento nel primo trimestre del 2016 e lavorerà a stretto contatto con l'AIIB, acronimo di Asian Infrastructure Investment Bank, (Banca di investimento per le infrastrutture asiatiche). Le nazioni BRICS cercheranno anche di iniziare a condurre sempre più gli scambi nelle valute nazionali, accelerando così il processo di de-dollarizzazione globale;
    l'AIIB è stata fondata nell'ottobre del 2014 su iniziativa della Cina per finanziare le ambiziose infrastrutture della cintura economica della nuova Via della Seta dall'Eurasia all'Unione europea e rappresenta un ulteriore allontanamento dalle istituzioni multilaterali dominate dagli Stati Uniti; essa ha iniziato a operare nella città cinese di Shanghai il 21 luglio 2015. Il ministro delle finanze cinese, Lou Jiwei, ha affermato che questa nuova istituzione finanziaria ed economica «diventerà un'aggiunta al sistema finanziario internazionale esistente» e «si assumerà la responsabilità» di finanziare progetti infrastrutturali nei Paesi in via di sviluppo;
    la nascita di questa nuova banca, il cui capitale iniziale ammonta a 100 miliardi di dollari statunitensi (ma recentemente ricapitalizzata), è finalizzata alla creazione e al potenziamento delle infrastrutture e di altri settori come la protezione ambientale, lo sviluppo urbanistico, la logistica, i trasporti, le telecomunicazioni, lo sviluppo agricolo, i servizi sanitari e la fornitura idrica e dimostra la volontà della Cina di pesare nello scenario mondiale anche tramite nuove istituzioni finanziarie attraverso le quali diramare la propria influenza a livello globale;
    Paesi storicamente alleati degli Stati Uniti, come il Regno Unito, hanno contribuito a fondare l'AIIB e anche l'Italia oggi ne fa parte;
    il terzo tassello in questo grande disegno di emancipazione dal dollaro da parte dei BRICS è rappresentato dalla nuova Via della Seta, teorizzata nel 2013 dal presidente cinese Xi Jinping per migliorare i rapporti economici e politici con l'Asia Centrale, il Medio Oriente e l'Europa sulla scorta delle vecchie rotte commerciali che anticamente collegavano l'Impero al Vecchio Continente;
   per «Via della seta economica» si intende la via terrestre che attraversa l'Asia centrale e arriva in Europa passando per Iran e Turchia. La «Via marittima della seta economica del XXI secolo» è invece la via marittima che, partendo dalla provincia cinese del Guandong, prosegue per lo stretto di Malacca, l'Oceano Indiano, il Corno d'Africa, il Mediterraneo e termina proprio a Venezia. Con il completamento di questo percorso previsto nel 2025 la Cina avrà raggiunto la sua massima capacità di attrazione rispetto agli Stati Uniti, suoi diretti competitor nel commercio internazionale per mare e per terra;
    si tratta di uno dei più grandi e ambiziosi progetti infrastrutturali che sia stato concepito per il prossimo decennio grazie allo stanziamento di 40 miliardi di dollari da parte di un fondo per lo sviluppo destinati alla costruzione di strade, linee ferroviarie ad alta velocità e rotte marittime per rafforzare gli scambi e la collaborazione economica con i Paesi lungo la via del progetto di sviluppo «Una Cintura e una Via», il nuovo orientamento della politica estera di Pechino su cui oggi sembrano concentrarsi quasi tutte le discussioni tra i vari esperti d'Asia;
    la strategia di «Una Cintura e una Via» riguarda tutti i Paesi sull'antica Via della Seta: una gigantesca cintura economica, terrestre e marittima, attraverso Asia, Africa ed Europa che si estende per oltre 7000 chilometri e comprende una popolazione di oltre 3 miliardi di persone;
    dopo la creazione delle due nuove istituzioni monetarie, il presidente Putin ha dichiarato che il sistema di fissazione del prezzo del petrolio in dollari doveva diventare storia passata e che la Russia avrebbe avviato una seria discussione circa l'uso di monete nazionali negli scambi petroliferi con diversi Paesi; infatti, la de-dollarizzazione è divenuta tema di discussione e accordo nei rapporti bilaterali fra Russia e altri Paesi, processo, peraltro, già ben avviato nelle relazioni economiche russo-cinesi;
    naturalmente, come è stato sottolineato da esperti analisti di Limes, l'intero progetto BRICS di de-dollarizzazione, al quale la Russia sta dando un notevole impulso con l'irrisolta crisi in Ucraina, «può riuscire solo a due condizioni, che riguardano principalmente la Cina. La prima condizione è la piena convertibilità dello yuan, che probabilmente avverrà nei prossimi anni; la seconda, di più lungo periodo, è la formazione di un grande mercato finanziario con titoli in moneta cinese che possa rivaleggiare con quello dei titoli in dollari.»;
    il successo internazionale che stanno riscuotendo i Paesi BRICS si deve al fatto che, facendo del rispetto della sovranità degli Stati membri la base per la costruzione delle relazioni internazionali, offrono una reale alternativa al mondo unipolare e instabile imposto finora dall'occidente;
    intervenendo alla Conferenza «Il nuovo Mondo con i BRICS» del 10 luglio 2015, tenutasi presso la Camera dei deputati, il vice presidente della Commissione esteri del Senato russo Andrey Klimov dichiarava: «I BRICS non stanno pensando a rapporti speciali con l'Unione europea. Tuttavia, se vogliamo parlare della Banca per lo sviluppo, creata dai Paesi del gruppo, teoricamente ci potrebbe essere una cooperazione, per esempio, con la Banca europea (BERS). Ogni Paese dell'ONU, compreso ogni Paese dell'Unione europea, in determinate circostanze e con determinate condizioni, può diventare socio della nuova Banca dei BRICS. Inoltre, insieme ai singoli paesi UE, e forse anche insieme a tutta l'Unione europea, siamo disposti a partecipare ai programmi di sviluppo in vari continenti, in Asia come in Africa e America latina. Per questo però da parte di Bruxelles ci vuole la buona volontà, ma le notizie positive, al momento, sono poche»,

impegna il Governo:

   ad accogliere l'invito del senatore russo Andrey Klimov affinché vengano valutate tutte le possibilità di cooperazione con la nuova banca dei BRICS e, nel caso, di adesione dell'Italia come socio;
   a creare un canale diplomatico straordinario con il Governo cinese per facilitare l'arrivo in Italia di tutti i progetti infrastrutturali previsti dalla cosiddetta «Nuova via della seta»;
   a sostenere in tutte le opportune sedi finanziarie internazionali il progetto multipolare immaginato dai Paesi BRICS che privilegia i principi del rispetto della sovranità, dell'autodeterminazione dei popoli e di un modello di globalizzazione più giusto e bilanciato, rispetto al caos creato dall'unipolarità americana del dollaro.
(7-00820) «Sibilia, Manlio Di Stefano, Di Battista, Spadoni, Scagliusi, Grande, Del Grosso».


   La VIII Commissione,
   premesso che:
    si terrà a Parigi, dal 30 novembre all'11 dicembre 2015, la Ventunesima Conferenza delle Parti (Cop21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (United Nations Framework Convention on Climate. Change — Unfccc);
    l'obiettivo della conferenza è quello di concludere, per la prima volta in oltre 20 anni di mediazione da parte delle Nazioni Unite, un accordo vincolante e universale sul clima, accettato da tutte le nazioni, rispetto alla limitazione delle emissioni dei gas serra ed, in particolare, dell'anidride carbonica (CO2) ed alla riduzione del riscaldamento globale;
    la concentrazione atmosferica di CO2 ha raggiunto il livello più alto degli ultimi 800.000 anni;
    i 195 Paesi che partecipano alla Convenzione quadro si sono infatti impegnati a trovare una intesa a cui dovranno aderire anche i Paesi in via di sviluppo (attualmente esclusi dal protocollo di Kyoto) e gli Stati Uniti;
    ad oggi l'emissione annuale di CO2 antropogenica è stimata nell'ordine di circa 35.000 milioni di tonnellate (30Gt), un terzo dei quali imputabili agli impianti di generazione elettrica da combustibili fossili. La Cina produce oltre un quarto delle emissioni mondiali di CO2, contro il 16 per cento degli Usa e l'11 per cento dell'Unioni europea;
    l'Unione europea porta avanti da anni politiche per contenere il riscaldamento globale e ridurre le emissioni gas serra. L'Unione europea ha infatti imposto obiettivi vincolanti agli Stati membri e promosso iniziative come il sistema di scambio di quote di emissione (Ets). Misure che hanno portato, tra il 1990 e il 2012 una riduzione delle emissioni del 19 per cento circa;
    il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha già annunciato che entro il 2030 gli Usa elimineranno il 32 per cento delle emissioni di CO2 rispetto al 2005;
    la Cina si è impegnata a ridurre drasticamente le emissioni di anidride carbonica prodotte dalla sua economia tra il 60 – 65 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005 e ad aumentare del 20 per cento la propria quota di energia a basso contenuto di CO2 sempre entro il 2030;
    questi impegni e queste politiche di riduzione di CO2, pur significative, rischiano però di non essere efficaci se non hanno una attuazione a livello globale da momento che nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo viene attualmente prodotta oltre la metà di emissioni mondiali di anidride carbonica;
    i Paesi in via di sviluppo, soprattutto quelli più poveri e vulnerabili, necessitano di un notevole sostegno finanziario per ridurre le emissioni di gas serra e adattarsi alle conseguenze dei cambiamenti climatici;
    gli ostacoli maggiori sono infatti rappresentati dalla mancanza di meccanismi che incentivino la realizzazione di progetti, da parte delle grandi multinazionali energetiche, nei Paesi in via di sviluppo e di strumenti internazionali di condivisione delle conoscenze per la realizzazione di progetti pilota. Progetti e strumenti di condivisione che potrebbero invece essere promossi anche in virtù della favorevole disposizione logistica degli impianti delle multinazionali energetiche spesso dislocati in nazioni svantaggiate;
    il tasso di emissione del CO2 può essere ridotto in più modi, uno dei quali consiste nel catturare il biossido di carbonio e stoccarlo lontano dall'atmosfera per un periodo di tempo molto lungo. Questa tecnica, chiamata cattura e stoccaggio del CO2 (Ccs: «Co2 Capture and Storage»), è una applicazione relativamente innovativa di una tecnologia consolidata. Solo negli ultimi anni sono state riconosciute le sue potenzialità nei confronti del problema globale del cambiamento climatico, e la comunità scientifica è ad oggi pienamente informata dei limiti e dei vantaggi di una tale applicazione tecnologica;
    il processo globale di cattura e stoccaggio della CO2 si attua infatti in tre diverse fasi che prevedono:
     a) la cattura dell'anidride carbonica;
     b) il trasporto, in genere via pipeline, fino al sito di stoccaggio;
     c) il confinamento definitivo, in siti geologici oppure mediante trattamenti chimici;
    l'impiego di tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2 si configura quindi come una opzione possibile per far fronte ai cambiamenti climatici globali legati all'aumento della concentrazione dei gas serra in atmosfera, che integra il processo di sostituzione delle fonti fossili di energia con fonti rinnovabili;
    molte delle tecnologie necessarie per la cattura ed il sequestro della 002, come ad esempio quelle relative ai processi di estrazione di gas acidi da miscele di gas, di gassificazione di carbone e tar, di gas shift, di produzione di ossigeno, sono già disponibili ed i programmi di ricerca e sviluppo a livello internazionale hanno già prodotto risultati incoraggianti. Tali tecnologie possono quindi essere integrate con le moderne tecnologie già applicate per ridurre drasticamente le emissioni di inquinanti ed incrementare l'efficienza energetica, al fine raggiungere un tasso di emissioni di CO2 antropogenica molto basse;
    l'attività di sequestro e stoccaggio di CO2 (Ccs) è già considerata strategica nell'ambito della politica energetica europea in quanto tecnologia di transizione che potrà contribuire a mitigare i cambiamenti climatici permettendo, secondo stime preliminari, la riduzione del 20 per cento delle emissioni di gas ad effetto serra entro il 2020;
    la Commissione europea, con l'obiettivo di facilitare la realizzazione di impianti termoelettrici dotati di tecnologie di cattura e stoccaggio geologico dell'anidride carbonica (Ccs) e riconoscendo l'importanza di tali tecnologie per contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici, ha emanato la direttiva 2009/31/CE, inserita nel «pacchetto clima – energia», con lo scopo di definire un quadro giuridico comune a livello europeo per lo stoccaggio geologico ambientalmente sicuro del biossido di carbonio. La Commissione europea ha inoltre finanziato progetti su cattura e stoccaggio della CO2, nell'ambito dello scambio quote di emissioni dei gas a effetto serra (iniziativa «News Entrants Reserve – Ner 300»). La decisione 3 novembre 2010, n. 2010/670/Ue della Commissione, ai sensi della direttiva 2003/87/Cee (articolo 10-bis) ha infatti fissato le procedure per la selezione di progetti dimostrativi su scala commerciale, per la cattura e lo stoccaggio geologico ambientalmente sicuri di CO2 (progetti Ccs);
    sono numerosi i progetti su larga scala attivi nel mondo relativi allo stoccaggio di CO2 stimabili in circa 30 tonnellate di anidride carbonica immagazzinata ogni anno;
    il decreto legislativo n. 162 del 14 settembre 2011 reca l'attuazione della direttiva 2009/31/CE in materia di stoccaggio geologico del biossido di carbonio nonché modifica delle direttive 85/337/CE, 2000/60/CE, 2001/80/CE, 2004/35/CE, 2006/12/CE, 2008/1/CE e del regolamento (CE) n. 1013/2006. (11G0207);
    tale decreto legislativo:
     a) attiva una disciplina organica che consente di avviare anche in Italia un primo stoccaggio della CO2 secondo standard normativi, tecnici e di monitoraggio di livello europeo;
     b) prescrive di effettuare una valutazione delle aree dove possono essere collocati i siti di stoccaggio;
     c) istituisce una rigorosa procedura di regolamentazione delle autorizzazioni allo stoccaggio della CO2;
     d) prescrive che il gestore del sito, secondo modalità stabilite, debba attuare un preciso piano di monitoraggio e che gli organi di vigilanza debbano effettuare precise attività di vigilanza e controllo dei siti di stoccaggio;
     e) prevede, in caso di fuoriuscite o, comunque, di irregolarità significative, che le autorità competenti debbano intervenire;
     f) regola e obbliga al controllo del sito anche dopo la chiusura dello stoccaggio;
    nel nostro Paese esistono quindi le condizioni e gli strumenti normativi per proseguire e ampliare il programma di ricerca e sviluppo e costruire rapidamente un piano industriale centrato su attività dimostrative. Si può, infatti, contare su alcuni importanti punti di forza:
     la capacità di enti di ricerca e di molti istituti universitari di mettere a sistema specifiche competenze e partecipare a progetti nazionali, europei e internazionali;
     il credito che a livello europeo tali centri hanno saputo guadagnarsi, la stipula di accordi bilaterali con USA, UK, Cina, e accordi tecnologici fra organismi di altri Paesi;
     la presenza sul territorio italiano e nei mari circostanti di numerosi «laboratori naturali», cioè di siti in cui la CO2 fuoriesce naturalmente, offrendo opportunità uniche per valutare gli impatti sui sistemi vegetali e animali, e la possibilità di studiare le varie opzioni tecnologiche di stoccaggio affinando anche le tecniche di monitoraggio della CO2;
     le forti competenze industriali negli ambiti più legati alla cattura della CO2;
     le iniziative avviate di recente dai due maggiori imprese nazionali del settore: Enel ed Eni (aziende multinazionali produttrici e distributrici di energia, il cui principale azionista è lo Stato italiano);
    nonostante la tecnologia italiana, anche rispetto alle possibilità di catturare e stoccare CO2, abbia raggiunto elevati livelli qualitativi, le applicazioni pratiche, sia in termini di progetti pilota che di applicazioni industriali, primo fra tutti il più volte annunciato e mai attuato avvio operativo, da parte dell'Enel dello stoccaggio marittimo di anidride carbonica emessa dalla centrale a carbone di Brindisi, o la sperimentazione mai avviata nella centrale a carbone di Porto Tolle;
    anche a causa di tali ritardi la competizione a livello europeo ha visto l'Italia ottenere alcun riconoscimento. La Commissione europea ha infatti premiato il gruppo britannico Drax con un finanziamento da trecento milioni di euro per la cattura dalla CO2. Drax, che gestisce la più grande centrale elettrica britannica, realizzerà una nuova centrale a carbone nello Yorkshire, concepita sin dalla fase progettuale per funzionare in sincronia con un impianto legato a un grande sito di stoccaggio nel Mare del Nord. Si tratta, fa rilevare la Commissione europea, del primo progetto europeo su larga scala di «carbon capture and storage» (Ccs) che «sarà in grado, se le promesse saranno mantenute, di intrappolare oltre il 90 per cento della CO2 prodotta, in profondità sotto i fondali marini»;
    occorre quindi, nel nostro Paese, un salto di qualità principalmente sul piano del lancio di una nuova politica energetica nazionale che, nell'ottica di una riduzione delle emissioni riconosca anche la necessità della tecnologie Ccs e adotti misure dedicate nel campo della ricerca e in quello della dimostrazione industriale;
    è anche indispensabile attivare una necessaria funzione di coordinamento nazionale, assegnando il compito specifico all'organismo pubblico che per sua natura sia in grado più efficacemente di coordinare le attività di ricerca, di garantire sinergie con il mondo industriale, e di assicurare la presenza attiva nel contesto internazionale,

impegna il Governo:

   ad attivarsi affinché, nell'ambito dell'accordo relativo alla nuova Convenzione quadro delle Nazioni Unite, che sarà sottoscritta dalla Ventunesima Conferenza delle Parti (Cop 21) a Parigi, si giunga alla definizione di accordi specifici di collaborazione tra le nazioni sui processi di cattura e stoccaggio di CO2 e di condivisione delle conoscenze tecnologiche, al fine di ridurre le emissioni nocive, in particolar modo nei Paesi in via di sviluppo;
   ad inserire concretamente le tecnologie di cattura e stoccaggio geologico dell'anidride carbonica (Ccs) nella strategia energetica nazionale, al fine di rendere i processi energetici maggiormente compatibili con il rispetto dell'ambiente e contrastare e prevenire con efficacia i mutamenti climatici;
   a promuovere un protocollo di intesa fra gli enti di ricerca, le università e le aziende multinazionali produttrici e distributrici di energia, a prevalente azionista pubblico, al fine di realizzare progetti di ricerca e di realizzazione di impianti per la cattura e stoccaggio geologico dell'anidride carbonica (Ccs), finanziati dalle stesse aziende compartecipate dallo Stato.
(7-00821) «Dallai, Carrescia, Nardi».


   La X Commissione,
   premesso che:
    la continua ascesa dei canoni commerciali di locazione rappresenta ormai da tempo uno dei fattori più allarmanti per gli esercizi commerciali e per i laboratori artigiani;
    da una ultima rilevazione di Confesercenti, in Italia ci sono ormai oltre 627 mila locali commerciali sfitti per mancanza di un'impresa che vi operi all'interno, quasi il 25 per cento del totale disponibile, con valori percentuali che in alcune periferie sfiorano il 40 per cento;
    nei primi 8 mesi del 2015 sono sparite, tra negozi e pubblici esercizi, circa 30 imprese al giorno. E dal 2012 a oggi sono state oltre 300 mila quelle che hanno cessato l'attività: un enorme numero di unità immobiliari che si sono liberate sul mercato in un periodo di tempo ridotto, cui vanno sommati i locali lasciati vuoti dalle imprese plurinegozio che, con il perdurare della crisi, hanno ridotto il numero di punti vendita;
    il più alto numero di negozi sfitti si trova nelle regioni a maggiore densità di locali a uso commerciale: Lombardia (oltre 82 mila), Campania (quasi 70 mila) e Lazio (circa 62 mila);
    se si considerano le aree urbane più importanti del territorio nazionale, città quali Milano, Torino, Roma, Napoli e Palermo, gli esercizi commerciali che hanno cessato la propria attività sono quasi diecimila generando, in alcuni casi, ciò che si potrebbe definire «deserto urbano», fenomeno che non colpisce soltanto le realtà commerciali e artigiane situate nei centri storici delle più grandi città ma anche quelle che operano in periferia;
    da dati resi disponibili da associazioni di commercio si vede che i costi medi di affitto in zone centrali di Roma e Milano oscillano in un intervallo fra gli 80 e i 100 euro circa al metro quadro/mese;
    le realtà commerciali si trovano, da tempo, a dover fronteggiare questa e altri tipi di problematiche che minacciano la loro sopravvivenza. A partire dalla crisi economica che ha eroso notevolmente i consumi delle famiglie, passando per la presenza sempre crescente dei centri commerciali fino all'abusivismo commerciale e alla contraffazione, il rischio di chiusura di realtà operanti settore del commercio è molto concreto e rappresenterebbe un grave danno per l'economia locale e per tutte quelle famiglie che operano, pur tra numerose difficoltà, nel commercio e nell'artigianato,

impegna il Governo

a valutare possibili iniziative per alleviare la chiusura di esercizi commerciali e laboratori artigianali a causa delle dinamiche del «caro affitti», anche mediante l'attivazione di un tavolo di consultazione a cui partecipino il ministero dello sviluppo economico, gli enti locali e le Associazioni di categoria del commercio, dei proprietari e dei gestori di immobili, che favorisca il confronto sulla situazione esposta in premessa ed elabori proposte.
(7-00819) «Benamati, Arlotti, Taranto, Vico, Senaldi, Scuvera, Camani, Cani, Bargero».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   l'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, prevede l'istituzione, coerentemente all'articolo 119 della Costituzione, dell'Agenzia per la coesione territoriale ed il trasferimento ad essa ed alla Presidenza del Consiglio dei ministri di competenze del dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica e, conseguentemente, delle unità di personale di ruolo e con rapporti di lavoro a tempo determinato per la loro residua durata, nonché le risorse finanziarie e strumentali del citato dipartimento, ad eccezione di quelle afferenti alla direzione generale per l'incentivazione delle attività imprenditoriali;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 luglio 2014 è stato approvato lo statuto dell'Agenzia per la coesione territoriale che, sottoposta ai poteri di indirizzo e vigilanza del Presidente del Consiglio dei ministri e al controllo della Corte dei Conti, ha personalità giuridica di diritto pubblico ed è dotata di autonomia organizzativa, contabile e di bilancio. Il suo compito è assicurare il perseguimento delle finalità di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione e, in particolare, sorvegliare e sostenere la politica di coesione di cui al decreto legislativo n. 88 del 2011, nonché rafforzare l'azione di programmazione e coordinamento degli investimenti finanziati dai Fondi strutturali e di investimento europei e dal Fondo per lo sviluppo e la coesione;
   l'Agenzia, ai sensi di quanto previsto dal menzionato articolo 10 del decreto legge n. 101 del 2013 e dallo Statuto, ha infatti l'obiettivo di sostenere, promuovere ed accompagnare, secondo criteri di efficacia ed efficienza, programmi e progetti per lo sviluppo e la coesione economica, nonché di rafforzare, al fine dell'attuazione degli interventi, l'azione di programmazione e sorveglianza di queste politiche;
   in particolare, obiettivo strategico dell'Agenzia è di fornire supporto all'attuazione della programmazione comunitaria e nazionale 2007-2013 e 2014-2020 attraverso azioni di accompagnamento alle amministrazioni pubbliche centrali, regionali e, locali titolari di programmi e agli enti beneficiari degli stessi, con particolare riferimento agli enti locali, nonché attività di monitoraggio e verifica degli investimenti e di supporto alla promozione e al miglioramento della progettualità e della qualità, della tempestività, dell'efficacia e della trasparenza delle attività di programmazione e attuazione degli interventi;
   fino alla sua piena operatività organizzativa, l'Agenzia si avvale delle strutture e del personale dell'ex dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica;
   ai sensi dell'articolo 10, comma 4, della legge istitutiva, gli organi dell'Agenzia sono: a) il Direttore generale; b) il comitato direttivo; c) il collegio dei revisori dei conti;
   con decreto del Presidente del Consiglio 4 novembre 2014 è stata nominata direttore generale dell'agenzia Maria Ludovica Agrò, attuale direttore generale per la politica regionale unitaria comunitaria del Ministero dello sviluppo economico;
   ai sensi dello statuto, l'organizzazione dell'Agenzia, articolata in settori di attività, è determinata con regolamento adottato, previo parere del Comitato direttivo, dal direttore e approvato dal Presidente del Consiglio dei ministri, determina l'organizzazione dell'Agenzia in settori di attività. L'organico è fissato in 200 unità e può comprendere personale in posizione di comando, fuori ruolo, distacco, o analogo istituto previsto dalle Amministrazioni di provenienza e personale di ruolo assunto mediante concorso pubblico;
   con interpellanza urgente n. 2-00984 del 3 giugno 2015 la prima firmataria del presente atto evidenziava il rischio di perdere i circa 12 miliardi di euro non ancora utilizzati della programmazione dei fondi europei del 2007-2013, nonché il ritardo dei progetti riguardanti la programmazione 2014-2020, a causa della mancata operatività dell'Agenzia per la coesione, istituita dall'articolo 10 del decreto-legge n. 101 del 2013 proprio allo scopo di supportare le amministrazioni pubbliche nella realizzazione dei progetti cofinanziati dai fondi strutturali europei. La prima firmataria del presente atto lamentava che a due anni dalla sua istituzione l'Agenzia non era ancora nel pieno delle sue funzioni, in quanto non risultava ancora insediato il comitato direttivo e non era stato ancora adottato il regolamento organizzativo, e chiedeva pertanto interventi per velocizzare l'avvio dell'Agenzia che è stata creata apposta per far fronte alle inefficienze degli enti in relazione all'utilizzo dei fondi europei, nonché interventi per il tempestivo utilizzo dei fondi strutturali del periodo di programmazione in corso;
   in risposta all'interpellanza, il Viceministro dell'interno Filippo Bubbico ha annunciato che «dei circa 46,7 miliardi di fondi strutturali europei destinati all'Italia dalla programmazione 2007-2013, rimangono da spendere, entro il 31 dicembre 2015, 13,6 miliardi di euro (7,9 se si esclude la quota di cofinanziamento nazionale)» e che il nostro Paese è riuscito a limitare a 27,7 milioni di euro il disimpegno automatico in caso di mancata certificazione della spesa. «Il raggiungimento dell'obiettivo di fine anno richiede di essere monitorato con la massima attenzione. Al fine di sostenere tale impegno saranno intensificate le azioni di sostegno e accompagnamento alle amministrazioni responsabili della gestione, azioni volte a individuare le criticità che rallentano l'attuazione, al fine di evitare il disimpegno delle risorse, e per migliorare la qualità degli investimenti cofinanziati. Nello scorso mese di aprile, dopo un confronto con i servizi della Commissione europea, sono state condivise a livello politico le misure da adottare nel quadro dei piani di azione che, per ciascun programma operativo, indicano gli interventi necessari per la chiusura, con tabelle di marcia sull'attuazione della spesa, ivi incluse le eventuali riprogrammazioni, al fine di migliorare la qualità dei programmi e consentire il pieno assorbimento delle risorse programmate, anche ricorrendo al migliore uso delle flessibilità previste dagli orientamenti comunitari sulle procedure di chiusura dei programmi e di certificazione e rendicontazione degli stessi». «L'entrata a regime del nuovo assetto istituzionale di coordinamento e presidio delle Politiche di coesione a livello centrale, con l'avvenuta istituzione delle due strutture, da una parte, il Dipartimento per le politiche di coesione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e, dall'altra, l'Agenzia per la coesione territoriale, rispettivamente titolari delle funzioni di programmazione e di attuazione della politica di coesione, contribuirà al migliore perseguimento di tale obiettivo»;
   sempre in occasione dello svolgimento dell'interpellanza urgente n. 2-00984, il Viceministro Bubbico ha riferito altresì che «con riguardo al funzionamento dell'Agenzia per la coesione territoriale, i relativi atti costitutivi sono stati registrati dalla Corte dei conti e il 29 maggio scorso si è insediato il comitato direttivo, previsto dallo statuto dell'ente. La bozza di regolamento organizzativo, già concordata con le amministrazioni concertanti, ha ricevuto parere positivo da parte del comitato direttivo ed è al momento oggetto della consultazione con i sindacati. L'Agenzia, la cui missione è incentrata sul presidio e sull'accompagnamento dell'attuazione dei programmi e interventi della politica di coesione, interverrà con particolare attenzione sul sostegno alla fase di progettualità, come previsto nell'ambito del regolamento organizzativo in via di adozione. Sarà, quindi, data risposta all'esigenza di miglioramento della qualità della spesa, oltre che all'accelerazione dell'attuazione dei programmi cofinanziati. L'attenzione ai tempi di attuazione dei programmi e interventi della politica di coesione rappresenta, peraltro, uno degli obiettivi strategici dell'Agenzia.»;
   la Commissione europea, nelle raccomandazioni all'Italia sul programma di riforma 2015, chiede tra le azioni da mettere in atto «di assicurare la piena operatività dell'Agenzia per la coesione territoriale in modo da determinare un sensibile miglioramento della gestione dei fondi dell'UE»;
   dal rendiconto generale dell'amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2014 si evince che, relativamente al Ministero dello sviluppo economico, i residui al 31 dicembre 2014 riguardanti la gestione del Fondo per lo sviluppo e la coesione (capitolo 8425) ammontano a ben 12.715 milioni di euro e sono dovuti proprio alla non operatività della nuova Agenzia per la coesione territoriale, non essendo stati ancora adottati i regolamenti di organizzazione e di contabilità;
   il 23 settembre 2015 sul rendiconto 2014 la Commissione attività produttive della Camera ha deliberato di riferire favorevolmente, in particolare, con l'osservazione di segnalare al Governo «l'urgenza di dare piena operatività all'Agenzia per la coesione territoriale al fine di consentire l'avvio di tutte le attività relative alla gestione del Fondo per lo sviluppo e la coesione» –:
   quale sia lo stato di operatività dell'Agenzia per la coesione territoriale e quali misure intenda adottare il Governo per assicurare il suo pieno funzionamento, dal momento che l'Agenzia è chiamata a svolgere il delicato ruolo di garantire una maggiore efficienza nell'utilizzo dei fondi comunitari all'Italia e con tale finalità deve sostenere e monitorare l'attività di programmazione delle amministrazioni locali;
   quali iniziative il Governo intenda assumere per garantire il pieno utilizzo dei fondi strutturali del periodo di programmazione in corso, con particolare riferimento ai programmi regionali a più elevato rischio di definanziamento, nonché quali misure intenda mettere in atto per impedire che vadano perduti i fondi europei in giacenza.
(2-01130) «Galgano, Monchiero».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   l'articolo 2, comma 240, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, norma a la definizione di accordi di programma;
   il programma FAS 2007-2013 disponeva di risorse per la mitigazione del dissesto idrogeologico; il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare disponeva, per altra parte, di risorse per la mitigazione del dissesto idrogeologico;
   nel corso dell'anno 2010 sono stati sottoscritti accordi di programma tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le regioni italiane (un accordo per ogni regione); nel corso degli anni 2010 e 2011, con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, sono stati nominati i commissari straordinari delegati all'attuazione degli interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del dissesto idrogeologico nelle regioni italiane (un commissario per ogni regione), con durata triennale prorogabile;
   per lungo tempo dalle nomine dei commissari (come detto, avvenute mediamente tra ottobre 2010 e marzo 2011), questi ultimi hanno dovuto svolgere da soli e con propri mezzi strumentali l'incarico loro affidato. Infatti, solo con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, datato 20 luglio 2011, si consentiva ai commissari l'utilizzo di una struttura di supporto all'attività (cosa necessaria per l'espletamento delle numerose attività richieste con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di nomina, impossibili da esercitare singolarmente) i cui costi ricadevano entro 1'1,5 per cento dei fondi destinati al dissesto. Norma mai abrogata, né revocata con il decreto-legge n. 91 del 2014. A seguito del predetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, i commissari hanno strutturato i loro uffici con personale (con obbligo di utilizzare i parametri di reclutamento consentiti alle pubbliche amministrazioni, così da poter concretamente esercitare i mandati ascritti);
   gli incarichi commissariali avevano validità fino alla data del 31 dicembre 2014, avendo il decreto-legge n. 136 del 2013, prorogato le attività al fine di consentire l'ultimazione dei cantieri. Infatti, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'8 aprile 2011, implicitamente modificava i termini di scadenza dei mandati commissariali rideterminandone la durata in coincidenza con l'espletamento di tutte le opere oggetto degli accordi di programma. L'articolo 2 di quest'ultimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recita al riguardo: «L'incarico cessa automaticamente alla conclusione dell'intervento, ovvero, qualora ai sensi dell'articolo 20, ultimo periodo del decreto-legge 29 novembre 2009 n. 185 convertito con modificazioni dalla legge 2 gennaio 2009 n. 2 sopravvengono circostanze che impediscano la realizzazione totale o parziale dell'intervento». L'articolo 6 del decreto-legge 10 dicembre 2013 n. 136, aveva previsto che possono essere nominati commissari anche i presidenti o gli assessori all'ambiente delle regioni interessate, Il testo dello stesso articolo è stato profondamente modificato dalla legge di conversione del 6 febbraio 2014, n. 6, per rispondere alle indicazioni della legge di stabilità 2014. Si è al riguardo disposta una articolata disciplina circa il termine del mandato dei commissari ancora in carica e la loro automatica sostituzione da parte dei presidenti delle regioni a decorrere dal 1o gennaio 2015. La legge di conversione ha infatti dettato un limite improrogabile di durata dell'incarico dei commissari straordinari, che non poteva perdurare oltre 5 anni dall'entrata in vigore del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195 a prescindere dall'effettiva ultimazione degli interventi loro affidati. I mandati dei commissari straordinari in carica avevano pertanto scadenza il 30 dicembre 2014 e dovevano essere incaricati, ex lege, dell'espletamento degli interventi non ancora ultimati i presidenti delle regioni. A tal fine l'articolo 6 del decreto-legge n. 136 del 2013, come convertito, ha previsto che venisse aggiunto il comma 1-bis all'articolo 17 del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195, secondo cui «A decorrere da 1o gennaio 2015 i presidenti delle regioni subentrano ai Commissari straordinari anche nella titolarità delle contabilità speciali per la gestione delle risorse di cui all'articolo 1, comma 111, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, giacenti, alla predetta data, nelle medesime contabilità speciali»;
   il comma 1 dell'articolo 10 del successivo decreto-legge 24 giugno 2 14, n. 91, invece stabiliva «A decorrere dall'entrata in vigore del presente decreto, i Presidenti della Regioni subentrano relativamente al territorio di competenza nelle funzioni dei commissari straordinari delegati per il sollecito espletamento delle procedure relative alla realizzazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico individuati negli accordi di programma sottoscritti tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le regioni ai sensi dell'articolo 2, comma 240, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e nella titolarità delle relative contabilità speciali. I commissari straordinari attualmente in carica completano le operazioni finalizzate al subentro dei Presidenti delle regioni entro quindici giorni dall'entrata in vigore del presente decreto». Ciò all'interno del Capo II – Disposizioni urgenti per l'efficacia dell'azione pubblica di tutela ambientale, per la semplificazione di procedimenti in materia ambientale per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza all'Unione europea. Questo accadeva circa sei mesi prima del termine di fine mandato dei commissari;
   il citato decreto-legge veniva convertito dalla legge di conversione 11 agosto 2014, n. 116. Insieme ai commissari, venivano annullati i contratti – a qualsiasi titolo – di collaboratori, di fatto non garantendo quella continuità che le leggi invocano. Si ricorda che la norma – ad esempio, l'articolo 1223 del codice civile – impone di risarcire il danno dovuto al mancato guadagno per cause non dipendenti dal lavoratore. Inoltre il citato decreto-legge n. 116 nulla dispone in merito ai procedimenti amministrativi in corso di espletamento alla data di sostituzione dei commissari; i presidenti di regione, divenuti commissari in sostituzione dei precedenti, assumevano i medesimi compiti (tra cui il rispetto dei crono programmi, la redazione delle religioni trimestrali e annuali da consegnare – tra l'altro – alla Camera dei deputati, l'implementazione continua del sistema RenDis web in ordine alla trasparenza);
   tuttavia, le ingenti attività pertinenti al dissesto portate avanti dai commissari delegati necessitavano di un periodo di tempo rilevante per avere piena conoscenza degli atti e dell'insieme dei procedimenti avanzati da parte dei nuovi commissari (presidenti di regione). Risulta infatti che la sostituzione dei commissari abbia determinato un rallentamento (in alcuni casi la sospensione) delle attività di mitigazione del dissesto e – sebbene il costo dei precedenti commissari (comunque poco rilevante rispetto ad altre figure commissariali, a valere da quanto san sito dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 aprile 2011 e poi ulteriormente disposto con riduzione dal decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, soprattutto in ragione delle grandi responsabilità questi ascritte) sia stato abbattuto dall'eliminazione del compenso in capo ai presidenti di regione – questo fattore deve considerarsi un grave dispendio di risorse, in primo luogo a causa dell'acuirsi dei problemi del dissesto nei cantieri attivi e al relativo maggiore costo per la messa in Sicurezza. L'analisi, a campione, di quattro dei commissariamenti regionali sul dissesto ha fornito, infatti, risultati preoccupanti con grave pregiudizio per le persone e le cose ad avviso dell'interrogante in violazione del principio di precauzione di cui all'articolo 191 del TFUE. Si consideri che l'ingiustificata e frettolosa sostituzione dei commissari a sei mesi dal loro fine mandato e conseguente conclusione dei lavori, risulta che ad oggi abbia già causato slittamenti almeno di un anno nella conclusione delle opere programmate, le cui conseguenze sono: 1) come detto per altri versi, accentuazione del rischio idrogeologico; 2) blocco dei cantieri in esecuzione e blocco di quelli in fase di avviamento, grossolanamente stimabili in circa 200 (pari numero, o forse più, è quello delle imprese coinvolte, con conseguenti danni indiretti per l'economia e per almeno 2000 post di lavoro potenziali o reali); questo Governo, nel mese di agosto 2014, allorché i commissari venivano sostituiti dai presidenti di regione, provvedeva a nominare i nuovi vertici della Sogesid s.p.a, e indicava alla presidenza Marco Staderini. Qualche mese più tardi, si svolgeva un'audizione in Commissione «Ecomafie». Qui, il neo presidente Marco Staderini affermava che la Sogesid spa intendeva precedere ad assunzioni fino al triplo dell'attuale struttura. Notizia piuttosto discutibile, anche per il carattere pubblico della società;
   il 10 dicembre 2014, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sigla con la Sogesid una convenzione quadro anche sul tema del dissesto idrogeologico, ratificata dalla Corte dei conti in data 26 gennaio 2015. Ai sensi di questa convenzione, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è tenuto a vigilare anche sui temi delle modalità di reclutamento del personale, assicurando il rispetto dei principi (di cui al comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165) di adeguata pubblicità, imparzialità, economicità e trasparenza, che impongono una procedura concorsuale;
   l'articolo 1, comma 111, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014) dispone che tutti i fondi presenti nella contabilità speciale non impiegati fino a dicembre 2013 debbano venir utilizzati nella somma massima di 600 milioni di euro a favore dei progetti-cantieri del 2014, ai quali si dovrebbero aggiungere altri finanziamenti derivanti dalle CIPE 6 e 8 del 2012, pari rispettivamente ad un importo di 130 milioni di euro e 674,7 milioni di euro. Nella parte finale del comma si legge: «Per le finalità di cui al presente comma è autorizzata la spesa di 30 milioni di euro per l'anno 2014, di 50 milioni di euro per l'anno 2015 e di 100 milioni di euro per l'anno 2016». Mentre i commi 120 e 121 assegnano un totale di 150 milioni di euro a favore del fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) per gli anni 2014, 2015 e 2016;
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 maggio 201 viene istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – segretariato generale – la struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche. Dal sito web, italiasicura, si apprende che per i prossimi sette anni l'obiettivo del Governo è aprire circa 7.000 cantieri, attraverso un piano nazionale contro il dissesto idrogeologico che prevede una spesa di quasi 9 miliardi: 5 provenienti dai fondi di sviluppo e coesione; 2 dal cofinanziamento delle regioni o dai fondi europei a disposizione delle regioni stesse; altri 2 miliardi recuperati dai fondi destinati alle opere di messa in sicurezza e non spesi fino ad ora, Con questi ultimi fondi verranno aperti 654 cantieri entro la fine del 2014, per un totale di 807 milioni di euro, e altri 659 nei primi mesi del 2015, per un valore di un miliardo e 96 di euro;
   le norme dettate dal decreto-legge n. 133 del 2014 «SbloccaItalia» (convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164) sembrano essere finalizzate a disciplinare il recupero delle risorse finanziarie inutilizzate e a definire una programmazione a decorrere dal 2015. In particolare si ricordano le seguenti disposizioni contenute nell'articolo 7:
    a) il comma 2 prevede che, a partire dalla programmazione 2015, le risorse destinate al finanziamento degli interventi in materia di mitigazione del rischio idrogeologico siano utilizzate tramite lo strumento dell'accordo di programma sottoscritto dalla regio e interessata e dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e che gli interventi siano individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro stesso. Il medesimo comma, attribuisce a partire dalla programmazione 2015, ai presidenti delle regioni il ruolo di commissari di Governo contro il dissesto idrogeologico con i compiti, le modalità, la contabilità speciale e i poteri di cui all'articolo 10 del decreto-legge n. 91 del 2014;
    b) il comma 3 disciplina le modalità di revoca di risorse assegnate in passato alle regioni e ad altri enti (a partire dai decreti attuativi del decreto-legge n. 180 del 1998 fine ai decreti attuativi dell'articolo 2 del decreto-legge n. 262 del 2006) per la realizzazione di interventi di mitigazione del rischio idrogeologico. Gli accertamenti finalizzati alle revoche devono essere svolti dall'ISPRA entro il 30 novembre 2014. Le risorse così revocate confluiscono in un apposito fondo istituito presso il Ministero dell'ambiente;
    c) il comma 5 prevede una semplificazione delle procedure di esproprio ed occupazione di urgenza;
    d) il comma 8 prevede l'assegnazione alle regioni dell'ammontare complessivo di 110.000.000 di euro, a valere sulle risorse del FSC 2007-2013, da destinare agli interventi di sistemazione idraulica dei corsi d'acqua necessari per fronteggiare le situazioni di criticità ambientale delle aree metropolitane interessate da fenomeni di esondazione e alluvione, previa istruttoria del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con la struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche; il comma 238 della legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014) modifica il comma 3 dell'articolo 3 del decreto-legge n. 133 del 2014 predisponendo che una quota, pari a 50 milioni di euro (di cui ai commi 1 e 1-bis dell'articolo 3 del medesimo decreto-legge) sia destinata all'attuazione di interventi urgenti in materia di: dissesto idrogeologico; difesa e messa in sicurezza di beni pubblici; completamento di opere in corso di esecuzione; miglioramento infrastrutturale. Lo stesso comma prevede che, con uno o più decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, si provveda all'individuazione, d'intesa con la struttura di missione degli interventi e delle procedure di attuazione (ma anche in questo caso non si riesce ad avere indicazioni chiare e univoche su come e se siano stati impiegati tali fondi);
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 febbraio 2015 vengono definiti i criteri e le modalità per stabilire le priorità di attribuzione delle risorse agli interventi in materia di mitigazione del rischio idrogeologico. Le richieste trasmesse dalle regioni attraverso la piattaforma «ReNDis» dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), relative agli interventi urgenti di mitigazione del rischio idrogeologico ammontano a 20,4 miliardi di euro che rappresenta il fabbisogno complessivo del periodo 2015-2020;
   con la delibera Cipe n. 32 del 20 febbraio 2015 (Gazzetta Ufficiale n. 153 il 4 luglio 2015) vengono assegnati 450 milioni di euro sul fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC), afferenti alla programmazione 2014-2020 e vengono individuate ulteriori risorse, pari a 150.000.000 euro, destinate agli interventi localizzati nelle aree metropolitane e urbane (110.000.000 euro provengono dallo Sblocca Italia e 40.000.000 euro dalle disponibilità della legge di stabilità 2014). Inoltre vengono assegnati ulteriori 100 milioni di euro del fondo per lo sviluppo e la coesione 2014-2020, con l'obiettivo di stimolare l'efficace avanzamento, in particolare nel Mezzogiorno, delle attività progettuali delle opere di mitigazione del rischio idrogeologico (in base alla relazione «Progetto Aree Metropolitane», redatto dalla struttura Italia Sicura è preoccupantemente evidente come siano veramente pochissime le opere e immediatamente cantierabili, mentre la maggioranza degli interventi si trova ad una fase progettuale preliminare o addirittura allo studio di fattibilità, con possibili rilevanti variazione degli importi stimati);
   con il comma 1.5 della delibera del Cipe 32, facendo riferimento alla legge di stabilità 2015, si stabilisce chiaramente che i 450 milioni e i 100 milioni di euro destina i al FSC dovranno essere così ripartiti: 50 milioni di euro per il 2015, 75 milioni di euro per il 2116, 275 milioni di euro per il 2017, 75 milioni di euro per il 2018 e 75 milioni di euro per il 2019. Ma la delibera nella fase attuativa, predispone che gli interventi che avranno diritto ai fondi saranno individuati con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, e solo allora i fondi saranno assegnati al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in qualità di amministrazione responsabile dell'attuazione, d'intesa con la struttura di missione di cui le premesse, del presente piano di interventi. Successivamente, sarà data adeguata pubblicità dell'elenco degli interventi finanziati, nonché alle informazioni periodiche sul relativo stato di avanzamento, come risultanti dal predetto sistema di monitoraggio «ReNDiS», dati che saranno comunicati anche al dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica;
   recentemente, secondo quanto affermato dal Ministro Galletti nel corso di un'intervista, il CIPE ha sbloccato 654 milioni di euro da destinare alle città più a rischio, nel contesto di un progetto che vale 1,303 miliardi di euro. Nel 2016, come da dichiarazioni del Ministro Delrio, potrebbero sbloccarsi altri 1,8 miliardi di euro della vecchia programmazione;
   in realtà in tema di trasparenza il sistema ReNDis non è accessibile ai non addetti ai lavori e per i cittadini è aggiornato ai progetti finanziati nel 2010/2011; inoltre andando a verificare sui siti di riferimento degli attuali commissari straordinari si nota una quasi totale assenza di avanzamento nei cantieri fermi in molti casi all'assegnazione dei lavori e una scarsa trasparenza nelle informazioni messe a disposizione dei cittadini, con link in cui si aprono file pdf senza alcun contenuto, mappe con l'individuazione di ipotetici cantieri senza nessuna data di riferimento;
   così come nel Lazio dove a quasi un anno, di distanza dal subentro del presidente Zingaretti quale commissario delegato all'attuazione di interventi di mitigazione del rischio idrogeologico definiti «urgenti e prioritari», quasi nessuno degli interventi in progettazione o con i lavori aggiudicati sia stato portato avanti, nonostante le risorse fossero e siano tuttora disponibili;
   infatti, secondo il monitoraggio attuato dall'unità di missione per il contrasto al dissesto idrogeologico, operante presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, la regione Lazio prevederebbe di aprire un solo cantiere di opere contro il rischio idrogeologico nel 2015, e negli ultimi 10 mesi non risulterebbe essere stato affidato neanche un lavoro tra quelli programmati;
   questo malgrado gli interventi contenuti nel programma siano quasi interamente finalizzati alla messa in sicurezza di aree a rischio idrogeologico molto elevato (R4) in cui, cioè è a rischio la vita umana –:
   al di là degli annunci che si sono susseguiti in questi ultimi mesi, se il Governo sia in grado di quantificare ufficialmente quanti siano i fondi effettivamente stanziati ed erogati per il dissesto idrogeologico dal suo insediamento ad oggi e per quali progetti e quale sia lo stato di realizzazione dei medesimi;
   visto che le regioni, attraverso il sistema «ReNDiS», segnalano la necessità di investire almeno 20 miliardi di euro emettere il Paese in sicurezza, se il Governo non ritenga esiguo lo stanziamento previsto dalla legge di stabilità 2015;
   visto che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che secondo la delibera del Cipe n. 32 dovrebbe individuare gli interventi che avranno diritto ai fondi stanzia i nella legge di stabilità 2015 non è ancora stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, se possano confermare che tali fondi non sono ancora stati erogati;
   dei 642 cantieri che secondo Italia Sicura si sarebbero dovuti aprire entro la fine del 201.4, quali siano stati realmente aperti grazie all'unità di missione; ovvero, se non ci fosse stata l'unità di missione, quanti cantieri sarebbero stati aperti ugualmente; quale sia, ad oggi, lo stato dei dissesti nei cantieri in esecuzione e in quelli avviati dai precedenti commissari e se il Governo sia in grado di fornire dettagli per ognuno essi suddivisi per regione di appartenenza; 
   quale sia lo stato di avanzamento degli interventi lasciati incompiuti dai commissari, indicando quanti fossero in corso e quanti siano stati ultimati, nonché qua ti fossero in fase di progettazione e quanti siano stati avviati;
   per ogni regione, quanti nuovi fondi siano stati versati nelle con abilità speciali da quando i presidenti di regione sono divenuti commissari;
   quante e quali regioni abbiano rispettato i cronoprogrammi commissariali ed, eventualmente, quali ragioni abbiano imposto il mancato rispetto degli stessi;
   quante e quali regioni abbiano trasmesso al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare le necessarie relazioni trimestrali con congruità di contenuti;
   quante e quali regioni abbiano trasmesso alla Presidenza del Consiglio la competente relazione annuale relativa all'esercizio commissariale 2014;
   quante e quali regioni abbiano implementato il Sistema RenDis web con regolarità, al fine di consentire le adeguate verifiche e garantire la trasparenza richiesta; laddove sia stato implementato, quali risultanze emergano in ordine all'attuazione dei crono programmi e allo stato di avanzamento dei relativi lavori;
   quale sia il bilancio che deriva dalla sostituzione dei precedenti commissari, in termini di costi/benefici e di incremento/diminuzione del danno ambientale, e se intendano fornire dati certi in merito a questo argomento;
   se siano state corrisposte ai commissari precedenti e ai lavoratori che hanno regolarmente vinto pubblici concorsi per l'inserimento negli uffici commissariali, somme per il mancato guadagno ai sensi di legge, anche secondo le disposizioni dell'articolo 1223 del codice civile;
   visto che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 luglio 2011 non è stato abrogato né revocato a seguito del decreto legislativo n. 91 del 2014, se il Ministro intenda chiarire in quali regioni sia stato acquisito nuovo personale di supporto e, nel caso, quali, ragioni abbiano imposto la sostituzione dei precedenti collaboratori, negando a questi ultimi la continuità di legge;
   quale reale ruolo il Governo intenda affidare alla Sogesid sul tema del dissesto idrogeologico, anche sulla scorta di quanto contenuto nella convenzione quadro citata nelle premesse, visto che – semmai si volesse parlare di contenimento della spesa (cosa che avrebbe indotto alla revoca dei commissari delegati) – i costi della Sogesid appaiono decisamente alti.
(2-01131) «Daga, Terzoni, Mannino, Micillo, De Rosa, Zolezzi, Busto, Vignaroli, Grande, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lupo, Marzana, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spadoni, Spessotto, Tofalo, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Villarosa».

Interrogazioni a risposta scritta:


   CRISTIAN IANNUZZI, FAVA e TURCO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da anni in tutto il litorale pontino e romano si assiste al dilagare di fenomeni speculativi agevolati dalle connessioni tra politica e organizzazioni affaristico/malavitose: in particolare, la zona del Sud Pontino (Latina, Formia, Fondi, Sabaudia, Gaeta e dintorni) risulta essere fortemente infiltrata da organizzazioni criminali, tra cui il clan dei Casalesi, come attestato anche dalla sentenza emessa dal tribunale di Latina il 16 novembre del 2012 e il clan Di Silvio;
   l'operazione «Don't touch», avviata nel mese di agosto del 2014, dopo il ferimento con colpi d'arma da fuoco del proprietario di una rivendita di tabacchi nel centro di Latina, ha portato il 12 ottobre 2015 all'arresto di 24 persone, tra cui incensurati, pregiudicati ed esponenti delle forze dell'ordine;
   sono stati sequestrati beni per 12 milioni di euro; si tratta in prevalenza di quote societarie, ma anche immobili, una barca a vela, auto e moto, nonché i conti correnti delle 15 società di uno dei capi della banda, intestate in maniera fittizia a terze persone;
   estorsione, usura, spaccio di stupefacenti, porto e detenzione di armi da fuoco, minacce e lesioni sono i reati contestati agli indagati nell'ordinanza di custodia cautelare emessa dalla procura di Latina;
   tra le carte dell'inchiesta che ha portato all'arresto di Costantino Di Silvio e Gianluca Tuma e delle altre 22 persone con l'accusa di associazione a delinquere spunta anche il grave episodio di intimidazione avvenuto 1'11 gennaio 2015 di cui è stato vittima Vittorio Buongiorno, capo della redazione pontina del quotidiano Il Messaggero;
   secondo quanto apparso dalla stampa sarebbero coinvolti anche noti personaggi della politica e delle istituzioni;
   in particolare, il presidente del Latina Calcio, Pasquale Maietta, risulta indagato nell'ambito dell'operazione «Don't Touch», con l'accusa di violenza privata per fatti risalenti al novembre 2014 e che riguardano una vicenda relativa a dei commenti apparsi sui social network oltre che per rapporti accertati con l'esponente malavitoso Costantino Cha Cha Di Silvio;
   inoltre, secondo quanto è stato ricostruito nel corso delle indagini, l'imprenditore Natan Altomare avrebbe preteso da una struttura sanitaria di riabilitazione di Latina una tangente da 2.500 euro al mese per diversi anni, minacciando l'intervento degli «zingari di Latina» e di un gruppo di cittadini romeni a lui legati e promettendo di «ampliare l'accreditamento (...) per un totale di 40 trattamenti giornalieri attraverso un suo rapporto con tale Lorenzin, che lui diceva essere fratello del Ministro della salute»;
   il sistema criminale e di potere, in grado di infiltrare lo Stato ed intimidire anche i professionisti dell'informazione, tengono in ostaggio Latina condizionandone l'economia e la stessa vita sociale ai danni dei cittadini e degli operatori onesti –:
   se il Governo, per quanto di competenza, intenda adottare con urgenza iniziative atte a potenziare gli organici, le capacità e gli strumenti degli organi inquirenti presenti sul territorio del litorale laziale al fine di agevolare il controllo del territorio, implementare le attività di contrasto delle organizzazioni criminali, impedire lo sviluppo di un'economia parallela illecita, assicurare il rispetto della legalità e la sicurezza dei cittadini;
   quali iniziative ritengano opportuno adottare al fine di garantire la libertà di stampa e la libertà d'espressione e tutelare chi è addetto a informare l'opinione pubblica, considerati gli specifici fatti richiamati in premessa. (4-10805)


   BRAMBILLA. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la città metropolitana di Milano comunica che, sulla base della legge n. 56 del 7 aprile 2014 (cosiddetta legge Delrio), non rientra nelle sue funzioni la gestione del CAM, il Centro assistenza minori con sede a Milano, in via Pusiano;
   allo stato, la struttura ospita 19 minori dell'età massima di sei anni, che il tribunale ha momentaneamente allontanato dalle famiglie di origine, ma è destinata a chiudere il 31 dicembre di quest'anno: 18 nuovi ingressi sono già stati rifiutati, dei bambini ospitati dovrebbero occuparsi i comuni di residenza, trovando loro nuova collocazione, mentre i dipendenti (una quarantina di persone) dovranno seguire corsi di riqualificazione per nuove mansioni o essere impiegati altrove;
   benché i servizi alla persona siano di competenza del comune, unica istituzione titolata a farsi carico del Centro assistenza minori, l'amministrazione sostiene di non avere risorse sufficienti per tenere aperta la struttura medesima;
   a causa di questo «rimpallo» burocratico, c’è il rischio concreto che bambini molto piccoli, già provati da un vissuto particolarmente difficile, subiscano, dopo aver sviluppato un forte attaccamento alle loro educatrici, nuovi traumi dalle conseguenze imprevedibili e che sia dispersa la professionalità di operatori esperti e altamente qualificati –:
   se sia a conoscenza delle notizie sopra riportate;
   se intenda farsi promotore, per quanto di competenza e nell'ambito delle più generali iniziative volte a incrementare le risorse a disposizione delle istituzioni locali, di un tavolo interistituzionale al fine di individuare rapidamente la soluzione in grado di scongiurare la chiusura del Centro assistenza minori di Milano che potrebbe determinare la scomparsa di un efficace modello di accoglienza e cura dei minori temporaneamente allontanati dalle proprie famiglie d'origine. (4-10807)


   BERRETTA. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel luglio 2015 la società Aeroporto Catania s.p.a. ha presentato il progetto «Norma», spazio inaugurato all'interno dell'aeroporto di Catania «Vincenzo Bellini», volto alla valorizzazione delle eccellenze gastronomiche siciliane;
   l'area polivalente, che ha una superficie di 3.800 metri quadrati, nasce negli spazi rinnovati del vecchio terminal arrivi dello scalo etneo per ospitare punti vendita di prodotti di nicchia siciliani, uno spazio meeting, una scuola di cucina e ristoranti, in una logica di marketing territoriale ed in sinergia con UnionCamere Sicilia;
   la realizzazione di «Norma» è avvenuta nell'ambito di un progetto predisposto da UnionCamere Sicilia e cofinanziato dall'assessorato regionale delle attività produttive a valere sul PO FESR 2007-2013 obiettivo 5.2.1 ed, inoltre, utilizzando una parte del finanziamento di 80 milioni di euro concesso alla società Aeroporto Catania s.p.a. per la realizzazione del piano d'investimenti dell'aeroporto di Catania, con il supporto di finanziatori istituzionali (in particolare Cassa depositi e prestiti e Bei);
   sul portale di informazioni online Lasiciliaweb, con un articolo dal titolo «Fontanarossa, il flop di Norma» del 30 settembre 2015, viene messo in luce che il progetto «Norma» si rivela, ad oggi, quasi del tutto inattuato, poiché «la struttura di migliaia di metri quadrati è praticamente senza vita, ridotta a piccolo spazio espositivo fuori dai flussi di transito dei passeggeri in arrivo e in partenza che non riesce attirare neppure i curiosi»;
   inoltre, nel suddetto articolo, vengono denunciati il blocco e l'inefficacia dell’iter finalizzato all'affidamento e alla gestione degli spazi, dato che la società Aeroporto Catania  s.p.a. ha disposto di non dare corso alla procedura del bando di gara, pubblicato il 3 luglio 2015, avente ad oggetto «l'assegnazione in regime di sub-concessione di un locale allestito all'interno dello spazio polifunzionale, per la gestione di una scuola di cucina ed attività di ristorazione», mentre al bando, pubblicato il 15 settembre 2015, di «invito a manifestare interesse a partecipare alla procedura selettiva per concedere la sub-concessione di spazi da allestire all'interno dell'Aeroporto di Fontanarossa di Catania ex terminal T4, per la realizzazione di piccole aree di ristoro, nello specifico una legata alla produzione e vendita di pasta fresca, una alla carne, una ai prodotti siciliani pasticceria e gastronomia» la stessa società ha assegnato la funzione di mera «indagine conoscitiva» –:
   se il Governo non ritenga opportuno vigilare, per quanto di competenza, sul buon utilizzo delle risorse statali sopra menzionate ed, in parte, finalizzate alla realizzazione del progetto volto alla promozione di prodotti alimentari siciliani presso l'aeroporto di Catania «Vincenzo Bellini» e denominato «Norma», che risulterebbe inattuato alla data odierna.
(4-10808)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata:


   GUIDESI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni il territorio italiano è esposto ad un susseguirsi di eventi calamitosi dovuti a eventi atmosferici eccezionali di particolare violenza, ma anche ad altri continui di minore intensità, che comunque provocano frane e allagamenti che devastano il paesaggio, inghiottiscono strade e auto, causano morti e dispersi, creano danni alle infrastrutture viarie e ferroviarie, alle reti gas e elettriche, ai beni pubblici e privati, allagano case, cantine, negozi e aziende;
   ne risente l'economia italiana poiché le aziende non riescono a risollevarsi, nonostante gli sforzi; i contributi pubblici che vengono assegnati ai territori alluvionati non sono mai sufficienti a far fronte alle calamità naturali e a permettere il ritorno alle normali condizioni di vita della popolazione;
   si rende indispensabile individuare una strategia politica rivolta maggiormente alla prevenzione, alla cura del territorio, all'adozione di pratiche di vigilanza attiva e di manutenzione costante del suolo e dei corsi d'acqua, che sia in grado di mantenere in uno stato di concreta sicurezza le aree più sensibili dal punto di vista di rischio idrogeologico;
   la causa di tanti disastri sta, purtroppo, nella mancata pulizia degli alvei dei fiumi e dei torrenti che provoca un innalzamento degli alvei, da cronica deposizione di sedimenti e di trasporto solido, riducendone la sezione, che non riesce più a contenere il volume d'acqua del bacino scolante;
   infatti, la pulizia dei fiumi e dei torrenti è bloccata da una normativa obsoleta, carica di inopportune ideologie ambientaliste, e da una burocrazia insostenibile, che mette in sofferenza i cittadini;
   fino ad oggi il Governo ha fatto continue promesse per il finanziamento di un programma di prevenzione contro il dissesto idrogeologico, anche il «collegato ambientale» alla legge di stabilità per il 2014, attualmente all'esame dell'Assemblea del Senato della Repubblica, prevede una serie di programmi per la definizione del quadro conoscitivo del demanio idrico, ma mancano azioni concrete verso misure gestionali capaci di ripristinare la continuità idromorfologica longitudinale, laterale e verticale degli alvei dei fiumi e dei torrenti ed evitare l'inondazione delle pianure italiane –:
   se il Governo abbia intenzione di intervenire per risolvere i problemi connessi al rischio alluvioni e alla pulizia dei fiumi e dei torrenti e con quali azioni concrete. (3-01777)


   RABINO e MONCHIERO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il fenomeno del dissesto idrogeologico rappresenta un problema estremamente diffuso nel nostro Paese, che risulta, infatti, soggetto a rapidi e periodici processi che ne alterano il territorio e producono conseguenze spesso devastanti; molto spesso si tratta di fenomeni connessi al defluire delle acque libere in superficie e nel sottosuolo che causano l'alterazione dello stato di stabilità dei terreni e dei pendii e/o l'esondazione dei corsi d'acqua per rilevanti e repentini aumenti di portata;
   da sempre l'Italia è costretta alla convivenza con catastrofi immani che hanno accompagnato la nostra storia. Probabilmente non esiste al mondo un Paese come il nostro, con caratteristiche morfologiche quasi uniche, con un'aggrovigliata geofisica del sottosuolo per la sua natura geologica in gran parte giovane, caratterizzata da terreni argillosi e sabbiosi incoerenti e/o malamente ancorati alla roccia dura e stabile che ci rende tra i Paesi più franosi del mondo (486.000 delle 700.000 frane in tutta l'Unione europea sono italiane);
   a questa situazione di dissesto si somma la carenza di pianificazione, con la quasi scomparsa delle manutenzioni, con abusi del suolo, con la scarsa percezione della dimensione dei pericoli e l'insufficiente conoscenza dei fenomeni;
   oggi le precipitazioni hanno un carattere «esplosivo»: in poche ore piove la pioggia che poteva cadere in mesi. Le chiamiamo «bombe d'acqua», e sono figlie di una meteorologia estremamente variabile che provoca altre emergenze: erosione costiera, cuneo salino, siccità e incendi boschivi;
   gli effetti del dissesto incidono sulla perdita di vite umane e provocano evidenti alterazioni ambientali e dei territori che si ripercuotono su tutte le attività dell'uomo, con rilevanti danni per le comunità colpite;
   il rischio idrogeologico nel nostro Paese è, inoltre, imputabile all'azione dell'uomo nella trasformazione ed edificazione dei territori. La densità della popolazione, la progressiva urbanizzazione, l'abbandono dei terreni montani, l'edificazione in aree a rischio, il disboscamento e la mancata o carente manutenzione dei corsi d'acqua e dei versanti e/o pendii a rischio di instabilità hanno sicuramente aggravato la situazione e messo ulteriormente in evidenza la fragilità del territorio italiano, aumentandone l'esposizione ai rischi di dissesto idrogeologico;
   dal 1950 ad oggi si contano 5.459 vittime in oltre 4.000 tra frane e alluvioni. Il dissesto idrogeologico è una delle ragioni dell'aumento del gap infrastrutturale nel nostro Paese. Non franano solo terreni o case provocando dei lutti, ma anche strade e autostrade, ferrovie, reti idriche ed elettriche. Il deterioramento del territorio costituisce una voce fortemente negativa nel bilancio economico del Paese ed accumula debito futuro. Anche in una visione strettamente ragionieristica è positivo investire in prevenzione;
   ad essere esposti a frane e dissesto del territorio è il 68,9 per cento dei comuni del nostro Paese, pari a 5.581;
   il 32 per cento dei comuni italiani registra aree franabili e aree alluvionabili, il 21,1 per cento aree a rischio frane, il 15,8 per cento aree alluvionabili;
   nel piano per la riduzione del rischio idrogeologico, redatto dall'Associazione nazionale consorzi gestione tutela territorio ed acque irrigue per il 2015, sono 3.335 gli interventi globali ritenuti necessari per mettere in sicurezza il territorio, per un valore di 8,4 miliardi di euro, con un incremento quasi del 5 per cento rispetto al 2014;
   ridurre e gestire il rischio non è un costo, ma un investimento chiave per far ripartire il Paese, sbloccare economie e lavoro, promuovere bellezza e qualità –:
   quale sia ad oggi lo stato dell'arte degli obiettivi della struttura di missione creata presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e quali siano le indicazioni del Governo sulle risorse da stanziare per tale obiettivo nel disegno di legge di stabilità per il 2016. (3-01778)


   SCOTTO, ZARATTI, PELLEGRINO e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   i comuni interessati da aree ad alta criticità idrogeologica, dai dati Ispra, sono 6.633, pari all'81,9 per cento dei comuni italiani su cui sorgono 6.250 scuole e 550 ospedali;
   le aree ad elevata criticità rappresentano il 9,8 per cento della superficie nazionale;
   il fabbisogno necessario per la realizzazione degli interventi per la sistemazione complessiva delle situazioni di dissesto è stimato in 44 miliardi di euro, di cui 27 per il Centro-Nord, 13 per il Mezzogiorno e 4 per il patrimonio costiero;
   puntualmente, con l'arrivo delle piogge, il nostro Paese si trova a dover fare i conti con smottamenti, frane, crolli di infrastrutture, argini che non riescono più a trattenere l'impatto con le acque e allagamenti che troppo spesso assumono le proporzioni di vere e proprie tragedie;
   le forti piogge che hanno interessato in questi ultimi giorni il Centro-Sud, la Sardegna e la Campania in particolare, hanno provocato due morti e prodotto ingentissimi danni;
   i sempre più frequenti fenomeni alluvionali che colpiscono il nostro Paese mettono in luce drammaticamente l'estrema fragilità del territorio italiano e la necessità di una sua ormai improcrastinabile messa in sicurezza complessiva, ma nella conferenza stampa del Presidente del Consiglio dei ministri di presentazione del disegno di legge di stabilità per il 2016, tutta a base di slide ed «effetti speciali», l'emergenza difesa del suolo non viene neanche sfiorata;
   a fronte dei circa 21 miliardi di euro chiesti dalle regioni contro il dissesto idrogeologico, il Governo ha promesso di mettere in campo oltre 7 miliardi di euro complessivi fino al 2020, ma per ora sono meno di un miliardo, e circa l'80 per cento dei lavori non parte perché si è ancora fermi allo studio di fattibilità o con progetti allo stadio preliminare;
   si tratta peraltro di risorse che, in buona parte, vengono spostate da una casella all'altra. Vecchi finanziamenti, fondi non spesi ed altro. Altre sono a valere sui fondi di sviluppo e coesione. Nessuna risorsa nuova;
   da recenti notizie di stampa emergerebbe poi la richiesta di inserire nel disegno di legge di stabilità per il 2016 anche un «supercondono» edilizio che riguarderebbe 75.000 costruzioni in Campania, altrimenti destinate a essere abbattute –:
   quali iniziative immediate si intendano adottare a favore dei territori colpiti dai recenti eventi meteorologici e se non si ritenga improcrastinabile stanziare nuove risorse pluriennali certe al fine di avviare un serio piano di messa in sicurezza del territorio nazionale, adottando iniziative per prevedere l'esclusione delle spese per contrastare il dissesto idrogeologico dai vincoli del patto di stabilità al fine di garantire la loro piena spendibilità da parte degli enti territoriali. (3-01779)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRIGNONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è di pochi giorni fa la notizia che il braccio armato di bracconieri ha causato tra molte altre specie, anche la morte di due animali particolarmente protetti dalla «direttiva uccelli» un'aquila reale a Zocca (provincia di Modena) e un raro esemplare di Cicogna bianca a Torre d'Isola (provincia di Pavia);
   il rapace è morto dopo diversi giorni di agonia nonostante le cure dei veterinari del Centro fauna selvatica di Bologna. La cicogna bianca, che negli ultimi decenni ha ripreso a nidificare in Italia dopo secoli di assenza, è stata rinvenuta agonizzante all'interno di un fosso. Il corpo era interamente lesionato dai pallini, dal collo alle zampe. Per il recupero sono intervenuti i vigili del fuoco e il personale della Lipu che hanno soccorso la cicogna trasferendola in una struttura specializzata, dove, nonostante le cure, è deceduta;
   atti che destano indignazione e sgomento tra i volontari, nelle associazioni a tutela degli animali, nelle guardie venatorie volontarie e zoofile e nei cittadini di tutta Italia uniti contro il bracconaggio;
   i terribili episodi occorsi a danno dei due volatili sono sicuramente gravissimi e da condannare. Migliaia di animali ogni anno sono feriti o uccisi dai bracconieri. Il patrimonio naturalistico è di tutti e difenderlo anche per le future generazioni è un compito che deve assolvere con la dovuta responsabilità il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   la Commissione europea ha inoltre aperto l'ennesimo fascicolo contro la caccia in Italia, poiché i cacciatori sono troppo liberi di sparare a specie in diminuzione, con tempi lunghissimi, sfruttando deroghe venatorie illegali –:
   se sia informato di quanto avvenuto nei giorni scorsi in materia di bracconaggio;
   quali siano le iniziative che intende mettere in atto per inasprire le pene nei confronti di chi ferisce e uccide degli animali, specialmente se particolarmente protetto;
   se non ritenga necessario assumere iniziative per implementare la normativa vigente in materia di caccia e fauna selvatica, per adeguare l'Italia alla normativa europea;
   se non ritenga che l'indebolimento della vigilanza ambientale ad avviso dell'interrogante provocata dal Governo, che ha cancellato il Corpo forestale dello Stato e avviato la progressiva eliminazione della polizia provinciale, favorisca l'aumento del bracconaggio, reato peraltro sanzionato limitatamente, e diminuisca il controllo del patrimonio selvatico del nostro Paese, patrimonio indisponibile dello Stato.
(4-10806)


   SCANU e BOCCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'isola di Budelli è un bene unico e definito riserva generale, zona B, fin dal decreto del Presidente della Repubblica istitutivo dell'Ente Parco del 17 maggio 1996;
   più volte il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha tentato negli anni di acquisire al patrimonio pubblico la preziosa isola anche in considerazione dell'incapacità dei proprietari privati di effettuare anche la più elementare attività di pulizia e tutela del bene, fino a consegnare le sorti dell'isola al ben noto procedimento fallimentare;
   quando l'isola è stata assegnata a un cittadino neozelandese e il parco, anche su sollecitazione di oltre 100.000 cittadini e di quasi tutte le associazioni ambientaliste italiane, ha deciso di esercitare il diritto/dovere della prelazione previsto dalla legge n. 394 del 1991 proprio per i beni ricadenti nelle zone di tutela, lo stesso Parlamento con voto pressoché unanime ha approvato una norma di legge per destinare i fondi necessari per esercitare suddetto diritto;
   il procuratore generale emerito della Corte dei conti, dottor Claudio De Rose, ha esplicitato in un proprio parere la doverosità dell'esercizio del diritto di prelazione, poiché «il margine di discrezionalità dell'organismo pubblico si esaurisce e al suo posto subentra una situazione di doverosità verso il dettato normativo che ha previsto il diritto di prelazione pubblica. Tale disposizione, infatti, non va intesa come una proposizione astratta o di principio, bensì come una vera e propria norma di azione, basata su un preciso ed esplicito «favor» del legislatore per il passaggio del bene naturale alla mano pubblica, per le ragioni sopraesposte. Può dirsi, pertanto, che la norma impone al destinatario innanzitutto un dovere strumentale di verifica della convenienza ed utilità di tale passaggio e, successivamente, all'esito positivo della verifica, lo specifico dovere di provvedere di conseguenza. È evidente che l'inottemperanza a tale dovere concreti un illecito amministrativo, che può altresì costituire, in relazione agli effetti lesivi del patrimonio pubblico che ne derivino, motivo di responsabilità amministrativa per danno all'Erario»;
   in ossequio anche alla decisione del Parlamento il parco ha esercitato la prelazione e dopo numerose sentenze, tutte favorevoli, ha completato l’iter con il trasferimento della proprietà con decreto n. 1, registrato presso il tribunale di Tempio in data 2 gennaio 2015, e non impugnato;
   una sentenza del Consiglio di Stato, considerata da numerosi giuristi anomala, esclude la possibilità dell'Ente di esercitare il diritto di prelazione, certamente in contrasto con l'interesse dello Stato all'acquisizione al bene pubblico di un bene soggetto, fin dal 1992, ad attenzioni contro fenomeni speculativi, prima con l'emanazione del cosiddetto «Decreto Salva Budelli» e, dal 1994, con l'istituzione del parco nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena;
   il tribunale civile deve ancora esprimersi e l'Avvocatura dello Stato ha rilevato elementi tali da assistere il Parco nella difesa della scelta fatta dal Parlamento;
   va rilevata l'assenza di interventi del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per sostenere attivamente l'interesse pubblico alla piena proprietà di un bene tanto a lungo danneggiato dalla incapacità dei privati;
   si è alla vigilia della discussione presso il tribunale delle esecuzioni fallimentari di Tempio, sull'applicazione della sentenza del Consiglio di Stato che ribalta la sentenza del TAR Sardegna sull'acquisizione al patrimonio pubblico dell'isola di Budelli in favore del parco –:
   quale sia l'intenzione dei Ministri interrogati per tutelare l'interesse comune e garantire la volontà del Parlamento che, a suo tempo, votò affinché si rendesse concreto l'obiettivo di acquisire l'isola al bene comune;
   se non ritengano opportuno un intervento immediato al fine di garantire la tutela pubblica del suddetto bene ambientale. (4-10811)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   OLIVERIO e ANZALDI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nelle ultime settimane, prima con la copertina di Sette, inserto cultura e costume del Corriere della Sera, poi con un ampio servizio pubblicato sul quotidiano britannico The Telegraph il territorio cosentino in relazione alla ricerca del «tesoro» di Alarico ha avuto grande risalto;
   il tesoro di Alarico tra storia e leggenda sarebbe sepolto nei pressi della città calabrese lungo il letto del fiume Busento;
   si tratta di un tesoro che secondo i racconti riportati dai servizi giornalistici conterebbe una decina di carri pieni di ori e argenti e forse anche la mitica Menorah, il candelabro sacro della religione ebraica, tutto materiale preso da Alarico, re dei Visigoti, e dalle sue truppe durante il «sacco» di Roma che segnò la fine dell'Impero romano di Occidente;
   gli enti locali hanno dato vita ad un comitato tecnico-scientifico per avviare ricerche e sondaggi impiegando tutti gli strumenti in grado di poter rilevar l'eventuale presenza del famigerato «tesoro» –:
   se il Ministro intenda valutare la possibilità di approfondire la questione e assumere iniziative finalizzate a promuovere tali ricerche che assumono una grande rilevanza culturale e costituiscono un elemento di attrazione per la città di Cosenza e il suo territorio. (5-06707)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Isde Italia, l'associazione medici per l'ambiente, sostiene che bruciare Css (combustibile solido secondario) nei cementifici potrebbe avere delle ripercussioni sull'ambiente e, di conseguenza, sulla salute dell'uomo. Infatti, i cementifici sono già di per sé degli impianti industriali altamente inquinanti e bruciando Css al posto di combustibili fossili si ridurrebbero soltanto di poco le emissioni di CO2 ed aumenterebbero le emissioni di metalli pesanti;
   la normativa al riguardo non sembra però essere omogenea: le emissioni inquinanti dei cementifici-inceneritori sarebbero illegali se questi fossero considerati soltanto inceneritori. Inoltre, quelli che sono ritenuti i benefici di una simile pratica (minore utilizzo combustibili fossili e dunque minori emissioni di inquinanti gassosi; minore emissione di microinquinanti rispetto a inceneritori classici; minore riciclo delle ceneri nel clinker; contributo al ciclo dei rifiuti) sarebbero stati smentiti da diversi studi scientifici, tra cui quelli dell'Isde;
   una vera riduzione dell'inquinamento potrebbe realizzarsi soltanto con interventi legislativi combinati su vari fronti: da un lato, la preferenza per il metano e la revisione della normativa sulle emissioni; dall'altro, il rispetto delle direttive europee che prevedono l'abbandono della discarica e dell'incenerimento, dando preferenza al recupero del materiale rispetto al recupero di energia;
   soltanto in questo modo sembrerebbe potersi creare una vera e propria gestione sostenibile dei rifiuti che rispetti l'ambiente e la salute dei cittadini, sopratutto di coloro i quali vivono a ridosso di questi impianti. L'impatto ambientale è infatti comparabile a quello della termovalorizzazione diretta dei rifiuti solidi urbani;
   nonostante ciò, in tutta Italia, diversi sono i cementifici, altamente inquinanti, ad essere posizionati a ridosso di centri urbani, tra cui Colleferro nel Lazio, Barletta e Taranto in Puglia, Rezzato in Lombardia, Monselice in Veneto, Maddaloni in Campania;
   l'utilizzo del metano costa però ben 5 volte in più rispetto al petcoke che a sua volta costa circa 40 euro/ton in più rispetto all'utilizzo dei Css;
   lo stesso Parlamento europeo sostiene l'iniziativa di smettere di bruciare o sotterrare rifiuti entro il 2020;
   sarebbe quindi opportuno intervenire attraverso una legislazione più attenta alla salute, come pure stabilito dall'articolo 32 della Costituzione, e meno sottomessa alle logiche di profitto delle forti lobby del cemento per le quali è importante soltanto tenere bassi i costi al fine di mantenere elevati i propri guadagni, anche a discapito dell'ambiente –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno prevedere, attraverso adeguate iniziative normative, da assumersi anche durante la presente sessione di bilancio, l'esenzione dal pagamento delle accise sul metano utilizzato nella combustione dei cementifici, al fine di incentivare quest'ultimi all'utilizzo esclusivo di questo combustibile, in una prospettiva di tutela della salute e del rispetto dell'ambiente, intesi come interessi diffusi dell'intera collettività. (4-10798)


   BALDELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Equitalia è una società a partecipazione pubblica (51 per cento attribuito all'Agenzia delle entrate ed il 49 per cento all'INPS) che, con decreto-legge n. 203 del 2005, convertito con modificazioni dalla legge n. 248 del 2005, è incaricata della riscossione dei tributi su tutto il territorio nazionale, ad eccezione della Sicilia;
   Acea (azienda comunale energia e ambiente di Roma) è una multiservizi romana attiva nella gestione e nello sviluppo di reti e servizi dell'acqua, dell'energia e dell'ambiente, di cui il comune di Roma detiene il 51 per cento delle quote azionarie;
   Acea Ato 2 è la società operativa del gruppo Acea che gestisce il servizio idrico integrato nell'ambito territoriale ottimale 2 (ATO 2) – Lazio centrale (Roma e altri 111 comuni del Lazio). L'ATO2, con un'estensione territoriale superiore a 5.000 chilometri quadrati, fornisce il servizio idrico integrato a circa 3.600.000 abitanti;
   il 5 dicembre 2014, Equitalia ha vinto la gara d'appalto indetta da Acea per recuperare il proprio credito dagli utenti morosi. Nel mese di gennaio 2015, l'accordo ha iniziato a produrre i suoi effetti, tanto che gli utenti che si trovavano in uno stato di morosità nei confronti di Acea si sono visti interrompere le proprie utenze anche per ritardi di pagamenti di piccole entità;
   successivamente, l'associazione dei consumatori italiani (CODICI) ha presentato ricorso al Tar impugnando il bando di gara indetto dal gestore del servizio idrico integrato (SII) per l'affidamento del servizio di riscossione delle fatture e morosità con iscrizione a ruolo e ingiunzione fiscale. Lo stesso giorno in cui il tribunale amministrativo regionale del Lazio ha inviato la comunicazione dell'udienza pubblica di discussione del ricorso, Equitalia ha rimesso ad Acea la riscossione delle bollette Acea Ato 2;
   la Corte di cassazione, con ordinanza del 5 maggio 2011, ha chiarito che per emettere cartelle esattoriali non è sufficiente la semplice fattura idrica, ma serve un atto idoneo a costituire titolo esecutivo, come il decreto ingiuntivo. Pertanto, la società Equitalia, costituita per riscuotere i tributi pubblici e non i corrispettivi dei privati non può essere competente alla riscossione coattiva dei crediti vantati dalla società Acea Ato2, poiché il canone idrico non è un tributo;
   il Ministro interrogato, con decreto del 16 settembre 2015 (Gazzetta Ufficiale n. 227 del 30 settembre 2015) ha autorizzato la riscossione coattiva mediante ruolo dei crediti vantati dalla Società Acea Ato 2 – Gruppo Acea s.p.a., partecipata da Roma Capitale, nei confronti degli utenti del servizio idrico integrato;
   nel 2014, secondo dati dell'Istat, 1 milione e 470 mila famiglie (5,7 per cento di quelle residenti) versa in condizione di povertà assoluta, per un totale di 4 milioni 102 mila persone (6,8 per cento della popolazione residente);
   la stessa Equitalia, nel 2014, ha comunicato che circa 1 milione e 850 mila italiani hanno difficoltà a pagare le tasse arretrate o a saldare i conti con gli enti che affidano ad Equitalia la riscossione di quanto dovuto, tanto che la rateizzazione si conferma lo strumento più utilizzato dai contribuenti per pagare le cartelle;
   alla luce dei dati riportati, il decreto adottato dal Ministero dell'economia e delle finanze mostra tutta la sua inadeguatezza sia in relazione alla vicenda già verificatasi in precedenza, sia a fronte della grave crisi economica che affligge numerose famiglie italiane –:
   se il Ministro interrogato intenda fornire dati certi relativi all'ammontare dei crediti vantati dalla società Acea Ato 2 – Gruppo Acea s.p.a., e se, alla luce di quanto riportato in premessa, e consapevole delle conseguenze disastrose che l'intervento di Equitalia potrebbe avere sulle famiglie soggette a riscossione, non intenda rivedere l'autorizzazione prevista dal decreto del 16 settembre 2015 circa la riscossione coattiva mediante ruolo dei crediti vantati dalla società Acea Ato 2 – Gruppo Acea s.p.a., considerato che l'obiettivo principale della società in questione dovrebbe essere quello di fornire servizi pubblici essenziali a tutti i cittadini. (4-10810)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FERRARESI, DELL'ORCO, BONAFEDE, SARTI e AGOSTINELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il carcere di Modena, il Sant'Anna, ospita circa 350 detenuti, un numero al di sotto della propria capienza massima regolamentare che è di 373, non presentando quindi situazione di sovraffollamento;
   ciò non impedisce che all'interno della struttura si viva una forte situazione di tensione, sia da parte dei detenuti che da parte degli agenti della polizia penitenziaria: ferimenti, tentati suicidi, rivolte, risse ed aggressioni, sono stati più volte denunciati, anche di recente, sia da parte del garante regionale dei detenuti, che da parte di tutte le diverse sigle sindacali della polizia;
   il decreto legge 23 dicembre 2013 n. 146, recante «Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria», convertito dalla legge n. 10 del 2014; per dar corso alle indicazioni dalla sentenza Torreggiani, con riferimento all'eliminazione delle cause del sovraffollamento, ha agito sia sulla riduzione in ingresso dei detenuti che agevolandone l'uscita, tale provvedimento dovrebbe innanzitutto favorire l'applicazione delle misure alternative alla detenzione e dei benefici penitenziari;
   dai dati del Ministero della giustizia la recidiva di chi resta tutto il tempo chiuso negli istituti di pena si attesta intorno al 68,5 per cento, ben tre volte superiore al tasso di recidiva di chi invece sconta la pena con misure alternative alla detenzione (ossia quel gruppo di misure che concorrono alla realizzazione pratica del principio costituzionale della funzione rieducativa della pena; le misure in questione sono: l'affidamento in prova al servizio sociale, la semilibertà, la detenzione domiciliare), che invece si ferma al 19 per cento;
   la perdurante assenza di un magistrato di sorveglianza a Modena, nel pieno della sua operatività, sta causando il blocco dell'attività ordinaria legata alle istanze degli internati con conseguente interruzione dei percorsi trattamentali esterni; al momento, a turnazione, un magistrato di sorveglianza svolge funzioni di supplenza;
   tali funzioni sono espletate, per lo più, con riferimento alle sole questioni urgenti, creando nella popolazione detenuta un grave malessere, disagi, disappunto per il mancato riconoscimento di quanto stabilito per le misure alternative, causa principale della tensione che sfocia anche in atti violenti ed autolesionistici;
   gli agenti della polizia penitenziaria, che all'interno dell'istituto operano, denunciano inoltre la modalità di gestione degli spazi stessi del carcere;
   a causa del regime aperto nei reparti detentivi, del mancato funzionamento dell'impianto di sorveglianza a distanza, della carenza del personale in servizio, si è creata una situazione che definiscono ingestibile: più furti tra detenuti e più aggressività; si sostiene che nei reparti prevalga la legge del più forte;
   senza la previsione di un reparto chiuso dove contenere coloro che si rendono responsabili di gravi infrazioni disciplinari, i detenuti non meritevoli non vengono allontanati, ma continuano a rimanere nello stesso regime, anche dopo che si verificano episodi di aggressione a danno del personale di polizia penitenziaria;
   il provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria è stato dettagliatamente informato sulla situazione del Sant'Anna, così come è stata richiesta una ispezione urgente al carcere di Modena da parte del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e del Ministero;
   la situazione di malessere vissuta dagli agenti ivi operanti si manifesterebbe inoltre nel caso di un assistente capo, sospeso dal servizio, il quale si trova da oltre sei mesi senza stipendio, nonostante una sentenza del Tribunale amministrativo regionale, a cui aveva fatto ricorso, abbia accolto la sospensione dell'efficacia del provvedimento emesso, in attesa del giudizio di merito (ordinanza n. 00242/2015 REG.PROV.CAU.N.00580/2015 REG.RIC.) –:
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda assumere per garantire l'accesso alle misure previste dal decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146, e nello specifico per assicurare la piena operatività della figura del magistrato di sorveglianza;
   cosa il Ministro intenda fare per garantire la sicurezza e le migliori condizioni di lavoro degli agenti della polizia penitenziaria operanti all'interno del carcere di Modena. (5-06714)


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e SEGONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   alcune testate giornalistiche locali riportano che distanza di sole 48 ore dall'incendio nel carcere di Verona del 12 ottobre 2015, si è verificato un secondo incendio il giorno 14;
   il segretario generale UILPA Penitenziari, Angelo Urso riferisce che alcuni detenuti di origine straniera hanno prima colpito alla testa con uno sgabello un altro detenuto, poi colpito un agente, lanciandogli addosso lo stesso sgabello, e infine dato fuoco ad alcune celle; la causa scatenante dei fatti sembrerebbe essere una protesta nei confronti dell'amministrazione;
   due celle sono state, infatti, incendiate da alcuni detenuti e il personale ha riportato conseguenze al punto che bilancio è di 12 poliziotti penitenziari rimasti intossicati durante le operazioni di evacuazione dei detenuti e la messa in sicurezza della struttura; il detenuto colpito ha ricevuto le cure del caso presso l'infermeria e nessun altro detenuto ha riportato conseguenze;
   il segretario generale del Sappe, Donato Capece, ha dichiarato che: «Alcuni detenuti hanno dato fuoco alle celle dove erano ristretti, rendendosi responsabili di un grave episodio che poteva avere, come in parte ha avuto, gravissime conseguenze. I detenuti irresponsabili hanno incendiato tutto ciò che era nella loro disponibilità all'interno della cella: materassi, cuscini, tavoli, sgabelli e armadietti»;
   lo stesso Donato Capece continua: «Ancora una volta poteva essere una tragedia, sventata solo grazie al tempestivo intervento dei poliziotti. Quel che accade ogni giorno nel carcere di Verona è sintomatico di una ingovernabilità e di una disorganizzazione da parte del direttore del carcere e del comandante del reparto di polizia penitenziaria rispetto alle quali l'amministrazione della giustizia regionale e nazionale non possono continuare a restare inerti ma devono quanto prima avvicendarli con altri dirigenti e funzionari evidentemente più stimolati professionalmente. Chiediamo un'ispezione al ministro Orlando.»;
   i sindacati lamentano che non vi sia alcuna sicurezza per i poliziotti penitenziari in servizio a Verona, i quali lavorano in pessime condizioni e con notevole stress poiché gli eventi critici sono all'ordine nel giorno;
   il segretario regionale per il Triveneto dell'Uspp Giulio Pegoraro ha dichiarato: «I detenuti hanno incendiato beni che pagano tutti i cittadini. Le fiamme sprigionatesi in pochi istanti, hanno generato un fumo denso e acre che in brevissimo tempo ha saturato le stanze per interessare poi l'intera sezione detentiva. Gli agenti immediatamente intervenuti sul posto, dopo aver tratto in salvo i detenuti, hanno provveduto con l'ausilio di estintori e manette antincendio a domare le fiamme che nel frattempo si erano estese a buona parte delle celle.»;
   è evidente che la situazione, da tempo denunciata dalle principali sigle sindacali della polizia penitenziaria, non possa più essere considerata tollerabile dato l'elevato grado di pericolosità di questi episodi per l'incolumità personale di agenti di polizia e detenuti;
   i sindacati di polizia rilevano, peraltro, che ancora una volta il personale, nonostante le denunce sindacali, è dovuto intervenire privo di qualsivoglia dispositivo di protezione individuale; c’è quindi l'urgente necessità che il prefetto e il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria prendano atto che a Verona è improcrastinabile un adeguato intervento al fine di analizzare per quali ragioni tali eventi critici si susseguono con una così alta frequenza, e anche assumere misure per valutare se i provvedimenti adottati a tutela dell'incolumità fisica del personale di polizia penitenziaria risultino adeguati ai fini –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, se sia a conoscenza della situazione descritta;
   nell'eventualità positiva, se e quali interventi il Ministro interrogato intenda attuare per poter verificare la situazione esistente nel carcere di Verona e nelle carceri italiani in genere a fronte dei tanti episodi di violenza che si manifestano negli istituti di pena italiani;
   se ritenga opportuno valutare la sussistenza dei presupposti per inviare gli ispettori ministeriali presso la casa circondariale di Verona ai fini dell'esercizio dei poteri di competenza in merito alla verifica dei fatti di cui sopra. (5-06715)


   DA VILLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nei mesi di luglio e agosto 2015, la stampa locale ha riportato numerosi gravi episodi che hanno interessato la casa circondariale maschile di Santa Maria Maggiore, Venezia, o che hanno coinvolto, presso altre strutture, cittadini in essa detenuti o agenti di polizia penitenziaria a essa assegnati; ci si riferisce, in particolare, a una tentata evasione dall'ospedale civile da parte di un detenuto marocchino, già autore di un'aggressione a due agenti nel carcere e poi ricoverato per accertamenti nel reparto di psichiatria, impedita dagli agenti della polizia penitenziaria a prezzo del ferimento di due di essi (La Nuova Venezia, 2 agosto 2015, p. 16, e Il Gazzettino, 1 agosto 2015, p.5, e, precedentemente, La Nuova Venezia, 31 luglio 2015, p. 18 e Il Gazzettino, 30 luglio 2015, p. 4); al tentato suicidio da parte di un detenuto straniero, mediante l'innesco di un incendio prontamente sventato da tre guardie a costo di un'intossicazione (La Nuova Venezia, 15 luglio 2015, p. 20); al ferimento di un agente, violentemente colpito alla mano nel tentativo di sedare una rissa (sempre La Nuova Venezia, 31 luglio 2015, p. 18); e infine all'aggressione da parte di un detenuto veneziano a un agente della penitenziaria, culminata nell'amputazione a morsi della falange del suo dito indice (Corriere del Veneto, 30 luglio 2015, p. 11; La Nuova Venezia, 30 luglio 2015, p. 17; Il Gazzettino, 30 luglio 2015, p.10);
   l'apprendere i fatti sopra indicati indusse l'interrogante a effettuare, il 6 agosto 2015, una visita ispettiva presso il carcere maschile veneziano;
   già nella sua relazione sulle attività svolte nel 2014, rilasciata il 31 dicembre 2014, il Garante dei diritti delle persone private o limitate nella libertà personale del comune di Venezia, dottor Steffenoni, in merito alla Casa circondariale di Santa Maria Maggiore, evidenziava criticità importanti quali: la necessità per gli agenti di polizia penitenziaria che accompagnano i detenuti ai colloqui, o svolgono altre funzioni ai piani, di un continuo andirivieni a piedi per i tre piani di scale, a causa sia dello spostamento della loro posizione dall'interno delle varie sezioni a un ufficio al piano terra, sia del fatto che le due rotonde che danno accesso alle sezioni del secondo e terzo piano non sono mai state rese agibili nelle ristrutturazioni dell'immobile; le difficoltà, che riguarderebbero in modo particolare Venezia e non altrettanto spesso le carceri di altre sedi, a permettere ai detenuti stranieri di poter effettuare telefonate ai familiari, anche solo straordinarie, difficoltà che deriverebbero da indisponibilità a collaborare delle rispettive ambasciate e consolati; le lunghe attese (almeno otto mesi) per poter fruire di accessi al lavoro, spesso per un solo mese; la inutilizzabilità del giardino per i colloqui, per il ripristino del quale le numerose candidature di detenuti a prestare 7 proprio lavoro gratuitamente, sono state respinte dalla direzione per asseriti problemi d copertura assicurativa; la consuetudine di affidare al carcere, e non come previsto ad apposite celle di sicurezza presso le caserme, la custodia di persone arrestate in flagranza di reato e destinate al processo per direttissima; il numero non irrilevante di celle inutilizzate in quanto inagibili per irrisori problemi di manutenzione; la condizione di sostanziale autogestione dei detenuti per gran parte della giornata, a causa delle carenze nella sorveglianza dinamica e dell'affidamento pressoché esclusivo a quella con telecamere; una insufficiente illuminazione diurna;
   nel seguito, la stampa locale, oltre a ribadire le gravi carenze di organico e il sovraffollamento di detenuti, ha portato alla luce svariate situazioni critiche: la carenza di asciugamani per l'igiene personale (Gente Veneta, 28 agosto 2015, p. 11); lo stato di agitazione del personale in atto dal primo agosto; l'usura delle strutture, quali i camminamenti senza sufficienti protezioni, interrotti o inaccessibili per il pericolo di crolli; un rapporto, per piano, di uno a sessanta tra agenti di polizia penitenziaria e detenuti, la cui libera circolazione sui piani si traduce, anche per il quasi totale blocco delle attività diurne (formazione, computer, lavoro: vedasi La Nuova Venezia, 17 settembre 2015, p. 19), in un mero bighellonare che crea infinite occasioni di tensione, minacce e aggressioni a danno degli agenti (Il Gazzettino, 12 settembre 2015, p. 6 e La Nuova Venezia, 12 settembre 2015, p. 19); la rivolta dei detenuti del 12 settembre 2015, con rogo di lenzuola, lanci di generi alimentari e imbrattamento dei locali, vetrate infrante, danneggiamento dei cancelli delle celle, allagamento di alcune zone, perforazione delle bombole di gas in dotazione alle celle per il caffè (con perdite potenzialmente rischiose) e infine il dodicesimo ferimento (per intossicazione, prognosi di cinque giorni) di un agente in poco più di due mesi; il mancato funzionamento di impianti di videosorveglianza efficienti, dovuto alla carenza di manutenzione; l'inesistenza di impianti di automazione nelle sezioni, che sarebbero utili a mettere in sicurezza l'opera degli agenti (Corriere del Veneto, 13 settembre 2015, p. 15 e Il Gazzettino, 13 settembre 2015, p.6); lo sciopero della fame dei detenuti, che avrebbe coinvolto ben 120 di essi (Corriere del Veneto, 17 settembre 2015, p. 11); la protesta dei detenuti del braccio sinistro, che hanno impedito agli agenti di riportarli nelle celle a conclusione della giornata di libertà nel reparto, avanzando poi una serie di rivendicazioni che riflettono alcune delle criticità più volte lamentate a proposito della gestione del carcere, come la richiesta di poter eleggere i propri rappresentanti nella commissione cultura (l'unica sede in cui potrebbero discutere le loro esigenze), lo sblocco dei permessi per il lavoro e dei permessi agli stranieri per telefonare ai familiari all'estero (ci sono detenuti da tre anni agli arresti che ancora non sono riusciti a farlo), e una maggiore facilità a ottenere colloqui nel parlatorio (La Nuova Venezia, 17 settembre 2015, p. 19); alle proteste dei detenuti, che vanno a sommarsi ai forti disagi ed agitazione del personale, non risulta agli interroganti che la direzione abbia risposto con qualche concessione, ma limitandosi a trasferire i venti detenuti individuati come gli ispiratori della protesta, destando negli osservatori l'impressione di una possibile rappresaglia (La Nuova Venezia, 26 settembre 2015, p. 18); infine, l'ennesimo ferimento (per percosse: cinque giorni di prognosi) di un agente della Penitenziaria a opera di un detenuto, che l'agente aveva appena salvato da un tentativo di suicidio (Il Gazzettino, 3 ottobre 2015, p.7);
   da più parti politiche della città, tra le quali la consigliera comunale del MoVimento 5 Stelle Elena La Rocca (La Nuova Venezia 8 agosto 2015, p. 21), è stato sollecitato lo spostamento del carcere, data l'inadeguatezza della sede costruita nel 1926 e mai da allora significativamente rinnovata, e si è richiesto che la città metropolitana definisca da subito l'area per il nuovo carcere e si adoperi per reperire i finanziamenti, ricavando una parte dei fondi da una diversa destinazione d'uso dell'edificio dell'attuale casa circondariale (La Nuova Venezia, 13 settembre 2015 p. 22);
   la visita ispettiva di agosto ha consentito all'interrogante di rilevare – oltre a elementi già ricordati sopra e che, quindi, non occorre ribadire – alcune situazioni delicate: il ristoro per gli agenti è chiuso; il servizio di mensa è ritenuto inadeguato; mancano presidi di sicurezza come le maschere antigas, importantissime per prevenire le intossicazioni che possono derivare da principi di incendio, più o meno dolosi; non esiste un sistema di protocollo informatico; il monitor della portineria è guasto, così come risultano non funzionanti diversi monitor della sala regia, per l'allestimento della quale sono state sostenute ingenti spese, senza però che sia stato nemmeno previsto un bando per la sua manutenzione (come conferma Il Gazzettino, 12 settembre 2015, p. 6); la seconda scala è chiusa; il secondo cancello accusa un malfunzionamento che impedisce di chiuderlo;
   un capitolo a parte merita la situazione di carenza dell'organico abbinata al sovraffollamento di detenuti, come appurata dall'interrogante e denunciata da svariati articoli di stampa: senza scendere nei dettagli, anche in omaggio al riserbo che è opportuno mantenere in proposito, la situazione rappresentata dagli organi di stampa (tra i tanti, Corriere del Veneto, 13 settembre 2015, p. 15), di circa 260 detenuti a fronte di una capienza per 160, e circa 100/120 unità di personale, in luogo di circa 180, consta all'interrogante essere molto vicina al vero; per coprire questa situazione, è necessario imporre turni di 8 ore anziché 6, con il conseguente aggravio per un personale già messo fortemente sotto pressione dalle condizioni sopra descritte; fatalmente, alcuni servizi rimangono sguarniti (in particolare, i servizi in cui sarebbero previsti due operatori, come la sala regia);
   da ultimo, risultano quanto meno controverse alcune scelte della direzione della casa circondariale maschile di Santa Maria Maggiore, in particolar modo quella, apertamente contestata dal Coordinamento nazionale polizia penitenziaria di Venezia, di affidare il comando dell'istituto penitenziario a un sovrintendente) nonostante fossero disponibili in servizio tre persone appartenenti al grado superiore di ispettore, ruolo per il quale lo stesso regolamento prevede la possibilità che possano sostituire il direttore in caso di sua assenza (La Nuova Venezia, 4 settembre 2015, p. 20) –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa, e in particolare dei problemi di personale e organizzativi, e delle criticità conseguenti allo stato delle strutture della Casa Circondariale maschile di Santa Maria Maggiore;
   se e quali provvedimenti intenda assumere il Ministro, alla luce di quanto esposto in premessa per ripristinare le congrue condizioni di ordine e salvaguardia di chi lavora nel carcere maschile del capoluogo veneto, e di dignitosa permanenza in sicurezza per i detenuti;
   quali iniziative intenda eventualmente assumere con urgenza per:
    a) ripristinare l'agibilità delle celle attualmente inagibili per irrisori problemi di manutenzione;
    b) garantire il funzionamento degli impianti di videosorveglianza e dei monitor, assicurandone la corretta manutenzione;
    c) ridurre i tempi per l'autorizzazione degli accessi al lavoro per i detenuti, e aumentarne la durata;
    d) fare in modo che non gravi sul carcere in questione la custodia di persone arrestate in flagranza di reato e destinate al processo per direttissima, e che esse siano assegnate ad apposite celle di sicurezza presso le caserme;
    e) rendere agibili le due rotonde che danno accesso alle sezioni del secondo e terzo piano. (5-06717)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SPESSOTTO e NICOLA BIANCHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'ENAC (Ente nazionale per l'aviazione civile), dovrebbe essere l'Ente pubblico che controlla e/o sanziona le società di gestione aeroportuali se queste rispettano e/o violano le Leggi nazionali e le direttive comunitarie;
   ENAC rappresenta anche l'organo «proponente» delle Istanze di valutazione di impatto ambientale – VIA in relazione agli aeroporti;
   ENAC ha clamorosamente ritirato il progetto sottoposto a procedimento di valutazione dell'impatto ambientale dell'aeroporto A. Canova di Treviso dopo tre anni di analisi e tre «bocciature» della commissione tecnica valutazione impatto ambientale CTVIA del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dando anticipatamente autorizzazione a cospicui ampliamenti fruitivi e delle strutture di volo;
   anche presso l'aeroporto Marco Polo di Venezia sono in corso lavori di ampliamento dell'aerostazione senza aver ancora ricevuto un'autorizzazione di valutazione dell'impatto ambientale;
   ENAC ha già siglato un accordo di programma per l'ampliamento dell'aeroporto Catullo di Verona e, ad una settimana dall'apertura dei lavori già programmati, non esiste, a quanto consta agli interroganti, nessun inoltro di Valutazione di impatto ambientale al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   l'aeroporto G.B. Pastine di Ciampino Roma continua ad aumentare voli e passeggeri senza aver mai aperto un procedimento di valutazione dell'impatto ambientale;
   l'aeroporto Caravaggio di Orio al Serio – BG, ENAC è stato condannato al TAR e al Consiglio di Stato per mancata sottoposizione a V.A.S., valutazione ambientale strategica, di tale infrastruttura;
   per quanto di conoscenza, e considerati i fatti esposti in premessa, ENAC risulterebbe inadempiente su numerose questioni di ordine ambientale e di sicurezza che coinvolgono centinaia di migliaia di abitanti che vivono nei dintorni aeroportuali –:
   quale sia il ruolo di ENAC in relazione alle questioni ambientali dirette e indirette connesse con gli aeroporti ed in particolare, se ENAC possa essere il «controllore» e contemporaneamente anche il «controllato» nelle procedure relative alla valutazione d'impatto ambientale e alla valutazione ambientale strategica.
(5-06719)


   ARLOTTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel febbraio 2014 l'aeroporto delle Marche Ancona-Falconara «Raffaello Sanzio», gestito dalla società Aerdorica, ha presentato il piano di salvataggio, a fronte di una situazione debitoria di 37 milioni di euro;
   nel luglio dello stesso anno la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la norma con cui la regione Marche aveva inserito nel bilancio 2014 un contributo straordinario di 1,1 milioni di euro, per contrasto con l'articolo 117 della Costituzione (vincoli dell'ordinamento comunitario per esercitare la potestà legislativa);
   nello stesso mese, riportano le agenzie di stampa, l'assessore della regione Marche, Anna Casini, ha partecipato all'assemblea dei soci della società per azioni annunciando che la privatizzazione di Aerdorica era in fase di conclusione, questo nonostante la società, a quanto consta all'interrogante, non abbia avuto alcuna autorizzazione da parte di Enac e si tratti quindi di una vendita delle quote di maggioranza senza una gara a evidenza pubblica;
   in agosto, infatti, il controllo della società Aerdorica, fino a quel momento controllata dalla regione Marche, risulta essere passato a Novaport, verso cui la giunta della regione ha espresso il gradimento;
   nei giorni scorsi, la giunta regionale delle Marche ha deliberato la proposta di legge «per trasferire risorse ad Aerdorica e per gli indennizzi da trasfusioni» che definisce tra le altre cose il trasferimento di risorse ad Aerdorica e i finanziamenti per anticipare, per conto dello Stato, i fondi necessari per gli indennizzi ai soggetti danneggiati dalle trasfusioni;
   la somma destinata allo scalo dorico è pari a tre milioni di euro e riguarda, in parte, oneri di compensazione di servizio pubblico e, in parte, investimenti legati al servizio pubblico stesso, quale passaggio, di competenza dell'ente, per la definizione del percorso per l'ingresso del nuovo socio in Aerdorica e per il rilancio dell'infrastruttura;
   quanto sopra esposto significa che la regione Marche destina ulteriori fondi pubblici a una società in grave crisi, in attesa che entri il nuovo socio, che risulterebbe selezionato al di fuori di una procedura a evidenza pubblica;
   nella primavera scorsa Aerdorica è stata accusata di concorrenza sleale da Airiminum, società di gestione dello scalo di Rimini «Federico Fellini», in quanto Aerdorica stessa risulta avere scritto alle compagnie aeree insinuando dubbi sulla riapertura dall'aeroporto di Rimini e sulla solidità della società di gestione  –:
   di quali elementi disponga il Governo circa il fatto che continui il finanziamento con risorse pubbliche di una società in dissesto finanziario;
   perché si consenta alla società Aerdorica di cercare nuovi soci, a quanto risulta all'interrogante, senza nessuna procedura a evidenza pubblica e senza interpellare anticipatamente ENAC e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, soggetti competenti ad autorizzare un'eventuale privatizzazione;
   a che punto sia effettivamente il passaggio del controllo di Aerdorica a Novaport;
   quali siano le risultanze di Enac al riguardo;
   se sia legittimo che, a fronte di una crisi finanziaria che mette in crisi la propria continuità aziendale, una società di gestione pubblica come Aerdorica, che utilizza fondi pubblici per politiche di comarketing, contatti le compagnie aeree per cercare di trattenere i voli ad Ancona a discapito di Rimini. (5-06720)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BARBANTI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a giudizio degli interroganti il documento di economia e finanza varato nel mese di aprile 2015 ha costituito l'ennesima occasione con la quale il Governo ha obiettivamente emarginato la Calabria dall'economia del resto del Paese;
   dall'analisi dei dati contenuti nel DEF 2015 rispetto a quelli contenuti nel DEF 2014, riguardo agli investimenti infrastrutturali programmati e finanziati per lo sviluppo del Paese si rileva una fortissima riduzione delle opere infrastrutturali strategiche che dalle 415 del 2014 sono passate alle 30 del 2015 con una significativa contrazione dei relativi investimenti (pari al 69,6 per cento in meno);
   in Calabria, delle 68 opere previste nel DEF 2014 ne sono sopravvissute soltanto 3, 2 ricomprese nell'autostrada Salerno-Reggio Calabria (il macrolotto 4, secondo stralcio, Rogliano-Altilia, e lo svincolo di Laureana di Borrello) e l'altra costituita dal macrolotto 3 Sibari-Roseto capo Spulico sulla strada statale 106 Jonica. Si è passati dalla previsione dei quasi 19 miliardi di euro di investimenti del 2014 a poco più di 1,4 miliardi previsti su 3 sole opere per il 2015, con una contrazione del 95,6 per cento del numero delle opere e del 99,2 per cento degli investimenti;
   il progetto esecutivo del macrolotto 3 Sibari-Roseto capo Spulico, concluso l'iter procedurale con il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici del 30 luglio 2015, continua a essere all'attuazione del CIPE, bloccando così, vista l'inadeguatezza della strada statale 106, anche lo sviluppo economico di una parte decisiva del territorio calabrese;
   l'incapacità dell'arteria stradale di sopportare il considerevole volume di traffico dell'utenza, locale e non, continua a mietere vittime: negli ultimi 20 anni ben 650 persone hanno perso la vita sulla strada statale 106, e non solo per l'imprudenza dei conducenti;
   il Ministro interrogato aveva annunciato, per l'aggiornamento del DEF in settembre 2015, la redazione di un piano pluriennale di investimenti che potrebbe porre rimedio ai problemi di una terra dimenticata; invece, risulta agli interroganti che non si sia neanche tenuto fede agli impegni già presi –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali siano i motivi che continuano a bloccare la cantierabilità dell'opera impedendo quei lavori di ammodernamento necessari a prevenire la perdita di ulteriori vite umane. (4-10801)


   SQUERI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la distribuzione dei prodotti carbolubrificanti presso le aree di servizio autostradali è classificata come servizio pubblico il cui esercizio è fatto ricomprendere negli atti di concessione con i quali vengono affidate le differenti tratte autostradali italiane;
   la distribuzione dei prodotti carbolubrificanti presso le aree di servizio autostradali è soggetta ad una specifica concessione petrolifera rilasciata dalla regione competente per territorio, ai sensi e per gli effetti della legge 1034/1070 e del decreto legislativo 112 del 1998, nonché all'affidamento del servizio presso la singola area conseguente ad apposita procedura di gara ad evidenza pubblica organizzata dalla società concessionaria;
   più recentemente l'articolo 28, comma 10, del decreto-legge n. 98 del 2011, così come modificato dall'articolo 17, comma 4 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con legge n. 27 del 2012, ha attribuito compiti specifici ed inequivocabili in materia prevedendo che le «procedure competitive in aree autostradali in concessione [siano] espletate secondo gli schemi stabiliti dall'Autorità di regolazione dei trasporti»; tale autorità, istituita dall'articolo 37 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha, tra le altre competenze, quelle di «garantire, secondo metodologie che incentivino la concorrenza, l'efficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese e i consumatori, condizioni di accesso eque e non discriminatorie alle infrastrutture ferroviarie, portuali, aeroportuali e alle reti autostradali»;
   gli affidatari del servizio di distribuzione dei prodotti carbolubrificanti corrispondono attualmente, nella generalità dei casi, alle compagnie petrolifere normalmente attive nel nostro mercato, le quali di norma si servono di un Gestore per l'espletamento di tale servizio;
   a tutela dell'interesse collettivo prevalente, della continuità e della qualità dei servizi resi, della tutela dell'autonomia della impresa di gestione nel rapporto trilatero con il concessionario e la compagnia petrolifera e della salvaguardia dei livelli di occupazione nel settore, i Ministeri delle attività produttive e delle infrastrutture e dei trasporti si fanno promotori e firmatari di due appositi Accordi collettivi interprofessionali, sottoscritti in sede istituzionale l'8 luglio 2002 ed il 4 dicembre 2002, a livello interassociativo ai sensi del decreto legislativo n. 32 del 1998 e delle leggi n. 496 del 1999 e n. 57 del 2001. Accordi con i quali i concessionari, le compagnie petrolifere ed i rappresentanti dei Gestori assumono formali impegni, tra l'altro, in relazione al fatto che i bandi di gara ed i relativi contratti di convenzione che legano i concessionari agli affidatari prevedano:
    a) la cosiddetta «continuità gestionale», come previsto dalla legge n. 1034 del 1970, vale a dire la prosecuzione del contratto che lega l'affidatario al Gestore fino alla sua naturale scadenza temporale anche nel caso che la gara sia vinta da un altro concorrente;
    b) il rispetto della normativa speciale di settore per la distribuzione carburanti e dei relativi Accordi collettivi che regolano i rapporti tra affidatari e Gestori;
    c) che gli affidatari possano trasferire sui Gestori gli obblighi assunti nei confronti dei concessionari solo se compatibili con la suddetta normativa di settore;
    d) che ai Gestori sia sempre consentito di esercitare le attività collaterali cosiddette «non oil», ivi compresa l'attività di somministrazione di alimenti e bevande, così come previsto dalle norme volte a liberalizzare le attività commerciali ed in particolare la già citata legge n. 496 del 1999, legge n. 57 del 2001 e, da ultimo la legge n. 27 del 2012;
   a questo specifico proposito l'Autorità di garanzia per la concorrenza ed il mercato si è ripetutamente pronunciata nel tempo a favore della eliminazione della cosiddetta «esclusiva d'area», che di fatto affida, in regime di monopolio, la vendita e la somministrazione di alimenti e bevande ai marchi della ristorazione, e dell'introduzione e dell'affidamento al Gestore dei servizi carbolubrificanti di attività cosiddette «sottopensilina» e di «sosta veloce»;
   i meccanismi di gara ed i criteri dell'aggiudicazione dei servizi carbolubrificanti e di ristorazione, definiti dalle società concessionarie autostradali, sono stati sostanzialmente improntati, a partire dal 2002 in avanti, a premiare il massimo rilancio dei concorrenti in ordine alle royalty percepite dai medesimi concessionari, determinandone uno straordinario innalzamento che, secondo la stima resa pubblica da alcuni operatori del settore, è quantificabile in un più 1400 per cento, all'esito della crescita delle royalty dalle 25 lire per litro medie del 2002, ai 18 eurocent per litro, medi del 2009;
   tutto ciò ha evidentemente finito per determinare un livello medio di prezzi al pubblico dei carburanti distribuiti presso le aree di servizio autostradali particolarmente superiore a quello praticato sulla viabilità ordinaria della rete distributiva italiana (mediamente più 15 cent per litro secondo i dati resi pubblici dal sito del Ministero dello sviluppo economico, oltreché presso le reti autostradali degli altri Paesi europei;
   l'alto livelli di prezzi al pubblico ha sviato progressivamente sia il singolo utente, sia quello professionale – autotrasportatori, pendolari, e altro – producendo una drastica contrazione dei volumi di vendita mediamente superiore al 50 per cento negli ultimi cinque anni, con punte oltre il 70 per cento;
   il settore specifico della distribuzione dei carburanti in autostrada – che, come detto, è chiamato ad assolvere un servizio pubblico essenziale per assicurare il diritto alla mobilità dei cittadini, oltre a vedere il coinvolgimento di centinaia di aziende grandi e piccole e ad impiegare circa 8.000 lavoratori – si trova perciò da anni in uno stato di crisi eccezionale, caratterizzato dalla contrazione dei volumi di vendita, dall'alto livello dei prezzi al pubblico, dallo scarso livello di servizi sia in termini di diversificazione, sia in termini di standard qualitativi, dall'inadeguato livello di investimenti e manutenzione delle stesse aree di servizio;
   nonostante il legislatore avesse, come detto, opportunamente previsto che le procedure competitive in aree autostradali in concessione fossero espletate secondo gli schemi stabiliti dall'Autorità di regolazione dei trasporti, il 29 marzo 2013 il Ministro dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti del Governo allora dimissionario e quindi in carica per i soli atti di ordinaria amministrazione emanò un atto di indirizzo avente ad oggetto l'individuazione dei criteri per l'affidamento dei servizi di distribuzione carbolubrificanti e delle attività commerciali e ristorative nelle aree di servizio delle reti autostradali, nei fatti esercitando una funzione di surroga, non prevista però dalla norma, «nelle more dell'entrata in operatività dell'Autorità della regolazione dei trasporti»;
   pur mostrando implicitamente di aver compreso quale parte rilevante abbiano avuti i meccanismi di gara ed i criteri di affidamento adottati dai concessionari autostradali nello stato di crisi del settore relativo, le indicazioni, che il Ministero offre con l'atto di indirizzo del 2013 verso la formulazione di bandi di gara che privilegino, «offerte» dei concorrenti più riequilibrate verso il livello di «servizio» piuttosto che quello delle «royalty», appaiono, a giudizio dell'interrogante, generiche e di massima, e non sembrano essere in grado di raggiungere l'obiettivo indicato, non essendo accompagnate né dalla necessaria cogenza, né da parametri certi e misurabili, né dalla necessaria previsione di penalità in caso di inadempienza;
   inoltre, il medesimo atto appare in evidente contraddizione con la natura stessa del concetto di pubblico servizio nel lasciare ai concessionari l'ampia possibilità di adottare sistemi di distribuzione dei carburanti interamente automatizzati che, naturalmente, prevedono il venir meno anche della mera assistenza all'automobilista e, infine, persino del presidio dell'area. La qual cosa, oltre al resto, è in aperto contrasto con la normativa speciale che regola la distribuzione dei carburanti e con gli accordi collettivi di livello interprofessionale e di livello aziendale, sottoscritti in forza di tale normativa, ivi compresi quelli già citati e condivisi in sede ministeriale nel 2002;
   non appare fuori luogo, in un tale contesto così degradato e confuso, evidenziare come proprio i suddetti accordi collettivi, che la legge impone – nel rispetto dell'interesse generale prevalente sia in ordine ai principi di tutela e di equità, che in ordine alla necessità di garantire condizioni di concorrenza in un mercato naturalmente oligopolistico – regolino le condizioni economico-normative alla base del rapporto tra compagnie petrolifere e gestori, siano scaduti e non adeguati mediamente da 6 anni con tutte le aziende. Accordi collettivi che, quindi, riguardano direttamente i soggetti – vale a dire i gestori – sui quali ricade in definitiva il compito di assicurare il pubblico servizio al livello migliore possibile per il consumatore. Tutto questo risulta peraltro agli atti dello stesso Ministero dello sviluppo economico, al quale la legge affida sia il compito di assicurare la pubblicità di tali accordi collettivi, sia quello di avviare procedure per la mediazione delle vertenze collettive, ed agli atti della Commissione di garanzia per lo sciopero nei pubblici servizi essenziali che, più di una volta, dal 2012 in avanti, si è fatta promotrice di procedure di raffreddamento delle vertenze in atto;
   valutando il contenuto dell'atto di indirizzo del 2013 non pienamente corrisponde, ad offrire le necessarie risposte allo stato di crisi del settore, a marzo del 2014 il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha avanzato una formale richiesta di parere all'Autorità garante della concorrenza e del mercato in ordine all'eventuale adozione di un nuovo atto di indirizzo teso all’«elaborazione di un Piano di ristrutturazione delle aree di servizio autostradali che razionalizzi le infrastrutture e rivisiti le modalità di resa dei servizi»;
   con tale richiesta di parere il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti contempla la necessità di un nuovo atto di indirizzo che preveda anche la chiusura di una serie di aree di servizio ritenute inefficienti e, a questo scopo, la proroga fino al 31 dicembre 2015 della scadenza degli attuali affidamenti dei servizi, sospendendo le procedure di gara per il loro rinnovo per un periodo di uguale durata;
   con comunicazione del 16 aprile 2014, l'Antitrust esprime il proprio parere favorevole, rilevando da una parte «il valore estremamente elevato delle royalties pagate dalle società sub-concessionarie alle concessionarie autostradali a seguito dell'ultima tornata di gare (svoltasi tra il 2007 ed il 2008)», nonché valutando che «il ritardo nell'effettuazione delle gare per gli affidamenti delle sub-concessioni oil sul sedime autostradale possa essere accettabile esclusivamente nella prospettiva che ad esso si affianchi un processo di ristrutturazione», vale a dire piani per la chiusura di un congruo numero di aree di servizio, a cui dovrebbero attivamente essere chiamate «tutte le amministrazioni coinvolte nell'attuale processo di rilascio della concessione petrolifera sul sedime autostradale ai sensi dell'articolo 105, comma 2, lettera f), del decreto legislativo n. 112/98, e dunque in primo luogo le Regioni competenti»;
   in conseguenza, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha invitato, con apposita comunicazione del 5 maggio 2014, tutte le società concessionarie a sospendere le procedure di gara, ivi comprese quelle già avviate, per il rinnovo degli affidamenti dei servizi carbolubrificanti;
   seppure in regime di prorogatio, in non pochi casi alcuni concessionari hanno comunque proceduto ad effettuare nuovi affidamenti dei servizi carbolubrificanti e/o ad autorizzare, anche attraverso specifiche intese con le compagnie petrolifere/affidatarie del servizio, l'adozione di sistemi interamente automatizzati (privi di servizio ed assistenza all'automobilista) di distribuzione dei carburanti presso alcune aree di servizio;
   in data 29 gennaio 2015, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con quello dello sviluppo economico, hanno emanato un secondo atto di indirizzo avente ad oggetto l'individuazione dei criteri per l'elaborazione di un piano di ristrutturazione della rete delle aree di servizio presenti sui sedimi autostradali;
   anche tale secondo atto non appare rispondere positivamente né alle necessità, né agli obiettivi che dichiara di voler perseguire. In primo luogo, perché non aggiunge alcun elemento utile a quanto già contenuto nel primo atto del 2013 in relazione ai meccanismi di gara ed ai criteri di aggiudicazione dei nuovi affidamenti, soprattutto in ordine al contenimento del livello di royalty pretese dai concessionari e, di conseguenza, a beneficio degli standard di servizio offerto e dei prezzi al pubblico praticati sui carburanti. In secondo luogo, perché, sotto il profilo della razionalizzazione della rete distributiva autostradale e quindi della riduzione dei punti vendita, l'atto prevede soglie – sotto i due milioni di litri di carburanti e sotto i 750 mila euro di fatturato sulla ristorazione ed altro – per individuare aree di servizio da portare eventualmente in chiusura del tutto inadeguate, nell'ottica di immaginare chiusure in numero congruo per realizzare un concreto contenimento dei costi ed una reale efficienza complessiva che avvicini la rete italiana a quella europea. In terzo luogo, perché non mette riparo, in alcun modo, alle mancate omissioni relative alla legislazione speciale sulla distribuzione carburanti, alla tutela degli operatori attualmente presenti e alla salvaguardia dei livelli occupazionali;
   in questo contesto, e facendo ulteriormente seguito ai suddetti atti di indirizzo, in data 7 agosto 2015 il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ed il Ministro dello sviluppo economico hanno emanato un decreto interministeriale con il quale viene definito il programma per la ristrutturazione della rete delle aree di servizio autostradali e sono fissati ulteriori criteri per lo svolgimento delle gare;
   tuttavia avverso a tale decreto interministeriale risultano essere già stati depositati presso il TAR del Lazio numerosi ricorsi tesi ad annullarne l'efficacia, previa l'immediata sospensione, in ragione di plurime contestazioni che vanno dall'incompetenza per il mancato coinvolgimento dell'Autorità dei trasporti e delle regioni, all'eccesso di potere per carenza dell'istruttoria e contraddittorietà rispetto agli atti di indirizzo; dalla illegittimità per violazione e falsa applicazione della legislazione sopra richiamata, alla mancata adesione ai principi comunitari di tutela della concorrenza;
   più nel dettaglio il suddetto decreto viene contestato per non aver previsto un adeguato numero di chiusure (solo 25 a fronte di 15 nuove aperture); per non aver convenientemente salvaguardato la natura specifica del pubblico servizio, minata da un livello di royalty pretese del tutto irragionevoli, da un conseguente livello di prezzi fuori mercato e penalizzante per gli utenti, da standard di servizio inefficienti e non opportunamente incentivati e da un progressivo indirizzo verso forme interamente automatizzate di vendita; per aver sostanzialmente svuotato il principio di continuità gestionale teso a salvaguardare gli investimenti, la continuità del servizio e la tutela occupazionale; per aver surrettiziamente reintrodotto garanzie a protezione dell'esclusiva d'area a favore dei marchi della ristorazione, attraverso un'attività regolatoria asimmetrica, capace di alterare la struttura del mercato e della concorrenza;
   in ogni caso, contrariamente a quanto prescritto, l'Autorità della regolazione dei trasporti, a quanto risulta all'interrogante non si è ancora mai espressa in materia nonostante i suoi commissari siano stati da tempo regolarmente nominati e svolgano pienamente le funzioni loro assegnate –:
   quali iniziative di competenza intendano intraprendere affinché l'Autorità di regolazione dei trasporti, di cui all'articolo 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, sia messa nelle condizioni di stabilire gli schemi secondo i quali espletare le procedure competitive in aree autostradali in concessione, così come tassativamente previsto dall'articolo 17 della legge n. 27 del 2012;
   quali iniziative intendano assumere affinché sia evitato il contenzioso appena avviato presso i competenti tribunali amministrativi regionali che rischia di ingenerare gravissime conseguenze sia sotto il profilo della tutela del servizio pubblico, della regolarità e della continuità del medesimo servizio e della mobilità dei cittadini, sia sotto il profilo del danno economico e della tutela degli investimenti effettuati dagli operatori coinvolti nel settore e dei livelli occupazionali esistenti;
   in particolare, se i Ministri interrogati non stiano opportunamente valutando l'ipotesi di ritirare il decreto interministeriale del 7 agosto 2015 e di avviare una fase consultiva delle istituzioni variamente competenti e degli operatori interessati per procedere ad una sua revisione meglio adeguata agli scopi ed alle finalità perseguite;
   più nel dettaglio, quali iniziative intendano assumere affinché, nell'interesse generale prevalente, il servizio di distribuzione dei prodotti carbolubrificanti presso le aree autostradali torni ad essere esercitato secondo le caratteristiche proprie del pubblico servizio essenziale in concessione, vale a dire all'interno di strutture idonee ed adeguatamente ricettive, assicurando standard di servizio minimi (con ciò escludendo la completa automazione del servizio) e diversificazione dell'offerta, adottando meccanismi di assegnazione delle aree tali da garantire prezzi al pubblico in linea con il resto del mercato, prevedendo parametri certi e procedure di verifica e controllo, oltreché penalità per il concessionario nel caso di inadempienza;
   in tale ambito, quali iniziative intendano assumere affinché sia davvero raggiunto l'obiettivo essenziale di razionalizzare la rete delle aree autostradali attraverso la chiusura di punti vendita tra i meno efficienti e comunque in numero tale da assicurare che la distanza tra essi sia ricompresa tra i 50 ed i 70 chilometri, così come già avviene in altri Paesi europei;
   nel medesimo ambito, quali iniziative intendano assumere per garantire che già nei meccanismi di gara, nei criteri di aggiudicazione dei nuovi affidamenti e, di conseguenza, nei contratti di affidamento dei servizi sia tassativamente previsto l'obbligo al rispetto anche del quadro normativo vigente relativo alla distribuzione dei carburanti (– legge n. 1034 del 1970, decreto legislativo n. 32 del 1998, legge n. 496 del 1999, legge n. 57 del 2001, legge n. 27 del 2012 –) in particolare avuto riguardo alla «continuità gestionale» e all'esercizio delle attività collaterali cosiddette «sottopensilina» e di «sosta veloce». (4-10809)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   LOSACCO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   questa mattina intorno alle ore 8,30 nei pressi della zona industriale di Bari un commando composto da una decina di persone ha assaltato, con tecniche militari, due portavalori;
   secondo una prima ricostruzione fatta dagli investigatori un componente del commando pare abbia atteso sdraiato sull'asfalto l'arrivo del furgone che prestava servizio per conto della Banca d'Italia;
   quindi, da altri mezzi sono scesi i complici dando fuoco ad auto, mezzi pesanti e pneumatici in 5 differenti punti di accesso in tangenziale, punti bloccati anche da mezzi messi di traverso proprio per inibire il traffico e l'accesso alle forze dell'ordine;
   sono stati esplosi molti colpi d'arma da fuoco e presumibilmente anche da mitragliatrici;
   dopo aver aperto uno dei blindati, hanno preso una parte del denaro non ancora quantificata dileguandosi a bordo di tre diverse autovetture;
   due guardie giurate dipendenti dell'istituto di vigilanza sono rimasti feriti nel corso della rapina;
   considerata la consistenza del commando e le tecniche adoperate è assolutamente indispensabile rafforzare il controllo del territorio e predisporre un più attento monitoraggio del trasporto valori, anche perché purtroppo non è la prima volta che si verificano simili assalti sulle strade pugliesi –:
   se e quali iniziative il Ministro intenda attivare, convocando immediatamente una seduta straordinaria del comitato della sicurezza e dell'ordine pubblico presso la prefettura di Bari alla sua presenza, al fine di predisporre un potenziamento delle forze dell'ordine in termini di mezzi e di uomini per assicurare un maggiore controllo del territorio nonché, per quanto di competenza, una più incisiva attività investigativa. (3-01776)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

I Commissione:


   DADONE, NUTI, CECCONI, COZZOLINO, D'AMBROSIO, DIENI e TONINELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in occasione dell'esame della proposta di legge recante nuove norme per l'acquisto della cittadinanza è stata introdotta una disposizione che prevede la sospensione delle procedure finalizzata alla propedeutica verifica della «condizione» dello straniero;
   vale a dire, il ministero dell'interno dovrà verificare che nei confronti dello straniero non siano stati adottati in precedenza provvedimenti «di diniego della cittadinanza, di espulsione o di allontanamento per motivi di sicurezza nazionale» e, dopo tale verifica, rilasciare il nulla osta — in ordine al quale, tra l'altro, sembrerebbe sussistere l'istituto del silenzio-assenso;
   il termine entro il quale procedere ai suddetti accertamenti è stato fissato in sei mesi, su richiesta espressa del rappresentante del Governo, che ha indicato la necessità di quel lasso di tempo per procedervi;
   ad avviso degli interroganti, desta forte preoccupazione che per l'accertamento di comportamenti o condizioni di massimo e gravissimo allarme sia necessario un lasso di tempo tanto lungo;
   ciò fa temere che la sicurezza dei cittadini non sia garantita e che il controllo del territorio sia del tutto aleatorio — nel senso stretto del termine, «in balia della sorte, del caso; incerto e imprevedibile» — privo di coordinamento e di banche dati costantemente aggiornate; appare altresì impossibile la conoscenza di dati in tempo reale, in ordine alla presenza nel territorio di soggetti potenzialmente pericolosissimi –:
   quali siano e come funzionino ad oggi gli strumenti e le banche dati impiegate dal Governo e dalle autorità competenti per svolgere le verifiche al fine di garantire la sicurezza nazionale di cui in premessa. (5-06708)


   SISTO, GELMINI e OCCHIUTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la città di Bari è stata colpita ancora una volta da un gravissimo atto criminale ad opera di un commando composto da una ventina di persone, che lunedì mattina, nella zona industriale, hanno assaltato un furgone portavalori scortato dal servizio di guardie giurate dell'IVRI, mettendo così «a ferro e fuoco» – nel senso letterale delle parole – l'intera vastissima area, rimasta inagibile per molte ore;
   trattasi di un pericolo che colpisce quotidianamente la terra di Bari per omicidi, rapine, furti, scippi, violenze fra adulti e fenomeni di bullismo persistenti, micro e macrocriminalità che mette in seria difficoltà il lodevole operato delle esigue forze dell'ordine presenti;
   negli ultimi anni si è assistito ad una vera e propria escalation criminale, oltre che ad un profondo disagio sociale, al quale i comuni non possono più dare risposte concrete da soli;
   nei mesi trascorsi, sempre in concomitanza con gravi e ravvicinati atti criminali, è stato promesso alla città di Bari l'invio «immediato di personale per attività anticrimine della polizia e di carabinieri»: così riportava il sindaco dopo un colloquio con il Ministro interrogato –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere e con quali tempi per garantire alla terra di Bari un maggior numero di unità operative. (5-06709)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, DI VITA, GRILLO, MANTERO, BARONI, COLONNESE e BRESCIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il ruolo del centro di prima accoglienza di Pozzallo (Ragusa) non è solo identificare e registrare, ma anche di fornire primo soccorso ai migranti e garantire una valutazione adeguata dei loro bisogni medici e di protezione;
   secondo fonti giornalistiche, nelle ultime settimane, sarebbero più di 100 le persone espulse dal suddetto Centro;
   Medici senza frontiere, che presta assistenza medica all'interno del centro di primo soccorso e accoglienza di Pozzallo, in collaborazione con il ministero della salute, avrebbe denunciato che tra le persone espulse vi sarebbero donne incinte, minori e persone vulnerabili con necessità di cure mediche;
   a lanciare l'allarme sarebbe stato il capo missione di MSF, Stefano Di Carlo, che si è detto preoccupato «per questo improvviso cambiamento nelle procedure di identificazione»;
   MSF avrebbe chiesto chiarimenti alle autorità competenti in merito alla consegna di avvisi di espulsione ai migranti, con la richiesta di lasciare in breve tempo il centro di prima accoglienza di Pozzallo. C’è molta preoccupazione perché si tratta di persone vulnerabili che vengano lasciate senza un'adeguata assistenza;
   il sindaco di Pozzallo, Luigi Ammatuna, avrebbe smentito i numeri di Medici senza Frontiere chiarendo che a prevalere è sempre stato il senso di umanità e sostenendo che al massimo nelle ultime settimane sarebbero stati espulsi 35 migranti, perché non possono stare nel centro di primo soccorso per più di 48 ore;
   il primo cittadino avrebbe poi chiarito che molti migranti, dopo l'identificazione, devono lasciare il centro. Molti di loro non sanno come sopravvivere;
   nei giorni scorsi, la prima firmataria del presente atto è stata messa al corrente da cittadini pozzallesi della seguente situazione: una ventina di ragazzi provenienti probabilmente dal Gambia sarebbero stati «messi alla porta» senza un'accurata indagine, con un foglio scritto che intimava loro di lasciare l'Italia entro sette giorni, pena una multa;
   i migranti in questione avrebbero sfondato le porte dei locali della stazione ferroviaria di Pozzallo, ormai in disuso, trovandovi momentanea sistemazione, e vivrebbero lì da un mese circa. Destano molta preoccupazione soprattutto le condizioni igieniche;
   alcuni volontari, sostituendosi di fatto, ancora una volta, alle autorità competenti, si sono immediatamente occupati di prestare assistenza e soccorso agli spaesati migranti di fatto espulsi perché ritenuti «migranti economici», mentre il comune avrebbe fatto realizzare una tenda dalla protezione civile in contrada Raganzino, per accogliere i migranti in difficoltà, dando loro brandine e materassi;
   i migranti avrebbero avuto difficoltà a capire cosa veniva loro chiesto, non sarebbero state fatte indagini accurate tali da poter capire se si trattasse di migranti economici o richiedenti asilo, altri sarebbero stati espulsi senza che venisse loro rivolta alcuna domanda;
   la prima firmataria del presente atto ha già ritenuto doveroso informare della vicenda il sottosegretario di Stato per l'interno, Domenico Manzione, in occasione dell'audizione presso la commissione d'inchiesta sul sistema di accoglienza, identificazione e trattenimento dei migranti;
   ha, altresì, ritenuto necessario contattare la locale questura per chiedere chiarimenti in merito all'accaduto. Quest'ultima ha specificato che dei migranti sono stati ri-auditi perché avrebbero ritrattato la loro versione, e che per i migranti espulsi c’è la possibilità di richiedere il rimpatrio assistito presso la locale prefettura  –:
   se non ritenga opportuno, qualora non sia ancora stato fatto, verificare i fatti esposti in premessa al fine di individuare eventuali responsabilità;
   quali iniziative intenda assumere al fine di evitare il ripetersi di casi analoghi in futuro, sia a Pozzallo, che in tutte le altre realtà particolarmente interessate dal fenomeno migratorio in quanto città di frontiera;
   quali iniziative intenda intraprendere per far fronte alla situazione di limbo nella quale si vengono a trovare le persone nel momento in cui viene loro notificata l'espulsione e per risolvere il continuo rimbalzo di responsabilità tra i diversi enti coinvolti a vario titolo. (4-10802)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 15 ottobre 2015 in piazza Montecitorio si è tenuta la manifestazione «Divise in piazza» organizzata, tra gli altri, dalle sigle sindacali Conapo, Sap, Coisp, Sappe, Ugl, Consap, Sapaf, Cotipol, sul tema del rinnovo del contratto di lavoro;
   alla manifestazione hanno preso parte diversi esponenti politici, tra i quali i parlamentari Maurizio Gasparri, Daniela Santanchè, Nunzia de Girolamo, Giorgia Meloni e Matteo Salvini;
   quest'ultimo, in particolare, si è rivolto alla folla e ai giornalisti, rilasciando anche dichiarazioni, con indosso una regolare divisa di servizio della Polizia di Stato;
   tale circostanza, oltre a configurare uno specifico illecito punito con sanzione amministrativa, ad opinione dell'interrogante, non può che ledere la necessaria indipendenza del corpo della Polizia di Stato dal corpo politico –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non intenda disporre un'indagine interna per chiarire come un soggetto esterno alla Polizia sia potuto venire in possesso di una uniforme di ordinanza. (4-10804)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 107 del 2015 ha previsto l'assunzione di 400 docenti della scuola dell'infanzia in possesso del titolo di sostegno, ma, allo stesso tempo, non inserito in ruolo circa 23 mila insegnanti che sono in attesa dell'assunzione e che da anni lavorano nella scuola pubblica;
   la legge citata rimanda la sua attuazione ad un decreto legislativo dedicato al sistema integrato «0-6 anni» previsto dall'articolo 1, comma 181 lettera e);
   è opportuno, pertanto, che fin dalla prossima legge di stabilità siano previste le risorse economiche necessarie ad assumere gli insegnanti della scuola dell'infanzia –:
   quali iniziative intenda adottare per risolvere il problema dell'assunzione dei docenti della scuola dell'infanzia che non partecipano «al potenziamento» in attesa dell'emanazione del decreto legislativo di attuazione della legge n. 107 del 2015;
   se non sia opportuno reperire al più presto, fin dal prossimo disegno di legge di stabilità, le risorse economiche necessarie per l'immissione in ruolo dei docenti dell'infanzia. (4-10800)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MORETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con circolare n. 142 del 27 luglio 2015, «Chiarimenti su Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l'Impiego (NASpI)», l'INPS ha fornito chiarimenti di carattere amministrativo-operativo su aspetti specifici non espressamente disciplinati dalla normativa introdotta con il decreto legislativo n. 22 del 4 marzo 2015, in attuazione della legge delega n. 183 del 2014 (il cosiddetto Jobs Act), entrato in vigore il 1o maggio 2015;
   ancora oggi sussistono numerose disparità fra le interpretazioni e i chiarimenti forniti dalle differenti sedi dell'Istituto nazionale della previdenza sociale territoriali provinciali in merito alla durata del sussidio per chi ha svolto attività stagionale nel 2015;
   l'articolo 43, comma 4, del decreto legislativo n. 148 del 14 settembre 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 221 del 23 settembre 2015, recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, dispone che «con esclusivo riferimento agli eventi di disoccupazione verificatisi tra il 1o maggio 2015 e il 31 dicembre 2015 e limitatamente ai lavoratori con qualifica di stagionali dei settori produttivi del turismo e degli stabilimenti termali... la durata della NASpI corrisposta in conseguenza dell'applicazione del primo periodo non può superare il limite massimo di 6 mesi», salvaguardando in questo modo il trattamento di integrazione salariale per l'anno 2015;
   dal 2016 inoltre, come denunciato anche dai vari sindacati di categoria, l'applicazione della normativa sulla Naspi rischia di penalizzare ulteriormente i lavoratori stagionali, portando a un dimezzamento della durata e del valore del sussidio in mancanza di un correttivo strutturale;
   la stagionalità è elemento strutturale nel settore del turismo, tuttavia, in molte località turistiche, analoga stagionalità coinvolge molte migliaia di lavoratori di aziende di settori non direttamente riconducibili al medesimo settore turistico, ma ad esso strettamente connessi sotto il profilo produttivo;
   molte attività non hanno la caratteristica di stagionalità; per esserlo, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1995, n. 378, e successive modificazioni, devono aver, nell'anno solare, un periodo di inattività non inferiore a settanta giorni continuativi o a centoventi giorni non continuativi;
   molte aziende, avendo maggior lavoro durante i periodi estivi, assumono lavoratori a termine per incremento di attività che di fatto sono stagionali, ma non possono esserlo nelle causali del contratto a termine di assunzione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se non intenda, per quanto di competenza, attivarsi presso l'INPS al fine di prevedere un'applicazione interpretativa unica, corretta e omogenea, presso ogni sede territoriale provinciale dell'INPS, relativamente alle disposizioni riguardanti i vigenti strumenti di sostegno al reddito per i lavoratori stagionali;  
   se non intenda, sulla falsa riga di quanto già disposto dal citato articolo 43, comma 4, del decreto legislativo n. 148 del 2015, assumere iniziative normative al fine di prevedere misure di sostegno al reddito, volte ad assicurare, in forma strutturale, per i lavoratori stagionali del settore turistico e termale, un'estensione del trattamento Naspi;
   se non intenda valutare la possibilità di adottare iniziative di salvaguardia anche nei confronti dei lavoratori con contratto a termine, assunti presso aziende risiedenti nei comuni ad alta vocazione turistica. (5-06711)


   TINO IANNUZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 20, comma 4, della legge 102 del 2009 la regione Campania, con delibera n. 337 del 2010, ha affidato all'Inps le attività relative all'esercizio delle funzioni concessorie nei procedimenti di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, disabilità, approvando contestualmente lo schema di convenzione per condividere compiti e funzioni con l'Inps, al fine della gestione dei procedimenti per l'erogazione dei trattamenti in argomento;
   in data 26 marzo 2010 è stata sottoscritta la relativa convenzione tra regione e Inps;
   con successiva legge n. 211 del 2011 (articolo 18, comma 22), è stato disposto che le regioni possono affidare all'Inps, con la stipula di specifiche convenzioni, non solo le funzioni concessorie, ma anche quelle relative all'accertamento dei requisiti sanitari per il riconoscimento delle invalidità;
   l'Inps ha approvato una convenzione quadro per l'affidamento delle suddette funzioni accertative, proponendone la sottoscrizione alle regioni interessate;
   la regione Campania, con delibera di giunta n. 390 del 31 luglio 2012, al fine di razionalizzare la spesa e le funzioni connesse con i procedimenti attribuiti alle commissioni mediche di invalidità, ha deliberato di affidare all'Inps anche questi compiti ai fini dell'accertamento dei requisiti sanitari, ai sensi dell'articolo 18, comma 22, della citata legge 211 del 2011;
   in tale contesto, la regione Campania, l'ASL di Salerno e l'INPS hanno sottoscritto un protocollo sperimentale di intesa per l'affidamento all'Istituto previdenziale delle funzioni relative all'accertamento dei requisiti sanitari in materia di invalidità civile;
   a seguito dell'affidamento delle funzioni accertative, l'Inps ha riorganizzato il sistema di controllo e verifica dei requisiti sanitari, riducendo drasticamente il numero delle commissioni mediche operanti in Campania;
   in particolare, nella provincia di Salerno, la direzione regionale dell'Inps ha limitato la presenza delle strutture di accertamento sanitario soltanto a due sedi operanti, tra l'altro, unicamente nella parte nord del territorio provinciale (Salerno e Nocera Inferiore), lasciando così del tutto scoperta un'area vasta come il Cilento, il Vallo di Diano e la Valle del Calore, la zona degli Alburni e del Tanagro;
   la scelta dell'Inps è penalizzante tanto per i cittadini interessati agli accertamenti medici e colpiti da disagi consistenti, quanto per la regione perché viene vanificato l'intento originario di migliorare il servizio razionalizzando la spesa;
   per effetto di tali scelte tanti cittadini sono costretti ad impiegare diverse ore per raggiungere Salerno con i mezzi di trasporto pubblico e per poter rientrare nel proprio comune;
   ne conseguono pesanti ed ingiustificati disagi per tante persone;
   la rete stradale, che collega le aree a sud della provincia di Salerno con la città capoluogo, è obsoleta e danneggiata, con costanti e prolungate interruzioni di strade che producono rallentamenti notevoli nei tempi di copertura delle distanze;
   i collegamenti con i mezzi pubblici sono limitati a poche tratte, lasciando quasi isolati i comuni più periferici e dell'entroterra, dai quali occorrono tre o quattro ore di percorrenza solo per raggiungere Salerno;
   l'utenza a cui è rivolto il servizio di accertamento medico-sanitario è costituita da cittadini in difficili e precarie condizioni di salute, ovvero colpiti da gravi situazioni di disabilità;
   con precedente interrogazione n. 5-04025 del 12 novembre 2014, il sottoscritto ha sollevato tale delicata e rilevante questione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   nella risposta articolata nella seduta della Commissione XI in data 18 febbraio 2015, il Sottosegretario Luigi Bobba, in conclusione e rispetto alle motivate doglianze avanzate dall'interrogante, ha affermato che «comprendendo il disagio manifestato dai cittadini, il Ministero si farà carico di sollecitare l'INPS ad un'eventuale riesame delle scelte già operate»;
   occorre, maggiormente anche alla luce di queste ultime considerazioni, riesaminare ed incrementare le sedi dell'Inps nei territori provinciali per provvedere agli accertamenti sanitari, come hanno giustamente e motivatamente richiesto numerosi sindaci –:
   quali iniziative il Ministro, nell'esercizio delle sue competenze istituzionali nei confronti dell'INPS e dando così seguito alla indicata risposta resa in Commissione XI, intenda assumere per porre rimedio alla descritta situazione, fonte di tanti disagi e tanti disservizi per le popolazioni salernitane residenti nel Cilento, nel Vallo di Diano, nella Valle del Calore, negli Alburni, nella zona del Tanagro, fortemente e gravemente penalizzate dalla decisione della direzione regionale dell'Inps per la Campania di accentrare e concentrare solamente in due sedi (Salerno e Nocera Inferiore) tutte le molteplici e complesse funzioni relative all'accertamento dei requisiti sanitari per il riconoscimento delle diverse situazioni di invalidità. (5-06713)

Interrogazione a risposta scritta:


   FEDI, GIANNI FARINA, GARAVINI, LA MARCA, PORTA e TACCONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   i dipendenti pubblici sono esclusi dal campo di applicazione soggettivo di quasi tutte le più importanti convenzioni bilaterali di sicurezza sociale stipulate dall'Italia;
   i dipendenti pubblici sono inclusi invece nel campo di applicazione soggettivo dei regolamenti comunitari di sicurezza sociale dal 1998 (regolamento CEE n. 1606) e degli accordi bilaterali con Israele e Turchia ratificati nel 2015;
   le convenzioni bilaterali si fondano su tre principi essenziali: la parità di trattamento, in base alla quale ciascuno Stato è tenuto ad assicurare ai cittadini degli altri Stati membri lo stesso trattamento e gli stessi benefici riservati ai propri cittadini; il mantenimento dei diritti e dei vantaggi acquisiti e la possibilità, quindi, di ottenere il pagamento delle prestazioni nel Paese di residenza anche se a carico di un altro Stato; la totalizzazione dei periodi di assicurazione e contribuzione, grazie alla quale i periodi di lavoro svolto nei vari Stati si cumulano, se non sovrapposti, nel rispetto e nei limiti delle singole legislazioni nazionali, per consentire il perfezionamento dei requisiti richiesti per il diritto alle prestazioni;
   l'esclusione dalla tutela socio-previdenziale convenzionale di decine di migliaia di dipendenti pubblici italiani i quali sono emigrati nel tempo in Paesi extraeuropei (giova anche ricordare che molti di essi sono rientrati in Italia) dopo aver lavorato in Italia alle dipendenze dello Stato o di un ente locale, spesso non consente loro di maturare un diritto, tramite il meccanismo della totalizzazione, a prestazione italiana perché i contributi versati in Italia non raggiungono l'anzianità contributiva minima prevista e sono – e rimangono – quindi inutilizzabili;
   in questi casi ci si trova di fronte ad un'evidente disparità di trattamento con tutti gli altri lavoratori del settore privato che invece sono tutelati dalle convenzioni bilaterali di sicurezza sociale;
   sono infatti migliaia i lavoratori italiani emigrati i quali hanno versato nei regimi pubblici in Italia numerosi anni di contribuzione ma che non sono tuttavia sufficienti a far maturare un diritto pensionistico autonomo in Italia e allo stesso tempo non sono utili per attivare il meccanismo della totalizzazione con i contributi versati nel Paese di emigrazione e che rivendicano da tempo la considerazione e l'impegno dello Stato italiano verso la giusta tutela dei loro diritti –:
   se i Ministri interrogati siano responsabilmente consapevoli del problema e quali iniziative intendano adottare per eliminare una discriminazione ingiusta e intollerabile da tempo esistente ma sempre ignorata e che è oggi ancor più penalizzante in un periodo in cui le mobilità dei lavoratori da un Paese all'altro e dall'Italia all'estero sono nuovamente riprese;
   se più specificamente i Ministri interrogati non intendano avviare una verifica per valutare la possibilità di inserire i dipendenti pubblici nel campo di applicazione soggettivo delle convenzioni bilaterali di sicurezza sociale già stipulate dall'Italia – dalle quali attualmente tale tipologia di lavoratori è esclusa – tramite uno scambio di note o qualunque altra procedura ritenuta attuabile con gli altri Paesi contraenti, considerato che la stragrande maggioranza delle convenzioni prevede la possibilità di sottoporre a revisione una qualsiasi disposizione delle stesse convenzioni;
   quali siano le cause ostative da parte dello Stato italiano all'inclusione dei dipendenti pubblici nel campo di applicazione soggettivo delle convenzioni bilaterali di sicurezza attualmente in vigore, visto che tale tipologia di lavoratori è adeguatamente tutelata dai regolamenti comunitari di sicurezza sociale ed è stata inoltre recentemente inclusa negli accordi con Turchia e Israele ratificati nel 2015, nuovi accordi che hanno presumibilmente distinto un nuovo orientamento dello Stato italiano per la soluzione del problema. (4-10799)

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata:


   SBERNA e GIGLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 22 maggio 1978 veniva promulgata la legge n. 194, «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza»;
   uno degli articoli della legge n. 194 del 1978 prevede che ogni anno il Ministero della salute presenti una relazione sull'attuazione della legge: andamento del fenomeno, caratteristiche delle donne che fanno ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza, modalità di svolgimento e perfino un monitoraggio ad hoc su interruzione volontaria di gravidanza e obiezione di coscienza; nella relazione presentata il 15 ottobre 2014 si sottolinea più volte la riduzione del numero di interruzione volontaria di gravidanza, che ha subito un decremento del 4,2 per cento rispetto al 2012;
   il Ministero della salute ha più volte sostenuto che questo risultato sia molto positivo e lo lega direttamente all'efficacia della prevenzione, tanto da affermare, nella «Relazione al Parlamento sulla attuazione della legge contenente norme per tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria di gravidanza (legge 194/78)» del 15 ottobre 2014, che «la riduzione dei tassi di abortività osservata recentemente anche tra le donne immigrate sembra indicare che tutti gli sforzi fatti in questi anni, specie dai consultori familiari, per aiutare a prevenire le gravidanze indesiderate e il ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza stiano dando i loro frutti anche nella popolazione immigrata»;
   in data 22 settembre 2015 è stata pubblicata dalla testata giornalistica on line Espresso un'inchiesta sul cosiddetto «aborto fai da te». Prolificano, cioè, i siti che vendono farmaci per l'interruzione di gravidanza, che spiegano cioè come fare un aborto con pillole di uso comune (medicinali antiulcera e altro) che hanno lo stesso effetto della RU486, che consigliano l'acquisto del misoprostolo (conosciuto come Cytotec, Artrotec, Misodex, Misofenac), che causa delle forti contrazioni dell'utero, il distaccamento del feto dalla placenta e quindi la sua espulsione;
   siti che presentano la loro offerta in modo accattivante, garantendo poche domande, anonimato, prezzi scontati, tutela della privacy. E tacendo gli immani rischi che le pratiche suggerite comportano per la salute delle donne. Le conseguenze di questa pericolosa tendenza agli aborti «fai da te» sono scritte sui referti medici degli ospedali, che si sono poi trasformati in denunce in tutta Italia e che hanno già dato inizio a numerose inchieste giudiziarie (Genova – dove una diciassettenne alcuni mesi fa fu salvata dai medici per un soffio –, Torino, Pescara, solo per citarne alcune);
   si tratta di una pratica alla quale non ricorrono solamente le donne straniere non in regola con i documenti terrorizzate all'idea di rivolgersi a un consultorio o a un ospedale o le prostitute costrette dai loro «protettori», ma anche moltissime italiane, fra l'altro giovanissime. I dati Istat, infatti, rilevano un aumento degli aborti spontanei negli ultimi anni con punte del 67 per cento tra le giovanissime tra i 15 e i 19 anni;
   i farmaci originariamente destinati ad usi diversi sono andati ad alimentare un incontrollabile mercato nero e un floridissimo business su internet. Infatti, il rischio di incappare in medicinali contraffatti è altissimo. Spesso sono farmaci con un principio attivo minimo o con eccipienti nocivi per la salute, che sono stati lavorati in condizioni igieniche disastrose;
   ma questo espande il ricorso all'aborto clandestino che si voleva combattere e si traduce in una palese violazione della legge. Se essa infatti stabilisce che la RU486 venga somministrata solo in ospedale, ci deve essere un motivo;
   il numero degli aborti clandestini è enorme ed è quantificato – ottimisticamente, poiché non ci sono dati certi, con una ricognizione ferma al 2005 – tra i 12 mila e i 15 mila casi per le italiane e tra i tremila e i cinquemila per le straniere –:
   se il Ministro interrogato non ritenga doveroso indagare su un fenomeno che tutte le analisi reputano in crescita, indicando quali iniziative intenda porre in essere, nell'ambito delle proprie competenze, per sopperire alla carenza di serie campagne di sensibilizzazione che aiutino a non dare credito a siti che pubblicizzano in modo ingannevole e vendono il «kit per l'aborto», con serie conseguenze per la salute delle giovani donne coinvolte.
(3-01780)


   PALESE, CIRACÌ, DISTASO, FUCCI, MARTI, RICCARDO GALLO e PALMIZIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di settembre 2015, alla presenza dei delegati di oltre 25 Paesi, si è svolto a Como il primo convegno europeo sulla sindrome di Pandas (acronimo di Pediatric autoimmune neuropsychiatric disorders associated with streptococci) ovvero «disordine autoimmune pediatrico associato allo streptococco beta-emolitico di gruppo A», sigla coniata nel 1997 dalla dottoressa americana Susan Swedo;
   tale patologia consiste in un disturbo connesso ad una reazione autoimmune scatenata da malattie infettive dell'infanzia, in particolare la faringite da streptococco, che provoca un'infiammazione del cervello e può causare un esordio improvviso e acuto del disturbo ossessivo compulsivo, determinando sintomi quali: assunzione di cibo altamente restrittiva, ansia, depressione, tic motori e vocali, difficoltà nella scrittura, sintomi neurologici, disturbi nel sonno e della frequenza urinaria e altri sintomi psichiatrici;
   l'insorgere della malattia è subdolo, difficile da diagnosticare e attualmente sta determinando grandissimi disagi e preoccupazione sia tra le famiglie dei bambini colpiti (la Pandas è tuttora definita una malattia «pediatrica» che può insorgere attorno ai 5-7 anni) che tra i pediatri e gli neuropsichiatri, divisi tra l'effettiva esistenza della citata sindrome;
   secondo numerosi neurologi dell'infanzia e dell'adolescenza, che hanno partecipato al convegno di Como, la Pandas è considerata attualmente una tragedia, non perché manchino le opzioni terapeutiche, ma perché non si è in grado di riconoscerla e, inoltre, l'assenza di una comune ammissione dell'esistenza, in particolare da parte della pediatria italiana, rischia di accrescere le difficoltà per i pazienti colpiti, allungando i tempi per l'individuazione di un'esatta terapia –:
   quali orientamenti intenda esprimere il Ministro interrogato nei riguardi della citata sindrome di Pandas e se, in considerazione della diffusione di tale patologia non ancora riconosciuta ufficialmente e diagnosticata purtroppo in maniera confusa e non univoca dalla medicina e dalla comunità scientifica, non ritenga urgente e necessario attivare iniziative volte al coinvolgimento dei rappresentanti dell'Associazione italiana della Pandas e del mondo pediatrico, al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica sull'esistenza di tale sintomatologia, la cui insorgenza si attesta sin dalla giovanissima età. (3-01781)


   LENZI, GELLI, SBROLLINI, D'INCECCO, PIAZZONI, MURER, PAOLA BOLDRINI, PICCIONE, MIOTTO, PATRIARCA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA, BINI, BENI, CARNEVALI, CASATI e CAPONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero della salute ha pubblicato le coperture vaccinali a 24 mesi d'età relative all'anno 2014 (coorte di nascita 2012). Le coperture nazionali contro la poliomielite, il tetano, la difterite, l'epatite B e la pertosse, che nel 2013 – sottolinea l'Istituto superiore di sanità – erano di poco superiori al 95 per cento (valore minimo previsto dall'obiettivo del piano nazionale prevenzione vaccinale 2012-2014), nel 2014 sono scese al di sotto di tale soglia;
   la copertura per Haemophilus influenzae b (Hib), che nel 2013 era pari al 94,5 per cento, è rimasta sostanzialmente invariata mentre la copertura vaccinale per morbillo, parotite e rosolia è diminuita di quasi 4 punti percentuali rispetto ai dati aggiornati del 2013 (dal 90,3 per cento all'86,6 per cento);
   un'analisi retrospettiva delle coperture nazionali dal 2000 al 2014 evidenzia la presenza di due fasi temporali:
    a) il periodo 2000-2012, con coperture sostanzialmente stabili ad eccezione di quelle per l'Hib e il morbillo, per le quali si registra un incremento fino al 2007;
    b) il periodo 2012-2014, in cui si evidenzia un decremento di tutte le coperture vaccinali, ma più accentuato per morbillo, parotite e rosolia;
   l'analisi per regione – prosegue l'Istituto superiore di sanità – non evidenzia sostanziali differenze nella direzione del trend in tutte e due le fasi temporali e per tutte le vaccinazioni. Tuttavia, l'entità del decremento relativo nel periodo 2012-2014 appare maggiore nelle Marche, in Abruzzo e in Valle d'Aosta e, nel caso del morbillo, anche in Puglia;
   i dati del 2014 confermano che il calo registrato a partire dal 2012 non è una flessione temporanea, ma una tendenza che sembra consolidarsi di anno in anno. Sebbene il decremento sia limitato, la riduzione delle coperture vaccinali a 24 mesi che si è registrata in questi ultimi 2 anni per poliomielite, epatite B, difterite e pertosse può portare alla creazione di sacche di persone suscettibili, con conseguenze gravi a causa della perdita dei vantaggi dell'immunità di gregge. Anche per malattie attualmente non presenti in Italia, come poliomielite e difterite, c’è sempre il rischio di casi sporadici;
   grazie alle vaccinazioni, malattie gravi che in passato hanno causato milioni di decessi e di casi di disabilità sono diventate rare. Molti genitori di oggi sono cresciuti senza avere alcuna cognizione dei rischi causati dalle malattie prevenibili con le vaccinazioni e dei benefici che derivano dall'immunizzazione per l'individuo e per la comunità: le precedenti generazioni ben comprendevano, invece, il valore dei vaccini, perché avevano avuto un'esperienza diretta o indiretta dei danni causati da queste malattie;
   il morbillo rimane una malattia molto frequente anche nel nostro Paese. In Italia dall'inizio del 2013 sono stati segnalati 4.094 casi di morbillo, di cui 2.258 nel 2013, 1.696 nel 2014 e 140 nei primi sette mesi del 2015. Di questi ultimi, il 79,7 non era stato vaccinato e il 17,3 per cento aveva effettuato una sola dose di vaccino. Il 17,1 per cento dei casi era di età inferiore ai 5 anni, fascia in cui è stata osservata l'incidenza più elevata (0,88 casi per 100.000). Circa il 30 per cento dei casi segnalati di morbillo è stato ricoverato in ospedale e un quarto dei casi ha avuto almeno una complicanza. Le coperture vaccinali a 24 mesi nel nostro Paese sono chiaramente insufficienti ad arginare la circolazione del morbillo e, anche se in alcune regioni si registra un incremento della proporzione di vaccinati ad età successive, la quota di bambini rimasti suscettibili al morbillo per un tempo inutilmente lungo continua a sostenere l'endemia;
   è stato presentato in questi giorni ed è al vaglio della Conferenza Stato-regioni il nuovo piano nazionale vaccini 2016/2018;
   organi di stampa riportano la notizia che da ora in poi vi sarebbe l'obbligo di essere vaccinanti per poter essere iscritti a scuola –:
   quali misure urgenti e concrete il Ministro interrogato intenda adottare per far sì che si torni ad avere una copertura vaccinale atta a garantire e a tutelare tutta la popolazione da malattie ormai debellate e se non ritenga necessario predisporre urgentemente campagne informative volte a fare chiarezza sulla necessità e sull'efficacia dei vaccini, nonché se risponda al vero che si possono prevedere sanzioni per quegli operatori sanitari che siano contrari alla somministrazione dei vaccini o che vi sia la possibilità per i bambini non vaccinati di non poter frequentare la scuola. (3-01782)


   CALABRÒ. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito delle attività di monitoraggio delle vaccinazioni incluse nel piano nazionale di prevenzione vaccinale, i dati dell'Istituto superiore di sanità, pubblicati dal Ministero della salute, evidenziano che la copertura vaccinale nel nostro Paese è al limite della soglia di sicurezza;
   tali dati indicano un tasso di vaccinazione al di sotto degli obiettivi minimi previsti dal piano nazionale per la prevenzione vaccinale 2012-2014; scendono, infatti, al di sotto del 95 per cento le vaccinazioni per poliomielite, tetano, difterite ed epatite B e la percentuale scende ulteriormente per le vaccinazioni contro il morbillo, la parotite e la rosolia, che raggiunge una copertura dell'86 per cento, diminuendo di oltre 4 punti percentuali;
   questa situazione, che tende progressivamente a peggiorare, rischia di avere gravi conseguenze sia sul piano individuale che collettivo, poiché scendere sotto le soglie minime significa perdere via via la protezione della popolazione nel suo complesso e aumentare contemporaneamente il rischio che bambini non vaccinati si ammalino, che si verifichino epidemie importanti, che malattie per anni cancellate dalla protezione dei vaccini non siano riconosciute e trattate in tempo;
   anche l'Agenzia italiana del farmaco ha evidenziato che la riduzione delle vaccinazioni «rischia di generare serie conseguenze sulla salute pubblica compromettendo l'effetto immunità di gregge, qualora il numero dei soggetti vaccinati dovesse diminuire al di sotto della soglia minima per scongiurare la diffusione delle patologie» –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per fare fronte a questa preoccupante situazione. (3-01783)


   PARISI, ABRIGNANI, D'ALESSANDRO, FAENZI, GALATI, MOTTOLA, FRANCESCO SAVERIO ROMANO, BORGHESE, BUENO e MERLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel 2014 sono stati registrati in tutto il territorio nazionale 163 casi di malattia invasiva da meningococco, con un'incidenza pari a 0,27 casi per 100.000 abitanti, un dato in linea con gli anni precedenti, ma che risulta essere in consistente aumento nel 2015, nello specifico relativamente a casi di meningococco di tipo C in giovani adulti;
   se sino al 2014 l'incidenza media non mostrava scostamenti tra le regioni italiane, nel 2015 la Toscana sta registrando l'incremento maggiore dei casi di meningite: dai 12 del 2013, ai 16 del 2014 ai 35 del 2015 – più del triplo dell'incidenza toscana del 2014 e più del triplo di quella nazionale – con conseguente ed inevitabile allarme nell'opinione pubblica;
   dei 35 casi di meningite registrati in Toscana nel corso del 2015, l'ultimo venerdì 16 ottobre 2015, 28 derivano da meningococco C, il più virulento, 4 da meningococco B, meno grave ma solitamente più diffuso del precedente, 1 dal ceppo W, 1 pneumococcica, mentre un caso resta non noto. Se la diffusione del ceppo B rientra nella norma epidemiologica, ad allarmare è l'anomala diffusione del più grave ceppo C;
   alla data del 30 aprile 2015, l'Istituto superiore di sanità aveva ricevuto 56 segnalazioni di malattie invasive da meningococco nel 2015 e di queste oltre un terzo, 22, provenivano dalla Toscana;
   gli esiti sono stati purtroppo drammatici, con 7 decessi, di cui 6 per meningococco C (3 vittime di 12, 16 e 34 anni nell'azienda sanitaria locale 11 di Empoli, una di 82 anni nell'azienda sanitaria locale 10 di Firenze, una di 31 anni nell'azienda sanitaria locale 8 di Arezzo e una di 44 anni nell'azienda sanitaria locale 4 di Prato) ed uno per meningococco B, di 48 anni, nell'azienda sanitaria locale 1 di Massa Carrara;
   la regione Toscana ha rafforzato la rete di contatti con l'Istituto superiore di sanità che supporta le decisioni locali e regionali dall'alto dell'esperienza e della visione nazionale e internazionale dei fenomeni ed ha, inoltre, avviato una campagna straordinaria di vaccinazione. Ad oggi risultano essere state effettuate in Toscana oltre 150.000 vaccinazioni nella fascia di età dagli 11 ai 45 anni (di cui oltre 80.000 nella fascia 11-20 anni);
   pur tuttavia, secondo il parere di numerosi medici specializzati in malattie infettive, la percentuale di soggetti vaccinata è ancora molto bassa in confronto all'emergenza in corso; a somministrare i vaccini sono il 70 per cento dei pediatri ed il 55 per cento dei medici di famiglia, mentre i restanti non hanno aderito alla campagna straordinaria –:
   se il Ministro interrogato, anche attraverso l'attività dell'Istituto superiore di sanità, si sia attivato per individuare la presenza sul territorio toscano di batteri appartenenti a cloni diversi dal solito, mettendo in campo campagne di sensibilizzazione presso medici e famiglie volte a incrementare la somministrazione di vaccini contro la meningite, attivando il piano nazionale prevenzione vaccinale, in discussione presso la Conferenza Stato-regioni, che contiene norme specifiche a contrastare la diffusione della meningite in Toscana. (3-01784)


   GIORGIA MELONI, TAGLIALATELA, RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI e TOTARO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è in costante aumento la diffusione in Italia degli apparecchi da gioco denominati ticket redemption, apparecchi del tutto simili alle slot machine ma destinate ad un pubblico di bambini e minorenni;
   le ticket redemption, infatti, non erogando vincite in denaro, ma meramente dei tagliandini per continuare a giocare e delle vincite in premi su base casuale, sono sottratte al divieto di utilizzo da parte dei minori di diciotto anni;
   tali apparecchi, tuttavia, replicano meccanismi tipici del gioco d'azzardo, quali la premialità e la compulsività, e di fatto incentivano al gioco d'azzardo bambini anche molto piccoli, creando in essi l'abitudine al gioco «premiale»;
   le sale che ospitano le ticket redemption si trovano in luoghi aperti al pubblico e molto frequentati, come, ad esempio, centri commerciali, e frequentemente esse si trovano in locali attigui a sale da gioco per maggiorenni;
   il gioco d'azzardo patologico sta guadagnando sempre più attenzione, sia in ambito sanitario sia da parte del legislatore, e in Italia è stata già inserita all'interno dei livelli essenziali di assistenza a causa della crescente diffusione e gravità del fenomeno;
   secondo la «Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia», nella fascia d'età compresa tra i 15 e i 19 anni la pratica del gioco d'azzardo arriva al 49,4 per cento e oltre il 3 per cento di questi sono giocatori patologici;
   il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza vieta il gioco d'azzardo ai minori di diciotto anni e recentemente è stato sia previsto l'inasprimento delle relative sanzioni, sia introdotto il divieto di ingresso ai medesimi soggetti nelle aree destinate al gioco con vincite in denaro;
   la finalità di queste disposizioni è, evidentemente, quella di scongiurare l'accesso al gioco d'azzardo da parte dei minori, soggetti fragili e perciò meritevoli di una protezione ulteriore da parte dell'ordinamento;
   l'attività del bambino con le ticket redemption lo porta ad isolarsi ed alienarsi e rappresenta l'opposto di quelle funzioni fondamentali del gioco, quali la creatività, la socialità e la didattica;
   con le ticket redemption, invece, scopo del gioco diventa la vincita, intesa come possibilità di continuare a giocare, con l'effetto che più si gioca, più si può giocare, il tutto naturalmente calato in una logica commerciale, dove il rapporto tra il valore e la quantità dei premi corrisposti non è mai superiore a quanto speso in giocate;
   da notizie di stampa risulta che il disegno di legge di stabilità per il 2016 prevede che l'Agenzia delle dogane e dei monopoli espleti una gara per l'attribuzione di oltre ventimila nuove concessioni per l'esercizio del gioco pubblico –:
   se sia informato di quanto esposto in premessa e quali iniziative intenda assumere in merito al caso specifico e per il contrasto alla ludopatia. (3-01785)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BRIGNONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto superiore di sanità dichiara che in Italia è in atto un preoccupante calo della copertura vaccinale obbligatoria contro la poliomielite, il tetano, la difterite, l'epatite B e la pertosse, vaccinazione facoltativa;
   da quanto appreso dai media pare che il Governo stia valutando di emanare un provvedimento al fine di trasformare le vaccinazioni oggi facoltative in obbligatorie per chi frequenta la scuola d'obbligo e prevedere sanzioni per tutti i medici che non consigliano i vaccini ai bambini;
   nel 2013 i bambini vaccinati erano circa il 95 per cento, valore minimo previsto dall'obiettivo del piano vaccini. In particolare, la copertura per Haemophilus influenzae b (Hib), che nel 2013 era pari al 94,5 per cento, è rimasta sostanzialmente invariata, mentre la copertura vaccinale per morbillo, parotite e rosolia (Mpr) è diminuita di quasi 4 punti percentuali rispetto ai 2013 passando dal 90,3 per cento all'86,6 per cento;
   è quindi evidente che, nonostante l'implementazione dei programmi vaccinali, permane il problema che, nel tempo, prosegue a peggiorare. Inoltre, a quanto risulta, in più di un'occasione, l'aumento dei casi di ammalati di pertosse non è correlabile al rifiuto dei genitori di vaccinare i loro bambini per paura di potenziali effetti collaterali, ma al fatto che più si vaccina e più il sistema immunitario del vaccinato è leso e quindi il soggetto vaccinato è in balia non solo della pertosse trasmessagli da altri vaccinati, ma anche di qualsiasi altra malattia;
   nella bozza del piano nazionale di prevenzione vaccinale 2016-2018, all'esame della conferenza Stato-regioni, si stima che il costo complessivo della campagna di prevenzione vaccinale sia pari a 620 milioni di euro;
   si annuncia la positiva revisione dei livelli essenziali di assistenza (Lea) che permetterà l'inclusione aggiornata del calendario vaccinale e dei relativi indicatori di copertura, nei livelli essenziali di assistenza, garantendo così il diritto del cittadino a fruire delle vaccinazioni;
   la bozza del piano sottolinea che non tutte le amministrazioni regionali hanno realizzato strutture organizzative stabili in grado di gestire l'incremento dei volumi di attività determinati dall'adozione del nuovo calendario. È apprezzabile quindi l'ipotesi di un «Fondo nazionale per i vaccini che possa co-finanziare le regioni in difficoltà oggettive a garantire, ancora una volta, l'uniformità, l'equità e l'universalità dell'offerta su scala nazionale»;
   il documento evidenzia l'importanza di proporre soluzioni «per l'innovazione tecnologica, per lo sviluppo di nuovi vaccini, per la possibilità di combinare antigeni in maniera diversa e migliore dell'attuale» e riafferma che «l'eliminazione e la riduzione del carico delle malattie infettive prevenibili da vaccino rappresentano una priorità per il nostro Paese, da realizzare attraverso strategie efficaci e omogenee da realizzare sul territorio nazionale». In sostanza, traccia strategie per evitare il calo delle vaccinazioni che preoccupa le autorità sanitarie ma anche la popolazione –:
   quali siano le iniziative che intende assumere per individuare le vere cause della mancata copertura vaccinale nelle cosiddette fasce deboli e a rischio;
   per quali ragioni, nonostante l'uso esteso dei vaccini, pari al 95 per cento nella popolazione, si assista alla ricomparsa di malattie infettive che pare non abbia nulla a che vedere con il 5 per cento della popolazione non vaccinata;
   se non ritenga sbagliato prevedere sanzioni, come s'ipotizza, per i medici che non consigliano i vaccini alla popolazione, evitando di delegare ad altri il ruolo del Ministero in termini d'informazione e sensibilizzazione;
   quali siano le motivazioni per le quali il problema dei vaccini torni sempre di attualità col sopraggiungere dei primi freddi;
   se la popolazione deceduta a causa di malattie infettive fosse coperta da vaccini;
   se non ritenga che il problema di contagio di malattie infettive sia un problema che non riguarda solo il 5 per cento della popolazione, quella cioè che non intende avere una copertura vaccinale e quindi risulta più a rischio, ma anche un problema che riguarda la restante parte della popolazione con copertura vaccinale. (5-06710)


   LODOLINI, GIULIETTI, FANUCCI, VALIANTE e MARCHETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni in Italia si sta registrando un preoccupante calo delle vaccinazioni tale da aver fatto registrare, da parte dell'Istituto Superiore di Sanità, dati di copertura al limite della soglia di sicurezza tra cui un valore sotto il 95 per cento per poliomielite, tetano ed epatite, mentre il morbillo, parotite, e rosolia precipitano all'86 per cento con un calo del 4 per cento in un anno;
   superare la «soglia di sicurezza» significherebbe esporre la popolazione alla propagazione dei virus con conseguente contrazione di infezioni ed epidemie a volte anche mortali;
   tale flessione colpisce significativamente le Marche in particolare per il morbillo, la parotite e la rosolia. Difatti allo stato attuale tutti gli obiettivi di copertura definiti dal piano nazionale di prevenzione vaccinale 2012-2014 risultano essere disattesi con uno scostamento significativo come riportato nella delibera di Giunta regionale n. 540/2015 «Interventi regionali di attuazione del Piano Nazionale di Prevenzione 2014-2018» (tabella 8.2);
   la copertura, in riferimento all'anno 2014 per le malattie di cui sopra, è risultata essere per la prima somministrazione (13-15 mesi) pari a 81,3 per cento, rispetto a un obiettivo di copertura nazionale del 95 per cento, e quindi con uno scostamento del –13,7 per cento, mentre per la seconda dose (5-6 anni) la copertura è risultata’ pari a 89,2 per cento, sempre su un obiettivo di copertura nazionale del 95 per cento, evidenziando quindi uno scostamento del –5,8 per cento. Questi dati sono molto significativi tanto da aver fatto registrare, a esempio per il morbillo, un particolare livello di guardia essendo passati, negli ultimi due anni, da uno stadio di «controllo della malattia» a un livello di «controllo limitato»;
   tale fenomeno di disaffezione alla prevenzione è in parte imputabile a una pericolosa campagna di contro-informazione antivaccinista che sta diffondendo preoccupazioni e messaggi errati quali ad esempio l'ipotesi di correlazione tra vaccinazione e altre malattie;
   si sta pertanto assistendo al potenziale ritorno di malattie infettive che si consideravano debellate, con un alto rischio per la salute pubblica;
   le vaccinazioni, così come confermato dall'Organizzazione mondiale della sanità, sono la più importante scoperta medica effettuata dall'uomo rappresentando uno degli interventi più efficaci e sicuri che ha permesso di debellare malattie infettive mortali;
   tale pratica, inclusa nei LEA (livelli essenziali di assistenza), è prevista dal piano nazionale di prevenzione vaccinale che pone come priorità di sanità pubblica la riduzione o l'eliminazione del carico delle malattie infettive prevedibili da vaccino attraverso l'individuazione di strategie efficaci e omogenee di implementazione sull'intero territorio nazionale;
   per le regioni, in attuazione del piano nazionale della prevenzione, relativamente alle azioni da attuare, dovrebbero assumere come macrobiettivo quello di «ridurre la frequenza di infezioni/malattie infettive prioritarie» e obiettivi centrali quali: 1) «completamento dell'informatizzazione delle anagrafi vaccinali»; 2) «aumento della copertura vaccinale e l'adesione consapevole della popolazione generale e di specifici gruppi a rischio (operatori sanitari, adolescenti, donne in età fertile, popolazioni difficili da raggiungere); 3) «pianificazione della comunicazione finalizzata alla corretta gestione e informazione sui vaccini e sulle malattie infettive prevedibili mediante vaccinazione»;
   il punto di forza della pratica vaccinale sta nella cosiddetta «immunità di gregge», ovvero nell'adesione di massa, che rende più difficoltosa la propagazione e la riproduzione dei microbi, tanto che le autorità sanitarie iniziarono a rendere obbligatoria la vaccinazione già dalla fine dell'Ottocento contro il vaiolo a cui fece seguito nel 1939 quella contro la difterite –:
   se sia intenzione del Governo proporre iniziative per il riconoscimento della «Giornata nazionale della vaccinazione», per favorire la corretta informazione scientifica alla comunità, valorizzando il ruolo strategico degli operatori sanitari e la loro formazione in merito, al fine di affermare gli innegabili benefici delle vaccinazioni e invertire il pericoloso fenomeno che, alimentando l'insicurezza sugli effetti e sull'efficacia delle stesse, sta determinando il preoccupante calo delle vaccinazioni. (5-06712)


   LODOLINI, PETRINI, PELILLO, LUCIANO AGOSTINI, GIULIETTI, DONATI, VALIANTE, FANUCCI e MARCHETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i soggetti fabbricanti e mandatari di dispositivi medici su misura con sede legale in Italia hanno l'obbligo di iscriversi nell'elenco tenuto dal Ministero della salute e di comunicare i dati relativi ai dispositivi medici su misura messi in commercio;
   nella banca dati dei dispositivi su misura possono iscriversi soltanto i fabbricanti e mandatari di «dispositivi medici su misura». Per dispositivo su misura si intende un dispositivo fabbricato appositamente, sulla base della prescrizione scritta di un medico debitamente qualificato e indicante, sotto la responsabilità del medesimo, le caratteristiche specifiche di progettazione del dispositivo destinato a essere utilizzato solo per un determinato paziente già identificato;
   si tratta di un obbligo previsto dall'articolo 13, comma 1, e articolo 11 del decreto legislativo n. 46 del 1997 e successive modificazioni, la cui inosservanza comporta la sanzione prevista dall'articolo 23, comma 4, dello stesso decreto;
   il riconoscimento del profilo professionale dell'odontotecnico, purtroppo a oggi ancora mancante, colmerebbe alcune lacune normative, che in questi anni hanno portato all'affermazione sul mercato di numerosi competitori non sempre in possesso di idonei requisiti professionali e delle competenze previste dalla legge per la fabbricazione dei dispositivi medici su misura;
   le associazioni degli odontotecnici registrano un proliferare di «soggetti» che si iscrivono nell'elenco, in assenza dei requisiti necessari all'avviamento di una impresa (iscrizione camera del commercio 325020 ATECORI 2007, iscrizione ufficio delle entrate 325020 ATECO 2007, Ministero della salute ITCA e altro);
   parallelamente, si rileva l'aumento esponenziale di messaggi pubblicitari rivolti agli studi odontoiatrici da parte di aziende fornitrici di materiali, macchinari e attrezzature per la fabbricazione di dispositivi medici su misura;
   si sottolinea, al riguardo, come i dispositivi medici su misura debbano essere accompagnati, per essere immessi in commercio da dichiarazione di conformità, etichettatura e istruzioni d'uso, obblighi previsti dalla direttiva 93/42/CEE (comma 3, articolo 7-bis, del decreto legislativo n. 507 del 1992, comma 1, dell'articolo 13, del decreto legislativo n. 46 del 1997) e dalla direttiva 2007/47/CE;
   tale situazione è ulteriormente aggravata dalla mancanza di chiarezza che tuttora persiste circa la tracciabilità dei cosiddetti «semilavorati» — che di fatto sono complemento integrale della progettazione tecnica esclusiva dell'odontotecnico, come da sentenza della terza sessione del TAR del Lazio n. 8185/2003 del 28 agosto 2003 — in ordine ai materiali e alle procedure di realizzazione. Questo si ripercuote negativamente sulla qualità e sulla durata del dispositivo, causando danni a carico del paziente, sia dal punto sanitario che economico;
   in un periodo di crisi economica è indispensabile oltre che a garantire la salute del cittadino, lavorare per la sopravvivenza di migliaia di aziende odontotecniche e mantenere e/o accrescere i livelli occupazionali a esse connesse –:
   se sia intenzione del Governo riprendere l'esame degli accordi in merito al riconoscimento del profilo professionale dell'odontotecnico e assumere iniziative per consentire alla figura professionale sanitaria dell'odontotecnico l'esclusività di produrre e mettere in commercio i dispositivi medici su misura (fabbricante e mandatario), evitando che si autorizzino soggetti senza una specifica preparazione in materia senza nessuna garanzia certificata per l'utilizzatore finale, e rendere obbligatoria la consegna al paziente della dichiarazione del fabbricante con etichettatura e con le istruzioni d'uso come avviene per i dispositivi medici generici, in modo da attivare la catena della trasparenza sulla reale provenienza del dispositivo e sulla tracciabilità dei materiali utilizzati anche alla luce delle successive esigenze di manutenzione. (5-06716)


   COLONNESE, SILVIA GIORDANO, BARONI, DI VITA, GRILLO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l’Humana Papilloma Virus (HPV) è un'infezione virale che nella maggior parte dei casi non genera alterazioni e guarisce spontaneamente in uno o due anni. Solo in alcuni casi, se trascurata, le lesioni procurate dal virus possono trasformarsi dopo dieci o venti anni in cancro della cervice uterina;
   l’Humana Papilloma Virus si trasmette per via sessuale e mediante contatto cutaneo dell'area genitale. Ci sono circa 40 tipi di HPV che possono infettare il tratto genitale. I tipi denominati 16 e 18 sono responsabili di oltre il 70 per cento dei casi di cancro cervicale;
   la vaccinazione contro il Papilloma Virus è stata introdotta in Italia nel 2007 con un'offerta gratuita a partire da gennaio 2008 alle bambine nel dodicesimo anno d'età (dal compimento dell'undicesimo al dodicesimo) e poi estesa, in alcune regioni, anche ad altre fasce di età ai bambini. I vaccini disponibili proteggono contro l'infezione e le lesioni causate da alcuni tipi di virus, ovvero HPV 16 e 18, responsabili di oltre il 797 dei casi di cancro cervicale, quindi non da tutti i tipi di HPV. Per questo motivo è raccomandato affiancare comunque il Pap-test al vaccino;
   in Italia è stato autorizzato l'uso di due vaccini: il Gardasil, vaccino quadrivalente dell'azienda Sanofi Pasteur MSD, rivolto contro quattro tipi di virus HPV, due di questi virus sono tra i responsabili del tumore del collo dell'utero (16 e 18) agli altri due (6 e 11) sono responsabili dei condilomi genitali; il Cervarix, vaccino bivalente dell'azienda GlaxoSmithKline, efficace solo contro due tipi di HPV (16 e 18) che sono tra i responsabili del tumore del collo dell'utero;
   ancora oggi non esistono prove certe sull'efficacia dei vaccini nella prevenzione del tumore alla cervice uterina, come viene evidenziato dal servizio diffuso dalla tv svizzera sull'impiego di Gardasil e pubblicato, è necessario attendere gli anni necessari allo sviluppo di un eventuale tumore (10-20), per avere una prova certa. Secondo l'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) l'incertezza riguarda anche il tempo di copertura;
   ne consegue che gli Stati che hanno adottato il vaccino anti-HPV e in alcuni casi lanciato incoraggianti campagne pubblicitarie a favore della vaccinazione, hanno autorizzato la somministrazione a giovani donne sane di farmaci la cui sperimentazione è ancora in corso;
   l'azienda produttrice del Gardasil, Sanofi Pasteur, leader mondiale della produzione dei vaccini umani e divisione vaccini dell'industria farmaceutica francese Sanofi Aventis, è già stata al centro di alcune polemiche quando il 20 settembre 2005, l'Agenzia europea dei medicinali (EMA), ha raccomandato la sospensione del farmaco Hexavac, vaccino ad uso pediatrico di sua produzione, per verificarne l'efficacia;
   dubbi e rimostranze sono stati espressi da personale medico e da diverse associazioni, come il dottor Eugenio Serravalle, presidente dell'Associazione di studi e informazione sulla salute (AsSIS) per l'introduzione che è apparsa a molti troppo precipitosa di un farmaco, Gardasil, che non ha sperimentazione se non quella che attualmente si sta facendo sulle ragazze e donne dal 2007 ad oggi. L'Associazione di studi e informazione sulla salute (AsSIS) ha lanciato un appello per sospendere la somministrazione di massa del vaccino anti-papilloma in attesa di una valutazione appropriata della letteratura scientifica che avanza dubbi sulla sicurezza e sull'efficacia di questo vaccino;
   la contrarietà al vaccino, e in particolare al farmaco Gardasil, della Sanofi Pasteur MSD, si sta diffondendo per l'insorgenza di presunti gravi danni collaterali verificatisi successivamente la somministrazione dello stesso. Le autorità sanitarie danesi hanno gratuitamente iniettato Gardasil a mezzo milione di ragazze e donne, dai 12 anni in poi, ma più di 1000 sembrano aver riscontrato effetti collaterali, di cui 283 appaiono gravi (Pots, sindrome di CRPS, stanchezza cronica, forti vertigini) e non trovano cure in quanto il sistema sanitario pare non sia riuscito nemmeno ad elaborare diagnosi;
   secondo il documentario danese del canale Tv2 le autorità sanitarie della Danimarca nascondono referti clinici che potrebbero essere decisivi in merito alla correlazione fra il vaccino anti-HPV Gardasil e le malattie riscontrate in diverse ragazze sottoposte alla vaccinazione oggetto di una campagna pubblicitaria che osannava l'efficacia del primo vaccino antitumorale e incoraggiava le famiglie a vaccinare soprattutto le adolescenti;
   l'Istituto sanitario danese ha inviato tutti i referti sulla sindrome di tachicardia posturale ortostatica (Pots) all'Agenzia europea per i medicinali (EMA), chiedendo di stabilire se esiste una correlazione con il Gardasil. A gennaio 2015 l'EMA ha risposto che al momento non era possibile escludere né affermare la correlazione tra somministrazione di Gardasil e Pots. Secondo l'EMA, circa 72 milioni di giovani donne sono state vaccinate con Gardasil dalla sua introduzione in Europa nel 2006. Molte di queste giovani donne hanno riferito di effetti collaterali che vanno dagli svenimenti e malattie autoimmuni ai problemi neuronali, da quelli cardiaci alla stanchezza cronica. Più di 100 ragazze danesi hanno presentato una richiesta di indennizzo per i danni subiti dal Gardasil. Tre di loro, secondo il quotidiano svedese «Svenska Dagbladet», hanno già ricevuto un indennizzo. Se esiste un risarcimento gli interroganti ne deducono che esista anche una responsabilità riconosciuta per il danno arrecato;
   il 17 giugno 2015 la Commissione europea ha autorizzato la commercializzazione di un nuovo prodotto contro l'HPV, Gardasil 9, che dovrebbe essere più efficace rispetto agli altri vaccini in quanto include sette tipi di HPV ad alto rischio (HPV 16, 18, 31, 33, 45, 52 e 58) che causano nel mondo circa il 90 per cento tumori del collo dell'utero, il 90 per cento dei casi di cancro anale HPV correlati e l'80 per cento delle lesioni cervicali di alto grado (lesioni cervicali precancerose definite CIN 2, CIN 3 e AIS);
   i tre i vaccini anti-HPV attualmente sul mercato, tra cui Gardasil, Gardasil 9, e Cervarix sono in fase di revisione sul «profilo sicurezza» da parte dell'EMA;
   secondo l'oncologo Franco Cavalli, nel servizio su Gardasil andato in onda sulla tv svizzera, il tumore al collo dell'utero è diventato addirittura raro in Svizzera e grazie alle campagne preventive (eseguendo ogni 3 anni il pap-test) è quasi sempre guaribile. Tramite la vaccinazione con Gardasil il Governo svizzero punta a prevenire il 79 per cento dei tumori al collo dell'utero, ma i dati sull'efficacia di Gardasil in realtà sono complessi da interpretare. Secondo la testimonianza del ginecologo e chirurgo Jean-Pierre Spinosa le pubblicazioni, le informazioni e gli studi sulla sicurezza del farmaco sono fortemente condizionati dalla casa farmaceutica produttrice del farmaco stesso. Emerge dal servizio che anche il materiale informativo a disposizione dei parlamentari della Confederazione svizzera era essenzialmente quello fornito dalla casa produttrice. Il velocissimo passaggio di un vaccino o farmaco dallo stadio di sviluppo del prodotto all'autorizzazione per il mercato e al rimborso per il Servizio Sanitario Nazionale rappresenta un evento talmente raro in Svizzera che il rapido impiego di Gardasil ha destato meraviglia e sospetto. Chaterine Riva, giornalista elvetica, ha provato a fare chiarezza sulla questione scrivendo un libro su Gardasil e denunciando la poca trasparenza dalla Commissione federale sui vaccini in merito ai rapporti con l'azienda produttrice Sanofi Pasteur e la faziosità dell'informazione svizzera di sostegno alla promozione del prodotto farmaceutico;
   dal servizio su Gardasil emerge altresì che il 2x1000 delle giovani donne sane dopo la vaccinazione avrebbe avuto gli effetti indesiderati gravi: convulsioni, dolore muscolare e debolezza, sindrome di Guillain Barre (GBS), paralisi, infiammazione del cervello, artrite reumatoide, coaguli di sangue, lupus, neurite ottica, sclerosi multipla, ictus, problemi cardiaci e altri gravi problemi di salute, compresa la morte;
   in Italia l'Agenzia italiana del farmaco (AIFA), il Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute dell'Istituto superiore di sanità e le regioni hanno collaborato ad uno studio durato tre anni ed effettuato su un gruppo di ragazze di età compresa tra 9 e 26 anni vaccinate anti-HPV riguardante gli effetti sia del vaccino bivalente, Cervarix, che di quello quadrivalente, Gardasil. Gli studi di sorveglianza riportati nel documento Rivalutazione della vaccinazione anti-HPV a 5 anni dalla sua introduzione del 2014, evidenziano che su 12.990 ragazze, 3.420 vaccinate con il Gardasil e 9.570 con Cervarix, «nella maggior parte dei casi gli effetti collaterali sono stati di lieve o moderata rilevanza clinica». Non si rileva molto rispetto ai rarissimi casi di ragazze che su 12.990 hanno invece avuto problemi gravi, si accenna solo al fatto che la sincope è associabile alla vaccinazione anti-HPV allo stesso modo delle altre vaccinazioni. In conclusione si deduce che entrambi i vaccini anti-HPV sembrerebbero ben tollerati e sicuri, con un profilo sovrapponibile in termini di possibili reazioni avverse. Allo stesso modo l'AIFA specifica sul sito internet che l'uso dei vaccini anti-HPV per il momento non ha evidenziato l'insorgenza di eventi avversi gravi;
   qualora fosse accertato il nesso causale fra la somministrazione di Gardasil o degli altri vaccini anti-HPV e i gravi effetti collaterali riscontrati, seppur rari, gli interroganti ritengono che sarebbe doveroso informare correttamente la popolazione affinché i cittadini possano compiere una scelta consapevole –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto in premessa;
   se intenda avviare un'accurata revisione dei vaccini anti-HPV attualmente autorizzato in Italia per chiarire determinati aspetti concernenti la sua sicurezza;
   se non ritenga che troppo spesso la fase di preautorizzazione si affidi con eccessiva superficialità alla documentazione e ai dati forniti dalle imprese farmaceutiche senza riuscire ad avere accertamenti indipendenti sul reale beneficio ed efficacia se non garanzia per la salute degli stessi e quali iniziative intenda assumere al riguardo. (5-06718)

Interrogazione a risposta scritta:


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, DI VITA, GRILLO, MANTERO, BARONI e COLONNESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nella notte di sabato 17 ottobre 2015 all'ospedale civile di Ragusa una giovane mamma di 23, Ana Bambarakilo, è deceduta dopo aver dato alla luce il suo secondo figlio;
   alle 2,30 del mattino, dopo essere entrata in sala parto, al marito è stato comunicato che il piccolo era stato trasferito in terapia intensiva;
   da fonti giornalistiche emerge che al padre sarebbe stato detto che non c'erano problemi, questi, entrato un attimo in sala parto, avrebbe visto «solo tanto sangue e il vuoto», per poi perdere i sensi;
   sembra che solo alle 4,15 i sanitari abbiano comunicato all'uomo la morte della moglie;
   la magistratura avrebbe sequestrato la cartella clinica, mentre al momento nessun comunicato sarebbe stato diramato in merito dalla direzione ospedaliera –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere al fine di contribuire a fare piena luce sui fatti ed acquisire ogni utile elemento di valutazione al riguardo;
   quali iniziative di competenza il Ministro abbia avviato o intenda avviare al fine di evitare che fatti come quelli accaduti all'ospedale civile di Ragusa non abbiano a ripetersi;
   se sia in grado di fornire i dati nazionali e suddivisi per regione delle donne e neonati morti a seguito o nel corso di parti. (4-10803)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   MORETTO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   alcuni giorni fa sul proprio profilo facebook il dottor Mohammad Talieh Noori, dirigente all'urbanistica del comune di Chioggia, ha, postato un messaggio dal contenuto ingiurioso nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri e del Partito Democratico;
   le espressioni utilizzate dal suddetto dirigente riferite al Presidente del Consiglio sono state «mostro di Firenze», «grullo di Firenze» nonché in riferimento al Pd definendo gli appartenenti a tale partito come «marchettari» e chiudendo il post con una espressione inquietante: «estirpare alla radice questi bugiardi malfattori»;
   Facebook e i social network non sono zone franche per l'utilizzo di questo linguaggio e diverse sentenze della Corte di cassazione hanno precisato come non possa essere invocato a discolpa il diritto di cronaca o di critica;
   i consiglieri comunali del Pd di Chioggia, oltre a chiedere al sindaco di valutare l'opportunità di far permanere in quella responsabilità il suddetto dirigente, hanno annunciato la volontà di adire le vie giudiziarie attraverso la presentazione di una querela;
   nel caso di cui in premessa si è in presenza di un soggetto titolare di un contratto a termine pagato dall'amministrazione comunale di Chioggia il quale esercita appunto una funzione «pubblica»;
   il sindaco ha annunciato come riportato testualmente dagli articoli di stampa di «voler fare delle verifiche e poi vedremo il da farsi» –:
   di quali elementi dispongano in relazione a quanto esposto in premessa e se non intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a evitare che si ripetano casi come quello descritto, in particolare con riferimento a esternazioni ed espressioni che vadano al di là dell'esercizio della libertà di critica e che provengano da pubblici funzionari. (4-10797)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   a partire dal 2013 sono stati convocati quattro tavoli tecnici presso il Ministero dello sviluppo economico, per discutere circa le problematiche del settore della microelettronica (settore che ha visto negli ultimi anni uno spostamento del fulcro della produzione e dei consumi mondiali di elettronica sull'asse del Pacifico, a discapito del mercato europeo) e già dal primo incontro risultava evidente come da un lato il mercato della microelettronica in Italia risultasse marginale rispetto al resto dell'Europa a causa del valore di tale settore (il cui valore ammonta circa ad 1 miliardo di euro rispetto ai 38 miliardi di quello europeo e i 230 miliardi di euro di quello globale) e, dall'altro, come nel territorio italiano vi fossero realtà industriali che competevano ad alto livello sul mercato mondiale (STM primo in Europa e settimo nel mondo e Micron, con 3.000 addetti);
   nei tre successivi tavoli svoltisi nel 2014 a poca distanza tra loro, le organizzazioni sindacali, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, le regioni interessate (Abruzzo, Campania, Sicilia e Lombardia), l'Anie, l'Associazione delle imprese elettrotecniche ed elettroniche e il viceministro dello sviluppo economico, hanno convenuto sulla necessità di un piano strategico per lo sviluppo del settore microelettronico in Italia, al fine di rilanciare la competitività sul mercato globale delle imprese presenti sul territorio nel settore dei componenti elettronici;
   lo strumento proposto per realizzare tali obiettivi è stato individuato in un documento, la cui prima bozza doveva essere definita entro il 2014, che contenesse le strategie e definisse gli strumenti per avviare concretamente le attività legate a questi tavoli;
   nonostante l'impegno dimostrato dal Governo nell'ultimo tavolo tenutosi nel settembre 2014, dove appunto veniva annunciato entro pochi mesi la redazione del documento strategico nel settore della microelettronica finalizzato al rilancio dello stessa, non si hanno ancora notizia circa lo stato di avanzamento dello stesso;
   il quadro sul settore della microelettronica risulta inoltre oggi ancora più complicato alla luce:
    a) dell'annuncio, contenuto nel documento di economia e finanze presentato nell'aprile del 2015 dal Governo, nella parte dedicata alle «privatizzazioni», circa il completamento in corso della preparazione della cessione della partecipazione detenuta in St, da operarsi nei confronti di un soggetto pubblico, individuato nel Fondo strategico italiano;
    b) del mercato mondiale che vede concorrenti sempre più forti nel settore della microelettronica;
   sul primo punto già le organizzazioni sindacali nell'ultimo tavolo organizzato, avevano espresso preoccupazione nei confronti di tale cessione evidenziando infatti come fosse necessaria la conferma del controllo pubblico paritetico tra Italia e Francia del gruppo STMicroelectronics (che vede oggi la Francia pronta a rilanciare il settore a spese dei siti italiani), specialmente in un momento in cui la situazione dell'azienda è caratterizzata da una contrazione del fatturato, da una consistente perdita in alcuni settori e da un'importante perdita di quote di mercato, con il risultato di essere scesa – nel ranking mondiale – all'undicesimo posto;
   sul versante del mercato mondiale, la microelettronica sta inoltre subendo la forte competizione di aziende dell'estremo oriente e statunitensi che ormai si accingono ad essere i Paesi leader nel settore: basti pensare alla Corea del Sud, dove è nata la Samsung, o al Giappone, dove si investe nella ricerca e sviluppo una cifra pari ad oltre il 3 per cento del prodotto interno lordo, o agli Usa e (per tornare in Europa) alla Germania che ne investono oltre il 2 per cento;
   in confronto ai paesi sopra riportati, l'Italia risulta il fanalino di coda dei Paesi dell'Ocse con una spesa di poco superiore all'1 per cento –:
   se il Ministro interpellato ritenga necessario un intervento imminente sul settore della microelettronica, anche in vista del programma Horizon 2020 che potrebbe vedere l'Italia beneficiare di finanziamenti europei nel settore, e a che punto si trovi la redazione del documento strategico per il rilancio della microelettronica come promesso nel tavolo tecnico del 2014.
(2-01132) «Currò, Parrini, Pelillo, Petrini, Patriarca, Piccione, Dallai, Senaldi, Berretta, Greco, Ginoble, Iacono, Ginato, Falcone, Impegno, Tentori, Moretto, Albanella, Burtone, Rampi, Quartapelle Procopio, Ribaudo, Sanga, Manfredi, Camani, Crimì, D'Arienzo, Fanucci, Realacci, Scuvera, Sbrollini, Vecchio, Rizzetto, Pastorelli, Gullo, Pagano».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIPPA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nell'aprile 2011 (con la delibera ARG/gas 45/11), l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI) ha introdotto il mercato del bilanciamento di merito economico, basato su criteri di mercato del gas naturale;
   tale nuovo meccanismo prevede una piattaforma a livello centrale, gestita in modo terzo e neutrale dal Gestore dei mercati energetici (GME), accessibile a tutti gli operatori oltre che a Snam, responsabile del bilanciamento fisico della rete;
   l'obiettivo di questo nuovo sistema è quello di accrescere la trasparenza del mercato all'ingrosso, la concorrenza e l'efficienza per effetto dell'introduzione di meccanismi che promuovano la flessibilità e la liquidità e consentano di far emergere segnali di prezzo che riflettano l'effettivo valore del gas;
   la delibera prevede un sistema di garanzie «a copertura dell'esposizione del sistema nei confronti dell'utente» che Snam dovrebbe introdurre nel Codice di rete;
   il Codice di rete è il documento che contiene le regole per l'accesso e l'erogazione dei servizi di rete;
   l'articolo 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 maggio 2004 prescrive la redazione di codici di rete coerenti con i principi di gestione imparziale e neutrale delle infrastrutture sanciti dalle direttive Ue per le attività di trasmissione e dispacciamento dell'energia elettrica, trasporto e dispacciamento del gas, rigassificazione del GNL e stoccaggio del gas (articolo 24 e 12 del decreto legislativo 164 del 2000);
   i codici sono redatti dai gestori delle reti e per diventare operativi devono essere verificati dall'Autorità;
   prima dell'avvio operativo del nuovo sistema (il 1o dicembre 2011, termine ultimo fissato dall'Autorità), il Regolatore ha approvato un pacchetto di garanzie che dovevano essere fornite dagli operatori che vorranno partecipare al bilanciamento di merito economico;
   nello specifico, le garanzie sono state presentate da Snam in quanto soggetto responsabile del bilanciamento a livello tecnico e approvate dall'Autorità con la delibera ARG/gas 155/11;
   con un successivo provvedimento, l'Autorità ha previsto alcune misure specifiche per assicurare agli operatori un'applicazione graduale delle medesime garanzie (delibera ARG/gas 165/11);
   il 6 dicembre 2011 un operatore ha proposto ricorso in merito alle garanzie sopracitate al Tar (seguito da altri in pochi giorni) che ha concesso la sospensiva;
   per effetto di tale sentenza tutti i partecipanti al mercato del bilanciamento sono stati esentati dall'obbligo di prestare garanzie finanziarie a copertura di eventuali insolvenze;
   l'AEEGSI ha presentato ricorso contro la decisione del Tar al Consiglio di Stato e, in attesa dell'esito del ricorso, ha approvato un provvedimento «di emergenza» in data 27 dicembre 2011 (delibera ARG/gas 192/11), che ha abbreviato i tempi dei pagamenti;
   nel dettaglio, l'intervento di AEEGSI sopracitato mirerebbe a ridurre il possibile ambito di comportamenti fraudolenti nonostante di fatto non possa sostituire il sistema di garanzie;
   con la delibera ARG/gas 192/11 il regolatore ha quindi adottato misure per «limitare l'ambito dei possibili pregiudizi per il sistema e il mercato del gas naturale derivante dalla sospensione delle garanzie a copertura del bilanciamento», così come aveva annunciato all'indomani della decisione del Tar del 6 dicembre 2011;
   a questo scopo l'AEEGSI ha disposto la riduzione dei tempi di determinazione delle partite economiche per il bilanciamento e il relativo pagamento, ferma restando la possibilità di dare in alternativa garanzie;
   in sintesi, la delibera prevede che Snam rete gas provveda alla regolazione delle partite economiche secondo le disposizioni del proprio Codice di rete, con tempi tuttavia più stretti: «relativamente al saldo netto delle partite economiche per il bilanciamento, determinate sulla base dei bilanci di trasporto provvisori, che evidenzi un debito nei confronti del responsabile del bilanciamento sono richiesti pagamenti in acconto, con cadenza quindicinale», in luogo della fatturazione mensile;
   il termine per i pagamenti sarebbe quindi di 5 giorni lavorativi dalla data di richiesta;
   rimarrebbe tuttavia valida, come già accennato, la possibilità di presentare garanzie nella forma di deposito cauzionale: garanzia bancaria a prima richiesta, gas in giacenza in stoccaggio, valorizzato ad un prezzo pari all'ultimo valore disponibile della componente relativa alla commercializzazione all'ingrosso ridotto del 10 per cento rating creditizio, lettera di garanzia societaria emessa dalla società controllante in possesso di «rating creditizio»;
   anche contro la delibera ARG/gas 192/11 alcuni operatori hanno presentato ricorsi che, in parte, sarebbero stati accolti;
   il Tar della Lombardia ha quindi confermato la sospensiva sulle garanzie per il mercato di bilanciamento gas fino all'udienza di merito del 4 ottobre 2012, in relazione alle delibere ARG/gas/155/11, 165/11 e 192/11;
   l'AEEGSI ha presentato nuovamente ricorso contro le citate ordinanze di sospensiva anche in considerazione del fatto che, senza le garanzie, gli eventuali debiti insoluti degli utenti del bilanciamento sarebbero stati a carico della tariffa di trasporto, facilitando così i comportamenti speculativi degli operatori che vendono gas senza essere titolari dei contratti di approvvigionamento;
   in data 17 febbraio 2012, Snam rete gas ha posto in consultazione la nuova proposta sul sistema di bilanciamento;
   la società ha però precisato che ulteriori modifiche sarebbero potute arrivare proprio in conseguenza delle ordinanze del Tar della Lombardia;
   il sistema di fatturazione previsto dalla delibera ARG/gas 192/11, che prevede il pagamento entro 15 giorni, rimane infatti in vigore considerando che su questo il Tar aveva respinto la richiesta di sospensiva dei due operatori (delibera ARG/gas 181/12);
   tuttavia, anche contro il provvedimento sopracitato, è stato proposto ricorso da parte di un operatore;
   nel lasso di tempo in cui le garanzie sono state sospese per effetto delle sentenze del Tar e del Consiglio di Stato, un piccolo gruppo di operatori, definiti dalla stampa «i Furbetti del Gas» (si cita su tutti l'articolo pubblicato in data 21 febbraio 2013 nella sezione «Economia» del sito de «Il Corriere della Sera»), non ha proceduto al pagamento a Snam delle fatture per un valore di alcune centinaia di milioni di euro;
   non appena Snam a segnalato l'ammanco all'Autorità (in data 20 giugno 2012), il Regolatore ha avviato un'istruttoria conoscitiva (delibera 282/2012/R/gas) per verificare le responsabilità dei diversi soggetti coinvolti nel periodo che va dal 1o dicembre 2011 al 31 maggio 2012, cioè nel periodo in cui il sistema di bilanciamento ha operato in assenza del sistema di garanzia seguito della sua sospensione da parte del giudice amministrativo;
   il periodo oggetto di istruttoria è stato poi esteso fino al 23 ottobre 2012 con la delibera 444/2012/R/gas;
   nell'ambito dell'istruttoria (avviata con la delibera 282/2012/R/gas) sono state acquisite informazioni relative alle modalità di regolazione delle partite economiche del bilanciamento e ad anomalie anche connesse con il sistema di garanzie;
   in particolare si legge nella delibera 444/2012/R/gas che «è emerso che la validità delle garanzie fornite al responsabile del bilanciamento è stata disconosciuta dall'istituto emittente»;
   nella delibera 321/2012/R/gas, l'AEEGSI ha quantificato per tale periodo i crediti non riscossi da Snam, comprensivi degli interessi, in circa 284 milioni di euro;
   con la successiva delibera 351/2012/R/GAS, il Regolatore ha stabilito che sia riconosciuto al responsabile del bilanciamento un ammontare massimo pari a 280 milioni di euro per i crediti non riscossi e che tale cifra sia erogata dalla Cassa conguaglio per il settore elettrico in 36 rate mensili;
   in base alla delibera dell'AEEGSI sopracitata, la Cassa conguaglio farà fronte all'esborso grazie al corrispettivo unitario variabile «CVBL», applicato sul gas immesso in rete a decorrere dal 1o ottobre 2012, il cui valore è posto in 0,001 euro/Smc;
   tali misure sono dunque necessarie per ripianare l'ammanco che si è venuto a creare nel mercato del bilanciamento;
   nel sistema originariamente introdotto, l'organizzazione poggiava su due pilastri: da un lato, erano state previste solide garanzie anti-speculazione e, dall'altro, era stato previsto che sarebbe stato il sistema a far fronte ad eventuali ammanchi minimali che potessero sfuggire ai paletti imposti attraverso il sistema stesso di garanzie;
   con la delibera 351/2012/R/gas, nell'adottare tali misure, il Regolatore ha sottolineato l'importanza di «limitare l'incidenza sull'equilibrio economico e finanziario degli operatori, nonché l'impatto sui clienti finali e, in particolare, dei clienti aventi diritto al servizio di tutela, anche in ragione dei benefici ottenibili dai recuperi dei crediti anticipati»;
   nel quantificare l'ammanco, inoltre, l'AEEGSI ha precisato che «la quantificazione degli importi da riconoscere non tiene conto degli esiti dell'istruttoria e dei potenziali versamenti relativi ai crediti recuperati relativi agli importi precedentemente anticipati dalla Cassa»;
   come anche ripreso da diverse testate giornaliste (su tutte si cita l'articolo pubblicato sul sito de «Il Corriere della Sera» dal titolo «I “furbetti” alla Borsa del gas, 300 milioni di buco da coprire» in data 17 agosto 2012 a firma Stefano Agnoli), tra gli utenti morosi rientravano anche le società del Gruppo Fisi (Exergia S.p.A. e Service S.r.l.), facente capo all'imprenditore astigiano Marco Marenco;
   nello specifico, a seguito della chiusura dell'istruttoria conoscitiva, avvenuta con la delibera 144/2013/E/gas, è stato acquisito come atto conclusivo della stessa istruttoria, il resoconto degli uffici dal quale è emerso che Exergia S.p.A.;
   per i mesi da aprile a giugno 2012, non avrebbe versato all'impresa di trasporto i corrispettivi dovuti (come determinati dal combinato disposto degli articoli 16, comma 2 e 17 della delibera n. 137/02);
   per i mesi da aprile a giugno 2012, non avrebbe utilizzato il servizio di bilanciamento per porre rimedio ai fisiologici disequilibri, in contrasto con le finalità dell'istituto;
   in particolare, tale ultima condotta è stata ulteriormente aggravata dalla stipula da parte di Exergia S.p.A., in proprio e/o per conto della società Speia S.r.l., di contratti di cessione di gas all'estero, muniti di clausole, che hanno esposto, in assenza del sistema di garanzie, il sistema nazionale del gas a copertura degli inadempimenti degli obblighi derivanti dagli stessi contratti;
   la condotta è stata inoltre aggravata dall'avvenuta interposizione, nell'ambito del medesimo gruppo societario, di Exergia S.p.A., in qualità di utente del servizio di trasporto, in sostituzione dell'inadempiente Service S.r.l. subito dopo la risoluzione del suo contratto di trasporto (avvenuta in data 1o maggio 2012); meccanismo, quest'ultimo mediante il quale è stata mantenuta una continuità nell'esecuzione fisica dei propri contratti di fornitura, eludendo gli strumenti a disposizione di Snam a tutela dell'integrità del sistema;
   pertanto, con la delibera 151/2013/S/gas, l'AEEGSI ha avviato un procedimento sanzionatorio nei confronti di Exergia S.p.A. conclusosi con la delibera 471/2014/S/gas, con cui sono state accertate le violazioni da parte della medesima società e l'irrogazione di una sanzione pari a 1.745.000 euro;
   AEEGSI ha altresì avviato, con la delibera 149/2013/S/gas, un procedimento sanzionatorio contro Service S.r.l.;
   anche in questo caso, le contestazioni hanno riguardato quanto emerso all'esito dell'istruttoria conoscitiva a carico della società, rilevando che Service S.r.l., per i mesi da gennaio a maggio 2012, non avrebbe versato all'impresa di trasporto i corrispettivi dovuti e, per i mesi da dicembre 2011 ad aprile 2012, non avrebbe usato il servizio di bilanciamento per porre rimedio ai fisiologici disequilibri, in contrasto con le finalità dell'istituto;
   in particolare, la condotta è stata ulteriormente aggravata – anche in questo caso – dalla stipula da parte di Service S.r.l., in proprio e/o per conto della società Speia S.r.l., di contratti di cessione di gas all'estero muniti di clausole che hanno esposto, in assenza del sistema di garanzie, il sistema nazionale del gas a copertura degli inadempimenti degli obblighi derivanti dagli stessi;
   anche in tal caso AEEGSI ha tenuto conto della già descritta interposizione di Exergia S.p.A. in qualità di utente del servizio di trasporto, in sostituzione dell'inadempiente Service S.r.l.;
   accertate le violazioni, l'Autorità ha irrogato a Service S.r.l. una sanzione amministrativa pecuniaria pari a 3.016.000 euro (delibera 241/2014/S/gas);
   con la delibera 91/2013/S/gas AEEGSI ha avviato un procedimento per l'adozione di provvedimenti prescrittivi nei confronti delle società Speia S.p.A. (altra società del gruppo FISI) e Stogit S.p.A. rispetto a possibili anomalie nella gestione dei prelievi di gas da riserva strategica nell'anno termico di stoccaggio 2010-2011;
   l'Autorità ha evidenziato che, nell'ambito dell'istruttoria avviata tra luglio e ottobre 2012, sulle anomalie nel sistema di bilanciamento, Service S.r.l. ha segnalato «presunte condotte abusive» nei confronti di Speia (entrambe le società del Gruppo Fisi) da parte di Stogit;
   questa società avrebbe «tenuto un comportamento immotivatamente rigido e non collaborativo (potenzialmente contrario ai canoni di correttezza e buona fede)», volto ad impedire a Speia di reintegrare i volumi di stoccaggio strategico prelevati nel 2010/2011 per far fonte alle esigenze di approvvigionamento (meccanismo previsto prima dell'adozione del sistema del bilanciamento);
   per contro, Stogit ha sostenuto che la controllata del Gruppo Fisi non ha pagato quanto dovuto «ponendo in essere condotte dilatorie e contestazioni strumentali, volte a usare il gas di sistema senza pagarlo o restituirlo in natura». Per Stogit, quelle di Speia sarebbero state solo «dichiarazioni di intenti» alle quali «non avrebbe mai dato concretamente seguito»;
   tale procedimento è stato chiuso con la delibera 463/2013/E/gas, ponendo a carico della società Speia circa 230 milioni di euro per non aver reintegrato 11,452 GJ (pari a circa 290 milioni mc) di gas da stoccaggio strategico relativo all'anno termico 2010/2011;
   inoltre, l'Autorità ha deciso di chiedere al Ministero dello sviluppo economico, ai sensi dell'articolo 7, comma 2, del decreto ministeriale 26 settembre 2001, la revoca delle autorizzazioni ad operare per Speia –:
   quali seguiti abbia dato il Ministero dello sviluppo economico alla segnalazione dell'Autorità di cui in premessa relativamente alla revoca delle autorizzazioni ad operare per la società Speia;
   se il Governo non ritenga, per una maggior tutela del consumatore, di assumere iniziative normative affinché, in casi analoghi a quello descritto in premessa, le somme relative a crediti non riscossi siano corrisposte direttamente e prioritariamente dal distributore coinvolto invece che dalla Cassa conguaglio;
   se i Ministri interrogati dispongano di informazioni circa i crediti recuperati dalle società facenti riferimento al signor Marenco e possano fornire un approfondito resoconto al riguardo;
   se i Ministri interrogati abbiano assunto iniziative volte a recuperare i fondi versati alle società summenzionate e allo stesso signor Marenco;
   se e quanta parte delle somme anticipate dalla Cassa conguaglio siano state recuperate attraverso un incremento delle bollette dei consumatori;
   se siano state assunte iniziative volte a creare contromisure in grado di evitare nuovi casi come quelli descritti in premessa e, in caso affermativo, quali.
(5-06721)

Apposizione di una firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Alli e altri n. 1-00956, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Locatelli e contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Alli, Quartapelle Procopio, Locatelli, Lupi, Cicchitto, Amendola, Nicoletti, Chaouki, Pagano».

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Ravetto e Brunetta n. 1-00989, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Palese.

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Romanini e altri n. 4-10633, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Cova, Luciano Agostini, Carra, Terrosi, Oliverio, Antezza, Mongiello, Lavagno, Taricco, Catania, Capozzolo, Anzaldi, Albanella, Fiorio, Gadda.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato dell'interrogazione a risposta scritta Paglia n. 4-10637, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 497 del 7 ottobre 2015.

   PAGLIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   trapelano molte indiscrezioni, voci e dichiarazioni riguardo alla possibile cessione della Versalis, società chimica dell'ENI, che danno per certa questa operazione con tutte le possibili conseguenze sull'industria chimica del nostro Paese;
   le organizzazioni sindacali Filctem Cigl, Femca Cisl e Uiltec Uil di Ravenna richiedono al più presto che le voci e le indiscrezioni che si susseguono da diversi giorni siano chiarite nelle sedi opportune. A oggi si è creata una inaccettabile situazione di allarme e di incertezza tra i lavoratori inaccettabile. È quindi necessario e urgente un chiarimento da parte di ENI alle tante domande che le organizzazioni sindacali e i lavoratori di Versalis si pongono sul loro futuro;
   un'eventuale uscita di ENI dal settore della chimica nazionale sarebbe dannoso al sistema Italia; in un momento di profonda crisi industriale del Paese è fondamentale che una grande azienda a vocazione industriale come Eni, nata in Italia e resa grande nel mondo dal lavoro e sacrificio di tanti italiani, consolidi e rafforzi la presenza in un settore strategico come la chimica, fondamentale per il Paese;
   come sottolineato molti analisti, occorre consolidare piuttosto che ridurre gli investimenti da parte di aziende come ENI sul territorio nazionale anche per offrire sbocchi occupazionali alle giovani generazioni –:
   se risultino rispondenti al vero le voci che danno per imminente il disimpegno di ENI dal settore chimico in Italia;
   se non si intenda convocare urgentemente un tavolo di confronto fra Governo, le segreterie nazionali di Filctem, Femca e Uiltec ed ENI al fine di fare chiarezza sul quadro complessivo della situazione, determinare velocemente la prospettiva delle strategie dell'azienda Versalis fondamentale per l'industria chimica del nostro Paese e assicurare condizioni di garanzia per il futuro dei lavoratori. (4-10637)

  Si pubblica il testo riformulato dell'interrogazione a risposta in Commissione Valiante n. 5-06686, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 504 del 16 ottobre 2015.

   VALIANTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 107 del 2015 (La Buona Scuola) ha introdotto e attivato un processo di innovazioni e di sperimentazioni che vedono coinvolte le scuole in un importante e imponente lavoro progettuale e di pianificazione annuale e triennale;
   le novità introdotte, come l'organico del potenziamento e il piano triennale dell'offerta formativa, hanno innescato processi e scadenze legati ad una tempistica incalzante che richiede rispetto delle indicazioni normative e responsabilità nella trasmissione dati, da cui dipendono destinazione di risorse e nuove assunzioni di personale;
   la concomitanza di numerose e importanti scadenze ha indotto il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca stesso a rivedere alcune scadenze e correre ai ripari per dare alle scuole maggiore serenità nell'attività di pianificazione (ad esempio il rinvio della presentazione del piano triennale offerta formativa dal 31 ottobre 2015 – scadenza originaria – al 16 gennaio 2016, ad esempio il rinvio dei bandi per l'alternanza scuola-lavoro dal 14 ottobre 2015 – scadenza originaria – al 21 ottobre 2015, ad esempio il bando per la realizzazione di laboratori territoriali rinviato dal 7 ottobre 2015 – scadenza originaria – al 16 ottobre 2015, la pubblicazione del rapporto di autovalutazione – RAV – dal 30 settembre 2015 al 10 ottobre 2015);
   viene rilevata e segnalata da molte scuole una persistente attività del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca nel pubblicare bandi di notevole importanza per la qualità dell'offerta formativa delle scuole e che i medesimi bandi, pur richiedendo una complessa attività di progettazione, di coinvolgimento territoriale e di passaggi formali negli organi collegiali, impongono scadenze che appaiono improbabili, come ad esempio il bando per le attività teatrali nelle scuole, pubblicato il 12 ottobre 2015, con scadenza 19 ottobre (bando per candidature e importi anche di centinaia di migliaia di euro per ogni scuola o rete di scuole) o ancora il bando importantissimo per l'educazione motoria nelle scuole pubblicato il 12 ottobre 2015 con scadenza 19 ottobre, bandi entrambi rettificati dal Miur, che ne ha prorogato la scadenza, riconoscendo la inadeguatezza dei tempi originariamente assegnati;
   la esiguità dei tempi utili alla candidatura genera insofferenza ed equivoci sulla capacità del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dell'apparato amministrativo di garantire l'uguaglianza delle scuole di fronte alle opportunità dei bandi pubblicati, causando negli ambienti scolastici la percezione che scadenze così repentine scoraggino invece che promuovere la partecipazione delle scuole –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere, affinché i bandi ministeriali che richiedano attività progettuale, responsabilità collegiale e coinvolgimento di attori istituzionali presentino termini di scadenza congrui e adeguati alla attività progettuale richiesta, stabilendo tempi di scadenza non inferiori ai 20/30 giorni.
(5-06686)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Catalano n. 4-10151 del 5 agosto 2015;
   interrogazione a risposta scritta Daga n. 4-10603 del 6 ottobre 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Catalano n. 5-06592 del 7 ottobre 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Dadone n. 5-06644 del 14 ottobre 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Galgano n. 5-06701 del 16 ottobre 2015.

ERRATA CORRIGE

  Nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 19 ottobre 2015, n. 505, si intendono soppresse:
   alla pagina 29848, seconda colonna, la riga decima;
   alla pagina XII, alla prima colonna, le righe dalla undicesima alla quarantaseiesima e, alla seconda colonna, le righe dalla prima alla cinquantesima.