Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 14 ottobre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    il Servizio sanitario nazionale, comunemente dipinto come un luogo di sprechi, e come tale, purtroppo, percepito dall'opinione pubblica, è in realtà il migliore dei servizi pubblici italiani: non lo dicono fonti interne, lo dice l'Ocse, lo dicono tutti gli osservatori internazionali, lo dice l'Organizzazione mondiale della sanità, che ha quasi sempre classificato l'Italia ai primi posti fra i servizi sanitari del mondo;
    il costo pro capite complessivo (spesa pubblica più privata) della sanità italiana è straordinariamente basso, e quello degli altri Paesi con i quali l'Italia ama confrontarsi lo supera abbondantemente: più 27 per cento per il Regno Unito, più 34 per cento per la Francia, più 46 per cento per la Germania, più 78 per cento per la Svizzera, più 178 per cento (quasi il triplo) per gli Stati Uniti d'America;
    occorre anche sfatare il mito di una spesa fuori controllo: nel decennio 2000-2010 la spesa sanitaria italiana è cresciuta solo del 30,3 per cento a fronte di una media dei Paesi aderenti all'Ocse pari al 42 per cento, segno di una gestione mediamente attenta, capace di contrastare le dinamiche incrementali dei costi del settore che, in tutto il mondo, superano sensibilmente il dato dell'inflazione generale;
    a fronte di una spesa contenuta, la sanità italiana brilla per particolare efficacia, come evidenziano dati di out-come quali l'aspettativa di vita o l'incidenza percentuale delle cosiddette «morti evitabili», indicatore di efficacia che vede l'Italia al secondo posto del mondo dopo la Svizzera;
    purtroppo, la crisi economica ha imposto anche alla sanità ineludibili ridimensionamenti di risorse, esplicitati, nel tempo, attraverso più interventi normativi finalizzati a razionalizzare la spesa degli enti del Servizio sanitario nazionale;
    ultimo in ordine di tempo, il decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, ha previsto un taglio di 2,3 miliardi di euro al fondo sanitario nel 2015 e altrettanto nel 2016 e nel 2017. Il decreto-legge n. 78 del 2015 recepisce l'intesa raggiunta con le regioni nel Patto per la salute che comporta tagli per 2,35 miliardi di euro alla spesa sanitaria, che vanno dai 385 milioni di euro della Lombardia ai 500 mila euro della Campania;
    inserendosi nel contesto sopra descritto – in media decisamente virtuoso – la politica di risparmi in sanità ha portato l'Italia a spendere meno di Paesi travagliati da difficoltà economiche anche maggiori di quelle dell'Italia. In Italia la percentuale di prodotto interno lordo destinata alla sanità è più bassa di quella greca: nel 2013 i greci hanno investito in sanità, tra pubblico e privato, il 9,2 per cento, l'Italia si è fermata all'8,8 per cento;
    livelli di finanziamento così bassi pongono il problema della sostenibilità complessiva del Servizio sanitario nazionale, mentre le conseguenti criticità hanno ulteriormente acuito le differenze di qualità e di accessibilità delle prestazioni rese all'utenza;
    è quasi un luogo comune che in Italia convivano venti servizi sanitari diversi. Nella realtà percepita dai cittadini sono anche più numerosi, poiché accanto alle scontate disparità fra Nord e Sud si sono acuite anche quelle interne alla singole regioni, con intollerabili variazioni, da asl ad asl, sia nella spesa pro capite sia nella quantità e qualità dei servizi;
    queste ultime rappresentano il frutto, certamente indesiderato, di politiche congiunturali e di logiche gestionali non sempre efficaci e coerenti. Basti pensare alle varie operazioni di spending review – basate sulla presunzione che fossero utili interventi decisi dal centro sui singoli fattori produttivi e risultate poi meno efficaci del previsto – che si sono tradotte in tagli lineari ed hanno penalizzato le aziende sanitarie più «virtuose», riducendo al limite di sopravvivenza quelle che avevano sempre risparmiato;
    così come appaiono improvvide le politiche di contenimento dei costi del personale che hanno comportato il blocco delle assunzioni, dei contratti e delle carriere, demotivando e, in qualche caso, umiliando quella che è la risorsa più preziosa del sistema;
    questa serie di criticità ha messo a rischio, nelle situazioni più difficili, l'esigibilità stessa dei livelli essenziali di assistenza, sia sotto il profilo quantitativo delle prestazioni sia sotto quello della loro qualità;
    politiche di pura rivendicazione non appaiono utili a favorire la necessaria inversione di tendenza, anche se il miglioramento degli indicatori macro-economici lascia sperare che l'era del contenimento delle risorse sia finita;
    ci si deve misurare sul terreno dell'innovazione gestionale. Anziché fossilizzarsi sull'abusato, oscuro, concetto di «costo standard», sarebbe più utile far riferimento ai «fabbisogni standard», cioè a quell'insieme di risorse sufficienti ad erogare i livelli essenziali di assistenza che vanno garantiti ovunque, uniformemente, su tutto il territorio nazionale;
    occorre, quindi, giungere ad un finanziamento standard, secondo criteri condivisi in sede di Conferenza Stato-regioni, che siano uguali per tutti e che dalle regioni siano applicati al proprio interno nei confronti delle singole aziende sanitarie, in modo da responsabilizzare i gestori ed introdurre nel sistema una logica positiva,

impegna il Governo:

   a promuovere periodiche revisioni dei livelli essenziali di assistenza al fine di adeguarli ai reali bisogni di salute della popolazione;
   ad assumere iniziative per assicurare al Servizio sanitario nazionale risorse adeguate a consentire la loro effettiva erogazione;
   a migliorare le attività di verifica sulla loro applicazione su tutto il territorio nazionale, superando le disparità ad oggi ancora esistenti tra le diverse aree del Paese;
   ad assumere iniziative per modificare le politiche di contenimento dei costi del personale riaprendo immediatamente le attività di contrattazione da troppo tempo bloccate;
   a rivedere le logiche di «governance» del sistema sanitario, ponendo come primario obiettivo economico il perseguimento dell'efficienza e introducendo meccanismi di finanziamento atti ad incentivare gestioni «virtuose» e premiare l'efficienza delle regioni, delle asl e delle singole strutture operative.
(1-01014) «Monchiero, Vargiu».

Risoluzioni in Commissione:


   La VIII Commissione,
   premesso che:
    i cambiamenti climatici sono in atto con impatti già drammatici e sono causati, secondo gli scienziati riuniti nell'Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) che risponde all'Onu, dall'attività umana e, in particolare, dall'uso di combustibili fossili;
    il prossimo dicembre a Parigi si terrà la 21nesima conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) nel corso della quale i 196 Paesi che la compongono dovranno raggiungere un accordo globale vincolante di riduzione delle emissioni climalteranti che contenga l'aumento della temperatura media globale entro i 2 gradi rispetto ai livelli precedenti alla rivoluzione industriale;
    oltre il 75 per cento delle emissioni di gas serra responsabili dell'aumento della temperatura media globale sono causate dalla produzione e dall'uso di energia;
    il carbone è il combustibile fossile più inquinante e responsabile della maggiore quantità di emissioni di gas serra in atmosfera; a livello globale il carbone è utilizzato nella produzione del 40 per cento di energia circa ed è responsabile per il 70 per cento delle emissioni legate all'energia;
    le emissioni di CO2 provenienti dalla combustione del carbone arrivano a essere del 30 per cento superiori a quelle del petrolio e del 70 per cento superiori a quelle del gas naturale;
    in aggiunta a questo, la pericolosità del carbone sotto il profilo della protezione ambientale è aggravata dal fatto che, oltre al biossido di carbonio, vengono dispersi nell'ambiente mercurio, piombo, arsenico, cadmio e altri metalli pesanti;
    nell'Unione europea sono ancora attive 350 centrali a carbone; tra le trenta centrali più inquinanti d'Europa, tutte alimentate a carbone e concentrate soprattutto in Germania, Polonia e Regno Unito, ci sono anche due impianti in Italia, Brindisi sud e Torrevaldaliga nei pressi di Civitavecchia;
    in Italia attualmente si trovano tredici centrali a carbone: Brindisi Nord (BR) di proprietà della Edipower SpA, Fiumesanto (Sassari) di proprietà di E.On Italia SpA, Monfalcone (Gorizia) di proprietà di A2A SpA, Torrevaldaliga Nord (Civitavecchia Roma) di proprietà di Enel SpA, Vado Ligure (Savona) di proprietà di Tirreno Power SpA, Brescia di proprietà di A2A SpA, Brindisi Sud di proprietà di Enel SpA, Genova di proprietà di Enel SpA, Sulcis di proprietà di Enel SpA, Fusina (Venezia) di proprietà di Enel SpA, Marghera (Venezia) di proprietà di Enel SpA, La Spezia di proprietà di Enel SpA, Bastardo (Perugia) di proprietà di Enel SpA. Nel 2014 le centrali italiane hanno contribuito a coprire il 13,5 per cento del fabbisogno di elettricità causando emissioni di CO2 per 39,4 milioni di tonnellate, pari al 40 per cento delle emissioni dell'intero comparto termoelettrico;
    l'Italia ha una sovrabbondanza di centrali termoelettriche con una capacità installata doppia rispetto alla domanda di picco, senza considerare l'apporto delle rinnovabili; secondo dati di Terna, la capacità termoelettrica installata è pari a circa 122 GW a fronte di un record dei consumi raggiunto lo scorso 21 luglio 2015 pari a 59,126 GW; una riduzione dunque dell'offerta di energia da centrali termoelettriche e a partire da quelle a carbone non pregiudicherebbe dunque la sicurezza del sistema energetico;
    il carbone e gli altri combustibili fossili devono essere gradualmente ma sistematicamente sostituiti da fonti di energia pulita, in grado anche di generare un maggior numero di posti di lavoro. Lo confermano numerosi studi: secondo lo UK Energy Research Centre (UKERC) rinnovabili ed efficienza energetica creano un numero di posti di lavoro dieci volte superiore rispetto al termoelettrico; per Clean energy Canada i 18 miliardi di dollari investiti nell'energia rinnovabile hanno portato ad una crescita del 37 per cento dell'occupazione in cinque anni; nel rapporto Legambiente, Gse stima che il settore delle energie rinnovabili potrebbe arrivare a creare 250 mila posti di lavoro, più altri 600 mila nei settori collegati e nell'indotto entro il 2020;
    una ricerca condotta dall'università di Stoccarda ha evidenziato gli impatti sanitari dell'inquinamento prodotto dalla combustione del carbone nei Paesi dell'Unione europea. Nel 2010, l'anno a cui vanno riferiti tutti gli impatti stimati, si sono registrate in Europa 22.300 decessi a causa del carbone, di questi 521 in Italia. L'incidenza sulla salute pubblica è tanto maggiore quanto più gli impianti si trovano in prossimità di centri abitati o addirittura integrati in essi, come accade in Italia ad esempio con gli impianti di Civitavecchia, di La Spezia, di Genova o di Monfalcone. Secondo uno studio dei ricercatori del CNR di Lecce e Bologna pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health la centrale Federico II, una delle più grandi ed inquinanti d'Europa, costruita a soli dodici chilometri dalla zona sud della città di Brindisi, causerebbe ogni anno 44 decessi nella zona di Brindisi, Taranto e Lecce;
    nonostante la conclamata pericolosità delle centrali a carbone, in particolare per l'ambiente e la salute non sono previsti limiti nelle emissioni in atmosfera;
    il 3 agosto 2015 il presidente Obama ha annunciato il clean power plan act, un provvedimento che introduce per la prima volta limiti alle emissioni che le centrali possono produrre (Emission performance standard); un provvedimento di grande importanza verso la riduzione delle emissioni di CO2 del 32 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005 e per accelerare la transizione energetica degli Stati Uniti verso un'energia pulita. L'amministrazione Obama stima che i benefici per la salute pubblica e il clima valgano tra i 34 miliardi e i 54 miliardi di dollari all'anno fino al 2030, superando di gran lunga i costi stimati in 8,4 miliardi,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per programmare ed avviare la chiusura progressiva delle centrali a carbone ancora presenti nel territorio italiano;
   ad assumere iniziative per definire e introdurre nuovi standard e limiti alle emissioni di CO2 delle centrali in modo da allineare le emissioni consentite agli obiettivi da raggiungere per contenere l'aumento della temperatura media globale entro la soglia dei due gradi rispetto al periodo precedente alla rivoluzione industriale;
   a promuovere, anche in sede europea, l'adozione di standard e limiti di emissione delle centrali termoelettriche.
(7-00810) «Stella Bianchi, Realacci, Borghi, Braga, Bratti, Morassut, Mariani, Manfredi, Giovanna Sanna, De Menech, Zardini, Gadda, Gandolfi, Gnecchi, Venittelli, Cenni, Amato, Lodolini, Paola Boldrini, Scuvera, Folino, Capone, Fossati, Rostan, Bossa, Iori, Prina, Malpezzi, Mariano, Marchi, Beni, Giuseppe Guerini, Malisani, Arlotti».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    il tracciato dell'alta velocità ferroviaria è attualmente caratterizzato in Italia da due grossi rami che vanno da Torino a Trieste e da Milano al Sud del Paese;
    in questo contesto Genova, come rileva l'Istituto internazionale delle comunicazioni, che non è attraversata da nessuno dei due tracciati, rimane praticamente isolata dal resto del Paese;
    oggi, da Genova, si raggiungono le più importanti città limitrofe (Firenze, Roma, Milano, Torino, Nizza) con materiale rotabile in prevalenza obsoleto e con tempi di percorrenza lontani anni luce dalle normali prestazioni di un moderno trasporto ferroviario;
    le velocità medie commerciali sono, infatti, inferiori a 80 km/h per gli intercity con punte di 100 km/h per i Frecciabianca, peraltro poco frequenti. Le percorrenze, in molti casi, sono addirittura superiori a quanto si era già conseguito venti o trenta anni fa: è emblematico il caso di Milano, che negli anni ‘70 era collegata da coppie di ETR220 che impiegavano meno di un'ora e venti minuti per raggiungere Genova, un tempo attualmente ineguagliabile;
    questa situazione limita la mobilità dei cittadini genovesi e liguri, per tale ragione il comune di Genova e la regione Liguria stanno valutando le proposte contenute nel piano predisposto dall'Istituto internazionale delle comunicazioni e, in particolare, l'ipotesi di un treno veloce che colleghi Savona, Genova, La Spezia a Roma passando per Firenze;
    secondo il piano, una serie di misure sono attuabili nel breve periodo tramite un accordo con Trenitalia, prevedendo, anche miglioramenti consistenti per le altre tratte Genova-Milano, Genova Torino, Genova-Nizza che possono essere migliorate con un'accurata scelta delle stazioni di arrivo/partenza e delle soste intermedie, in un'ottica punto-punto;
    secondo il citato studio, Trenitalia riceverà entro fine anno ventotto treni di ultima generazione, gli Etr-1000 e si renderanno così disponibili gli ETR 500 e 470, il cosiddetto Pendolino, che potrebbero essere spostati dall'alta velocità ad altre tratte, in primo luogo Genova, da dove con un treno di tale capacità, si può raggiungere Roma in poco più di tre ore, passando per Firenze, e creando un'offerta effettivamente complementare all'aereo;
   per quanto riguarda i vettori aerei, infatti, nei giorni scorsi è apparsa sugli organi di stampa la notizia secondo cui il 20 ottobre 2015 terminerà il servizio low cost di Vueling da Genova a Roma, si creerà così di fatto una situazione di monopolio di Alitalia, che potrebbe comportare, nella più assoluta assenza di concorrenza anche da parte del vettore ferroviario, un aumento delle tariffe;
   per questa ragione è necessario puntare sul trasporto ferroviario che, oltre a facilitare la mobilità dei genovesi, potrebbe rispondere alle esigenze dei viaggiatori attirati dai punti di forza della città che è sede del più grande porto italiano, di gruppi industriali quali Ansaldo e ILVA, dell'Istituto italiano di tecnologia;
   non meno rilevante sarebbe l'incremento dei collegamenti ferroviari per attirare e consolidare i flussi turistici e offrire nuove opportunità di spostamento ai crocieristi che sbarcano nei porti liguri,

impegna il Governo:

   a promuovere, prima che sia definito il nuovo orario ferroviario, in accordo con il comune di Genova, con la regione Liguria e con Trenitalia, un piano della mobilità ferroviaria finalizzato a trasformare gli attuali collegamenti che interessano Savona, Genova, La Spezia in collegamenti veloci, fissando obiettivi tecnicamente raggiungibili in tempi brevi sul tracciato attuale;
   a finalizzare il predetto piano all'obiettivo di ottimizzare gli orari, scegliendo accuratamente le stazioni e sopprimendo le soste intermedie con linee frequenti e dirette, senza cambi intermedi.
(7-00811) «Tullo, Biasotti, Oliaro, Pastorino, Quaranta, Carocci, Basso, Ermini, Giacobbe, Mariani, Marco Meloni, Vazio».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   la particolare congiuntura economica, e sociale, che interessa ormai da più anni il territorio della provincia di Taranto, è da tempo alla attenzione del Governo, che è intervenuto più volte con provvedimenti d'urgenza, finalizzati a fronteggiare, in particolare, la crisi riveniente dalle note vicende che riguardano l'acciaieria Ilva;
   la crisi del più grande insediamento produttivo del territorio, oltre alle conseguenze sulla tenuta occupazionale diretta, ha prodotto, come effetto domino, la caduta verticale delle commesse per l'indotto, le cui aziende, peraltro, in conseguenza dell'attuale stato di amministrazione straordinaria dell'Ilva, presentano significative sofferenze in termini di crediti maturati;
   a questa situazione di per sé già molto problematica, si aggiungono numerose altre criticità che vanno dallo «stop» temporaneo delle attività di transhipment, alle difficoltà per la provincia, a seguito dell'attuazione della «riforma Delrio», di garantire continuità per i servizi e la occupazione di società in house, alla crisi del comparto mitilicolo, alla chiusura di numerose piccole e medie imprese, alla drastica riduzione delle attività commerciali;
   per far fronte a tale stato di cose, il Governo è intervenuto, da ultimo con il decreto-legge numero 1 del 5 gennaio 2015 convertito dalla legge 4 marzo 2015 numero 20;
   nel merito il decreto, all'articolo 5, prevedeva la stipula di un contratto istituzionale di sviluppo per l'area di Taranto che doveva riguardare gli interventi di bonifica della città di Taranto e la valorizzazione dell'arsenale di Taranto. Il contratto è uno strumento previsto nel piano Sud che assegna ad ogni parte il tempo per lo svolgimento dei propri compiti e in casi di ritardo prevede l'attivazione del potere sostitutivo. Questo strumento fu concordato con Bruxelles come strumento di attuazione rafforzata degli interventi finanziati con le risorse nazionali e comunitarie per il Mezzogiorno;
   l'articolo 6 prevedeva che il commissario per le bonifiche predisponesse un piano per le bonifiche a medio lungo termine;
   l'articolo 8 prevedeva che il comune di Taranto predisponesse un piano di valorizzazione della città vecchia che andasse ad integrare il piano nazionale delle città approvato per Taranto che prevede finanziamenti per 25 milioni di euro;
   da ultimo, si prevedeva che il Ministero della difesa predisponesse un piano di valorizzazione turistico-culturale dell'arsenale entro 60 giorni dalla conversione in legge del decreto avvenuta il 4 marzo e quindi entro il 4 maggio 2015;
   l'articolo 5 prevedeva l'istituzione di un tavolo istituzionale permanente che doveva avvenire con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri entro 30 giorni dalla conversione del decreto-legge (ovvero il 4 aprile), ma non vi è traccia che questo decreto sia stato emanato. Tanto è vero che il 20 maggio quando si è insediato il tavolo, il Sottosegretario De Vincenti ha detto che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri era ancora in fase di elaborazione;
   una seconda riunione del tavolo si è tenuta a Taranto il 20 luglio e l'ultima il 23 settembre. In questa ultima riunione si è previsto che il tavolo fosse riconvocato a metà ottobre per individuare i progetti da far finanziare al CIPE;
   in data 12 ottobre 2015 si è tenuta una riunione a Taranto che non ha prodotto alcun esito in termini concreti di avvio della progettazione;
   a oggi nessun progetto quindi è finanziato. In più poiché alcuni interventi come l'ospedale, finanziato con i fondi della riprogrammazione avvenuta con il piano Sud «FITTO» secondo quanto previsto dalla delibera CIPE del 30 giugno 2014 devono essere impegnati entro il 31 dicembre 2015, il rischio è che queste risorse vadano perse come tutte quelle destinate al Mezzogiorno che sono state a giudizio dell'interpellante sistematicamente rimosse da parte del Governo;
   in merito alla valorizzazione dell'Arsenale era previsto che il Ministero della difesa predisponesse entro 60 giorni (4 maggio 2015) un piano da sottoporre alla regione, al comune e al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, anche di questo piano non si ha traccia;
   il decreto prevedeva poi che il CIPE finanziasse nuovi interventi per Taranto, anche di questo non si ha traccia; anzi come detto prima il rischio è che a Taranto siano sottratte ulteriori risorse;
   nel frattempo la crisi che riguarda in particolare l'acciaieria Ilva si fa sempre più grave, registrando perdite mensili pari a 50 milioni di euro, con una riduzione del 50 per cento della produzione, la perdita di importanti commesse, il ricorso massiccio agli ammortizzatori sociali, l'affossamento delle aziende dell'indotto;
   le attività di bonifica del territorio evidenziano forti ritardi;
   in data 24 dicembre 2014 il Governo affermava che: «Il progetto è serio, ed è un progetto Taranto (cultura, porto, bonifiche, ospedale). Non solo Ilva.»; si parlava di miliardi di euro, salvo poi leggere nelle relazioni tecniche del provvedimento che «la presente norma non prevede nuovi stanziamenti» quindi neanche un euro aggiuntivo rispetto a quelli già previsti –:
   se sia a conoscenza dello stato avanzamento dei lavori e dei gravi ritardi finora accumulati;
   se sia a conoscenza dell'aggravarsi della crisi aziendale che riguarda l'Ilva di Taranto e di conseguenza di tutte le attività ad essa collegate;
   quali iniziative intenda adottare per far fronte alle emergenze sopra esposte e in particolare con quali risorse.
(2-01120) «Chiarelli».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   la crisi che ha colpito l'acciaieria Ilva di Taranto è abbondantemente nota a tutti i livelli di governo, come note sono le problematiche che riguardano il territorio della provincia ionica, sia sotto il profilo economico occupazionale, sia per le disastrose condizioni ambientali che compromettono la salute dei cittadini;
   parimenti note sono le vicende giudiziarie che vedono in corso un processo penale a carico di quanti, con atti commissivi e/o omissivi, hanno di fatto favorito il degrado ambientale e la conseguenti ripercussioni negative sulla salute di lavoratori e abitanti;
   il Governo è più volte intervenuto nella vicenda Ilva, varando provvedimenti d'urgenza: finalizzati a rilanciare lo stabilimento di Taranto, ritenuto strategico nell'ambito degli asset industriali del nostro Paese, e, contestualmente, a normalizzare l'impatto ambientale;
   per l'attuazione dell'autorizzazione integrata ambientale e il rilancio della produzione il Governo ha previsto anche l'impiego di risorse rivenienti dal sequestro ai danni del gruppo imprenditoriale responsabile della gestione privata della acciaieria;
   con uno dei citati provvedimenti il Governo si è fatto carico della gestione diretta della azienda attraverso il suo commissariamento, in un contesto di amministrazione straordinaria;
   la gestione commissariale, allo stato dei fatti, non ha raggiunto, ad avviso dell'interpellante, alcuno degli obiettivi prefissati: sul piano economico-finanziario risultano perdite valutate in circa 50 milioni di euro al mese; la produzione di quest'anno si attesta sui 5 milioni di tonnellate di acciaio, rispetto agli 8 milioni previsti per il pareggio, e ad una potenzialità produttiva che supera i 10 milioni di tonnellate;
   in un contesto di crisi del mercato europeo dell'acciaio, l'Ilva perde importanti commesse, come, ad esempio, quella relativa alla fornitura di tubi per il TAP;
   l'acuirsi della crisi comporta altresì problematiche relative alla liquidità che mettono in forse il pagamento degli stipendi e dei fornitori;
   l'appalto, comandato, dalla gestione commissariale, per effettuare i lavori di bonifica, attende da mesi il pagamento delle commesse, mentre per i crediti pregressi è attivata la procedura prevista per l'amministrazione straordinaria, con i lunghi tempi che ciò comporta;
   quanto sopra esposto si inserisce in un contesto più generale che vede il territorio ionico, già gravato da un livello straordinariamente alto di disoccupazione, aggredito da una serie di criticità che impediscono al momento di ipotizzare lo sviluppo di fonti alternative di sviluppo e di occupazione. Un possibile default dell'acciaieria comporterebbe la perdita di almeno 20-30 mila posti di lavoro considerando diretti e indotto –:
   quale prospettiva, nel medio e lungo periodo, il Governo preveda in riferimento agli assetti aziendali, al posizionamento sul mercato, alla gestione;
   nell'immediato, quali iniziative intenda adottare per fronteggiare la grave crisi che, se non risolta, porterebbe alla chiusura dello stabilimento, con tutte le prevedibili conseguenze sul piano economico ed occupazionale;
   se ritenga, come prima iniziativa, intervenire sull'attuale gestione commissariale operando tutti i correttivi necessari ed indispensabili per garantire un immediato cambio di strategia nella gestione dello stabilimento siderurgico.
(2-01122) «Chiarelli».

Interrogazioni a risposta scritta:


   TINO IANNUZZI e IMPEGNO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   presso il castello del lago Patria (Napoli) è ubicata la sede di una caserma dell'Arma dei carabinieri, da sempre presidio importante per la sicurezza delle popolazioni di quel comprensorio, che include i territori di lago Patria, Varcaturo, Licola, località sul litorale domizio a confine con Castel Volturno, a sempre più alta densità di popolazione;
   è stato preannunciato il trasferimento di tale caserma nel comune di Villaricca, che dista 12 chilometri da lago Patria; con tale trasferimento questo presidio di ordine pubblico sarebbe allontanato da un'area sempre più delicata per la gestione della sicurezza pubblica, in considerazione sia della insistenza in quel territorio di attività malavitose, sia della crescita notevole negli ultimi anni della popolazione, anche per la presenza di molti centri di accoglienza e di campi Rom;
   detta caserma è l'unico presidio di forze dell'ordine esistente in quel territorio;
   la ragione del trasferimento sarebbe stata identificata nella fatiscenza della sede attuale della caserma nel castello di lago Patria;
   sul territorio, tuttavia, esistono anche numerose ville confiscate che potrebbero eventualmente essere utilizzate per ospitare quella caserma dell'Arma dei carabinieri;
   la notizia del trasferimento ha suscitato grande apprensione nella popolazione locale – che muovendo proprio dalla grande fiducia per l'Arma, che ben conosce e da tempo tutte le molteplici problematiche della zona – si è mobilitata in forme diverse per scongiurare lo spostamento della caserma medesima –:
   quali interventi e quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere per non privare questa zona del lago Patria del presidio fondamentale fino ad oggi rappresentato dalla caserma dell'Arma dei carabinieri sopra evidenziata, considerando che trattasi di una realtà territoriale esposta a gravi rischi di radicalizzazioni violente legate alla crescente infiltrazione camorristica (4-10734)


   VILLAROSA, D'UVA, MARZANA e CANCELLERI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in Sicilia le competenze in tema di infrastrutture, rete stradale e autostradale, trasporti, controllo sulle opere pubbliche che utilizzano fondi europei, dissesto idrogeologico, prevenzione e previsione dei relativi rischi e, non per ultime, conoscenza e sorveglianza del territorio regionale, si ripartiscono tra gli uffici della Protezione civile e i vari dipartimenti, strutture, organi e uffici rientranti negli ambiti dell'assessorato alle infrastrutture e alla mobilità e dell'assessorato al territorio e all'ambiente;
   l'articolo 117 della Costituzione dispone che la protezione civile è materia di potestà concorrente fra Stato e regione. In tale ambito, le regioni si occupano di predisporre i programmi di previsione e prevenzione dei rischi, sulla base degli indirizzi nazionali e attuare gli interventi urgenti quando si verificano interventi di tipo «b», avvalendosi anche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco oltre che organizzare e impiegare il volontariato;
   secondo quanto contenuto nella direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 febbraio 2004, rubricata «Indirizzi operativi per la gestione organizzativa e funzionale del sistema di allertamento nazionale e regionale per il rischio idrogeologico ed idraulico ai fini di protezione civile» pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 59 dell'11 marzo 2004: «Ai fini delle attività di previsione e prevenzione, le Regioni, anche cooperando tra loro e d'intesa con il Dipartimento della protezione civile, suddividono e/o aggregano i bacini idrografici di propria competenza, o parti di essi, in ambiti territoriali significativamente omogenei per l'atteso manifestarsi nel tempo reale della tipologia e della severità degli eventi meteo-idrologici intensi e dei relativi effetti». La valutazione degli effetti deve riguardare con crescente priorità ed importanza, tra gli altri, quelli relativi alle infrastrutture e agli impianti per i trasporti;
   la rete dei centri funzionali, costituita dal centro funzionale centrale, presso il Dipartimento della Protezione civile e dai centri funzionali decentrati presso le regioni e le province autonome. Ogni centro funzionale svolge attività di previsione, monitoraggio e sorveglianza in tempo reale dei fenomeni meteorologici, con la conseguente valutazione degli effetti previsti su persone e cose in un determinato territorio, concorrendo, insieme al Dipartimento della Protezione civile e alle regioni, alla gestione del sistema di allertamento nazionale;
   all'assessorato regionale alle infrastrutture e alle mobilità sono attribuite competenze, tra le altre, relative ai trasporti, alla programmazione, realizzazione e gestione di infrastrutture di comunicazione e trasporti, gli adempimenti tecnici e ai controlli concernenti le opere pubbliche di competenza regionale. Al «Dipartimento Regionale Tecnico» del medesimo assessorato è attribuito il compito di coordinare i Servizi dei GG.CC., i quali, a loro volta, devono attuare il monitoraggio, il controllo e la vigilanza sulle opere finanziate con fondi comunitari, dare pareri ed autorizzazioni in materia di assetto idrogeologico del territorio e progettare e dirigere i lavori di urgenza e somma urgenza ed attività connesse alla Protezione civile;
   al comando del Corpo forestale della regione, struttura facente parte dell'assessorato al territorio e all'ambiente, competono compiti e attività che riguardano la conoscenza, la sorveglianza, il controllo, la difesa e la valorizzazione del territorio forestale e montano, del suolo, dell'ambiente naturale e delle aree protette. A ciò si aggiunge la partecipazione all'organizzazione e allo svolgimento delle attività di protezione civile;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dall'analisi dei dati ambientali contenuti negli annuari dell'Ispra, ha valutato che il costo complessivo dei danni provocati dagli eventi franosi ed alluvionali dal 1951 al 2009, rivalutato in base agli indici Istat al 2009, risulta superiore a 52 miliardi di euro, quindi circa 1 miliardo di euro all'anno; tale cifra è pari a quasi 3 volte quello che in media è stato stanziato annualmente dal Governo negli anni che vanno dal 1991 al 2011 per le opere di prevenzione; la cifra complessiva risulta, inoltre, superiore a quanto servirebbe per le opere più urgenti di mitigazione del rischio idrogeologico sull'intero territorio nazionale, individuate nei piani stralcio per l'assetto idrogeologico, e quantificate in 40 miliardi di euro. Il progetto IFFI (Inventario dei fenomeni franosi in Italia), realizzato dall'Ispra e dalle regioni e province autonome, ha censito ad oggi oltre 486.000 fenomeni franosi che interessano un'area di 20.721 chilometri quadrati, pari al 6,9 per cento del territorio nazionale. Il 68 per cento delle frane europee si verifica in Italia e, dal 1900, le frane hanno causato 10.000 morti e 350.000 sfollati;
   il 10 ottobre 2015 le zone di Milazzo e Barcellona sono state interessate da ondate di piena dei torrenti, l'esondazione del torrente Mela, che ha interessato interamente la via Salso a Barcellona Pozzo di Gotto, causando centinaia di sfollati a seguito dell'ordinanza di sgombero predisposta dal Sindaco, mentre a Milazzo lo stesso torrente, oltre a causare parecchi danni e centinaia di sfollati in zona Bastione, ha avuto anche come conseguenza dei danni considerevoli alla rete dell'acquedotto, tali da necessitare una tempestiva ordinanza del Sindaco la quale dispone il divieto dell'utilizzo dell'acqua per fini alimentari;
   in relazione ai gravi fatti accaduti in provincia di Messina il 10 ottobre 2015, tale intreccio di prerogative statali ambiti e competenze, al quale si aggiungono le prerogative statali del «Commissario straordinario delegato per la realizzazione degli interventi per la mitigazione dei rischi idrogeologici», comporta ad avviso degli interroganti un «rimpallo» di responsabilità, e una evidente mancanza di organizzazione che hanno condotto la Sicilia a sperimentare una vera e propria deriva nei settori delle infrastrutture, della rete stradale ed autostradale, della sicurezza pubblica e del monitoraggio del rischio idrogeologico, insieme a una dispersione ingiustificabile di fondi pubblici ed europei;
   in data 24 gennaio 2015 l'assessore Croce dichiara di aver completato all'80 per cento i lavori sul fronte «Giampilieri-Scaletta e San Fratello ammettendo però di «essere realmente indietro per quanto riguarda Barcellona Pozzo di Gotto e Saponara, un ritardo legato alle poche risorse disponibili»;
   i fondi stanziati per la messa in sicurezza del territorio tirrenico sono pari a 30 milioni di euro, di questi, 7 milioni di euro sono destinati a Barcellona Pozzo di Gotto per interventi in merito alla costruzione di briglie selettive alla vasca di contenimento a monte del torrente Longano, per la «saia bizzarro», torrente idria e per gli interventi delle frazioni di Migliardo e Femminamorta. La zona di Migliardo ha subito degli eventi franosi che hanno compromesso la viabilità nella zona;
   in particolare, la città di Barcellona Pozzo di Gotto già nel novembre 2011 è stata colpita da un gravissimo episodio di natura alluvionale, il quale ha recato ingentissimi danni alla popolazione senza alcun effettivo e concreto risarcimento. È notizia del 18 settembre 2015 (www.tempostretto.it) che si è tenuto un incontro, presso la sede del dipartimento della Protezione civile a Messina finalizzato all'effettiva risoluzione dei problemi inerenti ai danni causati dal fenomeno alluvionale del 2011. Dall'incontro era emerso che, già dalla settimana successiva al 18 settembre, la Protezione civile avrebbe dovuto dare il via libera definitivo per la progettazione esecutiva, a cura dell'ufficio tecnico comunale, delle opere di riordino idraulico delle saie Bizzarro, Pantano e Oreto; per un importo di 500.000 euro. Sempre nella stessa circostanza si apprendeva la notizia dell'imminente (entro una settimana) consegna dei lavori per il ripristino degli argini della saia Bizzarro in contrada Canalotto di Pozzo Perla (Barcellona Pozzo di Gotto);
   da articoli di stampa si apprende che sicuramente alcune delle cause delle recenti inondazioni che hanno interessato Messinese siano da ricercare nella scarsa, ma a volte inesistente, manutenzione dei torrenti, manutenzione che probabilmente non avrebbe evitato l'evento in questione, ma altrettanto probabilmente avrebbe ridotto l'entità dei danni;
   a seguito di numerose telefonate intercorse con le strutture competenti, risulta agli interroganti che la regione, ad oggi, non ha inviato alla protezione civile i dati relativi all'evento calamitoso, procedura fondamentale per la catalogazione dell'evento da parte della protezione civile così come descritto dall'articolo 2 della legge numero 225 del 1992;
   da evidenziare, in negativo, che fino a questo momento le amministrazioni locali risultano abbandonate a se stesse e stanno sostenendo anche spese abbastanza rilevanti per affrontare l'emergenza –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione tragica, per quanto riguarda il rischio idro-geologico, della provincia di Messina ed in particolare della zona Barcellona-Milazzo;
   se, nell'ambito delle proprie competenze, i Ministri interroganti non intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a promuovere uno snellimento della complessa procedura attualmente necessaria per l'utilizzo dei fondi statali tempestivamente stanziati, ma utilizzabili solo dopo parecchi anni;
   se il Governo, per quanto di competenza, intenda valutare, per la provincia di Messina, un intervento strutturale di medio-lungo periodo, finalizzato alla soluzione del problema nella sua complessità evitando di sperperare denaro pubblico con mini-interventi non risolutivi, anche al fine di evitare ulteriori danni a persone o cose in un territorio già più volte devastato dagli effetti dovuti alle conseguenze di fenomeni atmosferici naturali sempre più violenti, sommati agli effetti ancor più devastanti delle opere degli esseri umani;
   se il Governo non intenda valutare l'esistenza dei presupposti per la presentazione della richiesta al Fondo di solidarietà dell'Unione europea (FSUE) al fine di sostenere la ricostruzione e la ripresa delle zone colpite;
   evidenziata la lentezza della fase di valutazione, se il Governo non intenda, per quanto di competenza, assumere iniziative urgenti per promuovere l'immediata erogazione di fondi da mettere a disposizione degli amministratori locali per fronteggiare le spese più urgenti, come ad esempio, la messa in sicurezza dell'impianto fognario e della rete di distribuzione idrica, il pagamento delle ditte che stanno lavorando, il pernottamento dei cittadini sfollati e la messa in sicurezza degli argini distrutti;
   se il Governo non intenda deliberare lo stato di emergenza per le zone del Messinese colpite classificando questo evento come di tipo C ai sensi della legge n. 225 del 1992. (4-10740)


   L'ABBATE e SCAGLIUSI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la legge 7 agosto 2015, n. 214, concernente «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche» all'articolo 10 prevede il «Riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura» e, con il comma 1, lettera c) fissa principi e criteri per la ridefinizione dei loro compiti e delle loro funzioni, «con particolare riguardo a quelle di pubblicità legale generale e di settore, di semplificazione amministrativa, di tutela del mercato, limitando e individuando gli ambiti di attività nei quali svolgere la funzione di promozione del territorio e dell'economia locale, nonché attribuendo al sistema camerale specifiche competenze, anche delegate dallo Stato e dalle regioni, eliminando duplicazioni con altre amministrazioni pubbliche, limitando le partecipazioni societarie a quelle necessarie per lo svolgimento delle funzioni istituzionali nonché per lo svolgimento di attività in regime di concorrenza, a tal fine esplicitando criteri specifici e vincolanti, eliminando progressivamente le partecipazioni societarie non essenziali e gestibili secondo criteri di efficienza da soggetti privati»;
   a luglio 2015, la cordata composta da Bologna Fiere, Ferrara Fiere, Sogeicos SpA e camera di commercio di Bari ha ottenuto l'approvazione unanime del Consiglio generale della Fiera del Levante per la gestione dell'Ente fieristico barese nell'ambito della cosiddetta «privatizzazione» dello stesso. Quella della cordata capitanata dalla camera di commercio di Bari (che attualmente detiene il 51 per cento e che potrebbe raggiungere il 90 per cento delle quote della cordata qualora non vengano trovati imprenditori locali disposti a prenderne parte, fermo restando l'avallo del consiglio dell'Ente Fiera) è stata l'unica offerta al secondo bando redatto dall'attuale presidente Ugo Patroni Griffi e dovrebbe prevedere un canone legato al 2 per cento sul fatturato oppure al 20 per cento sugli utili, con un importo minimo per le casse dell'Ente fiera pari a 100.000 euro l'anno. La camera di commercio di Bari, inoltre, con provvedimento di giunta n. 102 del 14 luglio 2014, aveva deliberato precedentemente di versare all'Ente fieristico la somma di 1,5 milioni di euro, quale contributo straordinario e supplementare in conto capitale richiesto dalla Fiera del Levante ai soci (per complessivi 9 milioni di euro a cui ha contribuito anche la regione Puglia con 4,5 milioni di euro) nell'ambito del programma di risanamento finanziario e di riequilibrio economico promosso dalla regione Puglia;
   in data 12 ottobre 2015, il consiglio d'amministrazione dell'Ente fieristico approva una proposta di contratto di gestione, dopo aver ottenuto l'approvazione politica del comune di Bari e della regione Puglia. Si rimane in attesa del responso dei soci emiliani;
   appare agli interroganti di dubbia legittimità e comunque non in linea con il riordino delle funzioni delle camere di commercio, l'iniziativa imprenditoriale della camera di commercio di Bari –:
   se il Governo sia a conoscenza della cosiddetta «privatizzazione» della gestione della Fiera del Levante che vede protagonista la camera di commercio di Bari;
   se il Governo ritenga opportuna questa operazione per la gestione patrimoniale e finanziaria della camera di commercio di Bari, nel rispetto dei principi di armonizzazione della finanza pubblica, come previsto dall'articolo 4 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, e sue successive modificazioni, operazione ad avviso dell'interrogante in contrasto con quanto previsto dalla legge 7 agosto 2015, n. 214, posto che, in particolare, si fa riferimento a risorse pubbliche per finanziare una nuova iniziativa di gestione chiaramente privata, visti i soggetti coinvolti.
(4-10742)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il controllo della qualità degli scarichi ha assunto un'importanza crescente al fine di conseguire gli obiettivi comunitari sulla qualità delle acque;
   è quanto mai importante in tale contesto una corretta gestione degli impianti di depurazione per assicurarne una perfetta efficienza al fine di garantire il rispetto dei limiti di legge per gli scarichi, il mantenimento delle condizioni di sicurezza igienico sanitaria a tutela degli utenti, l'attuazione degli eventuali interventi correttivi in modo rapido ed efficace;
   il corretto scarico delle acque reflue è senza dubbio un tema centrale della politica ambientale del nostro Paese;
   un'adeguata manutenzione ed il miglioramento continuo nella gestione di un depuratore sono obiettivi coerenti con le politiche ambientali poste in essere in questi anni;
   è fondamentale che chi effettua la manutenzione preventiva, ordinaria e straordinaria di un impianto di depurazione sia dotato di tutti gli strumenti tecnici e delle apparecchiature necessarie e di un sistema di gestione ambientale adeguato;
   l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) è ente pubblico di ricerca; dotato di autonomia tecnica, scientifica, organizzativa, finanziaria, gestionale, amministrativa, patrimoniale e contabile, sottoposto alla vigilanza del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che se ne avvale anche per impartire direttive generali per il perseguimento dei propri compiti istituzionali;
   nella sua mission rientra pure la promozione di «linee guida» ed in generale la produzione di documentazione scientifica nell'interesse della tutela dell'ambiente, anche con il concorso del sistema nazionale delle agenzie e dei controlli in materia ambientale;
   la maggior parte delle acque reflue oggi confluisce in impianti di depurazione per la cui manutenzione mancano «linee guida» che solo in alcuni territori le regioni o le agenzie ambientali hanno provveduto ad emanare e che, per altro, non sono né esaustive né hanno standard e contenuti uniformi;
   compito delle istituzioni pubbliche è anche quello di supportare e sensibilizzare la cultura ambientale e il rispetto per l'ambiente e quindi anche di sollecitare enti pubblici e privati operanti nel settore degli impianti di depurazione di acque reflue a introdurre in modo corretto sistemi manutenzione che ne permettano di valutare e gestire tutti gli aspetti e gli impatti ambientali nonché di garantire il rispetto delle prescrizioni e degli adempimenti previsti dalla legislazione;
   per favorire il raggiungimento degli standard di qualità delle acque previsti dalla normativa vigente, assicurare una corretta gestione degli impianti di depurazione, adeguati sistemi di autocontrollo e di controllo dei depuratori, un'adeguata formazione del personale, standard e procedure uniformi di verifica a livello nazionale e fornire ai gestori degli impianti di depurazione di acque reflue ed ai soggetti preposti ai controlli istruzioni operative, sono opportune specifiche «linee guida» elaborate dall'ISPRA con il concorso tecnico-scientifico delle agenzie ambientali –:
   si ritenga opportuno assumere iniziative affinché l'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) elabori specifiche «linee guida» per la manutenzione degli impianti di depurazione al fine di poter poi impartire direttive generali per il perseguimento dei compiti istituzionali ed in particolare quelli finalizzati al raggiungimento degli standard di qualità delle acque previsti dalla normativa comunitaria. (5-06651)

Interrogazione a risposta scritta:


   NESCI e PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto stabilisce l'articolo 9, comma 11, della legge n. 394 del 6 dicembre 1991, «il Direttore del parco (ente parco, nda) è nominato, con decreto, dal Ministro dell'ambiente, scelto in una rosa di tre candidati proposta dal consiglio direttivo da soggetti iscritti ad un albo di idonei all'esercizio dell'attività di direttore di parco istituito presso il Ministero dell'ambiente, al quale si accede mediante procedura concorsuale per titoli. Il presidente del parco provvede a stipulare con il direttore nominato un apposito contratto di diritto privato per una durata non superiore a cinque anni»;
   direttore presso l'ente parco nazionale della Sila è il dottor Michele Laudati;
   i compiti cui è chiamato il direttore, secondo quanto stabilito dallo statuto dell'ente succitato, sono di primaria importanza: coopera e collabora con il presidente e con gli organi dell'Ente Parco per la definizione degli obiettivi e dei programmi da attuare; adotta tutti gli atti di gestione amministrativa, finanziaria e tecnica, compresi quelli che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo; assume le determinazioni relative all'instaurazione di rapporti di consulenza e collaborazione con, professionisti e con enti specializzati; assume le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti la gestione dei rapporti di lavoro, ivi comprese le relazioni sindacali;
   secondo quanto emerge dal suo curriculum, il dottor Laudati ricopre tale ruolo dal 2006, essendo stato incaricato per due mandati successivi;
   stando a quanto riportato da un articolo de «Il Corriere della Sera» del 16 marzo 2012, però, Laudati era stato dichiarato totalmente inidoneo al lavoro e dunque i due mandati conferitigli sarebbero a giudizio dell'interrogante entrambi in contrasto con la normativa vigente;
   scrive il giornalista Antonio Ricchio nel summenzionato articolo: «Il referto dei medici del centro militare di medicina legale di Catanzaro, datato 30 novembre 2000, parla chiaro: “Il soggetto non è idoneo permanentemente al servizio d'istituto in modo assoluto”. Per Michele Laudati, all'epoca ufficiale del Corpo forestale dello Stato, si prospettano lunghe giornate di riposo. Una convinzione rafforzata l'anno successivo (siamo a giugno 2001) quando il diretto interessato viene collocato a riposo ma “con diritto al trattamento di quiescenza comprensivo della indennità integrativa speciale”»;
   ciononostante il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, pro tempore, Corrado Clini, nel 2012 firmò un decreto con il quale riconfermò Laudati, in quiescenza, nella carica di direttore del parco nazionale della Sila, con la corresponsione – per come si evince dal dato riferito all'anno 2013 nella sezione «Amministrazione trasparente» del sito Internet dell'Ente Parco – di euro 43.310,90 a titolo di indennità di stipendio tabellare, più 36.945,55 quale retribuzione di posizione e una retribuzione di risultato non nota, stando alla medesima, succitata fonte;
   è mancante traccia del riferito giudizio medico-legale di inidoneità nelle autocertificazioni, reperibili nella succitata sezione, circa l'assenza di condizioni ostative all'incarico dirigenziale in parola;
   l'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 171 del 2011 dispone che: «nel caso di accertata permanente inidoneità psicofisica assoluta al servizio del dipendente di cui all'articolo 1 comma 1, l'amministrazione previa comunicazione all'interessato entro 30 giorni dal ricevimento del verbale di accertamento medico, risolve il rapporto di lavoro e corrisponde, se dovuta l'indennità sostitutiva del preavviso»;
   scrive ancora Ricchio: «In realtà la dichiarazione di inidoneità non è stata mai un problema per l'ex ufficiale del Corpo forestale. Il suo curriculum arriva già nel 2003 sulla scrivania dell'ex presidente della regione Giuseppe Chiaravalloti perché bisogna rinnovare i vertici dell'Afor, l'Azienda forestale della regione Calabria. L'accostamento, non è casuale: già nel 1998, quando ancora lavorava per il Corpo forestale dello Stato, Laudati è nominato direttore generale dello stesso ente. Nonostante l'opposizione degli assessori Umberto Pirilli e Saverio Zavettieri, con la delibera numero 728 l'incarico alla guida dell'Afor gli viene rinnovato per altri tre anni. Resta in carica fino al 2005 gestendo qualcosa come 55 mila ettari di demanio forestale e circa 12 mila operai» –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non intenda assumere iniziative per la revoca della nomina in questione;
   quali urgenti iniziative di competenza intendano adottare per la più ampia tutela delle risorse e degli interessi pubblici, in relazione alla vicenda in questione.
(4-10739)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SIMONE VALENTE, BATTELLI e MANTERO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Teatro dell'Opera Giocosa nasce a Genova nel 1956 come «Centro culturale sperimentale lirico sinfonico» acquisendo in breve tempo un posto di primo piano nel panorama artistico italiano; principio cardine del suo statuto è la promozione di allestimenti dal grande valore storico e culturale che nel 1975 gli consente di conseguire lo status di Ente Morale. Nel 1996 addirittura, la regione Liguria riconosce all'ente la qualifica di «istituzione culturale di interesse regionale» per poi essere successivamente incluso nel novero delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS);
   con decreto dell'allora Ministro Urbani del 26 novembre 2003 il Teatro dell'Opera Giocosa viene riconosciuto come «teatro di tradizione» (importante qualifica prevista dalla legge n. 800 del 1967), essendo stato uno dei rari e singolari teatri italiani ad aver dato particolare impulso alle locali tradizioni artistiche e musicali. Difatti, i teatri italiani che possono vantarsi di questo titolo sono in tutto una ventina e tra questi rientra il Teatro dell'Opera Giocosa, l'unico per quanto concerne la regione Liguria;
   l'attività dell'ente si rivolge prevalentemente ad un pubblico del circondario savonese pur tuttavia registrando ogni anno anche una buona presenza di spettatori di altre città liguri e soprattutto di stranieri che contribuiscono a sottolineare l'importanza turistica dell'attività e la forte valenza attrattiva che esso possiede; per non sottovalutare poi la capacità di questo teatro di attirare un numero sempre maggiore di spettatori giovani di età compresa tra i 27 e 45 anni;
   in effetti da diversi anni una delle principali attività consiste proprio nella promozione all'interno degli istituti scolastici di Savona e provincia della cultura operistica presso le giovani generazioni al fine di accendere e alimentare negli studenti la curiosità e l'interesse per l'opera lirica contribuendo in tal modo a creare un pubblico giovane attento e partecipe;
   per quanto concerne i rapporti con l'università risulta che l'ente ha avviato la collaborazione con numerosi atenei italiani al fine di formare e specializzare neolaureati nel campo dell'organizzazione teatrale tramite l'attivazione di stage dove i tirocinanti vengono coinvolti attivamente alla vita lavorativa e alla produzione degli spettacoli;
   con la nuova assegnazione delle risorse a valere sul fondo unico per lo spettacolo, a seguito dell'entrata in vigore della legge 1o luglio 2014 (che ha dettato nuovi criteri di ripartizione) tutti gli enti liguri e in primis, il suddetto Teatro, sono stati fortemente penalizzati;
   la nuova legge, per la cui redazione il ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo si è avvalso della società esterna denominata Struttura Consulting Srl (società di consulenza con sede legale a Roma), ha ridefinito i requisiti minimi dei soggetti richiedenti, la tempistica e la modalità di invio delle domande nonché il sistema di valutazione, ma ha avuto, secondo gli interroganti, effetti fortemente discriminatori per questa realtà teatrale che dopo sessant'anni di stimata attività subisce una pesante decurtazione contributiva rispetto agli anni precedenti;
   il meccanismo generato dalla nuova legge per definire le assegnazioni risulta inadatto alla corretta e quanto più accurata valutazione dell'attività globale di un teatro, in quanto basato prevalentemente su criteri quantitativi e numerici;
   in particolare, con decreto direttoriale 31 luglio 2015, n. 949, all'articolo 2 (teatri di tradizione) al Teatro dell'Opera Giocosa si assegnano 375.847.00 euro come contributi fondo unico spettacolo per l'anno 2015;
   nel caso dell'Opera Giocosa si è verificata una decurtazione di 65 mila euro per il 2015, a questa somma si aggiunge la cifra di 25 mila euro tolti dal bilancio riferito all'anno 2014 e che hanno posto a serio rischio la programmazione autunnale;
   appare del tutto evidente come il nuovo regolamento non determini risultati apprezzabili, in termini di estensione del pluralismo, di efficienza ed efficacia dell'intervento pubblico nonché di corretta valutazione della qualità artistica e per il Teatro in questione ciò si traduce in una seria difficoltà nel mantenere in vita un regolare palinsesto e una stabile programmazione considerati condizione necessaria per soddisfare i parametri previsti dalle nuovi regole ministeriali (che impongono ai teatri di tradizione la presentazione di un certo numero di titoli annuali e un certo numero di repliche);
   si segnala a tal proposito che il 20 luglio 2015 la compositrice Silvia Colasanti, componente della commissione consultiva musica che doveva valutare le assegnazioni per i teatri di tradizione, si è dimessa dall'incarico motivando la propria decisione nella scarsa efficacia del nuovo regolamento che lascia poco spazio all'aspetto qualitativo nella valutazione; in effetti, fino all'entrata in vigore del suindicato decreto, un soggetto operante nel settore che possedeva i requisiti richiesti, rientrava nei parametri, godeva di una stabile programmazione, poteva accedere regolarmente al fondo; con l'entrata in vigore delle nuove regole, invece, si sono verificate una serie di preoccupanti incongruenze ed anomalie –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché sia revocato il succitato decreto direttoriale 31 luglio 2015, n. 949, e siano riviste le procedure di distribuzione delle risorse destinate allo spettacolo dal vivo ponendo attenzione all'elaborazione dei dati forniti ed eliminando evidenti e non giustificate discrezionalità. (5-06646)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il patrimonio documentario conservato nella città di Modica dal XV al XVI secolo fa riferimento al plurisecolare periodo della Contea di Modica (è andata perduta la documentazione precedente al 1447 relativa al sorgere della Contea) e poi, con l'abolizione della feudalità in Sicilia (1812/16) al periodo in cui Modica fu capoluogo dell'omonimo circondario (Ottocento e primo Novecento):
   la giunta municipale di Modica nel 1947 propone che in città venga istituito l'Archivio di Stato. La richiesta della giunta municipale viene rinnovata nel 1948, 1949, 1954;
   con decreto del Ministero dell'interno del 25 febbraio 1955 viene istituita la «sottosezione», poi sezione di Archivio di Stato di Siracusa;
   la città di Ragusa chiede pure di ottenere e ottiene che si dia luogo a Ragusa una sezione di Archivio di Stato e che con decreto del Ministero dell'interno del 21 giugno 1955 viene istituita la sezione di Ragusa con decorrenza 1o luglio 1955;
   con decreto del Presidente della Repubblica del 30 settembre 1963, n. 1409 (norme per l'ordinamento degli Archivi di Stato), Ragusa, in quanto capoluogo di provincia, diventa sede di Archivio di Stato e la sede di Modica diventa sezione dell'Archivio di Stato di Ragusa;
   nella sede di Ragusa, oltre ovviamente ai documenti della Prefettura, confluirono documenti provenienti da Siracusa (taluni documenti si sarebbero dovuti trasferire a Modica, per errore pervengono a Ragusa ove finiscono conservati). Al di là di ciò il patrimonio documentale più consistente e rilevante resta quello conservato nella sezione archivistica di Modica e tra questi vari fondi della Contea di Modica (doc. dal sec. XIV al 1894), corporazioni religiose soppresse, atti dei notai, atti di vari comuni della contea e del circondario, documenti di famiglie, registri della Gran Corte (tribunali della contea di Modica), archivio comunale. In totale la consistenza del patrimonio documentale conservato a Modica è di 16.808 tra mazzi, registri, fascicoli e buste, 2 pergamene e 2 biblioteche antiche e la biblioteca di sezione;
   la città di Modica è stata ed è vivaio di istituzioni culturali antiche. Sono numerosi gli studiosi nei vari campi del sapere: diritto, filosofia, letteratura, teologia, medicina, matematica, scienze sperimentali e così via;
   il retaggio storico caratterizzante questo territorio riguarda ogni aspetto, a partire da quello istituzionale, agricolo, artigianale, giudiziario, gastronomico e così via; quello che fa capo a Modica, almeno dal XIV secolo sede di istituzioni scolastiche, fino ai primi decenni del ‘900 confluivano studenti dei vari comuni del circondario ed oltre;
   Ragusa non è più capoluogo di provincia;
   la scarsità di personale potrebbe indurre ad unificare le sedi di Modica e Ragusa –:
   quali iniziative, si intendano adottare in vista di un'eventuale ristrutturazione nella conservazione del patrimonio archivistico;
   se si ritenga opportuno unificare l'intera documentazione nella sede storica della conservazione del patrimonio documentale di questo territorio sud orientale della Sicilia, ossia Modica;
   se non ritenga di assumere iniziative affinché si conservi il patrimonio archivistico nel moderno e ampio edificio, che fino a pochi mesi fa è stato sede del nuovo palazzo di giustizia di via Aldo Moro a Modica, che peraltro ha tutti i requisiti di legge e quindi è pienamente idoneo alla conservazione e alle attività culturali ed è dotato peraltro di un grande parcheggio antistante e prossimo alla strada statale 115 che collega tutto il comprensorio.
(4-10731)


   L'ABBATE e SCAGLIUSI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   Snam Rete Gas S.p.a., società soggetta all'attività di direzione e coordinamento dell'Eni s.p.a, in data 22 marzo 2010 ha presentato alla provincia di Bari istanza per la procedura di assoggettabilità a valutazioni di impatto ambientale per il progetto del metanodotto denominato impianto di riduzione HPRS 10 P 75/24 bar; spina per Polignano a Mare DN 150 (6") DP 24 bar, comprensiva dei ricollegamenti a comune di Polignano a Mare DN 100 (4"), Puglialimentare DN 100 (4") e Aladin DN 100 (4"); rimozione di un tratto dell'esistente metanodotto «Bitetto-Monopoli» DN 125 (P 60 bar) e degli allacciamenti al Comune di Mola di Bari e Vetrerie Meridionali. L'opera si sviluppa in regione Puglia, interessando i comuni di Polignano a Mare, Noicattaro, Conversano, Triggiano e Monopoli, in provincia di Bari;
   in data 6 ottobre 2010, alcuni cittadini del comune di Polignano a Mare chiesero alla locale amministrazione e alla società Snam che il punto di consegna «spina per Polignano» fosse portato lontano dal precedente, in quanto quest'ultimo risultava collocato oramai a ridosso del paese, ovvero sulla strada provinciale Polignano-Castellana subito dopo la circonvallazione, in area diffusamente costruita. Richiesta reiterata in data 26 gennaio 2011, ancora il 26 maggio 2011 nonché il 13 giugno 2011;
   in data 21 giugno 2011, cinque consiglieri comunali di Polignano, nel presentare «osservazioni al progetto del metanodotto Snam Bitetto-Monopoli» contestarono, tra l'altro, il fatto che il nuovo tracciato del metanodotto attraversasse un carrubeto plurisecolare. Precisamente: «Il tracciato del nuovo metanodotto, in particella 1319 e Fgl 22, rivela due incongruenze di devastante impatto ambientale:
    a) attraversa e supera, sconvolgendola, e sconvolgendo il delicato equilibrio ambientale, una mena-lama profonda 2 metri e larga oltre 4, con gravissimi rischi in caso di allagamenti, come quelli del 2006;
    b) il metanodotto Snam, nella stessa particella, passa a pochi metri di distanza da un enorme carrubo ultramillenario avente la circonferenza di 12 metri lineari, un vero e proprio “monumento” da salvaguardare, collocato in un contesto ambientale assolutamente caratteristico, mantenuto intatto e sinora preservato dagli attuali proprietari, meritevole della massima tutela ambientale»;
   i proprietari del carrubeto, a loro volta, si attivarono nei confronti degli organi competenti, producendo una serie di istanze dirette a preservare le alberate di pregio da qualsiasi tipo di «aggressione». In particolare, produssero: osservazioni al PPTR Puglia 26 settembre 2013; diverse lettere alla Snam, al sindaco di Polignano, al presidente del consiglio comunale di Polignano, al Corpo forestale dello Stato, alla commissione locale paesaggio nonché istanza al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Con le predette comunicazioni, i proprietari del carrubeto:
    a) richiesero l'imposizione del vincolo paesaggistico sull'intera area del carrubeto stesso pari a 2.500 metri quadrati, (ciò, ovviamente, toglieva ogni valore commerciale all'immobile);
    b) offrirono al comune di Polignano la piena disponibilità affinché venissero effettuate visite scolastiche (costo zero presso il carrubeto;
   le predette iniziative determinarono l'impegno della soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Bari che, in data 18 settembre 2013, scrisse al comune di Polignano una lettera avente per oggetto «segnalazione di area eccezionale valore paesaggistico» (Fg. 22 Ptc. 1319) nel cui: contenuto è possibile leggere: «si ravvede, in particolare, la necessità di segnalare a codesto ente il valore paesaggistico rappresentato dal carrubeto plurisecolare sito nella particella in oggetto [...] si invita inoltre codesto Comune a farsi promotore presso la Regione Puglia affinché valuti la possibilità di includere tale area nelle specifiche forme di tutela ai sensi del PPTR adottato con delibera della Giunta Regionale 2 agosto 2013 n. 1435». Con propria nota prot. 20348/2013, il comune di Polignano scrisse: «si vigilerà sul mantenimento dello stato dei luoghi affinché sia evitato qualsiasi pregiudizio ai beni localizzati all'interno del suddetto terreno agricolo». Una dichiarazione che, al di là di un mero adempimento burocratico, ad avviso dell'interrogante non ha visto mai seguire un impegno concreto da parte dell'ente locale nel mettere in discussione in alcun modo le decisioni della società privata;
   il consiglio comunale del 26 giugno 2015 che avrebbe dovuto approvare apposita variante al piano regolatore generale per autorizzare la costruzione del metanodotto attraversante, nonostante tutto quanto sin qui ricordato, il carrubeto de quo, fu rinviato su richiesta di un consigliere comunale a successiva data per necessari approfondimenti e verifiche. Successivamente, si sono susseguiti contatti tra comune di Polignano e Snam Rete Gas che hanno portato la società a mutare, a parere degli interroganti in peggio, le condizioni dell'attraversamento del carrubeto de quo. Progetto trasmesso al comune barese nei primi giorni dell'ottobre 2015;
   la deviazione del metanodotto rispetto al percorso originario, oltre che pregiudicare seriamente il carrubeto, solleva la Snam dall'obbligo di rimuovere vecchie tubazioni oggi sepolte dal materiale accumulatosi a causa dell'interramento di una lama sul cui fondo quelle tubazioni sono collocate;
   in Italia esistono solo altri due carrubi comparabili con quello in questione: uno a Rosolini, in provincia di Siracusa in Sicilia, l'altro a Gallipoli (Lecce). Ambedue adeguatamente protetti;
   il comune di Polignano ha sinora omesso di compilare l'elenco degli alberi monumentali così come previsto dalla legge 14 gennaio 2013, n. 10 «Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani»;
   va richiamato l'articolo 7, comma 4, della legge 14 gennaio 2013, n. 10 –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano attuare, per quanto di competenza, per tutelare il carrubeto, ed in special modo il carrubo monumentale, sito nell'agro di Polignano a Mare (BA) interessato dal metanodotto Snam Rete Gas esposto in premessa;
   se i ministri interrogati non ritengano che il percorso indicato da Snam Rete Gas vada in contrasto con la legge 10 del 2013 e se non sia più opportuno utilizzare il vecchio tracciato del metanodotto ovvero una nuova «deviazione», diversa da quella attuale, in grado di preservare il patrimonio paesaggistico e naturalistico in questione. (4-10738)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   il settore delle energie rinnovabili per impianti di potenza superiore al Megawatt ed entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2012 gode di incentivi sotto forma di «certificati verdi» fino alla data del 31 dicembre 2015;
   dal 1o gennaio 2016, in base alle norme dettate dal Ministero dello sviluppo economico con decreto 6 luglio 2012, avverrà la conversione del diritto ai certificati verdi in incentivi calcolati sulla produzione netta di energia prodotta;
   a tutt'oggi non risultano pubblicate le norme che stabiliscono le tempistiche di erogazione dei predetti incentivi e anzi notizie recenti paventano la possibilità di un riconoscimento degli incentivi dopo 6 mesi dalla loro maturazione trimestrale;
   il settore è da tempo in crisi anche a causa di interventi legislativi che hanno minato le basi finanziare (ad esempio, il sistema obbligatorio del reverse charge per l'iva dal 1o gennaio 2015); un eventuale fallimento del comparto causerebbe impatti negativi sul lato occupazionale per migliaia di persone che vi operano in maniera diretta e indiretta, oltre alla perdita degli ingenti investimenti effettuati dagli operatori;
   in assenza di un quadro di certezza e celerità nell'erogazione degli incentivi, gran parte delle aziende saranno sottoposte ad uno stress finanziario insostenibile tale da portarle alla chiusura degli stabilimenti;
   a poche settimane dall'entrata in vigore del nuovo sistema, è estremamente urgente che gli operatori conoscano le modalità applicative, al fine di prevedere quanto necessario nella predisposizione del budget di esercizio –:
   se il Governo non ritenga opportuno e necessario assumere iniziative per prevedere l'erogazione degli incentivi su base mensile, come finora avvenuto per il rilascio dei certificati verdi, al fine di risolvere il problema della liquidità e non creare impatti negativi sui cicli monetari delle imprese del settore.
(2-01121) «Pagani, Montroni, Mognato, Peluffo, Ghizzoni, Mura, Palma, Mariani, Giampaolo Galli, Lodolini, Lauricella, Oliverio, Sgambato, Marchi, Gianni Farina, Stumpo, Gribaudo, Folino, Gandolfi, Braga, Manzi, Rostellato, Miccoli, Giuditta Pini, Carlo Galli, Pierdomenico Martino, Fabbri, Paris, Marchetti, Piazzoni, Pilozzi, Gasparini, Guerra, Raciti, Sbrollini, Lacquaniti, Richetti, Gadda, Benamati, Baruffi, Arlotti, Gnecchi, Patrizia Maestri, Albanella, Lattuca, Fragomeli, Patriarca».

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   AMS, Alitalia Maintenance Systems s.p.a., è stata la storica officina motori di Alitalia, unica azienda in Italia di manutenzione, revisione e riparazione delle componenti motoristiche degli aeromobili e dei componenti aeronautici dell'aviazione civile;
   è stata una società, difatti, avente per oggetto sociale quello di svolgere le attività industriali di manutenzione, revisione, riparazione di motori e componenti, nonché di prestare servizi di supporto di ingegneria e logistico integrato per il mercato aereo e aeroderivato, nell'ambito civile, militare e duale;
   si tratta di una società a socio unico, AMS Holding s.r.l., a sua volta detenuta per il 66 per cento dalla Iniziativa Prima società a responsabilità limitata (in sostanza riconducibile all'ex dirigente di Finmeccanica, Maurizio Tucci), per il 19 per cento dalla European Advanced Technology S.A. e per il 15 per cento da Alitalia S.A.I. (Società aerea italiana) s.p.a.;
   per quanto risulta agli interpellanti, AMS ha iniziato a subire un grave periodo di crisi economica principalmente dovuto alla scadenza del contratto di manutenzione e riparazione, in esclusiva, dei motori di Alitalia;
   pertanto ben 240 lavoratori sono da molti mesi in regime di cassa integrazione;
   in data 30 settembre 2015 la predetta società è stata dichiarata fallita dal tribunale ordinario di Roma, sezione Fallimentare, con sentenza portante n. 839/2015;
   poiché ormai da molti mesi AMS, ed il suo personale altamente specializzato, non si occupano più di curare la manutenzione dei motori di Alitalia, sarebbe importante apprendere con quali società, Alitalia SAI, abbia concluso i contratti di leasing dei motori che attualmente sta utilizzando sui propri aeromobili, ed a quali società stia consegnando i propri motori per la periodica manutenzione e revisione;
   gli interpellanti ritengono opportuno che, per ragioni di sicurezza ed affidabilità, i motori della compagnia di linea italiana dovrebbero essere revisionati e riparati in Italia, dove verrebbero curati dall'industria aeronautica italiana, invidiata in tutto il mondo per il patrimonio tecnologico, le competenze e il know-how;
   per le medesime ragioni di sicurezza l'opinione pubblica dovrebbe essere in grado di conoscere dove vengano riparati e revisionati i velivoli della flotta di Alitalia, compagnia di linea italiana;
   attraverso la partecipazione totalitaria in Poste Italiane s.p.a., a sua volta azionista di CAI – Compagnia Aerea Italiana s.p.a., il Ministero dell'economia e delle finanze potrebbe e dovrebbe essere a conoscenza dei contratti di leasing conclusi da Alitalia e delle società che si occupano della riparazione e revisione dei motori della compagnia di linea italiana;
   nonostante AMS sia ormai fallita gli interpellanti ritengono comunque possibile che, in sede fallimentare, venga concesso l'esercizio provvisorio dell'attività ai sensi e per gli effetti dell'articolo 104 della legge fallimentare, in quanto i lavoratori, altamente specializzati, sono pronti a rientrare immediatamente in azienda ed in considerazione del fatto che i beni strumentali dell'impresa sono in grado di essere messi in funzione sin da subito;
   qualora Alitalia fosse disposta a consegnare anche solo alcuni motori, da manutenere e riparare, ad AMS, verrebbe Permessa la predisposizione di un, seppur temporaneo, piano di risanamento attraverso il quale la magistratura in sede fallimentare potrebbe essere disposta a concedere l'esercizio provvisorio dell'impresa;
   la continuazione temporanea dell'esercizio dell'impresa, tra l'altro, avrebbe alcuni, non trascurabili, effetti positivi;
   in primo luogo i lavoratori di AMS, o almeno una loro parte, potrebbe immediatamente essere impiegata per riprendere provvisoriamente l'attività di impresa così evitando di gravare sulla cassa integrazione guadagni;
   in secondo luogo, verrebbe evitata un'eccessiva svalutazione dell'azienda i cui macchinari e gli impianti verrebbero così tenuti in funzione ed in perfetto stato; di conseguenza, l'azienda sarebbe anche più appetibile in sede di vendita o in vista di un eventuale nuovo acquirente;
   alla luce delle considerazioni che precedono, a parere degli interpellanti, il Ministero dell'economia e delle finanze, sempre in forza della partecipazione azionaria, dovrebbe adottare ogni atto idoneo, dunque, affinché Alitalia consegni almeno una parte dei propri motori al fallimento di AMS così da poter consentire l'inizio dell'esercizio provvisorio –:
   se intenda rendere noto con quali società Alitalia Sai abbia concluso i contratti di leasing dei motori attualmente utilizzati sulla propria flotta di aeromobili ed a quali società Alitalia Sai stia consegnando i propri motori per la periodica manutenzione e revisione;
   qualora non sia in possesso delle informazioni di cui sopra, se intenda chiedere informazioni, nelle competenti sedi societarie, al fine di apprendere con quali società Alitalia Sai abbia concluso i contratti di leasing dei propri motori ed a quali società Alitalia Sai stia consegnando i propri motori per la periodica manutenzione e revisione;
   se intenda valutare l'adozione di ogni iniziativa idonea, nelle competenti sedi societarie, finalizzata alla consegna di Alitalia Sai di almeno una parte dei propri motori al fallimento di AMS così da poter favorire l'inizio dell'esercizio provvisorio dell'impresa ai sensi e per gli effetti dell'articolo 104 della legge fallimentare.
(2-01124) «Di Battista, Paolo Nicolò Romano».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le norme contenute nei commi da 13 a 19 dell'articolo 6 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, (legge finanziaria 2001), successivamente abrogate dall'articolo 23, comma 7, del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, avevano previsto una detassazione degli utili delle piccole e medie imprese destinata a investimenti ambientali;
   tale agevolazione fiscale era tesa ad incentivare la realizzazione di investimenti ambientali, al fine di prevenire, ridurre e riparare i danni causati all'ambiente;
   ai sensi di tale normativa molti imprenditori hanno effettuato ingenti investimenti nel settore delle energie rinnovabili;
   inizialmente, a causa delle troppe incertezze derivanti principalmente da posizioni non ufficiali del Ministero dello sviluppo economico contrarie al dettato normativo e tali, a giudizio dell'interrogante, da trarre in inganno anche il più attento dei contribuenti, molti investitori sono venuti a trovarsi in condizione di non poter scientemente usufruire dei benefici fiscali effettivamente spettanti alle loro imprese con preoccupanti ricadute, anche occupazionali;
   la mancanza di chiarezza è perdurata sino all'anno 2012 quando, grazie ad una norma di interpretazione contenuta nell'articolo 19 del decreto ministeriale 19 luglio 2012, recante il nuovo sistema di incentivi per la produzione di energia fotovoltaica (quinto conto energia) e grazie ad alcune posizioni prese dall'Agenzia delle entrate in risposta ad alcuni interpelli, la posizione non ufficiale assunta dal Ministero dello sviluppo economico è stata integralmente smentita e molti dubbi delle imprese risolti positivamente, tanto da indurre le stesse a modificare l'atteggiamento inizialmente assunto in via prudenziale;
   a causa della suddetta carenza di chiarezza e grazie ai successivi sviluppi normativi e di prassi, le imprese si sono trovate nella condizione di poter e dover fruire tardivamente dei benefici fiscali previsti dal citato articolo 6, commi da 13 a 19, della legge n. 388 del 2000, dovendo risolvere non poche problematiche a livello di dichiarazione dei redditi;
   fortunatamente, la stessa Agenzia delle entrate a fornito strumento per poter beneficiare tardivamente dell'agevolazione spettante ai sensi della legge n. 388 del 2000 con la pubblicazione della circolare 31/E del 24 settembre 2013, che prevede espressamente, grazie al diretto richiamo alla risoluzione 132/E del 2010, la possibilità di fruire tardivamente del beneficio fiscale e così della detassazione per investimenti in impianti e macchinari potendosi procedere a immediata compensazione con altre imposte;
   preso atto della novità introdotta con la circolare 31/E del 24 settembre 2013, anche se non nell'immediato, nel modello unico 2014 è stato introdotto nella dichiarazione dei redditi il quadro RS «prospetto per la correzione dei dati contabili», strumento di raccordo tra la dichiarazione dei redditi originariamente inviata e l'ultima dichiarazione dalla quale risultasse l'eccedenza di versamento delle imposte in ragione dell'applicazione della detassazione ambientale;
   tuttavia, molti contribuenti tra la pubblicazione della suddetta circolare 31/E del 2013 e l'introduzione del quadro RS «prospetto per la correzione dei dati contabili» hanno seguito pedissequamente il disposto di detta circolare riliquidando internamente le dichiarazioni dei redditi non più emendabili ed inviando dichiarazione integrativa di sintesi in, modello unico 2012 o 2013, generando così un errore di raccordo (come previsto dalla circolare) tra le dichiarazioni originariamente presentate e l'ultima dichiarazione integrativa di sintesi;
   tale errore, sempre secondo il disposto della suddetta circolare 31/E del 2013, avrebbe dovuto essere corretto in via di autotutela da parte dell'amministrazione finanziaria, come conseguenza al semplice deposito di documentazione a supporto;
   all'atto pratico – solo ed esclusivamente per i contribuenti che abbiano presentato dichiarazione integrativa di sintesi in unico 2012 o 2013 e non già per chi abbia compilato il quadro RS «prospetto per la correzione dei dati contabili» – diversi uffici territoriali dell'Agenzia delle entrate, asserendo che la circolare 31/E si applica solo agli errori contabili, si ostinano a non voler dar seguito a tale circolare, causando gravissimi danni al tessuto economico italiano rappresentato dalle piccole e medie imprese, che è già pesantemente provato da una pressione fiscale eccessiva in un contesto di drammatica e perdurante crisi economica;
   in alcuni casi, alcuni uffici territoriali dell'Agenzia delle entrate, esulando dalla loro competenza, si spingono oltre, negando il diritto alle agevolazioni con motivazioni secondo l'interrogante prive di fondamento e nuocendo gravemente alle imprese;
   oltre ai citati danni, tale comportamento sta creando forti disparità di trattamento sia a livello territoriale che a livello temporale tra coloro che hanno presentato dichiarazione integrativa fino al 2013 (mancanza del prospetto di correzione dei dati contabili) e coloro che l'hanno presentata in data successiva (presenza del prospetto);
   già alcuni giudici di commissione tributaria si sono espressi su talune circostanze relative all'applicazione dell'articolo 6, commi da 13 a 19, della legge n. 388 del 2000, offrendo motivazioni pregevoli tanto in fatto quanto in diritto (CTP Perugia sentenza n. 149/7/15 di data 16 marzo 2015);
   la circolare 31/E al paragrafo 4, recita: «...con la dichiarazione integrativa possono essere corretti errori materiali o di calcolo, indicati oneri deducibili o detraibili sostenuti ma per errore non riportati (ndr non trattasi di errore contabile), indicati componenti negativi omessi o detrazioni o crediti di imposta spettanti (ndr non trattasi di errore contabile), richiamando la R.M. 132/E del 2010 (Tremonti Macchinari – medesima agevolazione della Tremonti Ambiente)» la quale a sua volta recita: «...diverso è il caso in cui si utilizzi la dichiarazione integrativa per correggere errori od omissioni quali ad esempio l'omessa indicazione di debite deduzioni (n.d.r. non sono errori contabili) da cui derivi l'assoggettamento del dichiarante a oneri tributari diversi e più gravosi (...). La dichiarazione è finalizzata a correggere errori ed omissioni nell'indicazione di elementi funzionali alla determinazione del reddito imponibile (...) analogamente si ritiene che la mancata indicazione della deduzione per fruire della “agevolazione Tremonti Ter” entro il termine di presentazione della dichiarazione originaria non sia di ostacolo alla possibilità di avvalersi di tale deduzione in sede di dichiarazione integrativa (...) le imprese che non si siano avvalse della deduzione (...) possono utilizzare lo strumento della dichiarazione integrativa di cui all'articolo 2 comma 8-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998 al fine di avvalersi dell'agevolazione Tremonti Ter» –:
   se sia corretto il comportamento delle diverse direzioni provinciali dell'Agenzia delle entrate che rifiutano le istanze in autotutela presentate dai diversi contribuenti per il riconoscimento dell'agevolazione spettante mediante l'applicazione della circolare 31/E del 24 settembre 2013, nonché se tale circolare si applichi a tutti i componenti negativi che incidono sulla determinazione del reddito imponibile e non solo ai meri errori contabili. (5-06655)


   PELILLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 16, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214, ha istituito la tassa per le unità da diporto che stazionino in porti marittimi nazionali, navighino o siano ancorate in acque pubbliche;
   l'articolo 60-bis, comma 1, lettera a), del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, rivedendo interamente la disciplina, ha disposto l'assoggettamento delle unità da diporto al pagamento di una tassa annuale (in luogo della precedente tassa di stazionamento giornaliera), la cui misura è calcolata in ragione della lunghezza dello scafo;
   la tassa si applica ai proprietari, agli usufruttuari, agli acquirenti con patto di riservato dominio o agli utilizzatori a titolo di locazione anche finanziaria, per la durata della stessa, residenti nel territorio dello Stato, nonché alle stabili organizzazioni in Italia dei soggetti non residenti, che posseggano unità da diporto, o a cui sia attribuibile il possesso delle stesse; la tassa non si applica invece ai soggetti non residenti e non aventi stabili organizzazioni in Italia che posseggano unità da diporto, sempre che il loro possesso non sia attribuibile a soggetti residenti in Italia e alle unità bene strumentale di aziende di locazione e noleggio;
   successivamente, l'articolo 23, comma 2, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, ha disposto l'esenzione dal pagamento della tassa per le unità da diporto con lunghezza fino a 14 metri e ne ha ridotto l'ammontare per le imbarcazioni di lunghezza compresa tra i 14 e i 20 metri;
   la relazione tecnica allegata alla norma istitutiva ha quantificato effetti netti di maggior gettito pari a 155 milioni annui; le successive modifiche hanno determinato la riduzione del gettito stimato per un importo pari a 1,2 milioni per il 2013 e 11,9 milioni annui a decorrere dal 2014;
   la tassa di possesso sulle imbarcazioni ha avuto un impatto negativo per i settori del turismo e della nautica, facendo registrare la riduzione del numero delle compravendite, con riflessi sul settore della cantieristica, dell'indotto e dei porti tali da far ragionevolmente supporre che il gettito effettivo sia stato inferiore a quanto stimato dalla relazione tecnica al provvedimento istitutivo della tassa –:
   quale sia l'effettivo gettito annuale derivante dal regime impositivo per le unità da diporto di cui all'articolo 16, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. (5-06656)


   PAGLIA, COSTANTINO e SCOTTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   come riportato diffusamente dalla stampa nazionale, nell'ambito dell'inchiesta della direzione distrettuale antimafia di Firenze sulle attività economiche toscane dell'imprenditore edile trapanese Andrea Bulgarella, sospettato di complicità con il superboss latitante Matteo Messina Denaro, risulterebbero indagati, per presunti favoritismi compiuti con riferimento ad un finanziamento da 60 milioni di euro richiesto dallo stesso Bulgarella, anche il Vicepresidente di Unicredit, Fabrizio Palenzona, il suo assistente Roberto Mercuri, e due dirigenti di Unicredit; per i banchieri l'accusa è di associazione a delinquere finalizzata alla truffa, appropriazione indebita ed impiego di beni provenienti da attività illecita;
   più precisamente, i carabinieri dei Ros avrebbero già perquisito gli uffici del Palenzona nell'ambito di una più ampia operazione antimafia riguardante una presunta rete di fiancheggiatori che avrebbero collegamenti più o meno diretti con la latitanza del boss siciliano; il decreto di perquisizione parla di «gravi indizi», alludendo ad alcune operazioni finanziarie sospette legate a possibili infiltrazioni mafiose nel tessuto economico toscano;
   secondo gli inquirenti, il costruttore Bulgarella, accusato di aver investito in Toscana i capitali di «Cosa nostra» anche tessendo una fitta ragnatela di legami con gli istituti di credito, per risolvere i suoi guai, avrebbe preferito rivolgersi all'Unicredit trovando in Palenzona ed altri manager del colosso bancario, coloro che gli avrebbero favorito grazie ad un rapporto privilegiato e nonostante la sua oramai critica esposizione debitoria, altri finanziamenti;
   infatti nel decreto di perquisizione testualmente si legge che: «dal 21 giugno 2014 è stata rilevata una numerosa serie di comunicazioni intercorse inizialmente fra Bulgarella e il socio Federico Tumbiolo, finalizzate, con l'intermediazione di Giuseppe Sereni, all'allacciamento di rapporti con uno dei vertici di Unicredit spa, individuato in Fabrizio Palenzona e nel suo faccendiere Roberto Mercuri, allo scopo di superare la valutazione sostanzialmente negativa sull'affidabilità finanziaria del gruppo imprenditoriale tosco/siciliano, manifestata, almeno in un primo tempo, da alcuni dirigenti dell'istituto quali Edoardo Verardi, Sebastiano Musso, Fernando Brandi e Stefano Laurina, in quanto di impedimento all'approvazione di una complessa manovra di ristrutturazione del debito (circa 65 milioni di euro) maturato dal Gruppo Bulgarella nei confronti di Unicredit spa»; gli inquirenti, inoltre, citano anche una «conversazione intercettata il 22 aprile scorso, ore 19.58, i cui Tiziano Piemontesi alle perplessità mosse da Verardi circa l'improvvisa accelerazione data alla pratica, ritiene che “l'urgenza sia stata indotta da Palenzona che ha sollecitato Fossati”»;
   dunque, il successo economico del Bulgarella, il cui nome nel frattempo sarebbe anche entrato nella centrale di rischi di Bankitalia, sarebbe dipeso non soltanto dagli accertati legami con ambienti di «Cosa nostra» trapanese, ma anche dai molteplici rapporti che da tempo intratterrebbe con alti dirigenti di banca, funzionari ed amministratori pubblici, oltre che con il mondo della politica, della stampa e con soggetti gravitanti in contesti massonici. Ed è proprio grazie alla compiacenza di alti vertici di banche, in primis Unicredit, che il costruttore sarebbe riuscito ad ottenere indebitamente svariati finanziamenti, agevolazioni e benefici vari, resi possibili in palese violazione della normativa bancaria con operazioni anomale e non trasparenti, al solo scopo di vedersi accolto un piano di rientro e di ridimensionamento dell'esposizione debitoria del suo gruppo, a fronte di un abbattimento degli interessi di mora per un ammontare di 5 milioni di euro, oltre al finanziamento di ulteriori 17,5 milioni di euro;
   tutta questa vicenda lascia intendere che il Bulgarella da anni avrebbe confidato una stretta rete di connivenze con il sistema bancario;
   data la dimensione dei finanziamenti ed i personaggi coinvolti, a giudizio dell'interrogante esistono falle sulle quali intervenire tanto nei sistemi di vigilanza esterna di Bankitalia, quanto in quelli di audit interno della più grande banca italiana –:
   quali iniziative di competenza, anche normative, intenda adottare per porre rimedio alle criticità evidenziate dalla vicenda descritta in premessa, anche in considerazione della permanenza in ruoli apicali dei personaggi coinvolti. (5-06657)


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in seguito alle crisi di due importanti cooperative operanti nella regione Friuli Venezia Giulia e precisamente, Cooperative operaie di Trieste, Istria e Friuli e Cooperative Carnia, recentemente verificatesi si sono determinati pesanti problemi per le decine di migliaia di piccoli risparmiatori che avevano investito le loro risorse finanziarie in queste realtà economiche;
   i soci del primo gruppo di cooperative si sono visti riconoscere l'80 per cento del loro credito dal curatore, in fase di concordato preventivo, quota del credito che sarà peraltro recuperata in varie rate diluite nel tempo, mentre i soci del secondo gruppo di cooperative hanno scarse possibilità di recuperare anche solo una parte del loro investimento;
   a questo gravissimo danno economico si sta aggiungendo ora una vera e propria beffa riguardante il calcolo dell'ISEE al fine dell'accesso a vari benefici di carattere sociale; in concreto ai fini del calcolo di tale indicatore i centri di assistenza fiscale inseriscono anche l'importo totale degli investimenti dei cittadini richiedenti nei due gruppi di cooperative in crisi citate in precedenza, anche se tali sfortunati risparmiatori non hanno la disponibilità di tali somme che risultano in tutto o in parte perdute o comunque ancora da riscuotere per la parte recuperabile;
   a causa di questa interpretazione assurda della normativa in materia di determinazione dell'ISEE, che non tiene evidentemente conto della situazione reale, i soci delle cooperative citate risultano ulteriormente ed ingiustamente penalizzati in quanto non potranno beneficiare di agevolazioni in vari servizi pubblici risultando la loro capacità economica erroneamente gonfiata –:
   quali siano i suoi orientamenti in relazione a tale assurda ed ingiusta situazione e come ed in quali tempi intenda intervenire per rimuovere tale palese ingiustizia che penalizza ulteriormente tanti piccoli risparmiatori che già hanno subito grave pregiudizio economico per la profonda crisi delle cooperative citate in premessa. (5-06658)


   PESCO, DADONE, DI VITA e ALBERTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con delibera n. 14/2014/G la Corte dei conti invitava l'Agenzia delle entrate a svolgere un'attività di audit «sul comportamento degli intermediari in potenziale conflitto di interesse, al fine di tutelare la libera scelta dei contribuenti»;
   l'Agenzia, peraltro come rilevato dagli stessi giudici contabili all'interno della medesima delibera, avrebbe a suo tempo già registrato una serie di fattori di rischio nell'ambito dell'organizzazione dei caf e dell'assistenza fiscale. Il risultato delle azioni di verifica e monitoraggio svolte da parte dell'Agenzia delle entrate, confrontando le dichiarazioni a partire dal 2006, ha condotto alla rilevazione di irregolarità in quasi il nove per cento del campione osservato, complessivamente pari a cinquemila casi;
   in particolar modo, secondo quanto riportato da alcuni organi di stampa, i caf interessati risultano essere, per il 2014, i seguenti: Caf Movimento cristiano lavoratori (Mcl), Caf Associazione cristiana artigiani italiani (Acai), Caf Servizi di base collegato a Retre Iside Onlus, Caf Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro (Anmil), Caf Associazioni cristiane dei lavoratori italiani (Acli);
   le tipologie di irregolarità sono, all'incirca nella parità dei casi, dipendenti o dalla mancanza di rispetto delle indicazioni e delle volontà espresse del contribuente, oppure dalla mancata archiviazione del modulo cartaceo originale presentato dal contribuente, rendendo impossibile la verifica della veridicità della erogazione –:
   quando e in che modo il Ministro abbia avuto modo di venire a conoscenza delle informazioni e dei dati pubblicati nel corso del mese di settembre 2015 e se il Ministro, fatta salva l'attività di monitoraggio già avviata da parte dell'Agenzia delle entrate, non intenda assumere iniziative al fine di individuare e definire procedure e strumenti maggiormente efficaci tanto nella fase di vigilanza e controllo del comportamento degli intermediari, quanto nella fase di disincentivazione e sanzione degli stessi qualora fossero trovati in condizione di irregolarità.
(5-06659)


   BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   durante la conversione del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, cosiddetto decreto-legge Competitività è stato approvato un emendamento che ha eliminato gli incentivi sul carburante che sarebbero equamente spettati al Polesine per la presenza del rigassificatore al largo di Porto Levante (Porto Viro), così come ad altre aree del Paese interessate alla produzione di idrocarburi;
   il rigassificatore di Portoviro, con la capacità di fornire circa il 10 per cento del fabbisogno italiano di gas, rappresenta un impianto strategico per il Paese intero, altrimenti dipendente dalle sole forniture algerine e russe, con i rischi connessi e conseguenti all'instabilità politica dei Paesi produttori e di quelli attraversati dal gasdotto;
   l'ingiusta, e ingiustificata, discriminazione a danni del Polesine così operata non è mai stata sanata nonostante le reiterate promesse del Governo;
   dopo aver preso ufficialmente l'impegno alla Camera di ripristinare la situazione preesistente il 5 agosto 2014 prima del voto finale sul decreto-legge n. 91 del 2014, lo stesso viceministro De Vincenti, durante l'approvazione della legge di stabilità 2015, ha nuovamente ribadito la volontà del Governo di ridurre il prezzo carburante, così come prevedeva la legge n. 99 del 2009 prima di essere modificata, nelle regioni interessate dalla estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi o attività di rigassificazione offshore, come nel caso veneto, vista la presenza al largo delle costa di un impianto di stoccaggio e rigassificazione tra i più grandi d'Europa;
   ugualmente, il 6 agosto 2014, in sede di conversione del decreto-legge n. 91 del 2014, il Governo ha accolto l'ordine del giorno n. 9/02568-AR/040, a prima firma Busin, in cui si impegnava ad individuare «in un provvedimento da adottare entro fine anno, un meccanismo agevolativo destinato alle regioni interessate delle attività di rigassificazione, anche attraverso impianti off-shore»;
   in seguito, lo stesso Governo ha preso un secondo impegno ufficiale, accogliendo come raccomandazione, durante la conversione del decreto-legge n. 133 del 2014, cosiddetto Sblocca Italia, l'ordine del giorno n. 9/02629-AR/037, a prima firma Busin, in cui si impegnava «a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni (...) e a individuare, in un provvedimento da adottare entro fine anno, un meccanismo agevolativo destinato alle regioni interessate dalle attività di rigassificazione, anche attraverso impianti offshore, che sia in coerenza con le linee fondamentali della strategia energetica nazionale»;
   gli incentivi, però, ad oggi, non sono stati ancora ripristinati creando una situazione di netta disparità che vede gli abitanti del Polesine affatto ricompensati del sacrificio ambientale che hanno accettato per il vantaggio dell'intera collettività nazionale e che altre regioni hanno rifiutato in considerazione dell'impatto ambientale che avrebbero avuto impianti analoghi –:
   per quale motivo il Governo non abbia ancora dato seguito agli impegni presi formalmente davanti le Camere e se non reputi doveroso provvedere, al più presto e con le opportune iniziative di carattere tributario, al ripristino degli sconti carburante per gli abitanti interessati nell'area del rigassificatore al largo di Porto Levante, al fine di ricostituire una situazione di equità e giustizia rispetto alle altre aree del territorio nazionale che godono di questi vantaggi fiscali proprio in ragione della presenza di infrastrutture nocive per la salute dei cittadini, ma considerate strategiche per l'economia e lo sviluppo di tutto il Paese. (5-06660)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, DALL'OSSO, LOMBARDI, PESCO e ALBERTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la ASL di Desio (MB), sita in Via Ugo Foscolo, 24, da diversi anni riscontra problemi legati all'accesso principale per persone con disabilita e per i genitori e accompagnatori di carrozzine/passeggini che non possono, a causa delle barriere architettoniche per loro autonomamente invalicabili, accedere alla struttura in questione. Per raggiungere l'ingresso dell'edificio, infatti, vi è una scalinata composta da 11 gradini. È inoltre presente un servoscala per disabili a cui si può accedere solo previa comunicazione via citofono con il personale dell'ASL, il cui utilizzo è però negato a passeggini/carrozzine per bambini;
   gli uffici e gli ambulatori sono distribuiti su 4 piani, di cui uno rialzato che risulta essere l'unico accessibile ai diversamente abili grazie ad un ulteriore servoscala. Per accedere agli altri piani, vi sono scale o un ascensore dall'ingresso con larghezza molto ridotta, a cui i disabili possono accedere, in caso di necessità, tramite lo spostamento su di una carrozzina di dimensioni adeguate alle porte dell'impianto, messa a disposizione della stessa ASL;
   la struttura che ospita l'attuale ASL di Desio, risulta essere non di recente costruzione e quindi poco adatta ad accogliere i diversamente abili che necessitano di supporti per gli spostamenti e per i passeggini/carrozzine. Inoltre, per il genere di uffici ed ambulatori presenti nella struttura come il consultorio familiare, l'ufficio invalidi, l'ambulatorio di vaccinazioni o il S.I.A.N. che tratta il problema dell'obesità infantile e dell'età adulta, parecchi degli utenti della sede risultano essere proprio gli stessi soggetti poco agevolati nell'entrare e spostarsi all'interno della stessa;
   con lettera di posta elettronica certificata inviata in data 15 settembre 2015, veniva domandato dai consiglieri della regione Lombardia del Movimento 5 Stelle, Gianmarco Corbetta, Paola Macchi e Dario Violi, ai rappresentanti competenti della regione Lombardia, se la stessa regione avesse gli strumenti per poter intervenire, anche presso altri soggetti competenti, per risolvere il sopraindicato problema;
   nella risposta affidata al direttore generale della ASL di Monza e Brianza; dottor Matteo Stocco, veniva specificato che nell'anno 2013 la stessa ASL aveva avviato una serie di attività per la riorganizzazione della rete territoriale delle strutture erogatrici tra le quali la progettazione di una nuova sede ove esercitare le funzioni ad oggi ubicate nella sede di Desio in questione. La stessa ASL ha sottoscritto un protocollo d'intesa, approvato con deliberazione, per ottenere la sede della struttura attualmente dismessa del tribunale di Desio e destinarla, previa ristrutturazione, a sostituire l'attuale collocazione dei servizi territoriali ASL, presentando, a tal fine, apposita richiesta di finanziamento alla regione Lombardia. L'autorizzazione al rilascio dell'immobile dell'ex tribunale di Desio è di competenza del Ministero della giustizia che, ad oggi, non ha ancora effettuato tale operazione. Per tale motivo, la ASL in oggetto non ha potuto ancora concludere l'accordo per l'utilizzo di detta struttura con il comune di Desio, proprietario della stessa –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopraindicati e come intenda agire al fine della risoluzione del problema riguardante la mancata autorizzazione per l'utilizzo, da parte della ASL di Desio, dell'immobile attualmente inutilizzato dell'ex tribunale di Desio.
(5-06648)


   CAMANI, GIUSEPPE GUERINI, NACCARATO, MIOTTO, NARDUOLO, ROSTELLATO, ZAN, IACONO e LAFORGIA. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   secondo i dati forniti dal Ministero dell'interno, nel corso dell'anno 2014 sono state presentate nel nostro Paese circa 65 mila richieste di protezione internazionale;
   nei primi cinque mesi del corrente anno 2015, sono state presentate altre 25 mila istanze volte al medesimo fine;
   proprio per fare fronte a questo afflusso straordinario di richieste, in forza del decreto-legge 22 agosto 2014, n. 119, convertito dalla legge 17 ottobre 2014, n. 146, il Governo ha disposto l'aumento del numero delle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale fino ad un massimo di venti, mentre le sezioni delle medesime commissioni sono state incrementate fino a un numero di trenta; con il citato provvedimento si sono inoltre introdotte norme volte a velocizzare le procedure di esame delle istanze;
   per quanto attiene alle richieste di protezione depositate nel 2014, si rileva che una percentuale pari al 37 per cento degli esiti sul totale delle istanze esaminate si è concluso con un diniego del riconoscimento di qualsiasi protezione a favore degli stranieri richiedenti, per un valore assoluto di circa 13.400 dinieghi;
   per quanto riguarda invece l'anno in corso, la percentuale è aumentata attestandosi intorno al 47 per cento, per un totale in valore assoluto di circa 12 mila dinieghi;
   com’è noto, avverso la decisione di diniego della domanda di protezione internazionale è ammesso ricorso dinanzi al tribunale che ha sede nel capoluogo di distretto della corte d'appello in cui ha sede la commissione territoriale che ha pronunciato il provvedimento;
   al fine di fronteggiare l'incremento del numero dei procedimenti giurisdizionali testé citati, il decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, ha stabilito che il CSM predisponga un piano straordinario di applicazioni extradistrettuali di magistrati («A tale fine il Consiglio procede all'individuazione degli uffici giudiziari presso i quali si è verificato il maggiore incremento dei suddetti procedimenti e del numero dei magistrati da applicare») –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo per affrontare il consistente numero di ricorsi avverso le decisioni di diniego alle domande di protezione internazionale. (5-06653)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VILLAROSA e D'UVA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il personale sanitario che opera in tutte le strutture detentive e contenitive della Sicilia ad oggi dipende ancora dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria non essendo passato, come nel resto d'Italia sotto la direzione del Ministero della salute;
   il personale sanitario in generale, e gli infermieri in particolare, di fatto, si trovano in una situazione di totale disparità di trattamento rispetto ai colleghi alle dipendenze del servizio sanitario nazionale ed anche e soprattutto rispetto ai colleghi che operano all'interno delle strutture detentive e contenitive delle altre regioni d'Italia;
   per quanto riguarda il personale sanitario operante in Sicilia sotto la dipendenza del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, fino al 2012 esso riceveva tutte le indennità accessorie previste dalla normativa vigente, anche se erogate a fine anno in un'unica transazione cumulativa. Dal 2013 però il personale sanitario in questione non percepisce alcuna indennità accessoria relativa a lavoro notturno, festività e quant'altro creando, nel caso di un infermiere, un mancato compenso quantificabile in circa 2.500/3.000 euro annui –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se, nell'ambito delle loro competenze, intendano promuovere l'effettivo e definitivo passaggio del personale sanitario siciliano nell'ambito del servizio sanitario nazionale;
   se intenda verificare i motivi che hanno prodotto dal 2013 la mancata erogazione delle indennità accessorie a favore del personale sanitario siciliano ancora sotto la direzione del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria;
   se intenda intraprendere ogni iniziativa utile al pagamento delle indennità accessorie arretrate, e non versate nel 2013, 2014 e 2015, a favore del personale sanitario della regione Sicilia dipendente dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. (4-10729)


   TONINELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'operazione di riduzione e vendita delle «auto blu» dell'amministrazione che avrebbe dovuto costituire uno dei cardini della spending review del Governo in carica, per via del suo valore simbolico ancora prima che della sua incidenza complessiva sui conti dello Stato, annunciata dal Presidente del Consiglio al grido di «venghino signori venghino» nel corso della conferenza stampa del 12 marzo 2014, non solo si è rivelata fallimentare, ma è stata ribaltata dalla notizia del recente bando per il noleggio di 5.900 auto blu, che ha visto aumentare la spesa relativa di ben 26 milioni di euro rispetto alla stessa spesa del 2013, essendo l'esborso previsto di 106 milioni di euro contro gli 80,3 del 2013, secondo quanto si apprende dalla stampa (articolo «Appalto Consip per lo Stato 106 milioni per 6.000 auto» a firma di Marco Palombi e Carlo Tecce su il Fatto quotidiano del 14 settembre 2015);
   rispetto a queste notizie, desta particolare attenzione l'utilizzo che l'amministrazione fa delle sue risorse a livelli periferici, nelle sue articolazioni territoriali, ovvero nel settore meno «visibile» all'opinione pubblica e alla stampa, ma anche quello che complessivamente incide maggiormente sui bilanci pubblici e quindi sul denaro dei cittadini;
   in particolare, presso la casa circondariale di Cremona, a causa dell'assenza (giustificata) del direttore titolare, lo stesso è stato sostituito dal direttore titolare della casa circondariale di Voghera, in provincia di Pavia;
   il direttore in questione si muoverebbe dalla sede di residenza (Piacenza) verso l'istituto penitenziario di Cremona utilizzando l'autovettura dell'amministrazione penitenziaria, con una unità di polizia penitenziaria in qualità di autista;
   si avrebbe quindi una situazione per la quale ogni giorno un'auto di servizio con un agente di polizia penitenziaria percorre una distanza di circa 50 chilometri (in autostrada) da Cremona a Piacenza e la stessa strada per il ritorno, due volte al giorno (articolo «Carcere di Cremona – Intossicato in cella» su Il Corriere della Sera – Edizione di Milano del 28 luglio 2015)
   questa risulterebbe inoltre svolgere l'incarico in missione, per cui l'utilizzo dell'autovettura dell'amministrazione e della relativa unità di personale non sarebbe dovuto, secondo quanto riportato dalla stampa (articolo «Togliere l'auto e l'autista alla direttrice» su La Provincia di Cremona del 19 agosto 2015);
   l'evidente irrazionalità dell'utilizzo delle auto di servizio in relazione agli incarichi, se fosse confermato, configurerebbe un chiaro esempio di cattiva gestione delle risorse pubbliche, tanto più insopportabile in epoca di pluriennale e sbandierata spending review. E appena il caso di ricordare, infatti, la drammatica situazione delle carceri italiane, che ha portato, nel gennaio del 2013, alla condanna dell'Italia da parte della Corte di Strasburgo per violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea per i diritti dell'uomo che vieta le pene o trattamenti inumani o degradanti; tale situazione è causata, com’è noto, in primo luogo dalla scarsità di risorse destinate al settore;
   nello specifico caso in questione, infatti, l'utilizzo dell'auto di servizio e del relativo autista non sarebbe circoscritto a casi particolari dovuti a specifiche e occasionali esigenze di servizio (partecipazione e riunioni di lavoro, incontri istituzionali e altro), ma sarebbe un servizio di trasporto quotidiano sul luogo di lavoro (all'andata e al ritorno), che si svolgerebbe ogni giorno per tratte di lunga percorrenza;
   tale caso, inoltre, potrebbe non essere isolato, dal che si potrebbe ravvisare una delle principali cause della quantità di auto di servizio nel territorio, considerato che il più alto numero a livello regionale sarebbe proprio nella regione Lombardia (7.218 al 1o novembre 2014, secondo quanto riportato dal «dossier auto» blu pubblicato sul sito del Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione) –:
   se esista un censimento generale della collocazione dei vertici delle amministrazioni penitenziarie i quali per via del loro incarico sono dotati di auto di servizio che viene utilizzata per spostamenti quotidiani e, in caso di risposta negativa, se il Ministro intenda predisporlo;
   se trovi conferma la situazione descritta in premessa relativamente alla casa circondariale di Cremona e come intenda intervenire il Ministro interrogato in merito;
   quali altre iniziative intenda adottare il Ministro per la razionalizzazione delle risorse destinate alle auto di servizio.
(4-10743)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ARLOTTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il progetto TRC – Trasporto Rapido Costiero è stato inserito nel 1o programma nazionale delle opere strategiche (legge obiettivo n. 443/01 e successive modificazioni e integrazioni);
   la realizzazione della prima tratta, Rimini FS-Riccione FS, ha ricevuto con delibera Cipe n. 86 del 2004, n. 70 del 2005 e n. 93 del 2006 un finanziamento statale;
   il progetto TRC, prima tratta, è stato approvato in sede di conferenza di servizi deliberante presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   il 22 gennaio 2008 l'Agenzia mobilità ha aggiudicato all'associazione temporanea di impresa che vede capogruppo Cogel Spa l'appalto integrato dei lavori di realizzazione del trasporto rapido costiero (TRC) Rimini/Fiera-Cattolica, 1o stralcio funzionale tratta Rimini FS-Riccione FS Metropolitana leggera di superficie in affiancamento;
   in data 15 luglio 2008 è stato sottoscritto tra tutti i sindaci interessati dalla realizzazione dell'infrastruttura Metrò della Costa l'accordo di programma sulle modalità operative di esecuzione dell'opera stessa, sul riparto dei costi in capo a ciascun comune firmatario;
   i lavori relativi all'infrastruttura principale hanno avuto inizio nel luglio 2012 e sono attualmente in fase di esecuzione;
   nel settembre 2013 i lavori hanno avuto inizio anche nel territorio del comune di Riccione;
   ogni eventuale modifica all'opera, tranne quelle che il codice degli appalti riserva alla stazione appaltante, può essere decisa esclusivamente in sede di comitato di coordinamento del TRC, composto da regione Emilia-Romagna, provincia e comuni di Rimini, Misano Adriatico e Riccione, Agenzia della mobilità, stazione appaltante dell'opera;
   già nel maggio 2015 l'allora Ministro Maurizio Lupi, in occasione di una sua visita istituzionale a Riccione, aveva ribadito come l'opera TRC si potesse modificare solo a condizioni che eventuali varianti fossero approvate dal comitato di coordinamento;
   lo stesso comitato nel luglio 2014 aveva respinto le proposte di modifica avanzate dal comune di Riccione;
   lo stesso comune di Riccione ha promosso l'impugnazione della decisione del comitato di coordinamento, avanti al TAR dell'Emilia Romagna;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si è costituito in giudizio contro l'annullamento unitamente alla stazione appaltante agenzia mobilità della provincia di Rimini e la regione Emilia Romagna;
   il comune di Riccione, una volta risultato soccombente presso il TAR dell'Emilia Romagna (con sentenza del 30 ottobre 2014), ha proposto appello al Consiglio di Stato;
   anche nel secondo grado di giudizio il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si è costituito in giudizio unitamente alla stazione appaltante Agenzia mobilità della provincia di Rimini e la regione Emilia Romagna;
   il Consiglio di Stato ha rigettato l'appello proposto dal comune di Riccione con sentenza dell'11 febbraio 2015;
   con determinazione dirigenziale n. 877 del 21 settembre 2015 il comune di Riccione ha disposto l'affidamento dell'incarico professionale per la redazione di una perizia tecnica sulla corretta esecuzione dei lavori del trasporto rapido costiero all'ingegnere Henry Del Greco, mediante cottimo fiduciario con affidamento diretto;
   obiettivo dell'affidamento dell'incarico è per l'amministrazione comunale di Riccione «verificare che i lavori di esecuzione dell'infrastruttura sopra specificata siano eseguiti correttamente e nel pieno rispetto dell'accordo di programma sopra richiamato nonché della normativa di riferimento», nonché «verificare la sussistenza di possibili varianti o miglioramenti al progetto dell'infrastruttura in corso di realizzazione mediante specifica valutazione progettuale di fattibilità»;
   l'incaricato nello specifico dovrà redigere una relazione tecnica avente ad esame e commento il progetto definitivo della linea trasporto rapido costiero Rimini FS-Riccione FS con approfondimento della fattibilità tecnica di eventuali variazioni planoaltimetriche del percorso e di quota utili per mitigare l'impatto architettonico/ambientale prodotto dalle infrastrutture in progetto nelle aree centrali del tessuto urbano del comune di Riccione;
   l'ingegner Henry Del Greco risulta essere dirigente di II fascia presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, direzione generale per le dighe e le infrastrutture idriche ed elettriche, divisione 1, nonché dirigente ad interim dell'ufficio tecnico per le dighe di Milano;
   con nota pervenuta al comune di Riccione, prot. n. 30029 del 21 luglio 2015, il direttore generale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha autorizzato l'ingegner Henry Del Greco all'incarico professionale in questione ai sensi dell'articolo 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001 e successive modificazioni e integrazioni –:
   se ritenga opportuno l'affidamento all'ingegner Del Greco, dirigente dipendente del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di una consulenza per la verifica di un'opera finanziata dallo Stato, approvata e realizzata sotto il controllo del medesimo Ministero;
   se non ritenga che si possa configurare per l'ingegner Del Greco un conflitto di interessi fra i ruoli che riveste;
   se l'ingegner Del Greco, con il proprio curriculum, rappresenti una professionalità adeguata all'incarico affidato;
   chi abbia valutato e autorizzato l'ingegner Del Greco all'incarico professionale affidatogli dal comune di Riccione.
(5-06649)


   CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nell'anno 2004, con le delibere della giunta comunale n. 586/2004 e n. 626/2004, e le deliberazioni del consiglio comunale n. 47/2004 e n. 139/2004, il comune di Latina ha approvato il progetto relativo all'opera denominata «Metropolitana leggera di superficie» finalizzata al collegamento dello scalo ferroviario del comune di Latina con il centro ed i quartieri periferici della città, da realizzare e finanziare in regime di project financing;
   il CIPE, con delibere del 18 marzo 2005 e del 27 maggio 2005, ha disposto lo stanziamento di 81,425 milioni di euro, pari al 60 per cento del costo totale per la realizzazione dell'opera;
   in seguito il comune di Latina ha pubblicato un avviso per la ricerca del soggetto promotore della procedura di project financing, attraverso la quale realizzare il finanziamento dell'opera. Ad esito di tale procedura il progetto veniva affidato al raggruppamento di imprese denominato «Metrolatina s.p.a.», a mezzo di convenzione sottoscritta in data 24 settembre 2007;
   in base a tale convenzione il gestore privato ha assunto l'impegno di fornire il 40 per cento del capitale necessario al finanziamento dell'opera, ottenendo in cambio la possibilità di gestire la stessa per la durata di 30 anni. Ti costo dell'opera è stato stabilito in euro 139.612.390,00, di cui:
    a) euro 81.425.000,00 quale finanziamento pubblico statale, derivante dal contributo in conto capitale concesso dal Cipe con le delibere anzidette, a valere sulle risorse della legge n. 211 del 1992;
    b) euro 2.342.000,00 a carico dell'amministrazione comunale;
    c) euro 55.845.390,00 a carico di Metrolatina spa;
   è stato inoltre previsto un ulteriore contributo a carico della regione Lazio per la gestione della tramvia, in relazione ai chilometri per vetture prodotti nella misura ipotizzata di euro 7,50/chilometri per vettura;
   con nota del 24 aprile 2012, la direzione generale per il trasporto pubblico locale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nella preoccupazione che i lavori di realizzazione delle infrastrutture necessarie per la circolazione delle vetture non potessero essere ultimati in concomitanza con la fornitura dei veicoli, ha disposto la sospensione dell'erogazione del finanziamento statale, paventando di sottoporre la questione alla commissione di alta vigilanza, ex decreto ministeriale 37-T del 13 aprile 1995, per le conseguenti valutazioni da sottoporre al CIPE;
   il progetto prevede un contributo regionale pari od euro 7,50/chilometri per vettura, mentre attualmente la regione Lazio stanzia un contributo al comune di Latina a copertura dei costi del trasporto pubblico locale pari ad euro 1,89/chilometri per vettura. In caso di mancato versamento del contributo regionale, in base agli articoli 25, 26 e 27 della Convenzione, sarebbe il comune di Latina a farsi carico della differenza, con inevitabili ripercussioni sulla situazione finanziaria del suo bilancio, già ampiamente deficitaria;
   qualora il contributo regionale dovesse attestarsi sui livelli di questi anni, il comune di Latina dovrebbe sobbarcarsi un esborso annuo di circa 5,5 milioni di euro, che, moltiplicato per la durata della concessione (30 anni), determinerebbe un importo complessivo stimabile tra i 150 e i 200 milioni di euro;
   ad eccezione di una generica delibera del luglio 2012 in cui la regione Lazio dichiara il proprio interesse alla realizzazione e gestione della metropolitana di Latina, sostenendone la realizzazione anche attraverso l'azienda regionale COTRAL s.p.a., non risulta l'esistenza di alcun atto ufficiale in cui la regione Lazio si assuma l'impegno di finanziare l'opera nella misura stabilita dalla convenzione stipulata tra il comune di Latina e Metrolatina spa;
   da fonti stampa, il 7 gennaio 2015, si apprende che la procura di Latina ha deciso di fare luce su questo progetto di trasporto pubblico finanziato con 80 milioni di euro dal Governo, chiedendo alla guardia di finanza di acquisire gli atti relativi al progetto direttamente dagli uffici comunali. La procura procederà a far chiarezza su una infrastruttura «fantasma» del valore di 139 milioni di euro che rischia di diventare un fallimento per il capoluogo e motivo di dissesto finanziario. In particolare, dopo 7 anni i cantieri devono ancora aprire ed il comune rischia di dover pagare i danni visto che la società aggiudicataria del progetto ha chiesto 30 milioni di euro per il mancato avvio dei lavori. Tra i punti da chiarire anche la realizzazione dei convogli, iniziati a costruire prima ancora che fosse approvato il progetto definitivo, la partecipazione della regione e la possibile revoca del finanziamento da parte del Cipe;
   il 26 gennaio 2015 ha avuto luogo in regione un incontro richiesto dal, sindaco di Latina, Giovanni Di Giorgi, con l'assessore regionale ai trasporti Michele Civita a cui hanno preso parte anche l'ingegner Lorenzo Le Donne – RUP del progetto e Carlo Cecconi – direttore servizi ferroviari della regione Lazio. In tale sede è stata concordata l'esigenza di istituire un tavolo tecnico – condizione necessaria per decidere se sia realizzabile l'opera – con l'obiettivo di verificare la sostenibilità e la fattibilità della metro leggera;
   il Tg5, in data 15 settembre 2015, ha mandato in onda un lungo servizio sulla metropolitana leggera di Latina, ricostruendo la vicenda, dall'acquisto di 7 vagoni ora abbandonati in un deposito francese al reperimento dei fondi, fino alle difficoltà che hanno bloccato il progetto. Viene ricordato anche che la società che avrebbe dovuto eseguire i lavori ha fatto causa al comune proprio perché i lavori stessi non sono mai partiti;
   dal «Latina quotidiano» del 6 ottobre 2015, si apprende che il Comitato Metro Bugia, ritenendo che il danno erariale a carico del comune di Latina sia riscontrabile e di ampie proporzioni si è rivolto ancora alla Corte dei conti, dopo le segnalazioni di marzo 2009 e di dicembre 2010, fornendo una serie di altri documenti relativi alla metro leggera di Latina mai realizzata che dimostrano che l'opera non sia sostenibile dal punto di vista economico gestionale e che, in fase di progettazione, non sia stato preso in considerazione il limitato contributo chilometrico della regione Lazio che al momento eroga euro 1,89 al chilometro mentre per la metro avrebbe dovuto contribuire per euro 7,5 al chilometro;
   ad oggi, nonostante l'inizio dei lavori fosse previsto per dicembre 2007 e sia già stato versato dallo Stato un acconto di euro 3.767.816,25, l'opera non è ancora stata avviata, e il contributo è stato utilizzato principalmente per le spese di progettazione e la realizzazione delle vetture che, nel frattempo, è presumibile che si siano già deteriorate;
   mentre non è stato ancora realizzato il primo tratto della tranvia, la situazione di stallo persiste ed il comune di Latina tuttora non decreta se sia il caso di affondare definitivamente il progetto, pagando pesanti penali per la risoluzione del contratto, oppure se proseguire nello stesso, realizzando un'opera che potrebbe costare al comune quasi 200 milioni di euro nell'arco di 30 anni –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se e quali iniziative si intendano adottare affinché la realizzazione di un'opera in forte ritardo, eccessivamente costosa e con un forte impatto ambientale per il territorio, possa essere davvero utile per i cittadini, economicamente sostenibile ed in grado di restituire un concreto progetto di mobilità a Latina;
   se si abbia l'intenzione di sottopone la questione alla Commissione di alta vigilanza, ex decreto ministeriale 37-T del 13 aprile 1995, per le conseguenti valutazioni da sottoporre al CIPE in un'ottica di possibile definanziamento dell'opera.
(5-06652)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la procedura seguita dalla regione Sardegna per la richiesta di concordato preventivo per la Società Saremar si pone, ad avviso dell'interrogante, in contrasto con le leggi nazionali e lo stesso accordo Stato-regione che aveva stabilito la continuità societaria della Saremar nella gestione delle rotte da e per le isole minori, garantendo il livello occupativo della stessa;
   alla luce degli atti in possesso dell'interrogante si evince che la procedura messa in essere dalla regione autonoma della Sardegna, attraverso la società Saremar, di cui la regione è azionista al 100 per cento, per avviare il concordato preventivo, risulta viziata in modo rilevante dalla mancata dichiarazione di elementi imprescindibili e dirimenti, configurando una soluzione tesa a favorire soggetti privati a scapito della titolarità del finanziamento in capo a Saremar s.p.a.;
   l'omissione di tali documenti favorisce una procedura di privatizzazione in contrasto con le norme nazionali, soprattutto generando, sotto molteplici aspetti, un danno economico rilevante per la regione Sardegna;
   il primo rilevante aspetto di cui regione Sardegna, ad avviso dell'interrogante, ha omesso la corretta rappresentazione agli stessi giudici civili è la reale situazione finanziaria e contabile della Soc. Saremar;
   in particolar modo, per comprendere la reale situazione convenzionale della società, oggetto del concordato preventivo, occorre esaminare in modo puntuale la norma che ha generato il passaggio della società Saremar dallo Stato alla regione Sardegna;
   nell'ambito del processo di privatizzazione della società Tirrenia, detenuta al 100 per cento dallo Stato, attraverso il Ministero dell'economia e delle finanze, con il decreto-legge 25 settembre 2009 n. 135, convertito dalla legge 20 novembre 2009, n. 166 «disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee», articolo 19-ter; sono poste disposizioni di adeguamento comunitario in materia di liberalizzazione delle rotte marittime, in particolare si è stabilito al comma 1:
    «Al fine di adeguare l'ordinamento nazionale ai princìpi comunitari in materia di cabotaggio marittimo e di liberalizzazione delle relative rotte, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto è trasferito a titolo gratuito, da Tirrenia di navigazione S.p.a., il cento per cento del capitale sociale della: (...)
     b) Saremar-Sardegna Regionale Marittima S.p.a. alla regione Sardegna»;
   con tale disposizione il legislatore nazionale aveva chiaramente inteso trasferire alla regione Sardegna «unitariamente» l'intera società/azienda, naviglio, personale e, in particolar modo, le risorse finanziarie che avevano garantito la gestione in equilibrio economico finanziario della società;
   la ratio della norma era appunto quella di garantire il prosieguo del servizio universale di continuità territoriale con le isole minori, mantenendo in essere la forza lavoro che, proprio per la cessione dell'intero asset azionario, non doveva in alcun modo essere scorporata dai beni della società stessa. Tale ratio fu applicata alla gara messa in essere per la vendita della società Tirrenia attraverso una gara «a doppio oggetto» che comprendesse la vendita della società, intesa come unitaria di naviglio, personale e patrimonio, e l'assegnazione del servizio di continuità territoriale;
   tale procedura è disciplinata parimenti per la Società Saremar;
   alla regione Sardegna è stata, dunque, trasferita una società, la Saremar, che in ogni suo aspetto veniva inquadrata nel patrimonio e nell'organizzazione della stessa istituzione regionale, divenendo, come fa rilevare la Commissione europea, di fatto e in diritto, una società in house;
   la stessa regione, nello Statuto della società Saremar, dispone il suo inquadramento in regime di società «in house» con l'equiparazione a società pubblica;
   tralasciando l'aspetto dei termini temporali della norma, che non risultano perentori, emerge con chiarezza la volontà dello Stato di garantire, attraverso la norma richiamata, la continuità della società Saremar con particolare riferimento al personale che più volte è stato oggetto di puntuali richiami nell’iter parlamentare di approvazione della legge richiamata;
   sia per il personale della Tirrenia, che per quello delle società collegate come la Saremar, erano stati stipulati accordi sindacali di livello nazionale e governativo posti alla base della normativa, poi adottata, che aveva il fine di tutelare l'insieme della società e garantire il mantenimento della forza lavoro, assicurando la cessione contestuale, con l'azienda e il contratto di servizio;
   nella stessa relazione di accompagnamento allegata al provvedimento di legge si fa esplicito richiamo alla risoluzione della Commissione trasporti del 19 novembre 2008 con il quale si impegnava il Governo pro tempore «a prevedere altresì, nell'ambito della privatizzazione, adeguate misure di salvaguardia dei livelli occupazionali e di tutela nei confronti dei dipendenti del gruppo Tirrenia»;
   in tal senso è esplicita e non interpretabile la norma con la quale attraverso il comma 9, lettera a) punto 5 si dispone: «sono approvati dalle regioni Sardegna e Toscana, secondo i rispettivi ordinamenti e nel rispetto del mantenimento del servizio universale e della continuità territoriale con le isole, gli schemi di contratti di servizio di durata non superiore a dodici anni con le società, rispettivamente, Saremar e Toremar...»;
   è, dunque, in forma esplicita, indicato in legge il soggetto destinatario del contratto di servizio, ovvero la Saremar, intesa come la società a cui deve essere affidato obbligatoriamente il contratto di servizio; è inoltre disposto, in maniera puntuale, «il mantenimento del servizio universale» per una durata non superiore a 12 anni;
   avendo indicato in modo esplicito, le procedure di contrattualizzazione e in modo puntuale, il nome della società Saremar, il legislatore ha inteso garantire la continuità di servizio della Saremar sia sul piano giuridico che occupazionale e finanziario;
   in tal senso, e proprio per questo motivo, risultano conseguentemente vincolate e non diversamente utilizzabili le risorse stanziate e affidate alla Saremar dal medesimo decreto-legge che all'articolo 19-ter, comma 16, prevede: «Le risorse necessarie a garantire il livello dei servizi erogati sulla base delle convenzioni attualmente in vigore e prorogate ai sensi del comma 6, nonché delle nuove convenzioni e dei contratti di servizio di cui ai commi da 8 a 15, nel limite di complessivi euro 184.942.251 a decorrere dal 2010, sono ripartite, per il 2010 e per ciascuno degli anni della durata delle nuove convenzioni e dei singoli contratti di servizio, come segue:
    a) Tirrenia di navigazione S.p.a.: euro 72.685.642;
    (...)
    c) Saremar – Sardegna Regionale Marittima S.p.a. – regione Sardegna: euro 13.686.441»;
   tali risorse, richiamate nella legge del 6 agosto 2015 n. 125, sono state di fatto riaffermate all'articolo 8, comma 13-septies del decreto-legge n. 78 del 2015 con quale si è intesa confermare di fatto la disponibilità del finanziamento anche dopo i tempi previsti dalla norma originaria, non avendo abrogato la disposizione di cui al citato comma 9, lettera a) punto 5 dell'articolo 19-ter del decreto-legge 135 del 2009, convertito dalla legge 166 del 2009, che prevedeva l'obbligo di assegnare alla Saremar la proroga del servizio, fatte salve le procedure di eventuale privatizzazione della stessa società;
   è fin troppo evidente alla luce della comparazione dei testi normativi, che il legislatore abbia voluto ripetutamente ribadire la volontà di non dismettere le società generate dalla privatizzazione di Tirrenia e di mantenere rigorosamente accorpato il servizio di continuità territoriale con la stessa società/azienda in essere;
   il legislatore ha, eventualmente, semmai, previsto forme di privatizzazione della società ma senza scorporare il personale, il naviglio e la stessa ragione sociale del servizio;
   tutto questo con l'esplicita volontà di salvaguardare i livelli occupazionali della società Saremar, come del resto è avvenuto nella procedura di privatizzazione della Tirrenia, società capofila della stessa Saremar;
   i termini dell'applicazione della norma, nel senso richiamato, sono esplicitati nell'accordo di programma tra il Governo e la regione sarda del 3 novembre 2009 che all'articolo 3 si prescrive:
   comma 1. La regione Sardegna sarà tenuta a stipulare con la Società regionale un contratto di servizio per gli oneri di servizio pubblico...;
   comma 3 alla scadenza del contratto di servizio, di durata massima di 12 anni, la regione Sardegna sarà tenuta ad indire una procedura di gara aperta e non discriminatoria, nel rispetto delle norme, nazionali e comunitarie di settore per il riaffidamento dei servizi nel periodo successivo;
   in questo quadro è fin troppo evidente che la procedura di concordato pieno liquidatorio omologato deve obbligatoriamente tener conto dell'esistenza di una vera e propria assegnazione di fondi pluriennale a favore della società Saremar per la quale sussiste un già citato esplicito richiamo di legge di cui all'articolo 19-ter del decreto-legge sopra richiamato, convertito dalla legge n. 166 del 2009 che, si ribadisce, dispone: «sono approvati dalle regioni Sardegna e Toscana, secondo i rispettivi ordinamenti e nel rispetto del mantenimento del servizio universale e della continuità territoriale con le isole, gli schemi di contratti di servizio di durata non superiore a dodici anni con le società, rispettivamente, Saremar e Toremar...»;
   tale disposizione di legge non solo è pienamente in vigore ma è esplicita: prevedono contratti di servizio di durata non superiore ai dodici anni con la società Saremar;
   in base alla previsione legislativa alla Saremar spettano quindi contributi a partire dal 2010, sino al 2022 di 164.237.292 euro;
   tale contributo statale risulta di fatto esigibile dalla stipula della proroga prevista per legge con un ammontare futuro di 109.491.528 euro, considerando un termine che comprende il periodo 2015-2022;
   è fin troppo evidente che tali contributi statali non possono essere in alcun modo utilizzati per eludere il principio affermato in legge di mantenere in essere la società Saremar intesa come unicità tra servizio pubblico e fattori della produzione, dal personale allo stesso naviglio;
   l'unitarietà della società Saremar secondo l'interrogante è il presupposto del richiamo normativo, richiamo che il legislatore ha ribadito nella legge con la quale ha trasferito la società nella sua integrità alla regione Sardegna;
   aver ribadito in modo chiaro e inequivocabile che le convenzioni devono essere sottoscritte in regime di proroga per 12 anni con la società Saremar mette in capo alla società stessa, e a nessun altro soggetto, lo stanziamento dello Stato legato indissolubilmente al mantenimento del servizio universale di continuità territoriale con la società Saremar;
   in tal senso si è chiaramente espresso anche il Tribunale di Cagliari, sezione prima civile, che nel decreto del procedimento iscritto al n. 25 del ruolo concordati per l'anno 2014 a pagina 5 dispone: «La cessione delle navi nel contesto del concomitante affidamento tramite gara pubblica del contratto di servizio da parte della regione autonoma della Sardegna potrebbe invece essere maggiormente vantaggioso per i creditori, specie di fronte all'eventualità di una liquidazione in tempi contratti o in sede fallimentare, qualora la modalità di cessione prevedessero una gara pubblica “a doppio oggetto”»;
   tale unitarietà rappresentata in modo chiaro e inequivocabile nelle procedure analoghe seguite per la cessione della Società Tirrenia nelle quali il legislatore ha inteso prevedere esplicitamente il «doppio oggetto» della gara;
   lo scorporo delle navi, con la vendita autonoma e indipendente dalla società, disattende secondo l'interrogante in modo evidente le indicazioni legislative sulla unitarietà della Saremar e contrasta con lo stesso auspicio ad una cessione «a doppio oggetto» indicato nel decreto del Tribunale di Cagliari;
   tale vendita separata del naviglio dal resto della società non risulta all'interrogante essere stata autorizzata da nessun provvedimento giudiziario che, considerata la portata e le gravi conseguenze della separazione proposta, avrebbe dovuto essere prevista in modo esplicito nel decreto di apertura della procedura di concordato preventivo;
   tale indicazione, per la vendita del naviglio, sarebbe emersa, a quanto risulta all'interrogante, nel corso di una riunione presso l'assessorato regionale, alla quale avrebbero partecipato alcuni degli stessi liquidatori giudiziali;
   è fin troppo evidente che il venir meno della flotta pregiudica in modo evidente e irrevocabile il dispositivo di legge in essere che indica la Saremar come la società destinataria del contributo pubblico di 13.686.441 euro per 12 anni in base all'autorizzata proroga del servizio pubblico di collegamento con le isole minori attraverso una legge dello Stato;
   la vendita delle navi rischia di generare un danno rilevante, considerato che la Corte di giustizia europea non si è ancora pronunciata in merito al ricorso proposto dalla regione Sardegna attraverso la Saremar avverso la condanna alla restituzione dell'aiuto di Stato riconosciuto dalla Commissione europea;
   a questo aspetto si aggiunge che non risulta valutata la portata dell'impugnativa della lettera di licenziamento da parte dei dipendenti considerato che gli stessi, in base a tutte le norme nazionali vigenti e ad un esplicito riconoscimento della Commissione europea, sono riconosciuti come dipendenti di una società che opera come strumento della regione Sardegna nell'attuazione di politiche di sviluppo e di servizio e, quindi, come tale inquadrabile a tutti gli effetti come società in house, così come esplicitamente previsto nello Statuto della società. Risulta evidente che se la definizione dei ricorsi fosse a vantaggio del personale, si sarebbe dinanzi ad una società con personale marittimo senza navi;
   all'interrogante appare inoltre destituita di fondamento la possibile previsione di una clausola sociale nella gara per l'affidamento del servizio considerato che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha esplicitamente dichiarato, in un parere formale, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, che si tratterebbe di una clausola «anticorrenziale» e come tale non legittima. In particolar modo nella comunicazione del Presidente dell'Autorità si precisa: «in questa prospettiva e, in particolare, in assenza di una chiara individuazione del perimetro del personale assegnato in maniera prevalente alle attività relative ai servizi oggetto di gara, la predisposizione di un bando di gara contenente una clausola di protezione sociale finalizzata al mantenimento dei livelli occupazionali – seppur sotto forma di meccanismo premiale nella valutazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa – appare idonea a ridurre in modo apprezzabile l'interesse alla partecipazione da parte di nuovi operatori e dunque ad influenzare in modo anticoncorrenziale l'esito stesso della procedura di selezione»;
   tale scorporo rischia quindi di:
    pregiudicare in modo irreversibile l'utilizzo del contributo affidato direttamente alla Saremar;
    privare la società del bene principale della flotta, che, insieme ai lavoratori, risulta essenziale per il mantenimento in essere del servizio universale e della continuità territoriale con le isole minori;
    generare un danno erariale in relazione al mancato pronunciamento della Corte di giustizia europea e all'esito dei ricorsi del personale dipendente;
    pregiudicare l'affidamento alla Saremar della proroga prevista per legge per il mantenimento del servizio pubblico;
    favorire, attraverso l'eliminazione della Saremar, concorrenti privati che, in base alla delibera del 7 agosto 2015 della giunta regionale, sono stati individuati in modo puntuale sia nei parametri finanziari che gestionali;
   risulta all'interrogante che la società Delcomar, ancor prima della pubblicazione del bando di manifestazione d'interesse per la vendita della flotta, abbia reiterato ben due domande d'acquisto, la prima il 9 febbraio 2015, senza indicare un'offerta precisa, ma dichiarandosi interessata all'acquisto della flotta o anche ad unità navali singole e, successivamente, in data 9 luglio 2015, proponendo un'offerta di 4.200.000 euro per l'acquisto dell'intera flotta. Tale offerta, ad avviso dell'interrogante, potrebbe di fatto finire per precostituire, nei modi e nei tempi, una sorta di prelazione temporale e propone di fatto una modalità con indicazione di una proposta economica, pari a quella avanzata poi nell'avviso pubblico del mese di ottobre 2015 da parte dei liquidatori giudiziali;
   tale procedura di vendita, oltre che risultare all'interrogante irragionevole e illogica rispetto alle disposizioni di legge e alle indicazioni dello stesso tribunale, appare poco trasparente, considerato che l'offerta economica preventiva costituisce di fatto un elemento che nega la concorrenzialità nell'acquisto stesso;
   l'interrogante ritiene necessario segnalare la coincidenza dei requisiti minimi indicati il 7 agosto 2015 dalla giunta regionale nella delibera regionale di indirizzo per la predisposizione della gara per poter concorrere all'affidamento dei servizi di continuità territoriale per le isole minori e quelli detenuti dalla società Delcomar che ha avanzato richiesta di acquisto della flotta e che svolge analogo servizio fuori convenzione nelle stesse isole minori;
   l'assessore regionale, infatti, ha proposto alla giunta regionale stringenti e precisi requisiti per la partecipazione alla gara per l'affidamento dei servizi. In particolar modo sulla delibera è scritto: «Sul punto ritiene che i requisiti minimi di partecipazione alla gara vadano individuati nei seguenti: – avere svolto nel triennio precedente, almeno un anno di servizi di cabotaggio marittimo per il trasporto di passeggeri e merci; – avere un fatturato, nel triennio precedente, di almeno 20 milioni di euro per servizi di cui sopra; – avere, nel triennio precedente, percorso almeno 150 mila miglia per i servizi di cui sopra»;
   a parere dell'interrogante tali requisiti indicati dalla regione, nella fattispecie dall'assessore, coincidono in tutto o in parte con quelli dell'unico operatore che opera privatamente sulle stesse rotte esercitate dalla Saremar e pertanto, l'eliminazione della Saremar, attraverso la vendita, secondo l'interrogante arbitraria, delle navi, finirebbe per favorire determinati privati;
   è fin troppo evidente che non esiste nessuna possibilità, nel rispetto dei tempi e delle modalità previste dalle norme nazionali e comunitarie in materia di appalti, di affidare, posta anche l'illegittimità di tale procedura, entro il 31 dicembre 2015 il servizio di continuità territoriale per il collegamento delle isole minori;
   la vendita delle navi rischia, dunque, di essere il presupposto di un possibile affidamento ad un privato in termini provvisori delle rotte delle isole minori;
   eventualità, questa, che risulta all'interrogante già abbondantemente caldeggiata dall'assessore regionale in ripetute occasioni. In tal senso non è destituita di fondamento l'ipotesi che si voglia affidare tale servizio in condizioni di provvisorietà alla stessa società privata Delcomar che opera su quelle rotte, avendo essa, ad avviso dell'interrogante, i parametri indicati nella delibera della giunta regionale;
   con la vendita delle navi, scorporandole dal resto della società, si impedirebbe alla stessa Saremar di poter ottenere non solo la proroga del servizio per 12 anni, come disposto dalla legge nazionale, ma anche quella temporanea in attesa di definire la gestione ordinaria perché sarebbe venuto meno il presupposto essenziale: la disponibilità delle navi;
   lo scorporo finirebbe secondo l'interrogante per essere lo strumento con il quale favorire il privato che sarà beneficiario dell'affidamento diretto e provvisorio del servizio di continuità territoriale con le isole minori;
   l'interrogante ha anche formalizzato alla procura della Repubblica la situazione che si sta generando sul concordato preventivo Saremar s.p.a. n. 24 del 2014 e sull'affidamento del servizio, segnalando i reiterati incontri tra l'assessore regionale Massimo Deiana e l'armatore della Delcomar Franco Del Giudice, svoltisi ripetutamente nel comune di Carloforte Tali incontri sono stati documentati fotograficamente da cittadini che hanno trasmesso segnalazioni all'interrogante e numerose testate hanno pubblicato le immagini sulla frequentazione estiva;
   l'accanimento regionale a perseguire il concordato preventivo si configura secondo l'interrogante come un atto del tutto inaccettabile, tale di fatto da eliminare l'unico soggetto legittimato a gestire tale servizio per favorire una gestione privata;
   come indicato dai giudici, la mancata effettuazione della gara «a doppio oggetto» costituisce un atto in contrasto con le leggi nazionali, oltre che un grave danno sia per i creditori che per la stessa regione e pertanto occorre porre in essere ogni azione tesa a ripristinare il contratto in essere della Saremar fino al 2022 e, successivamente ed eventualmente, procedere alla gara «a doppio oggetto» –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover intervenire con somma urgenza al fine di assicurare il rispetto delle norme nazionali e degli accordi Stato-regione;
   se non ritenga di dover assumere iniziative volte a chiarire formalmente che la Saremar è titolare a tutti gli effetti di una proroga contrattuale prevista per legge per dodici anni a partire dal 2009 e che l'ammontare complessivo di 109 milioni di euro residui non può essere affidato a terzi;
   se non ritenga di dover intervenire, per quanto di competenza, al fine di evitare che tale piano di smobilitazione di Saremar possa configurare un vantaggio a favore di privati individuati a priori con requisiti fortemente limitanti ed escludenti;
   se non ritenga, anche alla luce delle implicazioni comunitarie, di dover assumere le iniziative di competenza per la definizione dei contenziosi aperti (Corte di giustizia europea e dipendenti), per evitare di pregiudicare in modo grave e irreversibile l'attività gestionale della Società Saremar privandola del bene essenziale del naviglio in contrasto con le norme nazionali. (5-06670)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SANDRA SAVINO. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:

   il 30 settembre 2015, da fonti di stampa si è appreso che a margine del Salone nautico di Genova il Ministro interrogato ha dichiarato: «Per la riforma dei porti abbiamo già preparato il decreto legislativo, stiamo definendo gli ultimi dettagli per la riforma della governance. Andiamo bene, il decreto è pronto»;

   nei giorni successivi, sono trapelate ulteriori notizie da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, secondo le quali sarebbero stati individuati, sul territorio nazionale, 14 porti strategici da inserire a livello europeo nella rete transeuropea, rispetto alle 24 autorità portuali esistenti attualmente;

   nel decreto allo studio del Governo sarebbero stabiliti i seguenti accorpamenti: tra Genova e Savona (sede a Genova), Livorno e Piombino (sede a Livorno), Napoli e Salerno (sede a Napoli), Cagliari e Olbia (sede a Cagliari), Palermo e Trapani (sede a Palermo), Augusta, Messina e Catania (con sede ancora da stabilire, perché Augusta è il porto core, ma le altre due città hanno un rilievo maggiore). Alle sei autorità appena elencate, si aggiungerebbero altre sei per le quali non è previsto nessun accorpamento, vale a dire Civitavecchia, Gioia Tauro, Ancona, Ravenna, Venezia e Trieste;

   nel caso del Friuli Venezia Giulia, per esempio, Monfalcone e Porto Nogaro dovrebbero rientrare nella competenza dell'autorità portuale di Trieste. A proposito del ruolo di Trieste, il Ministro interrogato ha dichiarato che lo scalo giuliano riveste, nel ridisegno strategico della portualità italiana, un'importanza decisiva, trattandosi di un gateway fondamentale;

   nel 2013 il porto di Trieste sotto la guida della presidente dell'autorità portuale Marina Monassi, con 56,6 milioni di tonnellate di merci ha conquistato il primato italiano per volumi di traffico movimentati, mentre nel 2014 lo scalo giuliano con una movimentazione complessiva di 506.007 teu, aveva stabilito il proprio nuovo record annuale di traffico dei container registrando una crescita del +10,34 per cento rispetto all'anno precedente;

   purtroppo, nei primi mesi del 2015 l'autorità portuale di Trieste – commissariata dal Governo nazionale a inizio anno – fa registrare invece un calo dei traffici dell'8 per cento: questo dato è in netta controtendenza rispetto al dato nazionale e risulta essere particolarmente significativo in considerazione del fatto che i porti concorrenti, dal punto di vista territoriale hanno segnato un tasso di movimentazione in considerevole ascesa: più 24 per cento il porto croato di Fiume e più 18 per cento il porto sloveno di Capodistria;

   la legge 7 aprile 2014, n. 56, «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni» meglio nota come «riforma Delrio», in attesa della riforma del Titolo V della Costituzione ridisegna l'assetto dell'amministrazione locale, istituendo le città metropolitane di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria; le disposizioni contenute nella «riforma Delrio», valgono come principi per la disciplina di città e aree metropolitane da adottare dalla regione Sardegna, dalla regione siciliana e dalla regione Friuli-Venezia Giulia, in conformità ai rispettivi statuti;

   l'istituzione di un'area metropolitana presso il comune di Trieste, potrebbe comportare il trasferimento, in capo al «sindaco metropolitano», anche delle competenze del presidente dell'autorità portuale di Trieste con poteri di indirizzo, programmazione, coordinamento, promozione e controllo delle operazioni portuali e delle altre attività commerciali ed industriali ivi esercitate –:

   quale sia la prospettiva per lo scalo giuliano in vista della prossima riforma della governance dei porti italiani, anche alla luce della definizione delle competenze delle aree metropolitane e nella fattispecie, per la città di Trieste, se la previsione di un'unica autorità portuale, autonoma ma isolata dagli altri scali del nord Adriatico – come ampiamente annunciato dagli organi di stampa – dipenda in qualche modo dalle prossime scelte del Governo in ordine all'impianto di rigassificazione di Zaule, con una paventata revisione strutturale delle potenzialità strategiche dello scalo giuliano. (4-10727)


   GRILLO, DELL'ORCO, CANCELLERI, DI BENEDETTO, DI VITA, LUPO, MANNINO, NUTI, D'UVA, LOREFICE, MARZANA, RIZZO e VILLAROSA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il signor Cosimo Indaco è stato nominato, ai sensi e per gli effetti della legge 28 gennaio 1994, n. 84, «Riordino della legislazione in materia portuale», commissario straordinario dell'autorità portuale di Catania, con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 9 aprile 2015, n. 120. Questa nomina consegue all'analoga e precedente nomina a commissario straordinario avvenuta con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 22 settembre 2014, n. 383;
   le autorità portuali sono enti pubblici non economici, come stabilito dal comma 993 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 1996. In forza di tale qualifica a tali enti si applica la legge n. 190 del 2012 (legge Severino) e i suo decreti delegati e segnatamente il decreto legislativo n. 33 del 2013 e il decreto legislativo n. 39 del 2013. In tale senso si veda il parere espresso dal dipartimento della funzione pubblica in data 29 settembre 2013;
   le nomine sopra citate sono state effettuate ai sensi dell'articolo 7 della citata legge 28 gennaio 1994, n. 84, ove è previsto che con decreto il Ministro dei trasporti e della navigazione (ora MIT) nomina un commissario che esercita, per un periodo massimo di sei mesi, le attribuzioni conferitegli con il decreto stesso;
   il citato articolo 7, peraltro, presuppone che il commissario straordinario sia susseguente alla revoca del mandato del presidente e allo scioglimento del comitato portuale; mentre nel caso di specie il commissario straordinario subentra solo al presidente ed infatti i decreti di nomina del signor Cosimo Indaco espressamente prevedono che al nominato commissario sono conferiti i poteri e le attribuzioni di cui all'articolo 8 della legge 28 gennaio 1994, n. 84, ovvero i poteri attribuiti ordinariamente al presidente dell'autorità portuale;
   il comitato portuale risulta costituito, ai sensi dell'articolo 9 della legge n. 84 del 1994, con decreto n. 3 del commissario straordinario del 20 gennaio 2013; presieduto dall'allora commissario straordinario dottor Cosimo Aiello. Nel comitato portuale risulta essere presente lo stesso signor Cosimo Indaco come «rappresentante della categoria degli spedizionieri»;
   il comma 6 dell'articolo 6 della legge n. 84 del 1994 prevede che «Le autorità portuali non possono esercitare, né direttamente, né tramite la partecipazione di società, operazioni portuali ed attività ad esse strettamente connesse»;
   ai sensi dell'articolo 1 comma 2, lettera f) del decreto legislativo 39 del 2013 per «componenti di organi di indirizzo politico», s'intendono «le persone che partecipano, in via elettiva o di nomina, a organi di indirizzo politico delle amministrazioni statali, regionali e locali, quali Presidente del Consiglio dei ministri, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e commissario straordinario del Governo di cui all'articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400, parlamentare, Presidente della giunta o Sindaco, assessore o consigliere nelle regioni, nelle province, nei comuni e nelle forme associative tra enti locali, oppure a organi di indirizzo di enti pubblici, o di enti di diritto privato in controllo pubblico, nazionali, regionali e locali»;
   ai sensi dell'articolo 1, comma 2, lettera l) del decreto legislativo n. 39 del 2013 per «incarichi di amministratore di enti pubblici e di enti privati in controllo pubblico», s'intendono «gli incarichi di Presidente con deleghe gestionali dirette, amministratore delegato e assimilabili, di altro organo di indirizzo delle attività dell'ente, comunque denominato, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico»;
   il commissario straordinario di un'autorità portuale è da includersi tra i componenti degli organi d'indirizzo politico, unitamente al comitato portuale; non si comprende pertanto la collocazione, nel sito istituzionale in seno alla sezione amministrazione trasparente e tra gli organi di vertice dell'ente, del commissario straordinario dell'autorità portuale di Catania, come fosse «personale» dell'ente;
   il presidente dell'autorità portuale (ergo anche il commissario straordinario), ai sensi del già citato articolo 8 della legge 28 gennaio 1994 n. 84, ha precise ed estese deleghe gestionali dirette;
   il signor Cosimo Indaco risulta, come da visura camerale del 21 settembre 2015, essere socio (nominato con atto 13 maggio 2013) della società di spedizioni doganali – «Angelo Perez di Cosimo Indaco & c. snc» – P.IVA 00156820870, che opera nel porto di Catania; «attività che esercita da decenni in stretta simbiosi con l'evoluzione e la crescita del porto», come si legge dal sito della società; tanto ciò è vero che sul sito dell'autorità portuale di Catania è riportato, tra gli spedizionieri del porto, proprio il nominativo di suddetta società;
   ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 39 del 2013 «A coloro che, nei due anni precedenti, abbiano svolto incarichi e ricoperto cariche in enti di diritto privato o finanziati dall'amministrazione o dall'ente pubblico che conferisce l'incarico ovvero abbiano svolto in proprio attività professionali, se queste sono regolate, finanziate o comunque retribuite dall'amministrazione o ente che conferisce l'incarico, non possono essere conferiti: a) gli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni statali, regionali e locali; b) gli incarichi di amministratore di ente pubblico, di livello nazionale, regionale e locale; c) gli incarichi dirigenziali esterni, comunque denominati, nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici che siano relativi allo specifico settore o ufficio dell'amministrazione che esercita i poteri di regolazione e finanziamento»;
   ai sensi dell'articolo 9 del decreto-legge n. 39 del 2013, comma 2, «Gli incarichi amministrativi di vertice e gli incarichi dirigenziali, comunque denominati, nelle pubbliche amministrazioni, gli incarichi di amministratore negli enti pubblici e di presidente e amministratore delegato negli enti di diritto privato in controllo pubblico sono incompatibili con lo svolgimento in proprio, da parte del soggetto incaricato, di un'attività professionale, se questa è regolata, finanziata o comunque retribuita dall'amministrazione o ente che conferisce l'incarico»;
   alcuni parlamentari nazionali e siciliani del Movimento 5 Stelle in data 5 ottobre 2015 hanno inviato sulla questione, sopra esposta, una lettera al presidente dell'Autorità nazionale anti corruzione –:
   se il conferimento dell'incarico di commissario straordinario dell'autorità portuale di Catania a Cosimo Indaco sia pienamente conforme alla normativa di cui in premessa e quali iniziative di competenza intenda intraprendere al riguardo. (4-10741)


   LAVAGNO. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   la stazione ferroviaria di Casale Monferrato si trova sulle linee Mortara-Asti, Chivasso-Alessandria e Vercelli-Casale;
   lo scalo fu aperto nel 1857 con il nome di Casale al momento dell'inaugurazione della ferrovia Vercelli-Casale-Valenza;
   da tempo alla stazione ferroviaria di Casale Monferrato lo sportello della biglietteria segue gli orari dell'unico dipendente rimasto in servizio. Infatti, la biglietteria rimane aperta solo al mattino;
   nella settimana che va dal 12 ottobre al 17, la situazione si è ulteriormente aggravata in quanto l'addetto è andato in ferie. Il disservizio alla stazione è notevole, in quanto lo sportello è rimasto sempre chiuso, anche il mattino. Infatti, sulla porta di accesso alla biglietteria sono stati affissi un avviso di chiusura da lunedì 12 a sabato 17 ottobre compreso e un altro foglio con la scritta «porta chiusa»;
   con la chiusura della biglietteria, sono state chiuse anche le porte di ingresso impedendo di fatto agli utenti l'accesso alla sala d'aspetto, all'obliteratrice e soprattutto ad un riparo;
   l'unico punto di riferimento in questo periodo è stato il titolare della tabaccheria che ha fatto da bigliettaio e da ufficio informazioni –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle problematiche sopra esposte e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere affinché Ferrovie dello Stato, eventualmente attraverso l'assunzione di un altro dipendente, garantisca lo sportello della biglietteria alla stazione ferroviaria di Casale Monferrato.
(4-10744)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DADONE, COLONNESE, D'AMBROSIO, COZZOLINO e DIENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in occasione dell'esame della proposta di legge recante nuove norme per l'acquisto della cittadinanza è stata introdotta una disposizione che prevede la sospensione delle procedure finalizzate alla propedeutica verifica della «condizione» dello straniero;
   vale a dire, il Ministero dell'interno dovrà verificare che nei confronti dello straniero non siano stati adottati in precedenza provvedimenti «di diniego della cittadinanza, di espulsione o di allontanamento per motivi di sicurezza nazionale» e, dopo tale verifica, rilasciare il nulla osta – in ordine al quale, tra l'altro, sembrerebbe sussistere l'istituto del silenzio-assenso;
   il termine entro il quale procedere ai suddetti accertamenti è stato fissato in sei mesi, su richiesta espressa del rappresentante del Governo, che ha indicato la necessità di quel lasso di tempo per procedervi;
   ad avviso degli interroganti, desta forte preoccupazione che per l'accertamento di comportamenti o condizioni di massimo e gravissimo allarme sia necessario un lasso di tempo tanto lungo;
   ciò fa temere che la sicurezza dei cittadini non sia garantita, che il controllo del territorio sia del tutto aleatorio – nel senso stretto del termine, «in balia della sorte, del caso; incerto e imprevedibile» – privo di coordinamento e di banche dati costantemente aggiornate; appare altresì rendere impossibile la conoscenza di dati in tempo reale, in ordine alla presenza nel territorio di soggetti potenzialmente pericolosissimi –:
   quali siano e come funzionino ad oggi gli strumenti e le banche dati impiegate dal Governo e dalle autorità competenti per svolgere le verifiche al fine di garantire la sicurezza nazionale di cui in premessa.
(5-06644)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   qualche giorno fa a Pescara in pieno centro è scoppiata una rissa tra sei venditori ambulanti bengalesi;
   secondo la polizia qualcuno di loro deve aver sconfinato con la propria bancarella in zone già occupate da connazionali con la stessa merce. Il giudice ha convalidato l'arresto, ma li ha rimessi in libertà in quanto incensurati (il processo è stato fissato ai primi di novembre), eppure l'episodio ha portato alla luce una realtà che la stessa comunità bengalese tende a oscurare;
   a Pescara e provincia, stando ai dati dell'ufficio immigrazione della questura, sono quasi 300 i bengalesi presenti e di questi oltre la metà, 164, svolge lavoro autonomo che quasi sempre corrisponde alla licenza di ambulante. Altri sette sono in attesa di occupazione, 33 hanno dichiarato di essere a Pescara per motivi di famiglia (per ricongiungimento familiare o esigenze di salute), 58 svolgono un lavoro subordinato e 35 sono richiedenti asilo. Di fatto, dicono dalla questura, sono pochi i bengalesi irregolari. L'episodio dell'altro giorno ha fatto emergere un fenomeno che ogni tanto riesplode, come all'inizio dell'anno quando la polizia arrestò due bengalesi accusati di aver rapinato un loro connazionale sulla riviera, o come a giugno del 2012 quando i carabinieri smantellarono un'organizzazione accusata di far entrare pachistani, bengalesi e indiani in Italia aggirando la legge sull'immigrazione grazie alla complicità di imprenditori e falsi consulenti locali;
   vendono tutti la stessa merce, cover per telefonini o rose, utilizzano quasi tutti gli stessi magazzini distribuiti nelle vie più centrali della città dove hanno concentrato le loro residenze: via Piave, via Mazzini, corso Vittorio, via Ariosto. Difficile ritenere, anche secondo le forze dell'ordine, che siano tutti lavoratori autonomi;
   secondo la denuncia dall'associazione «On the road», dietro questa situazione ci sono sicuramente organizzazioni criminali del subcontinente indiano come Bangladesh e Pakistan che occupano fisicamente tutti gli spazi delle zone centrali della città soppiantando quei venditori africani storici dell'Africa occidentale anglofona (Nigeria, Ghana, Liberia, Sierra Leone);
   stando a quello che emerge dallo studio sviluppato a settembre dell'anno scorso (quando gli asiatici notati in centro furono solo venti a fronte dei 164 ambulanti di oggi), gli operatori hanno notato in due casi una sorta di filiera etnica del commercio, che parte a livello più basso dal singolo ambulante che vende oggetti a bassissimo costo, al piccolo commerciante da bancarella, al piccolo negozio di vicinato; livelli legati dalla conoscenza diretta, da una catena distributiva unica, da un supporto logistico, e, forse, da una stessa gerarchia. Persone spesso vincolate al pagamento di debiti per essere svincolati dal legame con quella filiera –:
   se non intenda utile approfondire questo fenomeno per capire se vi siano organizzazioni criminali che gestiscano il flusso degli extracomunitari asiatici e il commercio illegale che li vede impegnati nelle zone centrali di Pescara. (4-10730)


   RAMPELLI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:

   secondo i dati forniti dal Ministero dell'interno, in Italia nel 2014 sono stati registrati 170.100 migranti sbarcati, e sono state presentate 64.625 richieste di asilo, con un incremento del 143 per cento rispetto al 2013;

   delle richieste pervenute sono state esaminate 36.330 istanze, poco meno del 56 per cento, del totale, di cui 13.327 sono state rigettate (37 per cento), 21.861 sono state accolte (60 per cento) e di queste ultime 3.649 (il 10 per cento) riguardano il riconoscimento dello status di rifugiato, 8.121 (il 22 per cento) riguardano il riconoscimento della protezione sussidiaria, 10.091 (il 28 per cento) la protezione umanitaria, 1.142 (il 3 per cento) altro tipo di permesso;

   i siriani sono la prima nazionalità per richiedenti asilo in 11 Stati europei ma non in Italia dove la provenienza dei richiedenti asilo (2014) risulta essere principalmente da: Nigeria 15,6 per cento (10.138 domande); Mali 15 per cento (9.771 domande); Gambia 13 per cento (8.556 domande); Pakistan 11 per cento (7.191 domande); Senegal 7 per cento (4.678 domande);

   nei mesi di gennaio e febbraio 2015, le commissioni territoriali competenti in prima battuta all'esame delle richieste di asilo hanno esaminato in Italia 5.804 domande, delle quali 2.799 sono state rigettate e 3.005 (pari a meno del 52 per cento) sono state accolte mediante la concessione dello status di rifugiato a 428 persone (14 per cento di quelle accolte), la protezione sussidiaria a 1.143 (38 per cento) e la protezione umanitaria a 1.292 soggetti (43 per cento);

   in totale, gli immigrati giunti in Italia nel primo semestre tra gennaio e giugno del 2015 sono stati 59.606 e le richieste di asilo sono state 30.140, pari a circa la metà degli arrivi;

   in Italia il tasso di riconoscimento di una forma di protezione è più alto di ben quattordici punti percentuali rispetto alla media europea;

   nonostante con decreto del 10 novembre 2014, siano state aumentate a venti le commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, alla fine di marzo 2015 erano ancora 47.500 i richiedenti asilo in Italia in attesa di una risposta;

   vi sono regioni, quali la Basilicata, che non sono sede di una delle predette commissioni tanto che alcuni degli ospiti presenti nei centri di accoglienza attendono da oltre un anno di conoscere la data di convocazione da parte della commissione territoriale di Salerno, mentre altri sono stati convocati per il gennaio 2016 da quella di Trapani, competente per l'esame della domanda prima del trasferimento nei centri lucani;

   a seguito del diniego da parte della commissione territoriale dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria o umanitaria, gli interessati possono adire l'autorità giudiziaria essendo garantita la tutela per i tre gradi di giudizio, con il patrocinio gratuito dello Stato –:

   quali siano i tempi per la conclusione dei procedimenti di richiesta di asilo, protezione sussidiaria, protezione umanitaria presso le commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e quelli per la conclusione dei ricorsi giurisdizionali avverso il diniego, per i tre gradi di giudizio;

   quanto lo Stato italiano abbia speso e abbia previsto di spendere, per gli anni 2013, 2014, 2015 e 2016 per garantire il gratuito patrocino ai migranti che hanno adito l'autorità giudiziaria avverso il diniego delle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale;

   quanti decreti di espulsione siano stati emessi negli anni 2013, 2014 e 2015, e quanti siano stati effettivamente eseguiti;

   se non si ritenga opportuno ed urgente assumere iniziative per implementare le commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale prevedendo l'istituzione di almeno una commissione per regione;

   se non si ritenga opportuno ed urgente assumere iniziative, per quanto di competenza, per implementare la dotazione organica degli uffici che si occupano dell'esame dei ricorsi presso i tribunali e le corti d'appello. (4-10732)


   TARTAGLIONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sembra palesarsi la chiusura del commissariato di P.S. «Montecalvario» in Napoli che, nell'ambito della questura di Napoli, è l'unico presidio di polizia che ha competenza per i quartieri spagnoli e le zone a ridosso di Via Toledo;
   sembra che le ragioni di tale chiusura vadano ricercate unicamente nelle condizioni e nella collocazione del commissariato;
   questa scelta, in luogo di quella di trovare una nuova e più idonea ubicazione per lo stesso Commissariato, priverebbe una zona nevralgica di Napoli di un importantissimo presidio di legalità –:
   se sia intenzione del Ministro interrogato procedere alla chiusura del commissariato di P.S. «Montecalvario» di Napoli e quali motivazioni sostanzierebbero tale scelta;
   se il Ministro abbia valutato l'ipotesi di spostare il detto commissariato in altra più idonea struttura ubicata nello stesso quartiere;
   per quali motivi sia stata eventualmente tralasciata la detta ipotesi di ricollocare il commissariato nello stesso quartiere. (4-10733)


   PISANO, SILVIA GIORDANO e TOFALO. – Al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   nel mese di gennaio dell'anno 2015 il comune di Salerno a seguito dell'esito della relativa gara ad evidenza pubblica, ha perfezionato la cessione dell'azienda partecipata Centrale del Latte di Salerno spa in favore della Newlat di Angelo Mastrolia per un ammontare complessivo di circa dodici milioni di euro;
   sino a quel momento la Centrale del Latte spa era partecipata in toto dal comune di Salerno e rappresentava una delle maggiori realtà produttive dell'intera provincia;
   nell'aprile del 2015 si apprendeva a mezzo stampa che ad oltre novanta giorni dall'aggiudicazione e dalla stipula del contratto di vendita, la Newlat di Angelo Mastrolia non avrebbe mai presentato le informazioni antimafia necessarie per accedere alla procedura di vendita e per la stipula del contratto;
   quanto detto integrerebbe la violazione degli articoli 83 ed 84 del decreto legislativo n. 159 del 2011 e successive modificazioni, il cosiddetto codice antimafia, a giudizio degli interroganti, con evidente illegittimità della vendita della società partecipata;
   la vicenda, brevemente tratteggiata, è significativa di irregolarità che graverebbero tanto sulla Newlat, aggiudicataria e privata acquirente, quanto sugli organi del comune di Salerno, i quali ai sensi della normativa citata non avrebbero effettuato gli obbligatori accertamenti antimafia, dovuti in qualità di stazione appaltante –:
   se il Governo fosse a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se il Governo intenda assumere iniziative affinché la competente prefettura, per quanto di competenza, faccia luce sulla vicenda;
   se sussistano i presupposti per rendere edotta l'Anac di quanto esposto in premessa. (4-10745)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VII Commissione:


   PISICCHIO e PASTORELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a partire dall'anno accademico 2008/2009, il conservatorio di musica di Santa Cecilia di Roma ha delocalizzato i propri percorsi di studio nel settore musicale nella città di Rieti;
   l'esecuzione di questo progetto, frutto di un accordo con la provincia di Rieti – ente all'epoca competente in materia di valorizzazione dei beni culturali e in quelle connesse alla istruzione secondaria di secondo grado –, ha implicato peraltro il recupero e la valorizzazione di un immobile di pregio di proprietà della provincia stessa, Villa Battistini;
   l'iniziativa mirava da un lato a riconvertire un immobile pubblico di pregio in sede di un istituto di alta cultura (nonché, in parte qua, anche in polo museale), e dall'altro a coltivare e valorizzare la domanda (e la stessa offerta) di professionalità artistiche nel territorio della provincia di Rieti, attraverso politiche culturali adeguate;
   i lavori di adeguamento della struttura alle necessità didattiche proprie di un conservatorio, ivi compresi quelli di recupero di oggetti e suppellettili di interesse storico-artistico appartenuti al Mo Battistini, hanno comportato un investimento di euro 716.560 di cui euro 240.000 dalla Mis. C.1 del fondo sociale europeo, euro 330.000 dal fondo regionale Lazio ed euro 146.560 da un mutuo della provincia di Rieti;
   un'ulteriore somma, pari a euro 1.000.000, è stata stanziata anche per la sistemazione definitiva degli edifici soprastanti il corpo centrale della Villa e della dépendance, per la realizzazione di un parcheggio auto e di uno spazio per le rappresentazioni all'aperto;
   a fronte di un simile impegno di risorse pubbliche, dopo soli 6 anni dall'inaugurazione dei corsi, le attività didattiche del conservatorio di Santa Cecilia a Rieti sembrerebbero essere messe in serio rischio;
   a quanto consta agli interroganti i costi di gestione della struttura (tra cui la remunerazione dei docenti) e gli ingenti tagli ai trasferimenti erariali ai bilanci degli enti che in parte sostengono il progetto (regione, provincia e comune), stanno determinando la chiusura della succursale reatina in questione;
   un simile epilogo, non solo renderebbe inutili gli investimenti pubblici finora approntati, non solo priverebbe il territorio reatino di una risorsa culturale e formativa di notevole pregio, ma pregiudicherebbe la stessa conclusione dei percorsi accademici iniziati dagli attuali iscritti (ben 127 studenti);
   a ciò si aggiunga, la gravissima situazione in cui versano i docenti del conservatorio stesso, i quali, non solo hanno oggettive difficoltà nell'essere debitamente pagati, ma rischiano altresì di perdere il loro impiego presso la suddetta struttura, qualora la direzione decida di cessarne le attività didattiche;
   una simile situazione è inaccettabile in un Paese come il nostro, dove la cultura dovrebbe essere il bene primario da tutelare, per mezzo del quale creare crescita e sviluppo; la cittadinanza locale, e gli stessi studenti del conservatorio di Rieti, che in questi mesi si sono mobilitati per salvare una struttura che gli appartiene, e da cui dipende il loro futuro, hanno diritto a risposte chiare da parte delle istituzioni dello Stato –:
   se il Ministro, di concerto con il conservatorio di Santa Cecilia, la regione Lazio e gli enti locali interessati, non ritenga di adottare le opportune iniziative di competenza affinché, da un lato, la succursale di Rieti del suddetto conservatorio non venga chiusa, e dall'altro si pervenga a un assetto che consenta la sostenibilità dei costi di gestione della struttura. (5-06661)


   PALMIERI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   gli insegnanti di religione cattolica a tempo determinato costituiscono circa la metà dell'intero corpo docente di questa materia;
   il Ministero dell'economia e delle finanze ha posto in pagamento lo stipendio di settembre 2015, con esigibilità entro il 30 settembre, solo per una parte degli incaricati annuali di religione;
   gli altri avrebbero dovuto ricevere la liquidazione dello stipendio entro la prima decade di ottobre 2015;
   il rimanente 2 per cento, a causa di errori nell'inserimento dei dati, avrà gli emolumenti liquidati successivamente con emissioni speciali;
   risulta all'interrogante che, ad oggi, ancora un consistente numero di docenti a tempo determinato di religione cattolica non ha visto accredita la liquidazione del mese scorso;
   i docenti interessati devono fare i conti non soltanto con una condizione di precarietà del posto di lavoro ma anche di insicurezza dei tempi di percepimento del proprio stipendio, con i conseguenti disagi e le difficoltà connessi alla vita di tutti i giorni;
   tra l'altro, i docenti che hanno percepito il compenso fra gli ultimi giorni di settembre e i primi di ottobre, a quanto consta all'interrogante, avrebbero riscontrato anomalie nelle cifre erogate, spesso inferiori di alcune centinaia di euro rispetto a quello che avrebbe dovuto essere il regolare importo;
   secondo notizie di stampa i disguidi e le anomalie dipenderebbero dal non corretto funzionamento del nuovo sistema informatico SIDI, che da quest'anno gestisce i contratti anche dei docenti di religione cattolica, come avviene per tutti gli altri docenti –:
   se e in che modo il Ministro intenda intervenire al fine di chiarire quali siano le ragioni che hanno determinato ritardi ed errori e soprattutto quali iniziative intenda assumere affinché i docenti sopra indicati ricevano al più presto la loro corretta e dovuta retribuzione. (5-06662)


   VEZZALI e GALGANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il collegio dei docenti ed il consiglio di istituto dell'istituto comprensivo Perugia 2, di cui fa parte la scuola media «Ugo Foscolo», hanno espresso la volontà di attivare il corso ad indirizzo musicale raccogliendo 50 adesioni per la prima classe su 150 domande totali;
   l'ufficio scolastico regionale ha sempre ostacolato l'attivazione dell'indirizzo musicale prima adducendo la presenza nella città del conservatorio, poi celandosi dietro la dichiarazione di mancanza di organico;
   di fatto è vero che il calcolo dell'organico non permette l'attivazione delle scuole dato che è basato sul numero degli studenti e non può tenere conto di una eventuale attivazione dell'indirizzo musicale, ma deve essere l'ufficio scolastico regionale stesso a comunicare al Ministero l'esigenza di ampliare il numero dei docenti;
   oggi nella città di Perugia ci sono sia il conservatorio che il liceo musicale che stanno chiedendo a gran voce da anni l'attivazione delle scuole medie ad indirizzo musicale proprio per avere la garanzia di alunni futuri;
   il conservatorio infatti in quanto università non può fare più lezione a studenti che non sono in possesso della maturità, mentre il liceo musicale, che ha una sola sezione, si regge a malapena, in quanto con poche iscrizioni, tali da non poter selezionare gli alunni meritevoli;
   nella legge sulla «Buona scuola» si rafforza il concetto di autonomia delle istituzioni scolastiche nella scelta dell'offerta formativa e soprattutto si potenzia lo studio dell'arte e della pratica musicale nelle scuole di ordine e grado –:
   se il Ministro sia a conoscenza del caso suesposto e quali iniziative intenda assumere al fine di poter finalmente consentire l'attivazione di quell'indirizzo musicale all'interno della città di Perugia, molto importante nella crescita e nella formazione dei giovani. (5-06663)


   SIMONE VALENTE, VACCA, D'UVA, LUIGI GALLO, DI BENEDETTO, MARZANA, BRESCIA e SIBILIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è tra i Paesi europei con la tassazione universitaria più alta e con il numero di laureati più basso: solo il 23,7 per cento degli italiani tra 30 e 40 anni ha una laurea, contro la media europea del 37,9 per cento. La differenza è così abissale, che per l'Italia sarà impossibile raggiungere l'obiettivo del 40 per cento nel 2020, come richiesto dall'Europa;
   è innegabile la stretta relazione tra accesso allo studio (favorito da borse di studio e tassa di iscrizione bassa) e numero di laureati: alte tasse e l'assenza di un adeguato sostegno finanziario disincentivano il proseguimento degli studi;
   le misure di sostegno in questione trovano il loro fondamento nell'articolo 34 della Costituzione, che, per assicurare a tutti il diritto allo studio, sancisce che «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi», prevedendo, altresì, che le borse di studio, gli assegni alle famiglie e le altre provvidenze necessarie per rendere «effettivo questo diritto» siano attribuite per concorso;
   la giurisprudenza costituzionale, sentenza 215/1987, nell'interpretare il diritto all'istruzione di cui all'articolo 34 della Costituzione ha sottolineato che «Statuendo che “la scuola è aperta a tutti”, e con ciò riconoscendo in via generale l'istruzione come diritto di tutti i cittadini, l'articolo 34, primo comma, della Costituzione pone un principio nel quale la basilare garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo “nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” apprestata dall'articolo 2 della Costituzione trova espressione in riferimento a quella formazione sociale che è la comunità scolastica. L'articolo 2 poi, si raccorda e si integra con l'altra norma, pure fondamentale, di cui all'articolo 3, secondo comma, che richiede il superamento delle sperequazioni di situazioni sia economiche che sociali suscettibili di ostacolare il pieno sviluppo delle persone dei cittadini. Lette alla luce di questi principi fondamentali, le successive disposizioni contenute nell'articolo 34 palesano il significato di garantire il diritto all'istruzione malgrado ogni possibile ostacolo che di fatto impedisca il pieno sviluppo della persona. L'effettività dell'istruzione dell'obbligo è, nel secondo comma, garantita dalla sua gratuità; quella dell'istruzione superiore è garantita anche a chi, capace e meritevole, sia privo di mezzi, mediante borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze (terzo e quarto comma). In tali disposizioni, l'accento è essenzialmente posto sugli ostacoli di ordine economico, giacché il Costituente era ben consapevole che è principalmente in queste che trova radice la disuguaglianza delle posizioni di partenza e che era perciò indispensabile dettare al riguardo espresse prescrizioni idonee a garantire l'effettività del principio di cui al primo comma»;
   il MoVimento 5 Stelle con l'AC n. 1159 ha presentato già a maggio 2013 una proposta di legge per modificare la disciplina sulle tasse universitarie anche istituendo una «NO tax area»; ovvero una fascia di reddito (medio bassa) che prevede l'esenzione dal pagamento della tassa di iscrizione all'università. Nonostante il lavoro della Commissione VII, Governo ad avviso degli interroganti ha colpevolmente ignorato il tema. Ad ottobre 2014, a seguito di numerose richieste della Commissione di una relazione tecnica al Governo, l'ufficio legislativo del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha inviato una comunicazione scritta pervenuta allo stesso dal capo dipartimento dell'università in cui si legge «non sono disponibili le informazioni relative alle condizioni reddituali dei singoli studenti, necessarie per poter effettuare delle stime sull'impatto finanziario che deriverebbe dalle proposte normative»;
   la situazione complessiva sul diritto allo studio è aggravata da una contrazione delle risorse stanziate dal Governo, dalla modifica dei parametri per accedere al diritto allo studio e dal nuovo metodo di calcolo ISEE;
   in tutto il mese di settembre 2015 sono state numerosissime le associazioni studentesche universitarie che hanno protestato apertamente contro le politiche dei Governo;
   i costanti tagli che il Governo riserva al settore universitario, le modifiche legislative sulla tassazione universitaria, i nuovi parametri sull'ISEE, il taglio dell'FFO gravano sulle spalle delle famiglie, anche meno abbienti, degli studenti –:
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative per modificare la normativa sulle tasse universitarie, rendendole meno onerose per le famiglie al fine di facilitare l'accesso agli studi e garantire il diritto allo studio incrementando il numero di borse e così rimediando alle problematiche relative al nuovo ISEE.
(5-06664)


   SANTERINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 22 settembre 2015 il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Stefania Giannini, ha firmato il decreto relativo alle modalità di assegnazione e utilizzo della carta elettronica, dell'importo nominale di 500 euro per ciascun anno scolastici, da distribuire a tutti i docenti di ruolo, per l'acquisto di libri, corsi, software, hardware, ingressi a eventi culturali utili per l'aggiornamento professionale;
   tale previsione, introdotta dall'articolo 1, commi 121-125, della legge 13 luglio 2015, n. 107, recante la riforma del sistema di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti (cosiddetta «Buona scuola») costituisce una novità assoluta ed è uno dei pilastri del provvedimento che punta, fra l'altro, a dare un nuovo impulso alla valorizzazione della professione dell'insegnante;
   oltre ai fondi per la Carta, che ammontano complessivamente a 381 milioni di euro all'anno, sono previsti 40 milioni, sempre all'anno, per la formazione in servizio e 200 milioni all'anno per la valorizzazione dei merito dei docenti;
   destinatari della previsione sono tutti i docenti di ruolo delle scuole statali, compresi i neoassunti e i 55 mila docenti assunti con la fase C;
   l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche assume una connotazione particolare rispetto a quello delle altre discipline presenti nel sistema educativo nazionale di istruzione e formazione;
   essa è regolata attraverso lo strumento giuridico dell'Intesa tra lo Stato italiano (autorità scolastica) e la Conferenza episcopale italiana nel quadro normativo del protocollo addizionale all'Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana del 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense;
   il 28 giugno 2012, è stata firmata la nuova intesa per l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, che risponde a una duplice esigenza: da una parte, adeguare i profili di qualificazione e i titoli di studio al nuovo ordinamento degli istituti superiori di scienze religiose e, dall'altra, armonizzare il percorso formativo richiesto per l'insegnamento della religione cattolica con quanto previsto in Italia per l'insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado –:
   se, in ragione di quanto sopra, detto, possa applicarsi anche ai docenti di religione cattolica nelle scuole pubbliche quanto previsto ai sensi dei citati commi 121-125 dell'articolo 1 della legge 13 luglio 2015, n. 107. (5-06665)


   COSCIA, CAROCCI, ROCCHI, MALPEZZI, COCCIA, GHIZZONI, PES, D'OTTAVIO, BLAZINA, MALISANI, RAMPI, MANZI, SGAMBATO, VENTRICELLI, NARDUOLO e BOSSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 107 del 2015, al comma 121 dell'articolo 1, stabilisce che: «Al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, è istituita, nel rispetto del limite di spesa di cui al comma 123, la Carta elettronica per l'aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado. La Carta, dell'importo nominale di euro 500 annui per ciascun anno scolastico, può essere utilizzata per l'acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all'aggiornamento professionale, per l'acquisto di hardware e software, per l'iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, svolti da enti accreditati presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale, per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, nonché per iniziative coerenti con le attività individuate nell'ambito del piano triennale dell'offerta formativa delle scuole e del Piano nazionale di formazione di cui al comma 124. La somma di cui alla Carta non costituisce retribuzione accessoria né reddito imponibile»;
   il 23 settembre 2015 con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono state stabilite le modalità di assegnazione della carta elettronica che sarà distribuita a tutti i docenti di ruolo per l'acquisto di libri, corsi, software, hardware, ingressi a eventi culturali utili per l'aggiornamento professionale;
   solo per l'anno scolastico 2015/2016, in attesa della distribuzione materiale della carta, i 500 euro saranno assegnati con un'erogazione diretta ai beneficiari che entro il 31 agosto 2016 avranno trasmesso al proprio istituto la ricevuta o la fattura degli acquisti effettuati –:
   come si articoleranno le modalità di fruizione e rendicontazione della carta.
(5-06666)


   PANNARALE, SCOTTO e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'aberrante questione dei cosiddetti quota 96 colpisce dal 2011 migliaia di lavoratori del comparto scolastico, a causa di una delle numerose storture contenute nella cosiddetta Legge Fornero (decreto-legge n. 201 del 2011, Salva Italia, convertito dalla legge n. 214 del 2011);
   all'articolo 24, comma 3, del suddetto decreto-legge, è contenuta infatti una disposizione che non ha consentito a tali lavoratori, che pure avevano maturato i requisiti (61 anni di età e 35 di contributi o 60 anni di età e 36 di contributi) di accedere al trattamento pensionistico, rimanendo ingiustamente bloccati in servizio;
   una simile contingenza è dovuta alla speciale normativa applicabile al personale della scuola e, nello specifico, al combinato disposto dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 351 del 1998, ove si prevede che il docente debba lavorare sino alla conclusione di ogni anno scolastico (il 31 agosto) per garantire la continuità didattica, e l'articolo 59 della legge n. 449 del 1997 (la legge finanziaria per l'anno 1998), che dispone che anche la cessazione del servizio abbia effetto dall'inizio dell'anno scolastico e accademico «con decorrenza dalla stessa data del relativo trattamento economico nel caso di prevista maturazione del requisito entro il 31 dicembre dell'anno»;
   la suddetta legge Fornero, per colpa o incapacità, ha creato tuttavia un regime inapplicabile ad una parte del comparto scolastico. Essendo stata emanata a dicembre del 2011, a metà dell'anno scolastico, ha prodotto sui lavoratori della scuola un effetto retroattivo che ha impedito loro di far valere i requisiti di cui erano in possesso nell'anno 2011-2012, provocando una disparità di trattamento tra lavoratori aventi gli stessi diritti al pensionamento;
   in tal modo, il personale della scuola in questione si è trovato nella condizione di poter accedere al pensionamento solamente 4 anni dopo l'emanazione della legge;
   numerosissime iniziative parlamentari sono state proposte nel corso di questi anni, molte delle quali, approvate, impegnavano i Governi a risolvere la condizione dei «quota 96». Si ricorda in tal senso l'ordine del giorno n. 9/2679-bis-A/28 Pannarale e altri, approvato sostanzialmente all'unanimità in sede di esame della legge di stabilità 2015, che impegnava il Governo a trasmettere al Parlamento una relazione contenente la verifica del numero effettivo dei lavoratori «quota 96», risolvendo tale aberrante condizione attraverso specifica norma;
   il Governo attuale (in particolare, in più di un'occasione, l'attuale Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione Maria Anna Madia e il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Stefania Giannini), è intervenuto a giudizio degli interroganti in modo evasivo e colpevolmente inadeguato a risolvere la condizione dei lavoratori «quota 96», come nel caso dell'interrogazione n. 3-01290 Pannarale o nell'atteggiamento tenuto durante la discussione della legge 13 luglio 2015, n. 107;
   in particolare, ancora oggi è impossibile ricevere un dato preciso concernente il numero dei lavoratori che si trovano nella condizione «quota 96», con il rischio di compromettere ogni iniziativa volta a sanare tale ingiustizia normativa;
   in tal senso, si rammenta l'approvazione dell'emendamento 1.1 a firma dell'onorevole Ciprini, per il quale i deputati SEL hanno votato in senso favorevole, che in sede di discussione della proposta di legge Modifiche alla disciplina dei requisiti per la fruizione delle deroghe riguardanti l'accesso al pensionamento e la decorrenza delle prestazioni pensionistiche. (Testo unificato C. 2514 Fedriga, C. 2958 Gnecchi e C. 3002 Fedriga), cosiddetta Settima salvaguardia, ha consentito un deciso passo in avanti verso la soluzione della questione;
   tale iniziativa infatti, basandosi su «informazioni acquisite dall'INPS» è finalizzata ad abbassare notevolmente la platea dei soggetti «quota 96» aventi diritto alla pensione inizialmente da 4.000 a 2,500 unità, molto al di sotto, tra l'altro, delle 3.000 quantificate sinora dal Governo, dal Ministro Madia e dal Ministro dell'istruzione, dell'università, e della ricerca Stefania Giannini. In tal modo gli oneri risultano oggi notevolmente ridotti;
   è evidente, tuttavia, come non sia accettabile che anche un solo lavoratore identificato come «quota 96» rimanga al di fuori di tale tutela, e di come sia necessario, dunque, conoscere con esattezza il numero delle unità che, ad oggi, sono coinvolte nella vexata quaestio –:
   quale sia attualmente il numero dei lavoratori ingiustamente penalizzati da una normativa approssimativa come quella della suddetta «legge Fornero», in modo da garantire ad ognuno di loro, senza esclusione alcuna, la soluzione ad una condizione che, da lungo tempo, lede i diritti dei lavoratori e il principio di uguaglianza posta dalla Costituzione.
(5-06667)


   BORGHESI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   dall'Associazione ProVita Onlus di Rovereto (TN) sono stati pubblicati i «Progetti applicati nelle scuole italiane ispirati alla teoria gender e all'omosessualismo»;
   si riportano a titolo esemplificativo alcuni esempi estratti dal dossier:
    Liceo Classico Giulio Cesare – quinta ginnasio:
     a minori di 16 anni alcuni insegnanti hanno chiesto di leggere e poi di svolgere un tema sul romanzo «Sei come sei» di Melania Mazzucco. Il romanzo parla di una bambina «figlia» di due omosessuali tramite utero in affitto, e contiene descrizioni dettagliate di masturbazione e di rapporti orali tra ragazzi: Iniziativa delle insegnanti, in applicazione della «strategia nazionale dell'UNAR;
    10 asili nido e 36 scuole materne:
     distribuzione della favola gay «E con Tango siamo in tre» (Ed. Junior): storia di due pinguini, entrambi maschi, che si incontrano nello zoo di New York e si innamorano. Il custode del parco affida loro un uovo di un'altra coppia perché lo covino: nasce così Tango. Camilla Seibezzi, delegata del sindaco Giorgio Orsoni per le politiche contro le discriminazioni;
    scuola primaria Villaggio Giardino, quinta elementare Arzignano (VI):
     quattro lezioni tenute dalla psicologa e sessuologa Federica Bastianello che ai bambini ha spiegato «come si può cambiare sesso; da maschio a femmina e da femmina a maschio» e cosa sono i «transgender». Comune di Arzignano;
   ad oggi tutti i tentativi di diffusione della cultura gender, nell'ambito dell'autonomia scolastica, vengono fatti sulla base dell'articolo 5, comma 2, lettera c) del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, (legge contro la violenza di genere) che, ad avviso dell'interrogante, tra le sue pieghe, contiene la possibilità per gli insegnanti di educare gli alunni alla cultura gender, attraverso libri di testo all'uopo predisposti fin dalla scuola dell'infanzia;
   di recente a seguito delle pressioni dell'opposizione e anche di parte dell'attuale maggioranza di Governo, il Ministro interrogato si è impegnato affinché in nessuna scuola vengano proposti argomenti di questo tipo, senza specifico consenso scritto dei genitori, unici responsabili dell'educazione dei propri figli;
   si apprende che l'UNAR (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) del dipartimento delle pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri si sarebbe fatto promotore di alcuni progetti per la diffusione della cultura gender anche con la produzione di opuscoli, pubblicazioni e materiale educativo che sembrerebbero privi addirittura dell'assenso del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca –:
   se quanto riportato nel dossier dell'Associazione PRO VITA corrisponda al vero e, in tal caso, se sia a conoscenza di questi programmi scolastici, quale sia il suo orientamento in merito e se intenda porre in essere iniziative urgenti, per quanto di competenza, per bloccare lo svolgimento di tali progetti. (5-06668)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIPRINI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI e GALLINELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende dalla stampa anche on line (www.umbriajournal.com del 7 ottobre 2015): «Sta diventando sempre più insostenibile la condizione di chi è senza lavoro da ormai un anno e mezzo per una vicenda ancora dolorosamente aperta e lontana da una definita risoluzione». È quanto denuncia, in una nota, un folto gruppo di ex dipendenti della Trafomec di Tavernelle di Panicale, che lancia l'ennesimo appello per una risoluzione di una vertenza che sta mettendo in difficoltà molte famiglie. «Malgrado l'ottimismo di istituzioni e sindacati diffuso in più di un'occasione attraverso i mezzi di informazione — prosegue la nota –, sono ancora i circa 60 ex dipendenti Trafomec a pagare più pesantemente i costi di accordi sindacali quantomeno discutibili siglati con i rappresentati della proprietà nel maggio 2014. Accordi siglati e condivisi con il benestare e le garanzie della Regione dell'Umbria nella figura dell'allora assessore Vincenzo Riommi»;
   con l'accordo del maggio 2014 veniva stabilito un riassorbimento da parte della «nuova» Trafomec Europe dei lavoratori che avessero manifestato la propria disponibilità anche se ciò avesse comportato una decurtazione salariale pesante e la cancellazione dell'anzianità di servizio e per i lavoratori non ricollocati veniva concordato un incentivo all'esodo pari a 8 mila euro da erogare insieme alle altre spettanze in 6 rate a partire da settembre 2014. Trafoitalia avrebbe effettuato i pagamenti che, in caso di inadempimento di quest'ultima, venivano garantiti dalla nuova Trafomec Europe;
   invece, nonostante l'accordo, è accaduto che non tutti i lavoratori sono stati riassorbiti rispetto ai 120 previsti (le assunzioni si fermano a circa 100 unità) e nessuna delle spettanze dovute a titolo di esodo è stata corrisposta né da TrafoItalia né da Trafomec Europe ai dipendenti licenziati. Infatti, le rate delle spettanze dovute ai lavoratori licenziati previste dagli accordi non sono partite e la nuova società Trafomec Europe che doveva garantirle non ha attivato le garanzie stabilite negli accordi;
   addirittura nel dicembre del 2014 il tribunale di Milano ha revocato l'ammissione al concordato preventivo di TrafoItalia per irregolarità finanziarie e ne ha decretato il fallimento (fallimento n. 1106 del 2014 del tribunale di Milano). Pertanto le spettanze dovute agli ex dipendenti sono bloccate dal tribunale fallimentare fino a quando non ne sarà autorizzato lo sblocco in presenza di fondi sufficienti;
   dal momento del licenziamento (giugno 2014) l'unico elemento di sollievo per gli ex dipendenti è stata l'erogazione della quota individuale del Tfr detenuta dall'INPS;
   solo nel luglio 2015 il tribunale di Milano ha ammesso come credito privilegiato le spettanze dovute ai dipendenti licenziati, ma non vi è alcuna certezza né sulla effettiva possibilità di recuperare per intero le somme né sui tempi (lunghi) per la liquidazione del dovuto;
   il Governo – rispondendo alla interrogazione n. 5-04572 della prima firmataria del presente atto – ha riferito che nel corso dell'incontro del 18 febbraio 2015 presso la prefettura di Perugia alla presenza, tra l'altro, dell'assessore regionale allo sviluppo economico e alle attività produttive, del questore, dei vertici aziendali e delle rappresentanze sindacali dei lavoratori «Trafomec Europe spa ha manifestato la volontà di rispettare gli impegni assunti, chiedendo al curatore fallimentare di Trafoitalia spa l'autorizzazione per il pagamento della somma di 8 mila euro, a titolo di incentivo all'esodo, oppure, nel caso non sia possibile ottenere tale autorizzazione, di ricercare ulteriori soluzioni economiche attraverso finanziamenti. L'impresa ha chiesto, pertanto, 15 giorni al fine di individuare una soluzione percorribile»;
   ad oggi, tuttavia, quasi nulla è cambiato: «Al contrario però di quanto dichiarato dal nuovo assessore Fabio Paparelli, nei primi mesi del 2016 e non nel corrente mese di ottobre, verranno liquidati solo i crediti coperti dai fondi di garanzia dell'Inps (trattamento di fine rapporto e fondi pensione complementari non versati), per il resto delle spettanze (la parte più cospicua) molto probabilmente bisognerà attendere tempi biblici con il serio rischio che comunque ne verranno erogati solo una parte (in base ai ricavati del fallimento che già si annunciano modesti). È anche per questo che gli ex dipendenti rivendicano il fatto che parte dell'eventuale prestito che dovrebbe essere erogato a sostegno delle attuali attività industriali debba servire a saldare le spettanze del fallimento non coperte dagli istituti di garanzia dell'Inps in maniera da risolvere almeno in parte le problematiche di decine di lavoratori che si sono ritrovati senza lavoro non per loro responsabilità ma grazie alle “pittoresche e naif” politiche produttive messe in atto dalla nuova proprietà i cui risultati, purtroppo, sono a tutti evidenti» (www.umbria24.it del 7 ottobre 2015);
   a parere dell'interrogante, appare drammatica la situazione che si è determinata che sta danneggiando in modo evidente i lavoratori che subiscono gli effetti di una crisi industriale frutto per lo più di logiche di carattere finanziario e della mancanza di vere politiche aziendali produttive e di investimento –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo – anche di concerto con le istituzioni locali e regionali – per favorire il rispetto degli accordi e degli impegni economici all'epoca sottoscritti da lavoratori e azienda al fine di sollecitare l'azienda medesima al pagamento di quanto dovuto e se, a tal fine, si intenda aprire un tavolo di confronto/presso il Ministero dello sviluppo economico;
   se siano a conoscenza di quali iniziative abbia assunto l'azienda per ottenere finanziamenti al fine di pagare quanto spettante agli ex dipendenti in base agli accordi sottoscritti e quali iniziative di competenza intenda adottare per assicurarne il pagamento;
   se l'azienda Trafomec Europe abbia un piano industriale che comprenda un effettivo rilancio dell'attività produttiva dello stabilimento e che assicuri il pagamento di quanto dovuto ai lavoratori in base agli accordi sottoscritti. (5-06645)


   MASSIMILIANO BERNINI, LUPO e GAGNARLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da notizie stampa si apprende che venerdì scorso a Sessa Aurunca, nella frazione Tuoro, un uomo è morto schiacciato dal mezzo agricolo sul quale stava operando. Si tratta di un extracomunitario del quale al momento si ignorano le generalità essendo privo di documento di riconoscimento;
   l'uomo è stato travolto dal trattore mentre era intento a svolgere il suo lavoro. Sulla dinamica dell'incidente ci sarebbe ancora da fare chiarezza. Non è facile, in questi casi, riuscire a risalire alle cause precise senza accurate indagini;
   i carabinieri al loro arrivo non hanno individuato alcun tipo di documento sul suo corpo e non avrebbero trovato risposte neppure dal titolare dell'azienda agricola, un uomo di Villaricca in provincia di Napoli;
   quest'ultimo alle domande degli inquirenti avrebbe affermato di non ricordare il nome del proprio operaio e non sarebbe riuscito ad indicare neppure alcun tipo di contratto di assunzione per lui. L'unica cosa che avrebbe definito sarebbe la provenienza italiana: Castel Volturno. Un luogo che ospita circa 8 mila lavoratori agricoli regolari e altrettanti irregolari, per un totale di circa 15 mila-16 mila persone, quasi tutti provenienti dall'Africa subsahariana;
   al momento, il feretro è stato trasportato all'istituto di medicina legale dell'ospedale San Sebastiano e Sant'Anna di Caserta, dove il personale medico dovrà accertarne l'identità durante l'esame autoptico attraverso le impronte digitali o con altri mezzi di laboratorio, consentendo agli inquirenti di fare passi in avanti nelle indagini e informare la famiglia del ragazzo che potrebbe non risiedere in Italia –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e se non intenda verificare urgentemente se siano state rispettate le prescrizioni previste dal «Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro» (decreto legislativo n. 81 del 2008) nonché quelle di disciplina del rapporto di lavoro, e promuovere attività di verifica da parte degli uffici territoriali competenti al fine di fare piena luce sull'accaduto. (5-06650)


   MANLIO DI STEFANO, COMINARDI, DEL GROSSO, DI BATTISTA, GRANDE, SCAGLIUSI, SIBILIA, SPADONI, TRIPIEDI, CIPRINI, CHIMIENTI, LOMBARDI e DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 19 settembre 2014 è stata presentata un'interrogazione (n. 5-03603) con la quale si chiedeva al Ministro interrogato come intendesse intervenire in seguito a una vicenda che riguardava 72 dipendenti di Videotime spa, appartenente al gruppo Mediaset e quindi di proprietà della famiglia Berlusconi, che rischiavano dopo 25/30 anni di servizio di perdere il proprio posto di lavoro a causa di accordi puntualmente violati tra aziende e rappresentanze sindacali dei lavoratori;
   il primo agosto 2012, infatti, la società Videotime spa aveva ceduto alla società D.N.G. srl un ramo d'azienda costituito dall'organizzazione di personale, impianti, beni, attrezzature e diritti dislocato presso dieci sedi regionali site a Bologna, Genova, Torino, Bari, Ascoli Piceno, Venezia, Firenze, Napoli, Palermo e Cagliari;
   il suddetto ramo d'azienda fornisce servizi di ripresa audiovisiva, montaggio/post produzione, supporto produttivo e collegamenti ed è finalizzato alla realizzazione di produzioni televisive giornalistiche e sportive trasmesse dalle reti televisive. La suddetta cessione ha comportato il trasferimento di 72 lavoratori da Videotime spa a D.N.G. srl;
   l'accordo quinquennale (agosto 2012/agosto 2017) tra le due aziende garantiva ai lavoratori sedi di lavoro invariate fino al 31 dicembre 2014 e condizioni invariate in riferimento ai seguenti istituti: parte fissa del premio di risultato; superminimo collettivo; cassa di assistenza sanitaria; fondo pensione complementare Mediafond; 14o mensilità; polizza infortuni professionali ed extra; scatti di anzianità indennità operatore sede regionale;
   l'accordo prevede, tra le altre, una garanzia «fondamentale» (punto 5 del verbale di accordo firmato dalla società Videotime srl, la società D.N.G. srl e i sindacati CGIL, CISL, UIL) che recita testualmente: «garanzie. Nel caso in cui in futuro sorgessero problematiche derivanti dallo scioglimento della società cessionaria o comunque venissero attuati licenziamenti collettivi nei confronti delle persone interessate al trasferimento del ramo d'Azienda, cedente e cessionario si impegnano sin d'ora, per i prossimi (cinque) anni, a individuare con le organizzazioni sindacali firmatarie soluzioni alla salvaguardia dell'occupazione del personale appartenente al ramo d'Azienda, non escludendo la possibilità di ricollocazione nell'ambito di Videotime e/o di altre Società controllate dall'attuale Amministratore Unico di D.N.G. srl»;
   dopo circa due anni dal suddetto accordo, si è assistito alla decisione unilaterale da parte dell'azienda, la D.N.G. srl, di: modificare gli orari di lavoro riguardanti soprattutto le trasferte (marzo 2013) portandoli di fatto da 8 ore lavorative a 10 ore lavorative giornaliere con trasferimenti coatti dei lavoratori interessati, assorbimenti degli aumenti del CCNL, mancata erogazione dell'una tantum prevista dal rinnovo contrattuale, ferie forzate in regime di agitazione sindacale, fino a giungere nel mese di maggio al licenziamento collettivo di cinque lavoratori-quadri delle sedi di: Napoli, Cagliari, Bari, Ascoli Piceno, Venezia, perché a causa dell'introduzione di un software la mansione diveniva superflua; (in realtà una delle attività svolte dai coordinatori – Attività di booking e pianificazione risorse – è stata esternalizzata dalla stessa DNG ad una società dello stesso gruppo ed attualmente viene svolta da 5/6 dipendenti a contratto);
   la D.N.G. srl e la Videotime (Mediaset) quindi in deroga a tutti gli accordi sindacali e con quattro stati di agitazione (gennaio 2013, marzo 2013, maggio 2013, luglio 2014) decretati dai lavoratori, hanno puntualmente disertato gli incontri risolutivi tra le parti (luglio 2014);
   il 12 marzo 2015, è pervenuta la risposta all'interrogazione sopra citata, da parte del sottosegretario di Stato al lavoro e politiche sociali, Franca Biondelli, la quale dopo aver ribadito l'impegno da parte delle parti, per 5 anni, «ad individuare soluzioni finalizzate alla salvaguardia occupazionale del personale appartenente al ramo d'azienda nel caso in cui fossero stati erogati licenziamenti collettivi», ha assicurato «che il Governo continuerà a monitorare i futuri sviluppi della vicenda, anche nella eventuale prospettiva di esaminarne le principali criticità»;
   il 14 settembre 2015, la D.N.G. srl comunica, mediante lettera raccomandata, ai propri dipendenti una procedura di licenziamento collettivo per riduzione di personale. Verranno chiuse due sedi (Ascoli Piceno e Cagliari) e saranno ridimensionate/cessate le attività di ripresa nelle sedi di Bari, Genova, Napoli, Palermo e Venezia. Il paradosso risiede nel fatto che sia la stessa Videotime spa, unico committente della D.N.G., ad indicare il ridimensionamento delle attività. Il risultato è drammatico: 32 unità in esubero;
   la D.N.G. srl dichiara che la cessazione/ridimensionamento delle attività nelle sedi sopra citate, rende oggettivamente allo stato difficile ipotizzare il ricorso a misure alternative nonché porre in essere azioni di riqualificazione o mobilità professionale o di riallocazione del personale;
   la società comunica, altresì, la propria disponibilità a discutere con le organizzazioni sindacali la possibilità di ricorrere a misure alternative pur nel quadro suddetto di esuberi strutturali;
   il 5 ottobre 2015, le organizzazioni sindacali hanno comunicato sia al gruppo Mediaset che alla D.N.G. srl la volontà di un urgente incontro per verificare la tenuta dell'accordo del 1o agosto 2012 alla luce della procedura di licenziamento collettivo in atto; ad oggi risulta aperto un tavolo di trattative tra le organizzazioni sindacali e la sola azienda D.N.G. –:
   se non intenda intervenire urgentemente, visti i drammatici sviluppi della vicenda, incontrando le parti sociali per l'esame della situazione occupazionale e «monitorando» i tavoli delle trattative.
(5-06654)

Interrogazione a risposta scritta:


   COSTANTINO, RICCIATTI e DURANTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   SoGAS spa, società di gestione dell'aeroporto dello stretto Tito Minniti, partecipata da provincia di Reggio Calabria (socio di maggioranza), comune di Reggio Calabria, regione Calabria e camera di commercio di Reggio Calabria, provincia regionale di Messina, operativa dal 1986, gestisce il sistema aeroporto e tutti i servizi resi all'utenza sotto il controllo dell'Ente nazionale per l'aviazione civile;
   SoGAS spa ha nel suo organico 56 dipendenti;
   SoGAS spa da vita alla Sogas Service SRL Unipersonale nel 2011 per l'assunzione dei dipendenti precedentemente assunti da ditte esterne cui Sogas stessa aveva subappaltato alcuni servizi: personale assistenza passeggeri, addetti carico e scarico merci (servizi di handling), personale addetto alle pulizie, addetti alla manutenzione, addetti all'assistenza ai passeggeri a ridotta mobilità, personale amministrativo. Ad oggi ha nel suo organico 44 dipendenti;
   i suddetti dipendenti hanno lavorato specificamente da agosto 2005 a dicembre 2005 SoGAS Spa, dal 19 dicembre 2005 al 16 giugno 2011 per Consulta SRL, dal 17 giugno 2011 al 16 giugno 2012 per Giacchieri SAS, dal 6 aprile 2012 al 4 giugno 2012 per SoGAS Spa, dal 30 giugno 2012 ad oggi per Sogas Service;
   dopo 4 anni dal momento dell'assunzione in SoGAS Service dei dipendenti sopra citati la SoGAS spa decide di riappaltare il servizio di handling con bando n. 005/2015, C.I.G.: 60560423F4;
   nel febbraio 2015 si aggiudica questo bando Avia Partner, una multinazionale belga specializzata nel settore dell’handling già presente in 32 scali aerei europei;
   non trattandosi di cessione di ramo d'azienda ma di bando di subappalto a tutti gli effetti di un servizio, i dipendenti dovrebbero perciò essere assunti ex novo con le nuove regole del «Jobs Act» e quindi sarebbero soggetti a licenziamento senza giusta causa, non venendo loro riconosciuta l'esperienza pregressa. Verrebbero inoltre inquadrati al 6o livello di contratto di categoria assohandling, cui appartengono gli operai e gli impiegati di concetto al primo giorno di esperienza con tanto di periodo di prova di due mesi, mentre i dipendenti che transiterebbero da SoGAS Service ad Avia Partner hanno un'esperienza più che decennale nel settore acquisita sul campo;
   questo sarebbe il quinto cambio di azienda che i dipendenti subirebbero in 10 anni lavorativi, essendo di fatto ogni volta costretti a ricominciare da contratti per principianti; l'unica tutela che il bando attua nei confronti di questi dipendenti riguarda il mantenimento del livello retributivo, già altamente sottostimato rispetto alle mansioni svolte e già per questo i dipendenti negli anni passati si erano mobilitati per avere un contratto di categoria e non il contratto multi servizi e pulimento che la SoGAS service aveva previsto per loro;
   sia SoGAS Spa che Avia Partner sostengono che l'eventuale sottoscrizione del nuovo contratto con la nuova ditta appaltata risolva di fatto il precedente contratto a tempo indeterminato con la Sogas Service, il che azzererebbe il contenzioso legale che alcuni dipendenti hanno nei confronti di SoGAS spa riguardante l'interposizione di manodopera (4 impiegate sono attualmente in causa per questi motivi con SoGAS Spa per interposizione di manodopera);
   le due società non hanno ancora firmato il contratto di appalto del servizio, mentre si stanno adoperando affinché i dipendenti si dimettano sciogliendo il loro rapporto lavorativo con SoGAS Service per firmare ex novo il contratto con la nuova ditta subentrata;
   Avia Partner continua a dichiarare di non poter inquadrare diversamente avendo vinto un bando che non prevede di riconoscere l'esperienza pregressa dei dipendenti, azzerando di fatto ogni know how lavorativo, usufruendo pertanto dei contributi previsti dal «Jobs Act» per ogni nuovo contratto stipulato. I dipendenti perdono perciò le garanzie e i diritti precedentemente maturati perché Avia Partner può utilizzare i bonus del «Jobs Act» esclusivamente per i neo assunti;
   dal 28 settembre, giorno della convocazione per la firma dei nuovi contratti, 10 dipendenti su 12 attualmente sono in simbolica e pacifica occupazione dell'aerostazione Tito Minniti di Reggio Calabria per richiedere la tutela e il rispetto dei loro diritti lavorativi;
   il 3 ottobre 2015 si è tenuto un consiglio di amministrazione straordinario il cui primo punto all'ordine del giorno è stato il caso Avia Partner. In mancanza di qualsiasi dato che dimostrasse la convenienza economica della cessione dell’handling per la società di gestione un consigliere della Regione Calabria ha votato contro, un consigliere del comune di Reggio Calabria ha abbandonato la seduta per far decadere il numero legale poiché in caso di parità il voto del presidente sarebbe valso come doppio, la provincia ha votato a favore e il presidente del consiglio di amministrazione SoGAS Spa si è astenuto. Il contratto tra le due aziende non è quindi stato firmato ma di fatto i lavoratori attualmente mobilitati non sanno cosa succederà. Il presidente del consiglio di amministrazione SoGAS spa paventa la chiusura dell'attività volativa sullo scalo di Reggio Calabria tranne per quella svolta in autoproduzione da Alitalia;
   il 5 ottobre 2015 tre su cinque consiglieri del consiglio di amministrazione SoGAS spa, nominati dal socio di maggioranza, si sono dimessi; cionondimeno in data 12 ottobre hanno convocato le rappresentanze sindacali aziendali, prendendo con loro l'impegno a non prendere decisioni riguardanti esternalizzazioni e internalizzazioni, oltre che l'impegno a non procedere a nuove assunzioni, in cambio della apertura a valutare congiuntamente decisioni riguardanti la pianta organica e il ricorso ad ammortizzatori sociali, sempre sul presupposto delle dimissioni del presidente del consiglio di amministrazione, condizione da tempo ritenuta essenziale dai sindacati per riaprire le trattative;
   il 13 ottobre 2015 arriva la decisione del consiglio di amministrazione, nell'ambito del quale tre membri sono in attesa di essere sostituiti a brevissimo (l'assemblea dei soci per la ricostituzione dell'organo amministrativo è convocata per il 14 ottobre), di mettere in mobilità 22 lavoratori di SoGAS spa, e 11 lavoratori di SoGAS Service, con contestuale assunzione di 23 addetti ai controlli di sicurezza, che sono stati selezionati per aver aderito ad una semplice manifestazione d'interesse, con conseguente formazione di graduatoria scaduta da circa due anni –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intendano assumere al fine di garantire il mantenimento degli attuali livelli occupazionali delle figure professionali ancora operanti presso l'aeroporto, non disperdendo il know how e i diritti previamente acquisiti, anche al fine di garantire un servizio di qualità per gli utenti dell'aeroporto Tito Minniti di Reggio Calabria. (4-10737)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   FANUCCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   per ogni Gran Premio a cui questi partecipano, i proprietari di cavalli pagano una quota di iscrizione, seguendo le indicazioni fornite dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, e inviando, previa iscrizione alla corsa, ricevuta alla società di corse interessata;
   il pagamento è ripartito secondo tre rate: la prima per l'iscrizione alla corsa, la seconda per la conferma e la terza per dare partente il cavallo;
   la somma raccolta viene suddivisa, una volta conclusa la corsa, in modo proporzionale fra i primi cinque classificati: una suddivisione dei premi che la Società Corse tempestivamente comunica al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   l'iter previsto dovrebbe garantire la restituzione delle quote e l'assegnazione dei premi alle scuderie in temi celeri, ma dal 2013 il sistema di pagamento è interrotto e presenta gravi inefficienze;
   il settore ippico è costretto, da anni, ad affrontare una profonda crisi di liquidità e di risorse, aggravata anche dai ritardi nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda porre in essere per accelerare la procedura di pagamento e per corrispondere quanto prima le dovute spettanze alle scuderie non ancora liquidate, secondo la quota proporzionale stabilita. (4-10728)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   FUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il presente atto di sindacato ispettivo riguarda le problematiche, all'attenzione del Governo e del Parlamento da ormai molti anni, della rete nazionale dei punti nascita;
   il riferimento va da un lato al «piano punti nascita» formulato dal Ministero della salute ormai quasi cinque anni fa (linee d'azione approvate dalla Conferenza Stato-regioni-province autonome nell'accordo del 16 dicembre 2010), dall'altro alla relazione conclusiva dell'indagine sui punti nascita varata nel 2012 (e oggetto di una risoluzione approvata all'unanimità dall'Assemblea della Camera il 22 febbraio di quell'anno) dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sugli errori in campo sanitario e sui disavanzi sanitari regionali;
   quei due documenti disegnavano un quadro della rete dei punti nascita con problemi e necessità di intervento che è necessario affrontare; in particolare occorre intervenire da un lato sull'eccessiva quantità di strutture che registrano un numero di parti annui talmente basso da non poter garantire adeguate condizioni di sicurezza, dall'altro sull'eccessivo numero di parti cesarei;
   a quasi cinque anni dal varo del «piano punti nascita» e a tre anni e mezzo dalle conclusioni della Commissione parlamentare d'inchiesta fatte proprie all'unanimità dalla Camera, ben poco è però cambiato come dimostrato dal «Rapporto annuale sull'attività di ricovero ospedaliero», pubblicato nel mese di giugno 2015 a cura della direzione generale per la programmazione sanitaria del Ministero della salute con riferimento ai dati definitivi per l'anno 2014;
   il rapporto, infatti, riporta i seguenti dati:
    a) i punti nascita con meno di 500 parti all'anno sono stati pari al 28,1 per cento del totale con una riduzione, rispetto al 2010, di appena lo 0,8 per cento;
    b) i parti cesarei, che in base al «piano punti nascita» avrebbero dovuto scendere a quota 20 per cento, sono stati ancora il 35,9 per cento del totale (erano il 38,2 per cento nel 2010);
   il 18 febbraio 2015 il Ministro interrogato ha affermato – rispondendo in Assemblea all'interrogazione n. 3-01309 sulla tragedia di una neonata morta in Sicilia per la difficoltà e la lunghezza dei tempi nel trovare posto in un'unità di trattamento intensivo neonatale – che «sotto i 500 parti l'anno un punto nascita è pericoloso» –:
   quali urgenti iniziative di competenza il Ministro interrogato abbia assunto o ritenga di dover assumere in merito a quanto esposto in premessa. (4-10735)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   la scuola nazionale della pubblica amministrazione (Sna), che ha sede nella prestigiosa Reggia di Caserta, ha l'ambizione di essere l'equivalente italiano dell’Ecole nationale d'Aministration francese; infatti, ha tra le sue finalità istituzionali quella di selezionare, reclutare e formare i dirigenti pubblici;
   la Sna è, come si legge sul suo sito, il punto centrale del sistema unico del reclutamento, creato per migliorare l'efficienza e la qualità della pubblica amministrazione;
   la scuola spende per la retribuzione dei professori 2,7 milioni di euro l'anno, esattamente quanto l’Ecole nationale, con la differenza che in Italia devono formare ventisei studenti, mentre in Francia ne formano novanta; il confronto dei bilanci è, a parere dell'interpellante, imbarazzante per la Sna, perché è vero che costa la metà rispetto all'Ena di Parigi (21 milioni di euro contro 42), ma è anche vero che ha un terzo dei posti;
   il corpo docenti è di alto livello e, come tale, viene retribuito: oltre al presidente, il professore Giovanni Tria, che tra lo stipendio dell'università di appartenenza e l'indennità Sna arriva a un compenso totale di oltre 217 mila euro, figurano il professore Michel Martone (ex vice ministro del lavoro) il cui compenso è di 59 mila euro, il consigliere parlamentare in pensione Marcello Degni con un compenso di 59 mila euro, il dirigente dell'Istat Efisio Gonario Espa con un compenso di 106 mila euro, il funzionario del Parlamento europeo Sandro Mameli con un compenso di 135 mila euro, Alberto Heimler (già direttore centrale dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato) con un compenso di 173 mila euro;
   a giugno 2012 è stato indetto un concorso il quale prevedeva che i vincitori, dopo un'adeguata formazione della durata di nove mesi, venissero assunti in ruoli dirigenziali; i posti previsti erano ventisei, numero a cui si era arrivati a seguito della ricognizione fatta dal dipartimento della funzione pubblica in base alle esigenze di personale;
   le domande di iscrizione sono state tantissime, alla prova preselettiva, a febbraio 2013, si sono presentati più di quattromila candidati e, dopo una durissima scrematura durata altre quattro giornate d'esame, è stata stilata la lista degli ammessi a seguire le lezioni; i vincitori ammessi alla scuola di formazione, per la durata del corso, vengono alloggiati all'interno della Reggia di Caserta, anche se vitto e alloggio sono totalmente a carico degli studenti;
   ad agosto 2014 il dipartimento della funzione pubblica ha comunicato con una nota la lista delle posizioni di qualifica dirigenziale nelle varie amministrazioni, spettanti a chi aveva frequentato la Sna, ma, inspiegabilmente, sono spariti i posti più ambiti, cioè i quattro previsti nella struttura di vertice della Presidenza del Consiglio;
   non solo, i due dirigenti da assumere al Ministero della difesa avrebbero dovuto firmare il contratto al massimo entro marzo 2015, ma ancora aspettano di essere assunti;
   per tutti gli altri l'impegno che si era assunto per iscritto il Dipartimento della funzione pubblica era quello dell'assunzione «entro il 2015», in nove casi su ventisei è stato mantenuto, anche se non si capisce in base a quale logica, per gli altri, invece, la prospettiva è quella di una lunga «anticamera»;
   il Dipartimento non fornisce spiegazioni sulla mancata assunzione anche se pare che questa sia dovuta a un «intoppo» burocratico contenuto nell'ultima legge di stabilità, infatti, il comma 425 dell'articolo 1 prevede, tra le misure di contenimento della spesa per il riordino delle province, un divieto di assunzioni a tempo indeterminato, specificato meglio da una successiva circolare del Dipartimento della funzione pubblica, datata gennaio 2015, ma in questo caso non si spiegherebbero, allora le nove assunzioni già effettuate –:
   se non ritenga di dover intervenire per tutelare il diritto dei vincitori del concorso che risultano, a parità di merito, nell'attuale situazione, oggetto, ad avviso dell'interpellante, di vera e propria discriminazione rispetto ai loro colleghi che sono stati, invece, regolarmente assunti anche per evitare, tra l'altro, di esporre il Governo a futuri e certi contenziosi;
   se non ritenga doverosa l'assunzione di dirigenti pubblici già formati, anche in considerazione dei costi elevati sostenuti per la loro formazione da parte della Scuola nazionale della pubblica amministrazione.
(2-01119) «Melilla».

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   nel corso del 2012 vi sono stati cambiamenti significativi nella gestione della rete elettrica sarda. L’«Autorità per l'energia elettrica il gas ed il sistema idrico», con delibera n. 400/12 ha infatti definito, insieme alle centrali di E.on Fiume Santo ed Enel Suclis, anche la centrale termoelettrica di Ottana Energia come unità essenziale al sistema elettrico nazionale;
   il progetto di metanizzazione Galsi, accantonato anche a causa delle forti perplessità da più parte espresse sull'impatto ambientale e territoriale dell'opera, allo stato attuale non appare sostituito da alcuna alternativa credibile;
   come affermato dall'Autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema idrico nel suo Rapporto annuale in materia di monitoraggio dei mercati elettrici a pronti, a termine e dei servizi di dispacciamento, Consuntivo 2013: «i prezzi medi su MSD, nel corso del 2013, hanno fatto registrare un differenziale tra i prezzi a salire e i prezzi a scendere incrementato sul Continente, +13 per cento, mentre si è ridotto sulle isole; in particolare in Sardegna la riduzione è stata del 90 per cento a seguito dell'inserimento di Ottana Energia nella lista degli impianti essenziali per la fornitura di Riserva Secondaria»;
   nel febbraio 2014 è stato varato il «piano energetico ed ambientale della regione Sardegna» nel quale per la centrale di Ottana è prevista una «riconversione della Centrale Termoelettrica di Ottana a metano con finalità di servizio ancillare alla rete»;
   al documento di cui sopra viene stabilito che «In particolare la Regione si pone l'obiettivo nell'ambito delle azioni interne ai distretti energetici di promuovere contestualmente con il territorio, le azioni consentite per una riconversione a metano entro il 2020 della suddetta centrale cogenerativa per il superamento dell'attuale configurazione ad olio combustibile. La Regione si impegna pertanto a porre in essere in sinergia con gli enti locali interessati e lo Stato quanto necessario per raggiungere tale obiettivo»;
   la mancanza di una fornitura di gas naturale ha condizionato negativamente il sistema energetico regionale, vincola l'avvio della realizzazione della rete di trasmissione interna e rende potenzialmente inefficace, perché economicamente non remunerativo, l'utilizzo delle reti urbane o comprensoriali di distribuzione del gas, in quanto non collegate tra loro in un'unica rete;
   la giunta regionale, con delibera n. 17 del 13 maggio 2014, ha previsto di riconsiderare le proprie strategie di sviluppo individuando fattivamente una serie di ulteriori azioni alternative con interventi infrastrutturali che permettano in tempi brevi alla Sardegna di avviare la metanizzazione;
   inoltre, con delibera di giunta n. 17 del 13 maggio 2014, la regione Sardegna ha deciso «l'uscita dal Consorzio Galsi e l'individuazione di un Advisor per una soluzione tecnica alternativa ed il mantenimento dei regimi di essenzialità energetica attualmente vigenti in Sardegna in vista dell'adeguamento degli impianti al previsto processo di metanizzazione»;
   successivamente, con ordine del giorno n. 5 del 27 maggio 2014, è stato approvato dal consiglio regionale l'impegno «a richiedere altresì al Governo l'attivazione delle disponibilità finanziarie occorrenti per il mantenimento dei regimi di essenzialità energetica attualmente vigenti in Sardegna, nonché per la perequazione, nelle more del compimento del processo di metanizzazione, dei maggiori costi energetici gravanti sulle famiglie e sulle imprese della Sardegna»;
   in data 6 agosto 2014 è stato accolto dal Governo  l'ordine del giorno che, considerando la qualifica di essenzialità a tutte le centrali siciliane, impegnava il Governo «a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni (...) al fine di intervenire, attraverso ulteriori iniziative normative per sanare questo vero e proprio vulnus inferto a tutto il sistema energetico sardo, che necessita del regime di essenzialità sinora concesso, in attesa della completa metanizzazione dell'isola»;
   con la delibera dell'Autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema idrico n. 500 del 16 ottobre 2014 la centrale di Ottana Energia, così come le altre centrali sarde dichiarate essenziali nel 2014, ha visto una proroga di tale modalità di esercizio fino al mese di aprile 2015, data nella quale sono in funzione due generatori sincroni nella stazione elettrica di Codrongianos. Tale provvedimento è stato poi esteso fino al mese di dicembre 2015;
   a quanto si apprende da fonti di stampa (Il sole 24 ore 23 ottobre 2014), gli impianti di Fiume Santo ed Enel Sulcis figurano fra gli impianti in possibile chiusura e tale evento potrebbe causare la perdita di interesse di grandi multinazionali per la riattivazione delle grosse industrie energivore sarde (come, ad esempio, Alcoa) per la ripresa delle produzioni;
   ad avviso degli interpellanti potrebbe quindi andare a determinarsi la chiusura degli impianti di Enel Sulcis, Eph Fiume Santo, Ottana Energia. In tal modo la regione Sardegna potrebbe trovarsi senza impianti produttivi di potenza programmabile e far fronte alla potenza rinnovabile installata unicamente con il cavo di collegamento Sapei con il continente;
   lo stato di declino dei grandi poli industriali del «Sulcis», di «Portotorres» e di «Ottana» è da addebitare in gran parte al deficit strutturale dell'approvvigionamento energetico, così come alla diminuita competitività dell'industria ancora presente. In tale dinamica, nel mese di ottobre 2014, veniva dato l'annuncio del mancato proseguimento delle attività di produzione xileni presso il sito di Sarroch, che forniva la totalità della materia prima alla fabbrica di Ottana Polimeri, per cui vi è in corso un programma di riconversione che mira a ridare una prospettiva di medio termine alla filiera chimica isolana e in cui la perdita dell'autonomia energetica del sito industriale di Ottana renderebbe vani tali sforzi;
   inoltre tale assetto produttivo non garantirebbe la sicurezza del sistema elettrico sardo e comporterebbe la perdita di circa 800 addetti impiegai direttamente, più quelli legati all'indotto;
   con la delibera della giunta regionale 48/13 del 2 ottobre 2015, vengono approvate le linee guida del piano energetico ambientale regionale ed in particolare viene stabilito che «Per la metanizzazione della Sardegna, l'Assessore ricorda che il tema ha assunto una rilevanza tale che implica un focus specifico nel PEARS con la possibilità, da valutare in sede di predisposizione dell'aggiornamento della proposta tecnica, di affrontare gli aspetti di dettaglio da un punto di vista tecnico e amministrativo attraverso la predisposizione di un piano attuativo dedicato. Tale impostazione metodologica è supportata anche dagli esiti del confronto in corso con il Governo sulle modalità di approvvigionamento di gas naturale per l'isola, nel quadro della strategia nazionale GNL.»;
   per quanto risulta agli interpellanti, secondo notizie circolanti nell'ambiente, risulterebbe la notizia dell'estensione del regime di essenzialità alle centrali siciliane di potenza maggiore di 50 megawatt per tutto il primo semestre 2016 –:
   se sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quali elementi intenda fornire con riferimento alla notizia relativa alla possibile estensione del regime di essenzialità alle centrali siciliane di potenza maggiore di 50 megawatt per tutto il primo semestre 2016;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda porre in essere per evitare la chiusura degli impianti delle centrali elettriche sarde dopo il mese di dicembre 2015 e se intenda assumere iniziative normative al fine di prevedere la proroga del regime di essenzialità;
   quali iniziative di competenza il Governo abbia posto in essere o abbia intenzione di adottare per contribuire, insieme alla regione Sardegna, alla soluzione dell'annoso problema relativo alla metanizzazione dell'isola, unica regione in tutta Europa ad esserne oggi completamente priva, con gravi ripercussioni sotto il profilo della competitività del sistema industriale.
(2-01123) «Piras, Duranti, Ricciatti, Quaranta, Pannarale, Melilla».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TERROSI, BRAGA, BONACCORSI e MAZZOLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sono stati presentati dalla ditta ITWLKW Geotermia Italia, due progetti per altrettanti impianti pilota geotermici da realizzarsi sulla piana dell'Alfina (province di Viterbo e Terni). Il primo impianto, quello che insisterebbe nel comune di Castelgiorgio (Terni) ha quasi ultimato il suo iter autorizzativo, mentre il secondo, che dovrebbe essere situato nelle vicinanze del borgo di Torre Alfina, nel comune di Acquapendente, lo ha appena iniziato;
   i comuni, sia quelli situati sull'altopiano dell'Alfina (Castelgiorgio, Castelviscardo, Orvieto, Allerona e Acquapendente), sia quelli che fanno parte del bacino idrografico del lago di Bolsena (Montefiascone, Bolsena, San Lorenzo Nuovo, Proceno, Onano, Valentano, Gradoli, Marta e Capodimonte), sia quelli limitrofi all'area ternana in cui insisterebbe il progetto (Montegabbione, San Venanzo, Allerona, Porano), insieme alla provincia di Viterbo, si sono espressi in maniera negativa nei confronti dei progetti pilota geotermici presentati, motivando tale contrarietà nei documenti inviati in forma di osservazioni ai Ministeri competenti e confermandola nel corso degli anni anche attraverso la produzione, da parte dei diversi consigli comunali, di specifiche deliberazioni;
   si intende rimarcare che, come noto, taluni studi scientifici mettono in risalto la possibile pericolosità che l'attività geotermica a media ed alta entalpia possa rappresentare per le falde acquifere e per la possibile induzione di sismicità;
   il luogo nel quale verrebbero ad insistere i due progetti, l'altopiano dell'Alfina, fa parte di un'area sismottettonica fragile e attiva e costituisce, con le proprie falde, il principale alimentatore della riserva idropotabile rappresentata dal lago di Bolsena, il più grande lago europeo di origine vulcanica, sede di aree SIC e ZPS;
   considerando le suddette preoccupazioni e considerando, tuttavia, l'importanza e la rilevanza della geotermia quale risorsa individuata come strategica per lo sviluppo del nostro Paese, in data 15 aprile 2015 è stata approvata alla unanimità dalle Commissioni permanenti riunite VIII ambiente e X attività produttive la risoluzione n. 8-00103 che impegna il Governo alla realizzazione di dodici azioni;
   in particolare il primo paragrafo del dispositivo impegna il Governo: «ad avviare le procedure di zonazione del territorio italiano, per le varie tipologie di impianti geotermici, identificando le aree potenzialmente sfruttabili in coerenza anche con le previsioni degli orientamenti europei relativamente all'utilizzo della risorsa geotermica, e in linea con la strategia energetica nazionale»;
   il secondo paragrafo del dispositivo impegna il Governo «ad emanare, entro sei mesi, linee guida a cura dei Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che individuino nell'ambito delle aree idonee di cui al punto precedente anche i criteri generali di valutazione, finalizzati allo sfruttamento in sicurezza della risorsa, tenendo conto delle implicazioni che l'attività geotermica comporta relativamente al bilancio idrologico complessivo, al rischio di inquinamento delle falde, alla qualità dell'aria, all'induzione di micro sismicità»;
   il terzo paragrafo del dispositivo della richiamata risoluzione impegna il Governo «a rilasciare, a seguito dell'emanazione delle linee guida, tutte le autorizzazioni per i progetti di impianti geotermici, comprese quelle relative ai procedimenti in corso, nel rispetto delle prescrizioni ivi previste» –:
   se i Ministri abbiano ultimato la zonizzazione e la elaborazione delle suddette linee guida considerando che, con riferimento a queste ultime, il termine di sei mesi individuato nella risoluzione scade il 15 ottobre 2015 e, nella eventualità che il lavoro, sia di zonizzazione sia di elaborazione delle linee guida, non sia ancora concluso, quali siano i tempi previsti per la ultimazione dello stesso e le fasi ancora mancanti per la emanazione delle già citate linee guida. (5-06647)


   PATRIZIA MAESTRI e ROMANINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel settembre 2010 la Grand Harbour Regeneration Corporation (GHRC), per conto del governo maltese, ha aggiudicato l'appalto per la realizzazione del Parlamento di Malta, progettato da Renzo Piano;
   tale appalto è stato aggiudicato alla Bovis Land Lease in qualità di General Contractor mentre la gara per la realizzazione delle attività ha visto diversi partecipanti, tra cui la Bib Jv, una joint venture di aziende tra le quali vi è la l'azienda di Bedonia (Parma) Cff Filiberti srl, che è stata incaricata della realizzazione delle facciate esterne in pietra del nuovo Parlamento (valore appalto: 8,3 milioni di euro) e, nell'ottobre 2010, anche delle facciate interne (valore appalto: 3,1 milioni di euro);
   la Cff Filiberti è un'azienda di eccellenza a livello mondiale nella estrazione e lavorazione di pietra, marmo e granito, che opera prevalentemente con l'estero. Occupa circa cento addetti (tra dipendenti diretti ed indotto) e rappresenta, ormai, uno dei pochi presidi occupazionali rimasti della montagna parmense, il cui patrimonio imprenditoriale si è fortemente depauperato in questi anni di crisi;
   i lavori di realizzazione del Parlamento maltese si sono conclusi a fine dicembre 2014 ed il 5 maggio 2015 si è tenuta, presso il nuovo palazzo, la prima seduta;
   l'azienda Cff Filiberti, a causa di un contenzioso in atto con le istituzioni maltesi per il mancato pagamento di una parte consistente delle prestazioni svolte, si trova ad affrontare una situazione di difficoltà che si sta manifestando nell'accumularsi di un arretrato di ormai tre mensilità nel pagamento dei lavoratori e nell'impossibilità di effettuare alcuni necessari ed urgenti interventi sotto il profilo della sicurezza sul lavoro, oltre a evidenziare una situazione di crisi finanziaria e di difficoltà di dialogo con gli istituti bancari che ne stanno mettendo a serissimo repentaglio la sopravvivenza;
   il 21 settembre si è svolto presso la provincia di Parma il tavolo istituzionale al termine del quale è stata definita la necessità che l'azienda elabori ed illustri uno specifico piano industriale entro la fine del mese di ottobre, ma anche l'opportunità di supportare l'impresa nel contenzioso in atto con le istituzioni di un Paese membro dell'Unione europea; –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del contenzioso in atto tra la Cff Filiberti di Bedonia (PR) e le autorità maltesi e se non intenda intervenire al fine di agevolare i contatti tra le parti e facilitare così il risolversi di una situazione di crisi che coinvolge un'impresa sana, con un importante portafoglio di commesse ed in grado di competere con le migliori eccellenze mondiali, la cui situazione di crisi sta avendo, com’è inevitabile, un impatto negativo sulla tenuta sociale dell'intero territorio dell'appennino parmense. (5-06669)

Interrogazione a risposta scritta:


   MARCON. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Haier di Campodoro, in provincia di Padova, azienda specializzata nella produzione di frigoriferi, ha recentemente dato comunicazione della prossima chiusura dello stabilimento con il conseguente ricorso allo strumento della cassa integrazione guadagni straordinaria per i lavoratori;
   lo stabilimento in questione impiega 102 lavoratori che, con la cessazione della produzione, andrebbero verso l'inevitabile destino della disoccupazione, per giunta nel pieno di una congiuntura economica fortemente depressiva, durante la quale le fasce sociali più deboli ed in generale i redditi più bassi, sono già stati duramente penalizzati;
   la dirigenza dell'azienda ha ribadito più volte, anche per tramite della stampa, che desidera confrontarsi il più possibile con i rappresentanti dei lavoratori e con le organizzazioni sindacali per identificare tutte le soluzioni praticabili per limitare le conseguenze sui dipendenti, ma attualmente non è ancora avvenuto alcun incontro con i lavoratori o con loro rappresentanti. Elemento che non consente a questi ultimi di conoscere le intenzioni dell'azienda, ma che li getta anche in una condizione di totale e sfibrante incertezza proprio a ridosso di una fase che si preannuncia ovviamente molto difficile;
   risulta ormai quantomeno difficoltosa l'interlocuzione fra lavoratori e istituzioni competenti, tenuto conto dell'abolizione delle province nonché di un conseguente passaggio delle competenze direttamente al livello ministeriale –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali iniziative urgenti e non più procrastinabili intenda adottare per convocare immediatamente, presso il Ministero dello sviluppo economico, un tavolo di trattative con la proprietà Haier al fine di scongiurare la chiusura di uno stabilimento che garantisce reddito a più di cento famiglie;
   se tale settore produttivo sia ritenuto dal Governo come un settore sul quale valga la pena investire, in termini di ricerca e innovazione, al fine di conservare e rilanciare le presenze produttive e il know how diffuso in diversi punti del territorio nazionale, dando così certezze e prospettiva ai lavoratori, anche attraverso gli eventuali processi di formazione e riqualificazione;
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo al fine di tutelare i lavoratori a rischio, anche attivando un tavolo di confronto che coinvolga pienamente i rappresentanti dei lavoratori, la dirigenza aziendale e i Ministeri competenti, e che individui ogni possibile soluzione volta ad evitare ripercussioni negative sugli attuali livelli occupazionali. (4-10736)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Lenzi e altri n. 1-01013, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Grassi, Giuditta Pini, Amoddio, Paola Boldrini;

Apposizione di firme a risoluzioni.

  La risoluzione in Commissione Gribaudo e altri n. 7-00631, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Damiano.

  La risoluzione in Commissione Paglia n. 7-00767, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sandra Savino.

Apposizione di firme ad una interpellanza.

  L'interpellanza Russo e Occhiuto n. 2-01117, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Palese, Vella, Longo, Gregorio Fontana, Sandra Savino, Riccardo Gallo, Milanato, Valentini, Petrenga, Antonio Martino, Latronico, Calabria, Carfagna, Squeri, Vito, Prestigiacomo, Alberto Giorgetti, Sarro, Ravetto, Palmizio, Fucci, Nizzi, Polverini, Centemero, De Girolamo, Martinelli, Giammanco, Luigi Cesaro, Archi, Giacomoni, Biasotti, Picchi, Lainati, Catanoso, Baldelli, Romele.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Martella n. 5-05816, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fiorio.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Rizzo n. 5-06080, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Frusone.

  L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Tino Iannuzzi e altri n. 3-01766, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Valiante.

  L'interrogazione a risposta scritta Iacono e altri n. 4-10721, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Chaouki.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato dell'interrogazione a risposta in Commissione Scuvera n. 5-06603, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 498 dell'8 ottobre 2015.

   SCUVERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la legge 20 giugno 1956, n. 658, e la successiva legge 2 gennaio 1958, n. 13, hanno previsto l'istituzione di una ricompensa al merito civile intesa a premiare le persone, gli enti e i corpi che si siano prodigati, con eccezionale senso di abnegazione, nell'alleviare le altrui sofferenze o, comunque, nel soccorrere chi si trovi in stato di bisogno, ovvero abbiano ad esempio compiuto atti per salvare persone esposte ad imminente e concreto pericolo o per ristabilire l'ordine pubblico, ove fosse stato gravemente turbato;
   ai sensi delle succitate leggi la ricompensa al merito civile può consistere in una medaglia d'oro o d'argento o di bronzo ovvero in un attestato di pubblica benemerenza;
   la città di Varzi, in provincia di Pavia è, come sottolineato anche più volte dall'ANPI è, si è distinta durante la Resistenza, negli anni tra il 1943 e il 1945, per atti di eroismo nella battaglia contro il nazifascismo, e la sua popolazione ha offerto prova di straordinaria dignità e coraggio;
   tali atti sono stati del resto ampiamente documentati anche in talune pubblicazioni quali il volume dell'Istituto della Resistenza dell'università di Pavia a cura del professore Giulio Guderzo, dal titolo «L'Altra Guerra» e il volume «La libertà è un dono», a cura della dottoressa Cecilia Demuru;
   gli stessi testi sopracitati hanno altresì documentato che al momento della liberazione della zona di Varzi, il 18 settembre del 1944, fu costituita una giunta democratica, eletta da un'assemblea pubblica, che diede vita ad una Repubblica partigiana;
   della giunta fecero parte Fortunato Repetti, Costantino Pizzardi, Guido Versari, Mario Grazi, Salvatore Lai, Emilio Piana, Leopoldo Braghieri, Luigi Rebaschio, Lino Tardai;
   durante la Repubblica partigiana di Varzi vennero amministrate le risorse locali, stabiliti i prezzi, assicurato cibo all'ospedale e all'asilo, assicurata la corrente elettrica, riaperte le scuole e le strade, ristabilito l'ordine pubblico, riformati i testi scolastici in senso democratico; inoltre nacquero giornali, vennero aperti un centro culturale e la Camera del lavoro –:
   alla luce di quanto riportato in premessa sui fatti relativi alla Resistenza al nazifascismo accaduti a Varzi, della sua proclamazione a Repubblica partigiana e degli atti di eroismo compiuti dalla sua popolazione, se il Ministro interrogato non ritenga opportuno avviare quanto prima le necessarie procedure atte a conferire alla città di Varzi una ricompensa al valore civile ai sensi della legge 20 giugno 1956, n. 658, e della legge 2 gennaio 1958, n.13, e ad attribuire una medaglia d'oro al valore civile per le persone di Fortunato Repetti, Costantino Pizzardi, Guido Versari, Mario Grazi, Salvatore Lai, Emilio Piana, Leopoldo Braghieri, Luigi Rebaschio, Lino Tarditi. (5-06603)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta Commissione Dadone n. 5-06593 del 7 ottobre 2015.