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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 15 ottobre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il Servizio sanitario nazionale (SSN) si pone come obiettivo la promozione del benessere e della salute dei cittadini e delle comunità;
    il Servizio sanitario nazionale (SSN), ispirato ai principi di universalità, uguaglianza e globalità, è ancora oggi considerato dall'Organizzazione mondiale della sanità uno dei primi in Europa, se non al mondo, sulla base di tre indicatori fondamentali: il miglioramento dello stato complessivo della salute della popolazione, la risposta alle aspettative di salute e di assistenza sanitaria dei cittadini e l'assicurazione delle cure sanitarie a tutta la popolazione;
    la qualità nell'assistenza sanitaria nel nostro Paese è un criterio dal quale non si può prescindere al fine di garantire ai cittadini livelli di cura adeguati alle aspettative, anche in un quadro di crisi economica e di necessario risanamento finanziario;
    senza qualità non può esserci sanità: in Italia il tema della qualità nell'assistenza sanitaria ha già una storia significativa e, in relazione alle varie «epoche» della qualità nel sistema sanitario, si sono modificati anche gli approcci alla stessa. Se, in prima istanza, la finalità era quella di individuare gli errori, al fine di eliminarli, progressivamente si è prestata attenzione alla verifica, allo scopo di «rivedere» i servizi, e successivamente alla «prevenzione», ossia all'impegno diffuso e costante nella ricerca di aree su cui investire per il miglioramento;
    il recupero di efficienza a cui il SSN è chiamato in questi anni, in coerenza con il rispetto delle risorse programmate, mira, in particolare: a implementare la messa a regime delle attività/interventi per il contrasto alle patologie croniche, in costante aumento anche a causa dell'invecchiamento della popolazione; ad accrescere l'appropriatezza delle cure, affinché a ogni paziente vengano erogate le cure sanitarie appropriate nel momento e nel setting appropriato, al fine di migliorare gli esiti e utilizzare efficacemente le risorse; a investire nella ricerca per promuovere l'innovazione nella pratica clinica e l'utilizzo di procedure/terapie basate sull'evidenza; ad accrescere la sicurezza delle cure e di dispositivi, tecnologie e farmaci; a riorganizzare costantemente i propri sistemi erogativi in linea con lo sviluppo scientifico e tecnologico, reingegnerizzando le reti di assistenza ospedaliera e territoriale e integrandone l'attività con quella dei dipartimenti di prevenzione;
    in questo quadro si evidenzia come tutti i sistemi sanitari più avanzati hanno registrato, in questi anni, significativi cambiamenti in tema di assistenza sanitaria e, in particolare, in quella ospedaliera, per dare risposte concrete a nuovi bisogni di salute determinati dagli effetti delle tre transizioni – epidemiologica, demografica e sociale – che hanno modificato il quadro di riferimento negli ultimi decenni. Il riequilibrio dei ruoli tra ospedale e territorio e una più adeguata attenzione alle cure graduate e alla continuità di cura costituiscono, oggi, gli obiettivi di politica sanitaria verso cui tendere per promuovere un uso appropriato dell'ospedale e migliorare la qualità dell'assistenza secondo il principio dell'efficacia, della qualità e della sicurezza delle cure, dell'efficienza, della centralità del paziente e dell'umanizzazione, impegni che discendono anche dalla appartenenza all'Unione europea;
    in questo quadro, il concetto di qualità si è evoluto verso quello dell'appropriatezza che ha acquistato una prima rilevanza normativa con il Piano sanitario nazionale 1998-2000, divenendo uno dei criteri per la definizione dei livelli essenziali di assistenza (decreto legislativo n. 299 del 1999);
    già definita come la frontiera dell'assistenza sanitaria in Italia, l'appropriatezza è sicuramente una delle principali sfide che il Servizio sanitario nazionale si trova ad affrontare. Essa è divenuta, altresì, l'occasione per ripensare il modello dell'assistenza sanitaria nei suo complesso, ma anche lo strumento attraverso il quale favorire l'incontro di due principi fondamentali di governance del settore sanitario: il contenimento della dinamica della spesa, al fine di favorire la sostenibilità finanziaria nel medio-lungo periodo del sistema, e la difesa della qualità delle prestazioni;
    a compensazione delle iniziative di contenimento della spesa sanitaria, numerose sono state le iniziative a livello normativo finalizzate alla riorganizzazione e al miglioramento dell'efficienza, con particolare riguardo alla definizione di un sistema di assistenza territoriale coordinato ed integrato ed equamente efficace su tutto il territorio nazionale. Il riferimento in questo caso è al decreto-legge n. 158 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012, cosiddetto «decreto Balduzzi», il quale ha affrontato anche altri nodi cruciali del sistema sanitario: la ridefinizione della regolazione dell'attività intramoenia, la responsabilità del medico, ma anche, e soprattutto, la difficile questione delle modalità di nomina e valutazione dei direttori generali delle aziende e degli enti sanitari, nonché dei direttori di strutture operative complesse, con l'obiettivo dichiarato di premiare il merito;
    si tratta, in quest'ultimo ambito, sia di migliorare la governance delle aziende sanitarie che delle attività cliniche, sia di migliorare, anche per questa via, l'appropriatezza degli investimenti in sanità e delle attività clinico-assistenziali, sia, infine, di ridurre fonti di spreco per insufficienze gestionali e per subordinazione ad interessi estranei alla tutela della salute;
    in tale contesto si deve, tuttavia, rilevare come la frammentarietà dei livelli decisionali, a partire da quello delle regioni, comporti inaccettabili disuguaglianze, e faccia sì che le iniziative nazionali, volte al miglioramento della qualità dell'assistenza, non vengano applicate in maniera omogenea a livello regionale. È evidente uno scarso coordinamento da parte delle agenzie centrali delle diverse attività regionali connesse alla qualità; inoltre, sono poco sviluppate o mancano del tutto alcune strategie chiave relative alla qualità;
    su tali elementi di criticità intervengono le disposizioni contenute nel nuovo Patto per la salute per gli anni 2014-2016 siglato tra il Governo, le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano il 10 luglio 2014, inserito in parte nella legge di stabilità 2015, le quali testimoniano l'impegno congiunto di Governo e regioni di attuare importanti e concrete misure di programmazione della spesa sanitaria, con l'obiettivo di razionalizzarla, creando anche spazi finanziari da reinvestire nel settore della sanità;
    il nuovo Patto considera la salute non più come una fonte di costo, bensì come un investimento economico e sociale, delineando in tal senso un percorso chiaro di interazione con i territori e le altre amministrazioni centrali;
    di manovra in manovra, il SSN ha dato un contributo importante al rientro del deficit pubblico. Va infatti sottolineato il buon risultato in termini di spesa e di disavanzo, che peraltro rappresenta la conferma di un cambiamento importante nella gestione della sanità nel nuovo millennio, con una maggiore responsabilizzazione finanziaria delle regioni;
    questo non significa che i problemi di accountability e di trasparenza siano definitivamente superati;
    da ultimo, proprio con l'obiettivo di ridurre ed efficientare la spesa sanitaria, il decreto-legge n. 78 del 2015, cosiddetto «decreto enti locali», ha previsto che, con decreto del Ministro della salute, da adottare entro 30 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto, vengano individuate «le condizioni di erogabilità e le indicazioni di appropriatezza prescrittiva delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale». Le prestazioni che non rispettano questi criteri, dovranno essere pagate interamente dai cittadini. A controllare saranno gli enti del Servizio sanitario nazionale e, in caso di prescrizioni non conformi alle indicazioni fissate dal Ministro, i medici dovranno risponderne all'Azienda sanitaria locale di riferimento e, se le giustificazioni sono ritenute insufficienti, subiranno penalizzazioni economiche;
    l'obiettivo di assumere il principio di appropriatezza, è generalmente condivisibile specificando, altresì, che esso non debba ridursi ad un mero fatto burocratico bensì debba essere inquadrato in una prospettiva medico-clinica;
    a tal proposito, in occasione dell'approvazione del citato «decreto enti locali», il Governo ha accolto l'ordine del giorno n. 9/03262/034 con il quale si impegnava «a valutare l'opportunità di coinvolgere ufficialmente le società medico-scientifiche competenti per settore disciplinare nella individuazione delle condizioni di erogabilità e i criteri di priorità per la prescrizione appropriata delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, superando se necessario lo stretto limite temporale di 30 giorni previsto per il decreto ministeriale di adozione del documento»;
    la rinuncia ad intervenire sul tema dell'appropriatezza rischierebbe di esporre la sanità a tentazioni di abbandono del sistema universalistico: dall'ipotesi di nuove modalità di finanziamento e di organizzazione dei servizi e delle prestazioni, alle suggestioni sul possibile ruolo delle assicurazioni private, alle ipotesi di ulteriore accrescimento delle compartecipazioni,

impegna il Governo:

   al fine di un'efficace ed efficiente funzionalità del Servizio sanitario nazionale, ad aumentare le risorse economiche del Fondo sanitario per il 2016 già a partire dalla prossima legge di stabilità;
   a garantire l'entrata in vigore in tempi rapidi e comunque entro la fine dell'anno in corso, dei nuovi livelli essenziali di assistenza (LEA) nonché del nomenclatore tariffario delle protesi e degli ausili;
   a prevedere in tempi rapidi l'adozione del sistema dei costi standard, al fine di favorire una decisa riduzione della spesa sanitaria a vantaggio di un'implementazione del Fondo sanitario nazionale;
   a proseguire sulla strada dell'appropriatezza delle prestazioni sanitarie, intesa non come un mero fatto burocratico bensì anche medico-clinico, coinvolgendo le società medico-scientifiche già nella fase dell'identificazione delle prestazioni e nella definizione dei criteri per la loro corretta erogazione;
   a favorire il cambiamento culturale, l'aggiornamento dei professionisti nonché la collaborazione tra medici di famiglia e specialisti, rinviando dopo un periodo di sperimentazione e di monitoraggio di due anni, le misure sanzionatorie nei confronti dei medici che dovessero prescrivere prestazioni inappropriate;
   a predisporre ogni iniziativa atta a sbloccare il turn over ed a superare il precariato sia nel settore medico che in quello infermieristico;
   nell'ottica della massima efficienza dell'utilizzo di risorse e nell'erogazione di servizi, ad attuare al più presto le nuove modalità di selezione dei direttori generali, dei direttori amministrativi e dei direttori sanitari delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale, previste dalla legge n. 124 del 2015, al fine di svincolarne le nomine da valutazioni estranee al merito;
   in tale contesto a valutare, altresì, l'opportunità di riaprire i termini dei concorsi in atto per la copertura dei posti di dirigente di struttura complessa, al fine di adeguare la composizione delle commissioni esaminatrici e la formazione delle graduatorie in ossequio a quanto previsto dal citato decreto n. 158 del 2012 (cosiddetto «decreto Balduzzi»).
(1-01015) «Gigli, Dellai».


   La Camera,
   premesso che:
    durante la conversione del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di enti territoriali, il Governo ha proposto e fatto approvare un emendamento che stabilisce la riduzione dei finanziamenti al Servizio sanitario nazionale per un importo pari a 2,352 miliardi di euro;
    in particolare, stando alla relazione tecnica che ha accompagnato la modifica, le minori spese dovrebbero essere conseguite attraverso: la rinegoziazione dei contratti di acquisto di beni e servizi e di quelli relativi all'acquisto dei dispositivi medici, alla riduzione delle prestazioni inappropriate di specialistica ambulatoriale e dei ricoveri di riabilitazione ad alto rischio di inappropriatezza, risparmi nella spesa farmaceutica per l'effetto pay-back, derivante dal mancato incremento del livello di finanziamento, la riduzione dei ricoveri ospedalieri nelle strutture con meno di quaranta letti, la riduzione della spesa per personale a seguito della razionalizzazione della rete ospedaliera e la riorganizzazione della rete assistenziale di offerta pubblica e privata;
    nel corso dell'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge il relatore, ha affermato che, per la maggior parte, il «risparmio» deriva da misure di efficientamento della spesa e non dalla riduzione dei servizi sanitari, posto che esso si sostanzierà per la quasi totalità dell'importo in un mancato aumento di risorse;
    di fatto, che si tratti di tagli o di mancati aumenti, il Servizio sanitario, già sottoposto negli ultimi anni a ingenti tagli di bilancio, rischia di poter garantire sempre meno l'assistenza ai cittadini, con esiti disastrosi;
    già il decreto-legge n. 95 del 2012 in materia di spending review aveva inciso pesantemente sul bilancio dell'assistenza sanitaria, disponendo la riduzione dei finanziamenti per 900 milioni di euro per il 2012, 1,8 miliardi di euro per il 2013, 2 miliardi di euro per il 2014 e 2,1 miliardi di euro a decorrere dal 2015, ai quali andrà ora ad aggiungersi l'ulteriore taglio operato con il decreto-legge n. 78 del 2015;
    il Patto per la salute siglato nel luglio del 2014 dai Ministeri di salute e dell'economia e delle finanze e dagli enti regionali aveva quantificato il fabbisogno del fondo sanitario per il 2014, 2015 e 2016 in, rispettivamente: 109,9, 112 e 115,4 miliardi di euro;
    la legge n. 42 del 2009 ha introdotto il criterio del costo standard in luogo del tradizionale criterio del costo storico per i trasferimenti alle regioni, ai fini del finanziamento dei servizi sociali essenziali quali sanità, assistenza sociale e istruzione, nonché trasporto pubblico locale, al fine di ottimizzare e omogeneizzare i valori produttivi e, attraverso essi, contenere i prezzi;
    secondo quanto sancito nella legge n. 42 del 2009 il costo standard indica il costo di un determinato servizio, che avvenga nelle migliori condizioni di efficienza e appropriatezza, garantendo i livelli essenziali di prestazione ed è definito prendendo a riferimento la regione più «virtuosa», vale a dire quella regione che presta i servizi ai costi più efficienti;
    il criterio del costo standard, tuttavia, non sta trovando ancora piena applicazione, sia con riferimento alle spese sanitarie, che a quelle più propriamente amministrative;
    le sole spese non sanitarie, infatti, tra le quali rientrano le spese per lavanderia, pulizia, mensa, riscaldamento, utenze elettriche e telefoniche, smaltimento rifiuti e per la copertura dei sinistri, ammontano a dieci miliardi di euro, mentre la spesa per farmaci e per dispositivi arriva a trenta miliardi di euro;
    attualmente dieci regioni sono in piano di rientro a causa dei disavanzi finanziari nel settore sanitario;
    il mancato pagamento dei debiti ai creditori, da parte di numerosissimi enti sanitari, ha determinato e determina forti difficoltà nella possibilità di ottenere nuove forniture da parte di ospedali e altre strutture di assistenza sanitaria sul territorio;
    l'invecchiamento della popolazione pone la sanità pubblica davanti alla necessità di garantire un'assistenza sociosanitaria efficiente per gli anziani e i soggetti non autosufficienti,

impegna il Governo:

   a mantenere un adeguato livello di finanziamento del Servizio sanitari nazionale, che permetta la sua piena funzionalità, garantendo l'assistenza ai cittadini, nel rispetto del diritto alla salute tutelato dalla nostra Carta costituzionale;
    in questo quadro, ad implementare l'assistenza e le dotazioni strutturali in favore dei cittadini over 65;
   a razionalizzare i processi di acquisto di beni e servizi in ambito sanitario, recuperando le aree di inefficienza sia a livello gestionale che organizzativo, al fine di combattere gli sprechi e impedire fenomeni corruttivi;
   a realizzare la compiuta applicazione del criterio dei costi standard;
   ad assumere le opportune iniziative, anche normative, al fine di completare in tempi rapidi il pagamento di tutti i debiti di enti del servizio sanitario nazionale alle aziende creditrici;
   di destinare una congrua percentuale dei fondi destinati all'edilizia sanitaria alla realizzazione di nuove strutture ospedaliere, caratterizzate da maggiore rispondenza a criteri costruttivi, distributivi ed impiantistici più razionali per l'erogazione dell'assistenza, e tesi alla riduzione dei costi di gestione.
(1-01016) «Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, Nastri, La Russa, Taglialatela, Maietta, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    appare coerente dedurre da un atto un fatto ovvero che il taglio previsto dal Governo pari a 2,3 miliardi di euro nel suo complesso decurtando le disponibilità del fondo sanitario per la sanità, farà diminuire i servizi offerti ai cittadini;
    l'atto assunto con provvedimento pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 188 del 14 agosto 2015 contenente il testo della legge n. 125 del 2015 di conversione del decreto-legge n. 78 del 2015 recante «Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale, nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali», meglio noto come decreto enti locali, andrà ad acuire ulteriormente un fatto già in corso, ovvero le differenze già esistenti per qualità e quantità dei servizi sanitari offerti ai cittadini, poiché, di fatto, le prestazioni garantite dai 19 sistemi sanitari regionali e dai 2 sistemi sanitari delle Province autonome sono molto diverse tra loro, con conseguenti necessità di previsione di un rafforzamento delle risorse da mettere a disposizione per quelle regioni e province autonome che sono dotate di un sistema di infrastrutture sanitarie «deboli», incidenti sulla qualità della vita dei nostri cittadini, a seconda della regione di residenza, fatto che ha creato il doloroso fenomeno del turismo sanitario;
   un recente rapporto OCSE evidenzia come il nostro Servizio sanitario nazionale si trova ad affrontare una sfida complessa da cui dovrebbe derivare una scelta strategica chiara. Per essere più comprensibili, facciamo nostre le considerazioni contenute nella pubblicazione OCSE ove si evidenzia che il nostro SSN si trova in una situazione paradossale, come se fosse in un doppio binario, le cui conseguenze potrebbero essere estremamente pericolose: da una parte, è posta a rischio la garanzia di omogeneità delle cure che ad, oggi, non viene garantito, dall'altra si avvede la necessità di rafforzare quei sistemi regionali «deboli», perché senza risorse economiche e conseguentemente privi di mezzi sufficienti per garantire i quali inevitabilmente si dovranno fare per obbligo oggettivo, delle scelte di drastica riduzione di servizi e personale, perdendo patrimoni umani di competenza. Ciò, a nostro avviso, produrrà l'effetto di far aumentare la quota parte dei servizi sanitari erogati dalle strutture private, poiché non si può scegliere di ammalarsi di meno, e stante la crisi economica ancora in corso e la grande disuguaglianza della distribuzione delle risorse economiche tra la cittadinanza, molti dovranno rinunciare a curarsi, abbandonando di fatto il principio di universalismo sanitario in base al quale è la garanzia della fornitura a chiunque delle prestazioni sanitarie essenziali;
    con le scelte assunte, rischiamo di incrementare l'effetto domino descritto come «turismo sanitario». Si incrementerà con certezza l'emigrazione, sanitaria dal sud verso il centro nord, con costi sociali che, ad oggi, nessuno è riuscito a calcolare e che impoveriscono il Servizio sanitario nazionale di quelle regioni di per sé già deboli;
    in alternativa alle decisioni governative si propone un utilizzo, a nostro avviso maggiormente razionale, dei risparmi che deriveranno dalle scelte normative fatte, ovvero si propone di investire i 2,3 miliardi di euro provenienti dai soliti tagli lineari per concentrarli e andare a rafforzare quelle regioni i cui sistemi sanitari non sono assolutamente capaci di assicurare i livelli essenziali di assistenza e rispondere ai bisogni della popolazione. Ci riferiamo esplicitamente alle regioni meridionali;
    la precedente riforma del Titolo V della Costituzione italiana del 2001 ha affidato alle regioni la gestione del Servizio sanitario nazionale. Questa riforma ha di fatto dato vita a 21 Servizio sanitario regionale in territori con differente gettito fiscale, con differente capacità e appropriatezza di spesa, con differente organizzazione dei sistemi sanitari regionali e della loro appropriatezza nella risposta ai bisogni sanitari. In parole povere tale sistema ha causato un aumento delle diseguaglianze sociali in materia di tutela della salute, violando di fatto i principi dell'articolo 32 della Costituzione;
    vero è che, per quanto riguarda la sanità, sono parzialmente cambiati i rapporti di «forza» tra Stato e regioni. Poiché il nuovo articolo 117 del titolo V appena approvato amplia le competenze statali prevedendo l'esclusività della potestà legislativa dello Stato non solo nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni sanitarie ma anche nelle «disposizioni generali e comuni per la tutela della salute e per le politiche sociali»; ma, a queste enunciazioni di principio devono seguire urgentissimamente fatti concreti, ed il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 78 del 2015, approvato nella torrida estate agostana, è stato emanato sotto la vigenza della precedente disciplina, che tanti problemi ha causato;
    proprio appellandoci al maggior potere statale attribuito in materia sanitaria il Governo dovrebbe invertire la rotta che ha depauperato le garanzie astratte contenute nei livelli essenziali di assistenza, che pur prima della recentissima riforma era materia di competenza statale;
    spettando allo Stato l'enunciazione dei livelli essenziali di assistenza, ma avendo lo Stato una competenza legislativa condivisa con le regioni, i problemi sorti a livello regionale, le differenze tra regione e regione dei servizi effettivamente forniti hanno determinato una sorta di incapacità da parte del Sistema sanitario nazionale di effettuare un monitoraggio effettivo, e quindi di poter intervenire di conseguenza, positivamente, sulle diverse situazioni creando sacche disomogenee, poiché abbiamo regioni in cui il diritto alla salute
è effettivamente garantito ed altre in cui è solo enunciato, in piena violazione dei principi contenuti nell'articolo 32 della Costituzione perché si sono elusi i principi di equità e universalità;
    a nostro avviso, se non si pone un argine a quanto descritto, ci appare evidente, quasi naturale, nonostante sia incostituzionale, il fatto che le regioni con sistemi deboli ridurranno le tutele alle fasce di popolazioni più fragili;
    utile sarebbe la proposizione e istituzione di una «Commissione di controllo per la verifica dell'adeguatezza dei servizi resi a livello regionale al fine di garantire l'effettivo soddisfacimento dei cittadini riguardo i servizi sanitari effettivamente loro forniti», composta da esperti del settore di comprovata competenza e indipendenza che si propone anche alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale, la sentenza n. 203 del 2008 di cui si riporta una citazione testuale: «proprio per assicurare l'uniformità delle prestazioni che rientrano nei livelli essenziali di assistenza, spetta allo Stato determinare la ripartizione dei costi relativi a tali prestazioni tra il SSN e gli assistiti, sia prevedendo specifici casi di esenzione a favore di determinate categorie di soggetti, sia stabilendo soglie di compartecipazione ai costi, uguali in tutto il territorio nazionale»;
    al contrario, sempre la Corte costituzionale, anche se con precedente sentenza, la n. 98 del 2007, pur contribuendo, da un lato, ad un ampliamento della tematica attraverso il legame degli interventi finanziari a standard di assistenza uniformi, dall'altro lato, sembra svuotare un principio forte, quello della leale collaborazione, affermato in precedenza sempre dalla Corte costituzionale, a garanzia del giusto equilibrio delle competenze tra Stato e regioni;
    alla luce della giurisprudenza costituzionale, ci appare legittimo e conforme a Costituzione attribuire allo Stato il controllo delle regioni, affinché assicurino l'uniformità dei LEA, soprattutto alla luce del novellato articolo 117 che si muove proprio in questo solco;
    a supporto della proposta della nuova Commissione sopra richiamata si indicano i lavori parlamentari svolti in sede di indagine conoscitiva della Commissione Affari sociali e bilancio della Camera sulla sostenibilità del SSN che, per il periodo 2013-2014, ha evidenziato il rafforzamento di fatto del controllo esercitato dallo Stato nell'indirizzo e nella verifica dei sistemi sanitari regionali, al fine di garantire un'erogazione omogenea dei LEA su tutto il territorio nazionale;
    poiché il nuovo testo dell'articolo 117 recita «programmazione e organizzazione dei servizi sanitari» proseguendo poi nel modo seguente «Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell'interesse nazionale.», noi riteniamo ci si trovi proprio nelle condizioni di richiedere al Governo un intervento per garantire quell'unità sostanziale delle prestazioni che può discendere solo da una unità formale, contenuta in legge dello Stato, consentendo al Ministro della salute lo svolgimento di un ruolo di garante ultimo della salute dei cittadini con la possibilità di un'erogazione uniforme dei LEA in tutte le regioni, facendo in modo che dal centro vengano garantiti i principi di equità e universalismo;
    appare poi necessaria una ulteriore riforma del sistema di finanziamento delle aziende sanitarie, poiché attualmente il sistema di finanziamento delle ASL è legato a principi di produttività che nulla hanno a che vedere con il sistema salute, prevedendo una forma di output-driven è non una mera valutazione sui risultati di salute ottenuti applicando il solo concetto di outocome-driven;
    attualmente, per essere chiari si finanziano le aziende in base a valutazioni fondate solo sul principio di produttività-consumi. Il famoso prestazionificio che erode finanziariamente il sistema, creando sacche di competizione che non hanno l'obiettivo di tutelare la salute ma di incrementare gli «esami». Da qui proviene il provvedimento governativo definito giornalisticamente come «decreto appropriatezza», il quale, però, non entra nel cuore del problema e non riesce a dargli una soluzione non tanto ottimale, quanto reale. Insomma, avete individuato il problema giusto fornendo la soluzione sbagliata;
    proponiamo quindi di destinare i fondi del cosiddetto «de-finanziamento» previsto nell'atto del Governo ad un nuovo modello di erogazione dei servizi che sappia valutare il proprio operato non in base alle prestazioni giornaliere, ma sulla base dei dati epidemiologici presenti e sugli obiettivi di salute e di prevenzione. Per riuscirvi è necessario investire oggi risorse per ottenere vantaggi nel medio periodo, per raccogliere risultati tra 3/5 anni, ma se tale progetto fosse realizzato, i risultati sarebbero da considerare letteralmente una boccata di ossigeno per un Sistema sanitario agonizzante;
    la questione è complessa e articolata poiché coinvolge un cambio di paradigma dell'analisi e quindi delle possibili soluzioni alternative a quelle adottate. Si dovrebbe valutare non più col solo metodo proprio delle scienze economiche-finanziarie, incentrando maggiormente l'attenzione sulle questioni inerenti il premio e lo sviluppo della professionalità, tema posto sempre più ai margini del dibattito sul SSN;
    in tema di sanità, siamo di fronte a 3 problemi strutturali che necessitano di una soluzione: quando parliamo di sanità, è stato consentito alla politica dei partiti (politics) di avvilupparsi in maniera inestricabile con le politiche sanitarie (policies), determinando scelte condizionate da vari interessi, da quelli più nobili sino a quelli penalmente perseguibili; non è stato attuato il principio denominato Health in All Policies, mirante a orientare tutte le decisioni di politica sanitaria, al fine di porre effettivamente al centro degli interessi politici la salute dei cittadini; riferendoci agli interessi penalmente perseguibili ci riferiamo esplicitamente al fatto noto che vede rappresentato il nostro sistema sanitario come una sorta di ostaggio dell'industria, sia a causa di un'elevata domanda di servizi e prestazioni sanitarie che genera occupazione, sia perché l'introduzione di specifiche misure di prevenzione rischia di ridurre posti di lavoro;
    infine occorre prestare attenzione a realtà particolarmente bisognose di intervento come in Calabria gli ospedali di Trebisacce e Praia a Mare, nell'ottica di fornire un miglior servizio e garantire il diritto alla salute dei cittadini, ragionando per l'area centrale della Calabria di un comprensorio che unisca gli ospedali di Catanzaro, Germaneto e Lamezia Terme e valutando l'opportunità di creare un team di supporto della guardia di finanza che affianchi i commissari dell'ASP di Reggio Calabria attesa la sua peculiare situazione economico-contabile,

impegna il Governo:

   a istituire la Commissione di controllo sopra detta per la verifica dell'adeguatezza dei servizi resi a livello regionale al fine di garantire l'effettivo soddisfacimento dei cittadini riguardo i servizi sanitari effettivamente loro forniti;
   a valutare le prestazioni offerte dal SSn non con il solo riferimento, pur necessario, ai criteri di efficienza, efficacia e economicità, introducendo tra i parametri valutativi l'effettiva garanzia di fornitura dei livelli essenziali di assistenza (LEA) ovvero le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (ticket);
   a completare il programma di informatizzazione del Sistema sanitario nazionale previsto dall'articolo 14 del Patto per la salute, entro e non oltre le scadenze programmate dall'Agenda digitale, con particolare riferimento al fascicolo sanitario elettronico, alle ricette digitali, alla dematerializzazione di referti e cartelle cliniche e alle prenotazioni e ai pagamenti on-line;
   a considerare con particolare attenzione situazioni bisognose di intervento come quelle della Calabria.
(1-01017) «Baldassarre, Artini, Barbanti, Bechis, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco, Cristian Iannuzzi».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni I e XII,
   premesso che:
    organi di stampa nazionali e locali riportano sempre più frequentemente notizie di cronaca in cui si verificano situazioni che richiedono agli organi di polizia ed ai servizi di emergenza preospedaliera di gestire, in strada, circostanze di non agevole soluzione determinate dalla condotta intemperante assunta da persone in grave «stato di alterazione» dovuto all'assunzione di alcool e/o di sostanze stupefacenti ovvero ad altre cause non immediatamente individuabili;
    il caso tipico maggiormente problematico risulta essere quello in cui un soggetto, in stato di palese incapacità di autodeterminazione, opponga un netto rifiuto a ricevere il soccorso da parte del personale sanitario intervenuto sul posto in via autonoma o su richiesta di operatori degli organi di polizia;
    esistono talune condizioni che, pur presentandosi urgenti e complesse, non richiedono necessariamente l'attivazione delle procedure per un trattamento sanitario obbligatorio (T.S.O.), lasciando pertanto le forze di polizia intervenute sul posto a muoversi in un ambito non disciplinato;
    l'utilizzo di presidi di contenzione o di mezzi di coazione fisica in genere è da considerarsi come extrema ratio; essi vanno messi in atto qualora il paziente mantenga, per un certo lasso di tempo, il comportamento reattivo o violento, creando una situazione di oggettivo pericolo per sé e per gli altri;
    alla luce di queste premesse il 25 luglio 2014, è stata sottoscritta dall'allora prefetto di Ferrara, dal questore, dal comandante provinciale dei carabinieri e dal comandante provinciale della guardia di finanza, dal sindaco, dal direttore AUSL, dal direttore azienda ospedale universitaria S. Anna, una «Convenzione per la gestione di interventi di urgenza su soggetti con alterazioni che, pur non richiedendo l'attivazione delle procedure per il T.S.O. (già disciplinato), siano tali da poter costituire pericolo immediato»;
    le autorità della città di Ferrara, coordinate dal locale ufficio territoriale del Governo, sono convenute sulla necessità di disporre, a carattere attualmente locale, delle linee guida concordate e condivise tra enti chiamati ad assolvere tanto obblighi di assistenza e cura quanto altri compiti istituzionali, includendo la previsione del reciproco supporto tra organi sanitari ed organi di polizia con procedure di raccordo tra le rispettive centrali operative, predeterminando le modalità di azione in forma anche congiunta da parte dei rispettivi operatori, in presenza di persone che versino in condizione di alterazione psicofisica tali da privarle della capacità di provvedere coscientemente a sé stesse e da costituire pericolo per la propria ed altrui incolumità;
    i punti salienti della convenzione sono:
     a) intervento congiunto sul posto di forze di polizia e personale sanitario;
     b) intervento dei sanitari con presa in carico della situazione sanitaria;
     c) assicurazione del soggetto;
    secondo queste linee guida, assumono un ruolo più determinante gli operatori del 118, i quali devono essere sempre presenti nel momento in cui vi sia la necessità di immobilizzare una persona in stato alterato da alcolici o sostanze stupefacenti. Alle forze di polizia spetta il principale compito di rendere sicura la zona, allontanando il soggetto in stato confusionale da altre persone che potrebbero subirne violenza, facendo tutto il possibile per dissuaderlo da atteggiamenti aggressivi ed insieme al personale sanitario mettono in atto le azioni necessarie per garantire l'assistenza adeguata al soggetto alterato ed il trasporto in sicurezza verso l'ospedale;
    scopo fondamentale della convenzione in questione è quello di rendere omogenee e note a tutti gli operatori, all'interno del territorio provinciale, le modalità con le quali intervenire onde consentire, di fatto, che l'intervento si risolva positivamente anche nelle ipotesi in cui siano diverse le Forze intervenute;
    la convenzione definisce le procedure organizzative di intervento tra le centrali operative e gli operatori;
    a Ferrara gli operatori delle forze dell'ordine ed il personale del 118 hanno messo in pratica e sperimentato sul campo una tecnica con le quali immobilizzare un soggetto alterato. Tale tecnica, essenzialmente, richiede l'intervento di almeno quattro operatori in modo che possa procedersi all'immobilizzazione congiunta degli arti superiori ed inferiori del soggetto alterato; la successiva e definitiva immobilizzazione dell'individuo con la rotazione del corpo in posizione laterale di sicurezza per il successivo caricamento sul mezzo di soccorso;
    nello sviluppo di tale tecnica di immobilizzazione del soggetto alterato, viene utilizzata una cinghia di contenimento dal pratico ed immediato utilizzo e dalla testata assoluta efficacia, utilizzata nello specifico per l'immobilizzazione degli arti inferiori. Tale strumento, economico, efficace e di semplice utilizzo, è entrato a far parte della dotazione del personale per l'emergenza sanitaria di Ferrara. Tale cinghia rientra tra il materiale assegnato ai presidi sanitari nazionali e diverge solo per dimensioni da quelle in dotazione agli stessi ed utilizzate per immobilizzare il paziente sulla barella,

impegnano il Governo:

   a predisporre in sede di Conferenza Stato-regioni linee guida nazionali volte ad adottare su tutto il territorio nazionale procedure e tecniche omogenee, specificando anche funzioni e compiti dei diversi referenti istituzionali, per la presa in carico sia da parte del personale sanitario che delle forze di sicurezza intervenute per l'emergenza, di persone in grave stato di alterazione per l'assunzione di alcool e/o di sostanze stupefacenti ovvero per altre cause non immediatamente individuabili che, pur non richiedendo l'attivazione di procedure per il trattamento sanitario obbligatorio, siano in condizioni tali da poter costituire pericolo immediato per sé e/o per altri;
   a predispone, anche in collaborazione con le regioni, campagne d'informazione degli operatori per la divulgazione su tutto il territorio nazionale delle linee guida e della convenzione del 25 luglio 2014 firmata dalle principali autorità militari e civili ferraresi per la gestione di interventi d'urgenza su soggetti con alterazioni che pur non richiedendo l'attivazione delle procedure per il trattamento sanitario obbligatorio sono tali da poter costituire pericolo, immediato.
(7-00812) «Paola Boldrini, Fabbri, Lenzi, Casati, Amato, Patriarca, D'Incecco, Beni, Piazzoni, Carnevali, Paola Bragantini». 


   Le Commissioni XI e XIII,
   premesso che:
    l'agricoltura è un argomento troppo importante per l'economia del Mezzogiorno per non essere affrontato in ogni suo aspetto a partire da alcune questioni che si possono definire strutturali e che ne minano alla radice le potenzialità;
    recenti drammatici episodi di cronaca hanno riportato l'attenzione dell'opinione pubblica sul fenomeno del caporalato, in particolare nell'agricoltura e nel Mezzogiorno;
    il caporalato in agricoltura è un fenomeno da combattere come la mafia e per batterlo occorre la massima mobilitazione di tutti: istituzioni, forze dell'ordine, imprese, associazioni e organizzazioni sindacali;
    non ci si può rassegnare allo sfruttamento dei braccianti, alla morte per fatica di numerosi lavoratrici e, lavoratori, come è purtroppo avvenuto questa estate, tantomeno ci si può arrendere al triste retaggio del caporalato;
    alcune iniziative prese dalle Organizzazioni sindacali – in particolare, si segnala quella dell'Unione generale del lavoro nelle province di Foggia e di Barletta – Andria – Trani – hanno ulteriormente evidenziato la pervasività di un fenomeno sicuramente complesso e che sfugge ad ogni forma di controllo e repressione per una serie di motivi, il primo dei quali è la carenza di uomini, mezzi e risorse finanziarie in capo agli ispettorati del lavoro, ma probabilmente anche la mancanza di un indirizzo preciso da parte della dirigenza degli enti preposti – primo fra tutti l'INPS – ad effettuare contatti più frequenti e mirati;
    l'ampiezza del fenomeno, stimato da alcune fonti in almeno 400 mila unità, è corroborato dai dati dell'Inail sull'incidenza infortunistica: nel Mezzogiorno, come del resto in tutta Italia, non vengono denunciati gli infortuni sul lavoro in assenza di menomazioni, mentre sono denunciati quelli con conseguenze gravi o che portano al decesso della persona;
    il fenomeno del caporalato oltre ad essere devastante per le persone coinvolte, che lavorano in condizioni di assoluta insicurezza fisica ed economica, penalizza fortemente le aziende sane che rischiano di essere espulse dal mercato da chi opera in maniera scorretta e al di fuori di ogni norma;
    in ragione di ciò, si è proposto presso la Commissione lavoro della Camera di assumere ogni iniziativa possibile per approfondire questo fenomeno ed indagare i motivi e le responsabilità del mancato controllo del territorio, così come è stato fatto in passato in analoghe indagini conoscitive,

impegnano il Governo:

   a rafforzare l'azione ispettiva e di controllo da parte delle Istituzioni preposte, assumendo iniziative per riconoscere penalmente la responsabilità delle imprese che accettano di sfruttare manodopera irregolare;
   ad assumere iniziative per prevedere forme di tutela per i lavoratori migranti che denunciano i caporali e/o i datori di lavoro, estendendo anche ai lavoratori agricoli il diritto al permesso di soggiorno per motivi giudiziari;
   ad implementare il sistema di tracciabilità dei prodotti aumentando l'attenzione sulla qualità dell'occupazione, così da orientare le scelte del consumatore e, di conseguenza, i comportamenti delle aziende;
   ad assumere iniziative per introdurre degli sgravi contributivi per le aziende che regolarizzano la forza lavoro.
(7-00813) «Polverini, Russo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   fortissimi temporali hanno colpito fra la serata di mercoledì e la notte di giovedì 15 ottobre 2015 la Campania, soprattutto le zone dove si è scatenato un vero e proprio nubifragio;
   il temporale è stazionato sul territorio campano per diverse ore insistendo sempre sulle stesse zone, facilitando così la costante crescita degli accumuli di pioggia al suolo. Gli oltre 200 mm di pioggia caduta hanno provocando numerosi danni e disagi per via dell'esondazione di canali e torrenti;
   particolarmente colpita è la città di Benevento, dove il fiume Calore è esondato;
   molti paesi del Sannio risultano completamente allagati;
   tantissimi sono i residenti che hanno lasciato le loro abitazioni;
   decine e decine sono le telefonate giunte al centralino dei vigili del fuoco, preso d'assalto al pari di quello delle forze dell'ordine;
   sono enormi le difficoltà lungo la strada per Campobasso, bloccata da una frana che ha invaso la carreggiata, e in particolare, a causa di uno smottamento il raccordo autostradale tra Benevento Nord e Benevento centro è stato chiuso –:
   se il Governo intenda dichiarare lo stato di emergenza per i territori colpiti e quali iniziative urgenti si intendano prendere a favore delle popolazioni così duramente colpite.
(2-01125) «Antimo Cesaro, D'Agostino, Palladino».

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DURANTI, DANIELE FARINA, FERRARA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MARCON, ZACCAGNINI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO e ZARATTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la testata La Repubblica.it riporta in data 9 ottobre 2015 la notizia della protesta delle operaie dello stabilimento FCA di Melfi, che hanno evidenziato come il nuovo colore bianco delle tute di lavoro sia particolarmente soggetto a macchiarsi nei periodi di ciclo mestruale delle stesse;
   le condizioni generali di lavoro – quali la pausa della durata di soli 10 minuti, che unita all'insufficienza di bagni rispetto al numero delle lavoratrici, costringe le stesse a fare spesso lunghe file senza aver la certezza di poter accedere ai servizi entro il termine del periodo di pausa e la tipologia di mansioni svolte, che porta le operaie ad assumere nell'arco delle ore lavorative posizioni faticose all'interno delle scocche delle autovetture – contribuiscono notevolmente al disagio, giacché facilitano la possibilità di sporcarsi e impediscono di porvi rimedio;
   la situazione descritta lede profondamente la dignità delle lavoratrici;
   alcuni giorni fa è partita una raccolta firme per segnalare la vicenda alla dirigenza aziendale, sottoscritta da circa 400 operaie – su un totale di 600 a tempo indeterminato su un organico totale di 8 mila lavoratori – che hanno firmato con il loro numero identificativo. Circostanza questa che segnala quanto il problema sia sentito dalle operaie;
   a seguito della segnalazione, l'azienda ha proposto quale soluzione la fornitura, a partire dal prossimo gennaio, di «coulotte» da indossare sotto la tuta durante i periodi di indisposizione mestruale. Tale soluzione è stata giudicata umiliante dalle lavoratrici che invece chiedono il ritorno alle tute di colore blu o all'adozione di un pantalone di colore scuro;
   è opportuno aggiungere che la vicenda, segnalata non è l'unica causa di disagio per le lavoratrici. Alcune di esse segnalano, infatti, come la distribuzione delle nuove turnazioni (si lavora 6 mattine, dalle 6 alle 14, da lunedì a sabato, con riattacco la domenica sera alle 22, per 4 notti di seguito, ai quali seguono due giorni di riposo, 3 pomeriggi di lavoro – compresa una domenica –, due giorni di riposo, 3 notti di lavoro, due riposi e altri 4 pomeriggi di lavoro) non consentirebbe adeguati periodi di riposo e mal si concilia con la ordinaria gestione della vita familiare;
   a questo si aggiungono le modalità di lavoro che comportano turni trascorsi in piedi, d'avanti ad una catena di montaggio a velocità sostenuta, che costringe spesso i lavoratori, in occasione di normali imprevisti come uno starnuto o una vite sfilettata, a distanziarsi dalla postazione definita per seguire i pezzi da assemblare, risalendo non senza fatica alla postazione assegnata;
   a questo si aggiunga, ulteriormente, la già citata pausa di soli 10 minuti e la carenza di servizi igienici rispetto al numero di lavoratori, così come di distributori di caffè o snack e sedie per la pausa –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti illustrati in premessa e se non intenda assumere ulteriori informazioni al riguardo;
   se tali condizioni di lavoro siano compatibili con i principi di dignità della persona, anche nei luoghi di lavoro, costituzionalmente riconosciuti e garantiti;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere, nell'ambito delle proprie competenze, affinché, nel caso segnalato, le esigenze della produzione non comprimano diritti e dignità dei lavoratori. (4-10748)


   D'INCÀ, BRUGNEROTTO e PETRAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con le sentenze n. 2454/15, 2458/15 e 2459/15 il Tar del Lazio ha ritenuto illegittima l'attuale formulazione e, quindi, l'attuale modulistica relativa al nuovo ISEE, nei termini in cui è stata elaborata in ottemperanza all'articolo 4 del decreto n. 159 del 2013 della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   le sentenze sono state emesse in seguito al ricorso delle associazioni dei disabili, che avevano contestato la decisione di inserire la pensione di invalidità e l'indennità di accompagnamento destinata ai disabili e ai portatori di un handicap grave, tra i redditi che andavano a costituire il reddito complessivo del contribuente ai fini del nuovo ISEE (Indicatore di Situazione Economica Equivalente), in vigore dal 1o gennaio 2015;
   in base a queste sentenze le pensioni d'invalidità e le indennità di accompagnamento non potranno essere considerate tra i redditi che devono essere tenuti in considerazione ai fini del calcolo della situazione economica di un nucleo familiare;
   a parere dell'interrogante tali sussidi di natura previdenziale, infatti, devono essere considerati solo come somme da ritenere indispensabili per il sostentamento di anziani, invalidi e disabili e non ricomprese tra i redditi considerati tali ai fini della determinazione della situazione economica. Pertanto tali somme non possono essere considerate una fonte di ricchezza perché si rivelano un aiuto e un sussidio di carattere sociale;
   tuttavia il Governo ha ritenuto opportuno appellarsi al Consiglio di Stato avverso le sopra dette decisioni del TAR e occorrerà attendere sino al 3 dicembre 2015 per stabilire se le provvidenze economiche erogate dallo Stato a sostegno dell'invalidità debbano essere incluse o meno nel computo dell'Isee –:
   se il Governo non intenda, nell'immediato, rivedere le posizioni assunte avanti il Consiglio di Stato e conseguentemente aderire all'interpretazione fornita dal TAR così prevedendo l'esclusione della pensione di invalidità e l'indennità di accompagnamento destinata ai disabili e ai portatori di un handicap grave, tra i redditi calcolati ai fini del nuovo ISEE. (4-10752)


   SIMONE VALENTE, D'UVA, MARZANA, CHIMIENTI e DI BENEDETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 1, comma 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 febbraio 2012 concernente la «Modificazione al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 1° marzo 2011, recante ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei Ministri», l'ufficio per lo sport è stato inserito all'interno del dipartimento per gli affari regionali (che dal 21 ottobre 2013 ha preso il nome di dipartimento per gli affari regionali, le autonomie e lo sport);
   a tale struttura organizzativa è attribuito il rilevante compito di supportare la Presidenza del Consiglio nell'esercizio delle funzioni in materia di sport e, nello specifico, di esercitare funzioni quali provvedere agli adempimenti giuridici ed amministrativi degli atti in materia di sport, effettuare studi e ricerche, curare l'istruttoria degli atti concernenti l'attività fisica e sportiva (con particolare riguardo agli atti concernenti l'erogazione dei contributi destinati all'impiantistica sportiva), intrattenere relazioni con gli enti e le istituzioni anche internazionali, provvedere alla prevenzione del doping della violenza nello sport e svolgere, infine, il delicato compito di vigilanza e monitoraggio dell'attività svolta dal Comitato olimpico nazionale (CONI) nonché dall'Istituto per credito sportivo;
   fino al 2 aprile 2015 a ricoprire il ruolo di segretario del Consiglio dei ministri con delega alle politiche di coesione territoriale e allo sport era Graziano Delrio (nominato in data 28 aprile 2013 durante il Governo Letta Ministro per gli affari regionali con delega allo sport, delega parimenti confermata dal Governo Renzi ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 aprile 2014);
   tuttavia, allo stato attuale appare agli interroganti del tutto evidente assenza di una figura politica d'indirizzo che funga da responsabile e che sia di esplicito riferimento per le questioni afferenti all'attività sportiva, rendendo in tal modo difficoltoso il perseguimento delle linee guida del Governo come la diffusione della pratica sportiva dei giovani e nelle scuole, la realizzazione, valorizzazione e ammodernamento delle strutture sportive e più in generale la promozione della funzione sociale insita nello sport; a tale situazione si aggiunge, inoltre, la vacanza nella titolarità del dipartimento per gli affari regionali, le autonomie e lo sport a seguito delle dimissioni del Ministro Lanzetta rassegnate in data 30 gennaio 2015 –:
   stante il delicato compito attribuito all'ufficio per lo sport soprattutto per la parte relativa alla vigilanza sul CONI posta sotto forma di controllo di legittimità e, in talune ipotesi, anche di merito sull'attività del Comitato, se non ritenga opportuno accelerare la procedura di individuazione e nomina di un'altra figura politica deputata a riceve le deleghe in materia di sport.
(4-10760)


   SORIAL e ALBERTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di dicembre 2014, il Ministero italiano delle infrastrutture e dei trasporti ha annunciato il finanziamento completo della prosecuzione ad Est, da Brescia verso Padova, della linea ferroviaria ad alta velocità (il TAV) e l'accordo raggiunto con la Banca europea degli Investimenti (BEI) per le anticipazioni alla Rete ferroviaria italiana (RFI) a fronte della garanzia fornita dall'allocazione dell'investimento nel bilancio dello Stato, per garantire l'avanzamento dei lavori dell'opera, ma la stessa Commissione europea avrebbe poi smentito ufficialmente sia il finanziamento sia il coinvolgimento della BEI nel progetto, come confermato direttamente dal commissario europeo per i trasporti, Violeta Bulc;
   in data 5 dicembre 2014 sul sito ufficiale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, a capo del quale era allora Maurizio Lupi, compariva un aggiornamento sullo stato di attuazione dei lavori relativi al tratta di TAV/AC Brescia Verona e Verona Padova e la nota ufficiale diffusa dall'ente riportava che «Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha presieduto ieri sera, 4 dicembre 2014, due riunioni operative per la realizzazione dell'Alta Velocità/Alta Capacità ferroviaria sulle tratte Brescia-Verona e Verona-Padova. Erano presenti i prefetti delle tre città, gli amministratori delegati di Ferrovie dello Stato, di RFI, di Italferr e i consorzi CEPAV II e IRICAV II: è stato ribadito il finanziamento completo dell'opera e il suo inserimento sia nel decreto Sblocca Italia sia nella Legge di Stabilità ed è stato annunciato l'accordo raggiunto con la Bei per le anticipazioni a RFI a fronte della garanzia fornita dall'allocazione dell'investimento nel bilancio dello Stato»;
   la notizia ufficiale veniva ripresa dal quotidiano «il Sole 24 Ore» il giorno successivo e anche dal giornali locali dando risalto ad alcune dichiarazioni dell'ex Ministro Lupi secondo il quale «Un miliardo e 980 milioni ci sono, tutti disponibili, ma adesso la cosa importante è spenderli» e ribadiva l'esistenza di un accordo raggiunto con Bei per presunte anticipazioni a FRI a fronte della garanzia fornita dell'allocazione dell'investimento nel bilancio dello Stato italiano;
   il costo dell'opera ipotizzato ad oggi per tutta la tratta Brescia-Padova ammonterebbe ad oltre 10 miliardi di euro;
   il 14 luglio 2015 gli eurodeputati Eleonora Evi, Marco Valli e Marco Zanni hanno presentato un'interrogazione a risposta scritta alla Commissione avente ad oggetto proprio il finanziamento Bei della tratta indicata e l'opportunità del finanziamento complessivo dell'opera alla luce del fatto che «L'autorità italiana anticorruzione, con la deliberazione n. 80 del 14 settembre 2011, ha contestato a RFI il mancato rispetto dei principi che regolano il settore dei pubblici appalti, rilevando la sistematica violazione dei principi di libera concorrenza, di economicità del sistema di realizzazione per effetto dei lunghi tempi di esecuzione, dei rilevanti incrementi di costo rispetto alla stima inizialmente ipotizzata, nonché degli onerosi contenziosi. Le anomalie di procedura e le violazioni sopra elencate intervengono sistematicamente per la realizzazione di qualsiasi tratta di alta velocità in Italia, e infatti suddetti vizi sono stati contestati anche dalla Corte dei conti italiana con la deliberazione n. 25/2008/G»;
   grazie all'interrogazione al Parlamento europeo di cui sopra, il M5S ha scoperto che la BEI non avrebbe approvato alcun finanziamento e attualmente non è coinvolta nel progetto, come confermato direttamente dal commissario europeo per i trasporti, Violeta Bulc: nella risposta, protocollata al n. IT E-11332/2015 in data 23 settembre 2015, è riportato che «La Commissione desidera informare l'onorevole parlamentare che la Banca europea per gli investimenti (BEI) non ha approvato e attualmente non è coinvolta nel progetto citato nell'interrogazione»;
   in data 30 luglio 2015, su istanza del consigliere comunale di Verona Gianni Benciolini, l'OLAF (European anti fraud office) affermava che «loans of European Investment Bank are not involved in the above mentioned high speed railway project» (doc. 4 Olaf 30.7.2015);
   la delibera del Cipe è priva di efficacia giuridica senza il nulla osta da parte della Corte dei Conti che, ai sensi della legge n. 19 del 1994, ha l'obbligo di valutare se il progetto alta velocità è finanziariamente sostenibile e compatibile con il bilancio –:
   se il Governo sia al corrente di quanto esposto in premessa, se non consideri urgente chiarire quanto accaduto in particolare con riguardo all'avvio dei cantieri di tale opera, dispendiosa e di dubbia utilità, in assenza dell'effettiva esistenza dei finanziamenti, e quali iniziative si intendano intraprendere in proposito;
   se, relativamente ai finanziamenti da parte della Bei per il settore dei trasporti in generale, sia stato previsto, da parte del Governo, l'impegno di risorse per l'opera di cui in premessa, e in tal caso a quanto ammonterebbero. (4-10762)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CAROCCI, BIASOTTI, OLIARO, PASTORINO, QUARANTA, BASSO, TULLO, GIACOBBE, MARIANI e VAZIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Giovine Orchestra Genovese (GOG), fondata nel 1912, rappresenta un grande patrimonio storico della città e della regione Liguria e l'eccellenza della musica colta; essa assicura inoltre la tradizione di ospitalità e la costante presenza a Genova, al Teatro Carlo Felice, dei più grandi artisti e delle altre orchestre pregiate di tutto il mondo;
   tale eccellenza è sempre stata riconosciuta a livello ministeriale dalle precedenti assegnazioni dei contributi previsti dalle leggi;
   l'articolo 9 del Decreto Legge 8 agosto 2013, che riguarda le «Disposizioni urgenti per assicurare la trasparenza, la semplificazione e l'efficacia del sistema di contribuzione pubblica allo spettacolo dal vivo e al cinema», recita al comma 1, quanto segue: «1. Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, con proprio decreto, da adottarsi entro novanta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ridetermina, con le modalità di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 15 novembre 2005, n. 239, e con effetto a decorrere dal 1o gennaio 2014, i criteri per l'erogazione e le modalità per la liquidazione e l'anticipazione dei contributi allo spettacolo dal vivo. I criteri di assegnazione tengono conto dell'importanza culturale della produzione svolta, dei livelli quantitativi, degli indici di affluenza del pubblico nonché della regolarità gestionale degli organismi. Il decreto di cui al primo periodo stabilisce, inoltre, che le assegnazioni sono disposte a chiusura di esercizio a fronte di attività già svolte e rendicontate. L'articolo 1 della legge 14 novembre 1979, n. 589, è abrogato»;
   il 1o luglio 2014 il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ha decretato nuovi criteri di assegnazione dei contributi FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo) 2015 relativi alle Attività Musicali la cui applicazione, riferita all'anno 2015, ha determinato effetti pesantemente distorsivi e discriminatori fra i soggetti aventi diritto, con il rischio di ridimensionamento e chiusura di decine di istituzioni musicali del nostro Paese;
   all'inizio di agosto 2015, a programmazione avvenuta e annunciata, la GOG si è vista decurtare del 30 per cento il contributo rispetto all'anno precedente, per una somma pari a 108.000 euro di tagli, nonostante avesse ottenuto il terzo punteggio assoluto nella qualità artistica e il quarto nella valutazione complessiva tra le società di concerti nazionali, determinando una situazione di grave difficoltà finanziaria a fronte degli impegni artistici assunti;
   a quanto risulta all'interrogante, il meccanismo prescelto dal Ministero, attraverso un nuovo sistema computerizzato di assegnazione dei contributi ministeriali basato su algoritmi di difficile comprensione, ha privilegiato quasi totalmente elementi quantitativi, quali il numero assoluto di concerti e il tasso di occupazione delle sale, piuttosto che mettere in primo piano «l'importanza culturale della produzione svolta», producendo risultati distorsivi dei valori reali delle singole realtà musicali italiane, con effetti paradossali come quello di privilegiare le strutture un cui decine di concerti si sono tenuti in sale piccole, e quindi facilmente colmabili ed a costo quasi zero, e penalizzare quelle che si avvalgono di grandi sale, come quella del Teatro Carlo Felice di Genova che vanta 2000 posti, nelle quali è normalmente difficile vendere tutti i biglietti dei concerti. L'incredibile conseguenza di questo meccanismo è che un concerto di Maurizio Pollini o di Salvatore Accardo può conseguire un punteggio addirittura inferiore di un concerto di un allievo di Conservatorio, non esistendo alcuna «correzione qualitativa» (culturale) nel software di elaborazione del dato quantitativo;
   lo svilimento del valore culturale del progetto artistico è stato ulteriormente accentuato dal sistema dei cluster e dalla distribuzione dei fondi a ciascun cluster, secondo criteri puramente discrezionali dell'Amministrazione, non previsti nel decreto e tali da determinare un enorme divario nel valore del singolo punto a seconda del cluster di assegnazione –:
   se i ministri interrogati non intendano operare una urgente revisione dei meccanismi di assegnazione dei contributi FUS, fra cui quello relativo alla definizione della qualità del sistema di captazione dei dati che alimentano il computer e l'introduzione di un parametro di qualità all'interno del software che elabora i punteggi, al fine di valorizzare l'importanza culturale del progetto artistico, disincentivare quella che appare agli interroganti «una folle corsa al rigonfiamento artificiale» del numero dei concerti, nonché correggere gli aspetti più oscuri e distorsivi, e rendere semplici e trasparenti le regole e i meccanismi di applicazione;
   in particolare, se non intendano rivedere il sistema dei sottoinsiemi (cluster) e dell'attribuzione dei fondi ad ogni sottoinsieme che a parità di punteggio attribuiscono ad ogni punto della prima fascia il valore di euro 11.500 e ad un punto della seconda fascia (dove è stata collocata la GOG) il valore di euro 2.100, contribuendo ulteriormente ad ingigantire l'effetto distorsivo del sistema;
   se non intendano assumere iniziative volte all'istituzione di un fondo perequativo che almeno in parte corregga alcuni degli effetti distorsivi più macroscopici del nuovo sistema e riequilibri l'assegnazione dei contributi a favore delle società più penalizzate rispetto al passato;
   se non intendano dare attuazione a quanto previsto dall'articolo 50, comma 3, del Decreto ministeriale 1o luglio 2014, che prevede, in sede di prima applicazione, che la nuova procedura sia «sottoposta alle valutazioni di un apposito tavolo tecnico congiunto tra l'amministrazione e gli enti territoriali e locali, al fine di verificarne il corretto funzionamento e di formulare eventuali proposte correttive».
(5-06677)


   SIMONE VALENTE, DI BENEDETTO, BATTELLI, D'UVA e VACCA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il fondo unico per lo spettacolo (FUS), istituito dalla legge n. 163 del 1985 costituisce il principale strumento di sostegno al settore dello spettacolo dal vivo e della cinematografia da parte dello Stato;
   le finalità del fondo unico per lo spettacolo consistono nel sostegno finanziario ad enti, istituzioni, associazioni, organismi ed imprese operanti nei settori delle attività cinematografiche, musicali, di danza, teatrali, circensi e dello spettacolo viaggiante, nonché nella promozione e nel sostegno di manifestazioni ed iniziative di carattere e rilevanza nazionali da svolgere in Italia o all'estero;
   relativamente all'anno 2015 gli stanziamenti complessivi del Fondo – quali risultanti dal decreto n. 101094 del 29 dicembre 2014, di ripartizione in capitoli delle unità di voto parlamentare relative al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2015 e per il triennio 2015-2017 – ammontano a 406,2 milioni di euro (lo stanziamento complessivo è uguale a quello del 2014, cambia la ripartizione) di cui:
    fondazioni lirico-sinfoniche: 182 milioni di euro;
    attività cinematografiche: 77 milioni;
    attività teatrali: 67 milioni;
    attività musicali: 59 milioni;
    attività di danza: 11 milioni;
    progetti multidisciplinari: 4.6 milioni;
    attività circensi: 4.5 milioni;
    residenze e under 35: 2 milioni;
   in attuazione dell'articolo 9, comma 1, del decreto-legge 91 del 2013 (decreto «valore cultura»), è intervenuto il decreto ministeriale, 1o luglio 2014 (recante «Nuovi criteri e modalità per l'erogazione, l'anticipazione e la liquidazione dei contributi allo spettacolo dal vivo, a valere sul fondo unico per lo spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163 pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 19 agosto 2014), adottato d'intesa con la Conferenza unificata; tale decreto, per la cui redazione il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo si è avvalso della società esterna denominata Struttura Consulting Srl (società di consulenza con sede legale a Roma), ha modificato le regole storiche determinando uno scossone a causa della esclusione di molti soggetti che nell'ambito godono di una consolidata stima;
   nello specifico il decreto definisce gli ambiti di attività finanziabili, i requisiti minimi dei soggetti richiedenti, la tempistica e la modalità di invio delle domande, nonché il sistema di valutazione;
   fino a luglio 2014 il fondo unico per lo spettacolo finanziava lo spettacolo dal vivo tramite un bando annuale, ma con l'entrata in vigore delle nuovi regole i soggetti richiedenti hanno dovuto presentare un progetto artistico e la previsione del budget per gli anni 2015-2017. Questa novità è senza dubbio condivisibile perché consente agli operatori di non dover attendere anno dopo anno l'esito delle decisioni ministeriali, garantendo quindi una continuità della sovvenzione e stabilizzando e rafforzando le attività;
   gli effetti negativi del provvedimento, invece, sono da ricercare nei criteri di valutazione cosiddetti automatici che affidano ad algoritmi la valutazione delle informazioni che i soggetti richiedenti hanno dovuto fornire nell'istanza di sovvenzionamento. Col nuovo regolamento i suddetti criteri automatici determinano il 70 per cento della sovvenzione mentre il residuo 30 per cento è affidato alla valutazione qualitativa delle commissioni consultive;
   si segnala, a tal proposito, che il 20 luglio 2015 la compositrice Silvia Colasanti, componente della commissione consultiva musica, si è dimessa dall'incarico motivando la propria decisione nella scarsa efficacia del nuovo regolamento che lascia poco spazio all'aspetto qualitativo nella valutazione; in effetti, fino all'entrata in vigore del suindicato decreto, un soggetto operante nel settore che possedeva i requisiti richiesti, rientrava nei parametri, godeva di una stabile programmazione, poteva accedere regolarmente al fondo; con l'entrata in vigore delle nuovi regole, invece, si sono verificate una serie di incongruenze ed anomalie e soggetti che da sempre usufruivano dei fondi (in quanto possedevano validi requisiti qualitativi e quantitativi) ne sono rimasti paradossalmente esclusi;
   con i decreti direttoriali emanati nel mese di luglio 2015 sono stati approvati i progetti artistici in favore delle attività dello spettacolo dal vivo relativamente al triennio 2015-2017;
   le decisioni assunte in sede di assegnazione delle risorse hanno comportato la cancellazione di diverse realtà musicali italiane (da sempre soggetti di riferimento per interi territori) tanto da determinare la cessazione o comunque metterne a repentaglio l'attività;
   se il sistema precedente garantiva privilegi ingiustificati, il nuovo regolamento non sembra vada a determinare risultati apprezzabili, in termini di estensione del pluralismo, di efficienza ed efficacia dell'intervento pubblico nonché di corretta valutazione della qualità artistica. Il problema realmente esistente non è tanto la carenza di fondi quanto l'efficacia stessa di uno strumento come il fondo unico per lo spettacolo;
   i distorti criteri di valutazione applicati hanno generato punteggi alti corrispondenti a clamorosi tagli di finanziamenti e punteggi bassi (specialmente sulla qualità) che hanno generato aumenti anche spropositati;
   circa i rischi latenti del decreto ministeriale l'attore Elio De Capitani nel maggio 2015 scriveva sul sito Del Teatro: «il campanello d'allarme, del resto, lo ha lanciato lo stesso Marcello Minuti, il padre dell'architettura tecnica del decreto, presidente e cofondatore di Struttura Consulting srl, che ha fatto da consulente al Mibact per la redazione e gestione del decreto»;
   si segnala, inoltre, che alcuni problemi erano emersi già in fase di compilazione delle istanze: il Ministero aveva previsto che i risultati relativi delle istanze sarebbero stati comunicati in tempi rapidi, ma questo impegno è stato disatteso con la comunicazione dell'entità delle sovvenzioni per l'intero anno in corso solo ad agosto:
   si segnalano, ancora, le numerose proteste e gli appelli apparsi sul web, nonché le innumerevoli richieste di accesso agli atti presentate al Ministero e i ricorsi innanzi al Tar; dati i risultati sconcertanti, trasparenza vorrebbe che tutti i verbali delle commissioni consultive ministeriali e tutte le procedure amministrative curate dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo venissero rese pubbliche;
   probabilmente buona parte delle criticità del nuovo sistema sarebbero state evitate se la relazione annuale al Parlamento sulla gestione del fondo fosse stata quella auspicata dal legislatore del 1985 e no un documento scarno di dati e analisi critiche;
   pertanto, innanzi a tale anomala situazione, è compito della politica e del Governo non solo vigilare sul rispetto delle regole ma anche far chiarezza con regole chiare, precise e circostanziate al fine di scongiurare il pericolo che molte eccellenze del panorama teatrale italiano musicale classico possano subire una battuta d'arresto –:
   se non ritenga opportuno il Ministro interrogato assumere iniziative per la revoca dei decreti direttoriali in merito alle assegnazioni del fondo unico per lo spettacolo 2015 e la revisione del nuovo sistema di erogazione nonché di distribuzione delle risorse destinate allo spettacolo dal vivo, al fine di sanare gli evidenti squilibri che si sono venuti a delineare, provvedendo magari all'istituzione temporanea di un fondo perequativo che conceda stabilità economica a tutti quei soggetti che sono stati esclusi dalle risorse;
   sulla base di quale provvedimento amministrativo la società di consulenza (Struttura Consulting srl) abbia partecipato alla stesura del decreto 1o luglio 2014 (ad avviso degli interroganti influenzando di fatto la linea politica ministeriale) e se ciò costituisca una prassi consolidata ed eventualmente di quali altre società di consulenza il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo regolarmente si avvalga;
   quando verrà trasmessa alle Camere la relazione annuale sul fondo unico dello spettacolo relativa all'anno 2014 non ancora illustrata e se intenda potenziare la struttura ad hoc prevista dalla legge, ossia l'Osservatorio dello spettacolo del Ministero. (5-06682)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRUSONE, BRESCIA, L'ABBATE, D'AMBROSIO, CARIELLO, SCAGLIUSI, BASILIO, CORDA, RIZZO, PAOLO BERNINI e DE LORENZIS. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 10 novembre 1999 la società Isosar srl (oggi Energas spa compartecipata Q8) depositò, presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, un'istanza di valutazione di impatto ambientale per la realizzazione di un deposito costiero di GPL nel territorio del comune di Manfredonia (Foggia) località Santo Spiriticchio. Venne rifiutato dal Ministero dell'ambiente;
   in data 25 ottobre 2013 la società Energas spa ha depositato nuovi documenti relativi all'istanza di valutazione di impatto ambientale presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dello sviluppo economico, la regione Puglia, la provincia di Foggia e il comune di Manfredonia;
   il progetto prevede l'installazione di un deposito costiero di GPL con capacità di stoccaggio di 60.000.000 di litri (oltre 30.000 tonnellate di GPL). L'opera prevede anche il posizionamento in mare di un gasdotto lungo 10 chilometri, che parte dal porto industriale e attraversa il golfo di Manfredonia per continuare interrato nel sottosuolo, attraversando zone archeologiche e zone ZPS e SIC (zona a protezione speciale e sito di interesse comunitario) censite nel protocollo europeo «Natura 2000» fra le più importanti d'Europa. Il trasporto del GPL dal deposito verrà effettuato sia via ferroviaria, via gomma. La distribuzione ferroviaria è permessa dal raccordo ferroviario di circa 1,5 chilometri con la vicina stazione delle ferrovie dello stato di Frattarolo, dalla quale partiranno le ferro cisterne da 120 metri cubi cadauna, transitando nella vicina stazione dell'aeroporto militare di Amendola. Il trasporto su gomma utilizzerà la strada statale 89. Il volume totale stimato di movimentazione su trasporto ferroviario e su gomma si stima sia di circa 300.000 quintali annui;
   il deposito in questione dovrebbe sorgere a 10 chilometri in linea d'aria dall'aeroporto militare di Amendola «Luigi Rovelli Comando 32o Stormo» e a 2 chilometri dal centro abitato di Manfredonia (Foggia); l'aeroporto è disposto a sandwich fra la ferrovia e la strada statale 89 per diversi chilometri. La posizione della base la pone al centro della distribuzione logistica del GPL, dato che l'unica strada per accedere all'autostrada A14 è la statale 89, passante esattamente a pochi metri dalla base e dal villaggio dove risiedono le famiglie dei militari. A poche centinaia di metri al nord della base corrono i binari sui quali viaggeranno le ferro cisterne, al ritmo di una ogni sette minuti. Pertanto la base è esattamente al centro tra i binari e la statale. L'intera situazione andrebbe analizzata con molta attenzione, prendendo in considerazione aspetti fondamentali come eventi naturali, eventi umani ed eventi terroristici;
   nell'aeroporto militare è presente il modello di UAV (Unmanned Aerial Vehicle) MQ-9 Predator B (Reaper) in servizio presso la nostra Forza Aerea e consegnato di recente al 28o Gruppo Velivoli Teleguidati del 32o Stormo; inoltre, l'aeroporto sarà il primo aeroporto d'Italia ad ospitare il caccia multiruolo F-35, aumentando ancor di più l'importanza strategica di tale zona. L'aeroporto ospita in modo stabile personale militare non italiano in forza alla NATO. La base militare di Amendola è la base logistica di numerose operazioni nazionali ed internazionali per la tutela della pace nel bacino del Mediterraneo. Queste informazioni risultano essere di dominio pubblico e l'attività di intelligence svolta dai droni aerei è stata anche riportata su stampa generalista, quotidiana e periodica, con toni enfatici ed elogiativi in diverse occasioni e contesti;
   il 26 giugno 2015, in un impianto di gas industriale nell'Isère, a 30 chilometri da Lione, in Francia, nella regione del Rodano-Alpi, un individuo, non terrorista, per motivi di vendetta personale ha innescato una esplosione proprio in deposito GPL provocando ferimento di due persone ed un morto;
   la posizione e la logistica dell'impianto di GPL, fra i più grandi di Europa se venisse realizzato, esporrebbe la sicurezza dei civili e delle strutture militari dell'area a rischi concreti. Inoltre Manfredonia è una zona sismica di intensità media (registrate anche scosse di livello 4 Mercalli) pertanto da considerare e analizzare a fondo l'ipotesi in cui ci sia un evento sismico quali sono gli effetti sull'impianto e quali i rischi per la popolazione; nel progetto infatti non viene presa in considerazione la sismicità della zona tanto che lo stesso Ing. Marino (rappresentante dell'ENERGAS) in un recente articolo su un quotidiano locale minimizza il problema dichiarando che se si dovesse prendere in considerazione la sismicità non si dovrebbe costruire da nessuna parte in Italia e nel mondo;
   per quel che riguarda poi le attività umane di carico e scarico di tutta la filiera del gpl, dalla nave gassiera alle ferro cisterne e autobotti, occorre ricordare che sono tutte operazioni in cui il minimo errore umano comporta grandi rischi per la sicurezza;
   al rischio imprevedibile sismico, idrogeologico dell'area e all'errore umano si aggiungano i pericoli dalle possibili mire terroristiche che potrebbero avere motivi molteplici: sia se volessero attaccare la stessa multinazionale Q8 che è dietro al progetto (la base militare sarebbe colpita indirettamente) sia se volessero colpire direttamente la base e allora l'impianto con 60.000.000 di litri di GPL, le ferro cisterne che transiterebbero a poche centinaia di metri dalla base e i camion per trasporto su strada porrebbero la base all'interno di una forbice e senza via di scampo;
   le preoccupazioni sono tante vista anche quella che l'interrogante giudica la superficialità con cui l'ENERGAS s.p.a. continua a portare avanti le richieste di autorizzazioni senza integrare la documentazione richiesta, in particolare piani sicurezza, evacuazioni ed esercitazioni con la cittadinanza, e soprattutto perché continua a ragionare su una progettazione che si basa sulla normativa del 1999 che invece dovrebbe adeguarsi necessariamente alla nuova normativa posta dalla Direttiva SEVESO III, entrata in vigore a luglio 2015 –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero;
   se sia stato valutato l'aumento del rischio sia per motivi terroristici o per eventi naturali correlati alla futura presenza dell'impianto GPL nell'area considerata;
   se esista sia allo studio, un piano d'emergenza, in grado di tutelare non solo i cittadini, ma anche i lavoratori che prestano servizio presso la base di Amendola;
    se il Governo intenda partecipare al tavolo tecnico Energas, prima previsto per il 22 ottobre 2015 e che si terrà invece nei prossimi mesi, a cui prenderanno parte tutti gli interlocutori interessati al tema. (5-06684)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SGAMBATO, ROSTAN, MANFREDI e TARTAGLIONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   i registri immobiliari sono un fattore di certezza e trasparenza nel sistema di circolazione dei beni immobili;
   il valore per i cittadini del sistema di pubblicità immobiliare si esprime ben oltre l'informazione sui titolari di situazioni dominicali, ed è uno strumento fondamentale ai fini della risoluzione dei conflitti in caso di contestazioni;
   la banca dati e la «biblioteca» di atti e note della conservatoria rappresentano un «presidio» di garanzia di legalità;
   per la conservatoria dei registri immobiliari di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), così come per altre amministrazioni dello Stato, è stato previsto, per ragioni di sicurezza e risparmio di fitti passivi, con un nulla osta della Corte di appello, il trasferimento in un altro immobile disponibile sul territorio di Caserta, violando l'articolo 64 della legge 18 giugno 2009, n. 69 recante «Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile» che, al comma 2, prevede «sono in ogni caso confermate e restano nelle loro attuali sedi le sezioni staccate operanti in città sedi circondariali di tribunale», inoltre, al comma 3, prevede che: «Resta ferma, per ciascuna sezione staccata, la circoscrizione territoriale stabilita con il decreto del Ministro delle finanze 29 aprile 1972, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 269 del 14 ottobre 1972»; al comma 4, prevede che: «Dall'applicazione delle disposizioni del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica»;
   gli obblighi della legge di cui sopra non possono considerarsi superati da un nulla osta;
   attualmente la conservatoria dei registri immobiliari di Santa Maria Capua Vetere è sede di conservatoria e non di ufficio misto, e opera anche per i comuni di Caserta, Napoli e Latina; inoltre, afferisce all'unico tribunale provinciale della provincia di Caserta;
   con verbale del 13 settembre 1999 l'ufficio del territorio di Caserta procedeva alla consegna provvisoria, in uso perpetuo e gratuito, alla Seconda Università degli Studi di Napoli del complesso denominato Convento San Francesco sito in Via Aldo Moro, in Santa Maria Capua Vetere (Caserta);
   tale complesso sta per essere lasciato dall'Università;
   ad oggi, il comune di Santa Maria Capua Vetere mette a disposizione l'intero stabile del complesso denominato Convento San Francesco dove, gratuitamente, potrebbe collocarsi subito l'intera conservatoria (5000 metri lineari di fabbisogno a fronte dei 6364 metri disponibili immediatamente dell'ex convento). Sul complesso immobiliare, sono stati eseguiti, nel corso degli anni, a cura dell'Ateneo, lavori edili ed impiantistici;
   le spese necessarie per i lavori di predisposizione all'insediamento della conservatoria sembrerebbero le medesime o addirittura inferiori rispetto a quelle che si stanno già sostenendo per uno stabile di Caserta che attualmente ospita il catasto, ove si paga un canone di locazione e nel quale sono disponibili soltanto circa 3.400 metri lineari; si potrebbe quindi valutare la possibilità di realizzare una cittadella finanziaria nei 6000 metri circa dell'ex convento, ove potrebbe allocarsi al 1o piano l'Agenzia delle entrate che, attualmente, ha sede a Santa Maria Capua Vetere in un palazzo di proprietà privata, così da poter risparmiare anche sull'affitto, ed, eventualmente, utilizzare i risparmi per completare la ristrutturazione e trasferire anche il catasto, che attualmente ha sede a Caserta;
   in questo modo si avrebbero servizi razionalizzati ed un immobile demaniale utilizzato e non destinato alla rovina;
   in particolare, sul complesso immobiliare, sono stati eseguiti nel corso degli anni, a cura dell'Ateneo, lavori edili ed impiantistici per un importo complessivo che a tutt'oggi ammonta a circa 1.800.000,00 euro;
   la dislocazione in più e distinti locali di note e titoli e lo «spacchettamento» dell'archivio storico e corrente della conservatoria in più allocazioni comporta disagi per l'utenza, in particolare per gli addetti ai lavori del tribunale di Santa Maria Capua Vetere e, probabilmente, il segnale di un progressivo smantellamento di un sistema la cui solidità è oggetto di vanto nazionale;
   la fruibilità dei servizi della conservatoria, e il valore dalla trascrizione è tale in quanto disponibile per la consultazione, a volte anche quotidiana, da parte di professionisti e cittadini, in particolare per coloro che frequentano il foro di Santa Maria Capua Vetere –:
   se a conoscenza dei fatti sopraesposti e se non ritenga utile e necessario assumere iniziative, di competenza, affinché l'archivio storico e l'archivio corrente della conservatoria siano unitariamente collocati nei locali di Piazza San Francesco (ex sede della II università degli Studi di Napoli), struttura vicina alla sede del tribunale, scelta più opportuna ed economicamente razionale considerato che i locali già ristrutturati sono adeguati ad ospitare la conservatoria senza spese aggiuntive.
(5-06676)


   RUOCCO, CASO, CASTELLI, PESCO, ALBERTI, VILLAROSA, PISANO e FICO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale del 22 maggio 2012, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 143 del 2012, ha disciplinato le modalità di certificazione del credito in forma cartacea e telematica di somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti da parte delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, in attuazione dell'articolo 9, comma 3-bis, del decreto-legge n. 185 del 2008;
   all'articolo 1, comma 2, del detto decreto ministeriale (invariato a seguito delle modifiche da ultimo introdotte con il decreto ministeriale 24 settembre 2014), si chiarisce che la certificazione non pregiudica il diritto del creditore agli interessi relativi ai crediti certificati, «in qualunque modo definiti, come regolati dalla normativa vigente o, ove possibile e indicato, dalle pattuizioni contrattuali tra le parti»;
   da segnalazioni pervenute agli interroganti, sembrerebbe che l'iter amministrativo predisposto on line per il rilascio della certificazione del credito non consenta al creditore di calcolare la misura del credito per interessi già maturati alla data dell'istanza di certificazione; la certificazione, dunque, riguarderebbe la sola sorte capitale del credito ed ometterebbe altresì di esplicitare che sul credito certificato matureranno comunque interessi di mora;
   tale circostanza pare venga confermata dallo stesso Ministero dell'economia e delle finanze: nel «Vademecum — breve guida alla certificazione dei crediti» del 24 luglio 2014, pubblicato sul sito istituzionale del Ministero dell'economia e delle finanze, si precisa infatti che «non sono certificabili eventuali interessi moratori», in contrasto con quanto previsto dal decreto ministeriale;
   tale specificazione non è stata riprodotta nella versione 2.0 del guida breve, pubblicata il 20 agosto 2014. Tuttavia, nulla viene precisato in ordine alla certificazione degli interessi –:
   se risulti confermata l'impossibilità di certificare, attraverso l'apposita piattaforma on line gli interessi sui crediti verso la pubblica amministrazione maturati a qualsiasi titolo alla data dell'istanza di certificazione nonché quelli che matureranno sino alla data di pagamento indicata nella certificazione rilasciata all'esito della procedura e, in caso affermativo, se non ritenga opportuno intervenire al fine di garantire ai creditori anche la certificazione degli interessi dovuti per legge o per pattuizione contrattuale. (5-06679)


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante, già con precedenti atti di sindacato ispettivo, ha messo in evidenza la necessità di adottare urgenti provvedimenti per escludere che, nell'ambito dell'Agenzia delle entrate, vengano attribuite funzioni dirigenziali con procedure irregolari e che violino quanto disposto dalla nota e recente sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 2015;
   al riguardo, risulta all'interrogante che le funzioni dirigenziali vengano attribuite con procedure di dubbia legittimità, all'istituto dell'aspettativa; infatti, nell'articolo del quotidiano Italia Oggi del 28 marzo 2015 intitolato «Dirigenti incaricati, i delegati a rischio di misure disciplinari» viene evidenziato il caso di un funzionario interno collocato, dapprima, in aspettativa dalla stessa Agenzia e, successivamente, investito dell'incarico dirigenziale esterno per gli effetti dell'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165;
   lo stesso quotidiano, con un articolo del 6 ottobre 2015, intitolato «L'Agenzia delle entrate recluta dirigenti esterni», afferma che c’è il rischio che la predetta irregolare prassi si ripeta e che i dirigenti dichiarati illegittimi dalla sentenza della Corte costituzionale possano nuovamente ottenere l'attribuzione di funzioni dirigenziali con il riconoscimento di un incarico da esterno ai sensi dell'articolo 19, comma 6 del decreto legislativo n. 165 del 2001. Sul punto, infatti, con un bando del 30 settembre 2015, Rossella Orlandi, direttore dell'Agenzia, ha firmato la selezione per il conferimento di incarichi dirigenziali per quattro figure professionali presso la direzione centrale accertamento; una selezione, si legge nel bando, «riservata a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale». Ebbene, si apprende da Italia Oggi che ci sarebbero almeno quattro ex dirigenti incaricati, dichiarati illegittimi dai giudici costituzionali, che sono stati messi in aspettativa per potere riottenere l'incarico aderendo alla selezione per l'attribuzione di funzioni dirigenziali;
   ed ancora, sul sito dell'Agenzia delle entrate è pubblicato l'elenco dei dirigenti provenienti dell'esterno, non inseriti nei ruoli ad agosto 2015, nel quale risultano, a quanto è dato sapere all'interrogante, anche nominativi di dirigenti la cui nomina è stata dichiarata illegittima dalla Consulta con la sentenza n. 37/2015;
   è appena il caso di evidenziare che sul punto è intervenuta una copiosa giurisprudenza della Corte dei conti tesa ad affermare che il conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni può avvenire a condizione che i prescelti «presentino qualità non minori rispetto ai requisiti previsti per l'accesso alla dirigenza», ossia requisiti di alto livello, non rinvenibili all'interno dell'amministrazione. Sul punto, si evidenzia che la Corte dei conti è intervenuta per annullare nomine di incarichi esterni per le funzioni dirigenziali a soggetti che, addirittura, non erano in possesso del requisito minimo del diploma di laurea prescritto;
   è palese il perpetrarsi di procedure irregolari per l'affidamento delle funzioni dirigenziali all'interno dell'Agenzia delle entrate; tra l'altro, è inammissibile che, nei casi summenzionati, venga strumentalizzato l'istituto dell'aspettativa – ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro per la sussistenza di impegni di rilevanza pubblica o il verificarsi di situazioni di natura personale o familiare — che non può di certo essere propedeutico all'ottenimento di un incarico esterno da dirigente, ai sensi dell'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165;
   nonostante l'urgenza di adottare iniziative che mettano fine a queste procedure illegittime presso le agenzie fiscali, si mette in rilievo che, ad oggi, i Ministri interrogati non hanno emesso alcun efficace provvedimento, nonostante i ripetuti atti di sindacato ispettivo dell'interrogante –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati sui fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative intendano adottare, una volta per tutte, per escludere che, nell'ambito delle agenzie fiscali, vengano attribuite le funzioni dirigenziali illegittimamente, con procedure come quella descritta in premessa e affinché ci si conformi alla sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 2015;
   se e quali iniziative intendano intraprendere affinché vengano rimossi dagli incarichi soggetti che hanno ottenuto l'attribuzione di funzioni dirigenziali attraverso procedure irregolari come quella descritta in premessa. (5-06681)


   ANZALDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 13 della legge n. 89 del 2014 ha fissato in euro 240 mila annui il limite massimo delle retribuzioni spettanti agli amministratori con deleghe e ai dipendenti delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni;
   nel bilancio della Rai approvato il 25 maggio 2015 dall'assemblea degli azionisti si precisa, a pagina 19, che l'azienda si è adeguata al limite di cui al citato articolo 13, sia per le retribuzioni del presidente e del direttore generale, sia per quelle degli altri dirigenti con retribuzione sopra il tetto limite;
   in data 20 maggio 2015, secondo quanto riportato in alcune agenzie di stampa, la Rai avrebbe avviato il collocamento di un bond da 350 milioni di euro;
   in data 25 maggio 2015 l'assemblea straordinaria della Rai ha modificato l'articolo 11, comma 3, dello statuto sociale della Rai, prevedendo che l'assemblea ordinaria possa autorizzare il consiglio di amministrazione ad emettere strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentari, in coerenza con quanto previsto dalla direttiva del Ministro dell'economia e delle finanze del 24 aprile 2013;
   a seguito di tale modifica, peraltro ancora in attesa del parere, previsto dalla legge, della Commissione parlamentare di vigilanza, la Rai ha emesso sui mercati internazionali un prestito obbligazionario non convertibile;
   successivamente a tale operazione, la Rai, sulla base di quanto previsto dalla vigente normativa in materia di trattamento economico dei dipendenti delle società non quotate che emettono strumenti finanziari diversi dalle azioni, non si sarebbe più ritenuta vincolata a quanto stabilito nel citato articolo 13, riportando le retribuzioni di alcuni suoi dirigenti al di sopra del tetto dei 240 mila euro annui –:
   se il Ministro intenda verificare se corrisponda al vero che la Rai, secondo quanto appreso dall'interrogante, abbia richiesto all'Avvocatura dello Stato un parere in merito all'applicabilità ai propri dipendenti del limite dei 240 mila euro e, in caso affermativo, che cosa preveda il parere al riguardo;
   se i dirigenti interessati dalla misura abbiano fatto ricorso all'autorità giudiziaria avverso la decisione aziendale di applicare il limite retributivo ai propri dipendenti;
   se sia a conoscenza, anche in qualità di azionista, che a seguito dell'emissione di strumenti finanziari quotati, la direzione della Rai abbia deciso di rimuovere il limite dei 240 mila euro prima applicato ai dipendenti che lo superavano;
   se le cifre eccedenti il limite, precedentemente accantonate secondo quanto riportato dalla stampa, siano state restituite con efficacia retroattiva ai dipendenti interessati;
   qualora il limite sia stato rimosso, a quanto ammontino i maggiori oneri per le casse della Rai;
   se, a seguito dell'emissione di questi strumenti finanziari quotati e della conseguente decisione di non applicare più il limite retributivo ai propri dipendenti, non ritenga opportuno che l'azienda renda pubblici gli stipendi dei propri dirigenti, come pure sarebbe previsto dalla vigente normativa e dall'articolo 27, comma 7, del contratto di servizio 2010-2012 tuttora in vigore;
   se tale scelta aziendale possa ritenersi coerente con la difficile situazione economica che sta vivendo il Paese e con i risultati economici della stessa Rai.
(5-06683)

Interrogazione a risposta scritta:


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, CASO, DEL GROSSO, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, LUPO, PARENTELA, PESCO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   l'Ente nazionale per il microcredito (Enm) è un organismo fornito di personalità di diritto pubblico, che persegue i seguenti obiettivi: promuovere la conoscenza del microcredito come strumento di aiuto per lo sradicamento della povertà; individuare misure per stimolare lo sviluppo delle iniziative dei sistemi finanziati a favore dei soggetti in stato di povertà, al fine di incentivare la costituzione di microimprese in campo nazionale ed internazionale; promuovere la capacità e l'efficienza dei fornitori di servizi di microcredito e di microfinanziamento nel rispondere alle necessità dei soggetti in stato di povertà, al fine di promuovere innovazione e partenariati nel settore; agevolare l'esecuzione tecnica dei progetti di cooperazione a favore dei Paesi in via di sviluppo;
   l'Ente in parola fu inserito tra gli enti cosiddetti «inutili» ovvero da sopprimere dal decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, con la previsione di un risparmio di spesa pari a circa 1 miliardo di euro per il 2012 e di 3 miliardi per il 2013; successivamente invece il Governo, presieduto da Mario Monti, ne sposò la causa potenziandolo attraverso una parte del fondo di garanzia per piccole e medie imprese ed evitando di tagliare, come invece era previsto, i contributi pubblici;
   nel bilancio preventivo dell'Ente nazionale per il microcredito per il 2015 le risorse statali sono ancora garantite e corrispondono ad oltre un milione di euro, proprio come l'anno precedente. Il totale della voce «costi di produzione» è di oltre due milioni: fra questi ci sono un 1,230 milioni di euro per i servizi (nel 2014 sono stati 1,093 milioni di euro) e 240 mila euro per il personale, il doppio rispetto al 2014, quando la spesa si era fermata a 120 mila euro. Nel capitolo «altri costi di funzionamento organi» sembrerebbe essere certificata una spesa di 330 mila euro, pari a quella dell'anno precedente. Il totale dei contributi statali ha però subito una variazione nell'aprile del 2015. Nella «relazione del segretario generale al primo provvedimento di variazione al bilancio di previsione» per il 2015, risulterebbe infatti riportata una «variazione positiva» di quasi 300 mila euro derivanti proprio dai finanziamenti statali e una diminuzione di altre spese come convegni, congressi, meeting;
   gli stipendi percepiti dal presidente, l'ex deputato Mario Baccini, e dal segretario generale, Riccardo Graziano, corrispondono rispettivamente a 108 mila euro lordi all'anno, e a 147 mila euro lordi all'anno;
   a questi elevati costi di retribuzione, che, a giudizio degli interroganti, risultano inaccettabili soprattutto in considerazione dell'attuale condizione di crisi economica e sociale che attraversa il Paese, non parrebbero corrispondere iniziative concrete utili e fruttuose, tanto che l'ente è stato richiamato anche dal vicepresidente della Rete italiana Microfinanza, Gianpietro Pizzo: «Anziché organizzare convegni a destra e a manca, ci aspettiamo che l'Ente supporti lo sviluppo di questo settore. E che ci coinvolga un po’ di più. In questo periodo il credito sta subendo una stretta. È proprio in fasi come questa che il microcredito può svolgere un ruolo fondamentale. Il tempo dei seminari è finito, adesso è il momento di produrre finanziamenti. Soldi veri» –:
   su quale bilancio gravino le indennità percepite dagli organismi dirigenti, se non ritengano anomalo che uno dei promotori della iniziativa di costituire l'ente ricopra egli stesso la carica di presidente e se non intenda chiarire le ragioni per cui l'Ente nazionale per il microcredito, valutato prima «inutile» e successivamente ritenuto indispensabile, abbia registrato un potenziamento dei finanziamenti statali.
(4-10757)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   MARTELLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi l'ex pretore e presidente del Tribunale di Pordenone, Dott. Antonio Lazzaro, nel corso della apertura dell'Anno accademico dell'Università della Terza Età del Portogruarese ha denunciato la scomparsa di alcuni documenti dall'archivio storico della Pretura di Portogruaro;
   Portogruaro è stata sede di Pretura sin dal 1870 e i documenti scomparsi si riferiscono a reati consumati proprio a partire da quel periodo;
   in base a quanto sostenuto nella suddetta sede i fascicoli giudiziari del tribunale di Portogruaro erano conservati presso palazzo Altan fin quando non sono stati soppressi gli uffici giudiziari di Portogruaro per essere trasferiti a Pordenone, ma oggi non risulterebbero più né a Portogruaro né a Pordenone;
   suddetti documenti non sarebbero presenti neppure presso la sede del Tribunale di Venezia;
   tale notizia ha suscitato notevole scalpore presso la comunità portogruarese –:
   si chiede pertanto di sapere se il Ministro sia a conoscenza di tale incresciosa scomparsa e quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, al fine di accertare quanto accaduto e so possibile di recuperare i documenti di cui in premessa. (4-10747)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GRILLO, DELL'ORCO, CANCELLERI, DI BENEDETTO, DI VITA, LUPO, MANNINO, NUTI, D'UVA, LOREFICE, MARZANA, RIZZO e VILLAROSA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il signor Cosimo Indaco è stato nominato, ai sensi e per gli effetti della legge 28 gennaio 1994, n. 84, «Riordino della legislazione in materia portuale», commissario straordinario dell'autorità portuale di Catania, con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 9 aprile 2015, n. 120. Questa nomina consegue all'analoga e precedente nomina a commissario straordinario avvenuta con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 22 settembre 2014, n. 383;
   le autorità portuali sono enti pubblici non economici, come stabilito dal comma 993 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 1996. In forza di tale qualifica a tali enti si applica la legge n. 190 del 2012 (legge Severino) e i suo decreti delegati e segnatamente il decreto legislativo n. 33 del 2013 e il decreto legislativo n. 39 del 2013. In tale senso si veda il parere espresso dal dipartimento della funzione pubblica in data 29 settembre 2013;
   le nomine sopra citate sono state effettuate ai sensi dell'articolo 7 della citata legge 28 gennaio 1994, n. 84, ove è previsto che con decreto il Ministro dei trasporti e della navigazione (ora MIT) nomina un commissario che esercita, per un periodo massimo di sei mesi, le attribuzioni conferitegli con il decreto stesso;
   il citato articolo 7, peraltro, presuppone che il commissario straordinario sia susseguente alla revoca del mandato del presidente e allo scioglimento del comitato portuale; mentre nel caso di specie il commissario straordinario subentra solo al presidente ed infatti i decreti di nomina del signor Cosimo Indaco espressamente prevedono che al nominato commissario sono conferiti i poteri e le attribuzioni di cui all'articolo 8 della legge 28 gennaio 1994, n. 84, ovvero i poteri attribuiti ordinariamente al presidente dell'autorità portuale;
   il comitato portuale risulta costituito, ai sensi dell'articolo 9 della legge n. 84 del 1994, con decreto n. 3 del commissario straordinario del 20 gennaio 2013; presieduto dall'allora commissario straordinario dottor Cosimo Aiello. Nel comitato portuale risulta essere presente lo stesso signor Cosimo Indaco come «rappresentante della categoria degli spedizionieri»;
   il comma 6 dell'articolo 6 della legge n. 84 del 1994 prevede che «Le autorità portuali non possono esercitare, né direttamente, né tramite la partecipazione di società, operazioni portuali ed attività ad esse strettamente connesse»;
   ai sensi dell'articolo 1 comma 2, lettera f) del decreto legislativo 39 del 2013 per «componenti di organi di indirizzo politico», s'intendono «le persone che partecipano, in via elettiva o di nomina, a organi di indirizzo politico delle amministrazioni statali, regionali e locali, quali Presidente del Consiglio dei ministri, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e commissario straordinario del Governo di cui all'articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400, parlamentare, Presidente della giunta o Sindaco, assessore o consigliere nelle regioni, nelle province, nei comuni e nelle forme associative tra enti locali, oppure a organi di indirizzo di enti pubblici, o di enti di diritto privato in controllo pubblico, nazionali, regionali e locali»;
   ai sensi dell'articolo 1, comma 2, lettera l) del decreto legislativo n. 39 del 2013 per «incarichi di amministratore di enti pubblici e di enti privati in controllo pubblico», s'intendono «gli incarichi di Presidente con deleghe gestionali dirette, amministratore delegato e assimilabili, di altro organo di indirizzo delle attività dell'ente, comunque denominato, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico»;
   il commissario straordinario di un'autorità portuale è da includersi tra i componenti degli organi d'indirizzo politico, unitamente al comitato portuale; non si comprende pertanto la collocazione, nel sito istituzionale in seno alla sezione amministrazione trasparente e tra gli organi di vertice dell'ente, del commissario straordinario dell'autorità portuale di Catania, come fosse «personale» dell'ente;
   il presidente dell'autorità portuale (ergo anche il commissario straordinario), ai sensi del già citato articolo 8 della legge 28 gennaio 1994 n. 84, ha precise ed estese deleghe gestionali dirette;
   il signor Cosimo Indaco risulta, come da visura camerale del 21 settembre 2015, essere socio (nominato con atto 13 maggio 2013) della società di spedizioni doganali – «Angelo Perez di Cosimo Indaco & c. snc» – P.IVA 00156820870, che opera nel porto di Catania; «attività che esercita da decenni in stretta simbiosi con l'evoluzione e la crescita del porto», come si legge dal sito della società; tanto ciò è vero che sul sito dell'autorità portuale di Catania è riportato, tra gli spedizionieri del porto, proprio il nominativo di suddetta società;
   ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 39 del 2013 «A coloro che, nei due anni precedenti, abbiano svolto incarichi e ricoperto cariche in enti di diritto privato o finanziati dall'amministrazione o dall'ente pubblico che conferisce l'incarico ovvero abbiano svolto in proprio attività professionali, se queste sono regolate, finanziate o comunque retribuite dall'amministrazione o ente che conferisce l'incarico, non possono essere conferiti: a) gli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni statali, regionali e locali; b) gli incarichi di amministratore di ente pubblico, di livello nazionale, regionale e locale; c) gli incarichi dirigenziali esterni, comunque denominati, nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici che siano relativi allo specifico settore o ufficio dell'amministrazione che esercita i poteri di regolazione e finanziamento»;
   ai sensi dell'articolo 9 del decreto-legge n. 39 del 2013, comma 2, «Gli incarichi amministrativi di vertice e gli incarichi dirigenziali, comunque denominati, nelle pubbliche amministrazioni, gli incarichi di amministratore negli enti pubblici e di presidente e amministratore delegato negli enti di diritto privato in controllo pubblico sono incompatibili con lo svolgimento in proprio, da parte del soggetto incaricato, di un'attività professionale, se questa è regolata, finanziata o comunque retribuita dall'amministrazione o ente che conferisce l'incarico»;
   alcuni parlamentari nazionali e siciliani del Movimento 5 Stelle in data 5 ottobre 2015 hanno inviato sulla questione, sopra esposta, una lettera al presidente dell'Autorità nazionale anti corruzione –:
   se il conferimento dell'incarico di commissario straordinario dell'autorità portuale di Catania a Cosimo Indaco sia pienamente conforme alla normativa di cui in premessa e quali iniziative di competenza intenda intraprendere al riguardo. (5-06671)


   FABBRI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la tratta ferroviaria dell'alta velocità Bologna-Roma è stata oggetto negli ultimi mesi di incidenti mortali causati nella maggior parte da suicidi o da persone investite da treni in corsa mentre attraversavano i binari;
   oltre ai convogli dell'alta velocità, detta tratta ferroviaria è attraversata anche da treni regionali e locali per cui si registra una notevole frequenza giornaliera di passaggi di treni;
   oltre alla perdita di vite umane, questi incidenti causano ritardi, cancellazioni di corse e innumerevoli disagi all'utenza nonché notevoli costi a Trenitalia per i rimborsi dovuti agli utenti per i ritardi;
   l'accesso ai binari, stante l'assenza di elementi d'interdizione quali muri e/o reti di protezione, spesso in diversi punti, facilita il compito di quegli aspiranti suicidi che usano i binari dei treni per porre in atto i loro insani gesti;
   è sempre più d'uso comune da parte dei viaggiatori il non utilizzo dei sottopassaggi, o a causa dell'inagibilità/degrado in cui versano o perché ritenuti dispendiosi in termini di tempo;
   le Ferrovie dello Stato non hanno mai disposto, né progettato o realizzato reti o muretti in calcestruzzo a protezione delle aree di allocazione delle rotaie lungo i tratti più pericolosi del tragitto, ed in particolar modo nei tratti di attraversamento dei centri abitati dei comuni limitrofi –:
   se non ritenga opportuno verificare lo stato di interdizione dei binari lungo la rete ferroviaria nazionale, con particolare attenzione a quelle tratte che hanno registrato maggiori incidenti;
   se è in grado di quantificare il numero di suicidi e/o incidenti mortali sui binari negli ultimi 5 anni al fine di mappare eventuali zone di pericolo lungo la tratta ferroviaria suddetta e porvi quindi rimedio. (5-06672)


   DADONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   a partire dall'inizio dell'anno 2013 si paventò la possibilità della chiusura della linea ferroviaria Cuneo-Ventimiglia-Nizza, palesatasi ad aprile del medesimo anno quando l'amministratore delegato di Trenitalia dichiarò che la linea rappresentava un «ramo secco» (ciò nonostante ogni giorno 900 persone utilizzassero la citata linea);
   nello stesso periodo iniziavano le mobilitazioni dei comitati di cittadini che, a fine dell'anno medesimo, raccoglievano quasi 25.000 a sostegno della linea;
   a novembre del 2013 nell'importante vertice sui trasporti italo-francese tra Letta e Hollande, il primo, citando la linea ferroviaria Cuneo-Ventimiglia-Nizza, ne dichiarava l'importanza strategica;
   in occasione di detto vertice, Italia e Francia assumevano l'impegno di rivedere la vecchia Convenzione del 1970, molto penalizzante per l'Italia;
   nonostante ciò, pochi giorni dopo, a dicembre 2013, Trenitalia, ha ridotto, d'intesa con la regione Piemonte alla presidenza di Cota da 16 a 4 le corse sulla linea. Diventavano così quasi inesistenti le coincidenze a Cuneo dei treni provenienti da Torino, dalla Liguria e dalla Francia;
   nel 2014 si susseguivano, alle manifestazioni di cittadini e comitati, gli interessamenti da parte dei rappresentanti politici locali e nazionali;
   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Lupi, sollecitato a rispondere in merito in diverse sedi, prometteva più volte finanziamenti per i lavori da effettuare sulla linea, finanziamenti che puntualmente non arrivano;
   a seguito dei numerosi incontri fra le tre regioni confinanti, al fine di sbloccare la situazione, il Ministro Lupi annunciava; a settembre del 2014, lo stanziamento di 29 milioni di euro nel decreto cosiddetto «Sblocca Italia»;
   nel marzo 2015 veniva firmato il protocollo per l'inizio dei lavori tra le ferrovie francesi e italiane e la regione Piemonte;
   la Francia (Governo, Provence Alpe Cote D'Azur, Reseau Ferre De France) stanziava 20 milioni per i lavori di risanamento della linea;
   in data 31 luglio 2015 venivano approvati i bandi di affidamento dei lavori;
   i pochi treni rimasti in funzione sulla linea risultavano (e risultano) costantemente sovraffollati, coi relativi disagi e disservizi per i passeggeri;
   a fine settembre 2015 il Comitato ferrovie locali, con l'aiuto dei giornali locali, lanciava una seconda raccolta firme volta ad aumentare da 4 a 8 le corse, rappresentando questo numero il minimo per garantire la sopravvivenza della linea;
   la regione Piemonte dichiarava di non avere le disponibilità finanziarie per mettere in atto questa operazione;
   nello stesso tempo il Comitato ferrovie locali di Cuneo sollecitava il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Delrio e il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Gentiloni, affinché si arrivasse rapidamente ad una revisione della Convenzione del 1970, che definisse, un'equa ripartizione dei costi fra i due Stati (Italia e Francia) sia per interventi strutturali sulla linea, tali da renderla stabilmente efficiente, con un'ulteriore finanziamento di 40-45 milioni, sia per interventi gestionali per il miglioramento del servizio e, in particolare, per l'aumento del numero delle corse;
   si ricorda come la linea ferroviaria abbia una grande valenza economica sia sul piano turistico che commerciale, oltre a rappresentare un'opera di alto valore intrinseco (10 miliardi) e ingegneristico –:
   quali azioni concrete i Ministri interrogati intendano assumere per rivedere la Convenzione del 1970, al fine di definire un'equa ripartizione dei costi fra i due Stati;
   se il Governo abbia intenzione di assumere iniziative per prevedere un ulteriore stanziamento di fondi (quantificabile in circa 40-45 milioni di euro) al fine di porre in essere interventi strutturali sulla linea e di migliorare il servizio con l'aumento delle corse dei treni. (5-06674)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CARLONI, RAMPI, PREZIOSI, IORI, GNECCHI, IMPEGNO, CRIVELLARI e VALERIA VALENTE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la società Nuovo Trasporto Viaggiatori (NTV), ai sensi e per gli effetti del Decreto legislativo 8 luglio 2003 n. 188, è titolare di licenza ferroviaria n. 44 rilasciata dal Ministero dei trasporti in data 6 febbraio 2007, nonché di titolo autorizzatorio rilasciato dal Ministero dei trasporti con decreto n. 111T del 28 luglio 2007;
   la società Rete ferroviaria italiana (RFI), del gruppo Ferrovie dello Stato italiane (FSI), risulta essere gestore dell'infrastruttura ferroviaria nazionale, secondo quanto previsto dalla concessione rilasciata dal Ministero dei trasporti e della navigazione con decreto ministeriale n. 138T del 31 ottobre 2000, e, quindi, è responsabile anche del sedime ferroviario e delle banchine della stazione di Roma Termini;
   l'Autorità di regolazione dei trasporti (ART), secondo quanto riportato dagli organi di stampa (La Repubblica del 13 marzo 2015), a seguito di segnalazioni mosse dalla società NTV, ha avviato con delibera n. 24 del 12 marzo 2015 un procedimento contro RFI per l'adozione di provvedimenti sanzionatori relativi all'inottemperanza alle misure di regolazione immediatamente esecutive, concernenti l'accesso equo e non discriminatorio alle infrastrutture ferroviarie, di cui alla delibera prevista dell'ART n.70 del 2014 del 31 ottobre 2014;
   la società NTV effettua tutti i giorni, secondo l'orario ferroviario in vigore dal 14 giugno al 31 ottobre 2015, il servizio del treno Alta Velocità Italo n. 35924 con partenza dalla stazione di Salerno alle ore 9:57 ed arrivo a Torino – Porta Susa alle ore 16:17;
   il suddetto treno effettua le seguenti fermate intermedie nelle stazioni di: Napoli Centrale (partenza ore 10:45), Roma Tiburtina (11:55), Firenze Santa Maria Novella (13:25), Bologna Centrale (14:03), Reggio Emilia AV (14:24), Milano Rogoredo (15:05), Milano Porta Garibaldi (15:28), Milano Rho Fiera (15:41);
   il suddetto convoglio, in data martedì 6 ottobre 2015, parte regolarmente dalla stazione di Salerno, per poi lasciare la stazione di Napoli Centrale sempre in linea con l'orario previsto (ore 10:45);
   nel tratto fra Napoli e Roma, il convoglio accumula circa un'ora di ritardo, entrando nella stazione di Roma Termini alle ore 12:40, nonostante la suddetta fermata non fosse prevista dall'orario ferroviario e senza fornire spiegazioni in merito ai passeggeri presenti all'interno del treno;
   giunto alla stazione di Roma Termini, ai passeggeri viene comunicato che le porte non si sarebbero aperte per permettere il deflusso degli stessi, ma che sarebbe stato possibile scendere alla successiva fermata di Roma Tiburtina, secondo quanto previsto dall'orario ferroviario;
   tuttavia, il convoglio resta fermo sui binari di Roma Termini fino alle ore 13:15, senza che il personale fornisca alcuna spiegazione ai passeggeri, i quali, già provati dal lungo ritardo, si rivolgono con energia alle assistenti di viaggio presenti sulle carrozze, chiedendo di interloquire con il capotreno e con gli autisti;
   le assistenti di viaggio accompagnano una delegazione di passeggeri presso lo scompartimento del capotreno e dei macchinisti, che rileva però l'assenza di entrambi;
   data l'impossibilità di parlare con il personale di guida, e constatato che gli assistenti di viaggio non erano autorizzati all'apertura delle porte per far defluire i passeggeri nella stazione di Roma Termini, questi si rivolgono alla polizia ferroviaria che procede, dopo pochi minuti, all'apertura delle porte al fine di far scendere i passeggeri nella stazione di Roma Termini –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti illustrati e, per quanto di sua competenza, se non ritenga opportuno assumere iniziative urgenti al fine di individuare i responsabili di quanto accaduto, garantire livelli adeguati di informazione ai passeggeri in caso di disservizi, nonché assumere iniziative volte ad operare una chiara regolazione dei rapporti fra gestore della rete ferroviaria e aziende di trasporto, così da garantire la libera circolazione dei passeggeri, assicurando nel contempo il diritto alla mobilità dei cittadini secondo quanto stabilito dall'articolo 16 della Costituzione Italiana e dall'articolo II-105 della Carta dei diritti dell'Unione europea. (4-10750)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 32, comma 13, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, attribuisce le attività di monitoraggio e di raccolta delle informazioni relative al fenomeno dell'abusivismo edilizio, di competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in capo all'Osservatorio nazionale dell'abusivismo edilizio;
   ai sensi del citato articolo 32, il Ministero collabora con le regioni al fine di costituire un sistema informativo nazionale necessario anche per la redazione della relazione al Parlamento di cui all'articolo 9 del decreto-legge 23 aprile 1985, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1985, n. 298;
   l'articolo 9 del decreto-legge 23 aprile 1985, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1985, n. 298, prevede la presentazione al Parlamento, entro il 15 marzo di ogni anno, da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di una relazione sullo stato di attuazione, nell'anno precedente, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, con particolare riguardo alla attuazione ed alla efficacia delle norme di prevenzione e repressione dell'abusivismo edilizio;
   pertanto, dal combinato disposto delle due norme, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dovrebbe controllare i fenomeni di abusivismo edilizio, informando il Parlamento sulle attività svolte;
   infatti, la direzione generale per le politiche abitative, abusivismo edilizio, osservatorio e contenzioso ha una serie di competenze sulla raccolta e valutazione dei dati sull'abusivismo edilizio, che in particolare consistono in:
    a) supporto a enti locali e regioni nella individuazione e repressione dell'abusivismo edilizio;
    b) monitoraggio del fenomeno dell'abusivismo edilizio anche su dati forniti dai comuni;
    c) promozione di accordi quadro contro l'abusivismo su beni demaniali;
    d) repressione delle violazioni urbanistiche;
    e) coordinamento dell'attività delle commissioni per l'uso della forza pubblica;
    f) raccolta delle segnalazioni pubbliche e private su manufatti abusivi;
    g) gestione del contenzioso;
    h) osservatorio dell'abusivismo edilizia. Acquisizione, raccolta, elaborazione, diffusione e valutazione dei dati sull'abusivismo edilizio;
   l'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (testo unico in materia di edilizia) recita:
    «4-bis. L'autorità competente, constatata l'inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 2.000 euro e 20.000 euro, salva l'applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti. La sanzione, in caso di abusi realizzati sulle aree e sugli edifici di cui al comma 2 dell'articolo 27, ivi comprese le aree soggette a rischio idrogeologico elevato o molto elevato, è sempre irrogata nella misura massima. La mancata o tardiva emanazione del provvedimento sanzionatorio, fatte salve le responsabilità penali, costituisce elemento di valutazione della performance individuale nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente.
    4-ter. I proventi delle sanzioni di cui al comma 4-bis spettano al comune e sono destinati esclusivamente alla demolizione e rimessione in pristino delle opere abusive e all'acquisizione e attrezzatura di aree destinate a verde pubblico.
    4-quater. Ferme restando le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, le regioni a statuto ordinario possono aumentare l'importo delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal comma 4-bis e stabilire che siano periodicamente reiterabili qualora permanga l'inottemperanza all'ordine di demolizione» –:
   se in ottemperanza a quanto stabilito nel citato articolo del testo unico in materia di edilizia, si stato effettuato un monitoraggio sull'efficacia della normativa di cui in premessa e sul grado di applicazione di tali disposizioni su tutto il territorio nazionale. (4-10756)


   PELLEGRINO, ZARATTI e COSTANTINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4 del decreto-legge n. 47 del 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 28 marzo 2014, n. 73, prevedeva l'emanazione, entro quattro mesi dalla sua entrata in vigore, di un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, d'intesa con la Conferenza Unificata, per l'individuazione dei criteri per la formulazione di un programma di recupero e razionalizzazione degli immobili e degli alloggi di edilizia residenziale pubblica di proprietà dei comuni e degli istituti autonomi per le case popolari;
   il suddetto decreto attuativo, che avrebbe dovuto essere emanato entro il luglio 2014, in realtà è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale solamente il 21 maggio 2015, quasi un anno dopo quanto previsto dalla legge;
   anche a causa del forte ritardo nell'emanazione dei decreti attuativi, sono ben lontani dal partire gli interventi di recupero degli alloggi di edilizia popolare da rendere disponibili a una piccola parte delle 650 mila famiglie in graduatoria da anni per una casa;
   come ricorda un articolo de Il Fatto Quotidiano del 4 ottobre 2015, al programma di recupero di immobili e alloggi di edilizia residenziale pubblica, il cosiddetto «decreto di Lupi» ha destinato 467,9 milioni di euro. Di questi 67,9 milioni di euro dovrebbero finanziare piccoli interventi, fino a 15 mila euro, per rendere disponibili il prima possibile una parte dei 16 mila appartamenti al momento non utilizzati, mentre 400 milioni di euro spalmati su 10 anni servirebbero a manutenzioni straordinarie più consistenti. Ma la somma sinora impiegata è pari a zero euro. Il decreto attuativo infatti è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale solo a maggio, più di un anno dopo l'approvazione del piano casa da parte del Consiglio dei ministri. E dava tempo fino al 18 settembre 2015 perché le singole regioni inviassero al Ministero competente la lista degli interventi programmati. Hanno risposto tutte, tranne la Campania che ha chiesto ancora più tempo. Mentre i lavori non sono ancora iniziati da nessuna parte, con i primi interventi che ormai potranno essere portati a termine solo dopo i primi mesi dell'anno prossimo;
   finora si sta assistendo a un insuccesso del «decreto Lupi», a meno che non si voglia, come ricorda il suddetto articolo di stampa, considerare un successo i 204 contratti rinnovati in tutta Italia a chi senza colpa non è riuscito a pagare l'affitto, quando nel 2014 gli sfratti per morosità, colpevole e non, sono stati 69 mila. Le norme che avrebbero dovuto risolvere l'emergenza abitativa, a un anno e mezzo, dall'approvazione da parte del Governo del decreto voluto dall'ex Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sono ancora prive di attuazione. Restano in gran parte inutilizzati i fondi stanziati per aiutare le persone disagiate, che hanno perso il lavoro o si sono ammalate all'improvviso, ed evitare loro lo sfratto;
   il piano casa ha rifinanziato il Fondo nazionale per l'accesso alle abitazioni in locazione, portando a 100 milioni di euro la disponibilità sia per il 2014 che per il 2015. Il Governo ha successivamente deciso di riservare il 25 per cento della quota 2015, ovvero 25 milioni di euro, alle famiglie disagiate sottoposte a procedure esecutive di sfratto per finita locazione. Con risultati però assai deludenti, come risulta dai dati dello stesso Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Su una disponibilità complessiva per il biennio 2014-2015 che, con i finanziamenti degli enti locali, arriva a oltre 324 milioni di euro, al 30 giugno 2015 le risorse assegnate dalle regioni ai comuni sono state di appena 93,7 milioni di euro, di cui solo 88 milioni di euro effettivamente trasferite. Va ancora peggio se l'analisi si limita alla riserva del 25 per cento, con trasferimenti ai comuni di appena 3,5 milioni di euro su 25;
   il 2 luglio 2015 il sottosegretario Umberto Del Basso De Caro, rispondendo in Commissione ambiente della Camera a una interrogazione sull'emergenza abitativa, faceva una serie di affermazioni di questo tenore: esiste il problema di «un utilizzo non soddisfacente delle risorse impegnate»; vi è la necessità «di dare risposte più incisive e immediate alle categorie sociali deboli sottoposte a procedure esecutive di rilascio»; «si tratta di studiare o rafforzare strumenti a livello locale che favoriscano il passaggio “da casa a casa” utilizzando le risorse già disponibili sia con il Fondo inquilini morosi incolpevoli che con la riserva del 25 per cento sulla disponibilità di 100 milioni del 2015 relativa al Fondo nazionale per l'accesso alle abitazioni in locazione»; «occorre indirizzare le risorse che si renderanno disponibili più verso una logica di “prevenzione” e affiancamento dei soggetti che possono divenire morosi incolpevoli piuttosto che intervenire a posteriori con tutte le difficoltà che possono insorgere nel ristabilire un corretto equilibrio nel rapporto tra inquilino e proprietario»;
   quanto detto conferma la necessità di rivedere la normativa vigente che attualmente non è in grado di dare risposte soddisfacenti all'emergenza abitativa;
   va peraltro ricordato che il fondo di sostegno all'affitto è rifinanziato solo fino al 2015, e la cedolare secca ridotta per i contratti concordati è valida solo fino al 2017 e, senza le certezze del mantenimento della misura anche dopo il 2017, ciò porterà progressivamente la proprietà a non utilizzare questo strumento –:
   quali iniziative concrete e realmente efficaci si intendano avviare con urgenza, già dal prossimo disegno di legge di stabilità, in grado di dare certezze ai cittadini in situazioni di maggiore disagio abitativo, anche alla luce delle forti ed evidenti criticità esposte in premessa circa l'attuazione, delle norme contenute nel decreto-legge n. 47 del 2014. (4-10759)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RONDINI e SIMONETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il trend della sorveglianza sanitaria (SS) sui lavoratori e relative visite di idoneità da parte del medico competente è in forte aumento, con una conseguente crescita dei contenziosi contro i giudizi emessi;
   si registrano casi in cui il titolare di impresa chiede erroneamente il giudizio di idoneità alla mansione anche su lavoratori non a rischio; accade infatti che l'azienda esprime dubbi sull'idoneità del lavoratore ad una specifica mansione, di conseguenza fa fare la visita al medico competente, che magari ne valuta l'inidoneità o un'idoneità parziale sui rischi non normati esplicitamente nel decreto 81 del 2008 ed al lavoratore non resta che ricorrere all'apposita commissione presente presso l'ASL territorialmente competente avverso il giudizio emesso dal medico competente (MC) per tutelare il proprio posto di lavoro;
   invero, a parere degli interroganti, la corretta lettura del decreto legislativo 81 del 2008 porrebbe a carico del datore di lavoro l'eliminazione dei rischi lavorativi ovvero la loro riduzione al minimo consentito dalla ricerca scientifica e dalle applicazione tecnologiche derivanti, rimanendo la sorveglianza sanitaria sui rischi lavorativi ineliminabili e residuali, con l'ausilio del medico competente che è il consulente globale del datore di lavoro su tali problematiche;
   il problema, infatti, scaturisce dall'applicazione dell'articolo 18, comma 1, lettera c) del decreto legislativo n. 81 del 2008 (che contempla tra i compiti del datore di lavoro, nell'affidare gli incarichi ai lavoratori, quello di tenere conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza) e dall'articolo 41, comma 1, lettera a) del medesimo decreto legislativo 81 del 2008, come modificato dal decreto legislativo n. 106 del 2009 (che elenca cosa comprende la sorveglianza sanitaria);
   in particolare, il problema sorge ove il datore di lavoro nella generale valutazione dei rischi nell'ambito della quale il medico competente è obbligato alla collaborazione ex articolo 25, comma 1, lettera a), del decreto – rilievi un possibile aumento del rischio di infortuni da rischi non normati e pertanto, tramite l'azione del medico competente, avvii una ricerca attiva nei confronti di tali patologie da causa extralavorativa ma incidenti sulla idoneità alla mansione specifica;
   d'altra parte, la previsione di cui al citato articolo 18, comma 1, lettera c), prevede un generico avvertimento nei confronti del datore di lavoro nell'assegnare i compiti: «tenuto conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza»; si può così configurare ex lege una sorveglianza sanitaria con protocollo sanitario e susseguenti giudizi di idoneità alla mansione su patologie extralavorative incidenti sui rischi di mansione non normati;
   un'interpretazione estensiva della norma comporterebbe che tutti rischi non normati, purché inseriti nel, documento di valutazione dei rischi, potrebbero essere soggetti a sorveglianza sanitaria da parte del medico competente, atteso che una volta approvato il documento di valutazione dei Rischi (DVR) al quale il medico competente deve «collaborare», come si evince dalla sentenza della Corte di cassazione n. 1856/13, il medico competente dovrebbe stilare un protocollo sanitario «mirato» ai rischi evidenziati nel documento di valutazione dei rischi, innescandosi in tal modo un meccanismo di «obbligatorietà» da parte del dipendente a sottoporsi alla sorveglianza sanitaria (costituendosi così «de facto» un vero e proprio trattamento sanitario obbligatorio – TSO) al quale il dipendente non può sottrarsi pena il licenziamento –:
   se i Ministri interrogati non ritengano, per quanto di competenza, di adottare le opportune iniziative per un'interpretazione univoca del combinato normativo citato in premessa, al fine di ricondurre l'azione del medico competente nell'ambito delle sua specificità, ed evitare la sovrapposizione di compiti con altre figure mediche che attualmente seguono le patologie di origine extralavorativa (la medicina territoriale) e che rimangono dei riferimenti per il cittadino, in quanto da lui liberamente scelti, eliminando ogni dubbio nella circostanza che il sistema della «non idoneità» possa essere utilizzato dalle aziende per tagliare la forza lavoro. (5-06678)


   LODOLINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la direzione generale della Fondazione Don Gnocchi ha annunciato la disdetta del contratto collettivo nazionale attualmente applicato, a partire dal 6 dicembre 2015;
   questa decisione unilaterale è stata assunta dalla Fondazione a margine di un confronto con le organizzazioni sindacali, in corso fin dal 2013, per la ricerca di soluzioni che, nella pienezza della tutela dei lavoratori, consentisse comunque di uscire dalla crisi finanziaria manifestata –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se non intenda farsi promotore nell'attivazione di un tavolo negoziale che possa, con responsabilità, operare per recuperare gli equilibri contrattuali entro le scadenze indicate. (5-06680)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ASCANI, BONOMO, COCCIA, GINATO, GIULIETTI, CAPODICASA, MANFREDI, CARROZZA, OLIVERIO, ALBANELLA, SERENI, D'INCECCO, COMINELLI, LODOLINI, AMATO, CANI, GADDA, PATRIARCA, GARAVINI, GALPERTI, TINO IANNUZZI, BLAZINA, VERINI, ARLOTTI, ANTEZZA, GRASSI, CARRA, TACCONI, RAMPI, PAOLA BOLDRINI, PRINA, FRAGOMELI, ROCCHI, CARRESCIA, BASSO, MOSCATT, MINNUCCI, GASPARINI, CARELLA, CARLONI, GHIZZONI, GIULIANI, MARCO DI MAIO, VENTRICELLI, PATRIZIA MAESTRI, CAPOZZOLO, CHAOUKI, MALISANI, CASTRICONE, TENTORI, AMODDIO, BORGHI, ZARDINI, PIAZZONI, RUBINATO, NARDUOLO, ROSTELLATO, IMPEGNO, GIUDITTA PINI, CAPONE, NICOLETTI, RIGONI, SGAMBATO, ROTTA, DONATI, LATTUCA, TARICCO, TINAGLI, COVA, CINZIA MARIA FONTANA, CENSORE, VENITTELLI, DI SALVO e PREZIOSI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
   in attuazione della raccomandazione del Consiglio dell'Unione europea del 22 aprile 2013, il Governo ha approvato il piano nazionale «Garanzia Giovani»; l'iniziativa, che ha preso avvio il 1° maggio 2014, si pone l'obiettivo di fornire ai giovani dai 15 ai 29 anni, disoccupati o i cosiddetti «Neet» (Not in Education, Employment or Training), un'offerta qualitativamente valida di lavoro, un proseguimento degli studi, un apprendistato, un tirocinio, un inserimento nel servizio civile o altra misura di formazione;
   secondo l'ultimo rapporto sul monitoraggio del piano, depositato l'11 settembre 2015, si evidenzia una crescita dei giovani che vi hanno aderito. Al 10 settembre, infatti, il numero degli utenti complessivamente registrati ha superato le 746 mila unità, con un netto delle cancellazioni pari a 646.977. Inoltre, si continua a registrare l'inserimento spontaneo delle occasioni di lavoro: le aziende continuano ad inserire annunci sul portale nazionale, direttamente o per il tramite delle agenzie per il lavoro e, stando sempre ai dati del rapporto ufficiale, le opportunità di lavoro complessive pubblicate dall'inizio del progetto sono pari a 61.223, per un totale di posti disponibili pari a 88.215; di queste 751 disponibilità sono ad oggi attive, per un totale di 1.584 posti disponibili. A questi numeri vanno poi aggiunti quelli derivanti dall'incrocio che può avvenire tramite i servizi per l'impiego, in attesa della partecipazione alle singole misure a seguito degli avvisi regionali e dell'avvio dei bonus occupazionale;
   questi sono i risultati in positivo di un piano che, articolato sulle annualità 2014 e 2015, riguarda l'intero territorio nazionale (ad eccezione della provincia autonoma di Bolzano), è stato avviato con una dotazione finanziaria complessiva di 1.513 milioni di euro e viene attuato per il mezzo delle regioni o delle province autonome che, collegate in rete tra loro, raccolgono le adesioni dei giovani al piano, prendendosi carico della profilazione dei richiedenti mediante l'ausilio dei servizi per l'impiego o delle agenzie private accreditate;
   i giovani, selezionati in base al profilo e alle disponibilità territoriali, sulla base di un «patto di servizio» regolano l'inserimento al lavoro, l'apprendistato, il tirocinio, il servizio civile o le altre opportunità di istruzione e formazione o autoimprenditorialità, con l'intermediazione degli operatori competenti e delle regioni o delle province autonome;
   sono le regioni o le province autonome, infatti, a definire le modalità organizzative e di attuazione del piano, sulla base di linee guida emanate a livello ministeriale; le stesse regioni o le province autonome, poi, determinano l'ammontare dei bonus occupazionali e degli incentivi di cui possono usufruire le imprese che assumono con contratto a tempo determinato o indeterminato. Inoltre, sempre le regioni o le province autonome, stabiliscono l'importo delle indennità da corrispondere per i tirocini e, tramite apposite convenzioni, basate sulla Convenzione quadro approvata con Determinazione commissariale del 7 agosto 2014, n. 185, scelgono, o meno, di affidare all'Istituto nazionale della previdenza sociale – INPS il servizio di gestione dell'indennità del tirocinio. Con il messaggio del 3 settembre 2014, n. 6789, l'INPS comunicava l'elenco delle regioni o delle province autonome che hanno stipulato suddette convenzioni e che, ad oggi, è il seguente: Lazio, Puglia, Friuli Venezia Giulia, Calabria, Campania, Valle D'Aosta, Piemonte, Marche, Basilicata, Liguria, Umbria, Veneto, Toscana, Emilia Romagna, Abruzzo, Sicilia, Lombardia. Tra queste regioni e province autonome, alcune hanno affidato all'INPS anche il servizio di erogazione dell'indennità di tirocinio, mentre altre hanno scelto di attribuire al soggetto ospitante il compito dell'erogazione diretta del compenso, salvo consentire a quest'ultimo il rimborso tramite l'INPS, una volta concluso il tirocinio medesimo;
   purtroppo, tra le regioni e le province autonome che hanno deciso di affidare all'INPS anche il servizio di erogazione dell'indennità di tirocinio, si sono registrati numerosi ritardi nella corresponsione di quanto dovuto ai tirocinanti, senza che questi ultimi possano contestare tali ritardi in quanto, nello schema di Convenzione approvata il 7 agosto 2014 è specificato che «l'INPS non si assume alcuna responsabilità nei confronti dei beneficiari in ordine a eventuali ritardi nell'accreditamento», ex articolo 3, comma 3, e che l'ente «effettua i pagamenti nei limiti delle risorse finanziarie anticipate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali», ex articolo 2, comma 3, mancando ogni indicazione, invece, sul quando e ogni quanto l'erogazione del rimborso vada effettuata;
   nonostante lo schema di Convenzione preveda che l'ultimo pagamento a favore dei beneficiari dovrà essere effettuato entro il 30 novembre 2018, termine di validità del medesimo provvedimento, la situazione in cui molti giovani tirocinanti a tutt'oggi versano appare contraria alle stesse finalità del piano «Garanzia Giovani» al quale hanno aderito;
   anche nell'azione servizio civile «Garanzia Giovani», che si è sviluppata con proprie modalità decise in alcuni territori da normative regionali e in altri da normative affidate dalle regioni al Dipartimento gioventù e servizio civile nazionale, si stanno presentando casi di ritardi nei pagamenti ai giovani. In questi casi il disagio è acuito ulteriormente dalla normativa, che prevede per il servizio civile nazionale il pagamento mensile dei giovani, mentre per la azione servizio civile «Garanzia Giovani» il pagamento decorre trascorso il terzo mese di servizi –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali provvedimenti intenda adottare per porvi rimedio. (4-10746)


   D'AGOSTINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 117, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, dispone: «in deroga a quanto disposto dall'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, le disposizioni di cui al comma 2 dell'articolo 13 della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, si applicano ai fini del conseguimento del diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico nel corso dell'anno 2015, senza la corresponsione dei ratei arretrati, sulla base della normativa vigente prima dell'entrata in vigore del citato decreto-legge n. 201 del 2011, anche agli ex lavoratori occupati nelle imprese che hanno svolto attività di scoibentazione e bonifica, che hanno cessato il loro rapporto di lavoro per effetto della chiusura, dismissione o fallimento dell'impresa presso cui erano occupati e il cui sito è interessato da piano di bonifica da parte dell'ente territoriale, che non hanno maturato i requisiti anagrafici e contributivi previsti dalla normativa vigente, che risultano ammalati con patologia asbesto-correlata accertata e riconosciuta ai sensi dell'articolo 13, comma 7, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni»;
   l'articolo 13, comma 2, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni dispone che i lavoratori occupati nelle imprese che utilizzano ovvero estraggono amianto, impegnate in processi di ristrutturazione e riconversione produttiva, anche se in corso di dismissione o sottoposte a procedure fallimentari, «e che possano far valere nell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti almeno trenta anni di anzianità assicurativa e contributiva agli effetti delle disposizioni previste dall'articolo 22, primo comma, lettere a) e b), della legge 30 aprile 1969, n. 153 e successive modificazioni, hanno facoltà di richiedere la concessione di un trattamento di pensione secondo la disciplina di cui al medesimo articolo 22 della legge 30 aprile 1969, n. 153, e successive modificazioni, con una maggiorazione dell'anzianità assicurativa e contributiva pari al periodo necessario per la maturazione del requisito dei trentacinque anni prescritto dalle disposizioni richiamate, in ogni caso non superiore al periodo compreso tra la data di risoluzione del rapporto e quella del compimento di sessanta anni, se uomini, o cinquantacinque se donne»;
   il comma 117 della legge succitata prevede la facoltà, per i soggetti interessati, di beneficiare di una maggiorazione dell'anzianità assicurativa e contributiva non superiore a 5 anni ai fini del perfezionamento dei requisiti per la pensione di anzianità, vigenti prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 201 del 2011, utili a comportare la decorrenza del trattamento pensionistico nel corso del 2015;
   i requisiti prescritti per accedere al beneficio suindicato, così come indicato nella circolare dell'Inps 80 del 21 aprile 2015, sono: a) anzianità contributiva non inferiore ai 35 anni al raggiungimento dei requisiti indicati; b) anzianità contributiva indipendentemente dall'età;
   in ragione di detti requisiti gli ex dipendenti della azienda irpina ex Isochimica paradossalmente saranno in larga parte esclusi dai benefici previsti dalla legge n. 190;
   sono circa 170 i dipendenti della ex Isochimica che si sono ammalati a causa dell'amianto, e molti di questi sono deceduti a causa di dette patologie;
   dalle indagini disposte dalla magistratura negli anni scorsi, è stata accertata, infatti, la presenza di amianto negli oltre 500 cubi di cemento-amianto friabile che dal 1983 al 1988 sono stati illecitamente smaltiti, esponendo a rischi per la propria salute non solo i lavoratori della Isochimica, ma anche i cittadini residenti nella zona circostante lo stabilimento;
   a giudizio dell'interrogante, la esclusione di larga parte dei lavoratori della ex Isochimica dai benefici della legge n. 190 è una penalizzazione del tutto irragionevole che non fa giustizia del grave danno subito da detti lavoratori e dalle loro famiglie –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di doversi rendere promotori di un'iniziativa che consenta a tutti i lavoratori della ex Isochimica che hanno contratto patologie legate all'inalazione di amianto e che non rientrano nei requisiti fissati dalla legge n. 190 del 2014, di beneficiare dell'accompagnamento alla quiescenza indipendentemente dalla anzianità anagrafica e contributiva.
(4-10755)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, PARENTELA, LUPO e L'ABBATE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione del Regolamento (UE) n. 1308/2013, recante «organizzazione comune dei mercati agricoli» e del Regolamento (UE) n. 1151/2012 «sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari», il decreto ministeriale 6 novembre 2014 stabilisce norme vincolanti per la regolazione dell'offerta di prosciutto che beneficia di un riconoscimento Dop e Igp;
   secondo quanto stabilisce la normativa comunitaria, il piano di regolazione dell'offerta, che detta regole specifiche per la regolamentazione dell'offerta di un solo prosciutto a denominazione di origine protetta e ad indicazione geografica protetta, è soggetto all'esistenza di un accordo concluso, previa consultazione dei suinicoltori della zona geografica, tra almeno due terzi dei trasformatori di tale prosciutto che rappresentino almeno due terzi della produzione di detto prosciutto della zona geografica individuata dal rispettivo disciplinare;
   la mera consultazione degli allevatori, di fatto esclusi dall'accordo preventivo, unitamente alla previsione di cui al comma 3 dell'articolo 5 del suddetto decreto, che consente che la gestione dell'offerta e l'adeguamento della domanda possano essere realizzati attraverso la programmazione dei quantitativi di prosciutto da realizzare, assegna all'industria di trasformazione la totalità del potere contrattuale, relegando la capacità produttiva degli allevatori ad un ruolo assolutamente marginale e rischia di incidere negativamente sui prezzi posto che qualora un prodotto interno non riesca più a soddisfare la domanda, il trasformatore si approvvigiona su mercati esteri;
   sarebbe opportuno predispone altri strumenti atti a consentire una più incisiva partecipazione degli allevatori al piano di regolazione dell'offerta dei prosciutti Dop ed Igp –:
   se non ritenga urgente assumere iniziative normative, anche presso le competenti sedi comunitarie, affinché i piani di regolazione dell'offerta del prosciutto Dop e Igp, di cui all'articolo 172 del Regolamento unico OCM  siano soggetti ad accordi preventivi che includano, unitamente agli operatori dell'industria di trasformazione, gli allevatori;
   quali altre iniziative intenda assumere per consentire la partecipazione degli stessi, in quanto fornitori di materia prima, al piano di regolazione di cui in premessa. (5-06673)

Interrogazione a risposta scritta:


   DIENI, PARENTELA e NESCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   una delle pratiche più opinabili, sia per ciò che riguarda l'opportunità sia per quanto concerne il diritto, configurandone talvolta un'aperta violazione, è l'uso di disattendere, specie in alcune realtà, del Mezzogiorno, l'istituto dell'incompatibilità tra cariche, fatto che consegue ad un approccio secondo gli interroganti clientelare, spartitorio e proprietario nella gestione della cosa pubblica che è senza fuor di dubbio molto spesso anticamera di fenomeni legati allo scambio di favori e alla corruzione;
   il 24 novembre 2014 si tenevano in Calabria le elezioni per il rinnovo del consiglio regionale e della giunta;
   tra i nuovi consiglieri, tuttavia, secondo un articolo del quotidiano La Repubblica, e più precisamente «regione Calabria, quattro poltrone per uno» del 6 marzo 2015, a firma di Giuseppe Baldessarro, alcuni mantenevano una pluralità di incarichi;
   il caso più emblematico è quello di Francesco Cannizzaro che, alla data in cui è stato redatto l'articolo sopra citato, manteneva in capo allo stesso, oltre alla carica di consigliere regionale, quella di assessore provinciale di Reggio Calabria, di consigliere comunale per l'ente di Santo Stefano d'Aspromonte, oltreché di membro del consiglio direttivo dell'Ente parco nazionale d'Aspromonte;
   ad oggi, a distanza di 6 mesi, pur essendosi alleggeriti, non sono affatto risolti i profili d'incompatibilità in capo al dottor Francesco Cannizzaro, dato che risulta ancora componente del consiglio regionale calabrese del consiglio provinciale di Reggio Calabria e del consiglio direttivo dell'Ente parco nazionale d'Aspromonte, quale membro designato dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali e nominato con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 19 febbraio 2015;
   la legge 23 aprile 1981, n. 154, norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al servizio sanitario nazionale, abrogata dal decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, che tuttavia fa salve le disposizioni ivi previste per i consiglieri regionali, e che risulta in vigore nel caso calabrese, prevede, all'articolo 3: «Non può ricoprire la carica di consigliere regionale, provinciale, comunale o circoscrizionale: 1) l'amministratore o il dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento di ente, istituto o azienda soggetti a vigilanza rispettivamente da parte della regione, della provincia o del comune o che dagli stessi riceva, in via continuativa, una sovvenzione in tutto o in parte facoltativa, quando la parte facoltativa superi nell'anno il dieci per cento del totale delle entrate dell'ente; 2) colui che, come titolare, amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi, esazioni di diritti, somministrazioni o appalti, rispettivamente, nell'interesse della regione, della provincia o del comune, ovvero in società ed imprese volte al profitto di privati, sovvenzionate da detti enti in modo continuativo, quando le sovvenzioni non siano dovute in forza di una legge dello Stato o della regione; 3) il consulente legale, amministrativo e tecnico che presta opera in modo continuativo in favore delle imprese di cui ai numeri 1) e 2) del presente comma»;
   è opportuno rilevare, peraltro, che la regione Calabria aveva già tentato di normare diversamente l'istituto dell'incompatibilità con altre cariche politiche per i consiglieri regionali attraverso la legge regionale 29 dicembre 2010, n. 34, ma tale norma è stata tuttavia giudicata incostituzionale dalla Corte Costituzionale, con sentenza n. 310 del 2011, che ha rilevato, in tale occasione, che sul divieto di cumulo degli incarichi, questa Corte ha peraltro precisato: «Non la regola dell'articolo 65 del decreto legislativo n. 267 del 2000 [...] deve assumersi come limite alla potestà legislativa regionale, ma il principio ispiratore di cui essa è espressione» (sentenza n. 201 del 2003). La Corte ha inoltre dichiarato l'illegittimità costituzionale di norme, nella parte in cui non prevedono come causa di incompatibilità la sopravvenienza di una carica costituente causa di ineleggibilità, confermando così la validità generale del principio di non cumulo (sentenze n. 277 del 2011 e n. 143 del 2010);
   si rileva inoltre che nel curriculum del suddetto, pubblicato sul sito dell'Ente parco nazionale d'Aspromonte risulta in essere anche un contratto di consulenza ex legge regionale 8 giugno 1996 n. 13 regione Calabria – dipartimento presidenza presso l'assessorato alle attività produttive della regione Calabria, per compiti correlati alle relazioni esterne, alla comunicazione e all'organizzazione di eventi legati all'assessorato;
   va ricordato che l'Ente parco nazionale d'Aspromonte risulta ricevere finanziamenti da parte della regione Calabria, come emerge dal bilancio consuntivo dell'anno 2014 e quello previsionale per l'anno 2015;
   è palese quindi l'inopportunità della permanenza in capo al medesimo soggetto delle cariche elencate, fermo restando che la nomina a componente del consiglio direttivo dell'Ente parco nazionale d'Aspromonte e l'incarico di consulenza per la cura delle relazioni esterne dell'assessorato per le attività produttive della regione Calabria, ove ancora in essere, potrebbero configurare, a norma di legge, un regime di incompatibilità –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e in base a quale presupposto abbia ritenuto confermata la compatibilità giuridico amministrativa della nomina a membro del consiglio direttivo dell'Ente parco nazionale d'Aspromonte del dottor Francesco Cannizzaro con le cariche di consigliere della provincia di Reggio Calabria e di consigliere regionale della Calabria;
   se abbia verificato la sussistenza in capo allo stesso dottor Francesco Cannizzaro di un contratto di consulenza ex legge regionale 8 giugno 1996 n. 13 regione Calabria – dipartimento presidenza presso l'assessorato alle attività produttive della regione Calabria;
   quali urgenti iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare, per garantire che nel Consiglio direttivo dell'Ente parco nazionale d'Aspromonte non vi siano situazioni di incompatibilità. (4-10754)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e SEGONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è un fatto riconosciuto che le problematiche inerenti ai figli di genitori separati rappresenta un'emergenza non solo sociale ma anche medico-sanitaria in costante crescita;
   la rottura del nucleo genitoriale porta in quasi tutto il mondo occidentale alla frequente perdita della figura e del ruolo di uno dei due genitori, quello che ha occasione di trascorrere meno tempo con i figli, con conseguenti danni da «parental loss» e «childhood adversity»;
   i danni sono chiari, sia da un punto di vista socio-sanitario sia medico scientifico;
   nel primo caso si ricordano gli allarmi, spesso di fonte governativa, provenienti in primis dagli USA, Paese nel quale si è svolta molta ricerca sul tema, poiché l'ondata divorzista si è abbattuta quando in Italia o in molti Paesi europei non esisteva nemmeno la legge sul divorzio, sui minori che crescono senza il padre; sono documentati da tempo effetti sulla piccola criminalità, sulla dispersione scolastica, sul tabagismo, sulle gravidanze indesiderate, sull'uso di droghe e sullo status economico;
   tra i tantissimi studi si citano: U.S. Department of Health and Human Services, National Center for Health Statistics, Survey on Child Health, Washington, DC, 1993; Carol W. Metzler, et al. «The Social Context for Risky Sexual Behavior Among Adolescents», Journal of Behavioral Medicine 17, 1994; Rebecca O’ Neill: «Experiments in living: the fatherless family», Civitas, The Institute for the Study of Civil Society, London 2009;
   per i secondi si ricordano i danni bioumorali, ormonali e persino cromosomici derivanti dalla parental loss e dalla childhood adversity; tra i tanti si citano: 4-Opacka-Juffry et al.: «Experience of stress in childhood negatively correlates with plasma oxytocine concentration in adult men». Stress-2012 jan, 15 (1), 1-10; Epub 2011 jun 19; Patrick O Mc Gowan, Aya Sasaki et al., «Epigenetic regulation of the glucocorticoid receptor in human brain associates with childhood abuse», Nature Neuroscience, num.3, vol. 12, 2009; Janice K Kiecolt-Glaser et al: «Childhood adversity heightens the impact of later life care giving stress on telomere length and inflammation» Psychosomatic medicine 73: 16-22, 2011 8) Parental separation in childhood and adult inflammation: The importance of material and psychosocial pathways, Rebecca E. Lacey, Meena Kumari, Anne McMunn, Department of Epidemiology & Public Health, University College London, United Kingdom, Psychoneuroendocrinology 8 july 2013 PII. 50306-4530(13)00184-4doi:10.1016/j.psyneuen. 2013.05.007;
   sul tema peraltro, tra il 1977 ed il 2014, sono stati pubblicati su riviste internazionali con revisione «peer in review» o in report governativi 76 studi fondati sul confronto tra affido materialmente esclusivo e affido materialmente condiviso e la loro valutazione esprime il pensiero della comunità scientifica basato su risultanze concrete;
   tutti questi studi sono stati, infatti, analizzati in via metanalitica da due differenti ricerche (in parte sovrapposte) con parametri d'accesso differenti;
   nella prima la professoressa tedesca Hildegunde Suenderhauf ha selezionato 50 studi pubblicati tra il 1977 e il 2013 includendo come criterio di affido materialmente condiviso anche i pochissimi studi che consideravano come tale la suddivisione 25-75 per cento, e ne ha analizzato le conclusioni: esse sono risultate inequivocabili;
   solo due studi (cioè il 4 per cento) avevano dato risultati negativi per l'affido materialmente condiviso, undici o non avevano mostrato influenze oppure avevano mostrato alcuni effetti negativi neutralizzati da altri positivi (gruppo di studi detto neutrale o misto). Trentasette (cioè il 74 per cento), però, avevano prodotto inequivocabili risultati positivi per l'affido materialmente condiviso. (Suenderhauf 2013);
   si precisa inoltre che uno di questi due studi negativi (quello di Mc Intosh del 2008) è stato fatto oggetto di censure per vizi metodologici e ridotte dimensioni della campionatura con l'effetto di essere poi stato parzialmente rinnegato dalla stessa autrice;
   in questa casistica di 50 studi l'affido materialmente condiviso era rappresentato, come sopra accennato, da provvedimenti giudiziari che contemplavano una distribuzione dei tempi di coabitazione inclusa nel range 25-75 per cento fino al 50-50 per cento, con la massima concentrazione attorno al range 33-66 per cento; 
   l'International Council on Shared Parenting, sulla base della revisione della letteratura scientifica, ha stabilito nel convegno internazionale di Bonn del luglio 2014 come il miglior interesse standard del minore sia rappresentato da disposizioni giudiziarie che prevedano tempi di coabitazione e cura compresi fra il 66-33 per cento e il 50-50 per cento; più nello specifico nella revisione dei 50 studi sopra citati i risultati migliori si hanno proprio per la suddivisione paritaria dei tempi di coabitazione dei minori con i genitori;
   una seconda metanalisi è quella della Professoressa Linda Nielsen che ha incluso 40 studi pubblicati tra il 1989 e il 2014 che paragonavano i risultati sul benessere della prole derivanti dall'affido materialmente esclusivo rispetto a quello materialmente condiviso, quest'ultimo inteso però come quella forma di affido in cui la prole trascorreva non meno del 35 per cento con ognuno dei due genitori, quindi con limite più alto rispetto a quello preso in considerazione dalla Professoressa Suenderhauf, nella prima parte di studi più sopra citati; le conclusioni sono state riassunte all'autrice in quattro punti:
    a) l'affido materialmente condiviso era legato a migliori risultati per i minori di tutte le età per un vasto range di parametri emozionali, comportamentali e salute fisica;
    b) non c'era nessun evidenza convincente che il pernottamento presso il padre o l'affido materialmente condiviso fossero collegati a risultati negativi per bambini anche piccoli di età 1-4 anni;
    c) i risultati non sono positivi quando c’è una storia di violenza o quando i bambini non amano stare col padre;
    d) anche se le coppie con affido materialmente condiviso dei figli tendono spesso ad avere entrate economiche più alte e minori conflitti verbali che gli altri genitori, questi due fattori non spiegano i migliori risultati per i figli;
   a corollario di queste due metanalisi si trova poi la metanalisi di Warshak, pubblicata nel 2014 con l'endorsement di 110 studiosi internazionali, incentrata solo sulla revisione della letteratura internazionale disponibile inerente all'affido materialmente condiviso per i minori di anni 4 e che conclude affermando che «in generale i risultati degli studi considerati in questo documento sono favorevoli a piani parentali che più uniformemente bilanciano il tempo dei bimbi piccoli tra due abitazioni»;
   non devono quindi stupire le recenti prese di posizione della società italiana di pediatria preventiva e sociale e del collegio, nazionale dell'Ordine degli psicologi a favore dell'affido materialmente condiviso e del doppio domicilio che hanno semplicemente anticipato la delibera del 2 ottobre 2015 del Consiglio d'Europa (doc. 13870 del 1o ottobre 2015) con la quale si invitano gli Stati membri, tra l'altro, a promuovere l'affido materialmente condiviso, definito nella relazione introduttiva come quella forma di affidamento in cui i figli trascorrono più o meno tempi eguali presso i due genitori;
   purtroppo, l'attuale prassi giurisprudenziale italiana, con la sola eccezione del tribunale di Perugia, noncurante di tutti questi studi di riconosciuta valenza scientifica e spesso anche in contrasto con la lettera della legge che dovrebbe favorire la bigenitorialità, porta centinaia di migliaia di minori a vivere in condizioni di sostanziale mono-genitorialità, e circa il 30 per cento di loro a perdere contatto con uno dei genitori dopo la separazione, quando in Svezia, ad esempio, è solo il 14 per cento, con gravi conseguenze sulla salute psico-fisica dei minori;
   tali prassi collocano il nostro Paese agli ultimi posti in Europa in quanto a difesa del diritto del minore alla bigenitorialità, come espresso in importanti ricerche comparative presso il Parlamento europeo, l'Alto Commissariato per i diritti umani dell'ONU ed in sede del quinto convegno europeo degli assistenti sociali, dall'esperto internazionale pediatra dottor Vittorio Vezzetti (in «A comparative research on european children and divorce – Scholar's Press», 2015-07-06 e rivista della Società italiana di pediatria preventiva e sociale, n. 1, 2015, anno X, pagine 8-13. I minori europei e il divorzio dei genitori), dati pienamente confermati dall'osservatorio della più importante piattaforma associativa d'Europa; Colibrì, presente in 18 Paesi europei con 46 associazioni –:
   se sia a conoscenza di questi importanti risvolti sulla salute e quali siano gli orientamenti al riguardo;
   se ritenga, anche in collaborazione con il Ministro della giustizia, di promuovere iniziative conseguenti di fronte a questa evidente contraddizione tra risultanze scientifiche, delibere del Consiglio d'Europa e prassi giudiziarie italiane, al fine di tutelare la salute delle generazioni future, che sempre più spesso si trovano a fronteggiare la separazione della propria coppia genitoriale, 80-90.000 minori ogni anno, secondo modalità tutt'altro che ottimali. (5-06675)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DIENI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'obbligo di educazione continua in medicina (ECM) è oggetto di un programma nazionale di attività formative che esiste in Italia dal 2002 e che coinvolge 1.800.000 professionisti italiani;
   ai sensi del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, e successive modificazioni, ogni operatore sanitario è tenuto a provvedere alla sua formazione in ambito ECM in completa autonomia, cercando di rispettare e prediligere quegli obiettivi di interesse nazionale e regionale che sono stati prefissati dall'apposita commissione nazionale per la formazione;
   la legge 22 dicembre 2011, n. 214, articolo 33), così come il precedente decreto-legge n. 138 del 13 agosto 2011 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 14 settembre 2011), prevede l'obbligo per tutti i professionisti di seguire percorsi di formazione continua nonché per i professionisti sanitari di seguire quanto previsto dalla normativa vigente in materia di educazione continua in medicina (ECM);
   la normativa citata sancisce che la violazione dell'obbligo di formazione continua determina un illecito disciplinare e come tale viene sanzionato sulla base di quanto stabilito dagli ordini e collegi professionali, che dovranno prevedere le sanzioni da applicare a coloro che non acquisiscono i crediti ECM necessari per soddisfare gli obblighi formativi;
   ad oggi tuttavia non risulta che ordini e collegi abbiano sistematicamente dato seguito a tale riserva e non esisterebbe neppure una chiara percezione di quali e quanti siano i numeri degli inadempienti, che sono peraltro incoraggiati dall'assenza del sistema sanzionatorio sopra richiamato;
   oltre a ciò, e fatto ancor più grave, la situazione di scarsa chiarezza porterebbe a fenomeni di vero e proprio conflitto di interesse nell'attività di formazione;
   in tutti questi anni di attività del sistema ECM, infatti, non ci si sarebbe preoccupati di inibire le attività sponsorizzatrici delle aziende farmaceutiche, visto che le stesse agirebbero oramai direttamente nel settore, attraverso lo schermo di provider privati;
   non è raro riscontrare la presenza, anche attraverso una semplice ricerca su internet, di proposte di attività formative anche gratuite, con la sponsorizzazione esplicitata delle singole case produttrici di farmaci;
   si ritiene che la gratuità di tali eventi favorisca spesso professionisti affermati specificamente invitati, onde creare un implicito vincolo di fedeltà o di riconoscenza che porti ad una buona disposizione nei confronti della singola azienda e dei suoi prodotti, penalizzando invece i giovani laureati ed i disoccupati, che si trovano a dover competere, per partecipare, con l'afflusso di coloro che avrebbero la possibilità economica di optare per una formazione a titolo oneroso;
   criticità sarebbero segnalabili peraltro anche per ciò che attiene la formazione finanziata direttamente dal Ministero della salute e dagli ordini e collegi professionali come FNOMCEO ed IPASVI: da diversi anni, infatti, il Ministero finanzia con specifici fondi un'attività di formazione a distanza a livello nazionale erogata attraverso un unico provider privato;
   non sarebbe inoltre chiaro, ad oggi, quali sarebbero i benefici per chi adempie con scrupolo alla normativa relativa alla formazione continua;
   nell'ultimo Forum nazionale ECM tenutosi a Roma nel novembre 2014 era stato infatti ribadito che per i professionisti più attenti e coscienziosi al rispetto delle regole si sarebbero previsti specifici vantaggi, come l'assegnazione di uno specifico valore ai crediti maturati anche in vista della partecipazione ai concorsi pubblici e per ciò che concerne gli avanzamenti di carriera;
   a tale impegno non risulta tuttavia che ad oggi si sia dato seguito –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di propria competenza, anche di carattere normativo, intenda assumere al fine di dare piena e trasparente realizzazione alla previsione di cui al decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, e successive modificazioni, sull'educazione continua in medicina (ECM);
   se il Ministero della salute abbia un sistema di rilevazione degli inadempienti rispetto a quanto previsto dalla normativa ECM e se non ritenga che possa darsi adito a fenomeni di conflitto di interesse attraverso la sponsorizzazione di eventi formativi da parte delle aziende farmaceutiche, che conseguentemente non dovrebbero essere compensati con crediti formativi;
   se il Ministero non ritenga di assumere le iniziative di competenza, anche normative, al fine di riservare l'accesso alla formazione gratuita in via assoluta o prioritaria ai professionisti disoccupati o sottoccupati. (4-10753)


   COCCIA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 12 ottobre 2015 il professor Fabio Pigozzi, presidente della Federazione internazionale di medicina sportiva e membro del Foundation Board della Wada (l'agenzia mondiale antidoping), ha rassegnato le dimissioni dalla Commissione per la vigilanza e il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive (CVD);
   insediatasi appena quattro mesi fa, la commissione perde così il membro di maggiore spessore in campo internazionale;
   in virtù di una convenzione tra il Ministero della salute e il CONI, ormai scaduta da anni, tra i compiti della commissione vi erano i controlli nello sport amatoriale;
   le positività rilevate al test antidoping erano attorno al 4,1 per cento nel 2014, risultando di gran lunga superiori a quelle del CONI che, nello stesso anno, ha rilevato lo 0,44 per cento dei casi tra gli atleti professionisti;
   dunque, l'atto di intesa che disciplinava questo di tipo di attività è scaduto e al momento la ridefinizione in questo campo non è ancora stata stabilita;
   il professor Pigozzi – come da dichiarazioni apparse sulla stampa – afferma che: «Nelle ultime settimane sono venuti a mancare per me i presupposti di questo lavoro e ho ritenuto inevitabile lasciare un incarico che rischiava di perdere qualsiasi sostanza»;
   tale vicenda fa fare un ulteriore passo indietro al sistema dei controlli –:
   se non ritenga opportuno, in virtù dei risultati raggiunti e del lavoro svolto, assumere iniziative per allargare le competenze della Commissione per la vigilanza e il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive, anche ad una fascia di atleti di vertice. (4-10761)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LATRONICO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le zone franche urbane (ZFU) sono aree infra-comunali, di dimensione minima prestabilita, dove si concentrano programmi di defiscalizzazione per la creazione di piccole e micro imprese. Obiettivo prioritario delle ZFU è favorire lo sviluppo economico e sociale di quartieri ed aree urbane caratterizzate da disagio sociale, economico e occupazionale, e con potenzialità di sviluppo inespresse;
   nello specifico le zone franche prevedono l'esenzione dalle imposte sui redditi (Irpef e Ires), l'esenzione dall'Irap, l'esenzione dall'Imu e l'esonero dal versamento dei contributi sulle retribuzioni da lavoro dipendente per un periodo predeterminato di 5 anni;
   le aree interessate presentano anche forti potenzialità di sviluppo che, per essere concretizzate, necessitano di programmi di defiscalizzazione per la creazione di piccole e medie imprese. Obiettivo degli interventi è la riqualificazione di queste aree, tramite l'incentivazione, il rafforzamento e la regolarizzazione delle attività imprenditoriali localizzate al loro interno;
   l'articolo 22-bis del decreto-legge n. 66 del 2014 convertito con legge n. 89 del 2014, ha autorizzato una spesa di 75 milioni di euro per il 2015 (ridotti a 40 milioni dalla legge di stabilità 2015 (Tabella E pag. 3333, legge numero n. del 23 dicembre 2014 – legge di stabilità 2015) e di 100 milioni di euro per il 2016 (ridotti a 50 i milioni dalla medesima legge) per le Zfu;
   la città di Matera è l'unico comune della Basilicata agevolato dalle Zfu e le risorse messe a disposizione dovrebbero essere di oltre due milioni di euro. Sono fondi già stanziati dal Governo che avranno effetti positivi sull'occupazione e sulla ripresa economica e lo sblocco era previsto tra fine luglio e inizio settembre 2015 –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per lo sblocco dei bandi già previsti per l'estate per favorire lo sviluppo del territorio e delle imprese che sono costretti oggi a sopportare oneri gravosi. (5-06685)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FERRARA e PALAZZOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   STMicroelectronics è un'azienda franco-italiana per la produzione di componenti elettronici a semiconduttore;
   nel corso degli ultimi dieci anni StMicroelectronics è passata dal terzo all'undicesimo posto della classifica mondiale delle aziende produttrici di semiconduttori;
   i dati finanziari relativi al secondo trimestre presentati da StMicroelectronics evidenziano la crisi profonda delle strategie messe in campo negli ultimi anni dal management e consegnano un quadro preoccupante dello stato di salute dell'azienda;
   da fonti sindacali si apprende che nei giorni scorsi la StMicroelectronics ha aperto la cassa integrazione a Catania per 2.014 lavoratori della produzione ed entro ottobre 2015 potrebbero essere annunciati tagli per la divisione digital product group;
   dall'analisi dei bilanci degli ultimi dieci anni, tra l'altro, emerge come da un lato vi sia una preoccupante contrazione dei margini operativi e conseguenti utili e dall'altro, una costante e massiccia distribuzione di dividendi, con i compensi del Ceo che si mantengono elevati e non collegati ai risultati aziendali;
   a parere degli interroganti ciò che sta accadendo è da ritenersi molto grave e dimostra uno stato di difficoltà che è frutto dell'inadeguatezza delle scelte operate in questi anni –:
   se il Governo, anche in qualità di azionista di STMicroelectronics, non ritenga necessario intervenire al fine di indirizzare il management verso scelte industriali radicalmente diverse, per far sì che l'azienda, ricorrendo alle sue molteplici risorse tecniche, persegua un rilancio adeguato;
   se il Governo non ritenga opportuno intervenire affinché l'attuale management di STMicroelectronics, metta in atto una strategia industriale a lungo termine che punti allo sviluppo in tutti i settori dell'azienda e, con gli investimenti necessari, garantisca un futuro produttivo per tutti i siti, l'indipendenza tecnologica e la conservazione dei posti di lavoro in tutti i Paesi, a partire dall'Italia e in particolare dallo stabilimento di Catania, minacciato dalla cassa integrazione per 2.014 lavoratori e lavoratrici. (4-10749)


   LATTUCA e BRATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 74, riguarda il «Regolamento recante definizione dei criteri generali in materia di esercizio, conduzione, controllo, manutenzione e ispezione degli impianti termici per la climatizzazione invernale ed estiva degli edifici e per la preparazione dell'acqua calda per usi igienici sanitari, a norma dell'articolo 4, comma 1, lettere a) e c), del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192»;
   in base all'articolo 4 del suddetto decreto del Presidente della Repubblica n. 74 del 2013, gli impianti termici destinati alla climatizzazione degli ambienti invernali sono condotti in modo che, durante il loro funzionamento, non siano superati i valori massimi di temperatura indicati all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 74 del 2013;
   l'esercizio degli impianti termici per la climatizzazione invernale è consentito con i seguenti limiti relativi al periodo annuale e alla durata giornaliera di attivazione, articolata in zone e precisamente:
    a) Zona A: ore 6 giornaliere dal 1o dicembre al 15 marzo;
    b) Zona B: ore 8 giornaliere dal 1o dicembre al 31 marzo;
    c) Zona C: ore 10 giornaliere dal 15 novembre al 31 marzo;
    d) Zona D: ore 12 giornaliere dal 1o novembre al 15 aprile;
    e) Zona E: ore 14 giornaliere dal 15 ottobre al 15 aprile;
    f) Zona F: nessuna limitazione;
   al di fuori di tali periodi, gli impianti termici possono essere attivati solo in presenza di situazioni climatiche che ne giustifichino l'esercizio e,  comunque, con una durata giornaliera non superiore alla metà di quella consentita in via ordinaria;
   la declinazione di tale deroga non sempre è di facile interpretazione in particolare per quanto concerne la responsabilità di autorizzare il suddetto principio derogatorio;
   il presente atto di sindacato ispettivo nasce, appunto, dalla esigenza di una maggiore chiarezza sollevata da più parti anche per la ormai predominante prevalenza di impianti autonomi –:
   se le citate condizioni climatiche che giustificano l'attivazione degli impianti termici al di fuori dei periodi stabiliti ai sensi dell'articolo 4, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 74 del 2013 debbano comunque essere accertate esclusivamente con ordinanza del sindaco e quali eventuali iniziative di competenza intendano assumere al riguardo. (4-10751)


   MONGIELLO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con l'emanazione del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, si è data attuazione alla direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE. Il decreto legislativo ha riformato i meccanismi incentivatiti la produzione di elettricità da fonti rinnovabili per gli impianti entrati in esercizio dal 1o gennaio 2013, prevedendo un periodo di transizione dal sistema dei certificati verdi a un nuovo sistema consistente in tariffe fisse per i piccoli impianti (fino a 5 megawatt) e in aste al ribasso per gli impianti di taglia maggiore. Dall'entrata in vigore del decreto legislativo e fino al 31 dicembre 2015, il Gestore per i servizi energetici ritira annualmente i certificati verdi rilasciati per gli anni dal 2011 al 2015, in eccesso di offerta, ad un prezzo di ritiro pari al 78 per cento del prezzo definito secondo i criteri vigenti al 2012. A partire dal 2013 la quota d'obbligo di energia rinnovabile da immettere nel sistema elettrico si riduce linearmente negli anni successivi fino ad annullarsi per l'anno 2015;
   per opportuna conoscenza del regime di incentivazione della produzione di energia ottenuta da fonti rinnovabili si ricorda che fino al 31 dicembre 2012, il principale meccanismo di incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili era costituito dai certificati verdi;
   i certificati verdi erano titoli emessi dal Gestore dei servizi energetici (GSE) e attestanti la produzione di energia da fonti rinnovabili. Sono stati introdotti nell'ordinamento nazionale dall'articolo 11 del decreto legislativo 79/1999 per superare il vecchio criterio di incentivazione noto come CIP 6;
   la legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008) ha delineato, peraltro, una ulteriore disciplina di incentivazione per gli impianti entrati in esercizio dopo il 31 dicembre 2007: il sistema dei certificati verdi era mantenuto per gli impianti di potenza superiore a 1 megawatt mentre per gli impianti di potenza elettrica non superiore a 1 megawatt si attribuiva il diritto, in alternativa ai certificati verdi, ad una tariffa fissa onnicomprensiva variabile a seconda delle fonte utilizzata;
   i certificati verdi potevano essere utilizzati per assolvere all'obbligo, posto a carico dei produttori ed importatori di energia elettrica, prodotta da fonti non rinnovabili, di immettere nella rete elettrica, a decorrere dal 2002, una quota minima – crescente negli anni – di elettricità prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili entrati in esercizio dopo il 1o aprile 1999;
   con i commi da 382 a 382-septies dell'articolo 1, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, come modificata dall'articolo 26, comma 4-bis del decreto-legge 1o ottobre 2007, n. 159, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, è stata introdotta una disciplina specifica per l'incentivazione delle fonti energetiche rinnovabili di origine agricola. In particolare, la produzione di energia elettrica, mediante impianti alimentati da biomasse e biogas, derivanti da prodotti agricoli, di allevamento e forestali, ivi inclusi i sottoprodotti, ottenuti nell'ambito di intese di filiera o contratti quadro, ai sensi degli articoli 9 e 10 del decreto legislativo 27 maggio 2005, n. 102, oppure di filiere corte, cioè ottenuti entro un raggio di 70 chilometri dall'impianto che li utilizza per produrre energia elettrica, autorizzata in data successiva al 31 dicembre 2007, è stata incentivata secondo differenti criteri. Per gli impianti di potenza elettrica superiore ad 1 megawatt (MW), tale produzione è stata incentivata mediante il rilascio di certificati verdi, per un periodo di quindici anni, facendo salvi i più favorevoli diritti acquisiti in precedenza;
   in tale ambito, a partire dall'anno 2008, i certificati verdi, ai fini del soddisfacimento della quota dell'obbligo di cui all'articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, hanno avuto un valore unitario pari ad 1 megawatt e sono stati emessi dal Gestore del sistema elettrico (GSE) per ciascun impianto a produzione incentivata, in numero pari al prodotto della produzione di energia elettrica dalle fonti rinnovabili agro energetiche dell'anno precedente, moltiplicata per il coefficiente di 1,8;
   tale coefficiente poteva essere aggiornato, ogni tre anni, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, assicurando la congruità della remunerazione ai fini dell'incentivazione dello sviluppo delle suddette fonti;
   per i medesimi impianti alimentati da fonti rinnovabili agro energetiche, l'accesso agli incentivi era cumulabile con altri incentivi pubblici di natura nazionale, regionale; locale o comunitaria in conto capitale o conto interessi con capitalizzazione anticipata, non eccedenti il 40 per cento del costo dell'investimento;
   come sopra accennato, con il predetto decreto legislativo n. 28 del 2011, sono state ridefinite tutte le norme in materia di incentivi e di autorizzazioni per gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili;
   l'articolo 24 del Titolo V del decreto legislativo ridefinisce la disciplina dei regimi di sostegno applicati all'energia prodotta da fonti rinnovabili, e precisa che tale riforma mira all'efficacia, all'efficienza, alla semplificazione e alla stabilità nel tempo dei sistemi di incentivazione, perseguendo al contempo la riduzione degli oneri di sostegno specifici in capo ai consumatori;
   ulteriori principi generali di tale intervento di riordino sono la gradualità dell'intervento a salvaguardia degli investimenti effettuati e la proporzionalità degli obiettivi, la flessibilità della struttura dei regimi di sostegno, nonché specifiche restrizioni volte ad impedire speculazioni e frodi;
   si tratta, cioè di assicurare che non abbiano titolo a percepire gli incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, da qualsiasi fonte normativa previsti, i soggetti per i quali le autorità e gli enti competenti abbiano accertato che, in relazione alla richiesta di qualifica degli impianti o di erogazione degli incentivi, hanno fornito dati o documenti non veritieri, ovvero hanno reso dichiarazioni false o mendaci. Fermo restando il recupero delle somme indebitamente percepite, la condizione ostativa alla percezione degli incentivi ha durata di dieci anni dalla data dell'accertamento e si applica alla persona fisica o giuridica che ha presentato la richiesta, nonché ad altri soggetti di equivalente responsabilità giuridica;
   in tale Titolo V si prevede la revisione dei meccanismi di incentivazione della produzione di elettricità da fonti rinnovabili, attraverso l'introduzione di un meccanismo di aste e di una tariffa fissa. Il nuovo sistema si applica agli impianti entrati in esercizio a decorrere dal 1o gennaio 2013, prevedendo un periodo di transizione dall'attuale sistema (certificati verdi);
   nelle disposizioni transitorie, si dispone che la produzione di energia elettrica da impianti alimentati da fonti rinnovabili, entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2012, è incentivata con i previgenti meccanismi, ferma l'applicazione di alcuni correttivi. In tale ambito il GSE ritira annualmente i certificati verdi rilasciati per le produzioni di elettricità da fonti rinnovabili, negli anni dal 2011 al 2015, eventualmente eccedenti quelli necessari per il rispetto della quota d'obbligo, ad un prezzo di ritiro pari al 78 per cento del prezzo definito secondo i criteri previgenti. Si dispone altresì che le tariffe fisse omnicomprensive restino costanti per l'intero periodo di diritto e restino fissate ai valori stabiliti per tutti gli impianti che siano entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2012. Analoga disposizione, è prevista per i fattori moltiplicativi e per i valori di riferimento per i certificati verdi;
   l'articolo 24 del decreto legislativo n. 28 del 2011 ha fissato i nuovi criteri di incentivazione delle energie prodotte attraverso l'utilizzo di fonti rinnovabili ed ha inoltre previsto che, attraverso specifici decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e, per i profili di competenza, con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, sentite l'Autorità per l'energia elettrica e il gas e la Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono definite le modalità per l'attuazione dei sistemi di incentivazione, disciplinando, in particolare, le modalità per la transizione dal vecchio al nuovo meccanismo di incentivazione, le modalità con le quali il diritto a fruire dei certificati verdi per gli anni successivi al 2015, è commutato nel diritto ad accedere, per il residuo periodo il diritto ai certificati verdi, a un incentivo ricadente nella nuova tipologia ed in modo da garantire la redditività degli investimenti effettuati;
   per tali finalità, il decreto interministeriale 6 luglio 2012, all'articolo 19, relativo alla «Conversione del diritto ai certificati verdi in incentivo», ha stabilito che alla produzione di energia elettrica da impianti a fonti rinnovabili, entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2012, che ha maturato il diritto a fruire dei certificati verdi, è riconosciuto, per il residuo periodo di diritto, successivo al 2015, un incentivo I sulla produzione netta, incentivata ai sensi della previgente normativa di riferimento, aggiuntivo rispetto i ricavi conseguenti alla valorizzazione dell'energia, pari a:
    I = kx (180 — Re) x 0,78, ove si intende:
     k = 1 per gli impianti entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2007 e, per gli impianti entrati in esercizio successivamente alla medesima data, tale valore è pari al coefficiente applicabile alla medesima produzione in attuazione dell'articolo 2, comma 148, della legge n. 244 del 2007 e successive modificazioni;
   Re è il prezzo di cessione dell'energia elettrica definito dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas in attuazione dell'articolo 13, comma 3, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, registrato nell'anno precedente e comunicato dalla stessa Autorità;
   tale articolo 19 del decreto interministeriale 6 luglio 2012, sopra richiamato, al fine di garantire la redditività degli impianti alimentati a biomasse, ha stabilito, in particolare che, per la sola produzione di energia elettrica, dagli stessi impianti a biomasse, esclusi gli impianti alimentati a biogas, entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2012, il prezzo di cessione dell'energia elettrica Re per il calcolo dell'incentivo è fisso e pari a quello registrato nell'anno 2012;
   tale criterio di fissazione rigida del parametro Re era stato determinato in quanto si riteneva che il prezzo dell'energia, segnatamente dalle fonte petrolifera, continuasse a crescere negli anni. Al contrario, a decorrere dal 2015, il prezzo dell'energia ha iniziato a decrescere;
   tale anomalia sulla variazione in decrescita dei prezzi dell'energia, ove fosse mantenuta la disposizione che rende fisso il parametro Re e pari al valore registrato nell'anno 2012, metterebbe fuori mercato ed a rischio di chiusura tutti gli attuali impianti alimentati a biomasse –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere affinché, dal 1o gennaio 2016 sia effettivamente garantita la redditività degli investimenti effettuati per la produzione di energia elettrica da impianti alimentati da biomassa entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2012;
   se per le predette finalità e per le parti di competenza, i Ministri interrogati non intendano assumere iniziative volte all'abrogazione della disposizione di cui all'articolo 19 del decreto interministeriale 6 luglio 2012, che prevede che, a decorrere dal 1o gennaio 2016, il prezzo di cessione dell'energia elettrica Re per il calcolo dell'incentivo è fisso e pari a quello registrato nell'anno 2012. (4-10758)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Bergamini e altri n. 1-00977, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Dambruoso.

  La mozione Dorina Bianchi e altri n. 1-01010, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Binetti.

  La mozione Lenzi e altri n. 1-01013, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Paola Bragantini.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Lorefice e altri n. 7-00708, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sibilia.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Scotto e altri n. 2-01105, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Franco Bordo.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Ricciatti e altri n. 5-05239, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Placido.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Lorefice e altri n. 5-05678, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sibilia.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Pelillo n. 5-06656, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Petrini.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Pesco e altri n. 5-06659, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Villarosa.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Rizzetto n. 7-00806, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 500 del 12 ottobre 2015.

   Le Commissioni XI e XIII,
   premesso che:
    i recenti fatti di cronaca hanno messo in evidenza come, ancora oggi, sussista un diffuso ed incontrollato ricorso alla manodopera clandestina di lavoratori che vengono pagati in nero e adescati attraverso il cosiddetto caporalato, ossia una vera e propria attività criminale che fa vittime persone che vivono in grave disagio sociale, soprattutto extracomunitari, che vengono costrette a lavorare abusivamente ed illegalmente in diversi settori, in particolare, in quello agricolo attraverso il lavoro nei campi;
    sono circa 400 mila i lavoratori coinvolti in forme di caporalato, si tratta di braccianti che si riversano ogni anno nelle campagne, provenendo da altre nazioni o spostandosi internamente tra le regioni italiane, utilizzati, per lo più, a fronte di picchi di produzione e lavorazione di prodotti agro-alimentari. Queste persone, oltre ad essere sottoposte ad una condizione di sfruttamento lavorativo, sono vittime di vessazioni e vivono in gravi condizioni sanitarie, non avendo accesso addirittura a servizi igienici, all'acqua corrente e spesso costretti ad alloggiare in strutture fatiscenti in prossimità del luogo di lavoro, condizioni considerate al limite della schiavitù;
    il caporalato in agricoltura è presente in tutta Italia, da Nord a Sud, sebbene più esteso nel Mezzogiorno, e determina, tra l'altro, una truffa aggravata in danno allo Stato con un costo per le casse dell'erario, in termini di evasione contributiva, non inferiore ai 600 milioni di euro l'anno;
    per comprendere l'estensione del fenomeno basti pensare che in Italia gli addetti all'agricoltura sono circa un milione e duecentomila; da dati Istat, nel 43 per cento dei casi si tratta di lavoro sommerso. È quindi evidente che tale fenomeno, sino ad oggi, non è stato combattuto efficacemente, al riguardo, è anche indubbio che le sue gravi conseguenze siano state sottovalutate visto che solo pochi anni addietro, per punire tale pratica era prevista una sanzione amministrativa. Solo dall'anno 2011 è stato introdotto come reato penale l’«intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro», previsto all'articolo 12 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148;
    tuttavia, le pene stabilite non costituiscono un concreto deterrente per combattere tale reato e anche l'assenza di efficaci controlli determina una sporadica applicazione, rispetto all'estensione del fenomeno, di condanne penali a caporali ed imprese agricole;
    il caporalato è uno dei fenomeni criminali legati al business delle agro-mafie, stimato in base ai dati della direzione nazionale antimafia per un importo di circa 12,5 miliardi di euro all'anno. Va da sé la necessità di contrastare il fenomeno con il medesimo impegno con cui vengono combattute le mafie. È, dunque, urgente adottare efficaci provvedimenti per una decisiva azione di contrasto a tale reato, prevedendo adeguati controlli e pene più severe, nonché misure volte a tutelare e proteggere, attraverso gli organi di polizia competenti i lavoratori che denunciano tale reato;
    in particolare, vanno introdotte norme punitive che aumentino il potere di deterrenza, dirette a colpire gli attori di questo fenomeno criminale quali caporali, false agenzie interinali e soprattutto le imprese che hanno fatto uso di tale illecita azione di reclutamento di manodopera, prevedendo anche provvedimenti che vanno a colpire il patrimonio, come la confisca, nonché la possibilità di ricevere contributi pubblici come quelli europei collegati alla politica agricola comune (PAC);
    per quanto concerne i controlli, va rafforzato il numero degli ispettori, anche prevedendo l'intervento di forze armate speciali, considerando che le cronache documentano la commissione di gravi atti di violenza di caporali, anche muniti di armi, nei confronti di lavoratori nonché di sindacalisti che hanno denunciato e manifestato contro il fenomeno;
    inoltre, è necessario promuovere azioni per favorire un migliore e trasparente incontro tra domanda e offerta di lavoro, prevedendo, tra l'altro, l'inserimento in una lista pubblica delle aziende che hanno ricevuto condanne per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, le quali non devono poter accedere a contributi pubblici a qualsiasi titolo. Contestualmente vanno sostenute, prevedendo degli sgravi pubblici, quelle aziende agricole virtuose che aderiscono alla «Rete del lavoro agricolo di qualità», organismo nato per rafforzare il contrasto dei fenomeni di irregolarità nel settore agricolo, nell'ambito del piano di interventi «Campolibero» (di cui al decreto legge n. 91 del 2014, convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 116),

impegnano il Governo:

   ad assumere iniziative per istituire una pubblica lista delle imprese condannate per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, dandone adeguatamente pubblicità ai consumatori, provvedendo altresì un inasprimento delle pene;
   a promuovere ulteriori iniziative nei confronti delle imprese che si avvalgono di tale illecita intermediazione, volte ad aggredire il patrimonio nonché a bloccare, da subito, la possibilità di ricevere contributi pubblici come quelli europei collegati alla politica agricola comune (PAC);
   ad adottare misure di protezione a tutela dei lavoratori che denuncino tale reato;
   a rafforzare il numero degli ispettori del lavoro impegnati nei controlli, nonché gli strumenti, anche informatici, a loro disposizione (videoriprese eseguite con nuove tecnologie), con particolare riferimento al settore agricolo, prevedendo ai fini delle verifiche anche la possibilità di intervento di forze armate speciali;
   ad adottare iniziative per prevedere opportuni incentivi per le aziende agricole che aderiscono alla «Rete del lavoro agricolo di qualità».
(7-00806)
«Rizzetto, Baldassarre, Barbanti, Prodani, Turco, Segoni, Mucci».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti, documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta orale Galgano n. 3-01623 del 17 luglio 2015;
   interpellanza urgente Ascani n. 2-01110 del 12 ottobre 2015.

Ritiro di una firma da una risoluzione.

  Risoluzione in Commissione Stella Bianchi e altri n. 7-00810, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 ottobre 2015: è stata ritirata la firma del deputato Realacci.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in commissione Simone Valente e altri n. 5-05880 del 24 giugno 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-10760.
   interrogazione a risposta scritta Grillo e altri n. 4-10741 del 14 ottobre 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06671.