Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 19 ottobre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


  La Camera,
   premesso che:
    la direttiva 2009/128/CE costituisce uno dei quattro provvedimenti legislativi adottati a livello comunitario nel cosiddetto «Pacchetto Pesticidi» – Pesticide Package (regolamento (CE) n. 1107/2009 relativo all'immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari; regolamento (CE) n. 1185/2009 relativo alle statistiche sui prodotti fitosanitari; direttiva 2009/127/CE relativa alle macchine per l'applicazione dei prodotti fitosanitari) per dare attuazione alla strategia tematica per l'uso sostenibile degli agrofarmaci prevista dal sesto programma quadro comunitario di azione per l'ambiente;
    tale intervento di regolazione è nato dall'esigenza di normare ed armonizzare l'uso degli agrofarmaci, fino ad allora delegato alle normative dei singoli Stati membri, con l'obiettivo di istituire un quadro per «realizzare un uso sostenibile degli agrofarmaci riducendone i rischi e gli impatti sulla salute umana e sull'ambiente promuovendo anche l'uso della difesa integrata»;
    essa è volta ad armonizzare e normare i diversi ambiti che sono collegati alla fase d'uso degli agrofarmaci quali la formazione, l'ispezione delle attrezzature, la difesa integrata delle colture, la tutela dell'ambiente acquatico e delle aree specifiche, la manipolazione e lo stoccaggio degli agrofarmaci nonché il trattamento degli imballaggi e delle rimanenze;
    la direttiva 2009/128/CE, recepita in Italia con il decreto legislativo n. 150 del 2012, prevede che il singolo Stato membro adotti il proprio piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (Pan) per dare attuazione nel contesto nazionale agli obiettivi comunitari armonizzando tempistiche e metodologie;
    il piano di azione, adottato in Italia con decreto ministeriale del 22 gennaio 2014, nel regolamentare l'utilizzo dei prodotti fitosanitari, prevede tutta una serie di misure specifiche per la tutela dell'ambiente acquatico e dell'acqua potabile e per la riduzione dell'uso di tali prodotti in aree specifiche quali la rete ferroviaria e stradale, le aree frequentate dalla popolazione e le aree naturali protette;
    il piano di azione prevede limitazioni molto stringenti che vanno dal divieto di trattamenti erbicidi in tutte le zone frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili, quali, ad esempio, parchi e giardini pubblici, campi sportivi, aree ricreative, cortili e aree verdi nelle scuole, alla riduzione/eliminazione per quanto possibile dell'uso dei prodotti fitosanitari sulle e lungo le linee ferroviarie e le strade, ricorrendo a mezzi alternativi (meccanici, fisici e biologici), fino alla promozione dell'uso del diserbo meccanico e fisico in tutti i casi in cui esso possa sostituire il diserbo chimico, specialmente su scarpate ferroviarie o stradali adiacenti alle aree abitate o frequentate dalla popolazione, aree limitrofe ai ponti e alle stazioni di servizio lungo strade e autostrade con annessi punti di ristoro;
    l'autorizzazione all'immissione in commercio dei prodotti fitosanitari è uniformemente disciplinata dal regolamento (CE) n. 1107/2009;
    il regolamento ha introdotto un sistema di autorizzazione a zone, nuove tempistiche dei processi autorizzativi (24 mesi), l'applicazione di criteri di esclusione a priori («cut off criteria») per la valutazione delle sostanze attive e un meccanismo di valutazione comparativa per i formulati esistenti; gli ultimi due punti nel tempo comporteranno l'esclusione dalla commercializzazione di alcuni prodotti, e la «candidatura alla sostituzione» di altri;
    per quanto riguarda il sistema di autorizzazione, il regolamento prevede la suddivisione del continente in tre zone e il principio del «mutuo riconoscimento», delegando la valutazione degli studi scientifici, presentati a supporto della domanda di autorizzazione, a un solo Paese relatore, che valuta e autorizza per primo la circolazione del prodotto fitosanitario. Gli altri Stati membri devono adeguarsi, mantenendo comunque la facoltà di fissare restrizioni;
    riguardo al «principio di sostituzione», il regolamento prevede che, laddove una sostanza attiva venga approvata per un periodo di sette anni come «candidata» alla sostituzione, i prodotti fitosanitari che la contengono sono sottoposti a una valutazione comparativa (o comparative assessment), con altri prodotti contenenti sostanze simili già approvate e che presentino rischi minori per la salute e per l'ambiente, a condizione che queste ultime mostrino pari efficacia contro le avversità da controllare;
    a marzo 2015, la Commissione europea ha pubblicato una lista di 77 sostanze attive candidate alla sostituzione;
    le autorizzazioni eccezionali sono una procedura prevista dal regolamento (CE) n. 1107/2009, all'articolo 53, con lo scopo di dotare il singolo Stato di uno strumento per la soluzione di problematiche di natura non prevedibile a fronte di patologie non trattabili con prodotti già autorizzati o con strumenti alternativi;
    nel nostro Paese le colture minori, così dette perché si tratta di coltivazioni che non raggiungono grandi superfici né elevate produzioni, rappresentano una caratteristica peculiare del sistema agro-alimentare, ne sono un esempio quelle relative a: mandorlo, noce, ciliegio, melanzana, cavoli, prezzemolo, basilico e sedano;
    le colture minori, proprio in considerazione delle limitate superfici coltivate, hanno difficoltà a trovare prodotti ad hoc; è per questo motivo che il regolamento (CE) n. 1107/2009 prevede all'articolo 51 una specifica procedura per l'estensione delle autorizzazioni per usi minori ma spesso i tempi sono eccessivamente lunghi;
    la direttiva europea e il piano di azione nazionale incoraggiano l'adozione della gestione integrata delle colture (conosciuta a livello internazionale come gestione integrata delle colture – integrated crop management o ICM), in quanto i sistemi agricoli che fanno uso delle tecniche di gestione integrata delle colture soddisfano i tre criteri di sviluppo agricolo sostenibile: redditività economica, accettazione sociale e compatibilità ambientale;
    con essa si punta a ottimizzare l'utilizzo delle risorse e dei mezzi tecnici sia per conseguire produttività, sia per conservare le risorse ambientali. La gestione integrata è una strategia a lungo termine che viene adattata alle locali condizioni del terreno e del clima e coinvolge tutto il processo produttivo: dalla scelta delle sementi alla cura delle colture e del suolo, dal corretto stoccaggio dei prodotti fino al riutilizzo del rifiuto e alla produzione di energia rinnovabile;
    inoltre, una formazione costante è essenziale per l'uso efficace e responsabile degli agrofarmaci ed è un requisito indispensabile per garantire l'applicazione delle buone pratiche agricole: la qualità dell'utilizzo degli agrofarmaci potrà migliorare se tutti gli utilizzatori professionali saranno formati;
    ma la formazione deve coinvolgere anche gli utilizzatori non professionali, che devono essere informati sul corretto impiego dei prodotti a essi destinati, e i distributori, sia perché forniscono consulenza agli agricoltori e sia perché essi stessi manipolano, trasportano e gestiscono grosse quantità di agrofarmaci;
    occorre, quindi, definire al più presto una lista di soggetti destinatari della formazione utile a orientare anche percorsi formativi;
    secondo i dati forniti da Agrofarma a livello europeo (UE 28) il mercato degli agrofarmaci ha fatto segnare, nel 2013, un aumento in valore del 4,8 per cento rispetto all'anno precedente, passando da 8,3 a 8,7 miliardi di euro. A livello mondiale, nel 2013, il mercato degli agrofarmaci ha fatto segnare un aumento in valore del 16 per cento rispetto al 2012, passando da 49,5 a 54,2 miliardi di dollari;
   in Italia sono circa 400 le sostanze attualmente utilizzate in agricoltura e nel 2012 sono state vendute 134.242 tonnellate di prodotti fitosanitari (Istat, 2013);
    uno degli obiettivi fondamentali del piano di azione nazionale riguarda la riduzione del rischio di inquinamento da fitofarmaci delle acque superficiali e sotterranee, conseguente a drenaggio e fenomeni di deriva;
    nel «Rapporto nazionale pesticidi nelle acque. Dati 2011-2012. Edizione 2014» l'Ispra rileva che nel 2012 nelle acque sono state registrate 175 diverse sostanze – un numero più elevato degli anni precedenti – e in alcune rilevazioni fino a 36 sostanze contemporaneamente;
    sono stati monitorati 3.500 punti di campionamento e 14.250 campioni. Nelle acque superficiali sono stati trovati pesticidi nel 56,9 per cento dei 1.355 punti controllati. Nelle acque sotterranee è risultato contaminato il 31 per cento dei 2.145 punti esaminati;
    le concentrazioni misurate sono spesso basse, ma il risultato complessivo indica un'ampia diffusione della contaminazione. I livelli sono generalmente più bassi nelle acque sotterranee, ma residui di pesticidi sono presenti anche nelle falde profonde naturalmente protette da strati geologici poco permeabili;
    gli erbicidi sono le sostanze rinvenute più spesso e rispetto al passato è aumentata significativamente la presenza di fungicidi e insetticidi, soprattutto nelle acque sotterranee;
    l'Ispra sottolinea la necessità di un aggiornamento complessivo dei programmi di monitoraggio, che oggi non tengono conto delle sostanze immesse sul mercato in anni recenti. Circa 200 sostanze di quelle attualmente in uso non sono incluse nei programmi di monitoraggio, 44 di queste sono classificate pericolose, in particolare 38 sono pericolose per l'ambiente acquatico;
    nel rapporto viene trattato il tema delle miscele di sostanze. La valutazione di rischio, infatti, nello schema tradizionale considera gli effetti delle singole sostanze e non tiene conto dei possibili effetti delle miscele che possono essere presenti nell'ambiente. C’è la consapevolezza, sia a livello scientifico, sia nei consessi regolatori, che il rischio derivante dalle sostanze chimiche sia attualmente sottostimato;
    maggiori attenzioni e approfondimenti in relazione agli effetti della poliesposizione chimica sono auspicati in particolare a livello di Unione europea (Consiglio dell'Unione europea 17820/09). Nel 2012 sono state pubblicate le conclusioni di tre comitati scientifici della Commissione europea sulla tossicità delle miscele. In particolare, nel documento si afferma che esiste un'evidenza scientifica per cui l'esposizione contemporanea a diverse sostanze chimiche può, in determinate condizioni, dare luogo ad effetti congiunti che possono essere di tipo additivo, ma anche di tipo sinergico, con una tossicità complessiva più elevata di quella delle singole sostanze. Nel documento, inoltre, si evidenzia come principale lacuna la limitata conoscenza riguardo alle modalità con cui le sostanze esplicano i loro effetti tossici sugli organismi,

impegna il Governo:

   a dare piena attuazione agli atti e alle misure previste dal piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e dal decreto legislativo n. 150 del 2012;
   a promuovere il costante dialogo tra tutti i soggetti chiamati ad applicare il piano di azione nazionale al fine di garantire uniformità nelle disposizioni attuate sul territorio italiano;
   ad aggiornare – secondo quanto richiesto dall'Ispra – i programmi di monitoraggio dei residui degli agrofarmaci nelle acque e nell'ambiente, tenendo conto delle sostanze immesse sul mercato in anni recenti;
   a promuovere, anche in sede europea, approfondimenti scientifici sulla tossicità delle miscele chimiche e sugli effetti della poliesposizione chimica;
   a porsi l'obiettivo di ridurre sempre più nei prossimi anni l'utilizzo delle autorizzazioni eccezionali di agrofarmaci previste dal regolamento (CE) n. 1107/2009;
   a favorire in modo diffuso l'adozione della gestione integrata delle colture (ICM), allo scopo di raggiungere l'obiettivo di uno sviluppo agricolo sostenibile e di ridurre sempre più nel tempo l'utilizzo di agrofarmaci;
   a definire al più presto una lista di soggetti destinatari della formazione, comprendente non solo gli utilizzatori professionali ma anche gli utilizzatori non professionali e i distributori di agrofarmaci, in considerazione del fatto che una formazione costante è essenziale per l'uso efficace e responsabile degli agrofarmaci ed è un requisito indispensabile per garantire l'applicazione delle buone pratiche agricole;
   ad individuare procedure semplificate che consentano una rapida concessione dell'estensione d'uso dei prodotti già registrati alle colture minori, ferma restando la tutela ambientale e della salute umana e animale;
   a promuovere ed attuare tutte le iniziative di competenza affinché nei territori avvengano tutti i controlli necessari a garanzia del rispetto della normativa vigente in materia di utilizzo di prodotti fitosanitari e dell'attivazione di tutte le misure previste per la gestione dei rischi, a salvaguardia della salute umana e dell'ambiente;
   a porre in essere ogni iniziativa di competenza affinché le leggi attualmente in vigore in materia di prodotti fitosanitari siano rispettate in tutte le loro parti, indicando con maggior chiarezza chi siano le autorità preposte al controllo sulle sostanze utilizzate e al rispetto della normativa vigente, nonché i relativi ruoli e responsabilità.
(1-01023) «Oliverio, Lenzi, Terrosi, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Capozzolo, Carra, Cova, Dal Moro, Falcone, Fiorio, Lavagno, Marrocu, Mongiello, Palma, Prina, Romanini, Taricco, Tentori, Venittelli, Zanin, Amato, Argentin, Beni, Paola Boldrini, Paola Bragantini, Burtone, Capone, Carnevali, Casati, D'Incecco, Fossati, Gelli, Grassi, Mariano, Miotto, Murer, Patriarca, Piazzoni, Piccione, Giuditta Pini, Sbrollini».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo quanto risulta, da recenti analisi effettuate dalle principali organizzazioni agricole nazionali, in Italia non si può parlare di uso massiccio di prodotti fitofarmaci, in quanto gli ultimi dati Istat pubblicati nell'ultimo rapporto del 20 gennaio 2015 evidenziano come, nel periodo 2002-2013, la quantità dei prodotti distribuiti per uso agricolo sia diminuita complessivamente di 76 tonnellate (-45,2 per cento);
    il suindicato rapporto evidenzia, altresì, come attualmente la distribuzione dei principi attivi per ettaro di superficie (negli anni 2012 e 2013), sia stabile al Nord, con 1,08 chilogrammi per ettaro di superficie, mentre al Centro risulta essere di 0,17 chilogrammi e nel Mezzogiorno di 0,52 chilogrammi;
    i dati numerici in precedenza richiamati (sebbene si riferiscano soltanto al biennio 2012 e 2013) confermano, pertanto, la diminuzione dell'utilizzo dei principi attivi contenuti nei prodotti fitosanitari per ettaro di superficie trattabile (come peraltro risulta dall'analisi effettuata su oltre 5.500 campioni ortofrutticoli in cui risulta che nel 99,2 per cento dei casi sono stati rispettati i limiti sui residui previsti dalla legge), tuttavia, il firmatario del presente atto di indirizzo rileva come da alcuni anni in Italia l'eccessivo ricorso all'utilizzo di prodotti fitosanitari autorizzati in deroga, da parte del Ministero della salute, in osservanza dell'articolo 53 del regolamento (CE) n. 1107/2009, stia determinando una serie di complessità connesse ai livelli di sicurezza ambientale ed alimentare;
    al riguardo, il perpetuarsi del ricorso a tali autorizzazioni eccezionali (41 nell'anno 2012, 60 nell'anno 2013 e 75 nell'anno 2014), le cui procedure consentono di non effettuare l’iter previsto dal sistema autorizzativo (che indica, fra l'altro, la verifica dell'impatto ambientale e sulla salute), rischia di causare gravi difficoltà sui controlli nei confronti dei delicati equilibri degli ecosistemi e dell'ambiente;
    le suindicate autorizzazioni in deroga di prodotti fitosanitari rilasciate per ragioni di emergenza fitoiatrica sono utilizzate, in particolare, per sostanze le cui schede di sicurezza indicano peraltro principi attivi con classi di rischio nocive e tossiche per l'individuo e l'ambiente;
    i permessi per la produzione, il confezionamento dei prodotti fitosanitari (autorizzati dal Ministero della salute) e quanto disposto dall'articolo 30 del regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, per alcuni fitosanitari, consentono agli Stati membri l'immissione sul mercato di prodotti fitosanitari contenenti una sostanza attiva non ancora approvata, per un periodo provvisorio non superiore a tre anni, a condizione che la decisione di approvazione sia adottata entro un termine di trenta mesi dalla data di ammissibilità della domanda;
    a giudizio del firmatario del presente atto di indirizzo, la suindicata disposizione comunitaria è stata effettivamente disattesa, considerando che le autorizzazioni eccezionali si sono perpetuate oltre i 3 anni previsti ed inoltre risulta irregolare il reiterarsi dell'emergenza oramai in via di prassi, così come altrettanto rischia di diventare un abuso il ricorso annuale all'articolo 53 del regolamento (CE) n. 1107/2009, relativo alle autorizzazioni provvisorie di prodotti fitosanitari rilasciate per ragioni di emergenza fitoiatrica;
    ulteriori profili di criticità si rinvengono, a parere del firmatario del presente atto di indirizzo, dall'inosservanza relativa ai termini per le scadenze di una serie di decreti attuativi e d'interventi indicati nel decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150 (di attuazione della direttiva 2009/128/CE che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi) nell'ambito della definizione di misure per un uso sostenibile dei pesticidi, intesi come prodotti fitosanitari definiti all'articolo 3, comma 1, lettera a), del medesimo provvedimento;
    secondo recenti rapporti elaborati dalle associazioni agricole e ambientali più rappresentative a livello nazionale, è stato confermato un quadro complessivo relativamente rassicurante, nell'ambito della diffusione e dell'utilizzo di prodotti fitosanitari destinati alle colture agrarie e all'agricoltura;
    al riguardo, la manifestazione universale dell'Expo 2015 di Milano è stata l'occasione per ribadire l'impegno di tutta la filiera agricola per un'agricoltura sostenibile a tutela della salute del consumatore grazie anche al costante impegno nella ricerca scientifica da parte delle aziende produttrici di agrofarmaci, finalizzato a mettere a disposizione degli agricoltori agrofarmaci sempre più mirati e sicuri per i consumatori e l'ambiente;
    ciononostante, rileva il firmatario del presente atto di indirizzo, emergono ancora una serie di criticità che richiedono interventi mirati se si considera come il 42 per cento dei campioni analizzati (su un totale di 7132) risulti contaminato da uno o più sostanze chimiche e il multiresiduo (ovvero la presenza concomitante di più residui chimici in uno stesso campione alimentare), inoltre risulta aumentato di cinque punti percentuale dal 2012 al 2014, passando dal 17,1 per cento al 22,4 per cento: cinque residui nelle mele, otto nelle fragole, quindici nell'uva da tavola, ovvero in alimenti dalle note proprietà nutrizionali che finiscono sulle tavole carichi di pesticidi;
    l'adozione di misure risolutive in grado di definire un quadro generale volto a rafforzare le regole (sebbene la normativa vigente preveda sistemi di controllo stringenti sull'uso corretto dei pesticidi in agricoltura), in particolare per il fenomeno del multiresiduo e delle autorizzazioni in deroga, come in precedenza richiamato, risulta pertanto urgente e necessario, al fine di garantire una migliore sicurezza alimentare delle produzioni agricole ed elevati standard qualitativi delle produzioni agroalimentari, peraltro, già costantemente vigilati,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative al fine di rivedere il sistema delle autorizzazioni dei prodotti fitosanitari in deroga rilasciate per ragioni di emergenza fitoiatrica disposte ai sensi dell'articolo 53 del regolamento (CE) n. 1107/2009, valutando l'opportunità di interrompere le autorizzazioni eccezionali protratte oltre i 3 anni indicati dall'articolo 30 della medesima disciplina comunitaria;
   a prevedere conseguentemente una linea guida più rigorosa, attraverso una riduzione del ricorso alle deroghe al fine di non stravolgere la reale finalità di emergenza fitoiatrica che, a causa del continuo ricorso allo strumento della deroga, rischia effettivamente di perdere completamente il suo significato e il suo scopo reale;
   ad adottare, entro dodici mesi, gli atti e le misure di competenza previste dal decreto legislativo n. 150 del 2012 e dal piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari non ancora emanati, per i quali risultano già scaduti i termini, nonché ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché le regioni e le province autonome che non abbiano ancora provveduto trasmettano le informazioni indicate all'interno del decreto legislativo n. 150 del 2012, per le quali i termini risultano già trascorsi;
   ad intervenire al fine di incrementare il sistema dei controlli in maniera più stringente sull'uso corretto dei pesticidi in agricoltura con particolare riferimento al fenomeno del multiresiduo e delle sue possibili ripercussioni sulla salute dei consumatori e dell'ambiente, la cui normativa continua a considerare sempre un solo principio attivo, nonostante se ne riscontrino più di dieci, con potenziali effetti sinergici negativi;
   a rendere noto alle Commissioni parlamentari competenti lo stato dei lavori sulla predisposizione degli atti, delle misure e delle linee guida previsti dal decreto legislativo n. 150 del 2012 e dal piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari.
(1-01024) «Palese».


   La Camera,
   premesso che:
    l'emergenza immigrazione ha portato nel nostro Paese a un preoccupante incremento non solo delle problematiche relative all'accoglienza ma anche di quelle relative alla procedura per il riconoscimento dello status di beneficiario di protezione internazionale;
    la sentenza della Corte di cassazione del 2006, n. 18549, sancisce che «il diritto di asilo deve intendersi come diritto soggettivo ad accedere al territorio di uno Stato finalizzato ad esperire la procedura per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato». Esiste, quindi, un diritto ad accedere nel territorio italiano e uno ad avere una giusta procedura;
    il «sistema di asilo» è basato da una parte sulla Commissione nazionale e dall'altra su 40 commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale distribuite sul territorio nazionale e che operano a stretto contatto con una specifica rappresentanza del territorio stesso;
    la Commissione nazionale ha il compito di decidere nelle ipotesi di revoca o cessazione del diritto d'asilo. Lo fa mediante un'audizione diretta di un soggetto per procedere, poi, a una revoca o a una cessazione. La Commissione nazionale detta inoltre le linee guida e di indirizzo alle commissioni territoriali e produce un'analisi sulla situazione dei Paesi di origine;
    le commissioni territoriali, in virtù di disposizioni di cui al decreto-legge n. 119 del 2014, sono passate da 20 a 40. Pertanto oggi vi sono 20 commissioni e 20 sezioni, di cui 10 operative, mentre le altre 10 costituiscono una riserva per far fronte a situazioni di emergenza;
    ogni commissione territoriale è composta da un presidente, che è un viceprefetto, un rappresentante del dipartimento di pubblica sicurezza, un rappresentante dell'ente locale e un rappresentante dell'UNCHR che ha potere decisionale. Anche le commissioni territoriali procedono per audizione individuale con la garanzia dell'interprete;
    con la delibera 17 novembre 2014 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 275 del 26 novembre 2014), l'Assemblea della Camera ha istituito una Commissione monocamerale di inchiesta sul sistema di accoglienza e di identificazione nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti nei centri destinati all'accoglienza e al trattenimento di immigrati. Il testo si riferisce ai centri di identificazione ed espulsione (CIE), ai Centri di accoglienza (CDA) e ai centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA);
    secondo la modalità illustrata dal prefetto Angelo Trovato, presidente della commissione nazionale per il diritto d'asilo, in occasione di un'audizione tenuta giovedì 14 maggio 2015 presso la citata Commissione parlamentare, ogni audizione non può che durare almeno un'ora/un'ora e mezza. Se si considera, inoltre, il lavoro di studio delle informazioni sui Paesi di origine e la formazione della decisione (che viene presa a maggioranza), una commissione riesce tecnicamente a svolgere 10, massimo 11, audizioni al giorno; in una nota del 19 giugno 2015, indirizzata ai presidenti delle citate commissioni territoriali, il capo dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, prefetto Morcone, invece, sottolinea una diversa esigenza in tal senso: «Il Signor Ministro ritiene un'assoluta priorità adottare criteri più snelli di decisione, intensificando significativamente l'impegno e ha posto l'inderogabile obiettivo di allineare i tempi della procedura alla normativa vigente. A tal fine, e solo a titolo esemplificativo, è stato valutato che 4 audizioni a componente al giorno, per 5 giorni la settimana, consentono la definizione di 64.000 procedimenti entro il 31 dicembre p.v., obiettivo che consentirebbe di superare definitivamente l’impasse.»;
    le commissioni si riuniscono, in genere, 5 giorni a settimana. Le sezioni, in media, si riuniscono 3/4 volte a settimana. Circa la metà dei componenti delle commissioni operano a tempo pieno (il presidente, ad esempio, non opera mai a tempo pieno). Una Commissione costa annualmente allo Stato 111.650 euro e a ogni suo membro viene riconosciuto un compenso di 90 euro lordi al giorno;
    come è noto, poiché la normativa internazionale fa divieto di erogare ai rappresentanti UNHCR qualsiasi forma di contribuzione, come nei confronti dei rappresentanti di un'organizzazione ONU, il nostro Paese mantiene proficui rapporti di collaborazione, per i quali si rimborsano i costi forfettariamente. Nel 2014 tale contributo è ammontato a 1.644.000 euro;
    nel 2015 le commissioni hanno riconosciuto lo status a 1.001 persone, ovvero il 6 per cento dei richiedenti; nel 2014 il dato era al 10 per cento; fatto salvo i casi di protezione sussidiaria e umanitaria, il 47 per cento delle richieste viene, oggi, respinto;
    il tempo medio calcolato negli ultimi tre anni di attività delle commissioni, calcolando la procedura prioritaria riservata ai casi vulnerabili (tra cui, ad esempio, i minori), gli irreperibili (4 per cento) e i ricorsi presentati dopo i dinieghi (65 per cento), è di circa 215 giorni;
    tra le maggiori criticità riscontrate dal prefetto Trovato si annovera il lavoro in tempo parziale dei membri di commissione, la competenza di alcuni di essi (ad esempio, in un comune è stato designato come componente di commissione un addetto al verde pubblico esperto in manifestazioni vivaistiche) e casi di conflitti di interesse (componenti di Commissione che sono gestori dei centri di accoglienza); l'alto turn over dei componenti; il ruolo ricoperto non in maniera dedicata;
    sempre nella citata nota del 19 giugno 2015, viene sottolineato lo stesso problema attraverso il testuale passaggio: «Il Signor Ministro ha rappresentato che uno degli elementi di maggiore criticità nella gestione di questa fase particolarmente impegnativa della migrazione verso il nostro Paese è costituito dai tempi non ancora adeguati per l'adozione delle decisioni delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale»; e ancora: «Sono certamente note e sono state rappresentate le difficoltà derivanti dal reperimento dei locali e delle attrezzature necessarie, dalla composizione delle singole Commissioni e dalla loro complessità, dalla formazione dei funzionari chiamati a farne parte e dalla limitatezza delle risorse umane destinate al supporto amministrativo»;
    secondo i dati forniti dal prefetto Trovato, nel 2013 i richiedenti sono stati 26.320. Nel 2014 sono diventati 63.456 e fino a maggio 2015 c'erano già 22.118 richieste di asilo. A queste bisogna aggiungerne altre 30.000 arretrate; nel 2014 su 150.000 sbarchi, le richieste di asilo sono state poco più di 60.000;

impegna il Governo:

   ad adottare, in ordine sia alle criticità evidenziate in premessa dal presidente della commissione nazionale per il diritto d'asilo sia a quanto sottolineato dal prefetto Morcone nella citata nota, ogni iniziativa idonea finalizzata all'assunzione di 15.000 cittadini italiani che abbiano conseguito una laurea nelle discipline giuridiche, umanistiche e nelle scienze sociali, al fine di incrementare l'organico delle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale;
   a verificare, conseguentemente, la possibilità di stipulare una convenzione tra il Ministero dell'interno e l'Unhcr in ordine alla formazione, preferibilmente gratuita, dei funzionari da chiamare a far parte delle Commissioni territoriali, esigenza evidenziata anche nella citata nota del prefetto Morcone.
(1-01025) «Manlio Di Stefano, Sorial, Lorefice, Massimiliano Bernini, Carinelli, Brescia, Scagliusi, Spadoni, Colonnese, Dadone, Chimienti, Frusone, Busto, Grillo, Grande, Di Battista, Silvia Giordano, Baroni, Mantero, Rizzo, Luigi Gallo, Simone Valente, Sibilia, Del Grosso».

Risoluzioni in Commissione:


   La VI Commissione,
   premesso che:
    la vexata quaestio dell'anatocismo è stata regolata in modo non certo lineare e chiara dalla legge di stabilità per il 2014 (legge n. 147 del 2013, articolo 1, comma 629) che demanda ad una delibera del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio le «modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria», con i seguenti criteri direttivi che non brillano per chiarezza:
     «a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori;
     b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale»;
    risulta evidente alla firmataria del presente atto il difetto di fondo di questo comma che oltre ad essere fumoso rinuncia a disciplinare direttamente e con effetto immediato una questione molto delicata ed importante soprattutto per i clienti delle banche demandando ad una successiva delibera del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio sia la chiara definizione della portata della norma, sia la sua effettiva applicazione;
    il ritardo nella definizione della materia della produzione di interessi nell'ambito delle operazioni bancarie determina una situazione di incertezza che crea notevole disagio nella clientela delle aziende di credito, in quanto alcune di queste applicano il meccanismo degli interessi composti ed inoltre, in caso di controversie in sede giudiziaria, le interpretazioni date dai tribunali sulla materia non sono uniformi e questo crea una situazione non più tollerabile;
    la proposta di delibera del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio è stata posta in consultazione dalla Banca d'Italia dal 24 agosto al 23 ottobre 2015, periodo nel quale possono essere avanzate osservazioni al testo elaborato, per cui si sta finalmente per concludere la peraltro troppo lunga fase preparatoria del provvedimento,

impegna il Governo

ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché la delibera del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio citata in premessa sia resa operativa in tempi molto stretti, ponendo al riparo coloro che accedono al credito bancario da comportamenti lesivi dei loro interessi legittimi.
(7-00818) «Sandra Savino».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    la procedura seguita dalla regione Sardegna per la richiesta di concordato preventivo per la Società Saremar si pone, ad avviso, dei firmatari del presente atto, in contrasto con tutte le leggi nazionali e con lo stesso accordo Stato-regione che aveva stabilito la continuità societaria della Saremar nella gestione delle rotte da e per le isole minori garantendo il livello occupativo della stessa;
    la procedura messa in essere dalla regione autonoma della Sardegna, attraverso la società Saremar, di cui la RAS è azionista al 100 per cento, per avviare il concordato preventivo risulta secondo i firmatari del presente atto viziata in modo rilevante dalla mancata dichiarazione di elementi imprescindibili e dirimenti configurando una soluzione che favorisce di fatto soggetti privati a scapito della titolarità del finanziamento in capo a Saremar s.p.a.;
    tace l'omissione favorisce una procedura di privatizzazione in contrasto con le norme nazionali, e soprattutto generando, sotto molteplici aspetti, un danno economico rilevante per la regione Sardegna;
   il primo rilevante aspetto di cui la regione Sardegna, ad avviso dei firmatari del presente atto, ha omesso la rappresentazione agli stessi giudici civili è la reale situazione finanziaria e contabile della società Saremar;
    in particolar modo, per comprendere la reale situazione convenzionale della società oggetto del concordato preventivo, occorre esaminare in modo puntuale la norma che ha generato il passaggio della società Saremar dallo Stato alla regione Sardegna;
   nell'ambito del processo di privatizzazione della società Tirrenia, detenuta al 100 per cento dallo Stato, attraverso il Ministero dell'economia e delle finanze, con il decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, «Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee», all'articolo 19-ter – disposizioni di adeguamento comunitario in materia di liberalizzazione delle rotte marittime si è stabilito al comma 1:
     «1) Al fine di adeguare l'ordinamento nazionale ai principi comunitari in materia di cabotaggio marittimo e di liberalizzazione delle relative rotte, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto è trasferito a titolo gratuito, da Tirrenia di navigazione s.p.a., il cento per cento del capitale sociale della [...]
     b) Saremar-Sardegna Regionale Marittima s.p.a. alla regione Sardegna»;
   con tale disposizione il legislatore nazionale aveva chiaramente inteso trasferire alla regione Sardegna «unitariamente» l'intera società/azienda, naviglio, personale e in particolar modo le risorse finanziarie che avevano garantito la gestione in equilibrio economico finanziario della società;
    la ratio della norma era appunto quella di garantire il prosieguo del servizio universale di continuità territoriale con le isole minori mantenendo in essere la forza lavoro che proprio per la cessione dell'intero asset azionario non doveva in alcun modo essere scorporata dai beni della società stessa. Tale ratio fu applicata alla gara messa in essere per la vendita della società Tirrenia attraverso una gara «a doppio oggetto» che comprendesse la vendita della società, intesa come unitaria di naviglio, personale e patrimonio, e l'assegnazione del servizio di continuità territoriale;
    tale procedura è disciplinata parimenti per la società Saremar;
    alla regione Sardegna è stata, dunque, trasferita una società, la Saremar, che in ogni suo aspetto veniva inquadrata nel patrimonio e nell'organizzazione della stessa istituzione regionale divenendo come fa rilevare la Commissione europea di fatto e in diritto una società in house;
    la stessa regione autonoma Sardegna, nello statuto della società Saremar dispone il suo inquadramento in regime di società «in house» con l'equiparazione a società pubblica;
    tralasciando l'aspetto dei termini temporali della norma che non risultano perentori, emerge con chiarezza la volontà dello Stato di garantire attraverso la norma richiamata la continuità della società Saremar con particolare riferimento al personale che più volte è stato oggetto di puntuali richiami nell’iter parlamentare di approvazione della legge richiamata;
    sia per il personale della Tirrenia che per quello delle società collegate come la Saremar erano stati stipulati accordi sindacali di livello nazionale e governativo posti alla base della norma poi adottata che aveva il fine di tutelare l'insieme della società e garantire il mantenimento della forza lavoro assicurando la cessione contestuale con l'azienda e il contratto di servizio;
    nella stessa relazione di accompagnamento allegata al provvedimento di legge si fa esplicito richiamo alla risoluzione della Commissione Trasporti del 19 novembre 2008 con il quale si impegnava il Governo pro tempore «a prevedere altresì, nell'ambito della privatizzazione, adeguate misure di salvaguardia dei livelli occupazionali e di tutela nei confronti dei dipendenti del gruppo Tirrenia»;
    in tal senso, è esplicita e non interpretabile la norma con la quale attraverso il comma 9, lettera a), punto 5, si dispone: «sono approvati dalle regioni Sardegna e Toscana, secondo i rispettivi ordinamenti e nel rispetto del mantenimento del servizio universale e della continuità territoriale con le isole, gli schemi di contratti di servizio di durata non superiore a dodici anni con le società, rispettivamente, Saremar e Toremar...»;
    è, dunque, in forma esplicita, indicato in legge il soggetto destinatario del contratto di servizio, ovvero la Saremar, intesa come la società a cui deve essere affidato obbligatoriamente il contratto di servizio; è stato inoltre disposto in maniera puntuale «il mantenimento del servizio universale» per una durata non superiore a 12 anni;
    avendo indicato in modo esplicito le procedure di contrattualizzazione e in modo puntuale il nome della società Saremar, il legislatore ha inteso garantire la continuità di servizio della Saremar sia sul piano giuridico che occupazionale e finanziario;
   in tal senso, e proprio per questo motivo, risultano conseguentemente vincolate e non diversamente utilizzabili le risorse stanziate e affidate alla Saremar dal medesimo decreto-legge di trasferimento che al comma 16 dell'articolo 19-ter prevede: «Le risorse necessarie a garantire il livello dei servizi erogati sulla base convenzioni attualmente in vigore e prorogate ai sensi del comma 6, nonché delle nuove convenzioni e dei contratti di servizio di cui ai commi da 8 a 15, nel limite di complessivi euro 184.942.251 a decorrere dal 2010, sono ripartite, per il 2010 e per ciascuno degli anni della durata delle nuove convenzioni e dei singoli contratti di servizio, come segue:
     a) Tirrenia di navigazione s.p.a.: euro 72.685.642;
     [...];
     c) Saremar – Sardegna Regionale Marittima s.p.a. – regione Sardegna: euro 13.686.441»;
    tali risorse, richiamate nella legge del 6 agosto 2015 n. 125, sono state di fatto riaffermate all'articolo 8, comma 13-septies del decreto-legge n. 78 del 2015, con il quale si è intesa confermare di fatto la disponibilità del finanziamento anche dopo i tempi previsti dalla norma originaria, non essendo stata abrogata la disposizione di cui al citato comma 9, lettera a) punto 5 dell'articolo 19-ter del decreto-legge n. 135 del 2009 convertito dalla legge 166 del 2009 che prevedeva l'obbligo di assegnare alla Saremar la proroga del servizio, fatte salve le procedure di eventuale privatizzazione della stessa società;
    è fin troppo evidente alla luce della comparazione dei testi normativi che il legislatore abbia voluto ripetutamente ribadire la volontà di non dismettere le società generate dalla privatizzazione di Tirrenia e di mantenere rigorosamente accorpato il servizio di continuità territoriale con la stessa società/azienda in essere;
    il legislatore ha, eventualmente, semmai, previsto forme di privatizzazione della società ma senza scorporare il personale, il naviglio e la stessa ragione sociale del servizio;
    tutto questo con l'esplicita volontà di salvaguardare i livelli occupazionali della società Saremar, come del resto è avvenuto nella procedura di privatizzazione della Tirrenia, società capofila della stessa Saremar;
    i termini dell'applicazione della norma nel senso richiamato sono esplicitati nell'accordo di programma tra il Governo e la regione sarda del 3 novembre 2009 dove, all'articolo si prescrive:
     «comma 1). La Regione Sardegna sarà tenuta a stipulare con la Società regionale un contratto di servizio per gli oneri di servizio pubblico (...);
     comma 3). Alla scadenza del contratto di servizio, di durata massima di 12 anni, la regione Sardegna sarà tenuta ad indire una procedura di gara aperta e non discriminatoria, nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie di settore per il riaffidamento dei servizi nel periodo successivo»;
    in questo quadro è fin troppo evidente che la procedura di concordato pieno liquidatorio omologato deve obbligatoriamente tener conto dell'esistenza di una vera e propria assegnazione di fondi pluriennale a favore della società Saremar per la quale sussiste un già citato esplicito richiamo di legge di cui all'articolo 19-ter del decreto-legge 135 del 2009 che, si ribadisce, dispone: sono approvati dalle regioni Sardegna e Toscana, secondo i rispettivi ordinamenti e nel rispetto del mantenimento del servizio universale e della continuità territoriale con le isole, gli schemi di contratti di servizio di durata non superiore a dodici anni con le società, rispettivamente, Saremar e Toremar...;
    tale disposizione di legge non solo è pienamente in vigore ma è esplicita: si prevedono contratti di servizio di durata non superiore ai dodici anni con la società Saremar;
    in base alla previsione legislativa finanziaria pluriennale alla Saremar spettano contributi a partire dal 2010 sino al 2022 di 164.237.292 euro;
    tale contributo statale risulta di fatto esigibile dalla stipula della proroga prevista per legge con un ammontare futuro di 109.491.528 euro, considerando un termine che comprende il periodo 2015- 2022;
    è fin troppo evidente che tali contributi statali non possono essere in alcun modo utilizzati per eludere il principio affermato in legge di mantenere in essere la società Saremar intesa come unicità tra servizio pubblico e fattori della produzione, dal personale allo stesso naviglio;
    l'unitarietà della società Saremar è secondo i firmatari del presente atto il presupposto del richiamo normativo che il legislatore ha ribadito nella legge con la quale ha trasferito la società nella sua integrità alla Regione Sardegna;
   aver ribadito in modo chiaro e inequivocabile che le convenzioni devono essere sottoscritte in regime di proroga per 12 anni con la società Saremar mette in capo alla società stessa e a nessun altro soggetto lo stanziamento dello Stato legato indissolubilmente al mantenimento del servizio universale di continuità territoriale con la società Saremar;
   in tal senso si è chiaramente espresso anche il tribunale di Cagliari, sezione prima civile, che nel decreto del procedimento iscritto al n. 25 del ruolo concordati per l'anno 2014 a pagina 5 dispone: «La cessione delle navi nel contesto del concomitante affidamento tramite gara pubblica del contratto di servizio da parte della Regione autonoma della Sardegna potrebbe invece essere maggiormente vantaggioso per i creditori, specie di fronte all'eventualità di una liquidazione in tempi contratti o in sede fallimentare, qualora la modalità di cessione prevedessero una gara pubblica “a doppio oggetto”»;
    tale unitarietà è rappresentata in modo chiaro e inequivocabile nelle procedure analoghe seguite per la cessione della società Tirrenia nelle quali il legislatore ha inteso prevedere esplicitamente il «doppio oggetto» della gara;
    lo scorporo delle navi con la vendita autonoma e indipendente dalla società disattende secondo i firmatari del presente atto in modo evidente le indicazioni legislative sulla unitarietà della Saremar e contrasta con lo stesso auspicio ad una cessione «a doppio oggetto» indicato nel decreto del tribunale di Cagliari;
    tale vendita separata del naviglio dal resto della società non risulta essere stata autorizzata da nessun provvedimento giudiziario che, considerata la portata e le gravi conseguenze della separazione proposta, avrebbe dovuto essere prevista in modo esplicito nel decreto di apertura della procedura di concordato preventivo;
    tale indicazione, per la vendita del naviglio, sarebbe emersa a quanto risulta ai firmatari del presente atto nel corso di una riunione presso l'assessorato regionale alla quale avrebbero partecipato alcuni degli stessi liquidatori giudiziali;
    è fin troppo evidente che il venir meno della flotta pregiudica in modo evidente e irrevocabile il dispositivo di legge in essere che indica la Saremar come la società destinataria del contributo pubblico di 13.686.441 euro per 12 anni in base all'autorizzata proroga del servizio pubblico di collegamento con le isole minori attraverso una legge dello Stato;
    la vendita delle navi rischia di generare un danno rilevante considerato che la Corte di giustizia europea non si è ancora pronunciata in merito al ricorso proposto dalla regione Sardegna attraverso la Saremar avverso la condanna alla restituzione dell'aiuto di Stato riconosciuto dalla Commissione europea;
    a questo aspetto si aggiunge che non risulta valutata la portata dell'impugnativa della lettera di licenziamento da parte dei dipendenti considerato che gli stessi, in base a tutte le norme nazionali vigenti e ad un esplicito riconoscimento della Commissione europea, sono riconosciuti come dipendenti di una società che opera come strumento della regione Sardegna nell'attuazione di politiche di sviluppo e di servizio e quindi come tale inquadrabile a tutti gli effetti come società in house, così come esplicitamente previsto nello Statuto della società. Risulta evidente che se la definizione dei ricorsi fosse a vantaggio del personale si sarebbe dinanzi ad una società con personale marittimo senza navi;
    agli interroganti appare inoltre destituita di fondamento la possibile previsione di una clausola sociale nella gara per l'affidamento del servizio considerato che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha esplicitamente dichiarato in un parere formale, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale che si tratterebbe di una clausola «anticoncorrenziale» e come tale non legittima. In particolar modo nella comunicazione del presidente dell'Autorità si precisa: In questa prospettiva e, in particolare, in assenza di una chiara individuazione del perimetro del personale assegnato in maniera prevalente alle attività relative ai servizi oggetto di gara, la predisposizione di un bando di gara contenente una clausola di protezione sociale finalizzata al mantenimento dei livelli occupazionali – seppur sotto forma di meccanismo premiale nella valutazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa – appare idonea a ridurre in modo apprezzabile l'interesse alla partecipazione da parte di nuovi operatori e dunque ad influenzare in modo anticoncorrenziale l'esito stesso della procedura di selezione;
    tale scorporo rischia, quindi, di:
     pregiudicare in modo irreversibile l'utilizzo del contributo affidato direttamente alla Saremar;
     privare la società del bene principale della flotta, che insieme ai lavoratori risulta essenziale, per il mantenimento in essere del servizio universale e della continuità territoriale con le isole minori;
     generare un danno erariale in relazione al mancato pronunciamento della Corte di giustizia europea e all'esito dei ricorsi del personale dipendente;
     pregiudicare l'affidamento alla Saremar della proroga prevista per legge per il mantenimento del servizio pubblico;
     favorire, attraverso l'eliminazione della Saremar, concorrenti privati che in base alla delibera del 7 agosto 2015 della giunta regionale sono stati individuati in modo puntuale sia nei parametri finanziari che gestionali;
    risulta all'interrogante che la Società Delcomar, ancor prima della pubblicazione del bando di manifestazione d'interesse per la vendita della flotta abbia reiterato ben due domande d'acquisto, la prima il 9 febbraio 2015, senza indicare un'offerta precisa ma dichiarandosi interessata all'acquisto della flotta o anche unità navali singole e successivamente in data 9 luglio 2015, proponendo un'offerta di 4.200.000 euro per l'acquisto dell'intera flotta. Tale offerta, ad avviso dei firmatari del presente atto, appare tesa a precostituire, nei modi e nei tempi, una sorta di prelazione temporale e propone di fatto una modalità con indicazione di una proposta economica, pari a quella avanzata poi nell'avviso pubblico del mese di ottobre 2015 da parte dei liquidatori giudiziali;
    tale procedura di vendita, oltre che risultare irragionevole e illogica rispetto alle disposizioni di legge e alle indicazioni dello stesso tribunale, appare poco trasparente considerato che l'offerta economica preventiva costituisce di fatto un elemento che nega la concorrenzialità nell'acquisto stesso;
    l'assessore regionale, infatti, ha proposto alla giunta regionale stringenti e precisi requisiti per la partecipazione alla gara per l'affidamento dei servizi;
    in particolar modo sulla delibera è scritto: «Sul punto ritiene che i requisiti minimi di partecipazione alla gara vadano individuati nei seguenti: – avere svolto nel triennio precedente, almeno un anno di servizi di cabotaggio marittimo per il trasporto di passeggeri e merci; – avere un fatturato, nel triennio precedente, di almeno 20 milioni di euro per servizi di cui sopra; – avere, nel triennio precedente, percorso almeno 150 mila miglia per i servizi di cui sopra»;
    a parere dei firmatari del presente atto tali requisiti indicati dalla regione, nella fattispecie dall'assessore, coincidono in tutto o in parte con quelli dell'unico operatore che opera privatamente sulle stesse rotte esercitate dalla Saremar e pertanto l'eliminazione della Saremar, attraverso la vendita secondo i firmatari del presente atto arbitraria delle navi, finirebbe per favorire determinati privati;
    è fin troppo evidente che non esiste nessuna possibilità, nel rispetto dei tempi e delle modalità previste dalle norme nazionali e comunitarie in materia di appalti, di affidare, posta anche l'illegittimità di tale procedura, entro il 31 dicembre 2015 il servizio di continuità territoriale per il collegamento delle isole minori;
    la vendita delle navi rischia, dunque, di essere il presupposto di un possibile affidamento ad un privato in termini provvisori delle rotte delle isole minori;
    eventualità questa che risulta ai firmatari del presente atto già abbondantemente caldeggiata dall'assessore regionale in ripetute occasioni: in tal senso, non è destituita di fondamento l'ipotesi che si voglia affidare tale servizio in condizioni di provvisorietà alla stessa società privata Delcomar che opera su quelle rotte avendo, ad avviso dei firmatari del presente atto, i parametri indicati nella delibera della giunta regionale;
    con la vendita delle navi, scorporandole dal resto della società, si impedirebbe alla stessa Saremar di poter ottenere non solo la proroga del servizio per 12 anni, come disposto dalla legge nazionale, ma anche quella temporanea in attesa di definire la gestione ordinaria perché sarebbe venuto meno il presupposto essenziale: la disponibilità delle navi;
    lo scorporo finirebbe secondo i firmatari del presente atto per essere lo strumento con il quale favorire il privato che sarà beneficiario dell'affidamento diretto e provvisorio del servizio di continuità territoriale con le isole minori;
    l'accanimento regionale a perseguire il concordato preventivo si configura secondo i firmatari del presente atto come una condotta del tutto inaccettabile tale di fatto da eliminare l'unico soggetto legittimato a gestire tale servizio per favorire una gestione privata;
    come indicato dai giudici, la mancata effettuazione della gara «a doppio oggetto» costituisce secondo i firmatari del presente atto una violazione delle leggi nazionali, oltre che un grave danno sia ai creditori che alla stessa regione e pertanto occorre porre in essere ogni azione tesa a ripristinare il contratto in essere della Saremar sino al 2022 e successivamente, ed eventualmente, procedere alla gara a «doppio oggetto»,

impegna il Governo:

   ad intervenire con somma urgenza al fine di assicurare il rispetto delle norme nazionali e degli accordi Stato-regione;
   ad assumere iniziative volte a chiarire formalmente che la Saremar è titolare a tutti gli effetti di una proroga contrattuale prevista per legge per 12 anni a partire dal 2009 e che l'ammontare complessivo di 109 milioni residui non può essere affidato a terzi;
   a intervenire, per quanto di competenza, al fine di evitare che tale piano di smobilitazione di Saremar possa configurare un vantaggio a favore di privati individuati a priori con requisiti fortemente limitanti ed escludenti;
   ad assumere le iniziative di competenza, alla luce delle implicazioni comunitarie, per la definizione dei contenziosi aperti, (Corte di giustizia europea e dipendenti), per evitare di pregiudicare in modo grave e irreversibile l'attività gestionale della società Saremar privandola dei beni essenziali del naviglio in contrasto con le norme nazionali.
(7-00817) «Bruno, Pili».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LATRONICO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel dicembre 2013, si è verificato un evento franoso che ha interessato il comune di Montescaglioso (MT). La calamità ha interessato le contrade «Cinque bocche» e «Costa del Fico», la strada a scorrimento veloce «Montescaglioso-Piani Bradano» e diversi immobili residenziali, artigianali e commerciali, che non erano sottoposti a nessun vincolo;
   il comune di Montescaglioso (MT), in data 4 dicembre 2013, ha emesso le ordinanze di sgombero per l'inagibilità di fabbricati privati e l'interdizione al transito pedonale e carrabile dell'intera area interessata dall'evento franoso e i danni stimati dal comune ammontano a circa 50 milioni di euro, tra beni pubblici e privati;
   la programmazione degli ultimi venti anni ha visto investimenti mirati verso la zona franosa nel tentativo di creare un collegamento tra l'abitato collinare e la pianura, dove sono localizzate tutte le attività agricole, artigianali con il PIP «Capoiazzo», industriali con il PIP «Tre confini». La strada provinciale 175 è l'unica arteria importante del territorio che collega la costa all'entroterra;
   il Consiglio dei ministri, con delibera del 24 gennaio 2014, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 30 del 6 febbraio 2014, ha dichiarato lo stato di emergenza per 180 giorni per gli eventi eccezionali dal 1o al 3 dicembre 2013, in alcuni comuni della provincia di Potenza e Matera, oltre al movimento franoso del 3 dicembre 2013 nel territorio di Montescaglioso, stanziando risorse pari a 14 milioni di euro;
   con ordinanza del capo della protezione civile n. 151 del 21 febbraio 2014, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 51 del 3 marzo 2014, sono stati definiti i criteri per i primi interventi inerenti gli eventi eccezionali dal 1o al 3 dicembre 2013, in alcuni comuni della provincia di Potenza e Matera, oltre al movimento franoso del 3 dicembre 2013 nel territorio di Montescaglioso;
   il Consiglio dei Ministri, con delibera del 23 luglio 2014, ha prorogato lo stato di emergenza per ulteriori 180 giorni; il comune ha sospeso il versamento dei tributi locali da parte dei cittadini interessati dallo sgombero dei fabbricati, ed ha sottoscritto, secondo le indicazioni riportate all'articolo 12 del provvedimento della protezione civile un accordo con le banche, per la sospensione dei mutui ipotecari;
   il Ministero dell'economia e delle finanze non ha provveduto a sospendere gli adempimenti tributari e contributivi per le attività danneggiate, oltre a quelli provenienti da cartelle emesse dagli agenti di riscossione, diversamente da quanto accaduto per altre situazioni identiche come la Sardegna o l'Emilia Romagna;
   il comune di Montescaglioso ha deliberato quantificando in euro 19.000.000,00 l'importo occorrente per l'acquisizione dell'intera area di frana, comprendente il ristoro ai privati, alle attività economiche e produttive, il rifacimento delle infrastrutture pubbliche danneggiate. Le famiglie interessate dallo sgombero hanno ricevuto un contributo per il fitto di circa euro 400,00 mensili, per tutto l'anno 2014, ma tale contributo è stato sospeso nel 2015;
   con ordinanza del capo della protezione civile n. 242 del 23 aprile 2015, scaduti i termini per lo stato di emergenza, sono state trasferite alla regione Basilicata tutte le competenze per il superamento delle criticità inerenti gli eventi eccezionali dal 1o al 3 dicembre 2013, in alcuni comuni della provincia di Potenza e Matera, oltre al movimento franoso del 3 dicembre 2013 nel territorio di Montescaglioso;
   il comune di Montescaglioso dispone di risorse per circa 4.700.000,00 euro, in parte già impiegate per i primi interventi di urgenza, che sta utilizzando per la messa in sicurezza dell'area e nonostante le previsioni dell'ordinanza della protezione civile n. 151 del 21 febbraio 2014 solo una piccola parte di queste risorse, circa 20.000,00 euro, sono state utilizzate per il contributo al fitto delle famiglie sgomberate;
   la sospensione delle imposte e tasse locali, non sembra potrà protrarsi oltre il 1o gennaio 2016, data in cui le banche riattiveranno la riscossione dei mutui ipotecari su immobili, che peraltro, sono pericolanti –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare in favore delle famiglie e delle attività imprenditoriali coinvolte nell'evento calamitoso descritto in premessa, anche attraverso interventi di riduzione, sospensione o rateizzazione dell'imposizione fiscale e contributiva. (5-06705)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la firmataria del presente atto con interrogazione a risposta scritta 4-09846, si è occupata del decreto n. 80 del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi del servizio sanitario regionale calabrese, Massimo Scura, inerente alla «determinazione tetti di spesa per l'acquisto da soggetti privati accreditati di prestazioni di assistenza ospedaliera anno 2015»;
   nel suddetto atto parlamentare si evidenziava la mancanza di criteri chiari e trasparenti per l'assegnazione delle risorse;
   con tale decreto, si sottolineava nella succitata interrogazione, i commissari hanno distribuito le risorse, non più assegnabili, della liquidata «Fondazione Campanella» (10 milioni), che si aggiungono ai circa 189 milioni di euro già previsti;
   a mo’ di esempio, si ricorda che la distribuzione ha premiato soprattutto due strutture private dell'Asp di Cosenza appartenenti allo stesso proprietario, la famiglia Greco, che si è visto assegnare da solo il 20 per cento del fondo complessivo dai, redistribuire nella provincia d Cosenza, per un valore pari a circa tredici milioni e quattrocentomila euro;
   secondo quanto riportato dall'articolo de «Il Quotidiano del Sud» del 14 ottobre 2015, «la relazione sui criteri adottati per l'assegnazione dei budget alle strutture accreditate non soddisfano diverse aziende che hanno già concordato con l'Aiop (Associazione Italiana Ospedalità Privata, nda) di accedere alle istruttorie delle singole Asp»;
   dal summenzionato articolo emergono chiare anomalie, consistenti nel fatto che la relazione, inviata a tutte le aziende sanitarie provinciali, è «a firma della dottoressa Rosalba Barone, dirigente di settore (attività ospedaliera ed Emergenza-Urgenza) del Dipartimento Salute, e non dai commissari Scura e Urbani che invece hanno firmalo il decreto 80 di assegnazione»;
   secondo quanto riportato, la suddetta relazione «in molti punti è in contraddizione e per nulla esaustiva. Anzi, la lettura conferma i sospetti che i budget assegnati non sono per nulla trasparenti come evidenziato in tre interrogazioni parlamentari»;
   la dottoressa Barone fa riferimento solo e genericamente ad «un'attività svolta dalla varie strutture con riferimento all'appropriatezza organizzativa, alla complessità della casistica e alla complementarietà con le prestazioni erogate dalla strutture pubbliche»;
   il giornalista autore del riferito servizio, Adriano Mollo, riporta alcuni casi contraddittori;
   nonostante, ad esempio, si dica chiaramente nella nota che bisogna comprare gli «interventi chirurgici oncologici e sulla tiroide», per quanto riguarda quest'ultima, il giornalista sottolinea che «è una patologia a forte mobilità passiva, oltre il 50% con destinazione l'azienda universitaria di Pisa. In media ogni anno si fanno 1400 interventi e solo 800 in Calabria, di questi oltre 200 in una clinica privata di Cosenza, Villa del Sole, dove opera il professore Piero Berti ex primario dell'azienda di Pisa. La clinica nel 2014 ha avuto una produzione di 6 milioni di euro, di cui 4,2 per la chirurgia (urologia compresa) con un extra budget di 1,4 milioni di euro. Nel 2015 ha ottenuto 5,1 milioni, con un aumento di soli 300 mila euro a fronte di interventi di alta complessità ed è stata costretta a ridurre i ricoveri e rinviare gli interventi meno urgenti al 2016. Invece a Vibo, a Villa dei Gerani, a fronte di un extra budget 2014 di 1,5 milioni, sono stati assegnati nel 2015 2 milioni di euro. Anche Villa del Sole ha presentato ricorso al decreto 80 e il Tar ha fissato l'udienza il 17 novembre 2015»;
   nella relazione della dottoressa Barone si fa presente che il dipartimento regionale tutela della salute ha trasmesso i dati sull'attività ospedaliera per il 2014 alle aziende affinché queste formulassero le loro proposte. Come però già aveva denunciato l'Aiop, secondo quanto riporta «Il Quotidiano del Sud» del 14 luglio 2015, sarebbero «deboli i requisiti motivazionali» e, soprattutto, «la procedura, che prevede due fasi, non è stata rispettata con, le Asp completamente esautorate dalla fase di negoziazione»;
   non è un caso che nella stessa relazione si fa presente che molte delle proposte delle Asp non sono state accolte o sono state riformulate con tagli per alcuni e aumenti per altri, a parere dell'interrogante del tutto arbitrari;
   è il caso della clinica «Madonna della Catena» di proprietà della succitata famiglia Greco, cui è stato proposto e accodato un incremento di due milioni di euro circa per la neuroriabilitazione (cod. 75), «nonostante una relazione dell'Asp che contesta il 48% dei ricoveri con codice 75 nel 2014. È da tenere presente che ogni giornata di ricovero per questa patologia la Regione paga 480 euro»;
   infine, scrive ancora Mollo, «la Regione-Commissario ha aumentato in modo autonomo il budget per la clinica Tricarico di Belvedere portandolo da 15 milioni a 16,3»;
   non si comprende in alcun modo se la relazione – che per vero non è atto da cui si possa evincere l'esistenza di «griglie» specifiche per l'assegnazione delle risorse – sia stata firmata dal dipartimento regionale o dalla struttura commissariale, firmataria del decreto n. 80;
   oltretutto, va ricordato che la comunicazione e/o pubblicità dei criteri di assegnazione delle risorse, che per la loro specie obiettivamente non possono rinvenirsi nella succitata relazione della dottoressa Barone, ha avuto un «iter» vorticoso che di seguito si riassume;
   nelle ultime settimane, come da notizie stampa, il commissario Scura ha invitato gli interessati a conoscere i criteri in argomento a ricorrere all'accesso agli atti, aggiungendo di una specifica informativa pronta dal 21 luglio, benché il decreto n. 80 del 2015 rechi la data del 6 luglio 2015 e ciò autorizzi a dedurre che i riferiti criteri di assegnazione possano essere stati ricavati ex post;
   sulla questione della mancanza dei ribaditi criteri pendono due diverse interrogazioni alla Camera, del 15 luglio e del 16 luglio 2015, e una al Senato;
   il lungo silenzio del commissario Scura sul caso ha portato il Movimento 5 stelle a presentare anche un esposto alla procura della Repubblica e alla Corte dei conti;
   lo stesso Scura dichiarò al tg Rai della Calabria del 13 luglio 2015 che avrebbe riferito i criteri di assegnazione dei nuovi budget, il che, a quanto risulta all'interrogante, non ha poi fatto;
   con lettera del 23 settembre 2015, l'interrogante ha chiesto al dipartimento della salute copia degli atti d'istruttoria, in relazione al decreto n. 80 del 2015;
   con risposta del 28 settembre 2015 alla predetta lettera, il direttore generare del dipartimento regionale tutela della salute, Riccardo Fatarella, ha comunicato all'interrogante d'aver chiesto i riferiti atti d'istruttoria alla struttura commissariale per l'attuazione del Piano di rientro dal disavanzo sanitario regionale, con ciò facendo intendere di non possederne copia;
   dopo la firma del decreto da parte anche del summenzionato direttore, il governatore Mario Oliverio ha chiesto, secondo quanto riporta il sito del giornale «Il Corriere della Calabria», «l'immediata sospensione del decreto stesso», tramite una lettera al commissario al piano di rientro, Massimo Scura, e al sub-commissario, Andrea Urbani –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti;
   quali iniziative urgenti intendano assumere perché si conoscano i criteri di cui in premessa e, se non ritengano, in assenza dei medesimi, di dover assumere le iniziative di competenza per la revoca dei rispettivi incarichi commissariali all'ingegnere Scura e al dottor Urbani;
   se, nell'assoluta, documentata nebulosità delle procedure non ritengano di assumere ogni iniziativa di competenza per la revoca con urgenza dei provvedimenti commissariali di riassegnazione delle risorse in questione. (4-10786)


   PISICCHIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 15 e il 16 ottobre 2015 violenti nubifragi si sono abbattuti sulle regioni meridionali, creando situazioni di drammatico disagio ed anche il costo di vite umane in Campania e in Puglia;
   in particolare, la Campania nella notte del 15 ottobre 2015, è stata interessata da alluvioni e inondazioni di eccezionale gravità che hanno colpito, in particolar modo, la zona del beneventano, causando fortissimi danni alle colture (vigneti famosi per produzione di Aglianico e Falanghina doc), alle abitazioni civili e alle persone fisiche;
   risultano in special modo devastati i territori di Ponte, Torrecuso, Solopaca, Paupisi, Vitulano (in particolare, la frazione San Stefano situata a ridosso della SS 372 e del fiume Calore);
   la drammatica calamità naturale ha messo in ginocchio un'economia già in grave difficoltà, e allontanato molte famiglie dalle proprie abitazioni inondate o pericolanti, costringendole a ricoveri di fortuna presso i centri di accoglienza allestiti dalla Caritas;
   nelle ore successive alla violenta inondazione la popolazione dei territori sopracitati ha lamentato la intempestività dei soccorsi da parte della Protezione civile e dell'Esercito, situazione che è perdurata per molto tempo ancora;
   il giorno successivo, il 16 ottobre, sei ore di violentissime bombe d'acqua hanno prostrato la città di Taranto, facendo registrare l'eccezionale caduta di oltre 200 millimetri di pioggia, circostanza che ha causato il corto circuito del sistema viario e il blocco dello stabilimento siderurgico –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda assumere per sovvenire alla drammatica condizione in cui versano le popolazioni campane e pugliesi colpite dall'alluvione, con particolare riferimento all'area del beneventano, per consentire un dignitoso riparo nei giorni a venire fino al ripristino delle condizioni di efficienza abitativa delle case inagibili, un ristoro per i danni gravissimi portati ad una agricoltura di qualità ed una ripresa della vita civile che si avvicini ad una idea di normalità. (4-10789)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta scritta:


   PLACIDO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi giorni la stampa nazionale ha diffuso la notizia di brutali assassini di bambini in Brasile ad opera della polizia brasiliana;
   «negli stessi primi nove mesi del 2015, che ha la sorte di precedere la kermesse delle Olimpiadi di Rio de Janeiro, nella capitale brasiliana sono «spariti» almeno 371 ragazzini di strada tra i 4 e i 15 anni», così il quotidiano Avvenire in un articolo di Elena Molinari del 13 ottobre 2015;
   secondo quanto è possibile evincere dalle informazioni diffuse negli ultimi giorni dalla stampa, le Nazioni Unite e la Conferenza episcopale brasiliana avrebbero denunciato che tutti i bambini «spariti» sarebbero stati uccisi dalla polizia nel corso di una macabra operazione di «pulizia» delle strade di Rio;
   «L'Onu ha accusato la polizia brasiliana di uccidere bambini per «ripulire» le città, e soprattutto Rio de Janeiro, in vista delle Olimpiadi dell'anno prossimo. L'accusa viene mossa dal Comitato Onu sui diritti dell'infanzia citato da media brasiliani, tra cui il sito del quotidiano Estadao. Secondo il Comitato Onu, le forze dell'ordine sono direttamente coinvolte nell’«elevato numero di esecuzioni sommarie di bambini» nel Paese, accompagnate da impunità «generalizzata», compiute per «ripulire il paese». Per il comitato delle Nazioni unite, la violenza nei confronti dei minorenni è ancor più visibile a Rio de Janeiro, dove ci sarebbe il tentativo di «Pulire» la metropoli in vista dei Giochi Olimpici del 2016»;
   il numero di 371 «scomparsi» dall'inizio dell'anno riguarderebbe soltanto i casi confermati. Infatti, «L'Onu ne sospetta almeno duemila, il Consiglio federale di medicina brasiliano 250 mila in tutto il Paese negli ultimi anni. Padre Renato Chiera, fondatore della «Casa do Menor», parla di «400 alla settimana», eliminati nel corso del «genocidio sociale» in atto. Bambini svaniti, raramente cercati, mai ritrovati» http://www.avvenire.it;
   nel rapporto dell'Onu è detto a chiare lettere «“L'aumento del numero di adolescenti vittime della polizia è una sfida. Le vittime sono soprattutto ragazzi poveri dalla pelle nera che vivono alla periferia delle aree metropolitane delle grandi città. La loro probabilità di essere uccisi dalla polizia è quattro volte maggiore quella di un adolescente bianco”. L'organismo propone al governo brasiliano la soluzione radicale di eliminare il reato di autos de resisténcia, la “resistenza all'arresto” come «grande passo verso la protezione dei diritti dei bambini» (http://www.avvenire.it) e ancora, il Comitato ONU per i diritti dell'infanzia denuncia come «E accaduto con i Mondiali e ora il dramma si sta ripetendo – con forse maggiore intensità – con le Olimpiadi 2016. Abbiamo ricevuto informazioni concrete sul fatto che ora si tratta di un modo di “migliorare l'aspetto” del proprio territori, hanno dichiarato i ricercatori delle Nazioni Unite che, pertanto, hanno chiesto una svolta. Con leggi ad hoc che proibiscano la detenzione arbitraria di minori”»;
   le dichiarazioni di alcuni membri del Comitato ONU per i diritti dell'infanzia riportate da Il Fatto Quotidiano, infatti, «per l'organo delle Nazioni unite, le forze dell'ordine sono direttamente coinvolte nell’“elevato numero di esecuzioni sommarie di bambini”, spesso accompagnate dall'impunità dei responsabili. La violenza nei confronti dei minorenni sarebbe ancor più visibile a Rio de Janeiro, dove “esiste un'ondata di ‘pulizia’ che mira alle Olimpiadi per presentare al mondo una città senza questi problemi”, ha dichiarato la vice-presidente del Comitato, Renate Winter. Denunce di questo tipo – viene sostenuto – si sono moltiplicate in occasione dei mega-eventi sportivi organizzati nel Paese. “Abbiamo già visto episodi simili durante i Mondiali del 2014 e ora chiediamo che il fenomeno venga subito corretto per evitare che si ripeta”, ha affermato il perito Onu, Gehad Madi. Sulla stessa lunghezza d'onda anche la consulente ecuadoregna Sara Oviedo, secondo cui le stragi di bambini in Brasile non sono una novità. “Ma abbiamo ricevuto informazioni concrete sul fatto che ora si tratta di un modo di migliorare l'aspetto del proprio territorio per poter ricevere manifestazioni internazionali”, ha aggiunto l'esperta. Per l'Onu esiste una ”violenza generalizzata” da parte della polizia, specialmente contro i “meninos de rua” e quelli che vivono nelle “favelas”. “Siamo seriamente preoccupati”, hanno dichiarato i membri del Comitato, che chiedono anche al governo brasiliano l'approvazione immediata di leggi che proibiscano la detenzione arbitraria dei bambini di strada» (http://www.ilfattoquotidiano.it);
   si tenga inoltre presente che «l'ultimo studio Unicef, diffuso a luglio, però, parla di 10.500 bambini e adolescenti assassinati all'anno, il doppio rispetto al 1990. In media, dunque, ogni ora viene ammazzato almeno un minore, uno stillicidio quotidiano da 28 vittime. Certo, non tutti sono bersaglio della polizia o degli squadroni della morte, ma soprattutto degli episodi di criminalità. Con un indice di impunità tra il 92 e il 95 per cento, però, le responsabilità sono difficili da valutare. Il che favorisce, a sua volta, il dilagare della violenza» (http://www.avvenire.it);
   le notizie riportate dalla stampa rappresentano un vero e proprio abominio, un'aberrazione per l'intera umanità che rischia di passare nel silenzio o nell'indifferenza delle istituzioni o comunque senza prese di posizioni e provvedimenti tangibili ed efficaci –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda promuovere, anche nell'ambito della comunità internazionale, per garantire i diritti umani e i diritti dell'infanzia, al fine di tutelare bambini, soprattutto neri e che vivono in una disarmante condizione di povertà, in Brasile;
   se non intenda promuovere incontri multilaterali, con il coinvolgimento e la partecipazione attiva dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, affinché tutti i bambini possano avere diritto alla esistenza prima ancora che a una esistenza libera e dignitosa oltre che alla felicità, anche attraverso attività diplomatiche che presuppongano il ricorso a sanzioni internazionali affinché ai bambini brasiliani siano riconosciuti tutti i diritti degli altri bambini, senza discriminazioni;
   se il Governo non intenda attivarsi per perseguire a qualsiasi livello quello che, per come è descritto, appare un crimine contro l'umanità, considerate soprattutto le aberrazioni che sarebbero perpetrate dalla polizia brasiliana nei confronti dei bambini delle favelas e dei meninos da rua brasiliani;
   se il Governo intenda in ogni caso – verificata la fondatezza delle informazioni riportate dalla stampa così come denunciate dagli organismi internazionali – valutare se prospettare al Governo brasiliano, alla comunità internazionale e al Comitato olimpico internazionale la mancata partecipazione alle prossime Olimpiadi in assenza di misure, provvedimenti e sanzioni concrete. (4-10788)


   MANLIO DI STEFANO, DEL GROSSO, DI BATTISTA, GRANDE, SCAGLIUSI, SIBILIA e SPADONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 21 settembre 2015 la società italiana denominata «AlmavivA» si aggiudicava l'appalto per lo sviluppo e la gestione del sistema per il rilascio dei visti Schengen, indetto dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (MAECI), che raggiunge e serve le sedi all'estero del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, le ambasciate e gli uffici consolari, per un totale di 163 uffici in tutto il mondo;
   Antonio Amati, direttore generale divisione IT AlmavivA, affermava, in tale occasione, che: «Grazie all'aggiudicazione della gara per i visti Schengen, AlmavivA rafforza la propria presenza presso il Ministero, per il quale già da un anno gestisce il Sistema Integrato di Contabilità e Bilancio. L'Azienda conferma così il proprio ruolo di partner tecnologico della Farnesina, anche in un settore più che mai strategico in questo momento storico, con l'Expo in corso e in vista dell'imminente Giubileo»;
   AlmavivA si è aggiudicata l'appalto del valore a base d'asta di 4,6 milioni di euro, superando sul punteggio tecnico undici RTI concorrenti. Il contratto sottoscritto prevede una durata di 36 mesi ed è prorogabile per altri tre anni;
   negli ultimi anni la posizione di direttore delle comunicazione e relazioni esterne della stessa AlmavivA veniva ricoperta dalla signora Elena Di Giovanni, attuale moglie dell'ambasciatore Michele Valensise, segretario generale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, profilandosi, ad avviso degli interroganti, così la possibilità di un conflitto d'interessi;
   attualmente la signora Di Giovanni lavora in qualità di «consulente di comunicazione internazionale e di promozione culturale per la “Comin & Partners”, una società di comunicazione che, tra i suoi clienti, ha anche il gruppo informatico “AlmavivA”, vincitore degli appalti di cui sopra. La Comin & Partners ha la sua sede romana a Palazzo Colonna e usufruisce di locali affittati dalla famiglia di Marco Tripi, proprietaria di AlmavivA»;
   è plausibile, quindi, a giudizio degli interroganti, ipotizzare un conflitto d'interessi di non facile composizione vista l'influente posizione rivestita dal citato Valensise in seno all'amministrazione degli esteri nonché l'ingenza dell'appalto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative intenda intraprendere per fare chiarezza sulla vicenda in questione e per ripristinare una situazione di piena trasparenza e legalità. (4-10790)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   nei giorni 1o e 2 ottobre 2015 sulla Sardegna, in particolare sulla zona di Olbia, si è abbattuto il cosiddetto «Ciclone Mediterraneo»;
   la Sardegna è purtroppo soggetta ad eventi disastrosi dovuti alle intense piogge, i cui effetti si accentuano per la fragilità naturale ma anche causata dall'uomo del suo territorio;
   tra i tanti eventi calamitosi basti ricordare la spaventosa alluvione del novembre 2013 che sconvolse l'intera isola causando 16 morti e circa 200 milioni di euro di danni;
   la zona di Olbia fu una delle più colpite dall'alluvione di due anni fa, ed è ancora una volta il centro della nuova crisi, che solo per circostanze fortunate – se così si può dire – non ha visto questa volta vittime;
   infatti, le aree colpite dalle violente piogge di inizio ottobre 2015, sono le stesse nelle quali due anni fa persero la vita Patrizia Corona e la sua piccola figlia Morgana, travolte dalla furia delle acque mentre erano in auto;
   la popolazione di quei quartieri, giustamente indignata, ha fatto notare che l'alluvione era del tutto scontata dato che non si era mai provveduto a pulire il letto del fiume, in particolare quando esso è in secca, ossia durante la lunga estate;
   nel nuovo evento calamitoso si sono registrati allagamenti diffusi, black out elettrici, sospensioni preventive del traffico ferroviario, oltre alla chiusura di scuole ed uffici pubblici, mentre circa ottanta sono le strade che in vari momenti sono state chiuse per allagamenti;
   in particolare, almeno cinquecento persone sono state sfollate avendo avuto allagate le case, mentre almeno quaranta persone sono state costrette a trascorrere la notte fuori casa nella zona di Torpé, dove, tra l'altro, è esondato un canale tombato;
   per affrontare l'emergenza sono stati mobilitati in tutta la Sardegna 10 mila uomini e donne della Protezione civile, cui si sono aggiunti duemila addetti dell'Ente foreste, seicento mezzi e sette colonne mobili;
   inoltre, su richiesta della, prefettura di Sassari l'esercito è intervenuto ad Olbia in soccorso della popolazione locale colpita dalle esondazioni del rio Siligheddu e del rio San Nicola;
   proprio in riferimento al rio Siligheddu, già tristemente protagonista del disastro del 2013, non si può non notare che si è reso necessario l'abbattimento del ponte costruito sul rio stesso;
   quel ponte era stato distrutto dalla piena del 2013 e, nonostante i molti dubbi espressi anche dal sindaco di Olbia, era stato da poco ricostruito, con la non indifferente spesa di 80 mila euro;
   è stato, però, necessario abbattere il ponte sopra ricordato, in quanto vero e proprio tappo sul rio Siligheddu, e causa non secondaria delle esondazioni;
   si tratta di un caso limite, ma che evidenzia come l'opera dell'uomo accentui i danni che le sempre più frequenti e violente perturbazioni che si abbattono sulla Sardegna già di loro causano;
   non si era, infatti, ma visto che si arrivasse a distruggere una struttura, appena ricostruita, per evitare che il tappo causasse altri danni, peggiori di quelli che già si stavano registrando;
   il rio Siligheddu non è certo un grande fiume, ma è uno di quei corsi d'acqua che assurgono a triste fama per le improvvise «collere» che li sconvolgono e che travolgono tutto ciò che incontrano sul loro cammino;
   queste «collere» improvvise vengono certo accentuate dall'azione scriteriata dell'uomo, di cui il caso del ponte sopra ricordato non è certo un caso unico;
   va, purtroppo, detto che Olbia stessa è una città costruita sull'abuso edilizio, e per questo esposta ai rischi peggiori ad ogni pioggia che sia un poco più violenta del «normale»;
   non si tratta, infatti, di fiumi «assassini» o di piogge «killer», ma di eventi causati certamente dai cambiamenti climatici e soprattutto dall'azione dell'uomo, eventi assolutamente prevedibili e che ormai vengono quasi dati per scontati, tirando un sospiro di sollievo (ipocrita) quando, come in questo caso «non ci scappa il morto»;
   nell'ultima alluvione, infatti, è stata la sorte, e l'abnegazione dei volontari della protezione civile, a impedire altri lutti, dato che l'alluvione stessa è avvenuta di mattina e non di notte come, invece, nel 2013;
   inoltre, stavolta l'allarme meteo è stato tempestivo e ascoltato dai cittadini che hanno collaborato con le autorità nell'affrontare l'emergenza;
   non la sola zona di Olbia è stata colpita dagli eventi calamitosi: infatti, è stato duramente colpito dalle precipitazioni anche il Nuorese, in particolare la zona di Orosei, che ha subito anche danni, al momento non quantificati, alle colture;
   non si può non osservare che, non solo per quel che riguarda la Sardegna, non si impara mai dagli errori commessi, e ogni volta che, in autunno, stagione delle piogge, una perturbazione si avvicina, si scrutano le previsioni meteorologiche e il cielo con una preoccupazione che l'uomo moderno non dovrebbe certo avere nei confronti dei normali eventi climatici di stagione;
   in conseguenza del disastro del 2013 il Governo ha annunciato un finanziamento di 80 milioni di euro – il cosiddetto «piano Mancini» – per la messa in sicurezza, in particolare di Olbia;
   di questi 80 milioni di euro, 16 sono stati già finanziati, come ha confermato il sottosegretario Bressa rispondendo recentemente ad atti di sindacato ispettivo mentre gli altri interventi saranno finanziati in un secondo momento;
   sono questi i fondi di cui ha parlato il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Galletti nella sua visita ad Olbia subito dopo l'alluvione;
   dal sito di Italia sicura, la struttura contro il dissesto idrogeologico voluta da Palazzo Chigi, si legge che gli interventi per Olbia sono lievitati ad 81,2 milioni di euro che la città è stata inserita nelle opere previste dal piano nazionale 2015-2020;
   i primi 16 milioni di euro, già previsti dopo l'alluvione catastrofica del 2013, però, verranno stanziati solo alla fine di ottobre 2015 e, come dichiara lo stesso direttore di Italia Sicura Mauro Grassi, in questi due anni si è fatto poco o nulla: «gli interventi inizialmente previsti non sono mai arrivati alla fase di progettazione definitiva»;
   non si può non notare come questi ritardi rendano più pesante la situazione della Sardegna che, come ricordato anche nella mozione 1-00697 presentata nel gennaio 2015 e approvata nel mese di giugno 2015 vive una crisi gravissima che i continui disastri naturali non possono che aggravare in modo pesante –:
   quali ulteriori concrete iniziative di sue competenza intenda intraprendere il Ministro interpellato per affrontare in modo concreto ed organico le continue emergenze, che proprio perché continue non possono più essere considerate tali, e vanno quindi affrontate in modo strutturale e non sempre e solo sotto l'impatto, anche emotivo, del momento di crisi, inserendo la «questione Sardegna», come previsto nella succitata mozione 1-00697, nell'agenda del Governo, collaborando attivamente con la Regione e con gli enti locali nell'azione di prevenzione di ulteriori disastri.
(2-01129) «Capelli, Dellai».

Interrogazione a risposta scritta:


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la cronaca continua a riportare notizie di morti e gravi episodi di inquinamento presso il polo industriale di Siracusa;
   il sito di interesse nazionale di Priolo Gargallo, istituito attraverso la legge n. 426 del 1998, si estende lungo la costa sud orientale della Sicilia, affacciandosi al mare per circa 30 chilometri, e comprende i comuni di Augusta, Priolo, Melilli e Siracusa;
   infatti, nei comuni appena citati si trova il più grande complesso petrolchimico d'Europa. Questo territorio è stato classificato come sito di interesse nazionale a causa dell'emergenza prodotta dall'inquinamento delle falde acquifere e della contaminazione delle coste. In queste località, infatti, l'incidenza dei tumori è altissima, così come quella delle morti sul lavoro;
   il Giornale di Sicilia, il 12 settembre 2015, ha riportato la notizia della morte per asfissia, a causa dell'inalazione improvvisa di vapori di idrocarburi, di due operai specializzati della ditta Xifonia che stavano facendo un sopralluogo ad un pozzetto nell'area Versalis del polo petrolchimico di Priolo Gargallo;
   mentre la magistratura apre un'inchiesta sulle due morti, il gruppo Eni sembra all'interrogante preoccuparsi solo di sospendere la ditta Xifonia da qualsiasi attività all'interno della sopra citata area, aggiungendo, con tale comportamento, un ulteriore danno alla ditta che oltre a subire la perdita incalcolabile dei due operai si vede anche sospendere l'appalto;
   alla perdita di vite umane, per incidenti sul lavoro, si deve aggiungere il costante inquinamento di tutta l'area responsabile di altre morti;
   ancora, imponenti sfiaccolamenti, dovuti al malfunzionamento in fase di avviamento del fluid catalic cracking, impiegato per la produzione di benzine grezze pesanti, provenienti dalla raffineria Esso di Augusta, con probabili rilasci in atmosfera di sostanze inquinanti sono solo gli ultimi episodi, registrati il 12 agosto 2015 e riportati da numerose testate giornalistiche, di un costante e continuo inquinamento cui sono sottoposti popolazioni e territori della zona;
   si ricorda che gli impianti presenti nell'area industriale, sopra citata, sono prevalentemente di carattere chimico e petrolchimico, raffinerie dunque, ma anche cementerie, un inceneritore per rifiuti speciali pericolosi, centrali termoelettriche, un depuratore di reflui industriali, discariche, l'impianto dismesso di trattamento/lavorazione amianto della ex Eternit, l'impianto cloro-soda della ex Enichem e l'area portuale. Petrolio, metalli pesanti (mercurio e piombo), idrocarburi, cloruri, amianto, rilevanti quantità di ceneri di pirite sono le sostanze che maggiormente hanno contaminato il suolo e le acque, per non parlare della pessima qualità dell'aria, dovuta alle significative emissioni provenienti principalmente dal polo petrolchimico;
   nell'ultimo studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento – Mortalità, incidenza oncologica e ricoveri ospedalieri – Sentieri 2014 – si rileva che, nell'area del sito di interesse nazionale di Priolo, l'incidenza dei tumori nel suo insieme, esclusi i tumori della pelle, è in eccesso in entrambi i generi. In particolare, sono in eccesso sia negli uomini sia nelle donne i tumori del fegato e del pancreas e il mesotelioma; i tumori del polmone, della vescica e del sistema nervoso centrale lo sono tra i soli uomini; nelle sole donne si sono osservati eccessi del tumore del colon-retto, della mammella e dell'utero;
   si rileva inoltre che il 13 gennaio 2015 l'asp di Siracusa ha presentato i dati di incidenza e di mortalità per tumori nella provincia di Siracusa aggiornati rispettivamente al 2009 e al 2013;
   il registro territoriale delle patologie della Asp di Siracusa è stato istituito con la legge regionale n. 1 del 1997 e, sin dal 1999 produce dati di incidenza e mortalità dei tumori dell'intera provincia. Dal 2007 il registro siracusano è uno dei pochi in Italia ad aver ottenuto l'accreditamento internazionale dalla IARC (International Agency Research on Cancer) di Lione, organismo dell'Organizzazione mondiale della sanità e dallo stesso anno i suoi dati vengono regolarmente pubblicati sul cancer incidence in five continents della IARC. I dati pubblicati finora coprivano il periodo che andava dal 1999 al 2005. Con l'attuale pubblicazione i dati di incidenza vengono aggiornati di un ulteriore quadriennio (fino al 2009) e quelli di mortalità di ulteriori 8 anni (fino al 2013): «I trends temporali della mortalità per tumori dal 1999 al 2013 sono costantemente in crescita in tutta la provincia. La distribuzione dei tassi di mortalità in provincia di Siracusa, infatti, rispecchia sostanzialmente quella dei tassi di incidenza, ma fa osservare un trend ancora in crescita in entrambi i sessi, con un incremento del +6,7 per cento tra i maschi e del +7,5 per cento tra le donne.»;
   basta quest'unica citazione dello studio dell'Asp di Siracusa per ribadire che sono oramai diventati intollerabili l'enorme disagio e il grave rischio procurato nel territorio dall'inquinamento dell'aria, delle falde acquifere e delle aree coltivabili nelle zone circostanti al polo petrolchimico presente nella zona del siracusano;
   decine di migliaia di persone, che vivono nelle aree antistanti il polo petrolchimico siracusano, continuano a subire le gravi ripercussioni sulla salute dovute all'inquinamento –:
   se i Ministri interrogati non intendano adottare, ognuno per le parti di competenza, iniziative immediate al fine di garantire la piena attuazione delle prescrizioni, previste dal sopra citato sito di interesse nazionale, per la riqualificazione del territorio;
   quali azioni si intendano avviare al fine di garantire l'ambiente e il diritto alla salute dei cittadini, anche attraverso idonee ed efficaci attività di monitoraggio sanitario e ambientale. (4-10784)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da numerose agenzie stampa nazionali e da articoli di quotidiani locali e nazionali è chiaramente visibile come sulla sommità del «Palazzo della civiltà Italiana», meglio conosciuto come «Colosseo Quadrato», nel quartiere E.U.R. di Roma, sia spuntata, quasi all'improvviso, una struttura rettangolare in acciaio con grandi vetrate. Detta struttura è evidentemente eterogenea rispetto alle linee «pure» del citato monumento razionalista;
   l'edificio è attualmente locato dalla società pubblica EUR s.p.a alla Maison Fendi, detenuta dal gruppo francese LVMH Moët Hennessy Louis Vuitton S.A., che stabilirà nel mese di ottobre 2015 lì il suo quartier generale romano fino al 2028;
   allertarti da liberi cittadini ivi residenti per lo sfregio del sospetto abuso sul tetto del «Colosseo quadrato», i poliziotti di Roma Capitale hanno fatto un sopralluogo al Palazzo della Civiltà italiana per le dovute verifiche sulla grossa struttura posta sul tetto dell'edificio monumentale. I vigili, come riporta anche l'agenzia Ansa, il 16 ottobre 2015, hanno perciò ritenuto opportuno preparare un'informativa urgente all'autorità giudiziaria «in modo da permettere al giudice in caso egli ravvisi eventuali ipotesi di reato, di aprire un fascicolo e nominare una consulenza tecnica»;
   il Palazzo della Civiltà italiana, talora anche chiamato della Civiltà del lavoro, è uno dei simboli più importanti di Roma ed è un edificio monumentale che si trova all'EUR: splendido quartiere della Roma moderna e tra i rarissimi esempi di architettura razionalista del mondo. Concepito fin dal 1936 e progettato nel 1937, la sua costruzione iniziò nel luglio 1938 e fu inaugurato, benché incompleto, nel 1940. La struttura è a pianta quadrata e appare come un parallelepipedo a quattro facce uguali, con struttura in cemento armato e copertura interamente in travertino; presenta 54 archi per facciata, 9 in linea e 6 in colonna, e in ragione di ciò è stato ribattezzato anche «Colosseo quadrato»;
   detto edificio è stato ufficialmente dichiarato dal Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo edificio di interesse culturale ex decreto legislativo n. 42 del 2004, ed è quindi vincolato a soli usi espositivi e museali e le sue caratteristiche architettoniche, peraltro dalla forma peculiare, sono rigidamente vincolate –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti; se, di concerto con gli uffici preposti del comune di Roma Capitale, intenda verificare celermente la legittimità, la conformità con la disciplina dettata dal decreto legislativo n. 42 del 2004 e l'esiten-za del relativo iter autorizzativo dell'intervento aggiuntivo sul tetto del Colosseo Quadrato, accertando, nel caso fosse stato permesso, quali valutazioni architettoniche siano state effettuate, su quali basi e da quale ufficio territorialmente competente del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo; se non si ritenga opportuno assumer iniziative per la completa e rapida rimozione delle sopraddette strutture in vetro e acciaio sulla sommità del Palazzo della civiltà italiana, appurando al tempo stesso se anche all'interno del monumento tutelato siano stati eseguiti altri interventi architettonici non autorizzati. (4-10793)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   ZACCAGNINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da notizie stampa, si apprende che, in data 25 Settembre 2015, un ragazzo di 29 anni è stato trovato morto in una cella del carcere di Pesaro;
   il suo nome era Anas Zamzami, da tutti conosciuto come «Eneas», detenuto per il reato di falsa identità e resistenza a pubblico ufficiale, reati commessi nel 2011, e in relazione ai quali doveva scontare dodici mesi di reclusione;
   nonostante quanto previsto dalla legge 26 novembre 2010, n. 199, recante «Disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a diciotto mesi», Eneas scontava la pena nell'istituto e già da 5 mesi;
   la versione della C.C. di Villa Fastigi è che il decesso sia avvenuto per suicidio; per i familiari e gli amici di Eneas le dinamiche dei fatti risultano invece poco chiare;
   peraltro, a seguito di relativa istanza del giugno 2015, il 21 ottobre avrebbe avuto luogo l'udienza per l'esecuzione pena presso il domicilio;
   attualmente sono in corso indagini per istigazione a suicidio;
   rispetto alla drammatica vicenda di Eneas, il Sappe (sindacato autonomo polizia penitenziaria) ha dichiarato: «L'ennesima tragedia, il suicidio di un uomo nemmeno trentenne con trascorso importante di tossicodipendenza e problemi di natura psichiatrica, ripropone la questione del se può il carcere farsi carico della missione risocializzante quando il soggetto cui si rivolge non è in grado di comprendere né il disvalore delle proprie condotte né recepire le azioni di sostegno»;
   a parere di chi lo conosceva, Eneas non aveva avuto un «trascorso importante di tossicodipendenza», né problemi psichici – sicuramente non ne aveva prima di entrare in carcere;
   dai rapporti con i familiari, dalle visite in carcere e dalle comunicazioni epistolari con l'esterno, non sembra che Eneas non fosse in grado di comprendere «il disvalore delle proprie condotte né recepire le azioni di sostegno»;
   come riferito anche nei rapporti sulle condizioni di detenzione dell'associazione Antigone in relazione alla casa circondariale di Pesaro, appare evidente come le condizioni dei detenuti siano al limite: celle progettate per una persona in cui ne risiedono due, spazi comuni insufficienti come numero e dimensioni e carenza di personale;
   a parere dell'interrogante, tali condizioni di detenzione non possono non apparire disumane e, dunque, in grado di compromettere la salute psicofisica di quanti si trovano a contare la pena in tale istituto;
   come riferito anche da notizie stampa, Eneas si lamentava delle condizioni di vita all'interno dell'istituto di pena che l'avevano anche portato ad una significativa perdita di peso e di fiducia verso chi lo circondava;
   Eneas si trovava in Italia dall'età di sei anni e aveva frequentato le scuole pubbliche italiane, riuscendo ad ottenere dopo anni la cittadinanza italiana proprio il giorno del suo arresto, motivo peraltro l'aveva portato – il giorno dell'arresto, nel 2011 – a dare una falsa identità e ad opporsi alle forze dell'ordine –:
   di quali informazioni disponga il Ministro interrogato circa i fatti riferiti in premessa in particolare, circa le cause che hanno condotto al decesso di Eneas, e se siano state messe in atto tutte le misure preventive, anche di assistenza, previste per i detenuti cosiddetti «nuovi giunti»;
   se non ritenga che l'elevato numero di suicidi in carcere dipenda dalle condizioni di sovraffollamento degli istituti di pena e dalle aspettative frustrate di migliori condizioni di vita al loro interno;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine di scongiurare i rischi derivanti dal sovraffollamento nelle carceri e migliorare le condizioni di vita dei detenuti, con ciò riducendo l'alto numero dei suicidi in carcere;
   se, più in generale, non ritenga necessario disporre un'inchiesta ministeriale sulle ragioni delle morti in carcere in tutto il territorio nazionale, inclusi i suicidi, nonché sullo stato di sovraffollamento degli istituti penitenziari. (4-10792)

 * * *

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AGOSTINELLI, CECCONI e TERZONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   numerosi articoli di stampa hanno permesso di apprendere che la regione Marche, su sollecitazione del comune di Ancona e dell'autorità portuale di Ancona, avrebbe suggerito a Ferrovie dello Stato s.p.a. (e alle società del Gruppo RFI e Trenitalia), di sopprimere i treni passeggeri e merci nella tratta da Ancona Centrale a Ancona Marittima, dal 1o gennaio 2016;
   tale richiesta sarebbe stata motivata dal fatto che RFI s.p.a. ha proposto alcuni interventi per la messa in sicurezza dei passaggi a livello posti sulla predetta linea e per raddoppiare la velocità dei convogli;
   stando al documento «Posizione dell'A.P. di Ancona» emerge che «L'ANSF ha emesso le seguenti prescrizioni per consentire la circolazione dei treni: automazione del passaggio a livello del Mandracchio; realizzazione di due nuovi passaggi a livello automatizzati, uno davanti alla Mole e l'altro antistante l'accesso alle aree di imbarco in porto (Facility 1); rafforzamento delle balaustre di’ protezione della linea ferroviaria»;
   stando alle dichiarazioni di numerosi consiglieri comunali comitati cittadini ed esperti del settore gli stessi non riescono ad avere copia della nota che sarebbe stata emanata nel 2015 dall'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie cosa che suscita il dubbio che la questione «sicurezza ferroviaria» non avrebbe nulla a che vedere con la soppressione dei treni prima e della linea ferroviaria poi;
   i treni da e per la stazione di Ancona Marittima sono frequentati ogni giorno oltre 900 pendolari che possono poi raggiungere a piedi i principali attrattori di traffico del centro città. La stessa stazione e i servizi rientrano nel più ampio progetto di «uso metropolitano della ferrovia» per il quale nel corso degli anni sono state realizzate dal gruppo Ferrovie dello Stato le fermate di Falconara Stadio, Ancona Torrette, Varano Stadio e sono in corso la realizzazione della fermata Ancona Aspio e la progettazione della fermata a Falconara Aeroporto. Si tratta di una decisione che porterebbe a sostituire con la gomma il trasporto ferrato in netta controtendenza con le politiche nazionali e comunitarie che sono orientate a privilegiare il trasporto su ferro di gran lunga tra i meno inquinanti e proprio/mentre è imminente, in sede europea, l'approvazione di una risoluzione sui trasporti che spinge con grande enfasi sul trasporto ferroviario e sul mettere al centro «lo spostamento delle persone» prevedendo consistenti sostegni finanziari;
   partendo dalla volontà di migliorare e potenziare i collegamenti si giunge, a sopprimere i servizi ferroviari e la linea ferroviaria stessa a partire dal 1o gennaio 2016 come se si annunciassero nuovi convogli efficienti e confortevoli su una linea e nel contempo sopprimessero i collegamenti esistenti –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti suesposti; se trovi conferma che l'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie abbia imposto a RFI e al gestore di attuare le seguenti prescrizioni per consentire la circolazione dei treni: automazione del passaggio a livello del Mandracchio; realizzazione di due nuovi passaggi a livello automatizzati, uno davanti alla Mole e l'altro antistante l'accesso alle aree di imbarco in porto (Facility 1); rafforzamento delle balaustre di protezione della linea ferroviaria, con quale nota ciò sia avvenuto;
   se e quali iniziative il Ministro intenda esercitare per impedire quello che gli interroganti ritengono un inaccettabile disegno che priverebbe il porto di Ancona del necessario collegamento ferroviario utile a centinaia di persone e allo stesso potenziamento del traffico crocieristico più volte annunciato dalla stessa autorità portuale. (5-06706)

INTERNO

Interrogazione a risposta scritta:


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il corpo nazionale dei Vigili del fuoco è una delle istituzioni più importanti e significative per il nostro Paese;
   numerosi sono i compiti e gli interventi che il corpo assolve sull'intero territorio, quotidianamente, con professionalità e competenza, in soccorso ed al servizio della cittadinanza, per garantirne l'integrità, operando nella gran parte dei casi in condizioni di pericolo e di alto rischio;
   il corpo nazionale dei Vigili del fuoco è costituito da una componente professionista in servizio permanente (deputata a garantire la generalità degli interventi di soccorso sul territorio) e una componente volontaria, alla quale il legislatore ha affidato un ruolo concorrente e non sostitutivo. La stessa infatti è chiamata a concorrere nel garantire un primo intervento di soccorso nelle zone a più basso indice di rischio, ovvero in località non raggiungibili entro i tempi fissati come limiti per un efficace intervento operativo;
   negli ultimi 15 anni, per sopperire alla grave carenza ed inadeguatezza di personale dei Vigili del fuoco permanenti, si è assistito a un utilizzo eccezionale dello strumento di richiamo in servizio di personale volontario presso le sedi permanenti;
   ultimamente con il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2013), all'articolo 8, si è prevista l'assunzione di 1.000 unità di Vigili del fuoco tramite lo scorrimento delle graduatorie per la procedura di stabilizzazione del personale precario del corpo, ai sensi della legge n. 296 del 2006 e della graduatoria del concorso pubblico ad 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco;
   nonostante il potenziamento dell'organico previsto dal sopra citato decreto, nulla è cambiato per il distaccamento permanente dei Vigili del fuoco di Pantelleria, dipendente dal Comando provinciale di Trapani, istituito con decreto ministeriale n. 28/88435 del 1995;
   la situazione del distaccamento di Pantelleria vive, praticamente sin dalla sua istituzione, una serie di problematiche mai risolte;
   infatti, in tutti questi anni, nessuno ha mai individuato locali idonei per la sede del distaccamento, per cui i Vigili del fuoco sono ancora oggi ospitati nella sede aeroportuale, unica al momento in funzione ed utilizzata per i due distaccamenti (aeroportuale e terrestre) con tutti i problemi che ciò comporta per i tempi di entrata ed uscita dall'area aeroportuale;
   l'attuale distaccamento all'interno dell'aeroporto, dove opera il personale dei due distaccamenti, è in condizioni igienico-sanitarie estremamente precarie e nessun intervento è stato intrapreso per rendere i locali idonei a garantire condizioni di lavoro adeguate sia in termini di sicurezza, che di salubrità dei luoghi di lavoro;
   inoltre, dall'istituzione del distaccamento non si è provveduto a completare l'organico perciò sovente esso non risulta essere operativo a causa della mancanza di personale, interrompendo, in tal modo, il servizio volto alla erogazione del soccorso e della sicurezza pubblica sull'isola. A ciò si deve aggiungere che, nel caso di soccorso tecnico urgente per la popolazione di Pantelleria, il personale permanente destinato al servizio del distaccamento aeroportuale non può allontanarsi dalla sede di servizio senza compromette gli standard necessari a garantire il soccorso in caso di allarme o emergenza aeroportuale. Tutto questo determina grave nocumento alla popolazione vista anche la posizione disagiata dell'isola;
   da alcune recenti notizie di stampa si apprende che il sindacato autonomo dei Vigili del fuoco (Conapo) avrebbe presentato un esposto alla procura di Trapani con cui veniva ipotizzata l'interruzione del servizio di pubblico soccorso al distaccamento dei Vigili del fuoco di Pantelleria, in quanto gli operatori dei Vigili del fuoco sono costretti, per carenza di personale, spesso, a declinare richieste di intervento provenienti anche dalla locale stazione dei Carabinieri;
   finora le risposte alle emergenze sono state garantite dal distaccamento aeroportuale che tuttavia, ai sensi della normativa vigente in materia di sicurezza aeroportuale, durante l'orario di attività di volo non può ovviamente intervenire al di fuori dello scalo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa in ordine alla grave situazione che si è venuta a verificare sull'isola di Pantelleria dove la carenza del personale dei Vigili del fuoco sta mettendo a repentaglio la sicurezza degli abitanti e di tutti coloro che, a vario titolo, frequentano l'isola;
   se non ritenga opportuno dover incrementare urgentemente ed adeguatamente la dotazione organica del distaccamento dei Vigili del fuoco di Pantelleria, al fine di garantire gli standard minimi di operatività sull'intero territorio isolano. (4-10791)

 * * *

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRESCIA, LUIGI GALLO, DE LORENZIS, SIMONE VALENTE, DI BENEDETTO, VACCA, MARZANA, D'UVA e SIBILIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la città di Prato ospita una delle comunità cinesi più grandi d'Italia. Difatti, su una popolazione complessiva di quasi 190.000 abitanti, tra cui stranieri regolari e non, circa 40.000 sono cinesi;
   la presenza di così tanti abitanti di nazionalità cinese rappresenta per Prato una risorsa e una sfida allo stesso tempo: se da un lato le aziende a conduzione cinese contribuiscono ad alimentare l'economia della città, dall'altro non mancano problematiche relative all'integrazione degli abitanti di origine cinese nella cultura italiana;
   poiché la lingua costituisce il primo ostacolo per una convivenza pacifica tra due culture differenti, è doveroso riconoscere l'importanza delle istituzioni scolastiche nel processo di integrazione dei bambini stranieri e delle loro famiglie nel paese ospitante;
   da notizia di stampa riportata in data 13 ottobre 2015 dal quotidiano online Il Tirreno – Edizione Prato si apprende che circa 40 bambini sono stati esclusi dalle scuole primarie e secondarie di primo grado della città;
   gli istituti scolastici di Prato hanno dovuto respingere le iscrizioni di circa 40 bambini, in quanto avevano già raggiunto il limite di 25 alunni per classe e perché non è stato accordato alle scuole un numero di classi sufficiente per soddisfare le domande di iscrizione, come dichiara l'assessore alla pubblica istruzione di Prato, Mariagrazia Ciambellotti, nel succitato articolo: «Avevo chiesto tre classi in più nella primaria e altre tre nella secondaria di primo grado, ce ne sono state accordate quattro» –:
   se intenda chiarire il motivo per cui non è stato possibile concedere alle scuole primarie e secondarie del comune di Prato un numero di classi sufficiente, nonostante la situazione d'emergenza fosse già stata segnalata dai dirigenti scolastici a luglio 2015;
   quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, affinché i 40 bambini possano al più presto essere accolti nelle strutture scolastiche di Prato.
(4-10785)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con decreto ministeriale 6 agosto 1999 n. 201 è stata istituita la classe di concorso A077;
   l'articolo 3, comma 3, e l'articolo 9 del decreto ministeriale n. 249 del 2010 disciplinano espressamente la formazione degli insegnanti di materie artistiche, musicali, e coreutiche della scuola secondaria di primo e di secondo grado, articolando la stessa in un biennio ad indirizzo didattico a numero programmato, con relativa prova di accesso e successivo Tirocinio formativo attivo (TFA);
   nel 2012 il decreto ministeriale 29 novembre n. 192 ha definito la consistenza numerica dei posti disponibili per il corso di II livello A077;
   il decreto ministeriale 21 dicembre 2012 n. 372 ha istituito il biennio di secondo livello per la formazione dei docenti nella classe di concorso A077 e successivo Tirocinio formativo attivo, inserendosi nel quadro dei corsi previsti dal decreto ministeriale 10 settembre 2010, n. 249;
   sono stati parallelamente attivati i Tirocini formativi attivi speciali con regolamento recante modifiche al decreto ministeriale 10 settembre 2010, n. 249, nonostante le incongruenze già espresse con interrogazione a risposta in commissione n. 5/00684 del 12 marzo 2014;
   il decreto ministeriale n. 308 del 2014, recante «Disposizioni inerenti le tabelle di valutazione dei titoli della II fascia e III fascia delle graduatorie di Istituto», prevede, nella tabella A allegata, una valutazione di 66 punti per i percorsi svolti ai sensi dell'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale n. 249 del 2010, al fine di riequilibrare la situazione creatasi successivamente all'attivazione dei Tirocini formativi attivi Speciali;
   i percorsi abilitanti dei docenti di strumento musicale sono gli unici rispondenti a tale indicazione, in quanto unico ciclo di Tirocinio formativo attivo ordinario e non transitorio attivato ad oggi dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   il decreto ministeriale n. 326 del 2015, recante «disposizioni inerenti le graduatorie di istituto e l'attribuzione di incarichi di supplenza al personale docente» dispone la creazione di una II fascia aggiuntiva per il triennio 2014/2017 per tutti i docenti che hanno conseguito il titolo abilitante dopo il 1o febbraio ed entro il 1o agosto di ciascun anno;
   il medesimo decreto, all'articolo 1, comma 3, stabilisce che tali docenti devono essere valutati ai sensi della tabella A del decreto ministeriale n. 308 del 2014;
   un successivo decreto del Direttore generale del 6 luglio 2015, n. 608, di attuazione del precedente decreto ministeriale n. 326 del 2015, esclude i docenti di strumento musicale dall'applicazione della suddetta tabella A e richiama l'allegato 3, ormai obsoleto sia per quanto riguarda i titoli di accesso che gli altri titoli culturali;
   è tuttavia necessario ricordare che i docenti di strumento musicale, tanto di II quanto di III fascia, ricevono un ulteriore punteggio, relativo ai titoli artistici, pari a massimo 66/66 e non richiamato dalla tabella A;
   dall'applicazione della sola Tabella A risulterebbe pertanto una discriminazione in negativo rispetto ai docenti già inseriti nelle graduatorie di II fascia, per i quali il punteggio artistico è già stato previsto e calcolato;
   viceversa, l'applicazione dell'Allegato 3 che, ad oggi, le segreterie scolastiche sono tenute ad utilizzare, sta determinando una grave sperequazione rispetto a tutti gli altri docenti abilitati tramite Tirocinio formativo attivo, non intervenendo minimamente a sanare la differenza di selettività tra i percorsi ordinari e quelli speciali di cui sopra, principio pur accolto dal legislatore con la normativa citata –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare al fine di rispettare il principio costituzionale di uguaglianza nella valutazione dei percorsi abilitanti avente carattere selettivo e nella considerazione dei titoli artistici ai fini della costituzione delle dette graduatorie.
(4-10794)


   PAGANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con avviso del 10 aprile, 2015, l'ufficio scolastico regionale (U.S.R.) della Sicilia – direzione generale – avviava la procedura per il conferimento di incarichi dirigenziali ai sensi dell'articolo 19, comma 5-bis, del decreto-legislativo n. 165 del 30 marzo 2001 e successive modificazioni ed integrazioni. Nell'avviso venivano banditi tre posti di dirigente con funzione ispettiva tecnica, le cui competenze sono previste e regolate dall'articolo 397 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, e successive modificazioni, richiamato dall'articolo 4 del decreto ministeriale del 18 dicembre 2014, relativo all'articolazione degli uffici di livello dirigenziale non generale dell'ufficio scolastico regionale per la Sicilia;
   successivamente, con nota del 17 aprile 2015 del direttore generale veniva formata la commissione per l'esame comparativo delle istanze di partecipazione dei candidati al conferimento di incarichi dirigenziali ai sensi dell'articolo 19, comma 5-bis, del decreto-legislativo n. 165 del 30 marzo 2001 e successive modificazioni ed integrazioni. La commissione era composta dal direttore generale dell'ufficio scolastico regionale, dal vicedirettore generale dell'ufficio scolastico regionale per la Sicilia, da un dirigente e da un funzionario dell'ufficio scolastico regionale per la Sicilia con funzioni di segretario. Non veniva nominato però nessun ispettore esterno;
   in data 28 maggio 2015 il direttore generale pubblicava un'informativa sugli esiti della procedura per il conferimento di incarichi dirigenziali, rendendo noti i nomi dei dirigenti prescelti;
   il 26 maggio 2015 (due giorni prima della pubblicazione dell'informativa citata) i dirigenti prescelti firmavano il conferimento di incarico e venivano immessi nelle funzioni di dirigente con funzione ispettiva tecnica;
   dall'analisi tutti i documenti inerenti alla procedura comparativa emergevano una serie di irregolarità e di vizi che avevano inficiato l'intera procedura e leso in modo grave la posizione di altri partecipanti che hanno presentato istanza con richiesta di revoca in autotutela, nella quale venivano evidenziate tutta una serie di irregolarità e di vizi dell'intera procedura comparativa;
   l'istanza di nomina dei vincitori è stata anche oggetto di diverse osservazioni della Corte dei conti che ha rilevato una serie di vizi di legittimità quali:
    a) la mancanza di chiarezza relativamente ai criteri;
    b) la dubbia conformità tra l'avviso ed i criteri di valutazione stabiliti dalla commissione in un momento successivo alla presentazione delle dichiarazioni di disponibilità;
    c) l'assenza di criteri per l'attribuzione del punteggio numerico previsto nella scheda di valutazione;
    d) l'irrituale composizione della commissione presieduta dall'organo apicale dell'ufficio scolastico regionale che ha anche proceduto alla nomina dei componenti;
   a seguito di integrazioni documentali e chiarimenti inoltrati dall'ufficio scolastico regionale per la Sicilia il 5 luglio 2015 il decreto viene ammesso al visto ed alla conseguente registrazione della Corte dei conti –:
   se ritenga che siano stati applicati in modo congruo l'articolo 397 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, l'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché l'articolo 4 del decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 923 del 18 dicembre 2014;
   se non ritenga necessario chiarire perché non sono stati resi pubblici i criteri adottati dalla commissione preposta per la valutazione-comparazione dei curricula dei candidati;
   se non ritenga opportuno verificare perché la procedura della valutazione comparativa, l'elenco dei partecipanti ed i giudizi individuali, collegiali e comparati non siano stati pubblicizzati;
   in generale, quanto avvenuto per la nomina dei dirigenti sia conforme alle norme attualmente vigenti e ai princìpi di parità di trattamento tra i candidati, e se non risultino profili di contraddittorietà ed erroneità nei criteri di valutazione approvati ed adottati dalla commissione;
   se non ritenga sia necessario chiarire perché l'ufficio scolastico regionale abbia stabilito i criteri per lo svolgimento del concorso dopo che sono pervenute le domande di ammissione dei partecipanti allo stesso;
   se la commissione sia stata composta da esperti con provata competenza nelle materie oggetto del concorso come previsto dalla legge;
   se non sia necessario disporre la rinnovazione della procedura comparativa con una diversa commissione esaminatrice e la sospensione dei provvedimenti già adottati. (4-10796)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   SORIAL e COMINARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nei primi 8 mesi dell'anno in corso le morti sul lavoro hanno avuto un preoccupante aumento, secondo quanto dichiarato dall'Anmil, l'Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro, in occasione della 65esima Giornata nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro che si è svolta l'11 ottobre 2015: nel 2015 il numero di morti sul posto del lavoro è aumentato del 15 per cento rispetto allo stesso periodo del 2014, con 752 vittime al 31 agosto 2015, a fronte delle 652 rilevate al 31 agosto del 2014, per un totale di ben 100 morti in più;
   questo aumento rappresenta una preoccupante inversione di tendenza nell'andamento del fenomeno come non si verificava dal 2006 e la conferma che gli incidenti sul lavoro restano un'emergenza nazionale, come sottolineato anche dalla Cgil;
   la Lombardia risulta essere la regione più colpita dal fenomeno delle morti bianche, e il Nord Est è la macroarea dove il rischio di mortalità rispetto alla popolazione lavorativa è più alto con un indice del 32,7 per cento contro una media nazionale del 21,1 per cento; seguono il Sud (31,1 per cento), le Isole (23 per cento), il Nord Ovest (16,2 per cento) e il Centro (15,4 per cento); in media, nel Nord Est si rilevano 90 morti al mese, dato in crescita rispetto allo stesso periodo dello scorso anno;
   secondo l'Anmil «il Testo Unico infortuni, che regola i risarcimenti e le rendite Inail, risalente al 1945, nonostante le modifiche intervenute nel tempo, risulta essere anacronistico, inadeguato e iniquo»;
   secondo quanto riportato dall'Osservatorio indipendente di Bologna sulle morti sul lavoro «i morti per infortuni sui luoghi di lavoro da noi registrati non sono mai stati così tanti da quando il 1o gennaio 2008 è stato aperto l'Osservatorio»;
   secondo Mauro Rossato, Presidente dell'Osservatorio Sicurezza sul Lavoro Vega Engineering di Mestre, i numeri delle morti bianche «narrano una morte quotidiana con una media di oltre 90 vittime al mese. Incomprensibile come ancora non vengano consegnate risposte concrete a questa che è una piaga sociale “conclamata”, dove le morti, molto spesso, non sono dovute ad una tragica fatalità, ma sono piuttosto la conseguenza più tremenda e visibile della scarsa diffusione della cultura della sicurezza»;
   in una lettera-appello dell'agosto 2015 indirizzata ai più alti livelli istituzionali, Marco Bazzoni, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, da anni in prima linea per promuovere la sicurezza sul lavoro «con il jobs act, le semplificazioni per la sicurezza, il demansionamento e la videosorveglianza e i controlli a distanza andrà anche peggio, perché i lavoratori adesso sono ancora più ricattabili»;
   risale addirittura al 3 dicembre del 2013, ma risulta ancora senza risposta, l'interrogazione a risposta scritta numero 4-02784 con la quale l'interrogante aveva già sollevato il problema delle cosiddette «morti bianche», sottolineando come esse «rappresentino nel nostro Paese una vera e propria strage che è ancora gravemente sottovalutata: dal 2008 al 2013 in Italia più di settemila lavoratori hanno perso la vita mentre svolgevano semplicemente il loro lavoro, lasciando settemila famiglie italiane senza quella che spesso è l'unica risorsa economica per il nucleo familiare»;
   un Paese che si definisce civile non può permettersi di avere ogni anno oltre 1300 morti sul lavoro, definiti di recente dal professor Umberto Veronesi «gli eroi di oggi», e chiamare ipocritamente tali decessi «morti bianche» o «tragiche fatalità» quando è ben noto che la morte di un lavoratore non è quasi mai dovuta al caso, ma semmai al fatto che nelle aziende troppo spesso non si rispettino a sufficienza le norme per la sicurezza sul lavoro;
   in tutti questi anni poco o nulla sembra essere stato fatto per aumentare i controlli per la sicurezza sul lavoro –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente della preoccupante inversione di tendenza nell'andamento del fenomeno delle morti bianche, in significativo aumento nei primi 8 mesi di quest'anno, come illustrato in premessa;
   quali azioni il Governo intenda intraprendere per frenare questo grave trend negativo e promuovere una maggiore sicurezza sul posto di lavoro, in modo tale che le norme per la sicurezza sul posto di lavoro vengano rispettate dai datori di lavoro a tutela della vita dei lavoratori;
   se non ritenga necessario adottare delle opportune iniziative normative al fine di promuovere l'aggiornamento del Testo Unico infortuni, che regola i risarcimenti e le rendite Inail, risalente al 1945, al fine di renderlo più attuale, adeguato alle reali esigenze dei lavoratori e giusto;
   se sia stato attuato, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, un monitoraggio dell'attuazione delle disposizioni in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, fa partire dai comparti lavorativi più a rischio, coordinando tutte le risorse umane disponibili (ispettorati del lavoro dell'INPS, dell'INAIL e altri), e in tal caso quali siano i risultati e le criticità rilevate;
   in che modo il Governo intenda attivarsi per promuovere un intervento organico, coerente e non occasionale a livello di legislazione nazionale, sulla sicurezza sul lavoro, in nome delle migliaia di vittime del lavoro, ma soprattutto a tutela della salute dei lavoratori. (4-10787)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:


   BOSCO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 10 ottobre 2015, una violenta tromba d'aria ha colpito la città di Licata, in provincia di Agrigento, nelle prime ore del mattino, fortunatamente senza causare morti o feriti, ma lasciando dietro di sé ingenti danni al settore dell'agricoltura;
   trenta milioni di euro di danni, 500 aziende sul lastrico, 10 mila lavoratori per strada (5.000 addetti e altrettanti dell'indotto): sono questi i numeri del disastro provocato dalla tromba d'aria che ha raso al suolo ettari di serre di tunnel, colture e recinzioni, in quasi tutte le contrade del territorio;
   gli operatori del comparto agricolo non hanno più nulla: sono state rase al suolo intere coltivazioni di pomodori, zucchine e fagiolini. Le aziende sono sparite nel nulla e, senza liquidità per ripartire, Licata avrà dei danni economici che non hanno precedenti nella sua storia;
   mai in effetti nella storia degli ultimi 100 anni si era verificato un evento atmosferico di questa portata. L'agricoltura a Licata garantisce un prodotto che si aggira attorno 120 milioni di euro e che permette a molte famiglie di sopravvivere –:
   quali iniziative intenda predisporre al fine di sostenere gli agricoltori di Licata così gravemente colpiti dalla tromba d'aria del 10 ottobre 2015, salvaguardando quindi posti di lavoro del comparto agricolo e dell'indotto dell'intero territorio. (3-01775)

 * * *

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   BUSINAROLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da circa un anno e mezzo alcuni comuni della bassa veronese lamentano un inquietante caso di inquinamento da sostanze chimiche riscontrate nell'acqua destinata al consumo umano e che finora è stato tenuto sotto controllo ma non risolto del tutto;
   come riportato anche da notizie di cronaca (articoli del 24 giugno 2014, del 10 luglio 2014, del 26 luglio 2014 e del 3 agosto 2014 pubblicati sul quotidiano L'Arena), l'allarme, scattato appunto circa un anno e mezzo fa, è legato all'inquinamento idrico da «PFAS», ovvero le sostanze perfluoro-alchiliche utilizzate principalmente per rendere impermeabili carta, stoffe e stoviglie, la cui presenza è stata riscontrata, a seguito di monitoraggio compiuto su indicazione dell'Unione europea, nelle acque distribuite dalle reti idriche pubbliche e nelle falde, nei fiumi e nei canali;
   la presenza di tali sostanze chimiche costituisce un pericolo per la salute dei cittadini, esposti a loro insaputa alla contaminazione e reca anche un grave danno alle casse degli enti pubblici che, per cercare di fronteggiare il problema, devono ricorrere all'intervento di Acque Veronesi, società che gestisce gli acquedotti, per l'abbattimento delle sostanze attraverso l'utilizzo di filtri a carboni attivi, con costi molto elevati;
   le PFAS sono riconosciute come «interferenti endocrini» e possono essere all'origine di patologie riguardanti pelle, polmoni e reni;
   attualmente non esiste, in Italia e a livello comunitario, una normativa che indichi i limiti specifici relativamente alla presenza di tali composti nell'acqua potabile;
   a seguito di interrogazione a risposta scritta n. 4-06405 del 15 ottobre 2014, presentata dall'interrogante e da altri cofirmatari, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare forniva alcuni elementi tecnici utili ad avere un quadro completo delle iniziative adottate dallo stesso per la tutela dei corpi idrici superficiali e sotterranei interessati da tali sostanze, evidenziando che, da maggio 2013, è all'attenzione dello stesso Ministero uno studio del CNR IRSA del 2013;
   il Ministero succitato evidenziava, tra l'altro, che tali sostanze, per le loro caratteristiche di tossicità e persistenza, causano un inquinamento duraturo delle acque superficiali, e sotterranee, per cui ha coinvolto gli enti territoriali competenti per eseguire gli accertamenti necessari all'individuazione delle fonti di immissione delle sostanze e l'attivazione delle misure a tutela dei corpi idrici;
   tra le iniziative indicate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare vi sono la richiesta agli enti territoriali di attivazione di un sistema di monitoraggio di indagine volto agli accertamenti necessari all'individuazione delle fonti di immissione delle sostanze e alla valutazione dello stato di qualità dei corpi idrici superficiali e sotterranei, nonché l'istituzione di un gruppo tecnico di lavoro, costituito dagli esperti degli istituti scientifici nazionali per la fissazione di standard di qualità ambientale per la valutazione dello stato ecologico dei corpi idrici superficiali e di valori soglia per la valutazione dello stato chimico delle acque sotterranee al fine di effettuare i relativi adeguamenti della normativa tecnica vigente;
   nella seduta del Consiglio dei ministri del 12 ottobre 2015 è stato adottato il decreto legislativo (non ancora pubblicato in Gazzetta) concernente l'attuazione della direttiva 2013/39/UE sulle sostanze prioritarie nel settore della politica delle acque;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in data 29 gennaio 2014, ha inoltre raccomandato alla regione Veneto, sulla base delle indicazioni fornite dall'Istituto superiore di sanità, l'implementazione di tecniche di assorbimento e/o filtrazione attraverso membrane di provata efficienza per la rimozione di sostanze perfluoro-alchiliche (PFAS) nella filiera di produzione e distribuzione delle acque destinate a consumo umano, indicando contestualmente i livelli di performance, quindi obiettivo, per acido perfluoroottansulfonico (PFOS), acido perfluoroottanoico (PFOA) e perfluorolachiliche (PFAS) –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se, nelle more di ogni eventuale intervento di cui sopra, anche attraverso l'Istituto superiore di sanità, intenda promuovere, per quanto di competenza, studi ed indagini epidemiologici finalizzati ad escludere rischi per la popolazione interessata, scongiurando aggravi ulteriori per le casse delle amministrazioni pubbliche e per i privati interessati da tale forma di contaminazione delle acque potabili, peraltro obbligati a provvedere ad un controllo continuo sullo stato di inquinamento dell'acqua potabile. (4-10795)

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Alli e altri n. 1-00956, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Quartapelle Procopio, Amendola, Nicoletti, Chaouki e contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Alli, Quartapelle Procopio, Lupi, Cicchitto, Amendola, Nicoletti, Chaouki, Pagano».

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Benedetti Silvia n. 1-00720, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 368 del 22 gennaio 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    da alcuni anni la direzione generale igiene e sicurezza degli alimenti e nutrizione del Ministero della salute autorizza, in «situazioni di emergenza sanitaria», alcuni prodotti fitosanitari in virtù dell'articolo 53 del regolamento (CE) 1107/2009; negli ultimi anni, il ricorso a questa procedura di autorizzazione speciale in Italia è stato esponenziale: secondo quanto indicato sul sito del Ministero della salute sono 31 le istanze di «autorizzazioni eccezionali», ma in alcuni casi si vedono reiterare, di anno in anno, le stesse richieste per gli stessi prodotti, le stesse patologie e le stesse colture; i prodotti fitosanitari autorizzati in deroga sarebbero stati 41 nell'anno 2012, 60 nell'anno 2013 e 75 nell'anno 2014;
    la maggior parte di queste sostanze attive non sono più o non sono ancora autorizzate dall'Unione europea (ad esempio, 1,3 dicloropropene; chloropicrin; pretilachlor; propanil; propargite; quinclorac; terbacil) e il meccanismo dell’«autorizzazione eccezionale» consente di non effettuare l’iter previsto dal sistema autorizzativo, che prevede, fra l'altro, la verifica dell'impatto (ambientale e sulla salute), non essendo, le richieste, corredate della documentazione necessaria a tali scopi, come previsto nelle autorizzazioni all'immissione in commercio dai prodotti;
    le autorizzazioni eccezionali sono utilizzate, in particolare, per fitosanitari che nelle schede di sicurezza indicano principi attivi con classi di rischio nocive e tossiche per l'uomo e l'ambiente, tanto è vero che la maggior parte di questi non ha superato le procedure di autorizzazione europee; tale rischio, molto spesso, è più che ridimensionato nelle etichette approvate con i decreti dirigenziali;
    l'interrogazione n. 4-04948, ancora in attesa di risposta, riporta alcuni esempi di prodotti fitosanitari autorizzati; il regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 ottobre 2009, all'articolo 30, comma 1, indica che «uno Stato membro può dare un'autorizzazione provvisoria se la Commissione non è giunta a una decisione entro 30 mesi dalla accettazione dell'applicazione – l'autorizzazione provvisoria ha validità per tre anni»;
    a parere dei firmatari del presente atto d'indirizzo, i decreti non appaiono quindi conformi alla legge n. 150 del 2012; inoltre, l'articolo 30 del regolamento (CE) n. 1107/2009 è stato di fatto stravolto, visto che le autorizzazioni eccezionali si sono perpetuate ben oltre i 3 anni previsti; appare inoltre scorretto il reiterarsi annuale dell'emergenza che, diventando prassi, perde di fatto la sua caratteristica fondante, come pure rischia di diventare un abuso il ricorso, anno dopo anno, all'articolo 53 del regolamento (CE) n. 1107/2009, relativo a «situazioni di emergenza fito-sanitaria»;
    con l'interrogazione n. 4-05032 sono stati interrogati, senza ancora riceverne risposta, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali in merito alle carenze riscontrate nella normativa di recepimento della direttiva n. 2009/128/CE, sia il decreto legislativo che il piano d'azione, in particolare sui troppi rinvii a decreti attuativi che tale impianto normativo prevede, sull'inconsistenza dell'impianto sanzionatorio e delle misure previste dalla lotta integrata obbligatoria, sulla mancata individuazione degli obiettivi, sulle azioni di tutela dell'ambiente acquatico e delle fonti di approvvigionamento di acqua potabile da applicare in campo agricolo;
    per alcuni decreti attuativi e per alcune misure risulta sia scaduto il termine previsto, in particolare: l'articolo 25, comma 3, del decreto legislativo n. 150 del 2012, che prevede un decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali da emanarsi entro il 12 agosto 2014, con cui determinare le tariffe ed il relativo versamento per i controlli delle attrezzature di applicazione dei prodotti fitosanitari; l'articolo 10, comma 4, del decreto legislativo n. 150 del 2012, che prevede un decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, da emanarsi entro il 26 novembre 2013, per adottare specifiche disposizioni per l'individuazione dei prodotti fitosanitari destinati ad utilizzatori non professionali; il paragrafo A.3.10 del piano di azione nazionale, che preveda un decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, da emanarsi entro 6 mesi dall'approvazione del piano di azione nazionale, per la costituzione di una banca dati nazionale relativa ai controlli effettuati sulle macchine di distribuzione dei fitofarmaci ed il ruolo di Enama, organismo di supporto al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali; l'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 150 del 2012, che prevede, entro il 30 aprile 2013, la trasmissione al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali delle misure messe in atto dalle regioni e dalle province autonome, per rendere possibile l'applicazione dei principi generali della difesa integrata obbligatoria; l'articolo 19, comma 7, del decreto legislativo n. 150 del 2012, che prevede, entro il 30 giugno 2013, la trasmissione del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali alla Commissione europea di una relazione sullo stato di attuazione delle misure messe in atto dalle regioni per rendere possibile l'applicazione dei principi generali della difesa integrata obbligatoria; l'articolo 16, comma 1, del decreto legislativo n. 150 del 2012, che prevede, entro il 30 ottobre 2012, la trasmissione delle regioni al Ministero della salute ed al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali dell'elenco dei soggetti autorizzati alla vendita di prodotti fitosanitari;
    fa seguito a questi atti e misure una serie di altre questioni che il piano di azione nazionale affida ad ulteriori decreti attuativi, da emanare entro 1 anno dall'entrata in vigore dello stesso, quindi entro il 13 febbraio 2015. Tra questi, la messa a disposizione per le regioni delle informazioni più rilevanti sulla tossicità, ecotossicità, il destino ambientale e gli aspetti fitosanitari dei prodotti in commercio;
    all'articolo 14 del decreto legislativo n. 150 del 2012 si specifica che il piano di azione nazionale definisce le misure appropriate per la tutela dell'ambiente acquatico e delle fonti di approvvigionamento di acqua potabile dall'impatto dei prodotti fitosanitari e che le regioni assicurano l'attuazione delle misure previste dal piano, informando ogni anno il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministero della salute sulle misure adottate. A questo proposito, la Commissione europea, nella riunione bilaterale del 24 settembre 2013, ha chiesto all'Italia la precisa definizione delle misure da applicare in campo agricolo per la tutela delle acque;
    al paragrafo A5 del piano di azione nazionale, riferito agli articoli 14 e 15 del decreto legislativo n. 150 del 2012, si stabilisce che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ed il Ministero della salute, su proposta del consiglio, entro 12 mesi dall'entrata in vigore del piano, predispongano linee guida di indirizzo per la tutela dell'ambiente acquatico e dell'acqua potabile e per la riduzione dell'uso di prodotti fitosanitari e dei relativi rischi in aree specifiche;
    oltre a quanto innanzi citato, altre misure e decreti attuativi dovranno far seguito al piano di azione nazionale, per i quali tuttavia non è stato definito un termine temporale, come, ad esempio, le misure per disciplinare la vendita di prodotti fitosanitari on line;
    l'articolo 24 del decreto legislativo n. 150 del 2012, infine, stabilisce le sanzioni per la mancata applicazione delle prescrizioni stabilite dal decreto stesso. Tuttavia, risulta evidente che la maggior parte delle sanzioni interessa la parte della distribuzione e della formazione professionale, trascurando, ad esempio, quelle relative all'articolo 11 su informazione e sensibilizzazione, all'articolo 14 sulla tutela dell'ambiente acquatico e delle acque potabili, all'articolo 15 sulla tutela delle aree specifiche, all'articolo 17 sulla manipolazione e stoccaggio dei prodotti fitosanitari e trattamento dei relativi imballaggi e delle rimanenze, ma soprattutto all'articolo 19 in merito all'applicazione dei principi generali della difesa integrata obbligatoria, di cui all'allegato III del decreto legislativo n. 150 del 2012, argomento principale della norma;
    in alcune regioni d'Italia (Veneto, Piemonte, Lombardia) i prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro vengono autorizzati ininterrottamente dal 2008 anno dopo anno per l'irrorazione aerea, nonostante l'articolo 9 della direttiva 2009/128/CE, recepita in Italia con il decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, lo vieti e limiti la deroga solo in condizioni estremamente circoscritte e controllate, per esempio nel caso in cui non ci fossero alternative praticabili rispetto all'uso degli elicotteri oppure in caso di evidenti vantaggi per la salute umana e l'ambiente rispetto all'applicazione dei fitosanitari da terra;
    le autorizzazioni speciali annuali fanno riferimento al regolamento (CE) n. 1107/2009, che all'articolo 53, «situazioni di emergenza fitosanitaria», recita: «In deroga all'articolo 28, in circostanze particolari uno Stato membro può autorizzare, per non oltre centoventi giorni, l'immissione sul mercato di prodotti fitosanitari per un uso limitato e controllato, ove tale provvedimento appaia necessario a causa di un pericolo che non può essere contenuto in alcun altro modo ragionevole»; a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo le deroghe si ispirano impropriamente a tale regolamento, in quanto non sussisterebbero né tale emergenza fitosanitaria, né la necessità, dimostrata, del provvedimento di autorizzazione «a causa di un pericolo che non può essere contenuto in alcun altro modo ragionevole»;
    la normativa vigente, tra cui il piano d'azione nazionale, indica una serie di misure di gestione dei rischi che i soggetti autorizzati e le autorità competenti devono attuare a tutela dell'ambiente e della popolazione, come, per esempio, l'obbligo di avviso preventivo dei residenti e le prescrizioni per la riduzione dell'effetto deriva; il piano d'azione nazionale esclude l'utilizzo di prodotti fitosanitari classificati tossici e molto tossici che riportano in etichetta determinate frasi di rischio, presenti anche nei prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro; inoltre non si ravviserebbero gli estremi di pericolo non contenibile in altri modi ragionevoli, così come indicati nella norma in parola;
    con l'interrogazione n. 4-04886, ancora in attesa di risposta, si portava a conoscenza del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, del Ministro della salute e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la situazione della provincia di Treviso, dimostrando l'assenza delle condizioni che giustificherebbero la deroga, in quanto vi sarebbero alternative praticabili, rispetto all'uso degli elicotteri, e inoltre l'irrorazione aerea non comporterebbe alcun vantaggio per la salute umana e l'ambiente, rispetto all'applicazione dei fitosanitari da terra;
    l'utilizzo del mezzo aereo sarebbe giustificato dal fatto che la pendenza delle colline non consentirebbe i trattamenti da terra; ciononostante avvengono regolarmente (in stagione) tutti i trattamenti da terra raccomandati con cadenza quindicinale, come, per esempio, gli interventi antiperonosporici o acaricidi e la raccolta; l'irrorazione aerea sarebbe quindi l'alternativa praticabile, facendo quindi decadere la condizione che giustifica la deroga; a dimostrazione che le alternative sono possibili, 9 dei 15 comuni del consorzio docg Prosecco hanno vietato i trattamenti aerei sull'intera area comunale;
    nella provincia di Treviso, in alcuni comuni del consorzio docg Prosecco, zona nella quale avvengono spesso le irrorazioni aeree in deroga, le case, le scuole, gli orti privati, le strade sono confinanti con i vigneti e pare che siano molte le segnalazioni di residenti e turisti che lamentano di essere stati «irrorati» insieme ai vigneti, di non essere stati avvisati preventivamente e di non essere mai stati informati del tempo di carenza di 48 ore, prima di poter accedere alla zona irrorata dall'elicottero; inoltre, nelle aree trattate non è mai stata posta adeguata e visibile segnalazione, così come previsto dal punto A.5.6 del piano d'azione nazionale;
    considerando che la deriva della nuvola irrorata dai trattamenti a terra non è controllabile, a maggior ragione la deriva risulta ancor più incontrollabile, quando l'irrorazione avviene a 40 e più metri da terra e con correnti d'aria non misurabili; l'irrorazione aerea amplifica i rischi per la salute umana e per l'ambiente, in quanto le irrorazioni dall'elicottero ovviamente sono molto più invasive; la deriva dell'elicottero si estende oltre i limiti del vigneto trattato; grazie all'azione del vento le gocce più piccole vengono trasportate molto più lontano; quindi, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'irrorazione aerea non può rappresentare alcun vantaggio per la salute umana e per l'ambiente rispetto all'applicazione di pesticidi a terra, facendo decadere la condizione che giustifica la deroga;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo appare estremamente difficoltoso il rispetto delle prescrizioni specifiche di cui all'articolo A.4.5 del piano d'azione nazionale, soprattutto per quanto riguarda il controllo del diametro medio delle gocce delle miscele irrorate e l'applicazione della scala di Beaufort, essendo prevista per misurazioni in pianura e non per le misurazioni in collina;
    i due prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro hanno una composizione che è nota solo in parte: l'85 per cento dell’Aviozolfo e il 20 per cento dell’Aviocaffaro; le percentuali sconosciute sono coformulanti, che la dottoressa Maristella Rubbiani dell'Istituto superiore di sanità definisce come «spesso più pericolosi dei principi attivi»; entrambe i prodotti hanno frasi di rischio vietate dal piano d'azione nazionale;
    con l'interrogazione n. 4-05099, in attesa di risposta, si portava a conoscenza del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, del Ministro della salute e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un'iniziativa dell'associazione Wwf AltaMarca, che ha proposto ai cittadini dei comuni dell'area docg Prosecco Conegliano Valdobbiadene di chiedere ai propri sindaci i dati relativi agli erbicidi utilizzati nelle aree urbane; dalle risposte ottenute dalle amministrazioni risulta che, come documentato nell'interrogazione citata, alcuni comuni abbiano utilizzato prodotti che il piano d'azione nazionale vieta all'articolo A.5.6.1; lo stesso articolo prevede, inoltre, nelle zone frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili, il divieto dei trattamenti diserbanti, da sostituire con metodi alternativi;
    inoltre, al punto A.5.6 vengono indicate le misure obbligatorie per i trattamenti eseguiti in aree agricole in prossimità di aree frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili; in particolare, si indica la distanza minima da tali aree, 30 metri, e le caratteristiche dei prodotti che possono essere utilizzati;
    in alcuni comuni dell'area docg Prosecco Conegliano Valdobbiadene, come, per esempio, il comune di Farra di Soligo, le abitazioni sono confinanti con i vigneti irrorati con erbicidi e fungicidi vietati dal piano d'azione nazionale; anche il traffico pedonale e automobilistico è a diretto contatto con i vigneti irrorati; trattasi, quindi, di zone costantemente frequentate dalla popolazione e gruppi vulnerabili, come citati nel piano d'azione nazionale all'articolo A.5.6; allo stesso articolo vengono indicate le suddette misure per la riduzione dei rischi derivanti dall'impiego dei prodotti fitosanitari nelle aree frequentate dalla popolazione o gruppi vulnerabili, conferendo alle autorità locali competenti il potere di determinare misure più restrittive;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo è evidente la mancanza di un controllo e di relative sanzioni efficaci sulle aree nelle quali il mezzo chimico può essere usato, che garantisca il rispetto della normativa vigente a tutela della salute dei cittadini e del loro ambiente; peraltro, l'estrema vicinanza uomo-vigneti, di fatto, annulla la distinzione tra ambiente urbano e ambiente agricolo, che il piano d'azione nazionale distingue; trattasi, infatti, di un unico ambiente nel quale le due entità coesistono, richiedendo, per questo, attenzioni particolari che, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, si traducono nell'utilizzo di mezzi non chimici e controllo biologico; anche a livello terminologico manca un'adeguata definizione degli ambienti in cui è assente il confine agricolo/urbano; per esempio, non è chiaro se i casi di vigneti a ridosso delle abitazioni siano da considerarsi ambiente urbano o agricolo; è altresì necessario definire in modo univoco chi siano concretamente le autorità locali competenti dovranno disporre del personale e dei mezzi di controllo del territorio; il cittadino infatti ha necessità di rivolgersi ad un'unica autorità ben definita, per sollecitare controlli puntuali ed eventualmente per segnalare infrazioni alla normativa vigente, con la certezza di avere risposte certe ed adeguate;
    il piano d'azione nazionale, nell'indicare i divieti o le prescrizioni, fa più volte riferimento alle frasi di rischio indicate in etichetta, per esempio agli articoli A.5.6, A.5.6.1 e A.5.6.2; anche le autorizzazioni in deroga dei prodotti fitosanitari, disposte dall'articolo 53 del regolamento (CE) 1107/2009, fanno riferimento alle etichette dei prodotti, che si trovano nel database dei prodotti fitosanitari del Ministero della salute e vengono allegate ai decreti dirigenziali;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo il riferimento alle etichette è pericoloso e fuorviante per l'utilizzatore e per il cittadino che volesse informarsi correttamente, in quanto le informazioni appaiono incomplete e quindi scorrette. Per esempio, riportano una parziale composizione dei prodotti (tralasciando spesso proprio i principi attivi maggiormente presenti nel preparato e i coformulanti) e solo alcune frasi di rischio, tralasciando inoltre le frasi R;
    con l'interrogazione n. 4-05077, ancora in attesa di risposta, si riportavano alcuni esempi di dati riportati nelle etichette di alcuni prodotti, confrontati con i dati delle corrispettive schede di sicurezza del medesimo prodotto; dall'osservazione di numerose etichette messe a confronto con le schede di sicurezza si nota che le etichette indicano normalmente un solo componente della miscela e non sempre il più rappresentativo della tossicità o quello presente in maggior percentuale; inoltre, le frasi di rischio sono riferite al componente dichiarato, mentre quelle relative ai componenti non citati (spesso i più pericolosi e/o maggiormente presenti nella miscela) sono tralasciate; in alcuni casi viene riportata una sola frase di rischio nonostante il prodotto ne abbia più di una; questo fatto appare più evidente in alcune etichette autorizzate in deroga con decreto dirigenziale, spesso le frasi di rischio mancanti in etichetta rientrano tra quelle vietate dal piano d'azione nazionale; di fatto queste etichette ridimensionano la classe di rischio ben evidenziata, invece, nelle schede di sicurezza che riportano anche istruzioni dettagliate; informazioni che ogni utilizzatore deve assolutamente conoscere;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo è di fondamentale importanza che, a tutela della salute pubblica e dell'ambiente, i riferimenti informativi a disposizione degli utilizzatori dei prodotti e dei cittadini, cui fa riferimento il Ministero e il piano d'azione nazionale, siano affidabili e contengano tutte le informazioni complete e corrette sui prodotti fitosanitari;
    lo studio della dottoressa Maristella Rubbiani, primo ricercatore dell'Istituto superiore di sanità, dal titolo «La problematica relativa alla presenza di coformulanti pericolosi nei preparati antiparassitari di uso agricolo o domestico», spiega come questi coformulanti, spesso più pericolosi della sostanza attiva autorizzata, vengano utilizzati come solventi, adesivanti, bagnanti, tensioattivi ed altro, nei preparati antiparassitari di uso agricolo, domestico o civile;
    la normativa vigente non prevede, per alcuni di questi agenti, l'obbligatorietà della dichiarazione in etichetta relativamente all'identità ed alla concentrazione della sostanza utilizzata come coformulante all'interno del preparato; infatti, mentre per legge solo l'ingrediente attivo deve essere specificato in etichetta con nome e percentuale in peso presente nel prodotto finito, per i coformulanti è sufficiente il nome collettivo («coformulanti e solventi») e la percentuale cumulativa presente nel prodotto, senza l'identificazione specifica di ogni sostanza; alcune sostanze possono essere utilizzate come ingredienti attivi in certi prodotti specifici, ma fungere da solventi, ed essere quindi considerati coformulanti, in altri preparati;
    talvolta, in caso di intossicazione, risulta estremamente difficoltoso risalire alla vera causa del danno tossicologico non potendo sapere cosa fa più male, se il principio attivo studiato o il coformulante di cui non si conosce la natura ed il pericolo;
    secondo un recente studio i principali pesticidi sono più tossici per le cellule umane rispetto ai corrispondenti principi attivi dichiarati. Essi contengono adiuvanti, la cui composizione spesso viene mantenuta confidenziale. Tali sostanze sono considerati inerti da parte delle aziende produttrici e in genere solo il principio attivo dichiarato viene testato. Gli scienziati hanno testato la tossicità di nove pesticidi, confrontando gli effetti dei principi attivi con quelli dell'intera formulazione (principio attivi + audiuvanti), su tre linee cellulari umane. In otto casi su nove la formulazione (il prodotto finale) è risultata fino a mille volte più tossica del suo principio attivo. Gli esperti concludono che i risultati mettono in discussione la rilevanza della dose giornaliera accettabile per i pesticidi, perché questa viene calcolata sulla tossicità del solo principio attivo e non considera l'intera formulazione;
    il rapporto nazionale pesticidi dell'Ispra-edizione 2014 rileva nelle acque la presenza di 175 sostanze, definendolo un cocktail i cui effetti non sono ancora ben conosciuti. Nei campioni sono stati rilevati spesso miscele di sostanze diverse, fino 36 contemporaneamente. Come segnalato fino 36 dai comitati scientifici della Commissione europea, il rischio derivante dall'esposizione a miscele di sostanze è sottostimato dalle metodologie utilizzate in fase di autorizzazione, che valutano le singole sostanze e non tengono conto degli effetti cumulativi;
    il 22 dicembre 2009 il Consiglio «ambiente» dell'Unione europea adottò le conclusioni sugli effetti combinati delle sostanze chimiche, esortando la Commissione europea e gli Stati membri ad intensificare le attività di ricerca nel settore, anche rivedendo la base dati di ricerca esistente. Esistono lacune conoscitive riguardo agli effetti di miscele chimiche e, conseguentemente, risulta difficile realizzare una corretta valutazione tossicologica in caso di esposizione contemporanea a diverse sostanze (Backhaus, 2010). Gli studi dimostrano che la tossicità di una miscela è sempre più alta di quella del componente più tossico presente (Kortenkamp ed altri, 2009); nel 2012 sono state pubblicate le conclusioni sulla tossicità delle miscele di tre comitati scientifici della Commissione europea. In particolare, nel documento si afferma che esiste un'evidenza scientifica per cui l'esposizione contemporanea a diverse sostanze chimiche può, in determinate condizioni, dare luogo ad effetti congiunti che possono essere di tipo additivo, ma anche di tipo sinergico, con una tossicità complessiva più elevata di quella delle singole sostanze. Nel documento, inoltre, si evidenzia come principale lacuna la limitata conoscenza riguardo alle modalità con cui le sostanze esplicano i loro effetti tossici sugli organismi;
    il rapporto Ispra segnala, inoltre, una disomogeneità fra le regioni del Nord e quelle del Centro-Sud, dove il monitoraggio è generalmente meno rappresentativo dello stato di qualità delle acque e la necessità, quindi, di un aggiornamento complessivo dei programmi di monitoraggio, per tenere conto delle nuove sostanze. Sarebbero circa 200, infatti, le sostanze immesse sul mercato in anni recenti e non incluse nei programmi di monitoraggio, 44 di queste sono classificate pericolose, in particolare 38 sono pericolose per l'uomo o per l'ambiente; si palesa, quindi, la necessità di inserire nei protocolli regionali alcune sostanze che, ove ricercate, sono responsabili del maggior numero di casi di non conformità, quali il Glifosate e l’Ampa. Ci sarebbe, quindi, uno sfasamento tra lo sforzo di ricerca, che si concentra soprattutto su alcuni erbicidi e sui loro principali metaboliti, e le sostanze più frequenti nelle acque, gran parte delle quali non figurano tra le più cercate. Le regioni cercano in media 55 sostanze nelle acque superficiali e 68 in quelle sotterranee, meno che nel 2010;
    le sostanze che determinano il maggior numero di casi di superamento dei limiti sono Glifosate e il metabolita Ampa, che sono cercati esclusivamente nella regione Lombardia; essendo l'erbicida largamente impiegato, è probabile che il suo inserimento nei programmi di monitoraggio possa determinare un sensibile aumento dei casi di non conformità nelle regioni dove ora non viene cercato;
    il glifosato, in particolare, è il pesticida che più di ogni altro determina il superamento degli standard di qualità ambientale nelle acque superficiali, non a caso una ricerca sul cancro dell'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) inserisce questo diserbante nella classe 2A – che precede quella dei «cancerogeni certi» – come «probabilmente cancerogeno per gli esseri umani»; per tali ragioni a livello europeo, l'International society of doctors for environment (Isde), presente in 27 Paesi, ha chiesto all'Europarlamento e alla Commissione europea di vietare immediatamente la produzione, il commercio e l'uso del glifosato, su cui si attende la procedura di rivalutazione entro la fine del 2015;
    il rapporto 2014 evidenzia che non c’è ancora un quadro nazionale completo della presenza di residui di pesticidi nelle acque per una serie di cause: copertura incompleta del territorio, disomogeneità del monitoraggio, assenza dai protocolli regionali delle sostanze immesse sul mercato negli anni più recenti, affermando che si è ancora in una fase transitoria in cui l'entità e la diffusione dell'inquinamento non sono sufficientemente noti, tenendo conto, ovviamente, che il fenomeno è sempre in evoluzione per l'immissione sul mercato di nuove sostanze;
    il rapporto 2014 segnala, inoltre, che il calo delle vendite di prodotti fitosanitari registrato nel periodo 2001-2012 non si riflette ancora nei risultati del monitoraggio, che continua a segnalare una presenza diffusa dei pesticidi nelle acque, con un aumento delle sostanze rinvenute. Fra le molte ragioni elencate, la causa più preoccupante e segnalata è la persistenza di certe sostanze, che insieme alle dinamiche idrologiche molto lente (specialmente nelle acque sotterranee) rende i fenomeni di contaminazione ambientale difficilmente reversibili,

impegna il Governo:

   a ripensare l’iter di autorizzazione dei prodotti, in relazione sia ai criteri in base ai quali vengono emanate tali autorizzazioni e quindi alla relativa situazione di emergenza sanitaria, sia all'assunzione delle eventuali responsabilità, valutando di prediligere, in ogni caso, soluzioni alternative a quella dell'autorizzazione eccezionale che dovrebbe essere considerata l'ultima possibilità;
   ad interrompere le autorizzazioni eccezionali perpetuate ben oltre i 3 anni previsti dall'articolo 30 del regolamento (CE) n. 1107/2009;
   a valutare la possibilità di rendere maggiormente stringente il ricorso a tali deroghe, così da non alterare il vero significato di emergenza sanitaria che, a causa del continuo ricorso allo strumento della deroga, rischia di perdere completamente il suo significato e il suo scopo;
   ad adottare, entro 6 mesi dall'approvazione del presente atto, gli atti e le misure previste dal decreto legislativo n. 150 del 2012 e dal piano di azione nazionale non emanati, per i quali risultino già scaduti i termini, nonché ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché le regioni e le province autonome che non abbiano ancora provveduto trasmettano le informazioni di cui agli articoli 19, comma 6, e 16, comma 1, del decreto legislativo n. 150 del 2012, per le quali i termini risultano già trascorsi; a rendere noti ai competenti organi parlamentari lo stato dei lavori sulla predisposizione degli atti, delle misure e delle linee guida previsti dal decreto legislativo n. 150 del 2012 e dal piano di azione nazionale, per i quali è prevista scadenza entro il 13 febbraio 2015 o per i quali non è stato individuato alcun termine temporale;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per implementare l'articolo 24 del decreto legislativo n. 150 del 2012 con un apparato sanzionatorio più esaustivo che racchiuda anche misure sanzionatorie per la mancata osservanza di quanto prescritto dagli articoli 11, 14, 15, 17 e 19 e relativi approfondimenti contenuti nel piano di azione nazionale;
   ad interrompere le autorizzazioni dei prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro per l'irrorazione aerea, nonché a verificare la reale sussistenza delle condizioni che, ad oggi, hanno consentito le deroghe per tali autorizzazioni;
   a riconsiderare le prescrizioni specifiche di cui all'articolo A.4.5 del piano d'azione nazionale, soprattutto per quanto riguarda il controllo del diametro medio delle gocce delle miscele irrorate e l'applicazione della scala di Beaufort, essendo prevista per misurazioni in pianura e non per le misurazioni in collina;
   ad integrare il piano di azione nazionale nelle parti in cui si fa riferimento alle frasi di rischio riportate in etichetta, aggiungendo il riferimento alle schede di sicurezza;
   ad allegare ai decreti dirigenziali, che autorizzano in deroga i prodotti fitosanitari, anche le schede di sicurezza, inserendole inoltre nel database ministeriale dei prodotti fitosanitari;
   a promuovere la revisione delle etichette dei prodotti fitosanitari, completando le parti relative alla composizione e alle frasi di rischio;
   ad attuare le misure di tutela a salvaguardia dell'uomo e del suo ambiente, nei territori in cui ambiente agricolo e urbano non abbiano confini definiti ma siano integrati, dando nuova definizione a questi ambienti;
   a promuovere ed attuare, per quanto di competenza, tutte le misure affinché nei territori avvengano tutti i controlli necessari a garanzia del rispetto della normativa vigente e dell'attivazione di tutte le misure previste per la gestione dei rischi, a salvaguardia della salute umana e dell'ambiente;
   ad attuare tutte le azioni affinché le norme, attualmente in vigore in materia di prodotti fitosanitari, siano rispettate in tutte le loro parti e siano indicate con maggior chiarezza le autorità preposte al controllo sulle sostanze utilizzate ai fini del rispetto della normativa vigente, nonché i relativi ruoli e responsabilità;
   ad assumere iniziative anche normative dirette a definire un'unica autorità che sia di riferimento per i cittadini, con funzione di coordinamento di tutte le autorità di controllo previste, nonché a prevedere un'implementazione del sistema di verifica sull'effettiva attività svolta dalle autorità locali competenti;
   ad assumere iniziative normative per rendere obbligatoria l'indicazione della dichiarazione in etichetta relativamente all'identità ed alla concentrazione della sostanza utilizzata come coformulante all'interno del preparato;
   ad adoperarsi affinché la tossicità dei prodotti fitosanitari sia calcolata non solo analizzando il principio attivo ma l'effettiva formulazione del prodotto, andando quindi a considerare l'aumentata tossicità dovuta agli effetti sinergici;
   ad intensificare e sostenere le attività di ricerca nel settore e, in particolare, sugli effetti cumulativi dei pesticidi, aggiornando contestualmente le metodologie di autorizzazione e i programmi di monitoraggio;
   ad attivarsi affinché tutte le sostanze immesse sul mercato siano gradualmente incluse nei programmi di monitoraggio, a partire dal Glifosate e il metabolita Ampa;
   a sostenere, a livello europeo, in vista della scadenza – il 31 dicembre – dell'autorizzazione del glifosato, una posizione contraria a una nuova eventuale autorizzazione, tenendo in considerazione gli elementi scientifici a disposizione;
   ad adottare politiche per disincentivare l'utilizzo del glifosato, soprattutto nell'ambito dell'agricoltura intensiva, mediante iniziative volte a definire norme più severe e misure sanzionatorie, nonché a prevederne il divieto per ogni altro impiego diverso da quello agricolo;
   a promuovere, in applicazione del principio di precauzione, iniziative per vietare in maniera permanente la produzione, la commercializzazione e l'impiego di tutti i prodotti a base di glifosato, in ambito agricolo, nel trattamento delle aree pubbliche e nel giardinaggio.
(1-00720)
(Nuova formulazione) «Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Lupo, Parentela, Rostellato, Busto, Basilio, Businarolo, Ciprini, Daga, Da Villa, Terzoni, Ferraresi, Fraccaro».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Alli Paolo n. 1-00956, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 467 del 23 luglio 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    i fenomeni migratori che, attraverso il Mare Mediterraneo, interessano l'intera Europa hanno origine soprattutto nell'Africa sub-sahariana e trovano sbocco oggi nella Libia, a causa del vuoto di potere che caratterizza il Paese;
    i migranti sbarcati sul territorio italiano nel corso del 2015 (secondo dati aggiornati a metà luglio 2015) provengono da: Eritrea (20.392); Nigeria (9.619); Somalia (6.966); Sudan (4.668); Gambia (4.206); Senegal (3.245); Mali (3.112); Costa d'Avorio (1.854); Siria (4.953); Bangladesh (2.697); altre provenienze (21.220);
    l'immigrazione dall'Africa non può essere comunque considerata come un fenomeno transitorio, ma, al contrario, costituisce un fatto strutturale, destinato con ogni probabilità ad aggravarsi nei prossimi anni a causa dell'aumento della pressione demografica e del probabile permanere di condizioni di conflitto locali e regionali che si sommano a storiche e irrisolte situazioni di povertà;
    oltre agli interventi volti alla limitazione dei flussi migratori irregolari dall'Africa all'Europa e alla distribuzione dei migranti aventi status di rifugiati tra i diversi Paesi dell'Unione europea, interventi già posti in essere dalla stessa Unione europea grazie alle pressioni del Governo italiano, occorre cominciare a lavorare in modo organico ad una politica finalizzata al miglioramento strutturale delle condizioni di vita nei Paesi dai quali hanno origine i flussi stessi;
    l'Italia ha approvato nel 2014 la legge di riforma del sistema della cooperazione allo sviluppo (legge n. 125 del 2014), che la mette in linea con i più elevati standard europei ed internazionali, ne allarga lo spettro di azione anche grazie al contributo di soggetti privati e ha consentito al Presidente del Consiglio dei ministri di porre al Paese l'ambizioso obiettivo di divenire nel 2017 il quarto donatore in seno al G7 quanto a percentuale di prodotto interno lordo destinata all'aiuto internazionale allo sviluppo;
    l'Unione europea e i suoi Paesi membri rappresentano, nel loro complesso, il principale donatore mondiale nel campo della cooperazione allo sviluppo, con oltre 50 miliardi di euro all'anno di fondi dedicati;
    questi fondi vengono in larga misura destinati ad altri soggetti, quali la Banca mondiale o altri fondi internazionali dei quali l'Unione europea non riesce spesso a controllare le strategie o ad intervenire sulle stesse indicando le proprie priorità programmatiche;
    gli aiuti tradizionali ai Paesi partner, e in particolare ai Paesi africani, finiscono per essere inefficaci se frammentati e non inseriti in un quadro strategico complessivo, coordinato e condiviso tra tutti i donatori internazionali, secondo i principi di Busan;
    i fenomeni di corruzione nei Paesi destinatari degli aiuti, uniti alla carenza di effettivi controlli sul reale utilizzo dei finanziamenti internazionali, ne riducono di gran lunga l'efficacia;
    le grandi istituzioni internazionali, come l'Onu e le sue articolazioni (Fao, Unicef e altre) e la stessa Banca mondiale, appaiono ancora spesso prigioniere di logiche superate, non sempre improntate alla reale misurazione dei risultati e talora carenti di una visione strategica complessiva;
    l'Africa possiede enormi risorse naturali ed umane, che ne fanno il bacino di sviluppo potenzialmente più grande dell'intero pianeta;
    molti Paesi africani sono ormai consapevoli della necessità di progredire nella direzione di reali e radicali riforme strutturali sul piano politico-istituzionale, ammodernando al tempo stesso i propri sistemi educativi e produttivi, onde porre fine a storici processi di sfruttamento delle risorse da parte di realtà straniere ed evitare forme di neocolonialismo economico, ma necessitano, per realizzare questi scopi, di una forte interlocuzione e di un reale sostegno da parte dell'Europa e di tutti i Paesi occidentali;
    altri Paesi, che non hanno ancora raggiunto questa maturità, sono considerati «Stati fragili», con problemi di stabilità interna e vanno per questo sostenuti nello sforzo di superare la debolezza istituzionale e l'inadeguatezza del quadro normativo interno, attraverso interventi sempre più orientati all’institution e al capacity building, che vadano oltre l'aiuto tradizionale e il semplice trasferimento di risorse economiche;
    il controllo geopolitico dell'Africa, senza un'efficace azione europea, rischia di dare luogo a fenomeni di neocolonialismo che si realizzano attraverso le leve economico-finanziarie, da parte di altre potenze emergenti, in particolare la Cina, attraverso l'investimento di ingenti capitali;
    l'incremento delle relazioni istituzionali e commerciali tra l'Italia e i Paesi africani può costituire un elemento determinante nella promozione della crescita e dello sviluppo dei Paesi stessi;
    l'Unione africana costituisce un interlocutore fondamentale per la realizzazione di vere sinergie istituzionali finalizzate alla crescita del continente africano,

impegna il Governo:

   ad elaborare una strategia specificatamente volta allo sviluppo e al co-sviluppo dei Paesi africani, a partire da quelli dai quali provengono i principali flussi migratori verso l'Italia, auspicabilmente nella forma di un libro bianco da inserire nel documento di programmazione triennale della cooperazione previsto dalla legge n. 125 del 2014, e che consideri in modo integrato gli aspetti relativi allo sviluppo economico, alle relazioni commerciali, alla finanza, alle riforme istituzionali, ai conflitti, alle migrazioni, all'impiego dei fondi per la cooperazione, alla rete di relazioni internazionali e alle condizioni geopolitiche regionali;
   a condividere in sede di Unione europea tale strategia, chiedendo che l'intera Unione europea metta in atto, nell'ambito della partnership strategica con l'Africa e della Joint Africa-EU strategy, una politica di medio-lungo periodo volta anche a ridurre l'impatto strutturale dei fenomeni migratori dal continente africano verso l'Europa;
   ad assumere iniziative per rafforzare l'efficacia e l'efficienza, nonché la trasparenza, dell'azione e degli interventi delle grandi organizzazioni internazionali, a partire dall'Onu e dalla Banca mondiale, sia individuando priorità e sinergie che si adeguino rapidamente ai mutevoli scenari economici e geopolitici, sia migliorando ulteriormente i sistemi di controllo sull'utilizzo dei fondi, sia attuando serie misure di contrasto alla corruzione, tutto ciò anche con la finalità di contribuire a rimuovere le cause all'origine dei fenomeni di emigrazione dal continente africano;
   a rafforzare i partenariati istituzionali e commerciali con i Paesi individuati come prioritari, tenendo conto delle specifiche condizioni locali e delle prevalenti problematiche politiche e di sicurezza;
   a dare seguito, già con il prossimo disegno di legge di stabilità, all'impegno di incrementare i fondi per la cooperazione internazionale allo sviluppo, secondo il percorso di riallineamento dell'aiuto italiano allo sviluppo previsto dalla legge di riforma e confermato dal Documento di economia e finanza recentemente approvato, destinando le risorse soprattutto a progetti strategici mirati al sostegno dei Paesi più critici per l'Italia sotto il profilo delle migrazioni e della sicurezza internazionale;
   a dedicare particolare attenzione e a dare rilievo prioritario ai progetti di institution e capacity building;
   ad attivare i più efficaci controlli sulla reale destinazione e sull'utilizzo dei propri fondi, con particolare riguardo alla lotta ai fenomeni corruttivi nei Paesi destinatari degli aiuti;
   a continuare a stimolare gli investimenti privati nei Paesi individuati come prioritari, lavorando al tempo stesso per favorire le condizioni di stabilità politico-istituzionale indispensabili per garantire la necessaria sicurezza per gli investitori, tenendo conto delle specifiche condizioni locali e delle prevalenti problematiche politiche e di sicurezza;
   a sollecitare le aziende italiane operanti nei Paesi africani, e quelle che in futuro vi opereranno, e realizzare una presenza che sappia coniugare la logica di mercato con la capacità di contribuire in modo reale allo sviluppo locale, in un'ottica di responsabilità sociale d'impresa;
   a rafforzare l'interlocuzione con l'Unione africana, anche promuovendo nell'ambito dell'Unione europea, la necessità di condividere con essa priorità strategiche e modalità di rapporto istituzionale che supportino una reale crescita del continente africano;
   ad informare compiutamente il Parlamento entro 6 mesi circa l'evoluzione delle strategie richiamate nella presente mozione.
(1-00956)
(Nuova formulazione) «Alli, Quartapelle Procopio, Lupi, Cicchitto, Amendola, Nicoletti, Chaouki, Pagano».

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo ulteriormente riformulato della mozione Benedetti Silvia n. 1-00720, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 368 del 22 gennaio 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    da alcuni anni la direzione generale igiene e sicurezza degli alimenti e nutrizione del Ministero della salute autorizza, in «situazioni di emergenza sanitaria», alcuni prodotti fitosanitari in virtù dell'articolo 53 del regolamento (CE) 1107/2009; negli ultimi anni, il ricorso a questa procedura di autorizzazione speciale in Italia è stato esponenziale: secondo quanto indicato sul sito del Ministero della salute sono 31 le istanze di «autorizzazioni eccezionali», ma in alcuni casi si vedono reiterare, di anno in anno, le stesse richieste per gli stessi prodotti, le stesse patologie e le stesse colture; i prodotti fitosanitari autorizzati in deroga sarebbero stati 41 nell'anno 2012, 60 nell'anno 2013 e 75 nell'anno 2014;
    la maggior parte di queste sostanze attive non sono più o non sono ancora autorizzate dall'Unione europea (ad esempio, 1,3 dicloropropene; chloropicrin; pretilachlor; propanil; propargite; quinclorac; terbacil) e il meccanismo dell’«autorizzazione eccezionale» consente di non effettuare l’iter previsto dal sistema autorizzativo, che prevede, fra l'altro, la verifica dell'impatto (ambientale e sulla salute), non essendo, le richieste, corredate della documentazione necessaria a tali scopi, come previsto nelle autorizzazioni all'immissione in commercio dai prodotti;
    le autorizzazioni eccezionali sono utilizzate, in particolare, per fitosanitari che nelle schede di sicurezza indicano principi attivi con classi di rischio nocive e tossiche per l'uomo e l'ambiente, tanto è vero che la maggior parte di questi non ha superato le procedure di autorizzazione europee; tale rischio, molto spesso, è più che ridimensionato nelle etichette approvate con i decreti dirigenziali;
    l'interrogazione n. 4-04948, ancora in attesa di risposta, riporta alcuni esempi di prodotti fitosanitari autorizzati; il regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 ottobre 2009, all'articolo 30, comma 1, indica che «uno Stato membro può dare un'autorizzazione provvisoria se la Commissione non è giunta a una decisione entro 30 mesi dalla accettazione dell'applicazione – l'autorizzazione provvisoria ha validità per tre anni»;
    a parere dei firmatari del presente atto d'indirizzo, i decreti non appaiono quindi conformi alla legge n. 150 del 2012; inoltre, l'articolo 30 del regolamento (CE) n. 1107/2009 è stato di fatto stravolto, visto che le autorizzazioni eccezionali si sono perpetuate ben oltre i 3 anni previsti; appare inoltre scorretto il reiterarsi annuale dell'emergenza che, diventando prassi, perde di fatto la sua caratteristica fondante, come pure rischia di diventare un abuso il ricorso, anno dopo anno, all'articolo 53 del regolamento (CE) n. 1107/2009, relativo a «situazioni di emergenza fito-sanitaria»;
    con l'interrogazione n. 4-05032 sono stati interrogati, senza ancora riceverne risposta, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali in merito alle carenze riscontrate nella normativa di recepimento della direttiva n. 2009/128/CE, sia il decreto legislativo che il piano d'azione, in particolare sui troppi rinvii a decreti attuativi che tale impianto normativo prevede, sull'inconsistenza dell'impianto sanzionatorio e delle misure previste dalla lotta integrata obbligatoria, sulla mancata individuazione degli obiettivi, sulle azioni di tutela dell'ambiente acquatico e delle fonti di approvvigionamento di acqua potabile da applicare in campo agricolo;
    per alcuni decreti attuativi e per alcune misure risulta sia scaduto il termine previsto, in particolare: l'articolo 25, comma 3, del decreto legislativo n. 150 del 2012, che prevede un decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali da emanarsi entro il 12 agosto 2014, con cui determinare le tariffe ed il relativo versamento per i controlli delle attrezzature di applicazione dei prodotti fitosanitari; l'articolo 10, comma 4, del decreto legislativo n. 150 del 2012, che prevede un decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, da emanarsi entro il 26 novembre 2013, per adottare specifiche disposizioni per l'individuazione dei prodotti fitosanitari destinati ad utilizzatori non professionali; il paragrafo A.3.10 del piano di azione nazionale, che preveda un decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, da emanarsi entro 6 mesi dall'approvazione del piano di azione nazionale, per la costituzione di una banca dati nazionale relativa ai controlli effettuati sulle macchine di distribuzione dei fitofarmaci ed il ruolo di Enama, organismo di supporto al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali; l'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 150 del 2012, che prevede, entro il 30 aprile 2013, la trasmissione al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali delle misure messe in atto dalle regioni e dalle province autonome, per rendere possibile l'applicazione dei principi generali della difesa integrata obbligatoria; l'articolo 19, comma 7, del decreto legislativo n. 150 del 2012, che prevede, entro il 30 giugno 2013, la trasmissione del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali alla Commissione europea di una relazione sullo stato di attuazione delle misure messe in atto dalle regioni per rendere possibile l'applicazione dei principi generali della difesa integrata obbligatoria; l'articolo 16, comma 1, del decreto legislativo n. 150 del 2012, che prevede, entro il 30 ottobre 2012, la trasmissione delle regioni al Ministero della salute ed al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali dell'elenco dei soggetti autorizzati alla vendita di prodotti fitosanitari;
    fa seguito a questi atti e misure una serie di altre questioni che il piano di azione nazionale affida ad ulteriori decreti attuativi, da emanare entro 1 anno dall'entrata in vigore dello stesso, quindi entro il 13 febbraio 2015. Tra questi, la messa a disposizione per le regioni delle informazioni più rilevanti sulla tossicità, ecotossicità, il destino ambientale e gli aspetti fitosanitari dei prodotti in commercio;
    all'articolo 14 del decreto legislativo n. 150 del 2012 si specifica che il piano di azione nazionale definisce le misure appropriate per la tutela dell'ambiente acquatico e delle fonti di approvvigionamento di acqua potabile dall'impatto dei prodotti fitosanitari e che le regioni assicurano l'attuazione delle misure previste dal piano, informando ogni anno il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministero della salute sulle misure adottate. A questo proposito, la Commissione europea, nella riunione bilaterale del 24 settembre 2013, ha chiesto all'Italia la precisa definizione delle misure da applicare in campo agricolo per la tutela delle acque;
    al paragrafo A5 del piano di azione nazionale, riferito agli articoli 14 e 15 del decreto legislativo n. 150 del 2012, si stabilisce che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ed il Ministero della salute, su proposta del consiglio, entro 12 mesi dall'entrata in vigore del piano, predispongano linee guida di indirizzo per la tutela dell'ambiente acquatico e dell'acqua potabile e per la riduzione dell'uso di prodotti fitosanitari e dei relativi rischi in aree specifiche;
    oltre a quanto innanzi citato, altre misure e decreti attuativi dovranno far seguito al piano di azione nazionale, per i quali tuttavia non è stato definito un termine temporale, come, ad esempio, le misure per disciplinare la vendita di prodotti fitosanitari on line;
    l'articolo 24 del decreto legislativo n. 150 del 2012, infine, stabilisce le sanzioni per la mancata applicazione delle prescrizioni stabilite dal decreto stesso. Tuttavia, risulta evidente che la maggior parte delle sanzioni interessa la parte della distribuzione e della formazione professionale, trascurando, ad esempio, quelle relative all'articolo 11 su informazione e sensibilizzazione, all'articolo 14 sulla tutela dell'ambiente acquatico e delle acque potabili, all'articolo 15 sulla tutela delle aree specifiche, all'articolo 17 sulla manipolazione e stoccaggio dei prodotti fitosanitari e trattamento dei relativi imballaggi e delle rimanenze, ma soprattutto all'articolo 19 in merito all'applicazione dei principi generali della difesa integrata obbligatoria, di cui all'allegato III del decreto legislativo n. 150 del 2012, argomento principale della norma;
    in alcune regioni d'Italia (Veneto, Piemonte, Lombardia) i prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro vengono autorizzati ininterrottamente dal 2008 anno dopo anno per l'irrorazione aerea, nonostante l'articolo 9 della direttiva 2009/128/CE, recepita in Italia con il decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, lo vieti e limiti la deroga solo in condizioni estremamente circoscritte e controllate, per esempio nel caso in cui non ci fossero alternative praticabili rispetto all'uso degli elicotteri oppure in caso di evidenti vantaggi per la salute umana e l'ambiente rispetto all'applicazione dei fitosanitari da terra;
    le autorizzazioni speciali annuali fanno riferimento al regolamento (CE) n. 1107/2009, che all'articolo 53, «situazioni di emergenza fitosanitaria», recita: «In deroga all'articolo 28, in circostanze particolari uno Stato membro può autorizzare, per non oltre centoventi giorni, l'immissione sul mercato di prodotti fitosanitari per un uso limitato e controllato, ove tale provvedimento appaia necessario a causa di un pericolo che non può essere contenuto in alcun altro modo ragionevole»; a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo le deroghe si ispirano impropriamente a tale regolamento, in quanto non sussisterebbero né tale emergenza fitosanitaria, né la necessità, dimostrata, del provvedimento di autorizzazione «a causa di un pericolo che non può essere contenuto in alcun altro modo ragionevole»;
    la normativa vigente, tra cui il piano d'azione nazionale, indica una serie di misure di gestione dei rischi che i soggetti autorizzati e le autorità competenti devono attuare a tutela dell'ambiente e della popolazione, come, per esempio, l'obbligo di avviso preventivo dei residenti e le prescrizioni per la riduzione dell'effetto deriva; il piano d'azione nazionale esclude l'utilizzo di prodotti fitosanitari classificati tossici e molto tossici che riportano in etichetta determinate frasi di rischio, presenti anche nei prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro; inoltre non si ravviserebbero gli estremi di pericolo non contenibile in altri modi ragionevoli, così come indicati nella norma in parola;
    con l'interrogazione n. 4-04886, ancora in attesa di risposta, si portava a conoscenza del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, del Ministro della salute e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la situazione della provincia di Treviso, dimostrando l'assenza delle condizioni che giustificherebbero la deroga, in quanto vi sarebbero alternative praticabili, rispetto all'uso degli elicotteri, e inoltre l'irrorazione aerea non comporterebbe alcun vantaggio per la salute umana e l'ambiente, rispetto all'applicazione dei fitosanitari da terra;
    l'utilizzo del mezzo aereo sarebbe giustificato dal fatto che la pendenza delle colline non consentirebbe i trattamenti da terra; ciononostante avvengono regolarmente (in stagione) tutti i trattamenti da terra raccomandati con cadenza quindicinale, come, per esempio, gli interventi antiperonosporici o acaricidi e la raccolta; l'irrorazione aerea sarebbe quindi l'alternativa praticabile, facendo quindi decadere la condizione che giustifica la deroga; a dimostrazione che le alternative sono possibili, 9 dei 15 comuni del consorzio docg Prosecco hanno vietato i trattamenti aerei sull'intera area comunale;
   nella provincia di Treviso, in alcuni comuni del consorzio docg Prosecco, zona nella quale avvengono spesso le irrorazioni aeree in deroga, le case, le scuole, gli orti privati, le strade sono confinanti con i vigneti e pare che siano molte le segnalazioni di residenti e turisti che lamentano di essere stati «irrorati» insieme ai vigneti, di non essere stati avvisati preventivamente e di non essere mai stati informati del tempo di carenza di 48 ore, prima di poter accedere alla zona irrorata dall'elicottero; inoltre, nelle aree trattate non è mai stata posta adeguata e visibile segnalazione, così come previsto dal punto A.5.6 del piano d'azione nazionale;
    considerando che la deriva della nuvola irrorata dai trattamenti a terra non è controllabile, a maggior ragione la deriva risulta ancor più incontrollabile, quando l'irrorazione avviene a 40 e più metri da terra e con correnti d'aria non misurabili; l'irrorazione aerea amplifica i rischi per la salute umana e per l'ambiente, in quanto le irrorazioni dall'elicottero ovviamente sono molto più invasive; la deriva dell'elicottero si estende oltre i limiti del vigneto trattato; grazie all'azione del vento le gocce più piccole vengono trasportate molto più lontano; quindi, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'irrorazione aerea non può rappresentare alcun vantaggio per la salute umana e per l'ambiente rispetto all'applicazione di pesticidi a terra, facendo decadere la condizione che giustifica la deroga;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo appare estremamente difficoltoso il rispetto delle prescrizioni specifiche di cui all'articolo A.4.5 del piano d'azione nazionale, soprattutto per quanto riguarda il controllo del diametro medio delle gocce delle miscele irrorate e l'applicazione della scala di Beaufort, essendo prevista per misurazioni in pianura e non per le misurazioni in collina;
    i due prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro hanno una composizione che è nota solo in parte: 1'85 per cento dell’Aviozolfo e il 20 per cento dell’Aviocaffaro; le percentuali sconosciute sono coformulanti, che la dottoressa Maristella Rubbiani dell'Istituto superiore di sanità definisce come «spesso più pericolosi dei principi attivi»; entrambe i prodotti hanno frasi di rischio vietate dal piano d'azione nazionale;
    con l'interrogazione n. 4-05099, in attesa di risposta, si portava a conoscenza del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, del Ministro della salute e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un'iniziativa dell'associazione Wwf AltaMarca, che ha proposto ai cittadini dei comuni dell'area docg Prosecco Conegliano Valdobbiadene di chiedere ai propri sindaci i dati relativi agli erbicidi utilizzati nelle aree urbane; dalle risposte ottenute dalle amministrazioni risulta che, come documentato nell'interrogazione citata, alcuni comuni abbiano utilizzato prodotti che il piano d'azione nazionale vieta all'articolo A.5.6.1; lo stesso articolo prevede, inoltre, nelle zone frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili, il divieto dei trattamenti diserbanti, da sostituire con metodi alternativi;
    inoltre, al punto A.5.6 vengono indicate le misure obbligatorie per i trattamenti eseguiti in aree agricole in prossimità di aree frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili; in particolare, si indica la distanza minima da tali aree, 30 metri, e le caratteristiche dei prodotti che possono essere utilizzati;
    in alcuni comuni dell'area docg Prosecco Conegliano Valdobbiadene, come, per esempio, il comune di Farra di Soligo, le abitazioni sono confinanti con i vigneti irrorati con erbicidi e fungicidi vietati dal piano d'azione nazionale; anche il traffico pedonale e automobilistico è a diretto contatto con i vigneti irrorati; trattasi, quindi, di zone costantemente frequentate dalla popolazione e gruppi vulnerabili, come citati nel piano d'azione nazionale all'articolo A.5.6; allo stesso articolo vengono indicate le suddette misure per la riduzione dei rischi derivanti dall'impiego dei prodotti fitosanitari nelle aree frequentate dalla popolazione o gruppi vulnerabili, conferendo alle autorità locali competenti il potere di determinare misure più restrittive;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo è evidente la mancanza di un controllo e di relative sanzioni efficaci sulle aree nelle quali il mezzo chimico può essere usato, che garantisca il rispetto della normativa vigente a tutela della salute dei cittadini e del loro ambiente; peraltro, l'estrema vicinanza uomo-vigneti, di fatto, annulla la distinzione tra ambiente urbano e ambiente agricolo, che il piano d'azione nazionale distingue; trattasi, infatti, di un unico ambiente nel quale le due entità coesistono, richiedendo, per questo, attenzioni particolari che, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, si traducono nell'utilizzo di mezzi non chimici e controllo biologico; anche a livello terminologico manca un'adeguata definizione degli ambienti in cui è assente il confine agricolo/urbano; per esempio, non è chiaro se i casi di vigneti a ridosso delle abitazioni siano da considerarsi ambiente urbano o agricolo; è altresì necessario definire in modo univoco chi siano concretamente le autorità locali competenti dovranno disporre del personale e dei mezzi di controllo del territorio; il cittadino infatti ha necessità di rivolgersi ad un'unica autorità ben definita, per sollecitare controlli puntuali ed eventualmente per segnalare infrazioni alla normativa vigente, con la certezza di avere risposte certe ed adeguate;
    il piano d'azione nazionale, nell'indicare i divieti o le prescrizioni, fa più volte riferimento alle frasi di rischio indicate in etichetta, per esempio agli articoli A.5.6, A.5.6.1 e A.5.6.2; anche le autorizzazioni in deroga dei prodotti fitosanitari, disposte dall'articolo 53 del regolamento (CE) 1107/2009, fanno riferimento alle etichette dei prodotti, che si trovano nel database dei prodotti fitosanitari del Ministero della salute e vengono allegate ai decreti dirigenziali;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo il riferimento alle etichette è pericoloso e fuorviante per l'utilizzatore e per il cittadino che volesse informarsi correttamente, in quanto le informazioni appaiono incomplete e quindi scorrette. Per esempio, riportano una parziale composizione dei prodotti (tralasciando spesso proprio i principi attivi maggiormente presenti nel preparato e i coformulanti) e solo alcune frasi di rischio, tralasciando inoltre le frasi R;
    con l'interrogazione n. 4-05077, ancora in attesa di risposta, si riportavano alcuni esempi di dati riportati nelle etichette di alcuni prodotti, confrontati con i dati delle corrispettive schede di sicurezza del medesimo prodotto; dall'osservazione di numerose etichette messe a confronto con le schede di sicurezza si nota che le etichette indicano normalmente un solo componente della miscela e non sempre il più rappresentativo della tossicità o quello presente in maggior percentuale; inoltre, le frasi di rischio sono riferite al componente dichiarato, mentre quelle relative ai componenti non citati (spesso i più pericolosi e/o maggiormente presenti nella miscela) sono tralasciate; in alcuni casi viene riportata una sola frase di rischio nonostante il prodotto ne abbia più di una; questo fatto appare più evidente in alcune etichette autorizzate in deroga con decreto dirigenziale, spesso le frasi di rischio mancanti in etichetta rientrano tra quelle vietate dal piano d'azione nazionale; di fatto queste etichette ridimensionano la classe di rischio ben evidenziata, invece, nelle schede di sicurezza che riportano anche istruzioni dettagliate; informazioni che ogni utilizzatore deve assolutamente conoscere;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo è di fondamentale importanza che, a tutela della salute pubblica e dell'ambiente, i riferimenti informativi a disposizione degli utilizzatori dei prodotti e dei cittadini, cui fa riferimento il Ministero e il piano d'azione nazionale, siano affidabili e contengano tutte le informazioni complete e corrette sui prodotti fitosanitari;
    lo studio della dottoressa Maristella Rubbiani, primo ricercatore dell'Istituto superiore di sanità, dal titolo «La problematica relativa alla presenza di coformulanti pericolosi nei preparati antiparassitari di uso agricolo o domestico», spiega come questi coformulanti, spesso più pericolosi della sostanza attiva autorizzata, vengano utilizzati come solventi, adesivanti, bagnanti, tensioattivi ed altro, nei preparati antiparassitari di uso agricolo, domestico o civile;
    la normativa vigente non prevede, per alcuni di questi agenti, l'obbligatorietà della dichiarazione in etichetta relativamente all'identità ed alla concentrazione della sostanza utilizzata come coformulante all'interno del preparato; infatti, mentre per legge solo l'ingrediente attivo deve essere specificato in etichetta con nome e percentuale in peso presente nel prodotto finito, per i coformulanti è sufficiente il nome collettivo («coformulanti e solventi») e la percentuale cumulativa presente nel prodotto, senza l'identificazione specifica di ogni sostanza; alcune sostanze possono essere utilizzate come ingredienti attivi in certi prodotti specifici, ma fungere da solventi, ed essere quindi considerati coformulanti, in altri preparati;
    talvolta, in caso di intossicazione, risulta estremamente difficoltoso risalire alla vera causa del danno tossicologico non potendo sapere cosa fa più male, se il principio attivo studiato o il coformulante di cui non si conosce la natura ed il pericolo;
    secondo un recente studio i principali pesticidi sono più tossici per le cellule umane rispetto ai corrispondenti principi attivi dichiarati. Essi contengono adiuvanti, la cui composizione spesso viene mantenuta confidenziale. Tali sostanze sono considerati inerti da parte delle aziende produttrici e in genere solo il principio attivo dichiarato viene testato. Gli scienziati hanno testato la tossicità di nove pesticidi, confrontando gli effetti dei principi attivi con quelli dell'intera formulazione (principio attivi + audiuvanti), su tre linee cellulari umane. In otto casi su nove la formulazione (il prodotto finale) è risultata fino a mille volte più tossica del suo principio attivo. Gli esperti concludono che i risultati mettono in discussione la rilevanza della dose giornaliera accettabile per i pesticidi, perché questa viene calcolata sulla tossicità del solo principio attivo e non considera l'intera formulazione;
    il rapporto nazionale pesticidi dell'Ispra-edizione 2014 rileva nelle acque la presenza di 175 sostanze, definendolo un cocktail i cui effetti non sono ancora ben conosciuti. Nei campioni sono stati rilevati spesso miscele di sostanze diverse, fino 36 contemporaneamente. Come segnalato fino 36 dai comitati scientifici della Commissione europea, il rischio derivante dall'esposizione a miscele di sostanze è sottostimato dalle metodologie utilizzate in fase di autorizzazione, che valutano le singole sostanze e non tengono conto degli effetti cumulativi;
    il 22 dicembre 2009 il Consiglio «ambiente» dell'Unione europea adottò le conclusioni sugli effetti combinati delle sostanze chimiche, esortando la Commissione europea e gli Stati membri ad intensificare le attività di ricerca nel settore, anche rivedendo la base dati di ricerca esistente. Esistono lacune conoscitive riguardo agli effetti di miscele chimiche e, conseguentemente, risulta difficile realizzare una corretta valutazione tossicologica in caso di esposizione contemporanea a diverse sostanze (Backhaus, 2010). Gli studi dimostrano che la tossicità di una miscela è sempre più alta di quella del componente più tossico presente (Kortenkamp ed altri, 2009); nel 2012 sono state pubblicate le conclusioni sulla tossicità delle miscele di tre comitati scientifici della Commissione europea. In particolare, nel documento si afferma che esiste un'evidenza scientifica per cui l'esposizione contemporanea a diverse sostanze chimiche può, in determinate condizioni, dare luogo ad effetti congiunti che possono essere di tipo additivo, ma anche di tipo sinergico, con una tossicità complessiva più elevata di quella delle singole sostanze. Nel documento, inoltre, si evidenzia come principale lacuna la limitata conoscenza riguardo alle modalità con cui le sostanze esplicano i loro effetti tossici sugli organismi;
    il rapporto Ispra segnala, inoltre, una disomogeneità fra le regioni del Nord e quelle del Centro-Sud, dove il monitoraggio è generalmente meno rappresentativo dello stato di qualità delle acque e la necessità, quindi, di un aggiornamento complessivo dei programmi di monitoraggio, per tenere conto delle nuove sostanze. Sarebbero circa 200, infatti, le sostanze immesse sul mercato in anni recenti e non incluse nei programmi di monitoraggio, 44 di queste sono classificate pericolose, in particolare 38 sono pericolose per l'uomo o per l'ambiente; si palesa, quindi, la necessità di inserire nei protocolli regionali alcune sostanze che, ove ricercate, sono responsabili del maggior numero di casi di non conformità, quali il Glifosate e l’Ampa. Ci sarebbe, quindi, uno sfasamento tra lo sforzo di ricerca, che si concentra soprattutto su alcuni erbicidi e sui loro principali metaboliti, e le sostanze più frequenti nelle acque, gran parte delle quali non figurano tra le più cercate. Le regioni cercano in media 55 sostanze nelle acque superficiali e 68 in quelle sotterranee, meno che nel 2010;
    le sostanze che determinano il maggior numero di casi di superamento dei limiti sono Glifosate e il metabolita Ampa, che sono cercati esclusivamente nella regione Lombardia; essendo l'erbicida largamente impiegato, è probabile che il suo inserimento nei programmi di monitoraggio possa determinare un sensibile aumento dei casi di non conformità nelle regioni dove ora non viene cercato;
    il glifosato, in particolare, è il pesticida che più di ogni altro determina il superamento degli standard di qualità ambientale nelle acque superficiali, non a caso una ricerca sul cancro dell'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) inserisce questo diserbante nella classe 2A – che precede quella dei «cancerogeni certi» – come «probabilmente cancerogeno per gli esseri umani»; per tali ragioni a livello europeo, l'International society of doctors for environment (Isde), presente in 27 Paesi, ha chiesto all'Europarlamento e alla Commissione europea di vietare immediatamente la produzione, il commercio e l'uso del glifosato, su cui si attende la procedura di rivalutazione entro la fine del 2015;
    il rapporto 2014 evidenzia che non c’è ancora un quadro nazionale completo della presenza di residui di pesticidi nelle acque per una serie di cause: copertura incompleta del territorio, disomogeneità del monitoraggio, assenza dai protocolli regionali delle sostanze immesse sul mercato negli anni più recenti, affermando che si è ancora in una fase transitoria in cui l'entità e la diffusione dell'inquinamento non sono sufficientemente noti, tenendo conto, ovviamente, che il fenomeno è sempre in evoluzione per l'immissione sul mercato di nuove sostanze;
    il rapporto 2014 segnala, inoltre, che il calo delle vendite di prodotti fitosanitari registrato nel periodo 2001-2012 non si riflette ancora nei risultati del monitoraggio, che continua a segnalare una presenza diffusa dei pesticidi nelle acque, con un aumento delle sostanze rinvenute. Fra le molte ragioni elencate, la causa più preoccupante e segnalata è la persistenza di certe sostanze, che insieme alle dinamiche idrologiche molto lente (specialmente nelle acque sotterranee) rende i fenomeni di contaminazione ambientale difficilmente reversibili,

impegna il Governo:

   a ripensare l’iter di autorizzazione dei prodotti, in relazione sia ai criteri in base ai quali vengono emanate tali autorizzazioni e quindi alla relativa situazione di emergenza sanitaria, sia all'assunzione delle eventuali responsabilità, valutando di prediligere, in ogni caso, soluzioni alternative a quella dell'autorizzazione eccezionale che dovrebbe essere considerata l'ultima possibilità;
   ad interrompere le autorizzazioni eccezionali perpetuate ben oltre i 3 anni previsti dall'articolo 30 del regolamento (CE) n. 1107/2009;
   a valutare la possibilità di rendere maggiormente stringente il ricorso a tali deroghe, così da non alterare il vero significato di emergenza sanitaria che, a causa del continuo ricorso allo strumento della deroga, rischia di perdere completamente il suo significato e il suo scopo;
   ad adottare, entro 6 mesi dall'approvazione del presente atto, gli atti e le misure previste dal decreto legislativo n. 150 del 2012 e dal piano di azione nazionale non emanati, per i quali risultino già scaduti i termini, nonché ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché le regioni e le province autonome che non abbiano ancora provveduto trasmettano le informazioni di cui agli articoli 19, comma 6, e 16, comma 1, del decreto legislativo n. 150 del 2012, per le quali i termini risultano già trascorsi; a rendere noti ai competenti organi parlamentari lo stato dei lavori sulla predisposizione degli atti, delle misure e delle linee guida previsti dal decreto legislativo n. 150 del 2012 e dal piano di azione nazionale, per i quali è prevista scadenza entro il 13 febbraio 2015 o per i quali non è stato individuato alcun termine temporale;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per implementare l'articolo 24 del decreto legislativo n. 150 del 2012 con un apparato sanzionatorio più esaustivo che racchiuda anche misure sanzionatorie per la mancata osservanza di quanto prescritto dagli articoli 11, 14, 15, 17 e 19 e relativi approfondimenti contenuti nel piano di azione nazionale;
   ad interrompere le autorizzazioni dei prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro per l'irrorazione aerea, nonché a verificare la reale sussistenza delle condizioni che, ad oggi, hanno consentito le deroghe per tali autorizzazioni;
   a riconsiderare le prescrizioni specifiche di cui all'articolo A.4.5 del piano d'azione nazionale, soprattutto per quanto riguarda il controllo del diametro medio delle gocce delle miscele irrorate e l'applicazione della scala di Beaufort, essendo prevista per misurazioni in pianura e non per le misurazioni in collina;
   ad integrare il piano di azione nazionale nelle parti in cui si fa riferimento alle frasi di rischio riportate in etichetta, aggiungendo il riferimento alle schede di sicurezza;
   ad allegare ai decreti dirigenziali, che autorizzano in deroga i prodotti fitosanitari, anche le schede di sicurezza, inserendole inoltre nel database ministeriale dei prodotti fitosanitari;
   a promuovere la revisione delle etichette dei prodotti fitosanitari, completando le parti relative alla composizione e alle frasi di rischio;
   a prevedere le modalità e i criteri per l'introduzione della responsabilità estesa del produttore del prodotto contenente fitosanitari, nonché di qualsiasi persona fisica o giuridica che professionalmente sviluppi, fabbrichi, trasformi, tratti, venda o importi tali prodotti destinati a divenire rifiuto, affinché sia attivato un virtuoso sistema di riciclo dei rifiuti di imballaggio contenenti fitosanitari, anche attraverso sistemi di restituzione degli imballaggi divenuti rifiuto che prevedano per i produttori l'obbligo di accettazione dei prodotti dopo il loro utilizzo;
   ad attuare le misure di tutela a salvaguardia dell'uomo e del suo ambiente, nei territori in cui ambiente agricolo e urbano non abbiano confini definiti ma siano integrati, dando nuova definizione a questi ambienti;
   a promuovere ed attuare, per quanto di competenza, tutte le misure affinché nei territori avvengano tutti i controlli necessari a garanzia del rispetto della normativa vigente e dell'attivazione di tutte le misure previste per la gestione dei rischi, a salvaguardia della salute umana e dell'ambiente;
   a porre in essere tutte le iniziative di competenza affinché le norme, attualmente in vigore in materia di prodotti fitosanitari, siano rispettate in tutte le loro parti e siano indicate con maggior chiarezza le autorità preposte al controllo sulle sostanze utilizzate ai fini del rispetto della normativa vigente, nonché i relativi ruoli e responsabilità;
   ad assumere iniziative anche normative dirette a definire un'unica autorità che sia di riferimento per i cittadini, con funzione di coordinamento di tutte le autorità di controllo previste, nonché a prevedere un'implementazione del sistema di verifica sull'effettiva attività svolta dalle autorità locali competenti;
   ad assumere iniziative normative per rendere obbligatoria l'indicazione della dichiarazione in etichetta relativamente all'identità ed alla concentrazione della sostanza utilizzata come coformulante all'interno del preparato;
   ad adoperarsi affinché la tossicità dei prodotti fitosanitari sia calcolata non solo analizzando il principio attivo ma l'effettiva formulazione del prodotto, andando quindi a considerare l'aumentata tossicità dovuta agli effetti sinergici;
   ad intensificare e sostenere le attività di ricerca nel settore e, in particolare, sugli effetti cumulativi dei pesticidi, aggiornando contestualmente le metodologie di autorizzazione e i programmi di monitoraggio;
   ad attivarsi affinché tutte le sostanze immesse sul mercato siano gradualmente incluse nei programmi di monitoraggio, a partire dal Glifosate e il metabolita Ampa;
   a sostenere, a livello europeo, in vista della scadenza – il 31 dicembre – dell'autorizzazione del glifosato, una posizione contraria a una nuova eventuale autorizzazione, tenendo in considerazione gli elementi scientifici a disposizione;
   ad adottare politiche per disincentivare l'utilizzo del glifosato, soprattutto nell'ambito dell'agricoltura intensiva, mediante iniziative volte a definire norme più severe e misure sanzionatorie, nonché a prevederne il divieto per ogni altro impiego diverso da quello agricolo;
   a promuovere, in applicazione del principio di precauzione, iniziative per vietare in maniera permanente la produzione, la commercializzazione e l'impiego di tutti i prodotti a base di glifosato, in ambito agricolo, nel trattamento delle aree pubbliche e nel giardinaggio.
(1-00720)
(Ulteriore nuova formulazione) «Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Lupo, Parentela, Rostellato, Busto, Basilio, Businarolo, Ciprini, Daga, Da Villa, Terzoni, Ferraresi, Fraccaro».

Ritiro di una firma da una risoluzione.

  Risoluzione in Commissione Paglia e Sandra Savino n. 7-00767, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 settembre 2015: è stata ritirata la firma del deputato Sandra Savino.

ERRATA CORRIGE

  L'interrogazione Segoni n. 5-06434, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 settembre 2015 deve intendersi «interrogazione a risposta immediata in Commissione» e non «interrogazione a risposta in Commissione», come stampato nell'indice e alla relativa pagina.

  Interrogazione a risposta in Commissione Rizzetto Walter n. 5-06681 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 503 del 15 ottobre 2015. Alla pagina 29740, prima colonna, dalla riga trentottesima alla riga trentanovesima deve leggersi: «anche ricorrendo all'istituto dell'aspettativa; infatti, nell'articolo del quotidiano Italia Oggi del 28» e non come stampato.

TESTO AGGIORNATO AL 20 OTTOBRE 2015

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BALDASSARRE, ARTINI, SEGONI, GAGNARLI e BONAFEDE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con la delibera 207 del 30 aprile 2014 della giunta comunale di Arezzo ha dato il via ad una variante urbanistica – da terreno agricolo con vincolo paesaggistico a terreno edificabile – per la costruzione di una nuova Chiesa proprio a ridosso dello storico acquedotto Vasariano in una zona di forte pregio ambientale della città Toscana;
   in un documento diffuso dall'associazione d'ispirazione cattolica DEMOS tra l'altro si legge che la costruzione della nuova Chiesa «sarebbe un'autentica violenza al paesaggio la volumetria in pectore, un insulto all'impegno che insieme ad altri abbiamo messo nel valore identitario di Arezzo toscana orientale. Ad est la città di Giorgio Vasari ha uno dei francobolli paesaggistici più interessanti insieme all'aerea eleganza dell'Acquedotto Vasariano che da sempre fa da cornice alla vita quotidiana degli aretini. Già anni fa, in una delle sue campagne di sensibilizzazione, l'osservatorio DEMOS promosse una rinnovata attenzione verso l'opera mirabile dell'Acquedotto Vasariano, sullo stato conservativo, sull'aggressione del tempo che lo deturpa con licheni e arbusti e ne mette in pericolo la sua funzione»;
   d'altronde si legge sempre nella nota di DEMOS, «Questa parte di Arezzo ha già capisaldi della spiritualità cristiana come S. Croce bella e austera e la chiesa dei Cappuccini gemma di meditazione religiosa e operosità sociale cara agli aretini, anche per questo facciamo appello all'intelligente gusto per il bello e alla sensibilità pastorale dell'Arcivescovo Riccardo per rivedere radicalmente l'ipotesi di una cementificazione dell'area dell'Acquedotto Vasariano»;
   il progetto della giunta comunale di Arezzo prevede la costruzione di un complesso edilizio articolato in una nuova chiesa parrocchiale, casa canonica, uffici parrocchiali, aule catechismo, oratorio per giovani e centro polifunzionale con annesse opere di urbanizzazione e attrezzature sportive;
   il progetto appare insensato perché, come ricordato, già in quel quartiere che abbraccia via Fonte Veneziana, via Redi, fino al nord della città, è dotato di numerose chiese e altre voluminose strutture religiose, tutte con ampia disponibilità di spazi strutturati ed adiacenti, oggi pressoché inutilizzati a causa della ben nota crisi vocazionale;
   il progetto si configura in completa deroga alle tutele della pianificazione urbanistica comunale, al valore paesaggistico di un complesso culturale della collina di S. Fabiano ed il suo rapporto con il cimitero urbano ed in deroga al vincolo cimiteriale istituito per motivazioni igienico-sanitarie;
   una petizione dei cittadini residenti rivolta alle autorità civili, politiche e religiose è già stata sottoscritta da centinaia di persone richiama giustamente la decisione assunta solo qualche anno fa con l'approvazione del nuovo piano strutturale della città di «consumo del suolo zero» e l'insensatezza di sottrarre nuove aree alla campagna per cementificare –:
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, per evitare uno scempio paesaggistico e ambientale proprio a ridosso dello storico Acquedotto Vasariano;
   quali iniziative intenda assumere per la salvaguardia dell'area dell'Acquedotto Vasariano da effettuarsi anche con restauri, tenendo conto che i suoi pianori, le sue colline sono beni di tutta una città ricca di storia e arte che appartengono all'umanità intera come l'opera di Giorgio Vasari. (4-05023)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede informazioni sul progetto di costruzione del nuovo centro parrocchiale di Santa Croce, nel comune di Arezzo, si comunica quanto segue.
  La soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici, etnoantropologici di Arezzo (ora divenuta soprintendenza belle arti e paesaggio per le province di Siena, Grosseto e Arezzo), nell'ambito dei procedimenti avviati dal comune di Arezzo di verifica di assoggettabilità a valutazione ambientale strategica (Vas) e di variante al piano strutturale, su richiesta della stessa amministrazione comunale, ha inviato i propri contributi ai sensi della legge della regione Toscana 3 gennaio 2005, n. 1, in materia di «Norme per il governo del territorio», con note n. 3532 del 15 maggio 2014 e n. 4269 del 12 giugno 2014. Le suddette note hanno messo in evidenza che l'area oggetto di intervento costituisce un ambito fortemente sensibile sotto gli aspetti inerenti i contenuti di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, titolo II e III (codice dei beni culturali e del paesaggio) per la presenza e/o vicinanza di aree sottoposte a vincolo per decreto ministeriale come beni paesaggistici e come beni culturali (cimitero monumentale, acquedotto vasariano, eccetera).
  La stessa soprintendenza ha, anche, evidenziato che l'area oggetto di edificazione, dalle prime verifiche effettuate, ricade solo in parte all'interno del perimetro del vincolo paesaggistico della collina di San Fabiano, già oggetto di verifica ed esame congiunto, con la regione Toscana e la stessa soprintendenza, per l'esatta e univoca definizione cartografica del vincolo nell'ambito del procedimento di adozione del nuovo piano di indirizzo territoriale (Pit) e piano paesaggistico, adottato dal Consiglio regionale il 2 luglio 2014.
  Pur ribadendo le sopraccennate criticità urbanistiche e paesaggistiche, per obiettività e completezza di informativa, la soprintendenza evidenzia che, contrariamente a quanto affermato nell'interrogazione, l'area interessata dal centro parrocchiale non è ubicata a ridosso dell'acquedotto vasariano, dal quale dista in linea d'aria circa 250 metri, e risulta allineata a numerosi caseggiati edificati, negli ultimi decenni del Novecento, all'interno del perimetro dell'area vincolata con decreto ministeriale del 25 maggio 1962 (Colle di San Fabiano), in assenza di autorizzazioni paesaggistiche a causa dell'erronea e riduttiva interpretazione cartografica del vincolo da parte degli uffici comunali.
  Nell'ambito dei tavoli tecnici istituiti nella fase di copianificazione con la regione Toscana per il piano di indirizzo territoriale implementato dal piano paesaggistico, a seguito dell'approvazione da parte della Commissione regionale per il paesaggio, è stata effettuata una correzione cartografica del perimetro per esatta lettura dei riferimenti geografici contenuti nel decreto di vincolo paesaggistico inerente la collina di San Fabiano del decreto ministeriale del 25 maggio 1962, già citato.
  Il piano di indirizzo territoriale è stato definitivamente approvato con deliberazione del Consiglio regionale della Toscana n. 37 del 27 marzo 2015, acquisendo le suddette modifiche.
  L'intervento, come risulta dagli atti depositati presso la soprintendenza, rimane ancora in parte insistente nell'area soggetta a vincolo paesaggistico.
  Con nota del 29 novembre 2014, monsignor Riccardo Fontana, arcivescovo di Arezzo, ha inviato alla soprintendenza una sintesi redatta dal progettista dell'erigenda chiesa di santa Croce per chiarire la reale consistenza dell'intervento e l'interferenza con i beni culturali e paesaggistici nonché altre questioni di tipo urbanistico ed economico.
  Non essendo pervenuto alcun altro approfondimento progettuale, non risulta dunque avviato alcun procedimento e/o verifica istruttoria ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004 (codice dei beni culturali e del paesaggio).
  Per quanto riguarda il profilo della tutela archeologica, l'area interessata dall'intervento non risulta al momento sottoposta a dichiarazione di interesse.
  Tuttavia, come indicato al comune di Arezzo dalla soprintendenza per i beni archeologici della Toscana (oggi denominata soprintendenza archeologia), in esito alla richiesta di contributi per la verifica dell'assoggettabilità alla valutazione ambientale strategica (articolo 22, comma 3, della legge della regione Toscana 12 febbraio 2010, n. 10), la zona, interessata dal nuovo progetto edilizio e dal conseguente riassetto infrastrutturale relativo, presenta rilevante valenza archeologica essendo inserita in un settore periurbano, anche rispetto alla città antica, noto per importanti rinvenimenti archeologici avvenuti in passato, mai urbanizzato e, pertanto, con un potenziale deposito archeologico ancora intatto.
  L'area è, infatti, situata a nord-est delle pendici del colle di San Donato, oggi occupato dalla Fortezza medicea, in antico acropoli dell'antica Arretium, a valle dell'area del cimitero che tanti reperti ha restituito nel XIX e agli inizi del XX secolo, all'atto dei lavori di realizzazione e di ampliamento, e, soprattutto, immediatamente a nord rispetto alla località di Fonte Veneziana.
  Ampiamente nota nella letteratura archeologica per il rinvenimento, avvenuto nel 1869, della celebre stipe votiva di età etrusca arcaica i cui materiali sono attualmente divisi tra i musei archeologici di Arezzo e Firenze ed il Metropolitan museum di New York, nella seconda metà degli anni ’70 del Novecento l'area ha restituito abbondanti materiali archeologici fittili, tra cui frammenti di lastre architettoniche, pesi da telaio, frammenti di ceramica acroma e a vernice nera, nei campi a monte della località e a nord di via Guinizzelli tangente il luogo di Fonte Veneziana e coincidente con l'asse viario est-ovest della città etrusca, a confermare l'estensione dell'area santuariale ad ovest della stipe votiva e la sua continuità almeno fino all'età tardo etrusca. Saggi effettuati di recente hanno inoltre confermato la consistenza e la cronologia dell'area santuariale di Fonte Veneziana, per la quale si sta procedendo ad istruire la dichiarazione d'interesse archeologico.
  La soprintendenza archeologia valuta, dunque, la zona oggetto della nuova iniziativa edilizia ad alto rischio archeologico e necessariamente soggetta a particolari cautele anche con riferimento alla normativa che regola gli interventi di archeologia preventiva.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   BALDASSARRE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   consultando il sito ufficiale della Presidenza del Consiglio, alla sezione «Contributi Editoria», sembra che la pubblicazione di tali dati sia ferma all'anno 2013;
   per il principio di massima trasparenza delle risorse pubbliche, appare urgente la pubblicazione dell'aggiornamento dei suddetti dati anche per l'anno 2014 con il relativo elenco dei beneficiari e specifiche sull'ammontare economico ricevuto –:
   se la Presidenza del Consiglio dei ministri sia a conoscenza della suddetta criticità;
   se la Presidenza del Consiglio dei ministri possa fornire, pubblicando urgentemente l'allegato, i dati relativi all'anno 2014. (4-09570)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante espone che sul sito web della Presidenza del Consiglio dei ministri la pubblicazione dei contributi pubblici alle imprese editoriali è ferma ai dati relativi ai contributi dell'anno 2013.
  Chiede, quindi, che si provveda urgentemente all'aggiornamento dei dati, con la pubblicazione dei contributi liquidati per l'anno 2014, in ragione della evidente necessità di assicurare la massima trasparenza sull'impiego delle risorse pubbliche.
  Al riguardo, va chiarito che non vi è alcun ritardo nell'aggiornamento dei dati sul sito web del Governo, poiché l'istruttoria relativa alla concessione dei contributi pubblici alle imprese editoriali viene sempre svolta, in conformità alle disposizioni di legge e regolamentari vigenti, nel corso dell'anno successivo a quello per il quale il contributo è richiesto.
  Pertanto, gli ultimi contributi liquidati sono esattamente quelli pubblicati, relativi all'anno 2013, erogati tra dicembre 2014 e marzo 2015.
  In base alla tempistica stabilita dalla legge, le domande di contributo sono presentate dalle imprese entro il 31 gennaio dell'anno successivo a quello di riferimento; le stesse imprese devono poi presentare la relativa documentazione di supporto entro il termine decadenziale del successivo 30 settembre; acquisita la documentazione, il dipartimento per l'informazione e l'editoria cura la necessaria istruttoria, ed i relativi provvedimenti vengono adottati – come già accennato – tra dicembre del medesimo anno ed il 31 marzo dell'anno successivo, in coincidenza con il termine previsto dalla legge per la conclusione del procedimento istruttorio.
  Peraltro, negli ultimi anni il dipartimento è riuscito a liquidare i contributi alla maggior parte delle imprese aventi diritto (a circa l'80 per cento delle imprese) entro il 31 dicembre, quindi con largo anticipo rispetto alla scadenza di legge del 31 marzo dell'anno successivo, con una serie di misure organizzative adottate in coerenza con la necessità di sopperire, anche attraverso una più idonea tempistica dei pagamenti, alle crescenti difficoltà delle imprese del settore editoriale.
  In conclusione, i dati relativi al 2014 non sono pubblicati poiché l'istruttoria delle relative domande di contributo inizierà – come ogni anno – subito dopo la scadenza del prossimo 30 settembre. I dati saranno quindi disponibili e pubblicati, per la massima parte, nel corso del prossimo mese di dicembre.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriLuca Lotti.


   BENEDETTI, BRUGNEROTTO, BUSINAROLO, COZZOLINO, DA VILLA e SPESSOTTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nella regione del Veneto sono in atto dei progetti di invasi artificiali per il controllo delle piene, con un rapporto costi/benefici molto alto; fra questi un progetto nei comuni di Trissino ed Arzignano in provincia di Vicenza che prevede di escavare circa 3 milioni di metri cubi di inerti per la realizzazione di un bacino di laminazione con funzione di invaso;
   la zona in cui si intende scavare è costituita da strati alluvionali che hanno sepolto una zona archeologica unica al mondo per tipologia di enorme estensione e mai indagata a fondo dalla soprintendenza; la profondità di giacitura è allo stesso livello dell'abitato di Valbruna, villaggio del terzo secolo d.C., ipotizzato come nucleo abitato della tribù Venetica dei Dripsinates (da cui il nume del paese di Trissino); il primo ritrovamento è del 1795, descritto in numerosi libri, e si trova a soli 200 metri ad est dai resti in procinto di essere distrutti;
   questi reperti sono apparsi in più riprese a partire dal 1982, esposti dall'azione erosiva del fiume dopo una piena, e segnalati puntualmente da privati cittadini senza che questo abbia mai portato a interventi di indagine o tutela; i resti consistono in almeno tre grandi gruppi di vasche rettangolari, di cui la più estesa è formata da diverse centinaia di vasche, per un tratto di almeno 1300 metri nell'alveo del fiume Guà-Agno, distribuite fra i Comuni di Trissino ed Arzignano, ed interessano una superficie di almeno 45 ettari; la tipologia dei manufatti, la loro posizione e livello e la loro estensione fanno supporre ad un impianto di manifattura di dimensioni industriali e quindi difficilmente databile ad un periodo che non sia la fine dell'impero romano;
   la tipologia e l'estensione ne fanno un unicum a livello europeo e forse mondiale; nonostante la presenza e le segnalazioni pluridecennali dei resti, la regione del Veneto a partire dal 2007 ha incaricato il Consorzio di bonifica riviera berica (poi divenuto alta pianura veneta) di progettare il sistema di laghi artificiali precedentemente descritto, preventivando anche gli introiti derivanti dalla vendita degli inerti scavati (e quindi dalla vendita dei resti archeologici);
   la progettazione dell'opera e la valutazione di impatto ambientale non hanno mai preso in considerazione i resti, che non sono mai stati censiti neanche nell'atlante dei siti archeologici del Veneto; nonostante questo, un costante lavoro di documentazione fotografica effettuata da privati cittadini e di rilevamento, ha potuto tenere traccia delle varie emersioni dei resti nell'alveo del fiume;
   solo dopo anni di segnalazioni, visite al sito archeologico, richieste e pressioni da parte dei residenti, nell'imminenza dei lavori di sbancamento, è stata effettuata da una cooperativa incaricata dalla Soprintendenza per i beni archeologici del Veneto, una serie di sondaggi, dei quali però non è trapelata nessuna informazione ufficiale in forma scritta, essendo stata comunicata solo a voce la presunta identificazione come impianti per la lavorazione della canapa di epoca recente, e quindi il trasferimento di competenze alla Soprintendenza per i beni architettonici e il nulla osta alla loro distruzione;
   non si comprende per quale motivo non siano stati scavati i siti nei quali erano evidenti e segnalati da anni i resti antichi e sia stato invece scavato il pavimento del rudere di una abitazione rurale, a centinaia di metri dai siti segnalati; abitazione abbandonata negli anni ’80 e di sicura origine recente, dato che è indicata nelle mappe IGM scala 1:25.000 della metà del 1900, e nel catasto dei terreni; inoltre, si trova in superficie rispetto ai siti antichi affioranti nel fondo del torrente, circa due metri più in profondità della stessa abitazione;
   il 6 giugno 2013 il comune di Arzignano ha organizzato un convegno, nel corso del quale è stata data notizia del ritrovamento da parte di un cittadino di una punta di lancia romana proprio accanto al cartellino che segnalava uno dei punti di riferimento per i sondaggi precedentemente descritti; nonostante questo trapelano voci secondo cui ai resti sarebbe attribuita datazione al 1700 d.C., benché non esista alcuna documentazione di impianti manifatturieri nell'area in quel periodo e considerato che la Repubblica Serenissima mappava e catastava tutti gli impianti di questo tipo, considerati strategici per l'Arsenale di Venezia;
   è tuttora in corso un'inchiesta della procura di Vicenza sull'appalto per il bacino di laminazione che vede iscritti nel registro degli indagati alcuni dipendenti del consorzio di bonifica Alta Pianura veneta per concussione e alcuni tecnici per turbativa d'asta in relazione all'appalto da 26 milioni di euro;
   successivamente sono stati spiccati ulteriori avvisi di garanzia al direttore generale del consorzio ed ad un tecnico ipotizzando a loro carico invasione di terreni, danneggiamento e ingresso abusivo nel fondo altrui –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopraesposti e se non ritengano opportuno, per quanto di competenza, effettuare una verifica allo scopo di chiarire le eventuali responsabilità per la mancata tutela del sito archeologico;
   se non ritengano che le risultanze delle ricerche effettuate debbano essere di dominio pubblico, in ottemperanza alle direttive europee di informazione alla cittadinanza, e che la pubblicazione delle stesse debba avvenire prima della distruzione del sito;
   quali misure intendano avviare a tutela del sito archeologico e, in caso di prosecuzione del progetto, se non ritengano che debbano essere apportate le indispensabili modifiche ai fini della conservazione di questa importante testimonianza del passato. (4-06792)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione in esame, nella quale l'interrogante riferisce circa l'esistenza di «una zona archeologica unica al mondo per tipologia di enorme estensione e mai indagata a fondo dalla soprintendenza», nei comuni di Trissino e Arzignano (provincia di Vicenza), interessati dalla realizzazione di un bacino di laminazione con funzione di invaso. A tale riguardo, chiede la verifica delle responsabilità per la mancata tutela del sito archeologico; la divulgazione, anche a mezzo di pubblicazioni, dei risultati delle ricerche, prima della «distinzione del sito»; e, infine, misure, a tutela del sito archeologico.
  In occasione della realizzazione di opere di adeguamento dei bacini demaniali di Trissino e Tezze di Arzignano (Vicenza) contro le piene del torrente Agno-Guà, la soprintendenza per i beni archeologici del Veneto (ora denominata soprintendenza archeologia per il Veneto), attraverso gli strumenti legislativi previsti in materia di archeologia preventiva (articoli 95 e 96 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, Codice dei contratti pubblici), ha disposto, con nota n. 6702 dell'11 maggio 2011, una verifica del rischio archeologico, allo scopo di accertare la natura di alcune evidenze già note, in quanto da tempo segnalate all'interno dell'alveo. Si trattava di una serie di raggruppamenti di fosse oblunghe scavate nel sedime del deposito fluviale, caratterizzate da misure variabili, seppure omogenee, fra loro allineate, ma di incerta datazione e non chiara interpretazione funzionale, forse vasche per attività produttive. Contestualmente, l'intervento si poneva l'obiettivo di valutare l'eventuale interferenza rispetto ad un'area limitrofa d'interesse archeologico, in località Valbruna, lambita dalle attività di progetto e assoggettata a vincolo ai sensi dell'articolo 142, comma 1, lettera m), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) per l'affioramento di reperti pertinenti ad un insediamento abitativo con indizi di necropoli, databile tra I secolo a.C. e III-IV secolo d.C.
  L'intervento, effettuato tra il giugno 2012 e il gennaio 2013, per il quale il consorzio di Bonifica alta pianura veneta ha incaricato la ditta archeologica Petra società cooperativa di Padova, condotto sotto la direzione scientifica della dottoressa Mariolina Gamba, funzionario di zona della soprintendenza, ha interessato complessivamente un'area di circa 100 ettari ed è consistito nella realizzazione di oltre 200 trincee di accertamento e nell'assistenza alla verifica delle anomalie ferro-magnetiche riscontrate nell'ambito delle attività di bonifica bellica superficiale.
  Considerata la notevole estensione dell'area e i diversi tempi di esecuzione delle lavorazioni, l'indagine è stata suddivisa in due diversi stralci. Il primo ha interessato la superficie compresa tra la briglia di Cinto ed il ponte di Trissino (bacino di monte), destinata per prima alle procedure di cantierizzazione, e il secondo l'area tra la briglia di Cinto e il ponte di Tezze di Arzignano (bacino di valle): in quest'ultimo, tuttavia, a causa dell'indisponibilità di parte dei terreni, ad oggi ancora in fase di esproprio, gli accertamenti archeologici non sono stati ultimati.
  L'intervento fin qui condotto, sotto la costante vigilanza della Soprintendenza, ha consentito di individuare e documentare tre estesi complessi di strutture canaliformi, su cui si è successivamente proceduto con un'indagine stratigrafica a campione, che ha portato all'identificazione di un complesso di vasche, probabilmente riferibili alla macerazione di fibre tessili, forse della canapa sulla base delle analisi paleobotaniche. L'impianto, sulla base della sequenza stratigrafica e dei pochi reperti rinvenuti, è da riferire a età storica recente (dalla metà del XVII secolo). Considerata la natura e la tipologia delle strutture, è stata interessata la competente soprintendenza per i beni architettonici e del paesaggio per le province di Verona, Vicenza e Rovigo (ora denominata soprintendenza belle arti e paesaggio) che, con parere n. 16020 del 6 giugno 2013, ha disposto, in accordo con la soprintendenza per i beni archeologici, una valorizzazione di quanto venuto alla luce, attraverso una serie di pannelli da realizzare presso il museo «G. Zannato» di Montecchio Maggiore, capofila della rete museale dei comuni del bacino dell'Agno-Chiampo.
  Il rinvenimento casuale di una punta di lancia riferibile all'età romana da parte di un privato cittadino, da questi impropriamente prelevato dal suo contesto di giacenza, è da collocarsi – come dimostra la documentazione fotografica prodotta dallo stesso – all'interno di un livello di esondazione fluviale; l'oggetto è pertanto sicuramente traslato e in giacitura secondaria.
  In tutte le fasi dell'intervento la soprintendenza archeologia ha esercitato, per quanto di competenza, la sorveglianza scientifica atta a garantire la piena correttezza delle procedure stratigrafiche eseguite dalla ditta archeologica incaricata e la tutela dei resti sepolti.
  Per quanto riguarda gli aspetti della divulgazione al pubblico, relativamente alla prima parte dell'intervento concluso nel bacino di Monte, si fa presente che una conferenza organizzata dal sistema museale Agno-Chiampo è stata tenuta il 29 maggio 2014 ad Arzignano (relatori la dottoressa Mariolina Gamba e la dottoressa Cristiano Miele) e che una notizia preliminare sulle evidenze rinvenute è in corso di pubblicazione nel notiziario della soprintendenza archeologia del Veneto, a cura della dottoressa Mariolina Gamba.
  Sulle opere di laminazione delle piene del fiume Agno-Guà, nei comuni di Trissino e Arzignano, si è espressa favorevolmente, con prescrizioni, la soprintendenza belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, ai sensi dell'articolo 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio.
  La stessa soprintendenza, con nota n. 16020 del 6 giugno 2013, inviata al Consorzio di bonifica alta pianura veneta e, per conoscenza alla soprintendenza archeologia del Veneto, ha comunicato il proprio accordo all'asportazione dei materiali archeologici individuati nel corso dei lavori, con la condizione che «la documentazione tecnica e fotografica sia utilizzata opportunamente per la realizzazione di pannelli espositivi da collocare in modo idoneo anche nell'area contermine al sito o in altra sede da concordare con comuni interessati» e che i lavori medesimi proseguano sotto la vigilanza della soprintendenza archeologia del Veneto. Ciò in considerazione della necessità di assicurare la compatibilità paesaggistica dell'opera di protezione del rischio idraulico in questione, la cui realizzazione è ritenuta indispensabile dall'autorità preposta alla pubblica sicurezza.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   BUSINAROLO, SPESSOTTO, TOFALO e COZZOLINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da circa un anno alcuni Comuni, in totale 13, della Bassa Veronese sono interessati da un caso inquietante di inquinamento da sostanze chimiche riscontrate nell'acqua destinata al consumo umano e che finora è stato tenuto sotto controllo ma non risolto del tutto;
   come riportato anche da notizie di cronaca (articoli del 24 giugno 2014, del 10 luglio 2014, del 26 luglio 2014 e del 3 agosto 2014 pubblicati sul quotidiano «L'Arena»), l'allarme, scattato circa un anno fa, è legato all'inquinamento idrico da «PFAS», ovvero le sostanze perfloro-alchiliche utilizzate principalmente per rendere impermeabili carta, stoffe e stoviglie, la cui presenza è stata riscontrata, a seguito di monitoraggio compiuto su indicazione dell'Unione europea, nelle acque distribuite dalle reti idriche pubbliche e nelle falde, nei fiumi e nei canali;
   la presenza di tali sostanze chimiche costituisce un pericolo per la salute dei cittadini, ignaramente esposti alla contaminazione e reca anche un grave danno alle casse degli enti pubblici che, per cercare di fronteggiare il problema, devono ricorrere all'intervento di Acque Veronesi, società che gestisce gli acquedotti, per l'abbattimento delle sostanze attraverso l'utilizzo di filtri a carboni attivi, con costi molto elevati;
   le PFAS sono riconosciute come «interferenti endocrini» e possono essere all'origine di patologie riguardanti pelle, polmoni e reni;
   attualmente non esiste, in Italia e a livello comunitario, una normativa che indichi i limiti specifici relativamente alla presenza di tali composti nell'acqua potabile –:
   se i Ministri interessati ritengano opportuno assumere iniziative di carattere normativo al fine di determinare i limiti specifici riguardanti la presenza di PFAS nelle acque destinate al consumo umano, contestualmente individuando una adeguata tipologia di smaltimento delle stesse;
   se nelle more di ogni eventuale intervento di cui sopra, i Ministri interrogati, anche attraverso l'istituto superiore di sanità, intendano promuovere studi ed indagini epidemiologici finalizzati ad escludere rischi per la popolazione interessata, scongiurando aggravi ulteriori per le casse delle amministrazioni pubbliche e per i privati interessate da tale forma di contaminazione delle acque potabili, peraltro obbligati a provvedere ad un controllo continuo sullo stato di inquinamento dell'acqua potabile. (4-06405)

  Risposta. — Con riferimento alle problematiche segnalate dall'interrogante, relative alla presenza delle sostanze perfluoro-alchiliche nelle acque erogate al consumatore finale nella regione Veneto, si rappresenta che la competenza in materia è del Ministero della salute.
  Tuttavia, si forniscono elementi tecnici utili ad avere un quadro completo delle iniziative adottate da questo Dicastero per la tutela dei corpi idrici superficiali e sotterranei interessati dalla presenza di sostanze perfluoro-alchiliche. La problematica della diffusa contaminazione da sostanze perfluorurate delle acque della provincia di Vicenza, evidenziata dallo studio del Cnr Irsa del 2013, è all'attenzione di questo Ministero dal maggio 2013.
  Tali sostanze, per le loro caratteristiche di tossicità e persistenza, causano un inquinamento duraturo delle acque superficiali e sotterranee.
  Pertanto, questo Ministero ha prontamente coinvolto gli enti territoriali competenti per l'esecuzione degli accertamenti necessari all'individuazione delle fonti di immissione delle sostanze e l'attivazione delle misure a tutela dei corpi idrici.
  Inoltre, questa Amministrazione si è riservata di attivare tutte le procedure di riparazione del danno ambientale ai sensi della parte VI del decreto legislativo n. 152 del 2006, in caso di accertamento di responsabilità per il peggioramento dello stato di qualità delle acque.
  In particolare, per quanto di competenza sono state assunte le seguenti iniziative:
   richiesta agli enti territoriali (regione, province, comuni) di attivazione di un monitoraggio di indagine volto agli accertamenti necessari all'individuazione delle fonti di immissione delle sostanze e alla valutazione dello stato di qualità dei corpi idrici superficiali e sotterranei;
   richiesta di adozione di eventuali interventi di messa in sicurezza e bonifica/rimozione delle fonti di pressione e di contaminazione, ai fini del contenimento e/o della diffusione delle suddette sostanze;
   richiesta di adozione di sistemi di approvvigionamento alternativi o, laddove tale misura non risulti applicabile, l'utilizzazione di adeguati sistemi di trattamento delle acque per l'abbattimento delle concentrazioni delle sostanze presenti;
   istituzione di un gruppo tecnico di lavoro, costituito dagli esperti degli istituti scientifici nazionali (Cnr, Irsa, Istituto superiore di sanità e Ispra) per la fissazione di standard di qualità ambientale per la valutazione dello stato ecologico dei corpi idrici superficiali e di valori soglia per la valutazione dello stato chimico delle acque sotterranee al fine di effettuare i relativi adeguamenti della normativa tecnica vigente.

  Detto gruppo tecnico di lavoro ha concluso la propria attività ed ha inviato formalmente a questo Ministero il 28 novembre 2014 la proposta tecnica relativa alla definizione dei suddetti standard di qualità ambientale.
  Al fine di adeguare la normativa tecnica vigente, tali standard sono stati inseriti nello schema di decreto di recepimento della direttiva 2013/39/UE sulle sostanze prioritarie, attualmente sottoposto all'esame della competente commissione della Camera dei deputati, il cui iter è in via di conclusione.
  Relativamente alla qualità delle acque potabili si fa presente che il Ministero della salute, in data 29 gennaio 2014, ha raccomandato alla regione Veneto, sulla base delle indicazioni fornite dall'Istituto superiore di sanità, l'implementazione di tecniche di adsorbimento e/o filtrazione attraverso membrane di provata efficienza per la rimozione di sostanze perfluoro-alchiliche (Pfas) nella filiera di produzione e distribuzione delle acque destinate a consumo umano, indicando contestualmente i livelli di performance, quindi obiettivo, per acido perfluoroottansulfonico (Pfos), acido perfluoroottanoico (Pfoa) e perfluoroalchiliche (Pfas).
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BUSINAROLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, a seguito di segnalazione pervenuta da un cittadino, è stata rilevata la presenza di un cumulo di rifiuti di varia origine abbandonati in una strada secondaria nei pressi di due parcheggi nella zona industriale di Concamarise (VR);
   a seguito degli accertamenti effettuati dagli agenti della Polizia municipale di Bovolone (VR) e anche alla presenza del sindaco Zuliani, intervenuti immediatamente sul posto, si riscontrava la presenza di diversi metri cubi di rifiuti di natura diversa, ovvero di sacchetti di umido, di secco, nonché di plastica e carta;
   a seguito di ulteriori controlli è emerso che, tra i rifiuti maleodoranti, vi erano anche lettere indirizzate a persone residenti a Roma e, addirittura, documenti provenienti dalla questura di Roma e dal Ministero dell'interno, oltre ad un bidoncino dell'umido di Ama (l'azienda municipalizzata capitolina);
   a seguito dell'episodio la Polizia municipale ha inoltrato alla procura competente una informativa sul ritrovamento del materiale abbandonato, rimarcando che restano ancora ignoti gli autori del deposito abusivo di materiale;
   quanto sopra descritto evidenzia la gravità di un fenomeno particolarmente diffuso, quello cioè della gestione illecita dei rifiuti, per cui occorre prevedere un maggiore e più capillare controllo dell'attività di smaltimento, per evitare il rischio di danno ambientale e per tutelare la salute pubblica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative urgenti intenda assumere, anche per il tramite del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, dirette a verificare lo stato dei luoghi, la rintracciabilità dei rifiuti ed anche allo scopo di tutelare le popolazioni dai rischi di inquinamento da danno ambientale. (4-06908)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta che da informazioni assunte dal Servizio intercomunale della Polizia locale del comune di Bovolone, i cumuli di rifiuti sono stati rinvenuti il 7 novembre 2014 e riguardano rifiuti solidi urbani, in parte costituiti da frazione umida, carta e rifiuto indifferenziato.
  I suddetti rifiuti sono stati rimossi dallo stesso comune l'8 novembre 2014 con il contestuale ripristino e pulizia dei luoghi realizzato dalla ditta Esa-Com spa, affidataria del servizio di raccolta dei rifiuti presso il summenzionato Ente.
  A seguito delle indagine esperite, la Polizia locale non è riuscita ad individuare il responsabile dell'abbandono dei rifiuti, verificando, però, che il mezzo utilizzato per compiere l'illecito è stato sottratto alla ditta logistica Boccato Ghiaia srl, avente sede a Salgareda (TV), dopo che la stessa aveva presentato denuncia di furto, in data 26 ottobre 2014.
  Il comune di Concamarise ha inviato una richiesta di risarcimento danni alla ditta Boccato Ghiaia srl chiedendo, inoltre, il pagamento delle spese sostenute per la rimozione e il ripristino dell'area.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Parco nazionale del Gargano è un'area naturale protetta istituita dalla legge n. 394 del 6 dicembre 1991, collocata nella parte nord-orientale della Puglia;
   all'interno di detto Parco, è compreso il territorio di Vico del Gargano, di cui fa parte anche la Baia di Calenella;
   il comune di Vico del Gargano, ha approvato la nuova pianificazione urbanistica che prevede dieci lottizzazioni localizzate fra Vico del Gargano, San Menaio e la piana di Calenella. Su quest'ultima, dovrebbe sorgere una struttura ricettiva da 300 posti in costruzioni tutte ad un piano, disposte come un quarto di luna con un edificio centrale a due piani. Il complesso turistico verrebbe edificato sul lato sinistro della baia, impedendo la visione del mare;
   l'area destina alla costruzione del villaggio turistico è a ridosso di due importanti aree archeologiche del parco, l'insediamento di Macchia di Mare, un insediamento capannicolo di età neolitica risalente al IV-III millennio a.C. e necropoli di Monte Pucci, cavità naturali all'interno delle quali si trovano numerosi ipogei paleocristiani, grotte nelle quali trovarono sepoltura comunità nei primi periodi del cristianesimo dall'età Costantiniana all'VIII sec. d. C.;
   l'area interessata è ad alto rischio idraulico nel cuore di una piana alluvionale con un elevatissimo valore paesaggistico;
   diversi residenti, preso atto dell'impatto ambientale del progetto, ha avviato una petizione destinata al sindaco del comune di Vico del Gargano, per richiedere di preservare il patrimonio naturale della Baia di Calenella –:
   se si intenda, per quanto di competenza, intervenire nella vicenda, al fine di preservare il predetto patrimonio ambientale ed archeologico oltre per tutelare la pubblica incolumità. (4-03829)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'approvazione della nuova pianificazione urbanistica da parte del comune di Vico del Gargano, con cui si chiede di conoscere quali iniziative intenda adottare questo Ministero al fine di preservare il patrimonio ambientale e archeologico di quei luoghi, si comunica quanto segue.
  Si premette che l'ordinamento vigente non prevede competenze di questa amministrazione in materia di pianificazione urbanistica, essendo tale materia come noto trasferita alle regioni, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 15 gennaio 1972, n. 8.
  Con riferimento ai contenuti dell'interrogazione, si rappresenta che questo Ministero condivide le forti perplessità manifestate circa la previsione edificatoria sulla piana di Calenella, come da piano urbanistico generale adottato con delibera del consiglio comunale n. 69 del 18 novembre 2013. Al riguardo, la competente soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Bari, Barletta-Andria e Trani, a cui l'atto parlamentare è stato trasmesso per competenza territoriale, ha assicurato la massima attenzione, in sede di istruttoria paesaggistica finalizzata al rilascio di autorizzazioni, ai sensi dell'articolo 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio.
  Ai sensi del citato articolo, infatti, ogni attività edilizia che dovrà essere realizzata nella piana di Calenella dovrà necessariamente essere conforme alle misure di salvaguardia contenute nel piano paesaggistico territoriale regionale adottato il 3 agosto 2013.
  Si rappresenta, infine, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in data 8 aprile 2014, richiedeva informazioni all'ente parco nazionale del Gargano che, attraverso il proprio comitato tecnico, in data 10 aprite 2014 esprimeva parere negativo sugli interventi proposti, in quanto ritenuti totalmente incompatibili e inadeguati rispetto alle finalità perseguite dall'ente parco. Si sarebbe trattato infatti, secondo il comitato tecnico, di un’«antropizzazione e urbanizzazione di un'area sostanzialmente naturale, con conseguenze negative in termini di disturbo della fauna e di emissioni inquinanti».
  In data 30 giugno 2014, il comune di Vico del Gargano, su sollecitazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, confermava che il piano urbanistico generale nella sua prima versione adottata e, successivamente ritirata, prevedeva nella piana di Calenella la possibilità di realizzare un complesso turistico-ricettivo di circa 300 posti tetto. La struttura prevista era stata disciplinata con altezze e impatti molto bassi sul territorio e in posizione decentrata rispetto alla visuale paesaggistica mare-valle.
  Successivamente, l'amministrazione comunale recepiva il nuovo strumento regionale urbanistico-paesaggistico, che classificava il citato torrente Calenella come «corso d'acqua pubblico», vincolando per 150 metri per sponda alla totale nuova edificabilità. Pertanto, l'amministrazione comunale decideva di disciplinare la Piana di Calenella come doppia invariante: «invariante paesaggistico ambientale» per la parte della piana in senso stretto e «invariante infrastrutturale di progetto» per confermare la previsione e la necessità di alcune opere di interesse pubblico, tra cui la realizzazione di parcheggi, la sistemazione del verde e la mitigazione del torrente.
  Con nota del 23 luglio 2015 la competente soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Bari, Barletta-Andria e Trani ha comunicato che dal 16 febbraio 2015, con deliberazione della giunta regionale della Puglia n. 176 (pubblicata sul bollettino ufficiale della regione Puglia n. 40 del 23 maggio 2015), è stato approvato il piano paesaggistico territoriale regionale (Pptr), d'intesa con il Ministero, per effetto del quale, ai sensi dell'articolo 96 e seguenti delle norme tecniche di attuazione (Nta), gli strumenti urbanistici dei comuni dovranno essere adeguati al Pptr mediante parere di compatibilità paesaggistica espresso dalla regione e dal ministero. In tale sede anche le previsioni del piano urbanistico generale di Vico del Gargano che interessano l'area della Piana di Calenella saranno sottoposte a specifica valutazione di compatibilità con le previsioni del predetto piano paesaggistico.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   in data 5 novembre 1996 è stato stipulato a Zagabria l'accordo italo-croato per la tutela della cultura e delle popolazioni italiane già residenti nei territori d'Istria, Fiume e Dalmazia ed è stata richiesta al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale italiano ed al Ministero degli esteri croato l'applicazione del detto accordo in Dalmazia da parte delle comunità italiane ivi esistenti per il tramite del Centro ricerche culturali Dalmate — Spalato –:
   se non intenda assumere iniziative per accelerare l'applicazione dell'accordo «Dini-Granic» in tutta la Dalmazia, tenuto conto che finora è stato applicato solo e parzialmente in Istria ed a Fiume. (4-10136)

  Risposta. — 1. Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha sempre attribuito massima importanza alla tutela dei diritti della minoranza autoctona italiana nella ex Jugoslavia, in tutte le aree di insediamento storico, inclusa naturalmente la Dalmazia, ed intende continuare in tale direzione con determinazione, consapevole anche del rilevo che tale minoranza potrà avere per rinsaldare i legami non solo storico-culturali, ma anche economici, tra l'Italia e Paesi appartenenti all'Unione europea (Slovenia e Croazia) o in via di adesione (Montenegro).

  2. L'estensione alla Dalmazia ed alle altre aree di insediamento storico in Croazia dei diritti sinora riconosciuti alla minoranza autoctona italiana nella regione istriana è sicuramente oggetto di costante impegno del nostro Paese. In tal senso deve valutarsi l'apertura, nell'ottobre 2013, della scuola italiana dell'infanzia «Pinocchio» a Zara, il primo Istituto scolastico italiano a essere riaperto in Dalmazia dopo la chiusura, nel 1953, dell'ultima scuola italiana colà operante. Si tratta di un successo frutto del lavoro di squadra tra il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e tutti gli attori coinvolti nell'esercizio. Grazie a questo significativo passo in avanti, si potrà lavorare negli anni a venire per accrescere l'offerta formativa e, più in generale, il livello dei diritti riconosciuti alla nostra minoranza in quella terra.
  Su tale linea la Farnesina sosterrà la realizzazione di progetti di qualità che verranno presentati nell'ambito della legge n. 73 del 2001 tesi ad accrescere il ruolo, anche socio-economico, della minoranza autoctona italiana in Dalmazia. A tale scopo, la Farnesina è aperta a valutare e promuovere, nelle sedi opportune, le iniziative meritevoli che i soggetti interessati vorranno proporre.

  3. In raccordo con il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, l'Ambasciata d'Italia a Zagabria ed il Consolato generale a Fiume seguiranno con la massima attenzione, assieme al Governo croato e alle autorità locali, il pieno rispetto dei diritti della minoranza autoctona italiana, anche nell'ambito dell'attuazione dell'Accordo «Dini-Granic» del 1996.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 30 settembre, nel corso di una trasmissione radiofonica il sindaco di Roma Ignazio Marino ha affermato che «Il Governo italiano, attraverso il Ministero dell'interno, ha già in atto un progetto in nove città, tra cui Milano e Genova. Qui, con il contributo delle locali diocesi e della Caritas, si danno 30 euro al giorno a chi ospita immigrati. (...) Perché non lo si può fare anche a Roma ? Si tratta solo di estendere alla nostra città un'iniziativa intelligente già in essere»;
   secondo Marino, quindi, il progetto di dare trenta euro al giorno alle famiglie italiane che si offrono di ospitare i rifugiati che arrivano nelle nostre città sarebbe già operativo in ben nove città;
   nonostante gli affannosi tentativi di difesa del Ministro dell'interno messe in atto dal suo partito appare, peraltro, chiarissimo che laddove questa iniziativa si stia davvero realizzando, essa non potrebbe essere gestita «in autonomia dai centri Caritas» a causa della indubbia rilevanza finanziaria della stessa;
   pochi giorni prima delle affermazioni rese dal sindaco di Roma, il Ministro dell'interno aveva già escluso, con una nota ufficiale, l'esistenza di una qualsiasi iniziativa che destini soldi alle famiglie che si facciano carica dell'assistenza ai rifugiati, dichiarando che «la decisione di corrispondere trenta euro alle famiglie che si renderebbero disponibili ad accogliere in casa immigrati adulti o minori figli di immigrati, non corrisponde, nel modo più assoluto, a una decisione assunta dal Ministero dell'interno né tantomeno a una iniziativa in via di attuazione. (...) Ogni ipotesi di lavoro che mi dovesse essere presentata in questo senso, da chiunque provenga, sarà da me certamente bocciata»;
   lo sforzo economico sopportato dall'Italia per l'accoglienza agli immigrati è enorme, e nell'ultimo anno è aumentato in maniera esponenziale a causa dei costi connessi all'operazione «Mare nostrum» per il pattugliamento delle coste, mentre dovrebbe, invece, essere suddiviso tra tutti gli Stati dell'Unione europea –:
   se sia in atto, o allo studio, un progetto di accoglienza come quello descritto in premessa e, se del caso, a quanto ammontino i relativi costi. (4-06282)

  Risposta. — Nell'interrogazione in esame, l'interrogante fa riferimento a un presunto progetto di accoglienza messo a punto dal Governo, attraverso il Ministero dell'interno, in nove città italiane (tra le quali Milano e Genova) che, con il contributo delle locali diocesi e della Caritas, prevederebbe un compenso di 30 euro al giorno per le famiglie disposte ad ospitare immigrati.
  Al riguardo, si informa che non è attualmente in atto, su indicazione o con oneri a carico di questa Amministrazione, alcuna iniziativa in tal senso.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   PALMIZIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   durante il 45° festival internazionale del teatro di piazza, che come di consueto si svolge nella città di Santarcangelo di Romagna (RN), il 19 luglio 2015 alle 18:30 si è tenuto uno spettacolo di danza moderna, la cui coreografia risalente al 2000 è stata reinterpretata da due artisti di fama mondiale, Frank Willens e Bors Charmatz. Lo spettacolo (untiled) (2000), rappresenta l'ultimo lavoro coreografico firmato da Tino Sehgal, Leone d'oro come miglior artista della Biennale di Venezia nel 2013;
   l'esibizione di danza è stata interpretata dall'artista Frank Willens che, in un luogo pubblico e in un orario alla portata di molta gente nonché di minori, dopo aver ballato completamente nudo in mezzo alla piazza davanti al Teatro del Lavatoio, ha orinato davanti al pubblico, creando una feroce polemica, anche sui social network, da parte di coloro che erano presenti allo spettacolo i quali hanno minacciato di presentare un esposto alla magistratura, per quella che l'organizzazione ha definito danza moderna;
   Silvia Bottiroli, direttrice artistica del Santarcangelo festival, dopo le numerose polemiche, ha spiegato, come riportato dalle maggiori agenzie di stampa, che l'esibizione di danza fa riferimento ad «un corpo che si fa fontana, come la posa del Manneken Pis di Bruxelles trattandosi non già di una facile provocazione, che sarebbe peraltro puerile e poco efficace, ma di una dichiarazione rispetto al rapporto tra danza e storia, tra dimensione dell'arte e dimensione e della vita individuale e politica»;
   l'Associazione Santarcangelo dei Teatri, presieduta dallo stesso sindaco della città di Santarcangelo di Romagna, organizza il festival italiano dedicato alle arti della scena contemporanea ed è finanziato dal comune che ospita il suddetto festival, da quello di Rimini e da diversi comuni limitrofi, nonché da importanti partner istituzionali quali il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, la regione Emilia-Romagna e la Banca popolare dell'Emilia Romagna;
   tra i maggiori partner istituzionali internazionali figura anche la Commissione europea, che finanzia direttamente le attività dell'Associazione Santarcangelo dei Teatri con l'obiettivo di operare in relazione con istituzioni culturali e organizzazioni artistiche italiane e internazionali, promuovendo un tipo di spettacolo che, di certo, non arrechi nocumento agli spettatori;
   nel giro di poche settimane, è la seconda proposta artistica che crea polemica in Romagna, dopo le cartoline provocatorie di Maurizio Cattelan, che, ad inizio mese, hanno tappezzato Rimini con sgargianti e inopportune gigantografie pop, destando un forte sdegno da parte della grande maggioranza dei cittadini romagnoli –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa;
   se il Ministro ritenga sia stato fatto un utilizzo opportuno e consono al decoro pubblico, nonché conforme alla legge, dei finanziamenti concessi all'Associazione Santarcangelo dei Teatri;

se il Ministro non ritenga di dover porre in essere un sistema di vigilanza sugli eventi realizzati da parte di enti ed associazioni che utilizzano finanziamenti statali. (4-09950)

  Risposta. — Nell'interrogazione in esame, l'interrogante riferisce che il 19 luglio 2015, durante una delle serate del 45o festival internazionale del teatro in piazza, svoltosi a Santarcangelo di Romagna, si è tenuta un'esibizione di danza interpretata dall'artista Frank Willens che, «in un luogo pubblico e in un orario alla portata di molta gente nonché di minori, dopo aver ballato completamente nudo in mezzo alla piazza davanti al teatro del Lavatoio, ha orinato davanti al pubblico, creando una feroce polemica, anche sui social network, da parte di coloro che erano presenti allo spettacolo i quali hanno minacciato di presentare un esposto alla magistratura...».
  Pertanto, l'interrogante chiede se si sia fatto «un utilizzo opportuno e consono al decoro pubblico, nonché conforme alla legge, dei finanziamenti concessi» al festival; se non si ritenga di dover porre in essere un sistema di vigilanza sugli eventi realizzati da parte di enti ed associazioni che utilizzano finanziamenti statali.
  Il festival di Santarcangelo è uno dei festival di teatro e danza che, da molti anni, riceve contributi a valere sul fondo unico per lo spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163 (Nuova disciplina degli interventi dello Stato a favore dello spettacolo).
  Nel 2015, a seguito dell'entrata in vigore del decreto ministeriale 1o luglio 2014 (Nuovi criteri per l'erogazione e modalità per la liquidazione e l'anticipazione di contributi allo spettacolo dal vivo, a valere sul fondo unico per lo spettacolo), il festival ha inoltrato domanda nell'ambito dei progetti multidisciplinari di cui al capo VI del decreto stesso.
  Verificato in sede di istruttoria il possesso di tutti i requisiti di ammissibilità, l'istanza è stata portata all'esame della valutazione artistica e progettuale nella seduta congiunta delle commissioni consultive per lo spettacolo (teatro, musica, danza, circhi e spettacolo viaggiante) nominate dal Ministro con il decreto ministeriale 10 febbraio 2014, composte da esperti del settore e da membri in rappresentanza della Conferenza Stato-regioni e province autonome e della Conferenza Stato-città e autonomie locali. Il progetto triennale del festival è stato approvato e al programma annuale è stato attribuito un punteggio di qualità artistica pari a punti 29/30.
  I dati relativi alla dimensione quantitativa e alla qualità indicizzata, calcolati secondo il sistema di cui all'articolo 5 del decreto ministeriale 1o luglio 2014 sopra citato, hanno prodotto un punteggio rispettivamente pari a punti 24,01/40 e a punti 20,45/30.
  Al termine di tale procedura amministrativa, il festival ha ottenuto per l'edizione 2015, un contributo da parte del Ministero, di euro 126.446.
  A seguito delle notizie di stampa seguite alla rappresentazione (Untitled) (2000), e dell'interrogazione parlamentare, la direttrice artistica del festival, Silvia Bottiroli, ha inviato alla Direzione generale spettacolo un documento che illustra lo spettacolo, così come si è svolto nell'ambito del festival, e il suo significato artistico.
  Il documento, disponibile anche sul sito web del festival, all'indirizzo: http://santarcangelofestival.com/sa15/2015/07/24/di-cosa-stiamo-parlando-su-untiled2000-di-tino-sehgal-al-festival-di-santarcangelo/, sarà portato a conoscenza della commissione consultiva teatro, così come l'interrogazione cui si risponde, per le valutazioni di competenza.
  Conclusivamente, non si può non rimarcare che a questa amministrazione non è consentito di sindacare il merito delle manifestazioni artistiche, la cui libertà è presidiata dagli articoli 21 e 33, primo comma, della Costituzione, con il solo limite del divieto di manifestazioni contrarie al buon costume. Il rispetto di tale divieto rientra peraltro – in un equilibrato assetto di ripartizione dei poteri, ispirato a preminenti finalità garantiste – nelle attribuzioni proprie dell'autorità giudiziaria.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   QUARANTA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il piano territoriale di coordinamento paesistico della regione Liguria (dcr n. 6/90) classifica l'area del Porto di Santa Margherita come area urbana di «mantenimento» e prescrive di evitare che vadano perdute quelle testimonianze dell'assetto preesistente che contribuiscono a determinare la qualità ambientale della struttura urbana attuale;
   il suddetto porto è sottoposto a vincolo paesaggistico ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004, con decreto ministeriale 11 giugno 1954 che ne protegge, oltre alle vedute panoramiche, la ricca vegetazione arborea e le singolarità geologiche, i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale;
   come confermato dalla stessa recente variante di aggiornamento al piano territoriale di coordinamento paesistico della COSTA, approvata con Dgr n. 936 del 29 luglio 2011, il porto di Santa Margherita Ligure è tuttora classificato quale «porto rifugio» che deve «garantire l'accessibilità in sicurezza in ogni condizione di mare...»;
   il piano della costa vigente, approvato nel dicembre 2000, prevede una sistemazione del porto con un limitato allungamento della diga esistente funzionale alle opere di difesa a mare;
   con tale obiettivo viene realizzata nel 2010, da parte del provveditorato alle OO.PP, il prolungamento della diga foranea che raggiunge oggi complessivamente circa 80 metri;
   in data 20 febbraio 2014 il, comune di Santa Margherita pubblica un avviso di bando riguardante la richiesta concorrente di concessione demaniale cinquantennale presentata dalla, soc. Santa Benessere & Social Srl (ora spa) per la realizzazione di opere di riqualificazione, di messa in sicurezza e di adeguamento funzionale degli ormeggi e del litorale sud con la realizzazione di attività ed opere connesse alla portualità turistica del Porto di Santa Margherita Ligure;
   il progetto è contestato dall'associazione Tuteliamo Santa (ente avente quale propria finalità il contribuire alla conservazione ed alla tutela del patrimonio ambientale, paesaggistico, storico e culturale del Comune di Santa Margherita) che in una serie di osservazioni riguardanti il progetto scrive: «L'intervento proposto, facendosi scudo di obiettivi funzionali che richiamano strumentalmente l'esigenza di una maggiore sicurezza (e di una riqualificazione del litorale sud che prevede in realtà l'introduzione di nuove incombenti e non necessarie volumetrie), minaccia di fare scempio dei principi richiamati, riduce il porto ad appendice funzionale, spazio di esclusione, e priva la città del suo più ampio e suggestivo spazio pubblico: così come a Portofino, una vera e propria piazza d'acqua». Gli elementi più critici risultano in breve essere: 59 posti macchina interrati che si andrebbero ad aggiungere ai 40 già esistenti (tot. posti 100), l'eliminazione della caratteristica storica scogliera a mare sotto il castello che oggi serve anche a contenimento delle mareggiate, in fine, la spiaggia di Ghiaia subirebbe enormi danni in termini di balneabilità e insabbiamento;
   oltre al progetto della Società Santa Benessere & Social Srl (ora Spa) è stato presentato anche un progetto alternativo, denominato «Porto Cavour» e proposto dall'associazione temporanea di imprese che operano nei porto, ovvero As. Ve.m, Centro Nautico Ligure, Gi.Di.Mar, Motomarine Tigullio e Ma.mi associate, Operatori nautici e portuali e Otam. In definitiva, la Santa Benessere & Social spa chiede 179.288 metri quadrati (di cui 145.209 di specchio acqueo e 33.079 di aree terra); 180.219 i metri quadrati invece per l'Ati Porto Cavour (di cui 156.832 di specchio acqueo e 23.387 di aree a terra). Entrambe le società chiedono il rilascio della concessione demaniale marittima per un periodo di 50 anni;
   dal 2000 si sono succeduti diversi progetti tutti non approvati in quanto sono state via via rilevate problematicità tecniche e per non essere conformi al già citato piano paesaggistico né ai vincoli gravanti sull'area ai sensi del sopracitato decreto legislativo n. 42 del 2004;
   va segnalata la risposta scritta dell'allora Ministro per i beni e le attività culturali, Giancarlo Galan, pubblicata mercoledì 3 agosto 2011 nell'allegato B della seduta della Camera dei deputati n. 512, all'Interrogazione 4-11156 presentata lunedì 7 marzo 2011, seduta n. 444, dagli onorevoli Elisabetta Zamparutti, Marco Beltrandi, Rita Bernardini, Maria Antonietta Farina Coscioni, Matteo Mecacci e Maurizio Turco, relativa al progetto di ampliamento del porto di Santa Margherita Ligure. Dal testo si legge: «La competente Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici della Liguria ha evidenziato la contrarietà dell'ufficio ad ogni intervento di trasformazione dello storico porto di Santa Margherita Ligure. Va, altresì, segnalato che non più di due anni fa la stessa Soprintendenza aveva reso parere negativo su di un altro progetto, che prevedeva un maggiore prolungamento del molo di sopraflutto e la formazione di un altro molo, ad esso perpendicolare leggermente emergente e la realizzazione di diversi pontili. Già allora si era avuto modo di evidenziare come l'intervento avrebbe chiuso ed intasato lo specchio acqueo originale che da sempre caratterizza lo storico porto rifugio di Santa Margherita. Si era riscontrato, infatti, che oltre a venire stravolta la conformazione tipica di un porto da sempre connotato al ricovero delle imbarcazioni di passaggio, privandolo quindi della sua configurazione storica, si sarebbero alterate e danneggiate le visuali panoramiche che si percepiscono dai numerosi punti di belvedere pubblici oggetto dei decreti ministeriali con cui il territorio è stato sottoposto a tutela paesaggistica ex lege n. 1497 del 1939, oggi decreto legislativo n. 42 del 2004, parte III. Pertanto, pur non avendo ancora reso alcun parere su di un progetto definitivo, si ribadisce fermamente l'intenzione e la volontà di mantenere intatta ed inalterata la conformazione storica del porto e, dunque, di evitare la modifica di quegli elementi che rendono unica nel suo genere la costa del Tigullio»;
   già nel 2007 interpellato sull'allora progetto di ampliamento del porto di Santa Margherita, Renzo Piano in una lettera indirizzata all'Associazione Tuteliamo Santa scriveva: «è un autentico stravolgimento anche se motivato dalla sicurezza. Sono certo che esista una soluzione che risolva la sicurezza e non tradisca l'anima del luogo, trasformandolo in un'ennesima marina senz'anima». E ancora si legge: «La topografia di questo nuovo porto-parcheggio tradisce profondamente l'identità del luogo. Santa Margherita come altre perle del Golfo Ligure è un luogo unico in cui esiste una coerenza direi quasi una complicità secolare, tra la forma del porto e la topografia degli ormeggi: è la prima che ha suggerito la seconda. È questa ragione che rende unici porti come Santa Margherita. Il progetto che ho visto (perfetto, geometrizzato, irregimentato), rompe questo patto e tradisce la naturalezza del luogo. Trovo inoltre grave che il porto di Santa Margherita dimentichi il suo antico ruolo ospitale per banche in transito (quelle previste dal progetto sono pochissime, tanto da trasformare il porto in deposito invernale»;
   gli attuali progetti, secondo l'Associazione Tuteliamo Santa – sono analoghi a quello presentato nel 2007 a cui si riferisce Piano e poi bloccati da soprintendenza, comune e Regione, in più prevedono una vasta cementificazione della spiaggia del retroporto;
   il 9 dicembre 2014 si terrà la conferenza dei servizi in sede deliberante –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno consultare i suoi uffici distaccati per conoscere il loro parere;
   visti gli esiti dei precedenti progetti, quello del 2006 rigettato dalla soprintendenza, quello del 2011 bloccato dall'allora Ministro per i beni e le attività culturali Galan, non ritenga necessaria una valutazione più approfondita vista la natura fortemente impattante delle opere in progetto;
   se i due progetti, che secondo l'interrogante trasformano il porticciolo da «storico» porto rifugio in una ennesima «marina senz'anima», possano alterare l'aspetto paesistico della cittadina rivierasca – come sottolineato da più parti e dallo stesso piano – rappresentando di fatto la perdita di identità per un luogo come Santa Margherita. (4-07102)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione in esame, nel quale l'interrogante, con riferimento a due progetti riguardanti l'ampliamento e la riqualificazione dell'area del porto di Santa Margherita Ligure, chiede se non si ritenga che «i due progetti, che secondo l'interrogante trasformano il porticciolo da “storico” porto rifugio in una ennesima “marina senz'anima”, possano alterare l'aspetto paesistico della cittadina rivierasca».
  L'area del porto di Santa Margherita Ligure è stata sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497 con decreto ministeriale dell'11 giugno 1954; è inoltre sottoposta alle disposizioni del Piano territoriale di coordinamento paesistico della regione Liguria (deliberazione del consiglio regionale n. 6 del 25 febbraio 1990) e della variante di aggiornamento del piano territoriale di coordinamento della costa (deliberazione della giunta regionale n. 936 del 29 luglio 2011).
  Tra la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Liguria (di seguito direzione regionale) e la regione Liguria, il 30 luglio 2007, è stato stipulato un accordo, ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 dicembre 2005, che prevede per l'area la presentazione della relazione paesaggistica non semplificata.
  Nel 2012, la direzione regionale aveva espresso il parere circa l'opportunità di sottoporre a valutazione ambientale strategica (Vas) il progetto preliminare del piano urbanistico del comune di Santa Margherita Ligure, in considerazione dei potenziali significativi impatti diretti e indiretti che il piano avrebbe potuto avere sul patrimonio culturale, al fine di garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente tutelato compreso nel territorio comunale di Santa Margherita.
  Nell'ambito del procedimento di valutazione ambientale strategica successivamente avviato dalla regione Liguria, nel febbraio 2014, la medesima direzione regionale, sulla base dei pareri endoprocedimentali rilasciati dalle soprintendenze competenti, in data 3 aprile 2014 con nota n. 3017, esprimeva il proprio parere evidenziando la notevole valenza paesaggistica del porto e precisando che ogni eventuale modifica avrebbe dovuto essere valutata nell'ambito dell'autorizzazione paesaggistica sul progetto di riordino dell'ambito portuale, dettando, altresì, una serie di prescrizioni relative sia ad aspetti di tutela monumentale che di tutela paesaggistica e archeologica.
  Relativamente alle proposte progettuali cui si riferisce l'interrogazione, la Soprintendenza belle arti e paesaggio della Liguria (di seguito soprintendenza Bap) non ha ancora espresso alcun parere di merito sulla scelta dei due progetti presentati ma è intervenuta alle conferenze di servizi solo a titolo collaborativo, precisando che avrebbe espresso il parere di competenza sul progetto definitivo completo di tutta la documentazione necessaria.
  La stessa soprintendenza Bap, sempre a titolo collaborativo, ha fornito un proprio contributo istruttorio al comitato tecnico regionale avviato dalla regione Liguria per la valutazione dei due progetti presentati. In tale documento, pur non configurandosi come parere definitivo, sono state evidenziate criticità riscontrate in entrambe le soluzioni progettuali.
  La soprintendenza Bap, infatti, sebbene fosse difficoltosa «una coerente valutazione dell'impatto paesaggistico delle diverse proposte, in ragione della disponibilità unicamente di elaborati di massima e/o preliminari, la cui definizione risulta pertanto inadeguata a valutare l'impatto delle opere sul pregiato contesto paesaggistico del porto rifugio di Santa Margherita Ligure», ha ritenuto che le soluzioni proposte «non affrontano in modo coerente le tematiche dell'inserimento nel paesaggio delle nuove strutture o dotazioni in progetto, traducendosi in opere che appaiono capaci di snaturare in modo rilevante le particolari connotazioni dell'area interessata» (nota n. 6235 del 3 marzo 2015).
  Con successiva nota n. 14533 dell'8 giugno 2015 la soprintendenza Bap ha comunicato che la conferenza di servizi in sede deliberante, tenutasi in data 29 aprile 2015, viste le delibere del consiglio comunale di Santa Margherita Ligure e della Giunta regionale, ha ammesso il progetto della società Santa Benessere & social S.p.a. escludendo quello della S.i.m.e.s. Tigullio e che quest'ultima ha presentato ricorso contro il comune di Santa Margherita Ligure e nei confronti dell'altra società, della regione Liguria, della soprintendenza Bap e della soprintendenza archeologia della Liguria, per l'annullamento del procedimento ex articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 509 del 29 dicembre 1997, relativo alla richiesta di concessione demaniale marittima presentata da entrambe le società richiedenti.
  La soprintendenza Bap, stante il rilevante interesse del contesto portuale di Santa Margherita Ligure, si riserva di esaminare la soluzione prescelta dalla conferenza dei servizi, che dovrà essere predisposta ad un livello progettuale definitivo, completa di tutta la documentazione necessaria ad un'attenta valutazione.
  Per quanto riguarda l'aspetto della tutela archeologica, la direzione generale archeologia, sulla base di quanto riferito dalla competente soprintendenza archeologia della Liguria, ha comunicato che nel comune di Santa Margherita Ligure non sono presenti siti dichiarati di interesse archeologico ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (codice dei beni culturali e del paesaggio) e che la soprintendenza archeologia, per emettere il parere di merito, sottoporrà i progetti di interventi nell'area del porto alla valutazione inerente le attività di archeologia preventiva, in conseguenza delle risultanze desunte dalla carta del rischio archeologico (articoli 95 e 96 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163), ad integrazione della progettazione preliminare che il comune di Santa Margherita Ligure sta attualmente elaborando.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   RAMPELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Santarcangelo in Emilia Romagna si è di recente svolto il Festival Internazionale del teatro in piazza;
   la realizzazione del Festival ha avuto un costo di oltre 750.000 euro, ed è stato finanziato mediante contributi provenienti dallo Stato per 110.000 euro, dalla regione per 300.000 euro, dalla provincia per 18.000 euro, da 128.700 euro finanziati dallo stesso comune di Santarcangelo, oltre a più di ventimila euro raccolti da altri comuni ed enti, da privati e da fondi europei;
   in una delle serate del festival i cittadini santarcangiolesi si sono ritrovati davanti allo spettacolo messo in atto da un ballerino completamente nudo che oltre ad esibire per tutta la durata dello spettacolo i genitali al pubblico, ha poi continuato la sua performance toccandosi le proprie parti intime, per poi urinare nella piazza dove si stava svolgendo lo spettacolo;
   tale spettacolo ha oltrepassato ogni normale decoro che la legge raccomanda in un luogo pubblico, ed è tanto più riprovevole per il fatto che si è svolto davanti a famiglie, anziani, mamme e bambini;
   a quanto consta all'interrogante un gruppo di cittadini, insieme a un esponente politico locale, ha sporto formale denuncia alle autorità di pubblica sicurezza per atti osceni in luogo pubblico, chiedendo alle autorità competenti che siano accertate le responsabilità civili e penali e che sia punito a norma di legge, non solo di chi ha eseguito la performance, ma anche di chi ha permesso e autorizzato la sua esecuzione –:
   se sia informato di quanto esposto in premessa e quali iniziative intenda assumere al riguardo, alla luce delle esperienze erogate a carico del bilancio dello Stato. (4-10069)

  Risposta. — Nell'interrogazione in esame, l'interrogante riferisce che in una delle serate del festival internazionale del teatro in piazza, svoltosi a Santarcangelo di Romagna, «i cittadini santarcangelesi si sono ritrovati davanti allo spettacolo messo in atto di un ballerino completamente nudo che oltre ad esibire per tutta la durata dello spettacolo i genitali al pubblico, ha poi continuato la sua perfomance toccandosi le proprie parti intime, per poi urinare nella piazza dove si stava svolgendo lo spettacolo». Chiede, pertanto, di sapere quali iniziative si intenda assumere a riguardo, anche alla luce dei contributi erogati a carico del bilancio dello Stato.
  Il festival di Santarcangelo è uno dei festival di teatro e danza che, da molti anni, riceve contributi a valere sul fondo unico per lo spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163 (Nuova disciplina degli interventi dello Stato a favore dello spettacolo).
  Nel 2015, a seguito dell'entrata in vigore del decreto ministeriale 1o luglio 2014 (Nuovi criteri per l'erogazione e modalità per la liquidazione e l'anticipazione di contributi allo spettacolo dal vivo, a valere sul Fondo Unico per lo Spettacolo), il festival ha inoltrato domanda nell'ambito dei progetti multidisciplinari di cui al capo VI del decreto stesso.
  Verificato in sede di istruttoria il possesso di tutti i requisiti di ammissibilità, l'istanza è stata, pertanto, portata all'esame della valutazione artistica e progettuale nella seduta congiunta delle commissioni consultive per lo spettacolo (teatro, musica, danza, circhi e spettacolo viaggiante) nominate dal Ministro con il decreto ministeriale 10 febbraio 2014, composte da esperti del settore e da membri in rappresentanza della Conferenza Stato-regioni e province autonome e della Conferenza Stato-città e autonomie locali. Il progetto triennale del festival è stato approvato e al programma annuale è stato attribuito un punteggio di qualità artistica pari a 29/30.
  I dati relativi invece alla dimensione quantitativa e alla qualità indicizzata, calcolati secondo il sistema di cui all'articolo 5 del decreto ministeriale 1o luglio 2014 sopra citato, hanno prodotto un punteggio rispettivamente pari a 24,01/40 e a 20,45/30.
  Al termine di tale procedura amministrativa, il Festival ha ottenuto per l'edizione 2015, un contributo da parte del Ministero, di euro 126.446.
  A seguito delle notizie di stampa relative alla rappresentazione (Untitled) (2000) oggetto dell'interrogazione parlamentare, la direttrice artistica del festival, Silvia Bottiroli, ha inviato alla direzione generale Spettacolo un documento che illustra lo spettacolo, così come si è svolto nell'ambito del festival, e il suo significato artistico.
  Il documento, disponibile anche sul sito web del festival, all'indirizzo: http://santarcangelofestival.com/sa15/2015/07/24/di-cosa-stiamo-parlando-su-untiled2000-di-tino-sehgal-al-festival-di-santarcangelo/, sarà portato a conoscenza della commissione consultiva teatro, così come l'interrogazione cui si risponde, per le valutazioni di competenza.
  Conclusivamente, non si può non rimarcare che a questa amministrazione non è consentito di sindacare il merito delle manifestazioni artistiche, la cui libertà è presidiata dagli articoli 21 e 33, primo comma, della Costituzione, con il solo limite del divieto di manifestazioni contrarie al buon costume. Il rispetto di tale divieto rientra peraltro – in un equilibrato assetto di ripartizione dei poteri, ispirato a preminenti finalità garantiste – nelle attribuzioni proprie dell'autorità giudiziaria.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   REALACCI, GENTILONI SILVERI, GIACHETTI e BONACCORSI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la «Via Giulia» è una delle strade più belle ed eleganti del centro di Roma Capitale, patrimonio già tutelato dall'Unesco. Essa è lunga circa un chilometro e conta sul suo rettilineo tra i più bei palazzi rinascimentali della città;
   la via fu progettata e realizzata solo in parte da papa Giulio II – dal quale prese il nome – allo scopo di aprire un nuovo percorso nel cuore di Roma. Corre da Ponte Sisto alla chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, parallela al corso del Tevere. Ponte Sisto, costruito per ordine di papa Sisto IV ed aperto nel 1475, è stato l'unico ponte sul Tevere ad essere costruito tra la caduta dell'Impero ed il XIX secolo. Divenne la via più alla moda con i nuovi edifici dei mercanti e banchieri e con la presenza della comunità fiorentina, con le sue case, le sue chiese, le sue confraternite. La sua storia inizia nel 1508, come uno dei punti del programma di Giulio II per il rinnovamento di Roma. Il progetto dettagliato della strada fu fatto da Donato Bramante, che stava lavorando alla nuova Basilica di San Pietro, sull'altra sponda del fiume di Roma. Il Palazzo dei Tribunali, ivi presente, commissionato al Bramante nel 1508, rimase incompiuto per una generazione. L'elemento fondamentale di Giulio II andò perso. Morto Giulio II, via Giulia divenne una strada di case con giardini interni, costruiti per proprietari privati o per confraternite, intervallati da palazzi patrizi. Questo è il contesto urbano delle cosiddette «case di Raffaello», con i loro negozi sul fronte strada. Nel 1540 Michelangelo fece il progetto per i giardini di Palazzo Farnese che dovevano essere collegati con un ponte alla villa dei Farnese, sull'altra sponda del fiume, la Villa Farnesina. L'elegante arco che sovrasta via Giulia appartiene a questo ulteriore progetto non realizzato. Nel 2008 è stato poi ricordato con diverse manifestazioni il V Centenario della fondazione di Via Giulia;
   l'assetto urbanistico di via Giulia, come conferma l'indagine archeologica preventiva all'autorizzazione del P.U.P. n. 138 da parte della Sopraintendenza speciale per i beni archeologici di Roma, non ha subito sostanziali modifiche fino all'età contemporanea, quando, a partire dai primi piani regolatori della Roma Umbertina, si diede vita a un progetto di riqualificazione urbanistica della zona (portato avanti fino agli anni Trenta del secolo scorso) che ha comportato lo sventramento del tessuto compreso tra le Carceri nuove e via di S. Egidio, mutando così l'aspetto di questa parte del quartiere rinascimentale;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 agosto 2006, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 9 agosto 2006, n. 184, è stato dichiarato, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, lo stato di emergenza per la situazione determinatasi nel settore del traffico e della mobilità nella città di Roma. Con ordinanza n. 3543 del 26 settembre 2006, il Presidente del Consiglio dei ministri ha nominato il Sindaco di Roma, ora Roma Capitale, commissario delegato per l'attuazione degli interventi volti a fronteggiare l'emergenza dichiarata nei territori della Capitale;
   tra le zone scelte nel territorio comunale per l'emergenza mobilità di Roma Capitale per la costruzione di un parcheggio pubblico di circa 400 posti vi è l'area demaniale compresa tra largo Lorenzo Perosi e via Giulia, nel rione VII «Regola» con il legittimo intento, non solo di creare posti auto, ma di riqualificare lo sventramento di largo Perosi, compiuto come predetto in epoca fascista;
   il preliminare progetto di recupero è stato perciò sottoposto a preventive e necessarie procedure di tutela dell'assetto artistico e paesaggisti della strada e delle dovute indagini archeologiche;
   è utile altresì ricordare che l'area di via Giulia, via Bravaria, largo Perosi, essendo collocata a ridosso del fiume Tevere e di fronte al colle Gianicolo, risulta essere a medio rischio idrogeologico, classificato R2, in cui tuttora vige il seguente obbligo di Legge, ex legge 267 del 2008: «Nelle aree ricadenti in questa classe è vietata qualsiasi nuova utilizzazione urbanistica ed edilizia nonché agricola ove si aumenti l'instabilità del terreno, fino a quando non siano realizzate opere atte a rimuovere o mitigare il rischio»;
   da articoli di stampa locale, da dossier promossi da Legambiente Lazio, e da quanto rilevato da un appello presentato da associazioni ambientaliste e di liberi cittadini ivi residenti si è appreso che il rinvenimento di un prezioso e vasto sito archeologico rende necessaria una completa modifica del progetto iniziale;
   si appende poi sempre da articoli di stampa e appelli di liberi comitati che Roma Capitale, insieme con la Soprintendenza per beni architettonici e paesaggistici per il comune di Roma e la direzione regionale beni culturali del Lazio esprimerebbero un preliminare parere favorevole al piano di recupero da eseguirsi in via Giulia, largo Perosi e via Bravaria con un progetto che modifica il paesaggio urbano esistente privandolo di qualsiasi contenuto storico-culturale mediante l'inserimento di nuove edificazioni di natura privata in project financing;
   secondo quanto si evince dall'ampia rassegna stampa sul tema, il progetto presentato dalla ditta CAM S.r.l. prevede, nell'area già individuata dal comune di Roma in forza di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e destinata a risolvere un'emergenza pubblica, quella del traffico, di edificare un albergo con ristorante, appartamenti di lusso e un cosiddetto urban center. Non si ha al contrario notizia di uno studio o progetto che giustifichi la pubblica utilità dell'operazione che se così rimanesse, a giudizio dell'interrogante, andrebbe a svilire i preziosi ritrovamenti archeologici, affiorati nel corso degli scavi preventivi, con la inevitabile compressione delle strutture archeologiche tra i pilastri per le fondazioni dell'hotel e dei previsti appartamenti di lusso e box auto che non avranno alcuna finalità di utilizzo pubblico;
   si legge testualmente infatti da un articolo di Laura Serloni, pubblicato su Repubblica ed. Roma del 5 ottobre 2011: «lo scavo del parcheggio di via Giulia (angolo via della Moretta) ha portato alla luce, la prima struttura (archeologica) di notevoli dimensioni. Il complesso costituisce una “scoperta importantissima per la topografia di Roma”, come scrive la Soprintendenza speciale per i beni archeologi di Roma in una relazione. Tutto è cominciato nel 2009 con l'indagine archeologica necessaria al rilascio dell'autorizzazione per la costruzione del posteggio interrato da 366 box, di cui 336 pertinenziali e 30 a rotazione. La Soprintendenza ora non ha alcuna intenzione di ricoprire lo scavo. Il via libera al parking sarà dunque concesso ma ad una condizione: la Cam S.r.L, la ditta che realizza l'opera, deve presentare una proposta di “musealizzazione” dell'area archeologica rinvenuta. L'unica soluzione, dunque, è quella di modificare il progetto per valorizzare i complessi ritrovati»;
   infine è poi utile sottolineare che ad oggi, come si evince da un articolo del Corriere della sera di Roma del 13 marzo 2013, manca, in attesa della conclusione di tutto il lavoro di indagine archeologica, il parere definitivo sul progetto anche sui volumi esterni da parte della Soprintendenza speciali per beni archeologici di Roma –:
   se siano a conoscenza della vicenda e ritengano il progetto presentato dalla Cam S.r.l. compatibile con tutti i criteri di tutela del codice dei beni culturali e del paesaggio in vista, come detto, della obbligatoria e successiva valutazione del progetto esecutivo per tramite degli uffici territoriali competenti del ministero per i beni e le attività culturali;
   se le volumetrie esterne e le distanze indicate nel progetto siano compatibili con i vincoli di tutela paesaggistica e conservativi della quasi totalità dei palazzi adiacenti e costituenti il rettilineo di Via Giulia, già ai sensi della legge n. 1089 del 1939;
   se si ritenga possibile proseguire con la progettazione degli spazi nell'area di via Giulia stante il fatto che non risulta all'interrogante che vi sia stata una proroga, successiva al 31 dicembre 2012, del decreto già scaduto del Presidente del Consiglio sull'emergenza mobilità nella città di Roma, atto da cui trae legittimità il sopradescritto progetto di via Giulia.
(4-00064)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante, richiamata l'eccezionale rilevanza storica e artistica di via Giulia in Roma e ricordate le notizie di stampa circa la realizzazione di un parcheggio sotterraneo e di nuovi edifici, chiede di conoscere se il progetto presentato dall'impresa Cam srl sia compatibile con i criteri di tutela previsti dal codice dei beni culturali, si rappresenta quanto segue.
  L'area di via Giulia-largo Perosi-via Bravaria è stata destinata con ordinanza del Sindaco n. 96 del 12 febbraio 2008 alla realizzazione di un parcheggi interrato (piano urbano parcheggi) n. 138 del 1991 ai sensi della legge n. 122 del 1989).
  La vicenda in argomento aveva avuto inizio nel gennaio 2007 con la presentazione da parte della società Cam srl del progetto per la realizzazione del parcheggio interrato nella zona suddetta – Intervento B1.1-01 del piano parcheggi O.P.C.M. n. 3543 del 2006 del comune di Roma (Roma capitale). Il progetto iniziale di parcheggio prevedeva tre piani interrati per la realizzazione di 336 box auto pertinenziali e 30 a rotazione in largo Perosi e 39 in via Bravaria.
  Iniziati gli scavi archeologici richiesti dalla soprintendenza dei beni archeologici di Roma, venivano alla luce importantissimi reperti. Veniva individuato infatti un quartiere composto essenzialmente da due complessi, dei quali uno, di impianto monumentale con imponenti costruzioni con archi di travertino tamponati in opera reticolata, identificato come uno degli stabula, le scuderie delle factiones degli aurighi che correvano nel Circo Massimo. Verso il fiume, lo scavo individuava una strada lastricata su cui si affaccia un complesso termale (un balneum) connesso ad ambienti con pavimenti a mosaico in bianco e nero.
  La soprintendenza archeologica speciale per i beni archeologici di Roma, con nota dell'aprile 2013, ha comunicato al riguardo che «nel corso del 2009 fu avviata un'indagine archeologica, richiesta dalla soprintendenza stessa. L'intervento riguardava un'area di due isolati demoliti negli anni ’30 del secolo scorso e da allora rimasta inedificata, vale a dire largo Perosi, tra il lungotevere dei Tebaldi e via Giulia. Lo scavo in estensione fu deciso dopo i risultati insufficienti derivanti da carotaggi e indagini non invasive. La procedura seguita è stata quella dell'archeologia preventiva prevista dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (articolo 28) e dal Codice dei contratti pubblici (articoli 95 e 96), poiché l'opera era di interesse pubblico e vi era l'onere delle indagini a carico del concessionario».
  La nota prosegue precisando che, «a seguito ai primi ritrovamenti di strutture antiche in alcune porzioni dell'area, la soprintendenza aveva, fin dal 2011, formalmente subordinato la fattibilità del progetto alla conservazione e valorizzazione dei contesti antichi fino a quel momento rinvenuti. In seguito, il concessionario aveva richiesto l'autorizzazione per le opere di sicurezza lungo i margini dell'area, indispensabili per il proseguimento delle indagini preventive. Queste sono state autorizzate, ottenuto il parere favorevole dell'allora Direzione generale per le antichità, per quanto di specifica competenza e nella sola ottica del proseguimento degli scavi.
  La porzione soggetta a indagine di verifica archeologica corrispondeva a circa 1/3 di tutta l'area inizialmente prevista dal P.U.P., essendo già esclusi dalla realizzazione dell'opera nel sottosuolo i rimanenti 2/3 per i ritrovamenti archeologici di importante interesse.
  Il progetto preliminare aveva accolto le istanze avanzate per una corretta conservazione e valorizzazione del patrimonio archeologico ritrovato, attribuendo allo stesso particolare valore culturale con la proposta di realizzare un'area archeologica musealizzata, aperta al pubblico, con ingresso da via Giulia e con apertura di vedute dei resti dal piano stradale e dal piano terreno.
  Pertanto, considerando che il concessionario aveva dichiarato la disponibilità ad assumersi l'onere economico di tale iniziativa, la Soprintendenza competente aveva ritenuto che sussistessero le condizioni per l'espressione di un parere preliminare favorevole per quanto attiene agli aspetti di tutela e valorizzazione del patrimonio archeologico, subordinando, però, lo stesso parere ad ulteriori atti autorizzativi in fase definitiva ed esecutiva, con particolare riferimento agli aspetti dimensionali e distributivi delle opere previste nel sottosuolo, che avrebbero dovuto trovare una soddisfacente integrazione con le strutture archeologiche rinvenute e la loro migliore sistemazione per la fruizione pubblica.
  I soggetti competenti dovevano scegliere il progetto e valutarne l'impatto, con riguardo all'interferenza delle fondazioni dei volumi che erano previsti fuori terra con i resti archeologici conservati nel sottosuolo. La Soprintendenza competente (come è prassi consolidata nei cantieri di archeologia urbana) avrebbe dovuto fornire specifiche direttive in tal senso già in fase progettuale, non appena terminate le indagini e tracciare un quadro generale del contesto archeologico anche dal punto di vista delle sue migliori valorizzazione e fruizione, al fine di raggiungere una positiva integrazione tra le linee del progetto di musealizzazione e quelle dell'eventuale piano di recupero.
  Con riferimento alle previsioni contenute nel progetto preliminare al piano di recupero, per la futura gestione della struttura museale, la Soprintendenza archeologica ha da sempre precisato formalmente che i beni archeologici rinvenuti sono di proprietà dello Stato (ai sensi del Decreto legislativo n. 42 del 2004), mentre per quanto attiene alla richiesta di imposizione di un decreto di vincolo di importante interesse archeologico, l'istruttoria sarebbe stata completata non appena esaurite le indagini. Infine, le prospettate modalità della gestione in concessione erano state – in linea generale – valutate positivamente, ma sarebbero state oggetto di approfondimento fino alla concorde definizione di una convenzione ai sensi del citato Decreto legislativo».
  La Soprintendenza archeologica specificava inoltre «di aver provveduto ad avviare il procedimento di vincolo ex D.Lgs. 42/2004 nei confronti di Roma Capitale, ente proprietario delle particelle catastali nelle quali ricadono i complessi archeologici pertinenti allo Stabulum (le cosiddette Stalle augustee) e annesso quartiere occidentale, a selciati stradali e a un complesso termale. Tali resti sono stati protetti e ricoperti provvisoriamente per garantirne la conservazione in attesa delle decisioni che potranno essere assunte in merito alle modalità della loro fruizione.
  Per la restante area, già precedentemente interessata da estesi sbancamenti e manomissioni, nella quale restavano manufatti antichi isolati e incompleti, seguendo le disposizioni dell'articolo 96 del Codice dei lavori pubblici, si sono inoltre applicate le previsioni del comma 2.a) (“contesti in cui lo scavo stratigrafico esaurisce direttamente Vesigenza di tutela”) e b) (“contesti che non evidenziano reperti leggibili come complesso strutturale unitario, con scarso livello di conservazione per i quali sono possibili interventi di reinterro oppure smontaggio-rimontaggio e musealizzazione in altra sede rispetto a quella di rinvenimento”).
  In particolare per un frammento di selciato stradale parzialmente individuato presso il margine dello scavo è stato inoltre prescritto che sia mantenuto nella sua esatta collocazione topografica, ma solo traslato più in superficie; inoltre un cippo iscritto, rinvenuto in sua prossimità, dovrà essere collocato nel Museo Nazionale Romano al fine di assicurarne la conservazione e sostituito da una copia che potrà essere vista, insieme con il tratto di strada traslata in superficie, dal vicolo delle Prigioni.
  La Soprintendenza ha rappresentato al Municipio Roma I Centro, incaricato di promuovere e dirigere il processo di progettazione partecipata finalizzato alla definizione della sistemazione della superficie dell'area interessata, la necessità che in tale processo siano considerati gli aspetti inerenti la conservazione e la fruizione del patrimonio archeologico, tutelato in sito, in rapporto con il soprasuolo (accessibilità ad una futura area archeologica sotterranea)».
  A latere e con procedura distinta, il dipartimento programmazione e attuazione urbanistica di Roma Capitale nel luglio 2012 faceva pervenire, sia alla soprintendenza archeologica di Roma che a quella dei beni architettonici e paesaggistici del Ministero, un financial project presentato dalla Cam srl e denominato «Finanza di progetto per la concessione del piano di recupero in Roma, via Giulia-largo Perosi, via Bavaria», con il quale sinteticamente, non essendo più sostenibile l'onere finanziario della costruzione del parcheggio interrato e della valorizzazione della soprastante area archeologica, si proponeva, al di sopra di tali strutture, anche la costruzione di cinque edifici con uso misto abitativo e ricettivo, sistemazione di superficie, albergo a 5 stelle, 28 appartamenti, quattro piani di parcheggio dei quali l'ultimo fuori terra, nella porzione nord est dell'area, un piano di parcheggio sopra l'area archeologica, per un totale di 348 posti auto. Al di sotto di questi sarebbe stata musealizzata l'area archeologica scoperta e, al di sotto di quest'ultima, sarebbe stato comunque realizzato il parcheggio interrato in argomento. Tale progetto fu esaminato da entrambe le Soprintendenze destinatarie.
  La soprintendenza archeologica espresse il proprio parere in merito rimandando le valutazioni del progetto a fine indagine degli scavi. Tale progetto fu autorizzato in via definitiva dalla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio nell'ottobre 2012, condizionandolo ad una «soddisfacente integrazione con le strutture archeologiche rinvenute e la loro migliore sistemazione pubblica».
  Con nota del maggio 2013, il comune di Roma informava la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio di aver sospeso, per ragioni afferenti alla disciplina urbanistica applicabile al caso di specie, l’iter di approvazione della proposta suddetta presentata dalla Cam srl.
  In esito alle indagini archeologiche effettuate dalla soprintendenza beni archeologici di Roma, concluse nel novembre 2013, e comunicate al comune di Roma nel febbraio 2014, si era resa necessaria una variante al progetto iniziale, variante successivamente depositata nell'aprile 2014 (con una integrazione nel maggio 2014) dalla Società Cam srl al comune di Roma – Dipartimento mobilità e trasporti. In particolare, la variante prevedeva un ridimensionamento dei posti auto (diventati 293 stalli distribuiti su 4 piani, di cui il superiore solo parzialmente interrato; di questi 293 stalli 30 sono a rotazione e 263 sono pertinenziali).
  Il progetto variato è stato successivamente sottoposto all'esame della Conferenza di servizi il 15 maggio 2014, nell'ambito della quale sono stati acquisiti i pareri di tutti gli uffici convocati.
  In quell'occasione il Ministero – direzione regionale per il Lazio, con nota del 15 maggio 2104, ha espresso parere favorevole alla modifica del progetto, condizionandolo al rispetto delle prescrizioni impartite dalla soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma (parere di maggio 2014: «sono state proseguite e concluse le attività di verifica della consistenza archeologica dell'area finalizzate alla realizzazione del solo Pup (Programma Urbano Parcheggi) 138 (B1.1-001). La Soprintendenza, per quanto di sua competenza, ha dettato le prescrizioni di salvaguardia archeologica all'Amministrazione comunale... esprimendo parere condizionato alla realizzazione di una parte limitata di parcheggio sotterraneo, procedendo alla proposta di interesse archeologico di un'area comprensiva dei complessi architettonici antichi ritrovati.») e della soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per il comune di Roma (parere di maggio 2014: «autorizzazione alla valorizzazione dello scavo archeologico ed alla sola realizzazione di un piazzale soprastante con bocche d'aria e di luce per i reperti archeologici. Per quanto riguarda il piazzale superiore di superficie, contrariamente a quanto proposto, tale ultima autorizzazione era stata condizionata alla realizzazione di un tappeto pavimentale «... uniforme ed omogeneo senza alcun disegno o differenziazioni di materiali – sampietrini, travertino, betonella, ecc»).
  Il progetto di variante parcheggio è stato approvato con delibera della giunta capitolina n. 195 nella seduta del 3 luglio 2014.
  Nell'aprile 2015 il Tar con ordinanza cautelare ha rigettato l'istanza di sospensione del permesso di costruire rilasciato dal comune di Roma alla società Cam srl.
  Con nota del 16 luglio 2015 la soprintendenza belle arti e paesaggio del comune di Roma ha comunicato di aver chiesto (nel febbraio 2015) al comune di Roma capitale di ricevere un progetto definitivo sia dello spazio sovrastante il parcheggio che della sistemazione delle aree limitrofe (compreso l'arredo finale consistente in aiuole, panchine, lampioni, eccetera) al fine di poter esprimere un parere di competenza, ribadendo che la sistemazione di queste aree non può prescindere da quella della struttura interrata, in quanto la previsione delle vie di ingresso e uscita carrabili e pedonabili, i volumi determinati dalla presenza di impianti tecnologici, nonché gli eventuali reperti archeologici meritevoli di essere valorizzati in sito, condizionano il disegno delle spazio in superficie.
  Il Consiglio di Stato, con ordinanza cautelare pronunciata in data 29 luglio 2015, non ha sospeso l'esecuzione dei lavori; ha comunque «ritenuto opportuno approfondire nel merito – anche sul piano tecnico – la questione della sussistenza o meno di una rilevante differenza, quanto alla diversa quota di scavo, fra il progetto 2007-2010 e la variante del 2014, e quindi della necessità (o meno) di acquisizione di una nuova V.I.A. in relazione a quest'ultima», e quindi ha sollecitato «il primo giudice ad una celere fissazione dell'udienza di merito, in quanto nel bilanciamento degli interessi in comparazione va accordata prevalenza – tenuto conto anche dello stato di avanzamento dei lavori – all'esigenza di evitare i rischi, anche per la pubblica e privata incolumità, che deriverebbero da un'interruzione dell’iter realizzativo dell'opera».
  La suddetta Soprintendenza ha chiesto nuovamente alla società Cam srl (con nota del 26 agosto 2015) l'inoltro del nuovo progetto, invitando nel contempo la ditta, in via cautelativa e preventiva, a sospendere i lavori in argomento, ribadendo la sospensione del procedimento autorizzativo emesso nel maggio 2015 al progetto di massima sino alla pronuncia definitiva del Tar in merito alla questione.
  Infine, con nota del 4 settembre 2015, la Soprintendenza belle arti e paesaggio del comune di Roma ha comunicato di essere ancora in attesa del progetto definitivo dello spazio soprastante il parcheggio interrato da parte della società Cam srl.
  Si ritiene utile infine evidenziare che la soprintendenza speciale per il Colosseo, museo nazionale romano e area archeologica di Roma ha comunicato con nota dei primi di luglio 2015 che il procedimento di apposizione del vincolo archeologico ex decreto legislativo n. 42 del 2004 per i complessi architettonici ritrovati si è concluso con decreto del dirigente regionale del 19 gennaio 2015.
  Sono state eseguite, sotto il controllo della soprintendenza, le opere di smontaggio controllato delle evidenze archeologiche presenti nell'area dove è prevista la realizzazione del parcheggio in variante, ed è in corso la progettazione della valorizzazione delle stesse.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.